Relapse di _KyRa_ (/viewuser.php?uid=79577)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One. ***
Capitolo 2: *** Two. ***
Capitolo 3: *** Three. ***
Capitolo 4: *** Four. ***
Capitolo 5: *** Five. ***
Capitolo 6: *** Six. ***
Capitolo 7: *** Seven. ***
Capitolo 8: *** Eight. ***
Capitolo 9: *** Nine. ***
Capitolo 10: *** Ten. ***
Capitolo 11: *** Eleven. ***
Capitolo 12: *** Twelve. ***
Capitolo 13: *** Thirteen. ***
Capitolo 14: *** Fourteen. ***
Capitolo 15: *** Fifteen. ***
Capitolo 16: *** Sixteen. ***
Capitolo 17: *** Seventeen. ***
Capitolo 18: *** Eighteen. ***
Capitolo 19: *** Nineteen. ***
Capitolo 20: *** Twenty. ***
Capitolo 21: *** Twenty-One. ***
Capitolo 22: *** Epilogue. ***
Capitolo 1 *** One. ***
1
One.
Il
sudore stanziava copioso sulla sua pelle. I muscoli si contraevano
ritmicamente e le labbra rilasciavano pesanti ed affaticati ansimi.
Le mani grandi e venose stringevano spasmodicamente il lenzuolo ormai
sciupato da quella presa violenta. Attorno, oscurità e
silenzio permeavano le pareti di quella stanza, divenuta quasi
soffocante, così come i suoi pensieri.
Il
corpo gracile che gli sottostava era decisamente troppo inesperto ed
il suo odore raggiungeva bruscamente le sue narici... Quell'odore che
non era il suo; quell'odore troppo diverso da quello di cui
era abituato bearsi e quindi poco gradevole, nonostante altri ragazzi
l'avrebbero forse gradito. I gemiti di quella sconosciuta perforavano
le sue orecchie con insistenza, rendendo il tutto ancora più
fastidioso e sbagliato.
Sentiva
di agire d'impulso, secondo i suoi istinti per troppo tempo repressi
per colpa sua. Si era precluso per dei mesi interminabili i
divertimenti ed i piaceri che era solito inseguire prima che
arrivasse lei a sconvolgere la sua vita. Tutto era perfetto,
tutto era come lui apparentemente desiderava e non avrebbe mai
chiesto altro. Poi quella ragazza aveva deciso di stravolgere la sua
esistenza, portandolo a cercare altro che non fosse solo il sesso.
L'aveva preso e strappato dalle sue abitudini, senza nemmeno
rendersene conto, che aveva sempre altamente apprezzato.
E
ce l'aveva con lei per questo, ce l'aveva da morire.
Con
un ultimo, netto movimento del bacino, mandò in estasi quel
corpo femminile, privo di nome e peculiarità, crollandovi
successivamente sopra, per riprendere fiato. Ancora una volta, la
Pace dei Sensi era arrivata senza importanza, senza che questa
lasciasse finalmente il marchio in lui, come in passato accadeva.
No... Ormai non sentiva più nulla, da quando si era accorto
che ciò di cui aveva bisogno non era lì con lui.
Un
misero discorso ed una risposta non data, o comunque lasciata in
sospeso, in un grigio aeroporto. Più i giorni scorrevano lenti
e sinuosi, più si sentiva insoddisfatto e stupido. Un “mi
mancherai” soffiato e sofferto che l'aveva lasciato con un doloroso
crampo allo stomaco, per tutto quel tempo, senza mai abbandonarlo; se
nella sua vita aveva sempre creduto di essere abbastanza maturo in
tutto ciò che faceva, tutte le sue certezze ora stavano
vacillando, fino a svanire una ad una, con tremenda lentezza.
Si
sollevò stancamente dalla sconosciuta, la quale prese a
scrutarlo con perplessità, chiedendosi forse per quale assurdo
motivo si fosse allontanato da lei così in fretta e con così
tanta freddezza.
«
Che succede? » domandò con voce incerta, mentre il
ragazzo si accendeva la sigaretta, seduto sul letto e dandole le
spalle nude.
«
Succede che te ne devi andare. Con te ho finito. » tagliò
corto il moro, dopo aver inspirato un po' di rigenerante nicotina,
senza preoccuparsi di aver usato un tono poco gentile. I secondi di
silenzio che susseguirono furono piuttosto urtanti per lui. Non aveva
assolutamente voglia di dover elencare gli infiniti motivi per cui
non poteva restare qualche attimo in più con quella ragazza
che nemmeno conosceva.
«
Ma pensavo... »
«
Pensavi male. » la interruppe il chitarrista, alzandosi dal
materasso, incurante di essere ancora completamente nudo, e si
avvicinò alla finestra, continuando a darle la schiena con
indifferenza. « Cos'è... Credevi che con te la cosa
sarebbe stata diversa? Non andare a pensare a queste stronzate. Io
sono Tom Kaulitz, ricordi? Sono stronzo, sono senza cuore. Tom
Kaulitz non si innamora quindi mettiti l'anima in pace. Ed ora, se
non ti dispiace, vado a farmi una doccia. Quando torno desidererei
trovare la stanza vuota, non mi piace ripetermi. »
Stronzaggine...
Pura e spudorata stronzaggine. Quando voleva, riusciva ad
enfatizzare tutto quanto, fino a colpire dolorosamente ed
irrimediabilmente nel cuore gli animi più deboli ed indifesi.
Solamente attaccando sarebbe riuscito a difendersi.
Ignorò
il lieve dispiacere che prese ad inondargli il corpo, non appena udì
la ragazza tirare su con il naso, e – prima che potesse essere
troppo tardi – si rifugiò in bagno, proprio come le aveva
detto. Non voleva perdere tempo a consolarla. Per allontanare le
persone non poteva usare dolcezza. Occorrevano semplicemente
insensibilità, spietatezza e concisione. Solo così
sarebbero riuscite a dimenticarlo per ciò che appariva: un
semplice bastardo.
Poggiò
le mani sul lavello di fronte a sé e sollevò gli occhi
spenti sullo specchio rettangolare. Ormai non vedeva altro che
espressioni tristi e vuote sul suo volto. La sua vita non lo
soddisfaceva più. Forse perchè sapeva di aver lasciato
troppe cose in sospeso. Aveva lasciato qualcosa, o meglio qualcuno di
troppo importante per lui, a Berlino, un anno e mezzo prima. Ancora
non sapeva come ciò fosse potuto accadere, visti e considerati
i precedenti che vi erano stati, ma era solamente consapevole del
fatto che quella dannata Monique
gli aveva letteralmente mandato in tilt il cervello.
*
Il
mal di schiena la stava semplicemente uccidendo. Aveva dedicato
l'intero pomeriggio alle pulizie di casa, il che voleva dire scovare
ogni singolo millimetro quadrato devastato dalla più piccola
briciola di polvere e disinfettarlo.
Da
quando nella sua vita aveva preso posto un nuovo componente, era
diventata ancora più pignola di quanto già non fosse
qualche tempo prima.
Due
occhietti celesti la scrutavano con attenzione in ogni minimo
movimento, palesemente incuriositi. Tanti perchè, tante
curiosità, tante parole blaterate da una vocetta delicata.
Eveline sedeva sul divano, a gambe incrociate, ad osservare la sua
mamma con ammirazione.
Più
passava il tempo e più Monique non riusciva a capacitarsi di
quanto infinito amore le donasse quella bambina di appena un anno e
mezzo, che a malapena parlava e vagava per casa ancora non del tutto
stabile.
Il
suo perenne odio verso i bambini era lentamente sfumato nel tempo. A
dire il vero era già scomparso quel meraviglioso giorno in
cui, stremata e sudata, aveva accolto fra le sue braccia quel
fagottino sporco e minuscolo, intento a piangere e strillare.
Ricordava, ironicamente, che il primo pensiero che le aveva invaso la
mente nel vederla era stato “Questa bambina avrà due polmoni
grossi quanto due cocomeri”. Nonostante però il suo timpano
si fosse già dichiarato fuori uso, ricordava l'ilare sorriso
che era andato a dipingersi sul suo volto nell'osservare sua
figlia.
Quella
piccolissima bambina, fatta di carne, ossa e sangue... Il suo
sangue. Al solo pensiero percepiva un brivido scorrerle lungo tutto
il corpo. Essere madre l'aveva resa inspiegabilmente felice. Lei...
Lei che aveva sempre odiato i bambini; lei che non voleva saperne di
mettere su famiglia; lei che aveva avuto paura, sino all'ultimo
momento, di non essere all'altezza di tutto ciò. Madre.
I
primi tempi, doveva ammetterlo, era stato piuttosto difficile
prendersi cura della piccola, poiché si svegliava
costantemente durante la notte, alla solita ora, annunciando il tutto
con un urlo improvviso e stordente. Per tanti mesi aveva conosciuto
occhiaie violacee e piuttosto marcate, sotto i suoi occhi, sonnolenza
persino durante il giorno e stress nettamente amplificato. Nonostante
tutto, la fortuna le aveva regalato una splendida amica, per lei come
una sorella, pronta in ogni singolo istante della giornata o
addirittura della notte ad intervenire repentinamente, casomai ce ne
fosse stato il bisogno. Monique ringraziava giorno e notte chiunque
le avesse fatto trovare Jessica in quell'enorme città tedesca,
come un'ancora di salvezza. La rossa le era stata vicino, oltre che
nei mesi di gravidanza, anche e soprattutto al momento del parto.
Ricordava
quel giorno come fosse accaduto qualche ora prima...
L'aereo
bianco era ormai sparito nell'infinità bluastra del cielo ma
le lacrime continuavano a scorrere lungo le sue gote, trasmettendole
tanto dolore e necessità di riavvolgere immediatamente il
tempo, per stringere forte a sé il chitarrista e non lasciarlo
più andare.
Jessica
era scesa dalla macchina già da qualche minuto per poterla
accogliere nel suo abbraccio caldo e protettivo, unica cosa di cui
forse aveva bisogno in quel momento. Nascondendo il viso nell'incavo
del collo della sua migliore amica, la mora si lasciò andare
in un pianto intriso di tanto dolore e tanta disperazione.
Tutti
gli avvenimenti di quei mesi parevano effimeri. Non riusciva a
capacitarsi di quanto fosse appena successo e di ciò che il
chitarrista le aveva timidamente ma sinceramente confessato. E lei
non gli aveva dato una risposta chiara, sebbene una risposta non era
ciò che lui effettivamente voleva. Quello che il ragazzo
desiderava era, glielo aveva detto, poter tornare a Berlino – una
volta terminato il tour – e guardarla senza timore negli occhi, con
un sorriso spontaneo disegnato sul suo viso, e magari poter tornare
ad intrattenere quel rapporto che aveva caratterizzato la loro strana
unione, qualche tempo prima che Monique capisse che ciò che
provava per Tom era decisamente amore e non semplice affetto.
Un
improvviso mal di stomaco aveva deciso di renderle quella situazione
ancora più estenuante da sostenere. Continuava a darsi della
stupida mentalmente per come stava reagendo: aveva preso una
decisione – dimenticarlo – e glielo aveva riferito con estranea
forza; eppure ora era ingiustificabilmente crollata, contro il suo
volere. D'altronde era fatta di anima e sentimenti; non era un pezzo
di marmo, immune da ogni male e freddo come il ghiaccio.
Il
mal di stomaco stava, attimo dopo attimo, trasformandosi in una fitta
acuta, netta e anche piuttosto duratura, tanto da farla contorcere
sul posto con un urlo addolorato.
«
Che succede? » le chiese allarmata Jessica, mentre cercava di
sostenerla con le braccia. Tutto ciò che Monique fece, nei
secondi successivi, fu sgranare gli occhi e trattenere il fiato, alla
vista del liquido amniotico che scorreva copiosamente lungo le sue
gambe.
Era
coricata su quel letto di ospedale da infinite ore e sapeva solamente
che la stanchezza, il dolore e la paura erano decisamente troppo
estenuanti per lei e non vedeva l'ora che tutta quella lentissima
agonia terminasse al più presto. Il sudore le imperlava la
fronte, così come ogni millimetro del suo corpo fremente.
Urlava regolarmente, sollevata solamente dalle poche pause che quel
male le concedeva di tanto in tanto. Aveva sentito la voce indistinta
dei dottori che avevano forse blaterato qualcosa a riguardo di
“doglie”, che l'aveva ulteriormente innervosita, portandola a
chiedersi il motivo per cui continuassero a parlare tranquillamente,
davanti a lei, senza agire concretamente. Ricordava che le era stato
domandato se necessitasse di un'epidurale, ma la risposta che era
riuscita a dare era stata un semplice e volgare “Andate a cagare
voi e l'epidurale!”. Non riusciva a controllarsi; il dolore la
stava facendo andare fuori di testa e non si curava più di
trattenersi o comportarsi educatamente con chiunque la circondasse. A
dire il vero, nemmeno le importava, dato che le sue preoccupazioni,
in quel momento, erano altre.
Quella
tortura si era protratta per tante, troppe ore, quella notte, fino a
che, con un urlo nettamente superiore a quelli precedenti, annunciò
l'imminente voglia del piccolo di farsi vedere dal resto del mondo.
L'ostetrica si era precipitata ai piedi del suo letto e Jessica,
vestita completamente di verde, l'aveva affiancata per stringerle una
mano ed incoraggiarla in ogni minimo movimento o sforzo facesse.
Sentiva
le continue esclamazioni della donna – fastidiosamente appostata in
mezzo alle sue gambe – ordinarle di spingere.
Sgranava
e stringeva a scatti gli occhi. Non aveva mai provato una sensazione
tanto sgradevole e mentalmente pregava perchè non durasse
ancora a lungo. Sentiva come se la stessero squarciando a metà,
senza ritegno, e salate lacrime si andarono a mischiare con il sudore
sul suo viso. Gli ultimi minuti furono i più orrendi, i più
insopportabili e strazianti, fino a che non udì un potente
pianto liberarsi in quella sala popolata di dottori in camice verde.
Il
suo cuore prese a battere all'impazzata, impossibile da fermare, ed
un'improvvisa voglia di conoscere la creatura che stava dando sfoggio
della propria considerevole voce la tormentò fino a che non
vide quel piccolo esserino sporco di sangue in braccio all'ostetrica.
Quest'ultima le si avvicinò sorridente, per poi poggiarglielo
sul petto, con estrema delicatezza.
«
E' una femmina. » le aveva annunciato con dolcezza, per poi
allontanarsi ed osservarla da lontano, serena.
Monique
pareva incredula, incapace di intendere e volere o semplicemente di
parlare e muoversi. Tenere fra le braccia quella bambina era stata
un'azione spontanea, del momento, mentre Jessica si era abbassata con
il viso accanto al suo, per osservarla commossa.
«
E' una cosa incredibile... E' troppo bella. » balbettò,
asciugandosi una lacrima con un delicato sorriso.
Monique
continuava a scrutare sua figlia quasi con timore, ma con altrettanta
felicità, commozione e orgoglio. Era opera sua; d'accordo, sua
e di un bastardo, ma era stata lei a darle la vita e la gioia che le
riempiva il cuore non era quantificabile.
«
Ciao, Eveline... » aveva semplicemente sussurrato, con un dito
catturato dalla delicata e quasi impercettibile stretta della mano
della neonata, prima che l'ostetrica la riprendesse e lei crollasse
in un sonno profondo, stremata.
Era
stato tutto dannatamente perfetto, ancora prima che stremante. Ora si
sentiva quasi del tutto completa, nonostante nella sua vita mancasse
ancora quell'unica figura maschile che aveva tanto desiderato accanto
a lei, ma che purtroppo non c'era.
Dimenticare
Tom, nel corso del tempo, si era rivelato alquanto arduo; tuttavia
poteva ritenersi parzialmente soddisfatta, poiché da qualche
tempo non aveva più disturbato i suoi pensieri con la semplice
comparsa del suo viso. Un anno e mezzo non aveva cancellato
completamente quel sentimento, ma poteva dire di averlo per lo meno
ammortizzato. Se precedentemente tutto ciò che riusciva a fare
al suo ricordo era piangere, ora lo ricordava con lieve malinconia,
ma poi stringeva i denti e andava avanti; continuava a vivere per lei
e per la sua Eveline, la quale – se l'era promesso – avrebbe
dovuto crescere in mezzo a tanta serenità e pace.
I
suoi genitori, non appena l'avevano vista, se n'erano innamorati:
d'altronde era impossibile non innamorarsene. Era una bimba
diligente, tranquilla e piena di dolcezza da regalare a chiunque. Un
po' timida con gli sconosciuti, diveniva meravigliosamente espansiva
con chi già conosceva, come ad esempio Jessica, che ormai
reputava come una zia acquisita.
«
Mamy? »
La
delicatezza di quella giovane voce era disarmante. Monique sentiva un
brivido ogni qual volta la chiamava a quella maniera e non poteva
fare a meno di sorridere.
«
Dimmi. » rispose, voltandosi nella sua direzione.
«
Tia Gege? »
Il
nome “Jessica” era per Eveline ancora troppo complicato da
pronunciare; per questo motivo aveva optato per un soprannome alla
sua portata, che la diretta interessata adorava.
«
La zia Gege arriva tra poco. » la annunciò, suscitando
così in lei contentezza. « Sei contenta di vederla
perchè sai che ti fa fare sempre tutto quello che vuoi, eh? »
ridacchiò qualche attimo, tornando poi ad occuparsi dei
mobili.
Il
pulire e il mettere in ordine la casa era anche un passatempo, per
lei. Con la nascita di Eveline aveva occupato il suo tempo
soprattutto per lei e, le doleva ammetterlo, le avevano sempre dato
un aiuto i suoi genitori, pur contro il suo volere. Ora però
aveva solamente voglia di rimettersi in pista, di ricominciare a
lavorare e non avrebbe atteso un granché dato che i Tokio
Hotel non sarebbero tornati a Berlino troppo in là. Aveva
promesso a David che avrebbe ricominciato a lavorare per loro e,
ovviamente, non avrebbe saputo trovare di meglio. Quella per lei era
stata un'occasione più unica che rara; le dava riscontri
positivi anche e soprattutto economicamente e non avrebbe dovuto
buttarla all'aria per avvenimenti precedenti.
Improvvisamente
il suono del campanello annunciò l'arrivo di Jessica.
«
Gege! » esclamò eccitata Eveline, buttandosi a peso
morto sul pavimento e spiccando successivamente una pericolosa corsa,
non del tutto stabile, verso la porta di casa.
«
Eve, piano, che ti spiattelli sul parquet! » la ammonì
Monique, correndole dietro, pronta ad afferrarla al primo barcollo.
Giunta di fronte alla porta, con Eveline ancora intera e soprattutto
in piedi, poté aprirla per accogliere Jessica con un enorme
sorriso stampato sul volto.
«
Tia! » Eveline stese le braccia gracili verso la rossa che la
prese in braccio per poi stamparle un bacio sulla tempia.
«
Ciao, piccolina! » la salutò calorosamente, mentre
entrava in casa. Monique richiuse la porta, sorridente, e seguì
poi le “sue donne” in salotto, per sedersi sul divano. Eveline,
come sempre, trovò posto sulle gambe di Jessica e prese
successivamente a giocherellare con i suoi capelli rossi. « Ma
che bello questo vestitino, chi te l'ha regalato? » esclamò
furbescamente la ragazza, sapendo alla perfezione che gliel'aveva
regalato proprio lei per il suo primo compleanno. Monique scosse
appena la testa. « Hai sentito David? » chiese poi
Jessica alla mora.
«
Sì, tra non molti giorni dovrebbero tornare a Berlino, così
posso riprendere a lavorare. » rispose Monique, osservando
distrattamente sua figlia.
«
E tu come ti senti all'idea? » continuò la rossa.
Monique, a quel punto, si voltò nella sua direzione,
incontrando il suo sguardo.
«
Bene, ricominciare a lavorare mi serviva. » le pareva piuttosto
ovvio.
«
Sai benissimo che non mi riferivo al lavoro. »
Sospirare
fu ciò che di più spontaneo venne da fare alla mora. Se
lei cercava di non pensare al chitarrista, ecco che Jessica si
impegnava per mandare a monte ogni suo piano.
«
Jess, sono tranquilla... Davvero. Te l'ho detto, a Tom non penso più
come prima; me la sono fatta passare un po'. » spiegò
sulla difensiva.
«
Sì, ma io ti conosco, Monique... Non sei un tipo che si
dimentica facilmente di un ragazzo, di cui oltretutto si è
innamorata. »
«
Per lo meno ci ho provato e ci sto provando! Sono ancora parecchio
sensibile su questo discorso, è vero, ma non penso di essere
ancora innamorata di lui. »
«
Beh, lo scoprirai quando lo rivedrai. »
Monique
stette in silenzio a riflettere. Era la verità; solamente
rivedendolo avrebbe scoperto come il suo cuore avrebbe reagito.
Eppure, perchè al solo pensiero, lo sentiva già battere
furiosamente nel petto?
*
Bill,
da qualche tempo, non viveva bene. Non riusciva a farlo, nel vedere
suo fratello piuttosto affranto. Quest'ultimo, certamente, non aveva
passato ogni singolo giorno chiuso in se stesso o in una stanza, in
uno stato semi-comatoso; per arrivare a fare ciò avrebbe
dovuto essere addirittura innamorato, ma puntare all'impossibile
ancora non gli conveniva. Eppure, nonostante tutto, lo vedeva
pensieroso... Più spesso del solito. Sapeva che era dovuto
soprattutto all'idea di rivedere Monique, con la quale non era
riuscito ad ottenere un chiarimento soddisfacente, e che
probabilmente non le era del tutto indifferente dal punto di vista
sentimentale. Lo conosceva da ancora prima di nascere e poteva
leggerlo nella mente e nel cuore, capendo molte più cose che
il chitarrista stesso potesse capire. Non era innamorato e questo lo
poteva confermare con certezza, ma il suo pensiero, spesso, era
rivolto a lei. Perchè fosse ancora preso o semplicemente
triste per come si erano concluse le cose, però non sapeva
dirlo.
Anche
lui, d'altra parte, pensava spesso a Monique. Si sentivano
regolarmente al telefono e la voce della piccola che udiva presa dai
propri discorsi che solamente una bambina della sua età poteva
capire, lo faceva sorridere. Ricordava ancora la propria reazione il
giorno in cui venne a sapere che si trattava di una femminuccia...
«
Oddio, hai partorito?! » esclamò il vocalist,
entusiasta, con il cellulare all'orecchio, mentre il resto della band
– assieme a David – lo circondava, attento. Riuscì a
scorgere l'espressione di Tom: un misto fra la sorpresa, l'ansia, la
tristezza e l'eccitazione. « Ed è un maschio o una
femmina? Dimmi che è un maschio, così porterà il
mio nome! » aveva pregato successivamente con una lieve
cantilena nel tono di voce.
La
risposta di Monique “Mi spiace deluderti, ma è una
femminuccia” gli aveva fatto per un attimo cadere la mandibola al
pavimento, ma si era subito ripreso, manifestando comunque
contentezza ed impazienza di vederla. Tom gli aveva successivamente
chiesto con lo sguardo cosa si fossero detti e, non appena gli ebbe
riferito che si trattava di una femmina, il chitarrista ammorbidì
lentamente il suo volto in un sorriso sincero ed intenerito.
«
Ragazzi, domani avete l'ultima intervista. » parlò
improvvisamente David, mentre dava un'occhiata alla sua agenda.
«
Oh, sia ringraziato il cielo. » sospirò Georg,
stravaccato sul divanetto del tour bus, affianco a Tom che guardava
distrattamente la televisione.
«
Quindi torneremo a Berlino, se tutto va bene, fra un paio di giorni.
» continuò il manager, chiudendo l'agenda e riponendola
in tasca.
«
Finalmente. Dopo un anno e mezzo... Casa. Abbiamo finito il tour da
non so quanto tempo e siamo ancora qui, in giro per il mondo, per
stupide interviste che non fanno altro che contenere le solite
domande che ci fanno da quando eravamo ancora dei marmocchi. »
borbottò Gustav, rannicchiandosi meglio accanto a Bill.
«
Abbiate pazienza, ragazzi... Io vado a chiamare Monique, così
glielo riferisco. » si congedò infine l'uomo,
lasciandoli nuovamente soli nella stanzetta lounge.
Bill
si voltò in modo automatico verso il fratello e notò
che non stava più osservando la televisione, bensì il
vuoto.
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Capitolo 2 *** Two. ***
2
Two.
Correva
in mezzo a quella pista aerea senza una meta. Respirava con atroce
affanno, tanto che fu costretta a fermarsi. Si guardò attorno
con preoccupazione ed ansia: una decina di aerei era appostata
proprio di fronte a lei, pronta a partire; ma qualcosa non andava.
Corrugò la fronte, nel momento in cui scorse tutti i grigi
velivoli prendere a muoversi lentamente, nella sua direzione, nello
stesso istante. Con il cuore scalpitante ed una nuova paura ad
invaderle il corpo, si voltò repentinamente nella direzione
opposta, ricominciando poi a correre. Scappava senza guardarsi alle
spalle, senza preoccuparsi di controllare se quegli aerei erano
ancora in moto e la stavano inseguendo; scappava e basta, consapevole
solamente del fatto che aveva disperatamente voglia di uscire da
quella maledetta pista.
Sgranò
gli occhi, nell'esatto istante in cui percepì qualcosa, o
meglio qualcuno, strattonarle malamente un braccio. La luce mattutina
era a dir poco accecante ed una sgradevole sensazione di freddo e
bagnato la prese alla sprovvista. Si portò una mano alla
fronte e constatò che era completamente sudata. Il suo cuore
batteva ancora all'impazzata ed una strana sensazione di tremore alle
gambe si impossessò velocemente di lei. Stava sognando?
«
Mamy! Mamy! » la delicata voce di Eveline le giunse subito alle
orecchie, portandola a voltare lo sguardo verso di lei. I suoi
occhietti celesti – acquisiti da Christian – la scrutavano
intrisi di preoccupazione.
«
Eve, tesoro, che c'è? » domandò Monique, il più
dolcemente possibile, cercando così di non intimorire la
bambina.
«
Ti agitavi. » mormorò la piccola, attorcigliando il
pigiamino tra le mani e mordicchiandolo poi da un lembo, con fare
agitato. Un'infinita tenerezza invase l'animo di Monique, la quale –
con un dolce sorriso – la accolse fra le sue braccia, per
infonderle quel poco di sicurezza che aveva momentaneamente perso. «
Tei sudata. » storse il nasino la piccola, abbandonandosi
comunque contro il corpo della madre, che prese a ridacchiare.
«
Stavo solo facendo un brutto sogno, non ti preoccupare. » le
sorrise successivamente, per poi liberarla dalla sua presa e
permetterle di scendere dal letto disfatto.
Dormire
insieme era diventata una piacevole abitudine. Sin da quando era
piccola, aveva abituato Eveline a riposare nella propria culla, ma
con il passare del tempo la bambina aveva cominciato a fare simili
richieste, le quali avvenivano solo qualche volta, ma che Monique
accettava sempre di buon grado. Farsi il solletico e ridere con gusto
era solamente una semplice conseguenza dei loro risvegli mattutini.
La
mora doveva ammetterlo: quella piccola creatura le aveva cambiato la
vita e, in un certo senso, gliel'aveva resa più serena e
movimentata.
Stese
le braccia sopra la propria testa, stiracchiando i muscoli
intorpiditi, e si rilassò per poi scendere dal letto e seguire
sua figlia in cucina.
Si
sentiva ancora scossa per quello strano sogno. Immaginava che fosse
avvenuto a causa della telefonata ricevuta due giorni prima, da parte
di David, per riferirle che assieme ai Tokio Hotel sarebbe tornato
allo studio di registrazione proprio quel pomeriggio. Si erano
accordati sull'orario di incontro, nella sua vecchia postazione di
lavoro, per discutere sugli orari e su ogni dettaglio. Le era stato
proposto persino di portare Eveline con sé ma, come primo
ritrovo, avrebbe preferito non farlo: avrebbe lasciato sua figlia in
compagnia di Jessica.
«
Tesoro, oggi pomeriggio, hai voglia di stare un po' con zia Jessica?
La mamma deve andare a tenere un colloquio di lavoro. » chiese
alla piccola, dopo averla aiutata a sedersi sulla sedia.
«
Ti! Con Tia Gege! » esclamò entusiasta Eveline, battendo
ripetutamente le manine. « Ma poi tu tonni? » domandò
successivamente, con occhi languidi, mentre la ragazza le preparava
una pappina di latte e biscotti.
«
Ma certo che torno, non ci metterò tanto. » le sorrise
Monique, donandole una leggera carezza sui capelli mori.
«
Tom, smettila di agitarti. »
La
voce di suo fratello l'aveva colto alla sprovvista, risvegliandolo
dai suoi più intimi pensieri, che forse nemmeno aveva
presente. Scostò lo sguardo dall'oblò e si voltò
alla sua sinistra, verso suo fratello, il quale lo osservava con la
fronte corrugata.
«
Cosa? » domandò il chitarrista, quasi stralunato.
«
Continui a muovere la gamba, mi fai tremare il sedile e io non riesco
a dormire. » spiegò il vocalist. Tom sollevò un
sopracciglio: conosceva l'eccessiva vena polemica di suo fratello, ma
ciò che gli aveva appena detto era a dir poco futile.
«
Tu riusciresti a dormire anche con un trapano pneumatico accostato
all'orecchio. » borbottò il chitarrista, tornando ad
osservare le nuvole sotto di sé.
Aveva
abbandonato la paura di volare da un bel po' di tempo, anche se quel
lieve senso di vertigine gli attanagliava sempre e comunque lo
stomaco, rendendolo piuttosto vulnerabile. Aveva comunque imparato ad
accantonare l'ansia di una possibile caduta o esplosione intorno alle
quali la sua mente vorticava; era stato costretto, dopotutto, a causa
di tutti i viaggi che doveva affrontare.
«
Cosa ti rende così nervoso, Tom? E non dirmi che è il
volo perchè non ci credo. »
Quella
domanda l'aveva preso in contro piede. Non si era decisamente
programmato una risposta plausibile da gettare, senza riflettervi, a
suo fratello. Il suo cuore conosceva il motivo; la sua mente lo
ignorava. Ammetterlo sarebbe stato troppo arduo per lui.
«
Non sono nervoso, Bill. Lo sai che ho questo vizio da quando sono
piccolo. » rispose il ragazzo, cercando di apparire abbastanza
convinto di ciò che aveva appena detto.
«
Sì. E so anche che lo fai, appunto, quando sei nervoso. »
ripetè con un sorriso furbo in volto e le sopracciglia
sollevate, in un'espressione intrisa di sarcasmo ed ironia. Tom lo
fulminò con lo sguardo, mostrando una smorfia contrariata, e
successivamente sbuffò, segno che si era arreso a quegli
ammiccamenti da parte del suo gemello.
«
D'accordo, sono un po' agitato. Giuro, solo un pochino. »
ammise Tom, più per convincere se stesso che Bill, il quale
appariva decisamente poco incline a credere ad ogni sua parola. «
Io e lei non ci siamo salutati in modo del tutto carino,
all'aeroporto, quel giorno. » mormorò, abbassando lo
sguardo sulle sue mani unite in grembo. « Io te ne avevo
parlato sin dalla prima volta in cui lei aveva messo piede allo
studio di registrazione che avevo capito di avere un debole per lei e
che avevo paura per questo. Tra parentesi, ti ringrazio per aver
mantenuto il segreto. » Bill, in risposta, sorrise appena. «
Anche se adesso non sono più così preso da lei come
prima, mi fa sempre uno strano effetto, anche il solo pensiero di
rivederla, capisci? Forse solo per un forte senso di colpa nei suoi
confronti, per paura di essere respinto, per paura di essere
ignorato, odiato... Perchè comunque l'ho fatta soffrire. Io a
lei piacevo; ora non so. Rimane il fatto che non so assolutamente
cosa aspettarmi dall'incontro di oggi pomeriggio. » concluse il
chitarrista, per poi sospirare, come magicamente alleggerito da
quella piccola confessione.
Suo
fratello lo osservava con tangibile comprensione sul volto. Aveva
capito perfettamente cosa volesse dire con quelle affermazioni e
conosceva anche il sentimento che stava provando.
«
E' normale che ti senti un po' spaventato da questo ma, ormai la
conosciamo: Monique è una ragazza intelligente e non mi sembra
il tipo che porta rancore. Probabilmente, con il tempo – dato che è
stato tanto – è passata anche a lei la cotta che aveva per
te, se possiamo definirla tale. Quindi non vedo perchè
dovrebbe trattarti male o non parlarti. Il passato è passato;
ora è cresciuta, ha una figlia, ha cose molto più serie
di cui preoccuparsi. »
Le
parole di Bill erano state assorbite, dalla prima all'ultima, dal suo
cervello. Non capiva come fosse possibile ma, il pensiero che Monique
lo avesse dimenticato, dal punto di vista sentimentale, lo rendeva
particolarmente malinconico. Non sapeva spiegarsi se fosse dovuto
dalla questione del solo Ego maschile che non doveva assolutamente
andare distrutto, o fosse per un motivo decisamente più
specifico.
«
Sì, può essere come dici tu. » concluse con una
lieve alzata di spalle, poggiandosi poi contro lo schienale del suo
sedile, per tornare a scrutare il cielo limpido mattutino che
stanziava attorno a lui.
Semplicemente,
non doveva pensarci.
Qualche
secondo più tardi, percepì la mano di suo fratello
posarsi sulla sua gamba per schiacciargliela verso il basso, con
l'intento di fargliela tenere ferma. Sorrise impercettibilmente: era
più forte di lui.
Da
minuti interminabili respirava allo stesso modo di quel lontano
giorno in cui aveva partorito.
Ricordava
ogni singolo incoraggiamento da parte dei dottori, ogni singolo
dettaglio di quella affannosa respirazione che le avevano ordinato di
adottare e l'aveva rimesso in pratica in quell'istante. Non riusciva
a capire – o forse non voleva – come fosse possibile
un'agitazione simile. Avrebbe rivisto i suoi datori di lavoro, con i
quali aveva sempre passato ogni momento delle sue giornate, eppure si
sentiva non poco nervosa.
Appena
entrata con la macchina nel vialetto dello studio di registrazione,
il suo cuore aveva preso ad eseguire fantastiche acrobazie,
nell'avvistare l'enorme Cadillac e le Audi parcheggiate proprio lì,
a qualche metro. Era scesa dalla sua auto con lentezza eccessiva e si
era guardata attorno come se avesse commesso un reato per il quale
qualcuno l'avrebbe improvvisamente accusata.
La
verità era che aveva paura che qualcuno di indesiderato
sbucasse alle sue spalle, da un momento all'altro. Ciò,
fortunatamente, non avvenne ed aveva così raggiunto in poco
tempo lo zerbino, di fronte all'entrata. Ora era ferma lì, ad
attendere una qualche chiamata divina che le infondesse il coraggio
necessario per varcare quella soglia, o più semplicemente
suonare quel dannato campanello, nonostante possedesse ancora le
chiavi.
Sollevò
una mano tremante verso il bottoncino affianco alla porta e, dopo
qualche attimo di lunga esitazione, chiuse gli occhi e vi premette
con un dito. Pochi secondi in cui il suo cervello le ordinò di
scappare e in cui la porta si aprì, rivelando dietro essa
l'esile figura di David.
«
Monique! » esclamò entusiasta, accogliendola in un
caloroso abbraccio che quasi le fece mancare il fiato. La ragazza non
poté fare a meno di ricambiare quella stretta, rilassandosi in
un sorriso sincero. Alle spalle del manager, avvistò Bill,
Gustav, Georg e – con un colpo al cuore – Tom, camminare in
quella direzione, piuttosto sorpresi. Il vocalist le si fiondò
addosso, seguito repentinamente dal batterista, per poi schioccarle
innumerevoli baci sul volto; successivamente toccò anche al
bassista che l'accolse fra le sue braccia muscolose. Quando infine si
voltò nella direzione di Tom, per un attimo le mancò il
fiato. Il ragazzo la guardava con un'espressione intimidita ma allo
stesso tempo sorridente.
Si
sentiva impacciata, non sapeva che fare, così sorrise appena
di rimando e sussurrò un “Ciao”, al quale il chitarrista
rispose con un cenno del capo.
«
Non hai portato Eve! » constatò Bill, imbronciato.
«
No, l'ho lasciata a casa con Jessica. Non mi sembrava il caso di
portarla ad un colloquio di lavoro. » rispose Monique, cercando
di non pensare a quegli occhi nocciola che intanto la scrutavano.
«
Ma tanto ormai siamo tutti in famiglia! Dobbiamo solo rivedere alcune
cose, potevi tranquillamente portarla. » intervenne David.
Monique sollevò le spalle e l'uomo scosse appena la testa,
divertito. « La prossima volta però ce la devi far
conoscere. » insistette.
«
Senza dubbio. » sorrise la mora, scoccando poi un veloce
sguardo al chitarrista.
Erano
passate quasi due ore dal momento in cui si era seduta su quella
sedia, in cucina. Attorno al tavolo sedevano anche i ragazzi, assieme
al manager, intenti a discutere circa orari e simili.
Si
era infine stabilito che Monique sarebbe tornata a lavorare come
traduttrice o interprete simultanea – casomai avessero dovuto
tenere ulteriori interviste – ma le pulizie a cui precedentemente
si dedicava, al pomeriggio, assolutamente no. Ora aveva una figlia a
cui badare e doveva trovare il tempo materiale per riuscire a gestire
ogni singolo impegno o dovere. Al momento, il dovere di madre era
quello che più le premeva e, in quanto tale, avrebbe dovuto
assicurare una buona situazione – anche in termine economico – a
sua figlia.
Tom,
in tutto quel tempo, aveva parlato pochissimo; aveva annuito o era
intervenuto di tanto in tanto, quando gli era praticamente di dovere,
ma oltre a monosillabi, non aveva esposto più di tanto le sue
idee. Monique continuava a torcersi le mani; non perchè si
sentisse ancora attratta da lui – cosa che, dovette ammettere, era
più o meno tale – ma perchè quella situazione le
pesava ed allo stesso tempo non riusciva a fare finta di nulla. Nel
profondo, nonostante si fosse impegnata per far sì che ciò
non influenzasse negativamente il loro rapporto, si sentiva ancora
arrabbiata, o meglio furente con lui. Era riuscito a rovinare tutto
quanto con motivazioni a dir poco futili, nonostante lui le reputasse
alquanto sostanziose.
La
conversazione, a quel tavolo, aveva lentamente preso una piega del
tutto diversa da quella lavorativa. Ora tutti erano curiosi di sapere
qualcosa riguardo Monique e la sua situazione familiare, da quando
era “entrata in scena” Eveline.
«
Quindi ha i tuoi stessi capelli mori? » domandò Bill,
sognante, con il viso poggiato ai palmi delle sue mani, con fare
interessato. Monique annuì, sorridendo appena; aveva imparato
a convivere con un nuovo sentimento, da quando era diventata madre:
l'orgoglio per sua figlia.
«
E gli occhi? » intervenne David.
«
Quelli li ha ereditati da suo padre. » commentò la
ragazza con una smorfia, al solo ricordo del suo ex fidanzato. «
Sono celesti e, mi duole ammetterlo, ma su di lei sono una
meraviglia. » borbottò la mora, al che i ragazzi
ridacchiarono compiaciuti da quella difficile dichiarazione.
«
Mi fa strano sentirti parlare in questo modo di una bambina. Se penso
che fino a qualche tempo fa quasi li ripudiavi, i bimbi... »
sorrise Gustav.
«
Beh, diventare madre ti cambia radicalmente la vita. E poi, non so, è
come un istinto naturale che ho sentito nell'esatto momento in cui mi
hanno appoggiato la bimba sul petto. » la sua voce era andata a
calare sempre di più, parola dopo parola, poiché un
ricordo stava spintonando fra i suoi pensieri per venire fuori.
«
Insomma, Tom. A me i bambini neanche piacciono. » ammise,
prendendosi la testa fra le mani. Tom restò qualche attimo in
silenzio, scrutandola accigliato. « Non sono in grado di
crescerne uno. Probabilmente non sarei neanche affettuosa, mi farebbe
schifo cambiargli il pannolino, perderei le staffe se mi svegliasse
il suo pianto durante la notte, uscirei di testa. Forse non sarei
nemmeno in grado di crescerlo, di dargli una buona educazione, di
aiutarlo con i compiti. Tom, non sono in grado di fare la madre! »
sbottò Monique.
[...]
«
Sai cosa penso? Che tutte le donne abbiano, chi più chi meno,
un istinto materno. Alcune ce l'hanno più marcato, altre lo
nascondono persino a loro stesse. Forse semplicemente perchè
non lo vogliono tirare fuori. Probabilmente perchè si sono
sempre convinte, come nel tuo caso, che i bambini non faranno mai
parte della loro vita. » esortò il ragazzo, lasciando
Monique di stucco. Tutto si sarebbe aspettata dal chitarrista, ma non
un discorso intriso di tale maturità. «Insomma, voi
donne siete connaturate così... Per dare al mondo i bambini.
Ce l'avete dentro. Forse tu non lo senti ancora, ma sono sicuro che
non appena partorirai e ti appoggeranno quel fagottino sul petto...
Ti sentirai più mamma tu di qualsiasi altra donna. »
Quelle
parole, di tanto tempo prima, erano dannatamente veritiere; senza
saperlo, Tom ci aveva preso, sin dall'inizio. Non poteva immaginare
che, in un modo o nell'altro, avrebbe avuto ragione.
Nel
momento in cui sollevò lo sguardo su di lui, notò che
la stava osservando con quella stessa profondità, con quella
stessa espressione, testimone di tante parole non dette ma
volenterose di fuoriuscire dalle sue labbra. Probabilmente, entrambi
avevano ricordato lo stesso episodio, nel medesimo istante.
Come
imbarazzato, il chitarrista tornò a scrutare il tavolo, sotto
di sé.
«
Sei ritornata perfettamente in forma, comunque, lasciatelo dire. »
constatò Bill, come suo solito attratto dall'estetica.
«
Ho fatto un po' di ginnastica in casa, con Jessica che, sosteneva mi
facesse da personal trainer, ma a me pareva più la copia
femminile di Hitler. » spiegò Monique.
I
ragazzi, assieme al manager, scoppiarono a ridere, probabilmente
immaginando la scena.
«
E Christian si è più fatto vedere? »
La
domanda di Georg aveva trascinato all'improvviso il silenzio in
quella cucina. Tom aveva di nuovo sollevato lo sguardo su Monique,
attendendo evidentemente una risposta da parte sua.
«
No, non si è fatto vedere e non ci deve nemmeno provare. »
rispose freddamente la ragazza, al che il chitarrista si rilassò
sulla sedia. Non comprendeva nemmeno lui la ragione per cui per quei
secondi apparentemente interminabili avesse sperato tanto in quella
risposta.
«
Se sbucasse nuovamente e volesse avere un rapporto con la figlia,
cosa faresti? » chiese ancora Gustav. Monique rifletté
qualche attimo, prima di rispondere.
«
Non è un problema che mi sono mai posta, semplicemente perchè
do per scontato che non lo farà mai, dato che non glien'è
mai importato nulla né di me, né della creatura che
tenevo in grembo. Probabilmente reagirei di conseguenza; dovrei
trovarmi nella situazione ma spero che questo non accada. »
Improvvisamente,
il cellulare prese a vibrare nella tasca dei suoi jeans,
interrompendo quella conversazione. Si affrettò a recuperarlo
e rispose.
«
Monique, hai ancora tanto? » sentì la voce di
Jessica.
«
Ehm, no, a dire il vero, abbiamo finito. » rispose la mora,
aggrottando le sopracciglia. « Qualcosa non va? » domandò
poi.
«
No, non ti preoccupare. Solo che Eve mi sta chiedendo da un po'
quando arrivi. »
«
Tesoro... Dille che arrivo subito. »
«
Ma sì, fai pure con calma. A dopo. »
Riattaccò
e ripose il cellulare in tasca.
«
La piccola chiama. » annunciò alla tavolata. «
Sarà meglio che vada perchè, tra le chiacchiere, non mi
sono accorta dell'ora. » sorrise appena, alzandosi intanto
dalla sedia. Tutti quanti annuirono e si alzarono a loro volta. La
accompagnarono sino alla porta, salutandola successivamente, dopo
essersi ricordati a vicenda che la mattina seguente sarebbe già
tornata a lavorare. « Ciao, ragazzi, a domani. » salutò
la mora, uscendo poi dallo studio di registrazione.
Il
cielo, sopra di lei, era già buio, reso appena più
luminoso solamente grazie alle stelle che quella sera avevano deciso
di ornarlo, senza alcuna nuvola a guastare quel piacevole spettacolo.
Si strinse nel cappotto, diretta verso la sua macchina, quando udì
una voce, alle sue spalle, fermarla.
«
Monique. »
Un
brivido, uno di quelli che era solita provare fino a qualche tempo
prima, le attraversò la colonna vertebrale. Impuntò sui
propri piedi, quasi indecisa sul da farsi ma, senza riflettervi
ulteriormente, si voltò nella direzione del chitarrista.
Quest'ultimo la guardava intimidito, con le mani in tasca e stretto
nelle proprie spalle, ma con espressione crucciata e bisognosa di
liberarsi di un peso troppo opprimente.
«
Dimmi. » cercò di apparire disinvolta la mora. Tom restò
qualche attimo in silenzio. A dire il vero non conosceva nemmeno lui
il motivo per cui l'aveva inseguita, con l'intento di parlarle. Ma
per dirle cosa?
Il
chitarrista prese a strusciare una scarpa contro l'erba che gli
sottostava, decisamente pentito di aver fatto ciò; ora non
sapeva più come venirne fuori.
«
Nulla, volevo solo... » esitò ma le parole non si
liberarono nell'aria. Semplicemente si fermò, guardandola con
una strana luce malinconica negli occhi. Monique aveva i pugni
stretti nelle tasche del suo cappotto ma questo Tom non poteva
vederlo. Voleva apparire al suo sguardo sicura di sé e per
niente turbata, ma il suo impegno stava cominciando a vacillare.
«
Solo? » lo incoraggiò, senza esternare quella lieve
speranza che aveva preso possesso dei suoi sensi. Il suo cuore,
infondo, sperava che le dicesse qualcosa che l'avrebbe fatta tornare
a casa con il sorriso, anche se ciò non avrebbe cambiato la
situazione. « Tom, Eve è a casa che mi sta aspettando. »
provò ad incitarlo ulteriormente. Lo vide ancora più
teso; forse si sentiva pressato.
«
Hai ragione... Vai. » sorrise appena il ragazzo, portandosi una
mano dietro alla nuca. Si sentiva eccessivamente in imbarazzo e
fremeva dall'urgenza di correre nuovamente dentro lo studio e
nascondersi dagli occhi della mora.
Monique
ricambiò appena il sorriso ed aprì successivamente la
portiera della macchina.
«
Ciao, Tom. » lo salutò cordialmente, per poi salire
sulla sua autovettura ed allontanarsi sempre di più da quel
ragazzo così abbattuto.
Si
sentiva tremendamente in colpa per averlo lasciato lì, senza
nemmeno dargli il tempo necessario per esprimerle ciò che lo
turbava, ma era stato più forte di lei. Nonostante una parte
del suo cuore desiderasse sentirsi dire determinate cose, un'altra le
rifiutava con tutte le proprie forze; forse voleva vivere
nell'oscurità, nell'ignoranza... Solo così avrebbe
avuto modo di non soffrire più.
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Capitolo 3 *** Three. ***
3
Three.
Bill
stava perdendo la pazienza; e non solo lui. Georg e Gustav si erano
premurati di trovare riparo da quei continui sospiri, da quell'eterno
sbuffare, che quella mattina il chitarrista aveva deciso di
esternare. Era inquieto, nervoso e, per qualche assurdo motivo,
addirittura arrabbiato.
Tom,
dal suo canto, sapeva perfettamente cosa lo inducesse a comportarsi a
quella maniera così insopportabilmente irritante. Si sentiva
un completo fallito, un stupido, un ragazzo i cui attributi erano
crollati a terra prima del previsto. Dov'erano finite la sua
disinvoltura, la sua sfacciataggine e la sua indifferenza, nei
confronti delle ragazze? Per quale razza di motivo non era riuscito a
dominare la propria insicurezza, in quell'esatto istante in cui si
era trovato occhi negli occhi con Monique, la sera prima?
Probabilmente non avrebbe neanche saputo rispondere alla domanda
“Cosa volevi dirle?”, ma era un fatto ovvio che arrendersi così
presto, solo perchè lo aveva ammonito rendendogli nota della
piccola Eveline che la attendeva pazientemente a casa, era stato
assai privo di spina dorsale.
«
Spina dorsale degna di una platessa bollita... » borbottò,
passandosi stancamente le mani sul volto.
«
Ora parli anche da solo? Si può sapere che hai? »
esclamò, ormai privo di pazienza, Bill – dopo aver
distaccato lo sguardo dalle sue unghie perfettamente smaltate di
nero.
«
Che ho? La spina dorsale di una platessa bollita, ecco che cos'ho...
Mi faccio schifo da solo. Probabilmente nemmeno mi si alzerebbe,
guardandomi allo specchio, in questo stato. »
«
Perchè... Se ti guardi allo specchio, solitamente, ti si alza?
» L'espressione di Bill era nettamente indecifrabile: senso di
disgusto e sorpresa enfatizzavano alquanto la sua reazione. Per tutta
risposta, Tom si voltò verso di lui, scoccandogli un'occhiata
truce, che probabilmente aveva messo a zittire ogni singolo pensiero
perversamente malizioso stesse formulando il suo cervello. «
D'accordo... Cos'è che ti sta turbando? » domandò
quindi il vocalist, acquisendo di nuovo quel po' di pazienza che
aveva perso.
Tom
sospirò piuttosto scocciato e si sollevò velocemente
dalla poltrona.
«
Niente, Bill. Non c'è nulla che mi turba. » tagliò
corto per poi uscire dal salotto, con l'intento di andare a sfogare
il proprio nervosismo con un po' di rigenerante nicotina.
«
Dove andiamo, mamy? » domandò la piccola Eveline,
incuriosita, mentre Monique le allacciava, uno ad uno, i bottoni del
cappottino rosa. La ragazza aveva meditato tanto, quella notte, ed
alla fine aveva deciso che non avrebbe potuto non far conoscere sua
figlia a David e alla band, ancora a lungo.
Quello
strano senso di disagio, al pensiero del chitarrista, le stava
attanagliando lo stomaco da ore. Non era sua figlia e forse proprio
per questo motivo si sentiva quasi in colpa a fargliela conoscere,
nonostante non vi fosse motivo. Probabilmente non era nemmeno più
preso da lei ed il fatto che lei avesse una figlia da un altro
ragazzo non l'avrebbe neanche infastidito. D'altronde, Eve esisteva e
non avrebbe potuto essere diversamente, solo per lui.
«
Andiamo a conoscere un sacco di ragazzi simpatici con cui lavoro. »
le sorrise teneramente, dopo averle attorcigliato la sciarpa attorno
al collo. La prese in braccio, ponendosela su di un fianco, ed uscì
con lei di casa. Raggiunse la sua nuova automobile nera – generoso
regalo per il suo compleanno, da parte dei suoi genitori e di Jessica
– e vi fece sedere la piccola, fissandola per bene sul seggiolino.
Eveline intanto dedicava la propria attenzione alla sua sciarpa,
giocherellandoci distrattamente con le sue manine. Monique sorrise
impercettibilmente, mentre saliva in macchina e la metteva in moto:
adorava quel modo di fare di sua figlia, quella sua ingenuità,
quella sua curiosità e pacatezza. Sarebbe rimasta ore ed ore
ad osservare ciò a cui si dedicava, anche dalla cosa più
insignificante, trovandola lo stesso piena di importanza.
Semplicemente adorava osservare sua figlia vivere.
Tamburellava
le dita sul volante, mentre era ferma, in una breve coda che si era
venuta a creare al semaforo. Sentiva, dietro di sé, Eveline
che borbottava qualche discorso confuso, privo di senso logico, ma
tipico dei bambini che ancora non sono in possesso della capacità
del perfetto uso della parola. La guardò attraverso lo
specchietto retrovisore e la scorse parlottare, osservando il
panorama al di fuori del finestrino.
Si
chiese come l'avrebbero trovata David e i ragazzi. La sua buonafede
la portava a pensare che probabilmente l'avrebbero adorata sin dal
primo impatto. Sentiva un po' di titubanza invece al pensiero del
chitarrista, ma ciò non doveva rappresentare per lei un
problema.
Aprì,
con qualche difficoltà, la porta dello studio di
registrazione. Eveline, in braccio a lei, osservava curiosa il luogo
in cui erano giunte, del tutto nuovo per lei. Giocherellava con i
capelli di Monique ed i suoi occhi saettavano da un punto all'altro
del corridoio, chiedendosi forse dove mai la sua mamma l'avesse
portata.
«
David? » chiamò la mora, spezzando quel momentaneo
silenzio.
«
Ma guarda chi c'è! » esclamò il manager, sbucando
da un angolo ed avvicinandosi poi con un sorriso solare sul volto. «
Ciao! » salutò calorosamente Eveline, carezzandole i
capelli con delicatezza. La bimba strinse il collo della mora,
osservando forse con timidezza l'uomo. « Che bella che sei. »
le sorrise, strofinandole dolcemente un dito sulla guancia liscia e
chiara. « Vieni, Monique, gli altri sono di là. »
disse poi alla ragazza mentre le posava una mano sulla schiena per
guidarla in salotto. Il cuore della mora scalpitò sempre più
veloce, ad ogni passo ma, preso un bel respiro, entrò in
quella stanza dove trovò ogni singolo componente della band
stravaccato sul divano o sulla poltrona.
«
Oddio, che meraviglia! » esclamò improvvisamente il
vocalist – prendendo quindi in contropiede tutti gli altri ragazzi
– per poi affrettarsi a raggiungere quell'esserino quasi
spaventato, in braccio alla sua mamma. « Ciao, piccolina! »
cinguettò Bill con espressione ridicola in volto, la quale
divertì parecchio Monique e probabilmente sconcertò
Eveline, ancora di più. Gustav, Georg e Tom si alzarono
anch'essi dal divano e li raggiunsero.
L'entusiasmo
di Bill era tangibile anche nel bassista e nel batterista; Tom invece
sembrava pietrificato o semplicemente incredulo. Osservava Eveline
con un lieve sorriso sul viso – forse sorpreso – ma non osava
proferir parola o avvicinarsi ulteriormente.
Monique
pensò che la piccola sarebbe probabilmente rimasta
traumatizzata da tale incontro, viste le vocette stridule che ogni
singolo ragazzo emetteva. Si trattenne dal ridere nel pensare che
sembrassero donnine eccitate, alla vista di una comunissima bambina.
Ci
fu un breve istante in cui gli occhi di Eveline e quelli del
chitarrista entrarono in contatto. Entrambi silenziosi, entrambi
rapiti dallo sguardo dell'altro, entrambi estraniati dal mondo. Ciò
non passò inosservato a Monique, la quale percepì un
brivido lungo la schiena. Sembrava che con quello sguardo si
volessero dire tante cose, il che pareva abbastanza assurdo,
soprattutto per una bambina di un anno e mezzo.
«
Saluta, Eve. » la incoraggiò dolcemente, cercando di
porre fine a quel momento. Per tutta risposta, la piccola voltò
il viso, fino a nasconderlo fra i capelli della mora ed
abbracciandola più forte. I presenti non poterono fare a meno
di sorridere inteneriti da tale dimostrazione di estrema timidezza.
La
sua scrivania. Era un anno e mezzo che non la toccava, che non vi
svolgeva ogni suo lavoro e doveva ammettere che, pur essendo in fin
dei conti un semplice pezzo di legno, le era mancata. Immergersi
nuovamente in quel luogo tranquillo, arredato secondo i suoi gusti
più personali, avvolto dal silenzio, era un qualcosa che
riusciva a farle tornare il sorriso, nonostante questo albergasse già
da tempo sul suo volto. Tornare ad occuparsi del suo lavoro, di ciò
che amava, di ciò per cui aveva studiato e si era impegnata
per ottenere, era più che appagante.
Eveline,
seduta accanto a lei, giocava con il suo piccolo pupazzetto a forma
di giraffa – aveva tanto insistito per portarlo con lei – che le
era stato regalato dalla sua nonna, in una delle tante visite che
andavano a farle regolarmente.
Era
piuttosto silenziosa, non che ciò sconvolgesse più di
tanto la realtà di tutti i giorni, ma solitamente si perdeva
in discorsi incomprensibili – come quello fatto in macchina qualche
attimo prima. Monique decise comunque di non spezzare quell'attimo e
di non disturbarla. Probabilmente anche una bambina di un anno e
mezzo era in grado di perdersi in pensieri strani, adatti alla sua
età, ed il rispetto le andava comunque concesso.
Afferrò
un'altra lettera, dopo aver terminato di trascrivere la traduzione
della prima. Questa era, stavolta, in inglese e si accinse a leggerla
e tradurla.
“Ciao,
Tom, sono Sharon, ricordi? Sì, quella del trattamento speciale
nell'ascensore dell'albergo. Volevo solamente dirti che quel
pomeriggio, seppur breve, è stato il più intenso che io
abbia mai vissuto e, dato che ci sai fare, che ne dici di chiamarmi?
Hai voluto il mio numero di telefono ma non ti sei mai fatto sentire.
Posso anche raggiungerti dove vuoi tu, non è certo un
problema. Un bacio dalla tua Tigrotta.”
Un
grande ed incontenibile senso di nausea si impossessò
velocemente di lei, assieme a tanti pensieri confusi che facevano a
botte per prendere posto nella sua mente. Ne aveva troppi e non
sapeva neanche da dove cominciare.
Qual'era
la cosa che l'aveva sconcertata di più? Il “trattamento
speciale” in ascensore? Il fatto che Tom avesse chiesto il numero
di telefono ad una ragazza? Quell'osceno soprannome “Tigrotta”,
con il quale probabilmente lui l'aveva chiamata, in un momento di
intimità? Il numero sconcertante di ragazze piuttosto
squallide che si divertivano ad inviare lettere del genere, in giro
per il mondo? O la sgradevole sensazione di gelosia, fastidio ed
istinto omicida che si era impossessato pericolosamente di lei?
Fremette
qualche attimo, stringendo quel foglio fino ad accartocciarlo
lentamente. Non faceva parte del suo lavoro ma... Era concesso in un
inspiegabile momento di gelosia?
Strappò
quel foglio in tanti piccoli pezzetti di carta che fece cadere
lentamente, uno ad uno, nel cestino affianco alla sua sedia.
Perchè
l'aveva fatto? Per impedire forse a Tom di ricordarla e quindi di
chiamarla? Fottuta egoista. Si era ripetuta più e più
volte che non vedeva più il chitarrista con quello sguardo
innamorato con cui lo scrutava un anno e mezzo prima. Aveva imparato
a convivere con il suo dolore, fino a cancellarlo giorno dopo giorno,
anche se non completamente. Era solo un'ipocrita; un'ipocrita non
convinta delle proprie scelte e delle proprie idee. O forse una
semplice egoista, possessiva che voleva per sé tutti quanti,
sempre e comunque.
«
Mamy? » la chiamò improvvisamente Eveline, prendendola
in contro piede. Monique sollevò il capo – abbandonando
momentaneamente un'altra lettera spagnola che aveva velocemente
recuperato per far sì che quel suo nervoso non sfociasse in un
omicidio volontario – e scorse la piccola continuare a
giocherellare con la giraffa, senza guardarla.
«
Dimmi. » le rispose incuriosita e trattenendo il nervoso. Era
strana.
«
Chi ela quello co le tettine? » domandò la piccola,
apparentemente indifferente. Monique sbattè qualche attimo le
palpebre, non avendo compreso perfettamente il concetto.
«
Con le tettine? » domandò accigliata e anche piuttosto
sorpresa che sua figlia menzionasse certi termini.
«
Ti! Quette! » esclamò Eveline, toccandosi ripetutamente
i capelli mori. Monique si trattenne dallo scoppiare a ridere: non
era propriamente ciò che aveva capito inizialmente.
«
Aaah! Le treccine! » esclamò con un sorriso
sincero a dipingersi sul volto. Vide la bambina annuire più
volte, finalmente guardandola. Come mai quella domanda? « Si
chiama Tom ed è il chitarrista del gruppo, perchè? »
le spiegò con la dovuta calma e la dovuta gentilezza.
D'altronde non poteva essere al corrente di tutto ciò che
aveva passato con lui e, probabilmente, nemmeno era necessario che lo
sapesse.
«
Mi guaddava tlano. » mormorò innocentemente Eveline,
tornando a maneggiare goffamente la sua giraffa. Monique strinse
automaticamente i pugni sul tavolo. Non voleva che sua figlia vedesse
con uno strano occhio il ragazzo. Probabilmente non era ancora in
grado di stabilire ciò di cui doveva fare a meno e non, ma
ormai sapeva bene che i bambini percepivano ogni cosa, pur non
conoscendola di persona, e ciò la spaventava parecchio.
«
No, tesoro, non ti guardava strano. Lui... E' solo un pò
timido, come te. » cercò di giustificarlo in qualche
modo. Eveline sembrò credervi perchè annuì e
tornò a concentrarsi solo ed esclusivamente sul suo pupazzo.
Monique
respirò lentamente, cercando di concentrarsi su un pensiero
felice, ma questo non arrivava.
Era
infastidita. Era infastidita perchè in tutto quel tempo
– com'era giusto che fosse – tante ragazze avevano scaldato il
letto del chitarrista; tante ragazze avevano soddisfatto i suoi
bisogni e allietato le sue notti. Che cosa si aspettava? Che non
avesse occhi che per lei? Che continuasse a pensare a lei o ad
esserne attratto come le aveva detto quel giorno all'aeroporto,
conducendo così una vita casta? Il tempo era passato e anche
troppo velocemente e le cose erano radicalmente mutate. Il fatto che
fosse un uomo andava ad enfatizzare il concetto, rendendolo più
chiaro e logico. Aveva i suoi bisogni e non poteva di certo
reprimerli per lei, sulla quale aveva posto una croce già da
tempo, convinto che non avrebbero avuto futuro insieme.
Cazzo,
è lecito che mi dia fastidio? Continuava a domandarsi
nella mente, rispondendosi poi che no... Non era assolutamente lecito
e doveva immediatamente smetterla.
Improvvisamente
udì bussare alla porta già socchiusa. Sollevò lo
sguardo incuriosita e si accorse che si trattava proprio della fonte
di tutti i suoi problemi e del suo malessere.
«
Hey. » sorrise appena il chitarrista, facendo il proprio
ingresso per poi avvicinarsi alla scrivania. Eveline scrutava il
ragazzo silenziosa e piuttosto attentamente. Sembrava volesse
leggerlo oltre ciò che appariva. Anche Monique lo osservava –
con più sorpresa – attendendo di sapere cosa avesse da
dirle. Tom rivolse un'occhiata alla bambina, sorridendole appena, e
poi tornò ad osservare Monique. « Senti... Volevo
chiederti... Che ne dici di fare una pausa? » le propose un po'
impacciato. La ragazza abbassò lo sguardo sulla scrivania,
sospirando appena. Avrebbe dovuto rispondergli di no.
«
Non sono sola, Tom. E poi ho ancora molto da fare. » ribattè,
cercando di mantenere il giusto autocontrollo.
«
Beh, puoi continuare dopo; non voglio trattenerti per più di
cinque, dieci minuti. » provò il chitarrista, con tono
pacato. Pareva non volesse errare in qualche strano modo. Sembrava
non volesse distruggere quell'apparente quiete che aleggiava nello
studio della mora.
«
Sì ma c'è anche lei. » gli ricordò la
ragazza, indicando con un cenno del capo la piccola Eveline.
«
E allora? Non puoi tenerla con te? »
Monique
restò qualche attimo a meditare. Non voleva che sua figlia
sentisse qualunque discorso volesse intraprendere con lei che,
probabilmente, sarebbe sfociato in una discussione.
«
Tu tei timido. » esortò improvvisamente proprio Eveline,
scrutando ancora il ragazzo, con la propria giraffa stretta fra le
braccia. Tom la osservò accigliato, sbattendo le palpebre con
regolarità. « Me a detto mamy. » aggiunse,
muovendo appena i piedini con fare intimidito. Non appena Monique
vide un sorriso sincero comparire sul volto del chitarrista, si
affrettò ad intervenire.
«
D'accordo, mi prendo una pausa, ma solo qualche attimo. Eve, ti va di
stare con David, intanto? »
Eveline
scosse fortemente la testa, gonfiando al contempo le guanciotte
paffute.
«
Voio tale co te. » rispose, guardandola con occhi languidi.
«
Dai, tienila con noi, così prende anche lei una boccata
d'aria. » la incitò Tom, rimanendo comunque un po' sulle
sue. La verità era che non sapeva come comportarsi in presenza
di una bambina, soprattutto se questa bambina era figlia di una
ragazza per cui tempo addietro aveva quasi perso la testa. Non si era
mai trovato in una situazione simile e, in qualche modo, doveva pur
sbrogliarsela senza fare danni.
Monique
si arrese, com'era solito fare, e – dopo aver preso Eveline in
braccio – si alzò dalla sedia per seguire Tom al di fuori
dello studio ed uscire poi in giardino. Un sole quasi accecante
illuminava completamente ogni millimetro quadrato di quel verde così
rigoglioso, cosa decisamente rara a Berlino. Monique si sedette sul
gradino di fronte alla porta e poggiò sulle proprie gambe
Eveline, la quale non faceva altro che tenere stretto a sé il
suo pupazzo fidato.
Vi
furono svariati secondi in cui Tom e Monique si scrutarono
silenziosamente, con attenzione. La ragazza attendeva una qualsiasi
parola da parte del chitarrista anche se provava un po' di timore:
non sapeva ma poteva immaginare che genere di discorso avrebbe voluto
affrontare e sarebbe stato opportuno farlo in assenza di Eveline.
«
Come stai? » le domandò improvvisamente, dopo essersi
schiarito la voce.
«
Io bene. » rispose prontamente Monique. « Da quando c'è
lei... Benissimo. » aggiunse. Tom annuì, sorridendo
appena.
«
Vi somigliate molto. » mormorò il ragazzo, piuttosto
imbarazzato. Affrontare certi discorsi non era indubbiamente il suo
forte.
«
La mamy è bella. » disse Eveline, rigirandosi fra le
manine la piccola giraffa, senza sollevare lo sguardo da essa. Tom
non poté fare a meno di sorridere.
«
Sì. » annuì quasi con naturalezza. Monique
percepì le proprie guance prendere fuoco e maledì la
presenza di tutta quella luce, in grado di rivelare tale debolezza di
fronte al ragazzo.
«
Com'è andato il tour? » cambiò immediatamente
discorso. Tom sorrise e si appoggiò con la schiena all'albero,
alle sue spalle, tenendo le mani rifugiate nelle tasche dei jeans.
«
Benissimo. Non pensavamo di ricevere di nuovo un'accoglienza così
grande, in ogni città. » rispose soddisfatto.
Certo,
immagino quale calorosa accoglienza ti abbiano riservato tutte quelle
ragazze intente a mandarti lettere di ringraziamento per le tue
prestazioni e con la richiesta di un bis, pensò
scetticamente Monique, mentre il nervoso ricominciava a montare
dentro di lei.
«
Beh, non che questo mi sorprenda più di tanto... Siete sempre
stati molto bravi e amati. » decise di rispondere.
«
A te piacciono le nostre canzoni? »
«
Certo che mi piacciono. »
Tom
le sorrise impercettibilmente. Monique sentì improvvisamente
caldo. L'ormai conosciuto bisogno di sentirlo vicino a lei, di
sentire il contatto della sua pelle, delle sue labbra, del suo
profumo, del suo respiro, stava tornando a farsi vivo dentro di lei
come un fuoco ardente.
Per
tutto quel tempo si era solamente autoconvinta di averlo
definitivamente dimenticato... In realtà aveva commesso un
errore madornale al solo pensarlo. Tom rappresentava ancora un
pilastro saldo della sua esistenza che, solo in quel momento,
sembrava oscillare pericolosamente. Rappresentava la sua precedente
serenità che ora era mutata in malinconia, per la semplice
consapevolezza del fatto che non sarebbe mai stato suo. Non poteva e
non voleva più esserlo; per questo motivo era del tutto
inutile che lei riponesse ancora delle effimere speranze in tutto
ciò. Doveva allontanarlo dalla sua mente, in qualsiasi modo,
esattamente come aveva fatto lui, i primi tempi in cui lei aveva
cominciato a lavorare in quello studio di registrazione.
«
Tu? Hai qualche novità, apparte lei? » le domandò.
«
Niente di niente... La mia vita, in questo anno e mezzo, si è
sempre incentrata su di lei e ciò che mi successo è
stata semplicemente conseguenza di questo. »
«
Però ti vedo... Abbastanza serena. »
«
Lo sono, infatti. »
«
Ne sono... Contento. »
«
Bubi! » esclamò improvvisamente Eveline, protendendo le
braccia verso la piccola giraffa che le era caduta sull'erba. Tom
esitò qualche istante ma poi si avvicinò lentamente e
si piegò sulle ginocchia per recuperare il pupazzetto.
Timidamente lo porse alla bambina, la quale ricambiò quello
sguardo apparentemente pensieroso. « Glacie. » mormorò,
senza staccare gli occhi dal suo volto.
Tom
fissava quegli occhi celesti, non riconoscendovi quelli di Monique ma
quelli di uno sconosciuto che l'aveva messa incinta. Si sentiva
continuamente scosso da tremore e brividi e non poteva evitarlo.
Non
riuscì più a sostenere quello sguardo, così si
rialzò e tornò a poggiarsi all'albero. Sapeva che
sarebbe stato molto difficile per lui entrare in confidenza con
quella bimba; non per cattiveria... Semplicemente per impotenza.
«
Pecchè hai le tettine? » domandò improvvisamente
la piccola. Tom aggrottò le sopracciglia, sbattendo più
volte le palpebre, facendo intendere a Monique che non aveva
compreso.
«
Si riferisce ai cornrows. » chiarì la mora.
«
Oh... Beh, perchè... Perchè mi piacciono. »
balbettò il ragazzo, non sapendo esattamente come giustificare
quel fatto. Eppure era così semplice. Si trattava di parlare
di fronte ad un essere umano che aveva vent'anni e mezzo meno di lui
e non avrebbe assolutamente dovuto sentirsi a disagio; era da
incapaci.
«
Ma no tono da feminutte? » chiese ancora Eveline, piuttosto
incuriosita.
«
No, queste sono tipi di treccine che possiamo portare anche noi
maschietti. » sorrise appena il ragazzo. Gli infondeva tanta
tenerezza ma lui non era assolutamente in grado di reagire di
conseguenza.
Monique,
d'altro canto, non era del tutto contenta di quella piccola
conversazione – se così si poteva chiamare – fra i due. Il
suo cuore gioiva nel vedere sua figlia così interessata al
chitarrista ma la parte più razionale e al contempo più
inspiegabile di sé le ordinava di porre fine a tutto ciò.
Per qualche strano motivo non voleva che sua figlia legasse con il
chitarrista; probabilmente avrebbe dato il via a tanti altri problemi
per cui non avrebbe avuto il fegato di risolvere. Conosceva sua
figlia: se si affezionava, voleva stare con quella persona almeno
ogni singolo giorno; così come era successo con Jessica.
Monique non avrebbe potuto farle vedere il ragazzo tutti i giorni,
visto e considerato che già aveva un lavoro da svolgere con
lui, sei giorni su sette; vederlo anche al di fuori del contesto
lavorativo non l'avrebbe aiutata nella sua attuale situazione
sentimentale – ancora non del tutto chiara.
«
Beh, io tornerei a lavorare. » annunciò quindi la mora,
alzandosi dal gradino con Eveline in braccio. Tom sembrò
dispiaciuto da tale affermazione.
«
Di già? » le domandò istintivamente.
Probabilmente l'aveva portata lì fuori per parlare o
semplicemente per passare un po' di tempo con lei – non conoscendo
l'effettivo motivo – ma sapeva che davanti ad Eveline non avrebbe
potuto fare nulla. Poteva notare lontano un miglio la protezione che
quella bambina riservava attentamente alla sua mamma.
«
Avevi detto che questa pausa sarebbe durata cinque minuti, massimo
dieci. Beh, ne sono passati esattamente dieci. » spiegò
pazientemente Monique, con un piccolo sorriso sul volto, non del
tutto sincero. Gli diede le spalle, essendo perfettamente,
consapevole del fatto che ancora una volta l'aveva lasciato
insoddisfatto, e tornò al suo studio con sua figlia.
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Capitolo 4 *** Four. ***
4
Four.
«
Quel buzzurro dalle treccine chilometriche! » Erano ore, ormai,
che stava sfogando la propria rabbia sui surgelati. Continuava ad
inveire contro il chitarrista mentre Jessica, alle sue spalle,
scuoteva la testa con fare divertito. La piccola Eveline era seduta
sul carrello della spesa, intenta a mordicchiare la manica del suo
cappottino di jeans. « Eve, smettila di mordere sempre tutto
quello che trovi. » borbottò ancora la mora, scrutandola
con la coda dell'occhio.
«
Dai, Monique, fatti passare il nervoso. » intervenne Jessica,
mentre con delicatezza toglieva dalla bocca di Eveline la manica
umida.
«
Prima fa di tutto per tenermi lontana e poi cerca di ritrovare quella
confidenza di quasi due anni fa. Mi fa salire il sangue al cervello
quando fa così! » esclamò nuovamente Monique,
gettando nel carrello la prima confezione di piselli che le era
capitata sottomano. « Cosa crede? Che io ci caschi di nuovo? Ma
poi, che vuole?! Che vuole, vorrei sapere! » continuò,
incapace di fermarsi. La sua migliore amica sollevò gli occhi
al soffitto di quell'enorme supermercato e sospirò paziente.
«
Evidentemente tiene a te e sta cercando di tornare a parlare come una
volta. Che ne sai che non è ancora preso? » cercò
di spiegare, con la dovuta calma, la rossa, portandosi dietro il
carrello con Eveline che ascoltava quella strana conversazione di cui
ovviamente non capiva il senso.
«
Se è ancora preso, va a farsi due passi. Anche io ero presa da
lui e lui mi ha fatto soffrire, quindi ora si ribaltano i ruoli! Se
così fosse, un po' di sofferenza non gli farebbe male! »
«
Io non credo che lui ti sia indifferente. »
«
Non mi è indifferente perchè è una persecuzione;
è una croce! »
«
La senti come predica la mamma? Quant'è divertente? »
ridacchiò la rossa, abbassandosi per giungere affianco al viso
della bambina, la quale sorrise compiaciuta.
«
Vedete di non prendermi in giro; sono seriamente fuori di me. »
commentò quasi arida la ragazza madre, mentre trottava davanti
a loro, alla ricerca delle uova.
«
A proposito, cosa vuoi fare per il tuo compleanno? » cambiò
discorso Jessica, seguendola quasi a fatica. Monique, per tutta
risposta, scrollò le spalle.
«
Niente. » ribattè secca. Jessica impuntò sui
propri piedi, facendo sbilanciare appena il carrello, e osservò
accigliata le spalle della sua migliore amica.
«
Come niente? » domandò perplessa.
«
Non mi interessa festeggiarlo. Mi basta passare una normalissima
giornata con te, Eveline e magari i miei genitori. » spiegò
la mora, mentre poneva nel carrello la confezione di uova, finalmente
trovata. A dire il vero non aveva nemmeno voglia di organizzare una
vera e propria festa. E poi non aveva altri amici, all'infuori di
Jessica, e l'ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata invitare a
casa sua Tom, anche a discapito degli altri componenti della band che
d'altronde non le avevano fatto nulla.
«
Ma sono i tuoi ventidue anni. » cantilenò Jessica,
osservandola con disappunto.
«
E quindi? Ai ventidue anni succede qualcosa di particolare? »
ribattè Monique, ancora del tutto indifferente a tali
affermazioni. Anche il solo pensiero di un compleanno non la esaltava
più di tanto.
«
No, però... Insomma, mi faceva piacere organizzare qualcosa di
carino. »
«
Non preoccuparti, non fare nulla. » concluse con tranquillità
la mora. « Dove sono quelle dannate cipolle?! » Detto
questo, Monique si allontanò da Jessica ed Eveline, le quali
restarono immobili in quel punto dove le aveva lasciate. La rossa la
osservò allontanarsi sempre di più, piuttosto
pensierosa.
Era
troppo tempo che Monique non usciva più e non si divertiva. Il
lavoro di mamma l'aveva sempre presa tantissimo, com'era giusto che
fosse, ma ciò aveva tolto del tempo anche per se stessa.
Sembrava ormai una donna in carriera, la cui gioventù era
sfumata fino a svanire del tutto e ciò non era per niente
giusto. Era giunto il momento che Jessica tornasse a vederla giovane
e volenterosa di vivere e divertirsi come una volta; avrebbe
organizzato qualcosa per il compleanno della sua migliore amica –
quello era poco ma sicuro – e per farlo avrebbe dovuto riporre
fiducia nella persona che Monique meno avrebbe gradito.
«
Come? Domenica è il compleanno di Monique? » domandò
Tom, alquanto accigliato. Jessica sedeva di fronte a lui – a
separarli, il tavolo della cucina – e lo osservava con fare ovvio.
Aveva
deciso di raggiungere il ragazzo direttamente allo studio di
registrazione, senza il minimo preavviso – ragion per cui, quando
andò ad aprirle la porta, lo trovò completamente
assonnato e con solo un paio di boxer a coprire ogni sua grazia –
per spiegargli la situazione. Ovviamente la mora non ne sapeva nulla
e non avrebbe assolutamente dovuto venire a conoscenza di ciò
che la sua mente stava malvagiamente escogitando, se voleva evitare
la morte certa.
«
Sì, è il compleanno di Monique. » ripetè
pazientemente la rossa, mentre tamburellava le sue dita munite di
bellissime unghie finte sul legno. « Il problema è che
quella benedetta ragazza non vuole festeggiarlo e a me, sinceramente,
questa cosa non va. Soprattutto perchè non è vero che
non vuole festeggiarlo ma è quello che vuole far credere. Da
quando è nata la bambina non fa altro che preoccuparsi di lei,
sempre e comunque. È giustissimo che lo faccia, per carità,
ed è bellissimo che abbia una figlia del genere ma non può
continuare a trascurarsi. Non esce più se non per andare a
fare la spesa; parla continuamente del lavoro, delle bollette da
pagare e di cosa deve mangiare la piccola, in sua assenza. Si sta
comportando come avesse ormai quarant'anni o di più e non mi
sembra il massimo, dato che ha solo ventidue anni e ha ancora il
diritto di trascorrerli come si deve. D'altronde non è colpa
sua se è rimasta incinta così giovane. »
«
Beh, poteva evitare di accontentare ogni impulso sessuale di
Christian, allora. » sputò acidamente il chitarrista,
senza pensarci sopra. Ecco che il lato del tutto irrazionale e preso
totalmente dalle passioni veniva fuori nel momento sbagliato. Sapeva
perfettamente il motivo per cui lei non aveva mai posto fine a quei
continui avvenimenti ma si sentiva così infastidito che non
aveva dato tempo alle dovute riflessioni.
«
Senti un po', treccina, cosa staresti cercando di insinuare? »
chiese con tono minaccioso la rossa, mentre lo scrutava con sguardo
inceneritore. « Credo che lei ti abbia spiegato il motivo per
cui non ha mai potuto ritrarsi da lui, quindi non cercare di darle
della putt... »
«
Non stavo cercando di darle della puttana. » la interruppe
urtato il chitarrista. « Non lo farei mai. » mormorò,
distogliendo lo sguardo per posarlo in terra, alla sua destra.
Jessica si perse qualche secondo ad osservarlo, mentre la sua mente
formulava domande su domande, accostate ad infiniti insulti per quel
povero ragazzo. Afferrò saldamente un giornale posato sul
tavolo, alla sua sinistra, e lo sbattè fortemente sulla testa
del chitarrista, il quale sgranò gli occhi e si ritrasse
esterrefatto. « Ma che cazzo ti sei fumata?! » esclamò,
portandosi entrambe le mani alla testa indolenzita e guardandola
contrariato.
«
Sei irrecuperabile! » lo rimproverò la rossa.
«
E perchè, di grazia? Che ho detto, ora? » ribattè
scocciato il ragazzo.
«
Perchè prima ti sei dato la zappa sui piedi, quel giorno in
aeroporto, a dirle quelle cose; a porre una fine dove forse non vi
era neanche un inizio. E te la stai dando anche ora! »
«
A che cosa ti riferisci? »
«
Tu sei ancora preso da lei! »
«
Cosa? Non è vero. »
«
Io, fossi in te, la smetterei di arrampicarmi sugli specchi. »
Tom
sbuffò sonoramente e si alzò dalla sedia, afferrando il
pacchetto di sigarette. Si appoggiò al davanzale della
finestra che dava sul giardino e ne prese una per fumarla con
evidente tensione.
«
Io non mi arrampico sugli specchi. Dico solamente la verità.
La sbandata che mi ero preso per lei è acqua passata. Tutto
ciò a cui tengo è semplicemente la sua fiducia e la
sua... Amicizia. » disse con tono pacato.
«
Bugiardo. » sorrise furbescamente la rossa.
«
Senti, ma a te che importa?! » esclamò innervosito il
chitarrista, voltandosi nuovamente nella sua direzione. « Non è
questo il motivo per cui sei venuta qui, mi pare. Vogliamo parlare di
questo compleanno, sì o no? » continuò
acidamente, al che la rossa decise di arrendersi.
«
E sia. » commentò con le palpebre a mezz'asta ed
un'espressione decisamente scettica sul volto.
Stringeva
tra le braccia Eveline, ancora assopita – dato che l'aveva
svegliata da poco – e camminava lungo il vialetto dello studio di
registrazione.
Purtroppo,
da quando aveva ricominciato a lavorare, non sapeva più dove
lasciare sua figlia. Non poteva certamente abbandonarla in casa, da
sola; era fuori discussione e decisamente da pazzi. Farle tenere
compagnia da Jessica le pareva troppo opportunista e, nonostante
sapesse che se glielo avesse chiesto la risposta sarebbe stata
senz'altro positiva, la sua coscienza le impediva di fare ciò.
Il problema però sussisteva.
«
Mi spiace, piccolina, che ti devo svegliare presto, assieme a me ma
purtroppo, per ora, la situazione è questa. Ti prometto che la
mamma trova una soluzione, okay? » le disse con dolcezza,
mentre la piccola rifugiava il viso nell'incavo del collo della
ragazza, strofinandoci sopra la boccuccia, con fare assonnato.
Una
volta giunta di fronte alla porta dello studio di registrazione,
prese a frugare nelle tasche della propria giacca – con la mano
libera – alla ricerca delle chiavi. Sbuffò pesantemente nel
constatare che queste le aveva probabilmente dimenticate a casa.
Ma
come si fa a dimenticarsi le chiavi del posto di lavoro? Si
domandò mentalmente, conoscendo nell'inconscio la risposta e
maledicendosi per questo.
Controvoglia,
suonò appena il campanello. Odiava doverlo fare perchè
sapeva che la maggior parte dei ragazzi, a quell'ora, dormiva beata.
Con sorpresa, sentì dei passi al di là del legno, fino
a che la porta non si aprì.
«
Tia Gege! » fu l'esclamazione immediata di Eveline, nel notare
la presenza della rossa, alle spalle del chitarrista che aveva appena
aperto. Monique era rimasta semplicemente immobile e con espressione
indecifrabile sul volto.
Davanti
a sé, sostava il chitarrista – rigorosamente in boxer – e,
alle sue spalle, lo sguardo teso di Jessica la scrutava quasi
imbarazzato, cosa del tutto insolita per lei.
«
Che ci fai qui? » chiese inespressiva Monique, mentre l'ansia
prendeva ad inondarle il corpo. Un brutto presentimento la stava
lentamente scuotendo; sempre di più.
«
Oh, sono passata un attimo perchè volevo salutarli ma...
Dormono tutti! Ho svegliato persino lui. » rispose fin troppo
frettolosamente la rossa, con lieve impaccio; segno evidente che
stava mentendo. Monique si sentì scossa da un tremito. Si
stava innervosendo; era la sua migliore amica, perchè avrebbe
dovuto mentirle? « Anzi, già che ci siamo, vuoi che ti
tenga la bambina? Così puoi lavorare tranquillamente. Magari
andiamo a farci una passeggiata al parco. » le propose
successivamente, apparentemente ripresa dallo stato momentaneo di
imbarazzo. Monique, per la prima volta, esitò a quella
domanda. Si sentiva altamente infastidita, soprattutto per aver
trovato allo studio proprio lei, da sola con Tom.
...In
boxer, completò quel pensiero atroce la mora.
«
Ti! Co Tia Gege! » esclamò entusiasta Eveline, battendo
le manine, improvvisamente più sveglia e pimpante.
«
D'accordo. » si arrese Monique ma senza esternare il minimo
compiacimento. Delicatamente, le porse la bambina, stando ben attenta
a non guardarla negli occhi, e si allontanò nuovamente con
insolita freddezza. « Grazie. » si limitò a dire.
«
Figurati. » sorrise Jessica, ignara di tutto. « Allora vi
saluto! Andiamo, piccola. » esclamò successivamente, con
Eveline in braccio.
«
Tao, mamy. » salutò la piccola, per poi voltare lo
sguardo nella direzione del chitarrista, il quale se ne stava ancora
appoggiato allo stipite della porta, a petto e gambe nude.
Torturandosi un lembo della maglietta con la manina, sollevò
appena l'altra per salutarlo timidamente, senza proferire parola, al
che il ragazzo si sentì decisamente impacciato ma intenerito
da tale scena. Sorrise dolcemente, ricambiando subito quel saluto,
alla stessa maniera, fino a che – assieme a Jessica – questa non
sparì dalla loro vista.
Monique
sospirò nervosamente, cercando comunque di non farsi udire dal
chitarrista e si voltò nella sua direzione con sguardo truce.
«
Ora potresti anche vestirti, non siamo in estate e, anche se fosse,
ci troviamo comunque in Germania. » disse acida, per poi dargli
le spalle ed entrare nello studio.
Era
più forte di lei: fingere non faceva parte della sua
personalità. L'unica palla che nella sua vita era riuscita ad
inventare e portare magicamente avanti – per quanto fosse possibile
– era il fatto della gravidanza. Eppure aveva deciso che, per un
po', le bugie non avrebbero mai più sfiorato le sue labbra.
«
Buon giorno anche a te. » commentò con sarcasmo Tom,
richiudendo la porta. Monique si allontanò da lui, decisa a
camminare verso il suo piccolo ufficio, ma sentiva gli occhi curiosi
del ragazzo perforarle la schiena. « Tutto bene? » lo
sentì chiedere.
«
Benissimo. » sputò secca, per poi entrare nel suo
studio. A dire il vero, ora che Jessica se n'era andata, si sentiva
una iena pronta a mordere il primo che le avrebbe recato disturbo ed
il chitarrista era un ottimo candidato a tale questione.
Che
avevano fatto per tutto quel tempo, mentre lei non c'era? Jessica
frequentava Tom di nascosto? Si era fermata a dormire lì, dato
che altrimenti sarebbe dovuta arrivare all'alba? Perchè ora
sembravano così in confidenza? E soprattutto, perchè
Tom era in boxer?
Troppe
domande le stavano mandando in fumo il cervello e decise che per un
po' non avrebbe dovuto pensarci, almeno fino all'ora di pranzo.
Tom
stava spiegando tutto ciò che Jessica gli aveva riferito,
qualche ora prima, agli altri componenti della band, sgraziatamente
stravaccati sulle poltrone e sui divani a disposizione, nella loro
saletta. Si erano chiusi lì dentro, con l'intento di non farsi
scoprire da Monique, la quale sembrava avere dei radar per quel tipo
di cose.
Si
sentiva un po' inquieto e imbarazzato per come lei aveva scovato lui
e Jessica, appena giunta allo studio. Continuava a darsi del coglione
mentalmente per non aver avuto la voglia di cercare un insulso paio
di pantaloni nella sua stanza, almeno prima che arrivasse.
Probabilmente
la mora stava dando varie e sbagliate interpretazioni a ciò
che aveva visto e la cosa lo infastidiva parecchio, mettendogli
addosso una maledetta voglia di andare da lei e chiarire le cose. Il
motivo non lo conosceva propriamente; d'altronde non erano fidanzati
e non servivano spiegazioni ad ogni avvenimento. Eppure si sentiva in
dovere di farlo.
«
Quindi vorrebbe organizzarle una festa a sorpresa, ma non sa ancora
bene cosa fare. Pensava a casa di Monique ma mi ha detto che se
avremmo avuto idee migliori avremmo potuto tranquillamente esporle. »
parlò il chitarrista, con la sua fidata sigaretta fra le dita
che lentamente si consumava.
«
Io penso che la festa a sorpresa a casa sua sia un'idea carina. La
potremmo preparare per bene, mentre lei, con una scusa, la mandiamo a
fare qualcosa altrove. » intervenne Georg.
«
A quello ha già pensato Jessica. A quanto pare, Monique, quel
giorno, vorrebbe andare a trovare i suoi genitori, di mattina, e
tornare alla sera quindi avremmo tutta la giornata per preparare per
bene le cose. »
«
Mi piace questa cosa! Adoro organizzare feste! » cinguettò
Bill, piuttosto entusiasta.
«
Io spero solo che Monique ne rimarrà sorpresa e contenta. »
mormorò Tom. « Jessica mi ha detto che non ha proprio
intenzione di festeggiarli. Non vorrei che questo la facesse
incazzare, più che sorprendere. »
«
Io sono convinto che ne rimarrebbe stupefatta. D'altronde non se
l'aspetta minimamente. » sorrise Gustav. « Vado a
prendermi un caffè. » annunciò poi, alzandosi
dalla poltrona.
Aveva
deciso di prendersi una pausa da tutto quel lavoro. Si chiedeva
ancora come i ragazzi potessero ricevere milioni di lettere, ogni
giorno. Era un qualcosa di incredibile. Sentiva gli occhi deboli e
stanchi, dato che non aveva alzato un attimo lo sguardo da ogni
foglio che le capitava sotto mano. Si era talmente impegnata per
concentrarsi sul da farsi – e per non pensare a Jessica e Tom –
che ora percepiva il suo cervello decisamente in fumo.
I
ragazzi si erano svegliati da un po' ed erano tutti riuniti nella
saletta affianco per parlare di argomenti a lei ignoti. Si avvicinò
alla macchinetta del caffè ed attese che questa gliene
preparasse “gentilmente” uno. Aveva bisogno di distrarsi
assolutamente; aveva bisogno di cancellare quella dannata immagine
dalla sua mente o sarebbe presto impazzita, se lo sentiva.
«
Oh, bene, prendiamo il caffè insieme? » udì la
voce di Gustav alle sue spalle. Sorrise automaticamente; era un po'
che non parlava con il batterista, che non si confidava o
semplicemente vi passasse qualche minuto della giornata assieme.
Ultimamente era così indaffarata...
«
Volentieri. » rispose, dopo aver recuperato il bicchiere di
carta, una volta che il caffè fu pronto. A quel punto anche
Gustav se ne preparò uno, fino a che non si rifugiarono
insieme in cucina, per poi sedersi al tavolo. « Mi mancava
stare un po' con te. » ammise la ragazza, con dolcezza. Il
biondino, di fronte a lei, sorrise compiaciuto per poi annuire più
volte, mentre si portava il bicchiere alle labbra.
«
Come stai? Oggi ti vedo un po' pensierosa. »
Quel
ragazzo, probabilmente, era quello che più la capiva al volo,
ancor prima degli altri. Tom l'aveva conosciuta bene ma Gustav poteva
definirsi un vero e proprio psicologo, al cui occhio non sfuggiva
nulla.
«
No, nulla di strano. Sono solo un po' assonnata. » mentì
la ragazza. Non poteva dirgli che dubitava di Tom e Jessica; sarebbe
stato come ammettere di essere ancora presa dal chitarrista. «
Tu? » domandò poi.
«
Il tour ci ha un po' sfiniti e anche tutti gli impegni venuti dopo.
Capitava che, lo stesso giorno, fossimo in due città diverse e
magari lontane chilometri, l'una dall'altra. Eravamo sempre in
viaggio ed è ovvio che il nervosismo si percepiva
perfettamente tra di noi. Tom e Bill litigavano spesso, proprio per
questo motivo. Poi loro sono i primi ad incendiarsi tra di noi,
quando c'è stress nell'aria. »
«
Penso sia normale... Fate sempre tantissime cose e mi chiedo come
facciate. »
«
Abitudine. Anche se una bella vacanza penso ci farebbe bene. »
«
Farebbe bene anche a me. »
«
Hey, che fate? » entrò di soppiatto il chitarrista –
ora vestito – spostando lo sguardo da Gustav a Monique e viceversa.
Monique si irrigidì istantaneamente e si chiuse in un silenzio
forzato.
«
Prendiamo un caffè e parliamo un po', come ai vecchi tempi. »
rispose per lei Gustav, ancora ignaro di ciò che stava
accadendo attorno a lui.
«
Ah, con lui ci parli però. » commentò risentito
il chitarrista, con tono freddo – alludendo al giorno in cui si era
rifiutata di parlare come si deve con lui, in giardino – mentre
lanciava una fulminata a Monique. Questa strinse automaticamente i
pugni, poggiati sul suo grembo.
«
Io parlo con le persone che hanno idee molto chiare in testa. »
lo provocò la ragazza, senza pensarci troppo su.
Probabilmente, se l'avesse fatto, non avrebbe pronunciato quelle
poche parole che avrebbero presto dato il via ad una lunga
discussione che non avrebbe mai trovato un termine. Il fatto era che
si sentiva ancora urtata per ciò che aveva visto, appena
arrivata.
«
Che intendi dire? Che con me non si può parlare perchè
non ho le idee chiare? » domandò offeso il chitarrista.
«
Esattamente. » tagliò corto la mora.
«
Insomma, Monique, si può sapere perchè non fai altro
che comportarti così con me? »
«
E me lo chiedi anche?! »
Dopo
aver urlato quelle parole, la ragazza si alzò di scatto dal
tavolo ed uscì velocemente dalla cucina, non senza aver tirato
una spallata al chitarrista, il quale si ritrasse con una smorfia
contrariata. Senza pensarci due volte, prese ad inseguirla, fino a
giungere allo studio della mora.
«
Monique! » la chiamò a gran voce, mentre lei si dirigeva
verso la sua scrivania, con l'intento di riprendere a lavorare. «
Stavolta, mi dispiace, ma non mi accontento di questo. Voglio delle
spiegazioni. » disse il chitarrista, cercando di acquisire la
calma, mentre chiudeva la porta di quello studio.
«
Apri quella porta. » sibilò Monique, fulminandolo con lo
sguardo.
«
Non ho intenzione di violentarti o legarti una corda al collo. »
commentò con cupo sarcasmo il ragazzo. « Voglio capire
perchè mi tratti sempre in questo modo. Da quando siamo
tornati, sei sempre la stessa con tutti, tranne che con me. Insomma,
posso capire che ci sia un po' di imbarazzo ma... »
«
Imbarazzo?! Tu lo chiami imbarazzo?! Tom, forse tu non ti rendi
conto! Tu vorresti tornare al rapporto di prima? Mettitelo in testa
che non si può fare! »
«
Ma perchè no? Sei tu che non vuoi che accada. »
«
Se così fosse, avrei anche i miei motivi. »
«
Insomma, non riesci a perdonarmi? Neanche dopo un anno e mezzo? »
«
Non ho niente da perdonarti. È solo questione di non saper
come tornare ad avere quel rapporto di prima... E' impossibile
riaverlo, Tom. »
Tom
le si avvicinò lentamente, quasi per paura che da un momento
all'altro potesse scagliargli contro qualche oggetto trovato lì
sulla scrivania.
«
Non è impossibile. Ci si può provare. » disse il
chitarrista, facendolesi sempre più vicino.
«
Non voglio. » sussurrò freddamente, prima che lui si
trovasse a pochi centimetri da lei. Infatti lo vide fermarsi e
scrutarla con attenzione e malinconia.
«
Hai paura. » disse inespressivo. Monique fu come scossa da una
scarica elettrica, lungo la schiena.
«
Di cosa avrei paura? » lo sfidò con lo sguardo e
soprattutto con il tono di voce.
«
Di me. » Monique sgranò gli occhi e prese a
ridere con isteria. Odiava quelle frasi, buttate lì, a mo di
trappole.
«
E perchè dovrei averne? » domandò fintamente
divertita; anche perchè quella situazione la divertiva ben
poco. Avrebbe tanto voluto alzarsi dalla poltrona ed uscire da quello
studio di registrazione per tornarsene a casa e non abbandonarla mai
più. Era in momenti come quello che il desiderio di mollare
tutto e cambiare addirittura città si faceva vivo dentro di
lei. Perchè fondamentalmente era debole. Recitava sempre la
parte della dura, di quella forte, in grado di superare qualsiasi
tipo di situazione con le sue sole forze. Ma stava facendo i conti
con la realtà e la realtà era lì davanti a lei
che la guardava con insistenza, cercando di farla vergognosamente
cedere.
«
Hai paura che io possa farti soffrire di nuovo. » mormorò
il ragazzo, senza staccare gli occhi da lei. Monique sollevò
lo sguardo su di lui, con lentezza quasi preoccupante. Sentiva una
sensazione di bruciore alla bocca dello stomaco, segno che sarebbe
esplosa di lì a qualche secondo.
«
Mettiamo in chiaro una cosa, Tom: io non soffro più per te!
Smettila di peccare di presunzione in questa maniera! Non esisti solo
tu, non ci sei tu al centro del mondo e al centro dei pensieri di
tutti; soprattutto miei! Tu credi che io sia ancora presa da te, come
una ragazzina che si è presa una sbandata per un “uomo”
impossibile da avere? Beh, scendi dal piedistallo, Tom, perchè
non è affatto così. Ho quasi ventidue anni, non dodici
e, per quanto mi riguarda, non provo più il minimo interesse
per te, quindi, stai pure tranquillo! » esclamò fuori di
sé, senza dosare le parole. Queste toccarono profondamente e
scossero Tom, tanto da farlo rimanere ammutolito ed immobile, al
centro di quella stanza. « Spero che ora il concetto ti sia
abbastanza chiaro. » concluse duramente la mora, per poi
afferrare le sue cartelline ed uscire velocemente da quello studio:
il suo turno di lavoro era appena terminato.
Bill
sobbalzò nell'udire il violento frastuono provocato dal
frantumarsi di infiniti pezzetti di vetro a terra. La scena che si
era presentata davanti ai suoi occhi non era delle migliori e lo
aveva semplicemente lasciato esterrefatto: Tom aveva camminato
proprio di fronte a lui e, nel farlo, aveva dato una furiosa manata
ad un vaso poggiato sul comodino, accostato al muro del corridoio che
lo avrebbe portato alla sua stanza. Il vaso si era frantumato sul
pavimento.
Aveva
fatto il tutto con furia, con la rabbia viva negli occhi ed una
violenza che non gli apparteneva, prima di chiudersi nella stanza,
sbattendo la porta. Il vocalist restò immobile, in mezzo a
quel corridoio, a chiedersi cosa mai fosse successo per una reazione
simile, che raramente si poteva vedere in suo fratello. Decise di
avvicinarsi lentamente alla porta, per poi bussarvi con cautela:
doveva capire cosa stesse succedendo, dato che sembrava di buon
umore, fino a qualche attimo prima.
«
Tom... » provò con timore. Tutto ciò che udì
successivamente fu un colorato “Vaffanculo, Bill, lasciami stare”
da parte del chitarrista, cosa che lo indusse senza dubbio ad
allontanarsi per ripulire il disastro e lasciarlo solo.
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Capitolo 5 *** Five. ***
5
Five.
Tornata
a casa, aveva continuato a dare letteralmente i numeri. Si sentiva
furiosa col mondo intero e quel giorno nessuno avrebbe dovuto
tormentarla con superflue domande e consolazioni sulla ragione di
tale nervosismo, soprattutto Jessica. Era letteralmente infuriata nei
suoi confronti.
Perchè
avrebbe dovuto mentirle? Perchè avrebbe dovuto incoraggiarla o
indurla a trovare un chiarimento con Tom, se poi si vedeva con lui di
nascosto? Monique non sapeva più dove sbattere la testa: si
sentiva presa in giro dalla sua migliore amica, l'unica persona di
cui aveva sempre creduto di potersi fidare ciecamente perchè
non avrebbe mai avuto il coraggio di farle un torto. La verità
era che lei non avrebbe dovuto fidarsi più di nessuno perchè
nella sua vita aveva sempre e solo ricevuto fregature. Era giunta
l'ora di darci un taglio.
Sollevò
lo sguardo sull'orologio appeso alla parete e constatò che di
lì a non molti minuti, Jessica avrebbe fatto irruzione in casa
sua con la piccola Eveline. Al solo pensiero che anche la bambina si
fosse affezionata alla rossa in modo così spasmodico, la
mandava in bestia. Prima ne era felice, ora non riusciva più a
vedervi un lato positivo, anzi... Tutto si era volto contro di lei
come un boomerang.
Improvvisamente
il campanello di casa trillò sonoramente, facendola
risvegliare dai propri pensieri intricati. Sbuffando – poiché
già sapeva di chi si trattava – si incamminò verso la
porta, per poi aprirla svogliatamente. Di fronte a sé, Jessica
teneva in braccio Eveline, la quale sorrideva contenta, probabilmente
della giornata appena trascorsa con la “Tia Gege” e ciò
innervosì ulteriormente Monique.
«
Eccoci qua! » esclamò Jessica, facendo il proprio
ingresso in casa, come sempre senza il consenso di Monique. Se una
volta alla mora non fosse importato, ora assolutamente sì. «
Siamo andate al parco e ci siamo divertite come delle pazze, vero,
Eve? » disse entusiasta la rossa, poggiando a terra la bambina,
la quale fece un enorme sorriso ed annuì energicamente.
«
Bene, grazie per averla tenuta. » si limitò a rispondere
Monique, senza chiudere la porta di casa e tenendola aperta con una
mano, sperando che la rossa capisse cosa intendeva dirle.
«
Non chiudi la porta? » domandò quest'ultima, piuttosto
perplessa.
«
Non te ne devi andare? » ribattè freddamente Monique,
continuando a fissarla con rabbia.
«
Ehm, no, pensavo che avremmo mangiato assieme, come facciamo spesso.
» mormorò quasi in imbarazzo la rossa.
«
Oggi non mi va. » tagliò corto la ragazza madre.
«
Hey, ma che hai? Sei strana... Non è da te questo
comportamento. »
«
Dimmelo tu che cos'ho! » Esclamò questo sbattendo
violentemente la porta, cosa che fece sobbalzare sia Jessica che la
piccola Eveline, che stava nel frattempo raggiungendo il salotto, con
passo ancora barcollante. « Ho visto che te e Tom siete entrati
parecchio in confidenza. Ora siete amici molto intimi. »
sputò acidamente, camminando furiosamente verso la cucina, per
evitare che Eveline – ora seduta sul tappetone del salotto, a
guardare la televisione – ascoltasse le sue parole.
«
Che cosa?! Ma hai bevuto? Mi sa che hai frainteso tutto quanto! »
si difese la rossa, seguendola velocemente in cucina.
«
Ho frainteso? Certo, trovare Tom in mutande e te, da sola con lui,
all'alba, è molto fraintendibile, no? »
«
Guarda che sul serio ero passata per dare loro un saluto... Tom era
così perchè si era appena svegliato, anzi, per la
precisione, l'ho svegliato io. Per questo si è pure incazzato
con me. Inoltre sono arrivata di mattina presto perchè sapevo
che saresti arrivata anche tu, almeno ne avrei approfittato per farti
un favore e tenerti la bambina mentre tu lavoravi. Tra l'altro,
volevo chiederti se eri d'accordo nel farlo tutte le mattine, almeno
non hai il peso di dover controllare Eveline e distrarti da ciò
che fai, tanto per me non è un problema. »
«
Di certo non affiderò più mia figlia ad una persona
falsa come te. »
«
Io sarei falsa? E perchè, scusami? »
«
Perchè sei sempre stata te quella che mi incoraggiava con Tom,
quando in realtà eri tu l'interessata! Anche ultimamente mi
hai sempre detto che Tom forse è ancora attratto da me e
questo mentre tu vai a letto con lui! Dio, mi sento così presa
in giro! »
«
No, un momento, fermati! Io starei andando a letto con lui?! Primo,
non lo farei mai perchè non mi piace neanche un po'. È
un bel ragazzo ma caratterialmente non ci pigliamo più di
tanto. Secondo, non lo farei per te! »
«
Io sono furiosa per il fatto che sei sempre stata dalla mia parte e
poi ti sei vista nel frattempo con lui, non perchè io sono
gelosa di lui; forse è questo che non ti è chiaro! »
«
E io ti sto dicendo, porca miseria, che con lui non ho mai fatto
nulla. Non mi ci sto vedendo da tempo e soprattutto non ci farei mai
nulla! Ma stiamo scherzando? Mi conosci da anni e lo sai che non lo
farei mai. »
«
Beh, ormai non so più a cosa devo credere. Le tue parole mi
dicono una cosa, ma i fatti un'altra. »
«
Quali fatti? Ci hai visti intenti a fare sesso, con i tuoi occhi?
Credi a me, cazzo! Sono la tua migliore amica da sempre! »
«
Anche e soprattutto le migliori amiche spesso ti tradiscono. Ora, per
favore, esci di casa che devo far mangiare Eveline. »
«
Ma... »
«
Esci di casa, ho detto! »
Jessica
ammutolì e rimase ad osservare tristemente Monique, la quale
invece ricambiava lo sguardo con sconfinata ira e delusione. La rossa
avrebbe tanto voluto riferirle il motivo reale per cui era scoppiato
tutto quel casino, ma avrebbe rovinato la sorpresa che si stava tanto
impegnando per prepararle.
Abbassò
lo sguardo desolatamente ed uscì dalla cucina. Quando passò
davanti al salotto, la piccola Eveline le domandò: « Tia
Gege, no tai co noi? »
Jessica
sorrise tristemente e rispose: « No, tesoro, oggi ho tanto da
fare. Sarà per un'altra volta... Ciao, piccolina. », per
poi uscire di casa e chiudere la porta.
Monique,
ancora in cucina, tremava dal nervoso. Non le era mai capitato di
litigare così duramente con Jessica, fino a sbatterla fuori di
casa e aveva sempre pregato perchè non succedesse mai.
Quella
era stata l'ennesima delusione della sua vita.
Bill
cominciava a preoccuparsi: suo fratello era chiuso in camera
dall'intero pomeriggio. Si era rifiutato di mangiare, di fumare una
sigaretta o di strimpellare con la chitarra come solitamente faceva.
Si era semplicemente estraniato dal mondo, pretendendo che tutti lo
lasciassero in pace. Il vocalist aveva acconsentito ma la
preoccupazione – tipica di un gemello – si faceva inevitabilmente
sentire.
Perchè
si stava comportando a quella maniera, senza degnare gli altri
nemmeno di una spiegazione? Probabilmente, in tutto ciò,
c'entrava Monique... Era un pensiero che la sua mente aveva formulato
da qualche ora. D'altronde, anche lei se n'era andata via da quello
studio con passo furente, espressione altrettanto nera e crucciata,
senza dire una parola.
Che
avesse combinato Tom il trambusto? O l'avesse combinato lei? Ormai il
rapporto tra quei due era diventato un enigma. In un certo qual modo,
forse, lo era sempre stato... Ma ora era letteralmente degenerato, da
quel giorno in aeroporto.
Sospirò
pesantemente e decise che ormai era passato il giusto numero di ore e
che Tom, volente o nolente, gli avrebbe spiegato cosa fosse successo.
Bussò delicatamente alla porta della stanza del chitarrista e
tutto ciò che udì fu un pesante e quasi lugubre “Chi
è?”. Deglutì quasi a fatica – quel tono lo adottava
solamente quando i casi erano davvero gravi – e mormorò il
suo nome. Con sorpresa, ricevette il consenso ad entrare da parte di
suo fratello, così abbassò la maniglia e fece capolino
in quella stanza. Era completamente buia, le finestre erano chiuse e
le tende tirate. Quasi fece fatica a riconoscervi all'interno il
gemello.
Da
quando si chiudeva a quel modo, in se stesso, quasi come un depresso
cronico?
«
Tom... » sussurrò appena il vocalist, avvicinandosi
lentamente al letto sfatto, dove il chitarrista giaceva rannicchiato
in posizione fetale.
La
questione è molto grave, pensò preoccupato il
ragazzo, sedendosi poi accanto a lui.
«
Non riesco a capire perchè mi sento in questo modo. Alla fine
è una ragazza come le altre, cazzo. » mormorò il
chitarrista, senza guardarlo. Bill decise di farlo parlare e fargli
esternare i pensieri più intimi, senza intervenire. « Mi
fosse capitata la stessa cosa, avessi ricevuto le stesse accuse e la
stessa verità da un'altra, ci avrei riso sopra. Ora mi sento
invece una viscida ameba e non è normale. » continuò
infatti Tom. « Mi sta solo mandando in confusione. »
borbottò di nuovo, massaggiandosi una tempia.
«
Questo perchè lei non è come le altre. Ti devo
ricordare che ne sei stato attratto seriamente? » decise di
intervenire Bill.
«
Sì, lo so, ma non è comunque normale perchè mi è
passata da un po' quest'assurda attrazione. »
«
Ehm, sei sicuro? »
Tom
si prese qualche attimo di riflessione, per poi rispondere in fretta,
dandosi dello stupido solamente per il fatto di averci pensato.
«
Certo! » esclamò forse con eccessiva enfasi. Bill
sorrise appena, senza farsi notare dal chitarrista, o avrebbe sentito
atterrare la lampada poggiata sul comodino, dritta sulla sua testa.
«
Beh, allora finalmente abbiamo trovato una donzella in grado di
tenerti testa, SexGott. » commentò maliziosamente,
ricevendo così l'occhiata truce da parte di suo fratello. «
Apparte gli scherzi, che ne dici di uscire da questa stanza, dato che
ci sei stato tutto oggi ad ammuffire? Così escogitiamo anche
qualcosa per il compleanno di questa donna che manda in confusione il
mio adorato fratellino. »
«
Bill, è incazzata; a questo punto mi sembra altamente inutile
fare questa cosa dato che probabilmente non la sfiorerebbe nemmeno
lontanamente. » borbottò Tom, nascondendo il viso nel
cuscino, come faceva da bambino, il che intenerì parecchio
Bill. « Ho osato dirle che forse non si riavvicina a me
per paura che io possa farla nuovamente soffrire. E lei mi ha detto
che sono presuntuoso e che non gliene frega più niente di me.
»
«
E questo basterebbe per buttarti giù? Andiamo, io ti dico di
peggio! »
L'espressione
di sufficienza svanì immediatamente dal volto di Bill non
appena ricevette la seconda fulminata da parte di suo fratello.
«
Sai, Bill, sei la persona meno indicata da cui ricevere consolazioni.
» borbottò il chitarrista. Bill sospirò appena,
passandosi una mano dietro la nuca. Forse era vero; non era il
migliore ma avrebbe per lo meno dovuto provarci.
«
Ascolta, Tomi... » cominciò quindi a parlare con
serietà, voltandosi più verso di lui. « Le
ragazze hanno un orgoglio smisurato e l'ultima cosa che vogliono
sentirsi dire è che dipendono da qualcuno. Si sentono forti
abbastanza per condurre una vita in completa solitudine per poter
dimostrare al mondo intero che lo sanno fare. È normale che
lei abbia reagito così... E' come se implicitamente le avessi
detto che è debole. »
«
Ma io non volevo dirle questo, Bill... »
«
Lo so, ma lei ha capito questo. E per questo non ha sopportato il
fatto che tu abbia voluto insinuare che lei sia ancora presa da te.
Per questo ti ha urlato tutte quelle cose poco carine... Perchè
la maggior parte della gente, non appena vuole mettere in chiaro
determinate cose, sputa veleno e le parole più orribili, per
far sì che il messaggio – seppur non del tutto corretto –
arrivi forte e chiaro. Un semplice “no, non è vero” non
basterebbe. » prese una piccola pausa, studiando l'espressione
attenta e pensierosa del gemello. « Per questo ti consiglio di
non crucciarti troppo per questa cosa. Con molta probabilità,
subito dopo averti detto quelle cose, si è pentita. E fidati
quando ti dico che questa festa è un modo per coglierla
talmente di sorpresa da farle dimenticare tutto ciò che è
successo stamattina. » concluse con un lieve sorriso di
incoraggiamento. Tom ricambiò dopo qualche istante quel
sorriso spontaneo ed allungò le braccia per stringere
affettuosamente suo fratello, che si era nel frattempo chinato verso
di lui.
«
Grazie, Bibi. »
Domenica,
tre Novembre.
Leggeva
quella data sul calendario con estremo fastidio.
Il
primo giorno dei suoi ventidue anni. Non se li sentiva addosso; aveva
percepito sempre dentro di sé l'animo di una bambina che aveva
perennemente avuto paura di crescere e che in qualche mese aveva
dovuto fare quell'enorme salto di qualità che tanto la
spaventava. Si era sempre definita la copia femminile di Peter Pan e,
anche se la cosa pareva un po' ridicola, era la più pura
verità. L'arrivo di una figlia aveva sconvolto tutto ma...
Ormai vi aveva fatto l'abitudine. Il punto era che aveva voglia di
risvegliare quel suo spirito puerile ma la domanda che le disturbava
continuamente i pensieri era: “è giusto nei confronti di
Eveline?”. Aveva il diritto di divertirsi di tanto in tanto? Aveva
il diritto di essere spensierata per qualche attimo, dato che da un
anno e mezzo a quella parte non era più stato possibile? Aveva
bruciato troppo velocemente le tappe della sua giovinezza e ora
sentiva un piccolo nodo allo stomaco e alla gola... Rimorso?
Rimpianto?
«
Auguli, mamy! » quell'esclamazione la fece letteralmente
sobbalzare, per poi voltarsi in direzione di Eveline che correva
instabile verso di lei con le braccine tese. Un secondo prima che
potesse diventare un tutt'uno col pavimento, Monique la afferrò
al volo non appena la vide inciampare.
«
Tesoro, a malapena cammini. Non ti mettere a correre in questo modo;
ti fai male. » ridacchiò la ragazza, tenendola su un
fianco mentre lei l'abbracciava stretta. « Comunque grazie,
piccina. » aggiunse la mora, schioccandole poi un bacio sonoro
sulla guancia liscia. « Stamattina andiamo a trovare i nonni,
ti va? » le sorrise successivamente.
«
Ti! I nonni! » esultò Eveline, battendo le manine,
com'era solita fare.
«
Dai, andiamo a prepararci. » sorrise Monique, intenta a
raggiungere la camera da letto. Il divertimento poteva aspettare;
quella bambina le stava riempendo la vita di gioia.
«
Ma dimmi te se devo entrare in casa di Monique dal balcone, come un
perfetto ladro... » borbottò Tom, a braccia conserte,
mentre davanti a sé Jessica tentava di arrampicarsi per
scavalcare la ringhiera. « Se ci becca qualcuno è la
fine della mia reputazione, del mio lavoro, delle mie scopate,
della... »
«
Sta' zitto, treccina. Se non vuoi farlo non sei costretto. » lo
interruppe scocciata Jessica, qualche secondo prima di atterrare con
un ultimo sforzo all'interno del piccolo terrazzo. « Perchè
non hai fatto il giro assieme agli altri, se non volevi arrampicarti?
» lo osservò dall'alto con un sopracciglio sollevato.
«
Perchè sennò mi toccava portare tutti quei sacchi. »
sbuffò il chitarrista, mentre si aggrappava con le mani alla
ringhiera e con i piedi cercava di darsi la spinta per oltrepassarla.
«
Sei uno scansafatiche. » lo etichettò la rossa mentre lo
afferrava per la maglia per facilitargli il lavoro. « Dai,
muoviamoci. » disse poi, una volta che entrambi si trovarono
sul balcone, andando ad aprire la porta finestra.
Tom
aveva uno strano ricordo di quel posto: quella sera in cui, sfiorando
Monique con quei baci a fior di pelle, aveva dato il via a quei
dannati tormenti sia nella testa della ragazza che nella sua.
Una
volta entrati nell'appartamento, lo trovarono perfettamente
silenzioso ed in ordine, segno che lei non c'era, proprio come aveva
previsto Jessica. Quest'ultima andò ad aprire la porta, con le
chiavi di riserva che trovò sulla mensola, dalla quale
entrarono Georg, Gustav e Bill con dei pesanti sacchi per uno.
«
No, no, fratellino, lascia stare, facciamo da soli... Grazie comunque
per il pensiero. » disse con sarcasmo Bill, poggiando il suo
sacco per terra, mentre Tom era immobile al centro della stanza –
che ovviamente non aveva parlato – ed accusava il colpo con una
smorfia.
«
Bene, cominciamo a rallegrare un po' questa stanza! » esclamò
Jessica, sfregandosi le mani.
Sua
madre aveva fatto trovare per il loro arrivo uno squisito pranzetto.
Monique adorava la sua cucina; fin da piccola non vedeva l'ora che la
donna si ingegnasse per qualche nuova invenzione, che poi lei
mangiava sempre con gusto.
Erano
seduti a tavola. Eveline, posta sul seggiolone, ascoltava l'allegra
conversazione familiare e mangiava imboccata da sua madre.
«
Sta crescendo davvero bene la piccola; sono fiera di te, tesoro. »
sorrise Ester, osservando proprio Eveline con un enorme sorriso pieno
d'orgoglio che la bambina ricambiò spontaneamente.
«
Beh, fortunatamente non è difficile... E' molto tranquilla e
non mi fa quasi mai arrabbiare. » rispose Monique per poi
portarsi alla bocca un pezzo di lasagna. Successivamente ne prese un
altro pezzettino molto più piccolo, vi soffiò sopra e
poi lo allungò verso la bocca di Eveline, la quale lo mangiò
molto volentieri.
«
Se penso che continuavi a ripetere che non volevi bambini... »
ridacchiò di nuovo la madre, ormai nonna.
«
Mi sono ricreduta. »
«
Nonno, palla! » esclamò improvvisamente Eveline, prima
di mangiare un altro pezzettino di lasagna che Monique le stava
nuovamente porgendo. La ragazza ed Ester scoppiarono a ridere,
voltandosi verso Alfred che sorrise in imbarazzo.
«
Lo sai che il nonno è timido e non parla spesso. » disse
Monique, divertita. Eveline gonfiò le guance imbronciandosi
appena. Monique sapeva perfettamente che da un momento all'altro
sarebbe scoppiata a ridere, così decise di anticipare quel
momento. Allungò un dito verso una guancia di sua figlia e
premette appena in modo che la piccola facesse una pernacchia.
Eveline, infatti, prese a ridere, contagiando anche il resto della
tavolata. Era una bambina sempre allegra ed apparentemente non le
mancava nulla. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e portava gran
serenità con lei, ovunque andasse.
Monique
pregava perchè quella perfetta situazione non mutasse.
«
Tom, smettila di barcollare, tienimi bene o caschiamo tutte e due per
terra come pere cotte! » esclamò Jessica, seduta a
cavalcioni sulle spalle del chitarrista, il quale cercava di
sostenerla come meglio poteva. La rossa stava provando ad appendere
uno striscione di auguri sul muro, ma con lo scarso aiuto del ragazzo
non riusciva a portare a termine quell'opera.
«
Ma come cazzo faccio? Pesi ottantacinque chili! » ribattè
il chitarrista con il viso bordeaux per lo sforzo.
«
Grazie per i venticinque chili in più che mi hai dato. »
commentò con sarcasmo la rossa. « Sei te che non hai
muscoli sotto questi innumerevoli strati di stoffa. Sarà per
questo che ti vesti sempre con abiti larghi... Per coprire ciò
che non c'è. » continuò acida.
«
Eddai, smettetela. » ridacchiò Georg dall'altra parte
della stanza, intento a gonfiare palloncini, assieme a Gustav. Bill
invece stava sistemando sul tavolo rettangolare bibite e cibo di ogni
genere, molto poco salutari. Finalmente Jessica riuscì ad
attaccare due lembi dello striscione, ma ne mancavano altri due dalla
parte opposta.
«
Mollami, treccina, mi faccio aiutare da Hagen per gli altri due; non
vorrei che ti spompassi eccessivamente. » lo canzonò la
ragazza, mentre questo la poggiava nuovamente sul pavimento, con un
verso affaticato. Georg, udito il suo nome, si alzò da terra e
raggiunse la ragazza, mentre Tom le faceva il verso per poi sedersi
sul divano e poggiarsi una rivista sulle ginocchia. All'interno vi
erano scritti ed illustrati tutti i segni dello zodiaco, con la
rispettiva descrizione caratteriale affianco.
«
Monique dovrebbe essere del segno dello Scorpione... » disse
Tom ad alta voce, cercando quell'inquietante animaletto con le chele.
« Le persone con posizioni di rilievo in questo segno sono
misteriose, ambiziose e dotate di un fascino a volte sinistro.
Testarde e vendicative, possiedono un'ironia sferzante e un intuito
profondo. Sia il sesso che l'erotismo hanno un ruolo centrale nella
loro vita ma le relazioni amorose si rivelano il più delle
volte particolarmente complesse. Esigenti e contraddittorie,
pretendono molto dagli altri, ma sanno dare altrettanto, in entrambi
i casi spesso facendolo solo intuire. Orgogliose e consapevoli delle
proprie qualità, nascondono una sensibilità profonda
che può mettere a rischio le loro sicurezze e di frequente li
rende preda del dubbio... Oh beh, si spiegano tante cose. »
concluse il ragazzo, piuttosto interessato a tale ritratto della
persona di Monique.
«
Che ti avevo detto? » sorrise soddisfatto Bill, mentre versava
le patatine dalla busta ad una scodella rossa.
«
Invece di startene lì a poltrire e leggere cose che neanche
capisci, perchè non ti rendi utile per questi preparativi? »
intervenne Jessica, sulla spalle di Georg – il quale sembrava molto
meno provato di Tom dal peso della ragazza – intenta a sistemare
anche gli altri due lembi dello striscione.
«
E tu di che segno sei, donna particolarmente irritante? » la
stuzzicò il chitarrista. « Oh sì, Monique un po'
di tempo fa mi ha detto che sei una testarda Ariete! Dunque... Nella
sua apparente semplicità, l'ariete è visto talvolta
come il più inafferrabile dei dodici segni... Bla, bla,
bla... Oh! Impazienti ed egoiste, amano detenere il potere. Hanno
un carattere battagliero ed uno spirito giovanile. Come mai non
mi sorprende questa cosa? » sorrise furbescamente il ragazzo.
Jessica scese dalle spalle del bassista e lo raggiunse al divano,
strappandogli il giornale di mano.
«
Vergine: le persone con posizione di rilievo in questo segno
zodiacale sono caratterizzate da un'intelligenza acuta e sottile...
Questo lato caratteriale te l'ha fregato sicuramente tuo fratello. La
loro indole ipercritica e pignola può farli risultare pedanti.
Musica per le mie orecchie! Di carattere timido e alle volte
apparentemente remissivo, sono tuttavia dotati di una lingua
tagliente, di una sensibilità acuta e di notevoli doti
professionali e dialettiche?! Beh, anche questa è
l'analisi di Bill. » borbottò Jessica, buttando il
giornale sul divano, suscitando così risate di soddisfazione
da parte di Tom.
«
Anche un giornale astrologico ti da contro; arrenditi, rossa. »
Monique
osservava con stupore la catenina che i suoi genitori le avevano
regalato per il suo compleanno, contro il suo volere. Era in oro
bianco con una piccola medaglietta a forma di M, cosparsa di
brillantini. Era semplice e delicata, ma stupenda.
Anche
Eveline aveva ricevuto un regalino, nonostante non fosse il suo
compleanno: era d'abitudine da parte dei nonni, ogni volta che li
andavano a trovare. Non era stupida la piccola ad adorare
particolarmente quelle persone tanto generose. Le avevano comprato un
cappellino rosa, con un pon-pon sull'estremità e la bambina ne
era molto entusiasta.
Ester
aveva anche preparato una buonissima torta, con le sue mani, ornata
di una bellissima scritta al cioccolato “Tanti auguri, piccola
mamma”. Monique non si stupì nel percepire le calde lacrime
di commozione scorrerle lungo le guance. Perchè lei era
dannatamente orgogliosa, dannatamente dura, e crollava miseramente in
tali circostanze.
Si
era fatta sentire anche un'improvvisa voglia di trascorrere quella
giornata con Jessica e... Sì, i Tokio Hotel. Questo perchè
lei era un'incapace. Sudava tanto per instaurare rapporti, impiegava
cinque secondi ad infrangerli.
Tom
si era rifugiato in camera di Monique. Avevano finito già da
qualche minuto di preparare il tutto per la festa a sorpresa e ne
aveva approfittato per congedarsi dagli altri e passare qualche
attimo da solo con le sue riflessioni.
Scrutò
attentamente quella stanza; aveva proprio il tocco di una ragazza e
soprattutto di Monique: il letto matrimoniale era ricoperto di una
federa di un tenue color panna con il disegno di un'enorme farfalla
al suo centro, delle varie tonalità di porpora. Accanto vi era
la culla di Eveline, bianca e piena di cuscinetti.
Era
dannatamente accogliente quella camera, così calda ed in
ordine che Tom provò l'improvviso impulso di sdraiarsi sul
quel letto, anche solamente per sentire che profumo avesse.
Sorrise
appena a quei pensieri, rendendosi conto di quanto quella ragazza
l'avesse cambiato. Un tempo non avrebbe mai fatto tali ragionamenti
su una donna. Ora era un qualcosa di automatico, di piacevolmente
naturale.
Voltò
lo sguardo e notò sul comodino una foto che ritraeva una
bambina di qualche anno: non poteva decisamente essere Eveline, anche
se ci assomigliava molto. No, quella bambina aveva degli occhioni
castani e molto più malinconici di quelli di Eveline. Prese la
piccola cornice e se l'avvicinò al volto, scrutando il viso
così chiaro di Monique, la quale, più che sorridere
all'obiettivo, lo guardava con espressione quasi incantata... Come
stesse osservando il vuoto, con una lieve smorfia che forse provava
ad essere un sorriso.
«
Non è mai stata realmente felice. » la voce di Jessica,
alle sue spalle, lo prese alla sprovvista, ma non si voltò.
Restò ad osservare pensieroso quella foto. « E neanche
ora lo è, anche se dice di esserlo. Basta leggerlo nel suo
sguardo sempre un po' malinconico, come quello di questa foto. »
continuò la rossa con delicatezza. Il chitarrista sentì
i passi dietro di sé avvicinarsi sempre di più; vide la
mano della ragazza allungarsi oltre la sua figura e sollevare un po'
la cornice, senza superare le sue spalle. « Forse tu sei la
persona adatta a far sì che queste labbra si curvino verso
l'alto con sincerità, che dici? »
Tom
non rispose; semplicemente registrò quelle parole, prima che
la voce di Georg raggiungesse le sue orecchie come un fulmine a ciel
sereno.
«
Ragazzi, è arrivata Monique! »
|
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Capitolo 6 *** Six. ***
6
Six.
«
Mamy, pecchè oggi no tiamo tate co la Tia Gege? »
domandò ingenuamente Eveline, stretta in braccio alla sua
mamma che era appena uscita dalla macchina per raggiungere il portone
del loro condominio.
Monique
sospirò appena: era ancora nervosa e, in un certo senso,
pentita di aver trattato a quella maniera imperdonabile Jessica. Si
sentiva arrabbiata con lei ma al contempo percepiva il bisogno di
passare quelle restanti ore del suo compleanno – pur avendo sempre
sostenuto che non le importava nulla – in sua compagnia. Se avesse
cercato di porre un chiarimento a quella situazione, forse tutto ciò
che aveva in mente si sarebbe realizzato, ma il suo dannato orgoglio
le impediva di fare qualunque cosa.
«
Te l'ha detto; aveva da fare. » cercò di rispondere con
dolcezza, non appena furono entrate in ascensore. Sarebbe arrivata a
casa, si sarebbe stravaccata sul divano ed avrebbe trascorso il suo
tempo lì, con la consapevolezza che avrebbe sempre vissuto con
il rimorso di non aver passato il suo compleanno con la sua migliore
amica.
Uscirono
dall'ascensore – Eveline sempre stretta dalle sue braccia – e,
con la mano libera, Monique aprì la porta di casa. Era tutto
tremendamente buio e cercò a vuoto l'interruttore, fino a che
non lo trovò e vi premette sopra per dare un po' di luce a
quell'ambiente.
«
Auguri! » l'urlo che si levò in quella casa, di tante
voci distinte all'unisono, che subito fece fatica a riconoscere, la
prese in contro piede. Si era spaventata e anche Eveline era
sobbalzata, stringendole impaurita il collo con le braccia. Chi
poteva aver fatto irruzione in casa sua, senza le chiavi?
Improvvisamente
la mora vide cinque teste sbucare, una dopo l'altra, da dietro il
divano: Jessica, Tom, Bill, Georg e Gustav. Il respiro le si smorzò.
Sollevò
gli occhi e trovò un'enorme striscione, attaccato da
un'estremità all'altra della parete, che recitava un “Buon
compleanno!” di colore rosso acceso, su sfondo giallo. Attorno a
lei, tutta la casa era addobbata meravigliosamente: palloncini in
ogni angolo, tante cose buone da mangiare... Deglutì a fatica
l'enorme groppo che le si era venuto a formare in gola.
Sentiva
le lacrime accumularsi sempre di più sui suoi occhi, intente a
spingere per uscire allo scoperto, contro il suo volere. Il cuore
batteva all'impazzata ed una voglia smisurata di abbracciare ogni
singolo componente di quell'appartamento bruciava dentro di lei. Era
semplicemente senza parole ma un grande senso di gratitudine era il
minimo che potesse provare.
Posò
leggermente a terra Eveline e si lasciò accogliere fra le
braccia di Jessica che era nel frattempo corsa verso di lei. Chiuse
gli occhi, facendo sì che le lacrime che tanto si era
impegnata per non far notare, colassero copiose lungo le sue guance.
Si strinse con tutta la forza che aveva al corpo della sua migliore
amica, ritrovandone quel senso di casa, di famiglia che da un giorno
e mezzo non aveva più sentito interamente. Era arrivata al
momento giusto per riempire quel vertiginoso vuoto che l'aveva resa
così inquieta per tutto quel tempo.
«
Ora capisci cosa tramavamo io, Tom e gli altri, a tua insaputa? »
le sussurrò all'orecchio la rossa, facendola sentire più
piccola di una formica. L'aveva trattata a pesci in faccia, l'aveva
sbattuta fuori di casa e non aveva riposto fiducia in lei,
nell'esatto momento in cui lei invece si stava facendo in quattro per
organizzare quella festa a sorpresa.
«
Scusami. » le venne spontaneo dire, con il cuore in mano.
«
Ti voglio bene. » fu la semplice risposta della sua migliore
amica.
Quando
si staccarono, posò gli occhi sui ragazzi, asciugandosi appena
le lacrime. Tom la guardava timido, con un lieve sorriso sulle
labbra, forse ancora in imbarazzo per ciò che era successo
nello studio.
Un
secondo senso di colpa la scosse brutalmente; prese così un
bel respiro e, senza riflettervi troppo, si avvicinò al
chitarrista. Tremante, allungò le braccia verso di lui e con
esse circondò il suo busto piacevolmente caldo. Chiuse
nuovamente gli occhi, poggiando la tempia sul suo petto e sorridendo
appena.
Di
nuovo quell'odore inconfondibile che le piaceva tanto; di nuovo quel
calore di cui non aveva mai potuto fare a meno.
Quando
sentì le braccia del ragazzo circondarle le spalle, si sentì
straordinariamente bene e ancor di più non appena udì
il cuore di quest'ultimo battere all'impazzata... Proprio come il
suo.
«
Grazie. » sussurrò, mentre il chitarrista le accarezzava
dolcemente i capelli per posarvi poi un lieve bacio.
«
Di nulla. »
La
musica ad alto volume risuonava all'interno dell'abitazione di
Monique, decisamente poco incline a preoccuparsi del vicinato o
dell'orario poco consono per dare una festa. Eveline si trovava al
centro del salotto, circondata dalle alte figure di Gustav e Bill che
ridevano, battendo le mani, mentre la piccola ballava – o per
meglio dire, si agitava – più o meno a tempo di musica.
Monique
era esterrefatta, oltre che divertita: mai aveva visto sua figlia
dare sfoggio di tanta disinvoltura agli occhi di altre persone. La
sua eccessiva timidezza sembrava solo un vago ricordo.
«
Guarda come sculetta! » rise intenerita Jessica, indicandole
proprio la bambina che ora aveva preso a ballare assieme a Bill, il
quale la teneva per le manine, piegato totalmente verso di lei, dato
che una buona ottantina di centimetri li separava. « Dai, vieni
a ballare con me. Sei la festeggiata, non puoi startene ferma lì!
» esclamò successivamente la rossa, afferrandola per una
manica della sua maglietta e trascinandola poi assieme a loro.
Monique lanciò un'occhiata a Tom, il quale era appoggiato al
davanzale con un bicchiere di birra in mano, affianco a Georg.
Rabbrividì non appena lo vide sorriderle e si maledì
mentalmente per averlo cercato con lo sguardo, pur involontariamente.
Era
qualcosa di troppo più forte di lei: nonostante si sentisse
ancora tremendamente attratta da lui – ormai non poteva più
negarlo – preferiva mantenere comunque le giuste distanze. Fargli
capire che un certo interesse albergava ancora dentro di lei non era
decisamente conveniente. Le aveva comunque fatto del male e non
voleva piegarsi immediatamente o cadere ai suoi piedi.
Cercò
di non pensare a nulla e divertirsi assieme a Jessica, Gustav e Bill
che avevano preso a ballarle attorno – mentre il batterista teneva
Eveline in braccio – come non faceva da tanto tempo. Si sentiva
libera di poter ridere a crepapelle di sua spontanea volontà.
Si sentiva libera di passare un momento della sua vita talmente
sereno e disinvolto che fosse in grado di ricordarle che aveva solo
ventidue anni e si stava perdendo forse le cose più belle
della sua giovinezza. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza la sua
migliore amica che con una serata le aveva fatto riscoprire i piaceri
del divertimento; quello puro, in mezzo agli amici. Avere una figlia
le aveva riempito la vita ma non significava che avesse finito di
trascorrere la sua giovane età nel migliore dei modi.
Improvvisamente
Bill la afferrò per un braccio, prendendo a farla volteggiare
per la stanza. Monique continuava a ridere come non aveva mai riso
prima di allora. Si sentiva finalmente in pace con se stessa o per lo
meno priva di pensieri negativi.
«
Bill! » strillò divertita, proprio mentre prendeva a
girarle la testa, fino a che non si sentì mollata
letteralmente dalla sua presa per finire addosso ad una figura alta
ed imponente, che la afferrò al volo: Tom. Quando sollevò
lo sguardo si sentì sprofondare, non appena vide il suo
sorriso a qualche centimetro di distanza ed i suoi occhi nocciola
immersi nei suoi.
Devo
ricordarmi di uccidere Bill, pensò immediatamente la
ragazza, immaginando che il vocalist l'avesse fatto apposta a
lasciarla scontrare con suo fratello. Non si sentiva più a
proprio agio; ora era nervosa, percepiva le sue ginocchia tremare e
reggerla a malapena, se non fosse stato per il sostegno del
chitarrista.
No,
non avrebbe potuto mandare avanti quella situazione.
«
Scusa. » gli sorrise appena, per poi allontanarsi con la scusa
di riempirsi un bicchiere di aranciata, al tavolino affianco al
divano. Averlo a distanza così ravvicinata la metteva a
disagio e soprattutto la rendeva inerme. Non lesse cosa il suo volto
esternò per tale allontanamento, ma immaginò che non
l'avesse preso positivamente.
Avrebbe
trovato un modo efficacie per riuscire a guardarlo, a parlarvi, a
starvi vicino senza che i suoi pensieri vorticassero attorno alla
parola “Attrazione”? Sentiva ogni molecola del suo corpo
tremendamente spinta ad avvicinarsi a lui, ma il suo cervello e
soprattutto la sua coscienza le suggerivano il contrario.
«
Che ne dici di aprire il nostro regalo, Monique? » propose
improvvisamente Georg, con un bicchiere di vino in mano.
«
Tì! » esclamò Eveline, persino più
entusiasta di lei.
«
Mi – mi avete fatto anche un regalo? Pensavo fosse già tutto
questo! » esclamò la mora esterrefatta. Non si aspettava
assolutamente di trovare persino qualcosa da scartare; primo perchè
odiava ricevere regali. Erano un qualcosa che la mettevano seriamente
in imbarazzo. Secondo perchè le sembrava già abbastanza
e tremendamente generoso ciò che avevano fatto per lei, fino a
quel momento.
«
Certo! » rispose Jessica, passandole successivamente un enorme
sacchetto con un fiocchetto rosso sulla cima. Monique, con mano
tremante, lo accettò per poi poggiarselo sulle ginocchia, una
volta che si fu seduta sul divano. Non sapeva assolutamente che dire,
perciò prese a scartare il tutto, mentre Eveline si
arrampicava sulla federa per sedersi accanto a lei, tremendamente
incuriosita.
«
Che cot'è? » domandò attenta, senza staccare gli
occhi dal movimento delle mani della sua mamma. Monique non rispose,
fino a che non ne tirò fuori una scatola di modeste dimensioni
che subito non riconobbe, ma che successivamente amò con tutta
se stessa: il cellulare che tanto aveva desiderato comprarsi ma che,
per una ragione o per un'altra, non aveva avuto il tempo di rendere
suo. « Acchìo lo voio il tellulale! » esclamò
la piccola, entusiasta.
«
Tra qualche anno, ne arriverà uno anche a te. » le
sorrise Jessica, per poi tornare a dedicare la propria attenzione
alla mora. « Ti piace? » le domandò retoricamente,
dato che sapeva alla perfezione che era proprio quello che voleva.
«
Io non so che dire, davvero. Grazie mille a tutti; è stupendo.
» disse balbuziente e con gli occhi che le brillavano. Ed era
vero... Adorava immensamente tutto ciò che con tanta cura
avevano organizzato solo per lei.
Quando
aprì gli occhi, il buio fu tutto ciò che poté
focalizzare, attorno a lei. Si sentiva frastornata e per un momento
non comprese dove si trovasse o semplicemente cosa stesse succedendo.
Era stata svegliata da uno strano rumore, piuttosto ripetitivo e,
solamente quando si voltò in direzione del divano, illuminato
dalla lieve luce lunare, seppe associare tale fatto alla figura di
Georg. Il bassista stava delicatamente russando, con la bocca
aperta ed il capo reclinato sullo schienale del divano. Affianco a
lui, Bill era sdraiato a pancia in su con la piccola Eveline
teneramente addormentata addosso al suo busto.
Monique
sentì un enorme calore al petto, alla vista di quella scena
così delicata.
Voltò
lo sguardo per scrutare il resto della stanza e notò Jessica
rannicchiata sulla poltrona, con Gustav ai suoi piedi, e Tom seduto a
terra con la schiena poggiata alle gambe di Georg. Tutti sembravano
pacificamente assorti in un sonno profondo, nonostante le posizioni
evidentemente scomode per la maggior parte di loro.
La
mora si portò una mano alla schiena, con una smorfia di dolore
e, solo in quel momento, si rese conto che anche lei si trovava
seduta sul pavimento, con la spalla poggiata al fianco della
poltrona, dove giaceva Jessica. Stuzzicata dal russare continuo di
Georg, si mosse appena per stiracchiarsi ed acquisire nuovamente la
sensibilità della sua povera schiena, per poi alzarsi in
piedi, senza fare alcun rumore, nonostante ce ne fosse già
abbastanza, a causa di quella sottospecie di motosega.
Camminò
silenziosamente in mezzo al salotto fino a che non mise piede sul
terrazzo, uscendo dalla portafinestra. Un'aria gelida, tipica della
notte berlinese, le punse contro la pelle coperta ancora dai suoi
vestiti di qualche ora prima. Sentiva freddo ma al contempo non aveva
assolutamente voglia di rientrare, poiché il sonno era sfumato
fino a scomparire. Poggiò i gomiti sulla ringhiera ed osservò
distrattamente la Luna, ancora piacevolmente scossa dalla precedente
festa di compleanno. Senza dubbio quello andava a finire
nell'immaginaria lista dei più belli che avesse mai
festeggiato.
«
Ma sei pazza, ti vuoi prendere una polmonite? »
Sobbalzò
nell'esatto momento in cui il chitarrista, alle sue spalle, sussurrò
esterrefatto quelle parole.
«
Mi hai fatto spaventare, cazzo! » esclamò a bassa voce
Monique, cercando nel frattempo di riprendere fiato. Il ragazzo era
uscito sul terrazzino, sfregandosi una mano su un braccio; segno che
aveva molto freddo. « Che ci fai sveglio? » domandò
la mora, osservandolo di sbieco, mentre le si avvicinava.
«
Ti ho sentita alzarti. E poi Georg non è l'esatta ninnananna
che vorrei. » commentò Tom con sano sarcasmo, al che
Monique non poté trattenersi dal sorridere appena.
«
Tu non rischi, invece, di prenderti una polmonite? » chiese
poi, inarcando un sopracciglio, mentre anche il chitarrista si
appoggiava alla ringhiera, accanto a lei.
«
Almeno ci facciamo compagnia, se ci ammaliamo tutti e due. »
sorrise lui, osservandola attentamente, costringendo Monique ad
abbassare il proprio sguardo, palesemente in imbarazzo.
Non
lasciare che si avvicini di nuovo, continuava a ripetersi nella
mente, con disperazione. E non intendeva solamente in senso fisico.
«
Allora... » cominciò poi, più seriamente il
ragazzo, dopo essersi schiarito la voce. « Sei contenta di
com'è andata la serata? Ha superato le tue aspettative? »
«
Considerando che la mia unica aspettativa era una serata fatta di una
semplice minestrina, di fronte ad un film deprimente... Direi di sì.
» rispose ironicamente Monique. Anche Tom sorrise appena,
abbassando per un momento lo sguardo. « Apparte gli scherzi, mi
ha fatto davvero molto piacere. Ne avevo bisogno. » disse poi,
volgendo gli occhi al panorama sottostante e torturandosi
continuamente le mani, quasi senza accorgersene.
«
Era giusto che fosse così. D'altronde te lo meriti. »
«
Non dopo quello che ti ho urlato contro, l'altro giorno. »
«
Aaah, non ci pensare. »
Passarono
diversi secondi in cui si poté udire solamente il silenzio
della notte, rotto dal continuo russare proveniente dal salotto.
«
Non volevo dirti quelle cose. E non a quel modo. » sussurrò
improvvisamente Monique, in imbarazzo e sinceramente dispiaciuta. Si
impegnava perchè i suoi occhi non incrociassero quelli di Tom
e le sue mani sembravano lottare fra di loro, per quanto veemente era
il loro tocco reciproco.
«
Tranquilla. Io l'ho dimenticato. » rispose dolcemente il
chitarrista, senza guardarla. « D'altronde avevi ragione: mi
sono comportato da stronzo, presuntuoso. » aggiunse.
«
Un pochino sì. » ridacchiò Monique mentre le sue
guance si tingevano di un rosso acceso, nell'esatto momento in cui
anche Tom si lasciò andare in una lieve risata. « Ma la
mia reazione rimane imperdonabile. »
«
Ti ho fatto incazzare, come al solito... E' stata più che
normale. » sorrise il ragazzo.
Dattela
a gambe.
Le
gambe le fremettero a quel pensiero, quasi intenzionate a scappare
seriamente da quel terrazzo prima che la situazione le sfuggisse di
mano, quando il chitarrista tornò a parlare.
«
Sai, non te l'ho detto perchè probabilmente non ne ho avuto
modo: mi piace Eveline. »
No,
ti prego, non dire queste cose con quella tua dannata tenerezza, non
riuscirò mai a tenerti lontano.
I
pensieri della mora stavano letteralmente degenerando, ma lo lasciò
parlare, poiché parve non avere ancora finito.
«
E' molto dolce. » continuò infatti. « Per molti
aspetti, mi ricorda te. » aggiunse quasi in imbarazzo. Lo
stomaco di Monique si contrasse con velocità inaudita.
«
Ne sono contenta. » disse pacata, con un sorriso sincero in
volto. Le aveva detto implicitamente che trovava dolce anche lei?
«
So che non mi sono molto espresso in questo e che non ho fatto i
salti di gioia come tutti gli altri, non appena l'ho vista ma... Mi è
parso un po'... Strano, che quella piccola creatura con cui parlavo
quando ancora si trovava nella tua pancia, ora sia lì, in
carne ed ossa. E poi, nel frattempo, sono successe delle cose tra noi
che... » si interruppe, lanciandole un'occhiata. Notando che
Monique si impegnava per non fare la stessa cosa, continuò: «
Beh, ad ogni modo, tengo a dirti che mi piacerebbe instaurare un
rapporto amichevole con lei, così come ha fatto con gli altri.
»
Monique
percepì un brivido lungo la colonna vertebrale. Era
esattamente il punto dove avrebbe voluto evitare di giungere.
«
La vedo un po' dura, dato che lei è molto timida con le
persone un po' chiuse. » cercò di non risultare dura,
nonostante il chitarrista potesse percepire quel tono come
accusatorio.
«
E' che io non so come comportarmi con i bambini. Sono creature quasi
totalmente estranee per me. Non ho mai dovuto avervi a che fare in
modo così diretto ed ora mi sento un po' impacciato. Ho paura
di non essere all'altezza; ho paura di non saper gestire la
situazione e di non saperla prendere nel modo giusto. Ho paura di
farle una brutta impressione. »
«
Cos'è, Kaulitz, ora le stesse paure che mi avevi ordinato di
non avere, quando ero incinta, cominci a provarle te? » sorrise
Monique, inclinando lievemente la testa di lato. Le si scaldò
il cuore nel momento in cui anche il chitarrista sorrise teneramente,
come beccato sul colpo.
«
Allora, forse, era destino che dovessimo tornare al punto di
partenza... »
Monique
sentì un duro colpo all'altezza del petto. La situazione stava
degenerando, proprio come lei si era ripromessa di non far accadere.
Aleggiava troppa dolcezza nell'aria, troppa complicità, troppa
voglia di tornare ai vecchi tempi. Ma ciò era
pericoloso, soprattutto per lei.
Improvvisamente
sentì nello stomaco la stessa sensazione che probabilmente
avrebbe provato compiendo un salto nel vuoto, quando vide il
chitarrista allungare una mano verso il suo viso. Lei stava immobile,
incapace di intendere e di volere. A dire il vero, erano tante le
cose che avrebbe voluto fare in quel momento – tra cui darsela
velocemente a gambe – ma i muscoli non rispondevano ai comandi del
suo cervello. Era semplicemente ipnotizzata dai quegli occhi nocciola
posati attenti sui suoi. Sembravano volerla trapassare, fino a
raggiungerle l'anima.
Percepì
il tocco delicato delle dita di Tom sul suo mento e del pollice sulle
sue labbra tremanti.
«
Tom... » balbettò, senza fiato, come a voler stroncare
sul nascere un qualcosa di troppo sbagliato... Ma lui la prese in
contropiede.
«
Hai le labbra viola; fa troppo freddo. Rientriamo. » le sorrise
mestamente, per poi abbandonare le sue labbra con una carezza lieve,
fino a che non le diede le spalle per fare ciò che le aveva
consigliato.
Solo
in quel momento, Monique riprese a respirare.
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Capitolo 7 *** Seven. ***
7
Seven.
Da
ore ormai leggeva la stessa frase ripetutamente. Era tremendamente
distratta e nonostante conoscesse il motivo, lo stava ignorando
spudoratamente, come a non voler dare soddisfazione al proprio
inconscio che si impegnava per disturbarla.
Aveva
creduto che l'avrebbe baciata.
Quel
pensiero la tormentava da ore e non sembrava intenzionato ad
abbandonare la sua mente.
Strinse
la penna che teneva tra le dita in modo automatico. Avrebbe voluto
che lo facesse o no?
Ecco
che di nuovo cadeva in una confusione dalla quale difficilmente
sarebbe riuscita a districarsi. Continuava a convincersi del fatto
che se fosse seriamente accaduto, probabilmente avrebbe esternato
velocemente ira da ogni poro della sua pelle. Eppure qualcosa, dal
profondo del suo cuore, le suggeriva che non era come ella credeva.
Tentò
di concentrarsi inutilmente, per l'ennesima volta, sulla traduzione
di cui si stava occupando e nel frattempo si chiese cosa quel pazzo
di Bill stesse combinando con la sua piccola Eveline, sperando che
non gliela “restituisse” semi-scioccata da una delle sue strambe
idee.
«
Secondo me questo colore ti dona. »
Bill
pareva particolarmente entusiasta di ciò che stava facendo
alla povera, piccola Eveline. Con una concentrazione ineccepibile ed
un impegno smisurato, stendeva sulle unghiette della bambina uno dei
suoi smalti preferiti. La piccola lo lasciava fare in silenzio ed
immobile, incuriosita da quella strana sostanza dall'odore acre, mai
vista prima di allora.
«
Ma se è trasparente... » commentò con un
sopracciglio inarcato Georg, che sedeva al tavolo, accanto a loro,
con la testa poggiata pigramente alla mano.
«
Taci tu, che non te ne intendi. » ribattè il vocalist
con una smorfia, mentre portava avanti la sua opera.
«
Oh, mio Dio, ma che stai facendo? »
Gustav
aveva fatto irruzione in cucina ed era rimasto semplicemente
scioccato dall'inquietante scena che gli si presentava davanti agli
occhi.
«
Le metto lo smalto. » rispose Bill con ovvietà.
«
Ha un anno e mezzo! » gli ricordò quel piccolo dettaglio
il biondino, con disperazione. « Monique ti ucciderà! »
«
Invece le piacerà. »
Gustav
sollevò gli occhi al soffitto, deciso ad arrendesi, poiché
altro non poteva fare. Combattere con Bill era come farlo con i
mulini a vento; la ragione sarebbe stata sempre la sua ed avrebbe
avuto sempre buoni argomenti a sostenere le proprie tesi.
«
A te piace, piccola? » domandò Bill ad Eveline, non
appena finì di dipingerle le unghie delicate. La piccola annuì
energicamente, portando il ragazzo a mostrare una sentita linguaccia
in direzione del batterista, il quale si limitò a fare una
smorfia di dissenso.
«
L'ha detto solo perchè non ti vuole offendere. »
commentò il biondino mentre Eveline allungava le braccia verso
Bill per farsi prendere in braccio e posare a terra. Un po'
barcollante, uscì dalla cucina, sotto gli occhi incuriositi
dei ragazzi, e prese a vagare per lo studio di registrazione, intenta
ad ispezionarlo per ogni angolo, poiché non aveva ancora avuto
occasione di farlo interamente.
Ad
un tratto, la sua attenzione venne catturata da una dolce melodia,
proveniente dalla stanza che trovò di fronte a sé. Dopo
aver battuto qualche attimo le palpebre, come particolarmente
attratta da quelle note un po' malinconiche, vi si avvicinò
con passetti insicuri, tipici di una bambina non ancora in grado di
camminare con sicurezza. Si affacciò all'interno di quella
stanza e, con sua sorpresa, vi trovò il chitarrista, seduto
sul divanetto, intento a suonare il suo strumento preferito con
ammirevole devozione.
La
piccola si fermò ad ascoltarlo e ad osservarlo rapita, tenendo
gli occhi fissi sulle sue dita che si muovevano così
sinuosamente e con delicatezza sulle corde.
Tom,
dal suo canto, credeva di essere solo. Teneva gli occhi chiusi e
muoveva appena il capo, seguendo il ritmo lento e quasi romantico di
quella canzone, creata sul momento. Immagini sfocate vagavano nella
sua mente, la maggior parte ritraente il volto di Monique. Percepiva
un enorme nodo allo stomaco al solo pensiero di ciò che stava
facendo: non gli era mai capitato di suonare pensando ad una ragazza
ma quella mattina era stata una cosa automatica. Aveva semplicemente
afferrato la sua chitarra, se l'era posata sulle gambe e, vedendo
davanti a sé la mora – artefice di ogni suo travaglio
interiore – aveva mosso spontaneamente le dita lunghe ed affusolate
sulle corde; come se quella canzone fosse già stata scritta
per lei.
Si
sentiva inquieto: aveva passato la maggior parte del tempo a negare
una possibile attrazione nei confronti della ragazza-madre ma ora non
era più sicuro di niente. La sua bocca rilasciava parole
apparentemente convinte ma poi i suoi pensieri formulavano immagini e
situazioni ben diverse.
Non
era esplicito il pensiero di loro due assieme; semplicemente vi era
Monique, con i suoi sorrisi, con il suo modo di fare a volte timido,
a volte aggressivo. Ma con la sua fragilità ed il suo bisogno
di avere qualcuno accanto che la rendesse felice e che la facesse
sentire ancora desiderata, nonostante la presenza di una figlia.
Ora
doveva solamente capire se i sentimenti che provava nei confronti di
Monique erano così forti da prospettare un qualcosa di più
grande, assieme a lei, o erano innocenti, tipici di un amico assai
premuroso e pieno d'affetto.
Con
un sospiro, aprì gli occhi e, alla vista della piccola
Eveline, dietro lo stipite della porta, sbagliò accordo,
producendo un suono stonato e poco gradevole.
«
Hey. » fu il semplice e tremolante sibilo che riuscì ad
esternare, rimanendo immobile a fissarla. La bambina sembrava
intimidita e, con un ditino in bocca, si avvicinò lentamente a
lui.
Le
mani di Tom presero a sudare: non gli era mai capitato di trovarsi
solo con Eveline e se già si sentiva una frana nei suoi
confronti, in presenza degli altri, non sapeva proprio come avrebbe
fatto senza l'aiuto di nessuno.
«
Tei blavo. » sussurrò la bambina, scrutandolo appena. Il
cuore di Tom parve sciogliersi improvvisamente, tremendamente
intenerito da tale timida confessione.
«
Grazie. » sorrise insicuro. Che avrebbe dovuto fare o dire?
«
Cot'è? » chiese quindi Eveline, indicando lo strumento
che teneva ancora fra le braccia.
«
Oh... Una chitarra. Ti piace? »
«
Tì. »
Le
dita di Tom si muovettero impercettibilmente, come intenzionate a
fare un qualcosa di cui non era ancora convinto. Poi decise di
provarvi: d'altronde non avrebbe mai potuto capire, senza agire.
Con
un dolce sorriso sul volto – in grado di nascondere la tensione che
si stava accumulando sempre più, nel suo corpo – spostò
la chitarra su un lato del divanetto, per poi allungare appena le
mani in direzione della bambina che, spontaneamente, sollevò
le proprie braccia. Il chitarrista la afferrò delicatamente e
la sollevò da terra, fino a farla sedere sulle proprie gambe.
Si
sentiva completamente impacciato: non aveva mai tenuto un bambino in
braccio; non aveva mai parlato con un bambino; non aveva mai
interagito con un bambino. Stava scoprendo tutto sul momento; stava
semplicemente sperimentando, pregando che ciò portasse alla
giusta soluzione.
Sentì
un enorme calore al petto quando la schiena di Eveline si appoggiò
ad esso ed i suoi occhietti si sollevarono in direzione del suo
volto, come ad attendere un ulteriore segnale da lui. Deglutì
quasi a fatica e poi afferrò nuovamente la chitarra che pose
sulle sue ginocchia, oltre le gambe della bambina che stavano a
penzoloni ai loro lati, per non farle male.
Prese
un bel respiro e successivamente le sue dita tornarono ad accarezzare
le corde tese del suo amato strumento; tese come lui. La stessa
melodia di qualche attimo prima prese presto piede all'interno della
stanza, con delicatezza, con garbo. Spostò i propri occhi
sulla piccola figura in braccio a lui e notò che Eveline, con
l'indice ancora tra le labbra, osservava rapita i loro movimenti.
Più
tentava di scacciare il chitarrista dai suoi pensieri, più
quella melodia le perforava i timpani contro il suo volere.
L'adorava... Quelle note erano un qualcosa di speciale. Sembravano
cogliere a fondo la sua anima, come se la conoscessero o fossero
state create apposta per lei.
Non
resistette all'impulso di alzarsi dalla sedia per seguire la via che
quella canzone le stava mostrando, pur rendendosi conto che ciò
non l'avrebbe aiutata. Camminò lungo il corridoio, sempre più
rapita, fino a che non si affacciò nella stanza da dove
nasceva tutto ciò.
La
scena che le si presentò davanti agli occhi la portò ad
immobilizzarsi, senza essere in grado di pronunciare nemmeno mezza
parola: Tom sedeva sul divanetto, con Eveline in braccio, intenta ad
osservarlo suonare, proprio come era già capitato a lei
qualche tempo prima. La stessa devozione, lo stesso stupore che aveva
provato prima di lei.
Restò
a boccheggiare per svariati minuti, non sapendo quale reazione fosse
la più consona da adottare. Il cuore prese a pompare sangue ad
una velocità inaudita: quell'immagine la emozionava
tremendamente; era dolcezza pura ed una lieve eccitazione la invase,
al pensiero che Tom fosse così delicato con sua figlia.
Vi
era un altro lato di lei, però, che fremeva, semplicemente
perchè tutto ciò le metteva addosso tanta paura, al
tempo stesso. Se sua figlia si fosse affezionata a Tom, non avrebbe
più saputo come allontanarlo.
Il
ragazzo sollevò improvvisamente lo sguardo e la scorse.
«
Ciao. » la salutò sorpreso. Poté giurare di
averlo visto arrossire.
«
C-ciao. » rispose lei con estremo impaccio. Era tutto
tremendamente assurdo. « Non pensavo che... »
«
Mamy, hai tentito com'è blavo? » domandò
ingenuamente Eveline, ancora fra le braccia del chitarrista. Monique
sorrise impercettibilmente.
«
Sì, l'ho sempre sentito suonare. » rispose, quasi senza
accorgersene; come fosse un ricordo personale che aveva voluto
rammentare con affetto. « E' una nuova canzone? » chiese
poi, sollevando lo sguardo sul ragazzo.
«
Oh, ehm, l'ho inventata sul momento. » disse Tom vago.
«
Bella. »
«
Grazie. »
Il
silenzio fu protagonista per ancora qualche secondo, fino a che
Monique non decise che era arrivato il momento di porre fine a quella
situazione decisamente insolita.
«
Beh, vieni con me, Eve? Così lo lasciamo tranquillo. »
propose alla piccola che, a sua insaputa, si imbronciò appena,
attaccandosi poco di più al ragazzo che sentì quasi il
fiato mancare.
«
Ma no, non mi da fastidio. Tanto non sto facendo nulla di
particolare... Lasciala pure con me. » mormorò Tom,
mesto. « Se ti va. » aggiunse appena.
No,
non mi va! Urlava il cervello della ragazza, ma quattro occhi
dolci la fissavano con insistenza, in attesa di un responso positivo.
«
D'accordo, se per te non è un problema. » cedette, dopo
un profondo sospiro.
«
Non lo è. » affermò il ragazzo.
«
Bene... » annuì lentamente Monique ma, prima di
voltarsi, la sua attenzione venne catturata da un piccolo ma
rilevante particolare. « Che hai sulle unghie? » domandò
esterrefatta, dopo aver notato lo smalto trasparente sulle unghie di
Eveline. Tom portò il proprio sguardo nella stessa direzione e
sgranò gli occhi.
«
Bill... » borbottò, scuotendo appena la testa, con fare
esasperato. « E' senz'altro opera di mio fratello. »
commentò poi. « Non ti preoccupare, ci penso io. »
aggiunse, posando a lato del divano la sua chitarra e alzandosi poi
da esso con la bambina in braccio.
«
Okay. » sospirò Monique, per poi uscire dalla stanza e
rifugiarsi nuovamente nel suo studio per riprendere il lavoro che
stava svolgendo qualche attimo prima di dedicarsi a quella
distrazione.
Tom
pose Eveline sul suo fianco destro ed uscì anch'esso dalla
stanza per raggiungere la cucina, dove si trovava ancora suo
fratello, in compagnia di Gustav e Georg. Probabilmente i presenti
capirono dall'espressione scocciata del ragazzo quale fosse il
problema.
«
L'ha visto. » commentò Georg che ora poggiava il bacino
al davanzale della finestra, intento a fumare una sigaretta.
«
Che ha visto? » domandò tranquillamente Bill, mentre
stendeva sulle proprie unghie uno smalto color pece.
«
Ho visto che uno di questi giorni ti ritroverai con la testa girata
di centottanta gradi, impiastro che non sei altro. » intervenne
Tom, per poi prendere a frugare nel borsellino di Bill, contenente
tutto l'essenziale per le unghie. « Hai bevuto Vodka e demenza,
stamattina, per colazione? » gli domandò
successivamente, mentre Eveline continuava a circondargli il collo
con le sue piccole braccia.
«
Che ho fatto? » si difese offeso il vocalist, osservando il suo
gemello con espressione accigliata.
«
Sei nato rincoglionito, ecco che hai fatto. » rispose con
sarcasmo il chitarrista, dopo aver recuperato una boccetta di
acetone.
«
Cota vuol dile lincollonito? » domandò incuriosita la
piccola Eveline.
«
Nulla, Eve... Non ripeterlo alla mamma. » rispose Gustav, ormai
desolato. Tom fece sedere sul tavolo la bambina, per poi prendere a
pulirle le unghiette con un dischetto di cotone impregnato di
acetone.
«
Ma che fai?! Ci ho messo tanto amore! » si lamentò Bill,
scioccato da ciò che stava vedendo fare senza ritegno da suo
fratello, il quale rispose con un'occhiata infuocata.
«
Ti conviene non parlare, Bill. » ridacchiò Georg, dopo
aver inspirato un po' di fumo.
«
Io mi chiedo perchè nostra madre sia stata così tirchia
con te, in fatto di intelligenza. » continuò a
borbottare il chitarrista, mentre finiva di pulire le unghie alla
bambina. Successivamente la prese di nuovo in braccio ed uscì
dalla cucina. Camminò fino al bagno, dove la posò sul
lavello per poter aprire il rubinetto dell'acqua calda. Prese un po'
di sapone e poi si dedicò con attenzione alle manine di
Eveline, così piccole rispetto alle sue. Le strofinò
con delicatezza, per paura di farle male, mentre lei lo osservava
sempre più incuriosita e rapita. « Ecco, così non
sentirai più questo odoraccio di alcol. » le sorrise
dolcemente. Sapeva che le piaceva mettersi le dita in bocca e non
sarebbe stato salutare lasciarglielo fare con le unghie piene di
acetone.
Ci
fu un attimo in cui i loro sguardi si incatenarono, come ipnotizzati,
e le loro bocche non rilasciarono ulteriori suoni. Forse non ve ne
era semplicemente il bisogno.
Probabilmente
si erano parlati; si erano conosciuti e si erano avvicinati
ulteriormente con un semplice sguardo.
«
Eccoci qua. » disse Monique, tenendo con un braccio sua figlia
ed aprendo contemporaneamente la porta di casa con la mano libera. «
Dovrebbe esserci la zia Jessica. » aggiunse, guardandosi
attorno con un lieve sorriso sul volto. Anche Eveline prese ad
ispezionare la casa con i suoi occhietti celesti, fino a che non si
illuminò.
«
Tia Gege! » esclamò, non appena vide la rossa uscire
dalla cucina.
«
Hey, eccovi qui! Ho preparato da mangiare. » le accolse
entrambe, con ilarità.
«
Grazie, non dovevi. » sorrise grata Monique, mentre poggiava
Eveline per terra, con delicatezza.
«
Mi spiace se non ho potuto tenertela io, stamattina. » disse
Jessica, nel momento in cui tutte e tre entrarono in cucina. «
Lo sai, solitamente mia madre non mi da problemi, ma stamattina mi ha
chiesto di aiutarla. »
«
Figurati; te l'ho detto, tienila quando vuoi. E poi stamattina è
stata con Bill e... » Monique si ammutolì qualche
attimo, fino a che non decise di completare la frase con parziale
verità. « ... E gli altri. »
Jessica
si voltò nella sua direzione con un sopracciglio sollevato ed
un sorrisetto che lasciava trasparire ogni singola traccia di dubbio.
«
Gli altri. » ripetè furbescamente, mentre una
nota maliziosa aleggiava sia nel tono di voce che sul suo volto.
Monique cercò appositamente di non guardarla ed annuì,
sedendosi al tavolo, affianco a sua figlia che invece giaceva sul
seggiolone, con un bavaglino legato al collo.
«
Tom ha tuonato la bitalla. » intervenne Eveline, guastando ogni
suo tentativo di mascherare la verità.
«
Chitarra, Eve. » mormorò la mora, avvicinandole alla
bocca un po' di minestrina.
«
Chitalla. » ripetè la piccola, prima di separare le
labbra per accogliere il cucchiaio.
«
Oh, e ti è piaciuta? » domandò con interesse
Jessica, dopo essersi portata alla bocca anch'essa un po' di pastina.
Eveline, in risposta, annuì energicamente. « E a te
piace la chitarra, Monique? » si rivolse poi alla ragazza, con
sguardo provocante ed un sorriso che non lasciava presupporre nulla
di buono. Infatti Monique, sotto il tavolo, le sferrò una
violenta stivalata sullo stinco, che portò la rossa a mordersi
le labbra con tutta la forza che aveva per non urlare.
«
Come strumento, mi piace molto. » precisò,
calcando particolarmente quella parola.
«
E Bibi mi ha metto lo malto. » aggiunse Eveline, dopo aver
ingoiato un altro po' di minestra. « Ma poi Tom me ha tolto
pecchè dice che mi fa male. »
«
E' un ragazzo davvero molto carino e saggio. » sollevò
nuovamente il sopracciglio Jessica in direzione di Monique, ricevendo
quindi in risposta da essa una seconda stivalata.
«
Quello stinco te lo faccio diventare nero. » sorrise
amabilmente la mora, portando alla bocca di Eveline l'ultimo boccone
rimasto. « Ecco qua; Eve, perchè non vai a giocare con
Bubi? Sentirà la tua mancanza. » le sorrise la madre,
mentre la prendeva per le ascelle per posarla con i piedi a terra.
Eveline annuì e corse instabile verso il salotto. Monique si
voltò immediatamente nella direzione di Jessica, con sguardo
minaccioso. « Smettila di provocarmi. » sibilò
acidamente.
«
Perchè dovrei farlo? » sorrise maliziosa la rossa, con
il mento poggiato tranquillamente alla mano.
«
Non c'è due senza tre; il tuo stinco è
d'accordo? »
«
Oh, insomma, ho semplicemente detto la verità. »
«
Verità o no, ti ho detto di non parlare di lui davanti ad Eve!
»
«
Ma ormai lo conosce, c'è stata una giornata intera assieme...
Cosa vuoi che non sappia ormai di lui? »
«
Tutta la vicenda con la sottoscritta! »
«
Ha un anno e mezzo, non può capire che dietro alle mie
battutine si nascondono vicende e sentimenti seri. »
«
Non sottovalutarla, non è stupida. E poi, chi ha parlato di
sentimenti seri? »
«
Non provare a prendermi in giro. Tu sei ancora cotta e stracotta del
bel chitarrista e lo stesso lui di te. Smettetela di arrampicarvi
sugli specchi entrambi; mi state facendo venire il latte alle
ginocchia con tutta questa lentezza. Passate all'azione, diamine! »
«
Ma quale azione?! »
«
Mai sentito parlare di sesso? Quello con cui è nata la
graziosissima Eveline? Ti farebbe molto bene, amica mia. Ultimamente
sei un po' nevrotica. »
Monique
si sentì improvvisamente avvampare.
«
Ma che dici?! » esclamò, bordeaux.
«
Non fare la finta tonta. Tu fremi dalla voglia di fare un po' di sano
movimento sotto alle lenzuola ma vuoi apparire a tutti i costi come
la mamma perfetta, priva di distrazioni. Hai ventidue anni, Monique,
ed è più che normale aver bisogno di certe cose. La tua
vita non è finita qui, fortunatamente. Inoltre hai un bel
chitarrista a disposizione – per di più famosissimo per le
sue prestazioni – che ti fa gli occhi dolci e che ti accoglierebbe
a braccia spalancate nel suo letto, e tu sei ancora qui a negarti
un'occasione simile? Tu sei proprio matta, lasciatelo dire. »
detto questo, Jessica si alzò dalla sedia e, con nonchalance,
abbandonò la cucina in cui una Monique a dir poco
esterrefatta restava immobile, ancora seduta al tavolo con la pelle
del viso rovente.
Dopo
numerose difficoltà, era riuscito a convincere suo fratello
Bill e David a lasciarlo uscire da solo, quella sera; ne aveva
disperatamente bisogno. Doveva evadere dal solito sistema, doveva
mettere il naso fuori dallo studio di registrazione. Un po' di sano
svago per conto suo gli avrebbe fatto sicuramente bene. Aveva bisogno
di distrarsi, di non pensare troppo, o la sua testa sarebbe presto
esplosa per il sovraccarico di riflessioni, o meglio, complessi.
Aveva
semplicemente preso la sua Audi R8 ed era giunto alla discoteca più
vicina; non aveva nemmeno fatto caso al nome, sapeva solo che quella
sera avrebbe soddisfatto nuovamente le sue voglie.
E
così era stato. Ne era la prova la biondina seduta a
cavalcioni sul suo bacino, intenta a baciargli incessantemente il
collo, provocandogli frequenti brividi di piacere. I suoi muscoli si
contraevano per lo sforzo di trattenersi e non prenderla malamente,
lì sul divanetto.
Si
sentiva un animale; aveva tremendamente bisogno di sfogarsi, in
qualche modo. Fremeva d'impazienza ma la ragazza non sembrava
interessata a ciò; si dedicava con dedizione alla pelle che
gli copriva il Pomo d'Adamo, inumidendola di tanto in tanto con la
lingua. Tom deglutì pesantemente, fino a che non decise che
non avrebbe più potuto attendere.
Afferrò
saldamente per le natiche la sconosciuta e si alzò dal
divanetto, con lei in braccio. Quest'ultima sembrava compiaciuta da
quel gesto improvviso e gli strinse le braccia attorno al collo,
torturandogli con i denti il lobo dilatato dall'orecchino nero. In
pochi secondi si ritrovarono in bagno. In quel momento era vuoto,
perfetto per ciò che avevano in mente di fare. Il chitarrista
faceva il tutto senza guardarla negli occhi; aveva troppa paura che
quelle iridi sconosciute si tramutassero velocemente in due pozze
castane che invece conosceva molto bene.
La
poggiò malamente sul ripiano del lavandino – decisamente
poco igenico, ma la cosa non gli importava, non vi sedeva lui – e
le sollevò velocemente il vestito dalle cosce lisce e toniche,
fino a scoprire il pizzo nero dei suoi slip. Le morse il collo,
mentre con una mano liberava dalla costrizione dei suoi jeans ciò
che per lo meno si occupava di soddisfare i propri bisogni. Scartare
la piccola bustina argentea ed indossare la protezione fu solamente
una semplice conseguenza dei suoi movimenti del tutto automatici.
Afferrò quel pizzo che tanto lo aveva attratto, fino a tirarlo
completamente giù e fino a che non abbandonò le gambe
della sua amante.
La
prima spinta portò momentaneamente in estasi entrambi ma la
ripresa fu imminente: cominciò a muovere quasi freneticamente
il bacino, con la voglia di raggiungere il più presto
possibile la Pace dei Sensi, senza troppi giri di parole. Le gambe
della biondina si allacciarono con forza attorno ad esso, cosa che
gli fece perdere completamente il controllo.
Non
poteva farsi distrarre da Monique; non più. Non poteva far
tornare in lui dubbi. L'unico modo per scacciare proprio quei dubbi
era tornare a fare una delle cose che più amava e che nella
sua vita – come in quella di qualsiasi ragazzo con un po' di buon
senso – non poteva mancare. Almeno, per un momento, non avrebbe
pensato.
Prese
a muoversi quasi con violenza, fino a che il corpo femminile
apparentemente perfetto non si inarcò sotto di sé,
rilasciando un urlo soffocato all'interno di quel bagno.
Non
si fermò. Se lei aveva raggiunto il pieno appagamento, lui non
ancora.
Le
afferrò un polpaccio fino a farle poggiare la gamba sulla sua
spalla. Le morse poco gentilmente il collo mentre sentiva che la fine
di quella goduria stava giungendo al termine. Infatti, non molti
minuti più tardi, i suoi muscoli si contrassero, provocando in
lui spasmi e tremore, mentre si liberava con un gemito sonoro,
finalmente soddisfatto.
Stanco
ed ansimante, si sfilò quasi immediatamente da lei, per poi
gettare il preservativo nel cestino affianco. Ancora una volta aveva
raggiunto il suo scopo e la cosa non lo sorprese più di tanto.
Si
tirò su la zip dei jeans e con un semplice “Ci si vede” si
congedò dalla biondina esterrefatta, priva di nome, ed uscì
dal bagno con fare sbrigativo per gettarsi nuovamente nella folla
danzante a ritmo di musica, abbastanza alta da rintontire chiunque.
Ora aveva solo voglia di bere.
Si
incamminò in mezzo alla pista, fino a raggiungere l'estremità
opposta di quel locale, dove si trovava il bancone degli alcolici.
«
Un Negroni. » ordinò al barman, il quale accontentò
velocemente la sua richiesta. Non passò molto prima che quel
Negroni fosse seguito a ruota da un Long Island, una Tequila e una
birra; e soprattutto non passò molto prima che i suoi sensi
cominciassero a chiedere pietà.
Forse
ho esagerato, si ritrovò a pensare, nonostante le sue
facoltà mentali fossero ormai carbonizzate. Credeva di avere
le allucinazioni; uno sgradevole senso di nausea gli accartocciava lo
stomaco e soprattutto la sua testa sembrava pesare cento chili più
del normale. L'intera discoteca vorticava attorno a lui e per un
attimo si sentì scuotere dal timore, cosa che non gli era mai
capitata prima di allora.
Si
aggrappava dove poteva, mentre cercava di restare in piedi. A
malapena vedeva l'uscita, o meglio, le uscite, poiché anche la
vista gli si era sdoppiata. Non poteva guidare in quelle condizioni.
Riuscì
a raggiungere un angolo privo di gente sballata e gli ultimi neuroni
funzionanti gli permisero di trovare nella rubrica telefonica del suo
cellulare il nome che in quel momento gli balenava in testa come una
persecuzione, perchè corresse ad aiutarlo.
Si
svegliò di soprassalto, con un principio di tachicardia e gli
occhi sgranati nel buio. Si voltò spaventata verso la sua
destra, nonostante la sua mente non ancora si trovava nel mondo
reale. Aggrottò le sopracciglia non appena vide il suo
cellulare vibrare e lampeggiare ripetutamente sul comodino. Lo
afferrò velocemente per evitare che quel rumore svegliasse sia
Jessica - la quale aveva deciso all'ultimo minuto di dormire a casa
sua – che Eveline, sdraiate nel letto matrimoniale accanto a sé.
Non controllò nemmeno chi fosse; semplicemente si portò
il cellulare all'orecchio.
«
P-pronto... » sussurrò con voce assonnata ed
intorpidita.
«
M-Monique, ho bisogno di te. »
|
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Capitolo 8 *** Eight. ***
8
Eight.
Non
ricordò quanto tempo aveva impiegato per fare mente locale;
era talmente assorta nel sonno che quella telefonata l'aveva colta
alla sprovvista. Sentire la voce del chitarrista dall'altro capo,
implorarla di correre ad aiutarlo le aveva fatto percepire una
violenta scossa di paura lungo la spina dorsale.
Non
sapeva cosa il ragazzo avesse combinato, ma sapeva per certo che,
ovunque si trovasse, non poteva lasciarlo solo. Era stato quel tono
così supplichevole, così indifeso a smuoverla alla
velocità della luce.
Si
era alzata repentinamente dal letto, senza far rumore per non
svegliare le anime dormienti di Jessica ed Eveline, accanto a lei.
Aveva recuperato di corsa una tuta e se l'era infilata alla bell'e
meglio. Scarpe da ginnastica e via, fuori di casa.
Il
freddo pungente era quasi insopportabile, ma cercò di non
darvi peso e di eliminarlo con l'aria calda della macchina. Buttò
un'occhiata all'orologio al di là del volante e notò
che erano quasi le quattro del mattino. Una parte del suo cervello le
diede della stupida per cedere a quella maniera e correre ad ogni
richiamo del chitarrista, ma d'altro canto quella era una situazione
ben diversa.
Ricordava
le parole del ragazzo e, tra esse, raggruppò quelle che
facevano per lo meno intuire dove si potesse trovare. “Ubriaco”,
“Discoteca”, “Vicino” era tutto ciò che aveva, ma
cercò di farselo bastare. Provò a dedurre che il moro
si trovasse in una discoteca, probabilmente la più vicina, e
completamente ubriaco.
Mandò
a farsi fottere i cartelli stradali con i divieti di velocità
e premette violentemente il piede sull'acceleratore: aveva paura a
lasciarlo per troppo tempo da solo, in quelle condizioni.
Improvvisamente
delle luci forti catturarono la sua vista; voltò lo sguardo
nella loro direzione e notò che provenivano proprio da un
locale.
Se
non è qui, andrò a cercarlo da un'altra parte,
pensò amareggiata.
Accostò
affianco al marciapiede e spense il motore. Scese velocemente dalla
macchina e corse all'interno della discoteca, facendo ben attenzione
ad ignorare gli sguardi famelici dei ragazzi o semplicemente quelli
perplessi per quella sua strana scelta di vestiario, in un posto come
quello. La musica a tutto volume le perforò i timpani: non era
decisamente il massimo, dopo una bella dormita. La gente era tanta,
troppa; non sarebbe stato per niente facile localizzare Tom. Si
guardò attorno più e più volte, ma di lui
neanche l'ombra. Stava per rinunciarvi ed incamminarsi subito alla
ricerca di un altro locale, quando i suoi occhi si posarono
distrattamente su una figura ricurva, in un angolo. Era lui.
Sgranò
gli occhi e prese a camminare velocemente nella sua direzione, mentre
la gente attorno a lei si lamentava per quella fretta o le chiedeva
di ballare. Finalmente giunse davanti al chitarrista, il quale era
seduto in modo scomposto su uno sgabello, il braccio poggiato ad un
ripiano nero e il viso nascosto su di esso.
«
Tom. » lo chiamò la ragazza, posandogli una mano sulla
schiena. Quest'ultimo alzò lentamente la testa e la guardò
con occhi languidi e spenti. Il brivido che percorse la schiena di
Monique fu presto ignorato da quest'ultima che si preoccupò
invece di prendere il braccio di Tom per posarselo attorno alle
spalle. « Andiamo via di qui. » gli intimò,
circondandogli la schiena per aiutarlo ad alzarsi. Era pesante,
soprattutto a quel modo. « Tom, aiutami almeno un po'. »
disse la mora, affaticata ed il chitarrista cercò di
raddrizzarsi, nonostante la testa gli pendesse da una parte
all'altra.
Dio,
quanto puzza di alcol, si ritrovò a pensare Monique, con
una lieve smorfia sul viso.
«
Perchè l'hai fatto, eh? » gli domandò cautamente,
mentre lo faceva avanzare verso la folla, ma il ragazzo non rispose.
Con qualche difficoltà, finalmente, riuscì a farlo
uscire dal locale. Fortuna volle che nessun paparazzo fosse appostato
lì fuori o per lui sarebbe scoppiato il Finimondo.
Aprì
la portiera e lo aiutò a sedersi in macchina. Tom poggiò
la testa all'indietro, sul sedile affianco a quello del conducente, e
si lasciò allacciare la cintura dalla ragazza, osservandola
lievemente in volto. Monique percepiva i suoi occhi addosso ma cercò
di fare il tutto senza deconcentrarsi.
«
Grazie. » fu il sibilo del chitarrista che le fece sollevare lo
sguardo su di lui. Si guardarono per qualche attimo, fino a che
Monique non gli sorrise appena, abbassando gli occhi.
«
Figurati. » rispose, per poi chiudere la portiera. Fece il giro
dell'auto e salì affianco a lui. « Ti riporto allo
studio di registrazione; ho le chiavi. » gli riferì, pur
sapendo che probabilmente più di tanto non avrebbe compreso.
«
David... » cominciò il chitarrista, ma Monique lo
precedette.
«
David non sa nulla. Non ti preoccupare, non glielo dico. Tom, mi
spieghi che avevi in mente di fare? Non hai mai esagerato in questo
modo; che ti è preso? »
«
Avevo voglia di non pensare a niente. » mormorò il
ragazzo, chiudendo gli occhi. Monique si voltò appena verso di
lui, perplessa. Cos'è che lo stava tormentando così
tanto, da portarlo a fare una cosa del genere?
Poi
la vide: una macchia violacea stanziava sul suo collo.
Strinse
con tutta la forza che aveva le mani sul volante, quasi senza
accorgersene. Era stato con qualcuna. Cercò di pensare ad
altro e respirare a fondo, chiedendosi il motivo per cui dovesse
reagire a quel modo. D'altronde lo sapeva che Tom, nel frattempo, si
vedeva con altre ragazze. Non poteva condurre una vita casta e di
certo non pensava a lei.
Deglutì
a fatica e si concentrò sulla strada che sfrecciava sotto di
sé.
«
Ubriacarsi e stare male non è il miglior modo per non pensare
a niente. » commentò, con l'intento di scacciare le
immagini del chitarrista, intento ad intrattenersi con una ragazza,
dalla sua mente. Tom non rispose di nuovo, mentre guardava al di
fuori del finestrino.
«
Non volevo disturbarti. » mormorò, senza guardarla.
«
Non mi hai disturbato. » mentì lei.
«
Bill si sarebbe incazzato. » continuò il moro.
«
Sì, lo so. »
«
E poi, sei l'unica persona che avrei voluto vedere. »
Il
cuore di Monique fece un balzo, che la portò a voltarsi appena
verso il ragazzo: continuava ad osservare il paesaggio notturno, al
di fuori di quell'auto, con la testa poggiata al sedile. Sembrava
stanco, triste in qualche modo.
La
mora sorrise appena al pensiero di ciò che le aveva appena
detto. Quel fatto la rendeva particolarmente euforica, anche se
sapeva che ciò non voleva dire assolutamente nulla.
«
Mi stai distraendo. »
Monique
inarcò un sopracciglio a quell'uscita insensata del
chitarrista.
«
Come? » domandò perplessa.
«
Continui a distrarmi; non ne posso più. » ripeté
afflitto il moro.
«
Tom, ma che stai dicendo? Non ti capisco. »
Sentì
Tom muoversi appena, affianco a sé, fino a che non percepì
il calore del suo corpo più vicino a lei. Il suo respiro
bollente le solleticava l'orecchio, ma non ebbe il coraggio di
allontanarlo.
«
Mi stai facendo male, Monique. »
Monique
trattenne il fiato per qualche istante, sentendo solamente il fiato
del chitarrista sul suo collo... Vicino, decisamente troppo vicino.
Le labbra del ragazzo si posarono leggere sul quel lembo di pelle,
facendola sussultare.
«
Tom... » balbettò la mora, mentre lui le baciava
dolcemente il collo. « Tom, dai, allontanati. » lo
incitò, posandogli una mano sul petto per scostarlo
gentilmente. Ignorò la pelle d'oca che aveva iniziato a
formarsi sul suo collo, quando improvvisamente le parole della sua
migliore amica le balenarono in mente.
«
Tu fremi dalla voglia di fare un po' di sano movimento sotto alle
lenzuola... », « Hai un bel chitarrista a disposizione –
per di più famosissimo per le sue prestazioni – che ti fa
gli occhi dolci e che ti accoglierebbe a braccia spalancate nel suo
letto, e tu sei ancora qui a negarti un'occasione simile? »
«
Oh, cazzo! » esclamò, allontanando definitivamente Tom.
« Non posso! » aggiunse, più a se stessa, mentre
il moro la osservava inespressivo.
«
Fermati. » le disse semplicemente, senza battere ciglio.
«
Cosa?! » domandò agitata la mora, che ancora pensava a
quelle parole.
«
Mi viene da vomitare. » le chiarì il ragazzo.
«
Oddio, aspetta, non qui. »
Accostò
nuovamente con la macchina da un lato della strada e scese
velocemente da essa, per andare a recuperare il chitarrista e far
scendere anche lui. Lo accompagnò dietro ad un cespuglio, fino
a che questo non si chinò appena a rimettere. Monique gli
tenne la fronte con una mano ed i cornrows con l'altra, per non
farglieli cadere davanti al viso.
«
Quando hai finito, mi devi spiegare cos'hai bevuto. » commentò
la ragazza, osservandolo con una smorfia. Solitamente, quando vedeva
vomitare qualcuno, subito si fiondava a farlo anche lei, ma avrebbe
dovuto resistere e contenersi. « E quanto. » aggiunse,
notando che non finiva più. Finalmente si rialzò con il
busto. « Aspettami qui; appoggiati un attimo all'albero, vado a
prendere l'acqua in macchina. » gli intimò, facendolo
appoggiare alla dura corteccia, alla sua destra. Corse alla macchina
e recuperò la bottiglietta che teneva sempre lì, in
caso di necessità. Tornò velocemente dal ragazzo,
poggiato sulla schiena all'albero, e gliela porse, dopo averla
aperta. « Dai, sciacquati la bocca, almeno ti togli quel
saporaccio. » gli disse. Lui obbedì come un automa. Nel
frattempo, la guardava; la guardava come volesse convincersi che
fosse davvero lei e questo Monique l'aveva capito.
Una
volta che ebbe finito di sciacquarsi la bocca, le restituì la
bottiglietta.
«
Va un po' meglio? » gli domandò retoricamente: la sua
faccia dimostrava stesse tutto fuorché meglio. Eppure il
chitarrista preferì annuire appena. « Torniamo in
macchina. » disse quindi la mora.
Il
tragitto non era durato poi molto. Tom aveva minacciato più
volte di addormentarsi ma Monique gli aveva continuamente intimato di
restare sveglio o non sarebbe riuscita a portarlo allo studio.
Una
volta giunti a destinazione, Monique scese dalla macchina e, dopo
aver aperto la portiera del chitarrista, lo aiutò ad uscire,
poiché ancora non si reggeva in piedi. Poco facilitata dal
fatto che lui fosse più alto di lei di una buona decina di
centimetri, raggiunse la porta dello studio.
«
Cerca di stare in piedi, devo prendere le chiavi. » sussurrò
la mora, quando improvvisamente Tom la sovrastò con il proprio
corpo, bloccandola con la schiena al muro. « Tom, levati, devo
aprire. » disse nuovamente la ragazza, cercando di non prestar
attenzione alle labbra del chitarrista nuovamente sulla pelle del suo
collo; quella volta immobili. Sentiva solamente il suo respiro caldo
infrangersi su esso ed una vocina nel suo cervello lo pregava di
porre fine a quella tortura e baciarla come doveva.
Con
qualche difficoltà riuscì ad aprire la porta e far
nuovamente camminare il ragazzo verso la sua stanza. Non accese la
luce della lampada sul comodino affianco al letto fino a che non ebbe
chiuso la porta. Mettere il chitarrista a letto fu più facile
del previsto, poiché quest'ultimo vi si buttò
letteralmente, a peso morto. Si premurò di togliergli le
scarpe e le calze; esitò sui jeans, pensando che potessero
essere troppo scomodi per dormire, ma alla fine decise di
lasciarglieli addosso, per la sua sanità mentale.
Tirò
le coperte sul corpo del ragazzo, ma questo allungò le braccia
verso di lei, circondandole la schiena e prendendola alla sprovvista.
«
Resta qui con me. » sussurrò, guardandola negli occhi,
con sguardo implorante ma profondo allo stesso tempo. Monique sentì
un enorme calore in quell'esatto punto in cui le braccia di Tom la
tenevano stretta. Sentiva quasi il fuoco ardere proprio in quei
punti. Se avesse dato ascolto al suo istinto sarebbe rimasta, si
sarebbe infilata sotto alle coperte, per poi stringersi
possessivamente al suo corpo bollente e protettivo. Ma la razionalità
doveva prevalere su tutto; l'aveva deciso da qualche tempo.
«
Non posso, Tom. » rispose a malincuore.
La
mano del chitarrista salì sulla sua testa fino ad insinuarsi
fra i suoi capelli. Prese ad accarezzarla appena e Monique trovò
spontaneo chiudere gli occhi, estasiata da quel tocco. Una lieve
pressione la fece chinare verso di lui, fino a sedervisi affianco,
sul materasso.
«
Ti prego. » mormorò nuovamente lui. Monique aprì
gli occhi e lo osservò rapita per qualche istante. La mattina
seguente – o meglio, di lì a qualche ora – non si sarebbe
ricordato nulla, con molta probabilità. Non ne valeva la pena,
anche se la proposta la allettava particolarmente.
Non
fece in tempo a rispondere che Tom, con la mano sulla sua nuca, guidò
il suo viso verso il basso. In una frazione di secondo, Monique
ritrovò le proprie labbra poggiate con leggerezza su quelle
del ragazzo ed il suo cuore prese a battere all'impazzata. Era troppo
tempo che non sentiva nuovamente quella morbida consistenza su di sé.
Era troppo tempo che voleva di nuovo stringersi a lui, senza poterlo
fare.
Chiuse
gli occhi e si lasciò guidare dai piccolissimi movimenti della
sua bocca, non riuscendo a sottrarsi ad esso. Non approfondirono quel
bacio, anche perchè Monique non ne diede il tempo. Troppo
presto si era resa conto che ciò che stava facendo era
totalmente sbagliato: lei era ancora ferita da lui e lui era ubriaco.
Non
poteva funzionare così.
Si
ritrasse con un leggero schiocco dalle sue labbra, per poi guardarlo
negli occhi, mentre lui continuava ad accarezzarle la nuca.
«
No. » si limitò a dire, con un sorriso malinconico sul
volto. Gli accarezzò dolcemente la fronte e i cornrows e, dopo
essersi nuovamente abbassata per baciarlo lì, dove la sua mano
era appena passata, si alzò dal materasso. « Buona
notte. » sussurrò di nuovo, prima di spegnere la luce ed
abbandonare quella camera.
«
Ma sei ancora viva? Sicura di stare bene? »
La
voce perplessa e preoccupata di Jessica arrivò alle sue
orecchie come un'eco lontana. Monique era ancora immersa nel
piacevole tepore delle coperte del suo letto, abbracciata al morbido
cuscino. Quando aprì gli occhi, ne trovò un paio
celesti che la guardavano incuriositi. Eveline era a qualche
centimetro e la mora vedeva solamente i suoi occhietti vispi spuntare
da dietro il materasso.
«
Mamy, veiati; cottinui a dommile. » intervenne proprio sua
figlia, gonfiando poi le guanciotte.
«
Ma che ore sono? » borbottò assonnata la ragazza, ancora
nel letto.
«
Sono quasi le otto, bella addormentata! Tra un quarto d'ora dovresti
essere allo studio! » rispose Jessica. Monique impiegò
qualche secondo per metabolizzare il tutto, fino a che, con un balzo,
non scese dal letto, ad occhi sgranati.
«
E voi solo ora mi chiamate?! » esclamò, prendendo a
correre da una parte all'altra della stanza, alla ricerca di un
qualche capo da indossare.
«
Ma noi ti tiamo chiamando da tle ole. » ribattè
mestamente la piccola, osservandola viaggiare da destra a sinistra e
viceversa.
«
Si può sapere che hai? Solitamente ti svegli senza problemi e
ieri sera siamo andate a dormire abbastanza presto. » domandò
accigliata la rossa.
«
Te lo spiego quando torno! Ciao! » salutò Monique, in
fretta e furia, prima di correre fuori dalla sua camera, dove Jessica
ed Eveline la guardavano basite.
«
Buon giorno, Monique. » la salutò David, non appena
entrò allo studio di registrazione, con un gran fiatone.
«
Ciao, David, scusa il ritardo. » ricambiò la mora,
mentre si sfilava velocemente la sciarpa dal collo.
«
Capirai, per dieci minuti... Rilassati. » le sorrise il
manager, invitandola a rallentare i suoi movimenti così
frenetici. « Tanto stamattina nessuno ti corre dietro: Bill è
in fase di risveglio, Georg è in bagno da tre quarti d'ora –
non mi chiedere cos'ha mangiato ieri sera – Gustav si sta prendendo
un caffè e Tom è in coma nel suo letto. »
aggiunse tranquillamente, dopo che la mora si fu spogliata anche del
cappotto.
«
In coma? » indagò la ragazza. Che David avesse intuito
qualcosa?
«
Sì, ieri sera è andato a ballare. Sarà tornato
tardi. »
«
Ah, sì, può darsi. »
Facendo
finta di nulla, si congedò nel suo studio, pronta – o quasi
– per una nuova giornata di lavoro.
Aveva
timore, al solo pensiero di rivedere il chitarrista; non erano
passate molte ore da ciò che era successo, ma sembrava
comunque un'eternità. La sua mente formulava strani pensieri e
preoccupazioni: si chiedeva se il ragazzo si sarebbe ricordato di ciò
che aveva fatto, nonostante non fosse propriamente lucido.
L'aveva
baciata.
Si
sentiva stupida; si sentiva come una bambina, anzi, una ragazzina
alle prime fasi di una tenera cotta. Non poteva andare avanti a
comportarsi a quella maniera. Aveva ventidue anni ed una figlia;
doveva mettere una croce su quegli avvenimenti così puerili ed
innocenti.
Un
violento mal di testa fu tutto ciò che percepì al suo
poco immediato risveglio. Si guardò attorno, come non
ricordasse dove si trovasse e perchè. Le tende della sua
stanza erano ancora tirate ed il buio era un qualcosa di estremamente
piacevole per i suoi occhi. Provò a fare mente locale qualche
attimo ma tutto ciò che sentiva in essa era un feroce ronzio.
Si mise seduto su quel materasso, caratterizzato di coperte sfatte –
segno che aveva passato una nottata poco tranquilla – e si guardò
attorno, dopo aver acceso la luce della lampada affianco al letto.
Dai,
Tom, si incoraggiò mentalmente, fai uno sforzo e
ricordati.
Ma
niente. Blackout.
Posò
i piedi nudi sul freddo pavimento e si accorse che vestiva ancora dei
jeans, della maglia e della felpa. Qualcosa non quadrava, ma decise
che l'avrebbe scoperto strada facendo.
Si
alzò dal letto con serie difficoltà. La stanza
vorticava brutalmente attorno a lui ed una sgradevole sensazione di
nausea gli attanagliava lo stomaco.
Il
solito coglione, si disse nuovamente, che beve come una
spugna.
Sbuffando
appena, si diresse verso la porta della sua camera, per poi aprirla
mestamente.
Il
legno freddo della scrivania premeva contro la sua guancia, ma
Monique non vi dava peso. Si era nuovamente assopita; stava visitando
mondi ultraterreni, fatti di cartoni animati e tanta felicità.
Un
tocco caldo e delicato sulla spalla: un gattino che si strusciava
addosso a lei, facendole le fusa. Di nuovo quel tocco, ancora più
insistente, fino a che gatto e fusa non sparirono dalla sua visuale,
riportandola fulmineamente alla realtà.
Sollevò
di scatto la testa dal tavolo e respirò con affanno, mentre
apriva gli occhi per mettere bene a fuoco la situazione attorno a
lei.
Si
era addormentata sul posto di lavoro. Mai le era capitata una cosa
simile, prima di allora.
«
Non volevo spaventarti. »
Quella
voce le procurò una fortissima morsa allo stomaco, mentre
brividi innumerevoli si diffondevano lungo il suo corpo. Voltò
appena la testa alla sua sinistra e trovò il chitarrista in
carne ed ossa, affianco a lei, che la scrutava con discrezione. Aveva
un viso sbattuto, tipico di chi si era appena svegliato da un lungo
sonno post sbornia pesante.
«
T-Tom. No, scusami, mi sono addormentata, non avrei dovuto. »
balbettò velocemente la mora, gesticolando più del
dovuto, mentre cercava di riporre in ordine le schede sulla
scrivania, di fronte a lei.
«
Hai fatto le ore piccole anche tu? » le sorrise il moro. A
quell'affermazione, Monique si immobilizzò a fissare il vuoto.
Non
ricordava nulla... Proprio come aveva previsto.
Sentì
un dolore lancinante al petto e chiuse momentaneamente gli occhi.
Perchè la prendeva a quella maniera? D'altronde aveva
immaginato che il chitarrista non avrebbe rammentato nulla di tutto
ciò che era successo quella notte. Eppure un gran senso di
malinconia la pervase; anche quel bacio dunque era stato un qualcosa
voluto dalle circostanza e non dal ragazzo.
«
Sì... Ho – fatto le ore piccole anch'io. » mormorò
con dispiacere, senza guardarlo.
«
Io mi sa che ho esagerato con l'alcol. Ho il classico mal di testa
post sbornia. » sorrise Tom, del tutto ignaro della verità.
Anche Monique si sforzò di sorridere, ma quell'ulteriore
affermazione era assai lontana dal divertirla. « Non hai
portato Eveline, stamattina. » constatò successivamente
il moro.
«
No, è a casa con Jessica. »
«
Sai, mi piace passare del tempo con lei. Quando Jessica non può
tenerla, se vuoi, ci sono io. »
Monique
sollevò nuovamente lo sguardo sul ragazzo. Quest'ultimo la
guardava con la serenità negli occhi, come tutto fosse a
posto.
Nulla
era fottutamente a posto.
«
Ehm, certo. » si limitò ad annuire, tornando ad
occuparsi delle cartacce posate sulla scrivania, ormai da buttare. «
Anche lei è stata bene con te. » aggiunse senza darvi
troppo peso e facendo ben attenzione a non guardarlo.
«
Sì? » sorrise entusiasta il chitarrista. « Sono
contento. » disse infine. « Beh, io ero venuto per darti
il buongiorno. Ora me ne andrò a fare una doccia, così
mi riprendo. » le riferì successivamente. Monique si
limitò ad annuire, fino a che Tom non le diede le spalle per
uscire dallo studio; quando improvvisamente un insistente pensiero
fuoriuscì dalle sue labbra, prive di controllo.
«
Io ti sto facendo male, Tom? »
Il
chitarrista impuntò sui propri piedi, fino a voltarsi appena
verso di lei.
«
Come? » le domandò corrugando la fronte. Probabilmente
non aveva capito ciò a cui lei si riferiva, dato che lei
stessa era la prima a non averlo compreso. Aveva semplicemente
ripetuto le sue parole.
Non
ricordava nulla e di certo non sarebbe stata lei ad aiutarlo a farlo.
«
Nulla; lascia perdere. » scosse quindi la testa, dopo aver
deciso che, forse, era meglio così.
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Capitolo 9 *** Nine. ***
9
Nine.
Si
era da tempo impegnata per far sì che quelle piccole gocce
salate non scorressero lungo il suo viso a causa sua. In
pochissimo tempo era riuscita ad infrangere quella sorta di promessa.
Tirò
lievemente su col naso, mentre le sue mani stringevano la tazza
calda, contenente della camomilla fumante, sul tavolo della cucina.
Si
odiava perchè era tornata ad essere debole, nonostante non lo
fosse e lui, da una parte, non se lo meritasse; si odiava perchè
era tornata a contatto con la consapevolezza che quel dannato
sentimento non era totalmente sfumato dal suo cuore, se non per
nulla; si odiava perchè stava di nuovo piangendo per un
ragazzo.
Il
fatto era che aveva combattuto con se stessa per far sì che
quel bacio rubatole quella notte non le rimanesse impresso nella
memoria e soprattutto sulla pelle, come grande emozione. Eppure, da
quando quel fatto era accaduto, non aveva smesso di pensarvi con
ansia, nostalgia, dubbio. Voleva assolutamente capire cosa fosse
passato per la testa del chitarrista, in quell'esatto contesto: se
era stato un bacio di circostanza, voluto anche dalla grande sbornia,
o se era stato un bacio voluto dal suo subconscio. Non aveva ancora
trovato risposta, perchè non aveva avuto il coraggio di
chiederglielo. Le pesava ancora di più che lui non si
ricordasse nulla.
Che
stesse fingendo, per evitare casini? Eppure sembrava così
tranquillo, così a posto con la coscienza...
Ed
ora stava lì, curva su quel tavolo, con le lacrime agli occhi
e sul viso ed un forte dolore a scalfirle il petto.
«
Hey. » la voce di Jessica le fece sollevare lo sguardo per poi
farle asciugare velocemente il viso, con la premura di non farle
vedere alla sua amica, ma invano. « Stai ancora pensando a quel
bacio? » domandò cautamente la rossa, ancora in pigiama
dato che erano le tre di notte, mentre si sedeva al tavolo, di fronte
a lei.
«
Giuro che non volevo piangere. » mormorò con voce
tremolante Monique, mentre altre lacrime sgorgavano senza controllo
dai suoi occhi. Non erano singhiozzi i suoi; era un pianto
silenzioso. Le lacrime tracciavano semplicemente il proprio percorso
sul suo volto, impossibili da fermare.
«
Non ho mai pensato volessi farlo. » sorrise appena Jessica,
comprensiva. Sapeva che Monique era una ragazza assai orgogliosa ed
il fatto che si piegasse a fare ciò per un maschio era
un qualcosa di straordinario. Il buffo era che per Tom aveva già
versato tante lacrime e ciò voleva dire che lui rappresentava
una figura maschile ben più importante di altre passate, nella
sua vita. « E poi non c'è nulla di male a piangere. »
aggiunse con dolcezza.
«
Lo so, ma mi scoccia farlo per lui. »
«
A te scoccia farlo per chiunque. »
«
Ma per lui, in particolare. »
Jessica
sorrise nuovamente, alla vista della mora imbronciata. Sembrava una
bimba offesa per un inaspettato scherzetto o dispetto. Precisamente
assomigliava molto ad Eveline quando, un po' di tempo prima, aveva
gonfiato le proprie guance e aveva messo un delizioso broncio perchè
la sua mamma le aveva tolto la caramella dalle mani, ritenendo ne
avesse già mangiate troppe.
«
Perchè non gliene parli? » le propose successivamente la
rossa.
«
Perchè non ne ho il coraggio e poi darebbe le stesse risposte
di molto tempo fa: “E' stato un errore”, oppure “Non ero in
me”... Ho finito di farmi prendere in giro in questo modo. »
«
Ti devo ricordare che in aeroporto è stato sincero con te e
che ti ha praticamente dichiarato i propri sentimenti senza alcun
timore? Non vedo perchè dovrebbe mentire ora. »
«
Proprio perchè non vorrà tornare ai vecchi tempi. E
poi, perchè sei così convinta che lui sia ancora
interessato a me? Quella sera l'ho visto il succhiotto, non me lo
sono immaginato. Lui non ha problemi a trovarsi qualcun'altra che lo
soddisfi. Ormai la cosa è passata, me ne farò una
ragione. Credevo di non essere più innamorata di lui ma così
non è stato, non ci posso fare nulla; al cuore non si comanda.
Sono grande e forte e me la farò passare, anche perchè
da lui non voglio niente: sono ancora ferita e non mi potrei mai
catapultare fra le sue braccia così presto. »
Monique,
detto questo, si portò la tazza alle labbra e prese a
sorseggiare il liquido caldo al suo interno, mentre Jessica la
osservava pensierosa: non accettava di vedere la sua migliore amica
così afflitta.
Erano
giorni ormai che Tom si stava spaccando la testa per venire a capo di
quella situazione. Non ricordava precisamente da quando, ma sapeva
per certo che un dubbio atroce aveva preso a trapanargli
letteralmente ed insistentemente il cervello: come era tornato a
casa, quella sera, dalla discoteca? Qualcosa non andava.
Ricordava
perfettamente di essersi ubriacato e di certo non avrebbe mai potuto
mettersi alla guida, in quelle condizioni. Eppure la sua macchina, la
mattina seguente, l'aveva trovata al proprio posto, al di fuori dello
studio di registrazione.
Vi
erano troppe incongruenze in quella storia e non poteva aver sognato
tutto quanto; il mal di testa post-sbornia non se l'era immaginato.
Quello era stato più che reale. E anche il succhiotto sul
collo era stato assai evidente, mentre ora – davanti allo specchio
– ne vedeva una lieve traccia che, di lì a poco, sarebbe del
tutto svanita.
Suo
fratello non sapeva nulla e nemmeno David; contrariamente lo
avrebbero ucciso, dopo un'atroce tortura fisica. Chi altro poteva
essere stato ad assisterlo?
Sbuffò
pesantemente, continuando a riflettere, mentre il suo dito scorreva
con distrazione sul suo cellulare. Ma ecco che improvvisamente il suo
sguardo planò su un particolare per niente irrilevante: tra le
chiamate effettuate di quella sera, spiccava il nome Monique.
«
Trentotto e mezzo. » sospirò affranta la mora, dopo aver
staccato lo sguardo dal termometro. Tornò a guardare la
piccola Eveline, rifugiata sotto alle coperte del letto matrimoniale,
tremendamente accaldata e con sguardo spento. « Mi chiedo come
abbia fatto a prendersi la febbre. » borbottò
successivamente Monique, riponendo il termometro sul comodino,
affianco al letto.
«
Sarà stato anche un piccolo colpo d'aria, mentre uscivate di
casa... Magari quando è venuta assieme a te, allo studio. »
commentò Jessica, in piedi, alle sue spalle.
«
Cot'è la febble, mamy? » mormorò mogia la
bambina, osservando la sua mamma con occhi socchiusi ma con uno
sguardo sereno sul volto, come sempre.
«
Quando viene la febbre, si sente tanto caldo alla pelle e stanchezza,
tesoro. » le sorrise appena Monique.
«
Proprio ora che mi ha chiamato mia madre... In questo periodo è
più esigente del solito. » commentò dispiaciuta
la rossa, al che la mora fece un gesto superficiale con la mano.
«
Non ti preoccupare, vai tranquilla. » la rassicurò.
D'altronde non era piccola, era per di più madre, e una
semplice febbre non avrebbe rappresentato un problema per lei. A
volte le dava fastidio essere trattata come un'incapace.
«
D'accordo. Al massimo, chiama David se vedi che non... »
«
Jess. » l'occhiataccia di Monique fu più che eloquente,
ragion per cui la rossa decise di acconsentire.
«
Ciao, Tia Gege. » mormorò debolmente Eveline, tirando
appena fuori dalla morbida trapunta la manina bollente.
«
Ciao, piccolina. » le sorrise di rimando Jessica, per poi
rivolgere un saluto anche a Monique, prima di uscire dalla camera da
letto.
La
situazione non migliorava: la febbre non scendeva neanche di una
linea e il viso di Eveline sembrava stesse per prendere fuoco. La
piccola respirava più velocemente del normale e la cosa non
piaceva affatto a Monique, la quale prendeva ad agitarsi sempre di
più. Aveva una vaga idea di telefonare a sua madre, ma la
coscienza le imponeva di non allarmare quella povera donna, a
chilometri di distanza, e che – probabilmente – non avrebbe
potuto fare nulla.
Eveline
aveva cominciato ad agitarsi nel letto; si muoveva da una parte
all'altra, biascicando versi e parole che forse comprendeva solo lei.
«
Mamy. » la chiamò improvvisamente, con gli occhi chiusi,
ma con il viso rivolto nella sua direzione.
«
Dimmi, amore mio. » le rispose prontamente e con la voce
incrinata appena dalla preoccupazione.
«
Ho caddo. » sussurrò la piccola, suscitando tanta
tenerezza in sua madre.
«
Lo so, tesoro. Ma ti ho dato le medicine, dovrebbe passare. »
Eveline,
in risposta, tossì violentemente. Monique non si sentiva per
niente tranquilla. Era la prima volta che le capitava una cosa simile
e, per un momento, non riuscì nemmeno a ricordarsi cosa sua
madre era solita fare con lei, in quelle situazioni.
«
Voio Tom. »
Monique
si immobilizzò improvvisamente, con lo sguardo fisso su sua
figlia.
Voglio
Tom.
Voglio
Tom?!
«
Tesoro, ma... » balbettò incredula, prima che Eveline la
interrompesse.
«
Mamy, fai venile Tom. » insistette.
Monique
si ritrovò incapace di negarle una richiesta simile. Alla voce
di sua figlia, difficilmente riusciva a declinare certe richieste e,
quando era costretta a farlo, le doleva il cuore.
«
Va – va bene. » acconsentì. Non sapeva il motivo per
cui Eveline avesse improvvisamente bisogno di Tom, ma non perse tempo
a chiederselo. Prese di corsa il cellulare e compose, con uno strano
brivido alla schiena, il suo numero.
Uno
squillo... Due... Tre...
«
Pronto? »
Le
parole quasi le morirono in gola. La mano che reggeva il cellulare
tremava vergognosamente.
«
Ehm... Tom? » mormorò a disagio.
«
Hey, Monique, è successo qualcosa? » fu la
repentina e preoccupata domanda del chitarrista, alla quale Monique
non poté fare a meno di sentirsi un pochino – pochissimo –
importante per lui... Forse.
«
So che è assurdo, soprattutto a quest'ora di cena, ma...
Eveline ha la febbre alta. Le ho già dato una medicina per
fargliela abbassare ma non è ancora successo nulla. Continua a
non sentirsi bene e mi sto preoccupando; poi mi ha chiesto di te e...
»
«
Stai tranquilla, arrivo subito. »
La
velocità con cui le aveva assicurato che presto sarebbe
arrivato l'aveva lasciata come stordita, per un attimo. Nella vita,
mai le era capitato di sentirsi così protetta, in un certo
senso, da un uomo.
Forse
era quello il punto: aveva sempre considerato i ragazzi con cui si
era impegnata solamente come tali; ovvero come maschi in preda a
perenni crisi ormonali. Tom era diverso; lui era, sì, un
ragazzo con i propri bisogni ed anche piuttosto accesi – cosa del
tutto normale – ma, nell'eventualità, un uomo che
riusciva ad infonderle ancora sicurezza, nonostante gli eventi
passati.
Qual'era
il soggetto maschile che ad un singolo, misero richiamo d'aiuto si
sarebbe prodigato con così tanta fretta ad assisterla, senza
nemmeno farla finire di parlare?
Era
inutile cercare di negarlo: per quanto Tom potesse apparire, agli
occhi degli altri, duro e superficiale ed in passato l'avesse fatta
soffrire, poteva essere considerato come modello di compagno che
forse qualunque ragazza avrebbe desiderato per sé.
Posò
lo sguardo su Eveline e constatò che il rossore sul viso non
era svanito e neanche quel respiro affannato voleva saperne di
cessare. Proprio quando chiuse gli occhi, nella speranza che il
chitarrista la soccorresse in tempo, il campanello trillò.
Il
suo cuore fece un balzo, talmente forte che la indusse a scendere
velocemente dal letto, fino a catapultarsi fuori dalla stanza. Il suo
istinto le avrebbe volentieri suggerito di gettarsi letteralmente fra
le braccia di Tom, non appena lo vide lì, davanti a sé,
una volta aperta la porta, ma quell'incessante timore per la salute
di sua figlia la spinse ad adottare un comportamento più
contenuto e normale.
«
Grazie, Tom. » fu il primo sussurro sincero che le sue labbra
rilasciarono.
«
Figurati. » le rispose con dolcezza il ragazzo, mentre entrava
in casa e Monique richiudeva la porta, cercando di ignorare la
buonissima scia di profumo che egli aveva addosso. « Come sta
la piccola? » domandò quindi Tom, seguendo la ragazza in
camera da letto.
Era
troppo strano riaverlo lì, in casa sua... Troppi ricordi si
erano risvegliati nella sua mente, prendendosi a pugni fra loro.
«
La febbre non scende e lei sta malissimo... Mi ha chiesto di farti
venire. » rispose la mora, con lieve impaccio. Tom si avvicinò
al letto matrimoniale, fino a chinarsi appena ad osservare la
bambina, nelle sue condizioni.
«
Hey, Eve? Sono Tom, come ti senti? » le sussurrò con
estrema dolcezza, mentre la sua grande mano le accarezzava la fronte
bollente.
«
Caddo. » mormorò stancamente la piccola, osservandolo
con occhi semichiusi.
«
Lo so, piccina, ma non ti preoccupare. Adesso io e la mamma te lo
facciamo passare, okay? » Monique era letteralmente stregata da
quel tenero e rassicurante modo di fare del ragazzo. Lui non era
padre, eppure in quel momento lo sembrava e si sentì
tremendamente piccola, in confronto. « Monique, potresti
prendere un bicchiere d'acqua, per favore? » le domandò
poi Tom, voltatosi nella sua direzione e prendendola quasi alla
sprovvista.
«
S-sì. » annuì, per poi correre in cucina a fare
ciò che le aveva detto. Quando tornò in camera con
l'essenziale, Tom la ringraziò ed estrasse successivamente,
dalla tasca della sua felpa, un pezzettino di carta stagnola. Monique
trovò spontaneo aggrottare le sopracciglia.
«
E' antibiotico. Quando la febbre si alza così, daglielo. »
le spiegò tranquillo Tom.
La
mora volle spalmarsi una mano in faccia, per quanto si sentiva
stupida.
Perchè
non vi aveva pensato? Era talmente semplice! Ed intanto una nuova e
spiacevole consapevolezza si faceva largo dentro di sé e,
sapeva, sarebbe crollata di lì a poco.
Osservò
Tom sollevare con delicatezza il capo di Eveline ed avvicinarle alle
labbra la pastiglia.
«
Che cot'è? » domandò appena lei, scrutando di
sbieco e poco convinta quella “novità”.
«
E' una caramella insipida che devi mandare giù con l'acqua,
senza masticarla. Ti farà passare il caldo. » le sorrise
il chitarrista. Eveline non impiegò quindi un secondo di più
ad aprire la bocca, dove Tom posò la pastiglia. Fece bere la
piccola dal bicchiere e lo posò successivamente sul comodino,
affianco al letto. « Vedrai che tra non molto starai meglio.
Ora dormi un po', se riesci; io e la mamma siamo di là. Se hai
bisogno, chiama, d'accordo? » Eveline annuì appena, per
poi chiudere gli occhi e voltare il viso dalla parte opposta, segno
che voleva provare, come le aveva consigliato il chitarrista, a
dormire un po'.
Monique
rabbrividì al tocco della mano del ragazzo sulla sua schiena,
per indurla gentilmente ad uscire insieme dalla stanza, la cui porta
venne solamente socchiusa dal giovane.
«
Io... Non so come ringraziarti. » mormorò la mora,
osservando le sue spalle. Tom si voltò nella sua direzione con
un dolce sorriso sul volto.
«
Non mi devi ringraziare. Lo sai che io sono sempre disponibile,
quando vuoi. Insomma... Te l'avevo promesso, no? » sussurrò
quasi timidamente.
Monique
strinse appena i pugni.
«Io
mi prenderò cura di te. Te l'ho promesso in ascensore, no?»
Quelle
sue parole di un anno e mezzo prima le tornarono in mente come una
ventata d'aria fresca e tutto ciò la fece sorridere appena,
forse con imbarazzo. Sì, lo sapeva che Tom ci sarebbe sempre
stato per lei... Ma in che modo? Avrebbero potuto continuare ad
inseguirsi a quella maniera, senza trovare un dannato punto di
incontro?
«
Tom, io avrei dovuto sapere cosa fare, in quel momento. Sono sua
madre, cazzo. » nel pronunciare quelle parole si portò
le mani al viso, in segno di disperazione. Si sentiva tremendamente
in colpa, si sentiva una fallita... Tutto perchè non era stata
in grado di assistere sua figlia nel migliore dei modi. Ancor di più
perchè a farlo era stato un ragazzo che di bambini,
apparentemente, non se ne intendeva nulla. « Ti rendi conto che
non sono stata in grado di arrivare a pensare ad uno stupido
antibiotico? Avrei dovuto farlo, invece mi sono disperata. Non ho
saputo che fare e questo è grave! Come posso crescerla, se non
so nemmeno come curarla? Potevo chiamare un dottore e non l'ho fatto!
Sono una madre fallita; anzi, non sono proprio tagliata per questo
tipo di mestiere! È come ti avevo detto molto tempo fa! »
Tom
la afferrò saldamente per le spalle e la scrutò
profondamente negli occhi, catturandole lo sguardo. La ragazza sentì,
per un momento, mancare il respiro. Si era quasi dimenticata di cosa
volesse dire guardarlo così intensamente negli occhi.
«
Monique... E' la prima volta che ti succede che Eveline si ammali. È
normale, ti sei agitata, non eri pronta, forse. Non sei nata mamma;
tutte le donne hanno dovuto imparare, piano piano, anche sbagliando.
» cercò di rassicurarla con voce calda e sicura.
«
Non si può sbagliare su una vita umana. » mormorò
la mora, mentre una lacrima prese a scivolare lungo la sua guancia.
«
Non l'hai uccisa, Monique. Sei ancora alle prime armi, sei giovane.
Anche le quarantenni sbagliano; vuoi che non sbagli una ventenne? »
dicendo questo, le asciugò quella goccia salata con un dito,
trasmettendole una notevole quantità di calore allo zigomo,
esattamente sul punto in cui l'aveva toccata.
«
Ma io non mi posso permettere di sbagliare se voglio che questa
figlia cresca con me, nel migliore dei modi, come mi ero ripromessa.
«
E ti posso assicurare che lo sta già facendo. Sta già
crescendo nel migliore sei modi, e tutto questo grazie a te. »
«
Ma c'è anche Jessica ad aiutarmi. »
«
Non c'entra. Chiunque ha bisogno di un po' di aiuto, ogni tanto, e
non te ne devi fare una colpa. Ti sei solo agitata, poco fa,
semplicemente perchè non ti era mai capitata una situazione
del genere, ma ora che hai visto che bisogna mantenere la calma e che
è questione di poco, vedrai, non ti troverai mai più
impreparata. »
«
Chi me lo assicura? Mia figlia dovrebbe avere una madre con le palle,
non una che si spaventa al minimo problema e non sa che fare! Il
bello è che mi sono anche infastidita quando ho visto che
Jessica continuava a raccomandarmi di chiamare qualcuno in mio aiuto;
ma io sono troppo testarda! Ovviamente ho voluto fare tutto da sola e
questo è quello che mi merito. »
Tom
sorrise appena e, con un semplice gesto, le afferrò
delicatamente il braccio per attrarla al suo petto, dove la strinse
calorosamente, per poi posare il mento sulla sua testa. Monique
chiuse gli occhi, lasciando cadere le ultime lacrime sulla sua pelle,
e si strinse maggiormente a lui, inspirandone l'odore.
Le
mancava dannatamente quel contatto. Avrebbe voluto rifugiarsi fra le
sue braccia per sempre, fregandosene di tutto quanto; di tutto quello
che era successo in precedenza, di tutto quello che si erano detti e
dei suoi buoni principi.
Era
proprio in quei momenti che aveva paura di cedere, perchè di
spirito più debole.
«
Smettila di darti le colpe. Tu sei una mamma fantastica e fai anche
più di quello che potresti. Sei perfetta così, Monique.
» le sussurrò all'orecchio, al che la ragazza si rilassò
in un sorriso leggero e spontaneo, mentre i brividi le ricoprivano
nuovamente il corpo, a sentire il fiato caldo del chitarrista sulla
sua pelle. « Guarda come Eve sta crescendo bella, sana e
serena... Non ti sei accorta che ha sempre il sorriso in faccia? Non
ti sei accorta che appena non ci sei ti cerca? E non ti sei neanche
accorta che tutto è così per merito tuo? »
continuò il moro. « Non credo che Eveline senta il
bisogno di una madre diversa da te; non avrebbe quel perenne sorriso
sul volto. E sai perchè devi considerarti ancora più
brava? Perchè la stai crescendo da sola, senza un padre. Stai
facendo un doppio lavoro e non ti devi preoccupare perchè lo
stai svolgendo meravigliosamente. »
Quelle
parole la fecero commuovere.
Erano
così veritiere... Una delle più grandi premure di
Monique era quella di non far pesare troppo l'assenza di un padre
alla sua bambina. Non poteva sopportare il fatto che nella sua vita
albergasse quel vuoto incolmabile e sapeva che un domani Eveline le
avrebbe fatto delle domande a riguardo.
Ma
forse stava sul serio facendo un buon lavoro e non era una semplice
febbre a dover distruggere ciò che in tutto quel tempo aveva
costruito. D'altronde, per la sua età, aveva fatto abbastanza,
se ne rendeva conto, e probabilmente quei crolli emotivi erano dovuti
dalla volontà di apparire perfetta alla vista di sua figlia,
di raggiungere sempre il massimo e, perchè no, passarvi oltre,
se possibile.
Perchè
Eveline doveva essere felice e completa.
Tom
sapeva sempre come farla sentire apprezzata, in un certo senso grande
per ciò che faceva. Ogni volta che lui parlava, lei si rendeva
conto che forse tutti i suoi sforzi non erano del tutto vani, come
lei credeva.
Lui
riusciva a farla sentire importante.
«
Grazie, Tom. »
Quella
foglia di insalata minacciava di cadere dalla forchetta, a causa del
tremore così accentuato della mano della mora.
Vista
l'ora e visto anche il fatto che Tom non aveva ancora mangiato, per
catapultarsi a casa sua, Monique l'aveva gentilmente invitato a
fermarsi da lei per cena; invito che il ragazzo non aveva di certo
declinato.
La
mora continuava a chiedersi come diavolo avesse fatto ad esternare
quel suo intimo desiderio. Ormai vi era in corso una battaglia fra il
suo cuore e il suo cervello e di certo sapeva chi avrebbe vinto, ma –
almeno fino alla fine – voleva sperare che il suo cervello potesse
tirarsi su le maniche per ottenere quella lontana vittoria che
difficilmente sarebbe stata sua. Più la ragazza si impegnava a
tenere lontano il chitarrista – o per lo meno, lo facesse
mentalmente – più lo avvicinava con le parole o con i gesti.
A complicarle la questione era quel carattere così ben
disposto, così dolce ed amichevole del moro. Alle volte
desiderava che questo riprendesse a trattarla come la spazzatura
dall'odore più sgradevole, come i primi tempi in cui aveva
cominciato a lavorare allo studio di registrazione; almeno, mandarlo
a quel paese sarebbe stato molto più semplice.
Come
faccio a mandare a quel paese un gran bel pezzo di ragazzo, che ha
rubato gli occhi a Bambi e che non fa più nulla per farmi
incazzare? E che, per una botta di sfiga improvvisa, mi fa battere il
cuore?
Questi
erano i principali pensieri di Monique, mentre il chitarrista, seduto
di fronte a lei, con un piatto di insalata e pomodori sotto il naso,
le parlava gesticolando appena, ignaro di quel suo travaglio
interiore.
«
Allora, tu che ne dici? » le domandò quindi,
osservandola con interesse.
Oddio,
quelle domande che odiava con tutto il cuore, quando non ascoltava i
discorsi della gente...
«
Ehm... » sentì la fronte imperlarsi appena di sudore.
Avrebbe fatto una figura degna di una cretina, se lo sentiva. «
Potresti illuminarmi su che cosa? » chiese in imbarazzo,
sperando che Tom non la prendesse a male.
«
Del viaggio che dovremo fare a Tokyo, fra una settimana. David te ne
avrebbe parlato domani; io l'ho semplicemente anticipato. » le
spiegò con estrema tranquillità il ragazzo.
Monique
restò a fissarlo qualche secondo, deglutendo ripetutamente.
Viaggio.
Tokyo. Fra una settimana.
«
Aspetta un momento, Tom. Io... Non posso lasciare Eveline! »
esclamò repentinamente, sgranando gli occhi, come avesse
appena visto un fantasma, di fronte a sé. Tom, al contrario,
sembrava rilassato, con un'espressione serena sul volto e la cosa la
rendeva alquanto nervosa.
«
Ma infatti non dovrai lasciarla. La porterai con noi. » le
sorrise con un'alzata di spalle, come se fosse ovvio.
Monique
boccheggiò per qualche attimo; forse non aveva ben compreso.
«
Ma Tom, ha un anno e mezzo! Io dovrei lavorare, non potrei portarmela
dietro! E poi, sarebbe pieno di telecamere e non voglio che lei sia
disturbata dai media. »
«
Hey, tranquilla, non ho mai parlato di questo. Anche noi vogliamo la
sua protezione ed il mondo dello spettacolo sarebbe l'ambiente meno
tranquillo per lei. Durante le interviste potresti lasciarla a
qualcuno dei nostri tecnici o a Natalie; lo sai che è una
donna in gamba e saprebbe trattarla con cura. E poi sarebbe questione
di pochissimi attimi. Starebbe con noi in albergo; la terresti sempre
con te, Monique. Non sarebbe un problema. Di questo non ti devi
preoccupare, soprattutto delle telecamere. Loro staranno alla larga
da lei, te lo prometto. »
Monique
prese a riflettervi per qualche istante. Certo, la prospettiva
cambiava leggermente, dopo le rassicurazioni di Tom, ma c'era
qualcosa ancora che la bloccava ed era un'insicurezza che le pesava
come un macigno. Perchè non riusciva a prendere decisioni,
senza avere paura?
«
Non so... » mormorò, con un sospiro.
«
Monique, ti fidi di me? Tua figlia non sarà toccata, nemmeno
con lo sguardo. »
Brutto
stronzo, non me la mettere sul “Ti fidi di me?” e soprattutto con
quegli occhi, perchè così cedo in tre secondi,
pensò scettica la mora.
«
D'accordo... Poi domani ne parlerò meglio con David. »
si arrese infatti, scoccandogli un'occhiataccia obliqua, cosa che
suscitò divertimento nel chitarrista.
«
Non te ne pentirai... E' anche un'occasione per far conoscere a tua
figlia un posto nuovo. » la rassicurò.
«
Sai com'è... Pensavo prima di farle finire di visitare la
Germania, dato che ha un anno e mezzo, e poi continuare, per lo meno,
sempre in Europa, invece di catapultarla direttamente in Oriente, tra
gli occhi a mandorla. » commentò con sano sarcasmo
Monique, al che Tom ridacchiò compiaciuto.
«
Vedrai che le piacerà. »
«
Oh, questo non lo metto in dubbio. »
Non
appena ebbero finito di mangiare, Monique si alzò dalla sedia
per poter poggiare i piatti nel lavandino e lavarli.
«
Ti aiuto. » si offrì subito Tom, alzandosi a sua volta.
«
Ma no, tranquillo. » lo ammonì Monique, con le mani
nell'acqua e nella schiuma.
«
Mi fa piacere, invece. » insistette il ragazzo, affiancandola
successivamente.
Monique
percepì il cuore prenderle a battere con ferocia in petto, non
appena egli ebbe immerso le mani nell'acqua, proprio assieme alle
sue, per velocizzarle il lavoro. Sentiva il proprio braccio bruciare,
a contatto con quello del moro, che si muoveva appena per strofinare
la spugna su un piatto.
Era,
per lei, tanto una scena da film, di quelle che si sarebbero concluse
con un bel bacio appassionato ed una seguente notte infuocata in
camera da letto o sul divano.
Si
sentì arrossire violentemente al pensiero del corpo nudo e
bollente del chitarrista su di sé e cercò di ignorarlo
con tutta se stessa per non fare pazzie, d'altronde c'erano una
minorenne e ancora qualche briciola di buon senso, in quella casa.
Fortunatamente
il lavaggio non durò a lungo e la mora poté definirsi
salva, almeno per metà.
«
Andiamo a vedere come sta Eve? » le propose Tom. Lei si limitò
ad annuire, mentre si asciugava le mani, per poi seguirlo al di fuori
della cucina. Si affacciarono entrambi in camera di Monique, dove
notarono che la bambina era placidamente addormentata, a pancia in
su. « Visto? Sta bene. » le sussurrò lui con un
sorriso.
«
Già. » annuì la mora, intenerita da quella
visione.
«
A questo punto sarà meglio che io torni allo studio; sono
uscito senza dire niente a nessuno e se mio fratello non mi trova si
fa venire un esaurimento nervoso, prima del necessario. »
Monique
accompagnò il chitarrista alla porta e si fermò ad
osservare con quanta eleganza lui riuscisse anche ad infilarsi una
giacca.
«
Grazie per la cena. » le sorrise amabilmente. Monique ricambiò
il gesto, con un lieve rossore sulle gote.
«
Figurati, è stato un piacere. Piuttosto grazie mille a te, che
sei venuto di corsa e mi hai aiutato. Non avrei saputo che fare,
senza. »
«
Te l'ho detto che mi puoi chiamare ogni volta che vuoi. E poi... Così
siamo pari, no? » Monique aggrottò appena le
sopracciglia, scrutandolo interrogativa. « Grazie per avermi
accompagnato a casa, quella notte, e anche per avermi riportato la
macchina, la mattina seguente. » le sorrise, come chiarimento.
Monique sentì le gambe farsi improvvisamente molli. Quindi lui
sapeva? Non fece in tempo a rendersene conto che il viso del
chitarrista si era avvicinato al suo per schioccarle un tenero bacio
sula guancia. « Buona notte. » le sussurrò prima
di uscire di casa e chiudersi la porta alle spalle.
Quando
Monique poggiò le proprie dita su quel lembo di pelle dove il
bacio di Tom era planato, fu convinta di scottarsi.
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Capitolo 10 *** Ten. ***
10
Ten.
«
I taponeti? » domandò Eveline, con sguardo incuriosito,
mentre Monique le allacciava al collo la sua sciarpa rosa, preferita.
Gli occhioni celesti erano ben aperti e sani, di fronte a lei, motivo
per cui la mora si sentì tremendamente rincuorata.
L'intervento di Tom a casa sua, una settimana prima, era stato
assolutamente essenziale.
«
Giapponesi. » la corresse la mora. « Sì, andiamo a
stare per qualche giorno in mezzo a loro. » le sorrise
successivamente.
«
E chi tono i taponeti? »
Monique
soffocò una lieve risata: la parola giapponesi,
evidentemente, non riusciva a pronunciarla.
«
Sono le persone che vivono in Giappone, un posto molto distante dalla
Germania, dove andremo a stare per almeno una settimana. » le
spiegò di nuovo Monique, mentre si infilava il cappotto,
pronta per uscire, con la valigia ed il piccolo borsone di Eveline ai
suoi piedi.
«
E pecchè? » chiese curiosamente la piccola, con un
ditino sul mento, mentre osservava la sua mamma dal basso.
«
Perchè io e i Tokio Hotel dobbiamo lavorare. Terranno molte
interviste, in cui io dovrò tradurre ciò che diranno, e
faranno anche un sacco di foto. »
«
Acchìo le voio fale! »
«
A quello ci penserò io. Ho preso anche la macchina
fotografica, così, quando torneremo a casa, faremo vedere alla
Zia Jessica quanto ci siamo divertite. »
«
Tì! »
Monique
prese la piccola in braccio, dopo che questa ebbe finito di battere
entusiasta le manine, e recuperò la valigia ed il borsone con
qualche difficoltà. Non seppe dire come riuscì ad
aprire la porta di casa, ma ce la fece ed in poco tempo si
ritrovarono fuori, pronte per entrare in macchina.
Tom
si domandava da ore cosa fosse scattato in lui quella sera in cui
Eveline aveva avuto la febbre: l'aveva soccorsa, le aveva parlato e
l'aveva coccolata come fosse una cosa del tutto naturale e per niente
nuova per lui.
Aveva
sempre esternato timidezza con la piccola e, di conseguenza, Eveline
non aveva mai osato più di tanto con lui.
Eppure
quella sera aveva agito d'impulso. All'improvviso la timidezza era
svanita e non si era sentito nemmeno per un momento impacciato;
anzi... Le aveva dato quell'antibiotico con immensa sicurezza, come
fosse stato un bravo dottore o un bravo genitore; come l'avesse fatto
più volte. La cosa gli sembrava del tutto innaturale; non gli
apparteneva.
E
se il solo pensiero lo faceva arrossire, allo stesso tempo lo rendeva
sereno, perchè per lo meno l'aveva aiutata a guarire.
Ora,
però, si sentiva di nuovo estremamente intimidito con lei. Non
aveva ancora avuto occasione di parlarle in modo più
ravvicinato, quella mattina, ma quest'ultima gli sedeva di fronte, in
braccio alla sua mamma, intenta ad osservare le nuvole attraverso
l'oblò dell'aereo privato, come rapita, ed il suo cuore
pompava sangue a velocità nettamente superiore del normale.
Che
fosse anche per Monique, non lo sapeva dire.
La
mora, dal suo canto, osservava anch'ella il cielo azzurrino sotto di
loro, con sguardo perso ma sereno. Non sembrava incupita o pensierosa
riguardo qualcosa di poco felice. Forse per la prima volta da quando
la conosceva, la vedeva tranquilla e ciò gli provocava dei
piacevolissimi brividi di contentezza ed affetto nei suoi confronti.
Aveva una dannata voglia di allungare le braccia verso di lei e
stringerla a sé, per comunicarle quanto tenesse a lei, ma i
suoi muscoli erano come intorpiditi, immobili, al loro posto.
E
forse, da una parte, era meglio così.
«
Ti piace, piccola? » udì improvvisamente la voce di suo
fratello, seduto accanto a lui, con lo sguardo sereno rivolto alla
piccola Eveline, la quale non osava staccare lo sguardo così
affascinato dal paesaggio sottostante.
«
Tì. » annuì energicamente la bambina,
particolarmente entusiasta. « Mamy, le nuvole non ti pottono
toccale? » domandò successivamente, voltando il viso
verso Monique.
«
Beh, no, è pericoloso, Eve. » le rispose con un sorriso.
Tom era intenerito da tale dolcezza e tale ingenuità, da parte
della piccola. A volte sentiva la mancanza della sua infanzia, quella
che si era svolta prima che cominciasse ad andare a scuola, quando
ancora la curiosità era ciò che più lo
caratterizzava. Per molti aspetti, era meglio non sapere per vivere
sereni... Ed i bambini potevano ritenersi fortunati ad avere tale
privilegio. « Io vado un attimo in bagno. Riesci a stare
seduta, senza spiattellarti per terra? » si rivolse ironica a
sua figlia, la quale gonfiò appena le guance.
«
Controllo io che non si spiattelli, tranquilla. » la rassicurò
Georg, al suo fianco.
«
Grazie. »
Tom
osservò attentamente la mora alzarsi dal proprio sedile e
sparire, in direzione del bagno.
Il
suo viso sembrò rinascere al piacevole contatto dell'acqua
fresca; ne aveva decisamente bisogno.
Si
chiedeva ancora come accidenti avesse fatto ad apparire, agli occhi
degli altri, così disinvolta ed apparentemente serena. La
verità era che si sentiva particolarmente nervosa: la presenza
del chitarrista sortiva in lei tensione. In particolar modo, da
quando si era occupato di sua figlia, non aveva potuto fare altro che
guardarlo sotto un'ulteriore luce differente. Sentiva che i suoi
sforzi per tenersi lontana da lui stavano, piano piano, diventando
del tutto vani.
Lei
era tremendamente decisa a dimenticarlo, sentimentalmente parlando,
ma lui stava, giorno per giorno, mandando a monte i suoi piani con la
tenerezza, la premura nei suoi confronti e in quelli di Eveline. La
situazione stava degenerando.
Si
osservò allo specchio e ciò che lesse nei propri occhi
non le piacque per niente: l'amore.
Sobbalzò
non appena vide, attraverso il vetro, la porta del bagno aprirsi alle
sue spalle. La figura alta ed imponente di Tom fu ciò che le
fece scoppiare il cuore in petto.
«
Hey. » le sorrise lui con strana disinvoltura.
«
Ho finito, mi sposto. » si affrettò a dire Monique,
asciugandosi il viso con un panno, lì affianco.
«
No, tranquilla, mi devo solo lavare le mani. » la rassicurò,
restando alle sua spalle e continuando ad osservare il suo riflesso.
« Non ti senti bene? » le domandò successivamente,
probabilmente alludendo al fatto che si era bagnata il viso.
«
No, volevo solo rinfrescarmi un attimo. » Tom le si avvicinò
appena, per poi aprire il rubinetto, far scorrere l'acqua nel
lavandino e poter lavarsi le mani. « Questa scena non mi è
nuova. » sorrise la mora. Tom sollevò lo sguardo sullo
specchio, con un lieve sorriso, e la osservò mentre la sua
mente cominciò a scavare nel passato.
«
Che hai da fissare a quella maniera? » domandò
freddamente, per poi spegnere l'acqua ed asciugarsi le mani affianco.
Monique deglutì il mare di insulti che avrebbe voluto urlargli
contro e riaprì il rubinetto per potersi lavare le mani anche
lei.
«
Attendevo semplicemente il mio turno. » [...] « Si può
sapere qual'è il tuo problema con me? » Vide il ragazzo
fermarsi, ma senza voltarsi nella sua direzione. [...] « Mi
ignori in continuazione oppure mi parli con freddezza, come se ti
avessi fatto qualcosa. Vorrei sapere il motivo, se non è
troppo. »
[...]
«
Non siamo così in confidenza, Schmitz. »
«
Non siamo così in confidenza, Schmitz. » sorrise il
chitarrista, avvicinandosi maggiormente a lei, dopo essersi asciugato
le mani.
«
Quanto ti ho odiato... » rammentò Monique.
Quasi
smise di respirare, nell'esatto istante in cui Tom si fece ancora più
vicino a lei, con lentezza disarmante. Percepiva il calore del suo
corpo bruciarle la pelle, l'anima e non sapeva se esserne contenta o
meno.
«
Mi odi ancora? » le domandò in poco più di un
sussurro lui, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Le gambe di
Monique fremevano, volenterose di correre via di lì e mettersi
in salvo, prima che l'irreparabile accadesse. Non trovò la
forza di rispondere, poiché quegli occhi nocciola stavano
scavando in lei, nel profondo, e aveva paura che questi avrebbero
trovato qualcosa di inchiodante. « Tu lo sai perchè mi
comportavo a quella maniera con te. » continuò quindi il
ragazzo, carezzandole lievemente i capelli. Il cuore di Monique prese
a fare le capovolte nel suo petto, lasciandola senza fiato.
Era
imbarazzata. Quella vicinanza con il chitarrista era altamente
pericolosa e si sentiva tremendamente in soggezione, nei suoi
confronti.
«
Tom... » provò la mora, con l'intento di non farlo
proseguire con parole che, sapeva, le avrebbero fatto male.
«
Che c'è? » chiese lui con dolcezza inaspettata, mentre
un lieve sorriso albergava sul suo volto e la mano si posava sulla
gota di Monique. Quest'ultima, ancora una volta, non trovò il
coraggio di rispondere. « Io lo so che hai timore di me. Lo so
che non ti fidi del ragazzo che hai di fronte. »
Monique
sentì una fitta al petto. Aveva dannatamente paura di quello
che avrebbe aggiunto, guardandola così intensamente negli
occhi.
Era
la pura verità: aveva paura di lui, o meglio, non riusciva più
a riporre in lui quella fiducia che forse mai vi era stata. Molto
tempo prima non aveva fatto altro che immergerla nei dubbi, nella
confusione più totale e ciò non l'avrebbe mai portata a
riporre fiducia in lui, nonostante il sentimento fosse grande, dentro
di lei.
Sì,
era una codarda. Ma forse aveva le sue buone ragioni.
«
Tom, lasciami uscire, per favore. » sussurrò tremante.
Non
riusciva ad affrontarlo. La forza che aveva accumulato inizialmente,
non appena i Tokio Hotel erano tornati dai loro interminabili viaggi,
era crollata ai suoi piedi, a causa del moro. Doveva acquisirla
nuovamente o non sarebbe mai riuscita a venir fuori indenne da quella
situazione. Ora vi era di mezzo una figlia e non poteva giocare con
il fuoco.
A
quella richiesta, Tom la scrutò ancora per qualche istante,
forse dispiaciuto, ma con una nota comprensiva negli occhi, fino a
che non si scostò e permise a Monique di uscire in fretta da
quel bagno.
«
Mamy, ma io co chi to? » domandò Eveline, piuttosto
incuriosita di ciò che le stava accadendo attorno. Quello
studio televisivo rappresentava un qualcosa di totalmente nuovo per
la bambina, motivo per cui si guardava in giro, come spaesata.
Dietro
le quinte, Monique si assicurava che la piccola comprendesse che per
nessun motivo avrebbe dovuto fare irruzione in quella sala circondata
di divanetti e telecamere, dove di lì a poco i Tokio Hotel si
sarebbero seduti.
«
Tu starai qui con David. Hai capito che non devi entrare? » si
assicurò per l'ennesima volta.
«
Tì, mamy, ho capito! » esclamò Eveline,
evidentemente stanca di sentire le stesse raccomandazioni, più
volte.
Monique
se ne rendeva conto, ma la sua paura più grande era che sua
figlia apparisse in televisione, suscitando curiosità e dubbi
in qualsiasi fan dei ragazzi.
Ricordava
bene qual'era stata la violenta reazione di alcune “fan” in
Malesia, contro di lei, spinte semplicemente dalla gelosia nei
confronti suoi e del suo innocente lavoro.
Non
voleva che Eveline subisse le stesse cose, poiché la stupidità
umana, in molti casi, non conosceva limite.
«
Cinque minuti e si comincia. » annunciò una voce accanto
a loro. David giunse dalla mora, per tenere la piccola Eveline, così
che Monique poté entrare in sala assieme ai ragazzi e sedersi
sul divanetto, affianco a loro.
Quei
pochi minuti volarono e la conduttrice, donna curiosa dagli occhi a
mandorla e i capelli color ebano, si voltò in direzione della
telecamera, portandosi contemporaneamente il microfono alla bocca e
cominciando a parlare una lingua che Monique comprendeva
perfettamente, con l'enfasi tipica degli orientali.
La
mora si divertiva, nello stesso momento, a voltare lo sguardo in
direzione dei Tokio Hotel: le loro espressioni erano sorridenti, ma
di un sorriso tipicamente perplesso, poiché non capivano una
parola di ciò che la conduttrice stava dicendo ed il motivo di
tutto quell'entusiasmo.
Quando
finalmente la donna si rivolse a loro, sembrarono rincuorati,
voltandosi in direzione di Monique che si prodigò a tradurre.
«
Siamo felicissimi di avervi qui, per la prima volta, a Tokyo. Che
effetto vi fa? » riportò quindi in tedesco.
«
Beh, senza dubbio è una bellissima sensazione. Abbiamo sempre
amato questa città ed abbiamo desiderato per anni di poterla
visitare. Ora che finalmente ci siamo, è fantastico. »
rispose prontamente Bill, con quel suo tipico gesticolare, come per
farsi comprendere al meglio. Monique tradusse nuovamente in
giapponese ed il pubblico di fronte a loro, prese a strillare
eccessivamente.
Ormai
vi era disperatamente abituata, o meglio, si era arresa: ogni
risposta che i Tokio Hotel avrebbero dato sarebbe stata un pretesto
per quelle ragazze, dall'animo tremendamente isterico, per urlare a
squarciagola. Quello che ancora non sapevano o che forse si
impegnavano ad ignorare era che ai loro beniamini tutto quel
trambusto, a lungo andare, infastidiva parecchio.
«
So che vi siete presi un periodo di pausa. Avete intenzione di
lavorare ad un nuovo album? » domandò nuovamente
Monique, subito dopo aver ascoltato la stessa domanda dalla
giapponese.
«
Stiamo buttando giù qualcosa. In questo periodo ce la stiamo
prendendo un po' più comoda, giusto perchè non è
passato molto tempo dall'ultimo tour. Diciamo che ogni giorno è
potenzialmente creativo; veniamo ispirati da qualunque cosa ci accade
attorno. » rispose nuovamente Bill.
L'intervista
proseguì, come tutte le precedenti, allo stesso modo: stesse
domande, stesse risposte, stesse battute, stesse urla. Monique
avrebbe potuto rispondere ad ogni domanda dell'intervistatrice al
posto loro; le era bastato poco per memorizzare ogni singola risposta
che puntualmente davano. D'altronde, i giornalisti avevano sempre
avuto una magra fantasia nel porre domande.
Improvvisamente
però, l'attenzione di Monique fu catturata dall'inaspettata e
nuova questione che l'intervistatrice aveva posto.
Il
suo cuore aveva preso a battere all'impazzata; le mani prudevano
fastidiosamente; un gran senso di nausea le invadeva la gola. Stava
esitando e nel suo lavoro non doveva assolutamente accadere.
Il
pubblico mormorava appena, mentre i ragazzi la scrutavano
incuriositi, non capendo quale fosse il motivo di quell'indugio.
Muoviti,
dannazione, si incoraggiò mentalmente, nonostante una
grandissima voglia di prendere a schiaffi il soggetto sul quale ora
aveva posato lo sguardo era assai invitante.
«
Tom, la tua relazione con Chantelle, che riprendesti per qualche
mese, al termine del tour, può essere considerata finalmente
ufficiale? » scandì per bene le parole, ingoiando il
groppone che le si era formato in gola. Aveva potuto vedere con
chiarezza i muscoli facciali del chitarrista irrigidirsi appena e la
cosa la fece ancora più imbestialire.
Si
sentiva totalmente cretina. Aveva voglia di andare via da quello
studio, di andare via dal Giappone, di tornare a casa con sua figlia
dove la sua migliore amica l'avrebbe accolta a braccia aperte.
Era
vero, avevano passato quasi un anno ancora, in giro per il mondo,
subito dopo aver finito il tour – il tempo in cui Monique era
andata in maternità – ma rimaneva il fatto che il solo
pensiero che Tom nel frattempo si era rivisto con quella biondina le
lacerava brutalmente lo stomaco, lasciandole un solco profondo anche
nel cuore.
Non
le aveva mai promesso nulla, ma le aveva comunque confessato di
essere molto preso da lei, poco tempo prima; senza contare che, al
suo ritorno, sembrava volesse ritrovare quel rapporto che si era
venuto a creare tra loro, qualche settimana addietro.
Ciò
che aveva fatto ultimamente allora non contava nulla?
I
suoi pensieri così pedanti ed urgenti vennero improvvisamente
interrotti dallo schiarirsi della voce da parte del chitarrista, il
quale si impegnò ad osservare l'intervistatrice e non lei.
Sentiva
il sangue ribollirle nelle vene.
«
Ehm, no. La piccola relazione, se così si può chiamare,
che abbiamo ripreso qualche mese fa non è mai stata ufficiale
o comunque non è mai stata particolarmente importante. Siamo
giovani e ci siamo semplicemente divertiti. Fra noi due c'è
sempre stata particolare simpatia ma niente di più. Chantelle
è una bella ragazza ma, oltre questo, non c'è altro da
dire. Direi che come episodio è morto e sepolto. » parlò
il ragazzo, per la prima volta serio dall'inizio dell'intervista.
Monique si sforzò di tradurre quelle parole, senza lasciar
trapelare il tremore della sua voce.
Perchè
si comportava così? D'altronde aveva detto che con Tom non
avrebbe mai intrapreso una relazione, no? Non si fidava di lui... E
quell'ultima rivelazione ne era stata l'ulteriore prova: se veramente
aveva provato qualcosa per lei, come le aveva detto, non sarebbe
riuscito ad accantonarla così presto e con così tanta
facilità. Non le importava nulla – o quasi – delle
avventure di una notte; quelle caratterizzavano ogni ragazzo presente
sul pianeta. Ma se con Chantelle si era visto per qualche mese,
allora voleva dire che per lui significava qualcosa di più?
«
Quindi non provi nulla per quella ragazza? » si ritrovò
nuovamente a dover tradurre, contro la propria volontà.
«
Assolutamente no. Ma nemmeno in passato e lo stesso vale per lei. Ci
siamo semplicemente trovati bene a passare del tempo insieme. »
rispose nuovamente il moro, con una scrollata di spalle.
L'intervistatrice, dal suo canto, come Monique, non sembrava del
tutto convinta, mentre le ragazze tra il pubblico mormoravano parole
che facevano pensare a qualcosa di decisamente poco allegro.
«
Sarà vero? Chi lo sa... Comunque vi ringrazio, ragazzi, per
essere stati qui. Spero non sia l'ultima volta che ci incontriamo. In
bocca al lupo per la vostra carriera. »
Monique
attese quasi senza fiato sino all'ultimo secondo di riprese, per poi
alzarsi velocemente dalla poltrona e camminare diretta verso le
quinte, dopo aver stretto la mano alla conduttrice. Avrebbe giurato
di aver udito pronunciare il proprio nome da parte del chitarrista,
con l'intento di fermarla, ma si era decisa a non voltarsi, fino a
giungere da sua figlia che le saltò in braccio con un sorriso
ingenuo sul volto.
Si
sentiva tremendamente scossa; quella rivelazione non ci voleva
decisamente e se già aveva qualche dubbio sul ragazzo, ora non
poteva fare altro che immergersi nella disperazione più
totale.
La
cena stava assumendo un carattere piuttosto imbarazzante per Monique.
Per tutta la serata era rimasta in silenzio, ascoltando semplicemente
ciò che i Tokio Hotel avevano da dire, limitandosi a mangiare
e ad imboccare Eveline, seduta accanto a lei, al tavolo circolare
della sala da pranzo. Anche Tom aveva stranamente optato per il
silenzio. Sembrava pensieroso, tormentato, come avesse qualcosa di
urgente da dire ma non potesse farlo in quella circostanza.
Sotto
sotto, Monique sperava si trattasse dell'argomento venuto alla luce
qualche ora prima. Il controsenso era che lei non avrebbe comunque
dato ascolto alle sue spiegazioni e, per quanto le riguardava, non
aveva nemmeno voglia di sentirle. D'altronde nemmeno gliene doveva,
poiché non erano assolutamente fidanzati e non lo erano
nemmeno stati quando lui aveva ripreso a vedersi – e non solo, a
quanto pare – con quella biondina, alla quale un nome non riusciva
proprio a dare, nemmeno mentalmente.
Nel
complesso, Monique non aveva mangiato poi molto; a dire il vero aveva
toccato, sì e no, due pezzetti di carne. Sentiva di avere lo
stomaco completamente chiuso ed il solo pensiero del cibo le
procurava sgradevole nausea.
«
Hey, Monique, non hai mangiato praticamente nulla. » si rivolse
improvvisamente a lei David. Percepì gli occhi di ognuno
puntati addosso a lei e la cosa le piaceva ben poco.
«
Non ho tanta fame. » sorrise appena la mora, cercando di
apparire il più convincente possibile.
«
Tlano, la mamy mangia semple tanto. » intervenne Eveline,
ingenuamente. Monique decise di non replicare; d'altronde era una
bambina e non poteva sapere cos'era bene dire e non dire in
determinati momenti.
«
Non ti senti bene? » domandò quindi Gustav, perplesso,
rivolto alla mora.
«
Mi sento bene, GusGus, tranquillo. » sorrise rassicurante
Monique. « Sono solo un po' stanca, infatti io adesso andrei in
camera. » aggiunse subito dopo.
«
Ma, mamy, io voio tale accola co lolo. » protestò
mestamente Eveline, mettendo un tenero broncio in viso. Monique si
sentì tremendamente combattuta: da una parte voleva
abbandonare quel luogo, dove la persona che più in quel
momento le dava fastidio le stava facendo la radiografia completa con
gli occhi, dall'altra le dispiaceva come non mai negare un piacere a
sua figlia.
«
Monique, se vuoi, la puoi lasciare con noi. » le propose quindi
Georg.
«
Ma non voglio che vi disturbiate. » ribattè lei, quasi
mortificata. Che dei ragazzi ventenni non avessero una smisurata
voglia di fare da balie ad una bambina di un anno e mezzo era più
che comprensibile.
«
Assolutamente nessun disturbo, ci piace avere la piccola tra i piedi.
» le sorrise rassicurante il bassista.
«
Beh, allora grazie... Mi raccomando, in camera non più tardi
delle dieci. » si premurò di mettere in chiaro quel
punto saliente.
«
Alle nove e cinquantanove verremo a bussare. »
Monique
sorrise appena a quell'ultima affermazione e successivamente si
abbassò verso sua figlia, per stamparle un bacio sulla
guancia.
«
A più tardi allora. E buona notte a chi non vedrò. »
Dette
queste parole, si alzò dalla sedia e sparì dietro
l'angolo che l'avrebbe condotta all'ascensore.
I
suoi muscoli si stavano piacevolmente rilassando sul materasso di
quel letto matrimoniale.
Dopo
aver fatto un bel bagno caldo, si era sdraiata sul letto, di fronte
alla televisione che trasmetteva strani programmi giapponesi, e aveva
deciso di non pensare a nulla. Non che questo implicasse il fatto di
riuscire in tale impresa; per lo meno vi aveva messo la buona
volontà.
Improvvisamente
sentì bussare alla porta, cosa che la lasciò perplessa
per un attimo, dato che era passata a malapena mezz'ora da quando era
salita in camera. Si alzò dal letto con un sospiro e si
avvicinò alla porta, per poi aprirla incuriosita.
Sentì
il cuore precipitare verso il basso, non sapeva dire bene dove; era
semplicemente sicura del fatto che il chitarrista era l'ultima
persona che avrebbe voluto vedere in quel preciso istante.
«
Hey. » mormorò Tom, piuttosto serio. Sembrava, più
che altro, si sentisse in colpa. Monique non gli rispose; restò
a fissarlo negli occhi con severità, senza indugio e senza
spezzare quel contatto visivo. « Dormivi già? » le
domandò quindi il ragazzo.
«
No. » si limitò a rispondere Monique.
Era
più forte di lei; non riusciva a comportarsi come nulla fosse
accaduto, come se quel fatto non la toccasse minimamente.
«
Allora, hai voglia di scendere con me nel giardino dell'hotel? Vorrei
parlarti un po'. » le propose Tom.
Un
brivido.
«
Perchè dobbiamo scendere in giardino? »
«
Ho bisogno di prendere una boccata d'aria e fumarmi una sigaretta. E
poi vorrei che nessuno origliasse; qui c'è troppo silenzio. »
«
Gli altri? »
«
Sono nella sala giochi. »
Monique
esitò tremendamente. Da una parte il cuore fremeva dalla
voglia di stare con il chitarrista, dall'altra il suo orgoglio e la
rabbia le impedivano di farlo. Senza pensare che aveva una paura
dannata di scoprire cosa le avrebbe voluto dire. Temeva che, le sue
parole, non le avrebbe gradite.
Si
prese ancora qualche attimo per riflettere.
D'altronde,
prima o poi, avrebbe dovuto affrontarlo. Farlo quella sera stessa o
più avanti non le cambiava di certo la vita.
«
D'accordo. » si arrese infine.
Sapeva
che quella serata si sarebbe conclusa in modo molto spiacevole.
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Capitolo 11 *** Eleven. ***
11
Eleven.
Silenzio.
Poteva
chiaramente udire il proprio cuore battere ripetutamente e spingere
con violenza nel suo petto e nient'altro.
Da
qualche secondo aveva trovato sostegno sulla corteccia dura di un
albero che si innalzava a lato di quell'immenso giardino, sul retro
dell'hotel. Tom sostava di fronte a lei, intento a fumare una
sigaretta, con la mano libera rifugiata nella tasca dei suoi jeans
oversize. Inutile dire che quel semplice gesto procurava in lei una
dolorosa morsa allo stomaco, ricordandole il motivo – uno dei tanti
– per cui si era scoperta ancora così presa da lui.
Si
domandava ancora cosa stesse aspettando, a cosa servisse quel
silenzio. Le aveva chiesto di scendere in giardino assieme a lui ma
non aveva ancora udito una parola fuoriuscire dalle quelle stupende
quanto irritanti labbra. Continuava ad osservarlo, agitando un piede
sull'erba umida, aspettando una qualsiasi esternazione.
Improvvisamente
però, il suo cuore prese ad accelerare i battiti; il motivo
era quasi futile: Tom si era semplicemente schiarito la voce,
probabilmente con l'intento di parlare.
«
Volevo parlare un po' di... Quello che è successo oggi. »
esortò infatti, mentre la mora prendeva ad agitarsi sempre di
più. « L'intervistatrice ha spiegato la situazione a
modo suo e vorrei poter chiarire alcune cose anche io. »
aggiunse, osservandola attentamente negli occhi, non riuscendo a
celare però quella sfumatura dispiaciuta e tesa che albergava
nei suoi.
«
Riguardo? » domandò Monique, pur conoscendo
perfettamente la risposta.
«
Riguardo il discorso che è uscito su Chantelle e me. »
rispose il moro, provando quasi disprezzo al solo pensiero.
«
Non vedo cosa dovresti chiarirmi; io non c'entro nulla con te e non
devi darmi giustificazioni di alcun tipo. » ribattè
fermamente Monique.
Stai
calma, continuava a ripetersi mentalmente, ma il nervoso le stava
facendo esternare il peggio che di sé poteva dare.
«
Hey, non fare così. » mormorò Tom, osservandola
dispiaciuto.
«
Che dovrei fare? » sbottò nuovamente, lanciandogli
un'occhiata particolarmente rovente.
«
Vorrei che provassi ad ascoltarmi, prima. Dato che credo tu invece
abbia il diritto di sapere come stanno le cose. » le chiese con
fare pacato il chitarrista, al che la mora non seppe come replicare
ulteriormente. Era inutile attaccare chi nemmeno provava a fare
altrettanto; avrebbe dovuto calmarsi, volente o nolente. Così
optò di nuovo per il silenzio, con un sospiro forzato, ed
incrociò le braccia al petto, attendendo che parlasse. «
Innanzitutto, l'intervistatrice ha usato un termine che, in tutta
questa situazione, è tremendamente inappropriato. Ha chiamato
“relazione” ciò che si è consumato in poco tempo e
che è privo di ogni importanza. »
«
Qualche mese non mi sembra poco tempo e privo di importanza. »
commentò Monique, altamente disgustata.
«
Monique, per qualche mese si intendono due mesi
insignificanti, in cui io e lei ci siamo visti, sì e no, una
decina di volte. »
A
quell'ultimo chiarimento, Monique sentì un brivido di stizza
percorrerle la colonna vertebrale. Il solo pensiero che lui si fosse
visto con la stessa ragazza già per una decina di volte, le
dava il tormento. Credeva di essere stata l'unica, nel bene e nel
male, ad aver ricoperto un ruolo così “unico”, in un certo
senso, con lui. Credeva che tutte le altre ragazze che si portava a
letto fossero di passaggio e, vista la poca importanza che dava lui
alla questione, che fosse riuscito a farlo con un'altra era
inconcepibile, per lei.
«
Se l'hai vista più volte, vuol dire che un interesse c'è,
nei suoi confronti... » cominciò la ragazza che, non
appena vide il chitarrista aprire la bocca per ribattere contrariato,
aggiunse velocemente, un po' più furente: « E non dire
di no! »
A
quel punto, il moro ammutolì, con un sospiro.
«
Perchè dovrei mentire? » domandò disarmato.
«
Appunto, perchè dovresti? Dì le cose come stanno; ti ho
già detto che non mi devi dare dimostrazione di nulla. Quel
poco che è successo tra noi è acqua passata, mi pare di
essere stata chiara su questo. »
«
Ecco, vedi che vizio hai?! Devi sempre mettere le mani avanti e
ripetere fino allo sfinimento che le cose fra noi sono cambiate, che
non provi più nulla per me e cazzate varie! »
«
E tu che ne sai se sono caz...?! »
«
Io non ti credo, quando parli così! Semplicemente perchè
sembra che tu debba, tutte le volte, autoconvincerti di questo! Se
fossi sicura, come tu tanto decanti, non avresti bisogno di ribadirlo
in ogni discussione fra noi! »
«
Tu hai seri problemi di presunzione, te l'ho già detto. »
«
Sì! Sono presuntuoso quando ho la possibilità palese di
esserlo! Se io affermo una cosa, è perchè ho delle basi
da cui dedurre tutto quanto! »
«
E quali sarebbero queste basi?! »
«
Quando hai sentito il nome Chantelle, hai cambiato colore! »
«
Dio! » Monique si prese nervosamente la testa fra le mani,
voltandosi momentaneamente di profilo, con l'intento di calmarsi e
non prenderlo a pugni. « Ho cambiato colore, come tu dici,
semplicemente perchè mi ha fatto e mi fa schifo il solo
pensiero di quanta facilità tu abbia avuto nel cambiare preda!
Dopo tutte le cose che mi avevi detto! Allora vuol dire che i
sentimenti che dicevi di provare per me non erano così forti!
» esclamò successivamente, tornando a guardarlo con
furia.
La
gambe le tremavano, così come le mani e tutto il resto del
corpo.
Se
solo avesse potuto aprire il suo cervello ed il suo cuore per
mostrarne il contenuto al chitarrista, sarebbe stato tutto più
facile. Odiava doversi spiegare a parole, poiché mai riusciva
a dare alle sue frasi il senso voluto.
«
Primo, io non ti ho mai considerato una preda e lo sai che provavo
sul serio qualcosa di diverso per te! Secondo, è stato solo
sesso, Monique! Sono un maschio, cazzo, non mi posso castrare! »
«
Sei squallido, quando parli così! Ti comporti da animale, come
se nella tua vita contasse solo quello! »
«
Come fai a dire una cosa del genere quando con te mi sono sempre
rifiutato di farlo?! Non ti ho mai buttata sul letto, assalendoti in
modo burbero; ti ho sempre rispettata, soprattutto perchè eri
incinta! »
«
Senti... »
«
No, adesso mi lasci finire! Se avessi voluto e se non mi fossi
interessata, ti avrei presa all'istante, okay? Non mi fare così
incapace, Monique! Non l'ho mai fatto semplicemente perchè ho
rispetto di te, perchè non sei come le altre e te l'ho fatto
capire tante volte! E ti posso assicurare che ti volevo in modo
smisurato, ma non volevo turbarti o farti credere che io cercassi
solo il sesso da te! Perchè infatti non volevo solo quello ed
ero stato anche chiaro; per questo mi volevo allontanare, come ti ho
già spiegato! E se proprio lo vuoi sapere, per tutto il tempo
che ho passato con te, il sesso me lo sono solo sognato! D'altronde
non stavamo insieme, avrei potuto andare a letto con chiunque, eppure
ho sempre evitato, per rispetto dei miei sentimenti e dei tuoi! »
A quelle confessioni, Monique si sentì per un attimo
sballottata a destra e a manca. « Visto che tu mi consideri un
animale, non in grado di controllare le proprie squallide pulsioni,
fatti un pensierino su questo! » continuò irato il
chitarrista.
Lui
aveva sempre odiato essere attaccato su quel punto. Odiava dover
passare agli occhi della gente per quello che non era, ovvero un
maniaco del sesso, arido e senza cuore. Ancor di più non
voleva passarvi agli occhi di Monique.
«
Non ho mai detto questo, ho semplicemente detto che mi da fastidio
quando parli in un certo modo, cercando di farti conoscere per quello
che non sei! Io lo so che non sei squallido, come vuoi far credere,
ma quando parli in questo modo, mi fai salire il sangue al cervello!
»
«
Ma perchè dovrei parlare diversamente?! Perchè ti
dovrei dire che con Chantelle c'è stato più del
semplice sesso, quando non è così?! Non me ne importa
nulla di quella lì! »
«
Non andresti mai a letto con la stessa ragazza più volte, se
non provassi nulla per lei! »
Tom
buttò malamente la sigaretta per terra, spegnendola con la
scarpa. Si stava alterando sempre di più.
«
Allora, vuoi saperla la verità, una volta per tutte?! »
urlò, quasi sull'orlo di una crisi isterica. Il cuore di
Monique scalpitò; non sapeva cosa aspettarsi. « Io
volevo dimenticarmi di te! » La mora si trovò immobile,
incapace di intendere e volere, con gli occhi fissi sul ragazzo. «
Perchè, se non dovessi saperlo, mia cara, anche io ho un cuore
e dei sentimenti; non sei l'unica a star male per determinate cose!
Avevo un fottuto bisogno di toglierti dalla mia testa e ho cercato i
mezzi più classici e stupidi per farlo, ovvero sesso, alcol,
concerti e ancora sesso e alcol e concerti! Non hai idea della
grandissima merda che mi sono sentito a dirti quelle dannate cose,
quel giorno in aeroporto! Non immagini neanche quanto ho faticato a
salire su quel fottuto aereo, con il pensiero che ti avevo lasciato
con spiegazioni insulse, che avevano fatto male sia a te che a me! E
invece, no! Eri sempre lì, sempre lì, nella mia mente,
a rompermi le palle, sempre lì a ricordarmi che esistevi e a
darmi del coglione ogni volta che le mie mani sfioravano una ragazza
che non fossi tu! » Quelle parole erano arrivate dritte al
cuore di Monique come pezzi di vetro; dolorosissimi pezzi di vetro. «
Quello che ti sto dicendo è che per quanti sforzi io abbia
fatto, in tutto questo tempo, a mettere una croce sul tuo nome, ho
fallito miseramente e che tutte le ragazze con cui mi sono
intrattenuto, compresa Chantelle – perchè, ripeto, non è
stato altro che divertimento da parte di tutti e due – valgono meno
di zero, perchè, che ti piaccia o no, nella mia cazzo di mente
malata ci sei ancora tu! »
Fu
come venire strozzata da una fune invisibile; fu come sentirsi
strappare il cuore dal petto; come ricevere un pugno alla bocca dello
stomaco. Fu una marea di sensazioni tremendamente forti che la
lasciarono in apnea per qualche secondo, anche quando il ragazzo le
diede le spalle per poi sparire con passo furente all'interno
dell'hotel.
Era
semplicemente pietrificata.
Sembrava
volesse sfondare quel dannato ascensore con la sola forza dei suoi
pugni. La sua fronte premeva con violenza su quella parete metallica,
mentre l'elevatore lo conduceva lentamente al suo piano e la sua mano
batteva su di essa, accantonando il dolore che vi si stava diramando,
poiché – confrontato con quello che provava nel cuore –
era pari ad un pizzicotto.
Si
sentiva un deficiente; un imbarazzante essere vivente che non ancora
riusciva a dare una freno alla propria lingua.
Perchè
le aveva detto tutte quelle cose? Perchè le aveva sputato in
faccia la realtà dei fatti, senza riflettere sulle
conseguenze? Agire d'impulso era un qualcosa che non riusciva a
sopportare e si impegnava sempre a prendere le distanze da quel
tremendo errore, cadendovi poi sempre, irrimediabilmente.
Non
avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe dovuto aprire il suo cuore a
Monique, a quella maniera. Si era sempre impegnato per tenerla
lontana, ma si era reso conto che nulla di ciò che aveva
pensato era andato come voleva. Si era ritrovato inchiodato, con le
spalle al muro, e la verità era uscita dalle sue labbra, quasi
senza una riflessione, in modo troppo veloce e distruttivo.
Non
sarebbe riuscito a guardarla ancora negli occhi, motivo per cui se
n'era subito andato.
Non
sarebbe riuscito, al contempo, a ricevere un rifiuto.
Non
sarebbe riuscito ad accettare il fatto che lei non volesse stare con
lui, per ciò che in passato era successo; non se lo sarebbe
mai perdonato.
Aveva
sempre commesso errori in vita sua e li aveva sempre, di conseguenza,
pagati; ma perderla definitivamente era un prezzo decisamente troppo
alto e sapeva che non sarebbe riuscito a sostenerlo, neanche con
tutta la sua buona volontà.
Era
un'automa.
Camminava
lungo il corridoio che l'avrebbe condotta in camera sua, totalmente
inespressiva e distrutta.
Si
sentiva tremendamente scossa da ciò che il chitarrista aveva
avuto il coraggio di confessarle. Probabilmente, il tutto
rappresentava sia un bene che un male. Un bene perchè
finalmente aveva potuto considerare una certezza il fatto che Tom
fosse ancora preso da lei; un male perchè ora di sentiva
ancora più combattuta di prima.
Senza
dubbio, era ciò che attendeva da tanto tempo, ma tutto era
arrivato decisamente nel momento sbagliato. Più scavava nel
profondo del suo cuore, più non riusciva a scovarvi quella
dannata fiducia di cui aveva bisogno.
Cosa
avrebbe dovuto fare?
Lui
era preso da lei, lei era presa da lui; la situazione avrebbe potuto
essere perfetta, così com'era. Era tutto, all'apparenza,
tremendamente semplice. Eppure si sentiva frenata.
Ascoltare
il cuore o la testa? Era un dannato dilemma che ogni volta le si
ripresenta e dal quale non riusciva a venir fuori.
Si
chiuse in camera, buttando successivamente un occhio all'orologio;
Eveline sarebbe arrivata in camera, di lì a non molto. Si
portò una mano al petto: il suo cuore stava manifestando tutto
ciò che il suo corpo non riusciva ad esternare, nonostante la
discussione fosse accaduta già da un bel pezzo.
La
verità era che si sentiva entusiasta, in qualche modo, e le
parole del chitarrista, nel profondo, l'avevano resa schifosamente
felice. Non poteva negare di aver sperato tanto che finalmente lui le
ammettesse i propri sentimenti.
Ma
non era decisamente il caso di montarsi la testa: Monique aveva
imparato a conoscere Tom, dal punto di vista delle sue incertezze e
dei suoi ripensamenti, cause principali della sua inevitabile
mancanza di fiducia. Se fosse stata scottata anche in quel momento,
se lui le avesse successivamente ammesso di essersi pentito o di aver
detto cose non vere – come già in passato aveva fatto,
conseguentemente ad un bacio – non sarebbe più stata in
grado di perdonarlo. Avrebbe voluto cancellarlo dalla sua vista, dai
suoi pensieri e dalla sua vita e la cosa non era del tutto semplice.
Sentì
la fastidiosa presenza di alcune piccole gocce salate accumularsi
suoi suoi occhi.
Era
la classica situazione che voleva a tutti i costi evitare. Forse,
avrebbe vissuto meglio nel dubbio, piuttosto che nella consapevolezza
di essere importante per lui.
Ora
dipendeva tutto da lei, giusto?
Come
si coricò sul letto, quelle lacrime deboli si trasformarono in
un vero e proprio pianto liberatorio.
Perchè
non riusciva ad uscire di corsa dalla sua stanza e fiondarsi da lui,
per imprimere di nuovo il sapore di quelle labbra morbide sulle sue,
come il cuore le suggeriva? Era un bisogno troppo forte per essere
ignorato ma i suoi muscoli non accennavano il minimo movimento, se
non i sussulti involontari, dovuti ai singhiozzi.
Improvvisamente
però, il bussare alla porta della sua stanza catturò la
sua attenzione, invitandola a zittirsi, per non farsi sentire da
chiunque si trovasse al di là del muro. Tirò su con il
naso e si asciugò velocemente le lacrime scivolatele lungo il
viso arrossato. Si avvicinò incerta alla porta, inconsciamente
sperando che si trattasse proprio del chitarrista, fino a che,
titubante, non l'aprì.
Il
trovare sua figlia teneramente addormentata tra le braccia del
vocalist fu ciò che più la aiutò a
razionalizzare tutto quanto e sorridere appena. Era lei l'unico
essere abitante quel pianeta che avrebbe sempre trovato un modo per
farla sorridere; l'unica a non spezzarle mai il cuore.
«
Grazie, Bill. » sussurrò, lasciandogli lo spazio per
passare.
«
Hey, che hai? Hai pianto? » le domandò preoccupato lui,
dopo aver posato la bambina sul materasso del letto matrimoniale.
«
Non ho nulla. » si limitò a rispondere lei, pur
consapevole di non poter negare l'evidenza.
«
Hey. » mormorò lui, perplesso, sfiorandole il viso dalla
pelle irritata dalle precedenti lacrime, con due dita. «
Monique, non ti devi far problemi a parlarmi, lo sai. Ti prego, dimmi
che è successo, mi fai preoccupare. »
Monique
restò qualche attimo in silenzio a fissare in viso il ragazzo,
fino a che l'enorme magone di qualche attimo prima non le tornò
su, portandola a gettarsi fra le braccia di Bill e sfogare nuovamente
il proprio dolore.
«
Succede che non potrò mai essere felice, Bill. Non potrò
mai vivere la persona che amo come vorrei per colpa delle mie stupide
paure. » pianse con tutta la forza che aveva in corpo, ma in
silenzio per non svegliare Eveline, mentre il vocalist le carezzava
dolcemente i capelli, in segno di conforto.
«
Monique, non riesco a vederti soffrire così. Apri il tuo cuore
alla persona che ami; abbandona le tue paure e concediti di provare a
trovare quella felicità che tu stessa ti stai precludendo.
Liberati di questo timore meschino ed ingiusto che ti sta impedendo
di vivere con spensieratezza e serenità. Troppi pensieri non
ti portano a nulla. » le sussurrò all'orecchio.
Successivamente le poggiò una mano sul petto, al di sopra del
seno sinistro. « Ascoltalo. È l'unico modo per vivere
bene. » aggiunse con dolcezza, alludendo al suo cuore.
Monique
si sentì quasi mancare. Non seppe dire come avesse afferrato
il nocciolo della questione in così pochi secondi e se avesse
capito a chi si stava riferendo, ma gli fu tremendamente grata per
ciò che aveva detto.
Sbuffò
nervosamente, per l'ennesima volta.
Dove
si era cacciata quella benedetta bambina?
«
Monique, scusami tanto, la stavo controllando ma mi sono un attimo
distratto per parlare con David! » continuò ad esclamare
alle sue spalle il bassista, dai capelli perfettamente piastrati ed
in ordine. Ma Monique non lo stava ascoltando. Al momento, era troppo
occupata a cercare sua figlia e se non le fosse venuto un infarto in
quel momento, non le sarebbe venuto mai più. Sapeva che il
rosso era un po' sbadato, ma non credeva fino a quei livelli.
«
Eve?! » la chiamò di nuovo, continuando a percorrere
ogni angolo di quella hall più e più volte. Il cuore
batteva all'impazzata nel suo petto; non poteva essere scomparsa nel
nulla.
«
Cot'hai detto? » Quella vocetta curiosa attirò la sua
attenzione, come una rigenerante boccata d'ossigeno. Si guardò
attorno, in direzione di quel suono, fino a che – con immenso
sollievo – non trovò sua figlia ai piedi di una poltrona, di
fronte ad un uomo seduto su di essa, che la guardava con fare
incuriosito. Quest'ultimo le parlava in giapponese e, per forza di
cose, Eveline non riusciva a comprendere mezza parola. « Ma
come palli? » domandò nuovamente incuriosita, con un
ditino sul mento.
«
Eve! » esclamò la mora, affrettandosi a raggiungerla. «
Non ti devi allontanare da noi; non farlo più! » le
intimò, prendendola fra le sue braccia per sollevarla dal
pavimento. « Gomen'nasai. » si scusò
successivamente con l'uomo che invece le sorrise comprensivo.
«
Mamy, pecchè fa quelli tlani velsi? » le chiese la
piccola, aggrappata al suo collo, mentre si allontanavano.
«
Non sono versi, è la lingua dei giapponesi. Tu parli tedesco e
lui giapponese. » le spiegò pazientemente Monique.
Sorrise nell'osservare sua figlia assumere un'espressione
ulteriormente incuriosita e voltarsi in direzione del giapponese,
come sorpresa. « David, io ed Eveline, allora, andiamo. Ci
vediamo qui all'ora di pranzo? » si accertò la ragazza,
facendo ben attenzione a non incrociare lo sguardo del chitarrista –
che probabilmente nemmeno la stava guardando, per l'imbarazzo.
«
Sì, noi saremo di ritorno verso mezzogiorno. » le
sorrise in risposta il manager.
«
Perfetto, allora, a più tardi. » detto questo, la mora
uscì dall'hotel con Eveline, perfettamente imbacuccata tra
giubbottino, sciarpa e cappellino, stretta in braccio.
«
Dove addiamo, mamy? » si informò la piccola,
osservandola con i suoi occhioni celesti perfettamente aperti e
vispi.
«
Andiamo a farci un giro e tante belle foto, mentre i Tokio Hotel
vanno a firmare gli autografi delle loro fan, ti va? » rispose
Monique, particolarmente serena. L'ultima cosa che avrebbe dovuto
fare era trasmettere il proprio malessere a sua figlia.
«
Tì! » esclamò, entusiasta, Eveline.
Monique
sopirò appena.
Per
lo meno, una parte della giornata l'aveva occupata, in qualche modo.
«
Si è miracolosamente svegliato il nostro treccina! »
era stata l'imminente esclamazione di Jessica, dall'altro capo
telefonico, non appena Monique ebbe terminato di riportare le parole
del chitarrista, risalenti alla discussione della sera prima. La mora
sorrise appena, mentre teneva d'occhio sua figlia, intenta a vagare
all'interno di una casetta di legno, trovata per caso, in mezzo a
tanti giochi per bambini, in quell'enorme parco.
«
Non è il punto principale della questione. Il fatto è
che non riesco totalmente a fidarmi. Lo sai che, in passato, ha fatto
delle cose, per poi mettere le mani avanti e negare tutto quanto o
sminuirlo con un “ho sbagliato”, oppure “non ero in me”. Come
faccio a capire se questa volta è sicuro di ciò che
dice? Per quanto ne so, potrebbe aver detto quelle cose per la
circostanza. » ribattè mogia Monique.
«
Oh, andiamo, Monique. Te l'ho sempre detto che si vede lontano un
miglio che quel disastroso ragazzo è cotto di te. Non può
averti detto quelle cose per la circostanza, sono troppo importanti
e, per quanto stupido possa essere alle volte, non è tipo da
giocare con i sentimenti degli altri; soprattutto con i tuoi. »
«
Insomma. Diciamo che quando ero incinta non si è fatto tanti
scrupoli nel baciarmi e poi dire che era sbagliato e nel... »
si accostò maggiormente il cellulare alla bocca, coprendolo
con la mano per non farsi sentire da Eveline. « ... Toccarmi
in una determinata maniera e concludere il tutto con un “E' meglio
che non ci vediamo più”. Questo, a mio parere, è
giocare con i sentimenti altrui. »
«
Come sei pignola. » borbottò Jessica.
«
Realista e previdente. » la corresse la mora. « Beh, ti
saluto. Eveline vuole spiattellarsi a terra da un metro e mezzo
d'altezza. » aggiunse, avvicinandosi alla piccola che nel
frattempo si stava arrampicando su un lato della casetta, rischiando
di perdere la presa e cadere.
«
Corri a recuperarla e salutamela. » commentò
divertita la rossa.
«
D'accordo. Un bacio. » Ripose il cellulare nella borsa e posò
una mano sulla schiena di Eveline, aiutandola a salire
definitivamente al “piano superiore” della casetta. « Non
potevi salire le scale, come tutti i bambini normali? » le
domandò quindi, senza ricevere risposta. Prese a frugare nella
borsa, alla ricerca della macchina fotografica, fino a che non la
scovò. « Hey, hai voglia di fare una foto assieme alla
mamma? » le propose successivamente.
«
Tì! » annuì energicamente Eveline, con un gran
sorriso, per poi stendere le corte braccia verso la sua mamma che la
prese in braccio. La piccola gliele strinse attorno al collo,
appiccicando la sua guanciotta liscia contro quella di Monique, in
attesa che scattasse la foto. La mora sorrise e premette il pulsante.
Sentirsi
stringere così da Eveline era un qualcosa di estremamente
appagante per lei. Le donava infinita gioia ed era ciò di cui
aveva bisogno, poiché era una ragazza e soprattutto una madre
molto insicura. Aveva bisogno di sapere che sua figlia le voleva
bene, almeno quanto gliene voleva lei. Aveva bisogno di sentirla
vicino e non l'avrebbe mai abbandonata per nessuna ragione al mondo.
Era
proprio vero che il legame fra una madre ed una figlia era un
qualcosa di saldo, di forte ed indistruttibile e non avrebbe mai
pensato di dover ammetterlo, un giorno. Il solo pensiero di aver
ipotizzato persino l'aborto, i primi tempi della gravidanza, la fece
letteralmente inorridire.
«
Ne facciamo un'altra con il cellulare, così la mandiamo alla
zia Jessica. » detto questo, scattò una seconda
fotografia con il telefono, per poi inviare l'immagine alla sua
migliore amica. « Direi che è ora di tornare in albergo
per mangiare. » concluse infine, prendendo a camminare lungo il
marciapiede, con Eveline su un fianco. Pochi secondi dopo, percepì
la vibrazione del suo cellulare avvisarla dell'arrivo della risposta
di Jessica: “Siete bellissime e mi mancate un sacco. Vi voglio
bene.”
L'intero
pomeriggio era passato con una lentezza esasperante. Sembrava che la
sera non volesse decidersi ad arrivare o che i minuti volevano
lasciare molta più possibilità a Monique di farsi
scoppiare la testa con i troppi pensieri su quello che avrebbe dovuto
fare o non fare con Tom.
Stava
raggiungendo un livello tale di pazzia che quasi faticava a tenere
gli occhi aperti dalla confusione che la sua mente ospitava. Aveva
passato tutte quelle ore a valutare i pro e i contro di una possibile
relazione con il chitarrista – se fosse stato questo quello che lui
voleva. Il punto era che non era convinta di aver capito bene. Non
era convinta del fatto che tutto quel discorso chiaro e diretto
puntasse a cercare una storia con lei. Primo, perchè lui aveva
sempre cercato di allontanarla, reputando impossibile poter
intraprendere una relazione così seria ed importante; secondo,
perchè lui non era decisamente il tipo; terzo, non l'aveva
detto esplicitamente. Le aveva semplicemente confessato di essere
attratto da lei e fine. Né più, né meno e la
cosa la mandava ancor più in confusione.
Si
passò una mano sulla fronte bollente, probabilmente per le
troppe riflessioni.
Provò
anche a pesare con cautela le parole che Bill le aveva detto, quella
stessa sera, in camera sua. E proprio in quel momento, il suo cuore
prese a battere ad una velocità inaudita.
Ascoltalo,
le aveva detto.
Come
non potesse controllare i propri movimenti, si alzò dalla
poltrona della hall, dove Bill, Gustav ed Eveline stavano giocando ad
acconciare i capelli di Georg in qualche stravagante pettinatura, e
si diresse verso l'uscita dell'hotel.
Sapeva
che lui era in giardino a fumare l'ennesima sigaretta.
Lo
sto ascoltando, continuava a ripetersi nella mente mentre il
cuore continuava a pompare velocemente sangue, come volesse parlarle
seriamente, mi sto lasciando guidare.
In
pochi secondi si ritrovò a contatto con la fresca brezza
serale di Tokyo, sotto un cielo ancora non del tutto buio ma
terribilmente delicato.
E
lo trovò. Le dava le spalle, intento a fumare lentamente,
mentre una mano se ne stava, come al solito, nascosta in tasca.
Prese
un bel respiro e, senza dare ascolto ai propri pensieri e ai propri
timori che cercavano di nuovo di farla tornare sui propri passi, si
avvicinò a lui. Le braccia le si tesero da sole, nella sua
direzione, fino a che non si appostarono attorno al corpo imponente
del chitarrista.
Sentì
i suoi muscoli irrigidirsi appena, probabilmente per la sorpresa di
quel gesto, ma non si staccò da lui. Chiuse gli occhi e poggiò
la tempia sulla sua schiena calda; voleva godersi quel tenero
momento, senza maledirsi. Poi sorrise lievemente, rincuorata, non
appena sentì la mano del ragazzo posarsi dolcemente sulle sue
braccia, ricambiando quel gesto, nonostante non l'avesse davanti a
sé.
Forse
era la soluzione migliore. Prima di prendere una decisione
definitiva, riguardo loro due, voleva assicurarsi che lui fosse
davvero sincero con lei.
«
Dammi modo di fidarmi ancora di te, ti prego. »
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Capitolo 12 *** Twelve. ***
12
Twelve.
Non
credeva ancora di esserci finalmente riuscita.
Non
credeva ancora di aver acquisito quel coraggio che da un po' di tempo
le era mancato.
Stringere
Tom, a sua insaputa, e porlo davanti alla speranza di un eventuale
ripensamento, qualora quella dannata fiducia avesse potuto
riaffiorare, era un qualcosa che non aveva decisamente programmato.
Si era semplicemente lasciata guidare dal proprio cuore e doveva
ancora capire se ciò fosse positivo o meno; per il momento lo
avrebbe preso come un qualcosa di positivo, poiché così
si sentiva di fare. Aveva da poco deciso che avrebbe smesso di farsi
sopraffare dall'inquietudine interiore, dalla perenne paura di amare
ed essere amata.
Tom
non le aveva chiesto di mettersi con lui e lei non gli aveva tanto
meno dato quella certezza, ma per lo meno ora avrebbe provato a
ricostruire con lui un rapporto, se le avesse dimostrato di essere
serio nei suoi confronti. Un rapporto sul quale, molto tempo prima,
era stata messa un'enorme croce. Si sentiva entusiasta, in un certo
senso, ma anche spaventata.
Ignora
la paura, continuava a ripeterle la mente, quel giorno, e doveva
dire che, per il momento, quel metodo funzionava. D'altronde se l'era
promesso. Da oggi, solo cuore e spontaneità, si era
detta, anche se un minimo di raziocinio non avrebbe comunque fatto
male.
«
Bill, bend your head, a little. Yeah, like that. »
Il
fotografo continuava a parlare, a dare istruzioni riguardo le
infinite pose che i ragazzi dovevano assumere. Fortunatamente, sapeva
comunicare in inglese, così non vi era bisogno dell'aiuto di
Monique, la quale sostava in un angolo di quella stanza, con Eveline
in braccio, intenta ad osservare ogni minima movenza della band.
«
Georg, put your hands in your pockets, please. »
Ed
ecco che un altro flash si diffondeva tra le pareti, in un lampo.
Il
fatto che la mora si era ritrovata ad osservare instancabilmente ogni
singola espressione, ogni movimento facciale e corporeo del
chitarrista, non era un caso. Più volte si era impegnata per
distogliere lo sguardo e posarlo su di un altro componente, ma non vi
era nulla da fare: Tom, quel giorno, era per lei magnetico.
«
Okay, we've finished. Thanks, guys. » concluse improvvisamente
l'uomo dagli occhi a mandorla.
«
Thank you. » ringraziarono, a loro volta, i ragazzi, per poi
camminare in direzione di David, Monique ed Eveline.
«
Ho fame. » annunciò Georg, come fosse una novità.
«
Ora andiamo in albergo e pranziamo, tranquillo. » sospirò
David, mentre tutti si accingevano a seguirlo, in direzione
dell'uscita di quel palazzetto. Il furgone nero sostava proprio di
fronte a loro, accostato al marciapiede, così che i Tokio
Hotel potessero affrettarsi ad entrarvi, senza dare troppo
nell'occhio. Monique si fece momentaneamente da parte per dar loro la
precedenza e questi salirono. Nel frattempo percepì una dolce
carezza sul braccio e fece appena in tempo a notare, con un brivido,
che era stato Tom, nella frazione di secondo in cui era entrato nel
veicolo.
Le
venne spontaneo sorridere, per poi montare, con Eveline in braccio,
seguita dal manager.
Ormai
era un periodo in cui vedeva suo fratello decisamente molto strano.
Che fosse una cosa positiva o negativa non sapeva dirlo; eppure
poteva affermare con certezza che si trattava di qualcosa di
estremamente importante. Non erano semplici sbalzi d'umore i suoi,
non erano solo momenti di smarrimento... Erano veri e propri pensieri
che probabilmente stavano facendo a botte nella sua mente. Aveva un
disperato bisogno di capire cosa fosse quel corpo estraneo che aveva
deciso di entrare nella sua testa e dargli il tormento.
«
Hey, Tomi? » lo chiamò quindi, con cautela. Il
chitarrista, dal suo canto, carezzava pensieroso le corde della sua
chitarra, seduto su un lato del suo letto, con il capo chino. Alzò
questo, all'udire quel richiamo, per osservare incuriosito il
vocalist, di fronte a sé. « Ti va di parlare un po'? »
gli propose suo fratello. Tom inarcò un sopracciglio. Quando
Bill partiva con certe premesse, non si prospettava nulla di buono o
comunque nulla di tranquillo. Annuì perplesso, poggiando a
lato il suo amato strumento, per concentrarsi solo ed esclusivamente
sul ragazzo, che ora si era seduto sul letto, di fronte a lui. «
Ti vedo pensieroso, in questo periodo. » gli sorrise appena.
L'unico modo per indurre Tom a confidarsi, era trattarlo con
dolcezza.
Come
previsto, scrollò con superficialità le spalle.
«
Non più del solito. » rispose vago, essendo consapevole
che stava dicendo una grandissima bugia.
«
Dai, Tomi, con me puoi parlare, sono il tuo gemello. E lo sai che
certe cose le sento; capita anche a te quando non sto bene io, no? »
insistette, con la dovuta pazienza, Bill.
«
Ma io sto bene. »
«
Eppure hai sempre la testa altrove. » Tom restò qualche
attimo in silenzio, spostando lo sguardo sul materasso. Tanto sapeva
che, prima o poi, suo fratello lo avrebbe smascherato. Era la sua
specialità. « C'entra, per caso, Monique? »
domandò quindi il vocalist. A quel nome, Tom sentì il
cuore fare un balzo, mentre il suo viso prendeva a voltarsi in
direzioni diverse, purché non incrociasse lo sguardo di suo
fratello.
«
Può essere. » rispose evasivo. Bill sorrise soddisfatto.
«
Che succede? » lo incoraggiò ulteriormente.
«
Diciamo che, due sere fa, nel mezzo di un nostro litigio, ho perso un
po' le staffe e... Le ho spiattellato tutto in faccia. »
«
Spiattellato cosa? »
«
Che non – non ho mai smesso di pensare a lei. »
Quell'improvvisa
confessione fece nuovamente sorridere Bill, stavolta con più
naturalezza, con più gioia. Udire tali parole uscire proprio
dalla bocca di suo fratello era terribilmente appagante. Forse aveva
cominciato a guardare le cose sotto una giusta luce e senza
riflettere troppo sulle conseguenze. Tante volte lo aveva incitato a
confidare a Monique i proprio sentimenti, ma lui si era sempre
rifiutato, sostenendo di non essere più preso da lei e di
stare benissimo con le sue groupies.
Un
bel “te l'avevo detto” era proprio lì, sulla punta della
sua lingua, e fremeva per esternare tale dichiarazione, ma il suo
buon senso poté suggerirgli che non era decisamente il momento
di fare i pignoli e i saccenti, altrimenti Tom non gli avrebbe più
parlato.
Ora
che vi pensava, poteva collegare quell'incompleto racconto al pianto
liberatorio di Monique, proprio quella sera. Le cose tornavano.
«
E lei? » si informò così, facendo finta di nulla.
«
Non ha detto niente, anche perchè non le ho dato il tempo di
farlo: me ne sono subito andato, dopo averle praticamente urlato
quelle cose. » ammise Tom, piuttosto in imbarazzo. « Ieri
sera, però, è venuta ad abbracciarmi – cosa che non
faceva da un bel po' – e mi ha chiesto di farle ritornare quella
fiducia che riponeva in me, un anno e mezzo fa. » continuò.
Si prese qualche secondo di pausa, in cui fece un gran sospiro, e poi
ricominciò. « Però non riesco a capire cos'altro
posso fare. Apparte che ho una paura assurda di tutto questo... »
«
Paura di che cosa? »
«
Di questa nuova sensazione che sento dentro di me. Insomma, lei mi
piace e anche tanto ma... Ho paura di non essere in grado di reggere
una situazione simile; ho paura di non essere in grado di prendermi
cura di lei, nel caso volesse qualcosa di... Più serio con me;
ho paura di non essere ancora sicuro di quello che voglio, di
pentirmi e tirarmi indietro, ferendola per l'ennesima volta. E poi ha
una figlia... Non so che fare, Bill. D'altronde, le mie
giustificazioni, quel giorno in aeroporto, sono state chiare: il mio
lavoro, le mie abitudini, le circostanze. Perchè ora dovrebbe
essere diverso? »
«
Forse prima li sentivi di più, questi problemi, per il
semplice fatto che era la prima volta che provavi delle emozioni
simili. Era la prima volta che ti sentivi così preso da una
ragazza, seriamente. Hai avuto modo di fare quello che ritenevi
giusto, di starle lontano per molto tempo, per provare a rimpiazzarla
con qualche groupie e di scoprire che, dopo tutto, ti mancava da
morire e che senza di lei non stavi bene come quando invece c'era. »
«
Ma perchè dovrei accantonare quegli impedimenti? Non è
cambiato nulla; il mio lavoro è sempre questo e come le mie
giustificazioni valevano un anno e mezzo fa, potrebbero valere anche
ora. »
«
Potrebbero... Ma tu non lo vuoi. Non ora che sei riuscito a
riavvicinarla, che ti sei reso conto di quanto tu tenga a lei, non
ora che senti il bisogno vitale di stingerla a te e dimostrarle
quanto conta e quanto tu abbia bisogno di riacquistare la sua
fiducia, proprio come una volta. »
«
Lei non ha mai avuto fiducia in me. Le ho sempre creato tanta
confusione in testa e me ne rendo conto. L'ho sempre illusa, per poi
negare o sminuire tutto quello che facevo con lei. Quando, in realtà,
per me era molto importante. Non saprei come convincerla a fidarsi,
davvero. Però ho una fottuta paura. Ho paura di una storia
seria, Bill. Lo ammetto, ho paura di innamorarmi, perchè so
che lei potrebbe farlo accadere. Ho paura di soffrire e far soffrire
lei. »
Vedere
suo fratello così smarrito ed indifeso, nei suoi stessi
pensieri, provocò in Bill una forte sensazione di tenerezza e
di comprensione. D'altronde era facile da capire: Tom era sempre
stato un ragazzo dall'animo libero e mai nella vita aveva dato spazio
ai sentimenti, all'amore. Aveva sempre rifiutato tutto ciò che
ruotasse attorno a quella parola. Ed ora, trovarsi catapultato in
quella nuova dimensione era tremendamente traumatico per lui e non
sapeva come venirne fuori, se voleva venirne fuori e quale strada
imboccare.
«
Tom, tu tieni davvero tanto a Monique. Ti giuro, non ho mai visto nei
tuoi occhi quella scintilla che noto ogni volta che la guardi. Ciò
che hai fatto per lei in passato, ciò che stai facendo ora...
Sono tutte dimostrazioni chiare dei tuoi sentimenti nei suoi
confronti. Perchè negarti una cosa bella come questa? Anche
lei è presa da te; vi siete sempre rincorsi a vicenda, ma
scappando uno dall'altra contemporaneamente. Non siete mai riusciti a
trovare quel punto d'incontro che vi avrebbe permesso di trovarvi, di
unirvi ed amarvi. Forse perchè era troppo presto, non lo so;
io sono convinto che nulla, nella vita, accada per caso e se non era
destino che vi metteste insieme prima, probabilmente era tutto
calcolato. Ma ora perchè negarvi di nuovo quest'occasione? Non
ti tarpare le ali, Tom. Stare con una persona non vuol dire
necessariamente perdere la libertà. È un qualcosa che,
se provi sentimenti puri e reali, ti appaga in maniera smisurata;
molto più di una squallida notte di sesso sfrenato con una
sconosciuta. Perchè a quel punto dedicherai gran parte della
tua esistenza a lei e sarai felice quando la vedrai serena grazie a
te, quando ti farà una carezza, quando ti dirà che ti
ama e quando la troverai semplicemente sdraiata, accanto a te. »
Quelle
parole toccarono Tom nel profondo, ma un pensiero martellante nel suo
cervello non gli impedì di parlare di nuovo.
«
Bill... Ha una figlia. » mormorò.
«
Quindi? » domandò il vocalist, come se non vi fosse
nessun potenziale problema.
«
Quindi, Bill, io non sarei assolutamente pronto a rappresentare una
figura paterna per Eveline. Sono giovane, immaturo ed assolutamente
inesperto. Il fatto che io l'abbia soccorsa quando aveva la febbre è
stata solo una botta di culo improvvisa. Non potrei occuparmi di lei,
non avrei comunque il tempo. »
«
Nessuno ti dice che devi rappresentare per lei una figura paterna.
Lei non ha l'idea del padre; non ha avuto modo di conoscere bambini
con entrambi i genitori e, per lei, avere solo la madre rappresenta
la normalità. Non pretenderebbe nulla da te. Si affezionerebbe
semplicemente, come sta già facendo con tutti noi e in
particolare con te. È incredibile, è come se da sola
avesse capito che tu rappresenti una persona particolarmente
importante nella vita di sua madre e quindi ti riserva un
comportamento del tutto straordinario. È come se fossi il suo
prediletto, pur essendo più timida nei tuoi confronti, ma non
mi dire che la cosa ti dispiaccia. »
«
Ma no che non mi dispiace; io adoro quella bambina – anche se il
solo pensiero che sia il frutto di Monique assieme ad un altro mi
manda in bestia – però potrebbe affezionarsi ancora di più
e se dovesse succedere qualcosa di negativo con sua madre, ne
risentirebbe molto anche lei. »
«
Sai qual'è il tuo problema? Pensi troppo alle cose negative.
Cerchi sempre di guardare il bicchiere mezzo vuoto ed arrivi alle
conclusioni più insensate, senza neanche sapere cosa accadrà.
Mi fai un favore, Tom? Smetti di pensare a tutte queste cose e pensi
a trovare un modo per dimostrare a Monique che con lei non scherzi,
dato che è quello che vuoi con tutto te stesso? »
E,
per l'ennesima volta, Tom dovette ammettere che suo fratello,
purtroppo, aveva ragione.
Stava
dolcemente osservando sua figlia parlottare di chissà quale
interessante argomento, mentre camminava ancora goffa per
quell'immenso giardino, appartenente all'hotel. Monique sostava in
piedi, poggiata con la schiena al muro e le braccia conserte, con un
lieve sorriso a illuminarle il volto.
Ripensava
a quella tenera carezza da parte di Tom, donatale qualche ora prima.
Era stato un gesto del tutto semplice, ma aveva suscitato in lei
innumerevoli sensazioni stupende, come fosse una ragazzina in preda
alla cotta più grande della sua esistenza. Il fatto era che
tutto ciò che faceva il chitarrista la emozionava, la faceva
stare bene, da un semplice sorriso ad una parola sussurrata a un
bacio tremendamente tenero, come era successo molto tempo addietro.
«
Hey. »
Sobbalzò
quando il protagonista dei suoi pensieri si materializzò
proprio al suo fianco. Si sentiva ancora in po' in imbarazzo per
tutta quella situazione – decisamente strana – che si era venuta
a creare, ma doveva cercare di accantonare ogni singola traccia di
disagio.
«
Ciao. » rispose semplicemente, con un timido sorriso, mentre
lui le si avvicinava sempre di più, con le mani rifugiate
nelle tasche dei suoi jeans. Si appoggiò al muro, affianco a
lei, prendendo ad osservare Eveline, con espressione decisamente
serena sul volto. La bambina, dal suo canto, si voltò verso di
lui per qualche secondo e, dopo aver sorriso appena, riprese a
trotterellare per il giardino, rischiando di perdere l'equilibrio, di
tanto in tanto.
«
Sembra le piaccia questo posto. » esortò improvvisamente
Tom, senza distogliere lo sguardo da quella bimba così
adorabile. Monique prese a torturarsi le mani.
«
Sì, infatti. » annuì, tremante. Era più
forte di lei: averlo così vicino, soprattutto dopo quello che
le aveva confessato, era ancora insostenibile. Deliziosamente
insostenibile. « Pare ami anche i giapponesi. Continua a voler
parlare con loro ma non ha ancora capito che nessuno riesce a
comprendere la sua lingua. »
Tom
ridacchiò appena, intenerito da tale affermazione, al che
Monique non poté fare a meno di sorridere estasiata, a quel
piacevole suono.
«
Potresti insegnarle la lingua giapponese, se le piace tanto questo
mondo. Ha la fortuna di avere la mamma interprete. »
«
Non riesce ancora a parlare bene il tedesco, mi metto ad insegnarle
il giapponese? »
Tom
sorrise, abbassando lo sguardo sulle sue mani; quelle mani lisce e
sottili e dalle unghie ben curate che aveva sempre adorato.
Perchè,
sì, lui le aveva sempre osservate. Aveva sempre osservato lei
in ogni singolo movimento, espressione, parola, emozione e si era
ritrovato ad adorare tutto ciò che la caratterizzava. Non vi
era nulla che lo infastidiva di lei, nemmeno quelle sue insicurezze,
quei suoi modi di fare a volte aggressivi ed ingiustificati. Nulla.
Era semplicemente pazzo di lei... Pazzo era la
definizione giusta.
Notò
che le mani della mora si stavano ancora torturando a vicenda, così
decise di osare. Allungò la propria, fino ad afferrare
dolcemente le sue: erano fredde, segno che era molto nervosa.
Monique
percepì un brivido lungo la colonna vertebrale, a quel tocco
così caldo e rassicurante. Il chitarrista le strinse una mano
fra le proprie, prendendo a donarle carezze che per un attimo la
destabilizzarono. Quelle di Tom erano morbide, nonostante suonasse la
chitarra, erano calde e decisamente più grandi delle sue, cosa
che le infondeva ancora più sicurezza.
«
Tom... » mormorò la mora, mentre la sua mano tremava
appena.
«
Non aver paura. » sospirò il chitarrista, con tono
ugualmente dolce e rassicurante. « Non di me. »
Improvvisamente,
le loro orecchie furono attraversate dal pianto disperato di Eveline.
Quando si voltarono preoccupati nella sua direzione, notarono che la
bambina si trovava stesa sull'erba, a pancia in giù,
probabilmente dopo una brutta caduta. I due ragazzi corsero
velocemente verso di lei e le si inginocchiarono affianco.
«
Tesoro, hey, tranquilla, non è successo nulla. » cercò
di tranquillizzarla la madre, tirandola su e stringendosela al petto,
mentre la piccola continuava a piangere per lo spavento. Tom,
intanto, aveva allungato timidamente una mano fino a posarla sui
capelli corvini di Eveline, per carezzarli con dolcezza. Tale gesto,
ancora un volta, sorprese Monique.
«
Hey, Eve, guarda. » esortò improvvisamente il ragazzo,
al che la bambina si voltò appena, nella sua direzione, senza
smettere di stringersi al collo di sua madre, con il volto
teneramente arrossato ed ancora pieno di lacrime. « Hai una
coccinella sulla gamba. » le sorrise il chitarrista,
indicandole l'animaletto rosso e nero che sostava sul suo ginocchio.
Eveline abbassò lo sguardo, improvvisamente tranquilla, con un
ditino sulla bocca.
«
Cot'è? » chiese con vocina indifesa ed ancora incrinata
dal precedente pianto.
«
E' un animaletto che ti porta tanta fortuna, se ti si posa addosso. »
le spiegò dolcemente Tom, prendendo ad asciugarle con un dito
le lacrime dal viso.
Monique
sentiva una morsa allo stomaco. Ma era piacevole, era un qualcosa di
delicato, che le trasmetteva serenità.
«
Davvelo? » domandò ulteriormente Eveline, sollevando i
suoi occhioni azzurri ed ancora acquosi su di lui.
«
Sì. Puoi chiederle quello che vuoi. Però in silenzio,
così che ti possa sentire solo lei. »
«
E lei fa succedele quello che chiedo? »
«
Spesso sì, soprattutto se trova bambini buoni. »
«
Io tono buona! »
«
Certo che lo sei. »
«
Allola via, che devo pallale colla cotella! »
Monique
e Tom si sollevarono dall'erba e si allontanarono, come la piccola
aveva stabilito, ma senza perderla di vista. La osservarono divertiti
parlare con la coccinella riguardo chissà quale strambo
pensiero.
«
E questa storia come ti è uscita? » domandò
improvvisamente la mora, osservando con un lieve sorriso sua figlia.
«
Me la raccontava sempre mia madre da piccolo, quando avevo poco più
di Eveline. Da allora, appena incontravo una coccinella, mi mettevo
subito a parlarle. » ricordò con una piccola nota
nostalgica il ragazzo.
«
E cosa chiedevi, ogni volta? » si informò incuriosita
Monique, prendendo a guardare il suo profilo.
«
Di far tornare a casa mio padre. »
Le
si smorzò improvvisamente il fiato, a quell'ammissione. Aveva
sentito un'acuta fitta al petto, che le aveva impedito di respirare
per un momento. Vide il volto del chitarrista contratto in una lieve
smorfia malinconica e il dolore fu ancora più grande.
Sapeva
che Tom e Bill avevano un patrigno ma non le era mai capitato di
sentirli parlare riguardo il loro vero padre. Aveva sempre sostenuto
che fosse troppo doloroso per loro e così si era sempre
astenuta dal far domande inopportune a riguardo. Eppure, in quel
momento, sembrava il chitarrista avesse bisogno di confidarsi con
qualcuno, così provò a parlare.
«
Non... Non hai più rapporti con tuo padre? » gli domandò
cauta. Lo vide sorridere amaramente.
«
Quasi nessuno. Non glien'è mai importato più di tanto
dei suoi figli. » rispose, continuando ad osservare Eveline,
che ora si era messa a studiare quel piccolo animaletto semplicemente
in ogni suo movimento.
«
E... Senti la sua mancanza? »
«
Quando sai che un padre non prova nulla o quasi per te, è
inutile. Se ci penso, sento ancora un po' male, ma ho imparato a
convivere con questa sorta di mancanza che poi è stata colmata
da Gordon, il compagno di mia madre. Lui è una brava persona e
gli voglio molto bene; soprattutto perchè si è sempre
preso cura di noi, come un vero padre, cosa che avrebbe dovuto fare
quell'altro. A volte mi chiedo il motivo; mi chiedo se io e Bill gli
abbiamo fatto qualcosa di male, ma eravamo piccoli, come potevamo? È
solamente lui il codardo che non ha voluto creare una famiglia e
nemmeno prendersi cura dei suoi figli. È per questo che odio
con tutto me stesso Christian. » Monique sobbalzò a
quell'ultimo nome. « Ti ha messo incinta e ti ha abbandonata,
senza volerne sapere nulla di Eveline. Povero idiota, non sa neanche
quale splendido regalo ha rifiutato. » La mora sentiva un forte
magone, a quelle parole. Erano così dolci, così sincere
e mai nessuno aveva capito tutto ciò quanto lui. «
Eveline è una bambina adorabile che credo qualunque genitore
vorrebbe. È piena di affetto, è serena, è
tranquilla... E Christian mi fa solamente venire da vomitare. »
Monique si ritrovò a concordare con ogni singola affermazione
del chitarrista ed il solo pensiero di quell'essere così
spregevole le fece appunto montare la nausea. « Ma
fortunatamente Eveline ha una splendida mamma e le persone attorno,
che le vogliono bene, non le mancano. Non si è persa nulla. »
Monique
si avvicinò timidamente al ragazzo, fino a posare il capo sul
suo petto e stringerlo appena, mentre lui ricambiava quel gesto
affettuoso.
«
Grazie. » sussurrò semplicemente lei. Lui sorrise,
carezzandole la schiena, fino a che l'esclamazione sorpresa di
Eveline non si udì improvvisamente in quel giardino.
«
La cotella è volata via! »
Quando
furono di ritorno allo studio di registrazione, era ormai buio. Per
Monique era ora di tornare a casa, dato che Eveline le si era
addormentata tra le braccia. Ogni tanto stringeva la sua maglietta
nel suo piccolo pugno, durante il sonno, probabilmente perchè
stava sognando. La sua guancia era poggiata sulla sua spalla ed il
suo respiro rilassato e caldo le batteva sul collo.
«
E' un po' triste tornare a casa. » commentò
improvvisamente Bill, mentre mettevano in ordine in cucina ciò
che avevano portato dal Giappone.
«
Io sono contento però di tornare a dormire nel mio letto
morbido. » ribattè Georg.
«
Sempre troppo viziato. » sorrise ironico Gustav, ricevendo in
risposta una pacca leggera sul braccio muscoloso da parte del
bassista. « Dai, Bill, ti sei portato dietro anche questi cosi
orribili? » borbottò di nuovo il batterista, sventolano
una confezione di un qualche cibo strano giapponese, di cui non
avevano ancora capito il nome.
«
A me piacciono! » si difese il vocalist, piuttosto risentito.
«
Quanto sei strano. » intervenne Georg, con una smorfia di
disgusto.
«
Tanto meglio, me li mangio tutti io! » esclamò Bill,
stringendo fra le braccia quell'enorme confezione di
cibo-giapponese-ignoto, come fosse un peluche dal quale non si
sarebbe staccato nemmeno sotto tortura.
Monique,
divertita da tale discussione, decise di intervenire, cercando di non
svegliare Eveline.
«
Ragazzi, io vado a casa. »
«
D'accordo, Monique, ci vediamo lunedì; grazie per essere
venuta con noi. » le sorrise David.
«
Figurati. » rispose la ragazza. Salutò tutti gli altri
componenti del gruppo ed uscì dalla cucina. Cercò di
tenere Eveline grazie all'uso di un solo braccio per recuperare la
sua valigia, ma trovò qualche difficoltà.
«
Aspetta, te la porto io. » si propose il chitarrista,
affrettandosi a sollevarla. Monique arrossì appena, ma lo
ringraziò e lo seguì al di fuori dello studio, dove la
sua macchina era rimasta parcheggiata durante tutto il loro soggiorno
in Giappone. Osservò il ragazzo aprire la portiera posteriore
di quest'ultima, posarvi la valigia e poi voltarsi nella sua
direzione. Monique gli si avvicinò in modo da poter sistemare
Eveline, senza il minimo movimento brusco, sul seggiolino, aiutata da
lui. Una volta concluso il tutto, chiuse con delicatezza la portiera.
«
Beh, grazie allora. » gli sorrise appena. Tom, nel frattempo,
si era appoggiato con la mano al tetto della sua auto, soffermandosi
a guardarla attentamente, con un lieve sorriso.
«
Di niente. » rispose gentilmente.
«
Allora... »
«
Senti, Monique... » il chitarrista si prese un momento di
pausa, forse per formulare bene una frase di senso compiuto. Si
sentiva per la prima volta in imbarazzo con una ragazza, a fare una
richiesta simile. Forse perchè richieste del genere non ne
aveva ancora fatte. « Volevo... Volevo chiederti se... »
il cuore di Monique non smetteva di palpitare violentemente nel suo
petto, quasi timoroso di ciò che le avrebbe detto. « Ti
va di... uscire, domani sera, con me? » le domandò, di
un colore improvvisamente più acceso. « So che sembra un
po' stupida, come cosa; d'altronde ci vediamo tutti i giorni ma...
Intendevo io e te, via di qui. Magari a... Mangiare da qualche parte.
»
Monique
si sentiva tremendamente emozionata. Quella richiesta era stata così
inaspettata e dolce che l'aveva presa totalmente in contro piede.
«
Non lo so... » mormorò, sentendosi improvvisamente in
colpa.
«
Monique... » sospirò appena il ragazzo. « Mi hai
detto che vuoi tornare ad avere fiducia in me. Io giuro che voglio
che accada e farò di tutto per dimostrati che non ti prendo in
giro, ma se non mi dai nemmeno la possibilità di provarci,
come posso farti cambiare idea? » le spiegò con calma. «
Se non hai voglia di stare con me, è un altro discorso, ma se
mi dici di no perchè hai una sorta di timore nei miei
riguardi... Ti prego, togliti qualunque brutto pensiero dalla testa.
»
Lo
osservò ancora qualche istante, pensierosa.
Era
vero, doveva dargli almeno qualche modo per far sì che lui le
dimostrasse quello che voleva dimostrarle, esattamente come lei gli
aveva chiesto, anche se la cosa la scombussolava altamente. Quegli
occhi nocciola, lì, davanti a lei, non riuscirono a farle
rifiutare tale proposta e la sua voglia di stare con Tom era
semplicemente smisurata.
«
D'accordo. » accettò infine, con il cuore che le batteva
all'impazzata, permettendo al chitarrista di sorridere.
Un
appuntamento. Di quelli seri. Con Tom.
Aveva
improvvisamente caldo.
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Capitolo 13 *** Thirteen. ***
13
Thirteen.
«
Sono una cretina! » esclamò per l'ennesima volta,
tracciando profondi solchi sul parquet, a furia di camminare avanti e
indietro per la sua stanza, mentre Jessica frugava tranquillamente
all'interno del suo armadio, intenta a trovare qualcosa di elegante
da farle indossare per quell'occasione così speciale.
La
rossa era altamente eccitata all'idea che la sua migliore amica
uscisse con Tom; era da tanto tempo che non le capitava con un
ragazzo e finalmente era giunto il momento. Tante volte l'aveva
incoraggiata a riprendere in mano la sua vita e ricominciare a
godersi la sua ancora giovane età, ma la mora si era sempre
rifiutata, sostenendo che il suo unico pensiero sarebbe dovuto essere
quello di Eveline. Ciò le faceva molto onore ma in un certo
senso le tarpava anche le ali. « Lo sapevo che andava a finire
così; avrei dovuto dire di no, sin dall'inizio! »
continuò Monique, in preda ad una crisi di nervi.
Si
sentiva estremamente agitata, forse in modo eccessivo, e
quell'appuntamento la spaventava molto. Probabilmente aveva paura di
peggiorare le sue condizioni, di lasciarsi trascinare da quelle
emozioni, compiere l'irreparabile ed uscirne nuovamente ferita.
Sapeva che si sarebbe fatta coinvolgere ancora di più dal
ragazzo, perchè aveva un potere fortissimo a lei sconosciuto,
ma ciò non doveva accadere. Non se con lei non voleva qualcosa
di serio. Il solo fatto che lui sostenesse il contrario non le poteva
bastare; voleva i fatti. Ma se avesse dovuto vedere tali fatti
peggiorando la sua condizione sentimentale, ciò non le andava
esattamente a genio.
«
Smettila di disperarti così. Hai fatto la cosa giusta. »
la riprese Jessica, continuando a rifugiare la sua testa rossa
all'interno dell'armadio. Avrebbe dovuto trovare qualcosa di elegante
e non volgare, che sarebbe stato in grado di mandare fuori di testa
il chitarrista. Un paio di gambe scoperte ed una scollatura
mediamente pronunciata avrebbe fatto al caso suo.
«
No che non l'ho fatta! Questo ragazzo mi manderà al manicomio,
prima o poi. » si lamentò nuovamente Monique, mentre
Jessica, finalmente, si rialzava con un vestito elegante, bianco. «
Cosa ci dovrei fare con quello? » domandò con sguardo
indagatore la mora.
«
Indossarlo, mi sembra ovvio. » rispose con eccessiva
tranquillità Jessica, allungandole con un braccio quel
bellissimo capo.
«
Sei impazzita? Il bianco risalta ogni tipo di forma e di difetto! »
esclamò Monique, dopo aver sgranato gli occhi. Non l'avrebbe
messo neanche sotto tortura.
«
Tu sei proprio l'ultima ragazza che dovrebbe farsi questo tipo di
problema. Hai un fisico bellissimo, nonostante tu abbia partorito,
hai le forme giuste ai punti giusti, ergo, infilati questo vestito. »
«
Neanche se mi paghi. »
«
Ci sarà un motivo se l'hai comprato, no? Non penso per far
compagnia agli altri vestiti nell'armadio. »
«
Quando l'ho fatto non ero ancora incinta, ero immatura, ero fidanzata
con un maniaco sessuale e avevo la segatura al posto del cervello! »
«
Mi sa che un po' di quella segatura ti è rimasta. Muoviti ad
indossarlo! »
Inutile
dire che dopo non molti minuti Jessica era riuscita nel suo intento,
come al solito. Monique era sempre stata debole di polso con lei; non
sapeva per quale motivo, alla fine dei loro battibecchi, aveva sempre
la rossa la meglio. E ciò che le rodeva di più era che
aveva ragione!
Si
guardava attentamente allo specchio, girandosi di tanto in tanto per
osservare come le scendeva il vestito dietro alla schiena e doveva
ammettere che ancora una volta Jessica ci aveva preso. Era un abito
abbastanza stretto ma che le fasciava morbidamente il corpo,
risaltandone le forme, anche se non in modo eccessivo. La scollatura
non era molto pronunciata ma faceva intravedere un po' del suo
generoso decoltè. Non era nemmeno troppo corto dato che le
scendeva leggero fino a poco prima delle sue ginocchia.
«
Non è... Troppo elegante? Insomma, sembra che voglia fare
colpo su di lui a tutti i costi. » cercò lo sguardo di
Jessica e non si sorprese quando la scorse fissarla con un
sopracciglio inarcato ed il sarcasmo ad uscirle da tutti i pori.
«
Perchè, non è quello che vuoi? » le domandò
con malizia. Monique si sentì arrossire ma non rispose. «
Ah già, hai fatto colpo su di lui, secoli fa. » scherzò
nuovamente la rossa, beccandosi una pacca sul braccio da parte della
sua amica. « Stai benissimo. » sorrise infine. Monique
abbassò appena lo sguardo, sospirando lievemente.
«
Vorrei potermi godere quest'appuntamento senza pensieri. »
confessò.
«
C'è un modo. » le disse Jessica, al che la mora posò
nuovamente gli occhi su di lei. « Dimenticati di tutto ciò
che è successo in passato. Prendilo per quello che è,
fingi di conoscerlo solo ora. »
«
Fosse facile. »
Jessica
la prese delicatamente fra le sue braccia, per stringerla appena.
Sapeva che era agitata e che teneva particolarmente a quell'uscita e
ciò la faceva sorridere.
«
Forza, pensiamo al trucco! » esclamò poi, qualche
secondo più tardi.
Era
passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui aveva indossato
delle scarpe col tacco ma dovette ammettere che quella sensazione
ritrovata non le dispiaceva affatto. Camminava ancora con la giusta
sicurezza e ciò le fece tirare un sospiro di sollievo.
Qualunque pretesto, quella sera, sarebbe stato buono per farla
agitare ancora di più e farle desiderare che il chitarrista
non arrivasse.
«
Tei bella. » disse Eveline, dal divano, osservando la sua mamma
da capo a piedi.
«
Grazie, piccola. » le sorrise grata Monique, torturandosi le
mani.
«
Dove vai? » le domandò di nuovo la bambina, prendendo a
giocherellare con un lembo della maglietta di Jessica, comodamente
seduta affianco a lei, intenta a guardare un quiz televisivo.
«
Ehm, vado ad una cena di lavoro. » rispose non troppo convinta
la mora. Jessica, non appena udì tali parole, si voltò
nella sua direzione, fulminandola con lo sguardo. Sapeva che secondo
lei avrebbe dovuto dire la verità a sua figlia ma le pareva
ancora troppo presto ed Eveline si sarebbe sicuramente creata dei
film assai fantasiosi nella sua giovane mente. « Tu stai qui
con zia Jessica che ti prepara qualcosa di buono da mangiare, okay?
Io sarò di ritorno non troppo tardi, ma tu, per quell'ora,
sarai già nel letto, d'accordo, signorina? » continuò,
tornando ad osservare la bimba che, a quell'ultima raccomandazione,
gonfiò le guance piuttosto contrariata, come suo solito.
Monique sorrise appena, per poi darle un bacio sulla testa. «
Non darle da mangiare schifezze. » intimò
successivamente a Jessica, la quale la congedò con un gesto
svogliato della mano.
«
Tu invece fanne tante di schifezze. » commentò, coperta
di chili di malizia. Monique sgranò gli occhi, assumendo
un'espressione alquanto scandalizzata, per poi darle un'ennesima
pacca sulla nuca. Con Tom, quella sera, non avrebbe di certo fatto
schifezze, come le aveva definite la sua amica.
Proprio
in quel momento, il citofono trillò rumorosamente, facendola
saltare dallo spavento. Il cuore prese a batterle all'impazzata e le
gambe le divennero improvvisamente molli. Era come sentisse l'acido
lattico scorrere lungo esse ed una strana sensazione di formicolio su
ogni millimetro di pelle.
«
Beh... Vado. » annunciò, per poi deglutire più
volte la saliva. Salutò Jessica ed Eveline ed uscì di
casa. Prese un bel respiro e premette il tasto per chiamare
l'ascensore.
Stai
calma, continuava a ripetersi, è solo un'uscita... Una
normalissima uscita come tante altre.
Nel
momento in cui fece il proprio ingresso in quella scatola metallica,
esitò qualche secondo prima di schiacciare il pulsante che
l'avrebbe condotta al piano terra ma, dopo aver deciso di mandare
all'aria ogni sua paura, lo fece. Ad ogni minimo movimento
dell'elevatore e più questo si avvicinava a destinazione, il
fiato le veniva sempre meno. Se lo immaginava lì, fuori dal
portone, in tutta la sua bellezza e la sua dolcezza. Sentiva caldo al
solo pensiero.
Le
ante si aprirono davanti a lei e credette di svenire. Camminò
cercando di non barcollare dal nervoso sui propri tacchi, fino a che
non aprì il portone e si mostrò al mondo esterno.
Di
fronte a lei, trovò un Tom ancora più bello di come
l'aveva precedentemente immaginato: un enorme cappotto nero, lasciato
aperto, così da far intravedere la sua felpa dello stesso
colore, al di sotto di esso. I jeans scuri e meno larghi del solito
cadevano morbidi fino alle sue scarpe firmate Reebok. Una fascia nera
a coprirgli la fronte ed il luccichio del metallo dei suoi orecchini,
oltre essa.
Ora
posso morire in pace, pensò come rapita da tale visione.
Non era eccessivamente diverso da come lo vedeva tutti i giorni, ma
quella sera aveva un qualcosa di ignoto in più. Forse era
quell'aria serena ed emozionata quanto la sua a rendere il tutto
ancora più speciale.
«
Ciao. » le sorrise lui, con voce talmente calda da frastornarla
per un attimo.
«
Ciao. » ricambiò lei. Dopo un piccolo cenno del ragazzo,
lo seguì in direzione della macchina.
«
Stai molto bene. » le disse, nel momento in cui le aprì
la portiera dell'Audi, da gentiluomo.
«
Grazie. » rispose Monique, rossa in viso, mentre si sedeva al
suo posto, prima che Tom richiudesse la portiera e facesse il giro
dell'auto per salire dalla parte del conducente. Posò le
proprie mani congelate sulle gambe lievemente più scoperte,
dato che era seduta, e prese a torturarsele come non mai. Entrando in
macchina, il chitarrista si era trascinato dietro una magnifica scia
di profumo da uomo estremamente delicato ma per lei quasi
afrodisiaco. « Dove andiamo? » domandò un po'
impacciata, dopo che il ragazzo ebbe messo in moto.
«
In un ristorante non troppo al centro di Berlino; non vorrei ci
fossero paparazzi. È un po' più tranquillo ma molto
carino. » le rispose lui, tremendamente tranquillo e sereno.
Invidiava quella sua compostezza; ne avrebbe avuto disperatamente
bisogno, in quel preciso istante. « Eveline l'hai lasciata con
Jessica? » si informò lui, successivamente.
«
Sì, starà con lei finchè non torno. »
«
Le hai detto che esci con me? »
A
quella domanda, Monique sentì un brivido lungo la schiena e fu
costretta a prendersi qualche secondo di silenzio, prima di
rispondere.
«
Ehm, no. » fece imbarazzata. Vide Tom sorridere amaramente,
quasi impossibile da notare, mentre continuava a fissare concentrato
la strada.
Cretina,
pensò di nuovo. Sempre troppo sincera.
«
Bill sembrava una donnetta in calore. » ridacchiò poi,
come per cambiar discorso, il chitarrista. Monique ne fu rincuorata.
«
Perchè? » sorrise, osservandolo incuriosita.
«
Strillava e saltellava per tutto lo studio, sostenendo che ciò
che stavo facendo avrebbe portato alla caduta di un meteorite che
avrebbe sconvolto l'intera umanità, testuali parole. »
raccontò divertito. « Tutto per dire che non avevo mai
chiesto un appuntamento ad una ragazza, prima d'ora. »
aggiunse, provocando in Monique una scossa elettrica. « Ma il
peggio deve ancora arrivare: ha provato a farmi mettere la camicia. »
Monique
quasi si strozzò con la propria saliva. Il pensiero del
chitarrista in camicia bianca le faceva semplicemente andare in tilt
il cervello, mentre le sue gote prendevano fuoco. I ragazzi in
camicia erano un qualcosa che la mandava letteralmente fuori di
testa.
«
Ma tu hai già messo camicie larghe. » rammentò la
mora.
«
Sì, ma quella che voleva rifilarmi Bill era bianca, da sera e
decisamente più piccola dei miei standard. »
Non
me lo dire, pensò Monique, sentendo la pelle d'oca
espandersi sul suo corpo.
Non
appena giunsero a destinazione, Monique scrutò rapita il
ristorante al quale Tom aveva prenotato per la loro serata. Sembrava
molto carino, visto dall'esterno.
Si
strinse nel proprio cappotto bianco e si accinse a camminare affianco
al ragazzo, il quale le poggiò con leggerezza una mano sulla
sua schiena per scortarla all'interno del ristorante. Un
piacevolissimo tepore la travolse, non appena vi entrarono. Non era
grandissimo come posto, era molto intimo ed accogliente, proprio come
piaceva a Monique. Le luci attorno a loro erano di un colore tenue e
delicato, dalle tinte gialle e arancioni. Arrossì appena nel
constatare che la maggior parte della gente attorno a loro era
felicemente accoppiata; probabilmente, chiunque avesse visto lei e
Tom in quell'istante li avrebbe altrettanto scambiati per una coppia.
«
Vieni. » sentì il chitarrista a qualche millimetro dal
suo orecchio, dopo che ebbe finito di parlare con il proprietario del
ristorante. Le sue gambe si mossero come incontrollate, fino a
giungere ad un tavolo piuttosto appartato, dove lesse il cartellino
“Riservato”. Vide Tom togliersi la giacca per poggiarla sullo
schienale della sedia, così fece lo stesso. Si sentiva a
disagio con quel vestito addosso ed aveva timore ad incrociare lo
sguardo del chitarrista. Cercò di fare il tutto con calma, per
poi sedersi di fronte a lui con le guance colorite. Proprio come non
voleva accadesse, trovò il ragazzo scrutarla in viso con un
tenero sorriso sulle labbra. « Ti vedo agitata. » le
disse con dolcezza.
«
No. » si affrettò a negare lei.
«
Non pretendo nulla da quest'uscita, stai tranquilla. Ho semplicemente
voglia di stare un po' con te. » la rassicurò, al che
Monique sorrise annuendo.
L'atmosfera
si era fatta decisamente meno tesa. Le rispettive portate erano
arrivate al loro tavolo ed i due ragazzi avevano preso a mangiare,
continuando a chiacchierare serenamente, come non fosse mai successo
nulla in passato tra di loro; come si stessero conoscendo in quel
preciso istante, proprio come Jessica aveva suggerito a Monique. La
mora era sollevata per questo; sentiva decisamente meno l'ansia di
comportarsi in modo poco fraintendibile o quant'altro.
«
Stai scherzando? Hai messo davvero la pittura sulla sedia della
professoressa? » domandò Monique, sorpresa, tenendo la
forchetta a mezz'aria.
«
Se è per questo, anche la colla sulla maniglia della porta. »
disse di rimando il chitarrista con un sorriso furbetto sulle labbra.
« O la macchina di Gordon distrutta contro un albero. »
«
Immaginavo fossi uno scalmanato, ma non fino a questi livelli. »
ridacchiò quindi la mora, dopo essersi tamponata lievemente il
tovagliolo sulla bocca.
«
Ne ho fatte decisamente troppe. E tu, invece? » le domandò
successivamente il ragazzo. « Avrai fatto qualche cazzata nella
tua vita. »
«
Apparte farmi mettere incinta da un coglione, dici? Beh, ho provato
l'ebrezza di venire arrestata. »
A
quella confessione, Tom sgranò gli occhi.
«
Arrestata? » domandò incredulo.
«
Oh, sì. Avevo diciassette anni ed ero appena uscita da una
discoteca, completamente ubriaca. Ai tempi non frequentavo una
buonissima compagnia ed ero fidanzata con un ragazzo decisamente poco
a posto. »
«
Non era Christian? »
«
Non era Christian. Lui aveva diciotto anni, quindi guidava la
macchina. Con noi erano saliti in auto altri quattro amici, tutti
schiacciati sui sedili posteriori. Nemmeno il mio ragazzo, Lucas, era
tanto lucido; così, mi ha fatto sedere al posto di guida,
esortandomi a mettere in modo e far vedere quello che sapevo fare.
Non avevo mai toccato un volante, prima di allora, e l'alcol non mi
aiutava. Insomma, guidavo in modo decisamente spericolato, facendo a
zig zag per la strada – fortunatamente era notte fonda e non
passava quasi nessuno – fino a che non ci siamo trovati davanti una
macchina della polizia. Insomma, ho fatto un salto alla centrale e
poi i miei sono corsi a prendermi decisamente delusi e neri di
rabbia. »
«
Però! La precisa e diligente signorina Schmitz ne ha fatte di
peggiori delle mie! Sono piacevolmente sorpreso. » Monique
ricambiò quel sorriso, piuttosto divertita. « Come mai
ti sei sempre presa ragazzi poco affidabili? » chiese poi il
chitarrista.
«
Non ne ho idea; si vede che ho una calamita per gli scapestrati. »
sorrise ironica la ragazza.
«
Io non sono scapestrato. » commentò Tom, con malizia.
«
Smettila. » gli intimò lei, imbarazzata.
«
Tanto ormai lo sai che mi piaci. »
Monique
cercò di ignorare quelle parole, anche se il cuore, nel suo
petto, stava dando letteralmente i numeri. Lo adorava quando si
comportava a quella maniera, quando si toglieva ogni maschera e le
parlava senza filtri, esternando semplicemente ciò che sentiva
dentro.
«
E tu non hai mai avuto una relazione seria con una scapestrata,
invece? » cercò di continuare il discorso precedente,
per uscire da quell'impaccio, anche se non era molto sicura di
volerlo sapere.
«
Tante scapestrate, ma nessuna storia seria. » rispose Tom,
giocherellando con un lembo della tovaglia. « Non ne ho mai
trovata una che mi avesse fatto perdere seriamente la testa. »
«
O forse sei tu che hai sempre voluto scappare. » sorrise appena
la ragazza.
«
Può darsi. » annuì con estrema tranquillità
il chitarrista. « Ma ora mi sono un po' stufato di farlo. »
aggiunse, osservando distrattamente il proprio bicchiere.
«
Bravo. »
A
quella piccola presa in giro, Tom non poté fare a meno di
sorridere divertito, rispondendo un “grazie” decisamente ironico.
Una
volta terminato di cenare, Tom pagò da bravo gentiluomo il
tutto, per poi invitare Monique ad uscire dal ristorante. Entrambi
cercarono di raggiungere l'auto del chitarrista il più in
fretta possibile, per evitare presenze di paparazzi o ragazze
isteriche. Una volta che si fu chiusa in macchina, assieme a lui, la
ragazza sfregò fortemente le mani sulle sue gambe scoperte,
con l'intento di alleviare quel gelo insopportabile di Berlino. Tom
quindi accese il riscaldamento, attendendo qualche attimo prima di
mettere in moto e partire verso una meta sconosciuta.
«
Se non riesci a scaldarti, ho una copertina, qui dietro. » le
disse con dolcezza il ragazzo, sfregandosi le mani, poiché
anche lui accusava molto il freddo.
«
No, no, mi sto già scaldando. » sorrise di rimando
Monique, cominciando ad avvertire quel piacevole tepore lambirle la
pelle infreddolita, mentre nascondeva le proprie mani fra le
ginocchia. Notò Tom sorriderle appena, per poi afferrarne
delicatamente una, facendo ben attenzione a non sfiorare nemmeno per
sbaglio le sue gambe, e la nascose fra le sue, con l'intento di
infonderle maggior calore. Sapeva che Monique non ne aveva bisogno e
che con quel semplice contatto aveva già preso fuoco da un bel
pezzo, ma gli piaceva tremendamente avvertire il contatto della pelle
liscia della mora contro la sua.
Lei,
dal suo canto, nonostante si sentisse particolarmente a disagio, non
mosse un muscolo e non provò tanto meno a liberarsi da quella
dolce presa protettiva.
Doveva
ammettere che per quanta fiducia lei volesse riacquistare, si sentiva
sempre al sicuro con lui. Era l'unica persona in grado di farla
sentire a casa, sempre e comunque. Era l'unica persona che con un
semplice sguardo riusciva a renderla tranquilla, in tutto ciò
che faceva.
Sentiva
le leggere carezze del ragazzo sulla sua mano e non poté fare
a meno di sorridere, pensando a quanta dolcezza fosse capace di
racchiudere in se stesso, per poi esternarla in quelle occasioni, in
modo così naturale, così innocente ed inaspettato.
«
Hai le mani piccole. » constatò improvvisamente il
ragazzo, come fosse la prima volta che lo notava davvero. Monique
abbassò incuriosita lo sguardo sulle loro dita intrecciate:
sembravano fidanzati sul serio.
«
Beh, più piccole delle tue, decisamente! Sono enormi! »
ridacchiò la mora. Tom la seguì appena, senza staccare
lo sguardo da quella stessa direzione.
«
Che dici, facciamo un giro in macchina? Mi spiace che non possiamo
camminare, ma non posso seriamente rischiare. » le disse
successivamente il chitarrista, sciogliendo dolcemente
quell'intreccio e portando poi le mani al volante, pronto per
partire.
«
Figurati, lo capisco. » si affrettò a tranquillizzarlo
Monique, mentre prendevano a muoversi lungo la strada. Restarono
qualche secondo in silenzio, forse a meditare su qualche buon
argomento da tirare fuori in quella situazione. Forse si erano resi
entrambi conto che prima o poi avrebbero dovuto – o comunque
sarebbe stato lecito – parlare di quella questione così
seria che li tormentava. Il problema era che nessuno dei due aveva
idea di come tirare in ballo il discorso.
Monique,
dal suo canto, aveva tanti punti interrogativi che il chitarrista le
avrebbe dovuto inevitabilmente chiarire. Eppure aveva come paura di
turbarlo a causa di particolari parole.
Sospirò
appena.
Era
inutile; quella domanda era lì, sulla punta della sua lingua e
voleva dannatamente uscire allo scoperto.
«
Se io ti chiedessi cosa ti aspetti da me, quali sono le tue idee su
noi due... » la lasciò comunque in sospeso, pregando
affinché il ragazzo ci arrivasse da solo. Lo vide osservarla
attentamente di sbieco, come a dosare pensieri e parole da
confessare. Come a non voler partire in quarta, come suo solito,
arrivando a spaventarla o deluderla di nuovo. Poi tornò ad
osservare la strada e prese a parlare.
«
Sarò sincero con te, come ho deciso di esserlo in tutto e per
tutto ultimamente. Mi fa un po' paura tutto questo. Se tu mi chiedi
cosa mi aspetto da noi due, mi viene subito da risponderti che voglio
stare con te e non in senso astratto o metaforico. Poi mi ricordo
delle cose che ti ho detto in aeroporto e mi rendo conto che quelle
stesse parole potrebbero valere anche ora, poiché non ho
cambiato lavoro. Forse ho cambiato semplicemente modi di fare,
abitudini; intendo dire che non vedo e non sento più nessuna
groupie già da un bel po', ormai, anche perchè ho
deciso di concentrarmi solo ed esclusivamente su di te. »
A
quelle parole, Monique si sentì arrossire. Nonostante il
vestito le lasciasse scoperta buona parte della sua pelle, percepiva
una sensazione di calore quasi insopportabile. E non era il
riscaldamento presente in quella macchina.
«
Ma, se ti fa così paura allora... Perchè insistere? »
domandò ingenuamente lei.
«
Perchè ho una dannata voglia di cambiare, Monique. Mi sono
stufato di recitare la parte di un ragazzo che non sono, solamente
per fare un piacere ai giornali o alle fans che non mi vorrebbero
assolutamente vedere impegnato con nessuna. Anch'io ho una vita e dei
sentimenti, esattamente come loro. È vero, ho sempre voluto
allontanarmi da tutto questo, ma non ho mai affermato di esserne
felice. »
Monique
si prese ancora qualche attimo, meditando sulle sue parole. Lo
capiva; riusciva a capirlo e ciò era importante. Il fatto che
lui ci volesse comunque provare era lodevole.
«
Quando ti ho chiesto di darmi modo di fidarmi di te... L'ho fatto
perchè, ammetto, l'idea di una nuova storia, dopo quella di
Christian, mi spaventa. Perchè nella mia vita non ho mai avuto
certezze dai ragazzi con cui sono stata, soprattutto da Christian,
che mi ha abbandonata anche di fronte ad un qualcosa di grande come
la nascita di Eveline. Avrei il perenne timore che tu possa fare lo
stesso, capisci? » mormorò timidamente, tornando ad
osservarlo con insicurezza. Gli occhi del chitarrista si posarono di
nuovo un momento su di lei, con una dolcezza quasi del tutto nuova.
«
Io ho smesso di farti soffrire, Monique. Credimi, è l'ultima
cosa vorrei accadesse ed è questo forse l'unico fatto che mi
frena ancora un po', con te. Non perchè non sono sicuro dei
miei sentimenti, anzi... Forse quelli rappresentano l'unica mia
certezza, in questo momento. La mia paura è semplicemente
quella di farti soffrire involontariamente e non parlo
necessariamente di tradimento. Ho paura di non essere all'altezza, ho
paura di non riuscire a darti quello di cui tu hai bisogno
giornalmente, non so se sono il ragazzo giusto per te, però...
Vorrei tanto provarci. Almeno quello. Vorrei poterti dimostrare di
essere in grado di prendermi cura di te. E non voglio dimostrarlo
solo a te, ma anche a me stesso. Voglio davvero credere di essere in
grado di fare tutto questo, come tanti altri ragazzi della mia età.
»
Monique
non poté fare a meno di sentirsi rapita da tali parole. Si
sentiva tutto ad un tratto più importante ed i suoi muscoli
avrebbero voluto gettarsi addosso a lui. Eppure quelle sue solite
incertezze le annebbiavano la mente.
«
Ma se dovessi stufarti di me... » cominciò, mogia.
«
Perchè pensi in anticipo a queste cose? E poi tu non sei un
pupazzo che posso usare a piacimento e che butto via non appena non
ho più voglia di averlo tra i piedi. Non mi chiamo Christian.
» disse lui con espressione sprezzante, a quell'ultimo nome.
«
Ma se tu dovessi sentire la mancanza delle tue libertà, delle
tue abitudini... »
«
Mio fratello mi ha detto che stare assieme a qualcuno è
tremendamente appagante, che ti rende felice con poco e che non ti fa
sentire in gabbia. »
«
Ha ragione, ma forse, per chi non è abituato... »
Non
riuscì a terminare la frase, poiché la macchina, con
una frenata quasi brusca, accostò affianco ad un marciapiede.
Si voltò in direzione di Tom, il qualche aveva spento il
motore e si era girato completamente verso di lei, con espressione
crucciata.
«
Non mi fare così incapace, Monique, ti prego. Ho ventidue
anni, non tre. Capisco perfettamente da solo se mi interessa
seriamente una persona, se vale la pena stravolgere la mia vita per
lei e se mettermi in gioco in questo modo. Sono grande abbastanza per
questo, per decidere se sono seriamente pronto oppure no. » le
disse con inquietante serietà. « Se io, in questo
momento, ti guardo negli occhi e ti dico che ho una voglia matta di
stare con te, di stringerti, baciarti, fare l'amore e sentirti mia
una volta per tutte, mi credi o pensi siano stupide frasi di
circostanza, pronunciate da un ragazzino immaturo? » Monique si
sentì trafitta da una violenta scarica elettrica. «
Frasi che, per la cronaca, non ho mai detto a nessuno, in vita mia. »
aggiunse il ragazzo, più pacato, quasi in imbarazzo.
Sentiva
il cuore batterle all'impazzata nel petto. Erano le esatte parole che
già molto tempo prima avrebbe pagato per sentirsi dire.
Percepiva le proprie guance infuocarsi repentinamente e se non fosse
stato per il suo autocontrollo, avrebbe messo in atto ogni singola
azione che il ragazzo le aveva detto di voler fare con lei. Non
voleva essere avventata, così si limitò al silenzio,
sorridendo appena e tornando ad osservare la strada di fronte a sé,
mentre Tom rimetteva in moto.
Probabilmente
erano fermi, in macchina, già da cinque minuti ormai, ma
nessuno dei due aveva intenzione di salutare l'altro. Non si erano
detti granché; a dire il vero non aveva proferito nemmeno
mezza parola, poiché il silenzio era stato il vero
protagonista dall'ultimo suono che Tom aveva emesso, prima di
rimettere in moto. Aveva deviato in modo quasi automatico verso casa
della mora: immaginava la serata si fosse conclusa lì, con
quella sua ennesima dichiarazione. Eppure non vi era tensione
all'interno di quell'Audi. Erano semplicemente fermi, immobili,
intenti ad osservare di fronte a loro, in silenzio, ognuno con
pensieri forse differenti nella testa.
Tom
aveva notato il lieve sorriso involontario di Monique sul suo volto,
ma non le disse niente comunque, nonostante ciò provocasse in
lui una sorta di sollievo, constatando che sembrava non essere
turbata ma, anzi, compiaciuta.
Potrebbe
essere la prima volta che parli e non fai danno; bravo, Tom, si
disse nella mente il ragazzo, con una buona dose di ironia.
«
Beh, allora io... Vado. » spezzò improvvisamente il
silenzio Monique, dopo aver preso una buona boccata di ossigeno.
Quella frase pareva più detta a se stessa, come una sorta di
auto convinzione. Eppure le sue gambe non accennavano a muoversi;
forse perchè sperava in un qualche gesto da parte del
chitarrista, ma si sentiva sempre più sconfortata all'idea che
questo non arrivava. « Grazie per la serata, sono stata bene. »
vide semplicemente il ragazzo annuire, come pensieroso, ed una nuova
fitta al petto la prese alla sprovvista. Mentalmente lo implorava di
fermarla o dirle almeno qualcosa. Non poteva credere che avrebbe
concluso quella bellissima serata in quel modo così assurdo.
Ma quando perse del tutto le speranze, posò una mano sulla
maniglia della portiera. « Buona notte. »
Non
si ricordò più dove finì quella portiera. Non si
ricordò dove finì la visuale di casa sua. Sentì
semplicemente una forte – ma al contempo delicata – presa sul suo
polso, intenzionata a fermarla, ed il suo cuore non fece quasi in
tempo a battere veloce, che le labbra del chitarrista si erano
fiondate sulle sue.
Di
nuovo quel profumo che, dopo tanto tempo, ancora era impresso nella
sua mente. Ancora quella morbidezza e quel calore che la sua bocca
era in grado di trasmettere. Ancora quella stordente dolcezza di cui
si impregnavano i baci di Tom.
Si
trovò semplicemente catapultata in un altro mondo. Era stato
tutto così inaspettato, ma così fortemente desiderato,
al tempo stesso.
Chiuse
gli occhi e non perse tempo ad avvolgere il collo del ragazzo con le
proprie braccia tremanti, mentre quel baco si trasformava in un
qualcosa di estremamente passionale, ma senza abbandonare quella
delicatezza in grado di rendere il tutto ancora più speciale.
I
neuroni della mora avevano ufficialmente dato le dimissioni,
nell'esatto momento in cui aveva percepito i denti e la lingua del
ragazzo lambirle con gentilezza il labbro inferiore, per poi
racchiuderla di nuovo in una morsa possessiva, dalla quale certamente
non si sarebbe ritratta.
Non
riuscì a capire se nel suo cuore era più forte
l'improvvisa felicità, l'improvvisa pazzia, o il timore che di
lì a poco Tom si sarebbe staccato da lei.
Quel
bacio racchiudeva mille significati, mille sentimenti repressi per
tanto, troppo tempo, da parte di entrambi e avrebbero dovuto
esternarne ancora innumerevoli.
Improvvisamente
però l'ossigeno venne a mancare da tutte e due le parti, cosa
che li costrinse a separarsi, mentre il dolce suono di uno schiocco
umido perforava le loro orecchie, facendoli timidamente sorridere.
Monique si beò ancora per qualche istante delle carezze sul
suo viso, da parte del chitarrista, fino a che quest'ultimo non
ricambiò il suo precedente saluto: « 'Notte. »
Scendere
dalla macchina e varcare la soglia del suo condominio si rivelò
molto più arduo del previsto, mentre il tempo veniva scandito
dai battiti accelerati del suo cuore, salitole sino in gola, e le sue
orecchie si dedicavano ancora qualche istante al rombo del motore
dell'Audi che ripartiva, allontanandosi velocemente da lei.
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Capitolo 14 *** Fourteen. ***
14
Fourteen.
«
Monique, ti si sta bruciando il caffè. »
Quell'improvviso
richiamo la fece alzare dalla sedia con un balzo, per affrettarsi a
raggiungere i fornelli e spegnere il fuoco.
Era
distratta. Ma per la prima volta era distratta positivamente.
I
suoi pensieri vorticavano ancora attorno a quel bacio, avvenuto così
inaspettatamente da farle salire il cuore in gola, al solo ricordo.
Rammentava perfettamente la dolcezza con la quale il chitarrista
l'aveva arpionata a sé ed il buon profumo che la sua pelle
emanava.
«
Sei distratta. » le fece notare nuovamente Jessica, mentre lei
versava il caffè bollente in due tazzine.
«
No, ho solo un po' sonno. » rispose la mora, piuttosto vaga.
Appena
tornata a casa, la sera prima, aveva trovato Jessica teneramente
addormentata sul divano – forse con l'intento di attendere il suo
arrivo – ed Eveline nelle medesime condizioni, rifugiata in camera
da letto. Aveva quindi deciso di non svegliare la rossa ed andare a
stendersi affianco a sua figlia, sebbene quella notte si prospettasse
insonne. E così era stato: non aveva chiuso letteralmente
occhio. Aveva passato le ore ad osservare disinteressata il soffitto,
continuando a rivedere l'immagine di lui e lei, lì, sul muro
bianco sopra di sé.
Si
sentiva tremendamente emozionata. Per la prima volta aveva voglia di
viversi il momento, tralasciando il timore di essere presa in giro o
arrivare a soffrire di nuovo; semplicemente perchè Tom
riusciva ad infonderle tanta sicurezza e tutte quelle parole,
pronunciate la sera prima con gli occhi fissi sui suoi, le erano
sembrate totalmente prive di falsità.
«
Non mi hai raccontato com'è andata ieri sera. » sorrise
maliziosa, all'improvviso, la rossa, dopo aver preso a sorseggiare il
suo caffè, seduta al tavolo, di fronte alla sua migliore
amica. Monique arrossì repentinamente. « Uh, sento che è
successo qualcosa di molto interessante. Confessa, hai fatto
schifezze, come ti avevo detto! » esclamò entusiasta e
la mora non poté fare a meno di prendere fuoco sul viso.
«
Ma quali schifezze! Non ho fatto nessuna schifezza. » si
difese.
«
Però è successo dell'altro, ti si legge in faccia. »
sorrise nuovamente Jessica, con quell'espressione furba in volto,
tipico di una persona che ha già capito tutto. Monique fece un
bel sospiro e poi sorrise.
«
Sì. » ammise, al che la rossa esultò con un
gridolino ed un battito di mani. « Eravamo in macchina a
parlare, dopo cena. Avevamo deciso di farci un giro. Abbiamo
cominciato un discorso piuttosto serio, riguardo noi due. Io volevo
delle certezze e devo dire che lui me le ha date. Dice che non è
sicuro di essere il ragazzo giusto per me ma che ci vuole provare. Mi
ha fatto intendere che con me non vuole una semplice storiella, ma
qualcosa di serio. » prese a raccontare con gli occhi che le
brillavano, mentre Jessica la fissava curiosa, con un sorriso enorme
disegnato sul volto. « Una volta arrivati davanti casa, ci
siamo ritrovati in imbarazzo ed in silenzio, forse per il precedente
discorso, forse perchè non ci volevamo salutare, forse perchè
non sapevamo come farlo. Sta di fatto che prima che io potessi
scendere dalla macchina, mi ha presa e mi ha baciata. »
concluse, con il cuore impazzito.
Era
assurdo che provasse quelle forti emozioni per un semplice bacio. Era
in quei momenti così strani, che si sentiva un'adolescente al
primo amore. Questa cosa le piaceva perchè voleva dire che le
sue emozioni non erano morte e sepolte, ma erano ancora lì,
vive, nel suo cuore, pronte ad uscire allo scoperto e regalarle
gioia.
«
Finalmente! Il nostro treccina si è dato una santa
mossa! » esclamò la rossa, spalancando le braccia in
aria. « E quindi, ora? » domandò successivamente,
tornando a sedersi composta. Monique prese a fissare il vuoto.
Già,
e ora? Non lo sapeva nemmeno lei cosa sarebbe successo, ma non voleva
preoccuparsene. Aveva constatato che troppa razionalità le
faceva male e che sarebbe stato necessario un po' più di
istinto.
«
Ora non lo so. Vedrò come si comporterà tra poco, in
studio. Non penso faccia di nuovo finta di niente, come tutte le
altre volte. Ieri sera mi è sembrato molto convinto di ciò
che stava facendo ed i suoi occhi non mostravano segni di pentimento,
subito dopo. Voglio stare tranquilla, non voglio crucciarmi prima del
dovuto. » decise di rispondere, con estrema calma.
«
Questa nuova Monique mi piace molto. » sorrise Jessica,
tornando poi a bere il suo caffè, ormai tiepido.
Riusciva
a camminare per miracolo, poiché il lieve tremore alle gambe
non cessava.
Stava
attraversando il vialetto che l'avrebbe condotta alla porta dello
studio di registrazione. Eveline era rimasta a casa con Jessica, la
quale si era offerta di tenerla poiché riteneva che la mora
avrebbe dovuto occuparsi delle sue faccende sentimentali, per lo meno
quel giorno.
Si
sentiva piacevolmente nervosa; certo il timore di ricevere una brutta
sorpresa era sempre lì, dentro di lei, ma questa volta cercava
di sorridere ugualmente. Voleva prendere il tutto con diverso spirito
e sentiva che ci sarebbe riuscita e che avrebbe finalmente cominciato
a vivere meglio.
Suonò
il campanello, come sempre, per poi aprire la porta con le chiavi.
Suonare il campanello era per lei di vitale importanza. Voleva come
avvisare tutti quanti che stava entrando, poiché non si
sarebbe mai permessa di farlo senza, nonostante il manager le avesse
dato il via libera più volte.
Quando
varcò la soglia trovò proprio David venirle in contro
con un gran sorriso.
«
Buon giorno, Monique. » la salutò con la sua solita
gentilezza. « Ti aspetta una lunga e dura mattinata. »
ridacchiò successivamente, mentre la mora appendeva il suo
cappotto sull'appendiabiti, all'ingresso.
«
Mezza tonnellata di lettere di fan impazzite da tradurre? » si
informò divertita.
«
Togli pure quel mezza. » sorrise amabile il manager.
«
Oh, allora è tutto regolare. » scherzò quindi
Monique, per poi prendere a camminare verso il suo ufficio.
«
Hai già fatto colazione? »
«
Sì, grazie, David. I ragazzi sono in cucina? »
«
Sì, sono tutti lì, uno più rimbambito
dell'altro. Non so che facciano la notte per svegliarsi sempre così.
»
«
Preferirei non saperlo. » Risero qualche istante, fino a che
David non le augurò “buon lavoro” per poi dileguarsi nel
suo ufficio. Monique prese un bel respiro e si affacciò in
cucina. « 'Giorno! » salutò con espressione
decisamente più solare del solito. Trovò Bill e Gustav
a darle le spalle, seduti al tavolo, e Georg e Tom posizionati di
fronte a loro.
Non
appena gli occhi del chitarrista la perforarono, il cuore fece un
balzo nel suo petto. Lo vide sorriderle dolcemente, cosa che la
tranquillizzò: era tutto a posto.
«
Buon giorno, Monique! » la salutarono in coro, eccetto Tom che
si limitava a guardarla con un sorriso ebete in volto. Ciò la
fece quasi ridere.
«
Come stai? Passato un bel fine settimana? » le domandò
Gustav.
Studiò
attentamente la sua espressione, cercando di avvertire qualsiasi
sfumatura ironica o maliziosa. Non riusciva a capire se sapesse o
meno di ciò che era successo con Tom; decise quindi di fare
finta di nulla.
«
Sì. » si limitò ad annuire, per non destare alcun
sospetto. « Beh, volevo salutarvi, ora mi metto al lavoro. »
aggiunse successivamente, per poi congedarsi con un sorriso ed uscire
dalla cucina.
Tirò
un sospiro estasiato. Rivedere Tom era stato come prendere una
boccata d'aria, dopo ore di asfissia. Aveva bisogno di rivedere il
suo sguardo per accertarsi che ciò che aveva vissuto la sera
prima era vero e sicuro; voleva leggerlo nei suoi occhi sinceri.
Quando
giunse nel suo ufficio, si posizionò di fronte alla scrivania
in modo da riordinare nella cartellina alcuni fogli lasciati liberi
mentre l'occhio le cadde sulla pila di lettere posizionate a lato,
pronte per essere lette e tradotte. Sì, erano decisamente
tante.
Improvvisamente,
un tocco delicato ma rovente si posò sui suoi fianchi. Il suo
corpo si irrigidì in automatico nel momento in cui lo
sentì semplicemente respirare, dietro di sé. Doveva
ancora abituarsi a quella situazione, nonostante non fosse successo
nulla di così eclatante, ma il pensiero che con il chitarrista
sarebbe iniziato apparentemente un tipo di rapporto decisamente più
intimo le faceva impazzire il cervello.
«
Ciao. » la salutò, sempre alle sue spalle, con voce
dannatamente roca. Non voleva apparire sensuale, ma ciò di cui
forse non si rendeva conto era che vi appariva in ogni cosa che
faceva, sempre e comunque.
«
Ciao. » rispose lei, tentennante, mentre si voltava nella sua
direzione ed il ragazzo non staccava le proprie mani dal suo corpo.
Gli occhi di Tom erano sereni e la osservavano con una nuova luce.
Erano diversi, erano spensierati, privi di ogni malessere.
«
Non mi hai salutato. » le disse con dolcezza.
«
Sì che ti ho salutato, prima, assieme agli altri. »
ribattè accigliata la mora, non capendo cosa intendesse dirle.
Il ragazzo, dal suo canto, le sorrise teneramente, per poi abbassarsi
sul suo viso e sfiorarle l'angolo della bocca con le labbra morbide.
Monique
si sentì stordita per un attimo. Non era più abituata a
quei saluti mattutini particolarmente appaganti e doveva dire che,
nonostante tutto, non le dispiacevano affatto.
Si
spostò appena per far sì che le sue labbra
combaciassero perfettamente con quelle di Tom, potendolo così
baciare come preferiva. Fu breve ma le lasciò comunque un
marchio infuocato, dentro di sé.
Quando
si staccarono, si sorrisero con gli occhi.
«
Ora va meglio. » affermò il chitarrista, piuttosto
soddisfatto, per poi allontanarsi da lei e dare un'occhiata a ciò
che la sua scrivania presentava. « Oh, vedo che hai un bel da
fare. » commentò divertito, osservando il mucchio di
lettere che già da qualche minuto stava lanciando fulmini e
saette, in direzione di Monique.
«
Già, per colpa vostra e del vostro dannato fascino. »
scherzò la mora, mentre faceva il giro della scrivania, per
sedersi sulla sua poltrona in pelle, pronta a mettersi al lavoro.
«
Accetto volentieri i complimenti impliciti. » sorrise di
rimando il chitarrista, rimanendo in piedi, di fronte a lei, al di là
del tavolo. « Perchè non hai portato Eveline? Avevo
voglia di vederla. » aggiunse poi.
Monique
arrossì troppo velocemente, al pensiero delle parole di
Jessica, riguardanti il fatto che avrebbe voluto che lei e Tom
avessero un po' di tempo per parlare e chiarire la loro situazione
sentimentale con calma e senza momentanei impedimenti.
«
Diciamo che Jessica voleva che io, stamattina, mi occupassi di...
Altro. » ammise, arrossendo sempre più vistosamente,
mentre cercava di nascondere il suo imbarazzante stato, abbassando la
testa. Tom sembrò decifrare quella strana frase ed il suo viso
si distese in un semplice sorriso.
«
D'accordo, all'ora della pausa, ci occuperemo di altro. »
le disse, senza malizia, poiché non intendevano nulla di
malizioso, se non una semplice conversazione per mettere in chiaro
alcune cose, dato che tutto era successo all'improvviso ed
inaspettatamente. « Ora ti lascio lavorare in pace. A dopo. »
le sorrise successivamente, per poi sparire oltre la porta del suo
ufficio.
Avrebbe
retto fino alla pausa?
Gli
occhi cominciavano ad inumidirsi per lo sforzo, portandola a sbattere
più volte le palpebre, segno che la stanchezza l'aveva ormai
irrimediabilmente presa e che era giunto il momento di staccare per
un attimo il proprio sguardo da quelle dannate lettere. Portò
le braccia al di sopra della sua testa per allungare i muscoli con un
sospiro esausto; aveva passato due ore buone curva su quella
scrivania, senza mai prendersi una meritata pausa ed ora il suo
fisico e soprattutto la sua mente ne stavano risentendo. Si alzò
dalla sedia e si diresse verso la porta del suo ufficio, lasciata
costantemente aperta – per scambiarsi occhiate con il chitarrista
ogni qual volta lui passava, ma questo non l'avrebbe mai confessato,
nemmeno sotto tortura –, imboccando poi il corridoio che l'avrebbe
condotta in salotto: era sicura che avrebbe trovato qualcuno, lì
dentro. Infatti, non appena si affacciò al suo interno, vi
trovò Gustav, pesantemente disteso sul divanetto, con una
cuffia dell'i-pod in un orecchio.
«
Hey. » le sorrise il ragazzo, non appena la vide, illuminandosi
in un sorriso. « Vieni a sederti vicino a me. » le disse
poi, battendo appena una mano sul morbido divano, affianco a sé.
Monique ricambiò quel dolce sorriso e gli si avvicinò,
fino a sedersi. « Che occhietti. » commentò
intenerito il batterista, dopo averla osservata attentamente in
volto.
«
Tutte le vostre dannate fans. » sorrise Monique, poggiando poi
la testa sullo schienale, dietro di lei. Sentì Gustav ridere
appena.
«
Arriverai mai ad amarle, un giorno? » le domandò,
divertito.
«
Credo mi sia impossibile. » scherzò quindi la mora,
voltando il viso nella sua direzione, per guardarlo negli occhi. «
Bill è a procreare? » chiese poi, piuttosto incuriosita,
visto che non vedeva l'ombra né del vocalist, né di
nessun altro.
«
Sì, dice che gli è venuta un'illuminazione improvvisa
per una nuova canzone. Mi spaventa quando fa così. »
«
Tanto si sa che, alla fine, ne viene fuori un testo schifosamente
meraviglioso, sempre e comunque. »
«
Già, almeno una nota positiva. » Si dedicarono qualche
secondo ad un innocuo silenzio, fino a che il biondino non riprese a
parlare. « Ti ho vista particolarmente raggiante, al tuo
arrivo. » esortò, cogliendo alla sprovvista Monique, la
quale si accese repentinamente di un colore tendente al fucsia. «
Qualche novità? » le domandò poi, con
un'espressione decisamente troppo furba per i gusti di Monique.
Doveva
senz'altro sapere.
«
Gustav... Sai per caso qualcosa che non dovresti sapere, che io non
so che tu sai? » indagò con un tremendo giro di parole e
con gli occhi ridotti a due fessure. A quel punto, il batterista
scoppiò a ridere.
«
Sì, effettivamente so qualcosa che non dovrei sapere, che tu
non sai che io so. » la prese in giro. Monique non seppe se
esserne contenta o meno.
Doveva
vergognarsi? Doveva esprimergli quanto stupidamente emozionata fosse,
come una ragazzina alla sua prima cotta?
«
Oh, e... Cosa sai, precisamente? » domandò di nuovo,
cauta.
«
Che sei riuscita a far diventare un'ameba l'indistruttibile SexGott.
» le sorrise, al che lei desiderò scavarsi una fossa
dalla vergogna.
«
E questo è... Positivo? »
Gustav
scoppiò a ridere, decisamente divertito da quella timida
curiosità.
«
Ma certo! » esclamò entusiasta.
«
No, sai, perchè io le amebe le trovo disgustose. »
Quell'affermazione fu un pretesto per un'ulteriore risata da parte
del batterista. « Felice di divertirti. » sorrise la
ragazza.
«
Sei tenera, Monique. Non mi è difficile capire il motivo per
cui tu piaccia così tanto a Tom. » Monique arrossì
ulteriormente, abbassando lo sguardo. « Ti ricordi quella sera,
in albergo, quasi due anni fa... Quando ti dissi che era solo
questione di conoscenza? Che Tom non era così perfido come lo
vedevi? » le domandò quindi.
Monique
sorrise appena, a quel ricordo, risalente ai primissimi tempi, quando
il chitarrista era solito comportarsi in modo odiosamente scontroso
con lei e lei si spaccava la testa per capirne il motivo,
inutilmente.
«
Sì. » rispose.
«
Voglio un bacio bello grande qui! » le disse quindi con enfasi,
battendosi più volte un dito sulla guancia, sporta nella
direzione della mora.
«
D'accordo, avevi ragione, GusGus. » ammise divertita lei, prima
di schioccargli quel bacio richiesto sulla pelle. « Grazie! »
borbottò ancora. Gustav era sempre più divertito da
quella situazione, ma al contempo soddisfatto, poiché con lei
ci aveva visto lungo, sin dall'inizio.
Finalmente
lo trovò in giardino, a darle le spalle, intento a fumarsi una
sigaretta, ed il suo cuore prese a ballare la Samba. Si avvicinò
con cautela al chitarrista, senza mai staccare i propri occhi dalle
sue spalle così larghe e ben proporzionate al resto del corpo,
proprio come piacevano a lei.
«
Finirai per carbonizzarteli, quei poveri polmoni. » esortò
con un sorriso spontaneo in volto. Vide il ragazzo sussultare appena
per poi voltarsi nella sua direzione con sguardo sorpreso. Non appena
la vide, le sorrise a sua volta.
«
Fino ad ora, non si sono mai lamentati. » rispose dolcemente.
«
Speriamo non lo facciano mai. » concluse, una volta giunta di
fronte a lui.
«
Hai finito di tradurre quel macigno? » le chiese quindi, dopo
aver preso un'altra boccata di fumo ed averla liberata attraverso le
sue labbra.
«
Diciamo che sono a buon punto. Non mi manca molto ma avevo un
disperato bisogno di staccare. »
«
Trovato qualcosa di interessante? »
«
Apparte un quarto buono di lettere dove ti invitano ad un po' di
selvaggio sadomaso, assieme a loro? Mmm, forse solo una richiesta per
Georg, il quale dovrebbe tagliarsi una ciocca di capelli e spedirla
ad una certa Raja. »
Tom
scoppiò a ridere, senza curarsi del fatto che in quel modo
Monique avrebbe potuto perdere ogni capacità intellettiva.
«
Non lo farebbe mai. » commentò, piuttosto divertito. «
Per il sadomaso ci potrei pensare... » aggiunse poi,
scrutandola di sbieco, con un sorrisetto furbo in volto.
Ti
sta solo provocando, si disse nella mente la mora, per non
prenderlo a cazzotti.
«
Bene, divertiti allora. » rispose con una scrollata di spalle
proprio lei, cercando di non far notare il fastidio che le si era
propagato dentro, all'affermazione del ragazzo.
«
Guarda che scherzavo. » mise in chiaro lui, cercando di capire
se si fosse offesa o meno.
«
Non mi ero mica incazzata. » mentì la mora, distogliendo
lo sguardo e concentrandosi su un paio di uccellini che cinguettavano
dall'alto del ramo di un albero a qualche metro di distanza da loro.
Sentì l'improvviso tocco della mano di Tom fra i suoi capelli
e le venne spontaneo chiudere gli occhi, beandosene.
«
Non riesci neanche a dirmi le bugie. » sorrise il ragazzo con
dolcezza, per poi prenderla per mano, prima che lei potesse
ribattere. « Ci sediamo un po'? » le propose quindi,
trascinandola con sé sul piccolo muretto a lato del giardino.
Monique fremeva dalla voglia di chiedergli quale fosse il suo intimo
pensiero riguardo loro due, cosa avesse intenzione di fare; se
rendere ufficiale la loro strana e, per un certo verso, assurda
situazione, o stabilizzarla a semplici bacetti di tanto in tanto,
come sembrava stesse per il momento succedendo. « Alla fine hai
detto ad Eveline che ci siamo visti? » le domandò
improvvisamente, mandandola decisamente fuori strada. Proprio quella
domanda doveva porle? Si sentiva tremendamente in imbarazzo ed in
difetto. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, divenendo
improvvisamente rossa.
«
No. » soffiò timida. Poté notare con la coda
dell'occhio il chitarrista irrigidirsi appena, per poi muoversi
impercettibilmente, forse per cercare di non innervosirsi.
«
E... Quando hai intenzione di farlo? »
Monique
non capì. Perchè avrebbe dovuto a tutti i costi?
«
Scusami, Tom, ma che dovrei dirle, precisamente? » chiese
spiegazioni la ragazza, voltandosi verso di lui con lo sguardo.
Sussultò appena quando notò che lui aveva fatto la
stessa cosa, ipnotizzandola quindi con quelle iridi color cioccolato.
«
Beh, di noi due, mi sembra ovvio. » ribattè accigliato,
come fosse la cosa più logica del mondo.
«
E' questo che non capisco. Cosa le dovrei dire riguardo noi due? Alla
fine è stata solo un'uscita. »
«
Solo un'uscita? E quello che è successo dopo non conta? »
«
Un bacio e mezzo? »
Tom
la osservò ancora qualche istante, come esterrefatto per ciò
che la mora stava dicendo.
Le
sembrava decisamente assurda quella reazione; d'altronde era la
verità, era ciò che era successo e non poteva dire
altro di diverso.
«
Io credevo avessimo fatto almeno un piccolo passo avanti. »
obiettò.
«
Tom, io mi sono semplicemente adeguata alle circostanze. Non mi hai
mai detto che stavamo insieme. »
«
Dopo tutto il discorso che ti ho fatto ieri sera, in macchina, mi
dici che non sapevi nulla? »
«
Ma cosa potevo fare? Non potevo dedurre che dopo un bacio stessimo
ufficialmente insieme! »
«
Volevi la richiesta ufficiale? Io non ti capisco. »
«
No, sono io che non capisco te. »
Restarono
qualche attimo in silenzio. Tom guardava piuttosto pacato l'erba
sotto di sé, mentre Monique si guardava attorno innervosita.
Non
le piaceva il fatto che lui desse tutto per scontato. Anche la sua
opinione valeva qualcosa in quel fottuto mondo!
«
D'accordo, ora calmiamoci. » sospirò il chitarrista,
grattandosi la nuca.
«
Io sono calmissima. » sibilò a denti stretti la mora,
essendo perfettamente a conoscenza del fatto che, per l'ennesima
volta, stava dicendo una fesseria.
«
Sì, vedo. » sorrise ironico il ragazzo, per poi
aggiungere: « Ricominciamo, okay? Rewind. Dunque... Io, ieri
sera, ti ho detto determinate cose, molto importanti per me, e non ho
ricevuto nessuna risposta – non che fosse obbligatoria – ma
nemmeno un verso, un grugnito, giusto per farmi intendere che tu
avessi capito. »
«
Ho capito. » chiarì lei, secca.
«
E non ti fa né caldo né freddo tutto ciò? »
«
Ma certo che me ne fa, ma al momento non ho saputo che dire... Mi hai
leggermente spiazzata. »
«
Beh, non mi puoi dire che non te lo immaginavi minimamente. »
«
Immaginare è un conto, sentirsi confermare tutto quanto dal
diretto interessato è un altro. »
«
Penso che tu ci abbia riflettuto, no? Ora sei in grado di dirmi
qualcosa a riguardo? »
Si
prese ancora qualche secondo. Quella situazione la stava mettendo in
difficoltà ed odiava che ciò accadesse.
«
Tom... » cominciò, dopo aver preso una consistente
boccata d'aria. « Insomma, lo sai che io sono sempre stata
attratta da te; penso che ogni parola, in questo momento, sarebbe
scontata. È ovvio che io, ieri sera, sia rimasta stordita ma
piacevolmente sorpresa. Primo, perchè non mi aspettavo tu
riuscissi a dirmi certe cose. Secondo, perchè erano le parole
che attendevo da una vita. » notò il chitarrista
sorridere appena.
«
Ma, per lo meno, hai capito che sono stato estremamente sincero con
te? » domandò nuovamente il ragazzo, quasi con fare
intimidito, cosa che suscitò tanta tenerezza in Monique.
«
Sì... » rispose.
«
Io non so se sono riuscito a farti riacquistare la fiducia che avevi
o che forse non hai mai avuto in me. L'unica cosa che ti chiedo ora è
di farlo, di fidarti di me perchè mai come adesso sono stato
sicuro di ciò che volevo. Il futuro non lo posso prevedere e
non ti posso dire se potremmo essere la coppia perfetta o meno; se
non ci si prova non lo si potrà mai sapere, giusto? »
ricominciò il chitarrista, con una dolcezza che sembrava non
appartenergli. Il cuore di Monique intanto galoppava. « Per lo
meno insegnami. Insegnami ad entrare nel vivo di un rapporto serio;
insegnami tutto ciò che non so e che mi sono rifiutato di
imparare in tutto questo tempo. Fammi capire che anche io sono in
grado di farlo. Io non ti voglio promettere nulla, perchè non
vorrei deluderti nel caso le cose non dovessero funzionare, ma ti
prometto almeno che farò di tutto per riuscire a creare
qualcosa di positivo, perchè questo è quello che
voglio. »
Gli
occhi del moro erano fissi nei suoi e possedevano quella nuova luce
che un po' sconcertava e un po' rassicurava Monique. Li trovava
estremamente sinceri e forse, in quel momento, anche impacciati ed
ansiosi di ricevere una risposta. Quelle timidi dichiarazioni, quella
timida richiesta d'aiuto, quella voglia di imparare ad amare erano
arrivate dritte al cuore della ragazza, la quale non sarebbe mai
riuscita a dirgli di no.
Le
sue labbra di rilassarono in un lieve sorriso e pochi secondi dopo
annuì appena.
«
D'accordo. » sussurrò. « Provare non costa nulla.
» aggiunse. Vide Tom sorridere a sua volta, come rincuorato,
per poi avvicinarsi a lei e stamparle un piccolo bacio sulle labbra.
«
Grazie. » mormorò. Monique ricambiò con un
semplice sguardo carico di amore.
Improvvisamente
però le balenò nella mente un pensiero che avrebbe
dovuto subito mettere in chiaro.
«
Per il momento però, Eveline non deve sapere nulla. »
disse, guardandolo seria. Notò un'espressione corrucciata del
chitarrista, segno che non era molto d'accordo.
«
Perchè? » domandò perplesso.
«
Perchè non voglio fare le cose di fretta con lei. Non voglio
porla davanti ad una realtà appena iniziata, che non so
nemmeno se durerà. Non vorrei si abituasse troppo all'idea di
noi due insieme, per poi ricevere una delusione. Vorrei dirle tutto
un po' più in là, quando sarò sicura che le cose
tra noi due funzioneranno sul serio. » spiegò con
pazienza. Anche non fosse stato d'accordo, la sua decisione era
quella. Non poteva mandare in confusione la sua bambina; non prima
del dovuto.
Tom
sembrò riflettervi qualche istante, fino a che non annuì,
sospirando appena.
«
Hai ragione. Va bene, faremo così. » si arrese. «
Ciò vuol dire che non posso nemmeno venire a trovarvi a casa
tua, anche per stare un po' con te? » domandò
successivamente, quasi imbronciato.
«
Se vuoi farlo, puoi venire... Basta che non le facciamo capire nulla.
» gli concesse la mora.
«
Andata... » grugnì leggermente contrariato Tom. «
Prevedo che stare con te sarà più avventuroso e
divertente del previsto. » sorrise poi, ironico, ricevendo di
conseguenza una fulminata con lo sguardo da parte della mora.
«
Potrei renderti la vita impossibile, se lo volessi. » commentò
lei con un sopracciglio inarcato.
«
Non lo faresti. » sorrise il chitarrista, avvicinando
nuovamente il viso al suo. Monique percepiva il suo respiro caldo
sulle labbra e già cominciava a vedere rosso ovunque.
«
Sicuro? » lo sfidò lei, la quale sentiva di inoltrarsi
lentamente nella via del cedimento.
«
In ogni caso, sono pronto a tutto. »
Quell'ulteriore
sussurro, a qualche millimetro dalla sua bocca, fu abbastanza per
farle colmare l'odiosa distanza con le proprie labbra.
«
Tieni Bubi. Prendilo. »
Monique
era seduta a terra, nel piccolo salotto, fra il tavolino ed il
divano, intenta a regalare un po' di divertimento e di gioco alla
piccola Eveline, la quale sorrideva entusiasta, acchiappando il suo
pupazzo ogni qual volta sua madre lo afferrava.
«
Mamy, dammi Bubi! » esclamò la bambina, mentre si
arrampicava letteralmente sul corpo di Monique, che intanto rideva,
sollevando il braccio per tenere in ostaggio il pupazzo, abbastanza
lontano da lei. « Dammi Bubi! » ripetè la
morettina riuscendo a far sdraiare totalmente a terra sua madre.
Monique, dal suo canto, continuava a ridere nell'osservare con quanto
impegno e fatica sua figlia cercasse di afferrare quella povera
giraffa. Dopo qualche difficoltà, Eveline esultò
soddisfatta, non appena ebbe recuperato il suo amichetto e si fu
sollevata dal corpo di Monique.
Quest'ultima
si prese qualche minuto per osservarla con tutto l'amore possibile
nei propri occhi. Più passava il tempo e più amava
immensamente sua figlia ed il solo pensiero di tornare a vivere senza
di lei la mandava nel panico più totale. Quasi non riusciva a
ricordare quale sensazione provasse prima che nascesse, ma era del
tutto certa che non avrebbe voluto tornare a quel periodo nemmeno per
tutto l'oro del mondo.
«
Quaddo potto vedele i Toccoté? » chiese improvvisamente
Eveline, portando quindi la mora a scoppiare a ridere. Era la prima
volta che la sentiva pronunciare quel nome e non credeva sarebbe
suonato a quella maniera.
«
I Tokio Hotel li puoi vedere domani, se vuoi. Ti porto al lavoro con
me? » le propose con un sorriso sereno in volto.
«
Tì! »
«
Allora poi chiamo la zia Jessica e le dico che non ti deve tenere. »
Quanto
le sarebbe piaciuto poterle dire la verità; poterle confessare
della sua freschissima storia, se così si poteva definire, con
il chitarrista. Sapeva che Eveline ne sarebbe stata entusiasta e
sapeva anche che Tom avrebbe saputo trattarla con il dovuto garbo e
nel migliore dei modi. Ma il fatto che sua figlia si fosse
affezionata così tanto a lui, o che vi stesse semplicemente
lavorando, oltre a rappresentare un qualcosa di bello all'apparenza,
complicava un po' le cose. Il suo terrore più grande era di
vedere sua figlia soffrire e sarebbe certamente accaduto se lei e Tom
avessero scoperto, più avanti, di non essere fatti per stare
insieme. Non voleva sconvolgere le abitudini e gli equilibri di
Eveline facendole trovare in casa un ragazzo, in quattro e
quattr'otto. Non aveva mai nemmeno conosciuto la figura di un padre e
non avrebbe saputo come spiegarle quella nuova situazione. Avrebbe
fatto passare semplicemente un po' di tempo, proprio come aveva
precedentemente detto a Tom, per poi arrivare alle dovute
confessioni.
Venne
improvvisamente svegliata dai suoi pensieri nell'esatto momento in
cui udì il suo telefono squillare. Si precipitò a
rispondere, mentre Eveline continuava a giocare per conto suo con
Bubi.
«
Pronto? » rispose.
«
E se venissi a darvi un salutino ora? »
Sorrise
dolcemente ed intenerita da quella chiamata. La voce di Tom era
suonata tremendamente speranzosa e vogliosa di portare a termine la
sua idea.
«
Tom, vai a dormire tranquillo. Tanto domani mattina porto Eveline con
me, allo studio. » lo rassicurò, prendendo ad osservare
nel frattempo sua figlia, ignara di quella telefonata.
«
D'accordo. » lo sentì sospirare piuttosto
contrariato, cosa che la fece sorridere maggiormente. « Allora
ci vediamo domani. » aggiunse con un tono che lasciava
intendere che volesse portare avanti quella conversazione, in
qualsiasi modo.
«
A domani. »
«
'Notte. »
Quando
riattaccò si sentì improvvisamente più serena ed
un sorriso spontaneo le si formò in volto: per la prima volta
nella sua vita, si sentì completa.
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Capitolo 15 *** Fifteen. ***
15
Fifteen.
«
Tom, butta il fumo fuori dalla finestra! »
Il
chitarrista si limitò a ridacchiare appena, all'improvvisa
esclamazione della mora. Era seduto vicino al davanzale della cucina,
mentre la sua ragazza era intenta a scarabocchiare qualcosa di ignoto
su un pezzo di carta, seduta al tavolo, di fronte a lui. Adorava
quando cominciava a perdere le staffe a quella maniera.
«
Non fare la suocera. » sorrise, dopo aver espirato il fumo al
di fuori della finestra, come gli era stato ordinato.
«
Poi rimane l'odore qui in cucina e mi da fastidio. » borbottò
lei, continuando a calcare la penna sul foglietto. Tom la osservò
qualche secondo per poi spegnere la sigaretta non ancora del tutto
consunta nel posacenere. Camminò in direzione della mora, per
poi appostarsi alle sue spalle. La cinse dolcemente con le braccia,
da dietro, e rifugiò il mento nell'incavo del suo collo.
«
Hey, che hai? » le sussurrò all'orecchio. Un semplice
respiro a fior di pelle in grado di causarle pelle d'oca e
tachicardia. « Sembra che tu voglia uccidere quel pezzo di
carta. » continuò lui con un lieve sorriso, nonostante
lei non potesse vederlo.
«
Nulla. » rispose Monique. Effettivamente non vi era nulla che
la turbava apparte un enorme punto interrogativo nella sua mente
riguardo ciò che avrebbe potuto comprare a Tom per Natale.
Sentiva che qualunque regalo gli avesse fatto non sarebbe mai stato
abbastanza. Conoscendo lui, le avrebbe fatto avere qualcosa di
ultra-costoso e preziosissimo, cosa che lei non avrebbe potuto
permettersi, nonostante il desiderio di farlo fosse incontenibile.
«
Non si direbbe. » ribattè dolcemente il chitarrista,
sfiorandole una guancia con la punta del naso.
«
Sono solo un po' nervosa, tutto qui. »
«
Potevi dirmelo subito che sei indisposta, allora, evitavo di farmi
seghe mentali. »
Quella
tenera e limpida risatina da parte del ragazzo non poté non
farla sorridere, dimenticando per un attimo ciò che più
la turbava.
«
Stronzo. » borbottò, colta in flagrante.
«
Ho semplicemente imparato a convivere con il tuo scazzo durante
questi simpatici periodi. » sorrise il ragazzo, per poi
schioccarle un bacio sullo zigomo e tornare ad assumere una posizione
eretta con la schiena. « Vado a stuzzicare un po' Jessica. »
disse poi, camminando verso la porta della cucina, con l'intento di
raggiungere la rossa in salotto, alle prese con Eveline. Monique
scosse appena la testa con fare divertito, mentre osservava rapita
l'imponente figura del suo ragazzo allontanarsi sempre più,
fino a sparire.
Ed
intanto un timido e mai confessato Ti amo risuonava prepotente
nella sua testa.
«
Non vale, stai barando! »
«
No, sto solo vincendo, il che è piuttosto abituale. »
«
Tu vedi le mie carte! Sei un gemello scorretto! »
«
Bill, ti sei voluto sedere dalla parte opposta del tavolo, il più
lontano possibile da me. Non ho ancora sviluppato i raggi ics. »
Ormai il dibattito fra i due gemelli proseguiva da più di un
quarto d'ora. Tom conosceva fin troppo bene le uscite di quel genere
da parte del vocalist: inevitabilmente sulla via della sconfitta,
aveva trovato una scusa alquanto scontata e ripetuta che vedeva il
chitarrista intento a sbirciare le sue carte, pur da una distanza
piuttosto determinante. « Non vuoi ammettere di essere una
mezza calzetta con le carte e ti inventi delle palle. »
continuò Tom, dopo aver sbuffato appena.
«
Io non sono una mezza calzetta! Basta, mi sono stufato. » detto
ciò, Bill gettò le sue ultime carte sul tavolo e si
stravaccò sulla propria sedia, a braccia conserte ed un
broncio infantile ad ornargli il viso.
«
Quando fai così mi chiedo da quale cacchio di utero sei
uscito. » commentò il chitarrista, osservandolo
attentamente, subito dopo aver raggruppato tutte le carte per
metterle a posto. Trascorsero qualche minuto in silenzio, entrambi
altamente scocciati, decisi a fissare due punti indefiniti della
cucina ed attenti a non incrociare i propri sguardi. « Mezza
calzetta. » ribadì Tom, rompendo il silenzio. Bill si
alzò di scatto dalla sedia ed aprì violentemente il
cassetto di fronte a lui, recuperandone un grosso mestolo.
«
D'accordo, fatti sotto! » esclamò puntandolo contro il
fratello, il quale scoppiò inevitabilmente a ridere.
«
Bill, non abbiamo più cinque anni. Posa quel mestolo. »
gli intimò divertito.
«
Va bene, sulla tua testa però. » continuò il
vocalist senza abbassare quell'arma pericolosa.
«
Non mi costringere a prendere lo scolapasta. »
«
Bill, perchè stai puntando un mestolo in faccia a tuo
fratello? » Tom e Bill si voltarono di scatto in direzione
della porta della cucina, dove sostava un Gustav decisamente
perplesso. « Devo chiamare le forze dell'ordine o l'ambulanza?
» domandò nuovamente il biondino, mentre si avvicinava
ai due. Nello stesso istante entrò in cucina Georg.
«
Che mi sono perso? » si informò del tutto tranquillo ed
un po' spelacchiato, segno che si era appena svegliato da un lungo
sonnellino pomeridiano.
«
La solita battaglia all'ultima stoviglia, niente di che. »
rispose Gustav, mentre strappava dalle mani di Bill il mestolo, per
riporlo nel cassetto.
«
Non vuole accettare che io vinca sempre a carte. » sospirò
con fare teatrale il chitarrista, aggiungendo un'alzata di spalle con
disinvoltura.
«
Oh beh, questo sì che è un buon motivo per tirare fuori
le armi. » commentò con cupo sarcasmo il batterista.
Bill, con un eloquente “Vaffanculo”, si congedò per
raggiungere a grandi passi il salotto adiacente alla cucina.
«
Io l'ho sempre detto che ha bisogno di scopare. » disse Tom con
tono esperto.
«
Comincio seriamente a pensare che tu abbia ragione e la cosa mi
preoccupa alquanto. » si aggiunse Georg, sedendosi al tavolo,
di fronte al chitarrista, mentre Gustav poggiava il bacino al
bancone, intento ad osservarli a braccia conserte. « Fai
un'opera di bene per il tuo fratellino; fagli trovare una bella
pollastrella in camera da letto, non fare l'egoista. Tu sei appagato
almeno, ci dai dentro con Monique! » Tom restò in
silenzio e si voltò ad osservare il giardino fuori dalla
finestra. Sentiva che qualcosa di altamente imbarazzante l'avrebbe
umiliato per secoli. Percepì forte e chiaro gli occhi di
entrambi i suoi amici addosso a sé e si rifiutò di
ricambiare i loro sguardi. « Tom? » lo richiamò
Georg, sospettoso. E sentì che la fine era vicina. «
Perchè non dici niente? Nessuna battutina come tuo solito? »
Tutta quella curiosità lo infastidiva. Odiava quella sua
perspicacia. « Non mi dirai che... »
«
Oh, insomma, Georg! Smettila di guardarmi con quegli occhi da pesce
lesso! No, non ci sono ancora andato a letto, va bene?! È
tanto strana come cosa?! » sbottò il chitarrista,
divenuto bordeaux per la vergogna. Poteva dire addio alla sua
credibilità in quanto mostro assetato di sesso.
«
Ma qui l'ambulanza serve davvero! » esclamò Georg, dopo
essere scoppiato a ridere con noncuranza. « Dov'è finita
la tua virilità, SexGott? » continuò a prenderlo
in giro e Tom percepì un istinto omicida prendere il
sopravvento.
«
Se continui, ti sgonfio ogni singolo muscolo che ti ritrovi, compreso
quello che tieni nelle mutande. » lo minacciò il moro,
al che Georg si ricompose.
«
No, dai, scusa... Non volevo prenderti in giro. È che mi
sembra così assurdo da parte tua, che dopo un mese non hai
ancora buttato Monique sul letto... » cercò di rimediare
il bassista.
«
Perchè è assurdo? In molte coppie è una cosa
normale non farlo subito. » giunse in aiuto Gustav.
«
Sì, ma se c'è una vergine di mezzo. »
«
Ma che vuol dire? Magari Tom non vuole affrettare le cose e le vuole
prima dare altre dimostrazioni, o sbaglio? »
Quando
Gustav si voltò in direzione di Tom, attendendo una risposta,
quest'ultimo abbassò lo sguardo.
«
Più o meno... » borbottò.
«
Tom, perchè fai tanto il misterioso? Non avrai mica problemi
di erezione? » chiese preoccupato Georg.
«
Che?! Ma sei impazzito?! Io, problemi di erezione?! » esclamò
Tom scandalizzato ed incredulo a tale ipotesi. « Non ho
problemi di questo tipo. Il punto è che... Sì, è
un po' come dice Gustav, riguardo il fatto che le voglio dare
soprattutto altre dimostrazioni; ma avrei aspettato decisamente meno.
»
«
E qual'è il problema? Non ti vuole lei? » domandò
il bassista accigliato.
«
Ma certo che mi vuole, almeno spero. Semplicemente non riusciamo mai
a trovare l'occasione adatta. » sospirò rilassandosi
sulla sedia e passando continuamente un dito sul tavolo, con fare
rassegnato. « A volte ho provato a farle capire qualcosa, ma
lei si è sempre rifiutata a causa di Eveline. Effettivamente
non possiamo metterci a fare sesso con la bambina in casa. Tra
l'altro, non sa neanche che stiamo insieme. » si prese una
piccola pausa e poi continuò. « Io giuro che sto
resistendo e sto anche facendo fatica perchè credo di non aver
mai desiderato nessun'altra ragazza come desidero lei ora. Però
non posso nemmeno trattenere i miei istinti, quando ce l'ho vicina. »
«
Parlagliene chiaramente. » suggerì Georg.
«
No, mi sembra troppo squallido dirle apertamente tutto questo. E poi
– non provate a prendermi in giro – vorrei che sia anche un
po'... Speciale tutto quanto. Non voglio darle l'idea di
essere un animale bisognoso di sesso, anche perchè in questo
momento non è così. Ho solo voglia di lei,
punto. »
Entrambi
i ragazzi guardarono il loro amico con espressione sognante. Non
potevano credere alle loro orecchie.
«
Il piccolo Tom si sta innamorando. » disse Gustav con un
sorriso ebete in volto.
Era
incredibile con quanta velocità il Natale si stesse
avvicinando.
Monique
non era mai stata una grande amante di quella festività,
eppure sentiva che quell'anno avrebbe portato un qualcosa di diverso
e decisamente più sereno di come era stato qualche tempo
prima. Senza dubbio, tale periodo rappresentava per lei un mix
perfetto di novità del tutto inaspettate. La sua storia con
Tom ne era un valido esempio.
Il
fatto che dopo un mese di relazione lui non avesse ancora manifestato
il minimo dubbio, la minima esitazione, era alquanto bizzarro.
Monique continuava a passare fantastici momenti con lui e ciò
non le sembrava possibile, dopo tutti gli screzi e le problematiche
che avevano dovuto affrontare.
Si
sentiva cambiata, totalmente. Affrontava ogni tipo di questione in
modo diverso e più pacato e la prima cosa che notava non
appena si svegliava al mattino, era il sorriso spontaneo e sincero
perennemente presente sulle sue labbra.
Tom
la riempiva di attenzioni; era tremendamente dolce, nonostante non
avesse perso quel suo fidato senso dell'umorismo che le movimentava
le giornate. Adorava farla arrabbiare, adorava farle i dispetti,
adorava farla ingelosire. Ma adorava anche stringerla a sé e
regalarle momenti di tenerezza che stentava a riconoscere come sua.
La
mora, dal suo canto, apprezzava tutto ciò e pregava perchè
quella bellissima situazione rimanesse tale.
«
Che hai intenzione di regalare a treccina? »
La
domanda esatta che non avrebbe voluto udire.
«
Non ne ho idea. Qualunque regalo, in confronto al suo, sarebbe
insulso. » borbottò la mora.
«
Ti fai troppe seghe mentali, Monique. Sarà anche stupido ma
non è così arido da non apprezzare un tuo qualsiasi
gesto. » la incoraggiò Jessica.
«
Tom non è stupido! » lo difese immediatamente la mora,
piuttosto risentita da tale affermazione. La sua migliore amica, in
risposta, si concesse una piccola risata.
«
Sta di fatto che qualunque regalo tu gli faccia, sarà contento
comunque. Ti pare che non capisca la tua situazione? È stato
uno dei primi con il quale ti sei confidata qualche anno fa. »
Monique
restò qualche attimo in silenzio meditando sulle sue parole.
Effettivamente aveva ragione: Tom avrebbe capito perfettamente e non
si sarebbe aspettato nulla da lei. Restava comunque il fatto che le
dispiaceva non poter fare di più.
Sospirò
appena e poi annuì, anche se poco convinta; d'altronde, altro
non avrebbe potuto fare, in ogni caso.
«
D'accordo. » concluse.
«
Io ora vado a casa. Stasera esco con uno. » disse
improvvisamente la rossa, mentre si alzava dalla sedia, come se
niente fosse. Monique si rese conto di quale significato avessero
quelle parole solamente qualche attimo dopo. Sollevò di scatto
la testa nella sua direzione e la osservò con sguardo
sorpreso, nascondendo però una lieve nota di indignazione.
«
No, aspetta, frena! Che hai detto? Esci con uno? » le domandò
curiosa. Notò che la rossa si guardò qualche attimo
attorno, giocherellando quasi nervosamente con la maglietta che
indossava.
«
Sì... Uno che ho conosciuto qualche giorno fa. »
borbottò appena, fin troppo misteriosa per i gusti di Monique.
«
Ma chi è? Dove? E perchè non ne sapevo nulla? »
«
Pensavo non fosse una cosa importante. Insomma, l'ho conosciuto così
per caso ma credevo non l'avrei più rivisto, per questo non te
ne ho parlato. »
«
Io però ti dico sempre tutto. »
«
Avevi già i tuoi pensieri con Tom e quindi... » Lasciò
la frase a metà, come impacciata, guardandola di sbieco
qualche attimo. Monique si sentì un po' nervosa. « Beh,
io allora vado. » senza darle il tempo di rispondere, si
affrettò ad uscire dalla cucina e chiudere la porta di casa in
meno di cinque secondi.
Monique
restò in cucina da sola, seduta al tavolo intenta a fissare il
vuoto. Qualcosa non le tornava. La sua migliore amica era stata fin
troppo misteriosa con lei e la cosa non le piaceva affatto; senza
contare tutta quella fretta nell'abbandonare casa sua, come a non
volersi sottoporre ad ulteriori domande.
Le
stava senza dubbio nascondendo qualcosa.
Camminava
a qualche passo dietro il suo ragazzo, lungo quell'infinito
marciapiede. La probabilità di incrociare paparazzi o fans
indiscrete era sempre troppo alta per lasciarsi andare in tenere
effusioni o in una semplice passeggiata, mano nella mano. Monique non
era turbata per questo; capiva perfettamente quale fosse la
situazione per il chitarrista e a quali rischi non potesse andare in
contro.
Tom
aveva deciso di mantenere la loro relazione segreta, agli occhi dei
media; un po' per rispetto verso di lei e un po' per salvaguardare la
sicurezza di Eveline. Non voleva venisse esposta; il mondo dello
spettacolo aveva i suoi pro e i suoi contro ed il fatto che non fosse
del tutto positivo per una bimba di quasi due anni era più che
certo.
Avevano
deciso di uscire e dare un'occhiata a negozietti di vario tipo. Così,
giusto per allontanarsi un po' da casa, dove passavano la maggior
parte del loro tempo. Monique ne aveva approfittato per farsi venire
qualche idea riguardo il regalo di Natale per Tom.
Quando
si affrontava il discorso “regali”, veniva sempre travolta
dall'ansia. Era una debolezza che l'aveva sempre colpita sin da
quando era più piccola. Non riusciva a viversi con
tranquillità e spensieratezza quel punto. Era dannatamene
insicura e dava per scontato che ogni suo regalo sarebbe stato
insulso. Questo perchè si metteva sempre in paragone con gli
altri.
Ad
un tratto notò Tom, davanti a sé, indicare appena un
negozio di vestiti, così aspettò che lui fosse entrato
per fare anche lei la stessa cosa. Fortuna volle che al suo interno
non vi fosse ombra di ragazzine, ma solamente di qualche donna di
mezza età, assieme al proprio marito, le quali non avrebbero
dato di certo problemi. Monique ne approfittò per avvicinarsi
finalmente al ragazzo.
«
Tutto tranquillo. » disse rincuorata. Il chitarrista le sorrise
annuendo, per poi intrecciare il mignolo al suo e trascinarsela
dietro. « C'è un po' di tutto, qui. » constatò
la mora, guardandosi attorno. Era molto grande, come negozio, e si
domandò per quale losco motivo non vi fosse mai entrata prima
di allora. « Uuuh, i jeans che piacciono a me! » esclamò
ad un certo punto, affrettandosi a raggiungere ciò che aveva
adocchiato da lontano. Tom la seguì ridacchiando, divertito da
quel suo entusiasmo.
«
Ti piacciono? » le domandò.
«
Da morire. » rispose Monique sognante, per poi dar loro le
spalle.
«
Provateli. » la richiamò il chitarrista.
«
Nah. »
«
Perchè? »
«
Lo sai perchè. »
«
Te li prendo io, che problema c'è? »
«
Assolutamente no. »
Detto
questo, Monique riprese a camminare in un'altra direzione, sperando
che il ragazzo si arrendesse. Odiava dover affrontare quel discorso
con lui perchè sapeva che avrebbe insistito, come sempre, per
aiutarla economicamente. Ma lei non voleva gravare su di lui,
nonostante sapesse perfettamente che non l'avrebbe di certo mandato
in rovina. Eppure anche lei aveva una propria dignità ed un
proprio orgoglio da rispettare ed il fatto che a tutto dovesse
pensare lui le faceva male. Fino ad allora se l'era sempre cavata da
sola, in qualche modo, con il proprio stipendio ed avrebbe continuato
a quella maniera. Se l'era promesso.
«
Sei una testona. » le disse Tom, una volta che l'ebbe
raggiunta. Monique, dal suo canto, sorrise e si allungò verso
di lui per stampargli un bacio sulle labbra.
«
Sai che Jessica si vede con uno? » esortò
improvvisamente, decisa a cambiare discorso, mentre continuavano a
camminare, guardandosi attorno.
«
Davvero? Con chi? » si informò Tom, incuriosito.
«
Non me l'ha detto. Ma mi è sembrata strana. Insomma, lei
solitamente mi dice tutto. Mi è dispiaciuto saperlo così.
»
«
Non te la prendere. Magari le è passato di mente. »
«
Ti posso assicurare che non le passa mai nulla di mente, quando mi
deve dire qualcosa. »
«
E secondo te perchè non te l'ha detto? »
«
Non lo so, è questo il punto; me lo chiedo anch'io. Non voglio
che ci siano segreti tra di noi. »
Sentì
il braccio di Tom avvolgerle le spalle e le sue labbra lambirle la
tempia.
«
Stai tranquilla. » la rassicurò. « Hey, guarda
questo vestitino! » esclamò successivamente, indicando
un piccolo capo rosa, da bambina. « Vorrei comprare qualcosa ad
Eveline per Natale. » le confidò un po' intimidito.
«
Ma, Tom, non devi. » gli sorrise Monique.
«
Sei impazzita, per caso? » la guardò con occhi sgranati.
« Pensi che possa piacerle? » le domandò poi.
«
Beh, sai... Ha quasi due anni. Che le piacciano dei vestiti è
relativo, dato che la vesto a mio gusto e lei non dice nulla. Penso
sia ancora un po' presto perchè lei esprima già dei
giudizi sul vestiario. Quindi direi che questo vestito vada comunque
bene. » Osservò intenerita il ragazzo rigirarsi tra le
mani quel piccolo indumento, con sguardo pensieroso, come se si
stesse immaginando ciò che reggeva addosso ad Eveline. Lo
stomaco di Monique si contrasse appena, nel momento in cui uno strano
pensiero le passò per la testa. « Sai, ti vedrei bene a
fare il papino. Sei tenero. » confessò, sentendo le
guance prenderle fuoco.
Tom
si voltò nella sua direzione con un lieve sorriso sul volto.
«
Beh... Potrei esercitarmi per un futuro ipotetico. »
Monique
non fece in tempo a chiedergli cosa intendesse dire, che il ragazzo
era già sparito, in direzione del bancone, dove avrebbe pagato
il vestitino per la piccola.
Si
sentì ancora più accaldata e le venne spontaneo
sorridere nel vuoto.
Un
futuro ipotetico.
Loro
due.
Una
famiglia.
L'idea
le piaceva.
Sospirò
appena mentre poggiava stancamente la nuca sull'appoggiatesta del
sedile dell'auto. Tom, affianco a lei, guidava tenendo d'occhio la
strada di fronte a sé e probabilmente navigando con i pensieri
nel suo mondo.
Anche
lei, dal suo canto, era pensierosa. Come aveva immaginato, non era
riuscita a trovare nulla che le potesse andare a genio come regalo
per il suo ragazzo. Si sentiva altamente suscettibile e l'ansia
cresceva sempre di più: Natale sarebbe arrivato di lì a
tre giorni. E, per essere più precisi, la Vigilia di lì
a due.
La
mano di Tom sulla sua gamba la riportò alla realtà,
facendola voltare nella sua direzione.
«
Pensierosa? » le sorrise, scrutandola qualche secondo.
«
Io no... Tu? » sorrise di rimando.
«
No. » Restarono qualche attimo in silenzio e poi scoppiarono a
ridere all'unisono, consci tutti e due di aver mentito. « Io
pensavo a quanto strana è tutta questa situazione. »
ammise Tom. Monique sorrise appena ed intrecciò le dita con
quelle del chitarrista, ancora sulla sua gamba.
«
Non farmi mai soffrire, Kaulitz. Potrei non risollevarmi più.
» disse la mora, osservando le loro mani unite. Tutto ciò
le donava un piacevole calore allo stomaco.
«
Modo implicito per dirmi che tieni a me? » le domandò
lui, osservandola di sbieco. Monique non rispose, ma continuò
a sorridere, così Tom si voltò nuovamente verso la
strada.
«
Non farmi mai soffrire, Schmitz. »
Non
appena varcarono la soglia dello studio di registrazione, furono
travolti da risate cristalline ed un rumore di piedi in corsa.
Monique e Tom si scambiarono un'occhiata perplessa e, subito dopo,
scorsero Bill correre lungo il corridoio – imitando con la bocca il
rumore di un treno – con Eveline sulle spalle, intenta a ridere a
crepapelle. La ragazza non aveva mai visto sua figlia divertirsi a
quella maniera e la cosa non poté fare altro che riempirla di
gioia.
«
Vedo che mio fratello ha finalmente trovato la sua vera vocazione. »
commentò sarcastico il chitarrista, ricevendo in risposta un
ceffone scherzoso sullo stomaco, da parte di Monique.
«
Oh, ciao, ragazzi! Non vi avevo visti! » esclamò Bill,
camminando nella loro direzione, con Eveline sempre sulle spalle.
«
Già, eri troppo occupato ad allagare il pavimento con i tuoi
sputi, a furia di riprodurre i rumori delle rotaie. » lo prese
in giro il chitarrista, battendogli una mano sulla spalla. Intanto
Monique aveva preso in braccio sua figlia, la quale l'aveva stretta
forte al collo, ancora scossa dalle risate.
«
Ti sei divertita con Bill, oggi? » le domandò
sorridente.
«
Tì! » risposte entusiasta la piccola.
«
Bravo, zio Bill! » si complimentò quindi la mora,
rivoltasi al diretto interessato. Improvvisamente videro arrivare
Georg, mentre si aggiustava il colletto della camicia. « E tu?
Dove vai così elegante? » sorrise Monique, piuttosto
sorpresa.
«
Esco. » rispose enigmatico.
«
Anche tu? Tutti che escono, stasera! » commentò con
sarcasmo la ragazza, alludendo a Jessica. Il bassista, dopo un “ciao”
frettoloso e generico, uscì dallo studio di registrazione.
Monique si scambiò un'occhiata con i gemelli. « Qui la
gente sta impazzendo. »
«
Quindi la Vigilia assieme... E il pranzo di Natale con i genitori. »
Monique
annuì alle parole del chitarrista, seduto sul divano, affianco
a lei. Da qualche minuto stavano discutendo sulla questione del
Natale; in particolare con chi l'avrebbero passato, arrivando quindi
alla conclusione di stare assieme durante la Vigilia e poi separarsi
ed andare dalle rispettive famiglie per il pranzo del venticinque.
«
Tai connoi? » intervenne la piccola Eveline, seduta per terra,
intenta a giocare con la sua giraffa.
«
Sì, piccola. Starò con voi durante la Vigilia. »
le sorrise il ragazzo, suscitando così esultanza da parte
della bambina. La morettina infatti battè ripetutamente le
manine con un enorme sorriso stampato sul volto.
Tom
rabbrividì non appena sentì la mano calda di Monique
sfiorare la sua. Quando si voltò nella sua direzione, notò
che gli stava sorridendo, così intrecciò le proprie
dita alle sue per carezzargliele dolcemente e tornò ad
osservare sua figlia.
«
Sai, Eve, io e Tom dovremmo dirti una cosa. » esortò
improvvisamente la ragazza. Il chitarrista si girò di scatto
verso di lei, con occhi semi-sgranati. Che avesse intenzione di
parlare di loro due alla piccola? Eveline alzò la testa verso
la sua mamma ed attese curiosa. « Vedi... Io e Tom ci siamo
resi conto di volerci bene e... Per questo motivo lo vedrai molto
spesso qui a casa. » continuò, sorridente.
Tom
era semplicemente esterrefatto. Tante volte aveva combattuto con
Monique affinché lei si decidesse a parlare della loro
situazione ad Eveline, ma lei si era sempre rifiutata, poiché
riteneva fosse troppo presto per dirle una cosa del genere. Riteneva
sua figlia non fosse ancora pronta e che la loro relazione non fosse
così stabile e duratura da poter fare un'ammissione di tale
importanza. Questo aveva sempre un po' offeso Tom che, nonostante
capisse il suo ragionamento, non riusciva a trovarvisi in pieno
accordo.
«
La cotella! » esclamò Eveline, sgranando gli occhi,
contenta.
Monique
e Tom si scambiarono un'occhiata incuriosita e poi tornarono a
guardarla.
«
La coccinella? » le domandò la madre.
«
Ho chietto di fal tale Tom qui connoi! »
«
Cot'è? » chiese con vocina indifesa ed ancora incrinata
dal precedente pianto.
«
E' un animaletto che ti porta tanta fortuna, se ti si posa addosso. »
le spiegò dolcemente Tom, prendendo ad asciugarle con un dito
le lacrime dal viso.
Monique
sentiva una morsa allo stomaco. Ma era piacevole, era un qualcosa di
delicato, che le trasmetteva serenità.
«
Davvelo? » domandò ulteriormente Eveline, sollevando i
suoi occhioni azzurri ed ancora acquosi su di lui.
«
Sì. Puoi chiederle quello che vuoi. Però in silenzio,
così che ti possa sentire solo lei. »
«
E lei fa succedele quello che chiedo? »
«
Spesso sì, soprattutto se trova bambini buoni. »
«
Io tono buona! »
«
Certo che lo sei. »
«
Allola via, che devo pallale colla cotella! »
A
quel tenero ricordo, Monique sorrise dolcemente. Non avrebbe mai
immaginato che sua figlia volesse talmente bene a Tom da esprimere un
desiderio simile. La cosa, oltre che piacevole, era anche
preoccupante, nel caso remoto che la loro storia fosse finita. Eppure
cercò di pensare solamente al lato positivo di tutta quella
faccenda. Per lo meno la sua bambina era felice della sua felicità,
e ciò contava in modo assoluto.
Al
suo fianco, vide Tom con un sorriso perso. Sembrava avesse ricevuto
il dono più bello, presente su quella terra. Non lo aveva mai
visto così.
Il
chitarrista, cercando di ingoiare il groppone che dopo tanti anni gli
si era formato nuovamente in gola, allungò le braccia in
direzione di Eveline, invitandola ad avvicinarsi. La piccola non vi
pensò due volte e si alzò dal pavimento, allungando le
sue di rimando per far sì che il ragazzo la afferrasse
delicatamente da sotto le ascelle. Se la pose sulle proprie gambe e
la strinse a sé, schioccandole poi un bacio sulla tempia.
«
Tu sei una bambina speciale. » le sussurrò all'orecchio
con voce calda.
E
la lacrima che da tanto minacciava di cadere, scivolò lungo la
guancia di Monique.
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Capitolo 16 *** Sixteen. ***
16
Sixteen.
È
stata una pessima idea, pessimissima idea.
Da
minuti interminabili ormai, il suo unico pensiero era quello. Non che
le dispiacesse avere Tom accanto a lei per tutta la notte ma, a mente
lucida, si era resa conto di aver forse affrettato troppo le cose.
Pochi
giorni erano passati dalla pseudo confessione riguardo la loro fresca
storia ad Eveline e credeva non fossero abbastanza per passare
direttamente a quella fase.
La
proposta era nata in modo del tutto spontaneo, non premeditato, ed il
chitarrista non aveva fatto altro che annuire sorpreso ma al contempo
compiaciuto. Accoccolati sul divano, tra una carezza e l'altra,
sembravano intenti a guardare la televisione in silenzio, fino a che
quella domanda non era uscita dalle labbra di Monique, quasi contro
il suo volere.
Il
problema era che Tom la faceva sentire bene in qualsiasi momento e in
qualsiasi cosa facesse, così tanto da farle perdere la
cognizione di tutto ciò che aveva attorno. Così era
successo anche quella sera, mentre Eveline era già nella sua
cameretta a dormire, ignara di ciò che al di fuori di quella
stanzetta stava accadendo.
Monique
aveva cominciato a pensare che quella era stata una pessima idea nel
momento in cui si erano incamminati verso la sua camera da letto; poi
le sue preoccupazioni avevano preso forma più consistente non
appena il chitarrista aveva cominciato a spogliarsi per infilarsi
sotto le coperte del letto matrimoniale.
Si
sentiva stranamente inquieta. Aveva paura che quell'improvvisa novità
avrebbe turbato in qualche modo gli equilibri di Eveline, nonostante
a lei piacesse Tom. Ma come l'avrebbe presa nel vederlo lì,
nel letto con la mamma? Stavano accelerando tutto quanto? Di colpo la
situazione le era sfuggita di mano, senza mezze misure.
Tom,
dal suo canto, pareva piuttosto tranquillo, il che era abbastanza
normale da parte di un ragazzo.
Monique
non seppe dire con esattezza quale fosse la cosa che più la
sconcertava e le metteva una forte agitazione addosso: il fatto che
Eveline avrebbe scoperto la presenza di Tom nel letto della sua mamma
o che Tom era seminudo, sotto le sue coperte, ad attenderla.
Ammettere
di avere una grande voglia di lui era riduttivo. Essere consapevole
di aver resistito per tutti quei mesi e che ancora non avrebbero
potuto concludere nulla nemmeno quella sera era a dir poco
straziante. Tutta quell'attesa stava diventando una vera e propria
tortura per lei, il che non le capitava da un po'.
Da
quando era nata Eveline il sesso era passato seriamente agli ultimi
posti della sua personale classifica di importanza e ciò non
l'aveva mai turbata. Da quando aveva dato inizio alla sua relazione
con Tom però, quella mancanza aveva ricominciato a farsi
sentire. Non per il sesso in sé, ma semplicemente perchè
voleva sentirsi nuovamente di qualcuno e stavolta in modo sincero; ma
più di ogni altra cosa, voleva lui. Lui e basta. Essere amata
da lui. Così tanto che la sua vicinanza quasi le faceva male.
«
Eve dorme? » le domandò improvvisamente proprio il
protagonista dei suoi pensieri più intimi e poco casti.
Quest'ultimo era sdraiato sotto le coperte, a pancia in su, intento
ad osservare la sua fidanzata restare in completino da notte. Monique
lo stava maledicendo mentalmente, poiché i pettorali scoperti
persino dalle lenzuola stavano diventando una vera e propria minaccia
per il suo autocontrollo.
«
Sì, l'ho messa nel suo lettino. » rispose, avvicinandosi
al letto per scostare appena le coperte. « A proposito di
questo... » aggiunse una volta coricatasi accanto a lui. «
Mi chiedevo... Non è che stiamo correndo un po' troppo?
Insomma, le abbiamo detto tutto da poco e non vorrei che questo fatto
che tu ti fermi a dormire qui la turbi. » ammise, osservandolo
attentamente negli occhi. Il chitarrista sospirò appena.
«
Ascoltami, Moni... Eve ha quasi due anni. Non è ancora in
grado di capire fino in fondo cosa voglia dire per due persone stare
insieme. Come tu hai cercato di spiegarle la nostra situazione nel
miglior modo possibile, lei penserà semplicemente che io sono
un tuo amico, che qualche volta si fermerà a dormire con te,
proprio come fa Jessica. Non può ancora rendersi conto di cosa
può voler dire dormire con un'amica e dormire con un ragazzo.
Per questo, secondo me, devi stare tranquilla. » le spiegò
con tono pacato. Monique abbassò lo sguardo sul materasso,
riflettendo qualche attimo sulle sue parole. Probabilmente aveva
ragione, ma la paura, per una mamma, era più che giustificata.
«
D'accordo. » si arrese. Tom allungò le braccia verso di
lei per avvicinarsela al petto e stringerla a sé con dolcezza.
«
Stai tranquilla; nessuno turberà la serenità di tua
figlia. Noi per ultimi. » le sussurrò all'orecchio, per
poi carezzarle una tempia con le labbra morbide e calde. Monique si
accoccolò meglio contro il suo petto nudo, inspirandone
l'odore, e chiuse gli occhi. Le carezze del chitarrista sulla sua
schiena la stavano cullando beatamente e poco mancava perchè
spiccasse il volo verso il mondo dei sogni. Ma non poteva concludere
quella sera a quella maniera: aveva tremendamente voglia di affetto e
coccole ed avere Tom lì affianco a lei era una buona scusa per
riempirsene.
Sollevò
lo sguardo nella sua direzione e si beò del suo sorriso, fino
a che non posò le proprie labbra su quelle morbide di lui.
Sembrava strano a dirsi, ma le mancavano i suoi baci; quando erano in
compagnia di Eveline, cercavano di limitarsi il più possibile
con quei gesti in qualche modo più intimi, per rispetto della
bambina, nonostante conoscesse la situazione. Ma anche per una
questione di imbarazzo, soprattutto da parte di Monique. Sua figlia
non l'aveva mai vista in quegli atteggiamenti e dover far finta di
nulla, di punto in bianco, proprio non le riusciva.
Posò
una mano sulla guancia liscia del ragazzo ed approfondì quel
bacio tanto agognato. Le braccia del chitarrista si erano intanto
chiuse attorno al suo corpo, fino a schiacciarla al materasso con il
suo. I cornrows le solleticavano il collo in ogni minimo movimento e
le venne spontaneo sorridere. Brividi incontenibili presero a
diradarsi lungo la sua pelle nel momento in cui la bocca di Tom
cominciò a saggiare il suo collo, e la sua gola prese a
rilasciare lievi ansimi, del tutto incontrollabili. Aveva
tremendamente voglia di lui ma non potevano spingersi così in
là, con Eveline nella stanza affianco.
Sentì
improvvisamente le mani di Tom insinuarsi al di sotto della sua
cannottierina, per carezzarle dolcemente il ventre bollente, ed una
pressione del tutto nuova contro la sua gamba.
«
No! » esclamò quasi spaventata, per poi agitarsi sotto
il suo corpo, con l'intento di allontanarsi da lui. Tom si spostò
velocemente da lei, permettendole di sedersi sul materasso, contro lo
schienale del letto. La osservò qualche attimo in silenzio,
con espressione cupa in volto. Monique, dal suo canto, si sentiva in
imbarazzo per quella sua improvvisa reazione e non si era ancora
permessa di guardarlo negli occhi. Continuava a tenere lo sguardo
fisso sulle lenzuola ed avrebbe continuato a fare così fino a
che lui non avesse detto qualcosa. Qualunque cosa.
«
Comincio a pensare che tu non mi voglia. » commentò il
chitarrista, fissando il vuoto al suo fianco. Monique si voltò
di scatto nella sua direzione, con occhi sgranati.
«
Sei impazzito, per caso? » esclamò, portandolo a
guardarla nuovamente negli occhi. « Che diavolo ti salta in
testa? »
«
Dico solo quello che vedo, Monique. Continui a respingermi. Te l'ho
detto, e mi sembra di avertelo anche dimostrato, non voglio metterti
fretta ed accetto ogni tua singola condizione. Ma ogni volta che
tento di avvicinarmi a te, ti tiri indietro come avessi paura o ti
facessi schifo. » ribattè Tom, cercando di mantenere un
tono di voce ragionevolmente basso.
«
Tom, non è affatto così! Come può venirti
un'idea del genere in testa? »
«
Comincio a pensare a qualunque cosa, Monique. »
«
No, ti sbagli! Te l'ho spiegato il motivo; è per Eve! »
«
E io ti ho detto che avrei rispettato la tua decisione ma... Cristo
santo, è di là che dorme! Pensi che se ne accorgerebbe?
»
«
Tom, è capitato altre volte che si sia svegliata nel sonno e
sia venuta a cercarmi nel mio letto! Non voglio rischiare, per la
miseria! »
«
Quando mi hai chiesto di dormire con te, pensavo avessi cambiato
idea. »
«
Quando ti ho chiesto di dormire con me era per il semplice gusto di
averti vicino, brutto stupido! »
Detto
questo, Monique si alzò bruscamente dal letto ed uscì
dalla stanza, sbattendo la porta con violenza. Percepiva un gran
magone in gola. Si sentiva ridicola e stupida: lei voleva Tom con
tutta se stessa ma si comportava come se si trattasse del contrario,
incapace di spiegargli con esattezza cosa la turbasse.
Entrò
in cucina e si sedette sulla sedia, poggiando poi i gomiti sul tavolo
davanti a sé e reggendosi la testa fra le mani. Sapeva che
presto quelle dannate lacrime sarebbero sgorgate di nuovo dai suoi
occhi.
Ciò
che le faceva più male era sapere che Tom credeva di non
essere accettato da lei; cosa del tutto assurda, di cui nemmeno
riusciva a capacitarsi. Come poteva non volerlo? Solo una pazza
l'avrebbe respinto per altri motivi!
Il
suo corpo continuò ad essere scosso da singhiozzi silenziosi;
ormai il sonno le era passato definitivamente e non avrebbe mai avuto
il coraggio di tornare in camera e sdraiarsi accanto a Tom, come se
niente fosse mai accaduto.
Si
passò disperatamente le mani sul viso, fino a che non percepì
un lieve tocco sulle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi che le
braccia del chitarrista la avvolsero protettive, come sempre. La
bocca del ragazzo si posò delicata sulla sua tempia, per poi
cedere il posto alla guancia.
«
Scusami. » sussurrò dispiaciuto, mentre con un dito le
asciugava le lacrime ancora sul volto. « Sono stato uno stronzo
privo di tatto. Volevo non metterti fretta e dimostrarti che potevo
benissimo aspettare e ti ho mostrato tutto il contrario, senza
volerlo. Mi dispiace. » continuò con la bocca poggiata
sulla sua pelle, il che le procurava piacevoli brividi lungo la
colonna vertebrale. « Io sul serio non voglio metterti fretta.
Non so cosa mi sia preso. Anzi, a dire il vero lo so... » A
quella timida confessione, Monique non poté fare a meno di
sorridere. « Ma non voglio che pensi male di me. »
La
mora si voltò nella sua direzione e, senza dire una parola, lo
strinse forte a sé, sospirando quasi con fatica.
«
Tu pensi che tutto questo sia difficile solo per te. » mormorò
al suo orecchio, mentre i suoi occhi restavano chiusi. « Ti
prego, non pensare mai più che io non ti voglia. »
aggiunse, divenendo bordeaux sulle gote; cosa che lui,
fortunatamente, non poté notare. Lo sentì piuttosto
sorridere sulla sua pelle e stringerla maggiormente.
«
Andiamo a dormire. » le disse con estrema dolcezza.
«Scusami,
Monique, ma... Ha ragione. »
Le
mancava solamente quell'ulteriore informazione da parte della sua
migliore amica ed aveva definitivamente finito di vivere. Si sentiva
già sufficientemente in colpa per ciò che era successo
la sera precedente con Tom ed il fatto che Jessica si divertisse a
sottolineare quanto giuste potessero essere le parole del chitarrista
le faceva ancora più male, facendola sentire ancora più
ridicola e stupida.
«
Grazie. » borbottò in risposta, continuando a camminare
lungo quell'infinito negozio di alimentari.
«
Non è per darti contro; e poi, lo sai che difficilmente do
ragione a treccina ed il fatto che io lo stia facendo ora, mi
costa metà della mia dignità. » chiarì
pazientemente la rossa, beccandosi in risposta un'occhiataccia da
parte di Monique. « Ad ogni modo, era normale che arrivasse a
scoppiare; è stato anche fin troppo bravo in tutto questo
tempo. Non ne trovi in giro di ragazzi in grado di aspettare così
tanto per avere un rapporto. Considerando che proprio lui, il vecchio
Playboy, ci sia riuscito con te, sentiti piuttosto lusingata. »
Monique
sbuffò, continuando a guardarsi attorno.
Quelle
parole erano dannatamente veritiere ma continuare a girare il
coltello nella piaga a quella maniera le sembrava del tutto
impertinente.
«
Potresti cercare di non farmi sentire ancora più in colpa, per
favore? » commentò sull'orlo di una crisi di nervi.
«
Ti dico solo la verità. Se il tuo problema è Eveline,
presto fatto: fammela tenere una sera e voi dateci finalmente dentro.
» concluse con diplomazia la rossa. Monique per poco non si
strozzò con la sua stessa saliva, prendendo successivamente a
tossire, rossa in faccia. « Perchè ti scandalizzi tanto?
Io l'avrei già fatto molto tempo fa, fossi stata in te. »
continuò Jessica, come se nulla fosse.
«
Non hai una figlia, non puoi capire. »
«
Da quando essere madre significa astenersi dal sesso? »
«
Da quando hai una bambina in casa che vuoi far crescere senza traumi
infantili. »
«
Non la devi tenere nel letto con voi. E poi ci sono tantissimi modi e
posti per farlo, Eveline non se ne accorgerebbe mai. »
«
Ma è comunque imbarazzante! Non potrei mai farlo con Tom e
pensare nel frattempo che ho una figlia nella stanza affianco, che
potrebbe avere bisogno di me da un momento all'altro! »
Jessica
si sbattè una mano sul viso, sfigurandosi per qualche secondo,
e poi sospirò prossima al limite.
«
Avanti, quando hai intenzione di stare da sola con Tom? Dimmelo e io
prendo Eveline per farla dormire a casa mia. » parlò con
fare pratico. Monique arrossì ulteriormente e riprese a
camminare, dandole le spalle.
«
A questo punto, dopo Natale, che tanto è fra tre giorni. »
si arrese.
«
E' già la terza, Tom. » commentò improvvisamente
Georg, scrutando con attenzione con quale ingordigia il chitarrista
stesse bevendo l'ennesima lattina di birra.
«
Lo so. » borbottò il moro, prima di riporre la sua
valvola di sfogo sul tavolo. « Dovrò pur ricoprire certe
mancanze con delle alternative. » aggiunse, come fosse un
qualcosa di fin troppo ovvio.
«
La birra sarebbe un'alternativa al sesso? » domandò con
sarcasmo il bassista, spostandosi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio.
«
Precisamente. » annuì Tom, per poi riportarsi alla bocca
la lattina.
«
Però... Devo dire che si equivalgono. » continuò
a prenderlo in giro Georg, senza preoccuparsi delle fulminate che gli
occhi del chitarrista gli lanciavano. « Perchè non ti
dedichi ad un po' di sano “Fai da te”? » gli propose
successivamente. Per poco Tom non si strozzò con la birra.
«
Primo: sarebbe irrispettoso nei confronti di Monique. Secondo:
sarebbe incredibilmente umiliante per me; possibile che tu non te ne
renda conto? »
«
Allora continua ad affogare i tuoi dispiaceri nella birra. Il tuo
stomaco, un domani, ti ringrazierà. »
«
Ti ringrazieranno anche i tuoi attributi se non la smetti
immediatamente. »
«
Perchè, per una volta, non vi parlate con dolcezza, voi due? »
irruppe in cucina Bill, con sguardo annoiato, ponendo quindi fine a
quel “botta e risposta”. « Georg, leva le chiappe, devo
parlare con mio fratello da solo. » si rivolse poi al bassista,
con fare pratico. Quest'ultimo, dopo aver sbuffato pesantemente, si
alzò dalla sedia e si dileguò al di fuori della cucina.
Il vocalist prese il suo posto al tavolo, sotto lo sguardo perplesso
di Tom, e lo scrutò attentamente in volto.
«
Tom, a che punto sei con il regalo di Monique? » gli domandò,
senza troppi giri di parole, proprio come temeva il chitarrista. Il
moro, infatti, abbassò lo sguardo, rosso in volto, e borbottò
poche parole sconnesse ed incomprensibili. « Come, scusa? »
gli chiese nuovamente Bill, nonostante avesse intuito cosa stesse
cercando di dire: era quella la ragione che l'aveva spinto a porgli
quella domanda; proprio perchè conosceva troppo bene suo
fratello.
«
Non le ho ancora preso niente. » ammise, con sguardo
costantemente basso. Bill annuì come attendesse con sicurezza
quella timida risposta.
«
Proprio come pensavo. » commentò con fare esperto, il
che irritò particolarmente il chitarrista.
«
Taci, tu. Non provare a farmi la ramanzina. » lo ammonì
in fretta, sapendo che non sarebbe servito a nulla.
«
Sai che la Vigilia è domani? »
«
Sì che lo so. »
«
E sai anche che queste lattine di birra non ti faranno trovare un
regalo già incartato dietro la porta di casa, da dare a
Monique? »
«
La tua ironia fa schifo. »
«
La tua disorganizzazione ancora di più. »
Tom
sospirò con fatica e si passò le mani sulla faccia;
sembrava sull'orlo della disperazione.
Aveva
pensato al regalo per Monique; eccome se ci aveva pensato. Ma lui era
un uomo, o meglio un ragazzo, e di regali se ne intendeva come un
africano poteva intendersi di cultura giapponese: era un qualcosa di
completamente estraneo a lui, ancora di più perchè non
era mai stato fidanzato seriamente con una persona.
«
Bill, lo sai che non sono pratico di queste cose. » mormorò,
sconfitto.
«
Oh, lo so benissimo, è per questo che adesso tu molli quelle
birre, ti prepari e vieni con me al centro commerciale. »
rispose il vocalist, per poi alzarsi nuovamente dalla sedia.
«
Al centro commerciale? Ma sei impazzito? È pieno di ragazzine
urlanti! » esclamò basito il chitarrista.
«
Ci portiamo dietro Tobi. Muoviti e non fare storie, ti sto salvando
da una colossale figura di merda. » concluse il vocalist,
mentre usciva dalla cucina, senza degnare suo fratello di ulteriore
attenzione.
Il
centro commerciale, quel giorno, non era particolarmente affollato.
Monique odiava dover camminare in mezzo a tanta gente e quella
visione fu per lei un sollievo. Jessica, accanto a lei, si guardava
attorno, alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto fare al caso del
chitarrista. Alla fine, l'aveva convinta a passare una giornata
assieme a lei, a fare compere, con l'intento di trovare finalmente un
regalo di Natale per il suo fidanzato. Eveline sedeva sul passeggino,
mentre giocherellava distrattamente con la sua giraffa di peluche.
Per
lei, Monique aveva già risolto: un bambolotto e delle
scarpette. Sarebbe stata sicuramente contenta di ricevere quei
regali, accompagnati al vestitino che Tom le aveva comprato e che si
era portato allo studio di registrazione, per incartarlo nel miglior
modo possibile, anche se con qualche difficoltà. Monique si
era anche offerta di farlo al posto suo, ma il ragazzo aveva puntato
i piedi e con fermo orgoglio aveva rifiutato.
Tipico
dei Kaulitz, pensò con un lieve sorriso sul volto.
«
Allora, ti stai facendo venire in mente qualche idea? » le
chiese improvvisamente Jessica.
«
No, sto andando sempre più in palla. » borbottò
Monique.
«
Non ti concentri. » la rimproverò quindi la rossa.
«
Anche mi concentrassi, non troverei nulla. »
«
Sei una scansafatiche. »
«
Non insultare a gratis! »
«
E tu allora comincia a spremerti le meningi per questo benedetto
regalo! Non usciamo di qui finchè non abbiamo finito! »
«
Bill, smettila di insultarmi! Sto pensando! » si lamentò
il chitarrista, al passo con suo fratello, in mezzo a quell'enorme
centro commerciale. Tobi al seguito.
«
Sei in grado di pensare un po' più velocemente? E magari
produrre anche qualcosa di utile con quella tua testaccia? »
ribattè Bill, del tutto scocciato. Non voleva agitare Tom più
del dovuto, ma avrebbero festeggiato tutti insieme la Vigilia il
giorno seguente e non ci sarebbe stato più tempo per le
compere.
«
Bill, sei un martello pneumatico! » esclamò per
l'ennesima volta proprio il chitarrista. Si sentiva già
estremamente incapace e fuori tempo massimo per quel tipo di impegno
ed avere qualcuno affianco a ricordargli quanto fosse idiota ogni tre
secondi era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento. «
Oddio, c'è Monique! » esclamò poi, sentendo il
proprio cuore fargli un balzo in gola, spezzandogli il fiato.
«
Cosa? Ma che dici? » domandò Bill esterrefatto,
guardandosi attorno.
«
Bill, cazzo, abbassati! » Lo afferrò per la magli e se
lo trascinò con sé in ginocchio, dietro a delle giacche
in pelle.
«
Oddio, ho visto Bill! » Monique corse velocemente dietro un
pilastro in muratura che quel negozio ospitava nel proprio centro.
Jessica, con qualche difficoltà per via del passeggino con
Eveline a bordo, la raggiunse frettolosamente. « Era con Tom! »
aggiunse la mora, agitata. « Mi aveva detto che doveva stare
tutto il giorno allo studio di registrazione! » obiettò
successivamente. Non le piaceva l'idea che Tom le dicesse delle
bugie, anche se, effettivamente, nemmeno lei gli aveva raccontato
tutta la verità.
«
Non cercare il pelo nell'uovo; anche tu gli hai detto che saresti
rimasta a casa, a dormire. » le ricordò immediatamente
Jessica, come la voce della sua coscienza. Odiava ammetterlo, ma
aveva ragione.
«
Sta di fatto che non deve trovarmi qui. Cerchiamo di andarcene. »
sussurrò la mora, con decisione. La rossa sollevò gli
occhi al soffitto, sconfitta ormai da tanta assurdità.
«
Mamy, cota fattamo? » domandò all'improvviso la piccola
Eveline, decisamente annoiata da quella strana situazione. Aveva
passato abbastanza tempo a giocare con il suo pupazzo, da sola, in un
mondo fantasioso, frutto della sua immaginazione infantile, ma era
giunto il momento in cui la noia e la monotonia avevano preso il
sopravvento.
«
Ora usciamo da questo negozio. Ma tu mi devi fare un favore: finchè
non siamo fuori, non parlare, okay? » parlò fin troppo
velocemente Monique, senza pensare che una bambina di due anni non
avrebbe mai capito quale fosse la motivazione. Proprio per questo,
Eveline gonfiò le guance, incupendosi in un simpatico broncio
che la rendeva, per assurdo, ancora più carina e dolce.
«
La mamma sta impazzendo, piccola, devi capirla. » sospirò,
con fare teatrale, Jessica, ricevendo in risposta una vigorosa sberla
sul collo da parte della diretta interessata.
«
Tom, questa è la cosa più umiliante che tu mi abbia mai
chiesto di fare in ventidue anni! »
Le
lamentele di Bill continuavano a fungere da sottofondo a quella
situazione già di per sé imbarazzante ed in un certo
senso comica. Ricordando un esercizio del servizio militare, i
gemelli erano intenti a pulire il pavimento del negozio con i propri
vestiti. Tom era deciso a non farsi scorgere da Monique – la quale
era momentaneamente scomparsa dietro ad un pilastro assieme a Jessica
ed Eveline – e, seguito da suo fratello, avanzava carponi nella
direzione opposta di quella della sua ragazza, ancora nascosto dietro
degli indumenti appesi.
«
Smettila di lamentarti e collabora! » esclamò, piuttosto
scocciato da tanta riluttanza da parte di suo fratello.
«
La commessa ci sta guardando come fossimo cavie da laboratorio e
credo che stia seriamente pensando di chiamare l'ambulanza per la
nostra discutibile sanità mentale. »
«
Rendile lo spettacolo più piacevole abbassandoti i pantaloni,
così, se siamo fortunati, chiamerà anche la polizia. »
«
Non sei divertente. » Continuarono ad avanzare, senza mai
omettere qualche offesa reciproca di tanto in tanto. «
Comunque, non la vedo più. » esortò
all'improvviso Bill, dopo qualche minuto. Tom si guardò
incuriosito attorno, senza dare troppo nell'occhio, e con incredibile
sollievo si rese conto che suo fratello aveva ragione: di Monique non
vi era più nemmeno l'ombra.
«
Bene, possiamo continuare le ricerche. » sospirò
rincuorato, mentre si rimetteva in piedi per scrollarsi di dosso la
polvere che aveva preso la residenza sui suoi vestiti. Il vocalist,
del tutto schifato da ciò che aveva trovato sui suoi preziosi
indumenti, lo imitò, stando però attendo a non
sporcarsi le mani più del dovuto, con una smorfia disgustata.
«
Uno di questi giorni, devo chiedere a mamma di cancellare il tuo nome
dal suo testamento. » ringhiò, riprendendo a camminare
dietro all'essere che rendeva la sua vita dannatamente movimentata.
Si
sentiva decisamente più sollevata, ora che il chitarrista si
trovava lontano da lei. Uscire da quel negozio si era rivelato
decisamente arduo ma, con un po' di pazienza, vi era riuscita.
Jessica, dietro di lei, non aveva fatto altro che lamentarsi su
quanto imbarazzante ed assurda fosse quella situazione, mentre
Eveline, ancora seduta sul passeggino, aveva mantenuto la parola data
e quindi aveva taciuto fino alla fine della loro “fuga”.
«
Ora però siamo di nuovo punto e a capo. » mormorò
Monique, con un lieve sospiro rassegnato. Le pareva l'impresa più
difficile e quasi impossibile del secolo; era solo un regalo di
Natale... Un semplicissimo regalo. Non avrebbe implicato nulla,
soprattutto con Tom, il quale sarebbe stato contento sempre e
comunque di ogni suo gesto, questo lo sapeva. Ed il fatto che non
fosse ancora riuscita a trovare una soluzione a tale dilemma la
faceva sentire ancora più stupida.
Camminò
ancora per qualche metro, fino a che la sua attenzione non fu
catturata da una particolare vetrina. I suoi occhi si illuminarono e
le sue labbra si schiusero appena, in un'espressione di totale
sorpresa ed adorazione.
«
L'ho trovato. »
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Capitolo 17 *** Seventeen. ***
ciao
Seventeen.
Cambiò
per la settima volta posizione del cuscino rosso sul divano. Il
pavimento l'aveva spazzato tre volte e cinque volte aveva spolverato
i mobili. Non che le importasse particolarmente arrivare a
specchiarsi sul legno scuro dell'arredamento, ma non le capitava
tutti i giorni di avere ospiti a casa sua, apparte l'onnipresente
Jessica, che ormai non faceva più testo. Era come se una parte
di lei volesse ancora fare colpo su di loro, sui Tokio Hotel, ma
quella volta nei panni della fidanzata del loro amico.
Sapevano
ogni cosa di lei; conoscevano il suo carattere, il suo modo di
vestire, la sua casa, le sue ansie, i suoi difetti... Ma forse, come
ragazza di Tom, ancora non la conoscevano bene. Sentiva di dover
ricominciare da capo, di dare loro un'ulteriore nuova impressione
perchè, quella volta, era per una ragione molto più
importante.
Era
la Viglia di Natale ed il suo cuore batteva ad un ritmo regolare ma
accelerato; tutti quanti avrebbero festeggiato assieme a lei, nella
sua umile dimora, e ciò la fece sentire un po' più
importante ed apprezzata. Passare quella serata anche con Tom
significava rendere ancora più ufficiale, per quanto fosse
possibile, il loro rapporto e l'emozione, probabilmente, derivava da
quel costante pensiero.
Nascose
il pacchetto per il suo fidanzato nell'armadio, con l'intenzione di
non farlo uscire di lì fino al fatidico momento dell'arrivo di
“Babbo Natale”. Non voleva rendere l'infanzia di Eveline diversa
da quella degli altri bambini o semplicemente della sua: fino ai sei,
sette anni aveva sempre creduto nell'esistenza di Babbo Natale e per
tanto non voleva privare sua figlia di quell'immaginazione così
pura ed innocente.
Si
era già messa d'accordo con Tom: Jessica avrebbe portato
Eveline in bagno, con una scusa, e lei ed il chitarrista avrebbero
tirato fuori i regali per la bambina, posizionandoli sotto l'albero.
Solo in quell'esatto istante Monique avrebbe aggiunto quello per Tom.
Si
passò le mani leggermente umide sui jeans, quando finalmente
sentì suonare il campanello. Sorrise in modo del tutto
spontaneo e, dopo aver preso un bel respiro, andò ad aprire la
porta.
«
Auguri! » esclamarono i Tokio Hotel in coro. Monique non fece
in tempo a rispondere che la travolsero di baci ed abbracci; poteva
percepire fragranze diverse di profumi da uomo farsi sempre più
forti e gradevoli con la loro vicinanza. Quando finalmente i ragazzi
entrarono, Tom le si avvicinò con un dolce sorriso, per poi
stamparle un bacio sulle labbra.
«
Auguri. » sussurrò. « Ho qui i regali per Eveline.
» le disse successivamente, mostrandole i sacchetti.
«
Vieni. »
Monique
lo fece entrare e chiuse la porta, per poi correre in camera sua, con
lui al seguito. Aprì l'anta dell'armadio, dove Tom non avrebbe
trovato il suo regalo, e lo invitò a posarci le buste.
«
Eveline? » le chiese poi, voltatosi nella sua direzione.
«
In giro con Jessica; adesso arrivano. » sorrise la mora, mentre
il chitarrista la stringeva delicatamente a sé, per immergere
il proprio viso fra i suoi capelli.
«
Sei... Bella. » le sussurrò all'orecchio, quasi con
imbarazzo. Il cuore di Monique fece una capovolta; ancora non era
abituata a ricevere complimenti da lui.
Lui
era fondamentalmente timido, nonostante cercasse di marcare
continuamente il suo carattere forte e sicuro di sé, e per
quella ragione non si perdeva spesso in commenti o discorsi troppo
melensi: ormai aveva imparato a conoscerlo ed a leggerlo nel profondo
del suo animo attraverso gli occhi nocciola che tanto la rapivano, ed
il fatto che di tanto in tanto riusciva anche a strapparlo da quelle
sue abitudini la lusingava particolarmente.
«
Ho addosso dei semplici jeans ed una semplice maglietta. »
disse Monique, con la voce ovattata, poiché aveva il viso
schiacciato contro il suo petto.
«
Non devi vestirti come una sgualdrina per essere bella; lo sei
comunque. » ribattè Tom, cercando di mantenere un tono
privo di imbarazzo per ciò che con tanta fatica stava dicendo.
Monique si limitò ad arrossire, senza rispondergli, ed a
schioccargli un veloce bacio sul collo, prima di staccarsi
definitivamente da lui e raggiungere assieme il salotto, dove gli
altri li attendevano, seduti sul divano e sulle poltrone.
«
David ha raggiunto la sua famiglia? » domandò Monique,
mentre si sedeva in braccio a Tom, sul divano. Affianco a loro, Bill
li osservava con un dolce sorriso sul volto.
«
Sì, è partito stamattina. Ci ha detto di salutarti, ma
penso che ti chiamerà domani, per farti gli auguri. »
rispose Gustav, comodamente seduto su una poltrona, mentre Georg
occupava la seconda, di fronte a lui.
«
Voi a che ora partite, domani mattina? » chiese nuovamente la
mora, sta volta a Tom e Bill. I due si scambiarono un'occhiata e poi
tornarono a guardarla.
«
Quando parti tu. » le rispose Tom, mentre con una mano le
carezzava distrattamente un fianco. Monique, dal suo canto, cercava
di comportarsi in modo disinvolto, ma non poteva nascondere di
adorare quelle dolci attenzioni.
«
Ti fermi qui? » gli domandò.
«
Se vuoi, sì. »
«
Certo che voglio. »
Proprio
in quel momento, il campanello trillò. Monique si alzò
velocemente dalle gambe del chitarrista e corse ad aprire a sua
figlia ed alla sua migliore amica. « Ciao, piccina! Ti sei
divertita in giro con zia Jessica? » esclamò la mora,
prendendo in braccio la bambina per stringerla e riempirla di baci.
Eveline sorrise entusiasta ed annuì con energia. Alle spalle
di Monique, si era nel frattempo avvicinato Tom.
«
Ciao, piccola. » salutò la morettina, arruffandole
appena i capelli con una mano. Eveline rispose con un semplice e
timido sorriso.
«
Hai cucinato tu, sul serio? » domandò Bill, con la bocca
piena, intento a masticare tutto ciò che di prelibato Monique
aveva preparato quella sera.
«
Certo; non ci credi? » rispose la mora, fiera.
«
Complimenti, Monique, è buonissimo tutto quanto. »
intervenne Gustav.
Erano
tutti seduti a tavola, intenti a mangiare e chiacchierare
animatamente. Monique adorava quel tipo di atmosfera ed era ciò
che più desiderava per sua figlia. Crescere in quell'ambiente
le avrebbe fatto bene; oltre ad essere pazze, erano soprattutto brave
persone.
«
La mamy cutina bene. » intervenne Eveline, mentre veniva
imboccata da sua mamma.
«
Sì, amore. » sorrise dolcemente Bill, decisamente
intenerito da quella piccola creatura.
Quando
Monique si voltò verso la sua destra, notò uno strano
comportamento da parte di Jessica: non era la solita spumeggiante
amica, piena di battute e vitalità; quella sera era una
ragazza più timida e chiusa del solito, decisa a scrutare il
proprio piatto e facendo ben attenzione a non sollevare lo sguardo
troppo spesso. La mora la conosceva meglio di chiunque altro e
percepiva fortemente che qualcosa non andava.
«
Oh, mi sono ricordata ora di una cosa. Jessica verresti un attimo con
me, di là? » esortò Monique all'improvviso. La
rossa sollevò lo sguardo corrucciato su di lei ed annuì
distrattamente. « Torniamo subito. » aggiunse, prima di
uscire dalla cucina assieme a Jessica. Una volta giunte in bagno,
chiuse la porta.
«
Che devi fare? » le domandò Jessica, osservandola
incuriosita.
«
Parlare con te. » rispose Monique, con fermezza. «
Stasera hai qualcosa che non va. »
«
Non ho niente che non va. »
«
Non mi raccontare delle storie, ti conosco benissimo. Sei spenta e
non è da te. »
Jessica
abbassò momentaneamente lo sguardo, torturandosi le mani.
Sembrava stesse per ammettere una verità estremamente
scottante, persino per lei.
«
Io... Credo... » cominciò, per poi deglutire a fatica.
Monique era sempre più impaziente di capire cosa turbasse la
sua migliore amica. « Credo di essermi innamorata. »
Il
silenzio che ne provenne fu quasi destabilizzante. Monique non faceva
altro che fissarla, sbattendo ripetutamente le palpebre e cercando di
analizzare per bene quelle parole.
Faticava
a capacitarsene: Jessica si era sempre definita uno spirito libero,
un po' come Tom agli inizi. Aveva sempre quasi ripudiato l'amore ed
aveva sempre e fermamente ribadito che non sarebbe mai stata in grado
di innamorarsi di qualcuno, poiché lei non credeva in quel
sentimento così forte e totalizzante.
«
Sei – sei innamorata? » ripetè Monique, osservandola
con espressione incredula. Jessica, invece, non riusciva a guardarla
negli occhi. Aveva le guance purpuree e, forse per la prima volta, si
sentiva in completo imbarazzo.
«
Non lo so. Credo. Come ci si sente, quando si è innamorati? Io
non l'ho mai saputo. » rispose la rossa, con lo sguardo basso.
Monique sentì una stretta al cuore: vedere la sua migliore
amica così indifesa ed improvvisamente piccola le faceva uno
strano effetto.
Sorridendo
appena, le si avvicinò e la strinse forte a sé,
cercando di infonderle quella sicurezza che aveva momentaneamente
perso. La rossa sembrò rincuorata da quel gesto, così
ricambiò quella stretta, cercandovi un rifugio sicuro. Monique
la comprendeva: probabilmente, in quell'istante, si sentiva
frastornata, insicura, forse un po' impaurita. Ma non poteva non
esserne felice.
«
Lo sapevo che non avevi il cuore di pietra. » sorrise la mora,
carezzandole appena la schiena. Successivamente si separò
dall'abbraccio e la scrutò entusiasta negli occhi. «
Georg, non è vero? » le domandò comprensiva. La
rossa, a quel punto, posò lo sguardo sul suo, corrugando la
fronte. « Siete usciti la stessa sera, insieme, senza dire
niente a nessuno. » continuò Monique, mentre Jessica la
osservava sempre più stranita. « Potevi dirmelo. Che
male c'è? »
«
Ehm... Georg? Che c'entra Georg? » domandò la rossa,
perplessa.
«
Siete usciti fuori una sera, no? »
«
No. »
Monique
stette qualche attimo in silenzio, cercando di collegare. Era
convinta che quella sera, poiché tutti e due erano usciti
senza dare spiegazioni a nessuno e con atteggiamento piuttosto
scaltro, si fossero visti di nascosto.
«
Allora mi dev'essere sfuggito qualcosa. » ammise.
«
Io credo di essermi innamorata di... » prese un bel respiro. «
Di Bill. »
Per
poco la mandibola di Monique non toccò il pavimento.
Jessica
sia era innamorata di Bill?! Il prototipo di ragazzo che aveva sempre
criticato?
«
Di – di Bill?! » esclamò esterrefatta.
«
Lo so, sembra assurdo anche a me. Ma, con il passare del tempo,
vedendolo molto spesso, ultimamente... Non so, mi è scattato
qualcosa. Hai presente quella voglia di stringerti a lui e sentirti
al sicuro fra le sue braccia? » spiegò Jessica con
un'innocenza del tutto nuova nei suoi occhi, al che la mora annuì
appena, con un sorriso comprensivo sul volto. « Il che è
piuttosto assurdo, visto il suo esile corpicino, dato che potrebbe
essere il contrario. » aggiunse poi, con tono ironico. Monique
si lasciò andare ad una lieve risata: non aveva tutti i torti.
«
Ma lui lo sa? » le venne spontaneo domandare. Che si fosse
tutto svolto sotto i suoi occhi senza che lei se ne fosse mai
accorta?
«
No. Ma il punto è che tutto è nato da me
all'improvviso. Voglio dire, non ci siamo neanche mai parlati né
sentiti, apparte “Buon giorno” e “Buonasera”, se capitava di
incontrarci. Quasi non saprà che esisto, per intenderci. »
«
Comincia a scambiarci qualche parola, fatti conoscere meglio. »
le consigliò quindi Monique, la quale aveva decisamente capito
in quale situazione si trovasse Jessica.
Lei,
che non aveva mai avuto problemi con i ragazzi; lei, che non aveva
mai avuto timore di far sapere al mondo intero un proprio pensiero;
le, che non sapeva nemmeno cosa fosse la timidezza. Ora si trovava in
difficoltà, come un pesce fuor d'acqua, come non avesse mai
attraversato nulla di simile. La spiegazione era una sola: Bill era
divenuto per lei un vero e proprio punto di riferimento e lo
desiderava da impazzire.
«
Mi mette quasi in soggezione. Lo vedo così aperto con te; con
me è timido, riservato... »
«
Con me è aperto perchè sono la fidanzata di suo
fratello e lavoro per lui. Magari con te è timido proprio
perchè anche tu gli piaci. Ti ricordi quando mi avevi detto,
tempo fa, che il comportamento scontroso di Tom poteva dipendere
proprio da quello? A me sembrava assurdo, ma alla fine si è
rivelato tale. »
Stette
ancora qualche attimo a riflettere, a meditare sulle parole sincere
della sua migliore amica. Monique era positiva: Jessica era una
bellissima ragazza, dal carattere meraviglioso e difficilmente
passava inosservata. Non c'era motivo che potesse spingere Bill a
rifiutarla, una volta conosciuta meglio.
«
Non lo so. Proverò. » si arrese quindi, dopo aver tirato
un lieve sospiro. La mora sorrise soddisfatta e le schioccò un
bacio sulla guancia, prima di invitarla a tornare in cucina.
Al
loro ingresso, trovarono Tom intento ad imboccare Eveline, la quale
accettava di buon grado quelle attenzioni – cosa che fino a poco
tempo prima non avrebbe assolutamente fatto.
«
No, ti prego, potrei commuovermi. » disse Monique,
avvicinandosi intenerita a Tom, il quale le sorrise appena, un po'
rosso sulle gote. Le cedette il posto e le fece una leggera carezza
sul braccio, prima di tornare a mangiare affianco a lei.
«
Che hai dimenticato? » le domandò quindi, piuttosto
interessato.
«
Cose di donne. » rispose enigmatica. « Ma voi non partite
più per concerti, interviste o cose varie? Io continuo a
venire a lavorare ma non mi viene detto nulla. »
«
Beh, ora siamo in vacanza, almeno fino al ventisei. Un po' di pausa
concedicela, ogni tanto. » ridacchiò Bill, con
espressione stremata in volto.
«
Che ne so, siete sempre impegnati. » si difese Monique,
divertita.
«
A proposito di gente impegnata... Piccolo Georg, non devi dire
qualcosa alle signorine qui presenti? » sorrise improvvisamente
con malizia Bill. Monique e Jessica si scambiarono una veloce
occhiata incuriosita, per poi tornare a concentrarsi sulla faccia
paonazza del rosso.
Quest'ultimo
si schiarì la voce, continuando ad osservare il proprio
piatto, e rimase qualche secondo in silenzio, prima di dare loro il
benservito.
«
Ehm... Ho conosciuto una ragazza ultimamente... » cominciò,
rimanendo fastidiosamente sul vago.
«
Cosa?! Chi?! » esclamò Monique con occhi sgranati.
«
Sembrerà assurdo; era una nostra fan. Dall'ultimo viaggio in
Francia per il servizio fotografico, ci siamo sentiti sempre per
telefono o per messaggio. Ogni tanto mi veniva a trovare ed io uscivo
di nascosto dallo studio di registrazione per non farvi sospettare di
nulla, almeno fino a che la cosa non fosse divenuta ufficiale. Beh, è
divenuta ufficiale. »
Monique
si voltò di scatto in direzione di Tom, il quale si tirò
automaticamente indietro di qualche millimetro, come spaventato da
quegli occhi sgranati che lo fissavano quasi sotto shock.
«
E tu non mi hai detto niente?! » domandò esterrefatta. A
quel punto, fu Tom a sgranare occhi e bocca.
«
Ma non lo sapevo nemmeno io! Me l'ha detto solo ieri! » si
difese, risoluto. Monique si limitò a grugnire, parzialmente
soddisfatta da quella risposta.
«
E come si chiama? » domandò quindi a Georg.
«
Elize. » sorrise appena. « Ha vent'anni. »
«
Devi farcela conoscere. »
«
Non appena mi verrà di nuovo a trovare, sicuramente. »
Ora
Monique capiva. Non si vedeva con Jessica ma con Elize.
«
Beh, che ne dite di una partita a tombola? » propose il rosso
all'improvviso.
Eveline
sedeva in braccio alla sua mamma e con lo sguardo seguiva ogni
singolo movimento dei componenti della tavolata. Era la prima volta
che veniva a conoscenza di quello strano gioco, anche se non aveva
capito più di tanto come funzionasse. Si limitava ad osservare
il tutto, piuttosto incuriosita, senza dire una parola. Ogni tanto
Monique la invitava a tirare giù una strana casella in una
schedina rossa, ma la piccola proprio non riusciva ad afferrare a
cosa servisse. D'altronde non si poteva pretendere più di
tanto da una bambina di due anni.
«
Settanta. » continuò a parlare Gustav, il quale
rimescolava le pedine in un piccolo sacco di velluto, per poi posarlo
sul suo quadro, che teneva di fronte a sé. La tavolata stava
in silenzio. « Trentatré. »
«
Tombola! » esclamò all'improvviso Tom, al fianco di
Monique. Quest'ultima di voltò verso di lui con espressione
incuriosita, mentre un sopracciglio si inarcava con sarcasmo. «
Sono troppo forte. » si vantò lui, successivamente.
«
Non è abilità, è culo. » lo contraddisse
la sua ragazza. Il chitarrista si voltò verso di lei con un
simpatico broncio sul viso.
«
Sei cattiva, dovresti stare dalla mia parte. » si lamentò,
fingendosi offeso.
«
Oh, lo sono, ma sono anche dannatamente sincera. » sorrise lei
amabilmente. Tom, in risposta, le fece una sentita linguaccia. Nel
momento in cui Monique sollevò lo sguardo sull'orologio appeso
al muro della cucina, si rese conto che il momento di tirare fuori i
regali era giunto: era mezzanotte meno dieci. « Ehm, wow, già
mezzanotte meno dieci! » esclamò, scambiandosi uno
sguardo eloquente con Jessica, la quale capì subito
l'antifona.
«
Io vado un attimo in bagno; Eveline, vieni con la zia? »
sorrise teneramente ad Eveline, dopo essersi alzata dalla sedia. La
piccola, ovviamente, non le disse di no ed allungò le braccia
nella sua direzione per farsi prendere in braccio. « Torniamo
subito. » annunciò la rossa, per poi sparire al di là
della porta.
Monique
e Tom, a quel punto, si alzarono a loro volta dalle sedie e chiesero
agli altri presenti di sedersi in salotto, poiché loro
sarebbero tornati presto.
Non
appena entrarono nella camera della ragazza, si affrettarono a
recuperare dall'armadio tutto ciò che di incartato sostava lì
dentro; Monique, senza che Tom lo notasse, prese anche quello per il
suo ragazzo, sentendo nel frattempo un forte brivido d'agitazione
lungo la schiena.
Una
volta tornati in salotto, posizionarono il tutto sotto l'albero
adorno. Monique, quindi, spiccò una corsa verso il bagno,
cominciando poi a bussarvi delicatamente.
«
Eveline! Esci subito fuori con la zia! » La porta si aprì
immediatamente. « E' arrivato Babbo Natale! Vieni a vedere
quanti regali ci ha lasciato sotto l'albero! »
Gli
occhioni celesti di Eveline si sgranarono di sorpresa, mentre un
sorriso gioioso le si dipinse in volto. Jessica, sorridendo a sua
volta, camminò con la piccola in braccio, fino a raggiungere i
Tokio Hotel in salotto.
«
Hai visto quanti regali, Eve? Babbo Natale è un tipo
simpatico. Gli abbiamo chiesto di restare un po' ma ha detto che
aveva da fare e che doveva portare gli altri regali ai bambini di
tutta la Germania. Pensa che fatica! » parlò Bill,
suscitando divertimento in ogni presente, esclusa Eveline, la quale
sembrava crederci sul serio.
Non
appena Jessica la posò sul pavimento, la piccola si avvicinò
quasi timorosa ai regali, con un ditino in bocca. Lo faceva spesso
quando era intimidita. Proprio nel momento in cui si trovava ad una
giusta distanza da quei pacchetti colorati, si voltò verso la
mamma, come aspettando un gesti di assenso da parte sua.
«
Hey, aprili, non mordono mica. » la incoraggiò Monique.
Eveline,
a quel punto, si voltò nuovamente in direzione dei regali e
provò ad aprirne uno, dopo essersi seduta per terra, per
facilitarsi il compito. Cosa del tutto inutile, dato che aveva
qualche difficoltà nello scartare. Così, Monique e Tom
si sedettero affianco a lei e, chi con un pacchetto, chi con un
altro, l'aiutarono ad aprirli tutti.
Eveline
sembrava incredula a tutto ciò che le si presentava davanti
agli occhi e non aveva neanche il coraggio di dire qualche cosa.
Monique sapeva che era una bambina molto timida, che difficilmente si
mostrava agli occhi degli altri, ma sapeva che sua figlia in quel
momento era felice. Il vestitino di Tom le era piaciuto
particolarmente, assieme agli altri capi da parte dei Tokio Hotel;
così come i pensieri da parte di Jessica e Monique.
Quest'ultima era serena nel leggere la contentezza negli occhi di sua
figlia; non avrebbe potuto desiderare di meglio.
«
Glatie, Babbotale. » disse la piccola, ancora intimidita,
poiché tutti gli occhi erano ancora puntati addosso a lei. A
quell'affermazione, non poterono fare altro che sentirsi
tremendamente inteneriti.
«
Sei contenta? » le domandò la mamma. Eveline, con un
piccolo sorriso, annuì appena; ciò voleva dire che era
a dir poco entusiasta. « Bene, allora riferiremo a Babbo
Natale. Ora, piccina, è arrivato il momento per te di andare a
nanna. Sei stata anche fino troppo in piedi. » Eveline, a
quell'affermazione, gonfiò le guance, come suo solito, con
espressione contrariata. « Dai, saluta tutti. »
Eveline
schioccò un timido bacio sulla guancia di ognuno, ricevendolo
in cambio assieme ad un “Buon Natale”. Non appena arrivò
il turno di Tom, la piccola lo afferrò dolcemente per la
maglia.
«
Acche tu di là. » disse semplicemente e nel petto di Tom
cominciò a smuoversi qualcosa che lo rese momentaneamente il
ragazzo più felice del mondo.
Venire
così apprezzato, ma soprattutto essere anche cercato dalla
figlia della propria ragazza era un qualcosa di unico, di troppo
bello per sembrare reale. Aveva sempre avuto paura di dover fare i
conti con un muro troppo più alto di lui, ma così non
era stato. Anzi, il tutto viaggiava nella sua stessa direzione.
Il
chitarrista quindi, con un sorriso sereno in volto, si sollevò
dal pavimento per poi seguire la sua fidanzata, con Eveline in
braccio, fino alla stanzetta della bambina.
Monique
cercava di reprimere un urlo di gioia, poiché si sentiva
pienamente soddisfatta e completa. Cosa c'era di meglio in ciò
che stava vivendo in quel momento? A volte aveva una sorta di timore,
poiché sembrava realmente troppo bello per essere vero. Come
se la vera batosta fosse lì dietro l'angolo, pronta a colpirla
quando meno se lo sarebbe aspettata. Mai la sua vita era andata così
bene, fino a quel momento.
Insieme,
rimboccarono le coperte ad Eveline, proprio come una vera famiglia,
il che fece loro uno strano ma piacevole effetto. Le schioccarono un
bacio sulla guancia e poi la lasciarono riposare, chiudendosi la
porta alle spalle.
Prima
di tornare in salotto, Tom afferrò Monique e se la strinse
forte al petto, respirando intensamente il suo profumo.
«
Non hai idea della gioia che mi date entrambe. » le sussurrò
all'orecchio. Monique, toccata nel profondo, si strinse maggiormente
a lui, per poi posare le labbra sulle sue.
Era
lui che non aveva idea del contrario. Da quando si erano messi
insieme, non si sentiva più persa.
«
Lo sai che devi ancora aprire il mio regalo? » gli sorrise a
pochi millimetri dalle labbra.
«
E tu lo sai che devi ancora aprire il mio? » le domandò,
di rimando.
«
Monique, hai ufficialmente firmato la nostra condanna. »
Quell'affermazione
così sconsola arrivò da parte di Georg nel momento in
cui Bill scoprì cosa gli avesse regalato la mora: un set
completo di trucchi, accompagnato da prodotti per i capelli. I Tokio
Hotel sapevano che Bill, non l'avrebbe fermato più nessuno.
Avrebbe passato delle ore davanti allo specchio, molte di più
di quelle che già spendeva giornalmente, costringendo gli
altri ragazzi ad andare a fare la pipì in giardino, ogni
mattina.
«
Beh, mi è sembrata la cosa più azzeccata, non appena
l'ho vista. » si giustificò Monique, piuttosto
divertita.
«
Sappi che mi trasferisco da te. » borbottò Tom. Non che
questo alla mora dispiacesse.
«
Non li ascoltare, Monique, non capiscono nulla. Mi piacciono davvero
tanto. Ora mi sbizzarrisco! » esclamò un Bill
decisamente entusiasta. Si sporse in direzione della mora e le
schioccò un sonoro bacio sulla guancia. « Grazie,
cognatina! »
Tom,
affianco a Monique, prese a tossire, probabilmente strozzatosi con la
sua stessa saliva.
«
Bill, c'è tempo per il matrimonio. Stiamo calmi. »
fiatò, un po' in difficoltà, con le lacrime agli occhi
per il troppo tossire. Tutti quanti ridacchiarono, compresa Monique.
Non voleva neanche sentir nominare la parola 'matrimonio'.
«
Dai, Monique, apri il mio regalo ora. » la esortò il
vocalist divertito, mentre le passava un pacchetto color rosso fuoco.
Monique, incuriosita, prese a scartalo, fino a che non ne tirò
fuori un indumento alquanto bizzarro. Per lo meno, per lei.
«
Ma... Bill! » esclamò Tom, indignato.
Monique
sventolava con una mano il provocante completo intimo in pizzo nero,
trasparente, del quale un pezzo avrebbe dovuto dividerle a metà
le natiche. Le venne spontaneo scoppiare a ridere.
«
Questo è più per Tom che per me, ammettilo. »
sorrise divertita, continuando ad osservare quel simpatico
completino.
«
Beh, non nego di aver pensato a Tom, quando l'ho preso. Potresti
farlo felice in certi momentini. » ammise con malizia.
Tom,
affianco a Monique, grugnì appena.
«
Allora te lo devi mettere solo per quei determinati momentini con me,
non per andare in giro. » concluse irremovibile.
Monique
doveva ammettere che tutte quelle attenzioni e quei momenti di
gelosia non le dispiacevano. Sembrava strano, ma era un buon metodo
per constatare quanto tenesse a lei. Non che ne dubitasse, ma
sentirsi così speciale – ancora di più – di tanto
in tanto era una mano santa per il suo orgoglio femminile.
«
Sì, signore. » lo prese in giro, fingendosi rassegnata.
A
quel punto, venne il momento dei regali di Gustav e Georg. Gustav le
aveva comprato uno splendido set di trucchi di ogni tipo, mentre
Georg le aveva comprato un profumo buonissimo 'Dior'. Jessica le
aveva preso invece un paio di orecchini pendenti in oro bianco.
Gustav
aveva ricevuto una maglia dei Metallica da parte di Georg, una
cintura – accompagnata da un'intera scatola di preservativi – da
parte di Tom, due nuove bacchette per la batteria da parte di Bill ed
una felpa grigia con il cappuccio da parte di Monique. A Georg era
spettato un paio di pantaloncini da Bill, una piastra nuova da parte
di Gustav, un DVD da parte di Tom ed una maglietta da parte di
Monique. Quest'ultima aveva regalato a Jessica una collana della
Morellato.
A
quel punto, venne il turno di Tom, il quale ricevette un paio di
scarpe da Bill, una felpa da Gustav e dei boxer neri da Georg.
Il
cuore di Monique, nel frattempo, aveva cominciato a martellarle forte
nel petto. Era giunto il momento di porgli il suo regalo. Aveva una
paura incontenibile, forse anche inspiegabile. Temeva che non gli
sarebbe piaciuto o non ne aveva idea. Il punto era che non riusciva a
non pensare a qualcosa di catastrofico; ancora di più non
appena lo vide afferrare il suo pacchetto.
Tom
non faceva altro che sorriderle, come a volerla tranquillizzare,
poiché leggeva nei suoi occhi l'ansia. Ormai la conosceva e
sapeva perfettamente quanto fosse insicura.
Prese
a scartare incuriosito, mentre la mora si torturava le mani e pregava
perchè gli potesse piacere ciò che gli aveva comprato.
Quando tirò fuori dalla carta la scatoletta trattenne il
respiro. Il viso di Tom era contratto in un'espressione incuriosita e
serena.
Poi
aprì la scatoletta.
A
Monique venne spontaneo chiudere per un attimo gli occhi, per poi
riaprirli appena e controllare la sua reazione.
Il
ragazzo restò come basito per un momento e poi gli venne
spontaneo ridacchiare appena. Monique venne trafitta da un pugnale.
Perchè quella reazione? Faceva così tanto ridere? Tutte
le sue paure si erano dimostrate fondate e si sentì
tremendamente stupida.
Non
riuscì a dire nulla, semplicemente lo osservò tirare
fuori il bracciale dal cordino nero, con un pezzo in metallo nel
centro. Avrebbe dovuto dirgli che il suo regalo non era finito lì,
che doveva voltare il pezzo in metallo perchè vi era incisa
una parola al suo interno, ma le passò la voglia. Voleva
correre via. Sapeva che come scelta era stata avventata.
«
Mi piace tantissimo, piccola, grazie. » le sorrise, mentre
continuava a rigirarsi quel bracciale fra le dita. Monique, a quel
punto, si sentì offesa.
«
Non c'è bisogno che fingi, Tom. » sputò
acidamente. Il chitarrista corrugò la fronte. « Puoi
semplicemente dirmelo che ti sembra una cosa esagerata e ridicola. »
«
Esagerata e ridicola? Ma che dici? » domandò lui non
capendo cosa volesse dire.
«
Ti sei messo a ridere non appena l'hai visto! » esclamò
a quel punto Monique con le lacrime agli occhi. Ecco che l'ansia
accumulata la stava facendo esplodere. I presenti si scambiarono
delle occhiate tese.
«
Ma, piccola, non mi sono messo a ridere per questo regalo. » Le
sorrise rassicurante. « Vuoi sapere perchè mi sono messo
a ridere? » le domandò successivamente, per poi voltarsi
in direzione dell'albero e recuperare il suo pacchetto. « Apri.
» le disse, porgendoglielo.
Monique
esitò qualche istante, poi, asciugatasi una lacrima che le era
sfuggita al controllo, fece come le aveva detto. Nel frattempo Tom le
si era fatto più vicino e la aveva stretta a sé da
dietro. Monique completò l'operazione e quando aprì la
scatoletta rimase di stucco.
Ora
si vergognava ancor più di prima.
Tra
le mani teneva lo stesso braccialetto che gli aveva regalato. Quello
stesso braccialetto che l'aveva fatta dannare per tutti quei giorni,
poiché non era convinta potesse andargli a genio.
Avevano
avuto lo stesso pensiero.
«
Se siamo arrivati a farci lo stesso regalo, ci sarà una
spiegazione, no? » le sussurrò all'orecchio Tom, sempre
alle sue spalle, per poi darle un leggero bacio sul collo.
I
Tokio Hotel e Jessica, rincuorati, sorrisero, mettendo da parte la
tensione solo Bill era a conoscenza del motivo per cui suo fratello
si era messo a ridere alla vista del regalo di Monique, poiché
si trovava con lui al momento dell'acquisto di quel gioiello. «
Il mio però dovesti girarlo. » continuò con voce
dolce.
Monique
fece come le aveva detto e notò che all'interno del bracciale
vi era incisa una parola.
Mine
Non
appena la lesse, un brivido le attraversò la schiena. Era
straordinariamente bello sentirsi finalmente di qualcuno.
Si
voltò verso di lui o, con un lieve sorriso, gli diede un bacio
sulle labbra.
«
Grazie. » sussurrò. « Ora però gira il mio.
»
Tom
aggrottò le sopracciglia incuriosito e fece come gli aveva
detto. Sul retro dell'acciaio, anche lei vi aveva fatto incidere una
parola.
Home
«
Perchè con te mi sento finalmente a casa... Al sicuro. »
I
Tokio Hotel, tranne Tom, e Jessica se n'erano andati già da un
bel pezzo, lasciando il chitarrista e Monique a casa da soli. Eveline
era nel suo lettino, ormai nel mondo dei sogni da un po', mentre i
due ragazzi, per niente assonnati, si trovavano seduti al tavolo
della cucina, intenti a chiacchierare.
«
Caspita, non lo avrei mai detto. » commentò Tom,
piuttosto sorpreso. Monique gli aveva raccontato ciò che
Jessica le aveva confessato in bagno, quella sera.
«
Già, nemmeno io. Tu pensi che a Bill possa interessare? »
gli domandò poi, speranzosa.
«
Beh, non lo so. Lui non mi ha mai parlato di lei, ma non è
detto. Possono conoscersi meglio. Bill non è un tipo facile;
lui è uno che crede nel colpo di fulmine, ma tutto può
essere. Io penso che Jessica gli possa piacere. Per molte cosa si
assomigliano. »
«
Sì, lo credo anch'io. »
«
Comunque, piccola, io ti dovevo far leggere una cosa, prima. »
Detto questo, Tom tornò in salotto per recuperare la lettera e
gliela portò in cucina. « Solo che vorrei la leggessi da
sola perchè mi vergogno, quindi me ne vado in camera e ti
aspetto nel letto. »
Monique
poteva notare il rossore sulle sue gote, cose che la intenerì
parecchio, fino a che il chitarrista – dopo averle schioccato un
veloce bacio sulla bocca – non sparì oltre la porta.
A
Monique tremavano le mani. Non aveva mai ricevuto una lettera in vita
sua, soprattutto da un ragazzo. L'aveva sempre trovata una cosa molto
romantica ed era dannatamente curiosa di sapere cosa le avesse
scritto Tom.
La
aprì e, dopo aver preso un bel respiro, iniziò a
leggere.
Dunque,
come saprai, non sono per niente bravo in queste cose, ma farò
lo stesso un piccolo sforzo perchè ne sento il bisogno.
Probabilmente sai cosa penso di te ma preferisco dirtelo, poiché
voglio essere sicuro che tu ne sia convinta.
Non
è cominciata bene fra noi... Per niente. Ma forse era
necessario che accadesse tutto ciò che abbiamo passato. Io non
voglio ricordare tutto con malinconia. Voglio anche pensare che una
nota positiva ce l'abbia.
Insomma,
siamo arrivati fino a qui, giusto? Vuol dire che effettivamente
qualcosa di positivo c'è stato. Avrei potuto farti soffrire un
po' meno, questo sì – anzi, hai fatto bene a ripagarmi con
la stessa moneta, quando ho capito di essere stato un coglione – ma
ora siamo più forti e più uniti di prima.
Sai,
piccola, ti parrà strano e forse sarà la solita frase
scontata, ma sei riuscita a farmi aprire gli occhi. Ho capito che non
si vive di solo sesso e sgualdrine perchè poi la tua vita
rimane vuota, poiché non hai nessuno per cui stare al mondo;
non hai nessuno che ti faccia sentire... Amato? Posso usare
quest'espressione?
Prima
io conoscevo solamente l'affetto di mio fratello e di mia madre, ma
avevo anche bisogno di quello di qualcosa che non c'entrasse nulla
con la mia famiglia. Questo non lo avevo mai capito, fino a che non
provato questa sensazione straordinaria, non appena hai fatto
irruzione nella nostra vita. Io ringrazierò per sempre David,
per questo.
Nel
caso non lo avessi ancora capito, io tengo tantissimo a te;
altrimenti non avrei fatto tutto questo casino nei mesi precedenti.
Voglio anche ricordarti che sono un ragazzo di ventidue anni e tu hai
una figlia. Se non fosse stato abbastanza forte il mio sentimento per
te, ti posso assicurare che, per come sono fatto io, me la sarei data
a gambe.
Invece
ho deciso di mettere da parte il timore perchè per me tu sei
più importante.
Non
nego di avere un po' di paura. Ritrovarmi con una bambina, nonostante
non sia mia, mi mette un po' d'ansia; ma ormai lo sai che mi sono
affezionato tantissimo ad Eve, dalla prima volta che l'ho vista, e se
dovessi arrivare al punto di non vederla più... Penso che ne
soffrirei.
Tu
mi affascini, in ogni cosa che fai. Mi affascini al mattino, appena
sveglia, con gli occhi gonfi ed i capelli in disordine; mi affascini
quando sei in cucina a preparare da mangiare e litighi con i
fornelli; mi affascini quando urli al telefono con il commercialista;
mi affascini quando sei intrattabile perchè sei indisposta e
hai mal di pancia; mi affascini quando dormi o il modo in ti
addormenti aggrappandoti a me a koala; mi affascina il tuo modo di
essere mamma.
Sei
meravigliosa in ogni cosa che fai e sono sincero. Anche se mi fai
arrabbiare, dopo poco passa tutto perchè riesci sempre e
comunque a mettere in primo piano i tuoi pregi.
Mi
hai fregato, Schmitz.
Sì,
sono un uomo perso. Ma, indovina un po'? Ne sono felice, perchè
con te non potrei chiedere di meglio.
Non
ti dirò le solite frasi sdolcinate e melense tipo “staremo
insieme per sempre” o “sei la mia vita”.
Voglio
solo che tu sappia che io, per te e tua figlia, ci sono e non ho
nessuna intenzione di scappare; e se tu volessi farmi lo stesso
favore, ne sarei contento.
Visto?
Sono l'anti-romanticismo in persona, ma spero che io ti piaccia anche
un po' per questo e che ciò che ti o detto, se l'hai afferrato
al di là della forma, ti abbia fatto piacere.
Ora
vieni a darmi un bel bacio e ad accoccolarti a me a koala, così
ti faccio i grattini che ti piacciono tanto.
L'irresistibile
Tom.
Monique
si trovò a sorridere, decisamente colpita da quelle parole.
Non sapeva che dire; Tom l'aveva lasciata senza fiato e l'aveva
sorpresa ancora una volta. Con poche e semplici parole era riuscito a
farla sentire speciale, amata, protetta.
Si
alzò velocemente dalla sedia e corse in camera sua. Tom era
sdraiato, sotto le coperte, con la testa poggiata ai due cuscinoni,
posati uno sopa l'altro, intento a giocherellare con un cornrow.
Si
scambiarono un'occhiata fugace ma lui non fece in tempo a dire nulla
che Monique aveva già preso la rincorsa fino a buttarsi
addosso a lui, stringendosi come una gattino. Gli baciò
ripetutamente il collo, mentre Tom sorrideva abbracciandola ed
accarezzandole la schiena.
«
Certo che ci sono anche io per te. E no, non ho intenzione di
scappare. » sussurrò.
Tom
la strinse maggiormente a sé, mentre la ragazza gli circondava
il corpo anche con le gambe, nella sua posizione “a koala”, come
diceva lui. I corpi bruciavano a contatto, ma non si separarono;
stettero così per tutta la note, mentre la fioca luce della
Luna faceva brillare i loro bracciali identici.
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Capitolo 18 *** Eighteen. ***
18
Eighteen.
Un
dolce profumo.
Quel
profumo che riconosceresti anche ad un miglio di distanza. Quel
profumo che rappresenta per te una figura speciale; un componente
della famiglia. Un profumo che ti fa sentire al sicuro.
Monique,
quella mattina, si era svegliata col sorriso, poiché proprio
quel tipo di profumo le era giunto alle narici in modo delicato.
La
pelle di Tom aveva un odore piacevole, particolare.
Aveva
ancora gli occhi chiusi ma percepiva, sotto il suo viso, i muscoli
rilassati del suo ragazzo e la sua pelle nuda. Non si spiegava come
anche d'inverno soffrisse il caldo e si intestardisse nel dormire in
boxer. Al contrario, lei soffriva molto il freddo, ma quella mattina
– o meglio, tutta la notte – aveva trovato tepore fra le sue
braccia.
Non
ricordava da quanto tempo non provava quella piacevole sensazione;
quella di svegliarsi ogni mattina e percepire accanto una presenza
umana che per lei era di vitale importanza. Le permetteva di dare
inizio alle sue giornata con il sorriso sulle labbra, con la
spensieratezza, ed avrebbe voluto rimanere in quella posizione per
sempre.
Alzò
lo sguardo in direzione del viso del chitarrista, il quale dormiva
ancora, con un'espressione serena, segno della sua quiete interiore.
Vederlo le causava sempre una sorta di subbuglio allo stomaco; le
così dette “farfalle”. Era così indifeso, quando
dormiva, così dolce e sereno che avrebbe passato delle intere
ore ad osservarlo in silenzio.
Purtroppo
però, quel giorno sarebbero dovuti partire per andare a
passare il Natale dalle rispettive famiglie e l'orologio della
radiosveglia segnava le nove del mattino. Avevano già dormito
a sufficienza.
Con
l'intento di svegliarlo il più delicatamente possibile, prese
a carezzargli con la punta delle dita i suoi pettorali esposti,
cercando nel frattempo di controllare i propri istinti, per troppo
tempo repressi. Si avvicinò con il viso al suo e cominciò
a sfiorargli il collo con le labbra, fino a che non si trattenne dal
ridere.
La
sua gamba, posta tra quelle di Tom, era con sorpresa venuta a
contatto con un terzo incomodo. Evidentemente anche Tom, come tutti i
ragazzi, aveva dei problemi al mattino con l'alzabandiera.
Soffocò
una risata e cominciò a chiamarlo con voce roca.
«
Hey? Tom? » Il ragazzo mugugnò qualcosa di
incomprensibile, fino a che non aprì lentamente gli occhi,
provando a mettere a fuoco la persona che ancora gli giaceva fra le
braccia. « Buongiorno. » lo salutò sorridendo. Tom
sembrò dovesse ancora capire chi lei fosse. «
Tom, sono Monique, la tua fidanzata, hai presente? » lo prese
in giro, piuttosto divertita.
« Sì,
ho presente. » borbottò, prima di nascondere il viso tra
i suoi capelli con un gran sospiro, con l'intento di rimettersi a
dormire.
« Hey! Non
vorrai riaddormentati? » esclamò lei, picchiettandogli
appena una spalla. « Coraggio, dobbiamo partire, è
tardi. E inoltre hai un bestione tra le gambe che necessita di una
bella doccia fredda. »
A quell'ultima
affermazione, Tom si sollevò di scatto a sedersi.
« Scusa. »
mormorò in imbarazzo. Monique ridacchiò e gli si buttò
addosso, facendolo sdraiare nuovamente sul materasso. Si poggiò
sul suo petto, scrutandolo dall'alto, mentre lui le posava le mani
sulla schiena.
« Lo sai che
ti salterei addosso, Kaulitz, non ti scusare. » A quella frase
sentì che la situazione sotto di lei andò a peggiorare,
così, dopo un bacio sulle labbra, si sollevò dal suo
corpo. « Una bella doccia fredda e passa tutto! Io vado a
svegliare Eveline e a preparare la colazione. »
Era felice, di
buon umore.
Trotterellò
verso camera di sua figlia, dove trovò la bambina immersa nel
mondo dei sogni. Per qualche strana ragione, assomigliava
dannatamente a Tom quando dormiva.
Le carezzò
delicatamente i capelli, fino a che anche lei non aprì gli
occhi.
« Vieni,
piccina, andiamo a fare colazione; dobbiamo andare dai nonni. »
La prese in
braccio, mentre lei si strizzava un occhio e raggiunsero la cucina,
dove Eveline fu posata sul suo seggiolone, pronta a mangiare. Monique
preparò la tavola e mise a scaldare latte e caffè. Tirò
fuori ogni tipo di biscotti ed attese che Tom uscisse dalla doccia e
la raggiungesse. Tutto ciò non accadde troppo tempo dopo,
poichè, cinque minuti più tardi, vide comparire il
diretto interessato, perfettamente vestito e profumato.
« Ciao,
piccina. » salutò Eveline, schioccandole un timido bacio
sui capelli, per poi sedersi affianco alla mora, la quale gli carezzò
appena un braccio. « Quante cose da mangiare... »
commentò compiaciuto, prima di servirsi.
« Hai
chiamato Bill? » gli domandò Monique.
« Sì,
era già sveglio. Strano ma vero. » rispose, mentre
spalmava un pò di marmellata su un biscotto. «
Solitamente lo devono sempre buttare giù dal letto. »
« Lo so, lo
so. »
« Allora,
piccola, sei contenta di andare dai nonni? » si rivolse ad
Eveline, la quale veniva imboccata dalla sua mamma.
« Tì!
»esclamò la piccola, con un enorme sorriso sul volto.
Quando parlava dei nonni, era la bambina più felice del mondo.
I primi tempi, Monique si era sentita particolarmente gelosa, ma poi
aveva accantonato quell'inspiegabile sentimento ed aveva imparato a
convivere con la cosa.
« Sai che io
li ho conosciuti? Sono molto bravi e simpatici. » le sorrise di
nuovo. La mora apprezzava dannatamente come il ragazzo cercasse di
apparire disinvolto con sua figlia.
« Nonno Fifì
timido. » disse Eveline. Monique sorrise. Nonno Alfred era
divenuto "nonno Fifì". Tom ridacchiò.
« Hai
ragione, il nonno è molto timido, ma è anche molto
dolce. »
« Vieni
connoi? » gli propose successivamente Eveline. Tom e Monique si
scambiarono un'occhiata intenerita.
« Mi
piacerebbe tanto, piccina, ma sai, io devo andare con Bill a casa
della nostra mamma e del suo fidanzato. » le rispose.
« Chi è?
» domandò incuriosita la bambina.
« Si chiama
Simone ed il suo fidanzato si chiama Gordon. Un giorno te li farò
conoscere. »
Eveline sorrise
contenta ed annuì. Monique si limitò ad osservare la
scena con amore.
Dopo
qualche minuto, terminarono di fare colazione e si alzarono da
tavola, mentre Eveline giocherellava con un cucchiaio, ancora sul
seggiolone.
« Chiamami
appena arrivi. » disse Monique a Tom, dopo che il ragazzo ebbe
salutato Eveline. Intanto si incamminarono in direzione della porta.
« Sì,
mamma. » sorrise lui di rimando.
« Scemo, mi
preoccupo solo. » borbottò quindi la mora. Tom le
carezzò i capelli e le stampò un bacio sulle labbra.
« Anche tu
chiamami quando arrivate e salutami i tuoi. »
Detto questo, le
diede un altro bacio, aprì la porta e scese le scale del
condominio.
«Ecco qui le
mie bambine! »
L'urlo di gioia di
Ester giunse velocemente alle orecchie di Monique ed Eveline, le
quali erano appena uscite dalla macchina e stavano camminando lungo
il vialetto. Monique inviò velocemente un messaggio a Tom,
come gli aveva promesso, e poi sorrise a sua madre, pronta ad
abbracciarla e farle gli auguri. Suo padre Alfred, come sempre,
sostava sulla soglia con un sorriso più intimidito, attendendo
il suo turno.
« Ti trovo
bene, tesoro. » disse Ester a Monique, dopo aver dedicato
alcune attenzioni ad Eveline. « Più radiosa del solito.
» aggiunse soddisfatta.
« Ti devo
raccontare delle cose, mamma. » sorrise Monique, con gli occhi
lucidi.
« Sono
arrivate. » annunciò Tom a suo fratello, seduto in
macchina accanto a lui. « Mi sarebbe piaciuto portarle da
mamma. » aggiunse poi, riponendo il cellulare e tornando ad
occuparsi della guida.
« Già...
Mamma sarebbe impazzita per Eveline. » rispose Bill, intento a
scrutare il paesaggio attorno a sè, in movimento.
« Ho
intenzione di dirle di Monique. »
« Vedrai che
ne sarà contenta. »
« Potresti
darti una mossa anche tu però. »
« Senti,
Tom, io non me le vado a cercare. Credo ancora nei colpi di fulmine,
purtroppo. »
« Magari hai
intorno tante ragazze e tu nemmeno te ne accorgi. »
« E chi
avrei? »
« Beh... C'è
Jessica. »
Bill si voltò
verso di lui con la fronte corrugata.
« Jessica? »
chiese. Tom fece il vago e, scrollando le spalle come nulla fosse,
rispose con un "Sì" disinvolto. « Beh, non ci
ho mai pensato; forse perchè la vedo più come amica di
mia cognata. »
Tom si agitò
nuovamente, come la sera prima.
« Bill,
basta con questa cosa della cognata, mi metti angoscia. »
Il vocalist si
mise a ridere. Adorava stuzzicare suo fratello, nonostante la maggior
parte delle volte non si rendesse conto di farlo.
« Comunque,
figurati se una come Jessica guarda uno come me. » continuò
Bill.
Tom si voltò
verso di lui, per studiarne lo sguardo.
« Ma ti
piace? » gli domandò.
« No...
Cioè, non nel senso che intendi tu. Oggettivamente è
una bella ragazza. Senti, ma perchè stai calcando su di lei?
Sai per caso qualcosa che io non so? »
Tom sobbalzò
sul posto e tornò a guardare la strada.
« Cosa? Ma
va, nulla. Cosa dovrei sapere? »
Monique sedeva a
tavola con la sua famiglia quasi al completo. Era dannatamente bello
poter vivere quei momenti piacevolmente intimi con i suoi cari.
Certo, se a quella tavolata vi fosse stato seduto anche Tom, il tutto
sarebbe stato perfetto, ma non poteva pretendere tutto dalla vita,
no? Ogni cosa avrebbe avuto il suo tempo e sapeva che sarebbero
arrivati anche a quello.
Improvvisamente il
suo cellulare vibrò, segno che le era arrivato un messaggio.
Sorrise, non appena constatò che si trattava di Tom
Arrivati
anche noi! Mamma è ingrassata ma è più serena
del solito, mentre Gordon ha tolto un pò di pancetta. Peccato,
mi divertivo a prenderlo in giro. Lì tutto bene? Sappi che
Bill mi sta rompendo le scatole perchè vuole sapere a tutti i
costi perchè io gli abbia parlato di Jessica. Mi sa che ho
fatto uno dei miei soliti disastri. Salutami mamma è papà;
bacio.
Monique sorrise
scuotendo appena la testa. Era proprio un combinaguai.
Sei
un caso clinico. Comunque qui tutto bene, stiamo mangiando e tra poco
dirò tutto di noi due; sono un pò agitata, ma mamma e
papà hanno sempre tifato per te. Anche a me salutami i tuoi e
passate una buona giornata. Ci vediamo stasera... Un bacio.
Ripose il
cellulare in tasca e riprese a mangiare.
« Cos'è
quel sorrisino da ebete che hai da cinque minuti stampato in faccia?
» domandò Ester con malizia ed un sopracciglio
sollevato.
La mora sollevò
lo sguardo su di lei, come caduta dal pero.
« Stavo
sorridendo? » chiese. Non se n'era sinceramente accorta.
« Oh sì.
È il classico sorriso che ti sbucava quando andavi al liceo e
mi parlavi del ragazzino che ti piaceva. »
Monique arrossì
ed abbassò lo sguardo. Sì, probabilmente aveva la
stessa espressione sul volto e ne era dannatamente felice. Poter
finalmente stare assieme a Tom era un qualcosa di straordinario e
certamente non avrebbe mai saputo cancellare quel suo sorriso
spontaneo sulle labbra.
« Beh,
diciamo che dopo vi devo parlare di una cosa, proprio riguardo questo
sorriso. » la accontentò e forse solo in quel momento
sua madre capì.
«
Tom, da quando porti i braccialetti? »
Simone,
seduta a tavola con i suoi figli e suo marito, aveva posato il
proprio sguardo sul polso di Tom già da un bel pezzo,
studiando con attenzione il gioiello che lo circondava. Fu proprio in
quel momento che cominciò a sospettare di qualche presenza
femminile nell'aria. Se così fosse stato, di certo le sarebbe
parso per un primo momento assurdo, vista e considerata la sua
tendenza ad inseguire qualsiasi tipo di gonnella.
Tom,
non appena sentì quella domanda, per poco non si strozzò
con il pezzo di carne che stava tranquillamente masticando. Bill, nel
frattempo, si era voltato nella sua direzione con sguardo malizioso.
«
Ehm, questo... Questo... » cominciò a balbettare e
Simone e Gordon sollevarono un sopracciglio. Il chitarrista deglutì
pesantemente, per evitare che il cibo gli andasse di traverso e poi
riprovò a parlare. « Questo... E' un regalo. »
concluse impacciato. Simone si scambiò un'occhiata con suo
marito e poi tornò ad osservare suo figlio.
«
Strano, non hai mai voluto portarne. » commentò
furbescamente.
«
Beh, ma questo racchiude un preciso significato. » si intromise
Bill nella conversazione. L'istinto primario di Tom fu quello di
ucciderlo.
«
Ma va? » sorrise la bionda. « Dai, Tomi, parla con mamma.
» lo incoraggiò, vedendolo restio dal pronunciare mezza
parola.
«
Ti sei fidanzato?» domandò a quel punto Gordon. Le
guance di Tom si dipinsero di un rosso acceso.
«
Si chiama Monique. » borbottò in imbarazzo. A quel
punto, sua madre si alzò dalla sedia e fece il giro del tavolo
per abbracciarlo.
«
Lo sapevo, lo sapevo che non potevi essere così arido! »
esclamò la donna, continuando a stringerlo a sé. Tom
sorrise appena e ricambiò quell'affettuosa stretta. « Ma
lei chi è? La conosco? » domandò successivamente,
tornando a sedersi al suo posto.
«
E' la nostra traduttrice. » rispose Bill. « L'avrai vista
con noi alla televisione. »
«
Mmm, purtroppo non mi ricordo di averla mai vista. Ma quanti anni ha?
»
«
Ha la mia stessa età. » rispose Tom. « Poi ve la
farò conoscere. »
«
Volentieri! E da quanto state insieme? »
«
Due mesi. »
«
Il mio piccolo Tom che fa progressi! »
Tom
sorrise, abbassando lo sguardo sulle proprie mani riunite in grembo.
Sì,
stava decisamente facendo progressi.
«
Però c'è un piccolo dettaglio. » aggiunse Bill,
all'insaputa di tutti. « Monique ha una figlia di due anni. »
Il
silenzio cadde attorno alla tavola. Tom strinse con forza la
tovaglia, senza farsi notare, reprimendo l'istinto di prendere suo
fratello a botte. Certo, avrebbe dovuto dirlo lui, in ogni caso, ma
l'avrebbe fatto con più delicatezza.
«
Ah, beh... » balbettò Simone, scambiandosi poi uno
sguardo con Gordon. « Non – non è certo un problema,
giusto? » disse non del tutto convinta.
«
No che non lo è. » rispose con fermezza il chitarrista.
Aveva scelto di stare con lei indipendentemente dalla sua situazione
familiare, semplicemente perché non gli importava. Voleva solo
stare con lei e ad Eveline voleva già un bene smisurato.
«
L'importante è che tu ti senta convinto della tua scelta. »
intervenne Gordon con dolcezza.
«
Non sono mai stato più convinto in vita mia. So che una figlia
non è un giocattolo e che con il passar del tempo potrebbe
vedere in me la figura del padre che le manca. Ma io voglio bene a
quella bambina, mi sono molto affezionato e penso che non avrei
problemi nel prendermi cura anche di lei. Una volta non avrei mai
parlato così; avrei detto che non avrei mai accettato una
simile situazione, poiché non ero in grado di prendermi una
responsabilità del genere. Ma il punto è che lo voglio
fare. Per lei ma soprattutto per Monique. Io le voglio stare vicino
in ogni caso. »
Simone
si era quasi commossa dal discorso serio di suo figlio.
«
Devi voler davvero molto bene a questa Monique. » sorrise la
donna.
«
Sì. » rispose pensieroso Tom. «Non sapete quanto.
»
Il
pranzo di Natale era trascorso nel migliore dei modi. Ester aveva
cucinato una delle sue specialità che a Monique ed Eveline
piacevano tanto ed avevano chiacchierato del più e del meno.
Monique, tante volte, si era ritrovata con la testa altrove, in
particolar modo a Lipsia, ma poi, con qualche battutina da parte di
sua madre, si era ricomposta, prestando più attenzione a ciò
che le stava accadendo attorno.
Anche
l'apertura dei regali era andata a meraviglia. Eveline aveva
apprezzato i regali dei nonni e i nonni avevano apprezzato quelli di
Monique. Quest'ultima aveva ricevuto da loro un buonissimo profumo,
dalla fragranza leggera, fresca, proprio come piaceva a lei.
Ora
Alfred si era gentilmente proposto di fare una piccola passeggiata
con sua nipote, in giro per Amburgo, così da lasciare un po'
sole Monique ed Ester, la quale aveva intenzione di indagare su
questo presunto ragazzo, poiché era certa che si trattasse di
una presenza maschile nella vita di sua figlia.
Sedute
sul divano, si guardavano negli occhi con dei sorrisi consapevoli,
come se non ci fosse niente, in realtà, da spiegare, poiché
si erano già capite alla perfezione. Ma Ester voleva comunque
sapere.
«
Allora? » le domandò quella. « Di chi è
quel braccialetto? » sorrise, indicando con lo sguardo il
gioiello stretto al polso di Monique. La mora, in automatico, portò
lo sguardo su di esso e lo stomaco le compì una capovolta.
«
Questo... Questo è di una persona che conosci. » ammise.
«
Ah! Lo sapevo! » si alzò improvvisamente dal divano
Ester, per saltellare allegramente attorno al tavolino. Monique la
guardava esterrefatta; non aveva mai visto sua madre reagire a quella
maniera. « Lo sapevo che era di Tom, posso fare la strega! »
esclamò nuovamente, con un enorme sorriso sul volto, per poi
sedersi nuovamente accanto a sua figlia.
A
Monique scappava da ridere: era sul serio così contenta che si
trattasse di Tom?
«
Beh, sì, si tratta di lui. » confermò. « Ci
siamo messi insieme due mesi fa. »
«
Perché non me l'hai detto subito? »
«
Perché... Sinceramente non lo so il perché. Forse per
non affrettare troppo le cose, non so, per scaramanzia. Volevo prima
vivermela, quella nuova situazione, e poi te ne avrei parlato. »
«
Io lo sapevo che prima o poi vi sareste messi insieme. Siete fatti
per stare insieme, l'ho sempre pensato dalla prima volta che ho visto
quel ragazzo, quando ancora non andavate d'accordo. Anche nelle
litigate eravate affiatati, per assurdo. »
«
Credo che tu abbia ragione. Forse sono state proprio le nostre
litigate a farci mettere insieme. »
«
Com'è successo? »
«
Diciamo che è stata una cosa un po' strana, forse non sono
neanche in grado di spiegartelo alla perfezione. Quando sono tornati
dal loro tour mondiale, dopo un anno che non ci vedevamo, in Tom è
cambiato qualcosa. Ha cominciato a dimostrarmi in modi diversi quanto
tenesse a me, fino a che, una bella sera, in Giappone, non mi ha
confessato i suoi sentimenti. Io, inizialmente, ero spaventata da
questa cosa, nonostante mi facesse piacere; ma avevo paura di
cascarci di nuovo, capisci? Così l'ho tenuto un po' sulle
spine, fino a che non ho potuto fare altro che cedere. Non potevo non
farlo dopo tutte le cose che ha fatto per me. Mi ha veramente
dimostrato quanto ci tiene ed era ciò di cui avevo bisogno. »
«
Io l'ho sempre detto che quel ragazzo è giusto per te; non so,
sentore di mamma. »
«
Anche secondo me è il ragazzo giusto per me. È sempre
una sensazione. »
«
E con Eveline? »
«
Oh, con Eveline lo dovresti vedere. È un amore. Inizialmente
era intimidito ed impacciato, non che ora sia tanto più
sciolto, ma devi vedere con quanta premura si occupi di lei. E lei si
è affezionata moltissimo, quasi in modo morboso, e la cosa mi
spaventa un po'. »
«
Perché? »
«
Beh, perché se dovesse andare male tra noi, cosa che
ovviamente spero non accada mai, lei soffrirebbe molto il distacco da
lui. »
«
Tu ora non pensare ad un'ipotetica separazione. Pensa solo che con
lui stai bene e che finché tra voi continua così, non
hai nulla di cui preoccuparti. »
«
Grazie, mamma. Avevo bisogno di parlarti, soprattutto in questo
periodo. Non potevo non condividere questa bella notizia con te. »
Detto
questo, Monique si allungò verso sua madre e l'abbracciò
con affetto, accoccolandosi fra le sue braccia, come faceva quando
era piccola. A volte le mancavano quei momenti, quella
spensieratezza, quell'ingenuità fanciullesca con la quale era
cresciuta.
«
Sono orgogliosa di te, piccola mia. » fu la risposta di Ester,
la quale mise a tacere ogni altra frase.
Ho
detto tutto a mamma e Gordon e sono molto contenti. Non ti conoscono
ma già ti adorano. Ho spiegato loro anche di Eveline. Ne sono
rimasti sorpresi ma poi hanno capito la cosa. Ora siamo in macchina,
stiamo tornando a casa. Voi dove siete?
Alla
lettura di quel messaggio, Monique sentì quasi un vuoto allo
stomaco. Aveva detto tutto ai suoi, compresa la questione di sua
figlia. Chissà se davvero l'avevano presa bene come sosteneva
lui o l'aveva detto solamente per farla stare tranquilla. In ogni
caso, decise di credergli.
Spero
l'abbiano presa bene sul serio. Comunque noi siamo ancora qui a casa
ma stiamo per ripartire. Stasera vieni da me?
«
Eve, ti va di dormire da zia Jessica, stasera? » domandò
Monique, seduta sul divano accanto a sua figlia, con il cellulare in
mano, ad attendere la risposta di Tom. La piccola sedeva su quello di
fronte a lei con uno dei pupazzi che le avevano regalato i nonni.
«
Tì! » rispose con entusiasmo la piccola. Monique sapeva
che non si sarebbe opposta.
«
D'accordo, allora poi la chiamo e glielo chiedo. »
Intanto
arrivò la risposta di Tom.
Sì,
l'hanno presa bene. Poi ti racconto stasera. Mi porto la roba per
dormire?
Sì,
sì, portatela, se vuoi. Credo che Eveline vada a dormire da
Jessica.
D'accordo.
Allora a più tardi.
Monique
annunciò a sua figlia che doveva andare un momento in bagno,
in modo da poter chiamare Jessica e dirle in tutta onestà di
cosa avesse bisogno.
«
Pronto? » rispose la rossa, dall'altro capo del telefono.
«
Ho un enorme favore da chiederti. » le disse con tono
implorante.
«
Spara. »
«
Non so se ti ricordi quella nostra conversazione in cui mi
rimproveravi per essere dannatamente crudele con Tom, perché
non mi ero ancora decisa a... Insomma, ad andare a letto con lui. »
«
Ti sei guardata un film porno? »
«
No! Insomma... Siccome anche io... Beh... Oh, in poche parole!
Terresti Eveline a casa tua per la notte? » Monique sentì
la sua migliore amica scoppiare a ridere. E intanto le sue guance si
tinsero di un bel bordeaux acceso. « Potresti anche evitare di
ridere in questo modo. » borbottò la mora.
«
Finalmente ti sei decisa! Rischiavo di diventare vecchia! »
«
Smettila di prendermi in giro o ti chiudo il telefono in faccia. »
«
Okay, okay, scusa. Comunque, certo che te la tengo, che domande! »
«
Okay, grazie mille, allora te la lascio direttamente a casa, al
ritorno. »
«
D'accordo! »
«
Allora, a dopo. Grazie. »
«
A dopo e... Trasgressiva! »
«
Fottiti! »
Riattaccò,
sentendo che le sue guance stavano per prendere fuoco. Era una cosa
così strana voler fare l'amore col proprio ragazzo?
Uscì
immediatamente dal bagno e tornò in salotto.
«
Zia Jessica ha detto che va bene! » sorrise a sua figlia, come
se niente fosse.
«
Ha detto che Eveline stasera, forse, dormirà a casa di
Jessica. » annunciò Tom con sguardo concentrato sulla
strada davanti a sé, ma i pensieri altrove. Bill si voltò
nella sua direzione con sguardo malizioso.
«
Forse stanotte quagli. » sorrise.
«
Bill, evita questi commenti. » lo riprese il chitarrista.
«
Una volta non vedevi l'ora di parlare di queste cose. »
«
Beh, non se c'entra Monique. »
«
Perché? È una cosa normale, Tom. »
«
Lo so, ma mi sento a disagio a parlare di queste cose a sua insaputa.
Non so perché. »
«
Perché ci tieni tanto e non vuoi far sembrare che i tuoi
pensieri si fermino a quello. »
«
Può essere. »
«
Lo è. Ma, Tomi, non hai bisogno di tutto questo. Hai già
dimostrato tutto il tuo interesse nei suoi confronti e ti posso
assicurare che non ci avrei mai creduto. Non devi nascondere di avere
voglia di lei, è una cosa bella. »
«
Lo so. Ma io non vado da lei con questo pensiero. Se succede, bene,
sennò sono disposto ad aspettare ancora. Non voglio metterla a
disagio. »
Bill
quasi non credeva alle sue orecchie. Era davvero suo fratello la
persona che gli sedeva affianco, intenta a guidare? O era stato
impossessato da qualche corpo estraneo?
O
più semplicemente... Che fosse l'amore a causare tutto
ciò?
Monique
era inspiegabilmente agitata.
Sì,
sedeva sul divano di casa sua e si torturava le dita delle mani,
davanti alla televisione che trasmetteva un normale quiz. Eveline era
a casa di Jessica e tutto sembrava tranquillo e nella norma, se non
fosse stato per i battiti cardiaci esageratamente accelerati nel suo
petto.
Si
sentiva una completa cretina. Aveva attraversato di tutto nella sua
vita, persino un parto. Possibile che fosse agitata come dovesse
affrontare la sua prima volta? Detestava il fatto che Tom le facesse
provare quelle emozioni adolescenziali. O forse lo adorava? Il fatto
era che non poteva lasciarsi andare a certe emozioni; aveva ventidue
anni, non quindici.
Sbuffò
per l'ennesima volta, lanciando un'occhiata all'orologio appeso al
muro. Erano le nove di sera e Tom sarebbe arrivato di lì a
qualche minuto.
Forse
cominciava a capire quale fosse il motivo di quella sua tensione. Non
voleva che il chitarrista pensasse che l'aveva invitato a casa sua
solo ed unicamente a quello scopo. Benché tale pensiero fosse
comunque incluso tra le sue motivazioni, non era quello principale e
teneva al fatto che il ragazzo non fraintendesse, nonostante ne
sarebbe stato solo contento. Aveva semplicemente voglia di stare un
po' da sola con lui; in intimità, senza dover stare attenta a
come comportarsi in presenza di Eveline.
Proprio
mentre il suo cervello elaborava tali pensieri contorti, il
campanello di casa prese a trillare. Si alzò di scatto dal
divano e si avvicinò velocemente alla porta, per poi aprirla.
Dietro essa sostava un Tom particolarmente sorridente, con un piccolo
borsone in mano, forse contenente il cambio per la notte e per il
giorno seguente.
«
Hey. » le sorrise. « Il portone di sotto era aperto. »
aggiunse, per poi entrare, mentre lei chiudeva la porta.
«
Sì, dev'essere la signora del secondo piano che non la chiude
mai. » borbottò, per poi stampargli un bacio sulle
labbra. « Hai già mangiato? » gli chiese poi,
incamminandosi in cucina, seguita da lui.
«
Sì, abbiamo mangiato in autogrill, stavamo morendo di fame. »
rispose Tom, sedendosi al tavolo, mentre Monique trafficava con una
tazza ed un cucchiaino.
«
Ah, d'accordo. Beh, io mangio qualcosa perché sto svenendo. »
«
Mi spiace, non lo sapevo. Ti avrei aspettato e avrei mangiato con te.
»
«
Tranquillo, mi faccio solo una tazza di latte con qualche biscotto. »
Detto questo, posò tutto in tavola e si sedette di fronte al
chitarrista. « Allora? Raccontami per bene com'è andata
a casa tua. » si rivolse poi a lui, mentre intingeva un
biscotto nel latte.
«
Beh, non c'è molto di più da raccontare, rispetto a
quello che ti ho già detto. All'inizio, quando hanno saputo di
Eveline, sono rimasti un attimo interdetti, ma solo perché
sanno com'ero fatto. Io poi ho spiegato loro tutto quanto, che a me
va a meraviglia così e hanno capito tutto. Sono contenti,
piccola, te lo giuro. Anzi, non vedono l'ora di conoscerti. »
Monique
sorrise appena, dopo aver ingoiato il biscotto.
«
Ne sono felice; anche a me piacerebbe conoscerli. Devono essere delle
persone straordinarie. » disse, senza guardarlo negli occhi.
«
Sì, lo sono. E tu? Non appena hai detto ai tuoi che ero io,
che hanno fatto? Volevano cercarmi con i forconi? » ridacchiò
il moro.
«
Perché i forconi? »
«
Dopo tutto quello che ho fatto alla loro figlia...! »
«
Macché! Loro ti hanno sempre inspiegabilmente adorato. »
«
Hey! »
«
Beh, eri difficile da adorare ai tempi. »
«
Devo ricordarti che ti ho fatto comunque perdere la testa? »
«
Sì, d'accordo, questo te lo concedo. » Si sorrisero
appena, divertiti, e poi Monique continuò a mangiare. «
Sicuro di non volere niente? » gli domandò
successivamente. Si sentiva un po' in colpa a mangiare davanti a lui,
senza offrirgli nulla.
«
No, tranquilla, sto scoppiando. Ho mangiato un panino con dentro la
bistecca. » rispose lui massaggiandosi appena la pancia.
Monique fece un'espressione leggermente schifata e poi tornò
ad occuparsi dei suoi biscotti.
«
Dopo il pranzo di Natale, sei riuscito a fare una cosa simile. Mi
chiedo dove tu lo metta tutto quel cibo. »
«
Nei muscoli. »
«
Ma dove! » Tom si imbronciò a quell'ultima affermazione,
facendo scoppiare a ridere Monique. « Dai, ovviamente scherzo.
» rimediò quindi la mora, con un sorriso furbo sul
volto.
In
poco tempo era riuscito a metterla a suo agio. Aveva dimenticato ogni
singolo motivo della sua precedente agitazione, ritenendolo alquanto
futile. Come poteva sentirsi a disagio con lui?
Passarono
qualche attimo ad osservarsi appena, con un lieve sorriso sulle
labbra, dopo che Monique ebbe finito di mangiare.
«
Vieni qui. » le disse all'improvviso Tom con estrema tenerezza
nel tono di voce.
Monique
si alzò dalla sedia e, fatto il giro del tavolo, si andò
a sedere sulle gambe di Tom, come le aveva chiesto. Si strinsero
appena, sospirando, e Tom ne approfittò per schioccarle
qualche bacio sul viso.
«
Che c'è? » domandò lei, notando poi che il
chitarrista la scrutava.
«
Niente. » sorrise lui. « Andiamo un po' sul divano? »
le propose poi, ricevendo una risposta affermativa.
«
Dai, Tom, molla! » esclamò Monique per l'ennesima volta,
intenta ad arrampicarsi letteralmente in braccio al chitarrista per
recuperare il cucchiaino del gelato che da un po' si stavano
dividendo nella vaschetta semivuota, stravaccati sul divano, davanti
alla televisione.
«
No, perché poi ingrassi! » la prese in giro il ragazzo.
«
E a te i muscoli diventano flaccidi! »
«
Ma smettila! »
Tom
continuava a ridere, intenzionato a non lasciarle l'ultima
cucchiaiata di gelato, fino a che la ragazza, fingendosi offesa, non
si sedette nuovamente composta sul divano, a braccia conserte, in
direzione della TV. Il ragazzo sorrise appena, avvicinandosi a lei
con cautela. Come per dispetto, prese a farle svolazzare il
cucchiaino sotto il suo naso, attendendo che la ragazza facesse
qualcosa per recuperarlo. Questa si voltò verso di lui,
osservandolo e quando provò ad avvicinarsi con il viso per
ripulirlo, lui fu più veloce a nascondere la posata e
sostituirla con le sue labbra, guadagnandosi quindi un bel bacio a
stampo. Mentre Monique sbuffava scocciata, Tom continuava a ridere,
portandosi quindi alla bocca l'ultima quantità di gelato.
«
Vinci sempre tu. Non ti sopporto. » borbottò la mora,
per poi alzarsi dal divano.
«
Hey, dove stai andando? » chiese con un sorriso sereno lui,
afferrandola per la mano, prima che potesse sfuggirgli.
«
A lavarmi i denti per andare a dormire. » lo liquidò
lei, scrollandosi dalla presa e uscendo dal salotto.
«
Dai, non te la sarai presa sul serio? » ridacchiò Tom,
ma non ricevette risposta. Scuotendo la testa divertito, recuperò
il telecomando e spense la televisione, per poi alzarsi dal divano e
seguirla in bagno. Questa sostava di fronte allo specchio, intenta a
spazzolarsi i denti con indifferenza.
Tom
trotterellò nella sua direzione, per poi cominciare a
punzecchiarla con un dito sul fianco, suscitando così ancora
più fastidio nella sua ragazza.
«
Efapoa. » borbottò questa con lo spazzolino in bocca.
«
Eh? » sorrise Tom, il quale aveva capito perfettamente cosa gli
avesse detto. Monique si piegò verso il lavandino, si sciacquò
la bocca e poi si risollevò, voltandosi nella sua direzione.
«
Evapora. » ripeté, per poi uscire dal bagno. Tom si
fermò lì dentro per potersi lavare anche lui.
Adorava
quando Monique faceva l'offesa e fingeva di essere arrabbiata con
lui.
Monique,
nel frattempo, era entrata in camera sua e, veloce come un lampo,
aveva indossato la biancheria intima che le aveva regalato Bill per
Natale. Quella provocante che, in un altro momento, non avrebbe mai
pensato di indossare. Vestì un normale pigiama sopra di essa e
si sistemò sotto le coperte del suo letto matrimoniale.
Non
era offesa sul serio; si divertiva semplicemente a farlo impazzire.
Il
protagonista dei suoi pensieri fece il proprio ingresso in camera
nemmeno due minuti più tardi, perfettamente lavato e
profumato. L'aveva cercata con lo sguardo, con un sorriso furbesco,
ma lei aveva fatto finta di nulla. Lo osservò mentre si
spogliava, fino a rimanere in boxer, come suo solito, fino a che no
si infilò nel letto con lei.
La
mora si voltò nella direzione opposta, dandogli le spalle, e
poté sentire da parte sua una risatina divertita e
compiaciuta. Il suo corpo caldo le si avvicinò, fino ad
attaccarsi a lei per stringerla da dietro.
«
Fammi un sorriso. » la invitò, scrutandola da oltre la
spalla. « Dai, sorridi. » ripeté e lei gli fece
una linguaccia. Tom scoppiò a ridere. “Non fare come i
bambini!” scherzò. Con un po' di fatica, riuscì a
farla voltare a pancia in su, bloccandola con il proprio peso sopra
di lei.
La
scrutò per qualche istante con dolcezza, come avesse
dimenticato il motivo per cui avevano cominciato quella messa in
scena, fino a che non abbassò il viso sul suo, sfiorandole le
labbra con le proprie. Era un tocco gentile, delicato e casto, al
quale la mora rispose volentieri, improvvisamente immemore di ciò
che stava facendo precedentemente.
Il
suo cuore le galoppava nel petto; sentiva che finalmente potevano
dedicarsi un po' a loro stessi e la cosa, oltre ad agitarla, la
riempiva di gioia. Quanto tempo aveva atteso quel momento?
Probabilmente non era nemmeno in grado di stabilirlo.
Le
mani di Tom si erano fatte meno timide ed avevano preso a percorrerle
il corpo con una certa curiosità, mentre il bacio si era
impregnato di tutta la passionalità che per due mesi avevano
dovuto reprimere. Si lasciò andare al corso dei fatti, poiché
non attendeva altro.
Il
chitarrista aveva preso comodamente posto fra le sue gambe,
dedicandosi a lei e alla sua pelle calda sotto la maglietta, mentre
con le labbra le lambiva quella del collo esposto. Non trascorsero
molti minuti prima che la maglia del pigiama volasse via da quel
letto, in un punto non definito della camera.
Sentiva
con quanto ardore Tom si stesse occupando di lei, sforzandosi per non
accelerare le cose. Poteva percepire la fatica che aveva fatto per
contenersi in qui due mesi; e in quell'istante si accorse anche di
quanto lei stessa fosse stata paziente, senza accorgersene, per lo
stesso motivo.
Tom
la riempiva di baci, facendola andare completamente fuori di testa.
Sapeva che si era accorto di quale completo intimo indossasse e poté
giurare di aver scorso un piccolo sorriso compiaciuto sulle sue
labbra.
Continuò
la scia di baci sul suo corpo, fino a che non giunse all'orlo dei
pantaloni, che vennero tolti lentamente, mentre il loro percorso
veniva accompagnato da tocchi leggeri della bocca del ragazzo sulla
pelle delle sue gambe.
Sentì
come se le mancasse la sua vicinanza, così si artigliò
immediatamente alle sue spalle, non appena col viso tornò alla
sua altezza, per baciarla nuovamente. Sentiva il suo respiro sulla
pelle, bollente ed impaziente, così come il suo. Gli occhi del
chitarrista la scrutavano con amore, con dedizione, come fosse stata
un gioiello troppo prezioso per lui, mentre le sue mani le
accarezzavano ogni millimetro del suo corpo, pronto a donarsi
completamente a lui, senza indugi.
Il
reggiseno andò a fare compagnia al resto del suo vestiario,
sul pavimento. Il suo cuore batteva all'impazzata e Tom lo percepì
immediatamente, a contatto con il suo petto. Le baciò le
palpebre socchiuse, le carezzò una guancia, poi le labbra, per
poi scendere sul mento e tornare a saggiarle il collo. La stava
inebriando del suo odore di uomo, forte e piacevole, fino a che non
sentì anche i suo slip abbandonarla qualche momento dopo.
Il
chitarrista la guardò qualche attimo negli occhi, come a
volersi inutilmente assicurare che lei fosse del tutto d'accordo in
ciò che sarebbe successo ma non ebbe bisogno di parole o
conferme, poiché Monique lo baciò, stringendosi forte
al suo corpo, bisognosa di calore e protezione.
Sentì
la mano del suo ragazzo scendere fra i loro bacini uniti per
abbassare l'orlo dei suoi boxer. Quel nuovo contatto fu per lei
qualcosa di stordente, qualcosa che non poteva essere reale, per
quanto avevano atteso. E nel momento in cui si sentì riempire
il corpo di lui, si strinse possessivamente tra le sue braccia, come
per non uscirne più.
Tom
aveva sospirato sul suo orecchio, sovrastandola interamente con il
corpo, anche lui tremendamente appagato da quell'unione sofferta. Si
ritrovò a chiedersi come avesse mai fatto ad aspettare così
a lungo quel momento; come avesse fatto a privarsi di un piacere così
grande con lei. Eppure, si disse, ne era valsa comunque la pena.
Monique
si era ritrovata invece a sorridere spontaneamente, mentre lui
muoveva delicatamente il suo bacino. Non vi era cosa più bella
che sentirsi appartenente al proprio ragazzo, in senso completo. Ora
poteva finalmente dire di averlo assaporato in ogni sfumatura, in
ogni minima emozione. Ora si sentiva realmente completa e di
qualcuno.
Le
loro pelli, lievemente umide di sudore, strusciavano l'una addosso
all'altra con regolarità, infondendo in loro quel senso di
familiarità, di intimità di cui necessitavano da tempo,
ed i loro ansimi, mescolati, componevano un unico suono privo di
stonature, fatto solo di complicità ed amore.
Tom
la strinse forte, circondandola con le sue braccia muscolose, mentre
accelerava i movimenti. I suoi baci si alternavano a piccoli ed
affettuosi morsi a lato del collo, i quali la facevano sospirare
ancor di più di piacere, portandola a circondagli
possessivamente il bacino con le gambe.
Il
moro si ritrovò a pensare che quel momento rappresentava un
qualcosa di totalizzante e completamente diverso da ciò che
aveva sempre vissuto con altre ragazze. Quella volta, si sentiva
pieno di gioia, quasi da farlo piangere. Sentiva il bisogno di
continuare a dedicarsi a lei, senza mai smettere. Non voleva
semplicemente abbandonare quel corpo caldo e delicato.
Ma
una fine giunge per ogni cosa; si mosse ancora qualche attimo, fino a
che non percepì Monique irrigidirsi sotto di lui, fino ad
inarcarsi con la schiena in un gemito più sonoro rispetto ai
precedenti e lui non poté che fare la stessa cosa qualche
secondo dopo, crollandole poi sul corpo, sfinito ed ansante.
Restarono
qualche attimo in silenzio ed immobili, intenti a riprendere fiato,
con i cuori che ancora correvano nei loro petti, quasi impazziti; poi
Tom sollevò appena la testa per osservarla in viso.
Aveva
un'espressione serena ed estasiata, gli occhi lucidi ed un sorriso
spontaneo sulle labbra, le quali vennero baciate qualche secondo dopo
dalle sue. Quello bastò per farlo addormentare, stretto a lei,
con la felicità ad inebriargli le vene.
La
mattina seguente, in quella casa regnava la quiete. La luce,
attraversante le persiane della camera da letto, giungeva ad
illuminare i corpi nudi e intorpiditi dei due ragazzi.
Fu
Tom il primo a svegliarsi, avvertendo un'immediata sensazione di
piacere. Sorrise. Semplicemente sorrise nel trovare la ragazza ancora
stretta a lui, profondamente addormentata. Poggiando la testa sulla
sua mano, prese a carezzarle – attento a non svegliarla – la
schiena con la punta delle dita. Ne tracciava la linea della colonna
vertebrale, indugiando sulle piccole ali che aveva sul fondo, per poi
tornare su, fino al collo.
Notò
che in poco tempo il suo corpo venne ricoperto da pelle d'oca, così
prese la coperta e la stese sopra di esso.
Facendo
ben attenzione a non fare rumore, si spostò da quella
posizione e posò i piedi sul pavimento freddo. Si alzò
dal letto e prese a vestirsi in silenzio, continuando ad osservare
quella che era per lui la tenerezza personificata.
Si
sentiva dannatamente sereno e privo di problemi. Aveva solo voglia di
coccolarla un po', al momento del suo risveglio. Fece il giro del
letto e, accucciatosi accanto a lei, le sfiorò appena il viso
con le labbra ed una carezza sui capelli. Successivamente si sollevò
ed uscì dalla camera, con l'intento di prepararle la
colazione.
Posizionò
il tutto su di un vassoio, ordinandolo con cura, dannatamente
puntiglioso, come non lo era mai stato prima di allora.
Talmente
era assorto in ciò che stava facendo che si accorse in ritardo
che qualcuno aveva suonato alla porta. Sollevò lo sguardo
corrucciato sull'orologio a muro e notò che erano solo le otto
del mattino. Chi poteva essere?
Con
un lieve sospiro e la curiosità a sbranarlo vivo, si incamminò
alla porta, fino ad aprirla. Dietro essa la sua vista venne a
contatto con un ragazzo non troppo più grande di lui, con gli
occhi azzurri; quegli occhi azzurri troppo simili a quelli di una
persona che conosceva bene. Ma prima di farsi prendere dal panico
preferì chiarirsi le idee.
«
Ciao. Tu sei...? » gli domandò apparentemente
tranquillo. Il biondo sorrise ambiguamente.
« Christian.
»
|
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Capitolo 19 *** Nineteen. ***
diciannove
Nineteen.
A
Tom servì qualche attimo per rendersi conto di che cosa quel
semplice nome avrebbe portato nella sua vita, in fatto di
cambiamenti. Aveva da poco cominciato a stabilizzarsi, a vedere un
qualcosa di concreto per lui e Monique, dopo tanta fatica, ed ora
sembrava che il destino avverso si fosse impegnato ancora una volta
per rendere loro la vita impossibile.
Non
poteva essere successo sul serio. Christian non poteva essere lì
davanti a lui; non poteva essere l'ex fidanzato di Monique ed il
padre di sua figlia. Doveva esserci per forza un errore, sembrava
troppo irreale.
Perché
aveva deciso di uscire allo scoperto solo in quel momento? Solo nel
momento in cui Tom e Monique avevano trovato finalmente un loro
equilibrio? Perché chiunque si trovasse lassù ce
l'aveva disperatamente con lui?
«
Christian. » ripeté Tom fissandolo serio, come non
volesse ancora credere a ciò che aveva sentito.
«
Esattamente. E tu chi saresti?»
La
spocchia con cui aveva posto quella domanda gli perforò il
cranio con immenso fastidio, facendolo rabbrividire dal nervoso. Il
suo istinto primario era quello di spaccargli la faccia.
«
Io sono il fidanzato di Monique. » affermò con
decisione, come volesse precisare ogni singola questione prima del
dovuto.
Christian,
di fronte a lui, fece una smorfia che doveva sembrare un sorriso. Ciò
fece imbestialire maggiormente il chitarrista, il quale fremeva dalla
voglia di sbattergli la porta in faccia. Una cosa era certa: in casa
non vi avrebbe messo piede.
«
Beh, si da il caso che io sia l'ex. Strano incontro, non credi? »
lo prese in giro il biondo, con tono crudelmente sarcastico. Tom
strinse i pugni.
«
Vieni al dunque. » lo incitò, a denti stretti.
«
Hai per caso fretta? »
«
Sì, di chiudere la porta. »
«
Non è casa tua. »
«
Nemmeno la tua. »
«
Io ci ho passato molto tempo però. »
«
Recando solamente dolore ad una ragazza che non lo meritava. »
«
Oh, che discorsi toccanti. »
«
Senti, dimmi cosa vuoi o giuro che chiudo la porta. »
«
La domanda giusta è chi voglio. »
Tom
percepì una scossa fulminea percorrergli il corpo intero. Non
gli piaceva il punto a cui quella conversazione – se tale era il
suo nome – stava giungendo.
«
E chi vorresti, sentiamo? » lo sfidò il chitarrista, non
sicuro di volerlo sapere sul serio, poiché sapeva sarebbero
dovuti venire inevitabilmente alle mani. Non sarebbe riuscito a
trattenere i nervi e stava già facendo enormi progressi
nell'aspettare lì, di fronte a sé, che rispondesse alla
domanda. Purtroppo temeva di sapere quale fosse la risposta.
«
Monique e sua figlia. »
Poté
percepire il tonfo che il suo cuore fece nel cadere a terra. Era
proprio ciò che temeva, proprio ciò che sapeva avrebbe
risposto. Perché lui aveva sempre dovuto combattere nella
vita; non era mai riuscito ad ottenere qualcosa senza sudare, senza
stringere i denti per mantenerne il possesso. Ed ora che era
finalmente riuscito ad avere Monique, avrebbe dovuto nuovamente
lottare con le unghie e con i denti per riuscire a tenersela stretta.
«
Temo di non riuscire a comprenderne il motivo. » si limitò
a rispondere, cercando di mantenere la calma. Non voleva Monique si
svegliasse; voleva risolvere quella questione da solo e senza farla
preoccupare.
«
Il motivo è molto semplice: quella è anche mia figlia.
»
A
quell'affermazione, Tom sentì il sangue ribollirgli nelle
vene.
«
Ah sì? E dov'eri quando Monique era incinta? Dov'eri quando ha
partorito? E quando Eveline ha avuto la febbre? E nel cambiarle i
pannolini? Per due anni, dove cazzo sei stato? A questo punto mi
chiedo: che pretese hai su di lei? Non l'hai mai voluta, giusto? Hai
abbandonato Monique nel momento del bisogno; ora spiegami in che modo
vorresti accaparrarti il diritto di riprendertele tutte e due. »
Aveva
sputato quelle parole il più acidamente possibile. Voleva
giungere dritto al punto, senza troppi giri di parole. Quell'essere
non ne meritava.
«
In che modo? Semplice, sono il padre biologico e nessuno mi può
togliere il diritto di vedere mia figlia. » spiegò il
biondo con uno strano sorriso sul volto. Era proprio quel sorriso a
non convincere il chitarrista.
«
Posso chiederti cosa ti ha fatto arrivare qui dopo due anni? Non hai
mai voluto saperne né di Monique, né di tua figlia.
Cosa ti spinge a venire qui ora? Perché proprio adesso vuoi
tua figlia? »
«
La gente cambia idea. »
«
Ti offendi se ti dico che non ho la minima intenzione di crederti? »
«
No, perché per me non sei nessuno e del tuo giudizio ne faccio
volentieri a meno. »
«
Benissimo, anche io faccio a meno della tua presenza, quindi, se non
ti dispiace, ti pregherei di andartene. Sai, è mattina presto
e la gente vorrebbe riposare. »
«
Se me ne vado ora, tornerò in un altro momento. »
«
Fai quello che ti pare. Ti consiglio solamente di non turbare la
serenità di alcune persone; in particolare quella di tua
figlia. »
Detto
questo, Tom, senza attendere una sua risposta o la minima esitazione,
chiuse la porta.
Si
sentiva particolarmente nervoso. Quella pretesa ingiustificata era
una cosa che lo mandava fuori di testa. Monique aveva scelto lui e
lei era sua e così sarebbe stato per molto tempo. Non sarebbe
arrivato un damerino dagli occhi azzurri ad infrangere quel
bellissimo equilibrio che si era venuto a creare. Quella mattina,
avrebbe voluto svegliarsi assieme a lei, coccolarla per tutto il
tempo, ripensando alla bellissima serata che avevano trascorso
finalmente insieme. Le avrebbe preparato la colazione ed avrebbero
chiacchierato in tutta serenità.
Strinse
i pugni e decise che così avrebbe fatto. Quell'essere
spregevole non avrebbe avuto la meglio su di lui. Per il momento non
avrebbe detto nulla a Monique; avrebbe fatto finta di niente per non
turbarla. Sapeva che si sarebbe arrabbiata, scoprendo la verità
più avanti, ma non voleva assolutamente guastare quel momento.
Rientrò
in cucina e finì di preparare la colazione, per poi afferrare
il vassoio ed incamminarsi in direzione della camera di Monique. Non
appena vi entrò, richiuse la porta e poi si avvicinò al
letto, per poggiare il vassoio sul comodino, affianco alla ragazza
ancora dormiente, ignara di tutto ciò che nel frattempo era
accaduto in casa sua.
Si
stese sul materasso, accanto a lei, osservandola con tenerezza.
Allungò una mano nella sua direzione e, con delicatezza, prese
ad accarezzarle i capelli.
Era
abbracciata al cuscino con il quale aveva dormito lui, proprio per
quell'abitudine di riposare aggrappata a qualcosa. Evidentemente, nel
sonno, aveva percepito la sua mancanza e si era stretta alla prima
cosa che le fosse capitata a tiro.
Più
la osservava e più si domandava come Christian avesse fatto ad
abbandonarla in quelle condizioni. Ma soprattutto come avesse fatto a
trattarla da sgualdrina per tutto il tempo della loro relazione.
Monique era una ragazza estremamente dolce ed affettuosa; non poteva
minimamente pensare di alzare le mani con lei o usarla per le proprie
squallide voglie sessuali. Ma soprattutto si rendeva sempre più
conto di poter arrivare addirittura ad accettare un figlio da lei.
Certo, non si sentiva assolutamente pronto per quel tipo di ruolo,
nei confronti di un bambino, ma se Monique fosse rimasta incinta, non
si sarebbe distrutto dalla disperazione. Avrebbe semplicemente
convissuto con quell'idea e non sarebbe scappato, perché tutta
la fatica che avevano fatto per stare finalmente insieme, non
l'avrebbe buttata via così.
Proprio
mentre pensava a queste cose, sorprendendosi per la velocità
incredibile in cui la sua mente aveva imparato a pensare a qualcosa
di maturo e lodevole, Monique aprì lentamente gli occhi.
Quei
due pozzi marroni, come si posarono sulla sua figura, gli causarono
una violenta capovolta dello stomaco.
«
Buon giorno. » le sorrise dolcemente. La mano era sempre
nascosta tra i capelli della mora.
Quest'ultima
sorrise appena e, chiudendo nuovamente gli occhi, si stiracchiò
braccia e gambe. Tom la sovrastò con il proprio busto, per
abbracciarla e respirare il profumo del suo collo, dove sembrava
esservi rimasto un sapore di baci ed amore.
No,
non l'avrebbe turbata raccontandole di Christian. Voleva continuare a
vedere quel sereno sorriso sulle sue labbra.
«
Ti ho portato la colazione. » le annunciò, con la bocca
ancora premuta sulla sua pelle sensibile.
«
Davvero? » domandò Monique, con voce assonnata e roca,
cosa che fece sorridere il chitarrista.
«
Sì. So essere un gentiluomo, ogni tanto. » commentò
lui, ironicamente.
Si
sollevò da lei, dopo averle schioccato un bacio sul collo, e
si allungò verso il comodino per recuperare il vassoio. Nel
frattempo, anche Monique si sollevò a sedersi, strizzandosi
appena gli occhi infastiditi dalla luce che perforava le persiane.
«
Lo so. » rispose lei, serena. « Ma tu non mangi? »
gli chiese poi.
«
E' tutto qui. » le sorrise, posandole il vassoio sulle gambe. «
Mangiamo insieme. Però voglio un bacino. »
Monique,
a quella tenera richiesta, allungò il viso e lo baciò
sulle labbra. Lui la trattenne per la nuca ed approfondì quel
bacio per qualche secondo, fino a che non si staccarono sorridenti
per prendere a mangiare.
«
A che ora ti sei alzato? » gli domandò la ragazza mentre
si spalmava un po' di marmellata sulla fetta biscottata.
«
Venti minuti fa. » rispose lui, per poi portarsi alla bocca un
biscotto.
«
Potevi svegliarmi. »
«
E vedere il tuo muso imbronciato? No, ho preferito aspettare. Dormivi
troppo bene. »
Tom
stava facendo decisamente fatica a tenerle nascosto tutto ciò
che era successo qualche attimo prima. Si era in qualche modo
convinto che per il momento era giusto così e che non voleva
turbarla, anche se una parte del suo cervello continuava a ribadire
che stava sbagliando.
«
Mi potrei anche abituare a tutto questo. » sorrise la mora,
alludendo al vassoio che teneva sulle gambe.
«
Fallo. » rispose Tom con un'alzata di spalle, senza guardarla.
«
Certo, dovresti venire a vivere qui. » ridacchiò
Monique, guardandolo di sbieco. Il chitarrista scrollò
nuovamente le spalle.
«
Per me... »
Monique
rimase esterrefatta.
Era
come se, da una parte, Tom avesse paura di perderla; come se avesse
voluto starle più vicino
per tenere sotto controllo ogni singola mossa di Christian. Come
avesse voluto marcare il proprio territorio, da bravo maschio
dominante.
«
Dai, smettila di scherzare. » ridacchiò la ragazza,
riponendo il vassoio sul comodino per alzarsi dal letto. « Vado
a farmi una doccia. » riferì a Tom, camminandogli nuda
davanti.
«
Mi stai provocando? » le domandò infatti il ragazzo,
cercando di non scomporsi più di tanto.
«
Può darsi. » lo stuzzicò ulteriormente. Tom non
attese altro: si alzò dal letto, la prese in braccio e corse
in bagno, accompagnato dalle risate della mora.
«
Oh, cazzo. » fu la fine esclamazione di Tom, non appena uscì
dalla doccia, completamente sfinito. Dietro di lui, Monique aveva
ancora il fiatone. Era ufficiale: il chitarrista, di lì a una
settimana, l'avrebbe distrutta.
Una
cosa positiva c'era: fare la doccia era magicamente diventato ancora
più piacevole.
«
Kaulitz, hai intenzione di fare così ogni volta che dovrò
farmi una doccia? » domandò a quel punto la mora. Il
chitarrista si voltò verso di lei con un ghigno in volto.
«
Così e anche molto di più. » disse con fare
angelico.
Monique,
ancora presa dalle risate, scosse appena la testa e poi si rifugiò
in camera sua, con l'intenzione di rivestirsi, senza che il
chitarrista potesse sconvolgerle i piani ancora una volta.
A
Tom, mentre si rivestiva, prudevano le mani. Era al corrente di una
verità troppo rilevante, che riguardava Monique, della quale
proprio lei non conosceva l'esistenza. Si stava comportando da
codardo e da egoista. Stava pensando solamente a se stesso, non
tenendo conto del ruolo della mora in tutto ciò. Avrebbe
dovuto avvisarla della visita inaspettata di Christian, o non vi
avrebbe dormito sopra per giorni, dal rimorso di non averlo fatto.
Con
un lieve sospiro, entrò senza chiedere il permesso nella
stanza della sua ragazza, dove la trovò alle prese con il
reggiseno, poiché faceva fatica a chiuderlo dietro la sua
schiena. Senza dire nulla, le si avvicinò ed afferrò i
gancetti, chiudendoli in pochi secondi. Monique, sorpresa di
trovarselo alle spalle, si voltò nella sua direzione e gli
sorrise.
«
Grazie. » disse, per poi dargli nuovamente le spalle ed
infilarsi i jeans. « Che hai? » gli chiese
successivamente. Ormai lo conosceva troppo bene. Sapeva analizzare
ogni sua singola espressione, ogni suo singolo cambio di umore per
essere certa che qualcosa nella sua testa lo stava tormentando.
«
Ehm, dovrei parlarti. » cedette il moro. La ragazza si
immobilizzò, non appena ebbe finito di allacciarsi i pantaloni
e si voltò ad osservarlo ancora in reggiseno.
«
Devo preoccuparmi? Non mi piace quel tono. »
«
No, stai... Stai tranquilla, non c'entro io. Per lo meno... Non
direttamente. »
«
Okay, però parla, non mi fare agitare. »
«
Sediamoci. » La prese per mano e la indusse a sedersi accanto a
lui, sul suo letto. « Ascoltami, io non ti ho detto una cosa
prima. » cominciò a parlare. « Stamattina, mentre
tu dormivi, sono entrato in cucina per prepararti la colazione ma...
C'è stato un imprevisto. »
«
Che imprevisto? » domandò in fretta Monique. Tom stette
ancora qualche attimo in silenzio, torturandosi le mani. « Tom,
che tipo di imprevisto? » ripeté ancora più
agitata.
«
Christian. »
Non
seppe nemmeno dire come riuscì a pronunciare quel nome. Aveva
sostato per tutto il tempo sulla punta della sua lingua ma sembrava
quasi un'impresa impossibile arrivare ad esternarlo. Monique, davanti
a sé, aveva sgranato gli occhi e sapeva che di lì a
qualche istante avrebbe cominciato ad urlare.
«
Smettila di scherzare. » disse solamente, con un'insolita
freddezza nel tono di voce.
«
Non sto scherzando. » mormorò il chitarrista, abbassando
lo sguardo sui propri piedi.
«
E tu me lo dici solo ora?! Sei riuscito a far colazione con me e a
fare l'amore senza dirmi nulla?! »
«
Non volevo rovinare l'atmosfera che si era venuta a creare da ieri
sera. Volevo passare una mattinata con te senza... Senza dover
pensare. »
«
E tenermi all'oscuro di una cosa così importante?! »
«
Christian è importante per te? »
«
E' il padre di mia figlia! »
«
Ma è anche uno stronzo che non ha impiegato un minuto nello
scaricarti incinta! Pensi che ad Eveline serva un padre del genere? »
«
So io ciò che è meglio per mia figlia! »
«
E Christian sarebbe il meglio per tua figlia?! Pensavo ti fidassi di
me e... Insomma mi potessi dare una possibilità con Eveline. »
«
Tom, mettitelo in testa, non sei suo padre e non potrai mai esserlo,
che ti piaccia o no! »
La
fitta di dolore che Tom percepì al petto, quasi lo lasciò
senza fiato. Non aveva mai provato una sensazione simile. Una
sensazione di rifiuto, una sensazione che gli logorava l'anima in
pochi attimi. Quelle parole gli avevano fatto dannatamente male e di
certo non se le sarebbe mai aspettate da una delle persone a cui
teneva di più in assoluto.
Forse,
solo allora Monique sembrò rendersi conto di ciò che
aveva detto ed un fremito d'ansia e di timore si impossessò
terribilmente di lei.
Il
chitarrista, turbato, si sollevò dal materasso e si diresse in
direzione della porta della camera.
«
Tom... » provò la mora, dispiaciuta, ma il ragazzo non
la ascoltò ed uscì dalla stanza. Non appena sentì
la porta di casa sbattere, le lacrime le salirono velocemente agli
occhi.
Era
stata una stupida a trattarlo così. Era stata una stupida a
sputargli in faccia quelle orribili parole. Sapeva quanto lui teneva
a diventare qualcosa di più importante per Eveline e lei lo
aveva sempre incoraggiato a diventarlo. Ora, presa dal nervoso, aveva
cancellato tutto ciò che di bello si erano detti o promessi.
La
verità era che quella notizia l'aveva presa in contropiede.
Non si sarebbe mai aspettata una simile ricomparsa nel corso del
tempo, e poi, a quale scopo? Cosa voleva da lei, Christian?
Un
tonfo violento della porta dello studio di registrazione, fece
accorrere Bill all'ingresso, dove trovò suo fratello con la
cera più brutta che gli avesse mai letto in volto. Si ritrovò
ad osservarlo con lieve timore negli occhi. Timore di dire la cosa
sbagliata al momento sbagliato, timore di farsi lanciare contro una
sedia. Sapeva che Tom aveva molta pazienza, ma quando si infuriava a
quella maniera, la cosa poteva essere definita altamente grave.
«
Ehm, ciao, Tomi. » provò quasi intimidito. « Va
tutto bene? »
«
A meraviglia! Christian è tornato ed io non sarò mai
nessuno nella vita di Eveline! » spiattellò ogni cosa,
senza minimamente pensarvi, e si chiuse in camera sua.
Bill
restò qualche attimo impalato dove lo aveva lasciato, a
battere continuamente ciglio, fino a che non decise di bussare alla
sua porta. Non ricevette risposta, ma sapeva fosse un consenso. Non
appena fece il proprio ingresso all'interno, trovò Tom disteso
sul letto, a dargli le spalle. Si avvicinò con cautela, fino a
sedersi sul materasso accanto a lui, scrutandolo attentamente
dall'alto.
«
Che... Che intendi dire con Christian è tornato? »
gli domandò, timoroso della risposta che gli sarebbe giunta
all'orecchio.
«
Esattamente quello che ho detto. È venuto a rompere i
coglioni. È venuto a riprendersi la mia ragazza e sua
figlia. » borbottò il chitarrista, con rabbia
pericolosamente repressa. Bill sgranò gli occhi, mentre uno
sgradevole senso di vertigine lo prese allo stomaco.
«
E cosa vorrebbe da loro, dopo due anni? »
Tom
si alzò di scatto a sedere sul materasso.
«
Non lo so! Non lo so, Bill! È questo il punto! Che cazzo vuole
da loro?! » esclamò con espressione disperata in volto.
Sembrava stesse per crollare in un pianto ininterrotto e Bill sentì
una dolorosa fitta al cuore nel vederlo in quelle condizioni. Gli
venne spontaneo avvicinarsi a lui e stringerlo fra le braccia come
non facevano da troppo tempo. « E lei mi ha praticamente urlato
in faccia che non sarò mai un padre per Eveline. Bill, sto
impazzendo. Andava tutto bene fino a stamattina. Abbiamo finalmente
fatto l'amore ed è stata la cosa più bella del mondo;
eravamo sereni, ormai tranquilli ed intoccabili. Ed ecco che siamo
tornati al punto di partenza. A volte mi chiedo se sia destino che
non dobbiamo stare insieme. » mormorò contro la
maglietta di suo fratello, il quale continuava ad infondergli
supporto.
«
Io invece direi il contrario: che è destino che dobbiate stare
insieme. Dopo tutte le difficoltà ed i problemi che avete
dovuto affrontare, e non sono pochi, siete comunque ancora insieme e
più uniti di prima. E vedrai che quelle parole, Monique le
avrà dette solo perché era nervosa. Prova a metterti
nei suoi panni. Probabilmente anche lei si sentirà confusa e
non saprà che fare. D'altronde è pur sempre il padre di
sua figlia e, nonostante non le vada a genio, non può negargli
la conoscenza di Eveline, a meno che non faccia qualcosa di veramente
grave. »
«
Bill, non credo di riuscire a dividerla con lui. »
«
Nessuno ti chiede di farlo. Non è Monique che devi dividere
con lui ma... Eveline. »
«
Mi ha detto esplicitamente di volersi riprendere anche Monique. »
«
E tu, se sei un uomo con le palle come dici, non glielo permetti. »
Tom
sembrò sul punto di scoppiare a piangere come un bambino, ma
riuscì a trattenersi. Semplicemente si strinse con maggior
forza a suo fratello e chiuse gli occhi con un gran sospiro.
«
Si può? Becchiamo situazioni strane? » la voce di
Jessica fece capolino in casa di Monique, la quale si era abbandonata
sul divano con insopportabile spossatezza. Era rimasta lì per
tutta la mattina a pensare; a pensare a che piega assurda aveva preso
la sua vita e a quanto era stata idiota qualche ora prima.
«
Mamy? »
Quella
voce la fece improvvisamente ridestare, facendo sì che
finalmente un sorriso spontaneo le occupasse il volto. Si sollevò
velocemente dal divano e raggiunse sua figlia all'ingresso, tenuta in
braccio dalla rossa. Non appena l'ebbe davanti, la strinse a sé,
come non la vedesse da anni, tanto che Jessica gliela lasciò
fra le braccia, osservando accigliata la scena in disparte.
«
Ti voglio bene, piccola mia. » sussurrò la mora
all'orecchio della bambina.
«
Acchìo, mamy. » rispose Eveline, non capendo quale fosse
il motivo per cui la sua mamma le stesse facendo quella dichiarazione
improvvisa.
«
Stai bene, Monique? Tom dov'è? » domandò
all'improvviso Jessica. Era decisamente troppo intuitiva.
«
Ehm, tesoro, che ne dici di andare a giocare con Bubi? Io e zia
Jessica dobbiamo scambiare due parole. » Detto questo, poggiò
sua figlia a terra, la quale corse in direzione della sua stanza,
dove la piccola giraffa di peluche l'attendeva.
Le
ragazze, nel frattempo, entrarono in cucina.
«
Dimmi che non vi siete lasciati. » mormorò Jessica,
mentre si sedeva al tavolo, senza perdere di vista la sua migliore
amica.
«
Non credo. » borbottò Monique, prima di sedersi di
fronte a lei.
«
Non credi? »
«
Se n'è andato di casa ma non abbiamo rotto ufficialmente.
»
«
Ma che è successo? »
Monique
prese un bel respiro e, senza una singola pausa, le raccontò
tutto ciò che era successo quella mattina, nei minimi
particolari, ad una continuità ed una velocità
inaudite. Prima si fosse tolta quel peso, meglio sarebbe stata, anche
se come consolazione era del tutto scarna. Jessica l'aveva ascoltata
ogni singolo attimo, con sguardo pietrificato e puntato sulla sua
figura. Non voleva lasciarle spazio per replicare, almeno fino a che
non avesse finito di raccontare. Sembrava almeno sconvolta quanto
lei.
«
E ora? Che intendi fare? » domandò Jessica, una volta
che Monique ebbe finito di raccontare. La mora sospirò
pesantemente.
«
Non lo so. Questa cosa mi ha mandato in confusione. Se vuole vedere
sua figlia, io non posso di certo negargliela. »
«
E con Tom? » Monique abbassò lo sguardo sulle proprie
mani intrecciate sul tavolo. « Monique, hai sbagliato a dirgli
quelle cose. »
«
Lo so, lo so, e mi sento uno schifo ma... Non so come rimediare. »
«
Vai da lui e parlagli. »
«
E dici che funzionerebbe? »
«
Certo, secondo me non aspetta altro. Lui non è intransigente
come te. »
Monique
ridacchiò appena. Era vero; Tom era una persona che sapeva
perdonare, sapeva mettere da parte ogni screzio, anche un torto
subito. Cose che invece lei mandava giù molto lentamente. Tom
era diverso da lei; era la parte mancante della sua personalità
e per questo la completava.
«
Jess? » mormorò appena, rossa in viso.
«
Dimmi. » rispose la rossa. Monique sbuffò appena in
imbarazzo.
«
Lo amo. »
Il
silenzio che ne derivò fu quasi assordante. Monique teneva lo
sguardo basso, mentre le sue gambe si muovevano frenetiche. Jessica
la osservava con espressione sorpresa e compiaciuta allo stesso
tempo.
Era
da tanto che quelle due paroline risuonavano instancabili nella sua
testa, ma mai aveva avuto il coraggio di dar voce ai suoi più
intimi pensieri, soprattutto in presenza del diretto interessato.
Aveva paura di spaventarlo, di farlo scappare da lei. Aveva paura
fosse troppo presto e che lui l'avrebbe derisa. Una miriade di
paranoie le riempivano la testa, come sempre, e non riusciva a
venirne a capo.
«
Gliel'hai detto? » le domandò Jessica con un dolce
sorriso in volto. La mora scosse appena la testa, in negazione. «
E che aspetti a farlo? Vai da lui, chiedigli scusa e digli che lo
ami. »
«
La fai facile. Se per lui non è la stessa cosa? »
Jessica
sorrise consapevole.
« Sei
proprio cieca, Monique. »
------------------
Mi
scuso per il ritardo madornale ma ho avuto un sacco di problemi. Non
sono nemmeno riuscita a ispondervi singolarmente, periò lo
faccio qui: siete carinissime tutte quante. Ogni giorno mi spronate
sempre di più a continuare a scrivere. Vi ringrazio tantissimo e
spero che continuerete a seguire questa storia fino alla sua fine (che
non dovrebbe essere molto lontana).
Un bacio a tutte.
_KyRa_
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Capitolo 20 *** Twenty. ***
Twenty
Twenty.
«
Tom, mi passeresti il sa... » Il chitarrista, con un grugnito,
sbatté con forza il contenitore del sale sul tavolo, di fronte a
Georg, il quale sbatté le palpebre accigliato. « D'accordo. »
commentò il bassista, per poi prendere ad insaporire il proprio
pezzo di carne.
La
tavola era completamente silenziosa, nonostante i Tokio Hotel,
compreso David, sedevano ad essa, intenti a mangiare. Da quando il
chitarrista non si parlava più con Monique, era divenuto
intrattabile. Nessuno era tenuto a rivolgergli la parola, a meno che
non lo decidesse lui stesso, ma solo per questioni pratiche.
«
Per domani, vi ho messo un servizio fotografico alle due. » esortò
il manager, sperando in una risposta, soprattutto da parte di Tom.
Inutile dire che quest'ultimo fece finta di non sentirlo. Solamente
Bill gli diede la soddisfazione, annuendo appena con la testa per
fargli intendere che aveva capito.
Improvvisamente,
un forte stridio della sedia fece sobbalzare tutti quanti. Tom si era
alzato e, senza dire nulla, era uscito dalla cucina, lasciando il
resto del gruppo basito.
Da
circa un quarto d'ora aveva lo sguardo fisso sui surgelati. Non che
questi suscitassero in lei particolare interesse, ma la sua testa era
troppo piena di pensieri per rendersene conto. Fare la spesa era solo
un diversivo, un metodo decisamente poco efficace per strapparla da
quell'ambiente alquanto soffocante che portava il nome di casa.
Proprio mentre era indecisa su quale confezione prendere, da cucinare
per quella sera, il cervello aveva preso a vorticare verso luoghi
differenti, come era solito capitarle nei momenti meno opportuni.
Aveva ripensato alla discussione con Tom ed al modo brusco in cui,
giustamente, se n'era andato. Non si sentivano da due giorni e lei
non faceva altro che soffrirne, poiché sentiva dannatamente la sua
mancanza. Ancora una volta il suo orgoglio era passato in primo
piano, impedendole di cercarlo per prima, nonostante ne avesse
parlato con Jessica, decidendo quindi di chiedergli scusa. A
contribuire, una buona dose di sensi di colpa e di vergogna, che le
impedivano di presentarsi allo studio e guardare Tom negli occhi.
Sapeva che quando voleva era in grado di farla sentire molto ma molto
piccola. Ed avrebbe persino avuto tutte le ragioni del mondo.
Talmente
era assorta nei suoi pensieri, che la confezione che aveva finalmente
afferrato le scivolò di mano come nulla fosse. Sbuffando, si chinò
per raccoglierla.
«
Vedo che rimani sempre la solita sbadata. » Un fremito. Quella
voce. Non voleva alzare lo sguardo, in direzione di quella, per
paura di sapere a chi appartenesse. « Però sei più bella del
solito. » Tremante, sollevò i propri occhi sull'alta figura di
Christian, il quale, con un ambiguo sorriso a dipingergli il viso, la
scrutava come si fossero visti solo il giorno prima. « Ciao. » la
salutò ironico.
«
Che cosa vuoi? » gli domandò freddamente, cercando di mascherare
l'agitazione. Un'espressione fintamente dispiaciuta occupò il volto
del ragazzo.
«
Ma come? Dopo due anni, è questa l'accoglienza che mi merito? »
«
Ti meriteresti di peggio, stronzo.
«
Sei anche più fine di come ti ricordavo. »
«
Non fare lo spiritoso, non ti conviene. »
«
Sai, ho avuto il piacere di conoscere il tuo nuovo fidanzato,
l'altra mattina. Simpatico. »
«
Smettila. »
Restarono
qualche attimo in silenzio a fissarsi. Lei con odio, lui con
divertimento.
«
Dai, paga, così andiamo a bere qualcosa. » le disse successivamente
il biondo, con eccessiva disinvoltura.
«
E perché dovrei venire a bere qualcosa con te? » chiese lei
sprezzante.
«
Immagino tu voglia delle spiegazioni, no? Come mai sono tornato? Cosa
voglio da te e mia figlia? No? La tua mente non si sta spaccando per
arrivare ad una conclusione? Strano, sei sempre stata così
paranoica... »
Monique
restò in silenzio. Quel bastardo aveva dannatamente ragione, anche
se odiava doverlo ammettere.
Quella
situazione era del tutto assurda. Dopo due anni di silenzio ed odio,
dopo tutti gli avvenimenti accaduti, lei e Christian ora sedevano al
tavolino di un bar, all'aperto, intenti a bere tè freddo. Ovviamente
non era passato secondo che la mente di Monique non avesse formulato
insulti da sputargli in faccia, non appena fosse stato necessario, ed
un pericoloso istinto omicida che sapeva non sarebbe riuscita a
reprimere ancora per molto. L'unica cosa che la fermava era solo una:
aveva una figlia e non poteva finire in galera.
«
Da quanto stai con quello lì? » domandò all'improvviso Christian,
prendendola in contropiede.
«
Quello lì ha un nome. » ribatté punta dal nervoso. « E da
quanto stiamo insieme, non sei tenuto a saperlo. » Poi sbatté il
bicchiere sul tavolino e lo guardò con odio: « Non siamo qui per
un'allegra chiacchierata, mi pare. Avevi detto che mi avresti
spiegato il motivo di questa tua entrata in scena a grande effetto.
Ebbene? »
Attese
con irritazione che Christian finisse di bere con tutta calma il
proprio tè e poi si accinse ad ascoltarlo, con espressione scettica
in volto.
«
Ho il diritto di vedere mia figlia. » esortò tranquillamente.
Monique scoppiò in una falsa risata.
«
Oh, oh, è da quando sarebbe diventata tua figlia? » domandò con
tetro sarcasmo.
«
Tu e Tom vi siete messi d'accordo per darmi contro? » sorrise lui
perversamente.
«
No, semplicemente chiunque ti darebbe contro, razza di idiota. »
«
Potresti smettere di insultarmi? »
«
Credimi, ti sto insultando per non ucciderti. L'idea mi alletta
pericolosamente. »
«
Addirittura, mi vuoi così male? »
«
Purtroppo, sì. E levati quel sorrisetto irritante dalla faccia, mi
viene voglia di spaccartela. »
«
Questa violenza da dove salta fuori? Una volta eri così remissiva...
»
Monique
sbatté con forza una mano sul tavolino, per poi puntargli il dito
contro.
«
Non – ti azzardare a tirare fuori il periodo in cui stavamo
insieme. Sei fortunato a non aver ricevuto una bella denuncia. E
ringrazia il mio animo buono, per questo. » sibilò con freddezza,
cercando di non alzare troppo la voce, poiché la clientela era più
presente del solito, quel giorno. « Cosa mi fa credere che tu sia
davvero intenzionato ad instaurare un rapporto con mia figlia, senza
secondi fini, eh? »
«
Mi fai così losco e calcolatore? » ridacchiò Christian
«
Sì. » rispose Monique, secca. « Ormai, da te, mi aspetto di tutto.
»
«
Ti stai comportando da egoista, lo sai? Un domani la bambina potrebbe
voler conoscere il suo papà. Pensa che brutta figura se venisse a
scoprire che gliel'hai impedito. »
«
O forse mi ringrazierebbe per non averle fatto conoscere uno
spocchioso come te. »
«
Lascialo decidere a lei, come sono. »
«
Nella nostra famiglia, c'è già Tom come figura maschile ed Eveline
lo adora. »
«
Ma non è suo padre. »
«
Che importanza può avere? Intanto lui si prende cura di lei, a
differenza tua. »
«
E nel caso in cui non te ne fossi ancora accorta, sono venuto a
chiederti di fare lo stesso. »
Un'ulteriore
pausa da parte di Monique. A parole poteva renderle la situazione
dannatamente rosea e poteva dipingersi come la persona dall'animo più
buono e dalle buonissime intenzioni. Ma quegli occhi... Quegli occhi
troppo fitti di ironia le dicevano tutt'altro.
«
Io non ti credo, Christian. » tagliò corto la mora, per poi alzarsi
dalla sedia, dopo aver lasciato sul tavolo le monete della propria
bevuta. « Ho bisogno di tempo per pensare. » detto questo, se ne
andò, senza aspettare che lui replicasse, convincendosi che ciò che
aveva fatto era la cosa più giusta.
«
Non rompete i coglioni. »
Gustav
sospirò pesantemente. Quella era stata l'ennesima risposta da parte
del chitarrista, alla singola richiesta di uscire dalla sua stanza.
«
Hai intenzione di marcire lì dentro? » domandò a quel punto il
biondino, al di là della porta.
«
Sì. »
Il
batterista non aggiunse altro. Discutere con Tom era altamente
inutile.
Intanto,
all'interno della sua stanza, Tom era seduto sul letto, a gambe
incrociate, con la chitarra in grembo, intento ad improvvisare
qualche nota con il suo amato strumento, l'unico in grado di
comprenderlo, in quel preciso istante.
Si
sentiva furioso da una parte e triste dall'altra. Furioso perché
nonostante Monique avesse sbagliato a trattarlo a quella maniera, non
si era ancora fatta minimamente viva. Era talmente nero di rabbia che
per un momento pensò addirittura che avesse scelto di tornare
assieme a Christian e divertirsi a sua insaputa, giusto per togliersi
il dente. Poi si ricredeva, poiché sapeva che Monique non era il
tipo di ragazza che si comportava a quella maniera e, inoltre, poteva
affermare con certezza che lei tenesse a lui; o almeno, così gli
aveva sempre dimostrato. Dall'altro lato, invece, si sentiva triste
poiché aveva perso ogni sorta di speranza. Non aveva più idea di
come mandare avanti quel rapporto, senza farsi toccare da ogni minimo
problema, come succedeva ogni qual volta ricominciavano a vivere
sereni. Riuscire ad avere una relazione stabile e serena assieme a
lei era chiedere troppo?
Buttò
uno sguardo al suo cellulare, che teneva poggiato sul comodino,
affianco a lui, ma niente. Non squillava, non avvisava dell'arrivo di
qualche messaggio. Era muto. Forse era per quello che aveva preso la
chitarra, cominciando a strimpellare qualcosa; tutto quel silenzio
l'aveva riempito di angoscia ed aveva voluto rimediare, in qualche
modo.
Avrebbe
potuto porre fine a quell'agonia e chiamarla lui di sua spontanea
volontà, ma il suo orgoglio, ancora una volta, pesava più di un
macigno. Per una volta, voleva fosse lei a fare il primo passo; lui
ne aveva già fatti troppi.
Il
colloquio da qualche minuto tenuto con Christian l'aveva agitata
ancora di più. Da quando era entrata in macchina, per tornare a
casa, non aveva fatto altro che sbuffare seccata. Perché
quell'essere spregevole era sbucato nuovamente fuori a complicarle la
vita? Andava tutto così bene, fino a quel momento. Ed ora anche la
sua storia con Tom se ne stava andando a farsi benedire, ed era
l'unica cosa che non voleva accadesse. Aveva un disperato bisogno di
lui, di averlo vicino, e se fosse stata privata anche di lui, non
avrebbe saputo reggere oltre.
Una
volta ferma al semaforo, le mani sul volante fremettero più volte.
Era arrivata all'incrocio: svoltando a sinistra, sarebbe tornata a
casa, come aveva pianificato sin dall'inizio, avrebbe preparato la
cena ed avrebbe atteso l'arrivo di Jessica ed Eveline. Svoltando a
destra, invece, avrebbe imboccato la via che l'avrebbe condotta allo
studio di registrazione, dove un ragazzo d'oro, forse arrabbiato a
morte con lei, attendeva le sue scuse.
Aveva
una tremenda voglia di gettarsi fra le sue braccia.
Svoltò
a destra.
Non
appena udì il campanello trillare, Georg si diresse alla porta, per
poi aprirla incuriosito. Al di là di essa trovò, con sua gioia, una
Monique piuttosto intimidita.
«
Hey! Oh, meno male che sei venuta. Fai qualcosa per quell'ameba
chiusa in camera sua, ti prego. » esclamò il bassista, facendosi
nel frattempo da parte per farla passare. Monique aggrottò le
sopracciglia, non capendo a cosa si riferisse. « Vai da lui e
dichiaragli amore eterno. È insopportabile. »
A
quel punto, Monique capì di chi stesse parlando.
«
E' tanto incazzato? » domandò, quasi timorosa di conoscere la
risposta.
«
Ti dico solo che mi ha quasi sbattuto il sale in faccia. Non litigate
più, se questi sono i risultati. »
A
Monique stava quasi passando la voglia di raggiungere il chitarrista
in quelle presunte condizioni ma, preso un bel respiro, si incamminò
lungo il corridoio, fino a giungere di fronte alla porta della sua
camera. Con mano tremante, bussò appena ad essa ed attese.
«
Chiunque tu sia, vattene a 'fanculo. »
La
voce del chitarrista, proveniente dall'interno della stanza, giunse
alle sue orecchie spaventosamente gelida.
«
Sono Monique. » disse con voce tremante. Non udì altro; la stanza
cadde nel silenzio più totale e lei non seppe cosa fare.
Doveva
andarsene? Doveva entrare in ogni caso? Doveva chiedergli prima il
permesso?
Era
testarda, sì. Entrò.
La
stanza non era molto illuminata rispetto al solito. Una luce chiara e
poco abbagliante faceva capolino tra le ante della finestra,
leggermente aperte, e nient'altro. Tom era seduto sul letto, con la
chitarra in grembo e la testa bassa su di essa, ma non suonava nulla.
Si era semplicemente immobilizzato, non appena l'aveva sentita. Il
cuore della ragazza fece un balzo quando lo vide sollevare lo sguardo
su di lei.
«
Sei venuta a dirmi che ti sei rimessa con occhioni blu? »
Quella
domanda sibilata con così tanto sprezzo la fece raggelare. Ma
soprattutto la ferì poiché non credeva Tom avesse una così bassa
considerazione di lei.
«
E' questo che pensi di me? Che sia una ragazza così facile? » Non
le rispose. Semplicemente restarono a guardarsi infiniti istanti,
fino a che Monique non gli si avvicinò e si sedette sul materasso,
di fronte a lui. « Io vorrei che tu mi ascoltassi. Non mi
interrompere però, perché sennò faccio un macello. » disse
nervosamente, mentre si torturava le mani riunite in grembo. « La
prima volta che sei entrato in casa mia, dopo la nascita di Eveline,
avevo il cuore impazzito. Ancor di più il primo giorno in cui vi ho
fatti conoscere. Ammetto che inizialmente avevo paura che si
affezionasse a te, semplicemente perché conosco mia figlia e conosco
te. Lei si affeziona in modo quasi morboso alle persone e tu sei
dannatamente tenero. Io ero sicura, al cento per cento, che le
saresti subito piaciuto. Quando ci siamo messi insieme, vuoi sapere
qual'è stata la prima cosa che ho pensato? Mi piacerebbe tanto
essere una famiglia, tutti e tre insieme. » A quelle parole, Tom
deglutì a fatica il grosso malloppo che gli si era formato in gola.
« Questo per farti capire che tutte le cose che ti ho detto due
giorni fa erano solamente delle grandissime cazzate. Se non ci fossi
tu, nella mia vita, assieme ad Eveline, non sarebbe la stessa cosa.
Non mi alzerei con il sorriso al mattino, non dormirei sonni
tranquilli sapendo che mia figlia è al sicuro ed amata anche da te.
Io ti voglio con me, Tom. Ti voglio con me ed Eveline, perché so che
potrai essere per lei un, se ti fa paura il termine padre, un amico,
uno zio speciale. Perché so che la renderai felice e perché... »
Prese un bel respiro. « Ti amo. »
Il
cuore di Tom sprofondò nel più profondo del suo corpo e non seppe
nemmeno dire dove. Il suo fiato si smorzò per attimi che gli parvero
infiniti, mentre i suoi muscoli sembrarono all'improvviso
intorpiditi, impossibili da muovere. Osservava Monique con occhi
quasi sgranati, come non avesse ben inteso ciò che gli aveva detto.
Quest'ultima ricambiava il suo sguardo con espressione quasi
impaurita, forse timorosa di una qualsiasi sua reazione.
Lei,
d'altro canto, fu quasi delusa per il fatto che non seppe dirle nulla
e cominciava a sentirsi un'emerita cretina ad essere corsa da lui per
dichiarargli tutte quelle cose, senza riflettervi. Sorrise
amaramente, abbassando lo sguardo.
«
Beh, io... » mormorò, per poi alzarsi dal letto e dargli le spalle,
con l'intento di uscire dalla porta, fino a che, a sua insaputa, non
si sentì il proprio polso venir chiuso in una delicata morsa calda.
Si voltò di scatto e non riuscì nemmeno ad incrociare gli occhi di
Tom, poiché quest'ultimo si era già tuffato ad divorare le sue
labbra.
Fu
forse il bacio più passionale che si fossero mai scambiati da quando
si erano messi insieme. Le mani del chitarrista vagavano come
impazzite lungo tutto il suo corpo, senza mai fermarsi, mentre le sue
labbra le assaporavano la bocca, il collo, gli zigomi, la fronte,
ogni cosa.
«
Anch'io. » Quel sussurro la fece sobbalzare, poiché non se lo
aspettava minimamente. Avrebbe piuttosto scommesso su un suo
silenzio; invece quella risposta era arrivata come un fulmine a ciel
sereno, cosa che la riempì di gioia, fino a sentirsi mancare.
Lo
circondò con le proprie braccia e si lasciò guidare fra le morbide
lenzuola.
«
Bill, Georg, dai, non mi sembra il caso, andiamocene. » sussurrò
imbarazzato Gustav, con la schiena poggiata al muro di fronte alla
camera di Tom e le braccia conserte. Il vocalist ed il bassista,
erano accucciati proprio da essa, con un bicchiere all'orecchio per
entrambi, intenti ad ascoltare tutto ciò che Monique e Tom si
stessero dicendo all'interno della stanza del chitarrista.
«
Shh, zitto! Mio fratello che ricambia un “Ti amo”, non l'ho mai
sentito in vita mia. Fammi godere di questo momento. » cercò di
parlare a bassa voce il moro, senza staccare l'orecchio da quella
fonte di informazioni.
«
Se escono, ci facciamo una figura di merda e io non c'entro nulla! »
si impuntò nuovamente Gustav, sbattendo appena un piede per terra.
«
Mmm, strano, non sento più nulla. » mormorò ad un tratto Georg. Si
scambiò un'occhiata con Bill. « Cosa fanno? Si guardano negli
occhi? »
Dopo
qualche secondo sentirono un verso piuttosto ambiguo, il quale li
fece levare di scatto dalla porta. Dalla fretta, caddero uno addosso
all'altro, mentre Gustav prendeva a correre lontano, esclamando “Ve
l'avevo detto io!”. Si sollevarono di nuovo ed inciamparono una
seconda volta, ridendo a crepapelle, ma cercando al contempo di non
fare chiasso. Finalmente riuscirono ad alzarsi e correre via,
continuando a sbellicarsi fino a farsi venire il mal di stomaco.
«
Non sia mai, non voglio partecipare alla vita sessuale di mio
fratello. » esclamò ancora divertito Bill, mentre si asciugavano le
lacrime.
«
Siete due cretini. » commentò Gustav, sotto le risate di Georg e
Bill.
Monique
sorrideva appena, mentre la mano del chitarrista giocherellava
distrattamente con i suoi capelli. Il petto del ragazzo, sotto il suo
viso, si alzava e si abbassava regolarmente, controllato da un
respiro tranquillo e rilassato. Il braccio della mora gli circondava
l'addome, tracciando con le dita dei semicerchi sulla pelle calda del
suo fianco, mentre le loro gambe giacevano intrecciate, sotto le
coperte. La seconda mano del chitarrista invece, l'aveva posata sul
braccio che lei teneva sul suo addome ed il silenzio pervadeva la
stanza. Almeno fino a che Monique non sospirò lievemente.
«
Che c'è? » le domandò, abbassando appena lo sguardo sul suo viso.
«
Prima ho visto Christian. » A quella confessione, sentì un
automatico fremito di stizza, che lo portò a stringerla maggiormente
a sé, come per ribadire che era sua. Sua e di nessun altro. « L'ho
incontrato al supermarket. » continuò Monique, ricambiando la
stretta, come per rassicurarlo. « Mi sono tolta la soddisfazione di
insultarlo un po'. » cercò poi di smorzare la tensione e poté
sentire Tom sorridere appena.
«
Avrei voluto assistere. » mormorò sarcastico. Monique aspettò
qualche secondo prima di continuare.
«
Dice che vuole fare il padre. » disse. « Ma, se devo essere
sincera, non mi convince. »
«
Quel sorrisetto da imbecille, di certo, non lo aiuta. » aggiunse il
chitarrista, ricordandosi la visita di quello spocchioso, due giorni
prima.
«
Già. » sospirò Monique. « Però, non so. Ho paura che un domani
Eveline mi possa rinfacciare che non le ho fatto conoscere suo padre,
quando si è presentata l'occasione. » ammise. « Al tempo stesso
però, ho paura di sconvolgerle la vita, dicendole che quell'essere è
suo padre. È così piccola. E poi, è così attaccata a te. Un po'
mi piace l'idea che ti scambi per suo padre. » Tom ridacchiò
appena, schioccandole un tenero bacio sulla tempia. « E' un discorso
egoistico, vero? » sorrise la mora, fissando il vuoto davanti a sé,
ma senza lasciare quel caldo rifugio tra le braccia del chitarrista.
«
No. » sussurrò quest'ultimo. « Piccola, se vuoi farglielo
conoscere, fallo. » aggiunse successivamente, ad insaputa di
Monique, la quale sollevò lo sguardo sorpreso su di lui. Tom ignorò
quegli occhi per non cambiare idea. « Sì, insomma. D'altronde è il
padre biologico; nessuno gli può togliere il diritto di vedere sua
figlia. »
«
A te non da fastidio? » gli domandò curiosa.
«
Fastidio? Fosse per me, sarebbe già morto, bruciato. » Monique
ridacchiò. « Però è giusto così. Non possiamo pensare solo a
noi. Sarà una scelta di Eveline, quando sarà un po' più grande,
cosa fare. »
«
Hai ragione. È un'idea che non sopporto però. »
«
Puoi sempre farglielo conoscere come estraneo, come hai fatto con me.
Li fai frequentare un po', vedi che impressione fa su Eveline e, se è
il caso, più avanti le dici che è suo padre. »
Monique
meditò qualche attimo su quella proposta. A dirla tutta, non le
dispiaceva affatto. Eveline era una bambina molto istintiva ed
avrebbe scoperto immediatamente se Christian era adatto a fare il
padre o semplicemente fosse la persona adatta a stare con lei ogni
tanto.
«
Penso che farò così. » concluse quindi, rilassandosi nuovamente
sul petto di Tom, chiudendo gli occhi. Improvvisamente, il suo
cellulare prese a squillare. « Mm, dev'essere Jessica. » mormorò,
mentre il chitarrista allungava il braccio verso il comodino per
recuperare il cellulare.
«
Ciao, simpaticona! » rispose il ragazzo, al posto suo. Monique
sorrise appena, godendosi la chiacchierata.
«
Tom, sei con Monique? » domandò sorpresa la rossa,
dall'altra parte.
«
No, l'ho uccisa, ho nascosto il cadavere e mi sono tenuto il suo
cellulare. »
Monique,
divertita, gli diede un piccolo schiaffo sul braccio.
«
Divertente. Allora avete fatto pace? »
«
Oh, sì, una pace molto... Piacevole, visto che siamo nudi, nel mio
letto. »
«
Tom! » esclamò Monique esterrefatta, sollevandosi a sedere sul
letto per tirargli un altro schiaffo, più forte di quello
precedente.
«
Tom, ho Eveline in braccio, non vorrei sentisse le tue assurdità.
» commentò Jessica.
«
Taooo! » fu la voce della piccola che Tom udì al telefono.
«
Ciao, piccolina! » sorrise intenerito.
«
Voi lì avete finito o ne avete ancora? » chiese a quel punto
la rossa.
«
Mah, non lo so, aspetta che lo chiedo a lei. » scherzò Tom,
voltandosi poi verso Monique, ma tenendosi comunque il cellulare
all'orecchio, in modo che Jessica potesse sentire. « Amore, sei a
posto così o vuoi un secondo round? Io sono pronto anche per il
terzo e il quarto. » sorrise, sbattendo ironicamente le ciglia con
fare eloquente.
«
Vuoi vedere che te lo taglio prima del secondo?! » esclamò
nuovamente Monique, lanciandogli un cuscino in faccia. Tom scoppiò a
ridere, decisamente divertito dalla situazione. « Dammi il telefono.
» gli ordinò ancora la mora, ma lui la ignorò.
«
Beh, le puoi dire che io ed Eveline stiamo tornando a casa sua per
cenare? » parlò Jessica, ormai arresa alla stupidità del
ragazzo.
«
Ma venite a cena qui, no? Dai, mangiamo tutti insieme, vi aspettiamo!
» propose Tom, entusiasta.
«
Ma... Prima chiedi a... »
«
Okay, perfetto, alle otto qui. A dopo! » chiuse la telefonata prima
che la rossa potesse ulteriormente ribattere e si voltò verso
Monique, la quale lo fissava con sguardo assassino. « Dai, che mi
adori quando faccio così. » sorrise lui, dandole poi un bacio
veloce sulle labbra per alzarsi dal letto.
Tutti
ascoltavano divertiti i discorsi senza senso di Eveline, la quale
chiacchierava per conto suo, mentre Monique la imboccava, a tavola.
Tom ridacchiò appena, decisamente intenerito da quella bambina così
speciale.
Si
era spesso domandato cos'avrebbe provato se Monique ed Eveline
avessero deciso di abbandonarlo, e la risposta che si era dato non
prospettava decisamente nulla di buono.
«
Da domani si ricomincia a lavorare. Era troppo bello starsene in
vacanza. » commentò Georg all'improvviso.
«
Non ti lamentare. » ridacchiò Monique. « A me spetta una nuova
montagna di lettere di fan impazzite e con gli ormoni a palla da
tradurre, vogliamo parlarne? »
«
Anche tu hai gli ormoni a palla, cara. » la stuzzicò il
chitarrista.
«
Cota vuol dile? » si intromise nella conversazione la piccola
Eveline. Monique, a quel punto, fulminò il ragazzo.
«
Essere particolarmente felici, piccola. » cercò di rimediare
Tom.
«
Allola acchìo ho ommoni a palla. » sorrise la bambina, prima di
accogliere un altro boccone di carne nella sua bocca. Tutti i
presenti al tavolo scoppiarono a ridere.
«
Okay, però non dirlo a nessuno. » commentò Monique, con
un'espressione mista tra il divertito e l'imbarazzato.
A
quel punto, voltò lo sguardo in direzione di Jessica e notò che
quest'ultima cercava con tutte le proprie forze di ignorare quello
del vocalist, il quale invece la adocchiava di tanto in tanto. Alla
mora venne da sorridere in modo del tutto spontaneo; sentiva che
qualcosa si sarebbe evoluto, tra i due.
Improvvisamente
però i suoi pensieri furono interrotti dal vibrare inaspettato del
suo cellulare, il quale la stava avvisando dell'arrivo di un
messaggio. Incuriosita, lo recuperò dalla tasca dei suoi jeans,
mentre tutti gli altri attorno parlavano senza minimamente
accorgersene, e visualizzò sullo schermo il messaggio.
Domani
aspetto te e tua figlia al parco, alle cinque. Metti il tuo orgoglio
da parte.
Christian.
Si
irrigidì talmente tanto che Tom, affianco a lei, dovette percepirlo,
poiché voltò il viso nella sua direzione, con sguardo
interrogativo.
«
Hey, che c'è? »
sussurrò in modo tale che gli altri non lo sentissero.
Monique,
senza dire una parola, gli passò il cellulare, permettendogli di
leggere una semplice frase che l'aveva ulteriormente turbata.
Un
lieve sospiro fu tutto ciò che udì dal chitarrista.
|
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Capitolo 21 *** Twenty-One. ***
21
Twenty-One.
Ciao,
Tom, mi chiamo Jacqueline e sono americana. Non hai mai fatto caso a
me, ma io ti ho visto tante di quelle volte, che ormai ho perso il
conto. Non riesco ad addormentarmi la sera, senza che il tuo pensiero
faccia capolino nella mia mente. Più passa il tempo e più sento il
bisogno di conoscerti. Qui sotto ti lascio il mio numero di telefono
ed il mio indirizzo, sperando che tu possa farti sentire e
conoscermi. Un bacio, J.
Sbatté
le palpebre più e più volte.
Era
lei la cretina che non riusciva a comprendere l'utilità di quella
lettera o era effettivamente così? Non che questa l'avesse sconvolta
più delle precedenti, ma spesso si domandava cosa passasse per la
testa delle ragazze, nel momento in cui la penna veniva afferrata
dalle loro dita. Sul serio era convinta che il chitarrista, il quale
non conosceva nemmeno la sua faccia, l'avrebbe chiamata?
«
Signore, aiuta queste poverine, ti prego. » mormorò Monique,
seriamente preoccupata per la loro sanità mentale.
«
Sono i miei occhi che fanno cilecca o stai sul serio parlando con
Dio? »
Non
appena sollevò lo sguardo, notò proprio il diretto interessato
della lettera sulla soglia della porta dell'ufficio di Monique.
Quest'ultima sventolò la lettera, facendogli segno di avvicinarsi.
Tom ubbidì ed afferrò il figlio di carta, leggendone poi il
contenuto.
«
Mmm, interessante. » commentò sarcastico, una volta che ebbe
finito.
«
Tom. » borbottò la mora.
«
Stavi pregando perché io non mi segnassi il numero? » domandò il
ragazzo, malizioso, mentre si avvicinava a lei, dopo aver posato
nuovamente la lettera sul tavolo.
«
No, pregavo perché questa povera ragazza non passi le sue giornate
ad attenderti alla porta di casa, speranzosa, fino a star male. »
rispose Monique, mentre il chitarrista la stringeva da dietro, fino a
darle un bacio sulla testa. Quest'ultimo ridacchiò appena.
«
E sei io decidessi di far diventare il suo sogno realtà? » Monique
si voltò verso di lui, con espressione indagatrice. « Scherzavo. »
aggiunse Tom, così che Monique si voltasse nuovamente verso il
tavolo, sempre stretta dalle sue braccia.
«
Potrei essere gelosa. »
«
Potresti? »
«
Potrei. »
«
Anch'io potrei essere geloso del fatto che oggi ti vedi con
Christian. »
Monique
si voltò nuovamente verso di lui, mentre lui si staccava da lei per
fare il giro del tavolo e tornarle di fronte.
«
Mi vedo con Christian? Gli faccio conoscere la bambina, non mi
vedo con Christian. » precisò, un po' risentita di
quell'affermazione.
«
Beh, passerete una giornata al parco, insieme. » continuò il
chitarrista, senza guardarla negli occhi, con apparente calma.
«
Questo perché non voglio lasciare Eveline da sola con lui. Almeno
non la prima volta. » Tom si limitò ad annuire, continuando a non
guardarla. Forse, se l'avesse guardata, le avrebbe spiattellato in
faccia tutta la verità. Le avrebbe detto che era geloso marcio; le
avrebbe detto che non voleva assolutamente che si incontrasse con
Christian e che Eveline lo conoscesse. Ma doveva essere comprensivo.
D'altronde era stato proprio lui ad incoraggiarla, poiché gli
sembrava la cosa più giusta da fare, ma ora si stava pentendo
spudoratamente di tutto ciò. « Vieni con me. » propose
all'improvviso Monique. Tom sollevò lo sguardo corrucciato su di
lei.
«
Cosa? » domandò, credendo di non aver capito bene.
«
Vieni con me. Stai al parco con noi. Tanto il servizio fotografico è
alle due, no? L'appuntamento è alle cinque. D'altronde, sei il mio
ragazzo, non vedo perché non dovresti esserci. »
«
Non riuscirei a sostenere di nuovo la sua presenza, lo prenderei a
pugni. »
«
Ci sarò io ad evitare che questo accada. Te lo leggo negli occhi che
vuoi venire a marcare il tuo territorio. »
Tom
la guardò ridacchiare e riuscì ad ammorbidire i muscoli,
lasciandosi andare in un lieve sorriso.
«
Posso stuzzicarlo? » chiese, eccitato al solo pensiero.
«
Dipende in che modo. »
«
Potresti strusciarti addosso a me per tutto il tempo? Godrei come un
cane nel vedere la sua faccia. Anzi, facciamo direttamente l'amore su
una panchina, davanti a lui? »
Monique
scoppiò a ridere, decisamente colpita dalla fantasia del
chitarrista.
«
Ti devo ricordare che ci sarà anche Eveline? » domandò divertita.
«
Ah, giusto. » la sua euforia si spense all'improvviso. « Beh, vorrà
dire che gli daremo fastidio in altri modi. » concluse, per poi
incamminarsi verso la porta dell'ufficio, per uscire. Proprio qualche
secondo prima però si fermò e si voltò nella direzione della mora,
con un sorriso furbo in volto. « Avresti fatto sul serio l'amore con
me sulla panchina, se non ci fosse stata Eveline? » le domandò
interessato.
La
mora sollevò lo sguardo sul suo e sorrise maliziosa.
«
Può darsi. » rispose. Il chitarrista sollevò le sopracciglia
compiaciuto.
«
Bene, la prossima volta, so dove portarti. »
«
Sicura che sia una buona idea far venire anche Tom con te? » domandò
Jessica, piuttosto preoccupata.
Monique
sospirò appena. Sapeva di aver azzardato e non poco con quella
proposta al chitarrista, ma gli era venuta talmente spontanea, che
non era riuscita a controllarsi.
«
Sto cercando di auto convincermi di aver fatto la cosa giusta. Per
favore, non farmi venire ancora più dubbi di quelli che già ho. »
mormorò la mora, decisamente poco incoraggiata da quella domanda.
«
Sai com'è fatto Tom e sai anche com'è fatto Christian. Pensi che
riuscirebbero a passare un pomeriggio assieme senza mettersi le mani
addosso? »
«
Confido nel buon senso di Tom. »
«
Allora siamo rovinati. »
«
Jess! »
«
Scusami ma, sinceramente, riesci ad accostare la parola “buon
senso” al nome “Tom”? Ti prego, sii oggettiva. »
«
Okay, sposta un po' la testa a sinistra. Così, perfetto. »
Gustav
Shäfer odiava terribilmente posare per un servizio fotografico. Più
il tempo passava, più si domandava cosa ciò potesse c'entrare con
il reale lavoro che aveva scelto di fare: il musicista. Che bisogno
c'era di farsi scattare tutte quelle foto?
Nel
frattempo, dall'altra parte della stanza, Tom Kaulitz fremeva
dall'agitazione per tutto un altro motivo.
«
Bill, non sono sicuro di riuscire a trattenermi. Oggi, quello, lo
stendo. » borbottò, continuando ad osservare le mosse del
batterista, a qualche metro da lui.
«
Tomi, non fare cazzate. » ribatté tranquillamente il vocalist,
senza nemmeno guardarlo negli occhi.
«
Certo, è facile, per te, dirlo. »
«
Beh, allora, sappi che se esce un solo giornale con le foto di te e
Christian che vi prendete a botte, non ti lascerò nemmeno il tempo
di guardarle e darti del coglione da solo. »
«
Sai, non è con le minacce che mi aiuti. »
«
Oh, ma io non ti ucciderò se anche tu terrai le tue manine a posto.
»
Il
chitarrista scoccò una veloce occhiata in direzione del moro e poi
tornò a concentrarsi su Gustav. Prevedeva una giornata decisamente
lunga e faticosa.
Non
appena il campanello trillò, Monique si precipitò alla porta, ad
aprire. Il chitarrista comparve da dietro essa e le sorrise
amorevolmente, prima di schioccarle un bacio sulle labbra.
«
Pronta? » le domandò, dopo aver richiuso la porta.
«
Sì. Aspetta, che mi metto la giacca. Tu intanto prendi Eveline. »
Tom
obbedì e si avvicinò al divano, dove sedeva la bambina, intenta a
giocare con il proprio pupazzo.
«
Hey, piccina. » le sorrise, chinandosi appena, per guardarla negli
occhi. Eveline sorrise contenta.
«
Tao. » rispose.
«
Vieni in braccio a Tom, così andiamo al parco? » le domandò con
dolcezza. La morettina annuì entusiasta ed allungò le braccia verso
di lui, il quale la prese da sotto le ascelle e se la poggiò su un
fianco. Sorrise non appena la bambina gli circondò il collo,
stringendosi a lui.
Il
suo cuore sembrava impazzito. Era sempre un'emozione unica vedere
come Eveline si era affezionata a lui.
«
Andiamo? » fece Monique, per poi uscire di casa sorridente, assieme
alla sua... Famiglia.
Tom
guidava con apparente tranquillità. Affianco a lui, Monique
osservava distrattamente il paesaggio che sfrecciava veloce accanto a
lei, mentre Eveline, sul seggiolino dei sedili posteriori, faceva uno
dei suoi soliti discorsi senza senso, ma divertenti.
«
Mi sento un padre che porta la sua famiglia al parco. » disse
all'improvviso Tom in un lieve sussurro, così che lo sentisse solo
Monique, mentre un sereno sorriso era dipinto sulle sue labbra. « E
ti dirò di più: mi piace. » ridacchiò successivamente, smuovendo
anche la mora.
«
Anche a me piace. » mormorò lei, per poi sentire la propria mano
venire racchiusa nella stretta dolce e protettiva di quella di Tom.
«
Arrivati. » annunciò all'improvviso lui, accostando e spegnendo poi
il motore. « Forza e coraggio. » aggiunse prima di infilarsi gli
occhiali da sole, il cappellino di lana e la sciarpa, per evitare che
qualche fan impazzita o paparazzi vari lo riconoscessero. Fece il
giro dell'auto per prendere in braccio Eveline e poi, assieme a
Monique, si incamminò all'interno di quell'enorme ed affollato
parco.
Bambini
di ogni età correvano da una parte all'altra, sperimentando tutti i
tipi di giochi che trovavano a disposizione, mentre i genitori
sedevano alle panchine, intenti a chiacchierare e fare conoscenza.
«
Dovrebbe essere qui, da qualche parte. » borbottò Monique,
guardandosi attorno.
«
Beh, noi intanto rilassiamoci e godiamoci questa giornata. Quando
arriva, arriva. »
«
Chi alliva? Tia Gege? » domandò all'improvviso la bambina, con le
braccia strette al collo di Tom.
«
No, tesoro, Jessica ha da fare. » rispose la madre.
«
Arriva un... Vecchio amico della mamma. » intervenne Tom. Come scusa
sembrò bastare, perché la piccola non disse altro. Semplicemente
tornò ad osservare il parco in silenzio. « Vuoi camminare un po'? »
le chiese all'improvviso il ragazzo.
«
Tì. » rispose la morettina, prima di essere posata gentilmente a
terra. Tom le prese la piccola manina e tornò a camminare con lei al
seguito, mentre Monique sorrideva intenerita.
«
Sei tremendamente bello e dolce da vedere. » mormorò rossa in viso.
Tom si voltò verso di lei e le sorrise teneramente; allungò un
braccio e le circondò le spalle, avvicinandola a sé. Le schioccò
un bacio sulla tempia e continuò a camminare senza lasciarla andare.
«
Io sono sempre bello e dolce da vedere. » le sussurrò all'orecchio,
causando una leggera risata nella mora.
«
Ma che allegra famigliola. »
A
quell'affermazione, entrambi si voltarono, come scottati. A Tom venne
spontaneo riprendere in braccio Eveline, la quale si strinse a lui
più forte del solito.
Christian
sostava di fronte a loro, con le mani in tasca ed uno strano ghigno
sulle labbra.
«
Ciao. » cercò di risultare civile Monique.
«
Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui. » commentò
sprezzante il biondo.
«
Sai, è il mio ragazzo e può venire ovunque egli voglia. » ribatté
Monique, senza apparentemente scomporsi.
«
Oh, certo, certo. Il tuo nuovo ragazzo. »
«
Beh, se hai finito, ti faccio conoscere mia figlia. »
Christian non rispose, quindi Monique afferrò Eveline dalle braccia
di Tom. « Amore, lui è il mio amico di cui ti parlavamo prima.
Christian. »
Tom
sentì una tremenda fitta di gelosia, solamente nell'istante in cui
quelle due paia di occhi blu, identici entrarono in contatto. Ci fu
un attimo di silenzio, da parte di tutti, in cui si poteva udire
solamente lo schiamazzare degli altri bambini, attorno a loro.
«
Ciao. » salutò il ragazzo in direzione della piccola. Non un
sorriso, non un sguardo affettuoso. Semplicemente freddezza, come
stesse parlando con una sua coetanea che non aveva niente a che fare
con lui.
L'espressione
di Eveline immediatamente mutò e si strinse maggiormente alla mamma,
nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Per
forza, pensò Tom, una freddezza del genere può solo
spaventarli, i bambini.
«
Su, Eve, saluta. » la incoraggiò Monique.
«
Sa parlare questa bambina? » chiese scocciato il ragazzo.
«
Non ti permettere. » intervenne Tom.
«
Nessuno ti ha interpellato. »
«
Ci calmiamo, per favore? La bambina è già agitata. » disse
Monique, mentre carezzava la schiena della piccola, la quale si
stringeva a lei sempre più forte. « Dai, Eve, tranquilla, non ti
mangia mica. » cercò poi di calmarla.
La
morettina, con sguardo quasi spaventato, si voltò verso Christian.
Sembrava stesse per piangere.
«
Tao. » sussurrò, impercettibilmente.
«
Posso metterti giù? » le domandò quindi Monique, con dolcezza.
Eveline non disse nulla, perciò la mora la poggiò piano a terra.
«
Quanti anni hai? » le domandò privo di interesse Christian,
nonostante lo sapesse perfettamente. Eveline sollevò due dita. «
Hai già due anni e non parli? »
Eveline
aggrottò le sopracciglia e si strinse alla gamba di Monique.
«
Ma lo fai apposta a farla sentire a disagio? » gli domandò la mora,
decisamente scocciata.
«
Cosa le avrò mai detto? » ribatté Christian.
La
giornata andò avanti allo stesso modo e sembrava la situazione
volesse addirittura peggiorare ogni secondo di più. Monique vedeva
perfettamente quanto Christian non piacesse a sua figlia e un po' la
cosa, egoisticamente parlando, la risollevava. Era tremendamente
gelosa di un loro possibile rapporto e sapeva che anche a Tom dava
fastidio l'idea.
Aveva
persino provato a lasciare Eveline un po' da sola con il padre,
ovviamente a pochi metri di distanza, ma subito la piccola l'aveva di
nuovo cercata.
Intanto
non era passato attimo in cui il chitarrista non avesse provato
soddisfazione nell'infastidire Christian, schioccando qualche bacio a
Monique, tenendola per mano o abbracciandola di tanto in tanto.
Voleva ad ogni costo farlo sentire inappropriato. Voleva ribadire in
ogni maniera che loro due, anzi tre, avevano già trovato un proprio
equilibrio, che stavano bene così e che non c'era assolutamente
bisogno che lui arrivasse a guastare quella quiete.
Apparentemente
stava funzionando perché il ragazzo era sempre più scocciato della
presenza di Eveline e soprattutto di quella di Tom. Si vedeva
benissimo che moriva dalla voglia di scollarsi di dosso la bambina,
nonostante fosse proprio quest'ultima a sentirne particolarmente il
bisogno, e di prendere il chitarrista a botte, o semplicemente
andarsene.
Non
appena il sole calò e giunse l'ora di cena, finalmente Christian
ritenne opportuno finire lì quella messa in scena.
«
Io me ne vado. » esortò all'improvviso, tanto che Monique e Tom si
scrutarono allibiti. « Direi che ho perso fin troppo tempo. »
«
Sei stato tu a darmi appuntamento qui. » precisò Monique, piuttosto
scocciata.
«
Sì e preferirei non averlo fatto. »
«
Se non ti piacciono i bambini, avresti dovuto metterlo in conto,
prima di venire a fare casino a casa mia. »
«
Pensavo fosse meno pesante il lavoro di genitore. »
«
Meno pesante? Ma in che razza di mondo vivi? »
«
In uno in cui i bambini non esistono e si sta a meraviglia. Avrei
fatto meglio a non tornare. Avevo fatto bene ad andarmene, due anni
fa. »
«
Benissimo, allora vedi di non farti mai più rivedere! »
«
Non sarà un problema. »
Detto
questo, le diede le spalle e se ne andò. Monique strinse i pugni e
cercò di reprimere il pericoloso istinto omicida che ormai aveva
preso piede nel suo corpo.
«
Ma tu guarda che razza di... Animale. Ha anche provato a dare
la colpa a me. Come se avessi voluto io fargli conoscere
Eveline. » mormorò la mora, mentre Eveline si era ormai
addormentata in braccio a Tom, il quale le si avvicinò appena.
«
Hey, non ci pensare. L'importante è che ce lo siamo tolti di mezzo.
» la incoraggiò con voce calda e dolce, per poi darle un tenero
bacio sulla tempia. « Hai visto che il mio piano ha funzionato? »
si vantò poi fiero, facendo scoppiare a ridere finalmente Monique.
Quando
entrarono allo studio di registrazione, poiché David aveva pregato
Monique di fermarsi con Eveline, visto che non vedeva la bambina da
un bel po' di giorni, sentirono un tonfo improvviso, un rumore di
vetri in frantumi e dei passi affrettati. Fecero appena in tempo a
notare una Jessica mezza nuda affrettarsi a chiudersi in bagno,
proprio dopo essere uscita dalla stanza di Bill. Monique e Tom si
scambiarono un'occhiata perplessa e poi il ragazzo le fece segno di
aspettare, mentre lui raggiungeva la camera di suo fratello.
«
Bill? » domandò una volta affacciatosi all'interno, dove notò il
vocalist tirarsi velocemente su i pantaloni. « Che diamine stai
facendo? » chiese di nuovo, questa volta con un sorrisetto malizioso
sul volto.
«
Ehm, io – vedi, io... » balbettò il ragazzo ma, prima che potesse
completare la frase, Tom scoppiò a ridere e si fiondò su di lui per
abbracciarlo e saltellare.
«
Finalmente l'abbiamo fatto uscire dalla tana, fratellino! Gli abbiamo
fatto prendere un po' d'aria! » esclamò, decisamente divertito.
Bill, invece, era sempre più imbarazzato e combatteva con tutte le
sue forze per farsi lasciare.
«
Smettila! Ti sentono, cretino! »
Dopo
aver poggiato Eveline ancora dormiente sul divano, Monique corse in
bagno, dove si era chiusa precedentemente la rossa. Entrò in fretta
e furia, senza bussare, per poi richiudersi la porta alle spalle ed
osservare la sua amica con espressione maliziosa e curiosa al
contempo.
«
Voglio tutti i particolari più sconci che tu possa trovare! »
A
tavola, Jessica e Bill erano seduti uno accanto all'altra ma muti
come due tombe. Completamente imbarazzati, non si decidevano a
sollevare lo sguardo dal proprio piatto o semplicemente intrattenersi
in una conversazione con gli altri componenti della tavolata.
La
felicità di Monique non era quantificabile; il suo sorriso partiva
da un orecchio e le arrivava all'altro, ripensando al racconto della
rossa, di qualche istanti prima.
Bill
e Jessica avevano finalmente trovato l'occasione di dichiararsi l'un
l'altra e, presi da una violenta scarica di eccitazione, si erano
gettati fra le coperte, pronti a cominciare una lunga e passionale
danza carnale.
Monique
era semplicemente sorpresa dalla velocità con la quale si erano
messi insieme quei due, se paragonata alla lentezza madornale che
invece avevano impiegato lei e Tom, solo per capire di piacersi.
«
Allora, Eve, ti sei divertita oggi al parco con mamma e Tom? »
domandò all'improvviso David, mentre si portava alla bocca un po' di
pasta.
«
Clitan cattivo. » borbottò la piccola, gonfiando le guanciotte.
«
Clitan? » domandò David corrugando la fronte, mentre si voltava a
guardare Monique e Tom, come alla ricerca di una spiegazione.
«
Christian. » gli venne in contro Monique. « Non le ha fatto un buon
effetto. Ancora una volta si è rivelato per quello che è. »
«
Beh, meglio così, no? Meno problemi. » ridacchiò Georg.
«
Quello sicuro. » intervenne Tom, piuttosto convinto, mentre Monique
gli posava una mano sulla sua.
«
Amore. » sorrise teneramente.
«
Quindi, stavolta, se n'è andato definitivamente? » si informò
Gustav.
«
Così sembrerebbe. » rispose la mora, tornando poi a mangiare.
«
Tom e Bill tono flatelli, mami? » domandò all'improvviso la
morettina, tirando appena la maglia della madre. Monique si voltò
verso di lei e sorrise.
«
Sì, tesoro, perché? »
«
Io ho flatelli? »
Monique
si scambiò una veloce occhiata con Tom, il quale aveva
un'espressione perplessa in volto, e poi tornò a concentrarsi sulla
bambina.
«
Ehm, no... » rispose, non ben sicura di ciò che avrebbe potuto
dirle.
«
Allola lo voio acchìo. » concluse decisa la piccola, prima di
spalancare nuovamente la bocca, in attesa di un nuovo boccone che
Monique le avrebbe dato. Quest'ultima restò qualche istante con la
forchetta a mezz'aria e gli occhi semi-sgranati, mentre le guance
avevano preso ad imporporarsi violentemente.
«
Hai capito, Tom? Mettiti al lavoro. » disse Georg con malizia,
ricevendo in cambio un potente calcio allo stinco, che lo fece
letteralmente piegare su se stesso, reprimendo una bestemmia.
«
Pecché Tom? » domandò ingenuamente la bambina, dopo aver ingoiato.
«
Perché dipende solo da lui l'arrivo del tuo fratellino. » sorrise
amabilmente il bassista, beccandosi un ulteriore calcio, che lo fece
piegare una seconda volta, con le lacrime agli occhi. Eveline,
completamente ignara della lieve tensione che si era venuta a creare
attorno, si voltò alla sua destra, buttando lo sguardo oltre la sua
mamma, per arrivare a Tom.
«
Tom, mi dai un flatellino? » domandò, con sguardo languido. Tom fu
semplicemente ipnotizzato da quegli occhioni blu, così teneri, così
pieni di speranza che lo scrutavano interamente. Si ritrovò a
balbettare, non sapendo cosa rispondere, così si affrettò a
venirgli in contro David.
«
Beh, in attesa del fratello, magari Bill e Jessica ti fanno un amico.
»
Questa
volta la pedata partì da Bill e l'obiettivo, finalmente, non fu
Georg.
Tom
osservava Monique fare avanti e indietro per la stanza, intenta a
prepararsi per infilarsi nel letto assieme a lui e dormire
serenamente. La osservava rapito, mentre si spalmava la crema in
faccia, mentre tornava in bagno per lavarsi i denti, mentre si
spogliava per rimanere in intimo. Amava ogni cosa di lei, anche la
più piccola. Era lentamente diventata come una droga, non avrebbe
più potuto farne a meno.
«
Ti amo. » soffiò timidamente. Ancora non si era abituato a
pronunciare quelle due paroline così semplici all'apparenza, ma così
difficili se pesate. Monique si voltò verso di lui sorpresa,
trovandolo già sotto le coperte con la testa poggiata alla mano,
intento ad osservarla con un tenero sorriso sul volto.
«
Anch'io, amore. » rispose, rossa in viso. Nemmeno lei si era ancora
abituata a quel particolare scambio di affetto.
«
Vieni qui. » le disse poi lui, battendo appena una mano sul
materasso, proprio accanto a sé. Monique, intenerita, sorrise e si
avvicinò, fino a salire sul letto, nascondersi sotto le coperte e
stringendosi poi al corpo piacevolmente caldo del chitarrista, il
quale la avvolse con le proprie braccia, avvicinandosela il più
possibile, mentre le baciava la fronte più volte, delicatamente e
lentamente. « Pensavo... »
«
Ahia. »
«
Cosa? »
«
Quando pensi, sei pericoloso. » Tom, senza dirle niente, con un
tenero sorriso, le morse appena una spalla nuda, facendola sobbalzare
fra le sue braccia. « Ecco, appunto. » ridacchiò la ragazza, dopo
un gemito contrariato. « A che pensavi? » si informò quindi,
incuriosita.
«
Alla richiesta di Eveline. » ammise Tom. Monique corrugò la fronte
e voltò il viso verso di lui, senza staccarsi dalla sua presa.
«
L'ho detto io che pensare ti fa male. » commentò la mora, tornando
a rilassarsi con la testa sul cuscino, mentre il chitarrista
continuava a stringerla da dietro.
«
Guarda che sono serio. » borbottò lui. « Amore, hai visto con che
occhi me l'ha chiesto? »
«
Sì ed erano gli stessi che usa quando siamo in un negozio e vuole
che le compro qualcosa. »
«
Ma un bambino è diverso. »
«
Ed è proprio per questo che non ci devi pensare. È troppo piccola
per capire quanto serio possa essere decidere di far nascere un altro
essere umano. È ovvio che per lei è semplice; lei pensa sia come,
appunto, un pupazzo: arriva appena lo vuole, ma non è così. » Si
prese qualche momento di pausa, per poi voltarsi completamente verso
di lui. « Tom, stai pensando ad un figlio? » domandò sconcertata.
«
No. Cioè... Non lo so. » mormorò imbarazzato.
«
Oh mio Dio. »
«
In tutta onestà... Non mi darebbe fastidio. »
Monique
lo osservò con occhi sgranati per qualche istante.
«
Tom, il fatto non è non darebbe fastidio, è ricominciare
da capo con pannolini ed una nuova vita da crescere, assieme ad
un'altra bambina piccola. E poi, tu hai il tuo lavoro, te lo devo
ricordare? »
«
Che c'entra ora il mio lavoro? Come riesco a stare dietro ad Eveline,
riuscirei a stare dietro ad un altro bambino. »
Monique
sospirò e si alzò appena, per scrutarlo bene in faccia.
«
Tom, tu mi stai seriamente dicendo che vorresti un bambino? » gli
domandò, decisamente incredula, ma con la giusta serietà. Voleva
capire alla perfezione cosa stesse passando per la testa del moro.
«
Beh, mi piacerebbe averne uno nostro. Che assomigli a me e a
te. » rispose, carezzandole appena la pancia.
«
Ma c'è già Eve. »
«
E le voglio un gran bene, ma non è nostra. È tua e di
Christian; io sto solo facendo quello che dovrebbe fare lui, ma non
mi chiamerà mai papà, capisci? »
«
Ma lei è affezionata come se lo fossi. »
«
Ed io sono felicissimo per questo, credimi, ma... Perché non averne
anche uno nostro? Non ti piacerebbe? »
Monique
si prese ancora qualche attimo, per poi sospirare e rimettersi giù,
stringendosi nuovamente a lui, mentre le loro gambe si intrecciavano
sotto alle lenzuola.
«
Ma certo, certo che mi piacerebbe, Tom. Però, voglio dire, è una
cosa seria. Ne sei davvero sicuro? Riusciresti a stare dietro a due
bambini, con il tuo lavoro? » mormorò contro la pelle nuda del suo
petto.
«
Vi porterei ovunque, sempre con me. E comunque non è una cosa che
dobbiamo decidere ora. Non ho detto che voglio questo bambino domani,
anche perché sarebbe tecnicamente impossibile. » riuscì a far
ridacchiare la mora. « Però, insomma, se devo guardarci insieme, un
domani, ci vedo con Eveline ed un bimbo o una bimba nostri. Insomma,
mi piacerebbe. »
Monique
era semplicemente spiazzata da quel discorso. Non si sarebbe mai
aspettata di sentire il suo ragazzo fare discorsi del genere. Non
poteva credere che un tipo come Tom potesse già pensare ad un
bambino tutto loro, ma non poteva nascondere che la cosa la riempiva
di gioia, perché era l'ennesima conferma di quanto tenesse a lei.
«
D'accordo, Tom. Avremo anche un bambino tutto nostro. » sussurrò
serenamente, prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi fra le sue
braccia.
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Capitolo 22 *** Epilogue. ***
epilogo
Epilogue.
Un
altro anno era passato così in fretta che persino lei faticava a
credere con quanta facilità lei e Tom stavano portando avanti il
loro rapporto, senza mai cedere, senza mai farsi prendere dallo
sconforto. Nient'altro aveva intaccato la loro quiete, il loro
equilibrio, il loro amore. Avevano vissuto quei mesi, prendendosi
insieme cura di Eveline come una vera famiglia, finalmente degna di
quel nome. Avevano vissuto con il sorriso ad illuminare i rispettivi
volti, a dispetto di chiunque volesse loro del male.
Tom
si era ormai stabilito a casa della mora definitivamente; non aveva
senso per entrambi fare avanti e indietro fra casa e studio di
registrazione per dormire assieme. Avevano intenzione di passare
insieme ogni singolo attimo della loro vita, ogni singolo istante
della loro felicità e della loro intimità.
Bill
e Jessica, proprio come loro, sembravano ubriachi d'amore. Non vi era
secondo che non si scambiassero un dolce e casto bacio, magari
incontrandosi lungo il corridoio, per poi sparire uno in bagno e
l'altra in cucina. Erano tremendamente dolci e Monique poteva
condividere la stessa identica gioia della sua migliore amica, nel
vederla finalmente serena, assieme a qualcuno che le voleva veramente
bene. Anche il vocalist si era sistemato quasi definitamente a casa
della rossa: era solo questione di poco tempo, Tom e Monique lo
ripetevano in continuazione.
Georg
era fidanzato da circa tre mesi con una bellissima ragazza di origine
dominicana. Nulla di particolarmente serio; si vedevano
saltuariamente e lontano dallo studio di registrazione. Non volevano
ancora rendere le cose troppo ufficiali e a Georg stava bene così.
Gustav?
Beh, Gustav si era innamorato perdutamente di una commessa che aveva
incontrato da qualche settimana in un supermercato. Chiunque si era
accorto che da giorni, nello studio di registrazione, la spesa non
mancava, anzi, non vi era più spazio in cucina per contenerla.
Gustav era fatto così. Accecato dall'amore non guardava in faccia a
nessuno; agiva d'impulso. E forse fu proprio questo che gli spezzò
maggiormente il cuore: quella famosa Lily, della quale parlava in
continuazione, era già fidanzata e, ovviamente, non ricambiava i
suoi sentimenti. Quando il batterista lo venne a sapere, fu un duro
colpo per lui, ma riuscì a riprendersi a tempo record, grazie al suo
nuovo amore: una giovane cocorita, regalatagli da Georg, per pura
disperazione. Per lo meno, passava il suo tempo a darle da mangiare,
a farle qualche coccola e parlarvi come fosse una persona. Qualunque
soluzione avrebbero gradito tutti, purché dimenticasse Lily.
Eveline
ormai aveva tre anni e Monique, a malincuore ma sotto incoraggiamento
di Tom, l'aveva iscritta in un asilo, poco distante da casa, dove
sembrava la piccola si trovasse bene e avesse stretto amicizia con
tanti bambini dolcissimi, esattamente come lei. Quella parte della
sua vita aveva segnato per Monique come un salto importante: per la
prima volta si separava da sua figlia, anche se per poche ore, e la
cosa i primi tempi l'aveva resa tremendamente triste, benché con il
passare dei mesi si fosse resa conto che Eveline stava piano piano
crescendo e sarebbe arrivato il momento, più in là, di separarsi da
lei, magari con la maggiore età.
Tom
non era mai venuto meno ai suoi doveri, alle sue promesse, ed era
riuscito a bilanciare lavoro e famiglia, senza combinare danni, come
suo solito. Le volte in cui aveva dovuto tenere dei concerti assieme
alla band, si era portato dietro anche Monique (anche se per forza di
cose, visto che lavorava ancora come interprete) ed Eveline, poiché
ormai non riusciva a stare lontano da quella bambina.
Ormai
tutto il mondo conosceva la sua situazione sentimentale, ma mai aveva
permesso ai media di scavare a fondo, fino ad arrivare ad Eveline.
Quella bambina sarebbe stata intoccabile e non sarebbe mai stata
turbata da quel mondo, di cui lui faceva parte e che non sempre gli
andava a genio. Monique gliene era stata semplicemente grata.
Christian
era sparito dalla circolazione. C'era chi mormorava fosse su un'isola
a prendersi il sole con qualche ballerina mulatta, ma erano solo
voci. E inoltre a Monique e Tom questo non interessava.
I
genitori di Monique e quelli di Tom si erano conosciuti ed avevano
instaurato un profondo legame, tanto che Monique si era ritrovata a
lamentarsi con Ester, per il fatto che non riuscisse mai a trovarla,
quando le telefonava, poiché passava le ore a chiacchierare con
Simone, scambiandosi ricette per la cucina e segreti per un pulizia
impeccabile della casa. E la bolletta telefonica aumentava a
dismisura, anche se non sembrava turbare più di tanto sua madre.
Ovviamente Monique era semplicemente contenta di quel rapporto che si
era venuto a creare fra loro, nonostante la lontananza. Persino suo
padre Alfred si era sciolto di più, da quando aveva conosciuto
Gordon e spesso partivano insieme per piccole gite in montagna, a
parlare di donne, figli e passioni.
Simone
trattava Monique come una vera figlia e, ogni volta che andava a
trovare i gemelli, portava un regalo a lei e ad Eveline, la quale
aveva preso l'abitudine di chiamarla “Nonna Simo”.
Ma
la vera novità sostava nel ventre di Monique. Sesto mese di
gravidanza. La sua pancia aveva preso a gonfiarsi lentamente,
facendola tornare con i ricordi agli anni passati, quelli in cui Tom
apparentemente la detestava, ma si prendeva cura di lei e della sua
gravidanza. Inutile dire quanto il ragazzo fosse premuroso, ora.
Dopo
la conversazione di un anno prima, tenuta nel letto del chitarrista,
riguardo un figlio tutto loro, non ne avevano tenute altre. Eppure
Monique si accorgeva delle piccole “sviste”, come le chiamava il
chitarrista, mentre facevano l'amore. Sapeva che il ragazzo stava
provando in tutti i modi a concepire un bambino e che quelle non
erano decisamente sviste, ma fatti programmati e studiati a tavolino,
e la cosa l'aveva intenerita parecchio, anche se aveva sempre fatto
finta di non accorgersi di nulla. Poi venne il giorno in cui scoprì
di essere nuovamente incinta – ebbene sì, Tom ci era finalmente
riuscito! - e poteva ricordare alla perfezione le lacrime di gioia
che per la prima volta avevano ricoperto il volto del chitarrista.
«
Se è maschio, Brian! Se è femmina, Ingie! » aveva immediatamente
deciso Tom, soffocato ancora dai singhiozzi, facendo scoppiare a
ridere Monique, ancora stretta fra le sue braccia.
E
così ora era di nuovo incinta, con la differenza che quella
gravidanza le stava dando meno problemi di quella precedente, forse
perché questa volta non era più una ragazzina immatura che
ripudiava i bambini. Questa volta voleva anche lei un figlio da Tom.
«
Dunque, se esce fuori Brian, potrò insegnargli un sacco di
trucchetti per far cascare ai suoi piedi metà popolazione femminile;
poi se sarà bello come il suo papà, non sarà un problema. » aveva
parlato una sera a tavola il ragazzo, troppo impegnato con i suoi
discorsi per accorgersi che la pasta si era ormai raffreddata nel suo
piatto. Monique, seduta di fronte a lui, sorrideva spensierata. Era
adorabile e mai avrebbe creduto di vederlo così entusiasta, all'idea
di diventare padre. « Se esce fuori Ingie e sarà bella come te,
invece, sarà un problema, perché gli avvoltoi saranno sempre in
agguato ed io dovrò girare con la mazza da baseball. A proposito, me
ne devo procurare una. » continuava a confabulare più con se stesso
che con Monique, la quale era sempre più divertita dalla situazione.
« Ah, per la cronaca, sia Ingie che Eveline non devono sapere cosa
sia il sesso fino ai vent'anni. » aggiunse risoluto. A quel punto,
aveva sollevato le sopracciglia, decisamente compiaciuta.
«
Fammi capire bene, Brian diventerà un porno star all'età di dodici
anni, come il suo papà, e Ingie ed Eve caste ed illibate fino al
matrimonio? Che discorso maschilista. »
«
Semplicemente perché so cosa passa per la testa a noi ragazzi quando
vediamo passare una bella donzella sotto le nostre grinfie. »
Monique
aveva sorriso e si era alzata dalla sedia, facendo il giro del tavolo
per avvicinarsi seducente al ragazzo.
«
E cosa passa per la testa a voi maschietti, sentiamo? » aveva
sussurrato sensualmente, sedendosi poi sulle sue gambe, mentre con le
braccia gli avvolgeva il collo, avvicinandolo pericolosamente a sé.
Tom aveva deglutito pesantemente.
«
Meglio se non te lo dico. Se vuoi, te lo dimostro con la pratica. »
aveva poi sorriso sghembo.
Tutto
ciò era accaduto il primo mese di gravidanza e Monique era sempre
più divertita dalla situazione.
Ma
ora?
Ora
erano stravaccati tutti insieme su quel divano, intenti a guardare la
televisione. Monique accoccolata fra le braccia di Tom, il quale di
tanto in tanto le carezzava il ventre gonfio e le schioccava qualche
bacio sulle labbra, ed Eveline dormiente con la testa poggiata sulle
gambe del chitarrista, che le faceva deliziosi grattini dietro la
testa, conciliandole il sonno.
Ed
infine, una piccola creatura che lentamente andava a formarsi nel
corpo della ragazza che amava. Una piccola creatura testimone di
quella serenità e frutto del loro amore. Una piccola creatura che,
assieme ad Eveline, avrebbe rafforzato ancora di più il loro
rapporto, sancendo finalmente la nascita di una vera famiglia.
Un
piccola creatura... Di nome Ingie.
The
end.
Ed eccoci arrivati
alla fine anche di questa storia. Inutile dire quanto io l'abbia
presa a cuore e quanto impegno io vi abbia messo per portarla avanti.
Non è stato facile scriverla, lo devo ammettere, ma spero di essere
riuscita nell'intento. Lo devo comunque a voi, che mi avete
sostenuto, che mi avete riempito di gioia con le vostre parole, che
avete avuto, diciamo così, fiducia in me.
Vi dico che
avrebbe dovuto avere un altro tipo di finale, molto più drammatico,
ve lo posso assicurare, ma alla fine non ce l'ho fatta, per il
semplice motivo che penso che Tom e Monique (ormai ne parlo come
fossero persone reali) ne abbiano già passate troppe; li ho fatti
sudare abbastanza prima di farli mettere assieme e far trovare loro
un po' di pace. Non mi è sembrato giusto porli davanti ad
un'ulteriore tragedia: beh, ve lo dico, Monique sarebbe dovuta morire
per un tumore ed Eveline crescere assieme a Tom; così era deciso sin
dall'inizio di questa storia. Ma non me la sono proprio sentita.
Quindi ho preferito diminuire i capitoli ma dare un finale più
felice. Mi è già capitato altre volte di cambiare finali all'ultimo
momento per una sorta di... Animo buono? Debole? Mah, non saprei come
definirlo, ma comunque, questo è quanto.
Vi ringrazio dal
più profondo del cuore, penso che senza di voi non andrei avanti in
quello che faccio. Certo, scrivere è la mia passione e non potrei
stare senza perché è anche una sorta di sfogo, ma vedere il vostro
riscontro è davvero soddisfacente e non c'è cosa più bella. In
particolare, grazie a tutte le splendide persone che hanno recensito
fino ad ora, grazie alle 42 che hanno inserito la storia fra i
preferiti, alle 5 nelle ricordate, alle 50
nelle seguite e alle 57 che hanno inserito me negli
autori preferiti. Davvero, non sapete quanto mi rendiate
felice. Spero mi lasciate ulteriori commenti, magari dettagliati, per
questo epilogo, per le vostre impressioni sulla storia in generale.
Mi aiuta a capire cosa faccio giusto e cosa sbagliato.
Al momento ho
bisogno di prendermi una piccola pausa, prima di pubblicare altre
storie. Quando arrivo alla fine di una Fanfiction è come volessi
tirare un momento un sospiro di sollievo, come dopo una maratona; ho
bisogno di riprendermi un attimo, sembrerà assurdo ma è così. Vi
dico solo che sto lavorando su altre storie, in particolare su una,
della quale ho già delineato tutta la trama, compreso il suo sequel,
anche se penso che prima di pubblicare un'altra serie, pubblicherò
una semplice Long, senza sequel, né niente... Magari anche meno
impegnativa, un po' più leggera, ecco. Vedrò come mi andrà di
fare.
Ricordatevi
comunque di me!
Vi rendete conto
che sto continuando a scrivere come non volessi staccarmi da questa
storia? Vi rendete conto di quanto sto messa male?
La verità è che
mi dispiacerà non sentirvi per un po'.
Vabbè, ora
evaporo sul serio, prima che mi vengano lanciati addosso pomodori. Vi
aspetto nelle mie prossime creazioni che, vi assicuro, non
mancheranno =)
Un bacio a tutte,
dalla prima all'ultima!
Kyra.
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