Il Destino di Merope

di Merope
(/viewuser.php?uid=4550)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Genesi ***
Capitolo 2: *** L'Epilogo ***



Capitolo 1
*** La Genesi ***


Non avevo mai provato qualcosa di simile

Prefazione dell’autrice:

Questa storia contiene alcune anticipazioni sul sesto libro di Harry Potter, il Principe Mezzosangue. Vi avverto dunque che se non volete rovinarvi la sorpresa vi sconsiglio di leggerlo. Altrimenti fate come volete.

Questo brano è ambientato prima della nascita di Voldemort, cioè cinquant’anni prima della nascita di Harry.

In particolare questo pezzo è narrato prima del ricordo che ci viene offerto da Silente nel sesto libro, ovvero prima che Ogden del Ministero della Magia andasse a trovare i Gaunt nella loro casa a Little Hangleton.

Ho trovato giusto offrire un doveroso tributo a Merope.

 

Il Destino di Merope
La Genesi

Non avevo mai provato qualcosa di simile. Non mi era mai successo prima, e questa ondata di nuovi e travolgenti sentimenti mi tormenta, mi distrugge. Sto qui ora, con la testa poggiata contro il vetro freddo della finestra. In questa stanza quasi totalmente avvolta dall’oscurità; solo la fioca luce di una candela che sta lentamente morendo riflette tremula i suoi deboli raggi sui vari cupi oggetti che si trovano in questa stanza, oggetti che io non vedo, non mi interessano. La mia attenzione è tutta rivolta verso quella strada semibuia, debolmente illuminata e totalmente deserta.

Attendo trepidamente qualcosa che non riuscirò a scorgere stasera. Qualcosa per la quale sono giorni che non dormo e mangio poco, qualcosa che non mi hanno insegnato ad affrontare a scuola. E’ l’ossessione, un martello che batte continuo e risuona alla porta del mio animo, il suo rumore rimbomba assordante nelle mie orecchie e mi trovo ad urlare nel sonno, cercando di non sentire, mentre giaccio in ginocchio sul nero. E mi domando perché, cosa sia successo, cosa sia cambiato, perché proprio a me? Io, erede di Salazar Serpeverde, purosangue sin dalla notte dei tempi, figlia di antiche generazioni dei più potenti maghi, proprio io ora mi ritrovo debole a battere contro una porta che per me non potrà mai aprirsi, proprio io ora sono qui, con la fronte poggiata su questo vetro freddo ad osservare la notte calare sul mondo, e sospiro, sconfortata, mentre il mio animo giace pesante sul pavimento di marmo che non conosce raggio di sole da molte ere, pronto a distruggersi in milioni di pezzi al primo rumore.

Mio padre entra nella stanza in cui mi trovo immobile da quelle che sembrano essere state delle ore; è nervoso, sbatte con forza la porta dopo aver varcato la soglia, iniziando ad imprecare contro solo lui sa chi.

L’osservo, silenziosa, ma lui non mi degna neppure di uno sguardo. Non mi considera, per lui sono solamente una stupida Maganò, inutile ed incapace, ma non si rende conto che è lui che mi fa questo effetto, aggressivo e quasi completamente pazzo, è lui che mi mette così tanta suggestione che i miei movimenti sono goffi, e le magie non mi vengono come dovrebbero. Ma poi ho capito perché fa così. Sono troppo uguale a lei, mia madre, l’unica persona che Marvolo Gaunt abbia mai davvero amato, proprio l’aggressivo ed iroso vecchio Gaunt; il loro matrimonio non era che uno dei tanti matrimoni combinati fra nobili famiglie di purosangue che non amano mischiarsi con volgari Babbani, Mezzosangue o chiunque abbia un minimo di sangue "sporco" nelle vene…

Mia madre era dunque stata un’ottima scelta. Bella, servizievole, di buona, ottima famiglia e soprattutto molto intelligente. Il suo unico problema era la salute. Era debole e riuscì a stento a sopportare di portare avanti due gravidanze, quella di mio fratello Morfin e la mia, ma quando si trovò incinta per la terza volta, diversi anni dopo la mia nascita, non ce la fece, e spirò in qualche mese, dopo essere diventata via via sempre più magra e pallida, e quella creaturina che cercava di crescere nel suo grembo si sgretolò nel nulla, senza aver avuto neanche il tempo di conoscere l’aria. Ero così piccola all’epoca, non riesco a ricordare che vaghi momenti, un enorme letto a baldacchino con una pesante tenda rosso scura che noi bambini non eravamo autorizzati ad aprire. Lì c’era mia madre, o quello che di lei ormai rimaneva, che respirava sempre più lentamente mentre la vita scorreva via dal suo corpo andandosi a disperdere nel buio nero della notte. E ricordo con chiarezza mio padre Marvolo che un giorno si chiuse nella propria stanza e vi rimase per oltre due mesi dopo la scomparsa della mamma, lasciando che solo una volta al giorno io potessi entrare per lasciargli del cibo e portar via i piatti sporchi. La sua stanza era sempre buia, odorava di chiuso e di morte, e quando vi mettevo piede lui era sul suo letto disteso o seduto alla scrivania dandomi le spalle. Ricordo il silenzio della nostra casa in quei due mesi in cui io non mi rendevo realmente conto di cosa fosse successo, sentivo solo che c’era qualcosa che mancava e non era solo mia madre. Di Marvolo, infatti, non rimase più nulla. Quando uscì dal suo forzato esilio nella sua stessa casa di lui non c’era che un’ombra vaga. Divenne più violento, mi picchiava spesso e sovente finiva per ubriacarsi con il Whisky Incendiario.

Lo guardo adesso, mentre rovista borbottando in uno dei polverosi cassetti della stanza buia in cui ci troviamo, ma nella quale lui non vede altro che sé stesso. Il suo anello risplende di un nero brillante nell’oscurità della stanza.

Sospiro, tornando a scrutare oltre il vetro delle finestre la strada ora completamente avvolta dalla notte. Mi perdo nei miei vuoti pensieri, mentre giungono lontani dei rumori, provengono dal mondo reale, mondo che stavo dimenticando, volevo farlo. Il mio cuore sobbalza, fa uno strano salto nel petto che non riesco a spiegare, ed il mio stomaco si contrae. Assottiglio le palpebre, cercando di mettere a fuoco nell’oscurità la figura di un uomo che cavalca sul selciato di fronte la nostra casa. Involontariamente le labbra si contraggono in un lieve e speranzoso sorriso, e lo seguo con lo sguardo che brilla finchè non scompare dalla mia visuale, inghiottito dalla notte.

Oh, quale visione mi si è presentata questa sera, dopo che a lungo avevo atteso! Eccola lì la causa della mia agitazione, eccolo lì il fulcro dei miei pensieri, il motivo di tante notti insonni e tanti momenti passati a sospirare, a pensare che sarebbe stato bello se lui… se io e lui davvero potessimo…

"Babbani." il commento dispregiativo di mio padre mi colpisce come un fulmine. Ha lanciato un’occhiata fuori dalla finestra quando ha sentito il cavallo passare accanto alla casa. Quella sua unica parola risuona in me come l’eco assordante di mille tamburi, quell’unica parola mi ferisce e fa sanguinare il mio cuore. Babbano. Ebbene sì. Io, Merope Hydra Gaunt sono innamorata di un Babbano. Lo amo alla follia e solo ora me ne rendo conto. Non passa momento che il mio sguardo non cerchi di sfuggire alla monotonia della mia casa e dei miei faticosi lavori quotidiani per tentare di scorgere la figura di colui che, bello come il sole ed attraente come pochi, ormai è diventato il centro della mia vita. Un Babbano.

Marvolo e Morfin non mi capiranno mai, non accetteranno mai questa mia scelta. Forse mi uccideranno quando glielo dirò. Ma persino la morte sarebbe meglio di questo atroce dolore, preferirei morire piuttosto che continuare a star qui, la fronte poggiata contro questa finestra fredda, ad aspettare di vederlo passare, ad aspettare di poterlo vedere anche solo per un attimo. Preferirei morire piuttosto che vivere senza di lui.

Quale vergogna provo nell’animo rendendomi conto di tali cose. Che vergogna, che frustrazione! Non ho mai parlato con lui, mai mi ha rivolto parola, ma credo che il mio cuore esploderebbe e le mie gambe si scioglierebbero inesorabilmente se il mio sguardo potesse finalmente soffermarsi e perdersi in quegli occhi che tanto ho osservato da lontano, occhi di cui mille e più volte ho immaginato le sfumature, i bagliori, i sorrisi che ora lui rivolge a chi a me è lontano. Non posso desiderarlo, due mondi troppo differenti fra loro non si possono incrociare così. Non è per me possibile affrontare tutto questo, non è giusto.

Mi giro, voltando le spalle alla finestra e guardando distrattamente la stanza. Improvvisamente sento di odiare tutto questo. Osservo gli oggetti, le candele deboli che illuminano poco, i muri incrostati della casa, sento i passi dei miei parenti nelle altre stanze, ed un senso di forte disgusto e fastidio subito mi pervade.

Li odio, loro che mi stanno impedendo di realizzare il mio sogno, coloro che mi ostacolano pur senza saperlo, loro che mi distruggono lentamente e senza pietà.

-- Merope Riddle --

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'Epilogo ***


Prefazione dell’autrice:

Prefazione dell’autrice:

Questo secondo ed ultimo capitolo è ambientato dopo che Merope è scappata con Tom Riddle, abbandonando il padre e il fratello – che erano finiti ad Azkaban – e dopo che Tom l’aveva lasciata, incinta.

Il Destino di Merope
L’Epilogo

Quale fatale sorte viene affidata a chi non segue i passi che doveva compiere! Quale tristezza nel conoscere ciò che di bello c’è in questo mondo e poi vederselo togliere così violentemente! Ed ora soffri, giovane principessa caduta dal trono, soffri e sprofonda giù, giù ed ancora più giù, fino a che quelle demoniache fiamme non lambiranno senza pietà le tue gambe ed i tuoi piedi, godendo voracemente di ogni tuo grido di dolore.

Ma sarà il cuore a dolere più di tutto, un cuore inesorabilmente spezzato, che si è rotto in mille e più pezzi che si sono andati a conficcare come lame roventi nel mio animo, lacerandolo, facendolo sanguinare. E quelle gocce vermiglie cadono sul marmo candido del pavimento, come lacrime di fuoco che senza sosta cadono dai miei occhi. Povera sciocca che sono! Sciocca ed illusa, stolta! Come ho potuto credere che sarebbe davvero successo, come potevo pretendere?

Era una delle più potenti, una pozione infallibile. La mia avidità, il mio capriccio così infantile. Oh, se potessi tornare indietro quanti errori eviterei di fare. E questo bambino, questo che ora cresce dentro di me ed ingrossa il mio ventre a dismisura mi toglie sempre più forze, il suo cuore sembra battere prendendosi tutta la mia energia. Questo bambino che da te è stato rifiutato così crudelmente, ed io che credevo che sarebbe stato lui ad unirci una volta per sempre, veramente. Io che credevo che sarebbe stato lui la nostra Amortentia, la pozione d’amore che io con cura ed ambizione ogni giorno ti facevo bere, e tu mi amavi, Tom Riddle, mi chiamavi la tua serpe regina, ed io mi sentivo la più bella del mondo, sebbene bella non sia. Io credevo che sarebbe bastato un tuo erede nel mio grembo (come se fosse poco!) per legarti a me per sempre, ma così non è stato. Oh, sfortuna, oh illusione! Quando l’Amortentia ha smesso di finire nel tuo calice perché io non lo volevo più, non volevo più che tu fossi mio schiavo ma che m’amassi davvero, tu hai iniziato a guardarmi in modo diverso, hai iniziato a trattarmi come mai prima, e ben presto mi sono ritrovata sola, in mezzo a vicoli bui, con un ventre sempre più grosso ed i polsi sempre più magri, senza riuscire bene a rendermi conto di ciò che attorno a me accadeva. E sovente in quell’orribile peregrinare il mio pensiero andava a colui per il quale la mia vita era cambiata, colui per il quale io, una Gaunt, ho abbandonato la mia famiglia, io ho ripudiato tutto ciò che avevo per uno stupido capriccio, per il mio Tom che mi guardava come fossi il suo mondo. Falso e stupido gioco che avevo creato, un mondo fittizio che avevo plasmato con le mie mani e la mia cieca volontà, vivendo per mesi fra due mondi, insieme ad un Babbano che avevo reso mio schiavo.

Vergogna, Merope, vergogna! Sento le folli urla di rimprovero di mio padre, ma vedo la sua figura confusa mentre con un tonfo mi accascio a terra svenuta. Vedo Tom, nel mio sogno nero, che mi accarezza piano una guancia, delicatamente mi sfiora il viso con il dorso delle dita, come avesse paura di farmi del male, ma poi il suo sguardo brillante s’indurisce, i suoi bellissimi occhi brillano di una folle luce malsana, colma di cattiveria, colma di inquietudine, ed inizia a strapparmi i capelli, urla, io piango, a terra, trafitta dal dolore che mi distrugge le membra.

Ed ecco che le fiamme dell’Inferno vengono a prendermi. Urlo. Il fuoco brucia, il dolore è troppo grande. Il fuoco va lì, sul ventre, e cerca di prendersi il mio bambino. Vattene! Urlo in preda al dolore mentre con tutte le forze cerco di scacciarlo via. Lascia il mio bambino, Inferno, prendi me, ma lascia che lui viva! Il mio bambino piange, lo sento adesso, piange ed io non posso avvicinarmi a lui. Non c’è più, me l’hanno portato via. Dove sei, mio piccolo angioletto? Torna da me…

Ora il silenzio. Non un rumore, solo il mio respiro affannato nel buio. Il pianto del mio bambino torna presto a farsi sentire. Apro gli occhi, intorno a me è tutto bianco, sono distesa e sono tutta sudata, alcune persone mi sono attorno e parlano concitate.

Non può essere il Paradiso, no. Ho troppo peccato nella mia vita.

Vedo il mio bambino che viene da me, mi viene messo in braccio. Tremo, ho paura di farlo cadere per quanto è piccolo. Respirando affannosamente lo guardo, e lui guarda me. Qualcuno sembra sussurrarmi che è un maschio. Ha ancora la faccia tutta rossa dal pianto, ed io di certo non devo sembrargli diversa. Mi ricorda tanto il mio Tom… ha i suoi occhi, la sua bocca, la sua bellezza. Tossisco, non riesco bene a respirare, sono debole, molto debole. Ancora non riesco a mettere bene a fuoco le persone che sono attorno a me, la testa sembra essere diventata pesante, così pesante che richiudo gli occhi. Sento che il mio bambino mi vien tolto dalle braccia ed allora spalanco le palpebre. Ora posso perfettamente vedere le tre donne che mi sono attorno, una con in braccio il mio bambino.

Sospiro, stanca.

"Spero che diventi bello come suo padre. Si chiamerà Tom…" mormoro con un filo di voce. Dopo aver sfiorato ancora il mio bambino con lo sguardo chiudo gli occhi, iniziando a respirare lentamente. Nella mia mente nuvole scure iniziano a farsi avanti, sento in lontananza qualche tuono, più in là il canto di una donna. "…Marvolo…" vedo mio padre adesso, lo vedo camminare davanti a me, sono solamente una bambina, mi sta legando al collo il medaglione di Serpeverde. Improvvisamente diventa tutto più scuro e mio padre mi sta picchiando, ha scoperto che sono innamorata di un babbano, quello stupido di mio fratello gli ha rivelato il mio segreto. Non so come l’abbia capito. Poi scompaiono, i colori del cielo si fanno grigiastri e null’altro scorgo se non la nebbia. Inspiro, e so che è l’ultima volta che lo faccio, ed un’ultima parola fuoriesce dalle mie labbra "…Riddle."

L’aria nel mio corpo è terminata, non ho bisogno di respirare ancora, perché il mio cuore ha cessato di battere. In questo luogo che io non conosco io mi sto allontanando dal mio bambino, lo sto lasciando solo poiché sola hanno lasciato me. Senza più alcuna ragione per continuare a lottare abbandono la mia vita, proprio come ha fatto Tom con me.

Cresci bene, mio piccolo.

Arrivederci, Lord Voldemort.

-- Merope Riddle --

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=58650