Deathbearer - Il veliero pirata

di Dreaming_Archer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storie di Pirati ***
Capitolo 2: *** Urla e Litigi ***
Capitolo 3: *** Magia ***
Capitolo 4: *** Sul Carro ***
Capitolo 5: *** Cattive Compagnie - prima parte ***
Capitolo 6: *** Cattive Compagnie - seconda parte ***
Capitolo 7: *** L'istinto e il coraggio ***
Capitolo 8: *** Un tumulto di pensieri ***
Capitolo 9: *** Quattro figure nella notte ***
Capitolo 10: *** Pirati e soldati ***
Capitolo 11: *** Il veliero pirata ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni - prima parte ***
Capitolo 13: *** Lezioni di scherma ***
Capitolo 14: *** Uno scontro impari ***
Capitolo 15: *** Vento di burrasca ***
Capitolo 16: *** Due occhi color nocciola ***
Capitolo 17: *** La prima battaglia ***
Capitolo 18: *** Rivelazioni - seconda parte ***
Capitolo 19: *** Un Taglio Netto ***
Capitolo 20: *** Nemici e Alleati ***
Capitolo 21: *** Impossibile ***



Capitolo 1
*** Storie di Pirati ***


Dethbearer - cap1

Storie di Pirati

… Luce e buio, sono entrambi figli del sole … Vittoria e sconfitta vengono entrambe dalla stessa battaglia … futuro e passato sono entrambe facce della vita …

La voce di Mary si spense in un soffio, come aveva iniziato a cantare. Era seduta sul parapetto, guardando il lungo profilo sfocato di terra che occupava l’orizzonte. Sarebbero arrivati con il buio, a vedere la distanza. Si voltò e tornò con i piedi sul ponte. Sbuffò, non le piaceva per niente quella triste malinconia che la circondava. Le lacrime le bruciavano agli angoli degli occhi. L’ultima volta che era stata al largo di quella grande isola che era Haiti, era notte e aveva perso una bambina. In effetti c’erano due bambine di pochi mesi sulla nave a quel tempo, e anche se una sola era sua figlia, teneva tantissimo a entrambe, tanto diverse quanto simili. Soprattutto le differenziava quello che il destino aveva in serbo per loro, lo sapeva bene anche allora, anche se aveva appena vent’anni ed era triste e sola. Un po’ come adesso, veramente. Sola con il ricordo triste di quella notte di quasi quattordici anni prima, che era ancora vivido nella sua mente.

Aveva messo le bambine su una amaca lei stessa, una a fianco dell’altra. Quella a sinistra aveva grandi occhi blu, come il mare che stava sotto la nave e leggeri capelli biondi, come l’ambra. Era la sua bambina, si chiamava Sara. L’ altra aveva gli occhi grigi e i capelli castani. Mary cantava sempre per loro. “ La luce della vittoria, che illumina il buio di ogni sconfitta … un futuro colmo di vittorie per chi ha avuto un passato di sconfitte … ” Le bambine si erano già addormentate. Era ormai una sua abitudine cullarle con quella vecchia canzone. La donna passò un dito sulla guancia paffuta della piccola Sara, con dolcezza, e poi uscì in silenzio.

Le bambine erano insieme da poco, Sara era nata due mesi dopo la castana. I suoi genitori però non stavano insieme, Mary era sempre stata travestita come un uomo, e prima che incontrasse un soldato sul campo di battaglia era sempre vissuta come Mark Jones, suo fratello. Poi era scappata ed era diventata un pirata, sul Deathbearer, la nave di Jacob “ Jack ” Reckhernam e della sua amante, Rachel.

L’altra bambina, che si chiamava Michelle ed era appunto la figlia di Rachel. Si sapeva che non l’avrebbero tenuta molto tempo a bordo, e Mary aveva escogitato un modo per ritrovarla, un giorno che sarebbero tornati ad Haiti, proprio come stava per succedere.

La madre di Michelle era morta poco tempo prima. Mary pensava che dopo tutto quello che aveva passato, non era giusto che morisse così giovane, ma lei non poteva decidere la morte di nessuno, tranne chi cadeva sotto la sua spada. In effetti, Rachel Bonny era forte e valorosa, una grande guerriera, e anche molto giovane, aveva diciotto anni quando la uccisero. C’era una battaglia in corso, le bambine erano chiuse in una cabina e le due donne stavano combattendo sul ponte, come facevano in ogni occasione. I nemici erano inglesi, un mercantile ricco di ritorno dalla Madrepatria. L’ arrembaggio non era durato molto, eppure gli inglesi riuscirono comunque a fuggire grazie ad un’altra nave da guerra che li seguiva poco distante. Era stato comunque un massacro, ma non erano pochi i sopravvissuti fuggiti. Bonny era corsa verso la cabina, dando le spalle ai nemici per raggiungere le bambine, Mary se lo ricordava benissimo. Stava per aprire la porta quando la colpirono alla schiena, e cadde a terra, immobile.

Mary era rimasta bloccata all’istante. Quando l’assassino corse via riuscì a vederlo in faccia solo un attimo, ma era talmente scossa che non lo ricordò. Era un ufficiale, di quello ne era sicura, ma non sapeva nient’altro. Così era morta Rachel Bonny, dopo essere fuggita per anni, fin da quando era appena quattordicenne, era morta nel modo peggiore, ignorata da tutti tranne che dalla sua bambina, che si sgolava a piangere dentro la cabina. Mary si era trascinata fino al corpo esanime dell’amica, e non era riuscita a trattenere le lacrime.

Se ci ripensava tornava a singhiozzare, così scosse forte la testa passandosi il dorso della mano sugli occhi marroncini. Ogni volta che pensava a quell’avventura si tormentava se avesse fatto bene o meno a cercare di salvare Michelle mettendole un segno di riconoscimento. Non che la vita da pirata non le piacesse, ma ovviamente avrebbe preferito che la bambina vivesse a terra, come una ragazzina normale. Quando rimuginava su questo però, cacciava subito l’idea dalla mente, perché non voleva prescrivere un destino alla piccola. Infatti, sosteneva che a terra non ci fosse vita, o almeno come la intendeva lei, con avventure, battaglie e tutto quello che lei viveva a bordo e che nessuno avrebbe potuto passare a terra. E poi c’erano i militari. Era un brutto periodo per i pirati. Navigare sotto costa era pericoloso perché gli inglesi stavano combattendo una guerra invisibile contro di loro, e anche in mare aperto si celavano rischi ovunque.

Non voleva che Michelle vivesse quello, la noia delle città, (se le colonie delle Antille si potevano chiamare città), dei borghi. Lei non la sopportava, tutte quelle regole, norme, comandi e affari prescritte, che non lasciavano spazio alla libertà del protagonista. Mary sapeva bene che lei non poteva fare niente per la piccola Michelle,  era predestinata a vivere a terra. Non c’era nessuno a difenderla, come lei faceva con Sara. Qualunque cosa facesse, quella bimba era orfana di madre, piccola e indifesa, e il padre non la voleva. Sapeva che prima o poi non l’avrebbe più trovata nella cabina, così si decise e mise in atto il suo piano. Prese una catenina finissima d’argento dalla stiva e vi infilò dentro un prezioso cerchietto di madreperla che avevano trovato su un isola, dopo tanto tempo di ricerche, per scovare il tesoro del pirata Morgan. Era molto importante e ce n’erano due, uno era ancora nascosto da qualche parte. Lo tolse al capitano con fortuna, mentre dormiva nella cabina principale. Era riuscita a sfilarlo da un’altra catenina che lui portava al collo, e che faceva un rumorino metallico ogni volta che si muoveva, cozzando contro qualche altro gingillo.

Lo legò intorno al collo della bambina e la riappoggiò sull’amaca in una della cabine di prua. Le diede una carezza e prese Sara, la portò sul ponte passeggiando pensierosa, mentre fissava il tramonto.

La notte portò con sé nuvolosi neri.

Il Deathbearer, la loro nave, era vicina a un porto. Era una di quelle piccole colonie, sotto l’impero inglese. Mary si convinse che malgrado tutto, Michelle almeno sarebbe cresciuta serena, cosa che non poteva assicurarle a bordo della nave. In un porto come quello vide la nuova casa per la bimba, ormai sapeva e si era convinta che prima o poi qualcuno l’avrebbe lasciata giù. Si augurò che fosse il più tardi possibile. Guardando il viso di Sara, bagnato dalle luci del crepuscolo, tornò nella sua cabina e si allontanò a malincuore da quella dove c’era Michelle.

Aspettò che Sara si addormentasse profondamente, poi uscì di soppiatto buttandosi un pesante mantello scuro sulle spalle e si nascose sotto le scale, guardando fisso il porto.

Le ombre sulle strade di ciottoli si fondevano con il buio pesto dell’ambiente, e tutto aveva un aria lugubre. L’unico rumore era quello delle onde che si infrangevano violente sulle chiglie delle navi ormeggiate al porto.

Stava cominciando a piovere, era una pioggia sottile e fredda. La leggera brezza proveniente dal mare rendeva l’aria respirabile e muoveva le tende delle finestre lasciate aperte, senza fare il minimo rumore.

Capitan Jack Rackham aveva fatto gettare l’ancora in una piccola baia nascosta. Il luogo era calmo e silenzioso. Dalla nave avevano notato il forte inglese, costruito su un basso monte roccioso, a strapiombo sul mare. Nella spiaggia alla sinistra del monte si ergeva una villa suntuosa e solitaria. Alla destra del monte, dopo una fila di collinette, cresceva il borgo, un ammasso di case costruite alla rinfusa addossate sulla via delle banchine, dove erano ormeggiate alcune barche.

Mary aguzzò la vista quando notò il capitano che si avvicinava furtivo alla cabina dive c’era Michelle.

La porta di legno scuro si aprì con un sordo cigolio e un rumorino di metallo circondò la piccola. Con mani salde e leggere Jack prese la bambina, ignorando la collanina che aveva al collo e, coprendola con la coperta, scese sulla sabbia bianca della baia e cominciò a camminare verso l’interno, con passo svelto, ma timoroso. Non aveva mai avuto timore per niente, ma in quel momento non sapeva se era giusto quello che stava facendo o meno. Aveva un'unica certezza, che solo lui aveva visto, solo lui poteva sapere, e quindi ricordare. Non immaginava che Mary seguisse ogni suo passo con lo sguardo.

Jack cercò la casa più suntuosa, circondata da un elaborato cancello di ferro battuto. La villa era color crema di tre piani, con finestre grandi e circondate da stucchi eleganti. L’ingresso principale distava dal cancello circa dieci metri, con quattro o cinque gradini di marmo bianco che portavano ad essa. Doveva essere la villa del Governatore, o quella del Viceré.

Non potendo entrare dall’ingresso principale, il capitano decise di fare il giro della villa. Aveva intenzione di trovare la porta di servizio, quella usata dalla servitù, che restava sempre aperta. Sul retro trovò la porta della servitù, che si apriva su una cucina ben fornita, con una vecchio tavolo di legno chiaro al centro. Il camino era acceso, con una pentola sopra. Si accertò che nessuno lo stesse guardando, scostò la coperta dal volto della bimba, che era sveglia, e lo fissava. Ignorò il suo sguardo innocente e la appoggiò delicatamente ai piedi del camino, per farla stare al caldo.

Le diede un bacio sulla fronte e mise una mano nel fagotto in cui era avvolta, lasciando qualcosa vicino al suo cuore. Con il suo tintinnio metallico, le votò le spalle e uscì veloce senza il minimo rumore.

La bambina rimase sotto al camino, da sola. Cominciò a piangere piano, poi sempre più forte, finché non si accesero alcune luci e qualcuno si accorse di lei.

Jack cominciò a correre, e solo quando arrivò sulla banchina si fermò, con il fiato grosso, perché per l’ultimo tratto aveva corso. Essendo quasi certo che ormai Michelle era stata trovata e avrebbe avuto un altro nome e un’altra famiglia, si sentiva in colpa, ma ormai il dado era tratto e non poteva tornare indietro.

Salì le scale sotto cui era nascosta Mary velocemente, ma poi scese furtivamente senza fare rumore dall’altro lato. Dormiva appoggiata alla parete. Sorrise e tornò al timone.

 

Dopo quattordici anni Mary ricordava ancora tutto come fosse successo il giorno prima, e ancora ne soffriva. Alcune volte si arrabbiava con se stessa per essersi fatta prendere dal sonno, ma ripensandoci non avrebbe in alcun modo potuto fermare Jack. L’unico risultato sarebbe stato inimicarsi ancora di più il capitano, che avrebbe potuto vendicarsi su di lei, e soprattutto su Sara. Per questo non riusciva a decifrare le emozioni che provava ripensando a Michelle.

Oltre alla tristezza si aggiungeva una specie di curiosità, perché voleva sapere come era diventata la piccola Michelle. Ormai non doveva essere tanto piccola, visto che erano passati quattordici anni, ma lei la immaginava ancora con quel viso da bambina che gattonava sul ponte insieme alla sua Sara.

Era viva? Era la domanda che più la tormentava. Però erano tornati a Port-au-Prince, doveva avevano abbandonato Michelle, quindi sperava di rivederla.

Provò una triste sensazione di colpa e dovette andare a cercare Sara, che scappava sempre via. C’era un brusio sommesso che proveniva dalla stiva. Scese i gradini senza fare il minimo rumore, e si accucciò dietro parte del carico per spiare quello di cui stava parlando l’equipaggio. Sentiva gridolini e risate, e se si rideva Sara doveva essere per forza nei paraggi.

Scrutò il gruppo per un secondo, erano tutti ammassati in un piccolo spazio tra il carico, seduti in cerchio intorno ad una candela che dava un’aria sinistra al volto dell’uomo che stava parlando. Era il più anziano di tutti, il nostromo, si chiamava Storm. Era sempre lui che raccontava le storie alla ciurma, ormai aveva una specie di gruppo di creduloni che pendeva dalle sue labbra. E ovviamente Sara era tra quelli, seduta con il mento sulle ginocchia accanto al suo amico Ed con le spalle appoggiate al muro. Guardava il nostromo con i suoi grandi occhi blu, e ogni tanto sorrideva. Mary si spostò un po’ e si mise ad osservarli tenendo le orecchie ben aperte. Le facevano sempre ridere le storie che si inventava il nostromo da quanto erano esagerate, ma di certo attiravano l’attenzione. Il gruppo era di una decina di persone, e le facce giovani di Ed e Sara spiccavano tra tutte. Entrambi biondi, entrambi con gli occhi blu, sembravano fratelli da quanto erano simili. Ma ovviamente non lo erano. “ e che fine ha fatto? ” stava chiedendo in quel momento il ragazzo, che doveva avere almeno un anno più di Sara.

Il nostromo lo guadò di sbieco, poi rispose orgoglioso puntandogli un dito contro. “ ebbene, te lo dirò. Era sul ponte e stava combattendo come una furia, quando peccò d’affetto. ” Molti spalancarono la bocca. “ andò dalla sua bambina, nella cabina, e allora un vigliacco, e sia maledetto! ” alzò un dito al cielo e urlò le ultime parole, poi, all’improvviso tornò calmo. “ la colpì alle spalle, non c’è stato più niente da fare quando l’abbiamo trovata. ” Abbassò il capo, mentre il silenzio calava sul gruppo.

“ e che ne è stato? ” chiese Ed a voce bassa, guardandosi i piedi.

Sara si voltò a guardarlo. “ di cosa? ” borbottò con un sopracciglio curvo.

“ della bambina, stolta. ” Rispose il ragazzo. “ adesso Sara è qui, ma l’altra bambina, cosa le è successo? ”

Mary trasalì, dopo tutti quegli anni tutti si ricordavano di Michelle. Si mise ad ascoltare ancora più attentamente.

“ ebbene. ” Tuonò Storm facendo traballare la lucina della candela. “ anche quello è un mistero. Ma solo noi della ciurma sappiamo per certo quello che è successo. ” I ragazzi spalancarono gli occhi e Mary si fece attenta. “ era notte … ” cominciò il nostromo. “ una notte lugubre e buia da fare accapponare la pelle. ”

Mary spalancò gli occhi. Che tutti sapessero quello che aveva fatto Jack?

“ E lei è tornata. ” Concluse il nostromo. Tutti pendeva dalle sue labbra, “ è salita sulla nave arrivando dall’acqua … e ha preso la sua bambina portandola con sé. ”

Sara alzò un sopracciglio. Come se fosse una domanda, Storm rispose. “ l’ha portava via nel profondo degli abissi con sé, per non lasciarla da sola. E’ per questo che noi non l’abbiamo più vista. ”

Sara spalancò la bocca. “ e adesso dov’è? ” domandò con un filo di voce.

Mary non riuscì più a trattenersi. “ non crederai a cose del genere spero, Sara. Devi essere veramente stupida per pensare solo ad una minima verità. ” Sbottò alzandosi in piedi.

Tutti gli occhi si voltarono verso di lei. “ blateri vuote ciance, donna! ” sbottò il nostromo agitandole un dito contro. “ l’ho vista con i miei occhi quattordici anni or sono! ”

“ dovevi essere completamente brillo, allora. ” Ribatté Mary, seria. “ queste cose non esistono. ”

“ e tu sai cosa è successo, allora? ” domandò Ed a bassa voce. Sembrava molto interessato a quella storia.

“ certo che lo so, e le anime dei morti non c’entrano per niente. E credete a me, quando vi dico che l’ho visto con questi occhi. ” Fece scorrere le sguardo sui presenti, controllando che ascoltassero bene. Dopo quattordici anni aveva deciso di far sapere quello che era successo veramente. Anche se anni prima si era addormentata, aveva visto bene Jack avvicinarsi alla cabina di Michelle. Poi era crollata, ma era sicura, e il giorno dopo la piccola era scomparsa. Prese un respiro, e cominciò. “ è successo di notte, in un porto di Haiti. Qualcuno ha preso Michelle e l’ha abbandonata in una villa a terra. ” Raccontò.

qualcuno? ” ripeté Sara a pappagallo.

“ Jack ha portato a terra la piccola, e poi ovviamente non se n’è più sentito parlare. ” Ripeté Mary, sospirando.

“ è falso! ” gridò il nostromo.

“ stai per caso insinuando che io dico balle? ” sibilò Mary sfoderando la spada. Il nostromo si risedette, convinto. Mary e Bonny erano famose per non aver paura di niente, e di certo quella non era la prima rissa in cui si immischiava.

“ ma non interessa a nessuno? ” mormorò Ed.

“ cosa? ” sbottò Sara. “ ti decidi una buona volta a parlare chiaro? ”

“ ho detto ” rispose Ed quasi urlando. “ se a nessuno interessa sapere che fine ha fatto quella bambina. ”

“ a me interessa … ” Ammise Sara a voce bassa, e Mary annuì, riprendendola. “ certo che ci interessa. ”

“ allora facciamo qualcosa! ” Propose il ragazzo.

Sara fece una smorfia. “ sentiamo lo stratega. Non sappiamo nemmeno dove è stata abbandonata. ”

“ Haiti. ” Rispose Mary a voce bassissima.

“ Haiti è la terra che ho visto poco fa, in avvicinamento. ” Disse Ed, che era la vedetta.

“ infatti. ” Concluse Mary. “ se non lo sapete ci stiamo andando proprio per trovarla. ”

Era venuto il buio, lo vedevano tutti dai boccaporti.

“ tutti ai posti! ” urlarono da fuori. “ terra a dritta!! ”

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Capitolo 2
*** Urla e Litigi ***


Deathbearer - cap2

Urla e litigi.

La stretta penisola dove si trovava Port-au-Prince era una serie di piccoli golfi uno in seguito all’altro. Nel più grande si ergeva ovviamente la città, mentre procedendo alla destra si trovava il forte, aggrappato su uno spuntone di roccia e proteso verso il mare e un golfo piccolo e stretto dove, sulla spiaggia, si trovava una grande villa di colore chiaro tenuta in perfetto stato. Dopo la villa, verso l’interno, si sviluppava una selvaggia foresta tropicale, attraversata da sentieri e stradine completamente in ombra. Alla destra del golfo della villa la foresta copriva completamente la visuale. C’era un pittoresco promontorio di roccia stretta e impervia che si protendeva sul mare, chiamato Punta Estrema. Era tanto stretto da far passare solo un persona alla volta, e abbastanza agile e coraggiosa per superare quel passaggio di scogli viscidi e sconnessi, che si allargavano un poco in fondo solo per far sedere l’inatteso visitatore. Questo era elevato ad almeno dieci metri sopra il mare, che gorgogliava e si infrangeva violentemente sulle rocce, creando curiosi riflessi sugli scogli della penisola.  

Proprio sulla parte più esterna, quella più in seno al mare, stava accoccolata una figura esile e affusolata, vestita con abiti chiari e semplici. Stava seduta come se niente fosse, sospesa sopra l’acqua cristallina e trasparente a guardare i suoi piedi che ciondolavano sopra al nulla, dominando l’intero panorama mozzafiato. Tutto era selvaggio e indomito, la foresta alle sue spalle, quelle rocce pericolose su cui era seduta e le baie nascoste e impervie alla sua sinistra. Guardava il sole tramontare accecata dal riverbero, mentre vedeva che le onde si facevano sempre più possenti. Dense nubi scure si stavano addensando alle sue spalle, in contrasto agghiacciante con la luce rossa del tramonto. Il corpo della ragazza ebbe un sussulto quando si accorse di una nave nera che si avvicinava misteriosa. Aguzzò la vista e provò a sporgersi nel vuoto, ma le onde che si scontravano contro gli appuntiti scogli sotto la Punta Estrema la fecero desistere e tornò in una posizione più sicura, senza riuscire a distinguere i contorni di quella macchia informe  che si stava già mimetizzando con il buio senza che lei capisse di cosa si trattasse.

Quando divenne troppo buio persino per distinguere i suoi piedi si mosse scoprendo di essere rimasta immobile a scrutare il nulla per tanto tempo. Saltò in piedi con una folata di vento che la fece tremare, portò indietro i capelli scuri e si affrettò a tornare verso la villa, sempre con gli occhi grigi che guizzavano alle sue spalle, come per scoprire quello che nel profondo non voleva vedere, ma che il suo sesto senso le diceva che c’era.

Ed era il veliero pirata.

 

La ragazza tornò alla villa di corsa e con il fiatone accompagnata dal fragore dei primi tuoni in lontananza. Entrò nel cortile più interno, dove stavano i domestici e gli stallieri, per dirigersi verso una piccola porticina semiaperta. La spinse e si fiondò dentro rabbrividendo per il freddo. Attraversò la cucina di volata, sfiorando con una mano il pesante tavolo di legno, come faceva sempre, senza farci caso. Quando la sua mano incontrò qualcosa di morbido, lo evitò. Fece due passi ancora, poi si riscosse e tornò indietro. Prese delicatamente quello che c’era sul tavolo, un sacchettino di velluto blu. La luce improvvisa di un lampo saettò nella stanza. La ragazza guardò il sacchettino con curiosità,  perché era raro che una cosa del genere si trovasse in cucina. Tutti quelli che la frequentavano erano servi, e mai aveva visto gioielli. Sulle sue labbra comparve un sorriso. Si guardò intorno, e visto che non c’era nessuno, lo aprì curiosa. Non riuscì a guardare dentro, perché notò un brusio che veniva da una porta lì vicino. Senza mollare il sacchettino, si avvicinò alla porta socchiusa e accostò l’orecchio. Non riusciva a capire una parola, ma erano due persone che bisbigliavano sotto voce. Tutto d’un tratto si fermarono, avvicinandosi alla porta, e lei corse al tavolo. Una voce di donna disse ad alta voce. “avete sentito? Probabilmente è tornata …”

La ragazza la riconobbe subito, era Katherine, la sua madre adottiva, la donna che l’aveva trovata una notte di tanto tempo prima.

Fece in tempo ad accostarsi al tavolo che lei uscì, un’espressione indecifrabile sul volto. “Amy!” esordì. “finalmente sei tornata …” disse con tono accusatore. “ma dove sei stata?” continuò avvicinandosi. “puzzi di mare …”

La ragazza, che si chiamava Amy, non rispose. Era concentrata sull’uomo che era alle spalle di Katherine, con cui stava parlando poco prima. Chinò il capo in segno di saluto, poi lo squadrò per bene. Era un uomo abbastanza anziano, che conoscevano tutti come il mugnaio. Pochi sapevano il suo nome e lei non era tra quelli. Portava sempre i cereali alla villa, ma non lo aveva mai visto molto spesso. Aveva un figlio, George, che lo seguiva quasi sempre. D’istinto lo cercò con gli occhi, perché non lo sopportava dalla prima volta che lo aveva visto, e sperava con tutto il cuore che non fosse nei paraggi. Senza accorgersi strinse la presa sul sacchetto di velluto.

Katherine riprese la parola. “io e il signor Todds stavamo parlando di te, Amy.” Disse. Allora era così che si chiamava, Todds. Amy non rispose ancora. Continuava a chiedersi che ci faceva lì quell’uomo, visto che non era tempo di raccolta. Era già da un po’ che lo incontrava che andava o veniva, ma non ci aveva mai dato peso, e soprattutto non pensava che lei fosse interessata. “che cosa?” mormorò, poco convita.

“abbiamo parlato di te, Amy.” Rispose Todds. “e di mio figlio.” Fece una pausa in cui osservò il suo volto, ma lei fece il massimo per non far trasparire nessuna emozione. “non so, ti ricordi di George, giusto?” continuò. Come se avesse sentito, dalla stessa porta che aveva usato Amy entrò un ragazzo abbastanza robusto, alto come Amy, con la faccia da bonaccione, ma che non dimostrava i suoi sedici anni. “ah, sei arrivata.” Disse. “ti ero venuto a cercare, ma non ti ho trovata …”

 “che c’è qui dentro?” chiese la ragazza, secca. Nessuno rispose, così provò a guardare le facce dei presenti. Nemmeno in quel modo riuscì a capire, così vuotò il sacchetto sul palmo della sua mano. Lo guardò sconcertata. Erano due anelli identici, d’oro e pesanti. “che significa? Che ci fanno due fedi qui?” Continuò a fare domande per cercare di evitare di pensare.

Todds prese la parola. “appartengono alla mia famiglia da generazioni.” Amy ci avrebbe giurato. Quelle persone erano più povere di lei, che già non nuotava nell’oro. “e allora?” sibilò.

“tutti i Todds si sono sposati con quegli anelli. Li avevo dati a Katherine per …”

Amy non gli fece finire la frase, cominciando ad urlare contro Katherine. “ti avevo già detto che non mi sarei mai sposata!” strillò. “mai! E mai con lui!” gettò gli anelli contro il petto rotondo di George e corse via cercando di nascondere le lacrime. Il ragazzo si riprese in fretta, e guardò i due signori con una sguardo interrogativo.

“dovrai imparare a correrle dietro se vuoi stare con lei.” Commentò Katherine, lapidaria.

George buttò il sacchetto sul tavolo e si affrettò dietro la ragazza. Quando la raggiunse stava per spalancare la porta d’ingresso. “fermati!” urlò prendendola per un braccio. “ma che vuoi fare?”

Amy si dimenò e senza riuscire a liberarsi gli pestò un piede con foga, e scappò nella notte. George mugugnò di dolore, poi fu raggiunto dai due signori, più anziani con il fiatone. Il ragazzo provò a guardare fuori dalla porta, ma aveva iniziato a piovere e il buio era fitto, così non vide nulla tranne il grande cancello di ferro battuto che si stava chiudendo.

Amy approfittò del temporale per non farsi vedere, corse nelle scuderie, e prese un cavallo dalla cavezza. Non aveva tempo di sellarlo, così gli saltò agilmente in groppa e trottò verso l’uscita con sguardo deciso e il cuore che le batteva all’impazzata. Uscì sotto una pioggia torrenziale e fece galoppare il cavallo fino al cancello. Quando vide che era chiuso imprecò per la prima volta nella sua vita. Scese e provò a spingere con tutte le sue forze e a tirare pugni al cancello. Cominciò a urlare e piangere, con le lacrime che le entravano in bocca miste alla pioggia. Urlò disperata poi, quando il cancello cominciò a scivolare nel fango, qualcuno le saltò addosso facendola cadere faccia a terra. Amy urlò ancora, senza vedere l’assalitore accecata dalla disperazione. L’estraneo era pesante, le faceva male e lei voleva scappare, doveva scappare. Urlò ancora e tirò pugni all’aria, cercando di graffiarlo, ma due mani salde le presero i polsi e le fu impossibile muoversi. Alla fine si arrese e la testa le scivolò di lato, nel fango, e continuò a piangere silenziosamente. “lasciami andare George …” mormorò.

“ma io non sono George!” obbiettò l’assalitore. “Amy, guardami.”

Quella voce le era familiare, ancora prima di vederlo in faccia sapeva di chi si trattasse. In un attimo riprese un po’ di sicurezza. Con uno scossone della testa spostò i capelli che le si attaccavano alla faccia e lo guardò in faccia, furiosa. La guardava sorridendo, quasi soddisfatto di averla trovata in uno stato di debolezza. “levati di dosso.” Sibilò maligna.

“tu non scappare, e io ti lascio.” Ribatté lui allentando solo un po’ la presa sui polsi.

“no, non scappo.” Rispose lei, e si dibatté per farsi liberare. “lascia! Mi fai male!”

Il ragazzo non si mosse, voltò la testa alle sue spalle e urlò agli altri per farsi raggiungere. “l’ho trovata! È qui, venite!”

Amy gli lanciò un’occhiataccia quando vide arrivare Katherine, George e più distante il signor Todds. “diamine!” strillò Katherine appena li vide. “tirati su, non è mica una criminale!”

Il ragazzo si alzò tenendola per un polso, poi la consegnò alla donna. “voleva scappare” riferì orgoglioso.

“e ci sarei anche riuscita se …” Amy fu sul punto di saltargli al collo, ma Katherine la fermò subito. “Amy!” urlò. “ma cosa fai?! Non è da te … tu eri sempre calma e …”

“già” sibilò Amy. “prima di essere tradita e venduta come selvaggina dalla donna che doveva essere mia madre.” Scandì bene le parole guardandola irata.

Katherine era sul punto di piangere, quando una voce tonale si intromise dal fondo del cortile. “si può sapere che succede qui fuori?” domandò il governatore avvicinandosi a grandi passi. Amy si fece piccola pulendosi la faccia dal fango e dall’acqua.

L’uomo si avvicinò con passo fiero, aveva un viso duro e severo, sembrava che la pioggia e il temporale che si stava scatenando non gli dessero alcun problema. “allora?” tuonò. “cosa è successo signora Meadwods?” Interrogò Katherine.

Lei chinò il capo in segno di rispetto, e parlò guardando a terra con voce bassa. “un … un momento di debolezza da parte di mia figlia, signore.” Mormorò, cercando di avvicinare la ragazza.

Lo sguardo gelido del governatore si fissò allora su Amy, che cercò di sostenerlo, invano. “ho notato.” Concluse lui lapidario.

“voleva scappare, signore.” Si intromise allora il ragazzo. L’uomo lo guardò di traverso, come fece Amy. Il governatore non sembrò sorpreso. “ebbene.” Concluse. “Sorvolerò sull’accaduto, perché momenti di debolezza possono capitare a tutti.” Sembrò che stesse per andarsene quando riprese. “ma non voglio essere svegliato di nuovo in piena notte da urla o altro, intesi? … Voi” indicò il ragazzo. “tornate a fare il vostro lavoro e riportate il mio cavallo nella stalla. Signora Meadwods, accompagni i signori Todds alla porta. Credo che ormai sia un po’ tardi per una visita.” Scoccò un’occhiata accusatrice al padre di George. Poi prese Amy in malo modo per un polso dirigendosi verso casa. “e tornate tutti a dormire, domani è un giorno importate per mia figlia e non voglio che una baruffa tra servi rovini l’atmosfera.”

I presenti fecero un inchino e si misero ad eseguire gli ordini.

 

Il governatore trascinò una Amy riluttante fino alla porta, poi entrò in casa continuando a portarsela dietro senza dire una parola. La ragazza era mortificata per quello che era successo, ma non aveva il coraggio di dire niente. Non aveva mai fatto molto per il governatore e tutti si erano adeguati ad ignorarla. Non era abituata a tutta quell’attenzione.

Salirono le scale con l’unico rumore dei tacchi degli stivali del governatore sul legno dei pavimenti, e dell’abito zuppo e sporco di Amy che strisciava a terra lasciando fanghiglia da tutte le parti. Il fragore dei tuoni era impressionante e metteva paura ad Amy, perché l’ira del governatore sembrava amplificata. Lei non seguì nemmeno la strada, occupata a pensare a quello che voleva fare il governatore. L’uomo si fermò davanti ad una porta senza lasciarla e provò a mettersela di fronte strattonandola, visto la ragazza che opponeva resistenza. Amy cominciò ad avere paura. Il viso dell’uomo che aveva di fronte era l’incarnazione della serietà e anche dell’ira, lei tremava.

“non voglio che quello che è successo prima si ripeta, mi hai capito bene?” sibilò. Amy chinò la testa cercando di trattenere di nuovo le lacrime. Di certo non si aspettava una ramanzina proprio dal governatore. “chiedo perdono.” Mormorò. Ma dentro di lei non ne poteva più, nel profondo si era divertita ad azzuffarsi per la prima volta, voleva solo che quell’uomo la lasciasse andare a dormire sperando che con il sonno tutto quello che era successo scomparisse come se non fosse mai accaduto.

“non mi sarei mai aspettato una simile reazione da te, Amy.” Continuò il governatore. “siete sempre stata un persona tranquilla e moderata.”

Amy in risposta chinò il capo. Dentro di lei continuava a sperare che quella situazione finisse il prima possibile.

“vedi di tornare così, altrimenti io ti posso lasciare come ti ho presa a casa mia, hai capito?” Fece per finire, poi visto che non sembrava soddisfatto, riprese. “non è colpa né mia né tua se sei comparsa una notte sotto al camino, ma vedi di non farmi arrabbiare di nuovo, oppure quella situazione si potrebbe ripete, ma io non sceglierò di tenerti …”

Ci fu una lunga pausa in cui Amy temette di nuovo di non riuscire a trattenersi dal piangere, poi il governatore sbuffò, buttandola contro la porta. Solo allora Amy riconobbe il corridoio del terzo piano e la porta della sua camera. “adesso fatti una bella dormita e poi domani torna quella di sempre.” Le sibilò in faccia, poi aprì la porta e la scaraventò dentro come un panno sporco.

Amy aspettò che la porta si chiudesse alle spalle del governatore, poi cominciò a piangere senza più trattenersi. Tirò la gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia, in mezzo alla sua piccola stanza, circondata dai tre letti e tre bauli. Pochi minuti dopo la porta si spalancò un’altra volta e una ragazza con i capelli rossi si fiondò dentro e senza badare di chiudere la porta. Le gettò le braccia al collo e la strinse forte sussurrando il suo nome. Quando Amy si fu calmata cominciò a parlare con tono accusatore. “si può sapere cosa ti è saltato in mente?” urlò distruggendo l’atmosfera. Un tuono particolarmente forte penetrò nel silenzio che era caduto, aumentando l’aria rabbiosa che c’era tra le due.

Amy smise di piangere e cercò di ricambiare lo sguardo accusatore. “io non mi voglio sposare.” Disse convinta. La ragazza rossa non cambiò espressione. “allora?” incalzò.

“io non mi voglio sposare, quindi me ne sarei andata.” Ripeté lei.

“andata dove? Con cosa?” sbraitò la ragazza.

“ma lasciami in pace, Anne!” urlò Amy.

“certo, per te va tutto bene finché è come vuoi tu, ma quando qualcosa non va bene …” sbottò l’altra infiammandosi subito a sentire il tono. Amy non si riusciva a trattenere, le bruciavano le mani come non le era mai successo. Strinse i pugni per non seguire l’istinto di picchiarla. Non le era mai successo, voleva bene a Anne, ma quando faceva così era proprio insopportabile. Il problema era perché aveva ragione, aveva maledettamene ragione.

“non posso credere che secondo te sia giusto che io sposi George!” le urlò di risposta.

“non dico che è giusto, ma che non è quello che vuoi tu, e ovviamente non ti va bene! Non è per il matrimonio in sé, ma per quello che rappresenta.” Disse la ragazza con voce risoluta e con convinzione.

“stai zitta …” borbottò Amy e con una mano le fece cenno di andarsene.

“ti comporti come un principessina.” Sibilò Anne. “ma è solo perché ti hanno sempre trattato come tale. Non convincerti di essere speciale, o cose simili perché prima o poi capirai che ti sbagli.”

La ragazza si avviò verso la porta, mentre Amy le urlava dietro. “e tu non credere di essere molto più saggia di me, che quando qualcuno ha un problema serio sfrutti il momento solo per sfogarti della tua stupida invidia nei miei confronti che hai da quando mi hai vista la prima volta!”

La ragazza stava chiudendosi la porta alle spalle, quando sporse un attimo il volto dentro, e disse. “il bello è che credevamo di essere amiche.”

Un tuono fragoroso fece tremare Amy, insieme alla forza di quella frase. “come dici tu è perché ci hanno convinto di esserlo.” Le sibilò di risposta.

Anne sbatté la porta e corse via, mentre Amy urlava ancora: “non ti sopporto quando fai così, diamine!” la sua voce risuonava ancora per i corridoi.

Pochi minuti dopo la porta della camera si aprì di nuovo, lentamente. Dal buio entrò una ragazza dai capelli scuri, con la pelle mulatta, con una candela in mano che creava riflessi tremolanti sul suo volto dolce. All’inizio Amy nemmeno si accorse della sua presenza, da quanto era stata cauta, poi lentamente si voltò per guardare la luce, che era l’unica della stanza, oltre al bagliore di alcuni fulmini fuori dalla finestra.

La ragazza si sedette davanti a Amy e posò la candela in mezzo a loro, tanto vicino che si sentiva il calore sulle palme delle mani. La ragazza, che si chiamava Stephanie, osservò Amy per un po’, come studiandola, mentre lei faceva di tutto per evitare il suo sguardo penetrante. Visto che Amy non la guardava, Stephanie guardò a terra. Osservò la mani di Amy con attenzione, poi le prese i polsi. “deve averti fatto male …” mormorò.

Amy alzò lo sguardo, e Stephanie le donò un sorriso dolce. “Lucas mi ha detto quello che è successo, e che ha dovuto fermarti con la forza.” Lucas era il ragazzo che l’aveva fermata al cancello. “gli hai graffiato la faccia tanto che gli hai fatto uscire il sangue, lo sai?” continuò la ragazza, ma nel suo tono non c’era nemmeno una briciola di accusa.

Anche Amy guardò le proprie mani. Intorno ai polsi c’erano dei segni rossi, come se fosse stata incatenata, e sotto le unghie di una mano c’era del sangue secco. Provò quasi un moto di orgoglio a sentire quelle parole. “non me ne ero accorta.” Sussurrò. “ti sei scusata anche per me?” aggiunse con un filo di voce dopo qualche attimo di riflessione. Era confusa, quello che provava era del tutto nuovo per lei. L’adrenalina che aveva in corpo quando era quasi scappata sembrava essersi ritirata nel profondo del suo corpo, e adesso si vergognava terribilmente per quello che aveva fatto. Non era mai stata un’attaccabrighe o una manesca, sono si adeguava. Se la gente non la notava, in fondo le andava bene, perché non correva il rischio di sbagliare qualcosa. Tutta quell’attenzione improvvisa e la confusione che aveva provocato le mettevano paura e le facevano battere forte il cuore. Lei non era così, ma la situazione l’aveva plasmata a suo piacimento.  

Stephanie sorrise, ma quando parlò il suo sorriso scomparve. “veramente no. Ho pensato che è compito tuo scusarti. Domani devi andare con Anne al borgo, e Lucas vi accompagnerà. Glielo dirai tu, domani.”

“io con Anne non ci parlo.” Obbiettò Amy. “e tanto meno con Lucas.”

“ho sentito infatti che stavate litigando.” Ricordò Stephanie. “Con toni più accesi del solito, tra l’altro.”

“questa volta è una cosa seria.” Disse Amy alzando la voce. “non la sopporto più. Fa tanto finta di essere saggia a minacciarmi quando è infantile come pochi.” La ragazza stava tornando ad arrabbiarsi, l’adrenalina tornava a scorrerle nel sangue, gli occhi le brillavano. “solo perché vuole essere la migliore. È invidiosa, ecco cos’è. Pensa Steph, che dice persino che sia giusto che io sposi George!” la sua voce era sempre più alta. “è assurdo! Ti rendi conto, Steph? Lei che è mia amica mi viene contro! Credimi quando ti dico che è una cosa seria, perché questa volta non sono bazzecole come le altre volte.” Amy si fermò per prende fiato, quando Stephanie la interruppe. “hai finito?” chiese gentilmente, però non le diede tempo di rispondere. “dici che è una cosa seria, e ti credo, ma anche le altre volte dicevi che era una cosa seria, però vi bastava riparlarne più tranquillamente che tutto passava e ci ridavate su!”

Amy sbuffò. “questa volta è veramente seria.”

“ti credo, anche questa volta, ma secondo te tutto andrebbe meglio se io ne parlassi con Anne?”

“non annulleresti il mio matrimonio.” Obbiettò Amy.

“giusto, ma almeno non perderesti un’amica.” Lo disse con tale convinzione, che anche se avesse voluto, Amy non poteva ribattere.

Amy la guardò poco convinta, poi sul suo viso comparve un sorriso. “Stephanie, come li risolvi tu i problemi … nessuno.” Disse commossa abbracciandola.

Restarono così per un po’, poi Stephanie si staccò. “adesso però è meglio che ci sistemiamo. È quasi passata mezzanotte e domani ci dobbiamo svegliare ancora prima del solito … vale a dire tra poche ore.” Si alzò con un sorriso e si lisciò la gonna. “in più tu sembri un porcaro, e domani dobbiamo sembrare tutte delle bambole di porcellana al ricevimento per il matrimonio della Miss. Io vado a cercare Anne, mentre tu ti lavi e ti sistemi per bene.” Le tese una mano per alzarsi senza smettere di parlare. “Miss Magdalene ha fatto il bagno poche ore fa, l’acqua dovrebbe essere ancora calda nella sua stanza da bagno, quindi saltaci dentro e poi buttati a letto e dormi per un po’. Va bene?”

Amy sorrise di cuore. “grazie. Hai sempre le parole giuste per …”

“basta!” sbottò Stephanie. “non c’è tempo nemmeno per parlare … e ormai sono abituata a sistemare i vostri battibecchi. Potrei scriverne un libro.”

Il sorriso di Amy non scomparve. “non dei miei battibecchi con Anne, piuttosto delle nostre avventure.”

“avventure?” chiese Stephanie andando verso la porta.

“certo. Come tre impavide ragazze riuscirono a sfuggire al matrimonio.” Recitò Amy.

“perfetto. Suona bene … però lo voglio anche illustrare.”

“tutto quello che vuoi somma poetessa e artista.” La prese in giro Amy.

Stephanie andò via sorridendo. “peccato che siamo troppo insignificanti perché diventi realtà.” Mormorò.

“certo.” La rimbeccò Amy da dentro. “ma l’avventura la vivremo lo stesso. Sarà meraviglioso.”

Stephanie badò bene che Amy non sentisse, ma quando fu fuori scosse le spalle. “ma quale avventura? Persone come noi non possono avere nessuna avventura …” Non era una persona negativa, al contrario, ma era da tempo che non credeva più alle favole. Amy non lo aveva ancora capito.

 

Stephanie andò subito a parlare con Anne.

La cercò per tutto il primo piano, e alla fine la trovò in cucina, seduta davanti al camino con le gambe tirate al petto e il mento sopra le ginocchia. L’unico rumore era il crepitare del fuoco e il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera fuori della porta.

Stephanie si concesse di osservarla per un attimo, con le mani appoggiate sulla stipite della porta, indecisa si cosa dire. Le veniva abbastanza naturale chiarire sempre tra Anne ed Amy ma l’impresa non era mai una passeggiata, e soprattutto aveva sempre bisogno di riordinare le idee prima di affrontare una discussione con Anne. La ragazza aveva l’ambiguo “potere” di mandarla in confusione ogni volta che voleva. La mente di Amy era molto più docile, ed era di gran lunga più facile farle cambiare idea. Anne invece era una delle persone più testarde con cui Stephanie avesse mai avuto a che fare. Ma le voleva bene, per questo si fece avanti e si sedette accanto a lei.

Per un attimo rimase in silenzio, adottando la stessa tattica che con Amy aveva funzionato. Guardò il viso di Anne, sulle guancie c’erano i segni lucidi lasciati dalle lacrime. “ne valeva veramente la pena di litigare così furiosamente?” chiese Stephanie. Il modo brusco con cui la sua voce aveva spezzato il silenzio aveva preso Anne di sorpresa, i muscoli del suo viso si erano irrigiditi.

“direi proprio di sì.” Rispose Anne decisa, con la voce roca.

Stephanie sospirò. “Amy mi ha spiegato per sommi capi quello che è successo … ora me lo vuoi raccontare tu?”

Anne sospirò a sua volta. “forse ho esagerato …” ammise, ma poi il suo orgoglio tornò a farsi sentire. “ma anche Amy, non scherzava … ha preso questa storia di George Todds come un modo per mettersi al centrò dell’attenzione, e io …” Stephanie si accorse che la sua voce pian piano andava spegnendosi, infatti Anne non concluse la frase. “sei gelosa?” le chiese.

Anne abbassò la testa. “sono spregevole?” guardò l’amica in faccia. “ma è così. Tutti che pensano a Amy e io invece … sono sempre nella sua ombra, mai una volta che riesca a fare qualcosa meglio di lei.”

Stephanie si sentì avvampare. “ma questa non è una gara! Con questa storia Amy si gioca il futuro! Scusami, ma non puoi proprio sfogarti della gelosia di tanti anni in questa situazione. Non puoi.” Appena ebbe finito, Stephanie avrebbe voluto rimangiarsi tutto. Era stata troppo dura, si vergognava. Stava per provare a rimediare, ma Anne la interruppe. “forse hai ragione …” la guardò con un mezzo sorriso. “anzi, senza il forse … hai proprio ragione, è sbagliato comportarsi in questo modo con Amy, proprio adesso. Ma cosa dobbiamo fare?”

Stephanie lasciò andare un sospiro. Per quelle parole che le erano sfuggite poteva rischiare di far arrabbiare ancora di più Anne, e la cosa sarebbe state pericolosa.

“vedremo Anne …” sorrise. “ma per ora penso sia meglio andare a dormire, non credi?” anche Anne sorrise.

“va bene, ha proprio ragione …” si alzò e le tese una mano per farle alzare a sua volta. Stephanie la accettò e, appena fu in piedi, le gettò le braccia al collo e la abbracciò stretta.

 

Dopo quel discorso tutto tornò come prima, come se non fosse successo niente e di quelle litigate e di quella nottata così strana, era rimasto solo un ricordo.

Quando le ragazze erano tornate in camera, Amy era già a letto, con i capelli bagnati raccolti alla nuca e l’abito sporco di fango accasciato ai piedi del letto, ma con un sorriso sereno sul volto. Stephanie era sempre orgogliosa del uso lavoro quando metteva pace tra le due amiche, ma quella sera era più orgogliosa del solito. Purtroppo era troppo stanca anche per pensare, così non ci badò molto. Si stese sul suo letto, esausta. “buonanotte, Anne.” Disse sospirando, mentre anche Anne la imitava e si metteva a letto.

“buonanotte Steph.” Rispose l’altra. “e grazie di tutto.” Aggiunse.

“ormai ci sono abituata.”

“non deve essere molto piacevole.” Rifletté Anne ad alta voce.

“a me non dà problemi, vi voglio così tanto bene …”

“va bene …” mormorò Anne. “allora a domani.”

Fu mattina in fretta.

Un piccolo commento dall'autrice demente... chiedo scusa per aver cancellato la recensione di Cabol a questo capitolo, ma come avevo già detto non sono brava a usare l'html e ho fatto un casino... perdono! se volete lasciate una recensione, sarà un piacere leggerla!! ... grazie, baci a tutti!!

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Capitolo 3
*** Magia ***


Deathbearer - Cap 3

Magia.

Il caldo sole dei Caraibi penetrava da una piccola finestra e illuminava uno spicchio della cabina. Sara era sdraiata a pancia in su in una delle tre amache che riempivano la cabina. Teneva le braccia sopra la testa giocherellando con un filo rotto della corda che teneva l’amaca. Si stava godendo uno di quei rari momenti in cui il Deathbearer era in porto, in cui si potevano sentire i rumori della terra; in cui il rollio della nave sembrava cullarla, e il rumore della risacca le riempiva le orecchie. Le piaceva quella sensazione di pace, ma per lei era quasi innaturale. Per questo motivo, Sara si tirò a sedere e poi scese con un balzo.

Si affacciò alla piccola finestrella della sua cabina e guardò in basso. Sul suo viso comparvero i riflessi del sole sull’acqua e il suo sorriso si illuminò. Si sporse di più e osservò i riverberi sulla poppa della nave. Le piaceva osservare i riflessi dell’acqua sullo scafo, perché erano sempre diversi e quel movimento di luci la rilassava.

Alzò lo sguardo e osservò l’immensa distesa azzurra davanti a sé. La lunga linea dell’orizzonte quasi sgombro di terre le riempiva il cuore di gioia. Alle sue spalle però c’era la terra ferma. Era da tanto che non attraccavano da qualche parte. Era strano svegliarsi con il gracchiare dei gabbiani sopra la testa e l’aria calda carica di sabbia che le sferzava il volto. Di solito navigavano così all’esterno che i gabbiani non arrivavano, e la sabbia era solo sotto l’acqua.

Le faceva uno strano effetto. Era una giornata incantevole grazie al temporale della sera prima. Il sole era alto nel cielo limpido e sgombro di nuvole, lei era euforica senza sapersi spiegare il perché.

Scese sul ponte e salutò i marinai che le degnavano un sguardo con un gesto della mano. Era cresciuta su una nave pirata e l’affetto che rivolgeva alla ciurma lo dimostrava solo in battaglia, quando con la sua mira infallibile li salvava per un pelo, tirando un coltello o sparando un colpo all’avversario. Aveva inoltre visto morire tante persone, anche sotto la sua spada, ed era diventata molto dura, come un pirata.

Provava pochi sentimenti buoni e raramente la pietà. Diceva che i buoni sentimenti andavano lasciati alle signorine perbene, con i capelli pettinati, con i loro abiti ridicoli e pesanti; e di lasciare alle persone come lei il resto. Fino a quel momento le andava benissimo.

Si appoggiò al timone e osservò il ponte del Deathbearer. Quella nave era l’unica vera minaccia pirata che era rimasta. Un veliero completamente nero, coma una notte senza stelle. C’erano tre alberi e un pennone a prua con fiocco e controfiocco per aumentare la velocità. Era il luogo che Sara preferiva di tutta la nave. si metteva sempre a prua e solo lì riusciva a riflettere. Il vento le compiva la faccia con violenza, facendole lacrimare gli occhi; le gonfiava la camicia, le frustava la pelle. In quel luogo le sembrava di poter volare.

Sulla prua della nave era scolpito nel legno un demone ghignante, con una fila di denti appuntiti. Era un immagina che doveva mettere paura agli sventurati che erano inseguiti dal Deathbearer e che nei loro cannocchiali vedevano il Portatore di Morte farsi sempre più vicino.

Un labirinto di sartie si sviluppava tra gli alberi, intrecciandosi sopra le pesanti vele nere che rendevano famoso e riconoscibile il veliero. Lo scafo e tutto il possente legno della nave era nero, per mimetizzarsi con il buio con cui attaccavano.

Diede un’occhiata alla carta che era stesa sul tavolo, anche se erano fermi, ma non ci capiva molto di navigazione. Lei era più per l’azione, le battaglie, gli scontri a fuoco.

Il capitano Jack e sua madre Mary erano nella cabina principale, da dove provenivano ogni tanto alcuni urli di rabbia. La donna e il capitano litigavano spesso, ma quel giorno era una cosa più seria del solito. Avevano trovato finalmente anche l’altro cerchietto di madreperla e avevano bisogno dell’altro, ma esso non si trovava da nessuna parte. Jack incolpava Mary di averlo perso dandolo alla bambina e sosteneva che ora stava a lei ritrovarlo. Mary invece si difendeva dicendo che lo aveva fatto perché, conoscendo il capitano, sapeva che lui avrebbe abbandonato la figlia e così l’avrebbero ritrovata. Inoltre voleva che fosse Jack a scendere a terra e tenere Michelle con loro. Praticamente era quello che aveva sempre progettato, ma era finalmente giunto il momento di metterlo in atto. Sara non aveva del tutto capito la loro litigata della sera prima e quella della mattina, ma era abituata a sentirli urlare quasi tutti i giorni.

Jack non ammetteva repliche: voleva che Mary andasse al porto e trovasse quel dannato ciondolo e lasciasse la ragazza dove stava.

Mary dovette accettare, quando un pensiero raggiunse la sua mente: sarebbe scesa a terra e avrebbe trovato il ciondolo, con ragazza al seguito e avrebbe finto che Michelle volesse rimanere a bordo. Era perfetto. Avrebbe ottenuto quello che voleva e non avrebbe speso altro fiato in inutili litigi con il capitano.

Uscì sul ponte e raggiunse la figlia. La abbracciò forte, e Sara che si vergognava cercò di togliersela di dosso con un sorriso falso stampato sulla bocca.

“grazie … ehm … mamma … Staccati … ho capito … ti voglio bene pure io ….” Sapeva però che non era per quello, perché non era da lei. Infatti si insospettì subito.

Dopo l’abbraccio Mary fece un passo indietro e squadrò Sara dal capo ai piedi.

I capelli biondi che le arrivavano alle spalle, erano un po’ sporchi, ma pettinabili alla meglio. Il viso magro era di un delizioso color miele, e i suoi grandi occhi blu, spiccavano in mezzo al viso curiosi e anche un po’ mistici. Aveva uno sguardo molto penetrante. Era molto magra, e non troppo alta. Tutto sommato non era una brutta ragazza, Mary glielo aveva sempre detto, ma Sara non voleva ascoltarla mai, nemmeno per le banalità. La donna socchiuse gli occhi per contrastare la forte luce del sole e scese nella stiva cercando qualcosa tutta concentrata sulla sua idea.

Il suo piano stava per prendere forma.

 

Anne si alzò presto, come al solito, come se la notte prima non fosse successo niente di particolare.

Lei era una ragazza semplice. Abitava a Port-au-Prince da quando era nata e non era mai stata fuori dall’isola di Haiti. Viveva nella grande villa del governatore e non aveva mai pensato di poter fare una vita diversa da quella a cui era stata indirizzata.

Si sedette al tavolino che fungeva da toletta e cominciò a pettinarsi i corti capelli rossicci. Li aveva tagliati quando i suoi genitori, pescatori, erano morti in una violenta tempesta e, per avere di che vivere aveva dovuto venderli a un parrucchiere perché ci facesse una bella parrucca rossa. Le erano stati tagliati con un coltello alla buona, lasciandoli lunghi quattro dita, tanto che all’inizio le si impennavano sulla testa come una corona fiammante. Ormai però erano passati anni e i capelli le arrivavano sotto le spalle. Rimanevano crespi e ribelli, ma era la sua natura. Non erano i lunghi capelli lisci di Amy, ma le piacevano anche così.

Amy era la sua migliore amica, anche se battibeccavano molto spesso. Erano arrivate a non parlarsi per giorni, e spesso di urlavano frasi molto pesanti. Per questo ormai quasi non ci davano più peso. Anche lei era orfana, e a quanto si sapeva una notte era stata trovata in casa. Tutti si erano subito presi cura di lei e loro erano diventate buone amiche. Aveva sempre vissuto con lei e la conosceva benissimo. Malgrado le litigate, in fondo si volevano bene, ma erano una più testarda dell’altra e raramente erano d’accordo su qualcosa. Bastava conoscerle un po’ per capire che erano delle brave ragazze e per prenderle in simpatia, come era successo con molti al porto.

Anne si girò a posò gli occhi sull’amica. Si rigirava nel letto piegando tutto il lenzuolo con delle strane smorfie sul viso. Era arrabbiata dalla sera e Anne provava a capirla. Sorrise, e si voltò verso lo specchio appoggiato al muro. Prese una manciata di forcine e provò a sistemare i gonfi capelli ramati. Osservò la sua immagine nello specchio. Aveva occhi verdi con delle striature marroni, il naso dritto e le lentiggini che aveva fin da piccola le tempestavano la pelle chiara delle guance e del naso. Era una ragazza molto alta e il suo fisico era proporzionato con l’altezza. Era forte e attiva, le piaceva il movimento. Portava abiti semplici e dai colori chiari, quelli per una domestica. I capelli li teneva sotto una cuffietta bianca, da cui uscivano un ciuffo arancione che le ornava la fronte e il resto della chioma che le sfiorava la schiena ad ogni passo.

Si vestiva con calma e senza voglia. Non le andava mai di vestirsi come una bambola, ma era obbligata e alla fine Amy prendeva i lacci e tirava il corsetto. Quel giorno però Amy ancora dormiva, così disturbò Stephanie, che stava inginocchiata con le mani dentro la sua cassapanca.

Stephanie era la dama di compagnia di Miss Magdalene, la figlia del governatore, che aveva dieci anni. La ragazzina era viziata e petulante, ma Stephanie era obbligata a servirla ed eseguiva il suo lavoro con diligenza. In compenso portava abiti più belli di quelli di Anne e Amy e non usava la cuffietta sui capelli. Soprattutto accompagnava la Miss ovunque lei volesse o dovesse andare.

Proprio quel giorno la ragazzina doveva partecipare al matrimonio della sorella maggiore, Meredith, che di anni ne aveva quindici. Stephanie l’avrebbe accompagnata alla cerimonia nella chiesa della famiglia, poi avrebbe seguito la  Miss tutto il giorno, nella festa nella villa dove viveva con la madre (che per Meredith era la matrigna) e il padre, il governatore. I domestici avevano un gran da fare per preparare la sala da pranzo, decorare il giardino, preparare le stanze, i viveri e la torta nuziale per gli ospiti. La preparazione della torta era affidato alla grande cuoca Katherine, che era anche la governante della casa e la madre adottiva di Anne e Amy. Era lei che aveva trovato il fagotto di Amy quattordici anni prima, sotto il camino della cucina.

Stephanie per l’occasione scelse un abito di damasco verde menta, con decori in pizzo, che le aveva portato il padre dalla Francia. Non vedeva l’ora che suo padre tornasse da uno dei suoi lunghi viaggi per il mondo e che lo tenevano lontano con la sua nave per la maggior parte dell’anno. Le faceva visita una volta in estate e due settimane in inverno. L’aveva lasciata in quella casa per tenerla al sicuro, orfana com’era di madre. Stephanie non vedeva l’ora, ogni estate, che suo padre tornasse. Purtroppo quell’anno ancora non era arrivato e cominciava a impensierirsi.

La ragazza però era più preoccupata di quale monile mettere insieme al vestito verde. Stephanie era una bravissima ragazza, ma se aveva un difetto era la pignoleria ed era un po’ troppo amante della perfezione.

Il suo sguardo cadde su Amy, che ancora si rigirava nel letto. Gli occhi scuri di Stephanie balzarono sul comodino e caddero sulla collanina che lei ci appoggiava ogni sera. Fu il ciondolo di madreperla ad attirare la sua attenzione così, silenziosa come un gatto, attraversò la stanza per arrivare fino al letto di Amy. Con un gesto veloce e silenzioso, agguantò la collana e se la legò al collo. La lunghezza era perfetta e le striature verdi nella madreperla davano un tocco elegante ma semplice, al suo bel vestito.

Quando Anne la notò, subito la avvertì della ira che avrebbe seguito il risveglio di Amy, visto che già non era di buon umore, ma Stephanie non le diede retta e si chiuse la porta alle spalle, con uno sguardo talmente supplichevole che Anne non riuscì a protestare. Era uno dei pregi, o difetti a seconda del caso di Stephanie, quello di portare chiunque a fare quello che lei voleva con un solo sguardo intenso. Forse era quella punta di indio che faceva parte di lei, con madre indios e nonni inglesi. Aveva capelli neri che le oltrepassavano le spalle e grandi ed espressivi occhi scuri, che in molte le invidiavano. Non era molto alta, ma era magra e bilanciata. L’abito chiaro faceva risaltare la sua pelle meticcia e i capelli neri ben pettinati raccolti con il pettinino d’argento.

Anne rimase da sola nella stanza silenziosa e decise di non svegliare Amy, perché secondo lei nessuno avrebbe notato una domestica assente, con la confusione che avrebbe riempito la villa appena la famiglia sarebbe uscita. Per di più si sentiva un po’ in colpa per quello che le aveva detto la notte precedente, ed era come farle un favore.

Scese allora nelle cucine, dove ordinatamente tutti si davano da fare per sistemare il luoghi adibiti ai festeggiamenti. Sciacquò le mani, le asciugò nel grembiule e prese una pila di piattini di porcellana da sistemare in sala da pranzo. Katherine la seguiva, controllando tutto con sguardo indagatore.

Anne arrivò nella grande sala, dominata dal lungo tavolo di legno scuro elaborato. Era già tutto coperto dalla grande tovaglia bianca bordata d’oro e riempito dai candelabri e da tutti gli altri centrotavola.

Era da giorni che si preparavano all’evento e adesso mancava solo di apparecchiare per bene la tavola e sistemare il giardino, a cui i giardinieri stavano già lavorando di corsa, perché il temporale della notte prima li aveva tenuti in guardia. Insieme al temporale si era scatenata una violenta tempesta, ma fortunatamente i nuvolosi scuri, carichi di pioggia, avevano lasciato spazio a un cielo limpido e chiaro.

Anne sentì la brezza del mare sulla pelle e inspirò il suo odore salmastro a pieni polmoni. Le belle giornate aveva il potere di metterla di buon umore.

Appoggiò i piatti ad un angolo del tavolo e cominciò a distribuirli ad ogni posto. Katherine la osservava aiutandola nel lavoro. Mentre strofinava ogni piatto la cuoca le chiese: “Amy dov’è? Dorme ancora vero? È una tale dormigliona!” Improvvisamente perse il suo solito sorriso e sospirò: “è ancora arrabbiata?”

Anne non rispose subito, poi disse: “non lo so per certo, ma se devo darti un consiglio forse è meglio lasciarla per conto suo per un po’ ”

Katherine si passò una mano sulla fronte. “ma non posso lasciarla per conto suo … Quella è capace di scappare un’altra volta.” Disse con voce dura.

Anne notò subito la sua espressione. “devo proprio andare a svegliarla?” chiese.

Katherine riprese il tono di voce imperioso: “credo proprio di sì mia cara, oggi è una giornata importante, non puoi lasciarla dormire fino a tardi … e poi dovete andare al borgo, dovete prendermi un po’ di frutta e altre cose … Te lo avevo detto, ma non ti ricordi mai … vi accompagnerà Lucas, che deve prendere la biada dei cavalli. Cerca di non lasciare Amy da sola.” La guardò intensamente. “Per favore, Anne. So che avete litigato, vi ho sentite … ma cerca di fare uno sforzo …” mormorò spostando un ciuffo brizzolato dalla fronte.

Anne annuì sovrappensiero, concentrata su Lucas. “proprio lui ci deve accompagnare?” chiese.

“so che Amy è arrabbiata, ma il mondo mica gira intorno a lei.” Disse Katherine senza capire quello che intendeva la ragazza. “ Non può fare così, mettere il muso e aspettarsi che la gente le dia retta. Non è più una bambina. Quindi  Lucas vi accompagnerà, che Amy lo voglia o no … sarà un’opportunità per fare pace.” Concluse.

Anne sospirò e, anche se di malavoglia, uscì dalla sala e tornò nell’atrio. Prese le scale principali per raggiungere il terzo  piano della villa, sospirando mestamente.

In realtà non era solo Amy che non voleva parlare con Lucas, ma lei.

 

Amy era già sveglia, seduta sulla cassapanca sotto la finestra spalancata, e si passava le dita sui polsi doloranti  scrutando l’orizzonte con gli occhi grigi. Pensava a quello che aveva visto al tramonto il giorno prima. La litigata con Anne e la mezza rissa erano già acqua passata.

Come le capitava sempre guardando il mare, cominciò a riflettere. Spesso alcune navi viaggiavano in direzione del porto e lei le vedeva tutte, dalla Punta Estrema. Per questo all’inizio non era timorosa, visto che forse erano invitati alle nozze. Ma poi, ripensandoci, le sembrava strano che nobili come erano gli invitati, arrivassero lì con il sopraggiungere della notte e di una tempesta, senza bandiera, con le luci spente e soprattutto con una nave grande. Il matrimonio non era poi niente di così importante per arrivare con un galeone. Lei non se ne intendeva, ma quella sembrava quasi una nave da guerra.

Solo in quel momento si spaventò, perché tornò  pensare lo stesso del giorno prima: Pirati.

Solo i pirati e i corsari navigavano con il buio, con il mare burrascoso, lontani dalla costa e senza bandiera. Avvampò, perché non ci aveva pensato prima? Era scappata via come una stupida. Doveva correre subito al forte, e dare l’allarme. Però se ci ripensava, non l’aveva vista proprio bene la nave, potevano essere mercanti, magari. Non ci credeva nemmeno lei, ma poteva sempre essere. Si alzò e chiuse la finestra con un sospiro. Sperò di aver visto male la sera prima, perché adesso l’orizzonte era completamente sgombro.

Tornò nel suo letto e si sdraiò a guardare il soffitto di travi.

Si sentiva la testa esplodere, tutto ad un tratto le era venuto caldo.

Aveva paura di aver fatto uno sbaglio, e allo stesso tempo sperò di aver visto male. Cercò di non pensare a niente e di tornare a dormire, sentiva il rumore della tempesta infuriarle nella testa, ma ovviamente non c’era nessuna tempesta fuori. Tra il fragore delle onde il boato dei tuoni, sentì una voce leggera che cantava. All’iniziò pensò di immaginarselo, ma la voce non proveniva da nessuna parte, era come se fosse all’interno della sua testa e lei non riusciva a mandarla via. Non riusciva ancora a distinguere le parole, ma la voce aumentava l’intensità.

Luce e buio,

sono entrambi figli del sole.

Vittoria e sconfitta,

vengono entrambe dalla stessa battaglia.

Futuro e passato,

sono entrambi due facce della vita.

Memorie di ricordi finiti,

quando tra colpevoli, vittime e superstiti

della stessa sciagura

ci si giocava la libertà.

Quando distinse le parole si sentì un brivido lungo la schiena.

Chiuse gli occhi e li strinse forte, ma la voce aumentava dentro la sua testa e la canzone diventava sempre più veloce. Si mise le mani sulle orecchie e agitò la testa.

Luce e buio,

sono entrambi figli del sole.

Vittoria e sconfitta,

vengono entrambe dalla stessa battaglia.

Futuro e passato,

sono entrambi due facce della vita.

Arda il mio sangue,

se dalla fiamma della vendetta,

non trarrò vittoria.

Amy cominciava a sentire più persone che cantavano e che urlavano.

C’era un rumore metallico, in sottofondo,forte, sempre più forte … Delle catene, erano catene che sbattevano. La voce aumentava e la canzone parlava di vendetta …

A quel punto Amy cadde come in un dormiveglia tormentato, voltandosi e rivoltandosi più volte.

Per fortuna in quel momento Anne entrò nella stanza, e dopo un momento di sorpresa mista a paura, corse da lei. Amy gemeva nel letto tenendosi le mani sulle orecchie e con gli occhi rigati di lacrime. Anne la chiamò con tutta la voce che aveva, terrorizzata.

La ragazza d’un tratto spalancò gli occhi e la guardò un attimo come se non la riconoscesse, poi sospirò e si afflosciò tra le sue braccia con le lacrime che bagnavano tutte le mani di Anne.

“cosa succede? Cos’hai?” le chiese spaventata.

Amy non rispose subito. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa le era successo. Quando Anne era arrivata l’aveva strappata alla visione con violenza. Perché prima, era come se non esistesse. Lei poteva solo ascoltare e vedere delle immagini confuse, che la terrorizzavano.

La ragazza le si sedette accanto e Amy sospirò. “non lo so … non lo so cosa mi è successo …” mormorò. “io vedevo solo dei momenti … morti … sangue …” la voce le tremava e Anne non capiva molto. “come? … come?”

“non lo so, non lo so …” ripeté Amy. “mi sono svegliata e ho guardato alla finestra ho pensato a …” si morse la lingua. Doveva parlarle dei suoi sospetti o tapparsi la bocca? Le era espressamente vietato recarsi fuori dai confini delle villa, e soprattutto in luoghi così esterni come la Punta Estrema.

“a che pensavi?” incalzò Anne.

Amy non rispose, ma poi dovette decidersi. “ai pirati.” Sussurrò infine.

“perché ai pirati?” chiese Anne.

“io … io … non lo so … guardavo il mare … pensavo  …” balbettò Amy.

“… Magia.” Sussurrò Anne, guardando da tutt’altra parte. Il suo sguardo era vacuo e lei sfuggente, immersa nei suoi pensieri.

“cosa?” chiese Amy con voce acuta.

“Magia.” Ripeté Anne. “c’è chi dice che i pirati siano in grado di entrare nella mente della gente quando sono vicini a loro. La chiamano Magia.”

“cosa?” ripeté Amy con la bocca spalancata. “vuoi dire che dei pirati sono entrati nella mia mente?”

Anne annuì. “credo proprio di sì.” Non l’avrebbe detto se non ne fosse stata sicura. Era proibito usare la Magia, e ormai in pochi erano in grado di farlo. Però non poteva fare finta di niente, un pirata era entrato nella mente della sua amica.

“e perché avrebbero dovuto farlo?” chiese Amy.

Anne non rispose. In fondo quella della Magia era una favola che si raccontava ai bambini, forse era una stupidaggine. “dicono che gli unici in grado di usare la Magia siano i pirati del Deathbearer …” mormorò.

“Portatore di Morte.” Sussurrò Amy. “non suona molto incoraggiante.” Aggiunse. Poi chinò la testa, con colpevolezza. “credo di sapere perché ho avuto quella visione.”

Anne la guardò con la bocca spalancata. “perché?”

Amy non la guardò in faccia, prese qualcosa dal cassetto del comodino e glielo mise in mano.

Anne lo guardò curiosa. Era un braccialetto d’oro massiccio, pesante e perfettamente circolare. Sembrava una di quelli che si mettevano alle caviglie o ai polsi gli zingari.

Lo guardò per un po’ con attenzione. Non erano cose che si trovavano in giro. Per prima cosa era d’oro massiccio, e poi chi teneva cose del genere non era proprio ben visto dalla legge. “da dove viene questo?” domandò.

“era nel fagotto quando mi hanno trovato. Insieme al ciondolo che avevo al collo. Erano due. Uno lo tiene Katherine, nel caso avessimo un disperato bisogno di soldi … Questo” indicò il bracciale nelle mani di Anne. “lo tengo io, per ricordo. È tutto quello che ho di mia madre …” disse quelle parole con dolcezza, poi nella sua voce comparve una nota dura. “i pirati hanno queste cose, penso che ho avuto questa visione perché loro mi stanno cercando.” In fondo non era del tutto strano, lo capiva solo adesso.

“ma non può essere …” disse Anne poco convinta.

Vide Amy che stava per piangere di nuovo, così provò a cambiare discorso. “muoviti su, vestiti. Dobbiamo andare al borgo per prendere alcune cose …” Posò il bracciale nel cassetto e la costrinse ad alzarsi tirandola per un braccio.

“ma Anne …” protestò Amy. “potrebbe essere pericoloso!”

“no, invece. Ho sbagliato io a parlartene, tu credi a tutte queste stupidaggini. È stato solo un sogno …” azzardò la ragazza, ma non ci credeva nemmeno lei. Per evitare di doversi inventare altre scuse pietose la spinse dietro a un paravento mentre le passava tutte le gonne e le stringeva quell’odioso corsetto.

Dopo un momento di silenzio Anne chiese: “Katherine prima voleva sapere se eri ancora arrabbiata con  lei …”

Il viso di Amy, serissimo, comparve dal paravento: “non voglio parlarne.”

“ma …”

“smettila” e le puntò un dito contro “non voglio urlare ancora, e soprattutto non con te. Non può vendermi come un oggetto alla fiera. Pensavo mi conoscesse e mi volesse bene invece …” e tornò dietro il paravento.

Anne cercò di parlare ancora, ma Amy la bloccò: “fine del discorso. Altrimenti scappo ancora”.

“e Lucas ti viene ancora a riprendere!” commentò Anne con un sorriso. A Amy la battuta non piacque: “mi ha atterrato. Pesa come un macigno, non sono riuscita a fare altro. Mi sono anche fatta male, non farò lo stesso errore … La prossima volta.” disse.

“sì, ma non è la prima volta che provi a scappare e lui ti riporta indietro.”

“l’altra volta il cavallo si è spaventato, e io sono caduta. Se arrivava due minuti dopo ero di nuovo in piedi e correvo già via …” ribatté Amy, offesa.

“ma se non sei riuscita a camminare per un mese buono, dopo la caduta!” protestò Anne.

“sfido te a cadere di schiena su un ramo, picchiare la testa e poi alzarti e andartene come se niente fosse.” Sibilò Amy.

“non ho detto questo, avanti …” commentò Anne, che non sopportava quel suo modo di parlare. Visto che stavano tornando a litigare, Anne non disse più una parola e scosse la testa.

Prima di tutto: grazie a tutti...

Nemesis 18 ... troppi complimenti! mi conosci, sai quanto sono timida... anche dietro allo schermo arrossisco! però è bello avere una tua risposta così sentita, grazie.

Cabol ... scusa per la brutta fine della tua scorsa recensione ... spero che continuerai a recensire come hai fatto fino a qui (anche un saluto per me è importante!) perchè i tuoi commenti mi hanno aiutato ... grazie per la "notifica" sul discorso tra Amy e il goverantore, era effettivamente una svista e adesso dovrebbe essere a posto..

Baloon... la tua è stata la prima recensione, e mi ha fatto veramente molto piacere leggerla... spero che continuerai a seguire questa storia e che continuerà a piacerti...

E infine grazie a tutte le 39 visite (e anche le altre del capitolo 2, andate disperse), che mi fanno capire che anche se non è un best-seller, forse vale la pena di continuare questa storia... 

baci a tuttiii

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Capitolo 4
*** Sul Carro ***


Deathbearer - cap4 Sul carro.

Sara era furibonda. “non ho mai messo la gonna, neanche da bambina e dovrei metterla adesso!?” Le aveva urlato più volte, ma era cascata nell’inganno di Mary come una stupida. Avrebbe dovuto capire subito che sua madre era così carina e gentile perché voleva ottenere qualcosa e perché sapeva che Sara si sarebbe arrabbiata.

Aveva rinchiuso sua figlia in un abito rosso sbiadito, che le andava anche un po’ largo, e si era messa un vestito che Sara non le vedeva da anni, con un corpetto verde e la gonna di un colore cupo. Era strano vederla così conciata e Sara non la ricordava più. Quando comparve sul ponte socchiuse gli occhi perché il riflesso della candida camicia bianca che lei aveva sotto il corpetto le dava fastidio agli occhi. Si mise a ridere e poi si nascose nella cabina finché non fu obbligata ad uscirne.

Mary le aveva rovesciato sul capo un secchio di acqua di mare, le aveva pettinato i capelli correndole dietro per tutto il ponte e messo sotto la gonna il cerchio. Sara però era riuscita ad evitare di portare il corsetto. Mary pensò che era meglio non prolungare oltre le sofferenze della ragazza, visto l’animo molto vendicativo di cui ella era provvista.

Le due si erano poi imbarcate una scialuppa e, con un marinaio ai remi, avevano raggiunto la spiaggia.

Scesero furtive appena nessuno guardava nella loro direzione e cominciarono a camminare per il mercato controllando ogni singola ragazza, con Sara ignara del motivo delle sue sofferenze.

La via si stava riempiendo di gente, che si fermavano alle bancarelle, dove si vendevano frutti tropicali e del Vecchio Mondo, pesce ad ogni angolo e, ogni tanto, qualcuno che si vantava di poter leggere nel futuro.

Mary prese Sara per un braccio, e la trascinò in un vicolo. “ora, Sara.” Disse. “usa la Magia, fai capire a Michelle che la stiamo cercando.

Sara la guardò di traverso. “per questo mi hai portata qui?” domandò, stupita. “solo per svegliarla?”

Mary dopo un po’ annuì. “non esagerare però, potrebbe essere …”

“pericoloso.” Concluse la figlia con un sorriso compiaciuto. “come no … certamente …” aggiunse. Sara fece una smorfia, poi si divincolò dalla presa della madre. Chiuse gli occhi e mormorò qualcosa in una lingua sconosciuta. Dopo un po’ che mugugnava cominciò a cantare a voce bassa.

Dopo un paio di minuti in cui Sara continuava a sussurrare strane parole, la madre la scosse per una spalla. “ti avevo detto di non esagerare!” Disse con voce dura.

“e io non ho esagerato.” Rispose Sara con un sorriso furbetto sul volto. Non poteva farne a meno, era la sua natura, non aveva mai riflettuto sulle sue azioni. Era divertente far morire di paura le vittime della Magia, Mary non poteva toglierle anche quel piacere. “andiamo, prima che qualcuno si insospettisca. Io a destra e tu dalla parte opposta?” disse, per cambiare discorso.

Mary annuì e la riportò nella via principale.

“Sara, ricorda, stiamo cercando Michelle, non fermarti per altri motivi” spiegò ancora prima di lasciarla.

“ma non era il ciondolo il motivo della nostra visitina al porto?” domandò Sara. “perché la Magia e soprattutto perché questo?” chiese ancora indicando il suo vestito.

“perché è qui che Michelle è rimasta a terra, e poi perché il ciondolo lo aveva al collo lei.” Mary non indugiò oltre e sparì per una via affollata.

Sara pensò che avesse un bel portamento, ma la pelle bruciata dal sole, le labbra secche e i capelli arruffati facevano poco pensare a una dama in giro per comprare qualche monile.

La ragazza sbuffò, girò su se stessa e con lo sguardo cercò qualcosa di interessante da comprare.

Si avvicinò alla bancarella che vendeva collane più gremita di acquirenti e cominciò a controllare il suo futuro bottino. Il proprietario non era molto arzillo, vecchio, con tante rughe, un po’ gobbo e grasso, molto grasso, grondante di sudore, e neanche sembrava troppo sveglio, con gli occhi socchiusi e le occhiaie viola sotto le palpebre. A Sara si illuminarono gli occhi vedendo un pendaglio d’argento in bella mostra.

“quanto costa buon uomo?”  chiese in falsetto indicandola, quando tutti se ne andarono.

“troppo per te … quattro dobloni.” biascicò lui con uno strano accento.

“come fate a sapere che è troppo costosa … per chi non lo sarebbe?” continuò Sara appoggiata al banco, sempre tenendo d’occhio la collana.

“come faccio? Da come ti presenti, no? Sembri una povera contadina, grassa e povera”.

Sara si guardò. “io direi piuttosto che tra noi due quello grasso è lei e non si azzardi a parlare in quel modo a Sara Jon …” si morse la lingua, forse era meglio tenere nascosta la sua identità, o Mary si sarebbe arrabbiata molto.

Il commerciante però nemmeno si era neanche accorto che lei si era fermata a metà cognome, infatti stava già servendo un’altra donna.

Sara sorrise furbescamente. La ignoravano completamente tutti quanti.

In un secondo finse di essere stata spinta dalla folla e si appoggiò al banco brontolando. Il proprietario sbuffò e la cacciò in malo modo. “te ne vuoi andare?” le urlò, visto che Sara aveva messo in disordine tutto il suo banchetto. Lei gli fece una smorfia e fece finta di essersi fatta male.

“vattene o chiamo la guardie!” disse ancora una volta il venditore e Sara andò via fingendo di zoppicare.

Si allontanò e si nascose nell’ombra. Quindi aprì il pugno e portò la collana d’argento vicino al volto. Sorrise soddisfatta e la nascose nelle tasche tra la pieghe della gonna con un sorriso soddisfatto. Fatto questo continuò la ricerca di Michelle in un'altra bancarella.

 

Anne ed Amy scesero le scale e raggiunsero il cortile. Era un luogo polveroso pieno di rumori indistinti e mischiati tra loro. Si guardarono un attimo intorno e si diressero verso il carretto con due grandi ruote fermo davanti al cancello.

Lucas era un ragazzo della loro età, uno stalliere della casa. Aveva capelli castani e rossicci e gli occhi marroni. Era simpatico e sorridente, quando voleva, ma le sue battute non sempre facevano ridere. Alcune comari del borgo dicevano che era soltanto un maleducato e che i suoi lo avevano abbandonato perché non lo sopportavano, ma il governatore era famoso per ospitare gli orfani e renderli suoi servitori.

Stava legando il carretto ai fianchi di una vecchia giumenta da tiro, con un grande collo e spalle muscolose e possenti. La cavalla voltava la testa curiosa e Lucas, quando ebbe finito, le diede un bacio sul naso. Era più legato ai cavalli che alle persone.

Sentendo le ragazze arrivare, lasciò il cavallo e saltò agilmente sul carretto.

Appena Amy lo vide in lontananza, sbuffò. “io non ci vengo con lui!” urlò dopo un secondo. “mi ha fermato due volte che ho voluto scappare!”

Dal fondo del cortile anche Lucas cominciò ad urlare. “ti ho fatto un favore, stolta! Chissà dov’eri a quest’ora se io non ti fermavo!”

Anne cercò di calmarli, mentre Amy si avvicinava a grandi passi al carretto. “Amy!” la chiamò. “stai ferma! Siete in torto tutti e due, lo capite?” li guardò di sbieco entrambi. “fate pace e finitela così, tanto non potete risolvere niente.”

Amy chinò il capo e Lucas distolse lo sguardo. Solo allora Amy notò alcuni segni rossi sulla sua faccia. Allora gli aveva fatto male veramente, quelli erano i segni delle sue unghie. Alzò le spalle e si ripromise di non pensarci più.

“va bene.” Disse infine Amy. “ma lo faccio solo per Anne …”

“buongiorno Lucas!” esordì, gentilmente, anche se non gli andava per niente di parlargli.

Lui mugugnò un saluto. Anne non salutò, ma era orgogliosa. Si sentiva come Stephanie, che metteva pace tra lei ed Amy. Era una bella sensazione, anche se spesso nessuno la ringraziava. Lucas le stava simpatico, ma si vergognava davanti a lui e aveva paura di guardarlo nei suoi occhi marroni. Amy la notò e nascose un sorriso con il dorso della mano. Anne si era presa una cotta per Lucas un po’ di tempo prima ed era sempre impacciata in sua presenza. Non ricordava nemmeno vagamente la Anne decisa e forte che era di solito, escluso quei pochi secondi di prima. Ormai Anne disprezzava Lucas, e anche per lei era solo un povero stalliere maleducato. Nessuno sapeva chi fossero i suoi genitori, ma lui diceva solo che ne era a conoscenza e non voleva dirlo.

Amy si apprestò a salire sul lato del carro. Appoggiò una mano sullo schienale duro e grezzo e attese che Lucas la aiutasse a salire. Di solito, con gli altri, era così. Invece lui non si mosse, e slegò con calma un nodo che si era creato sulle redini.

Amy al momento rimase immobile, poi scrollò le spalle e si sedette a debita distanza dallo stalliere. Anne saltò veloce dietro, alle spalle di Lucas, in modo da vedere Amy di lato e giurò a se stessa che non avrebbe detto una parola. Aveva già urlato abbastanza.

Stavano per partire, quando il capo stalliere, un vecchio paffuto, una delle poche persone con cui Lucas aveva una minima confidenza, si accostò al ragazzo e gli appoggiò una mano sulla sua gamba.

Si alzò sulle punte per riuscire a parlargli in un orecchio, mentre il ragazzo si chinava.

“aspetta ragazzo …” bisbigliò.

Anne non se ne accorse nemmeno, mentre Amy affinò l’udito.

Il vecchio diede a Lucas un fagotto. Lui svelto lo mise via lasciando al capo il panno in cui era involto. Amy riuscì solo a vedere il luccichio del metallo. Nient’altro.

Sussurrò: “le tempeste portano cattive compagnie”, ma Amy non riuscì a sentirlo.

Lucas annuì una volta e schioccò le redini. Amy si voltò svelta dall’altra parte, con uno svolazzare di capelli. Partirono senza che nessuno dicesse una parola.

 

Il cavallo trottava tranquillo sulla strada e il carretto era avvolto nel silenzio. Amy non sopportava quella calma tesa e imbarazzata. Erano ragazzi! Perché non riuscivano a dirsi una parola?

“dove dovete andare, voi, Lucas?” chiese con la voce più gentile che riuscì a trovare dentro di sé. Lo sapeva già, ma era sempre meglio di niente.

Lucas non la degnò di uno sguardo: “su alla fattoria del vecchio pastore, a prendere la biada e il fieno per i cavalli.” Tagliò corto così velocemente che Amy si trovò senza parole. Sospirò e voltò lo sguardo sulla colline che scorrevano lentamente ai lati della strada.

Dopo un po’ di strada la ragazza scalpitava dalla noia. Continuava a sospirare sempre più forte. Sentiva la testa pesante. In realtà voleva parlare per non essere obbligata a restare sola con i suoi pensieri.

Sentì una voce, e capì solo dopo un istante, nella sua uggia, che era Anne. Era riuscita a dire qualcosa!

“cosa ne pensate del matrimonio di quest’oggi?” chiedeva.

Amy, come Anne, pensò che fosse la domanda più stupida che si potesse fare, ma la tensione giocava brutti scherzi.

Lucas sbuffò, poi alzò le spalle e rispose svogliatamente: “bha, non mi interesso di questa roba. E poi, visto che tutti ci ritengono degli ignoranti, nemmeno dovremmo interessarcene.”

Anne fu tentata di parlare con qualcun altro in eterno, piuttosto che con lui, ma alla fine fu costretta a parlargli.

 “e voi, invece?” domandò il ragazzo.

Amy tirò un sospiro. Che finalmente riuscissero a mettere in piedi una conversazione decente?

Anne rimase silenziosa. Visto che Amy non apriva bocca, rispose da sé: “credo che sia il dovere di una ragazza …” sussurrò. Non lo pensava nemmeno per sogno, ma aveva imparato a tenere per sé i propri pensieri.

“davvero?” disse Lucas incredulo.

“no, nemmeno un po’!” si corresse sorridendo Anne. Tirò un profondo sospiro di sollievo. Non era mai riuscita ad essere sé stessa davanti a Lucas nemmeno per sbaglio, e quella era la prima volta che parlava senza pensare. Ed era anche una bella sensazione essere sé stessi senza paure. Provò a sporgersi per guardare Lucas in faccia, cosa che aveva paura di fare quando era innamorata di lui. Uno svincolo le permise di vedere per un attimo gli occhi del ragazzo. Anche se era stato per poco, non aveva provato niente. Prima, solo quel piccolo sguardo le avrebbe fatto venire un capogiro.

“e voi, Amy?” chiese Lucas con un sorriso falso dipinto sul viso angelico.

Amy lo fissò per un istante e intinse in quello sguardo tutto il suo odio per lui e per le parole dovere e matrimonio.

Lucas però sapeva quello che pensava, e faceva apposta ad infierire. La cosa più perfida era che si divertiva anche.

Amy però, sostenne il suo sguardo e rispose con un sorrisetto malefico: “il matrimonio, per prima cosa non è un obbligo, e per di più non un dovere.”

Lucas stava per ribattere come faceva sempre, quando interveniva dopo aver origliato le discussioni tra Amy e Katherine sull’argomento. Amy lo bloccò: “e ancor di più non è destino. Il Fato non si può prescrivere.”

Lucas annuì, sorridendo, poi la sua anima malefica riprese: “ed è questo che dite a Katherine quando vi parla dei vostro futuro matrimonio?” chiese. “com’è che si chiama il fortunato?” aggiunse. Non credeva nemmeno a una parola di quello che stava dicendo e si prendeva anche gioco di Amy visto che lo sapeva benissimo.

“ah” continuò: “George.” Scoppiò in una risata malefica. “scappate sempre da lui, povero ragazzo. Che ha che non va?” chiese con falsa curiosità.

“niente di personale, ma io non lo voglio sposare.” Rispose sinceramente Amy.

“ma scappate ogni volta, comunque. Speriamo che la prossima volta non ci lasciate le penne, Amy. Io non posso salvarvi sempre …”

Mentre Anne si sentiva esclusa, Amy ribolliva di rabbia. Sapeva benissimo a cosa si riferiva Lucas. Una volta, quando Katherine era arrivata molto vicina alle nozze, Amy era persino arrivata a prendere un cavallo e galoppare verso l’interno, ma aveva iniziato a piovere e il cavallo si era spaventato per un tuono e lei era caduta. Era rimasta immobile a terra con la schiena a pezzi ma Katherine, che aveva il cuore tenero, aveva mandato qualcuno a cercarla. Questo qualcuno era Lucas, che aveva riportato Amy svenuta e con il viso rigato dalle lacrime. Da quel giorno, per lui, ogni scusa era buona per prendersi beffa di Amy.

Guardando Lucas, che la osservava con un sorriso cattivo, Amy pensò che avrebbe potuto saltargli al collo e strangolarlo con le briglie. Si immaginava anche il suo viso beffardo che diventava paonazzo e poi sbiancava.

Fortunatamente Anne prese la parola in tono dolce e pacato: “parlate così a Amy, Lucas, ma voi che fareste se fosse in lei?”

Lui si voltò a fissarla divertito.

Il cavallo andava dritto per la sua strada, e sembrava sbuffare per la noia che gli infliggevano quei ragazzini. Amy invece, avrebbe voluto veramente che la noia di poco prima ritornasse. Da quella di strangolarlo, era passata all’idea di prenderlo a schiaffi. Non si sarebbe nemmeno macchiata di un grave crimine.

Lucas guardò Amy e poi rispose: “io fuggirei”.

La ragazza divenne paonazza: “ma se sei stato tu a riportarmi indietro tutte le volte!” gli urlò in faccia.

“perché non sei furba, carina.” Disse lui a voce alta. “se scappi non scappi dove sai che ti cercano, ma dove sai che non ti cercano. E poi” aggiunse sorridendo: “se non sei una brava amazzone non ci posso fare niente, io. Sei persino stata fortunata, che avevi le stecche di legno nel busto e ti hanno tenuta la schiena dritta, altrimenti adesso staresti a ricamare a letto tutto il tempo perché non riusciresti più a camminare.” Poi divenne serio: “c’è chi è morto per una caduta del genere.”

Amy rimase in silenzio con aria grave. Pensò che Lucas la stesse prendendo in giro, ma invece era serio.

“e dove dovrei scappare, così che nessuno mi possa venire a prendere, sentiamo?” chiese dopo un momento.

Anne pregava che stesse zitta, ma Amy ormai era arrabbiata e nulla la poteva fermare.

“bhè … al porto.” Rispose Lucas come se fosse la cosa più semplice del mondo. Però continuava a credere fermamente mente nella sua opinione: “salirei su una nave e andrei via. Sarei libero. Libero di fare tutto ciò che mi pare, dove mi pare. Chi non lo farebbe?”.

Amy era abbastanza soddisfatta della risposta, ma era impossibile che questo diventasse vero. Si stupì di questo pensiero, perché di solito era lei che credeva fermamente che l’impossibile si potesse avverare. Questa volta invece, forse per andare contro a Lucas, era proprio convinta che quel sogno non si potesse mai avverare.

Mentre Amy era immersa nei suoi pensieri, Anne era decisa a far cadere la teoria di Lucas e così iniziò a sua volta con le domande: “e come faremmo ad arrivare al porto senza che nessuno ci trovi e ci riporti indietro senza via di uscita?”.

Lucas passò la redini da una mano all’altra, poi prese un tono di voce calmo e mesto. “ho scoperto un modo per andare direttamente dall’altra parte del monte dove si trova il forte senza attraversare le colline.” Lo disse come se fosse la cosa più importante del mondo e loro fossero due sole fortunate che potessero sentire.

Anne alzò un sopracciglio. “nuotare?” chiese sarcastica, non ci credeva nemmeno un po’.

Proprio mentre si preparava a sferrare una nuova domanda, arrivarono a destinazione e le ragazze si apprestarono a scendere.

Amy però non aveva la stessa espressione di Anne perché un po’ credeva alla storia di Lucas. Il ragazzo notò che forse ci credeva, così provò a fermarla: “è vero … credimi!” le sussurrò.

Amy si divincolò dalla sua presa e scese in fretta senza guardarlo in faccia.

Lucas scosse la testa, schioccò la lingua e il cavallo trottò via.

Arrivarono al mercato dopo un viaggio che per le ragazze fu completamente snervante.

Presero il sentiero insieme a un gruppetto di persone e le ragazze, arrivate a destinazione, si divisero. Amy andò a comprare le cose che servivano per i dolci mentre a Anne spettava il pesce. Anne non andò subito dal pescatore e decise di fare un giro perché era curiosa e il mercato da tanto non era così animato. Amy, intanto, lontana dagli occhi di Anne, corse da un'altra parte. La frase che il vecchio stalliere aveva sussurrato così furtivamente a Lucas l’aveva messa in guardia. “le tempeste portano brutte compagnie” continuava a rimbombarle nella mente.

Eccomi di nuovo qui, ansiosa di sapere cosa ne pensate...questo non è uno dei miei capitoli preferiti, ma serve sempre qualcosa per collegare diversi momenti, e questo malaugurato capitolo serve proprio a questo...

recensite, vi prego! Se non vale la pena di continuare questa storia, è giusto saperlo...

comunque, grazie Cabol  per i tuoi complimenti, e che continui a recensire...

e grazie anche a tutte le visite..

Ciaoo

                                          Archer


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Capitolo 5
*** Cattive Compagnie - prima parte ***


Deathbearer - cap5 - parte I

Cattive compagnie.  

-prima parte-

Amy prese ciò che doveva il più velocemente possibile, poi camminò spedita lungo il tutto il mercato. Teneva il cesto con una mano e intanto si sforzava di non pensare a ciò che aveva detto il vecchio.

Alla sua destra di apriva il borgo. Un piccolo mucchietto di case addossate una all’altra e costruite senza schema preciso. La cittadina era piena di vicoli stretti e tortuosi, non molto convenevoli a una fanciulla da sola. Lei però non si lasciava impressionare e, appena poté, scappò alla calura di quel giorno in un vicolo stretto e ombroso.

C’era un vecchia cartomante cieca seduta in un angolo, con un gattino nero che le si strisciava sul braccio e tanti braccialetti ai polsi e sulle caviglie. Amy li notò subito, così simili al suo, e subito si avvicinò incuriosita senza fare il minimo rumore.

“avvicinati pure, non c’è pericolo.” tuonò la vecchia con gli occhi spalancati.

Amy trasalì, e il suo cuore aumentò la corsa. La curiosità avvampò dentro di lei, così si fece più vicina e, sotto ordine della cartomante, le si sedette di fronte.

“cosa desideri?” le chiese la vecchia con voce sottile.

Amy non sapeva cosa rispondere, rimase in silenzio con le mani in grembo.

“ti posso dire quanti anni vivrai, quanti figli avrai e chi sarà tuo sposo” aggiunse la vecchia.

Amy non rispondeva ancora, ma continuava a fissarla ossessivamente.

“se non rispondi, o non puoi parlare, oppure non ti interessa questo.” La vecchia rimase immobile, come ascoltando il silenzio. “Sei una ragazza con altri valori … è un bene.” Il suo sorriso era sinistro. “Fammi una domanda, e io ti risponderò” disse la vecchia.

Silenzio. Amy era bloccata.

“domandami dell’ignoto, di ciò che non sai, e di quello che vuoi. E io risponderò.”

La parola ignoto rappresentò per Amy un enorme quantità di emozioni. Ammirava le storie fantastiche, le piaceva ascoltare racconti irreali e storie di avventure. In più era sempre preoccupata per quello che aveva sentito e che aveva visto la sera prima sulla Punta Estrema.

Pose la prima domanda che le venne in mente, e pensò che fosse insignificante e infantile. “che fine hanno fatto i pirati? Esiste la Magia?” chiese. Alle sue preoccupazioni si era aggiunta anche la visione che aveva avuto.

La vecchia, Amy non capì se fosse una cosa reale, voltò il capo con uno scatto e la ragazza si ritrovò con i suoi occhi chiari davanti. Trasalì, e un brivido gelido le scese lungo la schiena. Sentiva il cuore batterle forte nel petto, e tremava tutta.

“come?” chiese la vecchia e dopo un po’ spostò lo sguardo in basso.

“si dice che i pirati siano stati distrutti ma …” mormorò Amy. Stava per continuare, quando la vecchia prese la parola di nuovo.

“sai chi dice questo?” disse con voce sottile. Amy sussurrò una risposta sicura. Dal forte, dai soldati provenivano quelle parole.

“e allora puoi risponderti da sola.” concluse la vecchia con voce saggia.

Amy non capì. Per lei i pirati erano scomparsi. Tutta la loro razza, era così che la chiamavano gli Inglesi, non esisteva più.

“i pirati per te e gli altri sono scomparsi perché gli Inglesi te lo fanno credere. Loro non diranno mai di aver perso, di essere scappati dopo un solo scontro e di aver perso parte della flotta. Chiunque non direbbe mai di aver perso, se nessuno potesse provare il contrario.”

Amy non capiva, eppure nella sua testa qualcosa acquistava forma. Era impossibile che dei combattenti come i pirati fossero scomparsi. Come Amy la pregava di fare nella testa, la vecchia riprese.

“i pirati ci sono ancora, piccola. Non tutti, certo … Ma ci sono.” Disse.

Sospirò profondamente e poi aggiunse: “ci sarà sempre gente coraggiosa, ma considerata pazza, che sfiderà le regole per ottenere quello che i codardi non vogliono rivendicare.” Lo disse con voce così possente e enfatizzata che Amy tremò. Si aspettava quasi di veder spuntare delle vele scure all’orizzonte.

 “cercano, cosa?” chiese la ragazza, presa dalla conversazione.

La donna scosse la testa, ma non rispose.

Amy sospirò. “ma certo. La libertà … non è vero?” disse dopo qualche secondo. Lo disse con voce stanca, perché era triste. Per lei non c’era libertà, era destinata a sposare George, e l’unica ebbrezza che poteva provare era girare per quei vicoli stretti e bui sapendo che in molti avevano paura di farlo.

“presto potrai rivendicarla.” Sussurrò la vecchia, come se le stesse rivelando un segreto.

Amy piegò la testa di lato. “come?” chiese “I pirati sono ricercati dalla legge, e sono lontani. È impossibile.” Lo disse con convinzione, ma la cosa la allettava.

“nulla è impossibile per colui sulla cui testa sventola una bandiera col teschio, ricordarlo.” Disse la vecchia.

Amy si prese un colpo. Quella frase le ricordava qualcosa, come se l’avesse già sentita. “quelle parole …” mormorò. La vecchia fece per rispondere, ma non riuscì a continuare.

Dei passi di marcia echeggiarono nel vicolo. Delle voci sommesse di uomini, il rumore delle armi, la voce del comandante.

La vecchia era già scattata in piedi quando Amy si rivoltò.

“presto!” le disse con enfasi. “scappa da quella parte!”

Amy non si mosse  e anche se la donna la spingeva verso il buio, lei opponeva resistenza.

La vecchia  continuò e Amy finalmente scoprì che fingeva di essere cieca.

“se i soldati ti scoprono a parlare dei pirati finisci sulla forca!” le sibilò ad un pelo dal viso.

Amy arretrò spaventata, tremando.

“non avere paura, piccola.” Le disse la vecchia. “Confida in chi avrai accanto e credi nel tuo coraggio. I pirati ci sono ancora … tu lo sai, devi solo crederci.”

La cartomante prese il bastone e andò veloce ma con andatura dinoccolata verso il buio in fondo al vicolo, mentre il gatto correva davanti a lei.

Amy sentì il cuore salirle in gola. Si nascose nel buco di in una finestra abbattuta, completamente al buio. Vedeva le ombre dei soldati che camminavano fianco a fianco, e ne contò cinque.

Amy si spinse sempre più in fondo senza rendersene conto. Agiva spinta dalla paura, l’istinto le diceva cosa fare.

Uno dei militari prese in mano lo straccio su cui era seduta la vecchia, e lo mostrò ai compagni. I soldati cominciarono a guardare in tutti i cunicoli che si aprivano sul vicolo.

Amy restò un attimo paralizzata, ma vedendo le canne dei fucili ad altezza d’uomo, si voltò e corse al buio alzando la gonna fino alle ginocchia per non cadere.

Emerse dalle tenebre tremando dalla paura. Si ritrovò nel retro della locanda meno malfamata del posto e tirando un sospiro di sollievo, ringraziò la sua buona stella per averle dato il coraggio di scappare, e la fortuna di trovarsi in posto che conosceva abbastanza bene. Dopo una breve sistemata a capelli e cesto con gli acquisti, chiedendosi come avesse fatto a portarselo dietro nella fuga, tornò nella via del mercato.

Si ricordò dove si trovava, e di un vecchio che stava sempre sui gradini fuori dalla taverna. Raccontava sempre storie di pirati e Magia. Amy voleva sapere di cosa parlava la cartomante dicendole che i pirati c’erano ancora e in più era sempre più preoccupata per le sue visioni e la tempesta. Per questo sperò di trovarlo al solito posto.

 *

Con sollievo Amy trovò il vecchio al solito posto, sui gradini fuori della taverna con una bottiglia vuota in mano.

Lei lo salutò con un inchino del capo mentre lui alzò una mano. Era sempre così tra di loro. Non c’era rapporto tra i due se non per le storie che lui era solito raccontare e che ad Amy piaceva ascoltare.

Amy non disse nulla, né si sedette, ma lui cominciò come al solito a parlare senza essere interpellato: “che tempesta ieri, vero?” non attese risposta e riprese. “non se ne vedono di così che alla stagione dei tifoni, vero?” aggiunse.

Amy, questa volta fu svelta a parlare: “era così violenta, non mi è sembrato  …”

Lui biascicò: “ma certo, con il tempo così solo un pazzo spiega la vele della sua nave, oppure bisogna essere completamente senza ragione …”

Amy allora pensò che il capitano del veliero che aveva visto non doveva sapere cosa stesse facendo. Stava per fare una domanda quando il vecchio continuò: “dicono che in una notte come quella sia morto il Pirata Morgan”

Amy sussurrò un: “chi?” appena accennato e non si accorse neanche che quello era lo stesso cognome di Stephanie.

“il Pirata Morgan, signorina, il proprietario del tesoro più ricco e immenso della storia …” sospirò, e i suoi occhi ebbero un luccichio. “peccato sia ben nascosto, però …” disse rigirandosi la bottiglia tra le mani.

Amy non capiva, era molto confusa. Per di più l’ultimo accenno al tesoro non faceva altro che acuire la sua curiosità, e distrarla da quello per cui aveva iniziato quella conversazione. Non riusciva a capire di chi fosse la nave del giorno prima. Pirati, era quello che aveva pensato subito, e forse era l’unica possibilità comprensibile.

Il vecchio aveva detto che bisognava essere pazzi per uscire al largo con una tempesta simile, ma Amy sapeva che ai pirati non serviva essere pazzi per affrontare una tempesta, bastava essere molto testardi. Amy escogitò un modo per farsi dare qualche informazione in più. “ma erano possenti, le onde, solo vicino alla costa, o anche in mare aperto?” chiese.

soprattutto in mare aperto, fanciulla, il nostro porto è in una conca, per questo le onde non hanno fatto gravi danni alle imbarcazioni. E poi c’è l’isola.” Rispose il vecchio indicando la macchia scura dell’isola di Gonàve, che fronteggiava la costa di Port-au-Prince.

Amy sentì la sua curiosità crescere. Tutte le risposte che on la soddisfavano non facevano altro che aumentarla.

“sapete se per il matrimonio è arrivato qualche ospite in nave, ieri notte?” continuò Amy, per smentire quei pensieri sempre più funesti sui pirati e le sue visioni. Se ci ragionava, le “cattive compagnie” di cui parlava lo stalliere potevano essere i pirati, chi altrimenti? Il suo cuore riprese a battere più forte.

“no, solo questa mattina” rispose il vecchio. Se possibile, il cuore di Amy cominciò a battere ancora più forte. “oppure ieri, nel primo pomeriggio. Gli altri in carrozza, dall’interno. Perché mi fate tutte queste domande?” chiese il vecchio.

Amy rabbrividì, l’uomo sembrava ubriaco, ma era molto lucido e l’aveva scoperta subito. In effetti era un po’ strano che una domestica chiedesse di navi e tempeste.

Così Amy si inventò una scusa su due piedi: “… ehm … mancano ancora un paio di ospiti per andare alla Messa e volevamo sapere se forse voi li avevate visti al porto.” Non le piaceva affatto la situazione in cui si era cacciata.

Lui fece una pausa di riflessione, guardandola da sotto in su.

“non vorrete che si siano persi nella tempesta, vero?” incalzò Amy.

“beh, potete stare tranquilla, di navi ieri notte non ne ho viste nemmeno una …”

Amy tirò un sospiro di sollievo e si allontanò. Solo vedendola andare, il vecchio le disse dietro: “… bisogna cercarle, per trovarle, le Ombre …” le orecchie di Amy riuscirono a sentire quella frase, ma servì solo a confonderla ancora di più.

 *

Sara camminava sempre più svogliatamente per la strada, sbuffando di tanto in tanto. Aveva lasciato la via con i mercanti di stoffe e di gioielli, si stava avvicinando a quelli che vendevano gli alimentari e del pesce, ne sentiva l’odore fin da lì. Si era impossessata di altre due collane e un gruppo di braccialetti d’argento, ma non era molto soddisfatta. In effetti si annoiava a morte.

Vide una ragazza alta e magra, con i capelli rossi che stava pagando davanti a un pescatore un po’ anziano, con i capelli brizzolati, i denti quasi del tutto marci, gli occhi spenti e la pelle grinzosa e abbronzata di chi sta sempre al sole. Sara si fece più vicina per ascoltare la loro conversazione, visto che non aveva altre cose da fare, e quella ragazza la incuriosiva.

Il pescatore stava dicendo: “… e Stephanie?… povera ragazza … Gli voleva bene al padre, dicono che in una tempesta sia naufragato con tutta la ciurma e solo uno sia riuscito a raggiungere la terra. Glielo avete già detto?”

Anne abbassò lo sguardo e la voce le traballò “Katherine lo ha detto a me ed Amy solo l’altro ieri, Stephanie era troppo felice per il matrimonio, è una che si entusiasma subito … no, non ci siamo riuscite.”

L’uomo annuì e si inchinò. “avete fatto bene. E’ giusto dire la verità, ma bisogna trovare il momento più adeguato per farlo.”

Proprio in quel momento da dietro Anne spuntò il viso tondo di Amy, che aveva finito gli acquisti.

“Ossequi miss Right” la salutò il pescatore. Le parole gli morirono in gola quando si trovò a dover salutare Amy, orfana che non aveva cognome e famiglia. Per venirgli incontro la ragazza gli sorrise e concluse: “Amy, soltanto Amy.”

Le ragazze si allontanarono dividendosi gli acquisti tra i due cesti che portavano.

Dalle loro spalle risuonarono ancora le parole del pescatore: “avete dimenticato il ciondolo Amy!” la richiamò. “dov’è la vostra madreperla?”

Amy spiegò che lo aveva preso Stephanie e del matrimonio e con un gesto della mano si congedarono.

A Sara si illuminò tutto il volto e gli occhi le brillarono. Finalmente aveva trovato la ragazza che cercavano, lei poteva togliersi di dosso quell’ odioso vestito e andarsene da qual borgo monotono.

Corse senza ritegno per il mercato in cerca di Mary e la trovò appostata davanti ad un mercante di stoffe intenta a controllare una ragazza con occhi attento.

“puoi anche smetterla.” Le disse appena raggiunta. “l’ho trovata.” sorrise soddisfatta mentre Mary la afferrava per un braccio. “ma ne sei sicura? Te la ricordi la descrizione?”

“certo che me la ricordo.” Sbottò Sara offesa. “e comunque sono entrata nella sua mente, so quello che faccio.” In realtà non era mai totalmente sicura che la sua Magia funzionasse, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a Mary.

Sara le disse di seguirla, poi provò a descrivere Amy, perché Mary era scettica. “il ciondolo non lo aveva, ma un pescatore ne ha parlato riferito a lei. L’età è la mia, o almeno credo. Capelli scuri … occhi non mi ricordo … ma si fa chiamare Amy, non Michelle.”

Mary rimase un secondo a pensare, e mentre camminava a passo svelto con la figlia borbottò: “e come può sapere il suo vero nome se aveva meno di un anno quando l’ha lasciata qui!”

 *

Le due piratesse raggiunsero un sentiero che si snodava su una leggera collinetta, dove case e mercanti diventavano rari e c’erano pochi passanti. Non persero le ragazze di vista per un attimo, e le seguirono ad una discreta distanza, per non farsi notare.

La stradina che seguivano portava alle colline più interne all’isola, ma dopo una svolta si raggiungeva la grande villa. Mary osservò con occhio esperto il panorama. Dietro la villa c’era un piccolo tratto di spiaggia e poi il mare. Alla destra si ergeva un basso monte roccioso, su cui era stato costruito il forte. Mary notò che da lassù la baia dove avevano attraccato poteva benissimo non esistere, visto che era completamente nascosta. Fu fiera della scelta del capitano, per una volta.

 *

Eccomi qua, a ringraziarvi ancora una volta per le vostre bellissime recensioni... e questa volta anche più numerose! che bello!1
Cara Hivy, mia cara sorellina... grazie per i complimenti, ma la parte sui personaggi potevi anche evitarla (...scherzo, dai) mi fa piacere sapere che ti piace!
Nemesisi 18... che bello risentirti di nuovo. farò come dici, non smetterò di aggiornare.... grazie ancora di tutti i complimenti! ..non vedo l'ora di recensire le tue storie!!!
Cabol.. grazie veramente di cuore per seguire questa storia e continuare a recensirla, è sempre bello leggere i tuoi commenti... per quanto riguarda i complimenti sui personaggi, non sai quanto ne sono felice, perchè la mia paura era proprio quella di lasciare in secondo piano qualcuno rispetto ad altri...  e invece l'idea del film di pirati.. che bello! appena l'ho letto sono saltata sulla sedia, perchè l'atmosfera da film di pirati era proprio quella che volevo creare... sono così felice di esserci riuscita!
spero che anche agli altri lettori piaccia questa storia, e che continuerete a seguire e recensire...
a tra poco per la seconda parte!!
ciaoo
                                                     Archer




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Capitolo 6
*** Cattive Compagnie - seconda parte ***


Dethbearer - cap5 - parte II

Cattive compagnie.  

-seconda parte-

Anne ed Amy si fermarono davanti ad un casolare diroccato, per approfittare della sua ombra. Anne sistemò il pesce nella cesta, mentre Amy ancora rimuginava sulle parole della cartomante e sulle enigmatiche frasi del vecchio. Anne notava il suo silenzio, ma non sapeva come comportarsi perché pensava che Amy stesse riflettendo sul proprio matrimonio. La ragazza dai capelli rossi continuava a guardarsi intorno, cercando Lucas, che avrebbe dovuto riportarle a casa con il carretto.

Sara e Mary presero l’occasione al volo e corsero verso il rudere. Le ragazze davano loro le spalle, così fu facile raggiungerle, visto che la strada era completamente sgombra.

Proprio mentre stava per ripartire, Mary arrivò alle spalle di Amy senza farsi sentire. Le mise una mano sulla bocce, per fermare l’urlo e con l’altro braccio le circondò la vita da dietro bloccandone i movimenti. Senza grande sforzo la trascinò nell’ombra più buia del casolare.

Sara fece lo stesso con Anne, e anche se la ragazza era molto più alta di lei, non poté niente contro la piratessa.

 *

Appena aveva sentito quella mano calda, pesante, andarle a tappare la bocca, Amy era andata in panico. Provò a dimenarsi, sbracciandosi da tutte le parti; ma subito dopo una presa d’acciaio l’aveva immobilizzata.

L’aggressore la sollevò di peso senza apparente sforzo, e la trascinò all’interno del casolare, di cui aveva facilmente abbattuto la porta con un calcio.

Amy era terrorizzata, la sua mente non ragionava più. Anche se la mano che la mano le lasciava libero il naso, e la copriva solo la bocca, le sembrava di non riuscire a respirare, e tutto quello che avvenne dopo rimase confuso e appannato.

Amy vedeva Anne dimenarsi come un pesce nella rete nella presa di una ragazza dietro di lei. Sentiva il proprio cuore batterle nelle orecchie, il sangue pulsarle veloce nelle tempie. Le mani le formicolavano, eppure tremava come una foglia.

Quando si sentì sollevare, si spaventò ancora di più. Prese a tirare violenti calci all’aria, a contorcersi tra le braccia del suo aggressore. I lunghi capelli scuri le ricaddero davanti al viso, e scosse selvaggiamente la testa per spostarli, cercando in tutti i modi di urlare, ma le presa sulla sua bocce era molto salda.

Tra le ciocche di capelli che si agitavano selvaggiamente riuscì a vedere uno squarcio del cielo e della città. Era straziante sentirsi intrappolate e terrorizzate, mentre al borgo tutti continuavano ad andare avanti senza nemmeno immaginare la loro situazione.

Tutto diventò buio, il cielo limpido e crudelmente impotente scomparve dal suo campo visivo. La presa che la immobilizzava si allentò, ma l’aggressore non la lasciava. Avvicinò il viso all’orecchio della ragazza, Amy sentì dei capelli ispidi pizzicarle il collo. Con suo stupore, e insieme orrore, si rese conto che la voce che parlava era quella di una donna: “adesso devi stare zitta … zitta come un pesce.” La donna non parlò per un po’, e visto che Amy non si dimenava più, allentò ancora un po’ la presa. “e non ti muovere. Da adesso devi solo ascoltare.” Disse, con un sibilo inquietante. “siamo d’accordo?”

Amy, incapace di fare altro, e terrorizzata da non riuscire più a muoversi, annuì lentamente.

Le mani della donna lasciarono la ragazza, e nel secondo in cui Amy la perse di vista, il rumore metallico di una pistola che veniva caricata, raggiunse le sue orecchie.

Amy si voltò lentamente. Anne era al suo fianco, non meno terrorizzata di lei. Era pallida e aveva gli occhi completamente spalancati, pieni di terrore.

Amy sentì il proprio viso avvampare, il cuore batterle fortissimo nel petto. Quelle due donne erano piratesse, si vedeva lontano un miglio. La sua mente riprese a formulare pensieri: come era possibile che due piratesse le aggredissero? Sembrava che le parole della cartomante avessero risvegliato i pirati dall’oblio. Quando aveva parlato la vecchia però, la cosa le piaceva, ora la terrorizzava.

Sara puntava la pistola davanti alla due ragazza, tenendole entrambe d’occhio. Mary le osservava attentamente. Era curiosa di vedere come era cresciuta Michelle, e ora che ce l’aveva davanti, anche se non aveva il ciondolo, era sicura che fosse lei. Era identica a sua madre, una copia più fine del viso di Rachel.

Era orgogliosa: aveva lasciato quella bambina quando era in fasce e adesso si ritrovava quella bella ragazza. “Michelle …” mormorò.

Amy, ancora terrorizzata, spostò lo sguardo dalla canna della pistola, alla donna che aveva parlato. “che cosa?” chiese, nella voce una punta d’isteria. “cosa volete da noi?! Non avrete mai nessun riscatto per due domestiche!”

“lasciateci andare!” gridò Anne.

“non urlare …” sibilò la ragazza con i capelli biondi puntandole meglio la pistola in faccia. Anne sbiancò, e fece un piccolo passo indietro.

“è per precauzione” disse Mary alzando le spalle. “so che non scapperete …” Guardò Amy negli occhi: “vero?”

Amy non rispose. “cosa volete da noi?” chiese con la voce che le tremava.

“la tua collana di madreperla.” Rispose Sara, asciutta.

Amy spalancò gli occhi, e riprese a tremare. “ma come fate a saperlo?” mormorò, poi Mary prese la parola. “perché sono stata io a mettertelo … quand’ eri in fasce … perché sapevo che questo giorno sarebbe arrivato …” Capì che la sua voce tradiva le sue emozioni, così lasciò che Sara parlasse: “ora abbiamo bisogno di quel ciondolo. È nostro, ce lo devi ridare …” disse con tono che non ammetteva repliche.

“no!” saltò su Mary. “tu devi venire con noi …”

Il cuore di Amy, che già galoppava, perse un colpo.

“che cosa?!” urlarono Sara, Amy ed Anne tutte insieme.

“io conosco i tuoi genitori, Michelle, tu devi venire con noi!” spiegò Mary.

Amy rimase immobile, a riflettere su quelle parole. Si sentiva un groppo in gola, ma continuò comunque a parlare: “io non vi conosco … non voglio venire con voi!”

L’espressione di Mary si indurì: “ma come? Non vuoi essere libera?”

Amy aveva la mente offuscata da troppi pensieri. Le previsioni della cartomante, le enigmatiche parole del vecchio, le precauzioni dello stalliere … tutto si sommava insieme, e lei non ci capiva più niente. Avrebbe voluto gridare che sì, voleva essere libera; ma poi le ritornavano in mente le parole sentite, e soprattutto lo sguardo di Anne puntato su di lei la fecero desistere. “non vi conosco … non so chi siete …” mormorò, ma una sfumatura della sua voce lasciava intendere che non era del tutto convinta.

 *

Lo sguardo di Anne cadde fuori dalla finestra senza imposte alle spalle di Mary. Aveva il sole contro, ma riusciva a vedere qualcuno che si avvicinava. Un cavaliere che galoppava all’impazzata montando una possente giumenta da tiro. Si avvicinava al casolare velocemente, alzando una grande nuvola di polvere.

Mary ed Amy continuavano a guardarsi negli occhi senza farci caso, invece Sara sembrava aver notato il fragore degli zoccoli in avvicinamento. Aveva leggermente abbassato la guardia, Anne non se lo lasciò sfuggire. Il suo cuore prese a battere più forte.

Strinse il pugno, poi si decise. “scappa Amy!” urlò a gran voce. “corri!!” Con una forza che non era da lei scattò in avanti, e spinse Sara di lato. La piratessa minuta non poté nulla contro Anne, e ruzzolò di lato.

Mary non sembrò neanche reagire, e abbandonò l’idea di riavere la piccola Michelle.

Anne ed Amy scavalcarono la porta abbattuta, e uscirono in mezzo alla strada.

Il cavaliere stava arrivando proprio in quel momento, e loro due corsero terrorizzate dietro la mole del cavallo.

Sara emerse dal casolare con la pistola in pugno e un’espressione decisa sul volto. Puntò l’arma contro il cavaliere, che però era in controluce e non si riusciva a vedere in faccia. Fu la luce infatti a disorientarla e a farle perdere tempo.

Il cavaliere si girò a parlare con le ragazze, e gli urlò di correre verso lo svincolo alle loro spalle. Le ragazze obbediron0, e lui tornò a guardare la piratessa, che ancora gli puntava contro l’arma.

Il cavaliere estrasse una pistola dalla cintura e la puntò a sua volta contro la piratessa. Anche sei lei aveva di gran lunga più esperienza e sembrava molto meno spaventata e impacciata, fu il cavaliere a parlare: “abbassala. Non rischiare di attirare l’attenzione dal forte.”

Sara non si lasciò impressionare e strinse la presa sul grilletto.

Mary emerse dalla porta con un’espressione ancora più decisa di Sara. “abbassa quella pistola.” Ordinò, con voce ferma. “non ne vale la pena.” Poi si voltò come se niente fosse e si incamminò per la strada da cui era venuta.

La piratessa e il cavaliere si fissarono con astio ancora un secondo, poi Sara si girò con noncuranza scaricando la pistola, e lo stesso fece il cavaliere, andandosene in una nuvola di polvere.

 *

Mary aveva un aria avvilita, ma aveva carattere e non era tipo da abbattersi per così poco. “la tua Magia non ha funzionato, Sara.” Disse con voce dura alla figlia, quando la raggiunse.

Lei alzò le spalle. “tu mi hai detto di farle avere una visione, e io l’ho fatto. Non avevo previsto il risultato.”

“certo.” Borbottò Mary a mezza voce. “tu non pensi mai a niente. Però adesso è terrorizzata … non so cosa farci.” Le donò un occhiata di fuoco, e Sara non si lasciò impressionare. Continuò a camminare al suo fianco, ma tra loro si sentivano due estranee.

 *

Anne ed Amy seguirono gli ordini di Lucas e si sedettero sul carretto abbandonato al ciglio della strada. La mente di Amy era ancora un guazzabuglio di pensieri. Erano quelle, i pirati, le “cattive compagnie” di cui parlava il vecchio stalliere, per quello Lucas era pronto per difenderle.

Tornava anche a pensare alle parole della cartomante. Aveva detto che i pirati c’erano ancora, e che bastava crederci. E lei ci credeva, certo che ci credeva. Se solo avesse avuto un pizzico di fiducia in più nel suo coraggio e in quelle due straniere …

Forse avrebbe anche potuto seguirle, ma la paura era più forte di tutto. Non voleva vivere per sempre su quella terra, sposare George e non assaporare mai la libertà, ma adesso che ne aveva l’opportunità, era bloccata dalla paura.

Il suo sguardo corse al di là della colline, nel mare. Se qualcuno la stesse cercando veramente? Non poteva saperlo. Forse doveva fidarsi delle straniere e partire con loro, meglio di vivere per sempre come una serva. Era anche come le aveva detto la cartomante: fidarsi e confidare in chi aveva accanto.

Chiese allora a Anne cosa ne pensasse: “se avessero ragione? se io veramente le conoscessi e fosse stata quella donna a darmi la collana e i bracciali? E poi la visione? E la nave … e la cartomante …” Tutte le emozioni la fecero parlare troppo.

Anne la bloccò prendendola per un braccio. “che cosa hai detto?!? Quale nave? Quale cartomante? Svuota il sacco Amy, c0sa succede?”

La ragazza chinò il capo. Aveva parlato di fretta, e si era tradita da sola. “scusa …” mormorò. “ma io vado praticamente tutti i giorni alla punta estrema e vedo …”

“ma è proibito!” strillò Anne.

Amy annuì, non riusciva nemmeno a guardarla in faccia. “si, lo so … ma vedo tutte le navi che arrivano. E ieri … ieri ce n’era una diversa dalle altre … almeno, io credo che fosse una nave, è stato un attimo, era buio … non ho capito troppo bene …”

“hai visto un veliero pirata?” chiese Anne senza scomporsi.

Amy sospirò. “credo di sì … era tutto nero e …”

“nero?” strillò ancora Anne, sembrava che si fosse calmata, invece era solo un’impressione di Amy.

L’altra annuì. “Portatore di Morte …” sussurrò la ragazza dai capelli rossi.

“che?” disse Amy. “il Deathbearer, intendi?”

“si … dicono che siano gli ultimi pirati rimasti …”

“in grado di usare la Magia, tra l’altro.” Concluse Amy dopo un po’ di tempo. Forse i pezzi cominciavano ad andare insieme.

“ma che c’entra?” sbottò Anne. “quella è solo una storiella.”

“eppure io ne sono stata vittima.” Obbiettò Amy.

“non possiamo saperlo per certo. Eri sconvolta, puoi anche essertelo immaginato.” Disse Anne, ma tutte quelle parole per lei erano vere, tutto combaciava. “no, forse hai ragione tu … però se si tratta del Deathbearer si complica la faccenda.” Disse, con voce chiara. “quelle che abbiamo visto sono Ombre.”

Amy fece una smorfia. “intendi anime non-morte?”

“certo che no!” sbottò Anne. “chiamano Ombre i pirati del Deathbearer, però nessuno è sicuro che vengano chiamati così solo marinai qualsiasi, oppure i più vicini al capitano o …”

“come mai io tutte queste storie non le ho mai sentite?” chiese Amy.

Anne sorrise. “quando ce le raccontavano ti addormentavi sempre a metà.”

Sul viso di Amy anche se preoccupato, comparve un sorriso. “perché dovrebbe essere complicato?” disse tornando seria.

Anne scosse la testa. “sono i più pericolosi, come ti ho già detto qualcuno sostiene che siano gli ultimi …”

“come diceva la cartomante …” mormorò Amy. Anne preferì non indagare oltre. “credi che siamo in pericolo?” chiese, piuttosto. “intendo dire. Se quelle due sono Ombre, significa che il Deathbearer è nei paraggi … anche se da anni navigava all’esterno … solo il cielo sa che cercano.”

“no invece.” Obbiettò Amy decisa. “ci hanno detto quello che vogliono. E loro vogliono me.”

“non ci pensare nemmeno!” urlò Anne. “capisci che sono pirati?!?”

“lo  so bene.” Sibilò Amy. “ma ti ricordi quello che ha detto Lucas, oggi?”

Anne alzò gli occhi al cielo. “non crederai alle parole di Lucas?”

Amy non le diede retta. “lasciami finire. Lucas ha ragione! Se devo scappare devo andare su una nave, e c’è chi su una nave mi cerca!”

“come fai a sapere che sono proprio loro?” domandò Anne scettica.

“non posso saperlo, hai ragione. Ma sono quasi sicura che quella donna mi conosce. Ha detto di avermi dato la collana … io non ne posso essere sicura … ma forse sto rinunciando a seguire mia madre … per timore …”

Anne tornò a cedere, perché anche a lei l’idea piaceva. “forse hai ragione, ma nemmeno fidarsi troppo, in effetti sono sempre fuggitivi dalla giustizia.”

Amy si girò a guardarla. “ma io non sono un pirata!” disse secca.

“non tu … ma magari uno dei tuoi genitori … forse non ti hanno tenuta solo perché era troppo pericoloso, o avevano atri problemi …” cercava tutti i modi di spiegarsi l’abbandono di una bambina così piccola, ma non riusciva a trovarne uno che potesse andare bene. Si prese la testa tra le mani, senza guardare chi arrivava.

 *

Lucas arrivava infatti in quel momento, in sella alla sua giumenta con un sorriso soddisfatto e un po’ perfido sul volto; ma in fondo allo sguardo si vedeva che era ancora un po’ preoccupato.

“se ne sono andate, tornano al borgo.” Prese fiato. “si può sapere cosa è successo?!” urlò, fissando ai fianchi della cavalla il carretto. “chi erano quelle?” domandò dopo un po’ a voce più bassa.

Amy non rispose. Lasciò che fosse Anne a farlo. “non lo sappiamo nemmeno noi.” Poi cercò di cambiare discorso, perché sapeva che adulare era l’unico modo per non far pensare a Lucas a quello che aveva assistito. “come hai fatto ad accorgerti? Sei arrivato proprio al momento giusto …”

Lucas alzò le spalle. “dalle ceste che c’erano abbandonate proprio fuori dal casolare. A proposito: prendi qua.” Slegò i cestini dalla sella e glieli mise in mano, poi continuò a tessere le proprie lodi. “così ho slegato la cavalla, ho nascosto il carretto e vi ho raggiunte.” Fece una pausa. “devo ammettere però che mi avevano avvisato che c’erano in giro dei fuorilegge.” Lucas si schiarì la voce, per farsi giustamente ringraziare.

“grazie” mormorò Anne guardandolo negli occhi. “ti ho visto arrivare e sono saltata fuori, ma se non ci fossi stato tu …” non continuò, perché Lucas continuava a guardare Amy. Si schiarì ancora la voce.

“grazie” disse lei, e con quello il discorso era chiuso.

 *

I ragazzi entrarono in cucina tutti e tre insieme. Lucas lasciò un sacco di farina vicino alla porta, e uscì.

Amy riuscì a fermarlo per un braccio prima che se ne andasse.

“io non so niente e non voglio parlare con nessuno di quello che è successo, e tu farai lo stesso … promettimelo!” Gli sibilò in un orecchio. Anche Anne li raggiunse, e Amy la guardò negli occhi. “promettilo!” ripeté più forte.

Anne la guadò male. “dobbiamo parlarne anche con Stephanie.” Disse.

Lucas invece scosse le spalle. “affari tuoi” disse, poi uscì.

Amy tirò un sospiro di sollievo. “hai ragione. Dobbiamo parlare con Steph appena torna … ma fino ad allora …” le fece segno di cucirsi la bocca. Anne capì, fece un leggero cenno con la tesa di sì ed Amy si sentì più tranquilla.

Poi la riagguantò per un braccio. “mi raccomando non un cenno di tutta questa storia a Katherine!” Dopo un momento Anne annuì di nuovo, e si divisero.

 *

“Amy, cara  hai un viso orribile, cosa è successo, zucchero?” le chiese Katherine vedendola prendere alcune cose per portarle in sala. Amy si voltò e pensò alla fretta una scusa.

“ti devo parlare … non ti dovevo urlare dietro … ieri …” Katherine si portò una mano sulla fronte. “scusami. Solo, scusami. Ti voglio bene e non voglio che tu scappi ancora … non riuscirei a sopportare …”

Amy vide che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Non l’aveva mai vista piangere e in quel momento tutti i suoi pensieri si diradarono e le gettò le braccia al collo.

“non farmi sposare George, ti prego …” sussurrò in un suo orecchio.

“si, si … tu ti sposerai solo se è quello che vuoi” disse Katherine passandole le mani sulle guancie.

La spostò verso la luce e le osservò il viso. “cosa è successo?” disse, con voce scura.

Amy abbassò gli occhi: “niente …” sussurrò.

Katherine sospirò e le prese una mano. Di solito non faceva mai così, ma era ovvio che si sentiva in colpa: “sono stata io … non dovevo farti uscire appena svegliata … Ma no … cosa dico, zucchero, stai male, ti è successo qualcosa?” Continuò a urlare per la cucina con Amy per mano, che si sentiva in tremendo imbarazzo.

Ma Katherine sembrava non pensare a niente se non alla sua prediletta. Amy si sentiva rincuorata. Non riusciva a immaginare che dopo tutto quello che era successo la notte prima; il terrore, la rabbia che aveva provato, l’aggressione di poco prima, si potesse tornare così felici e spensierati in poco più di poche ore.

La vecchia governante però continuava a parlare, e a parlare: “ieri pioveva e oggi è troppo caldo, ecco cosa ti fa stare male … dimmi tesoro, vuoi qualcosa? Oggi non ti faccio fare avanti e indietro su per le scale da qui alla sala, stai qui con me in cucina … eh? … ti va? È meglio se ti siedi, vieni.” e prese uno sgabello di legno grezzo che indicò alla ragazza.

Amy era un po’ stralunata dall’incontro con Sara e Mary, dalle parole della cartomante e il discorso che aveva avuto con Anne. Non le era mai successo di parlare di quelle cose con la sua amica, e per una volta aveva seriamene pensato all’ambigua verità di tutto quello che aveva sempre sentito. Per la prima volta si chiese se si trovasse dalla parte del bene o del male, cosa su cui non aveva mai dubitato.

Katherine la mandò in camera a calmarsi, e lei tornò a riflettere, senza però giungere a capo di nulla.

 

Stephanie era in chiesa con la Miss e stava assistendo la matrimonio in piedi, in fondo, insieme a tutti gli altri servi. La sua mente divagava e stava pensando a suo padre. Sognava di rivederlo tra poco e lui le avrebbe portato tante cose belle e nuove, come il vestito verde. Tutti gli anni le portava qualcosa, era il momento che aspettava tutti gli anni da tutta la vita.

Ogni tanto passava lo sguardo intorno a sé, e aveva notato qualcuno che prima la guardava di sottecchi, e poi diceva al vicino qualcosa sotto voce, proprio per non farsi sentire.

La cosa non le piaceva per niente. Prima di tutto, perché si sentiva giudicata. Cosa avevano da guardare? Il suo abito era bellissimo e le stava anche bene, non aveva nulla di cui essere imbarazzata.

Quegli sguardi non le piacevano. La sua mente da perfezionista non poteva permettersi di restare con quel vergogno dubbio. In effetti non sembravano commenti ai suoi vestiti, ma storie che giravano. Capitava spesso, la città era piena di pettegolezzi. Con un po’ di dubbi si convinse che forse non era nemmeno lei la protagonista.

I suoi pensieri si placarono per poco però, dopo qualche minuto cominciò a sperare che le voci giungessero anche a lei, ma i celebranti sembravano fare bene attenzione a non farsi sentire da Stephanie.

Forse credevano che già lo sapesse … ma cosa? Continuò ancora a lambiccarsi il cervello, poi decise di chiedere e di togliersi il peso. La sua curiosità prendeva il sopravvento molto velocemente. Si orientò un po’ verso la vicina e fingendo un preghiera chiese sotto voce: “cosa state dicendo, che succede?”.

La donna la guardò negli occhi, ma non sembrò avere intenzione di rispondere. Stephanie la guardò con uno dei suoi sguardi profondi, ma la donna abbassò gli occhi, cambiò il posto con il vicino e non la guardò più. Stephanie era offesa e curiosa allo stesso tempo. Perché lei non poteva sapere cosa succedeva in paese? Era solo poco più ricca, non si era mai comportata da superiore. Rimase imbronciata fino al termine della celebrazione.

La Messa era ormai alla fine e quando Stephanie completò i suoi pensieri.

Tutti si erano già voltati verso la porta davanti ai novelli sposi. Il loro era un matrimonio combinato, per dare vantaggi economici alle due famiglie. La sposa era la figlia maggiore del governatore e lo sposo un barone d’Oltremare, possedeva un paio di ville in Francia e il doppio nel nuovo continente.

Le due famiglie erano da sempre legate da collegamenti economici di scambi commerciali e alla nascita dei primogeniti era già stato progettato il futuro matrimonio.

Stephanie guardò gli sposi con un misto di emozioni. Non le facevano un bell’effetto, comunque. Per prima cosa c’era una specie di ribrezzo. Non si conoscevano, non si erano mai visti e i sorrisi che avevano sul volto erano i più falsi che avesse mai visto. C’era anche un po’ di pietà in quel miscuglio, però. Continuava a pensare che Meredith fosse una povera ragazza, in senso affettivo, perché suo padre l’aveva venduta al migliore offerente, e poi l’aveva sempre vista da sola. Mai un’amica, o qualcuno di caro. Persino con i genitori si davano del voi, e il loro rapporto era freddo come il ghiaccio. Immaginò simile quello con il fresco sposo.

Si stupì di quei pensieri, perché a confronto lei doveva essere più fortunata, e non le sembrava proprio. In fondo anche Amy aveva un matrimonio programmato pronto con qualcuno che non aveva mai visto per più di un paio di volte. Si chiese se avrebbe provato le stesse emozioni quando si sarebbe sposata Amy, ma come risposta sperò che l’amica non si sarebbe mai sposata con George.

Qualche gomitata la spinse verso l’uscita della cappella e dovette estraniarsi da quei pensieri e tornare al suo lavoro in quanto dama di compagnia. Aiutò Magdalene a salire sulla carrozza seguita dal fratellino e poi salì anche lei, diretta alla villa per festeggiare. Non vedeva l’ora di arrivare per sapere di cosa si parlava in chiesa, però non ne ebbe il tempo perché il lavoro la estenuò completamente.

 *

Anne tornò dalla sala da pranzo con il vassoio vuoto e lo appoggiò sul tavolo con fragore. Subito Katherine le si avvicinò e cominciò a farle domande: “cosa è successo ad Amy? Aveva una faccia orribile! L’ho mandata in camera a riposarsi, ma non può restarci tutto il giorno!”

Anne non sapeva cosa dire. Sapeva bene cosa aveva fatto stare male Amy, ma no poteva dirlo perché lo aveva promesso, e soprattutto perché aveva paura della reazione.

Così inventò: “credo non abbia dormito bene …” cercò subito di cambiare argomento per evitare altre domande. “vuoi che vada a vedere come sta?”

La governate ci pensò un secondo e poi disse: “si, è meglio, stanno arrivando anche gli invitati, meglio che la chiami”

Anne tirò un sospiro di sollievo, e si accinse a salire le scale lentamente.

*

 ho diviso questo capitolo in due parti perchè mi sembrava troppo lungo, spero che la cosa non abbia rovinato l'atmosfera... Chiedo scusa Ramiza ma, completamente concentrata sugli ultimi capitoli, non avevo visto le tue recensioni ai primi... ancora scusa!! continua a recensire, ti prego, mi fa piacere sapere che ti piacciono i miei personaggi, e soprattutto anche io la penso come te sulle donne pirata... spero che quello che è successo in questo capitolo abbia aumentato la tua curiosità su Lucas!!grazie,
ciaoo
                        Archer

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Capitolo 7
*** L'istinto e il coraggio ***


Deathbearer - cap6

L’ istinto e il coraggio.

Amy era salita in camera e si era buttata sul letto, ma non riusciva a prendere sonno. Troppi pensieri le affollavano la mente, troppe voci le riempivano le orecchie.

Decise che non poteva stare lì a dormire mentre i suoi genitori forse erano a pochi metri da lei a cercarla. Le parole della vecchia le vorticavano nella testa come spinte dal vento e poi la libertà di cui aveva parlato valeva più di tutto. La cartomante le aveva detto di non avere paura, e lei non ne aveva … Bene o male.

Pensò che doveva andare a chiedere in giro. Doveva uscire, ma non poteva né prendere le scale principali né quelle secondarie, perché c’era troppa gente in giro e stavano anche arrivando gli invitati.

Era troppo decisa per ripensarci e anche per non sopportare ancora i propri pensieri, uscì dalla camera e si incamminò piano per il corridoio. Il silenzio era quasi irreale, e l’unico rumore che sentiva era il proprio cuore battere forte contro lo sterno. Sentì dei passi che si avvicinavano mentre raggiungeva le scale.

Trasalì, perché nella cadenza e nel rumore del respiro, riconobbe subito Anne. Amy era spaventata, perché era con Anne che aveva parlato dei pirati, ma non voleva che lei la scoprisse. Si morse il labbro e cercò di trovare una scusa per farsi trovare in corridoio, ma come un lampo le vene invece un’ altra idea: scappare. Era più facile e meno pericoloso.

Si fiondò verso la prima porta alle sue spalle e si ritrovò nello studio del governatore. Sicuramente nessuno, in quel momento sarebbe entrato lì, ma Anne avrebbe comunque trovato un letto vuoto. Si diede della stupida e cominciò a ripensare seriamente ad una scusa.

Amy si chinò a guardare dal buco della serratura morsicandosi nervosamente le unghie. Era stata impulsiva, poteva fingere di dormire e appena Anne se ne sarebbe andata avrebbe potuto scappare. Si morse un labbro e si diede dell’idiota. Dalla serratura vide passare Anne e si innervosì ancora di più.

Sentì i rumori dalla porta provenire dall’altra stanza e immaginò la scena: aveva percorso quel corridoio un migliaio di volte, Anne stava sicuramente toccando la maniglia. La spingeva in basso, e con forza sulla porta questa si apriva. Si sentì perduta, e infinitamente stupida.

Sentì la voce della cameriera chiamare: “Anne! Vieni sono arrivati! Amy si sveglierà da sola! Scendi!” Anne si fermò subito prima di aprire la porta della stanza vuota e con un sospiro corse giù per le scale.

Amy ebbe un sussulto. Era incredibilmente salva. Il cuore le martellava ancora nel petto e nelle orecchie, ma non era stata scoperta. Poteva andare e tornare tranquillamente perché i nobili sarebbero stati alla villa fino a sera tardi e Katherine non si sarebbe accorta della sua assenza. Sarebbe stata troppo occupata o avrebbe pensato che fosse in sala, ma alla governante non era permesso entrare durante i ricevimenti.

Amy fece qualche passo indietro e si sedette sul divanetto di velluto. Cominciò a riflettere: se doveva convincere quelle due piratesse sicuramente aveva bisogno della collana. Lei voleva essere libera, ma non voleva dirlo ad Anne. Nella villa si sentiva rinchiusa, stava bene quando era vicino al mare, come quando andava a pensare sulla Punta Estrema. Nessuno le diceva cosa doveva fare o come doveva comportarsi, era ciò che desiderava.

La collana però l’aveva Stephanie e lei non poteva prendergliela.

Le venne un'altra idea: se alle due piratasse serviva il medaglione così tanto, anche se avessero atteso qualche ora non sarebbe stato letale. Avrebbe potuto riferire di voler andare con loro e sperare nella loro pazienza. Decise di cercarle al porto, trovarle e dir loro di aspettarla ai piedi del monte quella notte stessa. Al tempo dovuto, sarebbe arrivata con il medaglione e glielo avrebbe dato ad una condizione: che Stephanie ed Anne sarebbero andate con loro. Non voleva perdere le sue migliori amiche, e sapeva che anche loro sognavano la libertà.

Nei suoi piani, sul vascello pirata ci sarebbero rimaste poco. Il tempo di trovare un passaggio per l’Europa e poi sarebbero scappate.

Quelle speranze le fecero battere forte il cuore. Tutto quello che doveva fare era uscire, ma la cosa non era poi così facile. Evitare Katherine in cucina era un cosa, un branco di nobili in festa era un’altra. Doveva aggirare le scale e anche di farsi vedere per la casa.

Rifletteva mordicchiandosi un labbro, mentre misurava a grandi passi il piccolo studio privato del governatore. Soprapensiero si appoggiò alla libreria dello studio con una spalla e, toccando un volume, la libreria si girò su se stessa e il muro si aprì in un baratro buio e profondo. Amy si spaventò a morte, e con il cuore in gola riuscì ad evitare di precipitare nel baratro per un pelo. Sospirò per scogliere la tensione e sorrise tra sé e sé. Aveva trovato il modo più semplice, e anche pericoloso, per scendere in spiaggia.

Prima di affidarcisi completamente, osservò ciò che aveva davanti. Era un pozzo circolare con un palo di legno lucido nel centro. Sembrava scendere nel buio totale e nell’ignoto, ma Amy era decisa, così dovette solo circondare il palo con le braccia facendo un saltello e si lasciò scivolare.

La libreria si chiuse da sola dopo qualche secondo senza fare alcun rumore, e in un istante lei rimase al buio totale. Il cuore tornò a batterle forte mentre arrivò a toccare terra e cominciò ad avanzare lentamente. Avrebbe voluto visitare i sotterranei della villa, ma non aveva tempo per un gita, doveva arrivare al porto in fretta. Prendere le colline era un rischio, perché da lì provenivano le carrozze, e Stephanie l’avrebbe notata subito. La strada poi era troppo lunga e ci avrebbe messo troppo tempo.

Decise che poteva passare solo dalla spiaggia, e cominciò a procedere con cautela perché quel buio pesto le faceva troppa paura per restarci a lungo. Sentiva i passi delle cameriere sopra il soffitto basso del sotterraneo, come se camminassero dentro la sua testa. Si chiese chi fosse a conoscenza di quel piano interrato buio e polveroso, che con ogni probabilità portava a passaggi segreti in tutta la villa. Era elettrizzata, non aveva mai pensato ad una cosa del genere. Avanzava un po’ alla cieca, perché non aveva pensato di portarsi una candela, e non sapeva come tornare di sopra. Capì che era vicina ad un muro, quando si accorse di alcuni fasci di luce dorata che scendevano dall’alto a distanze regolari. Capì che quella era la via d’uscita che faceva per lei.

Si ricordò di alcune botole che vedeva spesso intorno alla villa. Sembravano delle cassette degli attrezzi, e non ci aveva mai dato molto peso, ma era sicura che spingendo in alto sarebbe tornata alla luce.

Si mise sotto ad una di queste botole, quella da cui proveniva più luce, e appoggiò le mani aperte sulla superficie. Il legno era umido e incrostato di polvere e salsedine. Amy sorrise tra sé e sé, perché era sicura di arrivare in spiaggia. Prese un profondo respiro, poi spinse verso l’alto.

Con un rumore gracchiante la botola scivolò di lato, e un rivolo di sabbia dorata scivolò dai bordi. Amy si accostò all’apertura, e senza sforzo guardò un attimo all’esterno. Sentiva il rumore del mare molto vicino, così dedusse che si trovava nel retro della villa. Si mise in punta di piedi, le sue mani affondarono nella sabbia che circondava la botola, e una piccola quantità cadde all’interno.

Amy si guardò intorno: non passava nessuno, e non si sentivano nemmeno i passi di qualcuno in avvicinamento. Si fece coraggio, appoggiò bene i palmi sul bordo della botola, e facendo un salto riuscì ad issarsi fuori. Il passaggio era stretto, e un attimo la sua camicia si impigliò in un chiodo sporgente, ma riuscì a liberarsi senza strappare nulla e senza lasciare tracce.

Appena uscita, tutta la luce dorata della spiaggia le ferì gli occhi, ma Amy non ci badò. Si alzò in piedi, chiuse la botola cercando di appiattirsi contro il muro per trovare un modo per attraversare il quindici metri che dividevano la villa dal mare senza farsi vedere. Aveva intenzione di fidarsi di Lucas, e usare il passaggio di cui le aveva parlato perché l’espressione che aveva sul volto quando glielo diceva, le avevano fatto capire che per una volta non mentiva.

Ora doveva solo attraversare la spiaggia senza che nessuno in villa vedesse la sua figura di domestica fuggiasca. Alzò gli occhi sulla costruzione alle sue spalle, e si rese conto che per una volta la mole stessa della villa era la sua fortuna. Si ricordò del vasto balcone al primo piano, usato dalla famiglia quasi come un belvedere sul mare, che data la sua ampiezza, impediva la vista sulla spiaggia sottostante fino alle pendici del monte. Amy era proprio fortunata, sorrise e andò di corsa verso il monte senza guardarsi indietro.

Si accucciò dietro ad un masso sporgente per cercare il passaggio. Solo allora si accorse di come il suo cuore battesse un modo regolare, e non esageratamente accelerato come succedeva ogni volta che faceva qualcosa di sbagliato. Si meravigliò del suo sangue freddo, che durò poco perché trovò  il passaggio indicato da Lucas e si concentrò per entrarci. Non era per niente largo, solo un intercapedine tra la montagna di scogli che sostenevano il forte, ma per qualcuno con un fisico esile era possibile da attraversare.

L’acqua era a livello del passaggio ed Amy si decise e ci entrò scivolando sulle rocce bagnate. Si mise a gattoni perché era molto basso e quello era l’unico modo per avanzare. Picchiò la testa un paio di volte e la schiena le doleva per la posizione e urtava sul soffitto irregolare. Quando si rese conto che era impossibile vederla dalla villa si sedette nella parte più alta del passaggio, che in quel tratto si era allargato in una piccola grotta, abbastanza grande per farla stare seduta. Lasciò penzolare le gambe nell’acqua trasparente e cristallina, di un azzurro tanto puro da sembrare finto. Vedeva il fondale di sabbia bianca cosparso dei riflessi dell’acqua e ne rimase incantata. Era un posto stupendo.

Si tolse le scarpe e l’acqua tiepida la lavò fino alle ginocchia. Tirò un paio di calci all’acqua e inspirò a pieni polmoni l’aria salmastra. Dopo un paio di minuti si rimise la scarpe e a malincuore rincominciò a gattonare. Le facevano male le palme delle mani e le ginocchia, e aveva la schiena a pezzi. Lucas poteva anche dire che il corsetto l’aveva salvata dopo la caduta da cavallo, ma il dolore restava e si faceva sentire.

Esausta, e con tutte le mani graffiate, cadde sulla sabbia in ginocchio. Sentì male dappertutto, ma si rialzò, sistemò la gonna e i capelli per sembrare presentabile e avanzò verso il porto lentamente. C’era un fatto positivo in quel passaggio: che Lucas aveva imparato a dire la verità.

Alcune bancarelle erano ancora in attesa di clienti ma numerosi commercianti se ne stava già andando attraverso le colline. Amy provava ansia a vedere andare via tutte quelle persone, perché il borgo aveva un’aria di abbandono deprimente senza l’allegria del mercato.

Solo allora la ragazza si rese conto di non sapere cosa fare. Aveva una vaga idea del piano da seguire, ma metterlo in pratica era tutt’altra storia. Per prima cosa: da dove iniziare le ricerche? Le piratesse potevano essere ovunque, oppure essersene già andate, oppure ancora, nel caso più orribile, in quel momento potevano essere in marcia sulla villa con tutta la loro ciurma di tagliagole, pronti ad uccidere tutti finché non avessero trovato il ciondolo.

Si diede della stupida per evitare di pensare al peggio. Come cospiratrice era un disastro. Appena faceva qualcosa di appena un po’ avventuroso, aveva paura. Il che era deprimente: dove erano finiti tutto il coraggio e la buona sorte che l’avevano portata fin lì? Scomparsi, come invece erano comparse tutte quelle paure e quei pensieri apocalittici. Si diede ancora una volta della stupida e cercò di controllare il battito esagerato del suo cuore. Pensò che almeno aveva perso quella gelida calma calcolatrice con cui aveva agito prima. Era già qualcosa, ma si chiese se fosse un bene, oppure se adesso ne avesse ancora bisogno.

Senza dubbio si decise; perché adesso era sull’orlo del panico.

*

 

Mary e Sara stavano camminando lentamente lungo la banchina, una a fianco dell’altra. Mary stava parlando: “la capisco, ha vissuto tanto tempo qui, e poi arrivano due pirati, che  le dicono di andare con loro chissà dove …” fece un sospiro. “io sarei scappata … sua madre non si sarebbe tirata indietro davanti ad un avventura!”

Sara alzò lo sguardo: “io Bonny non la conoscevo, ma forse non è lei sua figlia …”.

Mary rifletté e poi scosse la testa: “impossibile … le somiglia troppo … E poi per te è stato facile usare la Magia son lei. Sai bene che si riesce solo se si conosce la persona a cui è rivolta … abbiamo fallito, non ritroverò mai Michelle come avevo promesso a Rachel …”

Sara socchiuse gli occhi: “Rachel?”

Mary annuì. “è il suo nome: Rachel Bonny. Cosa pensavi, che si chiamava Bonny di nome?” la sua voce era leggermente irritata.

Sara scrollò le spalle e abbassò lo sguardo. Rifletté, ma poi il suo lato piratesco tornò a galla e suggerì: “e se facessimo veramente quello per cui siamo venute qui e rubiamo il ciondolo? … è una ragazzina, ricattarla sarà facile!”

Mary strinse i pugni e la spinse in un vicolo: “assolutamente no! Non ruberò mai quel ciondolo! Io voglio anche la legittima proprietaria!”

Sara si era offesa, ma sua madre aveva ragione. Non ribatté, perché ancora una volta Mary era tornata nel suo mondo di tristi ricordi. “sai … adorava voi due, e passava tutto il tempo nella cabina … ma poi abbiamo attaccato quella nave e lei …” la sua voce era carica di rimorso. “… era già morta quando l’abbiamo trovata, ma io le ho promesso comunque che avrei protetto Michelle da qualsiasi cosa … poi lei è stata abbandonata … per questo le ho messo il medaglione, per poterla riconoscere in futuro.” Sospirò. “e come vedi ha funzionato. L’abbiamo trovata, ma ho fallito comunque perché non vuole venire con noi.” Concluse Mary tristemente.

Sara era impacciata, non le era mai successo un simile sfogo da parte di sua madre, e non sapeva come comportarsi. Decise di restare zitta, per non sbagliare.

 *

Con un colpo di fortuna, Amy aveva visto Mary e Sara infilarsi in quello stretto vicolo, e non si era fatta scrupoli a seguirle. Il cuore le batteva forte mentre ascoltava i loro discorsi. Aveva capito tutto quello che si era chiesta in tanti anni al porto. Da dove veniva, chi erano i suoi genitori, a cosa serviva il medaglione incavato e tutto il resto.

D’istinto, saltò in piedi, uscì dal suo nascondiglio di fortuna e si avvicinò alle due donne.

Sara e Mary si voltarono subito appena la sentirono muoversi. “hai ascoltato tutto, non è vero?” disse Mary con calma.

Amy cercò di trattenere la paura. “sì” disse con la voce che tremava, ma cercando di sembrare tranquilla.

“quindi? Vieni o ti devo costringere?” Sara si aggiunse alla conversazione e alzò poco la gonna per far vedere che era armata.

“vengo … senza problemi … vi cercavo appunto per dirvelo.” Disse Amy impaurita. Le parole di Mary l’avevano convinta definitivamente. Se ritrovare i suoi genitori significava dover sopportare quella pazza di Sara, l’avrebbe fatto.

Mary acconsentì a trovarsi quella notte al monte dal forte quando la luna era alta nel cielo. Disse che solo allora sarebbero partite, e che Amy poteva fidarsi. Forse un po’ troppo ingenuamente, ma la ragazza le credeva veramente.

Alla fine Amy si inchinò leggermente per sancire il loro accordo e corse via.

Nella sua testa urlavano molte voci. Alcune le dicevano che aveva fatto bene, altre che era uno sbaglio imperdonabile, e altre ancora che Anne non l’avrebbe mai perdonata.

 *

Mary era al settimo cielo, e cercava di infierire su Sara. “visto?” disse “è proprio come sua madre … non poteva non essere lei! Sapevo che non poteva fare a meno di essere libera …” aggiunse con un sospiro.

“non mi hai nemmeno chiesto cosa ne penso di lei.” Disse Sara con voce dura.

“avrei dovuto farlo?” chiese la madre.

“sappi soltanto che la ragazza non è proprio il genere di persona che mi aspetto di vedere sul Deathbearer.”

Mary sospirò, e si voltò per nascondere un sorriso. “nemmeno tu lo sei, cara mia … nemmeno tu.”

Poi uscirono dal vicolo e, visto che non c’era nessuno, Mary prese la scialuppa, ci salì e mentre prendeva i remi disse: “so che non è facile per te stare a terra, Sara, ma tu aspetta fino questa notte  e accompagna la ragazza; mentre io torno subito sulla nave. E’ meglio che mi spiego da sola con il capitano.” a questo punto prese i remi e andò al largo, senza chiedere ancora una volta il pensiero della figlia.

 *

Amy correva piangendo verso casa. Era confusa, triste e spaventata al tempo stesso. Cosa aveva fatto?! Si era alleata con i pirati! Era come andare in fronte alla morte ed esserne certi! Eppure lo aveva fatto quasi senza esitazioni. Pensò di essere impazzita. L’aggressione le aveva fatto perdere la testa, la paura la aveva annebbiato la ragione.

Allearsi con i pirati, rischiare la vita non solo sua, ma anche delle sue migliori amiche per cosa? Per uno stupido ciondolo?! A cosa serviva, poi? Perché i pirati lo volevano a tutti i costi? Non ci aveva nemmeno pensato. La cosa  peggiore di quella situazione era che in un certo senso lei era anche stata avvertita. Dal vecchio stalliere, prima di tutto. Avrebbe dovuto fare tesoro della frase che aveva sentito, e stare più attenta, evitare di fermarsi al casolare, e così non avrebbe incontrato la piratesse.

D’altro canto le altre persone con cui aveva parlato  erano di tutt’altra opinione.  La vecchia cartomante, anche se Amy non era sicura che le avesse predetto il futuro, le diceva di fidarsi di chi aveva accanto, e di andare in contro al suo destino.

Forse aveva ragione, ed Amy stava scrivendo la sua storia.

La ragazza sperò per l’ultima volta di non aver fatto l’errore più grande della sua vita; ma ormai era fatta. Era un pirata, era una di loro. E lo aveva deciso lei. Attraverso un velo di lacrime comparve un sorriso.

Uscì dal passaggio che non si era accorta di aver attraversato, si asciugò le lacrime e andò in casa senza pensare che avrebbero potuto vederla. In un certo senso era quello che voleva. Doveva, prima o poi parlarne con Anne.

La cucina era piena di gente. Chi correva di qui, chi di là, tutti con in mano qualche cosa. Si lavò le mani e si mise a pulire una pila di piattini di fianco a Katherine. Cercava di non perdere la calma, perché sapeva che a breve Katherine avrebbe scatenato un putiferio.

Prima la governante non la notò, poi si voltò verso di lei: “Amy! Stai meglio, tesoro! Ma perché sei scesa?! Potevi stare quanto volevi!” lo disse con voce sincera, anche se sapeva che non era così. Le mise una mano sulla fronte, profumava di torta. “non scotti” continuò. “ma puzzi di mare … sei uscita per caso?” dopo un secondo ci ripensò “ma che diavolo, viviamo in riva al mare delle Antille, come puoi esserti ammalata? No … non hai un malanno … ti è successo qualche cosa …”

Amy a stento trattenne le lacrime ma gli occhi le divennero lucidi.

Katherine continuò l’ispezione: “torna in camera, non pensare alla confusione qui di sotto, della festa. Fai una dormitina e poi scendi se te la senti, altrimenti Anne, o Stephanie ti porteranno qualche cosa.”

Era incredibile, Katherine era sempre dolce con Amy, anche se alcune volte, con il suo carattere titubante, la faceva veramente penare. Inoltre Amy era l’unica vera orfana, che mai aveva conosciuto i genitori, la governante stessa l’aveva trovata una notte di tanto tempo prima, ed era normale che il suo cuore stesse sempre dalla parte di Amy.

Amy si sentiva tremendamente in colpa proprio perché sapeva quanto Katherine le voleva bene, e le sembrava di prenderla in giro e di lasciarla da sola.

Salì in camera e si sdraiò sul letto. Dopo alcuni minuti si alzò, si sedette decisa alla scrivania e cominciò a scrivere una lettera pulendosi le lacrime con violenza. Non era sicura che l’avrebbe data a qualcuno, ma almeno il pensiero c’era stato.

 *

Sara era ancora al porto. Aveva girovagato per i vicoli bui e semi-abbandonati della città, e poi si era seduta sui gradini di una casa in una via secondaria lontana dal forte. Aspettava che calasse la notte giocherellando con il vestito e osservano la rada gente che passava. Il cielo cominciava a diventare giallo, poi arancio, rosso, azzurro e blu sempre più scuro e il sole si era tuffato nel mare aspettando un nuovo giorno.

ciao!!!

come sono contenta tutti i giorni di leggere queste bellissime recensioni!! mi fa veramente piacere...

iniziamo con i ringraziamenti:

non finirò mai di ringraziare Cabol per i bellissimi commenti che mi lasci, è bello sapere che quello che ho descritto, l'ho fatto bene... la frase "sembra quasi di sentire l'odore del mare" scusa, ma me la devo proprio segnare, è poetica ed è un bellissimo complimento. (spero che anche tu l'abbia scritta in quel senso, altrimenti scusa, mi sono lasciata prendere!! XD)

grazie anche per la recensione che mi ha lasciato nemesis 18. grazie veramente di cuore per i tuoi complimenti... sono contenta che la parte di Lucas e Sara ti sia piaciuta, e spero ci siano altre occasioni dove farti pensare la stessa cosa...

concludo con rigraziare anche Ramiza e jasmineAzzurra, che spero non si siano offese perchè non le ho ringraziate prima, e che siano arrivate a leggere questo capitolo!! per jasmineAzzurra.. grazie di avermi messa tra le tue preferite!! ;)

...credo sia ora di finire, altrimenti questo spazio diventa più lungo del capitolo, ancora grazie!!

ciaoo

                                   Archer

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Capitolo 8
*** Un tumulto di pensieri ***


Deathbearer - cap7

Un tumulto di pensieri.

La notte scese lentamente.

Amy finì di scrivere, e piegò il foglio senza rileggerlo, altrimenti sapeva che sarebbe tornata a piangere. In fondo un po’ la tristezza le era passata, era come se con quella lettera si fosse svuotata, e avesse lasciato tutte le sue paure sulla carta, e il cuore si fosse alleggerito.  Con un sospiro mise la lettera nel cassetto del tavolo.

Si bloccò proprio mentre lo chiudeva e ripensò al braccialetto d’oro nel cassetto nel comodino. Con un gesto veloce lo raggiunse e se lo mise al polso. Pesava, e rischiava di scivolarle dal polso da un momento all’altro, ma non ci badò. Era tutto quello che aveva di sua madre, e di certo non lo avrebbe lasciato in un cassetto come aveva sempre fatto. Aveva paura che la gente pensasse che fosse un pirata, ma lei lo era, e non lo voleva più nascondere. Era una cosa allettante da dire, e da pensare.

Uscì di fretta e scese in cucina. Ancora tutti correvano e si affrettavano per la cena degli ospiti ancora rimasti in villa. Amy decise che doveva mangiare, perché non sapeva quando avrebbe fatto ancora un pasto decente. Nessuno si accorse di lei mentre tagliava una fetta di pane e prendeva una mela.

Uscì in spiaggia e si sedette sulla sabbia. Appoggiò il cibo sulle gonne e cominciò a cenare osservando il caldo sole che si tuffava nel mare.

Non si accorgeva che la marea si stava alzando e che il suo passaggio attraverso il monte cominciava a essere sommerso.

Stava pensando se sul serio lei volesse scappare da quel mondo. Malgrado tutti i buoni propositi che aveva messo nella lettera, c’era un po’ di timore in lei, e con il passare dei minuti si stava trasformando in cieco terrore.

C’erano tante cose negative nel vivere nella villa la sua vita normale e noiosa, ma almeno era sicura che non le sarebbe successo nulla di male.

Ma dopo quattordici anni passati senza che ti succedesse nulla, stava cominciando ad averne a noia. Ci ripensò ancora un secondo e scelse: Guardò con aria decisa il mare, e si disse meglio l’avventura che la noia.

Il timore più grande era quella della ciurma, aveva paura di quello che potevano fare i pirati, di chi avrebbe potuto incontrare. E poi le battaglie, le armi, tutte cose che non l’avevano mai minimamente sfiorata e che adesso si trovava a contrastare.

Ormai però non poteva più tornare indietro. Certo, poteva sempre non andare all’appuntamento con Sara, ma sarebbe andata contro una sua stessa promessa. Se le due piratesse l’avessero minacciata era un conto, ma era stata lei ad andare a cercarla, s era messa il trappola da sola.

Con uno sbuffo si alzò e si decise a tornare in cucina. Sì, sarebbe partita per un motivo a cui non riusciva a dare un nome, ma che forse era semplicemente voglia di avventura.

 *

Stephanie era tornata dalla sala da pranzo esausta, si lasciò cadere su uno sgabello e riprese fiato allargando con una mano il vestito. Come aveva previsto il lavoro l’aveva completamente estraniata dai suoi pensieri sulle voci in chiesa, infatti adesso voleva solo riposarsi.

Amy era dall’altra parte del tavolo al centro della cucina, e le sembrava che Stephanie non l’avesse nemmeno vista. Rifletté ancora un secondo, ma poi i suoi pensieri cessarono. Le serviva ancora un ultima cosa, il ciondolo di madreperla intagliato, ma prima doveva toglierlo a Stephanie. Si dimenticò completamente di quello che aveva promesso ad Anne, ossia di parlare delle loro esperienze con Stephanie, perché ormai lei era decisa, ed erano accadute tante cose che ci avrebbe messo un’infinità di tempo.

Le si avvicinò con il sorriso sulle labbra, e si appoggiò al tavolo accanto a lei. “buongiorno!” disse, allegra. “anche se dovrei dirti, buonasera … ma oggi non ci siamo incontrate per tutto il giorno!”

Stephanie sorrise. “è vero, oggi è una giornata strana …” rispose.

Amy annuì mestamente. “non sai quanto hai ragione …” mormorò, ma con tutto quel fracasso Stephanie non la sentì. “stanca?” le chiese allora per rompere il silenzio.

“si, molto … quella bambina mi ha fatto stare in piedi per tutto il pomeriggio, ma adesso finalmente è andata in camera e non ha più bisogno di me.” rispose Stephanie sbuffando.

“vuoi andare anche tu di sopra? Finiamo noi qui.” Azzardò Amy tendendole una mano. Voleva che si togliesse la collana, ma non poteva chiederglielo, per non destare sospetti. Quindi doveva trovare un modo più semplice per impadronirsene. Non sapeva ancora come le avrebbe spiegato l’alleanza e il fatto di volere lei ed Anne sul Deathbearer, ma era sicura di una cosa: che quello non era il posto giusto. Una scusa per posticipare l’addio. Ovviamente voleva che le ragazze andassero con lei, ma non ci aveva ancora pensato seriamente. Aveva dato per scontato che loro la seguissero, ma se non fosse stato così? Non poteva costringerle, e vista la reazione di Anne davanti all’aggressione, di certo non avrebbe saltato di gioia.

I suoi pensieri furono interrotti dai gesti di Stephanie, che le depose in mano collana, orecchini, pettinino e scialle.

Stephanie la guardò, perché Amy non sembrava essersene accorta. Dopo un secondo la ragazza si riscosse e strinse nel pugno tutti i gingilli.

Stephanie allora salì in camera e solo allora si ricordò di quello che voleva chiedere ad Anne ed Amy. Sperò di incontrare almeno Anne, e infatti la trovò seduta sul suo letto e con un foglio in mano. Stephanie le si avvicinò e si accucciò ai piedi del letto. Anne non disse una parola, e nemmeno si mosse. Gli occhi verde marrone erano fissi sul pezzo di carta, immobili. Non stava leggendo, aveva letto tutta la lettera da cima a fondo e ora stava pensando.

Stephanie sospirò, ma non interruppe il silenzio, né lesse la lettera. Pensò che forse non erano affari suoi, e attese che Anne si accorgesse di lei.

 *

Katherine stava riflettendo al piano più basso sul da farsi con la storia del signor Morgan. Una tempesta lo aveva ucciso e toccava a loro dirlo a Stephanie. Un uomo della sua ciurma, l’unico sopravvissuto; era tornato in porto e voleva parlare con Stephanie, ma era stato impiccato prima di compiere l’opera. Stephanie non ne aveva ancora sentito parlare, ma tutti ormai sapevano la reale provenienza dei doni di Morgan. Katherine non sapeva delle voci che giravano in chiesa alle spalle della ragazza.

“Stephanie, tesoro, scendi un secondo!” urlò la governante per farsi sentire.

Nella stanza al piano di sopra la ragazza sentì il richiamo e uscì, lasciando Anne immersa nei suoi pensieri.

Trovò Katherine seduta su una sedia in una saletta secondaria, con un fazzoletto in mano e gli occhi lucidi. La ragazza si sedette e la donna le poggiò una mano sulla spalla tirando su con il naso. “tesoro …” cominciò, con la voce profondamente triste. “noi non te lo abbiamo detto solo perché volevamo aspettare il momento più adatto …” Lo sguardo di Stephanie si fece curioso. “Qualche settimana fa un uomo è arrivato al porto su un mercantile. Era povero, sporco e affamato e lo hanno ospitato in Chiesa. Qualche giorno dopo andai da lui e mi disse che faceva parte della ciurma del tuo buon padre. C’è stata una forte tempesta, la loro nave è finita contro gli scogli e lì è affondata portando con sé tutta la ciurma. Lui riuscì a scappare e, passando di nave in nave è tornato qui. Tuo padre, prima di morire ha detto qualcosa a quell’uomo per riferirla a te, ma voleva solo te, nessun altro, e non sono riuscita a farmi spiegare granché. So solo che si trattava di denaro, un’eredità, credo. Lui parlava di tesoro. Gli promisi che prima o poi ti avrei portata da lui, ma il giorno seguente un corpo di guardia è andato a prelevarlo dalla Chiesa e … lo abbiamo rivisto sulla forca …”

Stephanie stava già piangendo per il padre e per quello che era successo a quell’uomo. Voleva solo correre via e piangere da sola, ma Katherine restava immobile ad asciugarle le lacrime.

Poi la ragazza si schiarì la mente e chiese con la voce rotta dal pianto: “ma perché lo hanno impiccato, non aveva fatto nulla di male …”

Katherine non parlò subito perché voleva trovare le parole più adatte per spiegare a Stephanie tutto quello che sapeva sul padre della ragazza. Infatti non era un mercante, ma un pirata, e i regali che le portava erano rubati. Per quello erano belli e costosi, ma Morgan non aveva un soldo.

La donna non disse niente, ma in breve Stephanie non ebbe bisogno di spiegazione. Aveva capito da sola tutto, e adesso dovevo solo riflettere.

Pirata.

Se Morgan era un pirata, allora lo era anche lei, e non voleva essere impiccata solo per essere figlia di un pirata.

Tutto ciò che voleva era sapere cosa doveva dirle il padre di così importante da pensare a lei in punto di morte.

Stephanie corse via, soffocando i singhiozzi. Adesso non aveva più niente. Non aveva più nessuno. Cosa poteva fare?

Corse sulla spiaggia mentre il cielo si scuriva, e si sedette a pensare. La tranquillità la aiutava a schiarirsi le idee. Che al forte sapevano chi fosse suo padre, era certo. Altrimenti non avrebbero ucciso il naufrago. Sarebbero sicuramente andati a cercare anche lei, e con l’odio che c’era in quei tempi contro i pirati, non avrebbero indugiato oltre e avrebbe fatto la fine del marinaio.

Doveva scappare, era l’unica soluzione.

Ma doveva scappare dal suo destino e dalla forca, o dal passato e da quella bella casa che l’aveva ospitata per tanti anni?

Aveva tanta paura. Per scappare doveva prendere una nave, e nessuno l’avrebbe presa a bordo sapendo che era un pirata. Soltanto un altro pirata avrebbe accettato, ma lei non voleva essere un pirata, e non voleva lasciare le sue amiche. Cosa avrebbero detto? Chissà se sapevano già tutto.

Si alzò, e il vento spostò i capelli neri, che le si attaccarono al viso, bagnato dalle lacrime.

 *

Anne rilesse ancora una volta la lettera che aveva trovato nel cassetto. Non poteva farlo, Amy non poteva andarsene. Non ora che Stephanie avrebbe avuto più bisogno di loro due. Non era completamente estranea da tutto, aveva sentito che Katherine l’aveva chiamata. E ciò aveva un solo motivo, le avrebbe raccontato tutto. Stephanie non era un stupida, sapeva che doveva scappare, e lontano, dove non avrebbero potuto trovarla. Forse quell’occasione era arrivata al momento adatto, ed era ora che se ne andassero tutte e tre, insieme … no!

Cosa stava pensando? Anne voleva diventare un pirata?

Già quei pensieri, quel guizzo che aveva avuto, andavano bloccati.

Doveva fermare Amy prima che distruggesse tutta la sua vita e poi consolare Stephanie e dissuaderla dallo scappare lontano. Era questo che doveva fare, anche se il suo cuore stava già soffrendo all’idea.

 *

Amy in cucina, si mise la madreperla al collo e tenne tutto il resto in mano. Prima di salire in camera, si accostò al corrimano e gettò uno sguardo dalla finestra. Con orrore si accorse che il suo passaggio era stato sommerso. Il suo cuore perse un colpo. Corse al davanzale, con lo scialle di Stephanie che si gonfiava sulla sua schiena come un paio di ali di seta. La aprì con un gesto elegante e si sporse. Solo strizzando un po’ gli occhi poté vedere una sagoma più scura della notte che si nascondeva tra gli scogli. Sara. Aveva mantenuto la promessa, alla fine. Quasi non riusciva a crederci.

Rincuorata, tornò sui suoi passi tranquilla e superò la saletta dove era ancora seduta Katherine. Avrebbe voluto fermarsi, consolarla, dirle che aveva fatto bene a dire tutto a Stephanie, ma non lo fece. Si strinse nelle spalle e corse oltre. Non voleva immischiarsi in faccende che non poteva terminare. Ma doveva parlare anche a Stephanie, ora che sapeva la verità su suo padre doveva convincerla a seguirla.

Aprì la porta della camera e se la chiuse alle spalle. Dov’era Anne?

Non aveva tempo di cercarla, prima si sarebbe preparata, poi avrebbe parlato alle ragazze. Mise le cose di Stephanie in un portagioie che teneva sul tavolo e aprì il cassetto. Doveva trovare la lettera e bruciarla. Avrebbe spiegato loro tutto di persona, anche se sicuramente non sarebbe riuscita a dire tutto quello che voleva, ma l’avrebbe fatto.

Ma la lettera non c’era. Nel cassetto non c’era più. La cercò con mani tremanti, ma non c’era. Chi poteva averla presa? Perché?

Sentì una voce risuonare alle sue spalle: “cercavo la spazzola.” Amy si voltò. C’era Anne in piedi davanti a lei con la lettera in una mano. Era visibilmente scossa e parlò con voce roca. “tu sei matta, Amy! Cosa vuoi fare? Dove vuoi andare?”

Amy ci pensò e rispose tristemente: “è tutto scritto lì dentro. Non resterò molto sul veliero pirata, il tempo di trovare un altro passaggio per attraversare l’oceano e arrivare in Francia.”

Anne scosse la testa. La sua amica Amy non poteva essere così stupida. Per lei erano tutte fandonie ed era impossibile fare quello che la ragazza sperava. Anche lei ci aveva creduto un attimo, e anche dopo l’aggressione, ma ormai aveva capito che era impossibile. Cercò di farle aprire gli occhi, ma il tutto sembrava più un interrogatorio: “come pensi di convincerli a portarti con loro? Pensi che poche parole colte li convincano?”

“no” rispose Amy dopo un attimo di esitazione: “ma so che loro vogliono questo”, e prese il ciondolo tra le mani “e io non ho problemi a darglielo. Poi li ricatterò.”

“e se loro ti uccidessero e prendessero il ciondolo?” chiese Anne scettica.

Amy non sapeva cosa dire, poi ci pensò e disse, con fare di sfida: “allora non avrei più problemi per il viaggio.”

Anne strabuzzò gli occhi e rimase si pietra. Scosse la testa e prese un tono composto e serio: “e pensi che io resti qui ad aspettare un tua lettera dalla Francia che molto probabilmente non arriverà mai?”

“non so che dire, vorrei che tu venissi con me, e anche Stephanie … ma non posso certo obbligarvi” sussurrò Amy con la testa bassa e gli occhi lucidi.

“è impossibile.” Mormorò la ragazza dai capelli rossi.

Amy sentì il cuore scaldarsi. “nulla è impossibile per coloro sulla cui testa sventola una bandiera con il teschio …” sussurrò.

Anne la guardò di sbieco. Si sentiva come se stesse precipitando in un pozzo pieno d’acqua, tutti i rumori ovattati, gli occhi le bruciavano e sentiva il viso in fiamme. Tutto le crollava attorno. “ma cosa vuoi fare?” bisbigliò.

Amy sospirò, poi le disse: “voglio essere libera …”

Anne scosse il capo e le sventolò la lettera sotto il naso: “questa mi sembra una fuga, non un viaggio.”

“non sto scappando” concluse Amy stizzita.

“sì che scappi. Ma da che cosa? Perché?” chiese Anne che stava per piangere.

Amy rimase a guardarsi l’orlo della gonna senza sapere cosa dire. Scuoteva il capo senza senso.

“perché vai con dei pirati e non su un mercantile, o una nave della marina?” chiese Anne sconsolata.

“È da loro, gli inglesi, che voglio scappare, ma non ti so spiegare perché … Anne ti prego!” disse Amy. Ma non sapeva più niente. In quel momento sembrava che tutto quello che aveva fatto non avesse più senso. Niente aveva più senso. Le stesse domande con cui Anne la assillava, le affollavano la mente.

Perché …?

“ti prego di fare cosa?” chiese Anne in un soffio.

Amy scosse la testa. “non lo so.”

“infatti. Tu non sai niente. Credi di essere sicura di quello che fai ma non sai nulla. Ti illudi.”

Le parole di Anne erano piene di risentimento, e di paura, e colpirono Amy nel cuore. Si passava le mani sul viso, cercando di non piangere.

In quel momento le tornarono alla mente le emozioni che aveva provato scappando dalla villa. Era quello che voleva fare tutta la vita, e sapeva che anche Anne, se avesse provato, l’avrebbe detto. Non doveva lasciarsi impensierire da tutte quelle domande. Anne era spaventata, era lecito, ma doveva convincerla. Alzò il capo un attimo e la guardò negli occhi: “ho sentito Sara e Mary …”

Anne la interruppe: “le piratesse che ci hanno aggredite?” Amy annuì impercettibilmente e Anne si mise le mani nei capelli. “come hai fatto?!” urlò.

Amy sospirò. “sono scappata e le ho raggiunte. Gli ho detto che voglio andare con loro.”

Anne strabuzzò gli occhi, ma Amy non le diede modo di continuare parlando veloce. “… parlavano di una certa Rachel Bonny, e lei è mia madre, Anne! Loro la conoscono! Io devo andare con loro per trovarla!”

Anne non riusciva a rispondere e guardava fuori dalla finestra con sguardo assente.

Amy incalzò. “se tu non avessi mai incontrato i tuoi genitori, non faresti di tutto per trovarli? Tu lo sai come ci si sente a essere apprezzata, avere qualcuno che ti vuole bene e che non ti valuta al primo sguardo come fanno tutti! … Anne, prova a capirmi, Anne!”

Anne cominciò a piangere silenziosamente e le sue lacrime sembravano fatte d’oro alla luce tremolante della candela. Amy soffocò un singhiozzo e la abbracciò. Capì che forse quello era il momento più adatto e disse: “Anne, vieni con me … non ci succederà niente. Finché siamo insieme non ci capiterà niente di male!” Era una domanda, ma anche un ordine, nemmeno Amy lo capì dal proprio tono di voce.

Anne prima la guardò come se fosse una pazza, poi le sussurrò: “credo di no. Anche Stephanie se ne andrà, ne sono certa. Non posso lasciare Katherine da sola, è tutto il mio passato e tutto quello che rimane dei miei genitori …”

Amy continuò a pregarla: “ti prego, il passato è passato, devi avere un futuro! Non tutto viene per nuocere e questa è l’occasione per lasciarti alle spalle il tuo triste passato! Per Stephanie sarà un’occasione di dimenticare e per me … di incominciare, prova a pensarci.”

Anne non ci pensò, in fondo lo aveva già fatto. Il suo cuore aveva già deciso, ma non sapeva se fosse la cosa giusta.

Gli occhi di Amy brillavano un po’ per le lacrime, ma anche per l’emozione di dire quelle parole. “ti prego …” Non disse altro, non aveva pensieri. Ora non ne aveva più, la sua mente era sgombra.

Prese le sue cose e le chiuse in un fagotto. Aggiunse anche il braccialetto d’oro, per tenerlo al sicuro, e poi chiuse tutto buttandolo ai piedi del letto.

 *

Anne invece era un tumulto di pensieri. Doveva o no, andare? Aveva ragione Amy? O era solo una sciocca sognatrice? I pirati le avrebbero veramente accolte? Si potevano fidare di loro? Cosa sarebbe successo? C’erano troppe domande nella sua testa, e tutte senza una risposta.

Ormai era tardi.

Ignorò Amy e i suoi preparativi e si mise a letto vestita, senza badare a quello che faceva. Ormai quei suoi movimenti li conosceva a memoria e li faceva come se non le appartenessero. Continuava a non capacitarsi delle gesta di Amy. Non era più la stessa ragazza che conosceva, ma non poteva essere cambiata così, da un momento all’altro. Si strinse nelle spalle, come se l’amica di una vita fosse diventata di colpo invisibile.

 *

Stephanie salì mestamente in camera.

Amy le corse incontro piangendo, e notò che Anne fingeva di dormire, ascoltando ogni parola con gli occhi chiusi e le orecchie tese.

Stephanie raccontò ad Amy quanto aveva scoperto, poi sospirò, e rimasse a lungo in silenzio. Era sorpresa per la giornata avventurosa che avevano avuto le sue amiche. Tutto era cambiato nel giro di un giorno, e adesso era spaventata. Si fece coraggio, e disse: “siamo nella stessa sorte. Credi mi accetteranno?” Voleva andare con Amy, ma aveva timore di lasciare Anne e tutto quello che rappresentava quella villa per loro.

Amy la tranquillizzò: “sono sicura che Anne non ci lascerà andare sole.” Scoccò un’ occhiata alle sue spalle. “ora ha messo il broncio, ma sono sicura che verrà.” Sospirò, e sul suo viso bagnato dalle lacrime comparve un sorriso. “Verrà con noi, sì.” Affermò alla fine.

Si coricarono entrambe con i vestiti addosso, ma nessuna delle tre dormiva veramente.

Spero che questo capitolo non sia noioso, non era quello che volevo farlo così lungo, ma alcune volte molte riflessioni servono per collegare diversi momenti della storia...

grazie Cabol per la tua vecchia recensione, spero che nel prossimo capitolo (o in quello dopo, dipende da quanto diventa lungo!) la tua curiosità sui pirati sia soddisfatta... spero di non deluderti... 

grazie anche a chi ha messo questa storia tra le seguite (e le preferite, che onore!!)... lasciate un commento ogni tanto, please... così capisco cosa va bene e cosa no in questa storia, mi sareste veramente utili!!

ancora grazie, 

ciaoo

                                                         Archer

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Capitolo 9
*** Quattro figure nella notte ***


Deathbearer - cap8 Ciaoo!!
mi intrometto ad inizio capitolo per suggerire una "soundtrack" a questo capitolo, perchè mentre lo scrivevo ascoltavo questa canzone e mi sembra l'atmosfera adatta. Non è il tipo di musica che ascolto di solito.. il genere è quello, ma mancano i cori "apocalittici" (come li chiama Hivy) che mi piacciono molto. Tornando alla musica, spero che questo suggerimento sia gradito, e se piace potrei metterne anche ai prossimi capitoli.. a maggior ragione, fatemi sapere!!
Allora, digitate su yuotube: "Eclipse official trailer music Two steps from hell" (non è la prima, ma la seconda che compare, quella che dura più o meno tre minuti) e poi..
buona lettura, ciaoo

Quattro figure nella notte.

Anne all’inizio aveva tenuto gli occhi chiusi per cercare di trattenere le lacrime, ma ora stava piangendo in silenzio, sdraiata su un fianco e fissare il muro rovinato. Ogni tanto si passava un dito sugli occhi e sul naso, dove cadevano le lacrime, ma non faceva nient’altro. Doveva pensare, ma tutto quello che adesso riusciva a fare era piangere.

Amy aveva provato a dormire, ma poi si era  alzata a sedere e aveva osservato a lungo la luna. Sospirava lentamente, e la sua testa tornò a riempirsi di domande. Non trovava risposte nemmeno nel silenzio pesante di quella stanza dove aveva passato tanti momenti spensierati. In quel momento le vennero alla mente tantissimi ricordi felici e si ritrovò a piangere come una bambina. Sembrava che non fosse successo altro di brutto, soltanto ridere, scherzare e gioire. Invece non era sempre così. Fece una smorfia e si pulì gli occhi. Voltò le spalle alla finestra e osservò Stephanie.

Sedeva immobile con le spalle appoggiate al muro con un libro sulle gambe. Muoveva solo il polso e disegnava come faceva sempre. Aveva iniziato da piccola ed era bravissima. Una volta i disegni li teneva in un cassetto del tavolo, in un disordine impossibile, ma un giorno non li aveva trovati più. Pensando che Katherine li avesse buttati nel camino, aveva preso quel libro con le pagine ingiallite ma senza scritte e ogni volta che aveva bisogno di riflettere si metteva a disegnarlo. C’erano opere bellissime, ma lei era una persona molto modesta e solo lei, Amy e Anne sapeva dell’esistenza di quel vecchio libro con la copertina strappata. Stava disegnando lo scenario che si vedeva dalla finestra, con la figura di Amy accovacciata davanti. Dava un’occhiata sfuggente al modello e poi tornava a disegnare. Il suo lavoro non la convinceva affatto. Non era come gli altri, ma pensò che forse era lei che non aveva veramente voglia.

Appoggiò il piccolo pezzo di carboncino che aveva rubato alla Miss e si mise a sfogliare il libro. Era arrivata quasi alla metà e partì proprio dall’inizio. Una spiaggia deserta con uno scarabocchio all’orizzonte. Lo aveva fatto quando suo padre era andato via tanti anni prima. Avrà avuto dieci anni. Era da quel giorno che non aveva più trovato i suoi vecchi disegni. Sospirò e passò le dita sulla pagina. Era passato tanto tempo ed erano cambiate tante cose. Un tempo invidiava suo padre e sognava di andare via con lui, e adesso … adesso aveva paura. Passò oltre.

Una mano aperta. Quel disegno era di Amy. Sorrise al ricordo dell’amica che non aveva mai tenuto in mano il carboncino e alla mano di Stephanie che aveva provato a ricopiare. Non era brutto ma le proporzioni erano un po’ strampalate. Continuò a sfogliare i suo disegni e riconobbe quanto era migliorata. Le piaceva l’idea di avere davanti a sé tutti gli anni passati. Continuò a girare le pagine finché non raggiunse il ritratto di un viso. Erano tratti tremolanti, fatti alla luce di una candela, ma si distingueva bene la faccia di Lucas. Era passato un periodo in cui le piaceva ricopiare le facce dei suoi amici, ma il disegno di Lucas era incompleto perché lui si era spazientito a restare immobile per tanto tempo. Mancava la forma del naso e gli occhi e cercò di completarlo. Finì alcuni tratti e si mise pensosa a ricordare il viso del ragazzo. Disegnò gli occhi e gli zigomi, soprapensiero, e quando osservò attentamente il disegno, le cadde il carboncino tra le dita. Non si era mai accorta di quanto Lucas le somigliasse. Rimase a fissare il foglio impietrita, poi richiuse il libro sonoramente, un rumore che ruppe il silenzio grave della stanza.

Scacciò il pensiero che le si era automaticamente formato in testa. Lucas non poteva essere un Morgan. Certo, era orfano, ma non voleva dire niente. Non si poteva basare solo su un ritratto che a suo parere era orribile. doveva convincersi che ormai era sola al modo.

Alzò gli occhi su Amy. Adesso si era girata, e non la guardava più. Si era appoggiata con i gomiti al davanzale e fissava la spiaggia con gli occhi che brillavano.

Decise che non poteva più restare con le mani in mano. Si alzò e andò a sedersi accanto a lei. Amy non disse nulla, e Stephanie capì che non voleva parlare. Allora seguì la direzione del suo sguardo e guardò in basso, sulla spiaggia. Allora vide una figura esile che si incamminava all’ombra del monte.

Appena la notò, Amy scese subito dal baule dove era seduta e soffiò sopra la candela che illuminava il viso di Stephanie. La ragazza rimase a guardare la sua ombra sul pavimento, mentre Amy faceva tutto velocemente e in perfetto silenzio. Allora si rimise a sua volta in piedi e tornò al suo letto. Non riusciva a riordinare i pensieri e le mani le tremavano. Stephanie raccolse i capelli velocemente e prese il fagotto voluminoso, infilando all’ultimo momento anche il quaderno con i suoi disegni.

Amy le si avvicinò e la abbracciò forte, sentendo gli occhi che le si riempivano di lacrime. Amy era troppo diversa: i capelli al vento, lunghi e sciolti, gli occhi che brillavano di luce nuova. Ora sì che era veramente libera, stava per andarsene per sempre.

Stephanie sarebbe andata con lei, ma quella testarda di Anne restava ancora immobile sul suo letto. Era quello che più le dispiaceva, la stava lasciando sola, ma non sapeva cosa pare. Era ora di andare, era giunto il momento, ma lei non si muoveva.

Stephanie aprì la porta e guardò fuori. In punta di piedi, e con una candela in mano, percorse il corridoio; mentre Amy era ancora in camera.

Era vicina a Anne, e sapeva che non dormiva. Prese il coraggio a due mani e sussurrò: “Anne! Non puoi lasciarci andare, sei la nostra migliore amica … Ci lasci così, fingendo di dormire, con il broncio, come un bambina? Quando litighiamo ti passava subito, anche questa volta deve essere così … ti prego, Anne …” non continuò, perché aveva la voce rotta dalle lacrime.

Anne saltò su in un lampo. Amy per un attimo credette che fosse pronta a seguirla. Invece prese il cuscino tra le mani e si mise in ginocchio sul letto.

“vattene! Non mi interessano le tue ciance!” disse a bassa voce, ma piena di rabbia.

Amy non si muoveva e la fissava. Le braccia lungo i fianchi e i capelli davanti agli occhi, non si muoveva. Anne si pulì il viso e ripeté: “vattene via! Andatevene, tutte e due! Addio! Vai, lasciami qui!” Amy si spaventò per il tono e uscì di corsa. Lasciò la porta aperta per sbaglio ed Anne guardò la sua lunga ombra scappare lungo il corridoio illuminata dalla candela di Stephanie.

Amy sentì le lacrime che cominciavano a scenderle lungo le guance. Anne avrebbe sopportato o sarebbe uscita anche lei? Non poteva saperlo.

Con Stephanie trovò il passaggio nello studio e scesero nei sotterranei. Il cuore le batteva ancora più forte dopo aver sentito le parole di Anne.

Il buio era soffocante e la loro candela illuminava solo una minima parte dell’enorme sotterraneo. Avanzavano a piccoli passi, con la terra che scricchiolava a ogni loro movimento misurato. La gonna di Amy trascinava tutti i loro passi e copriva le impronte, ma nessuno sarebbe sicuramente sceso a controllare.

 *

Anne restò in camera, pensando sinceramente se poteva sopportare l’idea di perdere le amiche.

Accese una candela, aprì la finestra e l’aria fresca inondò la stanza. Guardò l’orizzonte. La luna era quasi alta nel cielo scuro. Vide Amy e Stephanie che camminavano sulla spiaggia. Si stavano avvicinando a Sara, poteva vederla abbastanza bene. L’aria fresca la colpì in viso e fu come se l’avessero bagnata con un secchio di acqua fredda. E si decise subito.

Non poteva permettersi di lasciarle andare senza essere con loro. Non poteva perderle. Erano troppo importanti per poterle veder scappare e rimanere immobile e indifferente come una statua.

Si precipitò fuori dalla stanza, verso il fondo del corridoio. Gli occhi terrorizzati, il vestito che si gonfiava per la corsa e i capelli davanti agli occhi, si precipitò giù per le scale, arrivò in cucina e spalancò la porta in silenzio. Lei non sapeva del passaggio segreto. Dalla fretta nemmeno si accorse che una cameriera la stava guardando, dalla dispensa. Aveva sentito dei rumori, e visto che non avrebbe dovuto essere lì, si era nascosta. E aveva fatto una grande scoperta.

Anne non pensò nemmeno a guardarsi introno, e corse subito in spiaggia. Le ragazze erano ancora lì, stavano parlando con Sara e anche da lontano avevano un’aria da cospiratrici che non lasciava dubbi. Sara poi, era un pirata a tutti gli effetti, sebbene sembrasse una biondina ignorante e con il viso abbronzato. Immobile, fissava il mare increspato dalle onde, mentre Amy e Stephanie erano strette vicine per il freddo pungente del vento impetuoso di quella notte.

 *

Anne non sentì nessun bisogno di tornare in casa, se non per coprirsi, perché stava letteralmente congelando. Ebbe un moto di paura, di terrore puro, quando Sara voltò velocemente lo sguardo glaciale verso di lei, ma la ragazza la ignorò e riprese a discorrere. La candela si spense e Anne la fece cadere sulla sabbia, senza pensare ad altro che alle sue amiche davanti a lei, di spalle.

Arrancò sulla sabbia, con il cuore in gola, corse verso di loro e gli si lanciò contro, stringendole forte. Le ragazze si voltarono velocemente e Stephanie perse il prezioso spillone che aveva nei capelli, ma non se ne accorse. La abbracciarono a loro volta. Mentre l’orecchio di Amy le era vicino, Anne le sussurrò le proprie scuse, ma non era sicura che avesse sentito.

Sara le guardò in modo strano, a Stephanie sembrava quasi invidia, poi sbottò: “un altra!? Già noi non volevamo te!” Indicò Amy come se fosse un sacco di patate, poi spiegò, rivolta alle ragazze: “io devo portare solo lei, che già non volevamo … senza offesa.” Sorrise furbescamente, e Amy era offesa. “se porto anche voi mi sparano!” continuò Sara impassibile.

Amy fece una smorfia, e le rispose: “ma Mary non voleva me e il ciondolo? Bene, se vuole me, deve prendere anche loro.”

Sara pensò. “e se io ti sparassi e mi prendessi il ciondolo?” chiese. Amy si sentì mancare l’aria. Era quello che temeva, che la facessero fuori senza aver nemmeno cominciato l’avventura, e adesso aveva costretto a rischiare anche Anne e Stephanie. Portò una mano al ciondolo, ma aveva paura, tanta paura.

“tu come ti chiami?” chiese la scontrosa piratessa rivolta a Stephanie.

Stephanie le rispose un po’ titubante: “S … Ste … Stephanie Morgan, signora.”

Sara la guardò: “… Morgan …” mugugnò qualcosa di incomprensibile, guardò la luna e poi disse: “bhè, Stephanie Morgan e voi altre … seguitemi, è giunta l’ora.”

Sara prese Amy per un braccio, visto che restava immobile a fissare il vuoto, e cominciò a camminare a passo militare, svelta e veloce, verso la boscaglia che portava ad una piccola baia lì vicino.

Amy la strattonò, ma la seguì guardandosi le spalle ossessivamente. La villa si faceva sempre più lontana e mentre quella si faceva più piccola, sentiva che la sua nuova vita era poco distante. Udiva il fragore delle onde scontrarsi sulla spiaggia, il vento scuotere e fischiare tra le fronde delle piante tropicali. Quel luogo aveva sempre attirato la sua curiosità perché era misterioso e nascosto. Per raggiungerlo bisognava attraversare un boschetto impervio e i piedi nudi di Anne si ferivano a camminare a lungo su rametti spezzati e sabbia mista a ghiaia. Camminavano in fila indiana, Sara, Amy titubante, Stephanie e Anne che tremava.

 *

Quattro figure scure e misteriose, che avanzavano verso una baia nascosta, in piena notte, era proprio quello che cercava il Tenente Somers. Era un militare né migliore né peggiore di altri, che aveva sempre voluto il potere e sperava di trovarlo cercando i pirati per conto del re.

Quella notte scrutava il buio sul grande golfo di Port-au-Prince, sperando di trovare qualche nave sospetta e, liberando la fantasia, catturarla e diventare Capitano, Colonnello, magari anche Commodoro, un giorno.

Tutt’ad un tratto, alle sue spalle, comparve un soldato minore che accompagnava una giovane donna, vestita da domestica, che diceva di avere qualcosa di molto urgente da riferire al tenente. Somers aveva fama di essere un cacciatore di pirati, e tutto il porto lo sapeva. Si voltò con il cannocchiale in pugno, convinto di non dedicare più di cinque minuti alla visita inaspettata, con un ghigno sul viso.

“che volete?” sbottò, rivolto alla donna.

Lei fece un breve inchino, poi il soldato parlò per lei: “viene dalla Villa, dice di aver visto alcune ragazze cospirare con un pirata …”

La parole provocarono nel Tenente l’effetto di un fulmine a ciel sereno. All’inizio osservò il viso della donna, poi si illuminò come se fosse una fiaccola e cominciò a tempestare di domande la timida e spaventata domestica.

“delle ragazze?” chiese con un sopracciglio inarcato, fingendo di non crederle.

Lei chinò il capo, poi bisbigliò: “si … si … tre ragazze, vivevano con noi …”

“chi sono?” chiese  il tenente in tono marziale.

“Stephanie Morgan, signore, Anne Right e la loro amica orfana.” Confessò la donna senza provare alcun rimorso.

Quando nominò le tre ragazze, il tenente corrugò la fronte cercando di ricordarsele, perché le aveva viste bene o male un paio di volte. Quando notò che anche il soldato lo guardava senza capire, inventò: “era da un po’ che le tenevo d’occhio quelle tre. Avevano visi sospetti, lo potevo immaginare.”

Pochi minuti dopo la congedò insieme al soldato e chiamò un suo sottoposto. “abbiamo dei visitatori, soldato. Preparate la Diamond alla fonda … Ma non date l’allarme generale. Saranno una mia conquista.” Ordinò con voce chiara, immaginandosi le tre ragazze implorarlo di risparmiarle, pensando di essere molto potente. Il soldato fece il saluto militare, e proprio mentre stava per andarsene, Somers lo bloccò per un braccio e ordinò, con un sibilò malefico: “e informate Crowley. Subito, portatelo da me.”

Il soldato corse rapido sul selciato e Somers si precipitò dal comandante del forte.

Una decina di minuti più tardi aveva ottenuto il permesso di inseguire alcuni pirati pericolosissimi e di combatterli in caso si fossero ribellati al suo “veniamo in pace”, che ovviamente era solo una frase buttata lì, tanto per convincere il comandante.

Si precipitò al porto ancora immerso nel silenzio della notte e salì impettito sulla sua Diamond, una delle navi da guerra più veloci che avesse a disposizione. Sbraitò ordini al soldato di prima, uno dei suoi più fidati leccapiedi, e la nave partì da Port-au-Prince con il vento in poppa e i cannoni pronti, lenta e marziale, diretta alla Punta Estrema.

 *

Sara guidava le ragazze nel bosco come se lo conoscesse da sempre, quando invece aveva sempre vissuto in mare. Camminava svelta con la mano sull’elsa della spada, arma che sembrava essere appena comparsa, la testa alta e lo sguardo impenetrabile. Dietro di lei arrivava Amy, che continuava a guardasi le spalle terrorizzata. Il Tenente, il pensiero di quell’uomo e la sua pazza caccia la perseguitava. Le era venuto in mente per caso, mentre continuava a riflettere sulla sua scelta, e il pensiero le ghiacciò il sangue nelle vene.

Stephanie procedeva lentamente, il cappuccio del mantello che le copriva il volto, anche per nascondere gli occhi lucidi, e Anne zoppicava in fondo, stringendosi nelle spalle ad ogni folata di vento.

Uscirono dalla boscaglia dopo circa un quarto d’ora di cammino; tempo in cui Somers, purtroppo, era riuscito a preparare la nave e i soldati. Ma loro non potevano saperlo.

Quando sotto i loro piedi comparve solo sabbia bianca, Amy alzò lo sguardo dal basso e rimase sbalordita nel vedere che la baia, piccola e impervia, era riempita quasi completamente da una nave nera come la notte, lugubre e terrificante come un’apparizione demoniaca. Amy sentì un brivido scenderle lungo la schiena, e cominciò a tremare. Aveva paura, era veramente terrorizzata. Sentì le ragazze farsi più vicine, ma malgrado tutto non potevano proprio fare niente per tranquillizzarla, quando di solito bastava la loro presenza; perché adesso lei si sentiva in colpa, tremendamente in colpa. Era stata lei ad accettare la proposta di Mary, lei aveva seguito Sara e lei le aveva portate davanti a quella nave terribile e oscura. Era tutta colpa sua.

Il mare si increspava leggermente con le onde, e Sara corse subito sul bagnasciuga alzando la gonna. Inspirò l’aria salmastra a pieni polmoni e rabbrividì di piacere quando l’acqua fredda del mare le bagnò i piedi. Amy rimase immobile ad osservare la sua reazione, poi prese Anne e Stephanie per mano portandole verso la ragazza.

“ma che fai?” chiese stizzita, tenendosi ben lontana dall’acqua. “non abbiamo tempo per farci il bagno! È pericoloso, c’è il Tenente Somers che …”

Sara la bloccò senza farle finire la frase con un gesto veloce: “certo che sei veramente insopportabile! E anche isterica, mi pare. Tranquilla, è tutto a posto …” disse con un sorriso beffardo e malefico. Ad Anne sembrava quasi di rivedere la stessa espressione di Lucas. Amy incrociò la braccia sul petto stizzita e sbuffò su un lungo ciuffo di capelli che le ricadeva sul volto.

“andiamo allora, cosa aspetti?” Suggerì Stephanie.

Sara alzò le spalle, e non rispose.

Le ragazze non capivano niente, tranne che Anne era furiosa, viste le occhiate velenose che lanciava a Amy. La ragazza cercava di non guardarla, ma era sempre più nervosa.

Sara sbuffò, poi alzò le braccia in alto con gesto teatrale e disse ad alta voce: “ragazze!” Loro si voltarono a guardarla stupefatte. “Benvenute a bordo … del Deathbearer!” concluse con voce euforica.

Tutt’ad un tratto, la nave, che prima sembrava deserta, si animò. Marinai dai visi scuri si alzarono dal parapetto, altri spuntarono dai boccaporti sulle murate. Alcuni scesero come ragni dalle sartie, griglie di corda che partivano dalla punta degli alberi e finivano fissate al parapetto. Un paio si sporsero con delle corde verso la spiaggia, indicandole.

Amy tremava dal terrore. Per prima cosa tutte quelle facce e quegli occhi che le fissavano la facevano sentire completamente scoperta, come se potessero vedere dentro la sua mentre, e si sentiva tremendamente a disagio. Quando stava per scappare via dalla paura, Mary comparve al di là del parapetto, con uno sguardo glaciale che la bloccò sul posto. Forse non aveva scopi cattivi, ma Amy se ne sentì ghiacciata. La guardò con uno sguardo ambiguo, tra l’incredulità e il terrore, ma si sentì comunque rapita. Cercò di concentrarsi su Sara, a seguirla con lo sguardo mentre  correva a fatica nell’acqua sempre più alta saltando sopra le onde.

Le ragazze furono costrette a seguirla per paura di perderla. Stephanie alzò il fagotto fin sopra la testa, ma per lei era comunque impossibile che un veliero di quelle dimensioni potesse restare nascosto. Per di più la faceva rabbrividire e sperò che quello fosse un sogno, un incubo terrificante, ma che prima o poi finisse.

In ogni caso riuscirono a issarsi a bordo con non poca fatica, bagnate fin sopra la vita, stupite e spaventate. All’inizio Amy rimase immobile seduta sul ponte, poi si alzò con slancio e riprese l’equilibrio, quasi mossa dalla disperazione.

La nave prese subito il largo, e si allontanò lentamente verso il buio della notte in mare aperto. Sembrava che il Deathbearer si muovesse senza bisogno del vento, come se volasse. Era un veliero grande, immenso, sporco e lurido, ma si trattava di pirati, e quello era il minimo che si aspettassero.

Amy, guardandosi intorno, si chiedeva per l’ennesima volta se avesse fatto bene a salirci oppure dovesse scappare subito. Anne era spaventata e arrabbiata con lei, se lo sentiva. Ora era sicurissima che l’amica aveva sbagliato a non fermarla con più veemenza.

Stephanie si guardava intorno curiosa, affascinata da ogni cosa. Tutto le ricordava suo padre. L’aria salmastra che le riempiva i polmoni e le muoveva i capelli, il rumore delle onde che si infrangevano contro le murate, tutto era come si era sempre immaginata la vita di suo padre. Sentiva il cuore batterle forte, ma non si spiegava perché Anne ed Amy non provavano le sue stesse sensazioni più che piacevoli. Si fermò vicino al parapetto e si sporse verso il buio. Lasciò cadere il fagotto più lontano, poi aguzzò la vista. Le sembrava di aver visto qualcosa, ma l’oscurità era impenetrabile.

Sara era praticamente scomparsa. Le ragazze avevano visto la sua figura esile correre verso il castello di poppa, ma nessuno voleva saperne di lei. Soprattutto Anne.

Dall’alto dell’albero maestro giunse l’urlo della vedetta che la gelò sul posto. “capitano! Nave a tribordo, signore!!” Tutti gli uomini che si incamminavano sul ponte si sporsero verso destra, e Stephanie si trovò schiacciata contro la murata. Strizzò gli occhi e allora riuscì a vedere bene la nave che pensava di aver scorto poco prima. Era una grande nave da guerra e sul pennone di maestra sventolava una bandiera blu, con l’ emblema delle Indie Orientali in oro. Stephanie rimase bloccata dalla paura.

Anne e Amy corsero verso l’altra sponda terrorizzate, ma non degnavano la ragazza di uno sguardo.

Ringrazio tutti (Hivy, nemesis 18, cabol) per le loro recensioni al vecchio capitolo... spero che anche questo non abbia deluso nessuno e anzi, vi sia piaciuto!!

fatemi sapere,

ciaoo

                                                         Archer

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Capitolo 10
*** Pirati e soldati ***


Deathbearer - cap9

  Ciaoo a tutti!! 

visto che "l'esperimento" del vecchio capitolo di suggerire una soundtrack è stato gradito, e visto che è una cosa che mi piace, anche in questo capitolo suggerisco una canzone da ascoltare... digitate "x-ray dog, battle cry" su youtube, e divertitevi...

questa è una delle canzoni "apocalittiche" che non piacciono a Hivy, ma questo è il mio genere, e credo che sia azzeccato..

intanto che ci sono, occupo questo pezzettino per ringraziare Cabol, Nemesis 18 e la mia Hivy per le loro recensioni, che ogni giorno mi rileggo perchè mi lusingano...(per Hivy: ho sistemato tutto quello che mi hai fatto notare. Continua così, perchè io ho sempre bisogno di commenti, lo sai...) Grazie ancora,

Adesso meglio che finisco ... buona lettura,

ciaoo

Pirati e soldati.

Un istante dopo la nave inglese si avvicinava ancora di più, e da alcuni dei suoi boccaporti cominciarono a provenire pesanti colpi di cannoni. Dopo un lampo di fuoco, venivano tutti sbalzati a terra, ma i marinai esperti qualche secondo dopo erano già in piedi, pronti a correre sulle sartie e ad obbedire agli ordini di capitan Jack Reckhernam. In quel momento era solo una figura più scura della notte, che dal timone urlava e incitava suoi uomini a fuggire il più velocemente possibile, con tanti termini nautici che le ragazze non conoscevano. Tutti si erano già spostati dal parapetto di tribordo, a destra, perché sapevano che era a rischio. Era verso la nave nemica, ma Stephanie non se ne rese conto e rimase immobile dov’era.

Quando un nuovo colpo raggiunse le murate del Deathbearer, la ragazza ruzzolò a terra con un urlo di terrore e cercò di spostarsi, ma non riusciva più a muoversi. I colpi erano sempre più forti e la Diamond si avvicinava a vista d’occhio. Un colpo fu particolarmente potente da far cadere anche Sara, che per le ragazze era l’esempio di pirata più vicino alla loro portata. Era infatti ricomparsa misteriosamente con abiti maschili appena la vedetta aveva urlato e adesso si stava preparando a combattere.

Stephanie urlò e anche le ragazze urlarono di terrore, ma non riuscirono a vederla. Sara le spinse a forza nella stiva, e loro riuscirono a vederla correre sul ponte, evitando agilmente marinai e cannonieri. Ritornò sul cassero, accanto a due figure. Una di loro era quasi sicuramente Mary, l’altra era un uomo alto e imponente, il capitano del Deathbearer, ma a quella distanza e in quella situazione, Amy riuscì a distinguere solo una figura scura.

Jack Reckhernam urlava alla sua ciurma, e anche Mary, con la sua voce acuta: “rispondete al fuoco!!”, “prepararsi alla bordata! Pronti a mezza nave!”

Amy si sporse ad uno dei boccaporti di babordo, a sinistra, e guardò oltre la nebbia delle coste dell’isola di Gonave. Vide un’altra sagoma scura comparire dall’altra parte, ma loro erano già abbastanza al largo.

Ad intervalli più o meno lunghi, pesanti colpi di cannone raggiungevano le murate del Deathbearer, ma tanti ne ricevevano gli Inglesi, che si erano fermati all’interno del golfo, perché non riuscivano a uscire del basso fondale della Gonave.

L’isola era sempre stata un impedimento ad una navigazione lineare verso Port-au-Prince, perché andava circumnavigata per raggiungere il porto. Il fondale basso e insidioso, che si allargava poche decine di metri sotto la superficie dell’acqua, e divideva le due terre, era sempre un ostacolo, e gli Inglesi erano caduti in quella trappola come marinai alle prime armi.

I soldati a bordo della Diamond imprecarono, e subirono gli insulti del leccapiedi di Somers, mentre il Tenente non sembrava particolarmente dispiaciuto dalla perdita. Il fondo il suo vero scopo non era catturare i pirati (sapeva che in una sola battaglia era praticamente impossibile), ma occupare l’attenzione (e i cannonieri) del Deathbearer per un po’, giusto il tempo di mandare al largo il suo “asso nella manica”, e quello che voleva era stato eseguito alla perfezione. Sapeva che per questo sarebbe stato ricompensato.

Non si preoccupò neanche di informare i suoi sottoposti, osservò il Deathbearer allontanarsi dall’isola, pensando che aveva solo evitato uno scontro, la guerra vera e propria doveva ancora cominciare.

 *

Furono momenti di terrore assoluto nella stiva. Ogni colpo faceva sobbalzare la nave, il carico si spostava, andando pericolosamente a lambire le ragazze raggomitolate in un angolo.

Quando tutta quella furia sembrò attenuarsi, Amy ritrovò i propri pensieri. Con tutta la paura che aveva provato in quel momento aveva smesso di pensare, la mente sgombra di ogni possibile ragionamento. Adesso si rendeva abbastanza conto di quello che era successo. Gli Inglesi dovevano aver scoperto il loro piano, e li avevano attaccati. Il motivo di ciò era comunque ambiguo. Sembrava che volessero solo attaccarli, invece sapeva che c’era un motivo nascosto.

Inoltre, erano rimasti bloccati dal fondale basso di Gonave. Era da quando aveva memoria che la base militare era a Port-au-Prince, era praticamente impossibile che esperti come erano gli Inglesi, si lasciassero mettere in trappola così facilmente.

C’era qualcosa sotto, ma adesso aveva altro a cui pensare. Stephanie era scomparsa, ed Anne non la guardava nemmeno. Se ne stava in un angolo lontana da lei, con le ginocchia tirate al petto e gli occhi socchiusi.

Non si rese conto di quanto tempo passò ad osservarla, solo tirò un lungo sospiro di sollievo quando Sara comparve dalla botola sul soffitto della stiva. Aveva il viso sporco di polvere ed era anche un po’ pallida. All’inizio si guardò intorno, osservò la strana indifferenza che c’era tra le due. Si aspettava di trovarle abbracciate tra loro a guardarla con gli occhi lucidi, invece Amy la guardava con astio, ed Anne teneva gli occhi bassi. Né una né l’altra sembravano sull’orlo di una crisi di pianto, come invece si aspettava. Allora assunse anche lei un atteggiamento strafottente. “volete uscire o restare lì sotto per sempre?” tuonò.

Lo sguardo di Amy si incupì ancora di più. Salì la scaletta tremando per il movimento delle onde, ed una volta fuori aspettò che la raggiungesse anche Anne dandole le spalle. L’aria era fresca, e fu un toccasana per la sua mente annebbiata dall’afa della stiva. Inspirò profondamente l’aria salmastra, e solo allora si rese conto di quanto fosse diversa da quella che si respirava a terra. L’aria sembrava più leggera, più fresca e umida, contenente alcune piccolissime goccioline di acqua.

Il rumore delle onde era costante, ritmico, sembrava rispecchiare il battito del suo cuore.

Amy continuò a guardarsi intorno, ma non riuscì a scorgere Stephanie. Sara non le rispose quando le chiese qualcosa di lei e Anne voltò la testa quando Amy la guardò. La piratessa le spinse di spalle verso il castello di poppa, dove c’era il timone e la figura del capitano.

Con la coda dell’occhio notò la murata di tribordo sfondata, e si liberò da Sara con una spinta. Corse in quella direzione con la vista annebbiata dalle lacrime. Con orrore, Amy vide il mantello nero e pesante di Stephanie penzolante da una parte quasi tutto strappato. Si avvicinò ancora senza badare al baratro che la portava direttamente nelle acque gorgoglianti del mare. Si prese il viso tra le mani e cominciò a piangere. Un’onda la fece traballare e due braccia esili, ma forti, la presero per un pelo prima che cadesse fuori bordo.

Sara la guardò male. “che vuoi fare? Ti rendi conto che potevi cadere da basso?!” sibilò a pochi centimetri dal suo viso. Amy nemmeno le rispose, portò le mani tremanti davanti agli occhi e rincominciò a singhiozzare con gemiti acuti.

Sara le tolse le mani dalla faccia e la prese di peso per i gomiti. “smettila di frignare!” tuonò. “devi venire dal capitano.” E la spinse davanti a lei  insieme ad Anne, che sembrava non essersi ancora capacitata di quanto sembrava essere successo a Stephanie.

Il capitano del Deathbearer era un uomo di non più di quarant’anni, un fisico snello, energico e vigoroso. Aveva capelli scuri, né troppo lunghi né troppo corti, e portava un cappello di pelle nera a tre punte. In modo incredibile su un veliero pirata, aveva una barba molto curata, con baffi corti, pizzetto alla moschettiera. Anche se aveva un viso molto giovanile, aveva delle piccole rughe agli angoli degli occhi e della bocca, atteggiata in un espressione con un misto di disgusto e di indifferenza agghiacciante. La parte più interessante del suo viso erano gli occhi, scuri come due pietre di ossidiana che brillavano agghiaccianti alla luce della luna. Anne sentì subito che era una persona importate, e che di rado si lasciava mettere i piedi in testa. Quando fu davanti a lui chinò il capo, incapace di sostenere quello sguardo profondo.

Era completamente vestito di nero, ma aveva una camicia bianca che spuntava da sotto la pesante giacca di pelle e le numerose cinture e fasce che portava in vita erano di tanti colori. Anche se dovevano essere vivaci e allegri, avevano un che di cupo anche l’arancione e simili, e non spiccavano per niente in quel buio quasi assoluto.

Quando le ragazze arrivarono al cospetto del capitano una folata di vento le fece rabbrividire, e proprio perché lui non sembrava nemmeno averla sentita, sembrarono ancora più piccole, insignificanti ed errate davanti a quell’uomo temprato dal vento delle tempeste e dalle innumerevoli battaglie che si contavano nel suo passato insieme al dolore e alla vittoria.

“posso sapere quello che è successo poco fa?” tuonò con voce scura, ma non sembrava arrabbiato, quel viso abbronzato non trasudava nessuna emozione, come fosse di cera.

Amy cominciò a tremare, mentre per Anne era come se parlasse un’altra lingua da quanto si sentiva confusa. Ancora non si capacitava di non vedere Stephanie lì con loro.

“se posso, capitano.” Si intromise Sara. “al porto si parlava di un certo Somers, penso fosse il capitano di quel vascello. Io non ci ho pensato subito, ma probabilmente non ci darà più problemi perché è stato sconfitto.” Azzardò a guardarlo negli occhi. Dimostrava un sangue freddo e una capacità di parlare non da tutti.

“non l’abbiamo sconfitto.” Osservò il capitano. “e di certo ci riproveranno. Non è questo che mi preoccupa, ma il tempismo con cui ci hanno attaccati.”

Amy, che finalmente ascoltava la conversazione, pensò istintivamente al ragionamento che aveva fatto prima. Voleva provare a raccontare, ma rimase zitta.

“probabilmente erano pronti.” Rispose Sara, che cominciava a sciogliersi un po’. “qualcuno potrebbe averli avvisati. In fondo la villa è ad uno sputo dal forte.”

“hai ragione.” Annuì il capitano. Fece una pausa, e si preparò a dare ordini. “chiamami Mary, devo parlarle.” Spostò lo sguardo sulle ragazze. “voi due …” aggiunse. Amy provò ad alzare lo sguardo e Anne la imitò. Quando il capitano constatò che lo stavano guardando continuò. “ho già notato la vostra propensione a causare guai … spero che non continuerete in questa direzione.” Le congedò con lo sguardo, Sara scese con loro le scale, poi salì sulle sartie e scomparve ancora una volta.

Il Deathbearer si allontanava sospinto dal forte vento dritto di prua che si era alzato. Quel vascello aveva qualcosa di mistico. Il buio lo rendeva agghiacciante, con delle pezze che scendevano dalle vele gonfie del vento e luride. Il mare si scontrava contro la chiglia gorgogliando, la nave avanzava veloce come se niente fosse e in men che non si dica la vista di Port-au-Prince si nascose nella nebbiolina di notte e Amy si sentì irrimediabilmente sola e persa. Nessuno la degnava di uno sguardo e lei rimase a piangere per un tempo che non riuscì a calcolare. Sentiva che tutto era perduto e le lacrime continuavano a bagnarle il viso.

 *

Solo allora le ragazze si trovarono da sole, e poterono sfogare la loro rabbia. “Stephanie, non c’è!” gridò subito Anne. “ti rendi conto che potrebbe essere morta?!”

Amy sentì il sangue ribollirle di rabbia. “lo vedo bene!” sibilò, piegandosi a raccogliere il fagotto.

“e adesso!?” urlò Anne, al colmo dell’ira. “la libertà! Ma certo … la famiglia! Stephanie è annegata, Amy! Cosa volevi fare? Eh? È tutta colpa tua … solo tua …”

Amy si sentiva avvampare, ma incassò i colpi di quelle dure parole senza fare una piega. “lo so, lo so bene che è colpa mia!” urlò. “ma cosa credi che possa fare?”

Anne urlò di rabbia, raccolse il fagotto e se ne andò senza sapere dove andare né cosa fare, ma almeno le sarebbe stata lontana, altrimenti sarebbe arrivata a prenderla a botte.

Amy continuò a piangere in silenzio seduta con il mento sopra le ginocchia e la braccia intorno agli stinchi. Chiuse gli occhi e il buio la circondò. Era l’unica cosa che le ricordava casa, il buio dietro le sue palpebre. Continuò a singhiozzare tenendosi la testa tra le mani. Si sentiva sperduta e sola, terrorizzata e triste. L’unica cosa che poteva fare era piangere, ma con rancore si disse che non sarebbe servito proprio a niente.

Anne intanto si era seduta su una parte di parapetto sporgente dietro al timone, cercando di calmarsi. Non riusciva nemmeno a piangere dalla rabbia, voleva prendere a pugni qualcosa, ma non poteva. Era quello il suo unico pensiero, un bisogno di sfogare la violenza. Scivolò a terra e, con le spalle al muro si addormentò, sfinita.

Amy alzò lo sguardo per distrarsi, non poteva credere si aver perso così la sua amica. Non poteva essere vero. Era un incubo, non quello che aveva sognato per la sua libertà.

Richiuse gli occhi.  Una folata di vento gelido la colpì in pieno e li riaprì.

Allungò una gamba. Era scomoda, le faceva male tutto, ma non sapeva se era per la tristezza o per la posizione.

Guardò in alto. Le vele erano nere con qualche toppa ed erano spiegate. Una bandiera scura era a mezz’asta sull’albero maestro, quello centrale. Non riusciva a vedere bene il disegno perché era piegata al vento. Una folata possente la distese e vide benissimo il Jolly Roger, la bandiera dei pirati. Nera come la notte e con il teschio e le sciabole bianche incrociate. Si spaventò, e il suo cuore accelerò.

Qualcuno inciampò nella sua gamba tesa, un piede calzato con uno stivale e lei sentì male. L’uomo si voltò e la guardò in faccia. Lei era bagnata dalle lacrime e con i capelli attaccati al viso, ma aveva un espressione che tradiva le sue emozioni. Lui aveva un cappello a triangolo scuro, un giaccone nero e mentre si muoveva intorno a lui si sentiva un rumore metallico che a Amy portò alla mente un ricordo lontano. La guardò un secondo, poi continuò a camminare con passo pesante. Amy rabbrividì, era il capitano. Dall’ espressione doveva essere molto arrabbiato e la presenza di Amy tra i piedi non gli giovava molto.

La ragazza sospirò di rassegnazione, raccolse le gambe al petto e si lasciò prendere dal sonno.

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Capitolo 11
*** Il veliero pirata ***


Deathbearer - cap10 - il veliero pirata

Il veliero pirata.

Stephanie era circondata dall’acqua fredda. Era stata colpita da un pezzo di legno volante dopo il colpo infierito alla nave dagli inglesi. Per ripararsi si era gettata a terra, ma era scivolata in acqua urlando. Nessuno l’aveva sentita e lei era rimasta da sola in mezzo al mare, alla deriva. Per un attimo il suo unico pensiero fu di salvarsi, di non affogare.

Le onde erano forti, la spingevano sempre in basso. Cercava di nuotare per raggiungere la superficie, sperando che la nave con le amiche non fosse già lontana. Arrivò in superficie, esausta, ma la poppa del veliero era solo un’ ombra. Non sarebbe resistita molto a galla. Continuava a tirare calci all’ acqua e per poco poteva respirare, ma poi le onde la ricoprivano ed era difficile stare con la testa fuori. Sentì che stava per mollare, quando al massimo della disperazione vide alle sue spalle una nave la stava raggiungendo lentamente. Al momento era solo un’ombra, ma stava arrivando, e potevano salvarla. Progettò  di salirci, ignorando qualsiasi fosse la sua provenienza.

Un barlume di speranza si accese nel buio in cui stava precipitando. Ma doveva fermarsi da qualche parte, era esausta. Sentiva che le forze la stavano abbandonando.

Vicino a lei scorse uno scoglio basso e piatto che sporgeva a tratti sulla cresta delle onde. Cercò di raggiungerlo, ma l’abito di damasco era pesantissimo e le gambe non reggevano più. Raccolse tutte le sue forze e si buttò verso lo scoglio. Si aggrappò con una mano ad uno spuntone sott’acqua e cercò di tirarsi su. Quando ci riuscì, inspirò profondamente l’aria fredda della notte.

Poteva farcela, doveva solo crederci.

Stephanie era terrorizzata. L’ombra davanti a lei si faceva sempre più grande e più questa si avvicina più lei cominciava a sperare. Aveva sempre pensato che le navi fossero veloci, ma quella avanzava inesorabilmente centimetro dopo centimetro, e sebbene lei ormai fosse convita della salvezza, le sue condizioni fisiche erano pessime.

Le gambe erano quasi del tutto insensibili. Aveva freddo, batteva i denti e delle folate di vento gelido continuavano a colpirla. Non riusciva a muoversi e col tempo si spostò sempre più verso il basso, prima l’acqua le sembrava gelida, ma piuttosto che la cima della roccia preferiva di gran lunga il mare tiepido dei Caraibi.

Quando la murata della nave le fu abbastanza vicina da farsi sentire fino al ponte, uscì dall’acqua in un lampo e cercò in tutti i modi di agitare le braccia e tenersi attaccata allo scoglio allo stesso tempo. Aprì la bocca per urlare e farsi soccorrere, ma dalle sue labbra uscì solo un mugugnino.

Fortunatamente sul vascello la videro comunque, nel suo abito di damasco bagnato, i capelli fradici e scompigliati, e lo sguardo perso.

Dopo secondi che le parvero interminabili, le lanciarono una corda e le arrivò proprio accanto. Lei la prese con entrambe le mani e si lasciò issare a bordo, senza nemmeno sentire il dolore mentre sbatteva contro il legno dalla murata. Finalmente era salva, era l’unica cosa a cui pensava. Era salva.

Salì a bordo e si lasciò cadere sul ponte distratta. Le avevano insegnato a non mostrare i suoi sentimenti, perché una signorina per bene non doveva farlo, ma ignorò tutto in quel momento, non le serviva più essere una signorina per bene, voleva solo che la aiutassero o non sarebbe servito a niente issarla a bordo se fosse rimasta sdraiata sul ponte a lungo. Non aveva paura di far notare il suo disagio, la tristezza, la paura, la stanchezza, piuttosto voleva che l’ aiutassero, ma la guardavano tutti e nessuno faceva niente.

Qualcuno le si avvicinò, era un uomo alto e robusto, ma non grasso, aveva un espressione corrucciata, che lo faceva sembrare malvagio.

“era su quello scoglio, signore.” Riferì una delle tante persone che la osservavano. “l’abbiamo issata a bordo per pietà, signore.”

“e secondo voi un pirata prova pietà, tenerezza, compassione!?” sbraitò quell’uomo fissandola intensamente.

“no! Signor capitano!” urlò tutta la ciurma, e ad un gesto dal capitano si dileguarono.

Allora l’uomo rimise di nuovo gli occhi su Stephanie.

“chi sei?” chiese “Perché sei qui? Cosa ci facevi su uno scoglio in mezzo al mare?”

Stephanie titubante gli rispose, pensando che era stata in qualche modo fortunata a non salire su una nave militare. “mi chiamo Stephanie Morgan, ero … ero … su un veliero quando sono caduta fuori bordo e … per salvarmi mi sono aggrappata allo scoglio …”

“non è che per caso eri sul vascello che si è scontrato con la Diamond?” chiese lui.

Stephanie si sentì scoperta, ma provò comunque a mentire. “no!” urlò d’istinto. “certo che no! Ero su un peschereccio, al largo …” mentì.

“va bene …” mormorò il capitano, anche se visibilmente non le credeva.

“non sarà successo nulla di grave?” incalzò Stephanie.

“no, assolutamente no …” rispose il capitano. “una scaramuccia tra la marina e dei vecchi contrabbandieri … niente di grave.”

Stephanie si sentì stranamente offesa. Soprattutto presa in giro, da come le parlava quell’uomo per prima cosa la considerava inferiore, e il  suo tono malizioso la infastidiva tantissimo.

Il capitano non fece altre domande, disse a un marinaio di portare Stephanie di sotto e continuò a mugugnare il cognome della ragazza fino a che lei, portata nelle prigioni, non riuscì più a sentire la voce mista al rumore delle onde e del vento.

Continuava a pensare alle sue amiche insieme alla ragazza bionda, che le sembrava si chiamasse Sara.

Pregò per ritrovarle sane e salve al più presto. Doveva raggiungere il Deathbearer.

Si mise una mano nei capelli e allora notò che aveva perso il suo spillone con cui li teneva legati. Glielo aveva regalato suo padre e ci teneva molto. Era tutto inciso, soprattutto la parte superiore, e aveva la punta quadrata e irregolare. Forse era ancora sulla spiaggia. Sentì una fitta di dolore al cuore. Quei pensieri le ricordavano casa. Sentì le lacrime salirle agli occhi, e lei le lasciò sgorgare.

Perché adesso era in una nave di contrabbandieri e non nel suo letto a dormire? Per un momento aveva anche creduto che le favole a cui credeva Amy, ossia che sarebbero potute scappare, fossero reali. Ma adesso si doveva ricredere.

Pianse senza ritegno finché ebbe ricordo, e poi si addormentò.

La luce del sole nascente arrossava l’orizzonte. Anne non aveva detto una parola a Amy dalla sera e la ragazza si era addormentata ancora con le lacrime agli occhi.

Si svegliò per il suono della campana che si trovava a poppa. Serviva per i cambi delle guardie, quando c’era un attacco, e per segnalare un pericolo imminente. Ma in quel momento non serviva a nessuna di queste cose, solo il vento era così forte che la faceva sbattere.

Mary si preoccupò di andare a fermarla con un cappio di corda, per non allertare inutilmente tuta la ciurma.

Amy alzò di scatto la testa e fece una grande sbadiglio. Intorno agli occhi sentì tirare la pelle, e cominciò a grattarsi il contorno delle orbite. Le lacrime si erano seccate, non riusciva nemmeno a vedere molto bene. Sentiva però gli occhi ancora colmi di lacrime, e aveva un solo pensiero per la testa: l’ immagine di Stephanie che volava via con parte della nave ignorata da tutti. Quel senso di colpa misto a paura era la sensazione più brutta che avesse mai provato. Non aveva idea di cosa fare, non aveva mai immaginato di trovarsi nella situazione di aver provocato la morte della sua migliore amica. Vederla in quel senso la faceva soffrire ancora di più, ma era qualche voleva. Doveva soffrire, dopo quello che aveva provocato. Anne stava malissimo, e anche lei, era disperata.

 *

Anne vide Amy che si alzava, ma fece finta di non conoscerla. Non voleva più avere a che fare con lei. Rimase seduta dietro al timone. Non fece caso a nessuno, mentre guardava sovrappensiero la scia del Deathbearer sul mare celeste.

 *

Amy cominciò a girovagare sul ponte curiosa, pensierosa e affascinata. Si ricordava le parole della cartomante, e tutta la voglia di scappare che aveva sempre avuto. Adesso non era più così sicura di aver fatto bene a seguire Mary e Sara. Anne non la parlava, e Stephanie con ogni probabilità era morta.

Eppure la cartomante le aveva detto di fidarsi di chi aveva accanto. Lei lo aveva fatto, e adesso com’era ridotta: a girovagare senza meta su una nave sconosciuta con le lacrime che le bruciavano agli angoli degli occhi. Non si era mai sentita così stupida. Aveva fatto l’errore più grande della sua vita a salire su quella nave, adesso l’aveva capito.

Aveva ragione Anne, quando provava a farla cambiare ida. E invece lei era riuscita a convincerla.

Che stupida, stupida. Pensò. È impossibile essere liberi.

“nulla è impossibile per colui sulla cui testa sventola la bandiera con il teschio.” Le parole della cartomante le risuonarono nella testa come se le stesse ancora parlando.

Chiuse gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, e quando li riaprì, Anne era davanti a lei.

Per un attimo si guardarono, poi Anne sospirò profondamente. “odio quando non ci parliamo …” confessò.

“anch’io.” Sorrise Amy dopo un attimo.

Anne però non sorrise. “Amy, devo parlati … ma non so se è giusto quello che sto per dirti …” Amy si fece attenta.

“devo chiederti scusa per quello che ti ho detto …” disse Anne tutto d’un fiato.

Amy la fissò, ma non disse nulla.

L’altra si appoggiò con la schiena sulla murata e all’inizio non parlò, sospirando profondamente. “mi … mi dispiace per quello che è successo.” Disse infine “Non volevo che litigassimo, ma tu avresti potuto capire … Ho perso Stephanie, e ho paura di quello che ci può accadere se restiamo a lungo su questo vascello …”

Amy non disse niente e lasciò parlare l’amica, e dopo un po’ le rispose: “ti capisco benissimo, ma sono anche sicura che tu capirai perché ho fatto tutto questo.” Di nuovo le tornò in mente il discorso con la cartomante, ma in senso completamente opposto a quello di prima. Ora Anne si stava scusando con lei, e se lo stava facendo era perché aveva capito di essere nel torto. Quindi Amy aveva ragione, e si sentiva scaldare il cuore. “per ora voglio solo ritrovare Steph ed essere libera.”

Anne guardò l’orizzonte davanti a sé e disse: “si,  ma non se penso a quello che è accaduto a Stephanie, io …” Cominciò a singhiozzare, e anche Amy sentì che le lacrime cominciavano a rigarle le guance.

Anne parlò con tono risoluto: “voglio essere certa che sia morta. E’ una cosa macabra da pensare, ma almeno se è ancora in vita potremo salvarla …”

Amy annuì, e la osservò. Non l’aveva mai mista così determinata. Smise di piangere e si sporse dal parapetto. Osservò la scia della nave, e allora si accorse di una nave alle loro spalle. “c’è un veliero che ci segue” disse “potrebbero aver preso Steph a bordo … ”

Pensò solo dopo che potevano essere una nave nemica, magari parte di un piano degli inglesi per raggiungerli.

Il mento le tremò un istante e un’ ultima lacrima solitaria le bagnò la guancia umida. Anne la abbracciò e le asciugò il viso. Poi sussurrò: “dobbiamo tentare. Almeno lotteremo per qualcuno.”

Amy la guardò negli occhi e annuì. “ti ricordi quello che hai detto a Stephanie, della nostra avventura?”

Anne non capì subito. “ti ha detto qualcosa?”

Amy sorrise “credo che ora sia iniziata.” disse con tono solenne.

“e come previsto siamo insieme.” Aggiunse Anne. “vieni, andiamo a cercare quella pazza di Sara. Troveremo Stephanie, Amy, la troveremo.”

Amy le strinse una mano. “lo spero.” Si guardò intorno. Dopo aver fatto pace con Anne, si rese contro che non avevano bisogno di Stephanie per farlo. Provò a non pensarci, perché c’erano molto altre cose che la ragazza faceva per loro e per cui dovevano cercarla. Però, dopo quella riappacificazione in cui non avrebbe mai sperato, sembrava che uno dei tanti problemi che aveva creato si fosse risolto. Si era creata una piccola speranza.

Andò a cercare Sara praticamente saltando di gioia.

Le ragazze non avrebbero mai immaginato che per manovrare un veliero servissero così tante persone. L’equipaggio era formato da un’ottantina di uomini, e più di metà in quel momento erano occupati con le vele, tanto che per non intralciarli, Anne ed Amy dovevano camminare in mezzo al ponte evitanto rotoli di corda e botole che portavano alla stiva.

Non avevano idea di dove trovare Sara, ma intanto cercavano di ambientarsi sulla nave.

Per prima cosa, camminare era veramente un impresa. Il rollio della nave era continuo, forte. Equipaggio e carico ondeggiavano incessantemente da una parte all’altra, senza tregua. La notte precedente non si erano rese contro di quanto era difficile muoversi. Forse perché non erano molto al largo, o forse perché loro erano troppo stanche per farci caso.

Sta di fatto che non riuscivano a muovere un passo senza rischiare un capitombolo. Le ragazze capirono subito lo scopo di quella moltitudine di corde che scendevano dai tramezzi delle vele sul ponte. I pirati vi si appoggiavano con noncuranza per andare avanti ed evitare gli ostacoli che affollavano il ponte.  Si appendevano e con un piccolo slancio evitavano le botole, e andavano oltre come se fosse naturale.

In breve tempo, anche Anne ed Amy presero l’abitudine di appigliarsi a quelle funi, per puro spirito di sopravvivenza.

Dava loro grande senso di libertà muoversi quasi inosservata sul ponte; sembrava quasi di fare veramente parte della ciurma.

Trovarono la piratessa intenta ad orientare una vela sotto le sartie di mezzana, accanto alla madre. Tra loro non parlavano, non una parola. Non avevano mai avuto un buon rapporto, e adesso era peggiorato dalle ragazze a bordo, cosa di cui Mary sembrava entusiasta, al contrario della figlia.

“guarda un po’ chi si vede …” esordì Sara a mezza voce. “tutto bene per voi terragnole?”

Era evidentemente una presa in giro, Anne ed Amy sapevano che Sara non era per niente interessata a loro, e poi le aveva chiamate “terragnole”, il che era dispregiativo.

Anne ignorò la subdola ironia di Sara, raddrizzò le spalle e si fece coraggio, poi disse: “vogliamo ritrovare la nostra amica Stephanie”

Dovettero aspettare un po’ prima che Mary rispondesse. “in effetti il colpo non era poi così devastante come è sembrato.” Indicò il parapetto che aveva subito l’urto. “infatti come vedete lo abbiamo già risistemato.”

Il cuore di Amy fece una capriola. “quindi …” mormorò.

La donna fece un sospiro, poi continuò: “se è riuscita a liberarsi non vedo perché non sia sopravvissuta.”

Le ragazze si guardarono speranzose, e finalmente Amy si liberò da un peso invisibile che le serrava la gola.

Mary arricciò un labbro. “sa nuotare?”

Le ragazze non capirono subito il morivo di quella domanda, e Mary spiegò che in qualunque caso, se Stephanie non sapeva nuotare, non si sarebbe salvata. Allora Anne rispose di sì, sperando in bene.  

“allora se era capace potrebbe essere viva.”

Anne ed Amy la guardarono con gli occhi che brillavano. “c’è una possibilità di farla salire a bordo con noi?” chiese Amy, ma in fondo al cuore sapeva che loro l’avrebbero presa a bordo solo con un profitto personale.

Infatti Mary, e nemmeno Sara, risposero.

Così la ragazza si affrettò a correggersi: “davvero non c’è speranza per la nostra grande amica Stephanie … Morgan?” fece una pausa suggestiva prima di pronunciare il cognome, proprio come le aveva insegnato Katherine.

Evidentemente funzionò, perché negli occhi di Mary si accese una scintilla. “Morgan, hai detto?” chiese con enfasi. Sara già conosceva quel piccolo particolare, ma non ne aveva parlato con la madre.

“certo, sì, Morgan.” Rispose Amy.

“il padre della tua amica era un pirata, che tu sappia?” chiese Sara, che sapeva che Mary l’avrebbe domandato comunque.

“sì, mi dispiace ammetterlo così esplicitamente, ma  era un pirata e lo abbiamo scoperto da poco.”

Sara si accigliò, credendo che esplicitamente fosse un offesa, ma non voleva rendersi ridicola, visto che sua madre sembrava aver capito.

“era Inglese?” chiese Mary.

Anne ed Amy non risposero, visto che non lo sapevano con certezza.

Mary continuò: “non si chiamava … Henry Morgan, vero?”

Le ragazze scossero la testa. In realtà non sapevano come si chiamava, per loro era sempre stato il Signor Morgan.

“lo sapevo!” esultò Mary “sapevo che era morto!”

Le ragazze si fecero attente, ed Anne chiese: “cosa sapevate? Chi è morto?”

Mary sospirò, capendo subito che la spiegazione sarebbe stata lunga. Così fece cenno a tutte e tre di sedersi su delle casse di legno addossate al parapetto. E cominciò a spiegare. Amy si stupì di quanto fosse brava quella donna a raccontare. “esistono due pirati di nome Morgan, ma uno è morto decenni fa. Alcuni però credono ancora che la sua anima, riuscita a fuggire dall’Oltretomba, vaghi ancora negli oceani e depreda i vascelli come quando era in vita. Sono storie da uomini di mare, superstiziosi e creduloni, ma la verità e che un altro Morgan; di cui è vostra amica la figlia, depredi le navi, da vivo, ma in modo così redditizio da sembrare che sia il vecchio Henry Morgan a farlo.”

Amy la interruppe per precisare: “a me hanno detto che il pirata Morgan è morto, ma non Henry Morgan.

Anne la guardò di sottecchi, perché aveva capito subito che Amy aveva vagato di nuovo per i vicoli del borgo.

Mary annuì, e continuò la spiegazione, perché evidentemente ci prendeva gusto. “esatto, perché Henry Morgan è ormai morto e sepolto da tempo. Ora però anche il Pirata Morgan è morto, in una tempesta molto potente. Credo che il resto poi tu lo conosca …” fece una pausa in cui osservò i volti delle ragazze, e aggiunse: “Forse però non sapete che il Pirata Morgan ha nascosto un grande tesoro da qualche parte … In una delle isole che fronteggiano la Florida, dicono …”

Rimase un attimo zitta e vedendo che Amy stava aprendo la bocca le disse: “so cosa stai per chiedermi. E il tuo ciondolo è parte di quel tesoro di Morgan. Voi non sapete però a che serve … giusto?” Sembrava che quella donna le conoscesse da tantissimo tempo ed Anne disse: “e voi lo sapete?”

Mary la guardò in modo strano e rispose: “certamente” e si spostò i lunghi capelli biondi dietro le spalle.

“e … a che servono?” chiese Amy, curiosa.

 “ebbene” cominciò Mary, “esistono tre pezzi, che uniti tra loro formano la chiave per trovare il tesoro.” Sospirò. “o così dicono le voci.”

Fu interrotta di nuovo: “quindi stiamo cercando il tesoro di Morgan?” era Anne, curiosa e interessata.

“è quello che ho detto.” Annuì Mary impaziente, poi riprese: “dunque, ora sapete la storia di Morgan, e anche del padre della vostra amica. Dovete aiutarci a trovare il tesoro, dobbiamo scoprire dov’è.”

Anne rifletté un momento, come Amy. Nessuno aveva mai parlato a loro con quel tono, Mary glielo aveva detto esplicitamente, avevano bisogno di loro. Anne sentì scaldarsi il cuore e la prima antipatia che aveva provato per Mary cominciava a scemare. “ma neanche noi lo sappiamo, e Stephanie …” stava per dire che nemmeno Stephanie lo sapeva, ma Amy la bloccò con una gomitata nel fianco.

“cosa?” le chiese sottovoce, ma Amy non le rispose. Sapeva che i pirati non avrebbero aiutato Stephanie se non ne avessero guadagnato qualcosa, così decise di fingere. “forse Stephanie ne sapeva qualcosa …” mormorò.

“ma sappiamo che si trova su un’isola al largo della Florida!” Obbiettò Sara.

Mary la guardò male. “dovresti sapere quanto è grande l’arcipelago delle Bahamas, e quante sono le isolette e atolli che lo circondano!”

Sara alzò le spalle e guardò da un'altra parte.

“se devo essere completamente sincera c’è una diceria, in giro …” le guardò con i suoi occhi penetranti. “dicono che il tesoro si trovi sull’Isola di Mezzanotte.”

Anne rimase a bocca aperta. “l’Isola di Mezzanotte? Ma è una leggenda.”

Amy annuì, poi prese la parola. “quella che compare all’orizzonte solo a mezzanotte, quando più cuori dolgono per la stessa causa?”

“esatto.”

“e come è possibile?” chiese Amy inarcando le sopracciglia.

“mai sentito parlare di Magia?” chiese la donna e Amy si sentì traforata da quello sguardo accusatore. Inoltre, le tornava in mente la visione che aveva avuto. Ormai era quasi sicura che ne fosse Sara l’artefice, ma non sapeva bene come avesse fatto.

“adesso basta con le favole.” Concluse Mary con voce dura. “siete sicure che la vostra amica sappia qualcosa sul tesoro?”

Anne guardò da un'altra parte, sicura come non mai che Amy avesse combinato un altro pasticcio.

“certo.” Rispose l’altra con decisione. “dobbiamo trovarla su quella nave laggiù.” Aggiunse, tanto per essere sicura che Mary capisse.

“bene …” mormorò Mary dopo averle osservate ancora un po’. “siete con noi, ma bisogna risolvere ancora una cosa …” Si alzò e osservò la nave alle loro spalle. “quella nave non mi piace per niente.” Si voltò verso la figlia. “Sara … sai quello che devi fare.” Disse. La guardò intensamente, e si capirono all’istante.

Sara saltò agilmente sul parapetto e salì sulle sartie, raggiungendo in un secondo la coffa sull’albero.

“andate, voi. Non combinate altri disastri.” Disse infine Mary.

Amy annuì, e fu subito imitata da Anne, che cercava in tutti i modi di non sembrare a disagio.

La donna non indugiò oltre, e andò via. Le ragazze allora cercarono con lo sguardo Sara sull’albero, ma il sole era troppo forte e dovettero desistere.  

Da sotto non riuscivano a vederla, ma la piratessa si sedette tranquillamente, come se sotto di lei non ci fossero quasi dieci metri di vero e proprio nulla. Sara chiuse gli occhi e respirò profondamente. Si concentrò cercando di isolarsi da tutto, e il buio la circondò. Pronunciò qualche parole in una strana lingua.

Quello che doveva fare non era semplice Magia, ma poteva riuscirci. Sapeva di avere delle capacità spropositate con la Magia; era in grado di fare prodigi, ma tutti, tra cui sua madre, lo davano spesso per scontato. Anche la storia che la Magia si poteva usare solo su persone che si conoscevano era campata in aria, inventata da Sara appositamente per non far pensare a Mary che lei potesse sbagliare.

Quello di Sara era un dono raro, e Mary come tutti gli altri ne sapeva veramente poco; solo quello che raccontava lei. E la piratessa poteva inventarsi quello che voleva per discolparsi o mettersi al sicuro.

Era l’unico fattore positivo del Dono.

 *

Utilizzando al massimo le sue capacità di concentrazione, riuscì nel suo intento, ossia di rallentare i nemici. Era tutto il contrario di quello che avevano promesso alle ragazze, ma sapeva che Mary eseguiva solo gli ordini del capitano, diceva solo quello che Reckhernam le permetteva di dire, quindi non ci metteva parola. Per di più, i due avevano passato la notte precedente nella cabina principale a discutere il da farsi, perciò tutto quello che Sara poteva fare, era adeguarsi.

Quando riaprì gli occhi, vide Ed controluce, che si avvicinava velocemente. “Magia?” domandò mentre si sedeva accanto a lei.

Sara lo gelò con uno sguardo. “non sono affari tuoi.”

“su questa nave ci sono anch’io.” Obbiettò lui. “avanti, spara.”

“Magia, sì.” Sussurrò Sara. “vedi di tenere d’occhio quello che ho fatto, visto che hai un tempismo perfetto e mi hai un po’ distratta.”

Lui probabilmente non capì, ma rimase zitto.

Sara cominciò a scendere senza fretta, mentre lui prendeva un cannocchiale e faceva il suo lavoro: ossia tenere d’occhio il veliero alle loro spalle.

Sara era già a metà delle sartie quando il ragazzo riconobbe la nave e urlò: “la Gibraltar è a poppa, capitano! Servono ordini!”

 *

Da sotto sentirono solo una voce giovanile, ma Amy non fece in tempo a pensarci oltre, perché dalla cabina principale uscì il capitano, gelido e impassibile come lo aveva visto. Si avvicinò al nostromo, Storm, che riferì serio: “nave nemica a poppa, capitan Reckhernam.”

Lui prese un cannocchiale tra tutti i gingilli che aveva addosso e scrutò l’orizzonte lentamente.

Anne si avvicinò a Mary e le ricordò di cosa avevano appena parlato.

Mary la guardò a lungo, poi si avvicinò al capitano e gli disse qualcosa sottovoce. Lui rifletté si quelle parole grattandosi la barba. “spero che quella mocciosa di tua figlia sappia quello che fa …” sibilò. Mary annuì, e il loro discorso finì lì.

“prepararsi all’arrembaggio!!” urlò dopo un po’ il capitano.

Si sentirono delle urla di incitamento al capitano, la ciurma era felice di essere in guerra.

 *

Stephanie si svegliò la mattina seguente. Si alzò su un gomito e portò i capelli neri indietro.

Cominciò a guardarsi intorno, immobile.

Era in una cella umida, fredda e sporca. Il pavimento era infangato ed unto da qualcosa che poteva sembrare acqua sporca.

Lei era sdraiata su un asse di legno fissata alla parete della stiva. Dagli spiragli tra un asse e l’altra riusciva ad entrare un fascio di luce che la tranquillizzò, in qualche modo. Era l’unica luce nel buio della cella. Il sole era una cosa, forse l’unica, che le era familiare in quel posto, e sapere di avere un limpido cielo azzurro sopra la testa, invece che una scura volta impenetrabile e tetra, la rasserenava.

Uno di questi spiragli era abbastanza grande per passarci due dita e guardare fuori, così cercò di spostarsi verso quella parte dello scafo.

Sentì un dolore atroce alle gambe e per poco riuscì ad ingoiare l’urlo che aveva in gola. Con forza di volontà riuscì a scivolare fino alla fessura e guardare fuori.

Valutò che doveva trovarsi circa a metà della nave. Se si schiacciava molto sulla murata riusciva a scorgere la prua del veliero.

Il mare era calmo. Tutto conciliava tranquillità, ma malgrado tutto c’era qualcosa che la faceva sentire inquieta.

Era comunque prigioniera.

Chiusa in gabbia e legata allo scafo con una pesante catena di ferro.

Le gambe in parte le facevano male per lo sforzo della notte precedente, ma anche perché la catena aveva ferito la pelle e la caviglia le sanguinava. Prese un fazzoletto e con uno sforzo raccolse la gamba al petto e si tamponò il sangue secco.

Si appoggiò al muro con la schiena e rimase a guardare fuori dallo spiraglio, l’unica possibilità che aveva per non impazzire.

Dopo ore non c’era nessun cambiamento.

Grazie Hivy! adoro leggere le tue recensioni!! spero che in questo capitolo ti sia accorta che Stephanie è "rivivita". E poi, per finire, come ti ho già detto, Jack non somiglia a nessuno in particolare! grazie per i complimenti, ciaoo

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Capitolo 12
*** Rivelazioni - prima parte ***


Deathbearer - cap11 - rivelazioni

Rivelazioni.

Dopo alcune ore il vento si placò completamente e le vele e la bandiera non si mossero più. 

I secondi si trasformarono in minuti, poi in ore interminabili.

La situazione non cambiava e la nave era immobile, scossa ogni tanto da delle onde più forti delle altre.

“maledetta Bonaccia!” urlò il nostromo guardando in parte il cielo e in parte le vele. “ammainate la bandiera e buttate l’ancora, prima che quelli della Gibraltar si preparino all’attacco!”

Anne era vicina all’uomo, così raccolto il coraggio, gli chiese: “ma prima vi siete preparati all’arrembaggio, perché ora fate questo?”

L’uomo la squadrò da capo a piedi, poi le rispose: “la bonaccia può durare giorni, in questa zona e, visto che la Gibraltar non si muove, è meglio aspettare il vento, prima di attaccare. Visto che fa sempre comodo una bava di vento, quando ci si trova a combattere, e probabilmente a scappare.”

Anne accettò la risposta ma solo perché non aveva ben capito quello che intendeva. Dopo un po’, dove finse di orientarsi, fece un'altra domanda: “avete una mappa? Dove siamo? La costa non dovrebbe essere molto lontana.”

L’uomo le chiese se avesse paura e volesse tornare a casa, ma la risposta negativa di Anne lo portò a dirle: “vieni, ti faccio vedere la carta … ma in qualunque caso hai ragione, Terra è ancora vicina, ma se non fosse per la bonaccia, saremmo vicini al porto più a nord del tuo Port-au-Prince … vieni da lì giusto?” Anne annuì e lo seguì sottocoperta mentre lui le regalava un sorriso bonario. Anne certo non si aspettava un secondo capitano così gentile e simpatico. La faceva sentire a suo agio. Cominciò a pensare di aver esagerato con Amy. La stiva era buia e puzzava, ma Anne era troppo curiosa, forse Amy aveva ragione, e i pirati non erano poi tanto crudeli come pensava o le era sembrato. … le apparenze potevano averla ingannata …

Entrarono in una porticina piccola e cigolante, Anne dovette abbassare la testa per non prendersi lo stipite sulla fronte. La cabina era piccola e buia, rischiarate da un paio di candele e una finestrella quadrata. L’aria era viziata, all’inizio Anne pensò che non sarebbe riuscita a respirare. Su un cassa alta, davanti a un piccolo timone, era stesa una grande mappa ma, mentre Anne era intenta a guardarsi intorno, il nostromo le aveva procurato una carta più piccola e maneggevole. Erano segnati tutti i porti, disegnate le ville dei governanti e indicato se il porto era una città con Viceré, con Governatore, o se era semplicemente una colonia.

Cercò e trovò Port-au-Prince, a sud nell’isola di Haiti, a nord del mare dei Caraibi.

Ringraziò il nostromo veramente riconoscente.

“non c’è problema.” Rispose lui alzando le spalle. “è bello sapere che c’è gente curiosa a bordo. Ormai tutti si accontenta di andare avanti, senza sapere dove e perché. Mi stai simpatica, sembri una brava persona.”

Anne pensò che fosse una specie di complimento e la sua valutazione nei confronti di Storm guadagnò molti punti a favore. Abbassò il capo e si concentrò sulla mappa.

Dopo qualche minuto Anne piegò la cartina e ringraziò ancora il nostromo, poi uscì immersa nei suoi pensieri.

Appena tornata sul ponte si ricordò che voleva sapere anche dove stavano andando, ma pensò che disturbarlo ancora non era carino, visto che Storm era già stato molto gentile a risponderle.

Trovò Amy intenta a guardare l’orizzonte in modo sognante, come faceva spesso.

Le fece vedere la cartina. “guarda” disse soddisfatta. “me l’ha regalata il nostromo, così possiamo seguire la rotta!”

Amy sorrise. “e tu avevi paura!” disse in tono canzonatorio.

“non puoi biasimarmi.” Obbiettò Anne. “ero terrorizzata.”

Amy sorrise di nuovo. “l’importante è che non lo sei più.” Le prese una mano, e la strinse.

Rimase un momento di silenzio. “Amy …” mormorò Anne. “io ti devo chiedere una cosa.”

Amy si voltò a guardarla con un sorriso.

“seriamente.” Aggiunse Anne, e il sorriso di Amy si spense. “spara.” Disse con un filo di voce.

Anne prese un profondo respiro. “hai detto a Mary che Stephanie s qualcosa del tesoro, ma quando scopriranno che non è così …”

Un’ombra passò sul viso di Amy. “lo so …” disse. “ma non potevo fare altro. Lo hanno bisogno dei pezzi della chiave, noi di stare qui. Ci aiuteranno malgrado tutto, vedrai.”

Anne cercò di sorridere. “sperò che tu abbia ragione.”

Rimase ancora un momento in silenzio. “stavo pensando ai regali che il Signor Morgan ha fatto negli anni a Steph.” Disse Amy, pensierosa. “sono sicura che tra quelli è nascosta l’altra parte della chiave.”

Anne annuì. Ci stavo pensando anche io, ma tutti i regali che la ha fatto sono troppi …”

“per la maggior parte vestiti, libri, gioielli … ma no formano la chiave per trovare il tesoro … piuttosto fanno parte del tesoro …” rifletté Amy.

“aspetta, aspetta!” Anne ebbe un’illuminazione. “ti ricordi lo spillone per i capelli di Steph, quello inciso sul manico e con la punta squadrata?”

Amy guardò l’acqua del mare pensierosa. “sì, certo che me lo ricordo.”

Anne sorrise. “cosa meglio di quel misterioso spillone può essere una chiave?”

La ragazza la guardò con gli occhi che le brillavano. “ma certo!” esultò.

 “cosa vuoi fare?” chiese Anne, tornando seria. “dobbiamo tornare a Port-au-Prince.”

“non lo so.” Ammise la ragazza. “andiamo da Mary. Lei lo saprà di certo.”

 *

La nave su sui si trovava Stephanie si chiamava Gibraltar. Era una vecchia caracca olandese, ottenuta dal capitano in occasione di una battaglia vantaggiosa. La caracche erano navi molto veloci, adatte alle acque poco favorevoli dell’oceano, ma anche quelle del Mar dei Caraibi.

Stephanie era ancora prigioniera e aveva passato tutta la mattina a guardare il mare dalla fessura nello scafo. Mentre le ore passavano, sentiva che la nave cominciava a diminuire la velocità e il caldo si faceva insopportabile come succedeva al porto nei periodi di bonaccia, quando non soffiava vento.

Stephanie, mentre mangiava la crosta di pane che le avevano lanciato dalle sbarre, cominciò a pensare un modo per scappare, prima dalla cella e poi dal veliero. Non poteva stare lì in eterno e aspettare che la andassero a prendere. Doveva agire.

Da sopra provenivano delle urla, forse di gioia. Sembrava che la nave davanti a loro gli avesse dato battaglia, ma le urla si estinsero quando il vento cessò. Sentì delle urla come: “maledetta bonaccia!” e insulti simili, così pensò che non potevano raggiungere la nave e combatterla. E infatti era così.

Si spinse contro la parete per poter vedere la poppa di qualche nave e finalmente vide una macchia scura all’orizzonte.

Capì che era la nave con a bordo le sue amiche e progettò di aspettare il vento e la battaglia, scappare e salire sulla nave. Poi sarebbe stata con le sue amiche, e quindi al sicuro.

Il cuore le batteva forte dalla felicità. Cercò di alzarsi a fatica e si avvicinò alla porta della cella. Osservò attentamente il chiavistello e constatò che sarebbe stato difficile romperlo. Allora pensò alla catena. Era la stessa cosa. Se voleva liberarsene qualcuno avrebbe dovuto aprirli.

Col passare delle ore la cella diventava sempre più rovente. Stephanie voleva buttarsi in acqua e rinfrescarsi. Si faceva aria con un lembo della gonna, perché il damasco si era asciugato, anche se adesso un vestito umido non le sarebbe andato male.

Fuori non era cambiato niente. La nave era sempre a prua, ma nulla era diverso.

Si stava appisolando quando sentì il vecchio chiavistello scattare. La porta fu aperta ed entrò un uomo.

Era il capitano, aveva un grande cappello scuro e una giacca pesante.

Si fece chiudere la porta alle spalle dalla guardia, che poi se ne andò, e all’inizio non disse parola. Osservava la ragazza dall’alto in basso, con le mani dietro la schiena.

Stephanie lo guardava curiosa. Non capiva perché il capitano era entrato in cella e si guardava solo intorno, finché non parlò con la sua voce potente e cupa. “hai detto di chiamarti Morgan.” tuonò.

Lei annuì leggermente, intimidita.

“bene.” Disse il capitano grattandosi il mento.

Stephanie era curiosa e non riuscì a trattenersi dal chiedere: “voi sapete chi sono, ma io no … con chi sto parlando?” Si pentì subito e si morse il labbro, impaurita dalla fulminea occhiata del capitano.

Lei piegò la testa e si scusò: “perdonatemi signore. Non volevo …”. Non finì la frase che lui aveva ripreso a parlare: “per prima cosa signorina Morgan, sei fortunata che non ti abbiamo lasciata dove ti trovavi. Ti posso anche dire che io sono il capitano di questa nave, la Gibraltar, e mi chiamo Capitan Crowley. E’ meglio che ti rivolgerai a me solo chiamandomi così.”

Lei si scusò di nuovo ripetendo l’appellativo e lui riprese: “hai detto di essere una Morgan … parlami di tuo padre.”

Stephanie si incuriosì subito. Dopo un attimo di pausa decise di dire la verità e riferì che non lo vedeva quasi mai, che aveva saputo da poco della morte e tutto il resto. Aveva paura di quell’uomo e parlò molto veloce.

Lui ascoltò immobile e poi chiese: “il tesoro? Non sia niente del tesoro? Tu non ne hai mai sentito parlare? Tuo padre non ti ha dato un chiave o cose simili?”

Lei ci pensò su, ma credeva a malapena che suo padre fosse un pirata; e ora c’era anche un tesoro misterioso di cui le aveva la chiave?

Riferì che non sapeva niente, ma suo padre le aveva fatto molti regali.

“niente chiavi o qualcosa che potrebbe esserlo? Dicono che ci siano più pezzi.” 

Stephanie pensò subito allo spillone per i capelli. Poteva essere. Non era sicuramente un ornamento per signore, anche se lei lo usava in quel modo. Poi pensò anche al ciondolo di Amy. Suo padre, ogni volta che la vedeva cercava sempre di sapere da dove veniva, chi glielo aveva dato. Decise di dire tutto: “io possiedo uno spillone per i capelli che potrebbe essere il manico di una chiave, e una mia amica aveva un ciondolo che …” Stava per continuare che era stata di nuovo interrotta. 

“un ciondolo? Di madreperla?” chiese lui accigliato.

Stephanie annuì: “si, un tondino intagliato di madreperla cangiante.”

L’uomo alzò gli occhi e Stephanie vide una piccola sfumatura di collera: “r … re … Reckhernam …” disse in un sibilo come un serpente.

La ragazza non capì.

L’uomo stava per andare, ma Stephanie, che voleva a tutti i costi salire sulla nave che li fronteggiava, lo bloccò: “aspettate … signor Capitano. La mia amica, ne sono certa, è sulla nave che abbiamo prua, se voi mi faceste la grazia di salirci a bordo potrei portarvi il ciondolo …”

Lui si voltò. “così da lasciar scappare una prigioniera?!” urlò.

Lei si sforzò di non urlare, e sfruttò la persuasione dei suoi occhi: “certo che no, ma le porterei il ciondolo.” Mentì.

“e lo spillone?” chiese lui.

Stephanie abbassò lo sguardo. “temo di non averlo con me.” Mormorò, ma si affrettò a ripetere che il ciondolo lo aveva Amy.

Il capitano scosse la testa e sibilò: “vedrete presto la vostra amica, cara signorina Morgan. Ma sperate soltanto che abbia lei il ciondolo e gli altri due pezzi.”

Stephanie era sconsolata. Amy ed Anne non potevano avere tutti i pezzi. Lo spillone doveva averlo perso sulla spiaggia di Port-au-Prince, e non potevano tornare indietro.

“aspettate!” gridò proprio mentre la guardia stava per aprire la porta: “potete slegare questa catena?” indicò la caviglia malridotta.

Il capitano si voltò ancora a guardarla. Scoppiò in una fragorosa risata insieme alla guardia, poi salirono entrambi e lei li perse di vista.

Mentre il tempo passava, la giovane si schiariva le idee. Dopo alcune ore aveva un solo piano: aspettare la battaglia, liberarsi, salire a bordo dell’altra nave (che se non si sbagliava era il Deathbearer), ritrovare le amiche e dire addio a quei pirati senza dargli ciondolo, spillone e informazioni (che loro pensavano avesse, ma che in realtà erano molto vaghe, anzi, minime).

Appoggiò la testa sulla spalla con un sorriso soddisfatto e si mise a seguire il movimento delle onde.

 

L’aria sul ponte della Deathbearer si stava facendo sempre più irrespirabile e terribilmente afosa.

Il sole del primo pomeriggio infuocava la nave e il vento inesistente non migliorava la situazione. Mary non aveva detto niente a proposito del cambio di rotta, solo che avrebbe riferito a Capitan Reckhernam, e aveva indirizzato le ragazze ad una cabina a poppa. C’erano quattro amache.

Amy si sedette su una amaca mentre Anne chiudeva la porta. La ragazza dai capelli rossi si tolse velocemente corsetto e lo buttò per terra inspirando profondamente.

La stanza aveva un finestrella senza vetri, con un imposta di legno, che in quel momento era aperta, ma il caldo era uguale all’esterno.

Amy si addormentò, mentre Anne guardava fuori. La Gibraltar li seguiva ancora da lontano.

Si sedette a sua volta sull’amaca, ma non riusciva a dormire. Il caldo era insopportabile.

Portò i capelli indietro e si asciugò la fronte.

Ascoltò le urla che provenivano da fuori, e comprese che anche la Gibraltar aveva innalzato il Jolly Roger e che erano pronti alla battaglia.

Avrebbe rivisto presto Stephanie, ma aveva paura della battaglia imminente perché non le era mai piaciuta la guerra, e poi non sapeva usare armi. A Sara non sarebbe piaciuto saperlo, ma doveva dirglielo.

Si rilassò e cercò di non pensare, e allora fu presa dal sonno.

 *

Sara girovagava sul ponte sempre più lentamente. Il caldo e il sole la rendevano lenta di riflessi e soprattutto non aiutava il veliero a fuggire dalla Gibraltar.

Mary le stava venendo incontro a passo lento e lei si fermò ad aspettarla, seduta con le spalle contro la murata, a passarsi una manica sulla fronte. La madre le si sedette accanto.

“ancora una volta la Magia non è servita molto.” Disse, cercando di non usare un tono molto duro.

Sara alzò le spalle. Era sicura che Ed l’avesse distratta, ed ecco il risultato: la bonaccia.

“non puoi fare niente per migliorare?” chiese Mary dopo un po’.

“non vorrei peggiorare.” Disse Sara, per una volta sincera.

“abbiamo anche il terzo e ultimo pezzo della chiave” la informò Mary.

Sara la guardò fissa con i suoi occhi blu: “come, anche l’ultimo pezzo?” le chiese euforica. “e me lo dici così?! Vuol dire che possiamo trovare il tesoro!”

Mary ricambiò lo sguardo, e le spiegò: “non proprio … le ragazze sanno dove si trova. Solo dobbiamo tornare a terra.”

Sara riappoggiò le spalle al parapetto e chiese riluttante: “ancora? Scommetto che vorranno portare a bordo un'altra persona, ci scommetto gli stivali!”

Mary le mise una mano sulla spalla e riprese: “dicono che è sulla spiaggia, Stephanie lo ha perso quando sono salite a bordo.”

A Sara l’idea di ritoccare terra non piaceva affatto. Preferiva di gran lunga il mare, ma se era per trovare il tesoro più grande dei Caraibi, poteva anche fare un piccolo sforzo, ma non era sicura, voleva altre informazioni. “molto probabilmente scenderò io, non è così?” Era un pirata, ma non una stupida.

Mary annuì.

Sara non era per niente sorpresa. Disse senza voglia: “E quando intraprenderemo questa nuova, appassionante avventura, miss Jones?” Quando era arrabbiata le piaceva chiamare la madre così, tanto per scherzare.

Mary guardò in alto, ma Sara non capì il perché. “quando riprenderà il vento. Ma ancora devo dirlo a Jack. Credo non gli piacerà sapere che dobbiamo tornare indietro.” Si alzò, ma Sara aggiunse: “e nemmeno sapere che dobbiamo passare proprio a fianco della Gibraltar.” Mary la ignorò, la ragazza rimase seduta, mentre la donna si perdeva nell’afa che regnava sul ponte.

 *

Si diresse verso la cabina di prua, dove era sicura di trovare il capitano. Avevano passato tante avventure insieme, ma avevano anche litigato spesso. L’ultimo litigio aveva come protagonista la ragazza con il ciondolo come Capitan Jack Reckhernam chiamava Amy. Mary aveva avuto la meglio, ma sapeva che non era ancora finita.

In fondo però, malgrado i litigi, lei voleva bene a Jack e sapeva che lui teneva a bordo lei e sua figlia non solo per amicizia o compassione, e non si sbagliava. Era vero, e Mary sapeva che Jack aveva fatto una promessa, e che doveva mantenerla. Non sapeva nemmeno a chi avesse promesso cosa, ma le interessava.

Si avvicinò alla porta e bussò piano all’anta chiusa. Dall’interno una voce profonda  e stanca disse: “entra.”

Lei entrò e socchiuse l’altra imposta.

“che vuoi?” tuonò il capitano, mentre nemmeno la guardava.

“ti piacerebbe fare il pirata malvagio come raccontano” disse lei, riferita al tono della voce che aveva usato. “non è così, Jack?” cominciò a giocherellare con il bordo di una bandana, mentre si avvicinava a passo indolente verso il tavolo dove era seduto il capitano.

“io lo sono, e tu lo sai benissimo. Non è così, Mary?” rispose. Aveva ripetuto le sue parole di proposito, perché sapeva che doveva digli qualcosa, ma la conosceva abbastanza bene da sapere anche che le piaceva che fosse lui a chiederglielo, invece di parlare per prima. Ma questa volta non si sarebbe lasciato incantare, come succedeva quasi sempre.

“invece non sembra …” mormorò Mary. Si appoggiò al tavolo con un mano, mentre l’altra la teneva sul fianco: “sai, perché hai lasciato che le due ragazze restino qui … e … per altre cose …” Non si riferiva a qualcosa in particolare, ma sapeva che a lui sarebbe bruciato comunque. Lo guardò fisso poi continuò: “e poi … anche se io ho fatto una promessa … non significa che debbano restare obbligatoriamente …” Voleva sapere qual era la promessa che aveva fatto il capitano, per questo aveva evidenziato la parola promessa.

Lui la guardò di sbieco: “vuoi dire che desideri che se ne vadano?” Sapeva che non era così, ma era un giochetto tra di loro che continuava da anni.

Lei si affrettò a correggersi: “certo che no, solo volevo sapere il tuo parere sulla promessa che ho fatto a Bonny … tutto qua.” Non era tutto lì, ma voleva far sentire in colpa Jack.

“è stato più di quattordici anni or sono …” disse semplicemente lui, capendo che prima o poi la donna sarebbe arrivata al punto.

“una promessa è una promessa … due settimane o più di dieci anni dopo … non credi?”

“io non l’avrei fatto. Fine del discorso. Dimmi quello che sei venuta a chiedermi.” Jack cominciava a perdere a pazienza.

“vuoi dire che non hai promesso alla donna che ami di proteggere vostra figlia?” commentò Mary.

“l’ho fatto?” tagliò corto Jack. Mary non rispose.

“adesso basta.” Sibilò il capitano. “dimmi quello che sei venuta a dirmi e facciamola finita. Sto perdendo la pazienza.” Si alzò in piedi e fronteggiò Mary con sguardo adirato.

“dovresti ringraziarmi.” Disse Mary senza altri preamboli, gettando tutte le sue idee sulla promessa alle ortiche. “perché ti ho trovato tutta la chiave d’accesso al tesoro.”

Lo sguardo di Reckhernam brillò. “vuoi dire …” iniziò.

“voglio dire che la tua cara mocciosa si sta rivelando molto utile.” Lo guardò fisso e si fece più vicina. “molto più utile del previsto …” continuò.

Jack sostenne il suo sguardo fermamente. “dov’è?” chiese.

Mary ebbe un attimo di smarrimento. “… sulla spiaggia.” Rispose.

“ad Haiti.” Concluse Jack.

Come se avesse dato un ordine, Mary si voltò a uscì. “sarà fatto.” Quando si chiuse la porta alle spalle si maledisse. Perché non era riuscita ad arrivare dove voleva lei? Perché cedeva sempre a quegli occhi scuri?

 *

Amy si svegliò stiracchiandosi dopo il sonnellino. Si sentiva meglio: non aveva più tanto caldo e molti dei suoi pasticci sembravano essere andati a posto.  

Si avvicinò alla finestrella e guardò fuori. La Gibraltar era dietro di loro, completamente ferma. Si sporse verso il basso a guardare l’acqua quasi immobile.

Dopo qualche minuto si alzo ed uscì sul ponte.

Sara era seduta a terra, mentre Mary stava uscendo dalla cabina principale. Pensò che avesse parlato con il capitano, così si tranquillizzò.

Tornò nella cabina con passo leggero. Spostò un baule vuoto sotto la finestrella, così vi si sedette sopra e si mise a giocare con una lunga ciocca dei capelli scuri mentre pensava.

La ragazza dai capelli rossi si svegliò con uno sbadiglio.

Anne si alzò e le si avvicinò. “sei sveglia da tanto?” le chiese con voce assonnata e la vista opaca.

Amy si spostò un poco per farla sedere, scuotendo la testa. Stava per aggiungere di aver visto Mary tornare dalla cabina, quando Anne disse: “finché siamo qui da sole … volevo dirti …”

Amy la fissò, poi l’altra riprese. “insomma … ho sognato Katherine, sai?”

Il cuore di Amy perse un battito. Di colpo si sentì infinitamente egoista, e stupida. Lei non ci aveva pensato da quando se ne erano andate. Pentita, abbassò la testa.

Anne sospirò, e sul suo viso passò un’ombra. “piangeva, era disperata. Mi sono spaventata, perché era come se fossi lì accanto a lei e stesse male per colpa mia …”

Amy tornò triste. “non è colpa tua … è mia.” Mormorò.

Anne si riscosse. “Amy, non dire queste cose! Era un sogno …”

“si, ma che ne sappiamo noi di come sta adesso Katherine?” obbiettò l’altra.

In quel momento entrò Sara con il suo passo militare, e le fece sobbalzare. Per un attimo le guardò, poi cominciò a parlare. “e allora? Queste facce? Che cosa è successo?”

Amy le fece cenno di stare zitta. “chiuditi la bocca.” Disse.

Sara strabuzzò gli occhi. “l’isterica sta diventando un pirata, per caso? Mi aspettavo che ci volesse un po’ più di tempo … ma meglio così.”

“ma tu hai sempre la risposta pronta?” chiese Amy, scettica.

“mi alleno per questo.” Sara ammiccò.

Amy scosse la testa, e Sara tornò un po’ più seria. “di che stavate parlando? Su … non sono stupida, capisco quando qualcuno è triste.”

“… di Katherine.” Rispose Anne dopo una pausa.

“Katherine …” mormorò Sara, come se capisse. “… ricordatemi un attimo chi è?”

“ah, già. Scusa.” Disse Amy. “è la nostra madre adottiva, la governante della villa dove vivevamo. Ci è sempre stata vicina e mi ha insegnato tutto quello che so.”

Sara annuì, poi chiese di nuovo: “ma non ti manca?”

A quella domanda anche ad Amy vennero le lacrime agli occhi. Era l’unica cosa che le mancava di Port-au-Prince e che sapeva sarebbe stato difficile dimenticare. “certo che mi manca” disse, poi guardò Anne. “ma per ottenere qualcosa di altrettanto bello bisogna pur dover rinunciare a qualche cosa.”  

Si sentì matura per quello che aveva detto e forse per la prima volta sentì dentro di sé la verità di quelle parole, e si convinse di aver fatto la cosa giusta.

Amy cercò di cambiare argomento. “Mary non ha detto niente della rotta?”.

Sara annuì. “si, certo. Aspettiamo che torni il vento, però.”

Uscirono sul ponte insieme, e al loro si avvicinò Mary. “Amy” esordì la donna. “sei sicura che lo spillone combacia con il ciondolo, giusto?”

Amy annuì, poi disse, felice: “perché? Stiamo andando al porto, o sbaglio? Avete convinto il capitano? Ma affronteremo la Gibraltar? Quando?”

Mary sorrise a sentire tutte quelle domande e annuì: “l’ordine è di virare appena questo maledetto vento tornerà a soffiare, poi prenderemo l’ultima parte della chiave. Tornando indietro la Gibraltar ci affronterà e noi risponderemo al fuoco, poi …” Non finì la frase perché Amy aggiunse: “salveremo Stephanie!”

Mary riprese: “certo, poi faremo vela per la Florida e il tesoro di Morgan.”

Fece una pausa poi fissò intensamente le ragazze. “ci vuole molto tempo per arrivare laggiù. Ci saranno tante battaglie in mezzo …” Il cuore di Anne perse un colpo.

Sara cercò di sviare ogni possibile compito, dicendo: “ma io non c’entro, giusto? Non devo fare niente!”

Mary le cinse le spalle con un braccio e le sussurrò: “oh … e invece sì. Fidati di me!”

Sara inarcò un sopracciglio: “è per questo che chiedo, non mi fido.”

Mary rise e Sara si tolse il braccio dalle spalle, guardandola di traverso. La madre le si avvicinò ancora, e le disse qualcosa all’orecchio che le ragazze non sentirono.

Sara sgranò i suoi grandi occhi blu, e cominciò a scuotere con forza la testa: “no!! Non puoi farmi questo! No!”

Mary sembrava sempre più divertita per il destino che aveva riservato per la figlia, e rideva di gusto mentre annuiva compiaciuta. “invece si, Sara. Sono tu puoi farlo.”

Se ne andò con passo leggero e si perse nel crepuscolo.

La figlia rimase immobile sul ponte con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso.

noooooo” disse di nuovo.

“cosa è successo, cosa devi fare?” chiese Anne curiosissima e anche un po’ divertita.

Sara la guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “se voi due non foste qui non dovrei fare nulla.” disse imbronciata.

“perché, cosa ti ha ordinato?” insistette Anne.

Sara voltò lo sguardo all’ombra della nave alle loro spalle e le ragazze pensarono che centrasse in qualche modo Stephanie. “la Gibraltar è il fulcro di questa storia?” chiese Amy.

Sara scosse le spalle: “in qualche modo, abbastanza diretto.”

“è successo qualcosa?” chiese Amy.

Sara annuì e spostò lo sguardo sulla spada che le scendeva dal fianco, parallela alla gamba sinistra. Poi disse: “direi che non dico niente di impossibile se tra qualche giorno avrete la vostra amica al fianco, ragazze, solo che dovrete ringraziarmi perché in parte sarà merito mio!” sorrise.

Loro pensarono che per un pirata era ovvio prendersi il merito di qualsiasi cosa, ma Sara aveva detto la verità. Stava per insegnargli la scherma.

Glielo disse, e loro rimasero di marmo per un paio di minuti. Quando tornarono con i piedi per terra Sara se n’era già andata.

Ciao! Spero che questo capitolo vi paiccia, e che non sia noioso... Grazie Nemesis 18 per la tua bellissima recensione, e spero che anche questo capitolo ti piaccia!! ... ci stiamo piano piano avvicinando alla fine di questa prima parte! Che emozione... 

Comunque, continuate a farmi sapere cosa ne pensate, ma grazie anche ai lettori silenziosi (che spero ci siano!)

Ciaoo

P.S. Questo capitolo si chiama "Rivelazioni - prima parte" perchè le ragazze devono scoprire ancora altre cose, in un altro capitolo chiamato "Rivelazioni" ... ma non ora, più avanti... però il titolo sarà sempre quello!!

Baci

                         Archer 

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Capitolo 13
*** Lezioni di scherma ***


Deathbearer - cap12 - Lezioni di scherma

Lezioni di scherma.

La notte scese lentamente, e anche la temperatura si abbassò, ma il vento non tornava.

Anne ed Amy si diressero nella loro cabina, mentre Amy continuava a ripetere “non voglio, non voglio farlo! Non possono obbligarci ad imparare a combattere!”

Anne sorrideva, immaginando un altro scherzo da parte di Sara.

“credi che Sara sia in grado?” chiese dopo un po’, mentre si sdraiava sull’amaca.

“lei sì, forse saremo noi ad avere dei problemi!” rispose Amy, mentre cercava il suo fagotto.

“cosa ti sei portata?” chiese Anne notandola.

“alcune cose che ci potranno servire” rispose Amy alzando le spalle. Infilò una mano nel fagotto e nel estrasse una spazzola e un pettine di legno.

Lanciò la spazzola ad Anne, mentre lei teneva il pettine e si sistemava la chioma.

Anne chiese: “altro?” mettendosi a sedere con non poca fatica. Le onde si facevano sempre più forti e le amache si muovevano vertiginosamente avanti e indietro, Anne non sapeva a cosa aggrapparsi.

Amy la guardò ridendo, ma anche lei più tardi avrebbe avuto di quei problemi. “ho portato un panino, la spazzola e il pettine” disse, ma l’altra la interruppe: “mai uscire senza.”

Amy sorrise poi riprese: “due fogli di carta e una boccetta di inchiostro, i miei soldi, una fazzoletto e …”

e cosa?” chiese Anne. Notò solo allora che gli occhi di Amy si erano fatti lucidi. Estrasse dal fagotto un quaderno con la copertina scura e strappata in più punti, e i bordi della pagine già ingiallite. “e questo.” Mormorò con la voce rotta.

Anne scese con un balzo e andò ad abbracciarla.

“voleva scrivere delle nostre avventure …” singhiozzò Amy.

Anne non riuscì a dire niente, sopraffatta anche lei dal pianto. “ma lo farà.” Disse. “domani dobbiamo imparare a combattere per lei.”

“lo so …” Rispose Amy, poi si sdraiò a fatica sulla sua amaca e si lasciò prendere dal sonno.

 *

La mattina seguente era meno calda del giorno precedente, ma non ventosa. Le ragazze uscirono dalla cabina dopo il sorgere del sole, come era loro abitudine. Inspirarono profondamente l’aria salmastra e Amy si sentì  protetta. Era una sensazione che non aveva mai provato, e si sentiva strana sul ponte di una nave, mentre stava per imparare e usare la spada. Non disse niente ad Anne, e si avviarono vero il parapetto.

Trovarono Sara intenta a limare il filo di un spadone con un panno ricoperto di granelli di sabbia. “salve” disse quando e le vide arrivare, e per un po’ continuò il suo lavoro. Un minuto dopo si alzò, tenendo in un mano due spade, mentre nell’altra la sua. “cominciamo con una cosa facile” disse alzando un’arma.

Sia Anne che Amy annuirono, anche se con poca convinzione. Sara a quel punto le guardò con, secondo le ragazze, lo sguardo da pirata, e disse: “bene, adesso: al volo!” e lanciò in aria la prima spada.

Dopo una breve parabola, cadde a terra sonoramente.

“dovete imparare a non averne paura. Devi essere decisa altrimenti … è inutile.” Spiegò Sara raccogliendo l’arma sul ponte.

Le ragazze annuirono spaventate, ma Anne riuscì a dire lo stesso: “potrebbe tagliarmi un mano! Sei sicura che non è pericoloso?”

Sara la guardò male. Sembrava leggermente arrabbiata quella mattina. “non ti farà niente. Mi sono svegliata presto apposta per rendere innocue queste spade, per non farci male.”

Le amiche sembravano tranquille, ma non lo erano per niente.

Sara tirò di nuovo in aria l’ arma, Anne la prese, ma la lasciò cadere a terra urlando. Protestò con Sara di averla tirata troppo forte, ma Amy nemmeno ci fece caso. Le sembrava che la Gibraltar fosse più lontana del giorno prima. Lo fece notare a Sara, prima che potesse rimproverarla e la ragazza le rispose con aria grave, che Amy non si aspettava: “si, è più lontana.”

Amy non capiva. “come mai?” i suoi pensieri andavano sempre a Stephanie.

Sara alzò le spalle. “Magia …” sussurrò con un tono a dir poco inquietante. Prima che Amy potesse dire qualcosa, Sara si allontanò dal parapetto e tornò da Anne, che era rimasta ferma a rigirarsi la spada tra le mani. Era una cosa nuova per lei, ma era una bella sensazione, una sicurezza che non aveva mai provato.

 *

Per prima cosa Sara insegnò loro i passi che dovevano fare. “tenere davanti il destro, e il sinistro dietro, per mantenere bene l’equilibrio.” Spiegava. “davanti a te deve sempre esserci la lama, prima di ogni movimento. La spada è come il prolungamento del tuo braccio …” Disse a Anne portandole la spada proprio davanti al volto. Vedere Sara in quel modo faceva loro uno strano effetto. Stava impalata con la spada nella destra, la sinistra appoggiata all’impugnatura del pugnale che teneva alla cintura. Sembrava più alta, immobile e fiera, come una statua. La ragazza la guardavano ammirate.

Sara le fece mettere in fila, una accanto all’altra con lei in mezzo, mentre provava affondi, parate e finte. Anne e Amy la imitavano, ma Sara era praticamente inimitabile, una spadaccina professionista. I suoi movimenti erano fluidi e eleganti, mentre Amy si sentiva piuttosto ridicola, tutti quelli che passavano davano loro un’occhiata e lei se ne sentiva pugnalata.  

Dopo un po’ di tempo, in cui Sara aveva fatto bene quello che la madre le aveva detto, si stufò di colpo. Era stata brava, le piaceva insegnare, visto che era la migliore e nessuno poteva metterla in discussione. Purtroppo la sua pazienza aveva un limite, e solo un’oretta dopo l’inizio, lei l’aveva superato. Si fermò, e urlò: “proviamo a vedere se riusciamo a fare un duellino!” Si stava annoiando a morte, e almeno si sarebbe divertita un po’. Sapeva che per chi aveva appena iniziato era praticamente impossibile, ma non poteva farne a meno.

Per prima fece mettere da parte Amy, e spostò Anne davanti a sé, poi le disse: “ricorda! La migliore difesa è l’attacco! E ora prova a toccarmi.” Si mise in posizione, lo sguardo in parte divertito e in parte serio, mandando Anne ancora più in confusione. Non sapeva cosa fare, e aveva paura.

“e ricorda anche … che io tengo molto alle mie mani … e al resto del mio corpo nientemeno!” aggiunse la piratessa con finta preoccupazione.

Anne dopo un attimo di panico, andò abbastanza bene, anche se Sara fece apposta a non parare un colpo. La punta della spada di Anne le toccò il petto, così si finse vinta. Anne nemmeno se ne accorse finché Sara non abbassò la guardia e le disse di aver vinto.

Poi vene il turno di Amy, e andò molto peggio.

Solo da come la ragazza teneva in mano la spada, Sara si sentì mancare. Buttò la testa indietro e borbottò: “ma che ho fatto io di male per meritarmela, io che ho sempre fatto tutto quello che mi chiedevano e che poi …” Continuò così finché una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.

“ti serve aiuto?” disse, più vicina di quanto pensava. Sapeva che la curiosità della vedetta veniva meno solo alla sua mira, e Ed prima o poi sarebbe sceso dal suo posto sulla coffa, ma non se lo aspettava alle sue spalle. Non aveva fatto un rumore e non riuscì a non sobbalzare.

Ed le sorrideva divertito. “è ovvio che se il maestro è un soldo di cacio, anche le allieve finiscono male!”

Sara lo guardò paonazza: “è un commento insulso alla mia altezza, pennone con la paglia in testa?” chiese acida.

Lui sorrise, alzando le mani e Sara si voltò.

“sta a guardare!” protestò, e indicò Amy: “iniziamo.”

Amy rimase immobile, impugnando la spada come se fosse un tazzina da tè, con il mignolo di fuori. Mosse la spada avanti e indietro un paio di volte, poi la lama di Sara la colpì ripetutamente la spalla di piatto: “Amy, Amy! Non stai bevendo un tè! Concentrati!”

La sua voce era lontana e ovattata, nella testa di Amy c’era solo Ed, e continuava  a guardarlo, i suoi occhi blu e i capelli biondi. Era alto e magro, la pelle abbronzata e un’espressione sicura.

Sembrava divertito, e quando Amy se ne accorse provò a fingere di essere sicura di quello che stava facendo. Guardò Sara di sottecchi, poi osservò Anne che cercava di nascondere le risate. Arrossì fino alla punta delle orecchie e si sentì una perfetta idiota. Non riusciva a muoversi, voleva solo che Sara stesse zitta.

“ti serve aiuto, ho capito.” rise Ed avvicinandosi.

Amy non si sentì più la terra sotto i piedi. Sara allargò le braccia e le lasciò ricadere sui fianchi esausta: “non ci posso credere! È impossibile! Mai una volta che qualcuna non ti guarda così!” protestò. Ed rise.

Amy lasciò cadere la spada. Si sentiva una stupida. Spostò indietro i capelli e osservò il ragazzo che si avvicinava, chiedendosi sconsolata quale figuraccia che aveva fatto in tutta la sua vita, poteva battere quella.

“tranquilla, tutti hanno imparato.” Disse Ed tranquillo, con voce soave. “vero?” aggiunse, guardando Sara di traverso. Raccolse la  spada di Amy e gliela rimise in mano con calma.

Amy si sentì la guance bollenti e nella sua testa continuava a ripetersi: “adesso va via … adesso se ne va … chissà che cosa pensa … che idiota …” Voleva buttarsi in acqua e lasciarsi nascondere dalle onde.

Ed le prese la mano e le chiuse le dita intorno all’impugnatura.

“è solo una mano, come Anne o Stephanie, è solo una mano … una mano …” si diceva Amy diventando ancora più rossa.

Poi Ed si rivolse a Sara: “so che vuoi combattere, ma non devi essere frettolosa.”

Sara alzò le spalle, indispettita. “devono imparare a combattere, non a giocare come i bambini” ribadì.

“ci sono diverse fasi.” continuò Ed.

“mai stata una che va a fasi, io.” osservò Sara.

“si vede. Facciamo così …” propose il ragazzo prendendo Amy per un polso. “tu insegni a lei” e indicò Anne, “io a lei” e la guardò sorridendo. Amy abbassò lo sguardo sui proprio piedi, il viso in fiamme.

Sara annuì e si allontanò a grandi passi, sorridendo. Proprio Ed che voleva sapere com’era diventata la figlia di Bonny doveva sorbirsela.

“non voglio farti fare brutta figura.” riuscì a dire Amy. La frase suonava meglio nella sua testa, piuttosto che detta dalla sua bocca.

Ed alzò le spalle: “è un po’ per divertirsi. Tu non sai quanto Sara è competitiva. Alla tua amica insegnerà molto bene. È un modo per farla lavorare meglio, più invogliata.”

Amy non aveva nulla da ribadire, sotto quell’aspetto non l’aveva ancora vista.

Ed prese la sua spada e le si mise a fianco. “allora, fammi vedere cosa sai fare”, disse e cominciarono.

 *

Come predetto, Sara urlava ed era nervosa, ma insegnava bene. “più veloce!”, “dall’altra parte” sbraitava, ma erano sempre consigli utili.

Anne ascoltava e ripeteva tutto. Fin da piccola le sarebbe piaciuto maneggiare una spada.

Era sempre più veloce e precisa nei colpi, Sara era soddisfatta e cominciava ad abituarsi alla sua presenza, che non era per forza infame, come aveva sempre pensato.

 *

La scherma era una cosa che aveva sempre affascinato Amy. Quando Sara gli aveva detto delle lezioni si era presa un colpo, ma nel profondo era contenta. Anche Sara le stava simpatica, e non era come l’aveva immaginata la prima volta che l’aveva vista. Le era sembrata sbruffona e insopportabile, invece, esclusa la luna storta, era una compagnia piacevole. Malgrado tutto sembrava una persona fedele, non di certo qualcuno che si comporta come di solito si sarebbe dovuto comportare un pirata, come lei credeva che si comportasse un pirata. In realtà non ne sapeva molto, ma a tutti gli effetti quelli non erano pirati comuni. Era immersa nei suoi pensieri, che nemmeno sentì una parola di quello che aveva detto Ed. Alla sua lista di figuracce aggiunse anche quella. Lo guardò come se non lo conoscesse con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta. Ed rise. “chiudi la bocca, altrimenti entrano le mosche!” disse.

Amy diventò paonazza. “scusa …” balbettò.

Ed si fermò, appoggiandosi sulla spada. “a che pensi?” chiese.

Amy lo guardò un attimo, poi si affrettò a rispondere. “no … niente, mi capita di restare immobile, ogni tanto … mentre penso …”

“appunto, a che pensi?”

Amy tornò a guardarlo atterrita. Proprio mentre stava per iniziare a sciogliersi, quello cominciava con domande imbarazzanti. “niente … a questa nave …”

“non te lo aspettavi?” chiese lui a bruciapelo.

Amy si prese un colpo, o Ed era un mago, o le leggeva nel pensiero. “no, non me lo aspettavo.” Rispose sincera. “siete tutti così … così …” si sarebbe voluta tirare una sberla, ma perché andava sempre a parlare di cose che non sapeva descrivere?

“buoni?” sorrise il ragazzo.

Amy a vederlo avrebbe voluto dire belli, ma si sentiva già abbastanza in imbarazzo. “sì …” mormorò.

“i terragnoli pensano che siamo bestie, bruciamo i prigionieri …”

“gli strappate il cuore e lo fate mangiare …” aggiunse Amy con ribrezzo.

“cose simili.” Assentì lui. “ma non è del tutto falso, sai?”

Amy sperò che dal suo sguardo non si capisse quanto fosse schifata.

“però …” continuò Ed “non tutti fanno così, o dovrei dire facevano. Solo i più accaniti facevano cose del genere. Secondo me uno solo, ma ormai è morto e sepolto.” Evidentemente cercava di calmarla, ma Amy era ancora sull’orlo di una crisi di pianto. “noi non siamo così.” Aggiunse il ragazzo.

Amy provò a rispondergli, la sua voce sembrava un soffio. “lo so … non sembra, infatti.”

“se devo essere sincero non so se riuscirei a strappare il cuore a qualcuno con queste mani …” ammise Ed.

Amy sorrise. “pensa io …”

Risero un attimo tutti e due, Amy si disse orgogliosa: “finalmente hai rotto il ghiaccio, brava”.

Il primo a tornare serio fu Ed. “è meglio che continuiamo, adesso.” Esordì. “ti faccio vedere una cosa, vieni.” La spostò si fronte a sé, guardandola fissa negli occhi. Amy si sentì sciogliere, e provò a seguire quello che lui le diceva, ma Ed aveva un paio di occhi che facevano pensare a tutto, escluso a quello che stava dicendo. Il ragazzo si mise in posizione, Amy lo imitò alla svelta. “devi tenere sempre la stessa distanza dal tuo avversario.” Disse. “bene o male un passo, tanto basta per fare un affondo.”

In effetti tra i loro piedi c’erano circa un metro.

“proviamo a spostarci, seguimi in tutti i passi.” Concluse lui. Avevano lasciato a terra le spade per un po’. Ed fece un rapido passo indietro, Amy si affrettò a farne uno avanti. Il ragazzo ne fece uno avanti, Amy uno indietro. Poi ne fece due avanti, uno indietro, lei provò a fare lo stesso. Lui però si muoveva sempre più velocemente e Amy, che teneva lo sguardo fisso a terra, alla fine sbagliò a gli pestò un piede. Fosse stata in battaglia, si sarebbe già fatta infilzare. Scoppiarono a ridere tutti e due, Amy provò a scusarsi.

“sembra facile, vero?” chiese Ed.

“vai troppo veloce!” protestò lei.

“lo vuoi un consiglio?” chiese ancora il ragazzo. Amy annuì.

“guardami negli occhi.”

Amy avvampò, proprio il suo punto debole. “va bene.” Disse lo stesso, solo per non stare a spiegare. “così capsici quello che voglio fare.” Aggiunse Ed.

“sì, ma certo.” Rispose Amy, ma era tutt’altro che convinta.

Si rimisero in posizione guardandosi negli occhi, Amy provò a concentrarsi solo su quello che doveva fare, e alla fine divenne abbastanza facile, anche se ogni tanto le scappava da ridere. Continuarono a muoversi uno all’opposto dell’altro, ad Amy sembrò quasi una danza. Una danza di morte.

“direi che fin qui ci siamo. Hai capito, no?” chiese infine Ed.

Amy, annuì sicura. “mai lasciare spazio, capito.”

“vuoi provare un affondo?”

“perché no?” rispose Amy, felice. Era riuscita a superare l’ostacolo dello sguardo, ormai era tranquilla come se lo conoscesse da sempre.

“per fare l’affondo.” Cominciò Ed. “non serve essere in una posizione precisa.” Si corresse, sorridendo. “almeno, se segui le regole dovrebbe esserci una posizione precisa, ma …” divenne serio. “se ti trovi a lottare per la vita non stai a guardare come sono messi i piedi.” Provò a sorridere, ma ad Amy non servì molto. “infine, l’importante è che colpisci il più forte possibile, capito?”

Amy annuì.

Si rimisero uno di fronte all’altra, Ed per primo le fece vedere come fare. Si mise ad almeno un metro di distanza, con il braccio teso. Fece un passo lungo con la destra, senza staccare il tallone dell’altro piede da terra, e si allungò fino a toccarle la spalla con la punta delle dita. “capito?” chiese, mentre si rialzava. “certo.” Rispose Amy, sicura. Riuscì a fare l’affondo e arrivò a toccargli la spalla, soddisfatta. “stai attenta.” La corresse Ed. “devi tenere sempre i piedi ben piantati per terra, ti devi sempre muovere in fretta, e non puoi rischiare di perdere l’equilibrio.”

Amy sorrise. “hai ragione.”

“mi sembra il minimo, riprova.”

Amy si divertiva da morire, era sempre stato il suo sogno imparare quei movimenti, da quando aveva visto per la prima volta un soldato usare la spada al mercato. Quei movimenti fluidi, impeccabili ed eleganti le erano rimasti fissi in testa.

Ed sorrise. “non credi che sia meglio che io mi difenda però da tutti i tuoi affondi?” chiese.

Anche Amy gli sorrise. “non hai tutti i torti.”

“allora, per difenderti ti insegno una mossa semplice.”

“nome?” chiese Amy, che stava archiviando tutti quegli insegnamenti nella testa.

Ed sembrò un po’ imbarazzato, per la prima volta. “di molte cose non so il nome.” Ammise. “le si fanno e basta. Comunque questa è un’inquartata.”

“inquartata.” Ripeté Amy. “come si fa?”

“praticamente ti sposti.” Rispose lui. “però, per essere pronto per un altro colpo, magari un affondo, intrecci i piedi indietro, e  sei di nuovo in posizione.” La guardò un attimo. “fai un affondo, ti faccio vedere.”

Amy provò a fare l’affondo, ma proprio mentre stava per toccarlo, lui si voltò con un movimento veloce, e si fermò alle sue spalle. Amy rimase immobile, mentre Ed la toccò sulla schiena. “visto?” domandò. “avrei potuto ucciderti.”

Amy si voltò a guardarlo. Preferì evitare di commentare, così sorrise. “posso provare?” chiese.

“devi.” Rispose lui con voce leggera.

La prima volta Amy inciampò nella gonna e Ed, che aveva dei buonissimi riflessi la prese per un gomito prima che cadesse. Amy diventò paonazza, ma lui non fece una piega. Alla fine l’inquartata divenne il passo preferito di Amy.

 *

“proviamo a fare le parate?” chiese Ed, dopo una serie sfiancante di passi, affondi e inquartate.

Amy alzò le spalle. “perché no?” chiese. “ma piano, tu sei un fulmine.” Non avrebbe mai ammesso di essere stanca, ma quel ragazzo si muoveva come un grillo e molto spesso si scontravano perché lei non faceva in tempo a spostarsi indietro e lui le andava addosso.

Quando Ed alzò la spada, il cuore di Amy tornò a battere forte. “non ti posso insegnare con le braccia, dobbiamo prendere la armi.” Spiegò il ragazzo. “prendi questa qui. È più leggera.” Le diede una spada con la lama molto lunga e stretta, e un’impugnatura semplice, che ad Amy piacque subito.

“la prima parata.” Iniziò lui. “a destra.” E spostò la spada alla sua destra, in un lampo. “Amy, prova a fare un affondo.” Disse. Era la prima volta che la chiamava per nome da quando avevano cominciato, Amy sentì scaldarsi il cuore. Ringraziò il cielo di avere un nome così carino che lui pronunciava così bene. Provò a fare l’affondo, ma la spada di Ed lo deviò completamente e per fortuna aveva i piedi ben fermi, altrimenti sarebbe finita faccia a terra.

Si cambiarono i ruoli, e Ed provò un affondo. Amy lo deviò, e forse lui fece apposta, ma si ritrovarono a guardarsi negli occhi a pochissima distanza l’uno dall’altra. La prima a tornare a posto fu Amy, se ne stupì anche lei.

“scusa …” borbottò Ed, Amy lo vide per la prima volta veramente in imbarazzo. La parata preferita di Amy divenne quella, ma tutte le altre le piacevano tantissimo perché man mano che provava diventava sempre più veloce e la punta della sua spada si muoveva con un sibilo, la lama si vedeva appena.

“sei brava!” concluse Ed a metà giornata.

“merito del maestro, credo.” Disse Amy alzando le spalle.

“il maestro può fare quello che gli pare, ma se l’allieva è un soldo di cacio …”

Amy rise “facciamo che è per metà merito mio e l’altra è merito tuo.”

Anche Ed rise. “direi che per oggi basta.”

La lasciò tornare dalle sue amiche.

 *

Andarono avanti tutta la mattina, poi quando il sole si fece troppo caldo per continuare tutti si ritirarono e le ragazze andarono nella cabina di prua, e stranamente Sara le seguì. Forse cominciava ad entrare in sintonia con loro due.

Amy fece finta di non vederla, perché aveva ancora negli occhi la figura del suo maestro. Era persino riuscita ad imparare qualche cosa, ma preferiva osservarlo che ascoltarlo.

Anne si sdraiò sulla sua amaca, mentre Sara si sedette sulla cassa sotto la finestra, per prendere un po’ d’aria.

Amy continuava a sorridere, qualsiasi cosa le avessero detto, come se fosse in un altro mondo. Non sentiva quello di cui parlavano le ragazze, aveva stampato sulla faccia quel sorriso ebete che Anne non aveva mai visto, ed era paonazza.

“come sei andata tu, Amy?” chiese Anne dopo aver discorso animatamente con Sara.

Amy all’inizio non rispose, poi sospirò: “oh … molto bene …”

Anne e Sara si guardarono. Sulle labbra di Anne comparve l’ombra di un sorriso, mentre Sara si teneva la pancia sghignazzando. “sei cotta a puntino!” la canzonò, ma Amy nemmeno la sentì e alzò le spalle.

“ti va di farmi vedere cosa ti ha insegnato la vedetta?” chiese Sara, curiosa.

“vedetta?” Amy era uscita dal mondo dei sogni.

Sara annuì, ridendo: “esatto, quella che sta sull’albero … che guarda le navi … mai sentito parlare?”

“lo so che cosa fa una vedetta!” commentò Amy acida.

“non sembra …” mormorò Sara, poi la guardò curiosa.

Amy rincominciò a rifarsi la treccia nei capelli. Ci teneva tanto alla sua chioma scura, e a Sara non piaceva troppo come cosa. Diceva che a Amy interessavano più i suoi capelli che il resto.

Dopo un attimo di pausa ad Anne brontolò la pancia. “fame?” chiese Sara.

Alle ragazze avevano insegnato a trattenersi, ma avevano veramente fame. Annuirono entrambe.

“anche io” osservò la ragazza bionda e si alzò. “restate qui” disse avviandosi, poi si voltò verso Amy: “potresti farti male a salire sull’albero!” Chiuse la porta e sentirono le sue risate in lontananza.

Anne guardò in alto, e chiese: “allora? Cosa ti succede?” curiosa.

Amy si mise su un fianco e rispose, alzando la testa: “non lo so … mi sembra di poter volare …”

Anne rise piano, nascondendosi con la mano, poi si voltò a guardarla.

“mi sembra che non vuoi ascoltare nessuno … ero così, io?” chiese Anne pensierosa.

Amy abbassò la testa: “si … volevi parlare solo di Lucas, Lucas e Lucas … poi ti è passato …”

“ma adesso siamo … eravamo amici …” osservò Anne.

“vero” disse semplicemente Amy, voltandosi a guadare Sara che entrava in cabina.

Mangiarono tutto quello che lei gli portò chiacchierando, poi Sara spiegò che tutta le mattine si sarebbero allenate come quel giorno, mentre nel pomeriggio avrebbe imparato a stare su un nave, con vele, nodi e altre cose.

Le ragazze erano soddisfatte. Gli sembrava un po’ strano che fosse così entusiasta, ma non lo diedero a vedere, visto che la sua compagnia piaceva anche a loro.

grazie di tutte le recensioni!!! mi piace tantissimo leggerle ogni volta!!! GRAZIE!! piano piano ci si avvicina alla fine della prima parte!! ancora cinque o sei capitoli!!! grazie ancora, ciaooo

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Capitolo 14
*** Uno scontro impari ***


Deathbearer - cap13 - uno scontro impari

Uno scontro impari.

Amy era contenta, pensava sempre meno a quello che aveva lasciato a terra, e Anne non le dava pensiero. Un giorno si trovò a ridere a crepapelle insieme a Sara, e solo in quel momento si sentì triste.

Notò Mary che le guardava, e nei sui occhi rivide l’espressione di Katherine, quando le guardava giocare. Sara non si era nemmeno accorta, e un secondo più tardi Mary era già andata via. Solo in quel momento sentì la sua mancanza. I primi giorni non se ne era praticamente nemmeno accorta, ma si chiese che cosa provava Katherine. Sola in quella grande casa, senza le sue bamboline. Si sentì una persona orribile e le vennero le lacrime agli occhi. Alzò gli occhi al cielo e si sentì piccola e insignificante.

Rimase taciturna e pensierosa per due giorni, ma poi tornò felice e sorridente.

In alcuni momenti si ritrovava e pensare alla sua vecchia vita, rivedeva le passeggiate sulla spiaggia, le cene in cucina, che anche se semplici e magre, erano sempre piene di vita. Si pulì una lacrima e si ritrovò a pensare a Lucas. Era un loro amico, avevano litigato più spesso che riso insieme, ma ne sentiva la mancanza.

 *

Il vento non si fece sentire per tutte quelle giornate, l’afa era una cosa comune, ormai.

Passò velocemente una settimana. Amy cercava sempre di concentrarsi sulle sue lezioni di scherma per non pensare.

Il quarto giorno di bonaccia, Ed abbassò la spada, si complimentò con la sua allieva e disse: “adesso direi che è ora di far vedere a Sara i progressi. Poi stai tranquilla, perché continuerai a migliorare e a diventare più agile, ma per adesso va bene così.”

Amy sorrise e rinfoderò la spada, con il fiato corto.

Era questa una delle cose che Amy piaceva di più di quel ragazzo, oltre a tutte le altre: che sapeva sempre cosa dirle e che la faceva sempre sentire a suo agio. Sembrava sempre contento e sorridente, non era come i pirati che si immaginava.

Aveva sbagliato a giudicarlo. Aveva sbagliato a giudicare tutti su quella nave, Sara per prima. Non era la stupida, ignorante, pistolera che pensava. Era la sua amica.

Sospirando, si avvicinarono a Anne e Sara.

“salve” disse la piratessa vedendoli arrivare. Loro la salutarono.

“pronta per lo scontro?” Voleva sembrare cattiva, ma si vedeva che in realtà era solo curiosa di vedere se Amy, invece da stare solo ad ammirare il suo insegnante, e a passarsi le mani tra i capelli, aveva anche imparato qualche cosa.

“certamente” rispose Amy tirando indietro un ciuffo di capelli con uno sbuffo.

Impugnò la spada con la destra chiudendo tutte le dita, si voltò a guardò Ed, le sorrideva incoraggiandola.

Sara sfoderò la sua arma e si mise in posizione, anche se stava per ridere a crepapelle.

Le lame stridettero quando si incrociarono, ma Sara si tirò subito indietro, e alzò un dito: “aspetta” esordì.

Amy rimase di stucco.

“non combatto senza una posta in gioco.” Disse.

Amy la guardava male.

“questione di principio” spiegò, e l’altra si limitò ad alzare le spalle. I capelli le si piegarono sulla schiena, formando mille riflessi castani, e Sara non poté resistere, con una punta di invidia.

“in che senso, scusa?” chiese Amy.

“se perdi, devi fare quello che dico io. Se vinci, eseguirò io un tuo ordine. Niente di doloroso, o imbarazzante, e che implichi denaro … Sono al verde.” spiegò Sara, e Amy si chiuse nelle spalle. Guardò Anne che rideva, e portò indietro, ancora una volta, i capelli.

“prima tu” si affrettò a dire Sara, guardandola di sottecchi, e Amy rimase immobile, con la bocca semi aperta.

“non so cosa dire” si schernì a mezza voce.

“forza! Non è niente. … che so … fare il verso della gallina saltellando su un piede in mezzo alla cabina” mentì Sara con leggerezza. Aveva già una mezza idea che le frullava per la testa.

“e va bene” sbuffò Amy “è un po’ diverso da quello che suggerivi, ma se vinco io tu devi assolutamente lavarti i capelli. È una cosa che mi fa schifo.”

Sara la guardò con un sopracciglio alzato. “d’accordo. Ma se perdi …” la guardò con un sorriso malefico, e Amy pensò al peggio. “se perdi … devi farti tagliare quei maledetti capelli come dico io.” concluse Sara incrociando le braccia.

Amy diventò paonazza. “mai” sibilò.

“io ho accettato la tua condizione” protestò Sara.

“avevi detto niente di doloroso o imbarazzante!” provò a dire Amy.

“infatti.”

“per me è sia doloroso che imbarazzante!” osservò Amy con il cuore che le pulsava nelle orecchie.

“ma cosa vuoi che sia?” disse Sara, prendendo una ciocca di capelli e imitandola mentre ci giocava.

“smettila!” ordinò Amy serissima.

“avanti, se sei sicura di vincere, scommetti.” Sara le porse la mano destra.

Amy rimase immobile a osservare con la coda dell’occhio una ciocca di capelli che le arrivava fino ai fianchi. Emise un gemito e prese la fine tra le dita.

“forza, altrimenti penso che non ti fidi del tuo insegnante!” incalzò Sara.

Amy spostò la ciocca indietro e le strinse la mano con rabbia. Si guardò alle spalle, il viso di Ed era impenetrabile, ma aveva l’ombra di un sorriso. “ci sto.” Borbottò la ragazza.

“avanti! En garde.” Disse Sara, con un francese che somigliava più a un rantolo che ad una vera frase.

 *

Cominciarono a combattere, tra gli schiamazzi.

Amy si sentì osservata. Si voltò di scatto, e obbligò Sara a seguirla, un trucco insegnatole dal suo bel maestro. 

Continuò il combattimento ridendo mentre Sara diventava sempre più rossa, ma anche lei lo era.

Pian piano i colpi, prima misurati, lenti e leggeri, divennero sempre più forti e veloci. Per le ragazze, però, non era cambiato niente.

Nella sua testa, Sara cominciò a cantare. “Luce e Buio, sono entrambe figli del sole …” cominciò a sussurrare il motivetto seguendo il ritmo dei colpi di sciabola.

Anche Mary cominciò a muovere le labbra, ma nessuno, tranne loro due, le sentiva.

Amy si stupiva di essere così brava. Sara, o faceva finta, o veramente faticava. Anche lei però era stanca, ma non voleva fermarsi per prima. Non poteva perdere così i capelli, ma soprattutto non voleva perdere contro Sara. Avrebbe fatto la figura della stupida.

Appena le rimaneva un secondo libero, si spostava i capelli o dava scatti alla testa perché le ricadevano davanti e non vedeva niente.

Ormai il duello sembrava uno tra i migliori spadaccini del paese, questo pensava Anne. Era triste però, perché Stephanie non potesse vedere la sua amica.

Stranamente si stavano allenando con le spada di pomeriggio, e ormai il cielo era quasi completamente pennellato di arancio e di rosso e il sole era vicino alla linea dell’orizzonte.

Jack e Mary stavano osservando le rispettive figlie dal cassero di poppa, in silenzio. Jack spostò il peso sul piede e si mise più vicino a Mary. Le si avvicinò tanto da infilare il naso tra i suoi capelli spettinati.

“mi ricordano qualcuno …” le sussurrò all’orecchio. Lei lo guardò senza capire.

Il capitano riprese guardandola in faccia: “tu … e Bonny …” poi abbassò tantissimo la voce che le onde per poco non si portarono via le parole: “hai fatto bene a riportarmela.” E andò via.

Mary fece in tempo a sorridergli prima di vedergli voltare le spalle. Era contenta che lui glielo avesse finalmente detto.

 *

Le ragazze erano sfinite, Amy ormai non aveva più forze.

Vedeva tutti i contorni troppo nitidi, i movimenti rallentati. Capì subito che stava per svenire. Il viso le pulsava e le formicolarono le mani.

Sara fece una mossa fulminea, e la colpì con l’ impugnatura della spada sulla schiena.

Proprio dove aveva le stecche di legno per contrastare il dolore. Proprio dove aveva picchiato quando era caduta da cavallo, la famosa notte del salvataggio di Lucas. Proprio nel suo punto debole.

Emise un gemito e cadde a terra con gli occhi che si chiudevano. Si sentiva incredibilmente stanca. La spada scivolò lontano, e svenne.

Sara non capì niente. Le era svenuta tra le braccia e l’aveva lasciata cadere a terra.

Si chinò sopra, mentre Anne e Ed le venivano incontro di corsa.

Sentì solo un gemito di Amy, che riuscì a capire: “… hai vinto tu …”

Un secondo dopo Anne e Ed le circondarono.

“che le hai fatto?” urlò Ed.

“niente.” rispose Sara scossa.

Anne cominciò a schiaffeggiare Amy, chiamandola sempre più forte.

“l’hai colpita.” protestò Ed, che non sapeva cosa fare. Anne gli ordinò di farle aria e lui mandò via tutti i marinai che si erano chinati a guardare. Lui eseguì sbraitando.

Sara non capiva cosa aveva fatto, le girava la testa.

“dove l’hai colpita?” domandò Anne stringendo la mano bianca di Amy. Sembrava un cadavere, o una bambola fatta di pezza, a Sara sembrava che avrebbero potuto piegarla in ogni modo. Era così innocente, e lei si sentiva terribilmente in colpa.

“niente di forte … con l’impugnatura, sulla schiena.” rispose in fretta torturandosi le mani.

Anne disse a Sara di continuare a chiamare Amy, mentre lei e Ed la portavano nella cabina. Il ragazzo la prese in braccio come se fosse veramente una bambola di pezza, ma gli tremavano le mani.

Quando la sdraiarono sull’amaca, anche le mani di Anne tremarono. Sulla schiena di Amy, circa a metà, c’era un grande bozzo duro e caldo, Sara ci appoggiò una mano sopra e capì che era un osso distorto o inclinato. Doveva farle malissimo.

Anne, dopo un attimo di smarrimento, non rispose nemmeno alle domande di Sara, che si sentiva terribilmente in colpa, e ordinò a Ed: “portami un pezzo di legno. Lungo così” e indicò la schiena di Amy “largo e non troppo speso, muoviti” e lo cacciò via.

Sara non capiva cosa stava facendo. Anne armeggiò un attimo con i lacci del corsetto, poi alzò la camicia e osservò il rigonfiamento. Sulla pelle c’erano le righe delle pieghe dalla camicia e anche delle stecche del corsetto, e Sara immaginò quanto doveva essere stretto.

Ed entrò trafelato con un paio di pezzi di legno tra le mani. Anne ne prese uno, senza ringraziare. Richiuse la camicia, massaggiando un attimo il rigonfiamento, poi appoggiò l’asse sulla schiena e richiuse il corsetto forte e stretto, facendosi aiutare da Sara, che non capiva ancora se era possibile che una piccola botta potesse provocare una tale reazione. Anne lavorò con estrema velocità a sicurezza, come se lo facesse spesso.

Quando rivoltarono Amy, lei aprì gli occhi e vide tutto appannato. Sbatté più volte la palpebre e sorrise a Anne.

“mi fa male … non riesco a muovermi …” mormorò.

Anne la zittì e le spiegò velocemente quello che aveva fatto. Amy non riusciva nemmeno a piegare il collo, sentiva un dolore lancinante e la schiena bollente.

“bel lavoro …” commentò, respirando affannosamente.

Amy alzò le braccia e la abbracciò. Si abbracciarono entrambe, mentre Sara le osservava, leggermente offesa. In quegli ultimi giorni avevano cominciato a fare amicizia, e adesso si sentiva esclusa. “ma io non le ho fatto niente!! Lo giuro!” urlò. “Amy, dillo che non ti ho fatto molto male, io non volevo!”

“non è del tutto colpa tua.” Rispose. “sono caduta da cavallo qualche mese fa. Una di quelle cadute che solo in pochi riescono a raccontare. Ho picchiato la schiena e ho rotto qualcosa dentro, qualche osso. Mi hanno portato a casa svenuta e hanno provato a curarmi. Qualcuno diceva che non avrei più camminato. Altri che sarei morta. Katherine ha speso una fortuna per riuscire a fare delle stecche abbastanza dure e resistenti da tenermi la schiena dritta.”

Sara la guardò con pietà. Credeva che il suo modo di tenere la schiena dritta fosse una vanità, ma forse era l’unico modo che aveva per muoversi.

Ed, che stava ascoltando un po’ in disparte, pensò che non si era mai posto di queste domande, perché lo trovava affascinante. Uscì e si sedette con le spalle appoggiate alla murata, ad aspettare. Non gli era mai piaciuto vedere la gente che stava male, per di più qualcuno a cui voleva bene.

“e poi?” chiese Sara a bassa voce.

“riesco a camminare e faccio quasi tutto come prima, ma devo tenere il corsetto strettissimo e mi fa male da morire, ma almeno sono viva …” rispose Amy. Tese una mano a Anne: “fammi alzare.”

Anne la fissò male, poi, insieme riuscirono a portarla in piedi. Un’ora dopo era come prima, e Anne aveva sfilato il pezzo di legno dal corsetto.

Reggendosi una sull’altra, uscirono barcollando.

Ed si avvicinò con le braccia allargate. Amy si liberò e gli corse incontro paonazza.

La prese tra le sue braccia e le sussurrò alcune parole all’orecchio.

Amy si voltò e parlò a voce alta. “non voglio più parlare di questo.” Disse. “dimentichiamo tutto.”

Ed allora le fece i complimenti per lo scontro. Poi si rivolse a Sara, tenendo la sognante Amy per la vita: “allora? Signorina Jones? Niente male per un tiratore, direi!”

Sara annuì, alzando le spalle. “si, niente, male, ma io non ero in forma!”

Amy ormai era abituata a cose del genere e piuttosto che pensarci preferì sistemarsi i capelli con cura maniacale.

“sempre modesta tu!” commentò ancora il ragazzo.

Sara di tutta risposta gli sussurrò: “pirata!” Infine aggiunse: “ma tanto come tiratrice sono molto meglio io! E lo sai!” rise e anche gli altri.

“sono stata brava, Sara?” chiese Amy. Sapeva la risposta, o almeno ci sperava, ma in fondo le piaceva che continuassero a farle complimenti.

Sara la guardò stancamente e mugugnò.

“era un sì?” domandò Amy petulante.

Sara borbottò un sì, ma aggiunse ancora che non era in forma.

“non è vero!” disse Amy

“che ne sai?”

“ti vedo. Stai benissimo. Mi hai fatto anche svenire.”

“è ovvio, Amy” sorrise Sara “è una gran faticaccia continuare a pensare sempre ai propri capelli!”

“non è vero!” urlò la ragazza.

“ma è sempre così?” chiese Sara a Anne con un sorriso molto ampio.

Anne alzò le spalle.

“se ti trovi in battaglia non puoi sempre sistemarti ogni singolo capello … e poi non ti serve che durante un duello la tua chioma sia a posto” spiegò Sara imitando Amy con le dita sempre in testa.

Amy mugugnò. “hai ragione. Forse mi danno un po’ fastidio” ammise giocando con una ciocca.

Sara fece spallucce: “tagliali. Ti avrò anche fatto svenire, ma ho vinto lo stesso. Ti ho disarmata.”

“Non ci penso nemmeno!!” urlò Amy e, tornata in cabina, cadde in un sonno profondo.




Ciao!!!
Ormai non so più come ringraziare i miei fan (mi piace chiamarvi così, ahah): Nemesis 18 , cabol e Hivy...
GRAZIEEEE!!!
Nemesis 18: grazie dei consigli sull'atmosfera, ma ho scritto la maggior parte del capitolo dal punto di vista di Amy, praticamente non ho nemmeno pensato agli altri pirati! ... un po' come ha fatto lei! comunque ottima idea... e grazie dei complimenti!
cabol: grazie mille per i colpimenti, mi fa tantissimo piacere sapere che i miei personaggi ti piacciono... grazie mille!!
Hivy: non sai quanto sono contenta che finalmente le ragazze ti stanno un po' (proprio un po') più simpatiche, e sono contenta anche che finalmente la smettano di pensare!!
ho sistemato gli errori che mi avete fatto notare, grazie; siete sempre così attenti!!
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
grazie ancora,
ciaooo =)
                          Archer

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Capitolo 15
*** Vento di burrasca ***


Deathbearer - cap14 - vento di burrasca

Vento di burrasca.

Era notte fonda ormai, e le ragazze dormivano da ore. L’aria era immobile.

Le amache si muovevano dolcemente, scosse dalle onde che cullavano il Deathbearer. Non c’erano rumori perché il vento, inesistente, non muoveva nessuna vela o cima. La luna illuminava il ponte con la sua luce argentea.

In tutta questa calma, spezzata solo dallo scrosciare delle onde, il vento del mare delle Antille ricominciò a soffiare lentamente. Prima piano, poi più forte.

Le folate scossero il veliero, le cime ripresero a scricchiolare e le vele a schioccare, scosse dalle raffiche intermittenti.

Il primo a notarlo fu il nostromo, che era appisolato con il suo sonno leggero al timone. Alzò il capo con uno scatto, ed era già sveglio. Urlò alcuni insulti e qualcosa che poteva sembrare un “grazie al cielo”, poi su tutto il ponte riprese il movimento e anche nella cabina, le ragazze furono destate dalla brezza.

Si precipitarono fuori e si fecero colpire ripetutamente dal vento tanto desiderato. “vento! Vento!” esultò la piratessa. Questa volta la sua Magia non c’entrava nulla, era la natura che aveva deciso di andar loro incontro.

Sara corse a prua, e si appoggiò al parapetto. La nave riprese subito a muoversi e lei rimase immobile, come una polena, con le braccia allargate e gli occhi chiusi rivolti in alto. Prese un profondo respiro e lasciò che l’aria salmastra le circolasse per tutto il corpo. Da quanto tempo voleva farlo!

Anche Ed scese dal suo posto sulla coffa e dopo aver sorriso a Amy, corse dal capitano. Reckhernam era salito al timone, e spostò il nostromo con un cenno. Accanto a lui arrivò Mary.

Ed salì i gradini a due a due. “signore …” iniziò. “ordini.”

Il capitano guardò Mary, che era al suo fianco, poi Amy, che lo osservava da sotto e Sara che nemmeno se n’era accorta. Il suo sguardo tornò su Ed. Gli sorrise. “fate voltare la prua di questo veliero, il vento è dalla nostra.”

La sua voce si faceva sempre più forte e decisa: “andiamo a trovare questo tesoro!” urlò alla fine.

I marinai urlarono a alzarono le braccia, Mary guardò il capitano con fierezza, ma era uno sguardo denso di sottintesi che Amy non capì tutti. Ne rimase turbata, ma non riuscì a spiegarselo.  

Ed corse sull’albero e il veliero pirata riprese il suo viaggio sospinto dal vento e dal desiderio del tesoro.

La prua si rivoltò proprio nel momento in cui il buio era più che mai completo, e dalla Gibraltar nessuno li vide scappare. Il veliero, nero e misterioso come la notte era praticamente scomparso.

 *

Stephanie stava dormendo tranquilla da ore, quando sentì dei passi e delle urla troppo forti per continuare a riposare. Dormire era l’unica cosa che le faceva ricordare casa e che la rendeva un poco felice, ma sentendo le urla la sua curiosità la spinse ad ascoltare.

Dopo pochi minuti in attesa capì che il vento era tornato a soffiare e concluse che lei poteva raggiungere le sue amiche.

Sentì il capitano urlare di riprendere subito la corsa, e la tornò a muoversi verso la sua preda, ma era sola. Stephanie pensava che finalmente, circa all’alba, la battaglia sarebbe cominciata. Riprese a dormire come una bambina, sognando di riabbracciare le sue amiche e godersi la meritata libertà.

 *

“ci vorrà circa una notte di viaggio o forse di più per ritornare in acque inglesi, capitano!” urlò Storm guardando con occhio esperto le forti onde burrascose.

“sperando di non trovare impicci.” aggiunse l’altro, soprapensiero.

Amy era lì vicino, li sentì e subito il suo cuore perse un colpo. Era finalmente sicura che quello che aveva sperato sarebbe successo, invece dovevano ancora affrontare una burrasca.

“possibile che dopo giorni di bonaccia, arrivi subito la burrasca?” chiese Anne a Storm.

“purtroppo si, signorina. È la natura!” commentò lui, sospirando.

Anne ed Amy si guardarono sconsolate, anche un po’ impaurite dalla tempesta in mare aperto.

 *

Le ragazze non dormirono per il resto della nottata. Il vento soffiava e sibilava paurosamente, in terribile contrasto con qualche ora prima. La pioggia aveva cominciato a cadere copiosamente, e le gocce pesanti avevano inondato il ponte e le vele. Anche se il vento era forte, la nave era più lenta che mai.

Soltanto le onde muovevano lo scafo nero.

Amy ripensò alla tempesta di cui le avevano parlato, quella della notte prima che loro scappassero. Lei non se n’era nemmeno accorta, perché aveva altro a cui pensare, ma veramente solo un pazzo sarebbe uscito in mare aperto in una notte simile.

La Gibraltar aveva ammainato le vele, pensando che anche il Deathbearer, davanti, lo avesse già fatto.

Jack Reckhernam però, era irremovibile, dovevano andare avanti a tutti i costi.

E andarono avanti.

Le onde erano fortissime e si infrangevano contro la nave con forza immensa, ondeggiando paurosamente.

Presto venne un temporale mai visto, i fulmini illuminavano tutto il ponte per un secondo, poi tutto tornava buio e terrificante.

Le ragazze non vedevano niente, ma continuavano a dare corda alle vele, come Sara gli urlava. Avevano le mani che bruciavano per lo sfregare con le corde, ma nessuno si fermava e nemmeno loro ci pensavano. Il vento ululava, i tuoni erano così forti che sembrava che il cielo si stesse rompendo e potesse cadergli sulla testa come i cocci di un boccale di vetro.

Anne non aveva mai creduto a dèi ultraterreni, ma quella notte sembrava proprio che essi si fossero arrabbiati, e stessero lanciando sprangate sul cielo con forza inaudita. Ad ogni tuono trasaliva, e pregava che fosse l’ultimo, ma sembrava solo che l’ intensità aumentasse.

Sara aveva provato ad usare la Magia, ma quando aveva riaperto gli occhi aveva solo perso la maggior parte delle sue energie e il suo viso era pallido, cosa che non era mai successa. La forza della natura quella sera era troppo forte per controllarla. Dopo aver placato per sbaglio  il vento alcuni giorni, ora la natura si stava ribellando. Lo disse a Mary sconsolata, ma nemmeno lei sapeva cosa fare se non continuare ad andare avanti come potevano.

Tutto sembrava andare storto. Non si potevano più fermare, perché sarebbero stati troppo in balìa delle onde, più di quanto non lo fossero già. Tutta la ciurma era sul ponte, e ciò che rimaneva stava cercando di fermare il carico, che sobbalzava nella stiva facendo traballare ancora di più il veliero.

Fu la notte più lunga a dura che la ciurma e le ragazze avessero mai passato. Erano tutti esausti e fradici.

Le gocce di pioggia erano pesanti e fredde, e colpivano i marinai tanto forte da sembrare piccole pugnalate.

Amy si sentiva persa.

Era completamente bagnata, la camicia era attaccata a spalle e braccia, e non la vantaggiava nei movimenti, il bustino era più stretto che mai. Non riusciva quasi più a respirare. I capelli le si erano attaccati alla faccia e non riusciva a spostarli. Aveva freddo da tremare vistosamente, le folate di vento erano gelide e pungenti. Per un attimo credette di cedere al panico, ma la presenza di Sara al suo fianco la calmò. Malgrado tutto la piratessa sembrava persino tranquilla, come se l’acqua non la bagnasse e non sentisse la stanchezza. Non la guardava, ma il suo sguardo era fisso, il suo viso una maschera di serietà mai vista, perché aveva sempre un sorriso beffardo stampato sulla bocca.

La guardò di sbieco. “animo, Amy.” Disse con voce sottile. “non ti lasciar fermare. Possiamo farcela.”

Anche se potevano sembrare le prime parole buttate lì, Sara ci aveva pensato sopra per un po’. Glielo aveva detto Mary, la prima volta che avevano avuto a che fare con un tempo simile. Lei le aveva prese alla lettera, e lo stesso stava facendo Amy. Loro erano due che non si arrendevano facilmente.

 *

Dopo interminabili ore di tempesta; finalmente quella nottata giunse alla fine e la forza della natura si placò. Il mare tornò calmo e non più insidioso, mentre il vento era tornato regolare e tiepido.

Del temporale erano rimasti solo una grande macchia grigia nel cielo dietro alla nave, ma anche danni: erano stati spezzati due tramezzi dall’albero di mezzana e alcune vele si erano bucate. Due marinai erano rimasi feriti, ma non gravemente, ed erano già in piedi e al lavoro.

Dopo aver accurato i danni, il capitano e Mary diedero ordini per la ricostruzione e dal mare cominciò a crescere il sole rosastro, come se non fosse successo niente.

Anne quasi si stupì di vedere che non c’erano crepe sul cielo.

Insieme ad Amy fu obbligata a ricucire le vele, mentre Sara faceva il giro dalla nave e sistemava quanto poteva.

Dall’albero scese Ed e si avvicinò alle ragazze intente a cucire in silenzio. Le sorprese da dietro, e Amy sobbalzò.

“che nottata” esordì, sedendosi accanto a Amy con un po’ di fatica.

“stai bene?” gli chiese lei, chiudendo il lavoro.

Ed annuì. “si, tranquilla” disse. Voltò subito il capo quando Amy provò a guardarlo, ma lei rimase zitta e tornò al proprio lavoro.

“posso farti una domanda, Ed?” chiese Anne per spezzare il silenzio.

Lui annuì, ma non disse niente.

“mi spieghi come funziona la Magia?” chiese lei a bruciapelo.

Ed alzò le spalle. “che vuoi che ti spieghi? Non c’è niente da dire.”

“non so … cosa si può fare, come di fa …”

Il ragazzo alzò ancora la spalle. “ma non so …” borbottò. “non tutti sanno usarla. È un modo per cambiare le cose.”

“cosa?” chiese Anne.

Il ragazzo rimase senza parole. “tutto.”

“anche i sogni?” si intromise Amy, pensando alla visione.

“certo.” Rispose lui scrutandola. “è la cosa più facile da fare, tipo la telepatia. Anche i bambini ci riescono. I più bravi ad usare la Magia riescono a cambiare gli avvenimenti, il corso della natura, ogni tanto.”

“anche il corso del tempo?” chiese Anne.

“no, il tempo, no. È impossibile.”

Cadde in un profondo silenzio, che Amy provò a riempire. “al porto dicevano che solo i pirati del Deathbearer sanno usare la Magia.”

“non tutti.” disse Ed.

“tu?” chiese Amy, che non riusciva a trattenersi.

“no.” Ammise il ragazzo. “non sono portato per queste cose. Ma Sara è bravissima.” Disse, con una punta di invidia.

“che sa fare?” chiese Anne, curiosa.

“di tutto.” Rispose Ed. “cambia il corso delle onde, sposta oggetti, entra nella mente delle persone … ogni tanto fa paura, credi di averla accanto invece è distate metri. È la migliore, fidati.”

Anne rimase di stucco. “e come si fa ad imparare? Non credo che abbia studiato …”

Il ragazzo non rispose subito. “non ne sono sicuro, ma mi hanno detto che una cartomante le ha dato una specie di benedizione magica quando è nata, e da lì ha avuto il Dono. Quando è stata in grado di spiegarlo lo ha insegnato a qualcuno, ma non a tutti … chi più, chi meno.”

“il capitano la sa usare?”

“un po’. È stato lui a decidere che avrebbe dovuto insegnarlo alla ciurma, ma è obbligatorio …” fece scorrere lo sguardo sulle ragazze. “che nessuno che non sia della ciurma lo sappia.”

Amy nemmeno lo sentì. Continuava a pensare a quello che aveva detto prima, che Sara era stata benedetta alla nascita. “ma alla nascita di Sara c’ero pure io!” obbiettò. “perché io non ho nessun dono?”

Ed fece una smorfia. “ho detto alla nascita, ma intendevo che era piccola, magari tu non c’eri già più.”

“Molto probabile.” Disse Amy con stizza. “non mi sono mai sentita magica.”

Rimase ancora silenzio.

Sara gli si avvicinò con il suo passo militare. “non è da bene parlare degli altri quando non ci sono.” Disse.

“non parlavamo di te, della Magia.” Obbiettò Anne.

“certo, e chi è la migliore ad usarla?” chiese lei con un sorrisetto malefico a Ed.

“tu … hai ragione, scusa.” Tagliò corto Amy.

“sarà meglio …” mormorò Sara e prese una vela, triangolare, lunga quasi come lei, “grazie” sbottò e si allontanò con passo militare.

“che ha?” chiese Amy osservandola a lungo.

“non so che dirti. È strana quella ragazza, fidati di me.” Borbottò Anne, e riprese il suo lavoro di malavoglia.

“mi fissava in modo strano.” farfugliò Amy, con una ciocca di capelli sulla bocca.

“mi sa che stava pensando proprio la stessa cosa che penso io adesso.” disse Anne con un sorriso.

Ed, che non sapeva cosa fare, glieli portò indietro e rimase a guardarla.

Amy continuava ad osservare Anne. “ossia? A che pensi, Anne?” chiese.

“che devi tagliare i capelli” osservò lei, porgendole un nastro. Ed lo prese e glielo legò un po’ impacciato sopra la testa di Amy. La ragazza sbuffò. Non aveva la minima intenzione né di tagliarli, né di legarli.

Il lavoro riprese sotto il sole, mentre il vento asciugava tutto e mitigava la temperatura. Nel primo pomeriggio le ragazze avevano finito e le vele erano sistemate.

Il Deathbearer riprese il suo viaggio alla volta di Port-au-Prince, tutti curiosi di sapere quali erano gli animi dei marinai della Gibraltar, ritrovatasi senza nemico da combattere.

 *

Infatti sulla Gibraltar il malumore era collettivo. Stephanie non capiva perché tutti urlavano e si insultavano a vicenda. Stava guardando fuori e non vedeva il Deathbearer, era spaventata. Era in preda ad una crisi, quando la guardia entrò nelle prigioni.

Le lanciò la solita crosta di pane.

Era ancora più scontroso dei giorni precedenti, ma Stephanie tentò comunque di placare la sua curiosità. “che cosa è successo?” chiese sbattendo le folte ciglia.

L’uomo fece per andare, ma poi sbuffò e disse: “nella burrasca ci siamo persi il Deathbearer, Reckhernam vada all’inferno!” ringhiò una bestemmia e Stephanie chiese: “come? Sono fuggiti?” faceva finta di essere sorpresa, ma era triste. Pensava che le sue amiche l’ avessero abbandonata.

Il marinaio non rispose e se ne andò.

Stephanie si mise un mano dietro il collo e si appoggiò all’interno dello scafo. Solo allora notò di avere i capelli sciolti.

Non l’avevano abbandonata. Erano andate a prendere l’ultimo pezzo.

Sorrise e si godè la giornata, come meglio si poteva fare prigionieri di alcuni pirati in mezzo al mare.

Nessuno scese per il resto del tempo, Stephanie pensò che fossero troppo arrabbiati per occuparsi di una ragazzina prigioniera, e lei gliene era grata.

Stava per essere libera. Se lo sentiva fin nelle viscere.

 *

Il pomeriggio sul Deathbearer passò velocemente, con i preparativi per lo sbarco. Il piano era che le ragazze sarebbe scese a terra, mentre la nave veleggiava non troppo al largo, nascosta dal buio. Dopo aver trovato la chiave sarebbero risalite a bordo, per prendere la Gibraltar alle spalle, combatterla, vincerla e salvare Stephanie. I pirati da lei volevano informazione sul tesoro, ma per il momento alle ragazze interessavano riavere Stephanie.




ciao a tutti!!!

adoro le vostre recensioni, come faccio a non ripeterlo tutte le volte!!

allora: iniziamo con i ringraziamenti:

nemesis 18: troppo buona! sul serio! mi sciolgo a leggere tutti questi complimenti! sono felice che la storia continua a piacerti!! una piccola anticipazione del prossimo capitolo: "Lucas!!!" basta, ho detto troppo! XP

cabol: grazie dei complimenti, e spero che Amy, diventando un po' più protagonista, ti stia simpatica! sono molto felice che ti piaccia anche Ed. avevo paura ad inserirlo verso metà della storia, perchè potava sembrare un personaggio piatto e di poco rilievo, invece... forse qualcosa di buono l'ho fatto!

Hivy: ma come fai a scrivere sempre delle recensioni così belle? eh, qual'è il tuo segreto? sono felice che non hai trovato nessun errore (eh-eh, godo!), e soprattutto che ti piaccia Jack (malgrado le sue tre parole!) per non parlare di Ed! yu-uh, sì! sono riuscita a fartelo stare simpatico!! ...e Amy che fa swish con i capelli... che ridere!! lo so, è abbastanza antipatica, ma il personaggio mi è sfuggito di mano! (altra piccola anticipazione: aspetta il capitolo 18 e sarai soddisfatta!)

ora vi saluto tutti! grazie ancora di tutto...

ciaoo =)

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Capitolo 16
*** Due occhi color nocciola ***


Deathbearer - cap15 - due occhi color nocciola

Due occhi color nocciola.

Il sole stava tuffandosi nelle acque calme dei Caraibi, e dopo il decimo giorno lontane da casa, Anne e Amy stavano per tornarci.

La scialuppa era a mezz’aria tra il parapetto e l’orizzonte, ci stavano caricando sopra le ultime cose. In un sacco di iuta avevano messo una ventina di armi tra pistole e fucili. A Amy non piaceva l’idea di avere tante armi con se, ma le avevano detto che ognuna sparava solo un colpo e venti erano anche troppo pochi se fossero state scoperte.

Le ragazze inoltre erano state obbligate a portare la spada legata al fianco, cosa che non avevano mai fatto, quindi Mary era andata a cercare due cinture.

Stava infatti salendo le scale dalla stiva con due cinture molto larghe tra le mani. Ne diede una ad ogni ragazza, ma non sapevano cosa farne.

Ed si era avvicinato al parapetto e Amy, che lo aveva visto, faceva apposta a rigirarsi la cintura tra la mani con gesti teatrali. Sara stava per farsi avanti annoiata, quando il piano di Amy prese forma e Ed si avvicinò, le cinse la vita con le braccia e le chiuse la cintura su un fianco. La ragazza sorrideva come non mai.

“grazie” cinguettò, raggiante.

“stai attenta, ti prego.” Le disse lui a bassa voce, con il viso a poca distanza da quella della ragazza.

Lei tornò seria, annuì e abbassò lo sguardo, tutti i lunghi capelli castani le ricaddero davanti. Ed glieli spostò indietro ancora una volta e si allontanò con la testa bassa.

Sara trovava stupido quello che Amy stava facendo. Dal canto suo, era sempre stata sola e, a suo parere, stava benissimo.

Urlò di imbarcarsi. Il cielo era blu come i suoi occhi.

Amy si raccolse i ciuffi di capelli dietro la testa e, insieme a Anne, salì sulla scialuppa.

La lancia fu calata e atterrò sui flutti.

Ci volle un momento per stabilizzare il peso, poi il viaggio cominciò e Sara ed Anne iniziarono a remare, prima erano scoordinate, e Amy cercava di ignorare gli insulti di Sara, ma poi migliorarono.

Il buio era completo quando arrivarono.

 *

La scialuppa toccò il fondale e si incagliò nella sabbia, a quel punto Sara ordinò di scendere.

Amy prese il sacco di iuta, suo malgrado, mentre Sara e Anne tiravano avanti la lancia, per tenerla al sicuro.

Amy si guardò intorno. Era tutto molto diverso da quando aveva visto la villa l’ultima volta. Le sembrava diverso. Posò gli occhi sulla porta della servitù, che dava sulle cucine, e ebbe una stretta al petto. Era completamente spalancata, con una pietra che la teneva in posizione. C’era una lanterna davanti all’uscio.

Si sentì le lacrime crescerle dentro. Davanti agli occhi aveva l’immagine di Katherine, china su una sedia che urlava e piangeva, il viso rigato dalle lacrime, triste e spaventato. Amy si sentì tremendamente in colpa. Katherine poteva essere morta di apprensione, dopo più di una settimana che le sue bamboline erano scomparse. Le sembrò persino di sentire dei singhiozzi leggeri, nel silenzio di quella notte immobile. Poi il fragore delle onde trasformò tutto in un frastuono.

Il pianto era scomparso. Lei doveva essere libera, non poteva pensare ad altro.

Spostò lo sguardo intorno alla villa. Tra i cespugli secchi vicino alle rocce, per attimo, a Amy sembrò di vedere un movimento. Il cuore cominciò a batterle forte, mentre lo diceva a Sara, che andò a controllare.

Più la ragazza si avvicinava, più Amy pensava di essere stata una stupida, perché il vento continuava a muovere i cespugli. Ma Sara andava avanti, visto che anche lei aveva notato qualcosa.

Anne ed Amy si strinsero vicine, Sara era a un metro dal cespuglio.

Con la mano destra stringeva la pistola, il dito a un soffio dal grilletto, la sinistra pronta a spostare le fronde.

Un altro fremito tra le foglie.

Anne pensò che fosse il cane delle scuderie, che girava spesso sulla spiaggia, ma non disse niente, bloccata dal timore.

Con gesto veloce Sara prese un ramo e lo spostò.

La pistola si trovava a pochi centimetri dalla fronte della vittima, che gemette.

A quel punto Sara si sentì sprofondare negli occhi di quel ragazzo.

Non sapeva cosa fare, se sparare o no, ma dentro il suo cuore di pirata sentì un calore particolare e nuovo, e sulla sua bocca comparve un sorriso ebete.

Dietro di lei Amy sussurrò, insieme al vento: “chi è?”

Anne la chiamò, ma Sara non rispose. Era ancora persa in quegli occhi color nocciola, e anche lui non si muoveva. Pensava di stare per dormire, poi quella bella ragazza bionda lo aveva scoperto.

Sara decise che non gli avrebbe sparato, però non voleva fare una figuraccia con le ragazze. Lo prese per il bavero e lo portò alla luce della luna. Lui non oppose resistenza, anzi, si fece quasi accompagnare.

 “chi sei?” domandò seria senza lasciare la presa.

Lui alzò le mani, per fare vedere che non era armato. La piratessa notò che era vestito come uno stalliere.

“allora?” incalzò Sara.

Le ragazze si fecero avanti, timorose. “Lucas?” sussurrò Anne stupita.

Amy si innervosì subito. Lucas poteva anche averle salvate da Sara, ma adesso loro avevano accettato di salire sul Deathbearer, e quella situazione era quasi irreale.

Non dovevano esserci testimoni del loro passaggio, Lucas non doveva in nessun caso essere lì, ma soprattutto Amy non lo voleva. Non si era certo dimenticata i suoi sorrisi furbetti e le loro litigate.

“Anne!” esclamò lui agitando le braccia. “cosa ci fate voi qui?” continuò, senza opporre resistenza a Sara.

“perché sei qui?” chiese a sua volta Anne, ignorando la sua domanda.

 “lo conosci?” chiese Sara puntandogli la pistola alla tempia.

Lei annuì: “si, lascialo andare.”

Lucas riprese a parlare libero, ma Sara non lo perdeva d’occhio.

“tutti dicono che siete state rapite dai pirati! Come sarà contenta Katherine di vedervi salve! Ha il cuore spezzato …” Fece per andare verso la villa, ma Sara gli puntò la pistola contro: “fermo!” ordinò. “sai che ai pirati, non piace perdere le loro prigioniere?” chiese prendendo la mira.

Lucas tornò indietro. “Pirati?” chiese.

Sara annuì, quasi compiaciuta.

Lui trasalì. Prese le ragazze per un polso, sviando la pistola di Sara e cominciò a correre, spaventato: “un altro buon motivo per scappare, allora” disse.

Anne ed Amy si guardarono un momento, poi fermarono di colpo la corsa e lui cadde di schiena sulla sabbia.

“non dovresti essere nella stalla?” chiese Amy.

Il ragazzo fece per alzarsi, ma Sara si avvicinò e lo trascinò nell’ombra. Poi lo lasciò disteso.

Lucas guardò le stelle. Gli faceva male la testa, era caduto sopra qualcosa di appuntito. “è vero, fino a poco fa ero lì, infatti.” rispose a Amy.

Lei fece per andare via. “puoi tornarci, allora. Per me non ci sono problemi!” disse cominciando a guardare la sabbia.

Lucas non voleva nemmeno pensarci: “non posso. Mi hanno cacciato … Poco fa.”

Amy si girò a guardarlo, stupita.

Anne era soprapensiero, lo osservava e non capiva cosa ci trovasse in quello stalliere maleducato un po’ di tempo prima.

Il ragazzo riprese a parlare, incoraggiato dalla pistola di Sara, sempre pronta. “non vogliono più orfani in casa, li stanno cacciando tutti. Dal forte sono arrivati questi ordini. Via tutti gli orfani, per paura dei pirati.”

Sara alzò un sopracciglio. “paura dei pirati?” domandò. “ma è patetico!”

“perché l’avete rapita? Perché è un pirata!” disse scettico Lucas indicando Amy.

Amy pensò che in parte aveva ragione, ma non era sicuro fosse la verità.

“perché hanno paura dei pirati?” chiese Sara.

“perché sono molto più forti di loro. O almeno io penso così … Ma è vero.”

Sara lo prese come un complimento: “grazie” disse.

Lucas rimase a fissare i suoi occhi blu.

“e la colpa sarebbe mia?” chiese Amy.

“no” rispose il ragazzo alzando le spalle. “perché dovrebbe? Anzi, sei fortunata, tu sai dove andare, io mi sono nascosto perché per questa notte starò qui. Non ho niente. Odio il governatore. Sempre e solo a pensare a quei suoi bruttissimi figli. Non alle persone che per anni lo hanno servito.”

Ormai Lucas aveva capito che poteva fare leva su Sara: “però, se solo potessi imbarcarmi su un qualche nave. Oh … lavorerei sodo …” continuava a guardarla mentre parlava. “sarei un bravo marinaio, ma non so dove andare …”

Sara sapeva che la stava incantando per riuscire a salire sul Deathbearer con loro.

“sai una cosa …” cominciò “io ti potrei offrire un posto su una nave, sicuro …” proprio mentre Lucas stava per parlare di nuovo, lei lo bloccò. “ma sfortunatamente non ne ho voglia. Sai com’è …”

“mi spiace, sarebbe stato bello …” continuò la piratessa. Era quasi sicura di avere davanti il cavaliere che aveva difeso le ragazze, e spesso aveva ripensato di vendicarsi con lui. E adesso, che se lo trovava davanti, non riusciva nemmeno a guardarlo in quei suoi occhi color nocciola.

Lui sorrise: “con te, sarebbe bellissimo …” scherzò.

Lei lo ignorò, ma le piaceva il commento. Rimase immobile a pensare. Le sarebbe piaciuto averlo accanto. Non riusciva ad ammetterlo, ma le piaceva. Solo all’idea avvampava, ma provò a non pensarci. “sai, Lucas …” disse, infine. “mi sa proprio che mi sta tornando un po’ di voglia …”

“il che vuol dire?” chiese lui, anche se evidentemente sapeva la risposta. “vieni con me, allora.” Gli sussurrò, offrendogli la mano per alzarsi. Lui la prese e si fissarono negli occhi per un po’.

Sara di colpo non trovava più così tanto stupidi Amy e Ed.

Lui si alzò. “allora, Sara, il mio primo incarico sulla nave …” chiese.

“sul Deathbearer.” disse lei, orgogliosa.

Il perenne sorriso di Lucas si incrinò leggermente.

“vogliono una cosa che noi stiamo cercando qui.” Spiegò Sara. “aiutaci a trovarla e presenterai bene davanti a capitan Jack Reckhernam, amico mio.” Gli disse per incoraggiarlo, riponendo la pistola nella cintura.

“infatti.” Borbottò Anne. “concentriamoci sul motivo per cui siamo qui.”

“siamo cercando lo spillone per i capelli di Stephanie. Te lo ricordi?” chiese Amy.

“certo. Sicure che sia qui?” chiese con naturalezza.

La ragazza annuì.

“allora lo troveremo.” Concluse lo stalliere.

Amy iniziò subito a setacciare con lo sguardo la sabbia. Doveva trovare lo spillone a tutti i costi.

Anne invece si concentrò su Sara, che osservava Lucas chiamato a controllare per terra. “e poi eravamo noi che volevamo portare qualcuno a bordo, eh?” chiese con un sopracciglio alzato.

Sara la guardò con gli occhi spalancati. “e tu come lo hai sentito?” chiese, a bassa voce.

Per tutta risposta l’altra alzò le spalle, e si aggiunse agli altri due che controllavano il terreno.

 *

Non fu difficile trovarlo. Lucas ci aveva sbattuto la testa quando le ragazze lo avevano fatto cadere,  aveva formato un piccolo buco con la testa proprio intorno allo spillone.

Amy lo raccolse con un sospiro di sollievo. Era freddo al tatto, ma la sensazione di sicurezza che le infondeva non aveva pari.

Con quello potevano trovare il tesoro, si stupì della propria felicità al pensiero.

Amy mostrò il bastoncino soddisfatta. “andiamocene.” Disse subito. “non mi piace per niente questa situazione.”

“Amy!” scherzò Lucas forzando un sorriso. “che c’è, non sei contenta di vedermi?”

“Anne, ha parlato qualcuno, per caso?” domandò con voce piatta, guardandolo in cagnesco.

Sara le disse di mettere via lo spillone e si avviò alla scialuppa, all’ombra del monte. Mentre camminava si sentiva strana, aveva come un brutto presentimento. Possibile che fosse stato così facile?

 *

Anne era già alla lancia, Amy a metà strada, ma comunque nascosta dall’ombra. Lucas e Sara erano molto indietro, immobili.

“Sara!” sibilò Amy, correndo.

I ragazzi avevano gli occhi fissi verso l’alto. Guardavano un uomo sul muro esterno del forte.

Erano stati scoperti.

“Sara!!” urlò adesso Amy, terrorizzata.

Il soldato aveva un fucile tra le mani e lo teneva fisso su Lucas e Sara.

Amy non seppe più cosa fare. Nemmeno Sara faceva qualcosa, e per lei era sempre stato oro colato tutto quello che si inventava. Cominciò a tremare e il cuore le salì in gola. Corse indietro, prese una pistola dal sacco e la puntò in alto.

Sparò. Non colpì l’uomo, ma bucò il muro con un rumore sordo.

Il militare cominciò a sparare contro i ragazzi. Sara rispose al fuoco, con tre pistole, poi lo colpì e il militare cadde sugli scogli del monte.

Ma ormai il danno era fatto.

La ragazza cominciò a correre verso la scialuppa trascinandosi dietro Lucas, ma lui era stato colpito. Tutto il suo braccio era ricoperto di sangue e anche la mano di Sara lo era.

“Amy!!!” urlò cadendo a terra.

Amy sopraggiunse con  Anne. Guardava la ferita sulla spalla, terrorizzata. Era un colpo di striscio, ma traboccante di sangue.

“sai curarlo?” chiese Anne alla ragazza, cominciando a tamponare il sangue.

Amy annuì, spaventata.

“allora guariscilo!” strillò Sara, che stava quasi piangendo.

“non posso qui!” urlò Amy. “mi servono cose che hanno solo al forte, solo lì si curavano ferite del genere!”

Al forte però continuavano ad accendersi luci, dovevano scappare.

Lucas soffriva tanto, lo si leggeva sul suo volto.

“andiamo a prenderle, allora.” Disse Amy decisa, ma non riuscivano a muovere il ragazzo.

Anne cercava di aiutare, ma non poteva non essere pessimista: “non possiamo attraversare le colline con lui, ferito!” disse trattenendo le lacrime.

“cavalli” sibilò Lucas tenendosi abbracciato a Sara.

“ha ragione, i cavalli delle scuderie!” commentò la ragazza.

Anne però era sempre pessimista: “ma sono chiuse di notte, le scuderie!” osservò. A Amy l’idea di risalire su un cavallo, dopo l’incidente, non piaceva molto, perché aveva una gran paura di morire veramente, ma nascose la sua paura nel silenzio.

Sara chiese a Lucas dove fossero le chiavi e Anne fu mandata a prenderle, di corsa. Amy avrebbe aiutato Sara e il ragazzo ferito.

Anne cominciò a correre sulla spiaggia, con i piedi nudi che affondavano nella sabbia. Era molto lenta, e la villa sembrava irraggiungibile. Aveva un aria spettrale al buio di quella notte.

Arrivò alla porta della servitù con il cuore in gola e vi si fiondò dentro.

C’era una gran confusione, tutti impauriti dagli spari dal forte, le urla dicevano che i militari stavano scendendo dal monte per catturare dei pirati pericolosissimi.

Anne continuava a correre verso l’alto, nessuno si accorse che era tornata. Respirava a fatica e con la bocca aperta, ma non si fermava. Lucas aveva detto che le chiavi erano nella scatola di velluto viola sulla scrivania nello studio.

Salì i gradini di marmo delle scale principali due a due, arrivò nel lungo corridoio vuoto, malgrado il fiato corto continuava a correre svelta. Si bloccò però alla vista del monte.

Sembrava che le onde fossero delle fiamme, che bruciavano le rocce. Erano più forti di quanto non le avesse mai viste, ed era una cosa quasi inquietante.

Militari su militari continuavano a correre giù, sembravano formiche.

Anne entrò come un fulmine nello studio, trovò la scatola e si impadronì della chiave. Scese nel buio passaggio segreto, di cui le aveva raccontato Amy. Non aveva nemmeno il tempo di avere paura o di pensare al peggio. Uscì dalla prima botola che trovò. Era terrorizzata, ma non se ne rendeva conto. Nei sotterranei tutti i rumori erano amplificati e le onde che si infrangevano sulla costa sembrava che, da un momento all’altro sfondassero la porta a la raggiungessero.

Fortunatamente la botola da cui emerse dava sul cortile, e raggiunse in fretta i compagni che aprirono il cancello delle scuderie. I cavalli nitrivano irritati e spaventati.

Sara accese una torcia e Lucas liberò due cavalli dalla cavezza con grande fatica.

“prendili per le criniera” gemette con la voce rotta dal dolore e dallo sforzo.

Anne fermò i cavalli cercando di tenere la voce più calma possibile, ma i cavalli intelligentemente e capirono. Sara salì sul primo, un morello, insieme a Lucas, mentre Amy ed Anne balzarono sul baio.

I cavalli cominciarono a galoppare guidati dalla voce di Anne, mentre Amy e Sara sparavano ai militari che le raggiungevano. La corsa fu veloce perché i soldati erano tutti sulla spiaggia.

Amy provò ribrezzo nei primi colpi, ma poi non si accorgeva più nemmeno di cosa stava facendo. Oltre al dolore lancinante alla schiena, continuava a pensare che stava uccidendo degli innocenti, ma quando una palla di moschetto le sibilo vicino all’orecchio, divenne una furia e raggiunsero la cima del monte senza pensare ad altro che la loro meta, e che quello che stavano facendo era per Lucas.

Quando arrivarono sulla parte più alta, le ragazze saltarono giù dalla groppa e cominciarono a correre. Anne aiutò Sara a far scendere Lucas, mentre Amy già si precipitava nei sotterranei per prendere i medicamenti.

Sara si scontrava con tutti i soldati che trovava a disturbarla mentre Amy, con mani tremanti stava razziando l’ infermeria, senza nemmeno fare caso a quello che prendeva o che rompeva. Praticamente prese tutto quello che c’era.

Mentre stava per uscire vide la lama dentata di una sega buttata a terra. Le venne paura che se la ferita dovesse peggiorare quella fosse l’unica possibilità per il ragazzo.

Non voleva nemmeno pensarci. Doveva lasciargli entrambe le braccia. Si stupì di come i suoi pensieri fossero diventati così buoni nei confronti di Lucas. Era sicura che avrebbe giurato di fare di tutto pur di non aiutare mai quel ragazzo, eppure adesso si ritrovava a sperare di poterlo salvare. Forse era solo perché aveva visto che Sara guardava Lucas, e sapeva che la piratessa avrebbe sofferto troppo se lui non si fosse salvato. Per di più era una ferita abbastanza superficiale, e si convinse che sarebbe andato tutto bene.

Riprese a correre con il sacco sulla spalla mentre combatteva. Ad alcuni persino tirava con forza il sacco addosso, nella foga, e loro cadevano a terra. Uno la prese per la caviglia, mentre correva via, e lei cadde urlando. Il militare estrasse un coltello e stava quasi per colpirla, quando Sara sparò un colpo e le salvò la vita.

Amy si ferì un polso, un lungo taglio superficiale che partiva dall’attaccatura della mano e arrivava fino alle dita. Si pulì in fretta sulla gonna mentre la ferita le bruciava terribilmente, ma continuava a pensare che non era importate, perché Lucas stava molto peggio.

Sara voltò le spalle e corse via con sguardo vuoto. Amy continuò a combattere e raggiunse le sue amiche e Lucas nella piazzetta. Guardò Sara per ringraziarla, ma lei sua volta guardò lo spiazzo dove non c’era nessun muro e dava direttamente sullo strapiombo e gli scogli nel mare.

Amy fece scorrere lo sguardo sulle altre possibili vie di fuga.

Il terrore cominciò a bruciarle dentro, ma i militari stavano correndo su per il monte per riacciuffarli. Non potevano più nemmeno scendere.

Anne, Sara e Lucas erano già pronti alla rincorsa, Amy prese per mano Sara e tutti e quattro cominciarono a correre.

Un secondo dopo sotto di loro non c’era più niente, l’aria li colpiva forte e gonfiava le loro camicie.

Amy strinse gli occhi il più possibile, ma il forte vento la bruciava e la faceva piangere. Le pungeva la pelle, le fischiava nelle orecchie. Sperò che quel dolore durasse poco, ma mentre vedeva l’acqua irrequieta del mare, cominciò a pensare il contrario.

L’impatto con l’acqua fu duro e Amy temette di non riuscire più a respirare. L’acqua era gelida, e sembrava volerli spingere di forza nelle viscere del mare.

Sara tirò Amy verso la superficie e cominciarono a tirare calci alle onde per stare a galla.

 *

Salirono presto a bordo.

Per prima salì Anne, che lasciò cadere i sacchi a terra e si buttò sul ponte.

Poi venne Amy. Ed la abbracciò appena mise piede sul ponte, ma lei non ci fece caso, perché allungò subito le braccia per aiutare Sara a far salire Lucas. Amy tremava come una foglia, ma aveva già dimenticato il terrore e il taglio sulla mano. Ora venivano le responsabilità.

Appena toccò con piede il ponte il ragazzo si lasciò cadere svenuto e Sara lo prese al volo.

Amy raccolse il sacco e si fece aiutare, perché adesso doveva curare quella ferita sulla spalla.

 *

Amy fece affrettare tutti sul ponte perché Lucas, da svenuto, non avrebbe sofferto. Lo portarono in una piccola cabina afosa mentre Sara li seguiva di corsa trafelata e spaventata.

Lo sdraiarono su un tavolo.

Amy notò che all’interno c’erano dei marinai che non aveva mai visto, che in mano tenevano dei pugnali con la lama corta. Con quelle allargarono con forza le assi del tavolo, infilarono delle cinghie nei buchi e fermarono il corpo del ragazzo svenuto.

Anne in un primo momento gli aveva legato il braccio con una pezza di stoffa, e Amy la slegò con le mani ancora bagnate e insanguinate. Sara la guardava un po’ schifata, ma seguiva attenta ogni suo movimento.

La camicia di Lucas era tutta sporca di sangue e sul suo viso c’era una smorfia di dolore che faceva paura a Amy. Le avevano insegnato a curare delle leggere ferite, e spesso aveva aiutato il medico del paese, ma non aveva mai fatto da sola quello che stava per fare, ed era terrorizzata dall’idea di sbagliare qualcosa, perché alla fine Lucas avrebbe rischiato la vita.

Un marinaio strappò la manica rossa della blusa e la ragazze videro l’enorme squarcio lasciato dal proiettile.

“maledetto!” sibilò Sara tenendosi a debita distanza.

L’ apertura nella carne non era profonda, e non sembrava particolarmente grave, ma andava comunque curata alla svelta.

Amy avrebbe dovuto richiuderla velocemente e delicatamente, perché già era peggiorata e non dovevano farla infettare.

“acqua!” urlò.

I marinai si guardarono di sbieco, poi uno di loro uscì e tornò poco dopo con un secchio traboccante. Era acqua di mare, e Amy cominciò ad urlare. “credi che possa lavare una ferita infetta con questa!?! Vuoi che gli tagli un braccio?!” strillò rovesciando a terra il secchio. Era nervosissima e impaurita, e nessuno sembrava badarle, perché doveva fare tutto lei. Un peso che non era in grado di tenere.

Sara sembrava ancora più spaventata di lei. Corse fuori e tornò con l’acqua potabile in gran fretta.

Amy pulì la ferita mentre Lucas cominciava a battere le palpebre.

La ragazza si guardò intorno e ad uno sguardo i marinai strinsero le cinghie. Era una cosa orribile da fare, ma era impossibile evitarlo, la ferita continuava a sanguinare. Il ragazzo era bianco in volto, Sara gli stringeva la mano del braccio non ferito, il destro. Anne non se la sarebbe mai immaginava, ma adesso Sara era davanti a lei, preoccupata e spaventata come non aveva mai visto nessuno.

Amy a scatti nervosi continuava a tamponare il taglio, sperando che si rimarginasse da solo, ma doveva ricucirlo, e doveva farlo subito.

Ad un certo punto si sentì quasi mancare. Aveva le mani insanguinate e vedeva sangue ovunque si girasse.

Come un miraggio, dietro di lei comparve Mary. Le prese la pezza con mani ferme e cominciò a dare ordini. “preparati a operarlo, io starò qui con te fino a che me lo chiederai.” Promise.

Amy annuì e corse fuori per schiarirsi le idee.

 *

I capelli le gocciolavano di acqua, le mani di sangue, era pallida e smunta.

Ed era seduto fuori dalla cabina e la prese subito tra le braccia. Amy rimase ferma a piangere, con la testa appoggiata alla spalla del ragazzo. “non posso farlo!” singhiozzò dopo un po’.

Lui si staccò e le pulì le mani, poi la strinse ancora a sé. “invece si, non ti devi sottovalutare.” Le disse con voce calma e cercando di sembrare sicuro.

Amy tremava e riusciva a parlare poco: “ma non l’ho mai fatto da sola!”

“devi solo stare tranquilla e non diffidare di te stessa e di chi ti circonda. Vedrai che ci riuscirai.” le disse lui tenendole la testa attaccata alla sua spalla.

Amy singhiozzava e gemeva. Di colpo le tornarono in mente le parole della cartomante. Erano le stesse che le aveva detto adesso Ed.

Ed tornò a guardarla negli occhi e le prese una mano. “ma sei ferita.”

Amy si guardò la mano, mentre ci cadevano sopra delle lacrime il taglio bruciava. “sì sì, ma non è niente … non sono io che rischio di perdere un braccio.”

Il ragazzo provò a guardarla negli occhi. “devi solo stare calma. Puoi fare tutto quello che vuoi se credi in te stessa.” Ripeté.

Lei lo abbracciò. “facile a dirsi …” Disse e alzò le mani davanti a sé. Tremavano come delle foglie al vento.

Lui le prese e le strinse dolcemente al petto. I loro visi erano vicinissimi, Ed capì subito che gli sarebbe bastato poco per baciarla. Avrebbe tanto voluto farlo, ma proprio mentre strava per avvicinare le labbra alle sue, Amy si voltò velocemente e corse via, mentre i suoi lisci capelli accarezzavano il volto del ragazzo.

Amy non ci pensò, la sua testa era già nella cabina di fronte a Lucas, che  continuava ad avere dei sussulti con gli occhi sbarrati. Mary stava facendo del suo meglio per aiutarlo e quando Amy comparve accanto a lei non represse un sospiro di sollievo.

Con le mani pulite, i capelli raccolti e una calma relativa, Amy la fece spostare e le ordinò di tenere sempre pulita la ferita.

Anne dal sacco prese il lungo ago del medico. Lo fece girare un paio di volte sopra il fuoco e poi lo passò all’amica. A Amy ripresero a tremare le mani. Il suo sguardo passava dall’ago, allo squarcio nel braccio, agli occhi di Anne e Mary, poi a Sara. Piangeva come una bambina tenendo il braccio sano dello stalliere.

Per ultimo guardò Lucas. Il suo sguardo era spento, non le ricordava nemmeno un po’ lo stalliere strafottente che era di solito.

Raccolse tutto il coraggio, ed espirò profondamente. Trattenendo il fiato, infilò con decisione l’ago nel braccio del ragazzo. Lucas ebbe solo un piccolo sussulto nella mano, ma Anne la teneva ben ferma. Mary, svelta continuava a tamponare il sangue che usciva a fiotti.

 *

Poco dopo Amy, tremante, lasciò cadere l’ago e Anne si mise a bendare il braccio.

Ce l’aveva fatta. Con gesto rapido Mary tagliò il filo e la benda.

Anne sorrise a Sara, che praticamente non si accorse dell’abbraccio in cui Mary la stava stringendo. Continuava a tenere d’occhio la benda, come se da un momento all’altro la ferita avesse ripreso a sanguinare.

“andrà tutto bene …” mormorò la donna, poi gettò uno sguardo a Amy e uscì.

Le ragazze non riuscirono a capire come mai Sara si fosse data tanta pena per Lucas. Lo conosceva da meno di un’ora, nemmeno Anne aveva ancora versato una lacrima.

Forse la piratessa di ghiaccio cominciava a sciogliersi, e il caldo sguardo di Lucas ne era l’artefice. Anne sorrise all’idea di Sara innamorata, ma non aveva molto di ridere. Lucas era pallido e smunto, respirava a fatica.

Con un pugnale Anne tagliò le cinghie che lo tenevano legato, e il suo corpo di rilassò.

Sara probabilmente stava proprio iniziando a sciogliersi, perché decretò che sarebbe rimasta tutto il tempo accanto al ragazzo fino a che non sarebbe migliorato e non volle sentire ragioni.  

Le ragazze pulirono tutto il sangue, ma Lucas fu lasciato sul tavolo. Sara dopo poco tempo si già era addormentata sul braccio sano dello stalliere. Continuava a ripetersi che era colpa sua.

 *

Anne ed Amy la lasciarono e uscirono sul ponte, all’aria fresca. C’era il capitano con una strana espressione in volto. “sta bene il ragazzino?” chiese quando lo raggiunsero.

“stava meglio prima …” mormorò Amy, con voce scura.

“quindi tra poco sarà pronto ad andare … giusto?” chiese il capitano con un gesto delle mani.

Amy ed Anne si guardarono, ma fu Amy a parlare: “ci vorrà un po’, potrebbe anche non riuscire a muovere completamente il braccio … e poi è a Sara che dovete chiedere, signore. E’ lei che sembra più scossa.”

Jack la guardò fisso negli occhi. “Sara?” chiese incredulo. “credevo foste state voi ad aggiungere un'altra persona alle mie disgrazie!”

Anne ed Amy erano offese, ma ormai sapevano che il capitano andava preso così. “… sì” commentò Anne.

Lui annuì. “quindi … quello lì … resterà sul mio vascello a lungo?” chiese ciondolando con la testa.

Le ragazze annuirono.

Anche Jack annuì. “siete scese a terra solo per uno stalliere ferito?” chiese dopo una pausa.

“in realtà è stato colpito al nostro posto, mentre eravamo a terra …” spiegò Anne.

“lo so!” ribadì Reckhernam, come se fosse geloso dell’informazione.

“e …” disse Amy cercando di capire cosa voleva dire quella strana persona. Non le piaceva, era abbastanza inquietante.

“insomma … il motivo per cui siete scese a terra … adesso è sulla mia nave? O no?” borbottò il capitano.

“si” osservò soddisfatta Amy. “è qui” concluse Anne.

Il capitano su rapido. Con un gesto veloce sfilò dai capelli di Amy lo spillone di Stephanie e se ne impadronì gelosamente.

“no! ridatemelo!” urlò la ragazza.

“no” rise Jack, con un sorriso maligno. “lo tengo io!” disse alla fine, mentre stava per andarsene.

Amy lo fermò, cambiando argomento. “quando raggiungeremo la Gibraltar?” chiese, pensando a Stephanie.

“è più lontana di quanto pensavamo, entro domani, comunque; ma io non li combatterò mai, in queste condizioni del mare.” Se ne andò con il suo solito rumore metallico attorno.

 *

La mattina seguente il cielo era velato da una cortina di nubi leggere, che ogni tanto oscuravano il sole e rendevano la sua luce pallida e irreale.

Appena Anne si alzò a sedere, il suo pensiero andò a Lucas. Chissà come stava.

Notò che anche Amy si girava nel dormiveglia, così scese e andò a scuoterla. Le disse di andare a controllare Lucas, e Amy accettò di malavoglia.

Appena si alzò sulle mani, il taglio che aveva sulla sinistra bruciò, ma sapeva che non era niente di grave. Le sarebbe rimasta una lunga cicatrice, un po’ come i veri pirati. Non ci fece più caso e seguì Anne nella cabina.

Sara dormiva appoggiata dolcemente sul braccio non ferito di Lucas, il viso rilassato e tranquillo.

Amy sorrise, era così tenera. Non aveva mai immaginato Sara così, soprattutto con il suo nemico, a cui stava per sparare in faccia.

Le dispiaceva svegliarla, ma Sara aveva il sonno leggero, e stava già sbattendo le palpebre.

Si alzò sbadigliando, il viso intorpidito dal sonno. Guardò le ragazze con sguardo appannato. D’istinto si vergognò a farsi trovare a dormire sul braccio di Lucas, che non conosceva, ma sentiva di esserne attratta.

Per sua fortuna anche Lucas, in quel momento si svegliò, e le ragazze si concentrarono su di lui.

“stai bene?” chiese Anne.

Lui annuì, e si schiarì la voce. “sto un po’ scomodo, e non sento il braccio.”

Amy, anche se di malavoglia, si alzò le maniche e tastò la ferita. “è un po’ gonfia, ma è andato tutto bene, malgrado tutto”.

“adesso ti passerà.” mormorò Anne, poco convinta.

Lucas annuì. “fatemi alzare” disse, ma Sara lo fermò. “no! Non puoi! Devi restare qui, fermo!”  gridò.

“ma mi annoio!” protestò il ragazzo, ma la ferita gli faceva troppo male anche per darsi la spinta per alzarsi.

“ti faremo compagnia noi.” propose Sara. Amy era riluttante all’idea, non sopportava nemmeno la presenza di Lucas, malgrado fosse ferito e, in fondo, le avesse salvate.

Lui accettò di malavoglia. “fatemi spostare almeno.” disse.

Amy andò via, dopo un po’ anche Anne la raggiunse nella cabina. Sara rimase con il ragazzo a parlare e intrattenerlo. Era felice di restare con lui da soli.







ciaoo!!

eccomi qua, sono tornata! e sono ancora più entusiasta delle vostre recensioni!! grazie mille, ma nello specifico:

nemesis 18: grazie mille dei complimenti per lo scorso capitolo. non so come mai ho usato la descrizione dei suoni, forse perchè in un temporale è proprio questo che colpisce: i suoni, visto che tutto è buio... escluso per la luce improvvisa ed evanescente dei fulmini... comunque mi sembra ti sia piaciuto, mi fa molto piacere! =) per quanto riguarda la Magia, sono felice che ti intrighi, è una cosa che piace molto anche a me... un po' pirati, un po' maghi... ma proprio UN PO', ovviamente! prima la spada, poi la bacchetta magica! XD mi spiace per gli errori di battitura, ma anche con tutte le letture, riletture, correzioni e altre riletture, mi scappano sempre... sorry! che te ne pare di questo capitolo tutto per Lucas?? fammi sapere...

Rubs: che bello trovare una recensione nuova e di qualcuno che non "conosco"... prima di tutto grazie dei complimenti... mi lusinghi! sono contenta che mary ti piaccia, perchè personalmente non è un personaggio che mi piace molto, e di poco rilievo (secondo la mia visione). mi sono stupida nel vedere che ti ricorda salma hayek in bandidas... ovviamente ho visto quel film, e mi anche dato un po' di ispirazione (vedrai nei capitolo seguenti, soprattutto nella seconda parte!), ma per quanto riguarda i pensonaggi, non ci avevo proprio pensato. sprattutto perchè mi immagino mary un po' diversa... prima di tutto me la vedo castana chiara, e poi con una figura più longilinea (non che salma hayek sia grassa!), ma forse... ecco, più simile a penelope cruz, per capirci... ora basta parlare di mary. pensiamo a jack, che mi sembra di capire somigli molto a Jack Sparrow... n'è vero? spero di dargli maggiore spazio (forse non in questo capitolo, ma più avanti), perchè non sei la prima che mi dice che è un bel personaggio... sono contenta!! =) per quanto riguarda Sara... sì, è proprio lady oscar... sarebbe stato meglio se fosse nata maschio, lo pensa anche lei (nei prossimi capitoli avrà più spazio), ma è così... e si arrangia. per questo fa un po' la "dura", è una personalità un po' ambigua... a volte dolce, a volte scosante... perchè non sa come comportarsi... pirata, o ragazza.... ciurma, o "le tre marie"? ...tra l'altro, molto carino questo modo di chiamarle, infatti l'ho adottato! ecco, per quanto riguarda loro, sono perfettamente d'accordo con te.  amy dovrebbe essere la "perfettina", infatti è quella che risulta più antipatica, mentre anne, che invece dovrebbe essere simpatica e allegra, diventa un po' lagnosa perchè è un personaggio secondario ed effettivamente in questo momento un po' inutile... ma in questo capitolo ha fatto qualcosa! ...ho fatto andare lei a prendere la chiave delle scuderie, quando nella mia immaginazione era Amy, perchè me lo state facendo notare in molti, che amy ha preso completamente la scena, ed è un po' antipatica... spero comunque che almeno anne stia "cambiando"! per quanto riguarda Stephanie ... è vero, in questo momento fa poco, ma solo perchè è prigioniera, quando verrà liberata tornerà sulla scena... e poi lei è una Morgan, capiamoci! sono felice comunque che amy stia cominciando a diventarti simpatica... ma purtroppo, per quanto riguarda i capelli, non so se su una nave pirata sia molto pratico avere i capelli lunghi fino al sedere... per quanto riguarda i poteri magici.. ci vuole tempo, tanto tempo.... ma la maga, adesso è Sara, e lei rimarrà comunque la migliore! per quanto riguarda katherine, stai tranquilla che fino alla seconda parte, non farà molto, se ne acccenna e basta... per lucas.... come mai odioso? certo, la sua ironia non è il massimo, ma questo capitolo, che mi dici? migliora? e poi: Ed... sì, è fantastico... me lo immagino un po' (fisicamente) simile ad Eragon, nel film della Fox, penso che ce l'hai presente... non a caso si chiama come l'attore che interpreta il protagonista nel film ... scusa per questo poema, ma mi piaceva rispondere ad una recensione così lunga con altrettante risposte... 

Hivy: peccato che ci godi, ma come ho spiegato a Nemesis 18, non posso farci nulla per gli errori, sono un DANNO!! anche se i tuoi commenti malefici... sono effettivamente malefici, mi fanno ridere, quindi GRAZIE!! sono feice che i personaggi ti piacciono!! ...e scusa se questo capitolo è molto lungo!!

cabol: grazie mille per i complimenti! mi dispiace di pubblicare così velocemente, ma è solo perchè questi capitoli ce li ho già scritti, e mi bastano due clic e sono a posto... comunque mi ripeto: grazie dei complimenti! mi piace descrivere i temporali e i paesaggi, anche se alcune volte mi sembra di essere un po' noiosa... lo stesso vale per i personaggi! mi sarebbe piaciuto creare un "bel" cattivo, e nel prossimo capitolo il capitano della Gibraltar avrà ancora più spazio...

Satomi: scusa se non ti ho nominata prima, ho notato adesso le tue recensioni. devo ammettere che leggere le tue recensioni non mi ha proprio reso felice, ma hai fatto benissimo a farmi notare tutte queste cose. di alcune ne ero a conoscenza (non sono proprio sprovveduta), ma questa storia mi è nata in testa molto tempo fa, e l'ho anche scritta tampo fa. quindi, penso sia anche per questo che è un po' "infantile". mi dispiace che non ti piaccia molto, ma sono felice che malgrado tutto continui a leggerla. di sicuro non penso di "ammazzare" un genere pubblicando questa innocente fanfiction, che comunque mi ha reso molto orgogliosa. alcuni problemi comuqnue, li avevo notati anche io, e so che il tutto ha bisogno di una rilettura, ma non mi andava di fermare la pubblicazione, anche perchè altre persone (malgrado tutto) la continuano a seguire. appena avrò terminato di pubblicare (manca solo il 20^ capitolo) la risistemerò, spero di fare un lavoro migliore. un altra piccola puntualizzazione. è vero, per Rachel Bonny e Mary ho preso ispiraizone dalle famose piratesse, ma più che altro per una questione di nomi. essendo una storia "originale di avventura" penso di essere libera di inventare ciò che più mi piace, altrimenti avrei scritto per uno "storico", come comunque ho già fatto. comunque grazie delle puntualizzazioni, ciaoo
ora chiudo...

grazie a tutti, grazie veramente ...

ciaooo =)

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Capitolo 17
*** La prima battaglia ***


Deathbearer - cap16 - la prima battaglia

La prima battaglia.

Amy si svegliò insieme a Anne nel primo pomeriggio. Non aveva mai dormito tanto, ma era contenta di averlo fatto. Adesso poteva stare sveglia tutta un'altra notte, sapendo che prima o poi avrebbero incontrato la Gibraltar. Molto probabilmente le onde di burrasca li avevano portati al largo, e ci sarebbe voluto un giorno per averli ai cannoni, infatti erano già sulla loro scia e a prua vedevano la sagoma informe della caracca di Crowley.

Le ragazze uscirono sul ponte, dove i marinai si affannavano a orientale le vele, per andare più veloci.

Amy pensò che Sara doveva essere ancora con Lucas.

Era un pomeriggio tranquillo e calmo. Non troppo caldo, mitigato dal vento fresco che li spostava sulla cresta delle onde.

Amy notò Ed seduto sul parapetto, con lo sguardo fisso nel vuoto. Era pensieroso, ma lei non ci fece caso. “come va?” Esordì.

Lui non rispose subito. “entro domani mattina al massimo ci scontreremo con la Gibraltar” disse dopo un po’, con voce bassa.

“va bene …” mormorò Amy soprapensiero, osservandolo attentamente. Aveva una strana espressione. Era pensieroso e la cosa non le piaceva. Non riuscì a indagare oltre perché Sara comparve alle loro spalle. Anne si informò subito sulle condizioni di Lucas.

L’altra alzò le spalle. “tutto bene, adesso dorme.” Poi guardò Amy. “è simpatico …” sussurrò. Lei le sorrise, ma non ci pensò troppo.

Tra loro calò il silenzio. Il fragore continuo delle onde fu interrotto dall’urlo del nostromo. “si può sapere che fine ha fatto la vedetta?!”

Ed alzò gli occhi al cielo. “scusate …” mormorò, poi guardò Amy. “devo andare.” Mentre si alzava le strinse un poco la mano, ma Amy la trovò stranamente fredda. Si chiese con una stretta al cuore se avesse paura della battaglia. E se aveva paura lui, lei cosa avrebbe dovuto fare?

“che cos’ha?” chiese a Sara.

Lei alzò le spalle. “è sempre così prima di una battaglia.” La guardò profondamente. “ma tutti ci facciamo la stessa domanda.”

“quale?” volle sapere Anne.

Sara la guardò intensamente. “se sarà l’ultima.”

Cadde un silenzio sinistro, ma Sara provò a parlare di altro. “come facciamo con Lucas durante la battaglia? Non è in grado di combattere. Dobbiamo nasconderlo da qualche parte.” Ci pensò un attimo, poi ordinò. “aiutatemi, di qua.”

Si avviò, mentre Anne chiamava Amy. Lei guardò un attimo in alto, tra le vele, con sguardo malinconico, poi la seguì senza una parola.

 *

La notte scese silenziosa e la luce argentata della luna illuminò tutto il ponte.

Le acque del mare infuriavano in modo spaventoso sotto il Deathbearer e le onde si scontravano contro lo scafo con fragore e schizzi tanto forti da bagnare i marinai sul ponte.

La sagoma informe della Gibraltar si stagliava ormai a poco dalla nave, ma le ragazze avrebbero preferito affrontarla alla luce del sole. La notte rendeva tutto inquietante e il silenzio era spettrale.

Prima di prepararsi per la battaglia Lucas era stato portato nella stiva e nascosto tra delle coperte e dei barili vuoti. Era sveglio e lo sarebbe stato per tutta la durata dello scontro, spaventato e dolorante.

Il capitano aveva dato ordine di prepararsi in ogni modo alla battaglia. I cannoni erano carichi e tutte le armi della nave erano sistemati in vista, così da essere subito recepibili.

Amy notò Ed poco distante, intento a caricare alcune pistole. “che avevi prima?” chiese facendosi coraggio.

“sinceramente non so che mi ha preso … mi sono messo a pensare … scusami.” Rispose lui.

Amy alzò le spalle.

“non vorrei aver contagiato anche te …” provò a dire il ragazzo.

Lei scosse la testa, ma guardò in basso. “figurati … sai che mi suggestiono da sola …”

Ed la prese per un braccio. “stai attenta.” Disse, come aveva fatto prima del ritorno a Port-au-Prince.

“anche tu …” mormorò lei, ma la sua voce era toppo bassa per sentirla.

Lo guardò allontanarsi come se fosse l’ultima volta che lo vedeva. Amy provò a guardare in alto. Anche Sara stava salendo sull’albero. Provò una stretta al petto. Non riusciva a capacitarsi, ma nel suo cuore, oltre all’ansia, si era aggiunta anche una paura folle e un brutto presentimento. Scosse la testa e cercò di liberare la mente.

Ed e Sara, arrivati sulla coffa, si erano legati con una mano a delle funi tese e con l’altra erano pronti a sparare. Il ragazzo però continuava a guardare in basso, sul ponte.

Sara lo trovava patetico. Alzò veloce il braccio libero e lo colpì dietro al collo, sonoramente. “concentrati” gli urlò. Lui  la guardò male, ma non disse niente. Era sempre stata una maestra nel sciogliere la tensione e lui adesso aveva solo voglia di ridere. Riuscì a trattenersi concentrandosi sul fragore delle onde e il sibilo del vento.

Si voltarono, e dal silenzio di tomba che aleggiava sul ponte si capiva che la battaglia era imminente.

I fuochi dei lunghi bastoni dei cannonieri illuminavano i ponti e i visi dei marinai, creando luci e ombre da far tremare di terrore. Anche Amy tremava, ma per il vento gelido che tirava da est, portando con sé nuovi nuvoloni preannuncianti la burrasca. Le onde sugli scafi delle due navi rompevano lo spettrale silenzio che circondava i vascelli.

Pochi minuti ed erano praticamente bordo a bordo.

I cannonieri erano accucciati vicino alle loro armi e si tenevano all’erta.

Amy, senza badarci, si spostava sempre più indietro, tra la folla, perché aveva paura come non le era mai successo di averne. Sentiva il cuore batterle come un tamburo dentro le orecchie e tutti gli altri rumori erano ovattati, c’era solo quel battito, possente, le sembrava di impazzire.

Anne la seguiva camminando all’indietro con le mani tremanti che impugnavano la spada, un moschetto nella cintura e una coltellaccio infilato nella manica. La cosa che le dava più fastidio era la pistola, che le impediva di respirare normalmente. Il pugnale era solita tenerlo nella manica, o sotto la gonna, soprattutto nei posti affollati e non le dava problemi. Avevano le mani sudate e stavano gelando.

Il vento soffiava a sibilava impetuoso. Il mare era pronto alla tempesta. Se fosse stato giorno e le ragazze avessero passeggiato sulla spiaggia con quelle onde sarebbero state subito bagnate fino ai fianchi, ma forse non sarebbero uscite vedendo le nuvole nere che oscuravano la luna e le stelle brillanti della notte.

Anne si stava guardando intorno battendo i denti, quando notò che cominciò a piovere. “ci mancava solo questo!” pensò, e fu la stessa frase che attraversò i pensieri di Sara, in quel momento. Era tesa per la battaglia, ma non esageratamente. Si trovò a pensare alle ragazze, a quello che dovevano provare in quel momento. Sperò in meglio e alzò gli occhi al cielo. Dovette abbassarli subito per l’acqua gelida che pioveva.

Amy era terrorizzata. I ciuffi castani dei suoi capelli le ricadevano davanti alla faccia mossi dal vento e non vedeva molto bene. Quando trovava il coraggio di muovere una mano per spostarli le tornavano davanti e non osava muoversi ancora. Le sembrava che un marinaio dalla Gibraltar la stesse fissando con fare maligno e agguerrito e lei si sentiva piccola come una formica nelle immense distese oceaniche in cui si trovava su quella nave.

Se solo fosse corsa via quando Mary l’aveva fermata per la strada … Si ritrovò a pensare a quello che faceva prima, e riuscì a stento a non piangere.

Quella vita era quello che sognava, ma la realtà di quell’istante la atterriva. Era l’unico pensiero che le rimbombava nella testa, pensava a come sarebbero state Anne e Stephanie se lei fosse rimasta a casa quel giorno e forse anche quella sera dove aveva visto per la prima volta il veliero pirata.

 *

Stephanie era nella sua cella completamente immobile. Quel silenzio non le piaceva nemmeno un po’. Aveva ascoltato il cannonieri prepararsi, i marinai e tutta la ciurma, ma voleva sapere della battaglia.

Per sua fortuna il capitano aveva ordinato alla guardia di andarla a liberare, per usarla come esca, e lui stava scendendo mestamente la scale.

Stephanie lo vide arrivare dal fondo del corridoio. Sentiva il tintinnio delle chiavi che teneva nella mano. Stava per liberarla. Si crogiolò all’idea di rivedere la luce del sole, ma poi tornò lucida. Doveva scappare e liberarsi da sola, non aspettare di essere liberata come la principessina delle favole. Non poteva fare il gioco di Crowley.

Si appoggiò alla branda e si spinse in un angolo. La catena scricchiolò. Tese le orecchie, il cuore prese a correre.

Silenzio. Lei sospirò.

Prese con una mano tremante una delle assi della branda. I chiodi erano staccati e il legno marcio e unto. Si spostò lontana dalla trave e tirò con decisione.

L’asse si staccò senza problemi per un buon mezzo metro, poi si spezzò con un mare di schegge.

Stephanie temette per il rumore, ma visto che non aveva sentito mutamenti, prese l’asse e la riappoggiò al suo posto. Coprì con la gonna la parte spezzata e finse con la guardia di non avere idea di quello che stava succedendo.

La guardia aprì la porta della cella e la lasciò aperta alle sue spalle. Gli occhi di Stephanie brillarono alla luce della libertà.

Sospirò e chiese cosa succedeva con voce sottile.

Il pirata grugnì e si avvicinò alla gamba della ragazza con la chiave pronta.

“che fate?” chiese Stephanie d’istinto, ritirandosi.

“secondo te?” chiese lui con una smorfia, e alzò la chiave.

La ragazza allungò la gamba e preparò la tavola di legno con un gesto silenziosissimo.

L’uomo si chinò sulla caviglia di Stephanie e le diede le spalle.

Appena sentì la catena distendersi, la ragazza sferrò alla guardia una ginocchiata in piena faccia con tutta la forza che aveva e molto probabilmente gli ruppe il naso.

Lui lasciò cadere il mazzo di chiavi urlando. Si voltò di getto e Stephanie lo colpì forte sulla nuca con l’asse di legno. L’uomo cadde a terra senza un gemito.

Svelta, la ragazza raccolse la chiavi e si chiuse la porta della cella alle spalle.

Stringeva ancora la sua asse di legno in una mano mentre correva più veloce e silenziosamente che poteva, con il cuore in gola, accompagnata dal sibilo della gonna che strisciava contro le pareti.

Ce l’aveva fatta, stava guadagnando passo dopo passo la libertà, e lo faceva da sola.

 *

Jack era fermo in piedi sul parapetto mentre si teneva con una mano ad un cavo e nell’altra la spada. Dietro di lui si ergeva il nostromo e Mary era davanti al timone. Il capitano aveva apparentemente lo sguardo preso nel vuoto, ma nella sua testa i pensieri nuotavano come pesci veloci e ordinava ogni tanto qualcosa al nostromo, che ubbidiva prontamente. Intanto, fissava Crowley dritto negli occhi.

Il capitano della Gibraltar era un olandese alto e abbastanza robusto, con occhi di ghiaccio crudeli come la morte, il naso grosso e la bocca informe. Il viso  era scarno e bruciato dal sole, gli zigomi infossati e spellati. Portava un grande cappello nero con una bandana, ma non sembrava avere molti capelli, tranne alcuni lunghi ciuffi argentati e spenti, bagnati e gocciolanti, che sembrava stessero per abbandonare la testa del capitano e posarsi sul ponte, come se fossero stanchi di essere i capelli di una pirata.

Per il resto era il tipico pirata di cui si racconta, malvagio e spietato.

Improvvisamente Reckhernam si mosse e sembrò annusare l’aria elettrica. Dopo un attimo di riflessione, si voltò. “nostromo!” sibilò.

Il nostromo fece un passo avanti impettito e attese che il superiore formulasse un ordine.

“al primo tuono, fate fuoco.”

Il nostromo si voltò e attese. “prepararsi alla bordata!” urlò.

Non ci volle molto.

Anche Crowley sbraitò qualcosa alla ciurma del tipo: “branco di cani rognosi! … Preparatevi alla battaglia feccia disumana!! … Non voglio prigionieri!!”

Anne non era sicura di aver sentito bene, ma quello che sospettava le bastava per farsi sempre più vicina a Amy, che le strinse forte una mano.

I boati creati dalle onde si amplificavano nella stiva, dove i cannonieri, stipati nell’angusto spazio tra i cannoni, aspettavano l’ordine, uno con le orecchie tappate e pronto a ricaricare, l’altro con la fiaccola in mano pronto per fare fuoco.

 *

Avvenne tutto molto velocemente.

Il cielo fu squarciato da un lampo lungo e luminoso, la luna e le stelle non c’erano praticamente più e quella era l’unica fonte di luce.

In quel secondo di luce, Amy scorse il volto di Anne, tirato per cercare di non soccombere al terrore, posto in un espressione che non aveva mai visto sul suo viso. Era un’espressione da pirata.

Rabbrividì. Forse per il freddo, per la paura, il terrore.

Poco dopo la saetta, scoppiò anche il boato del tuono, che fece trasalire Amy.

 *

Jack si voltò. “fuoco!” urlò, con la voce del nostromo e di Crowley che ripetevano lo stesso ordine.

I cannonieri abbassarono le fiaccole e il fuoco accese lo stoppino sul cannone.

La bombarda scattò all’indietro rotolando sulle ruote del piedistallo sotto gli occhi di Anne. Le navi si accesero di fuoco in ogni boccaporto e la palle micidiali andarono a colpire rovinosamente lo scafo avversario.

I colpi, sul Deathbearer, non arrivarono simultaneamente, ma purtroppo andarono tutti a segno sulla nave, già mal ridotta. Anche la caracca avversaria, però, constatò numerosi danni.

Amy, all’arrivo della cannonate, tese la spada e tutti i muscoli del corpo, ma l’impatto violento dei proiettili la fece cadere rovinosamente a terra più volte. Non faceva in tempo ad alzarsi che le sue gambe cedevano e si ritrovava ancora bocconi sul ponte. Era una cosa snervante.

Erano tutti completamente bagnati e Amy fece uno sforzo immane per alzarsi di nuovo in piedi, quando i cannonieri stavano ricaricando le bombarde.

Anne era al suo fianco e lei le urlò sopra la tempesta: “vai a prendere Stephanie, io ti copro le spalle!”

Anne la guardò fissa negli occhi, poi cominciò a correre.

Alcuni marinai si erano già avventurati a prendere delle corde e saltare dal parapetto, ma Anne fu costretta. Sparò un colpo ad un uomo e prese la corda che stava usando. Si diede una spinta e senza respirare attraversò la striscia di mare che divideva le due navi in battaglia.

 *

Il Jolly Roger dominava la scena dall’alto dell’albero maestro, con Sara legata con la corda per non precipitare. Con tutto quello che trovava, sparava ai nemici che raggiungevano il veliero e molte volte salvò Amy da un pirata alle spalle, o togliendole uno dei tanti che la affrontavano.

Dopo che Sara ebbe fatto piazza pulita di tutti i suoi avversari, ci fu un momento di calma.

Amy osò abbassare la spada di poco e si guardò intorno.

Arrivò un pirata di corsa e lo evitò, lui finì a terra picchiando la testa e non si mosse più.

Poi arrivò un altro. Sara la fissò, pronta a sparare se ce ne fosse stato bisogno.

Lui si fermò e abbassò la spada.

Amy invece la alzò come le aveva detto Sara e si preparò ad attaccare, ma per un attimo si fissarono negli occhi. Un ricordo affiorava nella mente di Amy.

Il nemico parlò. Nessuno l’aveva ancora fatto. “tu … rimpiangi la tua casa e dai l’estremo saluto ai tuoi …” biascicò.

Amy rimase bloccata a quelle parole. Lo guardò mentre pensava solo a Katherine. Quell’uomo lo aveva già visto, era al porto. Doveva sapere di lei. Tremò, e una lacrima comparve dai suoi occhi. Lui stava per colpirla, ma la ragazza restò immobile. Sara sparò un colpo e quello crollò a terra con la spada ancora in pugno.

La piratessa scese sul ponte e scosse Amy per una spalla.

Amy cominciò a discutere mentre, insieme a Sara, affrontava i corpo a corpo.

“Sara! …” cominciò Amy “quell’uomo ha detto qualcosa di Katherine, ne sono sicura …”

Fu interrotta da Sara: “sicura che stava per ammazzarti. Non ti lasciare impressionare, riprenditi, stavi andando così bene!” disse tra un fendente e l’altro.

“mi ha detto di porgere l’estremo saluto ai miei!” strillò Amy.

“voleva solo distrarti, e ci è riuscito! Quello non sapeva niente di Katherine!” sbraitò Sara.

“io lo avevo già visto, al porto! Sara, quelli hanno Katherine, ne sono certa! Lei non c’era nella villa!” e sentì che stava per piangere.

“non ci pensare, non è vero!”

Amy provò a dire qualcosa, ma Sara era già corsa via. Dovette difendersi da sola di nuovo, tremando. Non riuscì a capacitarsi di come uccideva senza rimorso. In quel momento però, aveva solo Katherine per la mente, e voleva che Sara sapesse. La rincorse in un momento di calma, e la fermò prendendola per un polso. “Sara, ascoltami … se quelli mi conoscono e sanno di Katherine …”

“sono pirati. Non sanno niente di te. E nemmeno di casa tua. Non c’è pericolo.” concluse Sara evasiva, anche se nel profondo era molto meno sicura di quello che diceva. Si allontanò da Amy per non dare a vedere il suo dubbio.

 *

Stephanie aveva sentito tutti i colpi di cannone amplificati nella stiva.

Le prima volta ruzzolò sulle scale e si rialzò con fatica immane.

Arrivò al primo piano della stiva, quello più vicino al ponte. Nessun0 badava a lei, ma i pirati si guardavano sempre intorno e doveva nascondersi ogni volta.

Vide la botola per uscire allo scoperto e vi si precipitò. Venne sbalzata di sotto da un colpo particolarmente violento e gemette di dolore.

L’asse di legno le scivolò dalle dita e lei cercò di seguirla a gattoni.

In mezzo al ponte era sistemato un basso baule di armi.

Quelle erano molto più utili di una trave di legno marcio. Prese con foga una pistola, anche se non sapeva usarla, un pugnale che infilò sotto la gonna e un falcione ricurvo dalla lama lucente.

Raggiunse la scale in fretta e salì sul ponte preceduta dalla sua spada.

Era veramente pesante e non sapeva nemmeno da che parte tenerla, ma la paura la faceva avanzare correndo verso il parapetto.

Un pirata del Deathbearer le si buttò contro, riconoscendola come amica.

Le strappò il falcione dalle mani e le ordinò di tenere la testa bassa.

Lei si nascose velocemente dietro una cassa mentre osservava il pirata battersi con la sua spada.

Erano in cinque e lo circondavano sghignazzando.

Osservò che aveva circa la sua età e che era solo un ragazzo. Lo guardò spaventata. Il ragazzo affrontava i cinque con il falcione e tutte le armi che trovava sul ponte, già viscido di sangue.

Ferì un uomo alla testa con un colpo fortissimo, si voltò di scatto e tagliò la testa a un secondo in un istante. Si abbassò in un lampo e mentre si alzava affondava una spada nel petto del terzo. Due scarti e un fendente, e anche il quarto era caduto.

Il ragazzo cominciò un duello serrato tra colpi e scarti.

Purtroppo il suo avversario era molto forte e preparato. Lo disarmò e lo buttò a terra con un pugno.

Il ragazzo lo guardò con odio mentre si passava una mano sul labbro sanguinante.

Il falcione era scivolato vicino alla cassa di Stephanie.

Il pirata nemmeno se ne era accorto e teneva la spada alla gola del ragazzo. Stava per colpirlo, quando la punta di una spada comparve nel suo petto e lui cadde in avanti, morto.

Anne lo aveva ucciso trafiggendolo da parte a parte con la sua spada. Quando Stephanie la vide non riuscì a capacitarsene. La ragazza rabbrividì e poi scomparve. Tutto quello che doveva fare era trovare Stephanie. Non sapeva che lei l’aveva vista, bloccata dal terrore, dietro una cassa a due metri da una pigna di cadaveri caduti in pochi minuti.

Il ragazzo si alzò in un balzo e prese tutte la armi che lo circondavano.

Tornò indietro e spostò la cassa.

Stephanie stava raggomitolata nel buio e ancora aveva negli occhi l’immagine di Anne che uccideva il pirata con la sua spada. Era veramente lei?

Il ragazzo si abbassò e la costrinse ad alzarsi.

“vai sul Deathbearer …  vai da Amy. Ti stanno cercando.” disse e le mise in mano la spada, poi la spinse via. “chi sei?” urlò Stephanie, ma il ragazzo si era già buttato in un nuovo duello.

Stephanie allora decise di fare quello che le era stato detto. Saltò sul parapetto e si buttò giù tenendosi a una corda.

 *

Anche Mary stava affrontando l’altro equipaggio, dalla Gibraltar, ma sapeva che non avrebbero resistito ancora per molto, Sara se ne sarebbe accorta, se fosse stata zitta per una volta.

Non capiva perché andava tutto così storto.

Erano abbastanza forti da non lasciarsi sopraffare, lo sapeva. Eppure le onde erano forti, la tempesta si era placata, ma la battaglia continuava, e si notava sempre più che prima o poi gli uomini del Deathbearer avrebbero dovuto soccombere.

Ogni fendente tirato, ogni sciabolata, lei guardava speranzosa le onde, ma Sara non azzardava ad usare la Magia. Lo sapeva benissimo anche lei che era pericoloso, ma non c’era altra soluzione.

A quel punto anche Crowley si rese conto che ormai aveva vinto e si accinse a raggiungere il timone dalla sua nuova vittoria. Ma c’era ancora un ostacolo che doveva superare. Sara gli si era parata davanti e non osava spostarsi. Ci mise un secondo e poi si buttò contro quella stupida ragazzina, ma lei continuava a sbarragli la strada.

 *

Anne correva sul ponte della Gibraltar senza più fiato.

Doveva scendere a prendere Stephanie. La nave aveva subito numerosi colpi e pendeva verso il Deathbearer.

Le si parò davanti un uomo orribile, che sicuramente si era già scontrato con qualcun altro, gli usciva il sangue dalla bocca e aveva la camicia macchiata in più punti .

Però non la lasciava passare: “non mi scontrerò con una donzella!” rise, ma non era una risata di scherno, sembrava più la risata di un disperato, Anne non rifletté un attimo. Un folle non le avrebbe evitato di salvare la sua amica! Era troppo vicina per perdere. Gli si buttò contro la spada davanti a sé. Lo trafisse completamente e si sentì orribile. Si accorse soltanto dopo di aver urlato: “sarà più divertente allora!”.

Si sentì ancora peggio.

Le venne da vomitare ma evitò il pensiero e si diresse sotto coperta di corsa.

Molte persone ancora la affrontarono ma lei vinse, con qualche graffio e non pochi dolori.

Scese ancora le scale sempre più velocemente, ma un po’ si lasciava spostare da movimento della onde impetuose.

Arrivò in un lungo corridoio deserto. Da tutte e due le parti c’erano file di celle puzzolenti e aveva i piedi immersi fino alle caviglie in un misto tra acqua di mare, pioggia e altro che lei non volle capire.

Cominciò ad urlare il nome della sua amica, non le interessava se fosse stata notata.

Di risposta subito ebbe solo un gemito sommesso, poi corse verso il fondo. C’era un uomo svenuto in una cella. Era un pirata della Gibraltar e lo lasciò lì.

Non c’era traccia di Stephanie, così sperò che fosse scappata e non che avesse fatto una brutta fine.

Ritornò sul ponte e trovò Ed che si scontrava con un pirata.

Il ragazzo lo uccise con un colpo e le corse incontro. “la tua amica è libera. Trovala, o sarà finita qui.” Le gridò ancora da lontano e lei si avvicinò al parapetto.

Stephanie dondolava da una corda in mezzo al mare.

Anche la ragazza castana la vide, poi piangendo  e urlando, cadde in acqua.

Anne saltò sul parapetto, prese un profondo respiro e si tuffò.

All’inizio sentì solo la pelle pungere e pensò di essersi buttata in un mare di ghiaccio a piccolissimi pezzi.

Ritrovò la calma e prese Stephanie per un braccio e aiutandola a raggiungere la superficie. Sapeva quanto era pesante un abito di damasco bagnato.

Spuntarono simultaneamente sul pelo dell’acqua e si diressero a grandi bracciate verso il veliero.

Continuava a trascinare Stephanie, anche se lei non aveva più bisogno di aiuto. Vide che da un boccaporto  più in basso, sul Deathbearer, vicino al pelo dell’acqua spuntava, una faccia conosciuta che gli tendeva la mano. Amy urlò qualcosa e si sporse ancora di più. Aiutò a far salire Stephanie, poi le gettò le braccia al collo.

Anne preferì guardare quello che ne era della battaglia.

Davanti a lei c’era la Gibraltar, praticamente rovesciata verso di loro, due alberi spezzati e numerose falle nello scafo. Poi Anne notò che la caracca nemica sobbalzava al ritmo dei frangenti sempre più forti.

Il suo cuore perse un colpo.

Un’onda fortissima si infranse sulla Gibraltar.

Anche sul Deathbearer l’onda fece rotolare i pirati.

Quando Anne capì di nuovo dov’era il sopra, il sotto e la destra e la sinistra, si riaffacciò al boccaporto e vide la Gibraltar che affondava tra i flutti. “Magia …” pensò istintivamente.

Era pieni di tanti sentimenti, era contenta, euforica, me non riusciva a capire perché uno strano presentimento la obbligava a tenere i sensi vigili. In fondo non era ancora finita.

Tutti sul ponte si erano accorti del cambiamento, osservando con occhi e bocche spalancati il vascello di Crowley che affondava lentamente, nascosto in parte dal fumo e dalla leggera nebbiolina che si stava alzando dal mare.

La Gibraltar non esisteva più, ma Crowley nemmeno se ne era accorto, occupato a disarmare Sara. La ragazza aveva fatto uno sforzo immane per usare la Magia restando presente a sé stessa, ma per fortuna aveva funzionato, e oltre ad aver affondato la nave era ancora viva.

Continuava a combattere con Crowley, al timone. Lui ringhiava ogni volta che lei lo spingeva indietro, ma era molto più forte e lei si fece molto male picchiando ripetutamente contro il legno. Ogni volta però si rialzava e si lanciava ancora contro l’avversario a spada tratta. Mai una volta che la sua guardia fosse scoperta. Provò con una giravolta, ma non bastò perché il pirata le assestò un duro colpo tra le scapole che la fece ruzzolare faccia a terra. Cercò di alzarsi il più velocemente possibile mentre cercava di ignorare il dolore, ma praticamente era impossibile. Aveva il fiato grosso e cominciava a vederci male. Si voltò traballando e con quel poco di lucidità che le rimaneva urlò: “guarda la tua nave, vecchio!”

Crowley non ci badò, e riuscì a disarmarla con gli occhi iniettati di sangue: “brutta strega!” ringhiò e le mollò un sonoro ceffone che la fece ruzzolare sul ponte a faccia in giù. Sara gemette, ma non mollava. Voltò subito la testa e rotolò su un fianco. Tremava, non riusciva a capirlo bene, ma aveva paura. Paura di morire. Continuava a dirsi: “adesso è finita … finita …”

Stava per raggiungere la spada quando un piede calzato da uno stivale gliela lanciò via. Sara gemette di nuovo e provò a raggiungerla, ma era inutile.

Crowley, con lo sguardo più infuriato che mai, impugnò la pistola e sul suo viso sfregiato comparve un ghigno malefico.

Puntò la pistola in faccia a Sara e allora lei si sentì persa. Pensò veramente che sarebbe morta. Aveva combattuto tante battaglie, ma non era mai arrivata a dirsi che tutto era perduto. Ripensò a quello che avrebbe lasciato, e prima di chiudere gli occhi, urlò. La prima cosa che le vene in mente: “… Amy!!! …”

Poi quel rumore.

Il rumore di un colpo sparato da una pistola.

Quel suono le penetrò dalle orecchie fino alla mente, e le bloccò ogni pensiero, ogni movimento. Il respiro le si mozzò in gola, il sangue le si gelò nelle vene e il cuore che sembrava un tamburo nella sua testa, si zittì. Persino l’aria sembrava essersi immobilizzata, e per un istante rimase tesa e pesante.

Sara non sapeva com’era sentirsi morire, ma qualche secondo dopo lei era ancora viva e vegeta. Non riusciva a capacitarsene.

Gli occhi di Crowley fu come se si appannarono, e crollò a terra, come se le gambe non lo reggessero più, con gli arti piegati in modo innaturale. Una macchia rossa si allargava sul suo petto all’altezza del cuore e giaceva in una già ampia pozza di sangue.

Sara scosse le spalle, come per testare se avesse ancora un corpo. Solo allora capì che cosa era successo. Non avevano sparato a lei, e Crowley era morto.

Aveva ancora la paura tutta intorno a sé, come un alone che la circondava ed era terrorizzata al’idea di voltarsi. Piano raccolse tutto il coraggio che le restava e si girò. Era come se non si muovesse da anni, da quanto era rigida. Vide una nuvola di fumo spostato dal vento e una figura ancora che la pistola puntata. Dal buio non riusciva ancora a vederla bene, o forse era la paura che le oscurava la vista?

Una nuvola liberò la luna dal buio e vide Jack Reckhernam che fissava il cadavere. Il capitano allargò la morsa sul grilletto e abbassò l’arma senza piegare nemmeno un po’ il braccio.

Sara lasciò andare un lungo respiro, che non si era accorta di trattenere.

Il capitano del Deathbearer puntò i suoi occhi scuri e penetranti su di lei.

Sara era bianca come un lenzuolo e aveva gli occhi rossi. Tremava vistosamente e le lacrime le rigavano le guance. L’ abbronzatura coloro miele era scomparsa e lui vedeva solo una bambina impaurita con gli occhi spenti.

Poi si voltò e osservò Mary, con uno sguardo denso di sottintesi che solo loro capirono. Sara la guardò, e nei suoi occhi vide un scintilla, una luce diversa dal solito. Qualcosa che non capiva cosa fosse, ma la faceva sentire bene.

Sara passò lo sguardo da uno all’altro, poi si concentrò su i pesanti passi di corsa che sopraggiungevano. Amy comparve dalla botola sul ponte e si buttò a terra accanto a lei gettandole le braccia al collo. Per un po’ rimase solo a ripetere il suo nome, lentamente, mentre Sara si stringeva a lei, ma cercava comunque di nascondere le lacrime. Si pulì il viso poi cercò di staccarsi da Amy. “avevo un brutto presentimento! Io lo sapevo che sarebbe successo qualcosa!” singhiozzava Amy. “lo sapevo! Lo sapevo! Quando mi hai chiamata sono rimasta di pietra … era terrorizzata. Oh, Sara, se ti fosse successo qualcosa!”

Sara fece una smorfia per nascondere gli occhi lucidi. “ma non è successo niente, sto bene e sono viva.” Disse, con voce calma.

“non so cosa avrei fatto se fossi morta!” continuò Amy.

Sara la abbracciò. Quelle parole le fecero tornare le lacrime agli occhi. “nemmeno io, Amy … nemmeno io …” mormorò, mentre la stringeva ancora e non tratteneva più le lacrime.

Mentre il relitto della Gibraltar affondava nella acque scure, un vento impetuoso sospingeva il Deathbearer a continuare il viaggio verso il sole nascente.











ciao!!

allora? questo capitolo? che ne dite, vi piace un po' di azione??

Satomi: immagino che questo capitolo non ti sia piaciuto per niente ... non posso dire che sono felice di leggere le tue recensioni, e mi fai notare ogni volta altri errori e incongruenze. te ne sono grata, ma se questa storia non ti piace puoi anche lasciar perdere, perchè appena ne avrò modo,e tempo, cercherò di rimetterla a posto. usando anche tutti i tuoi consigli.

Nemesis 18: grazie mille dei complimenti, mi fa tantissimo piacere sapere che il vecchio capitolo mi è venuto bene! avevo paura che fosse un po' troppo lungo e palloso...per quanto riguarda i personaggi-supereroi, questi proprio non lo sono, me no male! sono felice che quella frase ti abbia colpita, spiega abbastanza bene i sentimenti di sara, no? bhè, anche la parte di Ed e Amy mi soddisfa abbastanza... se devo essere del tutto sincera, nella prima "stesura" della storia, tra Ed e Amy in quel momento doveva esserci un bacio, ma poi l'ho tolto perchè... non so il perchè, ma ti prego, non mi venire a cercare con l'Ascia da Guerra, tu sei quella che tiene per Sara&Lucas, ti ricordo!! scherzo... comunque grazieee!!!

Rubs: grazie dei tuoi complimenti, e delle tue recensioni così lunghe e dettagliate, mi fa tantissimo piacere leggerle!! ... per quanto riguarda Ed, è vero: somiglia anche a William Moseley (che figo!), e mi stupisce che tu me l'abbia detto; perchè il nostro pirata, per evitare di dire il suo vero nome, dirà proprio: "William!" è una bella coincidenza, visto che l'ho scritto prima di leggere la tua recensione!! chiudiamo la parte di Ed... come faccio a convincerti che Lucas è un bravo ragazzo? non lo so... bhè, in questo capitolo è un po' inutile, visto che si fa solo nascondere, ma poi farà di più (non ti libererai così facilmente di lui! =) che ne dici della battaglia tra Jack e Crowley, mi è venuta bene? spero veramente che ti sia piaciuta! e in questo capitolo ritroviamo anche Steph!! ..spero che ne sarai felice, è anche una delle mie preferite! ... e ora che Amy ti è diventata simpatica, deve esserlo anche Anne (e non solo perchè non le piace Lucas!)... qui la rossa combatte e salva pure Ed, quindi... è migliorata o rimane lagnosa?? sono molto curiosa di sapere il tuo punto di vista!! 

Hivy: ma povero Lucas!! non va mai bene quello che fa! lo scorso capitolo era tutto per lui, e seconde te viene abbandonato? bhè, qui hai ragione, è un po' abbandonato: ma come fa a combattere con quella ferita? non può... metti che lo feriscono ancora di più? no-no, non si rischia! eh sì , lo ammetto il "tuffo di spanciata" è copiato da Pirati dei Caraibi, ma nessuno di loro è svenuto (quasi, vedi lucas), e poi si salvano... sono comunque contenta che ti sia piaciuto. ultima cosa: scusa se questi capitoli sono molto lunghi, ma sai che io scrivo, scrivo, scrivo... non riesco a fermarmi!

Cabol: grazie dei complimenti, ed è vero: appena posso non rinuncio mai ad intromettermi come "voce fuori campo" che descrive tutto quello che può... sono fatta così, tutto deve essere fatto bene! spero che visto che ora i personaggi sono ben delineati, non comincino a diventare noiosi... che mi dici di questo capitolo??

scusate per questa lunghissima intromissione, giuro che nel prossimo capitolo sarò più breve... alla prossima! ciaoo

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Capitolo 18
*** Rivelazioni - seconda parte ***


Deathbearer - cap17 - rivelazioni parteII

Rivelazioni.

Anne e Stephanie si avvicinarono, Stephanie chiamò Amy piena di gioia e le corse incontro a braccia aperte. Le si buttò addosso e la fece traballare.

Amy era al settimo cielo, il cuore le batteva fortissimo. Era da tanto che non vedeva Stephanie, che non le parlava. Solo il suono della sua voce che la chiamava e ripeteva il suo nome, la faceva sentire meglio.

Avrebbe voluto dirle tante cose, ma non riusciva a parlare.

Stephanie la sciolse dall’abbraccio dopo tanto tempo, e  Amy la guardò con un ampio sorriso sincero.

“finalmente siamo di nuovo noi tre insieme!” gridò Stephanie al colmo della gioia, prendendo anche Anne nell’abbraccio. C’era da capirla, dopo tutto quello che le era successo, doveva proprio essere euforica. “prima quando ci hai aiutato a salire a bordo, quasi nemmeno mi sono accorta che eri tu, Amy!” disse Stephanie guardandola, sempre tenendole le mani. “sei diversa, siete diverse tutte e due! Oh, sono così contenta di rivedervi!” e le abbracciò di nuovo. “ma perché sei scappata così di corsa?” chiese Stephanie. “cosa è successo?”

Amy guardò Sara da sopra una spalla, ma dal suo viso non traspariva nessuna emozione. “un … un’emergenza.” Disse alzando le spalle. Stephanie le abbracciò di nuovo.

Sara si sentiva estranea a quella scena. Le guardava di traverso, un po’ imbarazzata, ma non capiva perché. Non sapeva cosa dire e sperava che Amy o Anne smettessero di sussurrare a Stephanie e la rendessero partecipe a sua volta. Anche lei era loro amica! Le venne in mente che poteva schiarirsi la voce, o fare qualcosa per attirare l’attenzione, ma le sembrava sbagliato. Non si vedevano da tanto tempo ed era giusto che stesero insieme da sole. Eppure era offesa.

Dopo tutto quello che le aveva detto Amy poco prima, aveva pensato di valere per lei come Anne e Stephanie, invece adesso la ignorava come se non esistesse. Eppure le sue lacrime le erano sembrate sincere, e aveva ancora il viso a chiazze rosse e bianche. Chinò la testa e si mise le mani nelle tasche bucate dei pantaloni, cercando di aspettare pazientemente, ma era più facile a dirsi che a farsi. La gelosia si ampliava dentro di lei e il cuore cominciava ad accelerare.

Non voleva interrompere quel momento tanto atteso dalle ragazze, ma anche essere notata. Era sì l’ultima arrivata, ma non era trasparente.

Allora fece un passo indietro verso la porta, poi sentì la voce di Anne dire: “hai capito? Devi dire solo questo.” e rispondere da Stephanie qualcosa a bassa voce.

A quel punto si bloccò, e attese ancora.

Pochi istanti dopo tutte e tre tornarono a guardarla, come se fosse comparsa dal nulla.

Stephanie vide che Sara la guardava di traverso, ma provò a sorridere. Anne la prese per mano e nell’euforia della vittoria e del salvataggio di Stephanie, si sedettero sul parapetto e cominciarono a chiacchierare di tutto e di niente, come grandi amiche.

Stephanie raccontò della sua prigionia, delle brevi visite che le aveva fatto il capitano. Proprio a metà racconto, Sara la interruppe. “di solito il capitano non visita mai i prigionieri.” Borbottò pensierosa. “lascia fare ai sottoposti …”

“non vorrei vantarmi” disse Stephanie. “ma mi hanno detto che mio padre mi cercava per un’eredità. Un tesoro hanno detto. Aveva mandato un sopravvissuto alla tempesta a cercarmi.”

Amy abbassò la testa, e annuì mestamente. “e lui, arrivato a Port-au-Prince ha parlato con Katherine, e lei ha raccontato a noi che …”

Stephanie annuì come se sapesse tutto: “che mio padre era un pirata.”

Anne si lasciò sfuggire un: “e anche che …” che avrebbe voluto rimangiarsi subito.

Stephanie si voltò a guardarla con uno sguardo penetrante. “e? cosa?” sibilò.

Anne si morse il labbro. “Katherine te lo avrebbe detto di sicuro, ma poi noi siamo andate via e …”

Stephanie sbuffò. “dimmelo! Non voglio sentire lagne.”

Anne prese un profondo respiro. “tu e Lucas siete fratellastri.” Lo disse tutto d’un fiato, così Stephanie non poté interromperla. “tuo padre prima di partire per il sud, dove incontrò tua madre, ebbe un figlio, che rimase a Port-au-Prince. Ed è Lucas.”

Stephanie rimase esterrefatta. Si ricordò della somiglianza che aveva notato tra lei e Lucas guardando il ritratto, e quanto poco peso ci avesse dato. “c’è altro che non so?” chiese, con voce più dura di quanto non volesse.

“ora stiamo cercando il tesoro di vostro padre.” Disse Amy.

“e Lucas è qui a bordo.”

Stephanie stava rilassandosi, quando spalancò gli occhi. “cosa?!” strillò.

“era ferito, l’ho curato.” Raccontò Amy.

Stephanie non riuscì a non preoccuparsi. “e ora sta bene?” chiese.

 “seguimi.” Disse Sara, e l’accompagnò.

Scesero nella stiva da una scaletta di legno cigolante e si ritrovarono immerse in un tanfo quasi insopportabile. A ogni passo il legno strideva e con le onde, il carico si spostava paurosamente verso le ragazze, ma Sara non ci faceva caso. Ormai era abituata ad ogni singolo rumore di quella nave.

Le portò vicino ad un boccaporto chiuso, dove era già stato riparato un buco. Sara sentì un brivido salirle lungo la schiena.

Come aveva fatto a lasciarlo in un posto così pericoloso? Il buco era stato saldato, ma c’era ancora un martello e dei chiodi abbandonati vicino alla murata. Poco più all’interno giaceva il cumolo di sacchi dove avevano fatto sistemare il ragazzo. All’inizio sembravano solo una pila di sacchi vuoti, ma osservando meglio si vedeva la forma di un corpo rannicchiato.

Anne allungò la mano verso due stivali calzati che giacevano sotto i sacchi, ma dopo essersi avvicinata, si bloccò. “come abbiamo fatto a lasciarlo qui? Quel buco chiuso deve essere di una palla di cannone …” mormorò con un filo di voce.

Sara si teneva la testa fra le mani e Amy le cinse le spalle con un braccio. Poi guardò Anne timidamente. La ragazza si chinò e prese un lembo di un sacco, ma rimase immobile tenendolo in mano.

C’erano dei passi di sottofondo ma nessuna li ascoltava. Si avvicinavano a loro.

Anne spostò il lembo con uno scatto, ma non si vedeva ancora la persona che giaceva sotto.

Tutto ad un tratto, una palla di cannone nemica rotolò fuori con un tonfo. Sara lanciò un gemito. Rotolando sul legno lasciava degli evidenti segni di sangue. La ragazza si nascose il viso tra le mani, ed Amy non poté fare a meno di guardarla con compassione.

Anne osservò il viso di Stephanie. Aveva un maschera di terrore e tristezza in volto.

I passi si fermarono dietro Amy senza che nessuno ci avesse fatto caso.

Anne prese un altro lembo di stoffa. Si vedeva una macchia di sangue allargarsi sulla tela, e sporcare il pavimento. La sua mano tremò violentemente. Era come se non le appartenesse, non riusciva a muoversi.

In quel momento una mano si posò sulla spalla di Amy e lei scattò in piedi lanciando un urlo stridulo. Si voltò indietro con uno sguardo di fuoco.

Ed alzò le mani guardandola con gli occhi sgrananti, sorpreso dalla reazione.

Amy lasciò andare un grande sospiro e si risedette. Lo guardò in faccia paonazza. “guai a te se lo fai ancora!” gli sibilò.

“scusa! Pensavo che mi avessi sentito!” si difese il ragazzo, e si sedette accanto a loro.

Stephanie lo osservò attentamente, quello era il ragazzo che l’aveva slavata durante la battaglia, d’istinto provò simpatia nei suoi confronti.

Ed però si concentrò su Sara, e notò subito che c’era qualcosa che non andava dalle facce pallide delle ragazze. Aveva quasi paura di chiedere cosa fosse successo, ma lo fece  lo stesso. “allora? Cosa state trafficando?” chiese, cercando di sdrammatizzare, ma non gli riuscì molto bene.

Le ragazze infatti non risposero, e dovette capire guardandosi introno: il cumolo i sacchi macchiati di sangue, Anne con il braccio teso. La ragazza era immobile, con una profonda paura di quello che avrebbe potuto vedere.

Ed prese lo stesso lembo del sacco e glielo tolse delicatamente dalle mani. “forse è meglio se faccio io. Magari voltatevi.” Consigliò, ma loro rimasero immobili come se non avessero sentito.

Sara piangeva silenziosamente stringendo le dita di Amy. Vide la palla di cannone che rotolava ancora vicino alla murata al ritmo delle onde e inghiottì la paura. Odiava farsi vedere in quello stato, perché aveva paura di sembrare debole davanti agli occhi degli altri, ma non riusciva a farne a meno.

Ed sospirò e poi spostò il sacco di lato lentamente. Strinse forte le palpebre come per dimenticare velocemente quella vista, poi rimise il sacco com’era.

Era una vista orribile, per quel poco che era stato.

Amy gemette e Anne le indirizzò uno sguardo incredulo. Stephanie si fece il segno della croce sul petto, poi si mise le mani in grembo incapace di fare qualcosa. Sara aprì solo un occhio e guardò di sbieco, per paura.

A Amy rotolò una lacrima sulla guancia mentre Sara tornò a singhiozzare rompendo quel silenzio sinistro.

Ed si voltò e pulì la guancia della ragazza, poi la abbracciò e accarezzò i capelli di Sara con tenerezza. Sussurrò qualcosa nell’orecchio di Sara e Amy la strinse a sé. Era così magra a fragile che pensava avrebbe potuto spezzarla. Sospirarono all’unisono e tutti distesero le membra tese.

Un istante dopo Sara si liberò dall’abbraccio e si pulì la faccia. Riordinò i pensieri respirando pesantemente. Quello non era Lucas. Era un nemico caduto durante la battaglia, quel poveraccio si era beccato una cannonata in pieno petto, ma l’unica cosa che interessava a Sara era che non era Lucas.

Tutti non ci avevano ancora pensato, ma Lucas era sparito. Lo avevano sistemato lì e adesso era stato sostituito da un nemico.

Dov’era finito?

Stephanie si alzò senza lasciare lo sguardo dal cadavere. “credo che non lo odio così tanto da vederlo così …” bisbigliò.

“e me lo auguro!” commentò una voce alta alle loro spalle facendoli trasalire tutti.

Stephanie e gli altri si voltarono seguendo la voce.

Lucas si avvicinò a passo lento, uscendo da un gruppo di casse e sacchi, coperto di corde e paglia, con il braccio sinistro legato al collo. Sara lo trovò molto bello, un po’ superstite e un po’ eroe, ma scacciò subito quel pensiero dalla mente, diventando rossa. Dentro di sé avrebbe voluto tanto corrergli incontro e abbracciarlo, ma si vergognava terribilmente. Teneva ancora la manica di Amy con una mano e si affrettò anche a ricomporsi, pensando alla terribile figuraccia che stava facendo piangendo come una bambina.

“se fosse per voi adesso mi stareste buttando dal parapetto!” osservò ironico il ragazzo spezzando il silenzio. Lucas li guardò in silenzio, poi fissò Stephanie. “ci si rivede” le disse con un finto sorriso.

“a quanto pare” rispose Stephanie acida, fissandolo adirata.

Poi Lucas spostò lo sguardo sugli altri. “certo che siete molto furbi … lasciarmi nella parte della nave più a rischio. O volete farmi fuori o siete meno intelligenti di quanto pensassi.” disse.

“l’importante è che sei vivo” osservò Sara, a bassa voce.

“non per merito vostro.” fu la risposta di Lucas.

“usciamo di qua, che è meglio.” Disse Ed, notando che la ferita di Lucas doveva essere controllata.

Amy stava per uscire con tutti, quando Sara la prese per un braccio e ammiccò per farle capire di restare indietro.

Amy guardo Anne negli occhi facendosi capire all’istante, poi  si concentrò su Sara, che la tirò a sedere di nuovo. “dimmi. Che c’è?” sussurrò, appoggiando la schiena al cannone dietro di lei.

Sara, che non riusciva a parlare stando ferma, si avvicinò la palla di cannone e cominciò a farla rotolare da una mano all’altra, con fare nervoso.

“cosa stai pensando?” chiese Amy paziente, osservando soprapensiero il proiettile in mezz’ombra.

“tu cosa provi quando vedi Ed?” chiese Sara.

Quella era l’unica domanda che Amy non si aspettava. Però riprese il controllo dalla sorpresa e rispose calma: “dipende … a volte niente … ma a volte, quando mi guarda, mi sento un po’ in imbarazzo.”

Sara annuì, come se stesse valutando le parole. “ non hai mai sentito uno sfarfallio nello stomaco, le mani sudate … guance infuocate … vorresti farti minuscola … mai?”

 “quando mi passerà?” chiese.

“non lo so …” Rispose Amy.

Sara sembrò esausta: “oh, bene …”

“avanti, non sei mica malata!” rise Amy. “sei solo innamorata!”

Sara abbassò la testa. Era molto pudica, si vergognava solo all’idea.

“andiamo, adesso.” disse Amy, e le porse la mano.

“no, aspetta” e Sara la tirò ancora a sedere.

Amy la guardò senza capire. “allora?” domandò perplessa.

“quello che è successo ieri notte … quell’uomo che ti ha parlato di Katherine …” cominciò Sara.

“avevi detto che era un pirata, e che non sapeva niente di me …” borbottò Amy critica.

“volevo togliertelo dalla testa.”

“potevi dirmi che avevo ragione.” Obbiettò lei.

“ti conosco abbastanza bene per sapere che non sarebbe finita lì se ti avessi detto la verità. Avresti cominciato a pensarci, con finire per farti ammazzare.” Disse con voce dura.  “e anche adesso comincerai a rimuginarci finché non andrai da Mary con il cuore in gola …”

Amy la guardò con rabbia. “io non sono così” disse.

“ti conosco.” Si oppose Sara.

“tu non mi conosci affatto” sibilò Amy pallida. Appena vide la reazione di quelle parole sul viso di Sara, le tese una mano e cercò di scusarsi, ma fu inutile.

“vai da Stephanie, allora, quando hai bisogno. E scusa se l’abbiamo salvata così tardi. Tutto quello che ho fatto per te non ha fatto altro che peggiorare il tuo già bel caratterino.” le sibilò Sara di rimando, poi scansò la mano che Amy le porgeva e corse via.

 *

Ed scese le scale rumorosamente in quel momento, Sara gli finì contro e si dimenò per scansarlo. Ed invece la tenne stretta per la spalle, e la osservò attentamente, capendo subito che qualcosa non andava. Aveva i capelli davanti agli occhi arrossati, i pugni stretti e le narici dilatate. A Amy sembrò uno di quei ladruncoli bambini che girovagavano per il mercato e che cercavano di scappare se scoperti. Non traspariva niente dal suo viso, ma Amy capì subito che era lei che aveva sbagliato.

Ed lasciò Sara scappare via e allungò una mano ad Amy. Uscendo dal buco dove si era messa a parlare, si ritrovò tra i piedi la palla di cannone con cui Sara stava giocando e se non avesse avuto Ed davanti sarebbe caduta di faccia in avanti.

Gridò, e Ed la guardò male: “cosa è successo?”

Amy indicò la palla piagnucolando. “era qualcosa di appuntito.”

Ed si piegò sulla palla che ondeggiava sul legno scuro. “ma una palla è tonda, come può essere appuntito?” commentò. “non c’è niente qui” aggiunse, ma era troppo buio per vederla bene.

“portala su lo stesso” disse Amy.

Uscirono sul ponte e la luce li inondò obbligandoli a socchiudere gli occhi. Il vento mitigava la temperatura e scompigliava i capelli.

“comunque non intendevo la palla di cannone quando chiedevo cos’era successo …” disse Ed.

“ho sbagliato, ho sbagliato, ho fatto un errore stupido e idiota, e … malvagio, e … egoista e …”

“Sara è testarda e petulante, magari hai inteso male il suo comportamento.” Provò a dire lui.

“per una volta, purtroppo, credo di aver capito bene, purtroppo … purtroppo …” stava quasi per scoppiare a piangere, ma Ed la abbracciò e lei si asciugò gli occhi.

“adesso le passerà, vedrai …” le sussurrò in un orecchio.

“scusa …” disse Amy “sono complicata … ogni volta ho un problema …”

“non fare la stupida, non sei capace.”

Amy lo guardò negli occhi e sorrise. “odio litigare con lei.” Borbottò.

“perché le vuoi bene …” sussurrò lui.

Il nostromo li raggiunse. “Michelle, il capitano ti vuole parlare. Aspetta nella cabina …” disse, tutto d’un fiato. “veloce.” Insistette, e si allontanò.

Amy lo seguì con lo sguardo, pensando a come l’aveva chiamata. “Michelle?” mormorò a fior di labbra. Non era ancora abituata ad essere chiamata così, solo Mary l’aveva fatto, la prima volta che si erano incontrate, e poi Sara le aveva raccontato che era quello il nome con cui la voleva chiamare Bonny. Solo perché era interessata la sua vera madre, Amy accettava quel nome, altrimenti si sarebbe rifiutata di essere chiamata così.

Amy alzò le spalle dirigersi verso la cabina principale senza aggiungere altro. Ed la guardò da lontano, finché Stephanie ed Anne, con Lucas, lo raggiunsero. Sara comparve alle loro spalle, e lo guardò di traverso. Lentamente alzò il mento e sulla sua faccia si formò un grande sorriso luminoso. Molto probabilmente aveva sentito il discorso tra Amy e Ed, e aveva capito che Amy era già pentita.

Ed lasciò cadere la palla, che ancora aveva in mano, e la fece rotolare fino alla pila di altre palle al centro del ponte.

Mentre girava, Anne notò una cosa strana. Si chinò e la fermò con una mano.

“guardate” disse, mostrandola davanti a tutti.

Alla luce del sole quella era una grande, amara scoperta.

Sul proiettile era inciso il simbolo della Compagnia Delle Indie Orientali, che aveva la maggior parte del monopolio dei mari.

Sara lanciò un imprecazione, mentre Ed mormorò: “Amy aveva sentito qualcosa di appuntito …” ma loro non ci fecero molto caso. Anne non credeva che fosse così brutto, i pirati sputarono tanti insulti su quella palla.

Il ragazzo la prese  in mano e la portò sul tavolo del timone, davanti al nostromo e Mary, il capitano non si vedeva da nessuna parte, solo dopo Ed si ricordò che aveva chiamato Amy nella cabina.

“guardate!” cominciò Anne indicando il simbolo. Poi mise ogni dito su una lettera dell’incisione, mentre recitava: “East India Company. Non è strano?”

Sui volti dei presenti calò una maschera di malumore. “non è strano, ma molto peggio.” Sibilò Mary.

“è così brutto?” chiese la ragazza.

Lei non le rispose, scosse solo la testa.

“dov’era?” chiese il nostromo, che in assenza del superiore si comportava come il capitano.

“sotto coperta” rispose subito Ed.

Poi Lucas aggiunse: “viene dalla Gibraltar, l’ha sparata nella battaglia.”

Il nostromo scese sul ponte e si avvicinò alla pila di palle di cannone ammassate vicino al parapetto. Le osservò tutte con occhio critico mentre si avvicinavano anche gli altri.  

“vigliacchi! È giusta la fine che hanno fatto.” ringhiò Mary.

“perché vigliacchi?” chiese Stephanie avvicinandosi a Sara, ma fu il nostromo a rispondere: “questo, cara, è il simbolo della Compagnia.” Disse.

“questo lo so già” commentò acida la ragazza.

Lui la guardò negli occhi e disse: “non mi interrompere.” Facendo così le ricordò in un lampo Crowley, il suo carceriere, e nei suoi occhi passò un velo di tristezza.

“se un pirata porta a bordo una di queste significa che è un traditore, un vigliacco, un corsaro.” Spiegò il nostromo.

 “ma i corsari non sono pirati?” volle sapere Anne.

Storm si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato. “i corsari sono pirati. Ma fanno quello che fanno i pirati; non per lo scopo che abbiamo noi” e alzò la voce, “quello della libertà, ma per essere ripagati dalle compagnie commerciali, quella delle Indie Orientali, per esempio.”

“traditori, insomma.” disse Ed a denti stretti.

“precisamente.” commentò Sara.

Stephanie ancora non capiva: “non può essere che abbiano tenuto i proiettili da una precedente battaglia?”

“tu lo faresti?” chiese Mary.

Lei scosse la testa. “ma forse non avevano scelta.”

“c’è sempre una scelta.” Ribatté il nostromo. “e in qualunque caso non potrebbe essere questa.”

Mary molleggiò la palla in mano. “lavoravano per la Compagnia … quindi adesso tutto quadra …”

Stephanie non capiva e la guardò con fare interrogativo.

“quando ci hanno fatto scappare della Gonàve … non erano bloccati dal fondale, dovevano solo coprire le manovre della Gibraltar … per questo non ci hanno seguiti, avevano un maledetto asso nella manica!” pronunciò le ultime parole con rabbia, sbattendo un pugno sul legno. Aveva avuto quella reazione perché ne aveva discusso con Jack, poco dopo la prima partenza di Port-au-Prince e lei, troppo concentrata sulle ragazze a bordo, non aveva dato peso ai ragionamenti del capitano, che pensava esattamente quello che poi era successo. “e poi tu, figlia di Morgan …” mormorò, guardando Stephanie. “perché non ti hanno uccisa, perché ti hanno presa a bordo?” Sospirò. “per un motivo solo …”

Si intromise Sara con voce inaspettatamente profonda e sicura: “vogliono il tesoro.”

Stephanie si mise la testa nelle mani. “oh, no … no …” cominciò a borbottare.

“cosa?” chiese Anne, titubante.

“gli … gli ho detto che sono una Morgan, che voi avevate la chiave …” singhiozzò Stephanie.

Anne sospirò e guardò gli altri.“appena scoperto avranno mandato un messaggero ai loro comandanti.” Rifletté Mary. “quindi adesso avremo gli Inglesi alle costole.” sibilò. Calò un profondo silenzio, persino il rumore del vento e il fragore delle onde sembrava essersi spento.

Quando il nostromo urlò degli ordini, Anne trasalì.

“spiegate tutte le vele!! Buttate tutto quello che non ci serve! Voglio che ci allontaniamo nel tempo di un respiro!! Muoversi!!”













Ciao!

allora? che ne dite di questo capitolo? spero non sia noioso, e che la storia continui a piacervi... mancano pochi capitoli alla fine, ci siamo quasiii!!!

passiamo alle recensioni:

Rubs: ti ringrazio per i continui complimenti, e le bellissime recensioni... come al solito vado in brodo di giuggiole! XD sono contenta che il personaggio di Ed ti piaccia, e anche la scena del "coppino" di Sara... temevo che stonasse un po' troppo con la situazione-di-tensione, invece a quanto pare è andata bene ... fiù!
mi fa soprattutto piacere sapere che Steph è una delle tue preferite, in effetti ci voleva che facesse qualcosa per liberarsi, basta restare nell'ombra! come al solito, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Nemesis 18: grazie dei complimenti, e soprattutto che trovi questi personaggi così reali e simpatici... spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come quello precedente, visto che hai detto che era uno dei tuoi preferiti. Anche se c'è un po' meno azione e più "ragionamento", ci rifaremo presto! ti spiego come mai la descrizione dell'affondamento della nave nemica era così "asettico": semplicemente l'ho aggiunto all'ultimo minuto, quindi è abbastanza "incollato precariamente" in mezzo alla frase... forse per questo non  è venuto come lo volevo... comunque tranquilla che i tuoi consignli fanno sempre piacere! sempre graziee

Hiivy: sono felice che non trovi errori, e che la storia "ti prenda", così almeno non noti gli errori! =) leggere le tue recensioni mi strappa sempre un sorriso, grazie mille!! peccato che continui immancabilmente a sfottere Amy, ma cosa ci posso fare, c'è sempre un personaggio che sta più antipatico degli altri, no? peccato che anne continui a starti antipatica, ma vale lo stesso discorso di amy... che ce posso fà? scusa se questo capitolo non è il fatidico "capitolo 18", ma pubblicando il quinto diviso in due, tutti i seguinti sono scalati di uno... quindi questo secondo la mia lista è il capitolo 17, ma sul sito esce 18... scusa per il disagio, ma manca poco e la tua curiosità sul quel famoso capitolo sarà soddisfatta!

grazie e al prossimo capitolo, ciaooo

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Capitolo 19
*** Un Taglio Netto ***


Deathbearer - cap18 - un taglio netto

Un taglio netto.

“mi avete fatto chiamare …” esordì Amy sulla soglia. Non sapeva come comportarsi, così rimase immobile.

“sì.” rispose Jack sbrigativo.

Amy si avvicinò a piccoli passi, misurando la paura.

“ti sei macchiata di un reato l’altro giorno …” esordì Jack con voce tonale.

Amy lo guardò senza capire, il suo cuore prese a battere più forte. “ho ucciso molte persone …” mormorò, ma non capiva.

“non parlo di quello. È giusto che tu l’abbia fatto.”

“no … sì … capitano …” farfugliò Amy alzando gli occhi, aveva uno sguardo interrogativo. Decise che era giusto parlargli dei propri timori riguardo Katherine e di quello che la aveva detto Sara. Lui la fissò e Amy cercò di parlare con voce chiara, ma tutto tradiva la sua paura: “l’altra notte … nella battaglia … un uomo, mi è venuto contro … un uomo che avevo già visto … mi è … insomma …”

“ti vuoi muovere?” borbottò Jack, che voleva arrivare al punto.

 “scusate …” disse Amy, sperando che il battito potente del suo cuore non si sentisse. “un uomo, che avevo già visto, mi ha parlato di rimpiangere casa e porgere l’estremo saluto ai cari …”

“molti lo fanno.” commentò Jack, ma la sua voce tradiva la sorpresa.

“sì, ma io lo conoscevo … insomma … lo avevo già visto” disse Amy gesticolando. “credo che ci abbiano scoperte a scappare, quando siamo salite a bordo io e Anne.”

“altrimenti non ci avrebbero sparato contro, non credi?” la attaccò Jack.

“avete ragione, ma io credo che abbiano preso prigionieri i miei cari …”

“sono terragnoli, non ci posso fare niente” disse Jack alzando le spalle.

“ma io gli voglio bene” si oppose Amy. “credo che li abbiano portati a Turk Islands, nelle prigioni governative …”

“come ti ho già detto, mi ripeto. Io non farò niente.” scandì le parole con un gesto della mano.

“ma sono tutto quello che rimane della mia vita …”

“chi?” la interruppe lui con voce chiara.

“una donna che per me è una madre, un padre e anche un’ amica, prima fra tutti” disse Amy fiera.

“non andrò a Turk Islands per una vecchia che se vi è arrivata, sarà morta prima di lasciare gli ormeggi al largo, e che per di più non gioverà alla nostra situazione.”

Amy sentì le lacrime salirle le lacrime agli occhi. “ma lei è …”

“quante lagne!” sbottò Jack. “non andrò a Turks Islands per salvare quella donna.” Ripeté ancora una volta.

 “lei è come mia madre …” sussurrò la ragazza. Notò che a quelle parole Jack sembrava turbato. “lei non è tua madre!” tuonò. Si irritava subito quando si parlava di Bonny, e in quel caso quando non se ne parlava.

Amy rimase a guardarla a bocca aperta. “perché non a Turks Islands?” sibilò.

“sarebbe una perdita di tempo. Non lo faremo.”

Amy strinse i pugni e si voltò per andare via. Jack non riuscì più a controllare la rabbia, e la afferrò per i capelli.

Amy prese la mano con cui la teneva e cercò di liberarsi, ma lui stringeva e tirava, e poco dopo Amy iniziò ad urlare. “lasciami …” riuscì a singhiozzare.

Jack lasciò i capelli e la spinse contro il tavolo. “non provare a parlare ancora in quel modo. Quella donna non è e non sarà mai tua madre.” disse, e Amy sentì che stava per piangere. Inspirò profondamente e guardò Jack in faccia, mentre le si appannavano gli occhi.

Jack si avvicinò, la prese per un braccio, e mentre Amy si dimenava la portò fuori, vicino al timone. Appena lasciò la presa Amy si allontanò da lui e si attaccò alla balaustra.

“quella donna è una terragnola. Non possiamo salvare tutti gli innocenti di questo mondo, lo vuoi capire?” Disse Jack a mezza voce.

“possiamo provare.” osservò Amy in un sussurro.

“è impossibile. Dobbiamo salvarci noi, prima di tutto.”

“è crudele … ed egoista” commentò la ragazza.

“è giusto” obbiettò Jack inspirando l’aria salmastra.

“possiamo cominciare a salvare quelli che meritano … dobbiamo cominciare a …” disse Amy fiera.

“se vuoi posso cominciare col prenderti a sberle …” sibilò Jack. “smettila di fare la rivoluzionaria. Non ti porterà a niente. Vivi la tua vita e rallegrati di averla. Questo diceva un mio amico, e a ragion veduta.”

Amy restò offesa da quell’espressione e lo guardò con astio. Jack ricambio lo sguardo e alzò il mento.

“perché mi ha chiamato? Non credo per insultarmi …” mormorò Amy intimidita.

“hai violato una legge.” Rispose il capitano.

“ho ucciso. È altro che una legge …” bisbigliò Amy, e cercò di nascondere il disagio.

“le leggi che intendi tu e le mie sono diverse.”

Amy lo guardò senza capire.

“è alla legge che governa questa nave a cui adesso devi rispondere, non alle leggi della terra.”

Amy lo guardò come una bambina che guarda un maestro. “come? Io non ho fatto niente … non sapevo di queste leggi … io … non sapevo …”

“volevi un contratto scritto quando sei salita, tesoro?” chiese lui ironico.

Amy diventò paonazza. “ma come? Io non ne sapevo niente, come posso aver violato una legge …”

“smettila di borbottare.” La bloccò il capitano.  “sei noiosa.”

Amy sentì la rabbia crescerle dentro, il viso farsi paonazzo. “cosa ho fatto allora, di Grazia?”

“sulla mia nave non si gioca d’azzardo.” disse Jack come un giudice.

Amy restò a bocca a aperta. “io non ho mai giocato d’azzardo!” urlò, portando una mano al petto, offesa.

“hai scommesso con Sara, per il duello.” Spiegò Jack.

Amy corrugò la fronte.

“non ricordi?” chiese Jack scrutandola. “allora ti illumino io. Un paio di giorni fa hai scommesso che avresti vinto nel duello con Sara. È un reato, su questa nave.”

Amy provò una moltitudine di sensazioni. In parte era arrabbiata con Sara, che non l’aveva detto. Era arrabbiata con se stessa, per essere stata così stupida, ed era anche un po’ orgogliosa, perché malgrado tutto aveva commesso un reato. Nella sua testa suonava bene.

“quindi vai punita.” disse lui con voce chiara.

A quelle parole Amy tremò. “cosa?”

“chi gioca d’azzardo deve fare ciò che ha scommesso, o, se il capitano lo trova troppo poco, deciderà se tagliargli una mano, o un dito … o la lingua … questo dice la legge.” Disse Jack visibilmente soddisfatto.

“la vostra, legge” sibilò la ragazza. “è crudele …” osservò massaggiandosi le mani.

“voi terragnoli impiccate i ladri, i malfattori, gli innocenti. Non ti sembra questo, crudele?”

“non tutti sono innocenti.”

“e quindi non meritano la vita … così torniamo al mio discorso, e mi dai ragione questa volta …” osservò Jack.

“mai!” sibilò Amy, ma non riuscì a dire altro.

“adesso basta ciarlare” sbottò Jack infilando una mano ingioiellata nella giacca. Amy osservava i suoi gesti con estrema attenzione.

Jack la guardò, poi estrasse con gesto teatrale un lungo coltello con la lama ricurva. Amy rimase abbagliata dal riflesso della lama, e si strinse ancora di più alla balaustra.

“forza …” mormorò Jack. “sarò buono perché è il primo reato che commetti, ma la prossima volta non sarò così clemente …” disse, e si avvicinò a Amy. La ragazza lo scansò e strinse tanto il parapetto che le nocche divennero bianche. La sua mente era un groviglio di pensieri, ma nessuno riusciva ad aiutarla a sviare la situazione. Jack allungò una mano, lei lo scansò ancora, e la guardò con una smorfia. “e … e Sara?” chiese tenendo d’occhio le mani del capitano.

“riceverà una secchiata d’acqua quanto prima.” Disse Jack con noncuranza.

“ma … ma Sara non mi aveva detto che era proibito! Era un gioco innocente!” si oppose Amy all’ennesimo tentativo di avvicinarla. Strinse ancora la balaustra e sentì sotto i polpastrelli le incisioni di una miriade di colpi sul legno. Cercò di trattenere un urlo, ma alcune schegge le erano entrate nel palmo.

“non è la prima volta che viene punita, infatti.” disse Jack, e guardò le mani di Amy.

Lei cercò di ignorarlo, ma la ferita le bruciava tantissimo. Insieme al taglio sul dorso, ora le mani di Amy cominciavano veramente a somigliare alla mani di un pirata.

Jack la osservò, poi con un gesto fulmineo, le prese i capelli alla nuca, li arrotolò intorno alla mano, e tirò finché Amy non cominciò ad urlare da traforargli i timpani. Allentò un poco la presa, e guardò intorno a sé. Si era formato un gruppetto di persone, tra cui c’era anche Sara, fradicia. Amy lo guardava con la coda del’occhio, tutto quello che le era possibile, ma bastava uno sguardo per odiarla. Jack fece una smorfia e le spinse la testa dalla nuca. Amy fu costretta a mettersi in ginocchio, di spalle al capitano. Guardò la nave davanti a sé, e pensò a come poteva sentirsi qualcuno, condannato come lei. La lama fredda del coltello sul collo la strappò ai sui pensieri e la fece scivolare un brivido lungo la schiena. Non riusciva più a controllarsi, tremava come una foglia.

“allora …” esordì Jack. “ora credi di più alla legge?” chiese.

“non ho mai detto che non ci credevo.” obbiettò Amy con la voce che traballava.

“che sia d’esempio per tutti, allora” urlò alla ciurma. “che è vietato in ogni modo scommettere!” disse. “pena …” cominciò. Il viso di Jack comparve dalle sue spalle, e continuò la frase di boia: “il pagamento della posta, o …” e la guardò negli occhi: “un taglio netto.”

A quel punto si innalzò in tutta la sua statura e strinse la presa sul pugnale. Amy strinse forte gli occhi, e quando li riaprì, osservò che nessuno aveva cambiato espressione. Cominciò a pensare che fosse tutto un scherzo, che l’avessero presa in giro e pensò a un modo per sviare le battute.

Quando però Jack cominciò a ridere, capì che ancora non era successo niente. Infatti dopo fu un lampo. Jack tirò i capelli di Amy in basso, e contemporaneamente trasse la lama a sé.

I capelli cedettero subito alla lama affilata, e si afflosciarono tra le mani del capitano.

Tolse la mano dalla spalla della ragazza, e allora lei capì che mancava qualcosa. L’aria batteva sulla pelle dove la camicia era scollata, qualcosa le pizzicava il collo. Sbatté più volte gli occhi, ma non osò voltarsi. Tremò, e portò una mano alla schiena. Arrancò senza trovare nulla, la stoffa del vestito, niente a che vedere con i suoi lunghi e lisci capelli castani. Sentì gli occhi pungerle, ma cercò di non piangere. Si voltò di scatto, e la punta dei capelli le sfiorò la bocca. Si alzò in piedi, si sentiva immensamente leggera. Osservò Jack che stava armeggiando con qualcosa che sembrava un lungo collo di pelliccia. Ci fece un nodo nel mezzo e lasciò due lunghe code alle estremità.

“apri le mani.” ordinò, e Amy obbedì come se il suo corpo non le appartenesse. Jack posò i capelli con noncuranza tra le sue mani e si dileguò insieme alla ciurma.

Lei rimase immobile come un palo, mentre una lacrima le cadeva sulla guancia.

“non starai piangendo per i tuoi capelli, spero.” rise Lucas comparendo alle sue spalle, insieme agli altri.

Amy non rispose, spostò lo sguardo sui capelli che aveva in mano, e li accarezzò come fossero un gatto. Sara la guardò di sottecchi, mentre Ed le allungò una mano. “non è successo niente … stai meglio, lo sai?” mormorò per tirarle su il morale. Amy lasciò cadere per terra i capelli, e li guardò in faccia con una smorfia.

“è colpa tua, lo sai questo, vero?” disse critica a Sara. Lei abbassò la testa e si strizzò i capelli, formando una grande chiazza d’acqua ai suoi piedi. “dovevi scommettere qualcos’altro.” Disse alzando le spalle. Amy la guardò odiandola, ma Anne si mise in mezzo.

“Ed ha ragione, sei più bella …” mormorò.

“ci farai presto l’abitudine” disse Stephanie guardandola come se fosse un’estranea.

“… e poi non sono molto corti” aggiunse Anne. Amy la guardò di traverso.

“ricresceranno subito.” azzardò Sara facendo lo stesso di prima con un lembo della camicia.

“tu …” bisbigliò Amy “lo sai da quanti anni non mettevo mani ai miei capelli, lo sai, per caso?”.

“no …” Sara scosse la testa a mandò goccioline da tutte le parti.

“e stai ferma con quella testa! Si vede benissimo che fai apposta!” strillò Amy dandole una manata. Sara si fece rossa in viso alzando subito le mani.

“smettetela! Sono capelli! Pensa se ti tagliava una mano, o un dito, o la lingua … ti immagini?” disse Lucas, mettendole una mano sul braccio per tenerla ferma.

“si … hai ragione” disse Amy, e la sua voglia di vendetta si placò. Guardò tutti negli occhi, per cercare di capire cosa ne pensavano della sua nuova faccia. Portò le mani ai fianchi, come per abitudine, ma non trovò altro che il corsetto. Le incrociò sul petto, ma sentì solo il proprio corpo. Le alzò sulle spalle e finalmente toccò qualcosa di leggero e liscio. Accarezzò quello che rimaneva dei suoi capelli con il dorso della mano, poi li raccolse tutti e notò con amarezza che partendo dalla nuca, non uscivano dal suo pugno. La sua mano fremette, e la lasciò ricadere lungo il fianco.

“altro che poco tempo …” mormorò guardando di traverso Sara. “ci vorranno altri quattordici anni …”

Abbassò la testa a le ricaddero tutti davanti. Li portò dietro le orecchie, come non faceva mai, e sentì come le punte le accarezzavano la base del collo. Scosse leggermente la testa per ritrovare quella sensazione, poi una mano calda di Anne le appoggiò su una spalla una lunga bandana verdognola. “mettila. Jack li taglierà ancora e ancora, finché non ti staranno lontani dagli occhi.” Spiegò.

“perché?” chiese Amy prendendola tra le mani. Era liscia e leggera, le piaceva.

“perché sono belli e vuole venderli” disse Ed ironico. Amy gli donò un sorriso luminoso.

“no … perché non vuole che ti distraggano.” disse Anne tornando davanti a Amy.

La ragazza buttò la testa in avanti, appoggiò la bandana sul capo e la legò sotto l’attaccatura dei capelli. Tornò a guardarli e notò la loro strana espressione.

Anne allungò una mano e portò indietro una ciocca. “stai benissimo!” esultò.

 Amy sorrise, e si sentì meglio. Molto meglio di come aveva immaginato.

“vieni ora.” sbottò Ed prendendola per un braccio. Anche Sara tornò seria. “abbiamo scoperto una cosa tremenda.” borbottò.

Amy tornò a pensare a quello che le aveva detto prima, nella stiva, e al solo pensarci sentiva una fitta al cuore. “cosa?” chiesa a bassa voce.

“abbiamo gli inglesi alle costole” spiegò Sara con una voce che non le apparteneva.

Amy trasalì, ma non riuscì a dire una parola. Le diedero una pezza di stoffa per legarci la palma insanguinata e si immersero nel lavoro.










ciaoo

accidenti alla scuola... di solito entravo nel sito una o due volte al giorno, e adesso (che siamo solo al terzo giorno dal suono di quella fatidica campanella) sono riuscita ad entrare solo ora... 

purtroppo la terza è un anno impegnativo (ma la scuola è comunque impegnativa, se la si segue con la testa, e io vorrei farlo), ma come fatto positivo abbiamo che non pubblicherò molto spesso i nuovi capitoli, e soprattutto: QUESTO è IL TERZULTIMO! ci siamo quasi... la fine si avvicina...

bhè, "fine" è solo un eufemismo, visto che è la fine solo del primo "libro", ma è sempre un traguardo...

passiamo ai ringraziamenti:

shenim (ai tempi, nemesis 18): prima di tutto so che la tua scuola è molto più impegnativa della mia, e io sono già stanca, quindi immagino te! perciò, un graize ancora più grande perchè ti sei presa un attimo di respiro dallo studio, e hai pensato a me, la tua Archer! grazie di tutti i tuoi complimenti per lo scorso capitolo, e spero che questo ti sia piaciuto! 

Rubs: nessun problema per il ritardo! so che sono -ero, in estate, purtroppo ='( abbastanza veloce ad aggiornare ed è (era) solo perchè, lo ammetto, non avevo nulla da fare, e i capitoli andavano solo pubblicati. ora ho la scuola a cui stare dietro, quindi sarò più lenta ad aggiungere... e poi l'importante è che la storia ti piaccia, se per te è un problema non devi PER FORZA recensire ogni capitolo, sei così gentile che uno ogni tanto basta! e poi, Hivy mi dice sempre che i miei capitoli sono molto lunghi (infatti ha smesso di recensire... ihih... no, sto scherzando. ha cominciato la prima superiore, è perfettamente comprensibile), quindi posso capire benissimo. io stessa sono una grande pigrona, non capisco nemeno io come faccio a scrivere così tanto...  direi che ora è meglio che comincio a ringraziarti per tutti i complimenti hce mi hai fatto, mi lusinghi! sentire che le descrizioni dei sentimenti dai miei personaggi sono (o sembrano?) così vivide mi fa veramente molto piacere... uffa, lucas continua a starti antipatico... peccato, ma spero di riuscire a farti cambiare idea!

adesso mi eclisso, graize ancora!!

ciaoo

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Capitolo 20
*** Nemici e Alleati ***


Deathbearer - cap19 - nemici e alleati

Nemici e alleati.

“Capitano …” un urlo stridulo mozzò il silenzio che era caduto sulla ciurma.

Jack alzò gli occhi.

Un marinaio si era proteso dall’albero e indicava un punto dietro di loro.

Tutti si sporsero a guardare. La vista dell’orizzonte era limpida. Dietro di loro di stagliava l’ombra di una nave. Inglese, senza alcun dubbio.

Anne ebbe un brutto presentimento. “non possono essere soli …” mormorò tra sé e sé. Così corse a prua e si sporse il più possibile. “Capitano!” urlò indicando un'altra nave davanti a loro, anche quella inglese.

I pirati imprecarono mentre le ragazze gemettero.

Reckhernam sembrò fiutare l’aria, poi cominciò ad urlare alla ciurma: “virare di bordo!! Dritta a nord di tre punti, timoniere!! E voi stringete il vento! Muoversi!! Ottimo lavoro prima, signor Storm!”

La nave virò quasi immediatamente.

Stephanie tornò a pensare che era colpa sua. Si vergognava di ciò che aveva fatto. Lo disse a Amy e lei rispose che la perdonavano, ma per la ragazza era come se non l’avesse fatto.

Il vento li spingeva sempre più forte, ma sapevano che gli Inglesi li avrebbero seguiti.

Ed era così.

“dove siamo?!” urlò Amy sopra il fragore delle onde. La carta era stesa di fronte al timone e il nostromo si chinò a guardarla. “dobbiamo virare ad oriente, prima di incontrare l’isola di Cuba!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Amy rimase senza fiato. Tanti giorni di viaggio ed erano solo usciti dalla grande baia di Port-au-Prince? Stava per chiedere, ma erano tutti occupati e non voleva rendersi ridicola.

Sara, che stava cominciando ad asciugarsi, notò una scialuppa che nella virata si era ribaltata. In quel momento un’idea prese forma nella sua testa. Chiamò Anne, che era lì vicino a lei, e le disse di aiutarla a prendere tutto il rum e la polvere da sparo che potevano permettersi di sprecare.

Il capitano non fu molto generoso, ma riuscirono comunque nell’intento. Sara caricò sulla scialuppa il cadavere sfigurata che avevano scambiato per Lucas, mentre Anne vi aggiunse la palla di cannone con il simbolo della Compagnia delle Indie. Era l’unica rimasta ancora a bordo.

 “dobbiamo trovare un modo per fermarli giusto? Questo li svantaggerà non poco!” urlò Sara con un ghigno mentre calavano la scialuppa in mare.

Atterrò abbastanza violentemente, ma loro non si preoccuparono. La lasciarono indietro e presto questa fu raggiunta dalla prima nave Inglese.

Il ghigno che Sara aveva in volto si fece ancora più crudele. Quando raggiunse la murata nemica, Jack caricò la pistola e prese la mira. Sparò un solo colpo, che sibilò e tagliò il vento.

Qualche secondo dopo colpì in pieno la scialuppa. La barca esplose con grande fragore e fece crollare anche parte della nave nemica.

Le ragazze esultarono, ma la ciurma praticamente nemmeno se ne accorse. Il danno si poteva riparare, ma una nave, almeno per un po’, era fuori uso.

“è una corsa contro il tempo.” disse Jack a denti stretti al nostromo. “qui siamo circondati da porti inglesi, ci annienteranno!”

“sì, capitano.” Annuì il nostromo.

“hai capito quello che dobbiamo fare.” Sibilò Reckhernam e al nostromo tanto bastò.

La nave traballava e la prua si alzava e abbassava con le onde potentissime che li spingevano sempre più veloci. Il vento li faceva scappare lontano.

I ragazzi corsero al timone appena il movimento del ponte si fece meno imponente.

“perché  vogliono il tesoro?” chiese subito Anne, senza nemmeno essere arrivata.

“per motivi di prestigio e per mettere in buona luce l’Inghilterra.” spiegò Storm senza prendere fiato.

“e perché seguono noi?”

“siamo pirati!” disse frettoloso il capitano.

Ad Amy quella risposta non bastava. “perché?” chiese a bassa voce.

Jack lasciò andare un lungo sospiro, poi spiegò: “perché vogliono la tua amica.” E indicò Stephanie “e lei li può portare al tesoro.”

“ma io non so niente!” sbottò Stephanie. “e poi non credo che un forziere pieno di monete possa mettere in buona luce l’intera Inghilterra.” 

“primo.” cominciò Jack puntandole un dito in faccia. “il tesoro di Morgan è più, molto più di un forziere colmo di monete, e per secondo” alzò un altro dito. “con il tesoro loro potrebbero dire di aver veramente sconfitto la minaccia dei pirati. Questo sì che metterebbe in buona luce l’Inghilterra.”

“ma non è vero!” sbottò Sara.

“lo so, ma se non c’è nessuno contro di loro, possono dire e fare quello che gli pare. Non è una questione di battaglie, cannoni eccetera. Qui è in ballo anche quello che si dice, e se loro dicono che i pirati sono finiti, i pirati sono finiti. Noi non possiamo andare per i porti a urlare: ci siamo! Siamo qua! Per i terragnoli noi siamo Ombre, quasi fantasmi. Pensate a loro” puntò un dito verso Anne e le altre. “non credevano assolutamente della nostra esistenza finché Sara e Mary non sono andate da loro, o sbaglio?”

Anne fece una smorfia e chinò la testa, così fecero Amy e Stephanie. Era proprio vero.

“e quindi cosa dobbiamo fare?” chiese Anne dopo un lungo silenzio, guardandosi alle spalle.

La nave Inglese si stagliava dietro di loro, poco lontano da poppa. La bandiera blu veleggiava in alto sul pennone di maestra, con il suo simbolo cucito con l’oro.

Sara alzò gli occhi sul loro pennone, soffiando via una ciocca ancora bagnata di capelli. La bandiera era stata calata e giaceva sul ponte confondendosi con il legno nero della nave. Fece qualche passo indietro e si avvicinò a Jack: “alziamo i colori!” gli disse, piena di odio per quelle persone. “combattiamoli! Prendiamoci questo maledetto tesoro, che è quello che ci spetta e tronchiamogli la possibilità di sconfiggerci proprio ora che la sfiorano!”

Amy annuì a quelle parole, nessuno avrebbe saputo dirlo meglio. E lei ci credeva, per una volta credeva che la battaglia avrebbe portato qualcosa di buono. Non avrebbero fatto del male a lei e alle persone a cui voleva bene, le aveva appena trovate, e non voleva perderle.

Non glielo avrebbero permesso.

E per di più non l’avrebbero privata della sua libertà.

Non di nuovo. Sorrise, e si disse che stava pensando come un pirata. Ne era orgogliosa.

“su i colori!!” urlò il nostromo. “facciamo vedere chi siamo!” urlò Sara sfoderando la spada.

Anne sentì un brivido lungo la schiena, osservando la bandiera nera, che cominciava la sua alzata fino alla punta dell’albero.

La ciurma esultò. Per l’ennesima volta, i pirati erano in guerra.

 *

“Capitano!” urlò il sergente, impettito a prua della nave inglese Diamond, mentre il Capitano, Somers, si accingeva a raggiungerlo.

Il Capitano si sistemò i polsini della camicia inamidata e chiese, quasi annoiato: “allora Sergente, i nostri avversari si sono fatti avanti?”

Il Sergente era turbato e impaurito, aveva paura dei pirati.

“allora, Sergente?” ripeté annoiato il capitano.

Il sottoposto non riusciva ad aprire bocca. La vista del Jolly Roger gli aveva ghiacciato il sangue e lo aveva bloccato. Riuscì ad alzare un braccio e indicò con l’indice la bandiera nera che torreggiava sul Deathbearer.

Il Capitano seguì con lo sguardo stanco l’indice tremante del Sergente e posò gli occhi sulla bandiera svolazzante, che creava tanto terrore nel suo sottoposto.

“bene.” commentò poi sarcastico. “almeno quell’avanzo di galera di Crowley ci è stato utile per quel poco che è bastato …”

Il Sergente spostò gli occhi sbarrati su di lui: “Capitano?” Sembrava che sapesse dire solo quelle  parole.

“le Ombre di Reckhernam si sono fermate, e noi siamo arrivati, non ci vuole molto per capirlo, Sergente.” Rispose l’altro con voce leggera.

“quindi Crowley e la Gibraltar sono morti?” chiese l’uomo, impaurito.

“penso proprio che la scialuppa che ha baciato la nave dei nostri alleati sia quello che ne è rimasto.” Rispose Somers alzando le spalle.

“quindi non abbiamo altri alleati, signore?”

“oh, no …” disse l’altro, con un sorriso maligno che si allargava sul volto. “ne abbiamo molti altri, e molti non lo sanno nemmeno. Sarà l’elemento sorpresa … serve sempre un elemento sorpresa in una buona strategia.”

“posso chiedervi di illuminarmi, signore?” chiese l’altro, che ormai si era perso.

“non abbiamo più Crowley come alleato, tanto meglio. Non potevo proprio sopportarlo. Abbiamo tutta la Marina a disposizione, volendo. Ora che sono Capitano e non solo Tenente, e ho trovato le famose Ombre di Reckhernam posso chiedere tutto quello che mi pare, e state certo che lo avrò.”

Il tenente sembrò soddisfatto. “e la sorpresa?” chiese dopo un po’.

“Turks Islands non è lontana, giusto?” chiese l’altro, con un sorriso colmo di sottintesi.

“abbiamo altri alleati alle prigioni governative, signore?”

“io non li chiamerei alleati veri e propri. Se dobbiamo essere sinceri sono una vera e propria esca, ma a nostro favore.” Sorrise di nuovo, un sorriso che faceva ghiacciare il sangue nelle vene. “siamo in guerra, e in guerra e in amore tutto è lecito.” concluse. “sistemate la rotta, signore, e mandate un messaggero in ogni porto qui vicino, subito.”

Il tenente alzò il mento e fece il saluto militare: “comandi, Capitano!” e si dileguò.

Somers rimase ancora a osservare il Deathbearer. Era soddisfatto. Si voltò e si avviò a passi lenti sul ponte della sua nave. Aveva fatto carriera, il Tenente Somers. Era diventato Capitano di una flotta intera, e andava per mare da quasi due settimane per trovare i pirati di Reckhernam. Ormai rimanevano solo loro a contrastare il dominio Inglese sui mari. Gli altri erano tutti morti, all’appello mancavano Jack Reckhernam e la sua ciurma di Ombre. Solo all’idea un brivido gli scendeva lungo la schiena. Quelli avevano dalla loro una strana sorta di Magia, che ancora non aveva capito, ma non bastava quello a fermarlo, di certo. Sarebbe stato lui a concludere tutto, sarebbe entrato nella storia come l’uomo che aveva chiuso per sempre la pirateria, colui che aveva ucciso Jack Reckhernam, la sua ciurma di Ombre, quella maledetta donna pirata e quella stramaledetta banda di ragazzini che erano scappati da Port-au-Prince. Sì, ci sarebbe riuscito, se lo sentiva, e il suo intuito non sbagliava mai.









Ciaoo!!

da quanto tempo rispetto al vecchio capitolo! bhè, ci siamo quasi, ci stiamo avvicinando al finale! il prossimo capitolo sarà l'ultimo!

bhè, grazie come sempre a Shenim che è troppo gentile con me, spero che il capitolo ti sia piaciuto!

ciaooo

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Capitolo 21
*** Impossibile ***


Deathbearer - cap20 - impossibile

Impossibile.

La carta del mare delle Antille occupava tutto il tavolo del timone, perché era grande e piena di dettagli. Era stesa senza una piega e i bordi si increspavano al vento.

Il capitano allungò la mani sopra la carta e fece scivolare le dita sulla carta grinzosa. Aveva un’espressione indecifrabile. Tensione, inquietudine, e anche una strana sicurezza strafottente che sembrava non abbandonarlo mai.

Dopo un po’ si fermò. “questa è l’Isola di Mezzanotte.” disse picchiando il dito sul disegno di una piccola terra con il profilo tratteggiato.

“a ovest della Florida? Ma siete sicuro che è veramente lì il tesoro?” chiese Anne storcendo la bocca.

Il capitano scosse la testa, Anne per una volta pensò che fosse sincero. “non ne sono certo, nessuno lo è in questo caso, ma se tu dovessi nascondere un tesoro quale isola sceglieresti …” La guardò intensamente. “un atollo, sia pur sicuro, ma sempre visibile e perlustrabile, oppure un’isola praticamente inesistente su cui ci sono tante leggende fasulle ed esagerate quanto granelli di sabbia?”

“ovviamente l’Isola di Mezzanotte.” Concluse Amy.

“dobbiamo trovarla.” Aggiunse Sara con decisione.

“mi sembra il minimo.” Annuì il capitano. “ma non dobbiamo farci trovare dagli Inglesi. Da ogni porto che passiamo partono due navi, raggiunta la destinazione avremo contro una flotta.”

Prese a tamburellarsi il mento mentre borbottava tra sé e sé. “dobbiamo evitare i porti …” rifletté osservando la mappa.

“Inglesi” aggiunse Anne.

Storm scosse la testa, ma era come se Jack l’avesse fatto. “tutti odiano i pirati. Dobbiamo navigare in mare aperto per arrivare vivi al tesoro.” disse il capitano spostandosi dal timone al parapetto.

“attraverseremo gli Stretti.” decise alla fine.

“gli Stretti?” chiese Anne stralunata. “ma è impossibile in questo periodo dell’anno! La marea …” fu zittita con un gesto brusco.

“ce la faremo. Abbiamo fatto anche di peggio che veleggiare per l’Atlantico in primavera!” sorrise Mary.

Amy sentiva gli occhi che le bruciavano, le veniva da pensare a Katherine, le parole di quel pirata durante la battaglia le rimbombavano nella testa. “ma ci riusciremo? Non dobbiamo fermarci a fare rifornimenti da qualche parte?” chiese speranzosa. In tutti i libri che aveva letto c’era bisogno di rifornimenti dopo tanti giorni, e sperava con tutto il cuore di approdare a Turks Islands, per trovare Katherine. Sapeva che le probabilità di trovarla viva erano praticamente nulle, ma non ci voleva pensare, per lei era solo in pericolo, e andava raggiunta alla svelta.

“ha ragione, la mocciosa …” commentò il nostromo irato.

“dove?” domandò Amy con gli occhi che brillavano.

“non so …” mormorò il capitano “… a Tortuga …” mormorò tornando a fissare la carta. Sospirò pesantemente vedendo lo sguardo spaventoso di Amy.

“ma forse è meglio Turks Islands.” Si intromise il nostromo, che non sapeva nulla del discorso precedente tra Amy e il capitano.

“non credo.” Borbottò jack fissandolo con uno sguardo denso di sottintesi.

“permettevi di obiettare.” continuò il nostromo. “ma lì abbiamo il nostro contatto, e non riusciremo ad arrivare a Charles Town, ci vuole troppo … e siamo stremati.”

“perché non ci avete avvisato prima?” sbottò Mary.

“non è importante …” tagliò corto Storm “ora abbiamo altre cose a cui pensare, giusto capitano?”

“allora approderemo a Turks Islands tra quattro giorni, cinque al massimo.” concluse Jack fissando intensamente Amy.  “fino a notte la nave terrà, affronteremo la virata al buio, per non correre rischi. Speriamo che il loro galeone non ci riesca a sua volta.” Disse infine scuotendo il capo.

“non ce la faranno.” Sogghignò Mary. “loro non hanno il Deathbearer!” aggiunse, e risero insieme.

 *

Il pomeriggio afoso passò lento, mentre il vento si faceva impetuoso. Amy aveva condotto Stephanie e Anne nella cabina, e si era confidata su quello che era successo nella battaglia e del suo presentimento riguardo Katherine. Anne approvò senza riguardi, convinta che fosse giusto liberare tutti i prigionieri, mentre Stephanie come sempre, placò la sua foga dicendole che Jack non le avrebbe mai perdonate, e punite come cani, quindi rifletté assorta e concluse che era giusto solo cercare Katherine, mentre i pirati contrattavano, e aggiunse che la prudenza sarebbe stata la loro ombra e che dovevano cercare di essere invisibili. Per Amy non c’erano problemi, alle volte pensava di esistere nemmeno, per gli altri.

Dopo ore tornarono sul ponte. Davanti a loro si stagliava una lunga striscia di terra pianeggiante, che sembrava chiudersi intorno alle navi come una morsa, e non c’era traccia di insenature e stretti.

“siete sicuro che siamo nel posto giusto?” chiese Anne con fare ansioso, mentre si morsicava un unghia.

“ovvio che sono sicuro!” commentò Jack guardandola con disprezzo.

Anne abbassò la testa, ma non gli credeva troppo.

“ma siete sicuro che ci riusciremo?” chiese Stephanie, sempre più impaurita.

Jack non rispose e si limitò a ciondolare la testa.

Stephanie stava per riprendere quando il capitano disse: “l’ho fatto più volte! Spero ti possa tranquillizzare, perché io mi sto annoiando di sentire le tue lamentele!”

Amy cercò di ignorare la grande voglia di prenderlo a botte. Doveva fare la brava per riuscire a scendere a Turks Islands. Sentì le lacrime salirle agli occhi quando ripensò a Katherine, ma deglutì la paura e il rimorso e chiuse gli occhi terrorizzata. Con un gesto veloce si guardò le spalle e vide la nave che li seguiva, sempre più vicina. Quando si girò, Sara le si parò davanti come un ombra e lei saltò all’indietro. “ma sei matta! … che spavento!” urlò.

Sara non disse niente, ma il suo sguardo lasciava intendere molto. Amy sentì che aveva bisogno di parlarle, non riusciva a non pensare alla loro litigata. “scusa per quello che ti ho detto.” Le mormorò, ma non fu certa che avesse sentito.

Intanto Anne e il capitano cominciavano a battibeccare sulla loro situazione. “qui non ci sono Stretti!” commentò la ragazza guardandosi intorno nella luce dorata del tramonto.

“io direi di sì, invece, signorina. Non siamo stati in questa zona per molto, vero?” rispose Jack acido, con un tono insopportabile. “guarda bene.”  le disse dopo qualche secondo.

Insieme a Stephanie si avvicinò al parapetto e si guardò intorno. La terra di fronte a loro si allungava poco distante, e si riusciva a scorgere la spiaggia bianca. Strizzando gli occhi, Anne capì che quella striscia di terra, che sembrava impenetrabile, in realtà erano una miriade di atolli e isolotti più grandi. Tanto vicini da essere quasi impossibile vederne gli stretti tra uno e l’altro. Sarebbe stato difficile attraversarli, ma era almeno possibile.

 *

Le onde che si infrangevano sullo scafo diventavano ogni secondo più forti e si capiva che erano vicini alla vastissima distesa oceanica.

Il sole si era ormai tuffato a ovest, e aveva lasciato il posto a una luna lontana e metallica. Una coltre di nebbia, simile ad un batuffolo di ovatta, si stava avvicinando ai marinai, immersi nel loro lavoro. Nasceva da dietro la striscia di isole, e si avvicinava a loro, che lentamente stavano virando.

 *

Dalla nave inglese Diamond, invece, il veliero pirata sembrava sempre immobile davanti a loro, e per il Capitano, stava andando incontro alla fine. Loro non vedevano ancora che la terra in realtà era disseminata di golfi e stretti e che si stavano inoltrando in una grande palude di atolli e isole.

Somers osservava soddisfatto il panorama dalla prua della sua nave. “ecco la sorpresa …” mormorò tra sé e sé, ma ancora non sapeva che quella era quasi la stessa strategia che stavano applicando i pirati.

 *

Anche la luce della luna sembrò oscurarsi quando raggiunsero gli Stretti. La violenza sferzante del vento, insieme con la paura, tolse il fiato alle ragazze. Raffiche di forza selvaggia le avvolsero, come cercando di strapparle via dall’albero a cui erano legate. Le accecava, assordava, e impediva loro di respirare.

La prima massiccia ondata colpì il Deathbearer, la prua si inclinò in alto, come se volessero raggiungere il cielo. Qualche istante dopo la nave tornò a scivolare in basso, e quando la prua affondò nell’acqua, sembrò voler tagliare il mare a metà, e possenti scrosci d’acqua salata si riversarono sul ponte.

Tutto avvenne velocemente. Amy non credeva che sarebbe stato così difficile. Rifletteva attentamente quando un urlo interruppe i suoi pensieri.

“attenti agli scogli!!” urlò Storm. Infatti il fondale, oltre ad essere molto basso e insidioso, era anche disseminato di scogli alti e appuntiti che minacciavano di falle la nave.

“spigate le vele del pennone di dritta!!” sbraitò il capitano alla ciurma, e tutti si misero al lavoro.

“carica il timone!” urlò Mary al nostromo, dopo essersi sporta a guardare l’acqua.

“chiudete il vento e virate a est di un punto!! Pronto timoniere!!” urlò ancora il capitano. Si diresse allora a grandi passi al timone, spinse di lato il nostromo e cominciò a girarlo, caricandolo a ovest.

Mary prese Sara per un gomito mentre stava per correre via: “legati insieme alle ragazze all’albero! Non fare l’orgogliosa, per una volta.”

Sara rimase immobile un istante, poi annuì, vedendo che la madre era preoccupata. “contaci.” Le disse e poi andò via. Sara rimase un istante immobile. Poteva usare la Magia, le sembrava l’unico modo per superare quell’ostacolo. Dopo quello che era riuscita a fare combattendo con Crowley si sentiva molto più sicura quando invocava i suoi poteri, ma aveva sempre il  terrore di non riuscire più a tornare presente a sé stessa. Scosse la testa, doveva fare come le avevano sempre detto. La Magia andava usata solo in casi estremi, e quello non lo era. Prese una cima e ne legò un’estremità all’albero maestro.

 *

Le onde erano sempre più forti e stavano avvicinandosi allo stretto. Gli schizzi erano gelati e raggiungevano i marinai come frecce velenose. Ormai anche gli inglesi avevano capito le loro intenzioni e per Somers era come se gli fosse crollato il mondo sulla testa. Rimase immobile per minuti interminabili che continuavano a scorrere silenziosi, mentre il Deathbearer era ormai distante, e aveva superato anche l’ultimo gruppo di scogli, dirigendosi allo stretto e all’Oceano, ma a loro mancava un capitano e il tempo per virare.

Quando Somers si distolse dai suoi pensieri, la prua era a pochi metri dagli scogli e ci finì sopra con fragore. L’acqua riempì subito lo scafo, ma non era un danno irreparabile.

I pirati sul Deathbearer esultavano e saltellavano, ma non era ancora finita. Avevano superato solo una parte delle insidie. Reckhernam stringeva le mani sul timone con sguardo assorto e gelido, ignorando l’acqua che inondava il ponte.

Davanti a loro lo stretto si vedeva bene, nonostante la nebbia e il buio che avanzava, mancava poco per riuscire a infilarsi, ma dovevano essere precisi, altrimenti sarebbe andati contro gli scogli e la loro missione sarebbe crollata insieme alla nave.

Le acque gelide che provenivano dall’Atlantico, si scontravano con quelle delle Antille e formavano piccoli vortici e frangenti enormi.

Mary alzò gli occhi con uno sforzo sul timone e aprì la bocca. Guardò ancora lo stretto e più volte tornò a guardare Jack. Attese, poi urlò più forte possibile: “adesso!!!” con una voce rotta che non era da lei.

Jack rimase ancora un attimo con le mani sul timone, poi si gettò all’indietro e lasciò che il timone cominciasse a girare vorticosamente.

Tutti abbassarono la testa e le funi si tesero al massimo. Amy urlò a pieni polmoni, anche se non capiva perché, ma il suo corpo non le rispondeva e si ritrovò a con i capelli in bocca e il fragore delle onde copriva la forza della sua voce. Quell’istante le sembrò durare in eterno, le braccia e le mani le dolevano per tenersi alla cima e la forza delle onde sembrava spazzarli via da un momento all’altro.

La nave si girò su se stessa di quasi la metà ed entrò nello stretto scontrandosi contro uno scoglio enorme. I marinai furono strattonati e spinti, avanti e indietro, ma alla fine; quando ebbero il coraggio di riaprire gli occhi, erano nell’Atlantico.

 *

La prima cosa che venne in mente ad Amy, fu di andare dal capitano.

Era difficile camminare, le onde dell’Oceano erano molto più possenti, ma li stavano portando a Turks Islands, quindi tutto andava bene.

Jack teneva le mani sul timone, ancora concentrato.

Ora che Amy se lo trovava di fronte, però, non sapeva cosa dirgli. “come abbiamo fatto?” chiese con un filo di voce. “era impossibile.”

Jack la guardò intensamente, poi le sue labbra si aprirono in un sorriso. “nulla è impossibile per colui sulla cui testa sventola la bandiera con il teschio."

*

                                                                                                                 To Be Continued ...







ciao a tutti!!

bhè, è strano dover mettere la parola "fine" anche in questa storia....

come farò senza le vostre recensioni??

sì, certo, ci sarà un seguito, ma prima devo rivedere meglio questa parte della storia. non so bene quando ci riuscirò, e quando metterò i nuovi capitoli, ma ci vorrà tempo. più di quanto immaginassi, perchè alcuni commenti mi hanno fatto capire che forse sono stata un po' precipitosa, e che devo ancora rivedere meglio la storia. bhè, siamo umani, no? quindi è normale sbagliare, perciò meglio sistemare tutto ciò che c'è da sistemare.

spero che la storia vi sia (a chi più, a chi meno) piaciuta fino in fondo.

grazie mille a tutti, che seguono, recensiscono, o hanno letto e basta.

ciaooo

Archer

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