Healing scars

di Bookwrm389
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Detour ***
Capitolo 2: *** Nightmare ***
Capitolo 3: *** Customer ***
Capitolo 4: *** Victim ***
Capitolo 5: *** Ache ***
Capitolo 6: *** Speed ***
Capitolo 7: *** Reprieve ***
Capitolo 8: *** Scars ***



Capitolo 1
*** Detour ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice


Note dell’autrice
Um... un sequel di Open wounds? Beh, non proprio.
Diverse persone avevano espresso il desiderio di un sequel one-shot nel quale Ed andasse a prendere a calci qualche culo [testuali parole XD NdT], ma volevo che nella storia ci fosse più di questo. Giusto per essere chiari, NON È NECESSARIO leggere Open Wounds prima di questa storia. Healing Scars si sviluppa dagli eventi di Open Wounds, ma sta anche in piedi da sola. Tutti gli elementi necessari alla comprensione della trama sono stati inclusi in questa fic.

Ad ogni modo, dovrebbe rivelarsi un’avventura divertente, sia che scegliate di considerarla come un sequel o una storia completamente nuova. Non posso credere a quanto sia effettivamente diventata lunga! Aspettatevi undici capitoli carichi di azione, angoscia, humor, fluff, sofferenza e conforto, romanticismo e altre esaltanti meraviglie in altre parole, tutto il necessario per una tipica fic Edwin!

 
 
 

***
 
Capitolo 1
 Detour

 
 
“Dunque… mi ripeteresti perché ci stiamo recando a Rush Valley?”
 
Ed fece una smorfia alla domanda, avendo captato la velata sfumatura nella voce del fratello. A quanto pareva Al non aveva più intenzione di fargliela passare liscia con un’altra scusa campata per aria.
Appoggiò il mento sulla mano e posò lo sguardo su un punto fisso fuori dal finestrino.
Un potente fischio annunciò che stavano per lasciare la stazione, e il treno si allontanò lentamente dalla piattaforma. Rush Valley era la fermata successiva. Ancora poche ore…
 
“Per i miei automail,” rispose burberamente Ed, sperando che Al si facesse bastare quella come risposta.
 
 “Ma i tuoi automail sono a posto,” disse Al lentamente. “Quindi qual è il vero motivo per cui ci stiamo andando? Per vedere Winry?”
 
 “Sì. Per i miei automail.”
 
 “Fratellone”, disse Al, spazientendosi. “Tutto questo ha a che fare con la telefonata di Winry che hai ricevuto l’altra notte?”
 
 “No.”
 
 “Ne sei sicuro?”
 
“Sì.”
 
“È stata Winry a chiederci di andare da lei?”
 
“No.”
 
Ed non ebbe bisogno di voltarsi per vedere che Al aveva inclinato la testa, costernato per la sua freddezza. Vedeva il riflesso del fratello sul finestrino.
Il treno prese velocità non appena si lasciò l’ultima città alle spalle, sfrecciando attraverso i campi e i pascoli che si estendevano nella parte sud-orientale del Paese.
Resembool si trovava proprio oltre quelle colline verdi e azzurre all'orizzonte. Quelle colline che circondavano completamente la valle dove si trovava la loro città natale, magnifiche e allo stesso tempo irraggiungibili.

 
Deve avere qualcosa a che fare con quella telefonata”, disse Al con decisione. "Winry non ci telefona mai, di solito. Hai parlato con lei per un bel po', quindi non è stata solo una chiamata per controllare lo stato della tua manutenzione. Se così fosse stato, lei non ti avrebbe cercato a quell’ora così tarda… solo per quello…”
 
Piantala, Alphonse.”
 
A pensarci bene, aver usato quel tono poteva essere stato un errore.
Ed non era molto bravo a nascondere le sue emozioni, tanto per cominciare, e in nessun modo sarebbe riuscito a camuffare la maniera in cui la sua voce si era trasformata quasi in un ringhio, spia di una rabbia latente alla quale mancava solo un bersaglio su cui riversarsi.
Ed immaginava la sua ira come un bestia che gli si aggirava fra le costole, che marciava senza posa e ripeteva incessantemente la sua cantilena.
 
Va’ da Winry. Va’ da Winry. Non perdere tempo, non stare a pensare, vai e basta...
 
“Fratellone,” Al vacillò. “È successo qualcosa a Winry?”
 
La bestia ruggì, e il cuore di Ed prese a battere ad un ritmo selvaggio appena lo scenario gli si dipinse davanti agli occhi. La sua mano meccanica attanagliò il bordo del sedile in una morsa così serrata da far gemere l'acciaio in segno di protesta, e Ed strinse i denti ricordando la voce di Winry di due notti prima, resa ancor bassa e debole dai fili telefonici che aveva dovuto attraversare per raggiungerlo a East City.
 
 
Non avrei dovuto chiamarti così, di punto in bianco. L’ho fatto senza riflettere…
 
 
“Ed!”
 
Al si chinò per afferrargli un braccio, scuotendolo leggermente. “Winry è anche una mia amica! Come potrò esserle d'aiuto se non mi dici cos'è successo?”
 
 
Anche se ti raccontassi cos’è successo, cosa pensi che potrai fare, eh Ed? Credi di potermi proteggere da duecento miglia di distanza?
 
 
Ed inspirò profondamente, calmandosi un po’. “Non ha voluto dirmi perché ha chiamato”, disse finalmente.
 
“Lei… non ha voluto?” disse Al, evidentemente sbalordito all'idea che, per una volta, fosse Winry a tener loro segreto qualcosa.
 
Ed incrociò le braccia e appoggiò il piede contro il sedile di fronte, tentato di sferrargli un calcio per vedere se l’automail di Winry fosse abbastanza potente da rompere il legno massiccio.
Non ne sarebbe rimasto sorpreso. Lei non aveva mai fatto le cose a metà, in special modo quando si trattava del suo lavoro.
Era così strano pensare che le mani che avevano costruito i suoi arti meccanici appartenessero ad una quindicenne. Certo, Winry non era una ragazza ordinaria, possedeva una volontà solida quanto il metallo con cui lavorava.

Ma quante persone avrebbero potuto capirlo alla prima occhiata?
 
“Era sconvolta per qualcosa,” mormorò Ed, arricciando le dita del piede metallico all'interno dello stivale. "Era arrabbiata e… piangeva.”
 
“Che cosa ti ha detto?” chiese Al con ansia.
 
Ed si soffiò via una ciocca di capelli dal viso e sbuffò. “Qualche stupidata sul fatto che non avrebbe dovuto chiamare fin dall’inizio e che era un peso per noi. Continuava a cercare di trovare una scusa per riagganciare. Idiota. Come se avessi potuto abbandonarla in quello stato…”
 
“Ma questo ancora non spiega perché noi stiamo
 
“Qualcuno l’ha aggredita.”
 
A quella rivelazione l’armatura di Al diede uno scossone, e diverse persone alzarono lo sguardo allarmate quando lui gridò “Che significa che qualcuno l’ha aggredita? E come fai a esserne sicuro se lei non ti ha detto nulla?”
 
“Aveva un labbro spaccato,” disse Ed con amarezza, non tentando in alcun modo di celare come si sentiva in proposito. “Una cosa difficile da nascondere, anche se sei al telefono.”
 
“Chi è stato?”
 
“Che diavolo ne so. Non ha voluto dirmi niente, ricordi?”
 
“Ma Winry sta bene?”
 
“Non so nemmeno questo.”
 
Fratellone!” disse Al con tono esasperato, agitando le mani nell’aria. “Perché non hai detto niente prima?”
 
“Beh, ovviamente non ne sapevo ancora abbastanza per sollevare un polverone!” ribatté Ed animatamente. “Perché pensi che stiamo andando a Rush Valley?”
 
Al sprofondò nel suo sedile, spostando lo sguardo un po' a lato, e Ed notò con soddisfazione che entrambe le mani inguantate del fratello erano ora strette a pugno. Se perfino Al si era arrabbiato, allora nessuno avrebbe potuto accusare Ed di aver reagito in maniera eccessiva.
Ma ciò rimarcava anche quanto tutta quella situazione fosse reale e preoccupante.

Ed guardava il paesaggio scorrere al loro fianco a passo di lumaca. Il treno, davvero, non avrebbe potuto procedere più lentamente. Si chiese se potesse rivelarsi più conveniente saltare fuori dal finestrino e precipitarsi a Rush Valley a piedi. Qualunque cosa pur di arrivare là al più presto e scoprire quale patetico bastardo in quella città aveva così tanta voglia di morire.
 
“Non ti ha detto niente,” disse Al con voce molto sommessa. “Quando eravamo piccoli Winry ce lo diceva sempre, se qualche bullo la importunava.”
 
“Ho l’impressione che in questa storia si sia andati un po’ oltre il bullismo”, disse Ed cupo. “Winry è forte, non si lascia semplicemente sopraffare dalle altre persone. Anche se un estraneo l’avesse aggredita per strada, non si sarebbe mai fatta sconvolgere a tal punto.”
 
“Che cosa vuoi dire, fratellone?” chiese Al, confuso.
 
Ed mostrò i denti alle pecore che lo fissavano innocentemente dietro il recinto di un campo. “Sto dicendo che chiunque le abbia spaccato un labbro è una persona che secondo Winry non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. È stato qualcuno che conosceva.”


 
Nel profondo del suo petto, la bestia reclamava sangue.


 

Continua...

***



 
Note della traduttrice
Bene, eccovi qui il primo capitolo di Healing Scars.
Come vedete è poco più di un’introduzione alla storia vera e propria, ma vi assicuro che già dal prossimo capitolo le cose si faranno un po’ più movimentate.
Approfitterei di questo spazio per ringraziare le persone che hanno commentato Open Wounds: ketty_san, Fede_, Siyah, beautiful_disaster (che non so se leggerà, visto che questa è dichiaratamente una Edwin fic) e RuNami 4 ever. Grazie mille per i complimenti e i suggerimenti ;)
 

A presto (spero) con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs

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Capitolo 2
*** Nightmare ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice


Capitolo 2
Nightmare

 
 

Ormai Ed avrebbe dovuto esserci abituato, eppure quel sogno ricorrente riusciva sempre a trovare un modo per coglierlo alla sprovvista.
 
L’intervento per l'installazione dei suoi automail era avvenuto anni prima, e il ricordo che ne aveva era frammentario, spezzato da dolore e delirio.
Riusciva a rievocare soltanto pochi momenti di lucidità su quel tavolo operatorio, ma la sua immaginazione non aveva avuto problemi a colmare le lacune.
Ora le cinghie che gli immobilizzavano il corpo sembravano essere più strette di quanto ricordasse, le luci erano più luminose di quanto avrebbero dovuto essere, gli strumenti più affilati e brillanti…
 
E faceva male, maledizione! Faceva male! Aveva pensato di essere sul punto di morire quando aveva aperto gli occhi per la prima volta dopo l'intervento per impiantare le basi d’innesto. Il suo cervello non riusciva ad accettare che ci fossero metallo e cavi collegati ai suoi nervi e imbullonati alle sua ossa. Era una cosa innaturale e sbagliata, e il suo corpo stava facendo tutto il possibile per rigettarla.
Ma non importava quanto insopportabile fosse il dolore, non potevano anestetizzarlo di nuovo. I narcotici non avrebbero fatto altro che ritardare il suo recupero e l’avrebbero intrappolato in un circolo vizioso fatto di dolore e di oblio e poi ancora più dolore. Doveva sopportare.
 
Ma stavolta, a poco a poco, Ed si rendeva conto di non essere l’unico a singhiozzare nella stanza.
Si voltava e vedeva Winry, in piedi, in un angolo lontano. La piccola Winry, quella che lo aveva assistito durante l’operazione chirurgica. E incombente su di lei c’era Mitch, il teppistello del cortile della scuola, balzato fuori direttamente dai suoi ricordi d’infanzia. Il bullo che non si faceva alcuna remora a spintonare le ragazzine faccia a terra nel fango.
Solo che ora lui era più grande, più imponente, e la sua minaccia si faceva molto più sinistra.
 
Winry… Winry, corri… la porta… scappa…
 
Ed cercava di articolare quelle parole, di urlarle, ma la sua voce era come svanita. Mitch afferrava i polsi di Winry e la tirava a sé, con quelle braccia gonfie di muscoli che avrebbero potuto spezzare la ragazza come un ramoscello. Winry cercava di sfuggirgli, con le lacrime le rigavano il viso—
 
Non osare farla piangere, bastardo!
 
Lei era così piccola in confronto a quel colosso, così fragile e sottile, non avrebbe avuto alcuna possibilità, e lui non poteva aiutarla
 
Winry, reagisci! Non lasciare che ti faccia del male! E tu non avvicinarti a lei! Non farlo, non farlo, non…
 
Quel che succedeva in seguito scaturiva direttamente dalle sue ansie, dalle sue paure, e l'aggressore, ormai senza volto, afferrava i capelli di Winry e la baciava viziosamente, bevendo le sue lacrime come fossero vino—
 
NON TOCCARLA!
 
 
 
Il fischio del treno squarciò quell’immagine nella sua mente e ne spazzò via i frammenti. Ed ammiccò al finestrino sul quale aveva poggiato la fronte, scosso e sudato a causa di un sogno che ricordava solo a metà. Qualcosa a proposito del suo intervento chirurgico e Winry e… il cortile della scuola?
Si raddrizzò sul sedile con uno sguardo accigliato. Se si fosse messo d’impegno, sicuramente sarebbe riuscito a ricordare di che cosa si trattasse, ma visto il modo in cui il cuore gli stava battendo in gola probabilmente sarebbe stato più conveniente scordarsene.
 
“Ci siamo quasi, fratellone.”
 
“Mmh,” borbottò indistintamente Ed. Si protese in avanti e abbassò il finestrino, lasciando che la fresca aria di montagna facesse svaporare gli strascichi del suo incubo.
Avrebbero raggiunto Rush Valley a tarda ora ormai, ma quel posto la notte era animato tanto quanto il giorno. Anche da lì Ed poteva vedere i bagliori della città, una bolla di luce incastonata nella vallata rocciosa.
 
Batté il piede a terra con ritmata impazienza mentre attendevano che il treno entrasse in stazione, poi balzò giù dal sedile prima ancora che il mezzo si fosse fermato completamente — cosa che gli permise di essere uno dei primi passeggeri a scendere dal treno. Dopodiché si mise a correre lungo la banchina buia fino a raggiungere la strada sul lato opposto, dove si fermò per cercare di orientarsi.
Al lo raggiunse poco dopo, portandosi appresso la valigia che Ed aveva dimenticato, nella fretta di scendere.
 
“Com’è che si chiamava quel tale da cui Winry fa l’apprendista?” domandò Ed, spostando lo sguardo qua e là sulla fila di botteghe attorno a loro.
 
“Garfiel,” gli rispose Al, incamminandosi nella giusta direzione. “Credo sia da questa parte, un paio di isolati più giù. Cerca un’insegna con un fiore.”
 
“Oh già, il tizio dei fiorellini,” mormorò Ed, distratto da un gruppo di giovani avvinazzati che ciondolavano all'esterno di un bar nelle vicinanze. Li scrutò attentamente ma nessuno di quei volti gli suggerì qualcosa.
Ed scosse il capo scacciando la paranoia. Non poteva certo aspettarsi che il colpevole se ne andasse in giro con un cartello che diceva: Sono stato io, vieni a strozzarmi!
Doveva prima di tutto andare ad incontrare Winry e ottenere da lei qualche risposta, o per lo meno un nome...
 
“Fratellone,” lo chiamò Al a bassa voce. “E se fosse stato il signor Garfiel a farle del male?”
 
Ed si arrestò di colpo. Poi improvvisamente scattò, ma venne immediatamente intercettato da Al che si mise a trattenerlo per un braccio. “Al, lasciami andare—!”
 
“Aspetta un momento!” aggiunse in fretta Al. “La mia era solo una supposizione, non ti permetterò di fiondarti nella bottega di Garfiel con quell’atteggiamento!”
 
“Quale atteggiamento?” abbaiò Ed mentre cercava di liberare il braccio, senza successo.
 
Lo sai quale atteggiamento!” lo ammonì Al. “Hai intenzione di menare le mani e solo in seguito fare domande! Non puoi comportarti così col maestro di Winry! Potrebbe cacciarla!”
 
“Beh, cosa ti aspetti che faccia?”
 
“Comincia col calmarti!”
 
“Okay, va bene!”
 
Ma Al non voleva ancora lasciarlo andare. Ed fece qualche respiro profondo e con le nocche si diede una forte botta in testa per cancellare il cipiglio. “Ok. Sono calmo.”
 
“Fratellone,” disse Al, incamminandosi accanto a Ed. “Non mi hai ancora detto che cosa hai intenzione di fare riguardo a tutto questo.”
 
“Non è ovvio?”
 
“Veramente no.”
 
Ed affondò le mani nelle tasche. “Beh, per prima cosa!”
 
E s’interruppe. A dirla tutta Ed non aveva effettivamente pensato a cosa avrebbero fatto una volta raggiunta Rush Valley. In realtà, non aveva riflettuto affatto dopo la telefonata di Winry di due notti prima. Durante tutto quel tempo nella sua testa c’era stato spazio soltanto per due pensieri: Arrivare da Winry e Far sputare la merda a suon di calci al suo aggressore.
E aveva la netta sensazione che ad Al non avrebbe fatto piacere sentire queste cose.
 
“Non hai pianificato assolutamente nulla, vero?” domandò Al stancamente.
 
“Vuoi dirmi che dovevamo semplicemente lasciarla sola?” ribatté Ed a bassa voce.

“No, certo che no,” replicò Al con pazienza, mentre svoltavano in un'altra strada. “Ma lei almeno è al corrente che stiamo per raggiungerla?”
 
“Sì, ho preso un appuntamento,” lo rassicurò Ed. “Le ho detto che l’automail non funzionava bene.”
 
“Cosa che non è vera. Non credi che se ne accorgerà?”
 
Ed si fermò e si rabbuiò fissando la sua mano destra, sconcertato. Era stato al passo con la manutenzione, disgraziatamente, perciò una volta tanto sia il braccio che la gamba si trovavano in ottime condizioni. E Winry gli aveva esplicitamente chiesto, al telefono, di non fare una deviazione solo per causa sua, motivo per il quale Ed si era preso la briga di fingere di aver bisogno di un appuntamento.
 
Si tolse il cappotto e si voltò, dando le spalle ad Al. “Colpiscimi.”
 
“Cosa?” chiese Al confuso.
 
 “Colpiscimi!” ripeté Ed a voce alta, avvicinandosi di un passo. “Abbastanza forte da demolire il rivestimento o qualcosa del genere! Questo dovrebbe bastarle.”
 
Ma Al indietreggiò in fretta. “Io non ho alcuna intenzione di colpirti! E se ti facessi male?”
 
“Direi che è proprio questo il punto. Dai, Al, lo so che hai voglia di farlo…”
 
“Scordatelo, io non lo faccio!”
 
“Dannazione, Al! Fai il bravo fratello e spaccami l’automail!”
 
“No!”

Attenti!”
 
Ed si voltò e scartò a lato giusto in tempo per evitare di essere travolto da qualcuno. Quel tizio gli sfrecciò accanto ad una velocità impossibile, parendo niente di più che una macchia indistinta, e Ed barcollò all’indietro quando anche una seconda figura saettò e passò oltre. “Ma che—!”
 
Fatti da parte, tappetto!”
 
Una terza persona schizzò dietro Ed, urtandolo sul fianco e mandandolo a schiantarsi a terra. Ed sputò la polvere e gridò indignato a quelle sagome lontane. “Io NON sono un tappetto, brutti stupidi!”
 
Al lo aiutò a rimettersi in piedi, mentre anche lui seguiva con lo sguardo quei tre demoni della velocità. “Ah…”
 
Ah cosa?” sbottò Ed, spolverandosi il cappotto.
 
“Hai visto cosa stavano indossando?”

“Che ne so, razzi?”
 
“Rollerblade,” lo corresse Al. “Li avevamo visti ad East City, ricordi? Quei pattini costruiti per la strada invece che per il ghiaccio. Non sapevo che li avessero già esportati fin quaggiù.”

“Vuoi dire quelle sottospecie di stivali con le ruote?” si beffò Ed con disprezzo, ricordando quegli aggeggi coraggiosamente esposti in una vetrina. “Beh, eccoti ora provato quello che dicevo l'altro giorno! C'è un motivo per cui il pattinaggio è uno sport invernale. Limitare il numero di ossa rotte e commozioni cerebrali a un solo periodo dell’anno invece che—Ehi!”

“Che c’è?”
 
Ed sollevò la mano destra sprizzando allegria, avendo notato che le ultime due dita erano piegate in malo modo e non erano più funzionanti. “Ci sono caduto sopra e le ho rotte! Winry ora non mi potrà più accusare di essere venuto qui con un falso pretesto!”

“Anche se è esattamente quello che hai fatto,” disse blandamente Al.
 
“Sta’ zitto,” mugolò Ed. “Andiamo e basta…”
 


Nonostante si trovasse in uno dei quartieri più trafficati della città, la bottega di Garfiel era già chiusa e serrata per la notte. Oltretutto, non c'erano luci accese al piano superiore, dove si trovavano le stanze adibite ad abitazione, quindi era lecito ritenere che sia Winry che Garfiel dormissero già.
Ed, non avendo nemmeno lontanamente previsto questa eventualità, diede un calcio a un bidone dei rifiuti, irritato. “Bene...”

“Bene,” gli fece eco Al, cupo.
 
Ed si avvicinò alla finestra e guardò attraverso le tende infiorettate, tentando di scorgere l’interno buio. “Okay, entriamo.”
 
“Vuoi scassinare la porta?” guaì Al.
 
“Non è scasso se conosci le persone che abitano nella casa!” insisté Ed, sentendosi nel giusto. “Non butterò via i soldi per passare la notte in un albergo quando possiamo starcene tranquillamente qui.”

Ed batté le mani e senza ulteriori indugi trasmutò la maniglia e la scalzò dalla porta d'ingresso in modo che potessero entrare. Al lo seguì riluttante, camminando in punta di piedi nell’atrio del negozio, con circospezione. “Ci sono un sacco di cose sbagliate in quello che stiamo facendo, talmente tante che proprio non riuscirei a elencarle tutte…”

“Meglio,” dichiarò Ed. “Perché sto andando a mettermi comodo sul divano del laboratorio e preferirei non essere costretto ad addormentarmi durante una tua ramanzina.”

“Basta che non te la prendi con me se il signor Garfiel ti scambierà per un ladro e ti sbatterà fuori,” disse Al dopo aver riparato la porta con l'alchimia. “Io credo che rimarrò fuori stanotte. È la serata giusta per osservare le stelle. Chiudi la porta a chiave appena sarò uscito.”
 
“Ok, ok.”
 
Una volta che Al fu fuori, in pace con la coscienza e con la volta stellata — e, si spera, nessun gatto randagio —a fargli compagnia, Ed si tolse gli stivali e gettò il cappotto sulla prima sedia che vide. Aveva pensato di aggiungere anche maglietta e pantaloni alla pila di vestiti, così da poter dormire in boxer, ma meno motivi avrebbe dato a Winry per urlargli contro, meglio era. Perché non aveva alcun dubbio sul fatto che ci sarebbe stato da urlare. C’era sempre da urlare, quando lui arrivava per una riparazione. Era sempre colpa sua, per qualche ragione.
 
Il laboratorio si trovava proprio nel retro del negozio, accanto ad un piccolo cucinino.
Non era difficile da trovare quando le luci erano accese, ma dato che Ed non era riuscito a trovare l’interruttore gli ci volle più tempo del normale per trovare la stanza giusta. Si fece strada alla cieca camminando lungo un bancone, fino a che non trovò una porta e la aprì, respirando a pieni polmoni appena ne varcò la soglia. Olio per macchine e acciaio. Sì, quella era decisamente la stanza giusta.
Fece qualche passo incerto e finalmente individuò il divano sbattendoci contro un ginocchio. Si lasciò cadere sui cuscini. Erano un po’ sgonfi e bitorzoluti, ma aveva senza dubbio dormito in posti peggiori.
 
Si voltò quando gli parve di captare un movimento nelle vicinanze e percepì, più che vederla, un’ombra che si muoveva nel cucinino. Era Al? No, Ed era sicuro che in quel caso avrebbe udito il rumore dell'armatura…
 
“Winry?” sussurrò, alzandosi dal divano e avvicinandosi alla porta del laboratorio. Non appena aprì la porta, qualcosa di molto grande e molto duro gli si schiantò in testa, e lui cadde all’indietro con un gemito di dolore.
 
Accidenti a te, Cal, ti avevo detto di non farti più vedere!”
 
“Accidenti a te, donna!” ruggì Ed. “Guarda bene prima di prendere a randellate la gente!”
 
La luce si accese da qualche parte sopra le loro teste. Winry ammiccò verso di lui sbalordita, con addosso solo una camicia da notte sformata e armata di — con tutte le cose che avrebbe potuto usare! — un bollitore. “Ed?”
 
“O almeno lo ero,” brontolò Ed, tastandosi il capo. “Così siamo passate al brandire utensili da cucina, adesso? Se l'avessi saputo prima avrei portato la mia padella. Lo giuro, uno di questi giorni finirai col colpirmi così forte da trasformarmi in un idiota bavoso…”

Winry posò il bollitore sulla stufa alle sue spalle e gli girò attorno stizzita. “Scusa ma cosa diavolo credevi di fare, intrufolandoti qui come un ladro? Mi hai quasi fatto prendere un colpo! Tutto quello che dovevi fare era bussare alla porta, ma—!”

“Chi è Cal?”
 
Winry raggelò. Letteralmente, si ghiacciò. La bocca le rimase aperta, senza che ne uscisse alcuna parola, e Ed non si era lasciato sfuggire il modo in cui gli occhi di lei si erano momentaneamente spalancati nell’udire quel nome.
Winry richiuse la bocca di scatto e deglutì un paio di volte. “Nessuno, Ed,” mormorò.

“Capisco,” disse Ed scettico. Il suo sguardo era puntato su quel labbro gonfio, e a quella vista sentì la bestia ridestarsi dal suo sonno. “E suppongo quindi che nessuno ti abbia spaccato il labbro…”
 
Winry si coprì la bocca con le dita e gli lanciò un’occhiata di sfida. “Tanto per la cronaca, me lo sono spaccato urtando contro il bordo del piano di lavoro.”
 
“E come ha fatto il tuo labbro ad entrare in contatto con il piano di lavoro?” ringhiò Ed. “Ha ricevuto un piccolo aiuto da… Cal, vero? E comunque Cal è il diminutivo di cosa? Calcio1?”
 
“Callahan. È un cognome.”
 
Ed annuì mentre si appuntava mentalmente quel dettaglio. Stava già progettando di andare in giro a chiedere se qualcuno conoscesse questo Callahan.
Se era una persona del posto, allora non ci avrebbe messo molto a trovarlo. In caso contrario, quel tizio non avrebbe più avuto alcuna fretta di tornare a Rush Valley, una volta che Ed avesse finito con lui.

Winry alzò le spalle e fece un sospiro esausto, guardandolo da dietro una cortina di capelli. “Ed, perché sei qui? Se sei venuto in cerca di una scazzottata, allora puoi tranquillamente girare i tacchi e tornare a bordo del treno. Non ho bisogno del tuo aiuto, e non ho bisogno di un paladino che mi protegga!”
 
“Lo so che non ne hai bisogno,” disse Ed sulla difensiva. “Ma che vuoi? Non è più permesso andare a trovare un’amica per vedere come se la passa, una volta ogni tanto?”
 
“Non è per questo che sei venuto, e lo sai bene!” disse Winry con rabbia. “Non sei venuto qui per vedere come me la passo, non mi hai neanche chiesto come sto!”
 
La bestia si arrestò con la coda tra le gambe, mugolando.
Ed storse il naso a quell’accusa, volendo provare a giustificare le sue azioni ma sapendo che sarebbe stato inutile. Aveva ragione lei. Non aveva nemmeno pensato di chiederle come stesse, aveva semplicemente supposto di saperlo già…
 
Sudò freddo al pensiero che forse poteva esserci qualcosa di più di un labbro spaccato. C’erano lividi sotto quella camicia da notte? Tagli? Fasciature? Oltretutto, Ed non aveva ancora un’idea precisa del perché Winry fosse stata aggredita. Certo, poteva essere successo per qualche motivo banale, ma il suo istinto gli suggeriva il contrario. E da quando era un militare era venuto a conoscenza di un’infinità di storie orribili che riguardavano giovani donne e gli uomini che in teoria avrebbero dovuto proteggerle.
 
Oddio, e se... e se lui l’avesse toccata? E se l’avesse v
 
No, non riusciva nemmeno a pensare quella parola ignobile.
Ed si sentì come se tutto il mondo si fosse messo a girare alla rovescia. Sopra era sotto, destra era sinistra, lui era illeso mentre la sua amica d’infanzia era stata ferita. Winry sarebbe dovuta essere al sicuro da minacce come quella!

“Stai bene?” domandò Ed bruscamente.

“Sì, sto bene,” rispose Winry con sussiego. “Grazie per avermelo chiesto, alla fine.”

Ed trovò difficile credere che lei stesse bene davvero, ma Winry non gli diede la possibilità di ottenere ulteriori dettagli prima di voltargli le spalle e allontanarsi dal laboratorio. Ed si trascinò dietro di lei, fermandosi ai piedi delle scale mentre la ragazza raggiungeva lentamente il secondo piano. “Ascolta, Winry…”

“L'automail te lo sistemo domani,” disse Winry da sopra la spalla. “Ho visto le dita, e sarà meglio per te che tu non le abbia spaccate di proposito solo per avere un pretesto per venire fin qui.”
 
“No, i—”
 
“Bene, allora,” Winry tagliò corto bruscamente. “Ci sono delle coperte in più nell’armadio della biancheria, e non azzardarti a metterti a dormire in boxer. Il signor Garfiel si sveglia presto, gli lascerò un biglietto sulla porta per fargli sapere che voi due siete qui. Beh, presumo che Al sia venuto con te…”
 
“S-Sì, è venuto anche lui. Ma, Winry, voglio solo sapere—”

Buonanotte, Edward.”
 
Ed la guardò salire le scale e sparire dalla sua vista, sentendosi come se avesse perso una sorta di battaglia. E lui odiava perdere.

Rimasto senza niente di meglio da fare, tirò fuori un paio di coperte dall’armadio e si sistemò sul divano del laboratorio.
Domani è un altro giorno. Forse sarebbe riuscito a parlare con Winry mentre lei gli riparava le dita e avrebbe cercato di scoprire qualcosa di più su questo Callahan, che a quanto pare si meritava un bollitore in testa tanto quanto lui.

Il piano di lavoro…
 
Si mise a sedere, fissando il tavolo dall’altra parte della stanza con crescente orrore. Qualsiasi cosa fosse successa, era successa . In quella stanza.
Ma le sole persone che avevano il permesso di entrare lì dentro erano Winry, Garfiel…

E i loro clienti. Quindi Cal non era solo un conoscente, era un cliente.
 
Ed affondò il pugno nel bracciolo del divano e sputò una maledizione fra i denti.
 

Bastardo… che diavolo hai fatto al mio meccanico?


Continua...



 

***
 

 
Note della traduttrice

1 Avrei potuto provare a trasformare la battuta di Ed in qualcosa di più caustico o canzonatorio, del tipo “E comunque Cal è il diminutivo di cosa? Calogero?”, ma la versione originale dice proprio “What's that short for, anyway? Calcium?”. Calcio, da intendersi ovviamente non come sport, ma come il ventesimo elemento della tavola periodica, abbreviato comunemente con Ca.
Sicuramente Ed, da bravo alchimista, nel sentire il nomignolo “Cal” avrà immediatamente pensato che quello assomigliasse più ad un’abbreviazione da formula chimica/alchemica piuttosto che ad un nome. Quindi mi è sembrato più indicato tradurre la battuta fedelmente, dal momento che mi è apparsa totalmente nelle corde del personaggio.
In fin dei conti Ed è un po’ nerd, quando vuole^^

 
Grazie mille a GiugitzuxD e Siyah per le recensioni al capitolo precedente.
Sperando che ne arrivino molte altre :)

 

A presto con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs

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Capitolo 3
*** Customer ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

Note dell’autrice
È la prima volta che mi cimento col personaggio di Garfiel!
Quando l’ho visto comparire nel manga devo ammettere che ho pensato che fosse un po’ bizzarro, ma mi sono divertita un sacco a “scriverlo”.

Me lo sono immaginato come un tipo molto gioviale, un mix tra Armstrong e Hughes, ma con una massiccia dose di femminilità.
 
 
 

***
 
 

Capitolo 3
Customer



 
Sicuramente sto sognando, si disse Ed, in preda alla confusione.
Come si poteva altrimenti spiegare il fatto che un omone nerboruto, coi baffetti, avvolto in un’ampia vestaglia a volant e con in testa un retino per capelli, stesse cercando di svegliarlo di mattina presto?
 
“Sorgi e splendi, giovanotto!” trillò Garfiel. Con grande irritazione di Ed, l’uomo gli strappò di dosso tutte le coperte e le appallottolò fuori dalla portata del ragazzo. “Non sono ammessi gli scansafatiche nel mio negozio. Una mano in più era proprio quello che mi serviva per dare una spolverata prima dell’arrivo dei miei clienti. Forza, su, alzati!”
 
“Ma io sono un ospite!” protestò Ed, facendo un debole tentativo di riafferrare le coperte.
 
Garfiel fece schioccare la lingua e gli agitò un dito davanti alla faccia. “E come intendi ripagare la mia generosità? Con i tuoi soldi o con un po’ d’olio di gomito? Tuo fratello è stato estremamente disponibile questa mattina, un perfetto gentiluomo, niente a che vedere con tutto questo lamentarsi di essere un ospite. Suvvia, non startene lì con le mani in mano! Ho messo il tè sul fuoco e non ne rimarrà neanche una goccia per te se non ti darai una mossa. E poi, ti prego, sistemati quei capelli. Se continuerai a tenerli così disordinati per strada ti scambieranno per un barbone.”
 
Garfiel tornò alle sue faccende destreggiandosi fra l'una e l’altra con tale dinamica efficienza che Ed avrebbe potuto facilmente pensare di trovarsi al cospetto di una perfetta casalinga mascolina, piuttosto che di un costruttore di automail.
Suppose di doversi ritenere grato del fatto che se la stava cavando con qualche piccola mansione domestica, piuttosto che con una serie di chiavi inglesi schiantate in testa. Questo poi era di gran lunga preferibile a quello che lui e Al avevano dovuto patire in passato per mano della Maestra. Ed serbava ancora alcuni ricordi molto spiacevoli a proposito del trascinare chili e chili di carne dentro e fuori la ghiacciaia sul retro della macelleria che la donna gestiva insieme a suo marito.
 
Ed si prese il suo tempo prima di alzarsi, poi barcollò intontito verso la parte frontale della bottega, ignorando totalmente le labbra di Garfiel che si corrucciarono alla vista dei suoi capelli legati alla bell’e meglio.
Al, che stava spazzando vicino alla porta, alzò lo sguardo non appena Ed fece la sua comparsa. “Buongiorno, fratellone. Il piumino per la polvere è lì.”
 
“Mmh,” brontolò Ed, raccogliendo il piumino in questione e strisciandolo su qualche mensola senza alcun entusiasmo. Lanciò un’occhiata oltre il vetro della finestra e vide che anche le altre botteghe lungo la strada si stavano preparando all’apertura; il livello di chiasso in città stava gradualmente aumentando. Sulla strada, una coppia di giovani con quegli strani pattini ai piedi passò sfrecciando.
 
“Ma che diamine, non hanno niente di meglio da fare?” brontolò Ed, infastidito dal rumore delle ruote sul terreno.
 
“A quanto pare il pattinaggio da strada è piuttosto popolare quaggiù,” commentò Al.
 
“Oh, molto più che popolare!” ridacchiò Garfiel. “Uno degli apprendisti che lavorano in fondo alla strada, di ritorno da Dublith, ne ha portato qui un paio pochi mesi fa, e da allora la gente è praticamente impazzita per quei pattini. Gareggiare su strada è diventata la nuova moda per tutti i giovani della valle. Alcuni stanno addirittura commissionando ai loro meccanici la costruzione di pattini personalizzati ricavati da pezzi di ricambio, così da non doverseli far spedire dalle grandi città.”
 
“Sta scherzando,” disse Ed incredulo. “E ai meccanici non scoccia doverli costruire?”
 
Garfiel tolse il bollitore dal fuoco e cominciò a versare il tè nelle tazze per tutti loro. “Perché mai dovrebbero scocciarsi visto che vengono pagati per farlo?” rispose argutamente. “Ve l’ho detto, sono aggeggi molto in voga. E voi ragazzi siete stati fortunati ad arrivare in città proprio ora! È in corso un’accesissima competizione tra i corridori professionisti e la gara finale si svolgerà fra pochi giorni. Non vedevo Rush Valley così in fermento da quando il rivestimento in cromo è diventato la nuova tendenza!”
 
Al poggiò la scopa contro il muro e i due fratelli si unirono a Garfiel intorno al tavolo nel retrobottega. “Mi sembra che gareggiare su quei pattini da corsa possa essere davvero pericoloso,” sottolineò l'armatura.
 
“Oh sì, decisamente pericoloso!” esclamò Garfiel. “Una mossa sbagliata a quelle velocità può essere devastante. Non vi dico quanti arti rotti abbiamo dovuto trattare…”
 
“Ossa rotte?” domandò Al allarmato.
 
“Automail,” corresse Garfiel. “Ma sì, anche ossa. Non che questo sia servito a scoraggiare gli altri. I giovani d’oggi proprio non afferrano il concetto di auto-conservazione. Se devo dirvi la mia, è solo una questione di tempo prima che uno di quei corridori faccia una brutta caduta e la testa gli si spacchi in due sul ciglio della strada. Gradite un toast?”
 
Ed accettò qualche fetta imburrata, mangiando senza prestare molto ascolto alle chiacchiere degli altri. Preferiva starsene a fissare le sue dita rotte e riesaminare la conversazione avuta con Winry la sera prima. Definirla conversazione forse non era proprio esatto, dal momento che era stato un discorso praticamente unilaterale.
Gettò un cauto sguardo sulle scale, ma il suo meccanico non si era ancora deciso a fare il suo ingresso.
 
“Signor Garfiel,” esordì allora Ed, pacatamente. “Che cosa può dirmi su quel ragazzo… Callahan? È un cliente di Winry, giusto?”
 
Al gli rivolse una dura occhiata, poi tornò a guardare il costruttore. Garfiel strinse le labbra e posò il suo tè facendo tintinnare forte la tazza, incrociando le braccia con un gesto affettato. “E perché, di grazia, vorresti sapere qualcosa su di lui?”
 
“Perché se quello che sentirò non mi piacerà, potrei ritrovarmi costretto ad andare a spaccargli il culo,” rispose Ed senza mezzi termini.
 
Garfiel rise di cuore e accarezzò il braccio di Ed. “Un uomo con un po’ di cavalleria! Com’è rassicurante!”

“Ovunque vada, lui finisce sempre col voler mutilare qualcuno,” commentò Al con rassegnazione.
 
“Allora, che cosa ci può dire a riguardo?” incalzò Ed, ignorando volutamente il fratello e sorseggiando lentamente il suo tè. Era un po’ troppo amaro per i suoi gusti, ma c’erano troppi testimoni, non poteva rischiare che lo vedessero aggiungere del latte di nascosto. Al glielo avrebbe rinfacciato a vita.
 
“Hmm,” meditò Garfiel. “Non molto, temo. Non posso dire di aver trascorso molto tempo in compagnia di Cal. Ha iniziato a venire da Winry circa un mese fa, chiedendo un nuovo braccio per sostituire un vecchio modello. Non che ci fosse qualcosa che non andava nel suo vecchio braccio, è solo che lui ne voleva uno migliore ed aveva i soldi per poterselo permettere. Vedete, suo padre è nell’esercito. Viaggia da una parte all’altra del Paese per la maggior parte del tempo, lasciando il figlio a languire in ogni città nella quale gli capiti di essere di stanza. Francamente, credo che il signor Callahan avrebbe fatto meglio ad affiancare al figlio una persona più grande, un tutore, per farlo rigare dritto in alcune faccende…”
 
“Che cosa intende dire?” Al domandò.
 
Garfiel guardò entrambi negli occhi, con uno sguardo serio. “Winry era sempre impaziente di vedere Callahan quando arrivava il giorno dei suoi appuntamenti. Quel giovane sa come affascinare le ragazze, non c’è dubbio. Quello che però gli manca è quella scintilla di nobiltà che vedo nei vostri sguardi. Dal primo momento in cui l’ho visto, ho avuto la sensazione che fosse un ragazzo fin troppo abituato ad ottenere tutto quello che vuole. A me non piaceva, ma a Winry sì. E a lui lei piaceva molto.”
 
A Ed parve di cominciare a vedere rosso e sbatté violentemente il palmo sul tavolo. “Che cosa le ha fatto?”
 
“Fratellone!” disse Al in fretta, posandogli una mano sul braccio per cercare di calmarlo. Ma la sua presa era un po’ più stretta del normale, e Ed ebbe la conferma che anche il fratello era rimasto tutt’altro che indifferente a quelle parole. “Signor Garfiel, Winry pochi giorni fa ha chiamato mio fratello. Non ha voluto dirgli cosa c’era che non andava, ma era davvero sconvolta. Siamo venuti qui a Rush Valley per accertarci che stesse bene.”
 
“Capisco,” annuì Garfiel comprensivo. “Ragazzi, so benissimo che Winry è una ragazza gentile e generosa. Ma pochi giorni fa Callahan è venuto per il suo ultimo appuntamento e ho sentito dire dai miei vicini che poco dopo è uscito dalla mia bottega col naso sanguinante. Winry mi ha assicurato più volte che è tutto a posto, ma io sono ancora molto preoccupato. Da quel giorno è diventata… un po’ fiacca, ecco. Ormai non sapevo più cosa inventarmi per tirarla fuori dalla sua apatia ed è per questo che sono così contento che voi ragazzi siate piombati qui proprio adesso.”
 
“Io invece non sono per niente sicuro che lei ne sia contenta,” disse Ed risentito, incrociando le braccia sul petto. “Ho provato a parlarle ieri notte ma Winry non ha voluto dirmi un bel niente. Come possiamo aiutarla se non ci racconta esattamente cosa è successo?”
 
Garfiel si schiarì la gola per attirare l’attenzione. “Giovanotto, Winry non ha bisogno di un inquisitore. Ha bisogno di un amico.”
 
Ed batté le palpebre, cercando Al con lo sguardo per farsi dare man forte. “E questo che cosa vorrebbe dire?”
 
“Vuol dire che non dovremmo insistere,” gli rispose Al. “Qualunque cosa sia successa, è una cosa fra Winry e Callahan. Non è nostro diritto ficcare il naso.”    

“Ma certo che è nostro diritto—!”
 
“È una sua decisione scegliere se parlarne con noi o no,” replicò Al con fermezza. “Tutto ciò che noi possiamo fare è essere qui per lei.”
 
Questo non può bastare!” insisté Ed. “Quel tizio deve pagare per ciò che le ha fatto!”
 
“Non mi ha fatto niente.”
 
Tre teste si voltarono verso le scale dove ora si trovava Winry, nella sua tuta da meccanico completamente abbottonata, con i capelli raccolti ordinatamente sotto una bandana. Winry scrutava tutti loro con le mani sui fianchi e la bocca premuta in una linea sottile, non avendo evidentemente apprezzato il fatto che stessero parlando di lei alle sue spalle.
 
“Uh… buongiorno, Winry!” asserì Al con allegria forzata.
 
Winry si rilassò un po’ e gli fece un cenno. “Buongiorno, Al. ‘giorno, signor Garfiel. Ed, ora vorrei aggiustarti la mano, se non ti spiace.”
 
Suonava più come un ordine che una richiesta, ma Ed non aveva intenzione di discutere. Si alzò dalla sua sedia e la seguì nel laboratorio.
Lei continuò ad ignorarlo anche una volta che furono soli, mettendosi a radunare i suoi strumenti e a sistemarli accanto al divano. Ed rimase in attesa di una parola, un cenno qualsiasi, ma quando capì che da parte della ragazza non sarebbe arrivato alcunché si schiarì la voce, incerto. “Ascolta Winry… so che al telefono hai detto che non volevi parlare di quello che è successo…”
 
“Siediti qui, Edward,” disse Winry con tono vivace, indicandogli di accomodarsi sul divano accanto a lei. “E guarda che non c’è proprio niente di cui parlare. Cal e io abbiamo avuto una discussione la notte in cui ti ho chiamato e, da allora, lui non è più mio cliente. Io non lo vedrò più e lui non mi vedrà più. È proprio semplice come sembra.”
 
Ed sprofondò sul divano accanto a lei, turbato dalle parole che aveva appena sentito. “Sei proprio decisa a fargliela passare liscia così facilmente? Winry, lui ti ha fatto del male!”

Gli occhi di Winry si spalancarono, furenti e irremovibili. “Edward, ascoltami bene. La stai facendo più grossa di quel che è. È stato… un incidente, e non hai alcuna ragione di credere il contrario.”
 
“Cazzate,” disse Ed sommessamente, portando il suo automail fuori dalla portata della ragazza. “Davvero ti aspetti che io ci creda, Winry?”
 
, esattamente!” replicò Winry all’istante, sporgendosi per riafferrare l’automail. “È solo un labbro spaccato, si rimetterà in sesto in pochi giorni! Mi sono ritrovata in zuffe decisamente peggiori quando eravamo bambini, non ricordi? E quelle zuffe io le vincevo anche.”
 
“Non è questo il punto! Ti ha fatta piangere!”
 
“Ma sentilo… proprio tu parli di far piangere la gente? E ti decidi a darmi quella mano?”
 
Winry gli afferrò il polso d’acciaio e se lo poggiò in grembo, tenendolo fermo con una mano mentre con l’altra iniziava lo smantellamento delle dita rotte. Ed trattenne a fatica tutte le parole di replica che avrebbe voluto scagliarle addosso e si mise a riflettere.
Come poteva farle capire che — per quanto distorto e perverso potesse suonare — lui sarebbe dovuto essere l’unico che poteva farla piangere a quel modo? Winry non avrebbe dovuto avere nient’altro nella sua vita per cui piangere. La sua vita a Rush Valley doveva essere felice, doveva farle ritrovare qualche strascico di quella normalità che nessuno di loro aveva più sperimentato dai tempi dell’infanzia.
 
E chiunque osasse turbare quella nuova normalità… chiunque pensasse di poter arrivare, incasinarla e poi farla franca…
 
Winry aveva messo da parte un piccolo mucchio di viti e scalzato le due dita fuori dai loro alloggiamenti con un po’ più forza del necessario.
Borbottò qualcosa sottovoce e portò le dita sul piano di lavoro, posando le varie parti su un panno e accendendo una piccola lampada per vedere meglio. Ed appoggiò la schiena sul divano e la osservò guardarsi intorno alla ricerca di quello o di quell’altro strumento, illuminandosi per la sorpresa quando finalmente capì cosa c’era di strano in quella scena. Non una sola ciocca dei capelli di Winry era visibile sotto la bandana, quando lei, invece, mentre lavorava li teneva abitualmente sciolti o legati in una coda di cavallo.
 
“Perché ti sei raccolta i capelli a quel modo?” domandò Ed lentamente. “Tutti ficcati sotto quel foulard?”
 
Winry sfiorò la bandana con uno sguardo buio che a Ed non piacque per niente. “Sto solo provando un nuovo look,” mormorò.
 
Ed piegò la testa e si accigliò; stranamente gli mancava la vista dei suoi capelli. “Sembri una vecchia zitella, o qualcosa del genere…”
 
Si azzittì quando notò le guance di Winry arrossarsi per il commento. Ma invece del solito scatto d’ira, tutto quello che ottenne fu un’occhiata vagamente infastidita. Ed si alzò dal divano e attraversò il laboratorio per appoggiarsi al tavolo di lavoro, accanto a lei, notando altre piccole discrepanze.
 
“Indossi un dolcevita sotto quella cosa?” sbottò Ed incredulo, pizzicando la manica della sua tuta. “Ma non hai caldo?”
 
“No, sto bene,” mugugnò Winry.
Ed si stava veramente stancando di quella parola. Niente in tutta quella situazione stava andando bene! Perché sembrava essere il solo ad accorgersene?
 
“Non avevi mai dato peso al tuo aspetto prima,” dichiarò il ragazzo. “Di solito non indossi praticamente nulla mentre lavori. Cosa ti ha fatta diventare così pudica tutta d’un tratto?”

Winry sbatté il cacciavite sul piano di lavoro con violenza tale da far tremare tutto il mobile e si scagliò su di lui. “Forse ho deciso che indossare praticamente nulla non è opportuno nei confronti dei miei clienti! Non avevi pensato a questo, Edward?”
 
“Ma non glien’è mai fregato niente a nessuno di cosa indossavi!” ribatté Ed con slancio. “E anche se così fosse stato, tu di certo non avresti mai permesso a chicchessia di tormentarti e farti cambiare! Perché sta accadendo solo ora? Cal ti ha per caso detto che gli piace vederti infagottata come una suora?”
 
Winry in quel momento sembrò pronta per colpirlo. Ed d’altronde se lo stava aspettando. Ma lei non fece nulla. E questo fece arrabbiare Ed ancora di più. Quella non era la Winry Rockbell che lui conosceva e… quella che in un certo senso apprezzava. Che cosa poteva mai aver detto o fatto quel Cal per trasformare la Winry fiera e sicura di sé in questa pallida ombra?
 
“Winry?”

Ed guardò alle sue spalle e scorse Al che li stava osservando nervosamente da dietro la porta. “Ehm… fuori c’è una persona che chiede di te. Il signor Garfiel non voleva lasciarlo entrare, ma ha pensato che dovessi saperlo…”
 
Ogni senso di Ed si settò in massima allerta. Se fosse stato un cane, gli si sarebbe rizzato il pelo.
Winry colse la sua espressione e gli lanciò un’occhiata d’avviso prima di sfiorarlo e andarsene decisa. “Ed, resta fermo lì! Dico sul serio!”
 
Ed si affacciò leggermente oltre la porta del laboratorio e la osservò con attenzione mentre raggiungeva la parte anteriore del negozio dove si trovava Garfiel, in piedi sulla soglia. Quell’uomo riusciva ad avere un’aria severa e intimidatoria pur indossando ancora la retina.
Winry gli sussurrò qualcosa e poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
 
“Vuole lasciarla andare là fuori da sola?” domandò Ed, raggiungendo Garfiel. “Che cosa le dice la testa?”
 
“Winry è perfettamente in grado di cavarsela,” disse Garfiel con tono deciso, anche se non sembrava affatto fiducioso. “Non ha bisogno che la difendiamo.”
 
“Col cavolo che non ne ha bisogno,” ringhiò Ed mentre oltrepassava l’uomo per spalancare la porta, ignorando i deboli tentativi di Al e Garfiel di trattenerlo.
Winry si voltò verso di lui con uno sguardo offeso, ma l’attenzione di Ed fu catturata dal giovane dietro di lei, appoggiato alla parete esterna del negozio con una grossa borsa che gli pendeva con non-chalance dalla spalla. Ed lo studiò attentamente, provando avversione per tutto ciò che vedeva: dai capelli biondi e ondulati con qualche riflesso rossiccio, agli occhi color nocciola, al ghigno sprezzante della bocca.
Tutti e tre questi elementi, tra l'altro, si trovavano a diversi centimetri oltre la cima della testa di Ed.
Strike one1, un punto per Cal.
 
L’unica cosa positiva di quel quadretto era il livido violaceo che si allargava a sinistra del naso del ragazzo. Giungeva fino all’angolo interno dell’occhio e Ed sperò che gli stesse provocando un mal di testa lancinante.
 
Winry scattò. “Ed, ti ho detto di aspettarmi dentro!”
 
“Già, ragazzino,” aggiunse il giovane con noncuranza. “Questi sono discorsi da adulti. Smamma.”

“Chiudi quella bocca,” abbaiò Ed, ricevendo in risposta un’alzata di sopracciglio. “Sei tu quello che non ha il diritto di stare qua! Winry ha detto che il tuo nome è Cal, è esatto?”
 
Cal si staccò dalla parete, guardando prima Ed e poi Winry, perplesso. “Non dirmi che questo è il tuo ragazzo, Winry,” ridacchiò. “È minuscolo!”
 
Non è il mio ragazzo,” disse Winry con fermezza. “È… un cliente.”
 
Ed distolse lo sguardo da Cal, preso alla sprovvista dalle parole di Winry.
Solo un cliente? Non ‘amico’? Non ‘Edward Elric’? Non ‘il ragazzo che sta per prenderti a calci in culo’?
Winry non stava guardando nella sua direzione — preferiva fronteggiare direttamente Cal — ma Ed non stava gradendo molto il modo in cui la testa della ragazza stava leggermente inclinata verso il basso, in deferenza. No, non lo stava gradendo affatto.
 
Strike two1, pensò Ed, fumante. Ancora uno e vado a spaccargli la mascella
 
Winry gli strinse il braccio, cercando di dirigerlo di nuovo all’interno del negozio. “Ed, torna dentro.”
 
Ed si liberò dalla presa. “Me ne andrò quando lo farà anche lui.”
 
“Sta’ calmo, ragazzino,” disse Cal con disinvoltura. “Sono solamente venuto a restituire qualcosa, ecco tutto.”
 
Cal tirò giù la borsa dalla spalla e la porse a Winry, che la afferrò cautamente e ne sbirciò il contenuto. La ragazza inspirò forte e spostando lo sguardo dalla borsa, in preda alla confusione, incontrò gli occhi dell’ex cliente.
 
“Regalo d’addio,” spiegò Cal con un sorriso indifferente. “Ho deciso il vostro prodotto non era adatto a me, dopo tutto, e ho deciso di tornare al mio vecchio modello. Magari puoi riutilizzare quel rottame per recuperare dei ricambi o del metallo di scarto.”
 
Winry aprì la borsa e tutti gli sguardi furono calamitati su una mano metallica. Era un braccio destro completo dalla spalla in giù, constatò Ed, e non era poi molto diverso dal suo. La sua attenzione si spostò allora sulla mano destra di Cal. Indossava una maglia a maniche lunghe e prima aveva tenuto la mano sempre nascosta in tasca, ma ora l’aveva tirata fuori e mostrato il metallo opaco di un braccio di qualità nettamente inferiore a quella del lavoro di Winry.
 
“Metallo di scarto?” sibilò Ed, facendo incrociare lo sguardo altero di Cal con il suo, carico d’odio. “Ti pare questo il modo di trattare il braccio che lei ha impiegato un intero mese a costruire per te? Come metallo di scarto?”
 
“Ed, lascia stare,” mormorò Winry, portandosi la borsa al petto e fissando risolutamente a terra. “È tutto a posto, non mi interessa. Davvero, non importa.”
 
“Come può non importarti—?”
 
“Non m’importa!” ribadì Winry bruscamente. “In realtà… sono contenta che Cal si sia preso la briga di riportarlo indietro piuttosto di buttarlo via. Quindi grazie, Cal.”
 
Cal accettò la sua gratitudine con un cenno del capo e un sorriso che sembrava più un ghigno. “Prego, Winry. Ora me ne vado. Non vorrei far aspettare troppo il tuo cliente.”
 
E detto questo s’incamminò lentamente per la strada.
Ed fece qualche passo nella sua direzione, desiderando niente di più che spiaccicare la sua faccia nella polvere ai piedi di Winry e fargli baciare la terra sulla quale lei camminava. Ma… porca miseria, Al aveva ragione. Interferire solo per tirare qualche cazzotto avrebbe tutt’altro che placato l’animosità di Winry.
E poi, per quanto Ed odiasse ammetterlo, ancora non era a conoscenza di nulla di certo. Nessun dettaglio si era aggiunto alle sue supposizioni.
Winry avrebbe dovuto essere arrabbiata con Cal, no? Avrebbe dovuto spaccargli il cranio con il suo stesso automail, no?
Eppure lei non aveva fatto niente del genere.
 
Che Ed si fosse sbagliato? Per quel poco che ne sapeva, poteva aver interpretato male tutta la situazione. Forse Cal e Winry avevano davvero avuto una semplice discussione e lui aveva ricamato un po’ troppo sopra questa faccenda. Ma se anche fosse stato quello il caso, ancora non si spiegava il livido di Cal. E il labbro di Winry. Quel tipo di lesioni non sono la conseguenza di una semplice ‘discussione’.
Più Ed ci pensava, più era certo che qualcosa fosse successo in quella stanza, qualcosa di brutto.
 
In fondo alla strada, Cal si voltò e lanciò la sua frase di commiato. “A proposito, Winry, quel nuovo look ti dona davvero. Era ora che cominciassi a mostrare alla gente quanto sei frigida.”
 
A quelle parole ogni traccia di colore scomparve dalle guance di Winry. La ragazza scaraventò l’automail di Cal al suolo così furiosamente che alcune piccole parti si staccarono e si sparsero su tutta la strada. “Maledetto!”
 
“Winry!” balbettò Ed, colto alla sprovvista sia da quell’esplosione sia dal completo disinteresse del meccanico per la salvaguardia di quell’automail.
Garfiel e Al uscirono dal negozio e circondarono la ragazza, mormorando qualche parola di conforto, ma Winry si allontanò da tutti loro. Si coprì il volto con entrambe le mani, con le spalle che tremavano mentre lei lottava per calmarsi.
 
“Va tutto bene,” gracchiò. “S-sto bene. Sto bene, davvero…”
 
“Su, Winry,” le disse Garfiel rassicurante. “È ora di togliersi quel ragazzo dalla testa…”
 
“L’ho già fatto,” replicò Winry, asciugandosi in fretta gli occhi e mostrando a tutti loro un sorriso fragile. “Ho dell’altro lavoro da portare a termine. Finirò la tua mano più tardi, d’accordo Ed?”
 
Winry si ritirò nella bottega prima che qualcuno potesse fermarla, lasciando i tre sulla strada.
Ed posò lo sguardo intontito sull’automail distrutto, scioccato. Si chinò per raccoglierne i pezzi, facendo attenzione a non dimenticare neanche una vite o un bullone. Garfiel e Al si inginocchiarono per aiutarlo, e l’armatura gli si rivolse tristemente. “Che cosa dobbiamo fare, fratellone?”
 
“Ti dirò quello che ho intenzione di fare io,” disse Ed con tono assassino. “Cercherò quel figlio di una cagna e farò in modo che si ritrovi ad implorare il perdono di Winry. Non mi interessa chi sia suo padre o quanti soldi abbia. Nessuno può mancare di rispetto agli automail di Winry e rimanere impunito.”
 
“...disse il ragazzo che quegli stessi automail li distrugge e li maltratta in continuazione” ribatté Al, sarcastico.
 
Ed fece un risolino, lanciando un’occhiata all’interno del negozio. “E perché pensi che io le permetta di picchiarmi a sangue ogni volta che li rompo?”
 

Continua...


 
 

***

 
Note della traduttrice
1 Nel baseball, lo strike è il lancio favorevole al lanciatore (che in questa situazione, in senso figurato, è Cal, che ha la meglio sui “battitori/ricevitori”, Ed e Winry). Tre strike, come sappiamo, eliminano il battitore. E lo fanno arrabbiare ;)
Ho preferito mantenere l’espressione originale sia perché in Italia alla fine è una terminologia abbastanza conosciuta (grazie anche ad una miriade di film), sia perché mi interessava mantenere intatto questo “riflesso” dell’americanità dell’autrice.
 
 
Ho notato la nuova funzione di EFP di risposta alle recensioni, ma dal momento che sono solo la traduttrice della storia pensavo di non usufruirne – se non in occasioni di necessità, dubbi amletici o richieste particolari da parte di qualche lettore - e di continuare ad utilizzare lo spazio in fondo ai capitoli per dirvi quanto apprezzi il vostro interesse per questa storia.
Ringrazio tutte le persone che fin qui han letto e in particolare quelle che hanno commentato il capitolo precedente:  GiugitzuxD [chissà se anche stavolta sarai la prima a commentare XD], Siyah [sai, penso che se Winry fosse subito scoppiata in lacrime e saltata addosso a Ed per farsi consolare questa storia non avrei nemmeno cominciato a tradurla ;D], ketty_san e il suo entusiasmo (^^), EdxWinry 4ever (che con un nick così non poteva che apprezzare questa fic!) e Lady Moonlight che a distanza di pochi giorni ha letto e recensito sia “prequel” che “sequel”.
Thanks, thanks, thanks!
 

A presto con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs

 

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Capitolo 4
*** Victim ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

 
 

Capitolo 4
Victim
 

 
Winry sembrava proprio decisa a rimanersene rintanata nel retrobottega per il resto della giornata. Perfino quei pochi clienti con i quali aveva in programma un incontro non erano stati ricevuti ed erano dovuti ricorrere alle cure dei ferri di Garfiel, invece che dei suoi.
Garfiel e Al erano andati a turno a bussare alla porta della ragazza per cercare di convincerla a parlare con loro, ma erano stati entrambi respinti con frasi laconiche e sbrigative. Winry non si era mossa nemmeno per andare a pranzare insieme a loro.
 
E Ed… beh, lui aveva altre cose per la testa.
 
“Oh, andiamo!” strillò, sbattendo le mani sul tavolo abbastanza forte da far saltellare i piatti con dentro i loro sandwich. “Mi sta dicendo che non ha neanche la più pallida idea di dove vada Cal quando non è qui? Ci deve essere qualcosa che mi può dire!”
 
Garfiel si pulì delicatamente la bocca con un tovagliolo. “Anche se sapessi dove vada Cal a trascorrere il suo tempo libero non te lo direi comunque, giovanotto.”
 
“E perché no?”
 
“Perché Winry non vorrebbe che lo facessi,” rispose Garfiel. “Credi davvero che sarebbe contenta di vederti fare a cazzotti con Callahan? Oh, e non guardarmi così, so che è esattamente quello che stai pensando di fare!”
 
“E se anche fosse?” brontolò Ed. “Come può continuare a difenderlo? Qualcuno deve andare a spaccargli la faccia… è quello che si merita!”
 
“Sia come sia,” replicò con calma Garfiel, “cosa ti fa pensare che questo possa rappresentare una soluzione? Ricorda che chi decide di sottoporsi all’intervento per l’impianto di un automail è dotato sia della forza che della determinazione per resistere a una quantità incredibile di dolore… e di superarlo. Cosa vuoi che sia qualche botta per una persona così? Prova a pensare a come reagiresti tu se qualcuno ti riempisse di lividi e cazzotti solo per importi le sue ragioni. Cambieresti idea, tu? Non credo proprio.”
 
Garfiel aveva ragione. Decisamente. Ma Ed non aveva la minima intenzione di ammettere che le cose stessero effettivamente così. “Un bel paio di pugni per punizione sono sempre meglio di niente,” ribatté. “Almeno mi dica dove abita! Non sprecherò il mio tempo correndo a destra e a manca per tutta Rush Valley senza neanche un minimo indizio.”
 
“E allora stattene fermo dove sei,” disse Garfiel chiudendo il discorso.
 
Ed sollevò le mani e si fece cadere sulla sedia, incrociando le braccia. In segno di momentanea resa, puntualizzò a sé stesso.
C'erano un sacco di altre persone in quella città. Almeno una doveva essere disposta a farsi avanti e dirgli quello che voleva sapere.
 
“Fratellone,” intervenne Al, facendo un cenno verso il laboratorio. “Penso che ci dovremmo concentrare solo su Winry, per ora. So che lei continua a dirci di stare bene, però…”

“Già,” mormorò Ed. “Sta solo fingendo che sia tutto ok. Qualunque cosa le abbia fatto quel tipo l’ha veramente sconvolta. Ed è per questo che…”
 
“Io sono un pacifista, giovanotto,” disse Garfiel blandamente. “Va’ a guardare altrove se sei in cerca di qualcuno che ti dia il permesso di fare il violento.”
 
Ed lanciò uno sguardo supplichevole ad Al, che si strinse nelle spalle senza dimostrargli molta collaborazione. Nemmeno da dietro la porta serrata del laboratorio, ovviamente, si udì provenire una qualche forma di sostegno morale.

Ed si allungò sul tavolo e agguantò due grossi sandwich, poi tirò indietro la sedia e si alzò in piedi. “Vado a fare una passeggiata. Torno presto.”
Due paia di occhi lo guardarono con disapprovazione, ma né Al né Garfiel fecero alcun tentativo di fermarlo mentre si fiondava fuori del negozio.
 
 

Ed si cacciò i panini in bocca e s’incamminò per la strada, con mille idee che gli rimbalzavano in testa, cercando di capire da che parte dovesse cominciare. Ma il suo flusso di pensieri venne interrotto praticamente all'istante, non appena un primo costruttore di automail, scorti gli alloggiamenti delle dita vuoti, tentò di accalappiarlo. Ed abbaiò qualcosa di poco gentile e continuò a camminare, ma sentiva strani pizzichi sulla nuca ogni volta che un nuovo paio di occhi prendeva a fissarlo, ogni volta che nuove urla cercavano di attirarlo. E la situazione peggiorò non appena si addentrò nei quartieri più frequentati di Rush Valley. Anche nascondere la mano in tasca non servì a tenere i costruttori a bada, dal momento che stava indossando una maglietta smanicata. Nel giro di mezz'ora, Ed finì con l’imprecare contro sé stesso per non aver pensato d’indossare il cappotto per coprire il braccio meccanico… maledetto caldo.

C'era una ragione per cui quel luogo era conosciuto come la valle del boom repentino. Nessuno poteva permettersi di mantenere una rispettosa distanza dai potenziali clienti sapendo di avere botteghe concorrenti a distanza di soli cinque passi in qualsiasi direzione. E ora che si era fatto pomeriggio, le iene cominciavano ad affilare le zanne per andare a caccia di prede.
 
“Bell’automail, biondino! Non ti dispiace se gli do un’occhiata più da vicino, vero?”
 
“Ehi, rallenta, non fare finta di non vedermi! Sembri proprio il tipo adatto per provare un po’ della mia cera lucidante superlusso!”
 
“Quello è un lavoro della signorina Rockbell? Sei fortunato, ragazzo!”
 
A Ed sfuggì un sorriso quando il cognome di Winry gli giunse alle orecchie, e un colpo allo stomaco mandò giù anche l'ultimo boccone del suo pranzo. Era incredibile quanto velocemente si fosse fatta un nome anche lì. A Resembool, lei e sua nonna non avevano nessun altro concorrente, ma il fatto che il lavoro della ragazza fosse apprezzato anche in un posto come Rush Valley andava a dimostrare ciò di cui Ed era già convinto da tempo: Winry sapeva decisamente il fatto suo quando si trattava di automail.
 
Se solo certe persone avessero apprezzato un po’ di più il suo lavoro…
 
“Se fossi un cafone viziato e senza cuore, dove me ne andrei?” rifletté Ed ad alta voce. Non aveva avuto fortuna rivolgendosi alla gente del posto. Erano così fissati con gli automail e tutto ciò che li riguardava che non era riuscito a sviare i discorsi da quell’argomento. Cominciava a pensare che non sarebbe riuscito a cavare un ragno dal buco fino a che non si fosse allontanato completamente dalla zona commerciale della città.
 
Si protese per dare un'occhiata oltre il capannello di persone che gli si era improvvisamente formato attorno e borbottò qualcosa a sé stesso quando udì un inquietante rullare di ruote che si stava avvicinando alle sue spalle. Scivolò lateralmente per lasciare che il rollerblader lo sorpassasse.
Ma, chiunque fosse, cambiò improvvisamente direzione, e Ed gemette quando gli sfrecciò accanto ad una vicinanza tale che l’aria spostata dal suo passaggio gli fece ondeggiare la treccia. Una mano dalla pelle scura si era accostata furtivamente alla sua cintola e introdotta nella sua tasca destra, portandosi via l’orologio d'argento.

“Hey!” urlò Ed. Congiunse le mani e trasmutò un muro dall'altra parte della strada per bloccare la fuga dello scippatore, facendo fuggire alcuni passanti in preda al panico. “Ridammelo, sporco ladro!”
 
Lo scippatore scartò di lato per evitare di sbattere contro la parete e piroettò voltandosi verso di lui, mettendosi teatralmente in posa sui suoi pattini scintillanti. Paninya scoppiò a ridere per l’espressione sul volto di Ed, facendo volteggiare l'orologio attorno alla sua catena. “Stavo solo testando i tuoi riflessi! È una fortuna che io abbia un nuovo lavoro, altrimenti a quest’ora avrei già spogliato l'intera città da cima a fondo!”
 
Ed acciuffò l'orologio e se lo affondò nuovamente in tasca. Non era decisamente in vena di sorbirsi il particolare senso dell’umorismo di Paninya. “Dovevo immaginarmelo che anche una come te si sarebbe gettata a capofitto in questa faccenda dei pattini,” sbuffò.

“Faccio qualsiasi cosa che mi dia la possibilità di far sfoggio del lavoro di Dominic,” replicò Paninya con orgoglio. Tirò su la gamba dei pantaloni per potergli mostrare meglio i suoi rollerblade, che erano decisamente diversi da tutti quelli che Ed aveva visto finora. Non erano a forma di stivale, bensì delle lastre di metallo, sagomate come una suola, che aderivano alle piante dei piedi meccanici ed erano tenute in posizione da cinghie di cuoio molto resistenti. Le quattro ruote allineate sul lato inferiore delle placche erano tutte graffiate e logorate dall'uso.

“Così non devo stare troppo a preoccuparmi di slogare una caviglia in caso di caduta, vedi?” aggiunse Paninya con tono saggio, facendo girare le ruote. “E volevo qualcosa di più leggero, che non mi facesse perdere equilibrio. Questi cosi funzionano alla grande per la corsa su strada!”
 
Ed diede un colpetto di nocca a quelle ruote spesse, impressionato a suo malgrado. “Li ha costruiti Dominic?”
 
Paninya scosse il capo con un sorriso affettuoso. “Dominic si rifiuta di costruire qualsiasi tipo di pattino. Mi ci è voluta una settimana di preghiere spudorate, ma alla fine mi ha scarabocchiato su carta un progetto di base, brontolando tutto il tempo sul fatto che lui non mi aveva restituito le gambe perché io potessi sfracellarmi e perderle di nuovo! Ehm… non è che potresti rimettere a posto la strada? Quelle persone mi sembrano in pensiero.”

“Sì, sì, ora lo faccio,” disse Ed ad alta voce, demolendo il muro con un singolo colpo di mani. Gli amici che per breve tempo erano stati divisi si rincontrarono di nuovo con infinito sollievo. Nessuno sembrava avere un’aria molto bendisposta nei confronti di Ed, in quel momento.
 
“Allora, fammi indovinare,” sospirò Ed ricominciando a camminare, con Paninya che gli schettinava lentamente attorno. “Prenderai anche tu parte alla gara che si terrà fra qualche giorno?”
 
“Oh, diavolo !” esclamò Paninya, colpendo l'aria con il pugno. “Non posso mica mancare dopo aver sbaragliato tutti nelle corse preliminari, no? Mi sono allenata giorno e notte per essere pronta per questo evento. È davvero un peccato che tu non sia arrivato qui in tempo per iscriverti. La griglia di partenza per la gara finale è già stata stabilita, non accetteranno eventuali iscrizioni dell'ultimo minuto.”
 
“Già, ci sono rimasto davvero male,” rispose Ed, sardonico. “Comunque sia, di chi è stata l’idea di organizzare questa competizione di punto in bianco?”
 
“Di alcuni ingegneri in collaborazione con il Comune,” gli disse Paninya. “La mia ipotesi è che si siano resi conto che prima o poi gare del genere sarebbero state pianificate comunque, sottobanco. Almeno in questo modo possono farci avere il nostro divertimento in modo ordinato e legale. Inoltre, è un bel colpo per l'economia. La gente che guarda le gare desidererà acquistare dei rollerblade per sé, per non parlare poi di tutte le scommesse che si faranno e della quantità di venditori di cibi e bevande che già stanno pregustando gli affari che faranno il giorno della gara...”
 
 “… e dei meccanici e dei medici che accorreranno per affrontare le conseguenze della corsa.”
 
“Anche quelli!”
 
“Dimmi, perché hai voluto partecipare alla gara?” chiese Ed incuriosito. “Che cosa ci guadagni, in caso di vittoria?”
 
Paninya scivolò pigramente di fronte a lui, cominciando chissà come a pattinare all'indietro, senza troppe difficoltà. “Innanzitutto potrei tirarmela per almeno un anno, dal momento che stanno pensando di fare della gara una ricorrenza annuale. Poi mi farei costruire un paio di pattini a rotelle personalizzati, per gentile concessione di uno degli ingegneri della città. E poi c'è un premio in denaro! È quello ciò a cui punto! Con quei soldi potrei pagare almeno un terzo di quello che devo a Dominic.”
 
Ed sbuffò. “Sempre che tu riesca a farglieli accettare, quei soldi.”
 
Paninya afferrò la mano di Ed e se lo trascinò dietro, costringendolo a correre per stare al passo. “Dai, vieni a vedere come ci alleniamo! Scommetto che uno dei miei amici avrà un paio di pattini in più da prestarti. Voglio farteli provare!”
 
“Ma sì, tanto al massimo rischio di rompermi il collo, ti ringrazio," replicò Ed, infastidito perché non riusciva a liberarsi dalla presa della ragazza. “Ero un disastro a pattinare sul ghiaccio da bambino e non credo di essere migliorato col tempo.”
 
“Credimi, questo non ha niente a che fare con il pattinaggio sul ghiaccio!” lo rassicurò Paninya da sopra la spalla. “Il terreno è più stabile, e ci sono molti meno limiti a livello di movimenti e direzione. Onestamente pensavo che avresti colto al volo l'opportunità di provare! Oh, andiamo Ed, sei così lento!”
 
Lo trascinò in un viottolo laterale, tra due negozi, e Ed non potè evitare di sbattere le palpebre per la sorpresa quando emerse su un ampio cortile sul quale si affacciava il retro di numerose botteghe. No, più precisamente era una serie di cortili collegati da vicoli. Le panchine, le fontane e tutto il resto suggerivano che la gente 
andasse spesso a rifugiarsi in quelle piccole aree, e Ed riusciva ad immaginarsi il perché. Erano a pochi metri di distanza dalla strada principale, dove si affacciavano tutte le botteghe di automail, ma lì tutto sembrava essere molto più tranquillo.

O, almeno, sarebbe potuto esserlo se ora non ci fossero state tutte quelle persone. Quel posto al momento era gremito di giovani e ragazzini, e l'unica cosa che parevano avere in comune era il fatto che nessuno di loro fosse sprovvisto di ruote ai piedi. Si erano riuniti in tanti piccoli gruppetti sparsi un po’ dappertutto; c’era chi si esibiva in diverse acrobazie per impressionare gli amici e chi semplicemente bighellonava.
 
“Blade Central!” annunciò Paninya con orgoglio, allargando le braccia come se potesse contenere tutto.
 
“Affascinante,” mormorò Ed sottovoce, già alla ricerca di una via di scampo.
 
“Bene, bene... ma guarda chi c’è qua: il cliente…”
 
Al suono di quelle parole sprezzanti tutti i pensieri di fuga evaporarono dalla mente di Ed, che si voltò di scatto.
Forse era una cosa positiva che il suo automail fosse stato parzialmente smantellato. Non poteva sferrare un buon pugno solido con sole tre dita, e questa fu l'unica cosa che in quel momento lo trattenne dal gettare Cal culo a terra.

Cal scivolò sulle ruote scintillanti dei suoi rollerblade, ergendo la sua testa ben trenta centimetri al di sopra di quella di Ed, e si mise a squadrare sia lui che Paninya con tiepido interesse.

“Chi si vede,” replicò Ed a denti stretti, le mani a pugno irrigidite lungo i fianchi. “Stavo cercando 
proprio te. Pensavi davvero che l’avresti passata liscia dopo aver sconvolto Winry in quel modo?”


“Che cos’è successo a Winry?” chiese Paninya, non riuscendo a raccapezzarsi. “Come fate voi due a conoscervi?”
 
“Abbiamo un’amica in comune,” rispose Cal freddamente.
 
Ed avanzò di due passi e agguantò il colletto di Cal, tirandolo giù per poterlo guardare dritto negli occhi. “Non ti azzardare a definirti suo amico! Non dopo quello che hai fatto!”

Inaspettatamente, Cal caricò il piede e calciò la gamba sinistra di Ed con una veemenza tale che avrebbe sicuramente spaccato la rotula al ragazzo, se questa non fosse stata di metallo. La fulmineità del colpo fu sufficiente per far indietreggiare Ed di un passo o due, e Cal prese ad esaminarlo con evidente sorpresa. “Anche la gamba, eh?”

“Ehi, ehi!” strillò Paninya allarmata, frapponendosi tra i due ragazzi. “Direi che è l’ora di calmarsi! Ed, che diavolo sta succedendo?”

“Se vuoi proprio saperlo te lo dirò!” sbraitò Ed, indicando Cal con un gesto di condanna. “Questo bastardo ha fatto del male a Winry!”

“E lei mi ha quasi rotto il naso,” rispose a tono Cal, puntandosi il pollice in faccia. “E allora? Tu chi dovresti essere, il suo paladino?”
 
“Sono qui perché sono suo amico, stronzo,” ringhiò Ed, furiosamente. “Winry non si meritava di essere trattata in quel modo!”

“Non so proprio di cosa tu stia parlando,” disse Cal con un’alzata di spalle, incrociando le braccia al petto. “Dimmi, che cosa ti avrebbe raccontato quella ragazza sul mio conto? Cosa le avrei fatto?”
 
Centrato il punto.
Ed esitò, e sulla faccia di Cal si allargò lentamente un ghigno quando vide che l’altro non riusciva a ribattere. “Non ti ha detto niente,” disse ridendo. “Niente di niente!”
 
“Non ce n’era bisogno” scattò Ed. “So già chi è la colpa!”
 
“Ne sei sicuro?" replicò Cal. “Forse non sono io quello da biasimare, ci hai pensato? Per quello che ne sai, è stata lei quella che ha colpito per prima.”

La gola di Ed si serrò, mentre Paninya intervenne con voce rabbiosa. “Ma di che diavolo stai parlando? Come ti permetti di insinuare certe cose? Winry non avrebbe mai fatto una cosa simile!”

Ma Cal non le prestò alcuna attenzione, gustandosi ogni sprazzo di emozione sul volto di Ed. “Era il mio ultimo appuntamento,” aggiunse lentamente. “Il braccio era già stato installato e il conto doveva ancora essere saldato. E se ti dicessi che la signorina Rockbell mi ha chiesto una cifra molto superiore a quella che avevamo concordato inizialmente? E se ti dicessi che non aveva intenzione di lasciarmi andare fino a quando non avessi pagato? È una costruttrice di automail, non di certo una ragazzina indifesa. Ho temuto veramente molto per la mia sicurezza quando ha cominciato a diventare violenta, sono stato costretto a reagire per poter riuscire ad andarmene via. Ho addirittura deciso di restituirle il braccio che aveva costruito per me, per evitare inutili rancori...”

Cal fece una pausa per accrescere l’effetto drammatico, o forse per attendere le proteste di Ed. Ma Ed non riusciva a dire nulla. Si sentiva intorpidito, congelato dalla consapevolezza che stava fronteggiando una persona pienamente convinta di poter mentire su tutto e riuscire a cavarsela impunemente. Una persona che pensava che fosse perfettamente legittimo fare del male a una ragazza innocente e andare via con la coscienza pulita.

“Quindi, come vedi,” riprese Cal, con la giusta dose di malinconia, “ciò che è successo in quel laboratorio non è stato affatto colpa mia. Si potrebbe addirittura dire che sono stato io la vittima.”
 
Quando, in realtà, la vera vittima era Winry. Questo era quello che intendeva. Ma vittima di cosa? Perché Cal l’aveva ferita? Perché Winry aveva così tanta paura di fronteggiarlo? Perché non permetteva a Ed di affrontarlo per lei? Perché, perché, perché…?

Perché tutto questo doveva accadere proprio al suo meccanico?
 
Non fu presa nessuna decisione effettiva, all’interno della sua testa. Semplicemente, fra un respiro e l'altro, Ed saltò addosso a Cal e lo buttò a terra, impattando il suo pugno sulla mascella dell'altro una volta, due volte.
In tutto lo spiazzo si generò il subbuglio: c’era chi fuggiva dalla scena, chi invece accorreva per fomentare la lotta.
Ed portò indietro il braccio per caricare un altro pugno, ma due persone — amici di Cal, suppose — lo afferrarono e lo tirarono via. Riuscirono anche a mandare a segno alcuni colpi su Ed prima che le gambe di Paninya sbucassero fuori dal nulla e cominciassero a prenderli a calci.

Ed sputò il sangue che gli si era raccolto in bocca e fece per gettarsi nuovamente su Cal, ma questa volta il ragazzo non si fece prendere alla sprovvista e balzò fuori della sua portata, colpendo poi Ed alle spalle con un calcio sferrato alla sua gamba vera e riuscendo a sbilanciarlo. Ed piantò i suoi palmi a terra per ammortizzare la caduta e gettò la gamba all’indietro, centrando Cal all’altezza dello stomaco. Cal si piegò in due con un rantolo e Ed si rialzò, stringendo di nuovo la mano a pugno per castigarlo con un cazzotto in testa. Ma Cal reagì più velocemente di quanto Ed si aspettasse e intercettò il suo polso a mezz’aria, usando lo stesso slancio di Ed per sollevarlo e gettarlo a terra oltre le sue spalle.

Ed tentò di divincolarsi durante il volo e riuscì ad atterrare in piedi.
Questa volta non avrebbe attaccato per primo; osservò il suo avversario con circospezione. Cal poteva anche non aver subito alcun addestramento militare, ma a quanto pareva avere un soldato per padre era stato più che sufficiente. Sembrava perfettamente in grado di tenergli testa in una lotta. E, come aveva sottolineato Garfiel, stava subendo colpi senza fare una piega, guardando Ed dall’alto in basso senza aver perso neanche un grammo di arroganza.

“Sei già stanco?” lo schernì Cal, con il solito ghigno stampato in volto. Tutta quella situazione lo stava esaltando, stava traendo piacere dalla rabbia di Ed e persino dal combattimento stesso, perché qualsiasi ne fosse stato l'esito non avrebbe avuto per lui alcuna importanza. Ci sarebbe voluto molto più di un pestaggio per fargli rimpiangere di aver fatto del male a Winry, ed era questo il fulcro di tutta la questione.

Si avvertiva un inquietante brusio provenire poco distante da loro, e Ed voltandosi notò i compagni di Cal ammucchiati scompostamente a terra e una furente Paninya che, armeggiando col cannone incorporato nella sua gamba sinistra, stava accuratamente prendendo la mira sul loro leader. Cal fiutò il pericolo e abbandonò immediatamente la sua posizione difensiva, allontanandosi dallo scontro senza pensarci due volte.
 
“Sono tutt’altro che soddisfatto,” proclamò Ed, indietreggiando lui stesso. “Non te la lascerò passare liscia fino a che non avrai pagato per averle fatto del male! Ti batterò, ovunque tu sia, in qualsiasi momento!”
 
Cal si voltò, accennando alle colline rocciose sopra Rush Valley, pensieroso. “Ovunque, in qualsiasi momento, eh?” mormorò. “Va bene, allora. Domani, in cima alla collina dove comincia il percorso della gara finale. Lei sa a cosa mi riferisco. E portati dietro un paio di rollerblade.”

“Rollerblade?” ripetè Ed, perplesso.
 
Cal annuì vistosamente. “Non mi importa se tu non sia capace di gareggiare su strada, non c’è niente che non si possa imparare con un po’ di pratica. Vieni presto, al mattino. È il momento in cui c'è meno gente sul percorso. Tu ed io correremo la nostra gara privata e vedremo chi ne uscirà vincitore.”
 
“E perché dovrei farlo?” chiese Ed, accigliandosi. “Perché dovrei affrontarti in una gara quando potrei tranquillamente annientarti qui, ora? Sono qui per Winry, non ho bisogno di dimostrare niente a te!”
 
“Vedi? È in questo che io e te siamo diversi,” disse Cal tranquillamente. “La sfida è tutto ciò che mi serve. Ma se proprio 
hai bisogno di qualche ulteriore stimolo, potrei sempre decidere di raccontarti qualcosa di più a proposito di quello che è successo tra me e Winry in quel laboratorio.”


Il modo in cui pronunciò quelle parole fece gelare a Ed il sangue nelle vene. Come se… come se sapesse di aver già vinto, in un certo senso. Come se sconfiggere Ed in una gara di pattinaggio su strada fosse solo un trionfo in più.
 
Sta bluffando, si disse Ed, disperatamente. Sta solo parlando a vanvera per provocarti. Guarda quel livido! Winry ha saputo difendersi! Lui non le ha messo le mani addosso, lui non L'HA!
 
Ma... oddio, ma se lui l’avesse fatto...
 
“Ci sto” scattò Ed, senza nemmeno pensarci. “E ti conviene cominciare a pregare che io ti permetta di arrivare al traguardo tutto intero.”

“Lo stesso vale per te,” replicò Cal a tono. “Non ho ancora afferrato il tuo nome, ragazzo.”

In quel momento, osservandolo, Ed fu realmente tentato di tirare fuori il suo orologio e proclamare il suo titolo completo. Sicuramente Cal era consapevole di cosa significasse appartenere a tale rango e quale tipo di poteri lui sapesse padroneggiare. Ma alla fine decise di non farlo. Lo Stato non aveva niente a che fare in questa vicenda. Era una cosa solo fra lui e Cal.
 
E Winry.
 
“Edward Elric,” disse Ed seccamente. “Vedi di non scordartelo.”
 
“Domani mattina” gli ricordò Cal allontanandosi — o meglio, schettinando via — con gli amici ammaccati che incespicavano dietro di lui. Nessuno di loro sembrava aver accettato pacificamente l’idea di essere stati malmenati da una ragazza e un tappetto che in totale possedevano appena quattro arti di carne ed ossa.
Il resto degli spettatori cominciò a disperdersi una volta realizzato che la rissa era terminata, mormorando fittamente e lanciando occhiate furtive a Ed quando questo non sembrava guardare.

Paninya si accigliò nel vedere tutte quelle spalle in ritirata e si rivolse a Ed. “Che diavolo significa tutto questo?”

Ed la afferrò per il gomito. “Te lo spiego mentre mi insegni a pattinare.”




 

Continua...


 

***

 
Note della traduttrice
Cosa potrei dire se non MI DISPIACE IMMENSAMENTE DI AVERCI IMPIEGATO SEI MESI AD AGGIORNARE QUESTA STORIA! 
Che ci volete fare? Purtroppo la vita ha avuto la meglio sulla traduzione.
Spero vivamente che chi tempo fa aveva deciso di seguire HS non l'abbia data per dispersa e decida di continuare nella lettura... e, perchè no? spero anche che la fic raccimoli qualche lettore in più.
Da parte mia, prometto che non vi farò più attendere così tanto ;)

Grazie a tutti per la pazienza, le letture e le recensioni ai capitoli passati!


A presto (giuro!) con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs
 

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Capitolo 5
*** Ache ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

 
 

Capitolo 5
Ache
 

 
Quando Ed tornò al negozio, quella sera, scorse l’automail di Cal nel bidone della spazzatura. 
 
Si stupì di averlo notato. Era stato solo un piccolo barlume di luce riflessa a catturare il suo sguardo e a trascinarlo verso l’interstizio buio che separava la bottega di Garfiel da quella accanto. La mano d’acciaio era l'unica parte visibile, sbucava appena sopra il bordo del cassonetto. 
Ed si avvicinò e, facendo cadere a terra il paio di rollerblade che Paninya gli aveva prestato, recuperò l’automail prendendolo dal polso, in modo da poterlo esaminare più da vicino. A prima vista non c'era nulla di rotto, solo alcuni danni al rivestimento provocati da Winry quando lo aveva scagliato a terra. Niente che non potesse essere risolto con un po’ di smalto e la sostituzione delle parti rovinate. 

Lui e Al quella mattina avevano perlustrato l’intera via alla ricerca anche della più piccola vite e avevano riportato tutto all’interno del laboratorio, per lei. Eppure Winry aveva deciso di buttare via tutto.
 Non aveva risistemato il braccio, non l’aveva conservato, non aveva nemmeno tenuto da parte i pezzi per usarli come ricambi metallici, come aveva così gentilmente suggerito Cal. Aveva semplicemente gettato via tutto quanto. 
 
Ed issò il braccio metallico sulla spalla, raccolse i pattini e si diresse nuovamente verso la porta d'ingresso, riuscendo in qualche modo ad aprire la porta col gomito mentre sul suo viso si plasmava in un’espressione corrucciata. 
Al e Winry si trovavano nel retro del negozio, intenti ad apparecchiare la tavola per la cena, e quando Ed fece la sua comparsa l’armatura strillò, scioccata. “Fratellone, ma che cosa ti è successo?”
 
Ed trasalì. 
Paninya aveva cercato di dargli delle dritte sulla corsa su strada per tutto il pomeriggio, fino a sera inoltrata. La maggior parte di quel tempo Ed lo aveva impiegato soltanto per imparare a mantenere l'equilibrio su quei dannati pattini. E, a giudicare dalla reazione di suo fratello, tutto quell’affanno pomeridiano doveva essersi ripercosso anche sul suo aspetto. I vestiti erano riusciti a proteggerlo dalle tante collisioni con il terreno solo fino a un certo punto ma poi avevano ceduto, quindi era stata la sua pelle a subire le botte per il resto del tempo. 
Ringraziò mentalmente sé stesso per essersi
vestito di nero, altrimenti chissà quante ulteriori chiazze di sangue sarebbero state visibili. 
 
Winry alzò la testa, attirata dall’esclamazione di Al, e Ed si sentì immediatamente sollevato nel vedere che i suoi capelli erano tornati alla luce, legati nella solita coda di cavallo, sebbene la ragazza stesse ancora indossando la tuta con la cerniera tirata su fino al collo. 
Lei si accorse di come Ed si fosse conciato e sussultò, rimanendo a bocca spalancata per l’orrore.

Non concedendole il tempo di lanciarsi in una delle sue solite ramanzine, Ed depose l’automail di Cal sul tavolo abbastanza rumorosamente da far sobbalzare le posate. “Come mai questa roba è finita nella spazzatura?” domandò a bassa voce. 
 
Winry sfiorò l’automail con lo sguardo, parlando a denti serrati. “Io… non lo voglio.” 
 
“Perché per un po’ di tempo è rimasto attaccato a quel somaro?” incalzò Ed. “Non è più il suo braccio, è tuo. E niente di quello che costruisci tu si merita di finire in un cassonetto.” 

Detto questo, Ed posò i rollerblade in un angolo della stanza e si lasciò cadere su una sedia, dedicandosi al cibo e attaccando i piatti con gusto. Notò con soddisfazione che Winry stava ripetutamente spostando lo sguardo da lui o meglio, dai suoi lividi e vestiti strappati ai pattini, e viceversa, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle. Bene. Le avrebbe lasciato credere di aver dimenticato la faccenda di Cal per buttarsi nel favoloso universo del pattinaggio da strada. L'ultima cosa di cui Ed aveva bisogno era che lei tentasse di convincerlo ad abbandonare i suoi piani per il giorno seguente. 

“Fratellone?” chiamò Al, raccogliendo i pattini dal pavimento per esaminarli. “Perché vai in giro con questi cosi? Pensavo che non ti piacessero i rollerblade…”
 
“Ho incontrato Paninya e lei ha stabilito che il fatto che io non sapessi gareggiare su strada fosse un crimine intollerabile,” mormorò Ed, sperando con il suo atteggiamento disinvolto di ingannare gli altri due e far credere loro di essere meno malconcio di quel che sembrava. Anche se, in tutta onestà, quella valanga di escoriazioni gli stava facendo un male cane. “Quella ragazza è fuori di testa. Sapete che sta pensando di partecipare alla gara che stanno organizzando in città? Dice di volere il premio in denaro per ripagare gli automail di Dominic.”

“Davvero?” disse Al incuriosito. “Forse dovremmo fermarci qualche giorno in più e andare a vederla gareggiare. Scommetto che le farebbe piacere un po’ di tifo!” 
 
Winry si sedette lentamente, col viso ancora imbronciato ma fortunatamente con l’aria tranquilla. “Come vanno i pattini che le ho costruito? Stanno reggendo?” 

A Ed andò di traverso un po’ d'acqua, ma non appena si ricompose prese a fissare Winry con uno stupore che non era del tutto simulato. “Li hai fatti tu?" ansò. “Non ci credo, quei cosi sono fenomenali!”
 
Winry arrossì un pochino, lusingata dal complimento, e si lanciò immediatamente a raccontare di come Paninya si fosse recata da lei con il disegno di Dominic e di tutte le modifiche che lei aveva apportato al progetto per ottenere un prodotto finale che soddisfacesse appieno le esigenze della ragazza. Dopo poco la conversazione deviò su Dominic e la sua famiglia, su come stessero lassù in montagna e su come il bambino che Winry aveva aiutato a nascere stesse già imparando la versione-baby dei primi rudimenti di meccanica degli automail. Ed diede voce ai suoi pensieri affermando che non sarebbe passato molto tempo prima che anche quel nanerottolo cominciasse ad andarsene in giro brandendo chiavi inglesi a mo’ di arma; quel commento a sproposito gli valse un bel calcione da sotto il tavolo. 
 
Come accomunati da un tacito accordo, Ed e Al lasciarono che Winry continuasse a chiacchierare a proposito della sua vita a Rush Valley. Era così bello sentirla essere di nuovo sé stessa, vederla parlare senza posa al punto che più di una volta dovettero ricordarle di respirare e mangiare. Ed lo trovò un grande miglioramento rispetto al suo stato d'animo della mattina. 
 
Ma, nonostante questi pensieri consolanti, la gara con Cal continuò ad aleggiare nei meandri della sua mente durante tutta la cena. Più volte Ed si era inconsapevolmente estraniato, fissando i rollerblade, riesaminando nella sua testa tutti gli errori che aveva fatto, cercando un modo per migliorare la sua tecnica prima della gara del giorno seguente... 

Era stato durante uno di questi attacchi di ponderazione che Ed aveva notato Winry osservarlo con un’espressione strana. La ragazza aveva agganciato il suo sguardo, puntato così sovente sui rollerblade, e ciò doveva averle fatto crescere in seno qualche sospetto. Ma proprio quando sembrava sul punto di dire qualcosa, la porta si aprì e Garfiel entrò, carico di pacchi. “Sono tornato! Alphonse, sii gentile, dammi una mano con questi. Sono decisamente pesanti.”
 
Al si mosse rapidamente in suo aiuto e subito Ed si schiarì la gola e balzò in piedi, evitando così di rimanere seduto da solo insieme a una Winry sospettosa. “Vado a darmi una lavata,” annunciò. “Se non mi vedete tornare entro domattina, consideratemi affogato e cominciate ad organizzare il mio funerale.” 
 
“Contaci, fratellone,” ridacchiò Al. 
 
“Il bagno è al piano di sopra, a sinistra!” spiegò Garfiel. “E non usare tutta l'acqua calda!” 

Ed si ritirò al piano di sopra e trovò il bagno con poca difficoltà. Era una stanza piccola ma funzionale, con una vasca di metallo contro la parete di fondo che fungeva anche da doccia. Ed tirò la tenda cerata e riempì la vasca con acqua calda. 
Un buon lungo ammollo era proprio quello di cui aveva bisogno per sciogliere i muscoli prima del mattino successivo. Non poteva certo permettersi di presentarsi all’incontro e competere contro Cal mezzo anchilosato. 

Ecco. Il solo pensare alla sfida era stato sufficiente a far pulsare tutti i suoi graffi e lividi all'unisono. 
Quando la vasca si fu riempita, Ed si spogliò completamente e squadrò con un’espressione schifata la figura che vide riflessa nello specchio. Lo stinco destro e il braccio sinistro avevano la pelle graffiata e raschiata in più punti a causa delle sue numerose cadute. Le ferite più brutte erano coperte da croste di sangue rappreso che in certi punti aveva fatto sì che i vestiti gli si incollassero addosso. Il costato e il ginocchio non metallico si erano chiazzati di  nero e blu dopo tutte le volte che si era schiantato a terra. Ed non volle nemmeno provare a immaginare lo stato del suo sedere, che aveva dovuto subire e ammortizzare gli urti peggiori. 

Mi sono fatto fare il culo da un paio di fottutissimi pattini, pensò con stizza. Ma lo consolava il fatto che Paninya fosse stata la sua unica spettatrice. Non provò nemmeno a chiedersi quello che avrebbero potuto dire Al e Winry se l’avessero visto scivolare in lungo e in largo, cozzando contro edifici e malcapitati passanti. Altro che vincere la gara… sarebbe stato fortunato anche solo a riuscire a raggiungere il traguardo intero. 

Non che le basse probabilità lo avessero mai fermato prima. Se non altro, aveva sempre fatto del suo meglio anche quando i pronostici lo avevano dato per sfavorito. 

Ed si aggrappò sul bordo della vasca e con cautela si calò nell’acqua fumante, sforzandosi di reprimere gemiti di soddisfazione molto poco virili. Piccole nuvole di polvere, sabbia e sangue rosato si staccavano dalla sua pelle fluttuando nell’acqua, mentre lui si strofinava in ogni dove per rimuovere la ghiaietta che non si sa come era riuscita ad infilarsi in ogni più piccolo anfratto di pelle. I suoi automail se l’erano cavata con solo qualche graffio, ma aveva comunque intenzione di dar loro una controllatina più approfondita in seguito per assicurarsi che non fosse rimasto qualche detrito incastrato nelle giunture 

Bang!
 
Ed fece saettare involontariamente un piede in aria quando la porta del bagno si spalancò, rovesciando acqua su tutto il pavimento. Il ragazzo agguantò la tenda da doccia con velocità felina non appena si rese conto di chi avesse appena fatto irruzione nella stanza. “Winry! Ma che diavolo!” 

“Questo è quello che dovrei domandarti io!” strillò Winry, chiudendo la porta alle sue spalle con un colpo secco e piantandosi le mani sui fianchi. “Pensi davvero di essere così bravo a dire bugie, Edward Elric?” 
 
Ed emerse dall'acqua, continuando a tenere le sue parti basse strettamente avvolte nella tenda e mettendosi sulla difensiva. “Winry, fuori di qui!” piagnucolò. “Bagno! Privacy!”

“Oh, per favore! Come se non avessi mai visto il tuo corpo prima d’ora!" 

“Almeno passami i pantaloni o qualcosa del genere prima di metterti a sbraitare!” 

Un asciugamano gli si schiaffò in faccia e Ed si nascose dietro la tenda in modo da poterselo legare attorno alla vita, imprecando sottovoce. Una volta resosi presentabile, tirò nuovamente la cerata e uscì dalla vasca. “Ok, che cosa ho fatto di male stavolta?” 

“Non è quello che hai fatto, ma quello che hai intenzione di fare!” scattò Winry. “Stai imparando a pattinare per poterti confrontare con Cal durante la gara finale di corsa su strada, vero?” 

La supposizione della ragazza era abbastanza vicina alla verità e Ed in un primo momento non seppe cosa dire. Winry interpretò il suo silenzio come una confessione. Lo colpì al petto, furiosa. Non posso crederci, Ed! Proprio non posso eppure ti avevo detto che non ho bisogno della tua protezione! Quale parte di quel discorso non riesci a capire?” 

“Quello che non riesco a capire,” replicò Ed schiettamente, “è perché sono io l'unico che sta realmente cercando di fare qualcosa contro quel bastardo arrogante. La ragione per cui pensa di poter farla franca dopo aver ferito altre persone è perché nessuno sembra disposto a provare a fermarlo! Perché non dovrei fronteggiarlo e fargli smettere di darsi tante arie?” 
 
“Allora per te è tutta una questione di orgoglio, non è così?” domandò Winry con tono beffardo. “Non sia mai che ti accontenti che le cose vadano come vadano, oh no, tu hai bisogno di intervenire e dimostrare che sei sempre il migliore!” 

Ed le afferrò entrambe le braccia, sperando che scuotendola l’avrebbe aiutata a ritrovare un po’ di buonsenso. “Winry, non ti permetto di parlarmi in questo!” 
 
La sua testa scattò di lato quando il pugno Winry si scontrò con il suo zigomo. Ed indietreggiò di un passo, stordito dal colpo. Ma, a giudicare dallo sguardo inebetito di Winry, quel cazzotto era partito del tutto istintivamente, era stato una reazione involontaria e non necessariamente diretta contro di lui. 

Ed deglutì, attanagliato da una strana sensazione di malessere. Che Cal l’abbia afferrata in questo modo…? 

Winry gli si avvicinò, con un’espressione da cane bastonato, e tese la mano per appoggiarla a coppa il suo volto. Ma le sue dita si fermarono a qualche centimetro dal mento di Ed e invece di proseguire andarono ad accarezzare il braccio sinistro del ragazzo, scorrendo sulla pelle cosparsa di ecchimosi. 

“Ma guardati,” sussurrò Winry, trattenendo poi il respiro in una maniera che fece venire a Ed la voglia di correre a rannicchiarsi mestamente in qualche angolo. “Sei tutto livido e malandato. E questo è solo il risultato di una lezione per imparare a pattinare. Cosa pensi di poter fare in una gara vera, eh? Tu non hai idea di quanto possano rivelarsi pericolose quelle corse! Cal e i suoi amici sono stati i vincitori indiscussi dei turni preliminari, si sono allenati a questo scopo per mesi. Come credi che mi sentirò se tu dovessi ferirti seriamente durante la vostra sfida?” 

“Cosa ti fa pensare che lascerò che questo accada?” rispose Ed tranquillamente. “Non credi che io possa vincere contro Cal?”

“Io… io non lo so.” Winry vacillò, abbracciando sé stessa. “Ma non voglio vederti rischiare l’osso del collo solo per vincere una stupida corsa. Ed, promettimelo! Promettimi che non tenterai di partecipare a quella gara! Promettimi che non cercherai di vendicarti di lui in questo modo!" 
 
E, ancora una volta, Ed vide spalancarsi quei maledetti occhi. Quelli ai quali non poteva mentire e ai quali allo tempo stesso non poteva dire la verità. 
C'era solo una risposta per quei penetranti proiettili blu. 

“Non posso” disse Ed con voce fioca. “Non posso farti questa promessa. Mi dispiace.”

Winry sostenne il suo sguardo, come se sperasse che restando semplicemente lì ad aspettare sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. Alla fine, chinò la testa senza dire una parola e si voltò per andarsene. Ed avrebbe voluto fermarla, ma non una parola riuscì ad uscire dalle sue labbra mentre la guardava camminare lungo il corridoio e scomparire dietro la porta della sua camera. C'erano solo domande, e poi altre domande. Perché Winry non voleva lasciarlo combattere per il suo onore? Che cosa gli stava nascondendo? 

 
 
Se proprio hai bisogno di qualche ulteriore stimolo, potrei sempre decidere di raccontarti qualcosa di più… 
 
 
 
“Maledizione,” sibilò Ed, aggrappandosi allo stipite della porta del bagno così forte da farsi sbiancare le nocche. Sarebbe presto impazzito se avesse ancora permesso alla sua mente di perdersi in pensieri e circoli viziosi. Richiuse la porta, abbandonò l'asciugamano e tornò al suo bagno interrotto, affondando fino al mento in acqua con le braccia appoggiate mollemente sui bordi della vasca. 

Winry… Callahan… la sfida… non sapeva che Cal avesse partecipato alla competizione cittadina e si fosse qualificato finalista. 
A dirla tutta, a Ed effettivamente non era dispiaciuta l'idea di Winry sul fatto di batterlo durante una gara ufficiale con tutta Rush Valley come pubblico. Ci sarebbe voluto molto, molto tempo per superare un'umiliazione di quella portata. Ma, come aveva detto Paninya, ormai era troppo tardi per iscriversi. Ed avrebbe dovuto accontentarsi di battere quel bastardo in privato, confidando nel fatto che la vergogna di essere stato sconfitto da un novellino avrebbe martellato per molto tempo in quella testa tronfia. 

Oh sì, sarebbe stato veramente fantastico 

Udì il rumore di vuoti gambali metallici che salivano le scale e fece una smorfia esasperata quando la porta del bagno si aprì nuovamente, cigolando. “Esiste ancora qualcuno in grado di comprendere il concetto di privacy?” 

“Ho sentito cosa vi siete detti, tu e Winry,” proruppe Al, senza preamboli, chiudendo la porta alle sue spalle. “Hai davvero intenzione di gareggiare contro Callahan? È per questo che ti sei procurato quei pattini?”

 “Beh, dal momento che prenderlo a cazzotti non si è rivelato sufficiente…” 

 “Lo hai preso a cazzotti?” 

“Mi pareva di aver capito che nessun altro avesse intenzione di muovere un dito…” mormorò Ed con uno sguardo eloquente puntato verso il fratello. 

Io pensavo che sarebbe stato meglio se almeno uno di noi fosse rimasto qui in casa a tentare di parlare con Winry,” disse Al con calma, glissando con classe sulla provocazione. 

Ed sciolse il nastro che legava la sua treccia e inzuppò i capelli nell'acqua. “E ci sei riuscito? A parlarle, intendo.” 

“Un pochino,” ammise Al. Quando Ed gli lanciò un'occhiata insoddisfatta, l’armatura scosse la testa in fretta. “Ah, no, non di quella cosa. Mi ha semplicemente raccontato come ha conosciuto Cal e come lui si comportasse prima di… lo sai. Prima. Suppongo che Winry in un primo momento lo considerasse davvero una persona piacevole. Lui non le aveva mai detto o fatto qualcosa di male fino a qualche giorno fa. Non riuscivo nemmeno a credere che il ragazzo che abbiamo incontrato stamattina fosse la stessa persona di cui lei mi stava parlando. Era così… così…” 

“Lo so,” mormorò Ed. Aveva percepito la vena di rabbia celata nella voce di Al e si sentiva totalmente d'accordo con lui.
 
“Fratellone” continuò Al, esitante. “Cosa pensi sia realmente accaduto tra loro? Voglio dire… mi sembra abbastanza evidente che ci sia stata una colluttazione, quindi mi stavo chiedendo se non sia meglio provare a convincere Winry a parlarne con le autorità…” 

“No,” replicò immediatamente Ed. “Anche Cal si è fatto male, te ne sei scordato? Se Winry sporgesse denuncia, sono certo che Cal le terrebbe testa rigirando subito la frittata e facendo credere a tutti che sia stata lei a provocare lo scontro. E non dimentichiamoci che suo padre fa parte dell’esercito.”
 
“Ma anche tu sei nell’esercito!” 

“Cal vive qui e conosce la gente della zona” ribatté Ed duramente. “Probabilmente ha amici e conoscenti a sufficienza disposti a garantire per lui e a tirarlo fuori da qualsiasi sorta di situazione scomoda. Questa faccenda non può essere risolta affidandosi alla legge.”

“E cosa ti fa pensare che possa essere risolta con una corsa su strada?”

Ed inclinò la testa all’indietro e la appoggiò sul bordo della vasca, con gli occhi fissi sul soffitto. “Perché è stato proprio Cal per primo a suggerire di gareggiare. È il suo campo, un ambito nel quale sa di poter primeggiare su tutti. Ti ricordi com’era, Al? Quando l'alchimia era il nostro mondo e sentivamo che l’averne padronanza ci rendeva migliori rispetto alla gente comune...” 

Al non gli rispose, ma Ed sapeva che il fratello ricordava quella sensazione altrettanto bene quanto lui. A quei tempi, prima che loro madre morisse, prima della trasmutazione umana e dell’alchimia di Stato, a loro importava solo migliorare, nient’altro. Certo, in parte era per il desiderio di aiutare gli altri, ma erano state le lodi della mamma il loro primo obiettivo, la loro forza trainante. Per Cal era lo stesso, anche se lui preferiva cercare il plauso delle masse, sentirsi approvato e invidiato dalla gente. Probabilmente anche tutti i suoi scagnozzi erano solo persone delle quali si attorniava per dare sempre nuovi impulsi al suo ego, più che amici nel vero senso della parola. 

Anche in quell'occasione Cal stava sfruttando quel che era successo con Winry qualsiasi cosa fosse per sentirsi padrone, superiore, per imporsi su lei e Ed come se ciò gli spettasse di diritto. 
Ed non avrebbe mai potuto perdonare una persona del genere. 
 
“Lo batterò,” garantì Ed a bassa voce. “Devo farlo.” 

Al lo guardò, ma ciò che stava per dire preferì lasciarlo inespresso. Si voltò e aprì la porta per uscire. “Non stare qui troppo a lungo. Anche il signor Garfield vuole farsi il bagno.” 
 
“…ti ringrazio, Al. Avevo davvero bisogno di quest’immagine mentale.”
 
 

 

Continua...


 

***


 
Note della traduttrice 
Visto? L'avevo detto che mi sarei impegnata per non far passare altri sei mesi XD

Capitolo un po' breve e leggermente confuso (tradurre le paturnie di Ed in alcuni punti non è stato affatto facile, spero che almeno si comprenda qualcosa!), "episodio cuscinetto" nell'attesa della rocambolesca sfida fra Ed e quell'antipatico di Cal.

Come sempre ringrazio chiunque abbia letto e in particolare Finn, Siyah e LaUrA43587 per gli ultimi commenti.


A presto con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs
 

 

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Capitolo 6
*** Speed ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

 

Capitolo 6

Speed

 

 

Il mattino seguente Ed si svegliò irragionevolmente presto. Anzi, a dir la verità fu costretto a svegliarsi presto.
Winry era piombata nel laboratorio qualche minuto prima dell'alba e, sbuffando e ringhiando d’impazienza, lo aveva spinto a calci giù dal divano e buttato fuori dalla stanza, sbattendo poi la porta con un colpo secco.
Ed, esterrefatto ma ancora mezzo addormentato, mormorò qualche protesta ma lasciò presto cadere la questione. Il mattino non aveva mai avuto l’oro in bocca per nessuno dei due, e l'ultima cosa di cui il ragazzo aveva bisogno in quel momento era un’altra litigata. 
Rimasto senza nulla di meglio da fare, Ed trangugiò qualcosa per colazione e si issò i pattini in spalla, propinando ad Al qualche vaga scusa sul doversi allenare per la gara. Al non fece alcun commento, ma la vena di disapprovazione celata nel suo saluto fu chiaramente udibile.
 
Sebbene Cal non avesse comunicato a Ed un orario specifico per la loro sfida, Paninya lo stava già aspettando a Blade Central, dove avevano deciso di incontrarsi. 
Ed si era aspettato che il percorso di gara si dispiegasse fra i quartieri della città, ma lei lo condusse lungo una strada lastricata che proseguiva zigzagando verso le colline rocciose che circondavano la valle. Seguirono la strada con le sue numerose svolte e salirono e salirono e salirono fino a che la città sotto di loro non sembrò altro che un mucchio di mattoncini giocattolo sparsi a terra. Il sole era già sopra l'orizzonte e i muscoli della gamba autentica di Ed stavano cominciando a bruciare per lo sforzo quando finalmente i due raggiunsero la linea di partenza in cima alla rupe più alta della valle, dove soffiavano fredde raffiche di vento e l'aria era così rarefatta che il ragazzo si sentì senza fiato. 

“Oh, andiamo, non esagerare!” rise Paninya, dandogli una bella pacca sulla schiena. “Guardati intorno, a nessuno di loro si stanno accartocciando i polmoni!” 
 
Ed seguì lo sguardo della ragazza e registrò la presenza di altri giovani che sembravano aver deciso di approfittare della pista deserta per una schettinata mattutina. Erano un gruppo vivace, chiacchieravano mentre si legavano i pattini ai piedi o si scaldavano i muscoli, e proprio in quel momento due di loro si lanciarono lungo la pista. Ed sbirciò oltre il bordo della rupe per vederli scendere, due macchie scure che scivolavano lungo un piano inclinato - che avrebbe potuto anche essere verticale, tanto era scosceso! - ad una velocità che un semplice essere umano non avrebbe mai potuto raggiungere da solo. 
Le preoccupazioni di Winry non gli parvero più così infondate. Una mossa sbagliata su quel percorso poteva concludersi in un disastro. Sì, forse era possibile che Ed riuscisse a raggiungere il traguardo e a portare a termine quella sfida, in un modo o nell’altro, ma c’era anche l’eventualità che un piccolo dosso lo facesse cadere sul bordo della strada e poi giù nella gola, dove la morte lo avrebbe aspettato sotto forma di un fiume impetuoso. 
 
Ed ordinò al suo cuore impazzito di rallentare i suoi dannati battiti e si mise a studiare le posizioni che stavano assumendo i due pattinatori: braccia in dentro, gambe e schiena piegate verso il basso nei rettilinei e tenute ben salde mentre accompagnavano le curve. 
Non c'era più tempo per la pratica, né spazio per i dubbi. Doveva imparare la tecnica di discesa, subito
 
“Cerca solo di non strafare, ok?” lo ammonì Paninya. “Questa strada è talmente ripida che non avrai bisogno una grossa dose di strategia. Devi solo cercare di rimanere in piedi e curvare senza finire nel precipizio. C'è differenza tra veloce e troppo veloce, ricordatelo, quindi cerca di stare alle costole di Cal fino a quando non avrai la possibilità di superarlo. La finale della gara di rollerblade di Rush Valley è solo dopodomani, quindi oggi lui non correrà troppo sul serio, per non rischiare infortuni. Usa questo fatto a tuo vantaggio.”
 
Le parole di Paninya suonavano perfettamente sensate e controllate, eppure c'era ancora una traccia di veemenza nella sua voce. 
Quando aveva deciso di raccontarle ciò che aveva scoperto sull’alterco fra Winry e Cal, Ed si era aspettato una certa dose di indignazione da parte della ragazza. Quello che non si era aspettato era stata la sua inquietante proposta di seguire Cal fino a casa sua e fargli alcune cose veramente molto spiacevoli mentre dormiva. Ed sentiva ancora i brividi corrergli lungo la schiena al ricordo del cinico bagliore che aveva illuminato gli occhi di Paninya in quel momento, e aveva deciso di includerla nella sua lista mentale delle donne che non avrebbe mai dovuto indispettire per alcun motivo. 
 
Paninya s’inginocchiò nella polvere a lato della strada e disegnò una mappa approssimativa della pista. “Il percorso ufficiale comprende anche una seconda parte di strada che attraversa la città, ma se oggi tu e Cal vi metteste a sfrecciare per le vie di Rush Valley non potreste evitare di ferire qualcuno. Per voi quindi la corsa terminerà al fondo di questo pendio, prima di entrare in città e non oltre”. 
 
“Questo percorso sembra parecchio lungo,” commentò Ed dubbioso, studiando la mappa. Stava facendo del suo meglio per imparare il percorso a memoria, in modo da non avere sorprese. 
 
Deve esserlo, considerando quanto andrete veloce,” spiegò Paninya. “Credimi, sarà finita prima che tu te ne possa rendere conto. Scendere giù da questa strada ti darà una scarica di adrenalina come non ne hai mai avute prima.”
 
Ed si tolse gli stivali e si sedette nella polvere per infilarsi i rollerblade. Anche Paninya si legò ai piedi i suoi pattini speciali e aprì il sacco che si era portata dietro quella mattina, passando ad Ed dell’attrezzatura extra. Il giorno precedente avevano trascurato la sicurezza per permettere all’inesperto Ed di imparare le basi con maggiore mobilità, ma ora era decisamente consigliabile indossare gomitiere e ginocchiere e guanti di cuoio senza dita per proteggere la pelle e le articolazioni più vulnerabili. Ed agguantò al volo anche il casco imbottito che Paninya gli stava tendendo e lanciò un altro sguardo alla strada. 
I suoi occhi si socchiusero quando vide Cal comparire sulla sommità della collina. 
“È arrivato.” 
 
Paninya alzò il capo e fece una smorfia, issandosi in perfetto equilibrio sulle ruote e incrociando le braccia. 
Tutta la competitività di Ed si risvegliò con fiammante vigore non appena Cal, dopo averli individuati, cominciò a camminare lentamente nella loro direzione, con pattini in spalla e due scagnozzi alle calcagna. 
I loro rollerblade sembravano nuovi di zecca, lustrati a specchio e costruiti con perizia. Ed non poté evitare di pensare a come il suo paio di seconda mano al confronto apparisse decisamente meno raffinato. 
 
“Ma guardatelo un po’, il ragazzino,” esordì Cal con falso stupore. “Potrebbe quasi passare per un principiante.” 
 
“E tu potresti quasi passare per un sacco da boxe,” replicò Ed, contemplando compiaciuto lo stato dei lividi provocati dai suoi pugni lungo tutta la mandibola di Cal. Si diffondevano fin sopra il ponte del naso e andavano ad unirsi con quello che gli aveva causato Winry, un delizioso miscuglio di viola e di giallo. Ed si ritrovò a sperare che anche la ragazza avesse la possibilità di ammirare al più presto la loro opera. 
 
“Corriamo e basta, Elric,” disse Cal duramente, gettando i pattini a terra e cominciando a togliersi le scarpe. 
 
“E quelli cosa stanno facendo?” domandò bruscamente Ed quando anche gli altri due ragazzi iniziarono ad indossare caschi e pattini. “Credevo che fosse una cosa solo tra me e te.”
 
“Potrei chiederti la stessa cosa a proposito di lei,” rispose Cal, facendo un cenno col capo verso Paninya. 
 
“Sono qui solo per guardare,” puntualizzò seccamente la ragazza. 
 
“Anche loro,” ribatté Cal. “Sono gli arbitri. Uno andrà avanti e ci aspetterà al traguardo mentre l’altro ci seguirà.” 
 
Ed lanciò agli ‘arbitri’ uno sguardo incredulo. Gli sembravano esattamente della stessa pasta di Cal — ricchi, privilegiati e dannatamente orgogliosi di esserlo. Più di una volta li aveva beccati a guardare nella sua direzione e poi sogghignare con aria complice, come se l'idea stessa che Ed potesse in qualche modo tener testa a Cal apparisse loro oltremodo ridicola. 
Chiunque facesse parte della cerchia di Cal non aveva motivo o interesse nell’agire correttamente. 
 
Paninya schiaffò una mano sulla spalla di Ed. “Se le cose stanno così,” aggiunse, impassibile, “spero non ti dispiaccia se mi offro volontaria per aiutarli ad arbitrare. Sai, giusto per mantenere le cose imparziali.” 
 
Cal fece una smorfia, ma alla fine si strinse semplicemente nelle spalle. “Accomodati”.
 
Quando furono finalmente pronti a cominciare, non era rimasto più nessun altro sulla cima della collina, a parte loro cinque. 
Uno degli amici di Cal si lanciò prontamente giù per la pista per ricoprire il suo ruolo di giudice —o di complice. Paninya partì a razzo subito dopo di lui, cosa che fece sentire Ed un po’ più tranquillo. Fino a che lei avesse tenuto d’occhio quel tipo, lui avrebbe dovuto preoccuparsi solo di Cal e di quell’altro. 
 
Cal aspettò fino a quando quei due sparirono dalla sua visuale, poi scivolò agevolmente accovacciandosi in posizione di partenza. Si voltò verso Ed, in attesa. Ed puntò i palmi a terra e si mise in piedi lentamente, prendendosi il suo tempo per evitare di cadere. Ma non poté far nulla per nascondere il leggero ma costante tremolio delle sue gambe mentre avanzava per prendere posto accanto a Cal, il quale lo fissava con un’espressione canzonatoria e compiaciuta che Ed avrebbe tanto voluto spazzare via a cazzotti. 
Cal non si aspettava di certo che il suo avversario avesse potuto imparare chissà cosa, in un solo giorno! Ed era proprio questo il punto. Ed era sicuro che Cal stesse solo aspettando di vederlo fare marcia indietro, ora che erano in bilico sulla cima della collina. 
 
Qualcosa rotolò rumorosamente sulla strada. Ed si voltò di lato e vide che Cal aveva gettato il caschetto. Incrociò lo sguardo di Cal, incredulo, leggendovi dentro tutta l’intensità della sfida. Ed aveva ancora il casco in mano, appeso per le cinghie, e fu davvero tentato di allentare la presa delle dita e lasciarlo cadere. 
 

Come credi che mi sentirò se tu dovessi ferirti seriamente durante la vostra sfida?

 
La sua espressione cambiò in una smorfia d’indifferenza e s’infilò il casco, stringendo le cinghie in modo da non farlo volar via. Cal sbottò, sprezzante, ma Ed continuò a regolarlo, con gli ansiosi occhi blu di Winry nella mente. A differenza di quel patetico bastardo, Ed sapeva esattamente cosa volesse dire vedere il proprio sangue spargersi a terra. E se, durante la gara, le cose si fossero davvero messe male, non sarebbe stato poi così difficile prevedere l'esito dello scontro fra la sua testa scoperta e la strada. Non avrebbe nemmeno avuto il tempo di capire che cosa stava succedendo. Sarebbe bastata una caduta, un lampo di dolore… e Al e Winry si sarebbero ritrovati a dover assistere al suo funerale.
 
Davvero nella vita di Cal non c’era nessuno per il quale lui si sentisse in dovere di stare attento?

Per il ‘via’ Ed si aspettava un conto alla rovescia o qualcosa di simile, ma l’amico di Cal si limitò ad alzare il braccio ed abbassarlo con un solo, rapido movimento. Cal reagì una frazione di secondo prima di lui, ed Ed si ritrovò a spingere furiosamente sulle gambe per stargli dietro, sforzandosi di ricordare le istruzioni che Paninya gli aveva dato il giorno precedente. Gamba destra, gamba sinistra. Gamba destra, gamba sinistra… falcate lunghe e fluide… oscillare le braccia per mantenere lo slancio…
 
Quando la pendenza del terreno si fece più accentuata, Cal smise di pattinare e si piegò in avanti lasciandosi trainare dalla forza di gravità, mantenendo i piedi fermi e le gambe bloccate. Anche Ed, una volta superato il punto di non ritorno, si sporse in avanti imitando quella posizione, lottando ogni secondo nel tentativo di rimanere in piedi. Probabilmente non stava nemmeno andando così veloce, ma il suo cuore batteva già così furiosamente che gli pareva di sentire le costole ammaccarsi. Il gorgoglio del vento nelle orecchie soffocava tutti i rumori a parte il rombo delle ruote sotto i piedi, e la sua gamba autentica traballò in maniera allarmante quando raggiunse una velocità tale da vedere il mondo intorno a sé trasformarsi in una serie di macchie indistinte. Ed spalancò gli occhi. Andava troppo veloce, non poteva fermarsi, non poteva fermarsi, e se avesse perso la concentrazione anche solo per un secondo, lui si sarebbe—! 
 
Ed tentò di tenere a bada l’istinto di rallentare e allontanarsi dal pericolo. Ormai andava troppo veloce, non sarebbe riuscito a fermarsi nemmeno se lo avesse voluto… non senza schiantarsi, almeno. Non aveva altra scelta se non quella di cavalcare quell’onda fino alla fine. E, dominata da quel pensiero, la sua mente fece un improvviso scatto, proprio come gli succedeva sempre durante un combattimento. Ed stava gareggiando e al contempo non stava gareggiando. Controllava le sue azioni e nello stesso momento fingeva di essere solo uno spettatore, di osservare il pericolo e non di viverlo in prima persona. 
 
Cal si guardò alle spalle e strinse i denti, visibilmente infastidito dal fatto che Ed stesse mantenendo il suo stesso passo senza troppe difficoltà. Evidentemente c’era un qualche vantaggio nell’essere picc… cioè, nell’avere un corpo che facesse meno resistenza con l’aria. Ma, anche se era quello il caso, Ed doveva comunque mettercela tutta per non perdere metri. Il passaggio sopra ogni piccolo dosso o avvallamento della strada produceva una scossa potente che gli attraversava le membra e si scaricava dritta nelle ossa. Gambe e fianchi gli dolevano a causa della posizione, ma doveva cercare di mantenere rigidamente il controllo per evitare che le leggi della fisica lo sbatacchiassero da una parte all’altra. 
 
Qualcosa si avvicinò al suo fianco sinistro così improvvisamente che quasi Ed perse l’equilibrio per la sorpresa. Si era letteralmente scordato dell’amico di Cal, ma ora quel tipo lo stava raggiungendo, facendosi pericolosamente vicino. Ed guardò avanti a sé appena in tempo per veder sopraggiungere una curva a sinistra, e una piccola parte di lui cadde in preda al panico al pensiero di doverla affrontare a quella velocità. Non c'era verso, proprio non c’era verso di riuscire a svoltare in tempo! 
 
Pochi metri davanti a lui, vide Cal allontanarsi dal centro della pista e poi piegarsi violentemente a sinistra, facendo una svolta così stretta che per poco non uscì dalla sezione lastricata della pista. Questa era la prova che prendere quella curva era possibile. Ed mantenne lo sguardo fisso sulla strada e si preparò ad emulare la manovra dell’avversario… 
 
…ma lo scagnozzo di Cal gli tagliò la strada impedendogli di sterzare e costringendolo a girare largo. Per evitare di avvicinarsi troppo al ciglio della strada Ed piegò le gambe e si gettò a terra, lasciando che fossero le ginocchiere e la mano destra ad assorbire l'urto della caduta. In questo modo sbandò un po’ e riuscì a rallentare quel tanto che sarebbe bastato per rimanere sulla strada, ma aveva perso velocità, e questo gli fece perdere parecchi secondi preziosi. Cal aveva quasi raggiunto la curva successiva. Dannazione, avrebbe dovuto immaginare che quel bastardo non gli avrebbe lasciato alcuna possibilità di vincere! 
 
Ed si lanciò spericolatamente giù per il pendio, costringendo le sue gambe inesperte ad accompagnare il moto. Il suo intero universo si ridusse fino a contenere soltanto il tratto di strada davanti a lui e i suoi due avversari. Nient’altro. Ed non riusciva nemmeno a ricordare il motivo per cui stesse gareggiando, sapeva solo di dover andare avanti, di dover essere il più veloce, il più audace. Era dominato da uno spirito selvaggio e indomito che non conosceva né la paura né il dolore, solo la velocità
 
Cal si voltò una seconda volta e Ed apparve alle sue spalle, sfrecciando sui pattini che ormai sembravano a malapena sfiorare il terreno. Stava sopraggiungendo un’altra svolta, questa volta a destra, e Ed sorrise ferocemente quando intravide la possibilità passare in testa girando stretto, così questa volta sarebbe stato Cal a trovarsi costretto a prendere la curva larga e rimanere indietro. Poteva farcela! Una volta ottenuto sufficiente distacco nessuno avrebbe più potuto fermarlo—! 
 
“Ed, all'esterno! Stai all’esterno!” 
 
Sentì quelle parole, ma non riuscì ad afferrarne il senso. Almeno, non fino a quando non si piegò all'interno della curva e non scivolò sulla ghiaia che era stata sparsa su tutto quel tratto di strada. Le pietruzze vennero scalzate in tutte le direzioni, una di loro lo colpì vicino alla coda dell'occhio mentre molte altre andarono ad incepparsi fra le ruote dei suoi rollerblade. Gli déi della fisica vennero a reclamare la loro vendetta, e Ed cadde in avanti, agitando le braccia mentre il suo corpo per un lungo straziante attimo sembrò rimanere sospeso orizzontalmente in aria. Il rush adrenalinico lo abbandonò proprio in quel momento, permettendogli di accogliere la venuta del dolore con perfetta lucidità e assoluto terrore. 
 
Il suo braccio destro fu il primo a colpire il suolo, schiantandosi sull'asfalto con uno stridio assordante e perdendo nell’urto gran parte del rivestimento. Il corpo di Ed rimbalzò dopo l’impatto e continuò a rotolare giù per la pista così vorticosamente che gli parve di avere le viscere intrappolate in una centrifuga. Probabilmente fu una scena spettacolare, ma tutto ciò Ed che riuscì a vedere furono lampi di cielo e di asfalto e le sue membra che si agitavano scomposte. Anche il dolore veniva percepito solo in piccole raffiche mentre la pelle del suo avambraccio veniva raschiata via, la sua spalla sinistra si lussava, il casco si spaccava a metà, il naso urtava e cominciava a sanguinare. 
 
E poi all’improvviso non ci fu più alcuna pista sotto di lui, e per un momento Ed ebbe la consapevolezza di star scivolando oltre il ciglio della strada. Ruzzolò lungo quel pendio quasi verticale così velocemente che il suo passaggio smosse nugoli di terra e sassi che andarono a formare una mini-valanga intorno a lui. Vide volare in aria anche un pattino, prima ancora di rendersi conto di averlo perso. Una piccola sporgenza di roccia lo frenò e lo accolse all’ultimo secondo, salvandolo dal precipitare nella gola sottostante. 
 
Ed giaceva sdraiato sulla schiena con i piedi in direzione della strada, rimasti leggermente più in alto rispetto al resto del corpo. Disorientato, si chiese se la sua caduta si fosse davvero arrestata oppure no. Era una cosa difficile da capire, visto che la sua testa stava girando così tanto—        
 
Oh cazzo, che MALE! 
 
Ed non poté fare a meno di gemere mano a mano che tutte le sue ferite cominciarono a render nota la loro presenza, pulsando all'unisono, reclamando attenzione. Sentiva ogni centimetro di pelle esposta andare in fiamme, anche le zone che non stavano sanguinando, e grandi ondate di dolore si abbattevano sulla sua spalla. Poi, fortunatamente, svenne per qualche minuto. O forse no. Forse erano solo i suoi occhi ad aver dato forfait, perché non ebbe alcuna difficoltà a sentire Paninya che stava scivolando giù per la collina, verso di lui. Il suono metallico dei suoi pattini che grattavano contro il terreno scosceso gli rimbombava nel cervello e nelle orecchie impedendogli di capire qualunque cosa lei gli stesse urlando. 
 
“—senti? Ed, andiamo—!” 
 
Ed aprì la bocca per parlare e tossì, sputando un orrendo miscuglio di terriccio e sangue. Dal naso gliene stava sgorgando talmente tanto che i fiotti finivano col riempirgli la bocca e gli facevano bruciare la gola. Riusciva a malapena a respirare, nient’altro. 
 
“—solo detto di rallentarlo un pochino! Cazzo, così lo ammazzi, cretino!”
 
“Non è morto! Qualcuno di voi vada a chiamare un dottore!” 
 
“Scordatelo, cavatevela da soli! Se mio padre lo scoprisse come minimo mi ucciderebbe. Andiamocene da qui!” 
 
Ed strizzò gli occhi e guardò oltre la spalla di Paninya giusto in tempo per scorgere Cal e i suoi due amici darsela a gambe. Poi Paninya si chinò fino a coprire col suo viso l’intero campo visivo del ragazzo. Gli slacciò il casco e lo rimosse delicatamente prima di voltargli la testa di lato, cercando in questo modo di facilitargli la respirazione. Ed tentò di mettere a fuoco il suo viso, ma la sua vista si era fatta completamente inaffidabile, sfarfallando qua e là, mentre la sua mente era a un passo dall'incoscienza. 
 
Eppure, non poté fare a meno di notare quanto gli occhi di Paninya in quel momento gli ricordassero quelli di Winry, grandi e lucidi com’erano…
 
“Ed! Ed, ascoltami attentamente. Sto andando a cercare aiuto, ok? Tu rimani fermo qui. Non muovere neanche un muscolo fino al mio ritorno!” 
 
Le ci vollero solo un paio di minuti di arrampicata per tornare sulla strada e cominciare a correre. Lo stesso tempo occorse alla mente annebbiata di Ed per elaborare il motivo per il quale se ne stesse andando, poi la risposta gli sembrò improvvisamente ovvia. Paninya era una ragazza forte e tutto quanto, ma non c'era proprio verso che lei riuscisse a trasportarlo da sola fino a Rush Valley. E lui al momento non era in grado nemmeno di alzarsi in piedi… figuriamoci ridiscendere la collina da solo. 
 
Ed ingoiò qualche goccia di sangue che gli era rimasta in bocca e chiuse gli occhi. Lei aveva parlato di andare a cercare aiuto, giusto? Doveva solo aspettare. 
 
Non voglio aspettare, si lamentò una parte frignante del suo cervello. Fa troppo male… 
 
Ed fece in un respiro profondo e puntò il suo automail sfasciato sul terreno sotto di lui. Il braccio tremava sotto il suo peso, ma lui lo ignorò e si diede una spinta verso l’alto. Cattiva idea. Un'esplosione di dolore gli colpì la spalla sinistra e il mondo ricominciò a vorticare impazzito. Ricadde a terra accasciandosi dolorosamente. 


 
Quando Ed rinvenne, notò che il sole si era fatto un po’ più alto nel cielo e il sangue sul suo volto si stava seccando. Si udivano anche delle voci sulla strada. Ed ammiccò, tentando di scacciare gli squarci di luce rimastigli impressi sulle retine, e cercò di concentrarsi per rimanere cosciente. Probabilmente avrebbe dovuto provare a chiamare aiuto o qualcosa del genere, ma la sua voce proprio non sembrava aver voglia di collaborare. Ma fortunatamente sentiva dei passi avvicinarsi. Sperava con tutto il cuore di essere visto. Non voleva assolutamente rischiare di rimanere bloccato lì al sole tutto il giorno. 
 
“Da questa parte, è qui!” 
 
“Calma, ragazza. Sto arrivando.” 
 
Ed esultò internamente quando sentì più persone scivolare giù per la collina ed accovacciarsi accanto a lui, e voltò lentamente il capo per vedere chi fosse accorso in suo aiuto. La prima cosa che vide fu una cintura per gli attrezzi, e la sua logica distorta gli suggerì il possibile nome del suo salvatore. “Winry…?” 
 
Dita ruvide gli controllarono il polso mentre un viso severo e scolpito dal tempo si chinò su di lui. “Nei tuoi sogni, teppista,” brontolò Dominic. “Spero davvero che quella ragazza ti prenda e ti riempia di frustate per quello che hai fatto ai tuoi automail.” 
 
Quelle parole evocarono una serie infinita di immagini nella mente di Ed, che non poté fare a meno di piagnucolare mestamente. “Lasciami stare, dannata svitabulloni…”
 
“La sua spalla,” disse Paninya debolmente. "È… rotta?”
 
“Slogata,” rispose bruscamente Dominic tastando il braccio in questione, cosa che fece sibilare Ed dal dolore. “Ed è una fortuna che sia solo slogata. Starà benone una volta che l’avremo ricacciata al suo posto.” 
 
Ricacciata al suo posto… oh, non suonava affatto come una cosa indolore. “Un medico?” chiese Ed con un lamento. 
 
“Meglio occuparsene ora piuttosto che aspettare l’arrivo del medico,” rispose Dominic con fermezza. “Io conosco solo le basi della manovra, quindi ti farà male. Un bel po’. Ragazza, tu trattienilo…”
 
Un paio di mani andarono a premergli il petto per tenerlo a terra. Ed alzò la testa per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma Paninya gli copriva la visuale. Sentì Dominic afferrargli il braccio ed ebbe appena il tempo di fare un respiro prima che il costruttore spingesse l’osso all’interno della sua articolazione con un dolorosissimo craaak. Ed non desiderò altro che gridare in agonia, ma tutto ciò che riuscì a produrre fu un misero gemito strozzato. 
 
“Ti odio, vecchio,” sibilò senza fiato, sentendo avvicinarsi oblio per la terza volta. “Oh cazzo se ti odio…”
 
Per tutta risposta Dominic gli cinse un braccio intorno alla vita e se lo caricò in spalla come un sacco di grano. Lo stomaco di Ed si contorse alla vista del dirupo sotto di lui, ed ebbe la saggia idea di chiudere gli occhi fino a che Dominic non terminò la sua ascesa e tornò sulla strada. “Casa mia è più vicina rispetto alla città,” disse l’uomo a Paninya. “Lo porterò lì per il momento. Satera dovrebbe essere in grado di medicare il resto delle ferite senza troppi problemi, ma tu faresti meglio a rintracciare il suo meccanico.” 
 
“Sei sicuro che non sia meglio andare a chiamare anche un dottore?” domandò ansiosamente Paninya. “E se avesse una commozione cerebrale o qualcosa del genere?” 
 
“Sono abbastanza sicuro che la sua testa sia a posto,” replicò Dominic. “Indossare un caschetto è stata forse l'unica cosa intelligente che questo ragazzo abbia fatto oggi. Adesso muoviti!” 
 
Paninya si lanciò giù per la strada verso il paese, pattinaggio più veloce che poteva. Il meccanico si chinò per raccogliere qualche pezzo di placca metallica sparso lungo la strada, ignorando completamente i lamenti del ragazzo stordito e sanguinante sulla sua spalla. Ogni tuffo e ogni piegamento facevano torcere lo stomaco di Ed, che si leccò le labbra. “Penso che potrei svenire di nuovo,” disse con voce flebile. “Non provare ad installare qualcosa di strano sul mio automail mentre sono fuori combattimento.” 
 
“Non ti agitare,” rispose Dominic burbero. “Ho il pieno rispetto per il lavoro delle Rockbell. Il tuo braccio e la tua gamba non hanno nulla da temere da me. Ti suggerirei però di preoccuparti di come quella ragazza potrà reagire quando vedrà come ti sei conciato.” 
 
Ed rabbrividì. 
Non c'era niente che potesse fare per scamparla. Winry avrebbe scoperto che lui, ignorando completamente le sue richieste, aveva sfidato Cal in una gara. Oltretutto, non aveva niente in mano che potesse consolarla per questo suo tradimento. Aveva perso la sfida. E il fatto che Cal lo avesse ostacolato fin dall'inizio non era una scusa. Ed era abituato ad essere in svantaggio e a ribaltare comunque la situazione. Questa volta, però, non ce l’aveva fatta. 
 
“Merda,” gracchiò Ed, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. “Ho proprio fatto la figura del perdente, eh?”
 
“Beh, di sicuro non hai vinto.” 
 
“Immagino che tu non sia disposto a buttarmi nel burrone e dirle che il mio corpo è ormai disperso per sempre…” suggerì scherzosamente il ragazzo. 
 
Dominic si strinse nelle spalle. “Potrei. Ma prima ti dovrei togliere gli automail. Quelli col cavolo che li getterei in un burrone.” 
 
“Il tuo senso dell'umorismo è davvero perverso, vecchio…” 
 
 
 

 

 Continua...

 


*** 


Nota dell’autrice
La fisica non era il mio forte al liceo, ma penso di essermela cavata piuttosto bene in questo capitolo. Gravità + Ruote + Alchimista = OUCH! 
Curiosità. Usavo i rollerblade ai tempi della scuola media, ma mi limitavo a fare avanti e indietro per la mia via. Solo una volta ho avuto il coraggio di scivolare giù per una ripida stradina di collina, e durante tutto il tragitto verso il basso ho pensato che sarei morta. Parti di questo capitolo sono nate dal ricordo di questa esperienza, il resto è venuto dalla mia immaginazione. 

 
 
Nota della traduttrice
Tradurre questo capitolo è stata un’impresa! Mi ci sono arenata per molto tempo e, sebbene non sia ancora molto soddisfatta della resa del testo, ho preferito postarlo ugualmente… per dare un cenno di vita, almeno, e allontanare l’impressione che questo progetto fosse stato abbandonato!
Inutile ribadire quanto mi dispiaccia non riuscire ad aggiornare questa storia con regolarità, ma purtroppo il tempo e le mie capacità sono quelli che sono. Non farò promesse da marinaio, ma spero sul serio di portare questa traduzione a termine in tempi [aperte mille virgolette] “ragionevoli” [chiuse mille virgolette].
Un saluto e un grazie a tutti i lettori pazienti :)

ChiuEs

 

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Capitolo 7
*** Reprieve ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

 

Capitolo 7

Reprieve

 

 

A Ed non era mai piaciuto prendere gli antidolorifici. Le pillole avevano un gusto strano, lo stordivano e, cosa peggiore di tutte, non facevano alcun dannato effetto. Potendo scegliere, avrebbe preferito rimanere vigile e affrontare la sofferenza come un vero uomo piuttosto che far sguazzare la mente in una nebbia confusa mentre il dolore era solo attenuato, ma non scomparso. Solo l’intervento combinato degli occhi imploranti di Satera e dello sguardo severo che gli lanciò Dominic lo convinse a reclinare la testa e mandar giù le aspirine. Nel frattempo il marito di Satera, Ridel, stava finendo di pulire e fasciare le sue numerose escoriazioni.
 
“Non posso credere che tu non ti sia rotto nemmeno un osso,” esclamò Ridel, poggiandogli un’ultima pressa di garza sopra un’abrasione sulla mascella. “Sei fortunato ad essertela cavata solo con dei graffi.”
 
“Me lo dicono spesso,” borbottò Ed da sotto la borsa del ghiaccio che gli avevano piazzato sul naso. Si allungò e si contorse per rimettersi addosso la maglietta, stringendo i denti perché anche il minimo movimento faceva rinfocolare il dolore alla spalla. Il braccio gli pareva ancora troppo malfermo all’interno dell’articolazione, pronto a sgusciare via e slogarsi di nuovo in qualsiasi momento, e questa sensazione spingeva Ed a diffidare dal compiere anche il più piccolo gesto. Il suo braccio meccanico, poi, non è che fosse messo tanto meglio. Riusciva ancora a muoverlo un po’, ma la giuntura del gomito si era irrigidita e cigolava ad ogni movimento. La gamba invece se l’era cavata con qualche scalfittura e danni a livello superficiale.
 
Ed si reclinò sul divano, poggiando su un cuscino il capo martellante. “Grazie per avermi rimesso in sesto. Vi devo un favore, ragazzi.”
 
“Non pensarci neanche,” disse Satera con un sorriso. “Siamo felici di renderci utili. Ma ora spiegaci: come ti sei ritrovato invischiato in quella stupida corsa?”
 
“Avevo dei conti in sospeso con qualcuno,” rispose Ed flemmaticamente, non volendo rivelare maggiori dettagli riguardo il suo fallimento.
 
“Con Callahan?”chiese Dominic, burbero. “Paninya mi ha detto che stavi gareggiando contro di lui.”
 
Ed volse lo sguardo verso il meccanico. “Lo conosci?”
 
Dominic si strofinò la nuca. “Ci ho avuto a che fare solo una volta, un mesetto fa. Voleva che gli costruissi un nuovo braccio, ma gli ho detto di scordarselo.”
 
“E perché l’hai fatto?”
 
Dominic non si trattenne e colpì Ed sulla testa, sbottando. “Solo un idiota accantonerebbe un automail perfettamente funzionante solo perché è vecchio! Non sono delle pile scariche, per l'amor del cielo! Ti taglieresti un braccio solo perché non è potente o slanciato come quello di qualcun altro? No! Nessun rispetto! Quel ragazzo non ha alcun rispetto!”
 
“Vacci piano, papà,” intervenne Ridel, con tono rassicurante. “Calmati…”
 
Dominic sbuffò con rabbia e marciò verso il laboratorio nel retro della casa, borbottando senza sosta. Ridel si scusò e andò a ritirare l’occorrente per il primo soccorso. Satera prese a passeggiare attorno a Ed con le braccia incrociate e la bocca piegata in una smorfia di disapprovazione. Ed si sentì rimpicciolire sotto quello sguardo fermo e così vividamente materno, nonostante la donna fosse madre solo da un anno e mezzo.
 
“Non mi piacciono affatto quelle gare,” ammise Satera con voce flebile. “Troppi rischi e nessuna buona ragione. Spero solo che il nostro Jack non scelga di correre pericoli del genere quando sarà più grande.”
 
Ed sbirciò sopra la spalla della donna e osservò il bambino che riposava legato alla sua schiena. Il piccolo ammiccò verso Ed con lo sguardo curioso e poi tornò a succhiarsi le dita. Ed non poté fare a meno di sorridere ripensando all’ultima volta che aveva visto quel bimbo: un piccolo blob rosa che strillava a pieni polmoni.
 
“È cresciuto parecchio dall’ultima volta che l’ho visto,” osservò Ed. “Winry mi ha detto che sa già parlare un pochino.”
 
“Proprio così,” confermò Satera con brio. “Sono per lo più chiacchiere senza senso, ma sa già riconoscere gli automail e adora giocarci.”
 
“Ah sì…?” biascicò Ed, realizzando che lo stordimento da medicine stava cominciando a rendergli difficile seguire la conversazione. Si premette una mano sugli occhi, avvertendo la spossatezza impadronirsi di lui. “Mi dispiace, non intendevo trattenermi così a lungo, ma…”

“Oh, non dirlo neanche, giovanotto,” lo interruppe Satera con tono severo. “In queste condizioni non ce la faresti mai a ripercorrere il sentiero fino alla città. Come minimo, pretendo che tu ti fermi a pranzo da noi, e anche Winry, quando arriverà.”
 
“Sissignora,” rispose Ed contrito, trasalendo al pensiero. Da un momento all’altro Paninya sarebbe tornata con Winry al seguito, e Ed avrebbe dovuto preoccuparsi di qualcosa di peggio di qualche fastidiosa escoriazione. Non era sicuro di quale delle due cose temesse di più: le sue urla o le sue lacrime. Ad ogni modo, sapeva che difficilmente sarebbe riuscito ad evitarle.
 
Jack, in cerca d’attenzione, emise un paio di lamenti. Satera sciolse il foulard che lo sorreggeva e lo prese in braccio, facendolo sobbalzare leggermente per calmarlo. Sorrise e guardò Ed. “Ti spiacerebbe tenermelo mentre vado a preparare pranzo?”
 
Ed spalancò gli occhi e si mise seduto, accantonando la borsa del ghiaccio. “Tenertelo? Sul serio?”
 
“Certamente,” insistette Satera. “Non ne hai avuto la possibilità la volta scorsa… tu e tuo fratello siete partiti così in fretta. Ecco, prendilo…”
 
Gli pose il bambino in grembo e Ed avvolse rapidamente le braccia attorno al fagotto per impedirgli di cadere. Osservò quella testolina spettinata che riposava sotto il suo mento e rise imbarazzato. “Non avevo mai tenuto in braccio un bambino prima d’ora. Che devo fare…?”
 
“Basta che tu non lo faccia cascare,” gli disse Satera. “E chiamami se hai bisogno di aiuto. È quasi ora del suo sonnellino, comunque, quindi non farà troppo il capriccioso.”
 
Ed la guardò uscire dalla stanza e si sentì prendere da un leggero panico. Si guardò attorno in cerca di Ridel o Dominic, ma nessuno dei due era in vista. Era solo. Ed sospirò e Jack alzò lo sguardo, curioso di scoprire da dove fosse partito quel soffio che gli aveva scompigliato i capelli. 

L’esperienza di Ed con i bambini piccoli era seriamente limitata. I ricordi che conservava dei tempi in cui Al era un poppante erano molto vaghi e pressoché inutili. Era un vero e proprio monello all’epoca, strapazzava sempre il piccolo Al e gli rubava i giocattoli, facendolo scoppiare in lacrime.
 
Oddio, cosa avrebbe dovuto fare se Jack avesse cominciato a piangere?
 
“Beh,” sussurrò Ed, nervosamente. “Allora, uh… siamo rimasti solo tu ed io, eh?”
 
Abbassò lo sguardo e realizzò che Jack non lo stava nemmeno ascoltando. Il bimbo era troppo impegnato ad infilarsi in bocca le tre dita meccaniche che erano rimaste a Ed. Il ragazzo ritirò delicatamente due dita e gli offrì il pollice, che Jack prontamente accettò. 
Ed guardò smaniosamente il suo cuscino. Gli occorse studiare attentamente i suoi movimenti per riuscire a sdraiarsi evitando di far cadere il bambino, cascare dal divano e privare Jack del suo nuovo succhiotto, ma in qualche modo ce la fece. Tirò un sospiro di sollievo una volta che fu in grado di stendersi sulla schiena con il bambino addosso, petto contro petto. Non era la più comoda delle posizioni, ma...
 
...no, in realtà era sorprendentemente confortevole.

“Non hai intenzione di rotolare e cadere giù, vero?” domandò al bambino.
 
Jack fece una bolla di saliva.
 
“Bene, perché vorrei far riposare un po’ gli occhi…”

Ed chiuse gli occhi e aspettò che l'aspirina facesse finalmente effetto, intrattenendosi con diverse fantasie di lui e Winry che prendevano a botte un Cal privo di sensi proprio al centro della strada principale di Rush Valley. Sì, era una bella immagine. E poi avrebbero potuto radunare una schiera di costruttori di automail per cacciare quel maledetto dalla città. E poi Winry avrebbe finalmente ammesso che la violenza a volte ha la sua utilità. E poi…
 
“Oooh, guarda! I piccini fanno il pisolino!”

“Paninya, ti potrebbe sentire.”
 
“Andiamo, so che vorresti prenderlo in giro anche tu.”
 
“Non ti preoccupare, lo farò. Ma solo quando le urla di mio fratello non rischieranno di spaventare il bambino.”

Un momento. La folla avrebbe dovuto prendersi gioco di Cal, non di lui…
 
Sentì Jack piagnucolare da qualche parte sotto il suo mento e qualcun altro lo sollevò. Ed aprì gli occhi, intontito, e vide Paninya in piedi vicino al divano con il bambino in braccio, poggiato su un fianco. Inclinò nuovamente il capo indietro mentre un'ombra cadde su di lui. Al lo osservava da sopra la spalliera del divano. “Sei ancora fra noi, fratellone?”
 
Ed si diede una spinta per mettersi seduto, lentamente, e si strofinò gli occhi. “Più o meno. Lei dov'è?”
 
“Chi?”

“Chi credi che intenda?” brontolò Ed, con gli occhi che guizzavano da una parte all’altra della stanza. “Vai a dire a Winry che sono sveglio, così potrà prendermi a botte e ci toglieremo subito il pensiero.”
 
Al e Paninya si scambiarono un’occhiata che a Ed non piacque per niente. Paninya si schiarì la voce e si defilò in cucina. “Credo che andrò a prendere a Jack qualcosa da mangiare…”

“Che succede?” chiese Ed, allungando il collo per lanciare a suo fratello uno sguardo perplesso. “Winry non è qui?”
 
Al scosse la testa gravemente. “No. Lei… lei non è voluta venire.”
 
Per una buona decina di secondi, quelle parole non riuscirono proprio ad acquistare un senso nella mente solitamente brillante di Ed. “Cosa significa che non è voluta venire?” domandò debolmente. “Io… che sarà sei miei automail?”
 
Al sospirò e si coprì l’elmo con uno dei suoi guanti in pelle. “Fratellone, ti voglio bene, ma a volte sai essere veramente stupido.”
 
“E questo che vorrebbe dire?”

“Winry ti aveva detto di non gareggiare!” eruppe furiosamente Al. “Cosa che tu hai fatto ugualmente. E hai finito per conciarti in questo modo, riducendo anche i tuoi automail a spazzatura. E tutto perché stavi cercando vendetta nei confronti di quel Cal, altra cosa che lei ti aveva detto di non fare.”
                                                   
“Ah. Quindi… ora lei è arrabbiata con me?”

“Questo è un modo carino e delicato per definire la situazione,” rispose Al seccamente, sedendosi accanto a lui. “Quando Paninya ci ha raccontato cos’è successo Winry non è riuscita nemmeno a spiccicare una parola, talmente era nera. Poi dopo un po’ ha detto – cito testualmente – ‘Visto che sembra così ansioso di ammazzarsi, può benissimo trovarsi qualcun altro disposto a rimetterlo in sesto.’ Poi mi pare abbia accennato a qualcosa sul fatto che tu abbia bisogno di un terapista piuttosto che di un meccanico, ma sembrava stesse cominciando a straparlare…”
 
Ed aggrottò la fronte costernato e si sporse in avanti cullando la testa fra le mani, cercando di analizzare la situazione. 
Da qualunque lato le guardasse, le cose non quadravano. Una Winry arrabbiata non lo avrebbe evitato e non avrebbe inviato un messaggero per spedirgli le sue ramanzine. Una Winry arrabbiata lo avrebbe raggiunto e travolto con tutta la sua giusta indignazione e con tutti gli strumenti contundenti che fosse riuscita a procurarsi. Questa discrepanza rispetto al suo solito modo di gestire le cose non aveva alcun senso.
 
“Fratellone, ascoltami,” disse Al quando il silenzio si fu protratto troppo a lungo. “Tu e Winry non avete fatto altro che imbestialirvi l’un con l’altra da quando siamo arrivati. L’unica volta che siete riusciti a parlare civilmente è stata quando entrambi avete deciso di fingere che tutto andasse bene. Pensavo che fossimo venuti qui a Rush Valley per lei.”
 
“Ed è così!” protestò Ed, tirato fuori a forza dalle sue elucubrazioni. “Noi siamo qui per lei!”

“Allora perché sei corso dietro a Cal pur sapendo che lei non voleva che lo facessi?” domandò Al. “Winry è convinta che l'unica cosa che ti interessi sia sconfiggere quel tizio in qualche modo, come se fosse una specie di sfida tra di voi, con lei messa nel mezzo.”
 
Ed fissò Al senza capire. “Ha detto questo?”
 
“Sì, più o meno,” ammise Al. “E sto cominciando a crederlo anch’io. Fratellone, penso davvero che dovresti provare a parlarne con lei. Senza urlare. Io ho tentato, ma con me non ha aperto bocca a riguardo. Ho la sensazione che stia aspettando te.”
 
“Sì, certo,” rise amaramente Ed. “Infatti è per questo che strilla e mi assale ogni volta che provo ad aprir bocca.”

Al gli puntò un dito sul petto, pungolandolo forte. “Winry ha chiamato te, fratellone. Ti ha chiamato nel bel mezzo della notte, mentre stava ancora piangendo. Questo dovrà pur voler dire qualcosa. Solo… provaci, ok? Dimentica Cal, dimentica i tuoi automail e prova solo a parlare con Winry. Lo farai?”
 
Ed distolse lo sguardo e ponderò per un po’ su quella richiesta. Al aveva ragione. Si era effettivamente concentrato su Cal a scapito di quasi tutto il resto. Da quando, giorni prima, aveva ricevuto quella telefonata, da quando aveva udito Winry singhiozzare per un motivo che lui non conosceva - per un fatto di cui non era lui il primo responsabile – era stato il desiderio di rivalsa a spingerlo… 
Gli bastò ripensarci perché quella bestia primordiale che si portava in petto scattasse e ricominciasse a ringhiare, reclamando vendetta. 
Ed era convinto di non aver mai veramente desiderato far del male a qualcuno in vita sua. Ma in genere ci si aspetta che tu reagisca quando qualcuno fa del male ai tuoi amici, no? Per quale motivo Winry non riusciva a capire che lui stava solo cercando di proteggerla?
 
Sono un tale codardo, pensò con disgusto quando sentì il senso di colpa contorcere le sue viscere. La vera ragione per cui era corso da una parte all’altra della città e si era fatto ridurre a un colabrodo era proprio quella di evitare quella conversazione con Winry. Forse in un primo momento era stato determinato a ottenere risposte, ma adesso una gran parte di lui voleva semplicemente continuare ad ignorare cosa fosse accaduto in quel laboratorio. Era molto più facile nascondere quel timore nei meandri della sua mente e fare finta che non esistesse, raccontandosi che Winry aveva solo avuto una brutta giornata e sperando che lei presto ritrovasse il suo solito temperamento da svitabulloni spaccaculi.

Ma ormai era abbastanza evidente che Cal l’aveva ferita più profondamente di quanto Ed avesse inizialmente pensato. Forse lei non sarebbe più riuscita a tornare la stessa. 

No, non potevano continuare così. Ed non poteva farsi abbattere da una situazione del genere, e nemmeno Winry. E se prestarle orecchio era l’unico modo per tentare di rimettere le cose a posto…

“Va bene,” disse finalmente Ed. “Parlerò con lei.”
 
“E ti scorderai di Cal?”
 
“Staremo a vedere.”
 
Fratellone…”

Ed lanciò ad Al un'occhiata gelida. “Staremo a vedere. Adesso posso avere qualcosa da mettere sotto i denti? L’odorino di quei manicaretti arriva fin qui…”
 



Il pranzo finì per durare quasi tutto il pomeriggio, non solo a causa della fame da lupi di Ed. 
I due fratelli passarono molto tempo a farsi raccontare le novità riguardo Paninya e la famiglia di Dominic. Al per un po' si mise anche a giocare insieme a Jack. Il bambino non conosceva ancora la differenza tra automail e armature e quindi era letteralmente impazzito di gioia quando si era ritrovato con un compagno di giochi interamente in acciaio.
 
Paninya decise di fermarsi da Dominic anche per cena, quindi Ed e Al ripercorsero da soli la strada giù per la collina —una bella scampagnata che terminò ben oltre il tramonto. La velocità da lumaca con cui dovevano procedere irritava Ed all’inverosimile perché, a conti fatti, non era ferito così gravemente. Erano solo graffi, tagli, lividi. Ma erano un bel po', tutti ammassati l’uno sull’altro, decine di piccole scosse di dolore che si sommavano e si intensificavano fino al punto da costringerlo a trascinare i piedi e a rallentare il loro cammino. Provò un sollievo enorme quando raggiunsero la bottega di Garfiel e Al finalmente la piantò di offrirsi di prenderlo in braccio.
 
I fratelli si fermarono appena fuori la porta del negozio, cosa che ricordò a Ed la notte del loro arrivo. Proprio come due sere prima, tutte le luci erano spente, ma questa volta la porta d'ingresso era stata lasciata aperta per loro, nonostante l'ora tarda.
 
Ed soppesò mestamente il suo braccio fuori uso. “Sai, dovremmo aver battuto una sorta di record. Questa è la terza notte che passiamo qui e Winry ancora non ha riparato il mio automail. Penso proprio di averla fatta incazzare per bene, stavolta.”
 
“Guarda che Winry ha anche altri clienti," disse Al con tono imparziale. “Ma… beh, sì, il tuo atteggiamento probabilmente non ha aiutato.”
 
Ed si grattò la nuca e alzò gli occhi verso la camera di Winry. La finestra era spalancata e le tendine oscillavano delicatamente avanti e indietro, sospinte da una brezza leggera. “Domani,” affermò con decisione. “Mentre lei lavorerà sul mio braccio, cercherò di rimettere le cose a posto.”
 
“Bene,” rispose Al, sollevato. Aprì la porta della bottega, ma non entrò subito. “In un certo senso… penso che sarà davvero una cosa positiva per il vostro rapporto.”
 
Ci volle qualche momento prima che Ed cogliesse l’allusione nemmeno troppo sottile dietro le parole del fratello, poi il ragazzo arrossì leggermente. “Ma che razza di pensieri ti sei messo in testa, Alphonse?!” abbaiò.

“Perché?” replicò Al con finta innocenza. “Sto solo dicendo che tu e Winry potreste cogliere questa opportunità per riconnettervi ad un livello emotivo più profondo…”
 
“No, Al! Non ripeteremo di nuovo questa conversazione!”
 
“…e poi magari riusciresti ad esprimere quei sentimenti che stai tenendo rinchiusi in te stesso da un bel po’…”
 
“Io non esprimerò proprio niente!”
 
“…e tu sai che i fiori sono sempre un ottimo espediente per addolcire l’umore…”
 
Ed colpì il petto vuoto di Al così forte che il rumore del colpo risuonò per tutta la strada. “A me NON PIACE Winry!”
 
Al gettò uno sguardo eloquente alla finestra sopra di loro, mentre i suoi occhi sembravano brillare di giubilo. 
Quella finestra era aperta. Ed impallidì e annaspò in cerca d’aria. Lanciò al fratello un’occhiata assassina e si trascinò all’interno della bottega, ignorando l’elmo di Al che oscillava con un cenno di divertita intesa. Forse, se la fortuna era dalla sua parte, Winry era beatamente addormentata e non aveva sentito il suo grido frustrato. L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era che lei fraintendesse tutto e pensasse sul serio che lui…
 
Ed sbuffò e depose l'attrezzatura da corsa accanto al suo bagaglio, poi cominciò a marciare su per le scale, pianificando una veloce puntatina in bagno prima di gettarsi finalmente sul divano del laboratorio. 
Ridicolo! Winry non gli piaceva in quel senso, ed era francamente stanco di tutta quella gente che sosteneva di saperne più di lui! Ovunque andasse c'erano persone che cercavano di spacciarli per due eterni fidanzatini. Ok, Ed doveva ammettere che guardando le cose dall’esterno, solo i fatti nudi e crudi, le cose potessero effettivamente portare a conclusioni simili. Erano nati nello stesso paese a poca distanza di tempo l’uno dall’altra, erano cresciuti assieme, avevano frequentato la stessa scuola, una era una costruttrice di automail e l'altro era in possesso di due arti meccanici costruiti da lei e sua nonna…
 
Ma, solo per questo, tutti erano convinti che la loro storia d’amore fosse scritta nelle stelle. Come se lui e Winry fossero inevitabilmente destinati a percorrere insieme il tragitto verso l'altare, piuttosto che rimanere due individui separati, ognuno con le proprie idee su come vivere la vita.
No, la gente non poteva farla così semplice. E anche se per pura ipotesi Ed avesse scoperto di covare qualche vago sentimento di quel genere, non era mica garantito che per Winry fosse lo stesso.
 
Se questo fosse stato il caso, lei avrebbe già detto qualcosa a riguardo, no?
 
Ed arrivò ​​in cima alle scale e si trovò davanti la porta della camera di Winry, leggermente socchiusa. Si avvicinò il più silenziosamente possibile, osservando pensieroso la minuscola porzione di stanza visibile. Non c'era niente di male nel loro rapporto di amicizia. Quello che avevano era… andava bene. Era confortante, sicuro, familiare. Ed non avrebbe mai e poi mai osato incasinare tutto per qualcosa di inutile e patetico e transitorio come una cottarella.
 
Oltretutto, pensò amaramente, Winry sembrava passarsela benissimo senza di lui. Si era data fin troppo da fare per farglielo capire.
 
Allungò la mano e fece per chiudere la porta, in modo da evitare che la luce filtrante dal corridoio potesse dar fastidio alla ragazza. Ma le tre dita meccaniche persero la presa sulla maniglia e quella piccola spinta fu sufficiente per allargare maggiormente lo spiraglio della porta, che si aprì con un lieve cigolio. Ed si tirò indietro mentre la luce investì la stanza e il letto di Winry, aspettandosi da un momento all’altro occhiate feroci e chiavi inglesi volanti.
 
Ma di Winry non c’era traccia. La sua stanza era vuota. 
Ed indietreggiò ancora e guardò su e giù per il corridoio. La ragazza non era nel bagno e nemmeno all’interno della seconda camera da letto riservata ai clienti neo-operati. Ed era assolutamente fuori discussione che si trovasse nella stanza di Garfield a quell’ora di notte, al buio…
 
Ed si scordò della sua capatina in bagno e si voltò verso le scale, scendendo i gradini due alla volta. Completamente sordo alle richieste di spiegazioni di Al, cominciò ad esaminare palmo per palmo i vari locali della bottega, lasciando il laboratorio per ultimo. Lì trovò segni di attività recente. Strumenti fuori posto e una tazza di caffè freddo poggiati sul piano di lavoro accanto a qualche nuovo progetto accuratamente avvolto in fogli di tela pesante.

L'unica cosa che mancava in quel bel quadretto era il suo meccanico.
 
“Fratellone?” lo chiamò Al, confuso, in piedi sulla porta del laboratorio. “Cosa c'è che non va?”

Ed si voltò lentamente, percependo i gelidi artigli del panico attanagliargli le viscere, senza nemmeno conoscerne il motivo. “Winry non c’è.”
 


 
 

 Continua...

 


*** 


Nota dell’autrice
Io per prima ammetto che questo capitolo sia un po' noiosetto, ma era assolutamente necessario per l'avanzamento della trama. Ci stiamo avvicinando agli aspetti romantici della vicenda, quindi ci ho messo una spruzzata di EdWin qua e là, giusto per farvi venire l'acquolina in attesa dei prossimi capitoli!  
 
 
Nota della traduttrice

Io invece non l'ho trovato così noioso questo capitolo di transizione, tanto che ne ho completato la traduzione con relativa velocità! XD
Ringrazio tutti coloro che han letto finora e in particolare martyki, IllyElric
 SAKURACHAN_KumikoKurokawa per gli ultimi commenti :)

A presto con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs

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Capitolo 8
*** Scars ***


Questa fanfiction è stata tradotta da ChiuEs con il permesso dell'autrice

 

 

Capitolo 8

Scars



Dannazione, Winry, dove sei sparita?”
 
Quella ragazza avrebbe potuto rendergli tutto più facile. Avrebbe potuto lasciare le cose come stavano. Avrebbe potuto restarsene tranquilla a letto, concedendo a Ed di godersi un po’ di meritato riposo notturno dopo quella scarpinata interminabile e una giornata incredibilmente merdosa. Invece no. Lei aveva preferito sparire in piena notte senza lasciare la minima traccia, riuscendo a rendere la merdosa giornata di Ed ancor più merdosa.
 
Ed costrinse il suo corpo pesto e dolorante ad avanzare, percorrendo le strade buie come un segugio che segue una scia, sebbene non desiderasse altro che rannicchiarsi in un cantuccio come un gatto randagio e attendere il sorgere del sole. Probabilmente stava reagendo in maniera esagerata, come aveva detto Al, ma ancora non se la sentiva di girare i tacchi e tornare indietro. La stessa cantilena disperata che tre giorni prima lo aveva spinto a recarsi fino a Rush Valley aveva ricominciato a echeggiare nella sua testa, con lo stesso ritmo frenetico dei battiti del suo cuore.
 
Trova Winry. Trova Winry. Non perdere tempo, non stare a pensare, trovala e basta…
 
Deviò in un vicoletto e appoggiò la schiena contro il muro.
Non avrebbe concluso niente continuando a vagare senza un piano preciso, doveva riflettere. Winry poteva aver avuto mille ragioni valide per decidere di farsi un giro a quell'ora di notte. Forse era stata colta da un’ispirazione improvvisa per quel progetto – qualunque cosa fosse - su cui stava lavorando e, magari, era uscita sperando di recuperare i componenti di cui aveva bisogno prima che i negozi chiudessero.
 
Nah, improbabile. Aveva notato che a Rush Valley il giorno era completamente dedicato al lavoro, ma dopo il calar del sole era tutta un'altra storia. La sera era il momento giusto per uscire a cena fuori e bere con gli amici oppure per rilassarsi nel comfort di casa propria. La maggior parte delle botteghe chiudeva al tramonto e, stando alle poche informazioni di cui Ed era in possesso, Winry aveva lasciato la bottega solo dopo che Garfiel era andato a dormire. Questo che era un dettaglio interessante. Winry non voleva far sapere a Garfiel dove avesse intenzione di andare, quindi aveva atteso che lui si ritirasse nella sua stanza, così da non dover inventare una scusa.
 
Ed inclinò la testa indietro e la sbatté non troppo dolcemente contro il muro. Non aveva la minima idea di dove quella ragazza si fosse potuta cacciare. Sapeva davvero così poco della vita che Winry conduceva a Rush Valley? Se fossero stati a Resembool, avrebbe saputo elencare almeno una mezza dozzina di posti in cui lei sarebbe potuta trovarsi, per un motivo o per l'altro.
 
Beh, pensò con una punta di disagio, suppongo sia una forma di Scambio Equivalente. Nemmeno lui si era mai premurato di mettere Winry al corrente di tutto ciò che lui e Al avevano visto e affrontato durante la ricerca della Pietra Filosofale.
 
Ed controllò l'orologio alla luce di un lampione. Si stava facendo terribilmente tardi. Magari Winry aveva già fatto ritorno alla bottega.
Fece correre lo sguardo da un capo all’altro della strada vuota, squadrando le poche persone che si trascinavano verso casa. All’improvviso, un balenio di capelli biondi qualche lampione più in là attirò la sua attenzione. Cercò di osservare meglio, strizzando gli occhi nel buio. Sì, quella in fondo alla strada era senza dubbio Winry. Fece due lunghi passi nella sua direzione, ma poi qualcosa lo trattenne dal raggiungerla. La ragazza sembrava avere uno scopo preciso, avanzava con lo sguardo corrucciato puntato verso terra e teneva le mani strette a pugno mentre girava l’angolo.
 
Incuriosito, Ed cominciò a correrle dietro. La seguì lungo diverse stradine, grato di aver lasciato il suo vistoso cappotto rosso a casa di Garfiel. Bastavano già i suoi vestiti scuri e laceri ad attirare gli sguardi sospettosi di alcuni passanti, ma Ed si strinse nelle spalle, cercando di muoversi con un’andatura disinvolta e un atteggiamento distaccato. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcuno lo scambiasse per uno di quei pervertiti che tampinano le ragazze fin sotto casa.
 
Winry non stava tornando alla bottega. Si stava muovendo nella direzione opposta, svoltando in una viuzza disseminata di locali e ristoranti chiassosi e animati. Ed inarcò le sopracciglia, incredulo, quando la vide entrare in un pub senza alcuna esitazione, come fosse stata una cliente abituale. Winry che beveva?
 
Non ci avrebbe creduto finché non l’avesse vista con i suoi occhi.
Attraversò la strada e aprì la porta del locale quel tanto che bastava per entrare, cercando di non attirare l'attenzione su di sé. L'interno era semibuio e gremito di gente, per lo più ragazzi. Ed era sicuro - ci avrebbe scommesso l’orologio d'argento - che almeno un paio di loro fossero minorenni, sebbene stessero cercando di non darlo a vedere. L’uomo al bancone sembrava essere l'unica persona effettivamente sopra i venticinque anni, ma se l’età reale dei suoi clienti non interessava a lui non c’era motivo che altri se ne preoccupassero, no?
Ed si allungò per vedere oltre le teste di alcuni avventori e scorse Winry in piedi in fondo al locale, accanto a tavolo attorno al quale sedevano persone che lui non conosceva.
 
Anzi, una sì.
 
Callahan.
 
Ed sgusciò di lato e andò ad appoggiarsi contro uno dei pilastri in legno, cercando di nascondersi come meglio poteva alla loro vista. Non riusciva a sentire una parola a causa di tutto il chiacchiericcio che riempiva quelle mura, ma per farsi un’idea della conversazione gli bastò osservare. Winry, che era in piena modalità ‘predicozzo’, sputava parole di rabbia mentre Cal non si degnava nemmeno di guardarla negli occhi. Uno dei ragazzi al tavolo fece un commento sprezzante, che divertì i compagni al punto di farli ululare in segno di apprezzamento, e questa fu l'ultima goccia per Winry. Afferrò Cal per il colletto e lo trascinò giù dalla sedia, spingendolo attraverso porta sul retro del pub mentre quegli altri accompagnavano la scena fischiando e berciando.
 
Ed ignorò quel tavolo di idioti e si lanciò rapidamente al seguito del suo meccanico. Il pensiero di Winry sola con Cal era sufficiente per renderlo… beh, non proprio folle, ma ci stava andando dannatamente vicino. Non c'era verso che se ne tornasse a casa senza ottenere una spiegazione. Sospinse la porta sul retro e la aprì con cautela, ritrovandosi all’interno di un piccolo corridoio. C’era una seconda porta che dava su un vicolo. Era stata lasciata socchiusa, cosa che permise a Ed di udire le voci di Cal e Winry attraverso il piccolo spiraglio.
 
“…cercato dappertutto, ma avrei dovuto immaginarlo che ti avrei trovato qui insieme a quel branco di idioti…”
 
“Devi smetterla d’importunarmi, donna!” scattò Cal. “Cazzo, se sei qui per la storia del tuo amichetto…”
 
“Puoi scommetterci che sono qui per quello!” disse Winry aspramente. “So tutto di quella sfida e del tuo piccolo trucchetto con la ghiaia.”
 
“Ehi, quella della ghiaia non è stata una mia idea,” replicò Cal ad alta voce. “E ho dato al tuo amichetto l’opportunità di andarsene, quindi è colpa sua se si è cacciato in una situazione più grande di lui. Dovresti portartelo in giro legato al guinzaglio, se ti fa preoccupare così tanto.”
 
“Posso immaginare giusto un paio di cosette che potresti avergli detto per convincerlo a non tirarsi indietro,” sibilò Winry. “Ora ascoltami… voglio che tu stia lontano da lui finché non gli avrò sistemato l’automail e lui non sarà ripartito. Se scoprirò che hai tentato nuovamente di avvicinarlo in qualche modo, dovrai preoccuparti di qualcosa di molto più grave di un po’ di sangue dal naso! Intesi?”
 
Una volta ripresosi dalla sorpresa iniziale, Ed fu costretto a premersi una mano sulla bocca per soffocare un’incombente risata. Winry che minacciava Cal? Per proteggere lui? C'era decisamente qualcosa di sbagliato in quella scena!
Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi offeso per quell’attacco diretto alla sua virilità, ma era troppo occupato ad esultare e tifare interiormente per Winry. Aveva finalmente sfoderato quel piglio battagliero che ancora non si era manifestato da quando lui e Al erano arrivati a Rush Valley!
 
Ma Ed non fu l'unico a ridere.
 
“M-ma che combinate voi due?” domandò Cal, sghignazzando come se la dichiarazione di Winry fosse stata la barzelletta più divertente che gli era capitato di sentire da molto tempo. “È una specie di gioco di squadra quello che fate? Prima tu cerchi qualcuno da sedurre e ottieni la sua attenzione, poi lo illudi e alla fine convochi in tua difesa quel tuo nobile cavaliere?”
 
La voglia di ridere svanì. C’erano talmente tante cose sbagliate in quella frase che Ed francamente non riusciva a decidere contro quale di esse avrebbe dovuto scagliarsi per primo, ma sentì presto crescere una buona dose di dirompente indignazione a proposito di quel ‘nobile cavaliere’. Tanto per puntualizzare, Winry lo costringeva sempre a impersonare il drago quando giocavano, da bambini. E ogni volta toccava a quel nanerottolo spregevole di Alphonse uccidere il brutto mostro, salvare la principessa e condurla nel suo regno oltre l’orizzonte…
                                            
Winry inspirò rumorosamente. Quando si decise a parlare, a Ed parve di udire distintamente la sua voglia di piangere. “Te lo ripeto per l'ultima volta, io non ho cercato di sedurti! Non ho fatto niente, sei tu che ti sei messo in testa che—!”
 
“Mi sto stancando di sentire queste scuse,” sospirò Cal, respingendo le parole della ragazza con un gesto della mano. “Voglio tornare dai miei amici, quindi perché non te ne torni a giocare con quegli stupidi ammassi di metallo che chiami automail?”
 
Ed udì i suoni ovattati di una piccola zuffa e poi un grido di dolore da parte di Cal.

Non mi importa quello che dici di me, ma non azzardarti mai più a insultare il mio lavoro—!”
 
Poi un sussulto e un gemito strozzato… qualcuno era stato sbattuto contro un muro. Winry. Ed diede una spallata alla porta e si guardò intorno. A prima vista il vicoletto sembrava vuoto, ma riusciva a sentire le voci dei due ragazzi provenire da dietro un cassonetto qualche metro più in là. Coprire quella distanza sarebbe stata questione di un attimo, ma a Ed parve di percorrere un tragitto infinito.
 
“Lasciami andare,” ordinò Winry con tono apparentemente calmo, anche se era percepibile un leggero tremito nella sua voce. “Lasciami andare, subito!”
 
“Non credo che tu lo voglia sul serio,” mormorò Cal, abbassando la voce fino a renderla roca. “Allora non sei sempre così frigida come pensavo… Se avessi saputo che bastava parlare del tuo lavoro per far emergere questo lato di te, ti avrei steso su quel tavolo più velocemente di quanto—”
 
Non ebbe la possibilità di finire la frase. Ed aveva aggirato il cassonetto e stretto il braccio meccanico intorno alla gola di Cal, trascinandolo lontano dal muro contro cui era stata intrappolata Winry. Cal annaspava, aggrappandosi al suo braccio, ma Ed non aveva la minima intenzione di allentare la presa.
 
“Giù le mani da lei!” gli ringhiò in un orecchio. “Altrimenti sarai costretto a dire addio anche a tutti gli altri arti!”
 
“Ed!” gridò Winry, spalancando gli occhi. “Ed, ma cosa— come hai fatto—?”
 
I piedi di Ed persero bruscamente il contatto col suolo quando Cal gettò il suo peso all’indietro e lo mandò a sbattere violentemente contro il muro alle sue spalle. L’impatto gli spezzò il respiro e Ed si ritrovò a grugnire tentando di non mollare la presa. Cal afferrò il polso di Ed e cominciò a tirare per allontanarlo dal suo collo. Due braccia meccaniche stavano lottando l’una contro l'altra, con gli ingranaggi che piagnucolavano in segno di protesta. Se l’automail di Ed fosse stato in perfette condizioni non ci sarebbe stata partita, ma uno strano spasmo al gomito lo avvertì che il braccio era ormai allo stremo.
 
All’improvviso, infatti, l’articolazione del gomito cedette e si scalzò. Cal afferrò l’avambraccio di Ed, che ormai penzolava mollemente, e se ne servì per scaraventare il ragazzo contro un paio di cassonetti. Ed quasi perse i sensi quando la sua spalla urtò dolorosamente, ma per fortuna non si slogò di nuovo. Le mani di Cal agguantarono il retro della sua maglietta, ma prima che potesse fare qualsiasi altra cosa Winry lo colpì con un calcio sul costato, forte. Non appena il ragazzo lasciò Ed, lei fece oscillare il coperchio di un bidone per abbatterlo sulla sua testa. Il fendente andò a segno solo di striscio, colpendo Cal sulla tempia e facendolo imbestialire ancor di più. Winry tentò un secondo colpo ma lui intercettò il coperchio a mezz’aria e glielo strappò di mano, gettandolo via.
 
Ne ho abbastanza di te, stronza!”
 
Il grido di avvertimento di Ed arrivò troppo tardi e non poté in alcun modo impedire a Cal di sferrare il suo pugno. Il suo pugno metallico. Cal non tentò nemmeno di dosare la forza con cui colpì Winry esattamente all’altezza della mascella. La testa della ragazza si girò di scatto e Ed, nella foga del momento, ebbe seriamente timore che le si fosse spezzato il collo. Winry cadde a terra scompostamente, come una bambola di pezza, e non mosse più un dito.
 
A quella vista la bestia che dimorava nel petto di Ed ruggì e si liberò, e questa volta lui non fece nulla per arginarne la furia. Si gettò su Cal con un ruggito animale, scagliandosi contro il volto e il petto di quel bastardo con i suoi tre arti rimasti. Si rendeva conto a malapena degli attacchi che Cal sferrava a sua volta, perché la rabbia che lo stava avvolgendo gli impediva di avvertire i nuovi lividi che andavano ad accumularsi sopra i vecchi o di farsi distrarre dalle fasciature ormai lacere che ricadevano e fluttuavano attorno al suo corpo ossesso come i bendaggi di una mummia.
In quello scontro non c’era spazio per tecniche e movimenti studiati, niente che avesse a che fare con l’onore o l’orgoglio. Quello scontro era violenza pura, brutale e viscerale. L’esito che avrebbe avuto non interessava a nessuno dei due: ciò che importava era ferire l’avversario ogni volta che se ne avesse la possibilità.
 
I due erano finiti a pestarsi di fronte alla porta del pub proprio nel momento in cui la porta del locale si spalancava e un gruppetto di persone uscì sulla strada. Ed li notò appena. Non gli importava chi assistesse alla lotta, bastava che non intervenisse. Ma quelli lo fecero. Gli amici di Cal erano troppo brilli per unirsi alla rissa ma ancora abbastanza sobri da immischiarsi e provare a separare i loro corpi avvinghiati. Ed si ritrovò inchiodato al muro, trattenuto da tre paia di braccia, mentre Cal si rimise in piedi.
 
Ed cercò di liberarsi dalla stretta di quelle persone, urlando parole che lui per primo riusciva a comprendere a stento. “Lasciatemi andare bastardi, non provate a fermarmi! Io ti AMMAZZO, cazzo, io ti—!
 
“Che cosa sta succedendo qui?” domandò uno dei nuovi arrivati. “Chi è questo ragazzino?”
 
“Oh merda!” strillò un altro, indicando Winry, che ancora giaceva a terra. “Cosa è successo alla tua ragazza?”
 
“Che cosa ti pare che sia successo?” replicò Cal con uno sbuffo, pulendosi un rivolo di sangue dal mento. “Ci stavamo facendo gli affari nostri, poi questo ragazzo ci ha visti scherzare un po’ e
 
“No… non è andata affatto così.”
 
Cinque teste si girarono contemporaneamente verso la ragazza sdraiata sul selciato del vicolo, e il cervello di Ed finalmente si liberò di ogni pensiero omicida. Winry si stava lentamente riprendendo, e si accovacciò sulle ginocchia tamponando con la mano lo squarcio che le si era riaperto sul labbro. Il suo mento era completamente macchiato di sangue, che ancora grondava copiosamente dalla ferita. A quella vista Ed deglutì di riflesso, ripensando alle innumerevoli volte in cui anche lui aveva assaporato il suo stesso sangue. Si liberò dalla stretta degli amici di Cal, ancora distratti, e andò a inginocchiarsi davanti alla ragazza, spostandole la mano in modo da poter constatare quanto fosse messa male.
 
Si avvicinò loro uno dei compagni di Cal, un ragazzo più grande d’età, con i capelli rosso scuro, e Ed automaticamente si accostò a Winry con fare protettivo. Ma il ragazzo si limitò a lanciare a Ed un’occhiata curiosa, offrendo loro la bandana che fino a un momento prima aveva tenuto avvolta intorno al suo braccio. Ed la agguantò e la porse a Winry, che se la premette sul labbro.
 
“Cos’è successo?” domandò pacatamente il rosso, rivolgendosi a Winry.
 
“Te l’ho appena spiegato!” sbottò Cal con impazienza.
 
“È stato Cal a colpirmi,” ribatté Winry, con un tono così limpido e greve che nessuno avrebbe potuto dubitare della sua veridicità. “E Ed è intervenuto per proteggermi.”
 
Gli amici di Cal si scambiarono occhiate smarrite, cercando di analizzare le versioni contrastanti. Il ragazzo della bandana aggrottò la fronte, pensieroso. Si inginocchiò e con molta attenzione asciugò il sangue dal mento di Winry, esaminando la ferita. Poi afferrò molto meno delicatamente il polso destro di Ed e scrutò le nocche della sua mano meccanica.
 
“Queste viti non corrispondono alle impronte sul suo mento,” annunciò a tutti i presenti, guardando Cal. “E, ad ogni modo, non ha abbastanza dita per poter sferrare un pugno. A parte lui, tu sei l'unico qui a possedere un automail, Cal.”
 
Cal fece una smorfia, biascicando alla ricerca di qualche scusante. “Oh, andiamo ragazzi…”
 
Il rosso si rialzò, con in volto un’espressione di estremo ribrezzo. “Amico, io ho una sorella! Chi mi assicura che la prossima volta che avrai voglia di menar le mani non toccherà a lei?”
 
Cal si rivolse agli altri, cercando manforte, ma anche loro sembravano stare dalla parte di Winry. Cal ribolliva, guardando Ed e Winry con smodato disgusto, e alla fine si allontanò a grandi passi dal vicolo. Winry soffocò un singhiozzo, ma con una rapida occhiata al suo viso Ed poté constatare che si trattava di un gemito di dolore più che di un pianto trattenuto. Un labbro spaccato fa male, chiunque tu sia.
 
“Andiamo,” mormorò Ed. Non avrebbe saputo determinare se la sua voce stesse tremando a causa della rabbia o della paura. Forse entrambe le cose. “Torniamo da Garfiel. Dai, Win…”
 
Winry gli permise di avvolgere l’ormai unico braccio funzionante attorno al suo busto e si fece aiutare a rimettersi in piedi. Dopo qualche attimo di tentennamento, Ed decise di continuare a tenere il braccio attorno alla sua vita. In una situazione del genere, nessuno avrebbe potuto scambiare quel gesto per una romanticheria, no? No, apparentemente no, infatti Winry non si oppose in alcun modo e a sua volta avvolse il braccio attorno al busto di Ed, appoggiando la testa sulla sua spalla.
 
Il rosso tenne d’occhio la sagoma di Cal finché non si fu assicurato che se n’era veramente andato, poi si voltò verso di loro lasciandosi sfuggire un brontolio di rabbia. “Ho sempre pensato che Cal fosse un farabutto, ma sinceramente non mi sarei mai aspettato che potesse arrivare a tanto. Ce la fai ad accompagnarla a casa da solo?”
 
Ed annuì, poi ripeté il gesto anche verso gli altri, in segno di ringraziamento. Fra di loro non gli parve di riconoscere i due arbitri della sfida di quella mattina. Probabilmente questi ragazzi erano solo compagni di bevute di Cal, conoscenti che occasionalmente incontrava al bar e a cui si univa per un paio di bicchieri a fine giornata. Non c’era da meravigliarsi che avessero osato voltargli le spalle così facilmente.
 
“Ehi,” mormorò Winry, sorridendo debolmente dietro alla bandana. “Grazie per il vostro aiuto. Mi dispiace di avervi dato degli idioti.”
 
Gli altri accettarono le scuse e borbottarono un saluto affrettato prima di rientrare nel locale, ma il rosso si fermò sulla soglia e sfoggiò un sorriso disarmante. “Nessun problema. Rockbell, giusto? I tuoi lavori non sono niente male. Magari un giorno di questi perderò un braccio e passerò in bottega a prenotare un appuntamento.”
 
Ed sbatté le palpebre, incredulo nell’udire la nota spensierata dietro quelle parole. Da quando perdere un braccio era diventata una cosa divertente? Guardò Winry in cerca di una spiegazione… e rimase di stucco vedendola arrossire.
 
“E-ehm,” balbettò la ragazza, facendo correre lo sguardo fra il rosso e Ed. “I-in questo momento la mia agenda è un po’ piena…”
 
“Okay, ho afferrato.” ridacchiò il ragazzo, alzando le mani in segno di resa. “Questo ragazzo è un cliente con la precedenza, giusto? Portala a casa sana e salva, biondino.”
 
Ed attese che la porta si chiudesse alle spalle del rosso prima di rivolgersi a Winry. “Cliente con la precedenza? Non capisco.”
 
Winry si strinse nelle spalle mentre cominciarono a zoppicare verso la strada principale. “Beh… lui stava… ehm…”
 
“Cosa?” domandò Ed.
 
“Ci stava provando con me,” mormorò Winry, diventando ancor più rossa. “È che… beh sai, con tutte queste botteghe di automail, il gergo giovanile di questo posto si è… evoluto in quella direzione.”
 
Ed si fermò di colpo, i pensieri accartocciati attorno ad un unico concetto. “Ci stava provando? Ma… ma ha solo parlato di prenotare un appuntamento in bottega! Se qui tutti si esprimono in questo modo come si fa a distinguere i veri clienti dai— dai—”
 
Marpioni?” suggerì Winry con malizia.
 
Ed lanciò nuovamente uno sguardo verso il pub e strinse la sua presa su Winry mentre cercava di schiarirsi le idee. Provarci. C'erano dei tizi che ci provavano con Winry. Che, a guardarla bene, in effetti non era poi così male. In altre circostanze lo avrebbe negato fino alla nausea, ma in quel momento non riusciva a raccontarsi troppe bugie, con il braccio che circondava quel corpo caldo e insospettabilmente formoso…
 
“Non riesco a capire perché ci stesse provando con te,” esclamò a voce alta, soffocando i pensieri e maledicendo Al per avergli messo in testa quei discorsi strani, poco prima. “Probabilmente quel tipo non immaginava neanche in che guaio stava per andare a cacciarsi, altrimenti se ne sarebbe rimasto alla larga fin da subito.”
 
“Non fare il cafone, Ed,” mormorò Winry, senza molta energia.
 
Il cammino di ritorno alla bottega di Garfiel fu tranquillo. Più di una volta Ed aveva aperto la bocca per rompere il silenzio, ma l’atteggiamento remissivo di Winry lo aveva trattenuto dal provare ad avviare una conversazione o fare altre domande. Continuava a guardare preoccupato la bandana, che a poco a poco diventava sempre più rossa, e fu tentato di suggerire una deviazione dal medico più vicino, per vedere se c’era bisogno di punti, ma qualcosa gli disse che Winry si sarebbe opposta a quell’idea con le unghie e con i denti.
 
Le luci della bottega di Garfiel erano ancora spente quando arrivarono. Evidentemente Al non aveva ancora concluso le ricerche nella sua metà della città. Ed mollò Winry sulla sedia più vicina e, non preoccupandosi nemmeno di cercare un interruttore della corrente, andò a prendere del ghiaccio. Winry avvolse attorno ad esso la bandana e appoggiò l’impacco freddo al labbro, piegata in due sulla sedia. Ed fece per appoggiarsi al tavolo, ma finì disteso sul pavimento poichè il braccio rotto si era rifiutato di sostenere il suo peso.
 
Winry immediatamente si allungò per tastare l’automail, ma Ed trasse il braccio fuori dalla portata della ragazza e si alzò. “Potrai darci un’occhiata domani,” disse con tono severo. “In questo momento non sei assolutamente in grado di lavorare.”
 
“Ma… guarda il tuo braccio!” protestò Winry. “Potrebbero esserci frammenti o parti allentate sparse all’interno del rivestimento… si rovineranno i fili!”
 
“Per questo c’è tempo. Tu sei più importante!”
 
“Ed, io sto—!”
 
“Non azzardarti a dirmi che stai bene!” esplose Ed, con rabbia. “Quel bastardo ti ha quasi spaccato i denti!”
 
Winry chinò la testa, ma a Ed non sfuggirono le occhiate furtive che la ragazza gli lanciava, prendendo nota della gravità dei vari danni alle parti meccaniche causati dalla gara e poi dalla scazzottata. E questo fece rabbuiare Ed ancora di più. Winry se ne stava lì, a grondare sangue su tutto il dannato pavimento, eppure ancora una volta era lui a far preoccupare lei!
 
Tese la mano per aiutarla ad alzarsi dalla sedia. Non appena lei si fu rimessa in piedi, Ed la sollevò per la vita e se la issò sopra la spalla. Quella manovra rischiò seriamente di trasformarsi in un duplice schianto a terra – il dolore alla spalla si era riacutizzato e le gambe affaticate tremavano a causa dell’aumento del peso da sostenere - ma in qualche modo Ed riuscì a rimanere in piedi. Winry mugolò qualche parola di sorpresa e si aggrappò con forza a lui quando il ragazzo iniziò a salire le scale. “Edward—!
 
“Ti porto a letto,” annunciò Ed, grato che lei non avesse potuto scorgere il suo sussulto imbarazzato non appena si era reso conto del potenziale doppio senso. “Hai bisogno di dormire un po’,” riformulò. “Hai lavorato tutto il giorno e invece di prenderti una pausa sei andata in cerca di una rissa. Di tutte le cose stupide e idiote—”
 
Non sono andata in cerca di una rissa!” ribatté Winry, alzando la voce per farsi sentire mentre Ed chiudeva la porta della sua camera con un calcio.
 
“Sì, certo,” disse Ed, sardonico. “Infatti non hai trascinato Cal fuori da un locale e non hai minacciato di spaccargli il naso.”
 
Winry si bloccò. “Hai ascoltato? C-cos’altro hai…?”
 
“Abbastanza,” la interruppe Ed. “Ho sentito abbastanza.”
 
Il silenzio e la docilità che seguirono gli consentirono di trovare con relativa facilità una via attraverso i vestiti e gli utensili sparsi su tutto il pavimento e di raggiungere il letto per deporvi la ragazza. La testa di Ed girava leggermente a causa dello sforzo improvviso, così rimase anche lui seduto sul materasso per riprendere un po’ di fiato. Riusciva a sentire distintamente lo sguardo di Winry fissargli la nuca, ma non tentò nemmeno domandarsi a cosa stesse pensando. Gli eventi appena trascorsi aleggiavano ancora sopra le loro teste, come una nuvola scura.
 
“Ed, posso chiederti una cosa?” chiese Winry, adagio. “Tu… rispondimi onestamente.”
 
La ragazza si sollevò su un gomito, mentre con l’altra mano continuava a sostenere la borsa del ghiaccio. Ed si sentì sollevato nel constatare che il sanguinamento stava già rallentando. Lei sembrava essere combattuta fra il porre effettivamente la sua domanda oppure no, e continuava a voltarsi ogni volta che i loro sguardi s’incrociavano.
 
“Pensi che… a volte… sembra che io… mi vesta male?”
 
“…mi stai chiedendo dei consigli di moda?” ribatté Ed, incredulo. “Scusa ma non mi pare proprio il momento adatto per questo genere di discorsi.”
 
Winry lo fissò. “No, non intendevo in quel senso!”
 
“Allora cosa intendevi?”
 
“I-io vorrei,” balbettò Winry, parlando con una voce così flebile che Ed quasi non riuscì a udirla. “Voglio sapere se… se pensi che il mio modo di vestire sia…”
 
“Sia…?”
 
“Provocante,” mormorò lei a denti stretti.
 
Sì, udire quella parola fu decisamente più sconcertante che sentirsi richiedere consigli di moda.
Nei lunghi attimi di silenzio nei quali Ed cercò di assemblare nella sua testa un qualsiasi concetto coerente, Winry rimase immobile. Non sembrava neppure che stesse respirando. Pareva che sentire il responso di Ed fosse l’unica cosa al mondo che le importasse, in quel momento.
 
“M-ma che stai dicendo?” sbottò Ed, sforzandosi per far uscire le parole. “Chi ti ha detto che…?”
 
Ma indovinò la risposta ancor prima di finire la domanda. Si premette una mano sugli occhi, talmente sfinito da non riuscire nemmeno a richiamare a sé la rabbia. “Cal… ovvio, chi altri sarebbe potuto essere? Ti ha veramente detto così?”
 
“Tra le altre cose,” ammise Winry con voce debole.
 
Ora si spiegavano un sacco di cose. Come l’improvviso desiderio di Winry di assomigliare ad una vecchia zitella, ad esempio. Ma questa rivelazione fece incazzare Ed ancora di più. “Ma perché ti sei messa in testa che lui avesse ragione? E, tanto per rispondere alla tua domanda, no. Non c'è niente di… provocante nel tuo modo di vestire!”
 
Winry alzò un sopracciglio, incredula. “Davvero? Niente?”
 
“Sì, niente!” disse Ed con impeto. “Winry, da quanto tempo ci conosciamo noi due? Non credi che io sappia di cosa sto parlando?”
 
Ancora non sembrava convinta, ma almeno lo stava ascoltando. Ed si guardò intorno in cerca di una qualsiasi ispirazione a sostegno della sua tesi e individuò qualcosa di nero sul pavimento. “Okay, prendi quella specie di top a tubo, per esempio. Mostra più pelle di qualsiasi altra maglietta tu possegga, ma tu lo indossi lo stesso. Perché?”
 
“Ehm,” vacillò Winry. “Perché… beh, perché è ​​comodo. E quando lavoro non mi fa venire caldo…”
 
“Bene,” disse Ed con tono pragmatico. “Sono motivazioni perfettamente logiche, per nulla mirate ad attirare l’attenzione. Ti ho vista lavorare con quel coso addosso moltissime volte, e tu eri sempre concentrata al cento per cento sul tuo lavoro. Minacciavi di staccare la testa a morsi a chiunque tentasse di distrarti. Se il tuo intento fosse quello di sedurre, staresti tutto il tempo a sciorinare quegli strani doppi sensi sugli automail.”
 
Quella frase riuscì a strapparle un debole sorriso. Debole a causa del labbro, che ancora le pulsava. “Hai uno strano modo di rincuorare la gente, Ed.”
 
“Ma che dici, io sono un esperto!” si lodò il ragazzo. “Allora, ci siamo capiti oppure devo raccattare ogni singolo pezzo di vestiario sparso qui attorno finché non la smetterai di comportarti da idiota?”
 
Winry posò l'impacco di ghiaccio e la bandana sul comodino, con uno sguardo ancora troppo turbato per i gusti di Ed. “Non si tratta solo dei vestiti. Lui… ha detto qualcosa riguardo al mio comportamento nei confronti dei clienti…”
 
“Per il fatto che sei amichevole?” disse Ed seccamente. “Che ti prendi cura di loro? Che sei socievole? Che cerchi sempre di costruire ottimi automail? Oh sì, tutto questo fa di te una vera figlia del peccato.”
 
“Tu non c'eri,” tagliò corto Winry. Il suo sguardo per un po’ si perse nel vuoto, focalizzato su qualcosa che Ed non poteva vedere. “Tu non hai sentito come… come lo ha detto…”
 
“Non mi interessa quello che ha detto, si sbaglia!” esclamò Ed, quasi urlando. “Come puoi permettergli ancora di farti sentire così? Dopo tutti i guai che ti ha causato, dopo quello che ti ha fatto—!”
 
“Perché ho paura di lui!”
 
Quelle parole zittirono Ed all’istante. Winry si sdraiò su un fianco e premette il viso sul cuscino, con gli occhi disperatamente chiusi, e il ragazzo sentì la gola stringersi al pensiero che forse, pochi giorni prima, lei si era rannicchiata in quella stessa posizione prima di decidere di chiamarlo, quando lui ancora non immaginava alcunché.
 
“Non posso farci niente,” continuò Winry, con il viso ancora premuto sul cuscino. Le sue parole scivolavano confuse attraverso la stoffa. “Io non voglio avere paura di lui. Ma nessuno mi aveva mai… assalita in quel modo. Così, dal nulla, prima ancora che io potessi rendermi conto di cosa stava succedendo. E quando gli ho detto di fermarsi, lui non lo ha fatto… e-e adesso ogni volta che lo incontro ripenso a quanto ero s-spaventata  e a come non riuscivo a togliermelo di dosso…”
 
Sta parlando, notò Ed, frastornato. La paura di Winry doveva essere contagiosa perché il ragazzo sentiva il suo stesso cuore pulsargli dolorosamente nel petto, una solida massa di agonia. Stava parlando di quella faccenda. A lui, proprio come aveva detto Al. Ma una parte di Ed gridava interiormente, strepitava, perché non voleva stare a sentire. Faceva già abbastanza male guardare il labbro di Winry e assistere ai suoi attacchi di depressione, così come aveva già fatto abbastanza male udire le piccole e striscianti allusioni di Cal… ma venire effettivamente a conoscenza di tutti i dettagli da parte dell’unica persona alla quale era disposto a credere fu anche peggio. Le sue gambe fremevano dall’urgenza di correre fuori dalla stanza con le mani premute sulle orecchie, mentre gli ingranaggi del suo braccio cigolavano reagendo alla tensione del suo corpo.
 
Ma correre via avrebbe significato lasciare che Winry affrontasse tutto questo da sola. E Ed non poteva farlo.
 
“Probabilmente non sai nemmeno di cosa sto parlando,” concluse Winry mestamente. “Mi… mi dispiace…”
 
Ed si voltò, puntando lo sguardo sulla porta dall'altra parte della stanza. Non c’era modo di continuare a guardarla senza sentir crescere lo sconforto dentro sé stesso. “Io lo so,” replicò debolmente. “O perlomeno… mi ero fatto un’idea del perché di tutto questo, ma ho passato tutto il resto del tempo a sperare di sbagliarmi.”
 
“Non credo che sarebbe arrivato al punto di farmi veramente del male,” mormorò Winry, come se quella precisazione avesse potuto fare la differenza. “Ma credo anche che non abbia nemmeno considerato l’eventualità che potessi rifiutarlo. Lui mi ha proprio… mi ha completamente fraintesa. Ha pensato che stessi flirtando con lui anche se non lo stavo facendo affatto, e…”
 
“Fino a dove si è spinto?”
 
Non avrebbe saputo spiegare da dove fosse emersa quella domanda. Quella era decisamente l'ultima cosa che voleva sapere, ma al tempo stesso sentiva che era un particolare importante. Molto importante.
 
“Non molto lontano,” rispose Winry, timidamente. Ogni parola le pareva estorta, accompagnata da uno strascico di dolore e vergogna, ma decise di continuare ugualmente. “Mi ha quasi… beh, mi ha…”
 
 “Cosa?” insisté Ed, vedendola esitare.
 
“…baciata,” disse Winry d’un fiato. “Ci ha messo un po' a capire che non avevo alcuna intenzione di rispondere al bacio, ma non voleva demordere. E quando gli ho ordinato di fare marcia indietro e lasciami andare… si è arrabbiato. Mi ha spinta verso il banco da lavoro, forse più forte di quanto intendesse. Ecco come mi sono spaccata il labbro. Avrebbe potuto provare a saltarmi addosso di nuovo, ma ho afferrato uno dei miei attrezzi e…”
 
“Lo hai mandato al tappeto,” intervenne Ed con un ghigno feroce.
 
“Poi ha girato i tacchi e se n’è andato,” concluse Winry, mentre sul suo viso si allargava un piccolo sorriso. Quel movimento allontanò i lembi della ferita che andava coagulandosi e una piccola goccia di sangue sgorgò nuovamente dal suo labbro inferiore.
 
“Devi tenerci questo sopra!” la sgridò Ed, esasperato, afferrando la borsa del ghiaccio e poggiandogliela sul labbro, cogliendo al volo l'opportunità di fare finalmente qualcosa per lei piuttosto che starsene lì seduto con aria patetica. Si rese conto che la sua mano stava tremando visibilmente solo quando Winry la prese tra le sue.
 
“Non sono l'unica a cui ha fatto del male,” sussurrò Winry, con gli occhi colmi di quella orribile tristezza che Ed assolutamente detestava. “Mi sono accorta del dolore che provi anche al minimo movimento. Ed, perché sei arrivato a ridurti così solo per rivalerti su di lui?”
 
Ed aprì la bocca e la richiuse. Beh, visto che erano in vena di sincerità…
 
“Non sapevo cos'altro fare,” mormorò. “Tu non volevi parlarmi di… tutto questo. Non sapevo che cosa avrei dovuto fare. Volevo solo… solo cercare di appianare le cose, in qualche modo.”
 
Suonava proprio come una misera scusa. Winry infatti non se la bevve e il suo viso stava già tornando ad assumere l’espressione vuota e sofferente di poco prima. “Ma, Ed, sapevi benissimo che la vendetta non mi sarebbe stata di alcun aiuto…”
 
Ed appoggiò la mano sul materasso, vicino al cuscino, e si chinò su di lei per guardarla dritta negli occhi. “So che per te non farà alcuna differenza, ma… hai la minima idea di quanto mi abbia sconvolto il pensiero di quello che avrebbe potuto farti?”
 
Le labbra di Winry si schiusero con un gemito di sorpresa. “Sconvolto…?”
 
“Sì, sconvolto,” ripeté Ed con più foga, permettendo alle parole di fluire incontrollate, cercando di liberarle prima di perdere il coraggio di parlare. “Anzi, più che sconvolto, fottutamente terrorizzato. E sai perché? Perché io non ero qui per fermarlo. Non avrei mai nemmeno saputo di lui se tu non mi avessi telefonato quella notte! Come impedire che qualcosa di simile accada di nuovo? Quello stronzo non ti lascerà in pace per molto. Per come la vedo io, l'unico modo per rimetterlo in riga è fare in modo che lui abbia paura di noi. Ecco perché. Eccoti la mia ragione. Puoi odiarmi finché vuoi, ma le cose stanno così.”
 
Sulla fronte aggrottata di Winry si formò una piccola ruga, ma questa volta la ragazza sembrò davvero riflettere sulle sue parole. Deglutì. “Io non… non ti odio, Ed.”
 
Sarebbe potuta suonare come una dichiarazione piuttosto innocente… se solo gli occhi di lei non avessero saettato sulle sue labbra di lui. Per un istante. Solo per un brevissimo istante. Ma quell’istante fu sufficiente per alterare l'atmosfera tra loro, rendendo Ed improvvisamente, spaventosamente consapevole di quanto fossero vicini. Stavano praticamente respirando la stessa aria e ad ogni singola inalazione il seno di Winry si sollevava pericolosamente, arrivando quasi a sfiorargli il costato. Si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato sentirselo premuto contro il petto, durante un bacio…
 
Migliaia di bandierine rosse cominciarono ad agitarsi nella mente di Ed, che si sentì avvolgere da puro e travolgente panico. Quelle sue fantasie lascive erano probabilmente andate a stamparsi sul suo volto paonazzo, pronte per essere lette da Winry!
Fece per tirarsi indietro, imponendosi una rapida ritirata seguita da una doccia fredda come punizione.
 
Ma lo bloccò la mano di Winry, che si posò sulla sua mascella. Le sue dita scivolavano sui bordi della compressa di garza che vi era stata applicata. L’intero corpo di Ed sussultò quando quelle dita si infilarono fra i suoi capelli, accendendo i suoi sensi al punto che si sentì bruciare a quel tocco. Winry lo stava osservando con molta attenzione, cercando di decifrare la sua espressione con quegli occhi che parevano diventati di un blu scurissimo nella luce fioca. Blu come il cielo nel cuore della notte, di tutte quelle notti che da bambini avevano passato sotto le stelle.
 
Non voglio che succeda, pensò Ed, disperatamente, quando Winry sollevò la testa dal cuscino con un obiettivo ben chiaro in mente. Lei è… lei è una mia amica, il mio meccanico, e NON MI PIACE, maledizione! Solo perché tutti gli altri lo pensano e anche Al lo pensa e solo perché non riesco neanche a RESPIRARE se lei mi sta così vicina non significa che io… che io…
 
Quello che seguì poté a malapena definirsi un bacio. Fu un mero sfiorarsi di labbra, dal momento che Winry volle evitare qualsiasi pressione sul labbro inferiore. Ma fu sufficiente. Più che sufficiente. Se il solo palmo della sua mano lo aveva marchiato a fuoco, questo gli scatenò in testa un’esplosione nucleare, che spazzò via dal suo cervello qualsiasi particella di pensiero e di ragione e, dannazione, Ed non aveva mai immaginato che potesse bastare il respiro di qualcuno per andare su di giri…
 
Winry interruppe il contatto dopo pochi secondi, ma non gli concesse che qualche centimetro di spazio per respirare, come se fosse in attesa di una risposta o di un rifiuto. Ma, anche se lo avesse voluto, Ed non sarebbe riuscito a reagire in alcun modo. Era troppo impegnato a cercare di rammentare il suo nome e ad affrontare l’allarmante consapevolezza che avrebbe voluto baciarla a sua volta.
 
Una porta si aprì al piano di sotto e i due ragazzi schizzarono lontani l’uno dall’altra quando Al chiamò i loro nomi. Ed balzò in piedi, balbettando qualcosa per nascondere l’improvvisa timidezza che lo aveva investito. “I-io… è meglio che vada ad avvertire Al che siamo tornati. Sai, era preoccupato anche lui e quindi…”
 
Si interruppe quando Winry gli prese la mano e gli strinse le dita, fissandolo incerta. “Domani mi permetterai di rimettere in sesto quel braccio, vero?”
 
“Certo,” rispose Ed con un rapido sorriso. “Certo, sicuramente. Cioè, a patto che tu ne abbia voglia e che ti sia possibile. So che hai anche altri clienti.”
 
“Già,” ammise Winry, con un lampo misterioso negli occhi. “Ma tu hai la precedenza.”
 
Uno strano calore si raccolse nello stomaco di Ed e s’irradiò tutt’intorno quando finalmente il ragazzo afferrò quello che aveva voluto dire il rosso davanti al pub. Niente al mondo avrebbe potuto fermare il sorriso compiaciuto che ora si stava formando sulla sua bocca. “Okay. Ora dormi un po’, maniaca della meccanica.”
 
“Anche tu, fanatico di alchimia.”
 
Un attimo dopo, Ed chiuse la porta della camera di Winry alle sue spalle e si appoggiò alla parete del corridoio, premendosi il palmo della mano sulle palpebre. Si sentiva… esausto. Come se fosse stato costretto ad entrare in una centrifuga, sballottato e trascinato in una dozzina di direzioni diverse, prima di riuscire a raccapezzarsi nel marasma delle sue emozioni e ritornare in sé.
 
O forse era stata Winry a farlo per lui.
 
Non poté impedirsi che ripensarci. Lei lo aveva baciato. Winry lo aveva baciato. E a lui era piaciuto. Certo, non era stato chissà quale bacio, ma lei non lo avrebbe mai fatto solo per mandargli in pappa il cervello. Lei lo aveva voluto. Aveva voluto lui. Con un solo colpo, ben assestato, le barriere costruite fin dall'infanzia si erano fatte meno solide, e Ed non seppe decidere se sentirsi elettrizzato per quella novità o infuriato perché nessuno – nemmeno il suo stesso corpo! - gli stava lasciando possibilità di scelta in proposito. Cavolo, ormai persino Winry sembrava determinata a mandarlo in subbuglio.
 
Guardò fuori dalla finestra in fondo al corridoio, ripensando ad un’altra maniaca della meccanica, quella di molto tempo prima. La Winry dodicenne che, sporgendosi dalla veranda delle Rockbell con le guance colorite e gli occhi azzurri splendenti di determinazione, strepitava verso di lui con voce stridula
 
“Se pensi che io sia una maniaca della meccanica, va bene, ma farai meglio ad abituarti! Perché finché indosserai i MIEI automail, non riuscirai a sbarazzarti di me, che ti piaccia o no!”
 
Ed si toccò le labbra con due dita e la pelle formicolò in risposta, ancora in fiamme per il bacio. Sorrise a sé stesso e si diresse verso il divano del laboratorio, scendendo le scale con passo baldanzoso.
Beh, forse non è una prospettiva così orribile, dopo tutto…

 



 
 

 Continua...

 


*** 


Nota della traduttrice
Capitolo un po' ostico - sia per la lunghezza, quasi doppia rispetto ai precedenti (e i cap. 9 e 10 non sono da meno!), sia per la complessità di quel turbine di emozioni che Win ha scatenato nel povero Ed - ma spero di essere riuscita a renderlo in un italiano quantomeno decente ^^

Come al solito ringrazio tutti i lettori che non si sono ancora fatti scoraggiare dai miei tempi biblici (XD) e in particolare Lady Airam, SAKURACHAN_KumikoKurokawa, martyki e biondocenere per gli ultimi, gentilissimi commenti :)

A presto con il prossimo capitolo di HS!
ChiuEs

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