Relapse

di _KyRa_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One. ***
Capitolo 2: *** Two. ***
Capitolo 3: *** Three. ***
Capitolo 4: *** Four. ***
Capitolo 5: *** Five. ***
Capitolo 6: *** Six. ***
Capitolo 7: *** Seven. ***
Capitolo 8: *** Eight. ***
Capitolo 9: *** Nine. ***
Capitolo 10: *** Ten. ***
Capitolo 11: *** Eleven. ***
Capitolo 12: *** Twelve. ***
Capitolo 13: *** Thirteen. ***
Capitolo 14: *** Fourteen. ***
Capitolo 15: *** Fifteen. ***
Capitolo 16: *** Sixteen. ***
Capitolo 17: *** Seventeen. ***
Capitolo 18: *** Eighteen. ***
Capitolo 19: *** Nineteen. ***
Capitolo 20: *** Twenty. ***
Capitolo 21: *** Twenty-One. ***
Capitolo 22: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** One. ***


1

One.



Il sudore stanziava copioso sulla sua pelle. I muscoli si contraevano ritmicamente e le labbra rilasciavano pesanti ed affaticati ansimi. Le mani grandi e venose stringevano spasmodicamente il lenzuolo ormai sciupato da quella presa violenta. Attorno, oscurità e silenzio permeavano le pareti di quella stanza, divenuta quasi soffocante, così come i suoi pensieri.
Il corpo gracile che gli sottostava era decisamente troppo inesperto ed il suo odore raggiungeva bruscamente le sue narici... Quell'odore che non era il suo; quell'odore troppo diverso da quello di cui era abituato bearsi e quindi poco gradevole, nonostante altri ragazzi l'avrebbero forse gradito. I gemiti di quella sconosciuta perforavano le sue orecchie con insistenza, rendendo il tutto ancora più fastidioso e sbagliato.
Sentiva di agire d'impulso, secondo i suoi istinti per troppo tempo repressi per colpa sua. Si era precluso per dei mesi interminabili i divertimenti ed i piaceri che era solito inseguire prima che arrivasse lei a sconvolgere la sua vita. Tutto era perfetto, tutto era come lui apparentemente desiderava e non avrebbe mai chiesto altro. Poi quella ragazza aveva deciso di stravolgere la sua esistenza, portandolo a cercare altro che non fosse solo il sesso. L'aveva preso e strappato dalle sue abitudini, senza nemmeno rendersene conto, che aveva sempre altamente apprezzato.
E ce l'aveva con lei per questo, ce l'aveva da morire.
Con un ultimo, netto movimento del bacino, mandò in estasi quel corpo femminile, privo di nome e peculiarità, crollandovi successivamente sopra, per riprendere fiato. Ancora una volta, la Pace dei Sensi era arrivata senza importanza, senza che questa lasciasse finalmente il marchio in lui, come in passato accadeva. No... Ormai non sentiva più nulla, da quando si era accorto che ciò di cui aveva bisogno non era lì con lui.
Un misero discorso ed una risposta non data, o comunque lasciata in sospeso, in un grigio aeroporto. Più i giorni scorrevano lenti e sinuosi, più si sentiva insoddisfatto e stupido. Un “mi mancherai” soffiato e sofferto che l'aveva lasciato con un doloroso crampo allo stomaco, per tutto quel tempo, senza mai abbandonarlo; se nella sua vita aveva sempre creduto di essere abbastanza maturo in tutto ciò che faceva, tutte le sue certezze ora stavano vacillando, fino a svanire una ad una, con tremenda lentezza.
Si sollevò stancamente dalla sconosciuta, la quale prese a scrutarlo con perplessità, chiedendosi forse per quale assurdo motivo si fosse allontanato da lei così in fretta e con così tanta freddezza.
« Che succede? » domandò con voce incerta, mentre il ragazzo si accendeva la sigaretta, seduto sul letto e dandole le spalle nude.
« Succede che te ne devi andare. Con te ho finito. » tagliò corto il moro, dopo aver inspirato un po' di rigenerante nicotina, senza preoccuparsi di aver usato un tono poco gentile. I secondi di silenzio che susseguirono furono piuttosto urtanti per lui. Non aveva assolutamente voglia di dover elencare gli infiniti motivi per cui non poteva restare qualche attimo in più con quella ragazza che nemmeno conosceva.
« Ma pensavo... »
« Pensavi male. » la interruppe il chitarrista, alzandosi dal materasso, incurante di essere ancora completamente nudo, e si avvicinò alla finestra, continuando a darle la schiena con indifferenza. « Cos'è... Credevi che con te la cosa sarebbe stata diversa? Non andare a pensare a queste stronzate. Io sono Tom Kaulitz, ricordi? Sono stronzo, sono senza cuore. Tom Kaulitz non si innamora quindi mettiti l'anima in pace. Ed ora, se non ti dispiace, vado a farmi una doccia. Quando torno desidererei trovare la stanza vuota, non mi piace ripetermi. »
Stronzaggine... Pura e spudorata stronzaggine. Quando voleva, riusciva ad enfatizzare tutto quanto, fino a colpire dolorosamente ed irrimediabilmente nel cuore gli animi più deboli ed indifesi. Solamente attaccando sarebbe riuscito a difendersi.
Ignorò il lieve dispiacere che prese ad inondargli il corpo, non appena udì la ragazza tirare su con il naso, e – prima che potesse essere troppo tardi – si rifugiò in bagno, proprio come le aveva detto. Non voleva perdere tempo a consolarla. Per allontanare le persone non poteva usare dolcezza. Occorrevano semplicemente insensibilità, spietatezza e concisione. Solo così sarebbero riuscite a dimenticarlo per ciò che appariva: un semplice bastardo.
Poggiò le mani sul lavello di fronte a sé e sollevò gli occhi spenti sullo specchio rettangolare. Ormai non vedeva altro che espressioni tristi e vuote sul suo volto. La sua vita non lo soddisfaceva più. Forse perchè sapeva di aver lasciato troppe cose in sospeso. Aveva lasciato qualcosa, o meglio qualcuno di troppo importante per lui, a Berlino, un anno e mezzo prima. Ancora non sapeva come ciò fosse potuto accadere, visti e considerati i precedenti che vi erano stati, ma era solamente consapevole del fatto che quella dannata Monique gli aveva letteralmente mandato in tilt il cervello.


*


Il mal di schiena la stava semplicemente uccidendo. Aveva dedicato l'intero pomeriggio alle pulizie di casa, il che voleva dire scovare ogni singolo millimetro quadrato devastato dalla più piccola briciola di polvere e disinfettarlo.
Da quando nella sua vita aveva preso posto un nuovo componente, era diventata ancora più pignola di quanto già non fosse qualche tempo prima.
Due occhietti celesti la scrutavano con attenzione in ogni minimo movimento, palesemente incuriositi. Tanti perchè, tante curiosità, tante parole blaterate da una vocetta delicata. Eveline sedeva sul divano, a gambe incrociate, ad osservare la sua mamma con ammirazione.
Più passava il tempo e più Monique non riusciva a capacitarsi di quanto infinito amore le donasse quella bambina di appena un anno e mezzo, che a malapena parlava e vagava per casa ancora non del tutto stabile.
Il suo perenne odio verso i bambini era lentamente sfumato nel tempo. A dire il vero era già scomparso quel meraviglioso giorno in cui, stremata e sudata, aveva accolto fra le sue braccia quel fagottino sporco e minuscolo, intento a piangere e strillare. Ricordava, ironicamente, che il primo pensiero che le aveva invaso la mente nel vederla era stato “Questa bambina avrà due polmoni grossi quanto due cocomeri”. Nonostante però il suo timpano si fosse già dichiarato fuori uso, ricordava l'ilare sorriso che era andato a dipingersi sul suo volto nell'osservare sua figlia.
Quella piccolissima bambina, fatta di carne, ossa e sangue... Il suo sangue. Al solo pensiero percepiva un brivido scorrerle lungo tutto il corpo. Essere madre l'aveva resa inspiegabilmente felice. Lei... Lei che aveva sempre odiato i bambini; lei che non voleva saperne di mettere su famiglia; lei che aveva avuto paura, sino all'ultimo momento, di non essere all'altezza di tutto ciò. Madre.
I primi tempi, doveva ammetterlo, era stato piuttosto difficile prendersi cura della piccola, poiché si svegliava costantemente durante la notte, alla solita ora, annunciando il tutto con un urlo improvviso e stordente. Per tanti mesi aveva conosciuto occhiaie violacee e piuttosto marcate, sotto i suoi occhi, sonnolenza persino durante il giorno e stress nettamente amplificato. Nonostante tutto, la fortuna le aveva regalato una splendida amica, per lei come una sorella, pronta in ogni singolo istante della giornata o addirittura della notte ad intervenire repentinamente, casomai ce ne fosse stato il bisogno. Monique ringraziava giorno e notte chiunque le avesse fatto trovare Jessica in quell'enorme città tedesca, come un'ancora di salvezza. La rossa le era stata vicino, oltre che nei mesi di gravidanza, anche e soprattutto al momento del parto.
Ricordava quel giorno come fosse accaduto qualche ora prima...


L'aereo bianco era ormai sparito nell'infinità bluastra del cielo ma le lacrime continuavano a scorrere lungo le sue gote, trasmettendole tanto dolore e necessità di riavvolgere immediatamente il tempo, per stringere forte a sé il chitarrista e non lasciarlo più andare.
Jessica era scesa dalla macchina già da qualche minuto per poterla accogliere nel suo abbraccio caldo e protettivo, unica cosa di cui forse aveva bisogno in quel momento. Nascondendo il viso nell'incavo del collo della sua migliore amica, la mora si lasciò andare in un pianto intriso di tanto dolore e tanta disperazione.
Tutti gli avvenimenti di quei mesi parevano effimeri. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse appena successo e di ciò che il chitarrista le aveva timidamente ma sinceramente confessato. E lei non gli aveva dato una risposta chiara, sebbene una risposta non era ciò che lui effettivamente voleva. Quello che il ragazzo desiderava era, glielo aveva detto, poter tornare a Berlino – una volta terminato il tour – e guardarla senza timore negli occhi, con un sorriso spontaneo disegnato sul suo viso, e magari poter tornare ad intrattenere quel rapporto che aveva caratterizzato la loro strana unione, qualche tempo prima che Monique capisse che ciò che provava per Tom era decisamente amore e non semplice affetto.
Un improvviso mal di stomaco aveva deciso di renderle quella situazione ancora più estenuante da sostenere. Continuava a darsi della stupida mentalmente per come stava reagendo: aveva preso una decisione – dimenticarlo – e glielo aveva riferito con estranea forza; eppure ora era ingiustificabilmente crollata, contro il suo volere. D'altronde era fatta di anima e sentimenti; non era un pezzo di marmo, immune da ogni male e freddo come il ghiaccio.
Il mal di stomaco stava, attimo dopo attimo, trasformandosi in una fitta acuta, netta e anche piuttosto duratura, tanto da farla contorcere sul posto con un urlo addolorato.
« Che succede? » le chiese allarmata Jessica, mentre cercava di sostenerla con le braccia. Tutto ciò che Monique fece, nei secondi successivi, fu sgranare gli occhi e trattenere il fiato, alla vista del liquido amniotico che scorreva copiosamente lungo le sue gambe.


Era coricata su quel letto di ospedale da infinite ore e sapeva solamente che la stanchezza, il dolore e la paura erano decisamente troppo estenuanti per lei e non vedeva l'ora che tutta quella lentissima agonia terminasse al più presto. Il sudore le imperlava la fronte, così come ogni millimetro del suo corpo fremente. Urlava regolarmente, sollevata solamente dalle poche pause che quel male le concedeva di tanto in tanto. Aveva sentito la voce indistinta dei dottori che avevano forse blaterato qualcosa a riguardo di “doglie”, che l'aveva ulteriormente innervosita, portandola a chiedersi il motivo per cui continuassero a parlare tranquillamente, davanti a lei, senza agire concretamente. Ricordava che le era stato domandato se necessitasse di un'epidurale, ma la risposta che era riuscita a dare era stata un semplice e volgare “Andate a cagare voi e l'epidurale!”. Non riusciva a controllarsi; il dolore la stava facendo andare fuori di testa e non si curava più di trattenersi o comportarsi educatamente con chiunque la circondasse. A dire il vero, nemmeno le importava, dato che le sue preoccupazioni, in quel momento, erano altre.
Quella tortura si era protratta per tante, troppe ore, quella notte, fino a che, con un urlo nettamente superiore a quelli precedenti, annunciò l'imminente voglia del piccolo di farsi vedere dal resto del mondo. L'ostetrica si era precipitata ai piedi del suo letto e Jessica, vestita completamente di verde, l'aveva affiancata per stringerle una mano ed incoraggiarla in ogni minimo movimento o sforzo facesse.
Sentiva le continue esclamazioni della donna – fastidiosamente appostata in mezzo alle sue gambe – ordinarle di spingere.
Sgranava e stringeva a scatti gli occhi. Non aveva mai provato una sensazione tanto sgradevole e mentalmente pregava perchè non durasse ancora a lungo. Sentiva come se la stessero squarciando a metà, senza ritegno, e salate lacrime si andarono a mischiare con il sudore sul suo viso. Gli ultimi minuti furono i più orrendi, i più insopportabili e strazianti, fino a che non udì un potente pianto liberarsi in quella sala popolata di dottori in camice verde.
Il suo cuore prese a battere all'impazzata, impossibile da fermare, ed un'improvvisa voglia di conoscere la creatura che stava dando sfoggio della propria considerevole voce la tormentò fino a che non vide quel piccolo esserino sporco di sangue in braccio all'ostetrica. Quest'ultima le si avvicinò sorridente, per poi poggiarglielo sul petto, con estrema delicatezza.
« E' una femmina. » le aveva annunciato con dolcezza, per poi allontanarsi ed osservarla da lontano, serena.
Monique pareva incredula, incapace di intendere e volere o semplicemente di parlare e muoversi. Tenere fra le braccia quella bambina era stata un'azione spontanea, del momento, mentre Jessica si era abbassata con il viso accanto al suo, per osservarla commossa.
« E' una cosa incredibile... E' troppo bella. » balbettò, asciugandosi una lacrima con un delicato sorriso.
Monique continuava a scrutare sua figlia quasi con timore, ma con altrettanta felicità, commozione e orgoglio. Era opera sua; d'accordo, sua e di un bastardo, ma era stata lei a darle la vita e la gioia che le riempiva il cuore non era quantificabile.
« Ciao, Eveline... » aveva semplicemente sussurrato, con un dito catturato dalla delicata e quasi impercettibile stretta della mano della neonata, prima che l'ostetrica la riprendesse e lei crollasse in un sonno profondo, stremata.


Era stato tutto dannatamente perfetto, ancora prima che stremante. Ora si sentiva quasi del tutto completa, nonostante nella sua vita mancasse ancora quell'unica figura maschile che aveva tanto desiderato accanto a lei, ma che purtroppo non c'era.
Dimenticare Tom, nel corso del tempo, si era rivelato alquanto arduo; tuttavia poteva ritenersi parzialmente soddisfatta, poiché da qualche tempo non aveva più disturbato i suoi pensieri con la semplice comparsa del suo viso. Un anno e mezzo non aveva cancellato completamente quel sentimento, ma poteva dire di averlo per lo meno ammortizzato. Se precedentemente tutto ciò che riusciva a fare al suo ricordo era piangere, ora lo ricordava con lieve malinconia, ma poi stringeva i denti e andava avanti; continuava a vivere per lei e per la sua Eveline, la quale – se l'era promesso – avrebbe dovuto crescere in mezzo a tanta serenità e pace.
I suoi genitori, non appena l'avevano vista, se n'erano innamorati: d'altronde era impossibile non innamorarsene. Era una bimba diligente, tranquilla e piena di dolcezza da regalare a chiunque. Un po' timida con gli sconosciuti, diveniva meravigliosamente espansiva con chi già conosceva, come ad esempio Jessica, che ormai reputava come una zia acquisita.
« Mamy? »
La delicatezza di quella giovane voce era disarmante. Monique sentiva un brivido ogni qual volta la chiamava a quella maniera e non poteva fare a meno di sorridere.
« Dimmi. » rispose, voltandosi nella sua direzione.
« Tia Gege? »
Il nome “Jessica” era per Eveline ancora troppo complicato da pronunciare; per questo motivo aveva optato per un soprannome alla sua portata, che la diretta interessata adorava.
« La zia Gege arriva tra poco. » la annunciò, suscitando così in lei contentezza. « Sei contenta di vederla perchè sai che ti fa fare sempre tutto quello che vuoi, eh? » ridacchiò qualche attimo, tornando poi ad occuparsi dei mobili.
Il pulire e il mettere in ordine la casa era anche un passatempo, per lei. Con la nascita di Eveline aveva occupato il suo tempo soprattutto per lei e, le doleva ammetterlo, le avevano sempre dato un aiuto i suoi genitori, pur contro il suo volere. Ora però aveva solamente voglia di rimettersi in pista, di ricominciare a lavorare e non avrebbe atteso un granché dato che i Tokio Hotel non sarebbero tornati a Berlino troppo in là. Aveva promesso a David che avrebbe ricominciato a lavorare per loro e, ovviamente, non avrebbe saputo trovare di meglio. Quella per lei era stata un'occasione più unica che rara; le dava riscontri positivi anche e soprattutto economicamente e non avrebbe dovuto buttarla all'aria per avvenimenti precedenti.
Improvvisamente il suono del campanello annunciò l'arrivo di Jessica.
« Gege! » esclamò eccitata Eveline, buttandosi a peso morto sul pavimento e spiccando successivamente una pericolosa corsa, non del tutto stabile, verso la porta di casa.
« Eve, piano, che ti spiattelli sul parquet! » la ammonì Monique, correndole dietro, pronta ad afferrarla al primo barcollo. Giunta di fronte alla porta, con Eveline ancora intera e soprattutto in piedi, poté aprirla per accogliere Jessica con un enorme sorriso stampato sul volto.
« Tia! » Eveline stese le braccia gracili verso la rossa che la prese in braccio per poi stamparle un bacio sulla tempia.
« Ciao, piccolina! » la salutò calorosamente, mentre entrava in casa. Monique richiuse la porta, sorridente, e seguì poi le “sue donne” in salotto, per sedersi sul divano. Eveline, come sempre, trovò posto sulle gambe di Jessica e prese successivamente a giocherellare con i suoi capelli rossi. « Ma che bello questo vestitino, chi te l'ha regalato? » esclamò furbescamente la ragazza, sapendo alla perfezione che gliel'aveva regalato proprio lei per il suo primo compleanno. Monique scosse appena la testa. « Hai sentito David? » chiese poi Jessica alla mora.
« Sì, tra non molti giorni dovrebbero tornare a Berlino, così posso riprendere a lavorare. » rispose Monique, osservando distrattamente sua figlia.
« E tu come ti senti all'idea? » continuò la rossa. Monique, a quel punto, si voltò nella sua direzione, incontrando il suo sguardo.
« Bene, ricominciare a lavorare mi serviva. » le pareva piuttosto ovvio.
« Sai benissimo che non mi riferivo al lavoro. »
Sospirare fu ciò che di più spontaneo venne da fare alla mora. Se lei cercava di non pensare al chitarrista, ecco che Jessica si impegnava per mandare a monte ogni suo piano.
« Jess, sono tranquilla... Davvero. Te l'ho detto, a Tom non penso più come prima; me la sono fatta passare un po'. » spiegò sulla difensiva.
« Sì, ma io ti conosco, Monique... Non sei un tipo che si dimentica facilmente di un ragazzo, di cui oltretutto si è innamorata. »
« Per lo meno ci ho provato e ci sto provando! Sono ancora parecchio sensibile su questo discorso, è vero, ma non penso di essere ancora innamorata di lui. »
« Beh, lo scoprirai quando lo rivedrai. »
Monique stette in silenzio a riflettere. Era la verità; solamente rivedendolo avrebbe scoperto come il suo cuore avrebbe reagito. Eppure, perchè al solo pensiero, lo sentiva già battere furiosamente nel petto?


*


Bill, da qualche tempo, non viveva bene. Non riusciva a farlo, nel vedere suo fratello piuttosto affranto. Quest'ultimo, certamente, non aveva passato ogni singolo giorno chiuso in se stesso o in una stanza, in uno stato semi-comatoso; per arrivare a fare ciò avrebbe dovuto essere addirittura innamorato, ma puntare all'impossibile ancora non gli conveniva. Eppure, nonostante tutto, lo vedeva pensieroso... Più spesso del solito. Sapeva che era dovuto soprattutto all'idea di rivedere Monique, con la quale non era riuscito ad ottenere un chiarimento soddisfacente, e che probabilmente non le era del tutto indifferente dal punto di vista sentimentale. Lo conosceva da ancora prima di nascere e poteva leggerlo nella mente e nel cuore, capendo molte più cose che il chitarrista stesso potesse capire. Non era innamorato e questo lo poteva confermare con certezza, ma il suo pensiero, spesso, era rivolto a lei. Perchè fosse ancora preso o semplicemente triste per come si erano concluse le cose, però non sapeva dirlo.
Anche lui, d'altra parte, pensava spesso a Monique. Si sentivano regolarmente al telefono e la voce della piccola che udiva presa dai propri discorsi che solamente una bambina della sua età poteva capire, lo faceva sorridere. Ricordava ancora la propria reazione il giorno in cui venne a sapere che si trattava di una femminuccia...


« Oddio, hai partorito?! » esclamò il vocalist, entusiasta, con il cellulare all'orecchio, mentre il resto della band – assieme a David – lo circondava, attento. Riuscì a scorgere l'espressione di Tom: un misto fra la sorpresa, l'ansia, la tristezza e l'eccitazione. « Ed è un maschio o una femmina? Dimmi che è un maschio, così porterà il mio nome! » aveva pregato successivamente con una lieve cantilena nel tono di voce.


La risposta di Monique “Mi spiace deluderti, ma è una femminuccia” gli aveva fatto per un attimo cadere la mandibola al pavimento, ma si era subito ripreso, manifestando comunque contentezza ed impazienza di vederla. Tom gli aveva successivamente chiesto con lo sguardo cosa si fossero detti e, non appena gli ebbe riferito che si trattava di una femmina, il chitarrista ammorbidì lentamente il suo volto in un sorriso sincero ed intenerito.
« Ragazzi, domani avete l'ultima intervista. » parlò improvvisamente David, mentre dava un'occhiata alla sua agenda.
« Oh, sia ringraziato il cielo. » sospirò Georg, stravaccato sul divanetto del tour bus, affianco a Tom che guardava distrattamente la televisione.
« Quindi torneremo a Berlino, se tutto va bene, fra un paio di giorni. » continuò il manager, chiudendo l'agenda e riponendola in tasca.
« Finalmente. Dopo un anno e mezzo... Casa. Abbiamo finito il tour da non so quanto tempo e siamo ancora qui, in giro per il mondo, per stupide interviste che non fanno altro che contenere le solite domande che ci fanno da quando eravamo ancora dei marmocchi. » borbottò Gustav, rannicchiandosi meglio accanto a Bill.
« Abbiate pazienza, ragazzi... Io vado a chiamare Monique, così glielo riferisco. » si congedò infine l'uomo, lasciandoli nuovamente soli nella stanzetta lounge.
Bill si voltò in modo automatico verso il fratello e notò che non stava più osservando la televisione, bensì il vuoto.


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Capitolo 2
*** Two. ***


2

Two.



Correva in mezzo a quella pista aerea senza una meta. Respirava con atroce affanno, tanto che fu costretta a fermarsi. Si guardò attorno con preoccupazione ed ansia: una decina di aerei era appostata proprio di fronte a lei, pronta a partire; ma qualcosa non andava. Corrugò la fronte, nel momento in cui scorse tutti i grigi velivoli prendere a muoversi lentamente, nella sua direzione, nello stesso istante. Con il cuore scalpitante ed una nuova paura ad invaderle il corpo, si voltò repentinamente nella direzione opposta, ricominciando poi a correre. Scappava senza guardarsi alle spalle, senza preoccuparsi di controllare se quegli aerei erano ancora in moto e la stavano inseguendo; scappava e basta, consapevole solamente del fatto che aveva disperatamente voglia di uscire da quella maledetta pista.
Sgranò gli occhi, nell'esatto istante in cui percepì qualcosa, o meglio qualcuno, strattonarle malamente un braccio. La luce mattutina era a dir poco accecante ed una sgradevole sensazione di freddo e bagnato la prese alla sprovvista. Si portò una mano alla fronte e constatò che era completamente sudata. Il suo cuore batteva ancora all'impazzata ed una strana sensazione di tremore alle gambe si impossessò velocemente di lei. Stava sognando?
« Mamy! Mamy! » la delicata voce di Eveline le giunse subito alle orecchie, portandola a voltare lo sguardo verso di lei. I suoi occhietti celesti – acquisiti da Christian – la scrutavano intrisi di preoccupazione.
« Eve, tesoro, che c'è? » domandò Monique, il più dolcemente possibile, cercando così di non intimorire la bambina.
« Ti agitavi. » mormorò la piccola, attorcigliando il pigiamino tra le mani e mordicchiandolo poi da un lembo, con fare agitato. Un'infinita tenerezza invase l'animo di Monique, la quale – con un dolce sorriso – la accolse fra le sue braccia, per infonderle quel poco di sicurezza che aveva momentaneamente perso. « Tei sudata. » storse il nasino la piccola, abbandonandosi comunque contro il corpo della madre, che prese a ridacchiare.
« Stavo solo facendo un brutto sogno, non ti preoccupare. » le sorrise successivamente, per poi liberarla dalla sua presa e permetterle di scendere dal letto disfatto.
Dormire insieme era diventata una piacevole abitudine. Sin da quando era piccola, aveva abituato Eveline a riposare nella propria culla, ma con il passare del tempo la bambina aveva cominciato a fare simili richieste, le quali avvenivano solo qualche volta, ma che Monique accettava sempre di buon grado. Farsi il solletico e ridere con gusto era solamente una semplice conseguenza dei loro risvegli mattutini.
La mora doveva ammetterlo: quella piccola creatura le aveva cambiato la vita e, in un certo senso, gliel'aveva resa più serena e movimentata.
Stese le braccia sopra la propria testa, stiracchiando i muscoli intorpiditi, e si rilassò per poi scendere dal letto e seguire sua figlia in cucina.
Si sentiva ancora scossa per quello strano sogno. Immaginava che fosse avvenuto a causa della telefonata ricevuta due giorni prima, da parte di David, per riferirle che assieme ai Tokio Hotel sarebbe tornato allo studio di registrazione proprio quel pomeriggio. Si erano accordati sull'orario di incontro, nella sua vecchia postazione di lavoro, per discutere sugli orari e su ogni dettaglio. Le era stato proposto persino di portare Eveline con sé ma, come primo ritrovo, avrebbe preferito non farlo: avrebbe lasciato sua figlia in compagnia di Jessica.
« Tesoro, oggi pomeriggio, hai voglia di stare un po' con zia Jessica? La mamma deve andare a tenere un colloquio di lavoro. » chiese alla piccola, dopo averla aiutata a sedersi sulla sedia.
« Ti! Con Tia Gege! » esclamò entusiasta Eveline, battendo ripetutamente le manine. « Ma poi tu tonni? » domandò successivamente, con occhi languidi, mentre la ragazza le preparava una pappina di latte e biscotti.
« Ma certo che torno, non ci metterò tanto. » le sorrise Monique, donandole una leggera carezza sui capelli mori.


« Tom, smettila di agitarti. »
La voce di suo fratello l'aveva colto alla sprovvista, risvegliandolo dai suoi più intimi pensieri, che forse nemmeno aveva presente. Scostò lo sguardo dall'oblò e si voltò alla sua sinistra, verso suo fratello, il quale lo osservava con la fronte corrugata.
« Cosa? » domandò il chitarrista, quasi stralunato.
« Continui a muovere la gamba, mi fai tremare il sedile e io non riesco a dormire. » spiegò il vocalist. Tom sollevò un sopracciglio: conosceva l'eccessiva vena polemica di suo fratello, ma ciò che gli aveva appena detto era a dir poco futile.
« Tu riusciresti a dormire anche con un trapano pneumatico accostato all'orecchio. » borbottò il chitarrista, tornando ad osservare le nuvole sotto di sé.
Aveva abbandonato la paura di volare da un bel po' di tempo, anche se quel lieve senso di vertigine gli attanagliava sempre e comunque lo stomaco, rendendolo piuttosto vulnerabile. Aveva comunque imparato ad accantonare l'ansia di una possibile caduta o esplosione intorno alle quali la sua mente vorticava; era stato costretto, dopotutto, a causa di tutti i viaggi che doveva affrontare.
« Cosa ti rende così nervoso, Tom? E non dirmi che è il volo perchè non ci credo. »
Quella domanda l'aveva preso in contro piede. Non si era decisamente programmato una risposta plausibile da gettare, senza riflettervi, a suo fratello. Il suo cuore conosceva il motivo; la sua mente lo ignorava. Ammetterlo sarebbe stato troppo arduo per lui.
« Non sono nervoso, Bill. Lo sai che ho questo vizio da quando sono piccolo. » rispose il ragazzo, cercando di apparire abbastanza convinto di ciò che aveva appena detto.
« Sì. E so anche che lo fai, appunto, quando sei nervoso. » ripetè con un sorriso furbo in volto e le sopracciglia sollevate, in un'espressione intrisa di sarcasmo ed ironia. Tom lo fulminò con lo sguardo, mostrando una smorfia contrariata, e successivamente sbuffò, segno che si era arreso a quegli ammiccamenti da parte del suo gemello.
« D'accordo, sono un po' agitato. Giuro, solo un pochino. » ammise Tom, più per convincere se stesso che Bill, il quale appariva decisamente poco incline a credere ad ogni sua parola. « Io e lei non ci siamo salutati in modo del tutto carino, all'aeroporto, quel giorno. » mormorò, abbassando lo sguardo sulle sue mani unite in grembo. « Io te ne avevo parlato sin dalla prima volta in cui lei aveva messo piede allo studio di registrazione che avevo capito di avere un debole per lei e che avevo paura per questo. Tra parentesi, ti ringrazio per aver mantenuto il segreto. » Bill, in risposta, sorrise appena. « Anche se adesso non sono più così preso da lei come prima, mi fa sempre uno strano effetto, anche il solo pensiero di rivederla, capisci? Forse solo per un forte senso di colpa nei suoi confronti, per paura di essere respinto, per paura di essere ignorato, odiato... Perchè comunque l'ho fatta soffrire. Io a lei piacevo; ora non so. Rimane il fatto che non so assolutamente cosa aspettarmi dall'incontro di oggi pomeriggio. » concluse il chitarrista, per poi sospirare, come magicamente alleggerito da quella piccola confessione.
Suo fratello lo osservava con tangibile comprensione sul volto. Aveva capito perfettamente cosa volesse dire con quelle affermazioni e conosceva anche il sentimento che stava provando.
« E' normale che ti senti un po' spaventato da questo ma, ormai la conosciamo: Monique è una ragazza intelligente e non mi sembra il tipo che porta rancore. Probabilmente, con il tempo – dato che è stato tanto – è passata anche a lei la cotta che aveva per te, se possiamo definirla tale. Quindi non vedo perchè dovrebbe trattarti male o non parlarti. Il passato è passato; ora è cresciuta, ha una figlia, ha cose molto più serie di cui preoccuparsi. »
Le parole di Bill erano state assorbite, dalla prima all'ultima, dal suo cervello. Non capiva come fosse possibile ma, il pensiero che Monique lo avesse dimenticato, dal punto di vista sentimentale, lo rendeva particolarmente malinconico. Non sapeva spiegarsi se fosse dovuto dalla questione del solo Ego maschile che non doveva assolutamente andare distrutto, o fosse per un motivo decisamente più specifico.
« Sì, può essere come dici tu. » concluse con una lieve alzata di spalle, poggiandosi poi contro lo schienale del suo sedile, per tornare a scrutare il cielo limpido mattutino che stanziava attorno a lui.
Semplicemente, non doveva pensarci.
Qualche secondo più tardi, percepì la mano di suo fratello posarsi sulla sua gamba per schiacciargliela verso il basso, con l'intento di fargliela tenere ferma. Sorrise impercettibilmente: era più forte di lui.


Da minuti interminabili respirava allo stesso modo di quel lontano giorno in cui aveva partorito.
Ricordava ogni singolo incoraggiamento da parte dei dottori, ogni singolo dettaglio di quella affannosa respirazione che le avevano ordinato di adottare e l'aveva rimesso in pratica in quell'istante. Non riusciva a capire – o forse non voleva – come fosse possibile un'agitazione simile. Avrebbe rivisto i suoi datori di lavoro, con i quali aveva sempre passato ogni momento delle sue giornate, eppure si sentiva non poco nervosa.
Appena entrata con la macchina nel vialetto dello studio di registrazione, il suo cuore aveva preso ad eseguire fantastiche acrobazie, nell'avvistare l'enorme Cadillac e le Audi parcheggiate proprio lì, a qualche metro. Era scesa dalla sua auto con lentezza eccessiva e si era guardata attorno come se avesse commesso un reato per il quale qualcuno l'avrebbe improvvisamente accusata.
La verità era che aveva paura che qualcuno di indesiderato sbucasse alle sue spalle, da un momento all'altro. Ciò, fortunatamente, non avvenne ed aveva così raggiunto in poco tempo lo zerbino, di fronte all'entrata. Ora era ferma lì, ad attendere una qualche chiamata divina che le infondesse il coraggio necessario per varcare quella soglia, o più semplicemente suonare quel dannato campanello, nonostante possedesse ancora le chiavi.
Sollevò una mano tremante verso il bottoncino affianco alla porta e, dopo qualche attimo di lunga esitazione, chiuse gli occhi e vi premette con un dito. Pochi secondi in cui il suo cervello le ordinò di scappare e in cui la porta si aprì, rivelando dietro essa l'esile figura di David.
« Monique! » esclamò entusiasta, accogliendola in un caloroso abbraccio che quasi le fece mancare il fiato. La ragazza non poté fare a meno di ricambiare quella stretta, rilassandosi in un sorriso sincero. Alle spalle del manager, avvistò Bill, Gustav, Georg e – con un colpo al cuore – Tom, camminare in quella direzione, piuttosto sorpresi. Il vocalist le si fiondò addosso, seguito repentinamente dal batterista, per poi schioccarle innumerevoli baci sul volto; successivamente toccò anche al bassista che l'accolse fra le sue braccia muscolose. Quando infine si voltò nella direzione di Tom, per un attimo le mancò il fiato. Il ragazzo la guardava con un'espressione intimidita ma allo stesso tempo sorridente.
Si sentiva impacciata, non sapeva che fare, così sorrise appena di rimando e sussurrò un “Ciao”, al quale il chitarrista rispose con un cenno del capo.
« Non hai portato Eve! » constatò Bill, imbronciato.
« No, l'ho lasciata a casa con Jessica. Non mi sembrava il caso di portarla ad un colloquio di lavoro. » rispose Monique, cercando di non pensare a quegli occhi nocciola che intanto la scrutavano.
« Ma tanto ormai siamo tutti in famiglia! Dobbiamo solo rivedere alcune cose, potevi tranquillamente portarla. » intervenne David. Monique sollevò le spalle e l'uomo scosse appena la testa, divertito. « La prossima volta però ce la devi far conoscere. » insistette.
« Senza dubbio. » sorrise la mora, scoccando poi un veloce sguardo al chitarrista.


Erano passate quasi due ore dal momento in cui si era seduta su quella sedia, in cucina. Attorno al tavolo sedevano anche i ragazzi, assieme al manager, intenti a discutere circa orari e simili.
Si era infine stabilito che Monique sarebbe tornata a lavorare come traduttrice o interprete simultanea – casomai avessero dovuto tenere ulteriori interviste – ma le pulizie a cui precedentemente si dedicava, al pomeriggio, assolutamente no. Ora aveva una figlia a cui badare e doveva trovare il tempo materiale per riuscire a gestire ogni singolo impegno o dovere. Al momento, il dovere di madre era quello che più le premeva e, in quanto tale, avrebbe dovuto assicurare una buona situazione – anche in termine economico – a sua figlia.
Tom, in tutto quel tempo, aveva parlato pochissimo; aveva annuito o era intervenuto di tanto in tanto, quando gli era praticamente di dovere, ma oltre a monosillabi, non aveva esposto più di tanto le sue idee. Monique continuava a torcersi le mani; non perchè si sentisse ancora attratta da lui – cosa che, dovette ammettere, era più o meno tale – ma perchè quella situazione le pesava ed allo stesso tempo non riusciva a fare finta di nulla. Nel profondo, nonostante si fosse impegnata per far sì che ciò non influenzasse negativamente il loro rapporto, si sentiva ancora arrabbiata, o meglio furente con lui. Era riuscito a rovinare tutto quanto con motivazioni a dir poco futili, nonostante lui le reputasse alquanto sostanziose.
La conversazione, a quel tavolo, aveva lentamente preso una piega del tutto diversa da quella lavorativa. Ora tutti erano curiosi di sapere qualcosa riguardo Monique e la sua situazione familiare, da quando era “entrata in scena” Eveline.
« Quindi ha i tuoi stessi capelli mori? » domandò Bill, sognante, con il viso poggiato ai palmi delle sue mani, con fare interessato. Monique annuì, sorridendo appena; aveva imparato a convivere con un nuovo sentimento, da quando era diventata madre: l'orgoglio per sua figlia.
« E gli occhi? » intervenne David.
« Quelli li ha ereditati da suo padre. » commentò la ragazza con una smorfia, al solo ricordo del suo ex fidanzato. « Sono celesti e, mi duole ammetterlo, ma su di lei sono una meraviglia. » borbottò la mora, al che i ragazzi ridacchiarono compiaciuti da quella difficile dichiarazione.
« Mi fa strano sentirti parlare in questo modo di una bambina. Se penso che fino a qualche tempo fa quasi li ripudiavi, i bimbi... » sorrise Gustav.
« Beh, diventare madre ti cambia radicalmente la vita. E poi, non so, è come un istinto naturale che ho sentito nell'esatto momento in cui mi hanno appoggiato la bimba sul petto. » la sua voce era andata a calare sempre di più, parola dopo parola, poiché un ricordo stava spintonando fra i suoi pensieri per venire fuori.


« Insomma, Tom. A me i bambini neanche piacciono. » ammise, prendendosi la testa fra le mani. Tom restò qualche attimo in silenzio, scrutandola accigliato. « Non sono in grado di crescerne uno. Probabilmente non sarei neanche affettuosa, mi farebbe schifo cambiargli il pannolino, perderei le staffe se mi svegliasse il suo pianto durante la notte, uscirei di testa. Forse non sarei nemmeno in grado di crescerlo, di dargli una buona educazione, di aiutarlo con i compiti. Tom, non sono in grado di fare la madre! » sbottò Monique.
[...]
« Sai cosa penso? Che tutte le donne abbiano, chi più chi meno, un istinto materno. Alcune ce l'hanno più marcato, altre lo nascondono persino a loro stesse. Forse semplicemente perchè non lo vogliono tirare fuori. Probabilmente perchè si sono sempre convinte, come nel tuo caso, che i bambini non faranno mai parte della loro vita. » esortò il ragazzo, lasciando Monique di stucco. Tutto si sarebbe aspettata dal chitarrista, ma non un discorso intriso di tale maturità. «Insomma, voi donne siete connaturate così... Per dare al mondo i bambini. Ce l'avete dentro. Forse tu non lo senti ancora, ma sono sicuro che non appena partorirai e ti appoggeranno quel fagottino sul petto... Ti sentirai più mamma tu di qualsiasi altra donna. »


Quelle parole, di tanto tempo prima, erano dannatamente veritiere; senza saperlo, Tom ci aveva preso, sin dall'inizio. Non poteva immaginare che, in un modo o nell'altro, avrebbe avuto ragione.
Nel momento in cui sollevò lo sguardo su di lui, notò che la stava osservando con quella stessa profondità, con quella stessa espressione, testimone di tante parole non dette ma volenterose di fuoriuscire dalle sue labbra. Probabilmente, entrambi avevano ricordato lo stesso episodio, nel medesimo istante.
Come imbarazzato, il chitarrista tornò a scrutare il tavolo, sotto di sé.
« Sei ritornata perfettamente in forma, comunque, lasciatelo dire. » constatò Bill, come suo solito attratto dall'estetica.
« Ho fatto un po' di ginnastica in casa, con Jessica che, sosteneva mi facesse da personal trainer, ma a me pareva più la copia femminile di Hitler. » spiegò Monique.
I ragazzi, assieme al manager, scoppiarono a ridere, probabilmente immaginando la scena.
« E Christian si è più fatto vedere? »
La domanda di Georg aveva trascinato all'improvviso il silenzio in quella cucina. Tom aveva di nuovo sollevato lo sguardo su Monique, attendendo evidentemente una risposta da parte sua.
« No, non si è fatto vedere e non ci deve nemmeno provare. » rispose freddamente la ragazza, al che il chitarrista si rilassò sulla sedia. Non comprendeva nemmeno lui la ragione per cui per quei secondi apparentemente interminabili avesse sperato tanto in quella risposta.
« Se sbucasse nuovamente e volesse avere un rapporto con la figlia, cosa faresti? » chiese ancora Gustav. Monique rifletté qualche attimo, prima di rispondere.
« Non è un problema che mi sono mai posta, semplicemente perchè do per scontato che non lo farà mai, dato che non glien'è mai importato nulla né di me, né della creatura che tenevo in grembo. Probabilmente reagirei di conseguenza; dovrei trovarmi nella situazione ma spero che questo non accada. »
Improvvisamente, il cellulare prese a vibrare nella tasca dei suoi jeans, interrompendo quella conversazione. Si affrettò a recuperarlo e rispose.
« Monique, hai ancora tanto? » sentì la voce di Jessica.
« Ehm, no, a dire il vero, abbiamo finito. » rispose la mora, aggrottando le sopracciglia. « Qualcosa non va? » domandò poi.
« No, non ti preoccupare. Solo che Eve mi sta chiedendo da un po' quando arrivi. »
« Tesoro... Dille che arrivo subito. »
« Ma sì, fai pure con calma. A dopo. »
Riattaccò e ripose il cellulare in tasca.
« La piccola chiama. » annunciò alla tavolata. « Sarà meglio che vada perchè, tra le chiacchiere, non mi sono accorta dell'ora. » sorrise appena, alzandosi intanto dalla sedia. Tutti quanti annuirono e si alzarono a loro volta. La accompagnarono sino alla porta, salutandola successivamente, dopo essersi ricordati a vicenda che la mattina seguente sarebbe già tornata a lavorare. « Ciao, ragazzi, a domani. » salutò la mora, uscendo poi dallo studio di registrazione.
Il cielo, sopra di lei, era già buio, reso appena più luminoso solamente grazie alle stelle che quella sera avevano deciso di ornarlo, senza alcuna nuvola a guastare quel piacevole spettacolo. Si strinse nel cappotto, diretta verso la sua macchina, quando udì una voce, alle sue spalle, fermarla.
« Monique. »
Un brivido, uno di quelli che era solita provare fino a qualche tempo prima, le attraversò la colonna vertebrale. Impuntò sui propri piedi, quasi indecisa sul da farsi ma, senza riflettervi ulteriormente, si voltò nella direzione del chitarrista. Quest'ultimo la guardava intimidito, con le mani in tasca e stretto nelle proprie spalle, ma con espressione crucciata e bisognosa di liberarsi di un peso troppo opprimente.
« Dimmi. » cercò di apparire disinvolta la mora. Tom restò qualche attimo in silenzio. A dire il vero non conosceva nemmeno lui il motivo per cui l'aveva inseguita, con l'intento di parlarle. Ma per dirle cosa?
Il chitarrista prese a strusciare una scarpa contro l'erba che gli sottostava, decisamente pentito di aver fatto ciò; ora non sapeva più come venirne fuori.
« Nulla, volevo solo... » esitò ma le parole non si liberarono nell'aria. Semplicemente si fermò, guardandola con una strana luce malinconica negli occhi. Monique aveva i pugni stretti nelle tasche del suo cappotto ma questo Tom non poteva vederlo. Voleva apparire al suo sguardo sicura di sé e per niente turbata, ma il suo impegno stava cominciando a vacillare.
« Solo? » lo incoraggiò, senza esternare quella lieve speranza che aveva preso possesso dei suoi sensi. Il suo cuore, infondo, sperava che le dicesse qualcosa che l'avrebbe fatta tornare a casa con il sorriso, anche se ciò non avrebbe cambiato la situazione. « Tom, Eve è a casa che mi sta aspettando. » provò ad incitarlo ulteriormente. Lo vide ancora più teso; forse si sentiva pressato.
« Hai ragione... Vai. » sorrise appena il ragazzo, portandosi una mano dietro alla nuca. Si sentiva eccessivamente in imbarazzo e fremeva dall'urgenza di correre nuovamente dentro lo studio e nascondersi dagli occhi della mora.
Monique ricambiò appena il sorriso ed aprì successivamente la portiera della macchina.
« Ciao, Tom. » lo salutò cordialmente, per poi salire sulla sua autovettura ed allontanarsi sempre di più da quel ragazzo così abbattuto.
Si sentiva tremendamente in colpa per averlo lasciato lì, senza nemmeno dargli il tempo necessario per esprimerle ciò che lo turbava, ma era stato più forte di lei. Nonostante una parte del suo cuore desiderasse sentirsi dire determinate cose, un'altra le rifiutava con tutte le proprie forze; forse voleva vivere nell'oscurità, nell'ignoranza... Solo così avrebbe avuto modo di non soffrire più.


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Capitolo 3
*** Three. ***


3

Three.



Bill stava perdendo la pazienza; e non solo lui. Georg e Gustav si erano premurati di trovare riparo da quei continui sospiri, da quell'eterno sbuffare, che quella mattina il chitarrista aveva deciso di esternare. Era inquieto, nervoso e, per qualche assurdo motivo, addirittura arrabbiato.
Tom, dal suo canto, sapeva perfettamente cosa lo inducesse a comportarsi a quella maniera così insopportabilmente irritante. Si sentiva un completo fallito, un stupido, un ragazzo i cui attributi erano crollati a terra prima del previsto. Dov'erano finite la sua disinvoltura, la sua sfacciataggine e la sua indifferenza, nei confronti delle ragazze? Per quale razza di motivo non era riuscito a dominare la propria insicurezza, in quell'esatto istante in cui si era trovato occhi negli occhi con Monique, la sera prima? Probabilmente non avrebbe neanche saputo rispondere alla domanda “Cosa volevi dirle?”, ma era un fatto ovvio che arrendersi così presto, solo perchè lo aveva ammonito rendendogli nota della piccola Eveline che la attendeva pazientemente a casa, era stato assai privo di spina dorsale.
« Spina dorsale degna di una platessa bollita... » borbottò, passandosi stancamente le mani sul volto.
« Ora parli anche da solo? Si può sapere che hai? » esclamò, ormai privo di pazienza, Bill – dopo aver distaccato lo sguardo dalle sue unghie perfettamente smaltate di nero.
« Che ho? La spina dorsale di una platessa bollita, ecco che cos'ho... Mi faccio schifo da solo. Probabilmente nemmeno mi si alzerebbe, guardandomi allo specchio, in questo stato. »
« Perchè... Se ti guardi allo specchio, solitamente, ti si alza? » L'espressione di Bill era nettamente indecifrabile: senso di disgusto e sorpresa enfatizzavano alquanto la sua reazione. Per tutta risposta, Tom si voltò verso di lui, scoccandogli un'occhiata truce, che probabilmente aveva messo a zittire ogni singolo pensiero perversamente malizioso stesse formulando il suo cervello. « D'accordo... Cos'è che ti sta turbando? » domandò quindi il vocalist, acquisendo di nuovo quel po' di pazienza che aveva perso.
Tom sospirò piuttosto scocciato e si sollevò velocemente dalla poltrona.
« Niente, Bill. Non c'è nulla che mi turba. » tagliò corto per poi uscire dal salotto, con l'intento di andare a sfogare il proprio nervosismo con un po' di rigenerante nicotina.


« Dove andiamo, mamy? » domandò la piccola Eveline, incuriosita, mentre Monique le allacciava, uno ad uno, i bottoni del cappottino rosa. La ragazza aveva meditato tanto, quella notte, ed alla fine aveva deciso che non avrebbe potuto non far conoscere sua figlia a David e alla band, ancora a lungo.
Quello strano senso di disagio, al pensiero del chitarrista, le stava attanagliando lo stomaco da ore. Non era sua figlia e forse proprio per questo motivo si sentiva quasi in colpa a fargliela conoscere, nonostante non vi fosse motivo. Probabilmente non era nemmeno più preso da lei ed il fatto che lei avesse una figlia da un altro ragazzo non l'avrebbe neanche infastidito. D'altronde, Eve esisteva e non avrebbe potuto essere diversamente, solo per lui.
« Andiamo a conoscere un sacco di ragazzi simpatici con cui lavoro. » le sorrise teneramente, dopo averle attorcigliato la sciarpa attorno al collo. La prese in braccio, ponendosela su di un fianco, ed uscì con lei di casa. Raggiunse la sua nuova automobile nera – generoso regalo per il suo compleanno, da parte dei suoi genitori e di Jessica – e vi fece sedere la piccola, fissandola per bene sul seggiolino. Eveline intanto dedicava la propria attenzione alla sua sciarpa, giocherellandoci distrattamente con le sue manine. Monique sorrise impercettibilmente, mentre saliva in macchina e la metteva in moto: adorava quel modo di fare di sua figlia, quella sua ingenuità, quella sua curiosità e pacatezza. Sarebbe rimasta ore ed ore ad osservare ciò a cui si dedicava, anche dalla cosa più insignificante, trovandola lo stesso piena di importanza. Semplicemente adorava osservare sua figlia vivere.
Tamburellava le dita sul volante, mentre era ferma, in una breve coda che si era venuta a creare al semaforo. Sentiva, dietro di sé, Eveline che borbottava qualche discorso confuso, privo di senso logico, ma tipico dei bambini che ancora non sono in possesso della capacità del perfetto uso della parola. La guardò attraverso lo specchietto retrovisore e la scorse parlottare, osservando il panorama al di fuori del finestrino.
Si chiese come l'avrebbero trovata David e i ragazzi. La sua buonafede la portava a pensare che probabilmente l'avrebbero adorata sin dal primo impatto. Sentiva un po' di titubanza invece al pensiero del chitarrista, ma ciò non doveva rappresentare per lei un problema.


Aprì, con qualche difficoltà, la porta dello studio di registrazione. Eveline, in braccio a lei, osservava curiosa il luogo in cui erano giunte, del tutto nuovo per lei. Giocherellava con i capelli di Monique ed i suoi occhi saettavano da un punto all'altro del corridoio, chiedendosi forse dove mai la sua mamma l'avesse portata.
« David? » chiamò la mora, spezzando quel momentaneo silenzio.
« Ma guarda chi c'è! » esclamò il manager, sbucando da un angolo ed avvicinandosi poi con un sorriso solare sul volto. « Ciao! » salutò calorosamente Eveline, carezzandole i capelli con delicatezza. La bimba strinse il collo della mora, osservando forse con timidezza l'uomo. « Che bella che sei. » le sorrise, strofinandole dolcemente un dito sulla guancia liscia e chiara. « Vieni, Monique, gli altri sono di là. » disse poi alla ragazza mentre le posava una mano sulla schiena per guidarla in salotto. Il cuore della mora scalpitò sempre più veloce, ad ogni passo ma, preso un bel respiro, entrò in quella stanza dove trovò ogni singolo componente della band stravaccato sul divano o sulla poltrona.
« Oddio, che meraviglia! » esclamò improvvisamente il vocalist – prendendo quindi in contropiede tutti gli altri ragazzi – per poi affrettarsi a raggiungere quell'esserino quasi spaventato, in braccio alla sua mamma. « Ciao, piccolina! » cinguettò Bill con espressione ridicola in volto, la quale divertì parecchio Monique e probabilmente sconcertò Eveline, ancora di più. Gustav, Georg e Tom si alzarono anch'essi dal divano e li raggiunsero.
L'entusiasmo di Bill era tangibile anche nel bassista e nel batterista; Tom invece sembrava pietrificato o semplicemente incredulo. Osservava Eveline con un lieve sorriso sul viso – forse sorpreso – ma non osava proferir parola o avvicinarsi ulteriormente.
Monique pensò che la piccola sarebbe probabilmente rimasta traumatizzata da tale incontro, viste le vocette stridule che ogni singolo ragazzo emetteva. Si trattenne dal ridere nel pensare che sembrassero donnine eccitate, alla vista di una comunissima bambina.
Ci fu un breve istante in cui gli occhi di Eveline e quelli del chitarrista entrarono in contatto. Entrambi silenziosi, entrambi rapiti dallo sguardo dell'altro, entrambi estraniati dal mondo. Ciò non passò inosservato a Monique, la quale percepì un brivido lungo la schiena. Sembrava che con quello sguardo si volessero dire tante cose, il che pareva abbastanza assurdo, soprattutto per una bambina di un anno e mezzo.
« Saluta, Eve. » la incoraggiò dolcemente, cercando di porre fine a quel momento. Per tutta risposta, la piccola voltò il viso, fino a nasconderlo fra i capelli della mora ed abbracciandola più forte. I presenti non poterono fare a meno di sorridere inteneriti da tale dimostrazione di estrema timidezza.


La sua scrivania. Era un anno e mezzo che non la toccava, che non vi svolgeva ogni suo lavoro e doveva ammettere che, pur essendo in fin dei conti un semplice pezzo di legno, le era mancata. Immergersi nuovamente in quel luogo tranquillo, arredato secondo i suoi gusti più personali, avvolto dal silenzio, era un qualcosa che riusciva a farle tornare il sorriso, nonostante questo albergasse già da tempo sul suo volto. Tornare ad occuparsi del suo lavoro, di ciò che amava, di ciò per cui aveva studiato e si era impegnata per ottenere, era più che appagante.
Eveline, seduta accanto a lei, giocava con il suo piccolo pupazzetto a forma di giraffa – aveva tanto insistito per portarlo con lei – che le era stato regalato dalla sua nonna, in una delle tante visite che andavano a farle regolarmente.
Era piuttosto silenziosa, non che ciò sconvolgesse più di tanto la realtà di tutti i giorni, ma solitamente si perdeva in discorsi incomprensibili – come quello fatto in macchina qualche attimo prima. Monique decise comunque di non spezzare quell'attimo e di non disturbarla. Probabilmente anche una bambina di un anno e mezzo era in grado di perdersi in pensieri strani, adatti alla sua età, ed il rispetto le andava comunque concesso.
Afferrò un'altra lettera, dopo aver terminato di trascrivere la traduzione della prima. Questa era, stavolta, in inglese e si accinse a leggerla e tradurla.


Ciao, Tom, sono Sharon, ricordi? Sì, quella del trattamento speciale nell'ascensore dell'albergo. Volevo solamente dirti che quel pomeriggio, seppur breve, è stato il più intenso che io abbia mai vissuto e, dato che ci sai fare, che ne dici di chiamarmi? Hai voluto il mio numero di telefono ma non ti sei mai fatto sentire. Posso anche raggiungerti dove vuoi tu, non è certo un problema. Un bacio dalla tua Tigrotta.”


Un grande ed incontenibile senso di nausea si impossessò velocemente di lei, assieme a tanti pensieri confusi che facevano a botte per prendere posto nella sua mente. Ne aveva troppi e non sapeva neanche da dove cominciare.
Qual'era la cosa che l'aveva sconcertata di più? Il “trattamento speciale” in ascensore? Il fatto che Tom avesse chiesto il numero di telefono ad una ragazza? Quell'osceno soprannome “Tigrotta”, con il quale probabilmente lui l'aveva chiamata, in un momento di intimità? Il numero sconcertante di ragazze piuttosto squallide che si divertivano ad inviare lettere del genere, in giro per il mondo? O la sgradevole sensazione di gelosia, fastidio ed istinto omicida che si era impossessato pericolosamente di lei?

Fremette qualche attimo, stringendo quel foglio fino ad accartocciarlo lentamente. Non faceva parte del suo lavoro ma... Era concesso in un inspiegabile momento di gelosia?
Strappò quel foglio in tanti piccoli pezzetti di carta che fece cadere lentamente, uno ad uno, nel cestino affianco alla sua sedia.
Perchè l'aveva fatto? Per impedire forse a Tom di ricordarla e quindi di chiamarla? Fottuta egoista. Si era ripetuta più e più volte che non vedeva più il chitarrista con quello sguardo innamorato con cui lo scrutava un anno e mezzo prima. Aveva imparato a convivere con il suo dolore, fino a cancellarlo giorno dopo giorno, anche se non completamente. Era solo un'ipocrita; un'ipocrita non convinta delle proprie scelte e delle proprie idee. O forse una semplice egoista, possessiva che voleva per sé tutti quanti, sempre e comunque.
« Mamy? » la chiamò improvvisamente Eveline, prendendola in contro piede. Monique sollevò il capo – abbandonando momentaneamente un'altra lettera spagnola che aveva velocemente recuperato per far sì che quel suo nervoso non sfociasse in un omicidio volontario – e scorse la piccola continuare a giocherellare con la giraffa, senza guardarla.
« Dimmi. » le rispose incuriosita e trattenendo il nervoso. Era strana.
« Chi ela quello co le tettine? » domandò la piccola, apparentemente indifferente. Monique sbattè qualche attimo le palpebre, non avendo compreso perfettamente il concetto.
« Con le tettine? » domandò accigliata e anche piuttosto sorpresa che sua figlia menzionasse certi termini.
« Ti! Quette! » esclamò Eveline, toccandosi ripetutamente i capelli mori. Monique si trattenne dallo scoppiare a ridere: non era propriamente ciò che aveva capito inizialmente.
« Aaah! Le treccine! » esclamò con un sorriso sincero a dipingersi sul volto. Vide la bambina annuire più volte, finalmente guardandola. Come mai quella domanda? « Si chiama Tom ed è il chitarrista del gruppo, perchè? » le spiegò con la dovuta calma e la dovuta gentilezza. D'altronde non poteva essere al corrente di tutto ciò che aveva passato con lui e, probabilmente, nemmeno era necessario che lo sapesse.
« Mi guaddava tlano. » mormorò innocentemente Eveline, tornando a maneggiare goffamente la sua giraffa. Monique strinse automaticamente i pugni sul tavolo. Non voleva che sua figlia vedesse con uno strano occhio il ragazzo. Probabilmente non era ancora in grado di stabilire ciò di cui doveva fare a meno e non, ma ormai sapeva bene che i bambini percepivano ogni cosa, pur non conoscendola di persona, e ciò la spaventava parecchio.
« No, tesoro, non ti guardava strano. Lui... E' solo un pò timido, come te. » cercò di giustificarlo in qualche modo. Eveline sembrò credervi perchè annuì e tornò a concentrarsi solo ed esclusivamente sul suo pupazzo.
Monique respirò lentamente, cercando di concentrarsi su un pensiero felice, ma questo non arrivava.
Era infastidita. Era infastidita perchè in tutto quel tempo – com'era giusto che fosse – tante ragazze avevano scaldato il letto del chitarrista; tante ragazze avevano soddisfatto i suoi bisogni e allietato le sue notti. Che cosa si aspettava? Che non avesse occhi che per lei? Che continuasse a pensare a lei o ad esserne attratto come le aveva detto quel giorno all'aeroporto, conducendo così una vita casta? Il tempo era passato e anche troppo velocemente e le cose erano radicalmente mutate. Il fatto che fosse un uomo andava ad enfatizzare il concetto, rendendolo più chiaro e logico. Aveva i suoi bisogni e non poteva di certo reprimerli per lei, sulla quale aveva posto una croce già da tempo, convinto che non avrebbero avuto futuro insieme.
Cazzo, è lecito che mi dia fastidio? Continuava a domandarsi nella mente, rispondendosi poi che no... Non era assolutamente lecito e doveva immediatamente smetterla.
Improvvisamente udì bussare alla porta già socchiusa. Sollevò lo sguardo incuriosita e si accorse che si trattava proprio della fonte di tutti i suoi problemi e del suo malessere.
« Hey. » sorrise appena il chitarrista, facendo il proprio ingresso per poi avvicinarsi alla scrivania. Eveline scrutava il ragazzo silenziosa e piuttosto attentamente. Sembrava volesse leggerlo oltre ciò che appariva. Anche Monique lo osservava – con più sorpresa – attendendo di sapere cosa avesse da dirle. Tom rivolse un'occhiata alla bambina, sorridendole appena, e poi tornò ad osservare Monique. « Senti... Volevo chiederti... Che ne dici di fare una pausa? » le propose un po' impacciato. La ragazza abbassò lo sguardo sulla scrivania, sospirando appena. Avrebbe dovuto rispondergli di no.
« Non sono sola, Tom. E poi ho ancora molto da fare. » ribattè, cercando di mantenere il giusto autocontrollo.
« Beh, puoi continuare dopo; non voglio trattenerti per più di cinque, dieci minuti. » provò il chitarrista, con tono pacato. Pareva non volesse errare in qualche strano modo. Sembrava non volesse distruggere quell'apparente quiete che aleggiava nello studio della mora.
« Sì ma c'è anche lei. » gli ricordò la ragazza, indicando con un cenno del capo la piccola Eveline.
« E allora? Non puoi tenerla con te? »
Monique restò qualche attimo a meditare. Non voleva che sua figlia sentisse qualunque discorso volesse intraprendere con lei che, probabilmente, sarebbe sfociato in una discussione.
« Tu tei timido. » esortò improvvisamente proprio Eveline, scrutando ancora il ragazzo, con la propria giraffa stretta fra le braccia. Tom la osservò accigliato, sbattendo le palpebre con regolarità. « Me a detto mamy. » aggiunse, muovendo appena i piedini con fare intimidito. Non appena Monique vide un sorriso sincero comparire sul volto del chitarrista, si affrettò ad intervenire.
« D'accordo, mi prendo una pausa, ma solo qualche attimo. Eve, ti va di stare con David, intanto? »
Eveline scosse fortemente la testa, gonfiando al contempo le guanciotte paffute.
« Voio tale co te. » rispose, guardandola con occhi languidi.
« Dai, tienila con noi, così prende anche lei una boccata d'aria. » la incitò Tom, rimanendo comunque un po' sulle sue. La verità era che non sapeva come comportarsi in presenza di una bambina, soprattutto se questa bambina era figlia di una ragazza per cui tempo addietro aveva quasi perso la testa. Non si era mai trovato in una situazione simile e, in qualche modo, doveva pur sbrogliarsela senza fare danni.
Monique si arrese, com'era solito fare, e – dopo aver preso Eveline in braccio – si alzò dalla sedia per seguire Tom al di fuori dello studio ed uscire poi in giardino. Un sole quasi accecante illuminava completamente ogni millimetro quadrato di quel verde così rigoglioso, cosa decisamente rara a Berlino. Monique si sedette sul gradino di fronte alla porta e poggiò sulle proprie gambe Eveline, la quale non faceva altro che tenere stretto a sé il suo pupazzo fidato.
Vi furono svariati secondi in cui Tom e Monique si scrutarono silenziosamente, con attenzione. La ragazza attendeva una qualsiasi parola da parte del chitarrista anche se provava un po' di timore: non sapeva ma poteva immaginare che genere di discorso avrebbe voluto affrontare e sarebbe stato opportuno farlo in assenza di Eveline.
« Come stai? » le domandò improvvisamente, dopo essersi schiarito la voce.
« Io bene. » rispose prontamente Monique. « Da quando c'è lei... Benissimo. » aggiunse. Tom annuì, sorridendo appena.
« Vi somigliate molto. » mormorò il ragazzo, piuttosto imbarazzato. Affrontare certi discorsi non era indubbiamente il suo forte.
« La mamy è bella. » disse Eveline, rigirandosi fra le manine la piccola giraffa, senza sollevare lo sguardo da essa. Tom non poté fare a meno di sorridere.
« Sì. » annuì quasi con naturalezza. Monique percepì le proprie guance prendere fuoco e maledì la presenza di tutta quella luce, in grado di rivelare tale debolezza di fronte al ragazzo.
« Com'è andato il tour? » cambiò immediatamente discorso. Tom sorrise e si appoggiò con la schiena all'albero, alle sue spalle, tenendo le mani rifugiate nelle tasche dei jeans.
« Benissimo. Non pensavamo di ricevere di nuovo un'accoglienza così grande, in ogni città. » rispose soddisfatto.
Certo, immagino quale calorosa accoglienza ti abbiano riservato tutte quelle ragazze intente a mandarti lettere di ringraziamento per le tue prestazioni e con la richiesta di un bis, pensò scetticamente Monique, mentre il nervoso ricominciava a montare dentro di lei.
« Beh, non che questo mi sorprenda più di tanto... Siete sempre stati molto bravi e amati. » decise di rispondere.
« A te piacciono le nostre canzoni? »
« Certo che mi piacciono. »
Tom le sorrise impercettibilmente. Monique sentì improvvisamente caldo. L'ormai conosciuto bisogno di sentirlo vicino a lei, di sentire il contatto della sua pelle, delle sue labbra, del suo profumo, del suo respiro, stava tornando a farsi vivo dentro di lei come un fuoco ardente.
Per tutto quel tempo si era solamente autoconvinta di averlo definitivamente dimenticato... In realtà aveva commesso un errore madornale al solo pensarlo. Tom rappresentava ancora un pilastro saldo della sua esistenza che, solo in quel momento, sembrava oscillare pericolosamente. Rappresentava la sua precedente serenità che ora era mutata in malinconia, per la semplice consapevolezza del fatto che non sarebbe mai stato suo. Non poteva e non voleva più esserlo; per questo motivo era del tutto inutile che lei riponesse ancora delle effimere speranze in tutto ciò. Doveva allontanarlo dalla sua mente, in qualsiasi modo, esattamente come aveva fatto lui, i primi tempi in cui lei aveva cominciato a lavorare in quello studio di registrazione.
« Tu? Hai qualche novità, apparte lei? » le domandò.
« Niente di niente... La mia vita, in questo anno e mezzo, si è sempre incentrata su di lei e ciò che mi successo è stata semplicemente conseguenza di questo. »
« Però ti vedo... Abbastanza serena. »
« Lo sono, infatti. »
« Ne sono... Contento. »
« Bubi! » esclamò improvvisamente Eveline, protendendo le braccia verso la piccola giraffa che le era caduta sull'erba. Tom esitò qualche istante ma poi si avvicinò lentamente e si piegò sulle ginocchia per recuperare il pupazzetto. Timidamente lo porse alla bambina, la quale ricambiò quello sguardo apparentemente pensieroso. « Glacie. » mormorò, senza staccare gli occhi dal suo volto.
Tom fissava quegli occhi celesti, non riconoscendovi quelli di Monique ma quelli di uno sconosciuto che l'aveva messa incinta. Si sentiva continuamente scosso da tremore e brividi e non poteva evitarlo.
Non riuscì più a sostenere quello sguardo, così si rialzò e tornò a poggiarsi all'albero. Sapeva che sarebbe stato molto difficile per lui entrare in confidenza con quella bimba; non per cattiveria... Semplicemente per impotenza.
« Pecchè hai le tettine? » domandò improvvisamente la piccola. Tom aggrottò le sopracciglia, sbattendo più volte le palpebre, facendo intendere a Monique che non aveva compreso.
« Si riferisce ai cornrows. » chiarì la mora.
« Oh... Beh, perchè... Perchè mi piacciono. » balbettò il ragazzo, non sapendo esattamente come giustificare quel fatto. Eppure era così semplice. Si trattava di parlare di fronte ad un essere umano che aveva vent'anni e mezzo meno di lui e non avrebbe assolutamente dovuto sentirsi a disagio; era da incapaci.
« Ma no tono da feminutte? » chiese ancora Eveline, piuttosto incuriosita.
« No, queste sono tipi di treccine che possiamo portare anche noi maschietti. » sorrise appena il ragazzo. Gli infondeva tanta tenerezza ma lui non era assolutamente in grado di reagire di conseguenza.
Monique, d'altro canto, non era del tutto contenta di quella piccola conversazione – se così si poteva chiamare – fra i due. Il suo cuore gioiva nel vedere sua figlia così interessata al chitarrista ma la parte più razionale e al contempo più inspiegabile di sé le ordinava di porre fine a tutto ciò. Per qualche strano motivo non voleva che sua figlia legasse con il chitarrista; probabilmente avrebbe dato il via a tanti altri problemi per cui non avrebbe avuto il fegato di risolvere. Conosceva sua figlia: se si affezionava, voleva stare con quella persona almeno ogni singolo giorno; così come era successo con Jessica. Monique non avrebbe potuto farle vedere il ragazzo tutti i giorni, visto e considerato che già aveva un lavoro da svolgere con lui, sei giorni su sette; vederlo anche al di fuori del contesto lavorativo non l'avrebbe aiutata nella sua attuale situazione sentimentale – ancora non del tutto chiara.
« Beh, io tornerei a lavorare. » annunciò quindi la mora, alzandosi dal gradino con Eveline in braccio. Tom sembrò dispiaciuto da tale affermazione.
« Di già? » le domandò istintivamente. Probabilmente l'aveva portata lì fuori per parlare o semplicemente per passare un po' di tempo con lei – non conoscendo l'effettivo motivo – ma sapeva che davanti ad Eveline non avrebbe potuto fare nulla. Poteva notare lontano un miglio la protezione che quella bambina riservava attentamente alla sua mamma.
« Avevi detto che questa pausa sarebbe durata cinque minuti, massimo dieci. Beh, ne sono passati esattamente dieci. » spiegò pazientemente Monique, con un piccolo sorriso sul volto, non del tutto sincero. Gli diede le spalle, essendo perfettamente, consapevole del fatto che ancora una volta l'aveva lasciato insoddisfatto, e tornò al suo studio con sua figlia.

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Capitolo 4
*** Four. ***


4

Four.



« Quel buzzurro dalle treccine chilometriche! » Erano ore, ormai, che stava sfogando la propria rabbia sui surgelati. Continuava ad inveire contro il chitarrista mentre Jessica, alle sue spalle, scuoteva la testa con fare divertito. La piccola Eveline era seduta sul carrello della spesa, intenta a mordicchiare la manica del suo cappottino di jeans. « Eve, smettila di mordere sempre tutto quello che trovi. » borbottò ancora la mora, scrutandola con la coda dell'occhio.
« Dai, Monique, fatti passare il nervoso. » intervenne Jessica, mentre con delicatezza toglieva dalla bocca di Eveline la manica umida.
« Prima fa di tutto per tenermi lontana e poi cerca di ritrovare quella confidenza di quasi due anni fa. Mi fa salire il sangue al cervello quando fa così! » esclamò nuovamente Monique, gettando nel carrello la prima confezione di piselli che le era capitata sottomano. « Cosa crede? Che io ci caschi di nuovo? Ma poi, che vuole?! Che vuole, vorrei sapere! » continuò, incapace di fermarsi. La sua migliore amica sollevò gli occhi al soffitto di quell'enorme supermercato e sospirò paziente.
« Evidentemente tiene a te e sta cercando di tornare a parlare come una volta. Che ne sai che non è ancora preso? » cercò di spiegare, con la dovuta calma, la rossa, portandosi dietro il carrello con Eveline che ascoltava quella strana conversazione di cui ovviamente non capiva il senso.
« Se è ancora preso, va a farsi due passi. Anche io ero presa da lui e lui mi ha fatto soffrire, quindi ora si ribaltano i ruoli! Se così fosse, un po' di sofferenza non gli farebbe male! »
« Io non credo che lui ti sia indifferente. »
« Non mi è indifferente perchè è una persecuzione; è una croce! »
« La senti come predica la mamma? Quant'è divertente? » ridacchiò la rossa, abbassandosi per giungere affianco al viso della bambina, la quale sorrise compiaciuta.
« Vedete di non prendermi in giro; sono seriamente fuori di me. » commentò quasi arida la ragazza madre, mentre trottava davanti a loro, alla ricerca delle uova.
« A proposito, cosa vuoi fare per il tuo compleanno? » cambiò discorso Jessica, seguendola quasi a fatica. Monique, per tutta risposta, scrollò le spalle.
« Niente. » ribattè secca. Jessica impuntò sui propri piedi, facendo sbilanciare appena il carrello, e osservò accigliata le spalle della sua migliore amica.
« Come niente? » domandò perplessa.
« Non mi interessa festeggiarlo. Mi basta passare una normalissima giornata con te, Eveline e magari i miei genitori. » spiegò la mora, mentre poneva nel carrello la confezione di uova, finalmente trovata. A dire il vero non aveva nemmeno voglia di organizzare una vera e propria festa. E poi non aveva altri amici, all'infuori di Jessica, e l'ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata invitare a casa sua Tom, anche a discapito degli altri componenti della band che d'altronde non le avevano fatto nulla.
« Ma sono i tuoi ventidue anni. » cantilenò Jessica, osservandola con disappunto.
« E quindi? Ai ventidue anni succede qualcosa di particolare? » ribattè Monique, ancora del tutto indifferente a tali affermazioni. Anche il solo pensiero di un compleanno non la esaltava più di tanto.
« No, però... Insomma, mi faceva piacere organizzare qualcosa di carino. »
« Non preoccuparti, non fare nulla. » concluse con tranquillità la mora. « Dove sono quelle dannate cipolle?! » Detto questo, Monique si allontanò da Jessica ed Eveline, le quali restarono immobili in quel punto dove le aveva lasciate. La rossa la osservò allontanarsi sempre di più, piuttosto pensierosa.
Era troppo tempo che Monique non usciva più e non si divertiva. Il lavoro di mamma l'aveva sempre presa tantissimo, com'era giusto che fosse, ma ciò aveva tolto del tempo anche per se stessa. Sembrava ormai una donna in carriera, la cui gioventù era sfumata fino a svanire del tutto e ciò non era per niente giusto. Era giunto il momento che Jessica tornasse a vederla giovane e volenterosa di vivere e divertirsi come una volta; avrebbe organizzato qualcosa per il compleanno della sua migliore amica – quello era poco ma sicuro – e per farlo avrebbe dovuto riporre fiducia nella persona che Monique meno avrebbe gradito.


« Come? Domenica è il compleanno di Monique? » domandò Tom, alquanto accigliato. Jessica sedeva di fronte a lui – a separarli, il tavolo della cucina – e lo osservava con fare ovvio.
Aveva deciso di raggiungere il ragazzo direttamente allo studio di registrazione, senza il minimo preavviso – ragion per cui, quando andò ad aprirle la porta, lo trovò completamente assonnato e con solo un paio di boxer a coprire ogni sua grazia – per spiegargli la situazione. Ovviamente la mora non ne sapeva nulla e non avrebbe assolutamente dovuto venire a conoscenza di ciò che la sua mente stava malvagiamente escogitando, se voleva evitare la morte certa.
« Sì, è il compleanno di Monique. » ripetè pazientemente la rossa, mentre tamburellava le sue dita munite di bellissime unghie finte sul legno. « Il problema è che quella benedetta ragazza non vuole festeggiarlo e a me, sinceramente, questa cosa non va. Soprattutto perchè non è vero che non vuole festeggiarlo ma è quello che vuole far credere. Da quando è nata la bambina non fa altro che preoccuparsi di lei, sempre e comunque. È giustissimo che lo faccia, per carità, ed è bellissimo che abbia una figlia del genere ma non può continuare a trascurarsi. Non esce più se non per andare a fare la spesa; parla continuamente del lavoro, delle bollette da pagare e di cosa deve mangiare la piccola, in sua assenza. Si sta comportando come avesse ormai quarant'anni o di più e non mi sembra il massimo, dato che ha solo ventidue anni e ha ancora il diritto di trascorrerli come si deve. D'altronde non è colpa sua se è rimasta incinta così giovane. »
« Beh, poteva evitare di accontentare ogni impulso sessuale di Christian, allora. » sputò acidamente il chitarrista, senza pensarci sopra. Ecco che il lato del tutto irrazionale e preso totalmente dalle passioni veniva fuori nel momento sbagliato. Sapeva perfettamente il motivo per cui lei non aveva mai posto fine a quei continui avvenimenti ma si sentiva così infastidito che non aveva dato tempo alle dovute riflessioni.
« Senti un po', treccina, cosa staresti cercando di insinuare? » chiese con tono minaccioso la rossa, mentre lo scrutava con sguardo inceneritore. « Credo che lei ti abbia spiegato il motivo per cui non ha mai potuto ritrarsi da lui, quindi non cercare di darle della putt... »
« Non stavo cercando di darle della puttana. » la interruppe urtato il chitarrista. « Non lo farei mai. » mormorò, distogliendo lo sguardo per posarlo in terra, alla sua destra. Jessica si perse qualche secondo ad osservarlo, mentre la sua mente formulava domande su domande, accostate ad infiniti insulti per quel povero ragazzo. Afferrò saldamente un giornale posato sul tavolo, alla sua sinistra, e lo sbattè fortemente sulla testa del chitarrista, il quale sgranò gli occhi e si ritrasse esterrefatto. « Ma che cazzo ti sei fumata?! » esclamò, portandosi entrambe le mani alla testa indolenzita e guardandola contrariato.
« Sei irrecuperabile! » lo rimproverò la rossa.
« E perchè, di grazia? Che ho detto, ora? » ribattè scocciato il ragazzo.
« Perchè prima ti sei dato la zappa sui piedi, quel giorno in aeroporto, a dirle quelle cose; a porre una fine dove forse non vi era neanche un inizio. E te la stai dando anche ora! »
« A che cosa ti riferisci? »
« Tu sei ancora preso da lei! »
« Cosa? Non è vero. »
« Io, fossi in te, la smetterei di arrampicarmi sugli specchi. »
Tom sbuffò sonoramente e si alzò dalla sedia, afferrando il pacchetto di sigarette. Si appoggiò al davanzale della finestra che dava sul giardino e ne prese una per fumarla con evidente tensione.
« Io non mi arrampico sugli specchi. Dico solamente la verità. La sbandata che mi ero preso per lei è acqua passata. Tutto ciò a cui tengo è semplicemente la sua fiducia e la sua... Amicizia. » disse con tono pacato.
« Bugiardo. » sorrise furbescamente la rossa.
« Senti, ma a te che importa?! » esclamò innervosito il chitarrista, voltandosi nuovamente nella sua direzione. « Non è questo il motivo per cui sei venuta qui, mi pare. Vogliamo parlare di questo compleanno, sì o no? » continuò acidamente, al che la rossa decise di arrendersi.
« E sia. » commentò con le palpebre a mezz'asta ed un'espressione decisamente scettica sul volto.


Stringeva tra le braccia Eveline, ancora assopita – dato che l'aveva svegliata da poco – e camminava lungo il vialetto dello studio di registrazione.
Purtroppo, da quando aveva ricominciato a lavorare, non sapeva più dove lasciare sua figlia. Non poteva certamente abbandonarla in casa, da sola; era fuori discussione e decisamente da pazzi. Farle tenere compagnia da Jessica le pareva troppo opportunista e, nonostante sapesse che se glielo avesse chiesto la risposta sarebbe stata senz'altro positiva, la sua coscienza le impediva di fare ciò. Il problema però sussisteva.
« Mi spiace, piccolina, che ti devo svegliare presto, assieme a me ma purtroppo, per ora, la situazione è questa. Ti prometto che la mamma trova una soluzione, okay? » le disse con dolcezza, mentre la piccola rifugiava il viso nell'incavo del collo della ragazza, strofinandoci sopra la boccuccia, con fare assonnato.
Una volta giunta di fronte alla porta dello studio di registrazione, prese a frugare nelle tasche della propria giacca – con la mano libera – alla ricerca delle chiavi. Sbuffò pesantemente nel constatare che queste le aveva probabilmente dimenticate a casa.
Ma come si fa a dimenticarsi le chiavi del posto di lavoro? Si domandò mentalmente, conoscendo nell'inconscio la risposta e maledicendosi per questo.
Controvoglia, suonò appena il campanello. Odiava doverlo fare perchè sapeva che la maggior parte dei ragazzi, a quell'ora, dormiva beata. Con sorpresa, sentì dei passi al di là del legno, fino a che la porta non si aprì.
« Tia Gege! » fu l'esclamazione immediata di Eveline, nel notare la presenza della rossa, alle spalle del chitarrista che aveva appena aperto. Monique era rimasta semplicemente immobile e con espressione indecifrabile sul volto.
Davanti a sé, sostava il chitarrista – rigorosamente in boxer – e, alle sue spalle, lo sguardo teso di Jessica la scrutava quasi imbarazzato, cosa del tutto insolita per lei.
« Che ci fai qui? » chiese inespressiva Monique, mentre l'ansia prendeva ad inondarle il corpo. Un brutto presentimento la stava lentamente scuotendo; sempre di più.
« Oh, sono passata un attimo perchè volevo salutarli ma... Dormono tutti! Ho svegliato persino lui. » rispose fin troppo frettolosamente la rossa, con lieve impaccio; segno evidente che stava mentendo. Monique si sentì scossa da un tremito. Si stava innervosendo; era la sua migliore amica, perchè avrebbe dovuto mentirle? « Anzi, già che ci siamo, vuoi che ti tenga la bambina? Così puoi lavorare tranquillamente. Magari andiamo a farci una passeggiata al parco. » le propose successivamente, apparentemente ripresa dallo stato momentaneo di imbarazzo. Monique, per la prima volta, esitò a quella domanda. Si sentiva altamente infastidita, soprattutto per aver trovato allo studio proprio lei, da sola con Tom.
...In boxer, completò quel pensiero atroce la mora.
« Ti! Co Tia Gege! » esclamò entusiasta Eveline, battendo le manine, improvvisamente più sveglia e pimpante.
« D'accordo. » si arrese Monique ma senza esternare il minimo compiacimento. Delicatamente, le porse la bambina, stando ben attenta a non guardarla negli occhi, e si allontanò nuovamente con insolita freddezza. « Grazie. » si limitò a dire.
« Figurati. » sorrise Jessica, ignara di tutto. « Allora vi saluto! Andiamo, piccola. » esclamò successivamente, con Eveline in braccio.
« Tao, mamy. » salutò la piccola, per poi voltare lo sguardo nella direzione del chitarrista, il quale se ne stava ancora appoggiato allo stipite della porta, a petto e gambe nude. Torturandosi un lembo della maglietta con la manina, sollevò appena l'altra per salutarlo timidamente, senza proferire parola, al che il ragazzo si sentì decisamente impacciato ma intenerito da tale scena. Sorrise dolcemente, ricambiando subito quel saluto, alla stessa maniera, fino a che – assieme a Jessica – questa non sparì dalla loro vista.
Monique sospirò nervosamente, cercando comunque di non farsi udire dal chitarrista e si voltò nella sua direzione con sguardo truce.
« Ora potresti anche vestirti, non siamo in estate e, anche se fosse, ci troviamo comunque in Germania. » disse acida, per poi dargli le spalle ed entrare nello studio.
Era più forte di lei: fingere non faceva parte della sua personalità. L'unica palla che nella sua vita era riuscita ad inventare e portare magicamente avanti – per quanto fosse possibile – era il fatto della gravidanza. Eppure aveva deciso che, per un po', le bugie non avrebbero mai più sfiorato le sue labbra.
« Buon giorno anche a te. » commentò con sarcasmo Tom, richiudendo la porta. Monique si allontanò da lui, decisa a camminare verso il suo piccolo ufficio, ma sentiva gli occhi curiosi del ragazzo perforarle la schiena. « Tutto bene? » lo sentì chiedere.
« Benissimo. » sputò secca, per poi entrare nel suo studio. A dire il vero, ora che Jessica se n'era andata, si sentiva una iena pronta a mordere il primo che le avrebbe recato disturbo ed il chitarrista era un ottimo candidato a tale questione.
Che avevano fatto per tutto quel tempo, mentre lei non c'era? Jessica frequentava Tom di nascosto? Si era fermata a dormire lì, dato che altrimenti sarebbe dovuta arrivare all'alba? Perchè ora sembravano così in confidenza? E soprattutto, perchè Tom era in boxer?
Troppe domande le stavano mandando in fumo il cervello e decise che per un po' non avrebbe dovuto pensarci, almeno fino all'ora di pranzo.


Tom stava spiegando tutto ciò che Jessica gli aveva riferito, qualche ora prima, agli altri componenti della band, sgraziatamente stravaccati sulle poltrone e sui divani a disposizione, nella loro saletta. Si erano chiusi lì dentro, con l'intento di non farsi scoprire da Monique, la quale sembrava avere dei radar per quel tipo di cose.
Si sentiva un po' inquieto e imbarazzato per come lei aveva scovato lui e Jessica, appena giunta allo studio. Continuava a darsi del coglione mentalmente per non aver avuto la voglia di cercare un insulso paio di pantaloni nella sua stanza, almeno prima che arrivasse.
Probabilmente la mora stava dando varie e sbagliate interpretazioni a ciò che aveva visto e la cosa lo infastidiva parecchio, mettendogli addosso una maledetta voglia di andare da lei e chiarire le cose. Il motivo non lo conosceva propriamente; d'altronde non erano fidanzati e non servivano spiegazioni ad ogni avvenimento. Eppure si sentiva in dovere di farlo.
« Quindi vorrebbe organizzarle una festa a sorpresa, ma non sa ancora bene cosa fare. Pensava a casa di Monique ma mi ha detto che se avremmo avuto idee migliori avremmo potuto tranquillamente esporle. » parlò il chitarrista, con la sua fidata sigaretta fra le dita che lentamente si consumava.
« Io penso che la festa a sorpresa a casa sua sia un'idea carina. La potremmo preparare per bene, mentre lei, con una scusa, la mandiamo a fare qualcosa altrove. » intervenne Georg.
« A quello ha già pensato Jessica. A quanto pare, Monique, quel giorno, vorrebbe andare a trovare i suoi genitori, di mattina, e tornare alla sera quindi avremmo tutta la giornata per preparare per bene le cose. »
« Mi piace questa cosa! Adoro organizzare feste! » cinguettò Bill, piuttosto entusiasta.
« Io spero solo che Monique ne rimarrà sorpresa e contenta. » mormorò Tom. « Jessica mi ha detto che non ha proprio intenzione di festeggiarli. Non vorrei che questo la facesse incazzare, più che sorprendere. »
« Io sono convinto che ne rimarrebbe stupefatta. D'altronde non se l'aspetta minimamente. » sorrise Gustav. « Vado a prendermi un caffè. » annunciò poi, alzandosi dalla poltrona.


Aveva deciso di prendersi una pausa da tutto quel lavoro. Si chiedeva ancora come i ragazzi potessero ricevere milioni di lettere, ogni giorno. Era un qualcosa di incredibile. Sentiva gli occhi deboli e stanchi, dato che non aveva alzato un attimo lo sguardo da ogni foglio che le capitava sotto mano. Si era talmente impegnata per concentrarsi sul da farsi – e per non pensare a Jessica e Tom – che ora percepiva il suo cervello decisamente in fumo.
I ragazzi si erano svegliati da un po' ed erano tutti riuniti nella saletta affianco per parlare di argomenti a lei ignoti. Si avvicinò alla macchinetta del caffè ed attese che questa gliene preparasse “gentilmente” uno. Aveva bisogno di distrarsi assolutamente; aveva bisogno di cancellare quella dannata immagine dalla sua mente o sarebbe presto impazzita, se lo sentiva.
« Oh, bene, prendiamo il caffè insieme? » udì la voce di Gustav alle sue spalle. Sorrise automaticamente; era un po' che non parlava con il batterista, che non si confidava o semplicemente vi passasse qualche minuto della giornata assieme. Ultimamente era così indaffarata...
« Volentieri. » rispose, dopo aver recuperato il bicchiere di carta, una volta che il caffè fu pronto. A quel punto anche Gustav se ne preparò uno, fino a che non si rifugiarono insieme in cucina, per poi sedersi al tavolo. « Mi mancava stare un po' con te. » ammise la ragazza, con dolcezza. Il biondino, di fronte a lei, sorrise compiaciuto per poi annuire più volte, mentre si portava il bicchiere alle labbra.
« Come stai? Oggi ti vedo un po' pensierosa. »
Quel ragazzo, probabilmente, era quello che più la capiva al volo, ancor prima degli altri. Tom l'aveva conosciuta bene ma Gustav poteva definirsi un vero e proprio psicologo, al cui occhio non sfuggiva nulla.
« No, nulla di strano. Sono solo un po' assonnata. » mentì la ragazza. Non poteva dirgli che dubitava di Tom e Jessica; sarebbe stato come ammettere di essere ancora presa dal chitarrista. « Tu? » domandò poi.
« Il tour ci ha un po' sfiniti e anche tutti gli impegni venuti dopo. Capitava che, lo stesso giorno, fossimo in due città diverse e magari lontane chilometri, l'una dall'altra. Eravamo sempre in viaggio ed è ovvio che il nervosismo si percepiva perfettamente tra di noi. Tom e Bill litigavano spesso, proprio per questo motivo. Poi loro sono i primi ad incendiarsi tra di noi, quando c'è stress nell'aria. »
« Penso sia normale... Fate sempre tantissime cose e mi chiedo come facciate. »
« Abitudine. Anche se una bella vacanza penso ci farebbe bene. »
« Farebbe bene anche a me. »
« Hey, che fate? » entrò di soppiatto il chitarrista – ora vestito – spostando lo sguardo da Gustav a Monique e viceversa. Monique si irrigidì istantaneamente e si chiuse in un silenzio forzato.
« Prendiamo un caffè e parliamo un po', come ai vecchi tempi. » rispose per lei Gustav, ancora ignaro di ciò che stava accadendo attorno a lui.
« Ah, con lui ci parli però. » commentò risentito il chitarrista, con tono freddo – alludendo al giorno in cui si era rifiutata di parlare come si deve con lui, in giardino – mentre lanciava una fulminata a Monique. Questa strinse automaticamente i pugni, poggiati sul suo grembo.
« Io parlo con le persone che hanno idee molto chiare in testa. » lo provocò la ragazza, senza pensarci troppo su. Probabilmente, se l'avesse fatto, non avrebbe pronunciato quelle poche parole che avrebbero presto dato il via ad una lunga discussione che non avrebbe mai trovato un termine. Il fatto era che si sentiva ancora urtata per ciò che aveva visto, appena arrivata.
« Che intendi dire? Che con me non si può parlare perchè non ho le idee chiare? » domandò offeso il chitarrista.
« Esattamente. » tagliò corto la mora.
« Insomma, Monique, si può sapere perchè non fai altro che comportarti così con me? »
« E me lo chiedi anche?! »
Dopo aver urlato quelle parole, la ragazza si alzò di scatto dal tavolo ed uscì velocemente dalla cucina, non senza aver tirato una spallata al chitarrista, il quale si ritrasse con una smorfia contrariata. Senza pensarci due volte, prese ad inseguirla, fino a giungere allo studio della mora.
« Monique! » la chiamò a gran voce, mentre lei si dirigeva verso la sua scrivania, con l'intento di riprendere a lavorare. « Stavolta, mi dispiace, ma non mi accontento di questo. Voglio delle spiegazioni. » disse il chitarrista, cercando di acquisire la calma, mentre chiudeva la porta di quello studio.
« Apri quella porta. » sibilò Monique, fulminandolo con lo sguardo.
« Non ho intenzione di violentarti o legarti una corda al collo. » commentò con cupo sarcasmo il ragazzo. « Voglio capire perchè mi tratti sempre in questo modo. Da quando siamo tornati, sei sempre la stessa con tutti, tranne che con me. Insomma, posso capire che ci sia un po' di imbarazzo ma... »
« Imbarazzo?! Tu lo chiami imbarazzo?! Tom, forse tu non ti rendi conto! Tu vorresti tornare al rapporto di prima? Mettitelo in testa che non si può fare! »
« Ma perchè no? Sei tu che non vuoi che accada. »
« Se così fosse, avrei anche i miei motivi. »
« Insomma, non riesci a perdonarmi? Neanche dopo un anno e mezzo? »
« Non ho niente da perdonarti. È solo questione di non saper come tornare ad avere quel rapporto di prima... E' impossibile riaverlo, Tom. »
Tom le si avvicinò lentamente, quasi per paura che da un momento all'altro potesse scagliargli contro qualche oggetto trovato lì sulla scrivania.
« Non è impossibile. Ci si può provare. » disse il chitarrista, facendolesi sempre più vicino.
« Non voglio. » sussurrò freddamente, prima che lui si trovasse a pochi centimetri da lei. Infatti lo vide fermarsi e scrutarla con attenzione e malinconia.
« Hai paura. » disse inespressivo. Monique fu come scossa da una scarica elettrica, lungo la schiena.
« Di cosa avrei paura? » lo sfidò con lo sguardo e soprattutto con il tono di voce.
« Di me. » Monique sgranò gli occhi e prese a ridere con isteria. Odiava quelle frasi, buttate lì, a mo di trappole.
« E perchè dovrei averne? » domandò fintamente divertita; anche perchè quella situazione la divertiva ben poco. Avrebbe tanto voluto alzarsi dalla poltrona ed uscire da quello studio di registrazione per tornarsene a casa e non abbandonarla mai più. Era in momenti come quello che il desiderio di mollare tutto e cambiare addirittura città si faceva vivo dentro di lei. Perchè fondamentalmente era debole. Recitava sempre la parte della dura, di quella forte, in grado di superare qualsiasi tipo di situazione con le sue sole forze. Ma stava facendo i conti con la realtà e la realtà era lì davanti a lei che la guardava con insistenza, cercando di farla vergognosamente cedere.
« Hai paura che io possa farti soffrire di nuovo. » mormorò il ragazzo, senza staccare gli occhi da lei. Monique sollevò lo sguardo su di lui, con lentezza quasi preoccupante. Sentiva una sensazione di bruciore alla bocca dello stomaco, segno che sarebbe esplosa di lì a qualche secondo.
« Mettiamo in chiaro una cosa, Tom: io non soffro più per te! Smettila di peccare di presunzione in questa maniera! Non esisti solo tu, non ci sei tu al centro del mondo e al centro dei pensieri di tutti; soprattutto miei! Tu credi che io sia ancora presa da te, come una ragazzina che si è presa una sbandata per un “uomo” impossibile da avere? Beh, scendi dal piedistallo, Tom, perchè non è affatto così. Ho quasi ventidue anni, non dodici e, per quanto mi riguarda, non provo più il minimo interesse per te, quindi, stai pure tranquillo! » esclamò fuori di sé, senza dosare le parole. Queste toccarono profondamente e scossero Tom, tanto da farlo rimanere ammutolito ed immobile, al centro di quella stanza. « Spero che ora il concetto ti sia abbastanza chiaro. » concluse duramente la mora, per poi afferrare le sue cartelline ed uscire velocemente da quello studio: il suo turno di lavoro era appena terminato.


Bill sobbalzò nell'udire il violento frastuono provocato dal frantumarsi di infiniti pezzetti di vetro a terra. La scena che si era presentata davanti ai suoi occhi non era delle migliori e lo aveva semplicemente lasciato esterrefatto: Tom aveva camminato proprio di fronte a lui e, nel farlo, aveva dato una furiosa manata ad un vaso poggiato sul comodino, accostato al muro del corridoio che lo avrebbe portato alla sua stanza. Il vaso si era frantumato sul pavimento.
Aveva fatto il tutto con furia, con la rabbia viva negli occhi ed una violenza che non gli apparteneva, prima di chiudersi nella stanza, sbattendo la porta. Il vocalist restò immobile, in mezzo a quel corridoio, a chiedersi cosa mai fosse successo per una reazione simile, che raramente si poteva vedere in suo fratello. Decise di avvicinarsi lentamente alla porta, per poi bussarvi con cautela: doveva capire cosa stesse succedendo, dato che sembrava di buon umore, fino a qualche attimo prima.
« Tom... » provò con timore. Tutto ciò che udì successivamente fu un colorato “Vaffanculo, Bill, lasciami stare” da parte del chitarrista, cosa che lo indusse senza dubbio ad allontanarsi per ripulire il disastro e lasciarlo solo.


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Capitolo 5
*** Five. ***


5

Five.



Tornata a casa, aveva continuato a dare letteralmente i numeri. Si sentiva furiosa col mondo intero e quel giorno nessuno avrebbe dovuto tormentarla con superflue domande e consolazioni sulla ragione di tale nervosismo, soprattutto Jessica. Era letteralmente infuriata nei suoi confronti.
Perchè avrebbe dovuto mentirle? Perchè avrebbe dovuto incoraggiarla o indurla a trovare un chiarimento con Tom, se poi si vedeva con lui di nascosto? Monique non sapeva più dove sbattere la testa: si sentiva presa in giro dalla sua migliore amica, l'unica persona di cui aveva sempre creduto di potersi fidare ciecamente perchè non avrebbe mai avuto il coraggio di farle un torto. La verità era che lei non avrebbe dovuto fidarsi più di nessuno perchè nella sua vita aveva sempre e solo ricevuto fregature. Era giunta l'ora di darci un taglio.
Sollevò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete e constatò che di lì a non molti minuti, Jessica avrebbe fatto irruzione in casa sua con la piccola Eveline. Al solo pensiero che anche la bambina si fosse affezionata alla rossa in modo così spasmodico, la mandava in bestia. Prima ne era felice, ora non riusciva più a vedervi un lato positivo, anzi... Tutto si era volto contro di lei come un boomerang.
Improvvisamente il campanello di casa trillò sonoramente, facendola risvegliare dai propri pensieri intricati. Sbuffando – poiché già sapeva di chi si trattava – si incamminò verso la porta, per poi aprirla svogliatamente. Di fronte a sé, Jessica teneva in braccio Eveline, la quale sorrideva contenta, probabilmente della giornata appena trascorsa con la “Tia Gege” e ciò innervosì ulteriormente Monique.
« Eccoci qua! » esclamò Jessica, facendo il proprio ingresso in casa, come sempre senza il consenso di Monique. Se una volta alla mora non fosse importato, ora assolutamente sì. « Siamo andate al parco e ci siamo divertite come delle pazze, vero, Eve? » disse entusiasta la rossa, poggiando a terra la bambina, la quale fece un enorme sorriso ed annuì energicamente.
« Bene, grazie per averla tenuta. » si limitò a rispondere Monique, senza chiudere la porta di casa e tenendola aperta con una mano, sperando che la rossa capisse cosa intendeva dirle.
« Non chiudi la porta? » domandò quest'ultima, piuttosto perplessa.
« Non te ne devi andare? » ribattè freddamente Monique, continuando a fissarla con rabbia.
« Ehm, no, pensavo che avremmo mangiato assieme, come facciamo spesso. » mormorò quasi in imbarazzo la rossa.
« Oggi non mi va. » tagliò corto la ragazza madre.
« Hey, ma che hai? Sei strana... Non è da te questo comportamento. »
« Dimmelo tu che cos'ho! » Esclamò questo sbattendo violentemente la porta, cosa che fece sobbalzare sia Jessica che la piccola Eveline, che stava nel frattempo raggiungendo il salotto, con passo ancora barcollante. « Ho visto che te e Tom siete entrati parecchio in confidenza. Ora siete amici molto intimi. » sputò acidamente, camminando furiosamente verso la cucina, per evitare che Eveline – ora seduta sul tappetone del salotto, a guardare la televisione – ascoltasse le sue parole.
« Che cosa?! Ma hai bevuto? Mi sa che hai frainteso tutto quanto! » si difese la rossa, seguendola velocemente in cucina.
« Ho frainteso? Certo, trovare Tom in mutande e te, da sola con lui, all'alba, è molto fraintendibile, no? »
« Guarda che sul serio ero passata per dare loro un saluto... Tom era così perchè si era appena svegliato, anzi, per la precisione, l'ho svegliato io. Per questo si è pure incazzato con me. Inoltre sono arrivata di mattina presto perchè sapevo che saresti arrivata anche tu, almeno ne avrei approfittato per farti un favore e tenerti la bambina mentre tu lavoravi. Tra l'altro, volevo chiederti se eri d'accordo nel farlo tutte le mattine, almeno non hai il peso di dover controllare Eveline e distrarti da ciò che fai, tanto per me non è un problema. »
« Di certo non affiderò più mia figlia ad una persona falsa come te. »
« Io sarei falsa? E perchè, scusami? »
« Perchè sei sempre stata te quella che mi incoraggiava con Tom, quando in realtà eri tu l'interessata! Anche ultimamente mi hai sempre detto che Tom forse è ancora attratto da me e questo mentre tu vai a letto con lui! Dio, mi sento così presa in giro! »
« No, un momento, fermati! Io starei andando a letto con lui?! Primo, non lo farei mai perchè non mi piace neanche un po'. È un bel ragazzo ma caratterialmente non ci pigliamo più di tanto. Secondo, non lo farei per te! »
« Io sono furiosa per il fatto che sei sempre stata dalla mia parte e poi ti sei vista nel frattempo con lui, non perchè io sono gelosa di lui; forse è questo che non ti è chiaro! »
« E io ti sto dicendo, porca miseria, che con lui non ho mai fatto nulla. Non mi ci sto vedendo da tempo e soprattutto non ci farei mai nulla! Ma stiamo scherzando? Mi conosci da anni e lo sai che non lo farei mai. »
« Beh, ormai non so più a cosa devo credere. Le tue parole mi dicono una cosa, ma i fatti un'altra. »
« Quali fatti? Ci hai visti intenti a fare sesso, con i tuoi occhi? Credi a me, cazzo! Sono la tua migliore amica da sempre! »
« Anche e soprattutto le migliori amiche spesso ti tradiscono. Ora, per favore, esci di casa che devo far mangiare Eveline. »
« Ma... »
« Esci di casa, ho detto! »
Jessica ammutolì e rimase ad osservare tristemente Monique, la quale invece ricambiava lo sguardo con sconfinata ira e delusione. La rossa avrebbe tanto voluto riferirle il motivo reale per cui era scoppiato tutto quel casino, ma avrebbe rovinato la sorpresa che si stava tanto impegnando per prepararle.
Abbassò lo sguardo desolatamente ed uscì dalla cucina. Quando passò davanti al salotto, la piccola Eveline le domandò: « Tia Gege, no tai co noi? »
Jessica sorrise tristemente e rispose: « No, tesoro, oggi ho tanto da fare. Sarà per un'altra volta... Ciao, piccolina. », per poi uscire di casa e chiudere la porta.
Monique, ancora in cucina, tremava dal nervoso. Non le era mai capitato di litigare così duramente con Jessica, fino a sbatterla fuori di casa e aveva sempre pregato perchè non succedesse mai.
Quella era stata l'ennesima delusione della sua vita.


Bill cominciava a preoccuparsi: suo fratello era chiuso in camera dall'intero pomeriggio. Si era rifiutato di mangiare, di fumare una sigaretta o di strimpellare con la chitarra come solitamente faceva. Si era semplicemente estraniato dal mondo, pretendendo che tutti lo lasciassero in pace. Il vocalist aveva acconsentito ma la preoccupazione – tipica di un gemello – si faceva inevitabilmente sentire.
Perchè si stava comportando a quella maniera, senza degnare gli altri nemmeno di una spiegazione? Probabilmente, in tutto ciò, c'entrava Monique... Era un pensiero che la sua mente aveva formulato da qualche ora. D'altronde, anche lei se n'era andata via da quello studio con passo furente, espressione altrettanto nera e crucciata, senza dire una parola.
Che avesse combinato Tom il trambusto? O l'avesse combinato lei? Ormai il rapporto tra quei due era diventato un enigma. In un certo qual modo, forse, lo era sempre stato... Ma ora era letteralmente degenerato, da quel giorno in aeroporto.
Sospirò pesantemente e decise che ormai era passato il giusto numero di ore e che Tom, volente o nolente, gli avrebbe spiegato cosa fosse successo. Bussò delicatamente alla porta della stanza del chitarrista e tutto ciò che udì fu un pesante e quasi lugubre “Chi è?”. Deglutì quasi a fatica – quel tono lo adottava solamente quando i casi erano davvero gravi – e mormorò il suo nome. Con sorpresa, ricevette il consenso ad entrare da parte di suo fratello, così abbassò la maniglia e fece capolino in quella stanza. Era completamente buia, le finestre erano chiuse e le tende tirate. Quasi fece fatica a riconoscervi all'interno il gemello.
Da quando si chiudeva a quel modo, in se stesso, quasi come un depresso cronico?
« Tom... » sussurrò appena il vocalist, avvicinandosi lentamente al letto sfatto, dove il chitarrista giaceva rannicchiato in posizione fetale.
La questione è molto grave, pensò preoccupato il ragazzo, sedendosi poi accanto a lui.
« Non riesco a capire perchè mi sento in questo modo. Alla fine è una ragazza come le altre, cazzo. » mormorò il chitarrista, senza guardarlo. Bill decise di farlo parlare e fargli esternare i pensieri più intimi, senza intervenire. « Mi fosse capitata la stessa cosa, avessi ricevuto le stesse accuse e la stessa verità da un'altra, ci avrei riso sopra. Ora mi sento invece una viscida ameba e non è normale. » continuò infatti Tom. « Mi sta solo mandando in confusione. » borbottò di nuovo, massaggiandosi una tempia.
« Questo perchè lei non è come le altre. Ti devo ricordare che ne sei stato attratto seriamente? » decise di intervenire Bill.
« Sì, lo so, ma non è comunque normale perchè mi è passata da un po' quest'assurda attrazione. »
« Ehm, sei sicuro? »
Tom si prese qualche attimo di riflessione, per poi rispondere in fretta, dandosi dello stupido solamente per il fatto di averci pensato.
« Certo! » esclamò forse con eccessiva enfasi. Bill sorrise appena, senza farsi notare dal chitarrista, o avrebbe sentito atterrare la lampada poggiata sul comodino, dritta sulla sua testa.
« Beh, allora finalmente abbiamo trovato una donzella in grado di tenerti testa, SexGott. » commentò maliziosamente, ricevendo così l'occhiata truce da parte di suo fratello. « Apparte gli scherzi, che ne dici di uscire da questa stanza, dato che ci sei stato tutto oggi ad ammuffire? Così escogitiamo anche qualcosa per il compleanno di questa donna che manda in confusione il mio adorato fratellino. »
« Bill, è incazzata; a questo punto mi sembra altamente inutile fare questa cosa dato che probabilmente non la sfiorerebbe nemmeno lontanamente. » borbottò Tom, nascondendo il viso nel cuscino, come faceva da bambino, il che intenerì parecchio Bill. « Ho osato dirle che forse non si riavvicina a me per paura che io possa farla nuovamente soffrire. E lei mi ha detto che sono presuntuoso e che non gliene frega più niente di me. »
« E questo basterebbe per buttarti giù? Andiamo, io ti dico di peggio! »
L'espressione di sufficienza svanì immediatamente dal volto di Bill non appena ricevette la seconda fulminata da parte di suo fratello.
« Sai, Bill, sei la persona meno indicata da cui ricevere consolazioni. » borbottò il chitarrista. Bill sospirò appena, passandosi una mano dietro la nuca. Forse era vero; non era il migliore ma avrebbe per lo meno dovuto provarci.
« Ascolta, Tomi... » cominciò quindi a parlare con serietà, voltandosi più verso di lui. « Le ragazze hanno un orgoglio smisurato e l'ultima cosa che vogliono sentirsi dire è che dipendono da qualcuno. Si sentono forti abbastanza per condurre una vita in completa solitudine per poter dimostrare al mondo intero che lo sanno fare. È normale che lei abbia reagito così... E' come se implicitamente le avessi detto che è debole. »
« Ma io non volevo dirle questo, Bill... »
« Lo so, ma lei ha capito questo. E per questo non ha sopportato il fatto che tu abbia voluto insinuare che lei sia ancora presa da te. Per questo ti ha urlato tutte quelle cose poco carine... Perchè la maggior parte della gente, non appena vuole mettere in chiaro determinate cose, sputa veleno e le parole più orribili, per far sì che il messaggio – seppur non del tutto corretto – arrivi forte e chiaro. Un semplice “no, non è vero” non basterebbe. » prese una piccola pausa, studiando l'espressione attenta e pensierosa del gemello. « Per questo ti consiglio di non crucciarti troppo per questa cosa. Con molta probabilità, subito dopo averti detto quelle cose, si è pentita. E fidati quando ti dico che questa festa è un modo per coglierla talmente di sorpresa da farle dimenticare tutto ciò che è successo stamattina. » concluse con un lieve sorriso di incoraggiamento. Tom ricambiò dopo qualche istante quel sorriso spontaneo ed allungò le braccia per stringere affettuosamente suo fratello, che si era nel frattempo chinato verso di lui.
« Grazie, Bibi. »


Domenica, tre Novembre.
Leggeva quella data sul calendario con estremo fastidio.
Il primo giorno dei suoi ventidue anni. Non se li sentiva addosso; aveva percepito sempre dentro di sé l'animo di una bambina che aveva perennemente avuto paura di crescere e che in qualche mese aveva dovuto fare quell'enorme salto di qualità che tanto la spaventava. Si era sempre definita la copia femminile di Peter Pan e, anche se la cosa pareva un po' ridicola, era la più pura verità. L'arrivo di una figlia aveva sconvolto tutto ma... Ormai vi aveva fatto l'abitudine. Il punto era che aveva voglia di risvegliare quel suo spirito puerile ma la domanda che le disturbava continuamente i pensieri era: “è giusto nei confronti di Eveline?”. Aveva il diritto di divertirsi di tanto in tanto? Aveva il diritto di essere spensierata per qualche attimo, dato che da un anno e mezzo a quella parte non era più stato possibile? Aveva bruciato troppo velocemente le tappe della sua giovinezza e ora sentiva un piccolo nodo allo stomaco e alla gola... Rimorso? Rimpianto?
« Auguli, mamy! » quell'esclamazione la fece letteralmente sobbalzare, per poi voltarsi in direzione di Eveline che correva instabile verso di lei con le braccine tese. Un secondo prima che potesse diventare un tutt'uno col pavimento, Monique la afferrò al volo non appena la vide inciampare.
« Tesoro, a malapena cammini. Non ti mettere a correre in questo modo; ti fai male. » ridacchiò la ragazza, tenendola su un fianco mentre lei l'abbracciava stretta. « Comunque grazie, piccina. » aggiunse la mora, schioccandole poi un bacio sonoro sulla guancia liscia. « Stamattina andiamo a trovare i nonni, ti va? » le sorrise successivamente.
« Ti! I nonni! » esultò Eveline, battendo le manine, com'era solita fare.
« Dai, andiamo a prepararci. » sorrise Monique, intenta a raggiungere la camera da letto. Il divertimento poteva aspettare; quella bambina le stava riempendo la vita di gioia.


« Ma dimmi te se devo entrare in casa di Monique dal balcone, come un perfetto ladro... » borbottò Tom, a braccia conserte, mentre davanti a sé Jessica tentava di arrampicarsi per scavalcare la ringhiera. « Se ci becca qualcuno è la fine della mia reputazione, del mio lavoro, delle mie scopate, della... »
« Sta' zitto, treccina. Se non vuoi farlo non sei costretto. » lo interruppe scocciata Jessica, qualche secondo prima di atterrare con un ultimo sforzo all'interno del piccolo terrazzo. « Perchè non hai fatto il giro assieme agli altri, se non volevi arrampicarti? » lo osservò dall'alto con un sopracciglio sollevato.
« Perchè sennò mi toccava portare tutti quei sacchi. » sbuffò il chitarrista, mentre si aggrappava con le mani alla ringhiera e con i piedi cercava di darsi la spinta per oltrepassarla.
« Sei uno scansafatiche. » lo etichettò la rossa mentre lo afferrava per la maglia per facilitargli il lavoro. « Dai, muoviamoci. » disse poi, una volta che entrambi si trovarono sul balcone, andando ad aprire la porta finestra.
Tom aveva uno strano ricordo di quel posto: quella sera in cui, sfiorando Monique con quei baci a fior di pelle, aveva dato il via a quei dannati tormenti sia nella testa della ragazza che nella sua.
Una volta entrati nell'appartamento, lo trovarono perfettamente silenzioso ed in ordine, segno che lei non c'era, proprio come aveva previsto Jessica. Quest'ultima andò ad aprire la porta, con le chiavi di riserva che trovò sulla mensola, dalla quale entrarono Georg, Gustav e Bill con dei pesanti sacchi per uno.
« No, no, fratellino, lascia stare, facciamo da soli... Grazie comunque per il pensiero. » disse con sarcasmo Bill, poggiando il suo sacco per terra, mentre Tom era immobile al centro della stanza – che ovviamente non aveva parlato – ed accusava il colpo con una smorfia.
« Bene, cominciamo a rallegrare un po' questa stanza! » esclamò Jessica, sfregandosi le mani.


Sua madre aveva fatto trovare per il loro arrivo uno squisito pranzetto. Monique adorava la sua cucina; fin da piccola non vedeva l'ora che la donna si ingegnasse per qualche nuova invenzione, che poi lei mangiava sempre con gusto.
Erano seduti a tavola. Eveline, posta sul seggiolone, ascoltava l'allegra conversazione familiare e mangiava imboccata da sua madre.
« Sta crescendo davvero bene la piccola; sono fiera di te, tesoro. » sorrise Ester, osservando proprio Eveline con un enorme sorriso pieno d'orgoglio che la bambina ricambiò spontaneamente.
« Beh, fortunatamente non è difficile... E' molto tranquilla e non mi fa quasi mai arrabbiare. » rispose Monique per poi portarsi alla bocca un pezzo di lasagna. Successivamente ne prese un altro pezzettino molto più piccolo, vi soffiò sopra e poi lo allungò verso la bocca di Eveline, la quale lo mangiò molto volentieri.
« Se penso che continuavi a ripetere che non volevi bambini... » ridacchiò di nuovo la madre, ormai nonna.
« Mi sono ricreduta. »
« Nonno, palla! » esclamò improvvisamente Eveline, prima di mangiare un altro pezzettino di lasagna che Monique le stava nuovamente porgendo. La ragazza ed Ester scoppiarono a ridere, voltandosi verso Alfred che sorrise in imbarazzo.
« Lo sai che il nonno è timido e non parla spesso. » disse Monique, divertita. Eveline gonfiò le guance imbronciandosi appena. Monique sapeva perfettamente che da un momento all'altro sarebbe scoppiata a ridere, così decise di anticipare quel momento. Allungò un dito verso una guancia di sua figlia e premette appena in modo che la piccola facesse una pernacchia. Eveline, infatti, prese a ridere, contagiando anche il resto della tavolata. Era una bambina sempre allegra ed apparentemente non le mancava nulla. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e portava gran serenità con lei, ovunque andasse.
Monique pregava perchè quella perfetta situazione non mutasse.


« Tom, smettila di barcollare, tienimi bene o caschiamo tutte e due per terra come pere cotte! » esclamò Jessica, seduta a cavalcioni sulle spalle del chitarrista, il quale cercava di sostenerla come meglio poteva. La rossa stava provando ad appendere uno striscione di auguri sul muro, ma con lo scarso aiuto del ragazzo non riusciva a portare a termine quell'opera.
« Ma come cazzo faccio? Pesi ottantacinque chili! » ribattè il chitarrista con il viso bordeaux per lo sforzo.
« Grazie per i venticinque chili in più che mi hai dato. » commentò con sarcasmo la rossa. « Sei te che non hai muscoli sotto questi innumerevoli strati di stoffa. Sarà per questo che ti vesti sempre con abiti larghi... Per coprire ciò che non c'è. » continuò acida.
« Eddai, smettetela. » ridacchiò Georg dall'altra parte della stanza, intento a gonfiare palloncini, assieme a Gustav. Bill invece stava sistemando sul tavolo rettangolare bibite e cibo di ogni genere, molto poco salutari. Finalmente Jessica riuscì ad attaccare due lembi dello striscione, ma ne mancavano altri due dalla parte opposta.
« Mollami, treccina, mi faccio aiutare da Hagen per gli altri due; non vorrei che ti spompassi eccessivamente. » lo canzonò la ragazza, mentre questo la poggiava nuovamente sul pavimento, con un verso affaticato. Georg, udito il suo nome, si alzò da terra e raggiunse la ragazza, mentre Tom le faceva il verso per poi sedersi sul divano e poggiarsi una rivista sulle ginocchia. All'interno vi erano scritti ed illustrati tutti i segni dello zodiaco, con la rispettiva descrizione caratteriale affianco.
« Monique dovrebbe essere del segno dello Scorpione... » disse Tom ad alta voce, cercando quell'inquietante animaletto con le chele. « Le persone con posizioni di rilievo in questo segno sono misteriose, ambiziose e dotate di un fascino a volte sinistro. Testarde e vendicative, possiedono un'ironia sferzante e un intuito profondo. Sia il sesso che l'erotismo hanno un ruolo centrale nella loro vita ma le relazioni amorose si rivelano il più delle volte particolarmente complesse. Esigenti e contraddittorie, pretendono molto dagli altri, ma sanno dare altrettanto, in entrambi i casi spesso facendolo solo intuire. Orgogliose e consapevoli delle proprie qualità, nascondono una sensibilità profonda che può mettere a rischio le loro sicurezze e di frequente li rende preda del dubbio... Oh beh, si spiegano tante cose. » concluse il ragazzo, piuttosto interessato a tale ritratto della persona di Monique.
« Che ti avevo detto? » sorrise soddisfatto Bill, mentre versava le patatine dalla busta ad una scodella rossa.
« Invece di startene lì a poltrire e leggere cose che neanche capisci, perchè non ti rendi utile per questi preparativi? » intervenne Jessica, sulla spalle di Georg – il quale sembrava molto meno provato di Tom dal peso della ragazza – intenta a sistemare anche gli altri due lembi dello striscione.
« E tu di che segno sei, donna particolarmente irritante? » la stuzzicò il chitarrista. « Oh sì, Monique un po' di tempo fa mi ha detto che sei una testarda Ariete! Dunque... Nella sua apparente semplicità, l'ariete è visto talvolta come il più inafferrabile dei dodici segni... Bla, bla, bla... Oh! Impazienti ed egoiste, amano detenere il potere. Hanno un carattere battagliero ed uno spirito giovanile. Come mai non mi sorprende questa cosa? » sorrise furbescamente il ragazzo. Jessica scese dalle spalle del bassista e lo raggiunse al divano, strappandogli il giornale di mano.
« Vergine: le persone con posizione di rilievo in questo segno zodiacale sono caratterizzate da un'intelligenza acuta e sottile... Questo lato caratteriale te l'ha fregato sicuramente tuo fratello. La loro indole ipercritica e pignola può farli risultare pedanti. Musica per le mie orecchie! Di carattere timido e alle volte apparentemente remissivo, sono tuttavia dotati di una lingua tagliente, di una sensibilità acuta e di notevoli doti professionali e dialettiche?! Beh, anche questa è l'analisi di Bill. » borbottò Jessica, buttando il giornale sul divano, suscitando così risate di soddisfazione da parte di Tom.
« Anche un giornale astrologico ti da contro; arrenditi, rossa. »


Monique osservava con stupore la catenina che i suoi genitori le avevano regalato per il suo compleanno, contro il suo volere. Era in oro bianco con una piccola medaglietta a forma di M, cosparsa di brillantini. Era semplice e delicata, ma stupenda.
Anche Eveline aveva ricevuto un regalino, nonostante non fosse il suo compleanno: era d'abitudine da parte dei nonni, ogni volta che li andavano a trovare. Non era stupida la piccola ad adorare particolarmente quelle persone tanto generose. Le avevano comprato un cappellino rosa, con un pon-pon sull'estremità e la bambina ne era molto entusiasta.
Ester aveva anche preparato una buonissima torta, con le sue mani, ornata di una bellissima scritta al cioccolato “Tanti auguri, piccola mamma”. Monique non si stupì nel percepire le calde lacrime di commozione scorrerle lungo le guance. Perchè lei era dannatamente orgogliosa, dannatamente dura, e crollava miseramente in tali circostanze.
Si era fatta sentire anche un'improvvisa voglia di trascorrere quella giornata con Jessica e... Sì, i Tokio Hotel. Questo perchè lei era un'incapace. Sudava tanto per instaurare rapporti, impiegava cinque secondi ad infrangerli.


Tom si era rifugiato in camera di Monique. Avevano finito già da qualche minuto di preparare il tutto per la festa a sorpresa e ne aveva approfittato per congedarsi dagli altri e passare qualche attimo da solo con le sue riflessioni.
Scrutò attentamente quella stanza; aveva proprio il tocco di una ragazza e soprattutto di Monique: il letto matrimoniale era ricoperto di una federa di un tenue color panna con il disegno di un'enorme farfalla al suo centro, delle varie tonalità di porpora. Accanto vi era la culla di Eveline, bianca e piena di cuscinetti.
Era dannatamente accogliente quella camera, così calda ed in ordine che Tom provò l'improvviso impulso di sdraiarsi sul quel letto, anche solamente per sentire che profumo avesse.
Sorrise appena a quei pensieri, rendendosi conto di quanto quella ragazza l'avesse cambiato. Un tempo non avrebbe mai fatto tali ragionamenti su una donna. Ora era un qualcosa di automatico, di piacevolmente naturale.
Voltò lo sguardo e notò sul comodino una foto che ritraeva una bambina di qualche anno: non poteva decisamente essere Eveline, anche se ci assomigliava molto. No, quella bambina aveva degli occhioni castani e molto più malinconici di quelli di Eveline. Prese la piccola cornice e se l'avvicinò al volto, scrutando il viso così chiaro di Monique, la quale, più che sorridere all'obiettivo, lo guardava con espressione quasi incantata... Come stesse osservando il vuoto, con una lieve smorfia che forse provava ad essere un sorriso.
« Non è mai stata realmente felice. » la voce di Jessica, alle sue spalle, lo prese alla sprovvista, ma non si voltò. Restò ad osservare pensieroso quella foto. « E neanche ora lo è, anche se dice di esserlo. Basta leggerlo nel suo sguardo sempre un po' malinconico, come quello di questa foto. » continuò la rossa con delicatezza. Il chitarrista sentì i passi dietro di sé avvicinarsi sempre di più; vide la mano della ragazza allungarsi oltre la sua figura e sollevare un po' la cornice, senza superare le sue spalle. « Forse tu sei la persona adatta a far sì che queste labbra si curvino verso l'alto con sincerità, che dici? »
Tom non rispose; semplicemente registrò quelle parole, prima che la voce di Georg raggiungesse le sue orecchie come un fulmine a ciel sereno.
« Ragazzi, è arrivata Monique! »


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Capitolo 6
*** Six. ***


6

Six.



« Mamy, pecchè oggi no tiamo tate co la Tia Gege? » domandò ingenuamente Eveline, stretta in braccio alla sua mamma che era appena uscita dalla macchina per raggiungere il portone del loro condominio.
Monique sospirò appena: era ancora nervosa e, in un certo senso, pentita di aver trattato a quella maniera imperdonabile Jessica. Si sentiva arrabbiata con lei ma al contempo percepiva il bisogno di passare quelle restanti ore del suo compleanno – pur avendo sempre sostenuto che non le importava nulla – in sua compagnia. Se avesse cercato di porre un chiarimento a quella situazione, forse tutto ciò che aveva in mente si sarebbe realizzato, ma il suo dannato orgoglio le impediva di fare qualunque cosa.
« Te l'ha detto; aveva da fare. » cercò di rispondere con dolcezza, non appena furono entrate in ascensore. Sarebbe arrivata a casa, si sarebbe stravaccata sul divano ed avrebbe trascorso il suo tempo lì, con la consapevolezza che avrebbe sempre vissuto con il rimorso di non aver passato il suo compleanno con la sua migliore amica.
Uscirono dall'ascensore – Eveline sempre stretta dalle sue braccia – e, con la mano libera, Monique aprì la porta di casa. Era tutto tremendamente buio e cercò a vuoto l'interruttore, fino a che non lo trovò e vi premette sopra per dare un po' di luce a quell'ambiente.
« Auguri! » l'urlo che si levò in quella casa, di tante voci distinte all'unisono, che subito fece fatica a riconoscere, la prese in contro piede. Si era spaventata e anche Eveline era sobbalzata, stringendole impaurita il collo con le braccia. Chi poteva aver fatto irruzione in casa sua, senza le chiavi?
Improvvisamente la mora vide cinque teste sbucare, una dopo l'altra, da dietro il divano: Jessica, Tom, Bill, Georg e Gustav. Il respiro le si smorzò.
Sollevò gli occhi e trovò un'enorme striscione, attaccato da un'estremità all'altra della parete, che recitava un “Buon compleanno!” di colore rosso acceso, su sfondo giallo. Attorno a lei, tutta la casa era addobbata meravigliosamente: palloncini in ogni angolo, tante cose buone da mangiare... Deglutì a fatica l'enorme groppo che le si era venuto a formare in gola.
Sentiva le lacrime accumularsi sempre di più sui suoi occhi, intente a spingere per uscire allo scoperto, contro il suo volere. Il cuore batteva all'impazzata ed una voglia smisurata di abbracciare ogni singolo componente di quell'appartamento bruciava dentro di lei. Era semplicemente senza parole ma un grande senso di gratitudine era il minimo che potesse provare.
Posò leggermente a terra Eveline e si lasciò accogliere fra le braccia di Jessica che era nel frattempo corsa verso di lei. Chiuse gli occhi, facendo sì che le lacrime che tanto si era impegnata per non far notare, colassero copiose lungo le sue guance. Si strinse con tutta la forza che aveva al corpo della sua migliore amica, ritrovandone quel senso di casa, di famiglia che da un giorno e mezzo non aveva più sentito interamente. Era arrivata al momento giusto per riempire quel vertiginoso vuoto che l'aveva resa così inquieta per tutto quel tempo.
« Ora capisci cosa tramavamo io, Tom e gli altri, a tua insaputa? » le sussurrò all'orecchio la rossa, facendola sentire più piccola di una formica. L'aveva trattata a pesci in faccia, l'aveva sbattuta fuori di casa e non aveva riposto fiducia in lei, nell'esatto momento in cui lei invece si stava facendo in quattro per organizzare quella festa a sorpresa.
« Scusami. » le venne spontaneo dire, con il cuore in mano.
« Ti voglio bene. » fu la semplice risposta della sua migliore amica.
Quando si staccarono, posò gli occhi sui ragazzi, asciugandosi appena le lacrime. Tom la guardava timido, con un lieve sorriso sulle labbra, forse ancora in imbarazzo per ciò che era successo nello studio.
Un secondo senso di colpa la scosse brutalmente; prese così un bel respiro e, senza riflettervi troppo, si avvicinò al chitarrista. Tremante, allungò le braccia verso di lui e con esse circondò il suo busto piacevolmente caldo. Chiuse nuovamente gli occhi, poggiando la tempia sul suo petto e sorridendo appena.
Di nuovo quell'odore inconfondibile che le piaceva tanto; di nuovo quel calore di cui non aveva mai potuto fare a meno.
Quando sentì le braccia del ragazzo circondarle le spalle, si sentì straordinariamente bene e ancor di più non appena udì il cuore di quest'ultimo battere all'impazzata... Proprio come il suo.
« Grazie. » sussurrò, mentre il chitarrista le accarezzava dolcemente i capelli per posarvi poi un lieve bacio.
« Di nulla. »


La musica ad alto volume risuonava all'interno dell'abitazione di Monique, decisamente poco incline a preoccuparsi del vicinato o dell'orario poco consono per dare una festa. Eveline si trovava al centro del salotto, circondata dalle alte figure di Gustav e Bill che ridevano, battendo le mani, mentre la piccola ballava – o per meglio dire, si agitava – più o meno a tempo di musica.
Monique era esterrefatta, oltre che divertita: mai aveva visto sua figlia dare sfoggio di tanta disinvoltura agli occhi di altre persone. La sua eccessiva timidezza sembrava solo un vago ricordo.
« Guarda come sculetta! » rise intenerita Jessica, indicandole proprio la bambina che ora aveva preso a ballare assieme a Bill, il quale la teneva per le manine, piegato totalmente verso di lei, dato che una buona ottantina di centimetri li separava. « Dai, vieni a ballare con me. Sei la festeggiata, non puoi startene ferma lì! » esclamò successivamente la rossa, afferrandola per una manica della sua maglietta e trascinandola poi assieme a loro. Monique lanciò un'occhiata a Tom, il quale era appoggiato al davanzale con un bicchiere di birra in mano, affianco a Georg. Rabbrividì non appena lo vide sorriderle e si maledì mentalmente per averlo cercato con lo sguardo, pur involontariamente.
Era qualcosa di troppo più forte di lei: nonostante si sentisse ancora tremendamente attratta da lui – ormai non poteva più negarlo – preferiva mantenere comunque le giuste distanze. Fargli capire che un certo interesse albergava ancora dentro di lei non era decisamente conveniente. Le aveva comunque fatto del male e non voleva piegarsi immediatamente o cadere ai suoi piedi.
Cercò di non pensare a nulla e divertirsi assieme a Jessica, Gustav e Bill che avevano preso a ballarle attorno – mentre il batterista teneva Eveline in braccio – come non faceva da tanto tempo. Si sentiva libera di poter ridere a crepapelle di sua spontanea volontà. Si sentiva libera di passare un momento della sua vita talmente sereno e disinvolto che fosse in grado di ricordarle che aveva solo ventidue anni e si stava perdendo forse le cose più belle della sua giovinezza. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza la sua migliore amica che con una serata le aveva fatto riscoprire i piaceri del divertimento; quello puro, in mezzo agli amici. Avere una figlia le aveva riempito la vita ma non significava che avesse finito di trascorrere la sua giovane età nel migliore dei modi.
Improvvisamente Bill la afferrò per un braccio, prendendo a farla volteggiare per la stanza. Monique continuava a ridere come non aveva mai riso prima di allora. Si sentiva finalmente in pace con se stessa o per lo meno priva di pensieri negativi.
« Bill! » strillò divertita, proprio mentre prendeva a girarle la testa, fino a che non si sentì mollata letteralmente dalla sua presa per finire addosso ad una figura alta ed imponente, che la afferrò al volo: Tom. Quando sollevò lo sguardo si sentì sprofondare, non appena vide il suo sorriso a qualche centimetro di distanza ed i suoi occhi nocciola immersi nei suoi.
Devo ricordarmi di uccidere Bill, pensò immediatamente la ragazza, immaginando che il vocalist l'avesse fatto apposta a lasciarla scontrare con suo fratello. Non si sentiva più a proprio agio; ora era nervosa, percepiva le sue ginocchia tremare e reggerla a malapena, se non fosse stato per il sostegno del chitarrista.
No, non avrebbe potuto mandare avanti quella situazione.
« Scusa. » gli sorrise appena, per poi allontanarsi con la scusa di riempirsi un bicchiere di aranciata, al tavolino affianco al divano. Averlo a distanza così ravvicinata la metteva a disagio e soprattutto la rendeva inerme. Non lesse cosa il suo volto esternò per tale allontanamento, ma immaginò che non l'avesse preso positivamente.
Avrebbe trovato un modo efficacie per riuscire a guardarlo, a parlarvi, a starvi vicino senza che i suoi pensieri vorticassero attorno alla parola “Attrazione”? Sentiva ogni molecola del suo corpo tremendamente spinta ad avvicinarsi a lui, ma il suo cervello e soprattutto la sua coscienza le suggerivano il contrario.
« Che ne dici di aprire il nostro regalo, Monique? » propose improvvisamente Georg, con un bicchiere di vino in mano.
« Tì! » esclamò Eveline, persino più entusiasta di lei.
« Mi – mi avete fatto anche un regalo? Pensavo fosse già tutto questo! » esclamò la mora esterrefatta. Non si aspettava assolutamente di trovare persino qualcosa da scartare; primo perchè odiava ricevere regali. Erano un qualcosa che la mettevano seriamente in imbarazzo. Secondo perchè le sembrava già abbastanza e tremendamente generoso ciò che avevano fatto per lei, fino a quel momento.
« Certo! » rispose Jessica, passandole successivamente un enorme sacchetto con un fiocchetto rosso sulla cima. Monique, con mano tremante, lo accettò per poi poggiarselo sulle ginocchia, una volta che si fu seduta sul divano. Non sapeva assolutamente che dire, perciò prese a scartare il tutto, mentre Eveline si arrampicava sulla federa per sedersi accanto a lei, tremendamente incuriosita.
« Che cot'è? » domandò attenta, senza staccare gli occhi dal movimento delle mani della sua mamma. Monique non rispose, fino a che non ne tirò fuori una scatola di modeste dimensioni che subito non riconobbe, ma che successivamente amò con tutta se stessa: il cellulare che tanto aveva desiderato comprarsi ma che, per una ragione o per un'altra, non aveva avuto il tempo di rendere suo. « Acchìo lo voio il tellulale! » esclamò la piccola, entusiasta.
« Tra qualche anno, ne arriverà uno anche a te. » le sorrise Jessica, per poi tornare a dedicare la propria attenzione alla mora. « Ti piace? » le domandò retoricamente, dato che sapeva alla perfezione che era proprio quello che voleva.
« Io non so che dire, davvero. Grazie mille a tutti; è stupendo. » disse balbuziente e con gli occhi che le brillavano. Ed era vero... Adorava immensamente tutto ciò che con tanta cura avevano organizzato solo per lei.


Quando aprì gli occhi, il buio fu tutto ciò che poté focalizzare, attorno a lei. Si sentiva frastornata e per un momento non comprese dove si trovasse o semplicemente cosa stesse succedendo. Era stata svegliata da uno strano rumore, piuttosto ripetitivo e, solamente quando si voltò in direzione del divano, illuminato dalla lieve luce lunare, seppe associare tale fatto alla figura di Georg. Il bassista stava delicatamente russando, con la bocca aperta ed il capo reclinato sullo schienale del divano. Affianco a lui, Bill era sdraiato a pancia in su con la piccola Eveline teneramente addormentata addosso al suo busto.
Monique sentì un enorme calore al petto, alla vista di quella scena così delicata.
Voltò lo sguardo per scrutare il resto della stanza e notò Jessica rannicchiata sulla poltrona, con Gustav ai suoi piedi, e Tom seduto a terra con la schiena poggiata alle gambe di Georg. Tutti sembravano pacificamente assorti in un sonno profondo, nonostante le posizioni evidentemente scomode per la maggior parte di loro.
La mora si portò una mano alla schiena, con una smorfia di dolore e, solo in quel momento, si rese conto che anche lei si trovava seduta sul pavimento, con la spalla poggiata al fianco della poltrona, dove giaceva Jessica. Stuzzicata dal russare continuo di Georg, si mosse appena per stiracchiarsi ed acquisire nuovamente la sensibilità della sua povera schiena, per poi alzarsi in piedi, senza fare alcun rumore, nonostante ce ne fosse già abbastanza, a causa di quella sottospecie di motosega.
Camminò silenziosamente in mezzo al salotto fino a che non mise piede sul terrazzo, uscendo dalla portafinestra. Un'aria gelida, tipica della notte berlinese, le punse contro la pelle coperta ancora dai suoi vestiti di qualche ora prima. Sentiva freddo ma al contempo non aveva assolutamente voglia di rientrare, poiché il sonno era sfumato fino a scomparire. Poggiò i gomiti sulla ringhiera ed osservò distrattamente la Luna, ancora piacevolmente scossa dalla precedente festa di compleanno. Senza dubbio quello andava a finire nell'immaginaria lista dei più belli che avesse mai festeggiato.
« Ma sei pazza, ti vuoi prendere una polmonite? »
Sobbalzò nell'esatto momento in cui il chitarrista, alle sue spalle, sussurrò esterrefatto quelle parole.
« Mi hai fatto spaventare, cazzo! » esclamò a bassa voce Monique, cercando nel frattempo di riprendere fiato. Il ragazzo era uscito sul terrazzino, sfregandosi una mano su un braccio; segno che aveva molto freddo. « Che ci fai sveglio? » domandò la mora, osservandolo di sbieco, mentre le si avvicinava.
« Ti ho sentita alzarti. E poi Georg non è l'esatta ninnananna che vorrei. » commentò Tom con sano sarcasmo, al che Monique non poté trattenersi dal sorridere appena.
« Tu non rischi, invece, di prenderti una polmonite? » chiese poi, inarcando un sopracciglio, mentre anche il chitarrista si appoggiava alla ringhiera, accanto a lei.
« Almeno ci facciamo compagnia, se ci ammaliamo tutti e due. » sorrise lui, osservandola attentamente, costringendo Monique ad abbassare il proprio sguardo, palesemente in imbarazzo.
Non lasciare che si avvicini di nuovo, continuava a ripetersi nella mente, con disperazione. E non intendeva solamente in senso fisico.
« Allora... » cominciò poi, più seriamente il ragazzo, dopo essersi schiarito la voce. « Sei contenta di com'è andata la serata? Ha superato le tue aspettative? »
« Considerando che la mia unica aspettativa era una serata fatta di una semplice minestrina, di fronte ad un film deprimente... Direi di sì. » rispose ironicamente Monique. Anche Tom sorrise appena, abbassando per un momento lo sguardo. « Apparte gli scherzi, mi ha fatto davvero molto piacere. Ne avevo bisogno. » disse poi, volgendo gli occhi al panorama sottostante e torturandosi continuamente le mani, quasi senza accorgersene.
« Era giusto che fosse così. D'altronde te lo meriti. »
« Non dopo quello che ti ho urlato contro, l'altro giorno. »
« Aaah, non ci pensare. »
Passarono diversi secondi in cui si poté udire solamente il silenzio della notte, rotto dal continuo russare proveniente dal salotto.
« Non volevo dirti quelle cose. E non a quel modo. » sussurrò improvvisamente Monique, in imbarazzo e sinceramente dispiaciuta. Si impegnava perchè i suoi occhi non incrociassero quelli di Tom e le sue mani sembravano lottare fra di loro, per quanto veemente era il loro tocco reciproco.
« Tranquilla. Io l'ho dimenticato. » rispose dolcemente il chitarrista, senza guardarla. « D'altronde avevi ragione: mi sono comportato da stronzo, presuntuoso. » aggiunse.
« Un pochino sì. » ridacchiò Monique mentre le sue guance si tingevano di un rosso acceso, nell'esatto momento in cui anche Tom si lasciò andare in una lieve risata. « Ma la mia reazione rimane imperdonabile. »
« Ti ho fatto incazzare, come al solito... E' stata più che normale. » sorrise il ragazzo.
Dattela a gambe.
Le gambe le fremettero a quel pensiero, quasi intenzionate a scappare seriamente da quel terrazzo prima che la situazione le sfuggisse di mano, quando il chitarrista tornò a parlare.
« Sai, non te l'ho detto perchè probabilmente non ne ho avuto modo: mi piace Eveline. »
No, ti prego, non dire queste cose con quella tua dannata tenerezza, non riuscirò mai a tenerti lontano.
I pensieri della mora stavano letteralmente degenerando, ma lo lasciò parlare, poiché parve non avere ancora finito.
« E' molto dolce. » continuò infatti. « Per molti aspetti, mi ricorda te. » aggiunse quasi in imbarazzo. Lo stomaco di Monique si contrasse con velocità inaudita.
« Ne sono contenta. » disse pacata, con un sorriso sincero in volto. Le aveva detto implicitamente che trovava dolce anche lei?
« So che non mi sono molto espresso in questo e che non ho fatto i salti di gioia come tutti gli altri, non appena l'ho vista ma... Mi è parso un po'... Strano, che quella piccola creatura con cui parlavo quando ancora si trovava nella tua pancia, ora sia lì, in carne ed ossa. E poi, nel frattempo, sono successe delle cose tra noi che... » si interruppe, lanciandole un'occhiata. Notando che Monique si impegnava per non fare la stessa cosa, continuò: « Beh, ad ogni modo, tengo a dirti che mi piacerebbe instaurare un rapporto amichevole con lei, così come ha fatto con gli altri. »
Monique percepì un brivido lungo la colonna vertebrale. Era esattamente il punto dove avrebbe voluto evitare di giungere.
« La vedo un po' dura, dato che lei è molto timida con le persone un po' chiuse. » cercò di non risultare dura, nonostante il chitarrista potesse percepire quel tono come accusatorio.
« E' che io non so come comportarmi con i bambini. Sono creature quasi totalmente estranee per me. Non ho mai dovuto avervi a che fare in modo così diretto ed ora mi sento un po' impacciato. Ho paura di non essere all'altezza; ho paura di non saper gestire la situazione e di non saperla prendere nel modo giusto. Ho paura di farle una brutta impressione. »
« Cos'è, Kaulitz, ora le stesse paure che mi avevi ordinato di non avere, quando ero incinta, cominci a provarle te? » sorrise Monique, inclinando lievemente la testa di lato. Le si scaldò il cuore nel momento in cui anche il chitarrista sorrise teneramente, come beccato sul colpo.
« Allora, forse, era destino che dovessimo tornare al punto di partenza... »
Monique sentì un duro colpo all'altezza del petto. La situazione stava degenerando, proprio come lei si era ripromessa di non far accadere. Aleggiava troppa dolcezza nell'aria, troppa complicità, troppa voglia di tornare ai vecchi tempi. Ma ciò era pericoloso, soprattutto per lei.
Improvvisamente sentì nello stomaco la stessa sensazione che probabilmente avrebbe provato compiendo un salto nel vuoto, quando vide il chitarrista allungare una mano verso il suo viso. Lei stava immobile, incapace di intendere e di volere. A dire il vero, erano tante le cose che avrebbe voluto fare in quel momento – tra cui darsela velocemente a gambe – ma i muscoli non rispondevano ai comandi del suo cervello. Era semplicemente ipnotizzata dai quegli occhi nocciola posati attenti sui suoi. Sembravano volerla trapassare, fino a raggiungerle l'anima.
Percepì il tocco delicato delle dita di Tom sul suo mento e del pollice sulle sue labbra tremanti.
« Tom... » balbettò, senza fiato, come a voler stroncare sul nascere un qualcosa di troppo sbagliato... Ma lui la prese in contropiede.
« Hai le labbra viola; fa troppo freddo. Rientriamo. » le sorrise mestamente, per poi abbandonare le sue labbra con una carezza lieve, fino a che non le diede le spalle per fare ciò che le aveva consigliato.
Solo in quel momento, Monique riprese a respirare.


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Capitolo 7
*** Seven. ***


7

Seven.



Da ore ormai leggeva la stessa frase ripetutamente. Era tremendamente distratta e nonostante conoscesse il motivo, lo stava ignorando spudoratamente, come a non voler dare soddisfazione al proprio inconscio che si impegnava per disturbarla.
Aveva creduto che l'avrebbe baciata.
Quel pensiero la tormentava da ore e non sembrava intenzionato ad abbandonare la sua mente.
Strinse la penna che teneva tra le dita in modo automatico. Avrebbe voluto che lo facesse o no?
Ecco che di nuovo cadeva in una confusione dalla quale difficilmente sarebbe riuscita a districarsi. Continuava a convincersi del fatto che se fosse seriamente accaduto, probabilmente avrebbe esternato velocemente ira da ogni poro della sua pelle. Eppure qualcosa, dal profondo del suo cuore, le suggeriva che non era come ella credeva.
Tentò di concentrarsi inutilmente, per l'ennesima volta, sulla traduzione di cui si stava occupando e nel frattempo si chiese cosa quel pazzo di Bill stesse combinando con la sua piccola Eveline, sperando che non gliela “restituisse” semi-scioccata da una delle sue strambe idee.


« Secondo me questo colore ti dona. »
Bill pareva particolarmente entusiasta di ciò che stava facendo alla povera, piccola Eveline. Con una concentrazione ineccepibile ed un impegno smisurato, stendeva sulle unghiette della bambina uno dei suoi smalti preferiti. La piccola lo lasciava fare in silenzio ed immobile, incuriosita da quella strana sostanza dall'odore acre, mai vista prima di allora.
« Ma se è trasparente... » commentò con un sopracciglio inarcato Georg, che sedeva al tavolo, accanto a loro, con la testa poggiata pigramente alla mano.
« Taci tu, che non te ne intendi. » ribattè il vocalist con una smorfia, mentre portava avanti la sua opera.
« Oh, mio Dio, ma che stai facendo? »
Gustav aveva fatto irruzione in cucina ed era rimasto semplicemente scioccato dall'inquietante scena che gli si presentava davanti agli occhi.
« Le metto lo smalto. » rispose Bill con ovvietà.
« Ha un anno e mezzo! » gli ricordò quel piccolo dettaglio il biondino, con disperazione. « Monique ti ucciderà! »
« Invece le piacerà. »
Gustav sollevò gli occhi al soffitto, deciso ad arrendesi, poiché altro non poteva fare. Combattere con Bill era come farlo con i mulini a vento; la ragione sarebbe stata sempre la sua ed avrebbe avuto sempre buoni argomenti a sostenere le proprie tesi.
« A te piace, piccola? » domandò Bill ad Eveline, non appena finì di dipingerle le unghie delicate. La piccola annuì energicamente, portando il ragazzo a mostrare una sentita linguaccia in direzione del batterista, il quale si limitò a fare una smorfia di dissenso.
« L'ha detto solo perchè non ti vuole offendere. » commentò il biondino mentre Eveline allungava le braccia verso Bill per farsi prendere in braccio e posare a terra. Un po' barcollante, uscì dalla cucina, sotto gli occhi incuriositi dei ragazzi, e prese a vagare per lo studio di registrazione, intenta ad ispezionarlo per ogni angolo, poiché non aveva ancora avuto occasione di farlo interamente.
Ad un tratto, la sua attenzione venne catturata da una dolce melodia, proveniente dalla stanza che trovò di fronte a sé. Dopo aver battuto qualche attimo le palpebre, come particolarmente attratta da quelle note un po' malinconiche, vi si avvicinò con passetti insicuri, tipici di una bambina non ancora in grado di camminare con sicurezza. Si affacciò all'interno di quella stanza e, con sua sorpresa, vi trovò il chitarrista, seduto sul divanetto, intento a suonare il suo strumento preferito con ammirevole devozione.
La piccola si fermò ad ascoltarlo e ad osservarlo rapita, tenendo gli occhi fissi sulle sue dita che si muovevano così sinuosamente e con delicatezza sulle corde.
Tom, dal suo canto, credeva di essere solo. Teneva gli occhi chiusi e muoveva appena il capo, seguendo il ritmo lento e quasi romantico di quella canzone, creata sul momento. Immagini sfocate vagavano nella sua mente, la maggior parte ritraente il volto di Monique. Percepiva un enorme nodo allo stomaco al solo pensiero di ciò che stava facendo: non gli era mai capitato di suonare pensando ad una ragazza ma quella mattina era stata una cosa automatica. Aveva semplicemente afferrato la sua chitarra, se l'era posata sulle gambe e, vedendo davanti a sé la mora – artefice di ogni suo travaglio interiore – aveva mosso spontaneamente le dita lunghe ed affusolate sulle corde; come se quella canzone fosse già stata scritta per lei.
Si sentiva inquieto: aveva passato la maggior parte del tempo a negare una possibile attrazione nei confronti della ragazza-madre ma ora non era più sicuro di niente. La sua bocca rilasciava parole apparentemente convinte ma poi i suoi pensieri formulavano immagini e situazioni ben diverse.
Non era esplicito il pensiero di loro due assieme; semplicemente vi era Monique, con i suoi sorrisi, con il suo modo di fare a volte timido, a volte aggressivo. Ma con la sua fragilità ed il suo bisogno di avere qualcuno accanto che la rendesse felice e che la facesse sentire ancora desiderata, nonostante la presenza di una figlia.
Ora doveva solamente capire se i sentimenti che provava nei confronti di Monique erano così forti da prospettare un qualcosa di più grande, assieme a lei, o erano innocenti, tipici di un amico assai premuroso e pieno d'affetto.
Con un sospiro, aprì gli occhi e, alla vista della piccola Eveline, dietro lo stipite della porta, sbagliò accordo, producendo un suono stonato e poco gradevole.
« Hey. » fu il semplice e tremolante sibilo che riuscì ad esternare, rimanendo immobile a fissarla. La bambina sembrava intimidita e, con un ditino in bocca, si avvicinò lentamente a lui.
Le mani di Tom presero a sudare: non gli era mai capitato di trovarsi solo con Eveline e se già si sentiva una frana nei suoi confronti, in presenza degli altri, non sapeva proprio come avrebbe fatto senza l'aiuto di nessuno.
« Tei blavo. » sussurrò la bambina, scrutandolo appena. Il cuore di Tom parve sciogliersi improvvisamente, tremendamente intenerito da tale timida confessione.
« Grazie. » sorrise insicuro. Che avrebbe dovuto fare o dire?
« Cot'è? » chiese quindi Eveline, indicando lo strumento che teneva ancora fra le braccia.
« Oh... Una chitarra. Ti piace? »
« Tì. »
Le dita di Tom si muovettero impercettibilmente, come intenzionate a fare un qualcosa di cui non era ancora convinto. Poi decise di provarvi: d'altronde non avrebbe mai potuto capire, senza agire.
Con un dolce sorriso sul volto – in grado di nascondere la tensione che si stava accumulando sempre più, nel suo corpo – spostò la chitarra su un lato del divanetto, per poi allungare appena le mani in direzione della bambina che, spontaneamente, sollevò le proprie braccia. Il chitarrista la afferrò delicatamente e la sollevò da terra, fino a farla sedere sulle proprie gambe.
Si sentiva completamente impacciato: non aveva mai tenuto un bambino in braccio; non aveva mai parlato con un bambino; non aveva mai interagito con un bambino. Stava scoprendo tutto sul momento; stava semplicemente sperimentando, pregando che ciò portasse alla giusta soluzione.
Sentì un enorme calore al petto quando la schiena di Eveline si appoggiò ad esso ed i suoi occhietti si sollevarono in direzione del suo volto, come ad attendere un ulteriore segnale da lui. Deglutì quasi a fatica e poi afferrò nuovamente la chitarra che pose sulle sue ginocchia, oltre le gambe della bambina che stavano a penzoloni ai loro lati, per non farle male.
Prese un bel respiro e successivamente le sue dita tornarono ad accarezzare le corde tese del suo amato strumento; tese come lui. La stessa melodia di qualche attimo prima prese presto piede all'interno della stanza, con delicatezza, con garbo. Spostò i propri occhi sulla piccola figura in braccio a lui e notò che Eveline, con l'indice ancora tra le labbra, osservava rapita i loro movimenti.


Più tentava di scacciare il chitarrista dai suoi pensieri, più quella melodia le perforava i timpani contro il suo volere. L'adorava... Quelle note erano un qualcosa di speciale. Sembravano cogliere a fondo la sua anima, come se la conoscessero o fossero state create apposta per lei.
Non resistette all'impulso di alzarsi dalla sedia per seguire la via che quella canzone le stava mostrando, pur rendendosi conto che ciò non l'avrebbe aiutata. Camminò lungo il corridoio, sempre più rapita, fino a che non si affacciò nella stanza da dove nasceva tutto ciò.
La scena che le si presentò davanti agli occhi la portò ad immobilizzarsi, senza essere in grado di pronunciare nemmeno mezza parola: Tom sedeva sul divanetto, con Eveline in braccio, intenta ad osservarlo suonare, proprio come era già capitato a lei qualche tempo prima. La stessa devozione, lo stesso stupore che aveva provato prima di lei.
Restò a boccheggiare per svariati minuti, non sapendo quale reazione fosse la più consona da adottare. Il cuore prese a pompare sangue ad una velocità inaudita: quell'immagine la emozionava tremendamente; era dolcezza pura ed una lieve eccitazione la invase, al pensiero che Tom fosse così delicato con sua figlia.
Vi era un altro lato di lei, però, che fremeva, semplicemente perchè tutto ciò le metteva addosso tanta paura, al tempo stesso. Se sua figlia si fosse affezionata a Tom, non avrebbe più saputo come allontanarlo.
Il ragazzo sollevò improvvisamente lo sguardo e la scorse.
« Ciao. » la salutò sorpreso. Poté giurare di averlo visto arrossire.
« C-ciao. » rispose lei con estremo impaccio. Era tutto tremendamente assurdo. « Non pensavo che... »
« Mamy, hai tentito com'è blavo? » domandò ingenuamente Eveline, ancora fra le braccia del chitarrista. Monique sorrise impercettibilmente.
« Sì, l'ho sempre sentito suonare. » rispose, quasi senza accorgersene; come fosse un ricordo personale che aveva voluto rammentare con affetto. « E' una nuova canzone? » chiese poi, sollevando lo sguardo sul ragazzo.
« Oh, ehm, l'ho inventata sul momento. » disse Tom vago.
« Bella. »
« Grazie. »
Il silenzio fu protagonista per ancora qualche secondo, fino a che Monique non decise che era arrivato il momento di porre fine a quella situazione decisamente insolita.
« Beh, vieni con me, Eve? Così lo lasciamo tranquillo. » propose alla piccola che, a sua insaputa, si imbronciò appena, attaccandosi poco di più al ragazzo che sentì quasi il fiato mancare.
« Ma no, non mi da fastidio. Tanto non sto facendo nulla di particolare... Lasciala pure con me. » mormorò Tom, mesto. « Se ti va. » aggiunse appena.
No, non mi va! Urlava il cervello della ragazza, ma quattro occhi dolci la fissavano con insistenza, in attesa di un responso positivo.
« D'accordo, se per te non è un problema. » cedette, dopo un profondo sospiro.
« Non lo è. » affermò il ragazzo.
« Bene... » annuì lentamente Monique ma, prima di voltarsi, la sua attenzione venne catturata da un piccolo ma rilevante particolare. « Che hai sulle unghie? » domandò esterrefatta, dopo aver notato lo smalto trasparente sulle unghie di Eveline. Tom portò il proprio sguardo nella stessa direzione e sgranò gli occhi.
« Bill... » borbottò, scuotendo appena la testa, con fare esasperato. « E' senz'altro opera di mio fratello. » commentò poi. « Non ti preoccupare, ci penso io. » aggiunse, posando a lato del divano la sua chitarra e alzandosi poi da esso con la bambina in braccio.
« Okay. » sospirò Monique, per poi uscire dalla stanza e rifugiarsi nuovamente nel suo studio per riprendere il lavoro che stava svolgendo qualche attimo prima di dedicarsi a quella distrazione.
Tom pose Eveline sul suo fianco destro ed uscì anch'esso dalla stanza per raggiungere la cucina, dove si trovava ancora suo fratello, in compagnia di Gustav e Georg. Probabilmente i presenti capirono dall'espressione scocciata del ragazzo quale fosse il problema.
« L'ha visto. » commentò Georg che ora poggiava il bacino al davanzale della finestra, intento a fumare una sigaretta.
« Che ha visto? » domandò tranquillamente Bill, mentre stendeva sulle proprie unghie uno smalto color pece.
« Ho visto che uno di questi giorni ti ritroverai con la testa girata di centottanta gradi, impiastro che non sei altro. » intervenne Tom, per poi prendere a frugare nel borsellino di Bill, contenente tutto l'essenziale per le unghie. « Hai bevuto Vodka e demenza, stamattina, per colazione? » gli domandò successivamente, mentre Eveline continuava a circondargli il collo con le sue piccole braccia.
« Che ho fatto? » si difese offeso il vocalist, osservando il suo gemello con espressione accigliata.
« Sei nato rincoglionito, ecco che hai fatto. » rispose con sarcasmo il chitarrista, dopo aver recuperato una boccetta di acetone.
« Cota vuol dile lincollonito? » domandò incuriosita la piccola Eveline.
« Nulla, Eve... Non ripeterlo alla mamma. » rispose Gustav, ormai desolato. Tom fece sedere sul tavolo la bambina, per poi prendere a pulirle le unghiette con un dischetto di cotone impregnato di acetone.
« Ma che fai?! Ci ho messo tanto amore! » si lamentò Bill, scioccato da ciò che stava vedendo fare senza ritegno da suo fratello, il quale rispose con un'occhiata infuocata.
« Ti conviene non parlare, Bill. » ridacchiò Georg, dopo aver inspirato un po' di fumo.
« Io mi chiedo perchè nostra madre sia stata così tirchia con te, in fatto di intelligenza. » continuò a borbottare il chitarrista, mentre finiva di pulire le unghie alla bambina. Successivamente la prese di nuovo in braccio ed uscì dalla cucina. Camminò fino al bagno, dove la posò sul lavello per poter aprire il rubinetto dell'acqua calda. Prese un po' di sapone e poi si dedicò con attenzione alle manine di Eveline, così piccole rispetto alle sue. Le strofinò con delicatezza, per paura di farle male, mentre lei lo osservava sempre più incuriosita e rapita. « Ecco, così non sentirai più questo odoraccio di alcol. » le sorrise dolcemente. Sapeva che le piaceva mettersi le dita in bocca e non sarebbe stato salutare lasciarglielo fare con le unghie piene di acetone.
Ci fu un attimo in cui i loro sguardi si incatenarono, come ipnotizzati, e le loro bocche non rilasciarono ulteriori suoni. Forse non ve ne era semplicemente il bisogno.
Probabilmente si erano parlati; si erano conosciuti e si erano avvicinati ulteriormente con un semplice sguardo.


« Eccoci qua. » disse Monique, tenendo con un braccio sua figlia ed aprendo contemporaneamente la porta di casa con la mano libera. « Dovrebbe esserci la zia Jessica. » aggiunse, guardandosi attorno con un lieve sorriso sul volto. Anche Eveline prese ad ispezionare la casa con i suoi occhietti celesti, fino a che non si illuminò.
« Tia Gege! » esclamò, non appena vide la rossa uscire dalla cucina.
« Hey, eccovi qui! Ho preparato da mangiare. » le accolse entrambe, con ilarità.
« Grazie, non dovevi. » sorrise grata Monique, mentre poggiava Eveline per terra, con delicatezza.
« Mi spiace se non ho potuto tenertela io, stamattina. » disse Jessica, nel momento in cui tutte e tre entrarono in cucina. « Lo sai, solitamente mia madre non mi da problemi, ma stamattina mi ha chiesto di aiutarla. »
« Figurati; te l'ho detto, tienila quando vuoi. E poi stamattina è stata con Bill e... » Monique si ammutolì qualche attimo, fino a che non decise di completare la frase con parziale verità. « ... E gli altri. »
Jessica si voltò nella sua direzione con un sopracciglio sollevato ed un sorrisetto che lasciava trasparire ogni singola traccia di dubbio.
« Gli altri. » ripetè furbescamente, mentre una nota maliziosa aleggiava sia nel tono di voce che sul suo volto. Monique cercò appositamente di non guardarla ed annuì, sedendosi al tavolo, affianco a sua figlia che invece giaceva sul seggiolone, con un bavaglino legato al collo.
« Tom ha tuonato la bitalla. » intervenne Eveline, guastando ogni suo tentativo di mascherare la verità.
« Chitarra, Eve. » mormorò la mora, avvicinandole alla bocca un po' di minestrina.
« Chitalla. » ripetè la piccola, prima di separare le labbra per accogliere il cucchiaio.
« Oh, e ti è piaciuta? » domandò con interesse Jessica, dopo essersi portata alla bocca anch'essa un po' di pastina. Eveline, in risposta, annuì energicamente. « E a te piace la chitarra, Monique? » si rivolse poi alla ragazza, con sguardo provocante ed un sorriso che non lasciava presupporre nulla di buono. Infatti Monique, sotto il tavolo, le sferrò una violenta stivalata sullo stinco, che portò la rossa a mordersi le labbra con tutta la forza che aveva per non urlare.
« Come strumento, mi piace molto. » precisò, calcando particolarmente quella parola.
« E Bibi mi ha metto lo malto. » aggiunse Eveline, dopo aver ingoiato un altro po' di minestra. « Ma poi Tom me ha tolto pecchè dice che mi fa male. »
« E' un ragazzo davvero molto carino e saggio. » sollevò nuovamente il sopracciglio Jessica in direzione di Monique, ricevendo quindi in risposta da essa una seconda stivalata.
« Quello stinco te lo faccio diventare nero. » sorrise amabilmente la mora, portando alla bocca di Eveline l'ultimo boccone rimasto. « Ecco qua; Eve, perchè non vai a giocare con Bubi? Sentirà la tua mancanza. » le sorrise la madre, mentre la prendeva per le ascelle per posarla con i piedi a terra. Eveline annuì e corse instabile verso il salotto. Monique si voltò immediatamente nella direzione di Jessica, con sguardo minaccioso. « Smettila di provocarmi. » sibilò acidamente.
« Perchè dovrei farlo? » sorrise maliziosa la rossa, con il mento poggiato tranquillamente alla mano.
« Non c'è due senza tre; il tuo stinco è d'accordo? »
« Oh, insomma, ho semplicemente detto la verità. »
« Verità o no, ti ho detto di non parlare di lui davanti ad Eve! »
« Ma ormai lo conosce, c'è stata una giornata intera assieme... Cosa vuoi che non sappia ormai di lui? »
« Tutta la vicenda con la sottoscritta! »
« Ha un anno e mezzo, non può capire che dietro alle mie battutine si nascondono vicende e sentimenti seri. »
« Non sottovalutarla, non è stupida. E poi, chi ha parlato di sentimenti seri? »
« Non provare a prendermi in giro. Tu sei ancora cotta e stracotta del bel chitarrista e lo stesso lui di te. Smettetela di arrampicarvi sugli specchi entrambi; mi state facendo venire il latte alle ginocchia con tutta questa lentezza. Passate all'azione, diamine! »
« Ma quale azione?! »
« Mai sentito parlare di sesso? Quello con cui è nata la graziosissima Eveline? Ti farebbe molto bene, amica mia. Ultimamente sei un po' nevrotica. »
Monique si sentì improvvisamente avvampare.
« Ma che dici?! » esclamò, bordeaux.
« Non fare la finta tonta. Tu fremi dalla voglia di fare un po' di sano movimento sotto alle lenzuola ma vuoi apparire a tutti i costi come la mamma perfetta, priva di distrazioni. Hai ventidue anni, Monique, ed è più che normale aver bisogno di certe cose. La tua vita non è finita qui, fortunatamente. Inoltre hai un bel chitarrista a disposizione – per di più famosissimo per le sue prestazioni – che ti fa gli occhi dolci e che ti accoglierebbe a braccia spalancate nel suo letto, e tu sei ancora qui a negarti un'occasione simile? Tu sei proprio matta, lasciatelo dire. » detto questo, Jessica si alzò dalla sedia e, con nonchalance, abbandonò la cucina in cui una Monique a dir poco esterrefatta restava immobile, ancora seduta al tavolo con la pelle del viso rovente.


Dopo numerose difficoltà, era riuscito a convincere suo fratello Bill e David a lasciarlo uscire da solo, quella sera; ne aveva disperatamente bisogno. Doveva evadere dal solito sistema, doveva mettere il naso fuori dallo studio di registrazione. Un po' di sano svago per conto suo gli avrebbe fatto sicuramente bene. Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare troppo, o la sua testa sarebbe presto esplosa per il sovraccarico di riflessioni, o meglio, complessi.
Aveva semplicemente preso la sua Audi R8 ed era giunto alla discoteca più vicina; non aveva nemmeno fatto caso al nome, sapeva solo che quella sera avrebbe soddisfatto nuovamente le sue voglie.
E così era stato. Ne era la prova la biondina seduta a cavalcioni sul suo bacino, intenta a baciargli incessantemente il collo, provocandogli frequenti brividi di piacere. I suoi muscoli si contraevano per lo sforzo di trattenersi e non prenderla malamente, lì sul divanetto.
Si sentiva un animale; aveva tremendamente bisogno di sfogarsi, in qualche modo. Fremeva d'impazienza ma la ragazza non sembrava interessata a ciò; si dedicava con dedizione alla pelle che gli copriva il Pomo d'Adamo, inumidendola di tanto in tanto con la lingua. Tom deglutì pesantemente, fino a che non decise che non avrebbe più potuto attendere.
Afferrò saldamente per le natiche la sconosciuta e si alzò dal divanetto, con lei in braccio. Quest'ultima sembrava compiaciuta da quel gesto improvviso e gli strinse le braccia attorno al collo, torturandogli con i denti il lobo dilatato dall'orecchino nero. In pochi secondi si ritrovarono in bagno. In quel momento era vuoto, perfetto per ciò che avevano in mente di fare. Il chitarrista faceva il tutto senza guardarla negli occhi; aveva troppa paura che quelle iridi sconosciute si tramutassero velocemente in due pozze castane che invece conosceva molto bene.
La poggiò malamente sul ripiano del lavandino – decisamente poco igenico, ma la cosa non gli importava, non vi sedeva lui – e le sollevò velocemente il vestito dalle cosce lisce e toniche, fino a scoprire il pizzo nero dei suoi slip. Le morse il collo, mentre con una mano liberava dalla costrizione dei suoi jeans ciò che per lo meno si occupava di soddisfare i propri bisogni. Scartare la piccola bustina argentea ed indossare la protezione fu solamente una semplice conseguenza dei suoi movimenti del tutto automatici. Afferrò quel pizzo che tanto lo aveva attratto, fino a tirarlo completamente giù e fino a che non abbandonò le gambe della sua amante.
La prima spinta portò momentaneamente in estasi entrambi ma la ripresa fu imminente: cominciò a muovere quasi freneticamente il bacino, con la voglia di raggiungere il più presto possibile la Pace dei Sensi, senza troppi giri di parole. Le gambe della biondina si allacciarono con forza attorno ad esso, cosa che gli fece perdere completamente il controllo.
Non poteva farsi distrarre da Monique; non più. Non poteva far tornare in lui dubbi. L'unico modo per scacciare proprio quei dubbi era tornare a fare una delle cose che più amava e che nella sua vita – come in quella di qualsiasi ragazzo con un po' di buon senso – non poteva mancare. Almeno, per un momento, non avrebbe pensato.
Prese a muoversi quasi con violenza, fino a che il corpo femminile apparentemente perfetto non si inarcò sotto di sé, rilasciando un urlo soffocato all'interno di quel bagno.
Non si fermò. Se lei aveva raggiunto il pieno appagamento, lui non ancora.
Le afferrò un polpaccio fino a farle poggiare la gamba sulla sua spalla. Le morse poco gentilmente il collo mentre sentiva che la fine di quella goduria stava giungendo al termine. Infatti, non molti minuti più tardi, i suoi muscoli si contrassero, provocando in lui spasmi e tremore, mentre si liberava con un gemito sonoro, finalmente soddisfatto.
Stanco ed ansimante, si sfilò quasi immediatamente da lei, per poi gettare il preservativo nel cestino affianco. Ancora una volta aveva raggiunto il suo scopo e la cosa non lo sorprese più di tanto.
Si tirò su la zip dei jeans e con un semplice “Ci si vede” si congedò dalla biondina esterrefatta, priva di nome, ed uscì dal bagno con fare sbrigativo per gettarsi nuovamente nella folla danzante a ritmo di musica, abbastanza alta da rintontire chiunque. Ora aveva solo voglia di bere.
Si incamminò in mezzo alla pista, fino a raggiungere l'estremità opposta di quel locale, dove si trovava il bancone degli alcolici.
« Un Negroni. » ordinò al barman, il quale accontentò velocemente la sua richiesta. Non passò molto prima che quel Negroni fosse seguito a ruota da un Long Island, una Tequila e una birra; e soprattutto non passò molto prima che i suoi sensi cominciassero a chiedere pietà.
Forse ho esagerato, si ritrovò a pensare, nonostante le sue facoltà mentali fossero ormai carbonizzate. Credeva di avere le allucinazioni; uno sgradevole senso di nausea gli accartocciava lo stomaco e soprattutto la sua testa sembrava pesare cento chili più del normale. L'intera discoteca vorticava attorno a lui e per un attimo si sentì scuotere dal timore, cosa che non gli era mai capitata prima di allora.
Si aggrappava dove poteva, mentre cercava di restare in piedi. A malapena vedeva l'uscita, o meglio, le uscite, poiché anche la vista gli si era sdoppiata. Non poteva guidare in quelle condizioni.
Riuscì a raggiungere un angolo privo di gente sballata e gli ultimi neuroni funzionanti gli permisero di trovare nella rubrica telefonica del suo cellulare il nome che in quel momento gli balenava in testa come una persecuzione, perchè corresse ad aiutarlo.


Si svegliò di soprassalto, con un principio di tachicardia e gli occhi sgranati nel buio. Si voltò spaventata verso la sua destra, nonostante la sua mente non ancora si trovava nel mondo reale. Aggrottò le sopracciglia non appena vide il suo cellulare vibrare e lampeggiare ripetutamente sul comodino. Lo afferrò velocemente per evitare che quel rumore svegliasse sia Jessica - la quale aveva deciso all'ultimo minuto di dormire a casa sua – che Eveline, sdraiate nel letto matrimoniale accanto a sé. Non controllò nemmeno chi fosse; semplicemente si portò il cellulare all'orecchio.
« P-pronto... » sussurrò con voce assonnata ed intorpidita.
« M-Monique, ho bisogno di te. »

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Capitolo 8
*** Eight. ***


8

Eight.



Non ricordò quanto tempo aveva impiegato per fare mente locale; era talmente assorta nel sonno che quella telefonata l'aveva colta alla sprovvista. Sentire la voce del chitarrista dall'altro capo, implorarla di correre ad aiutarlo le aveva fatto percepire una violenta scossa di paura lungo la spina dorsale.
Non sapeva cosa il ragazzo avesse combinato, ma sapeva per certo che, ovunque si trovasse, non poteva lasciarlo solo. Era stato quel tono così supplichevole, così indifeso a smuoverla alla velocità della luce.
Si era alzata repentinamente dal letto, senza far rumore per non svegliare le anime dormienti di Jessica ed Eveline, accanto a lei. Aveva recuperato di corsa una tuta e se l'era infilata alla bell'e meglio. Scarpe da ginnastica e via, fuori di casa.
Il freddo pungente era quasi insopportabile, ma cercò di non darvi peso e di eliminarlo con l'aria calda della macchina. Buttò un'occhiata all'orologio al di là del volante e notò che erano quasi le quattro del mattino. Una parte del suo cervello le diede della stupida per cedere a quella maniera e correre ad ogni richiamo del chitarrista, ma d'altro canto quella era una situazione ben diversa.
Ricordava le parole del ragazzo e, tra esse, raggruppò quelle che facevano per lo meno intuire dove si potesse trovare. “Ubriaco”, “Discoteca”, “Vicino” era tutto ciò che aveva, ma cercò di farselo bastare. Provò a dedurre che il moro si trovasse in una discoteca, probabilmente la più vicina, e completamente ubriaco.
Mandò a farsi fottere i cartelli stradali con i divieti di velocità e premette violentemente il piede sull'acceleratore: aveva paura a lasciarlo per troppo tempo da solo, in quelle condizioni.
Improvvisamente delle luci forti catturarono la sua vista; voltò lo sguardo nella loro direzione e notò che provenivano proprio da un locale.
Se non è qui, andrò a cercarlo da un'altra parte, pensò amareggiata.
Accostò affianco al marciapiede e spense il motore. Scese velocemente dalla macchina e corse all'interno della discoteca, facendo ben attenzione ad ignorare gli sguardi famelici dei ragazzi o semplicemente quelli perplessi per quella sua strana scelta di vestiario, in un posto come quello. La musica a tutto volume le perforò i timpani: non era decisamente il massimo, dopo una bella dormita. La gente era tanta, troppa; non sarebbe stato per niente facile localizzare Tom. Si guardò attorno più e più volte, ma di lui neanche l'ombra. Stava per rinunciarvi ed incamminarsi subito alla ricerca di un altro locale, quando i suoi occhi si posarono distrattamente su una figura ricurva, in un angolo. Era lui.
Sgranò gli occhi e prese a camminare velocemente nella sua direzione, mentre la gente attorno a lei si lamentava per quella fretta o le chiedeva di ballare. Finalmente giunse davanti al chitarrista, il quale era seduto in modo scomposto su uno sgabello, il braccio poggiato ad un ripiano nero e il viso nascosto su di esso.
« Tom. » lo chiamò la ragazza, posandogli una mano sulla schiena. Quest'ultimo alzò lentamente la testa e la guardò con occhi languidi e spenti. Il brivido che percorse la schiena di Monique fu presto ignorato da quest'ultima che si preoccupò invece di prendere il braccio di Tom per posarselo attorno alle spalle. « Andiamo via di qui. » gli intimò, circondandogli la schiena per aiutarlo ad alzarsi. Era pesante, soprattutto a quel modo. « Tom, aiutami almeno un po'. » disse la mora, affaticata ed il chitarrista cercò di raddrizzarsi, nonostante la testa gli pendesse da una parte all'altra.
Dio, quanto puzza di alcol, si ritrovò a pensare Monique, con una lieve smorfia sul viso.
« Perchè l'hai fatto, eh? » gli domandò cautamente, mentre lo faceva avanzare verso la folla, ma il ragazzo non rispose. Con qualche difficoltà, finalmente, riuscì a farlo uscire dal locale. Fortuna volle che nessun paparazzo fosse appostato lì fuori o per lui sarebbe scoppiato il Finimondo.
Aprì la portiera e lo aiutò a sedersi in macchina. Tom poggiò la testa all'indietro, sul sedile affianco a quello del conducente, e si lasciò allacciare la cintura dalla ragazza, osservandola lievemente in volto. Monique percepiva i suoi occhi addosso ma cercò di fare il tutto senza deconcentrarsi.
« Grazie. » fu il sibilo del chitarrista che le fece sollevare lo sguardo su di lui. Si guardarono per qualche attimo, fino a che Monique non gli sorrise appena, abbassando gli occhi.
« Figurati. » rispose, per poi chiudere la portiera. Fece il giro dell'auto e salì affianco a lui. « Ti riporto allo studio di registrazione; ho le chiavi. » gli riferì, pur sapendo che probabilmente più di tanto non avrebbe compreso.
« David... » cominciò il chitarrista, ma Monique lo precedette.
« David non sa nulla. Non ti preoccupare, non glielo dico. Tom, mi spieghi che avevi in mente di fare? Non hai mai esagerato in questo modo; che ti è preso? »
« Avevo voglia di non pensare a niente. » mormorò il ragazzo, chiudendo gli occhi. Monique si voltò appena verso di lui, perplessa. Cos'è che lo stava tormentando così tanto, da portarlo a fare una cosa del genere?
Poi la vide: una macchia violacea stanziava sul suo collo.
Strinse con tutta la forza che aveva le mani sul volante, quasi senza accorgersene. Era stato con qualcuna. Cercò di pensare ad altro e respirare a fondo, chiedendosi il motivo per cui dovesse reagire a quel modo. D'altronde lo sapeva che Tom, nel frattempo, si vedeva con altre ragazze. Non poteva condurre una vita casta e di certo non pensava a lei.
Deglutì a fatica e si concentrò sulla strada che sfrecciava sotto di sé.
« Ubriacarsi e stare male non è il miglior modo per non pensare a niente. » commentò, con l'intento di scacciare le immagini del chitarrista, intento ad intrattenersi con una ragazza, dalla sua mente. Tom non rispose di nuovo, mentre guardava al di fuori del finestrino.
« Non volevo disturbarti. » mormorò, senza guardarla.
« Non mi hai disturbato. » mentì lei.
« Bill si sarebbe incazzato. » continuò il moro.
« Sì, lo so. »
« E poi, sei l'unica persona che avrei voluto vedere. »
Il cuore di Monique fece un balzo, che la portò a voltarsi appena verso il ragazzo: continuava ad osservare il paesaggio notturno, al di fuori di quell'auto, con la testa poggiata al sedile. Sembrava stanco, triste in qualche modo.
La mora sorrise appena al pensiero di ciò che le aveva appena detto. Quel fatto la rendeva particolarmente euforica, anche se sapeva che ciò non voleva dire assolutamente nulla.
« Mi stai distraendo. »
Monique inarcò un sopracciglio a quell'uscita insensata del chitarrista.
« Come? » domandò perplessa.
« Continui a distrarmi; non ne posso più. » ripeté afflitto il moro.
« Tom, ma che stai dicendo? Non ti capisco. »
Sentì Tom muoversi appena, affianco a sé, fino a che non percepì il calore del suo corpo più vicino a lei. Il suo respiro bollente le solleticava l'orecchio, ma non ebbe il coraggio di allontanarlo.
« Mi stai facendo male, Monique. »
Monique trattenne il fiato per qualche istante, sentendo solamente il fiato del chitarrista sul suo collo... Vicino, decisamente troppo vicino. Le labbra del ragazzo si posarono leggere sul quel lembo di pelle, facendola sussultare.
« Tom... » balbettò la mora, mentre lui le baciava dolcemente il collo. « Tom, dai, allontanati. » lo incitò, posandogli una mano sul petto per scostarlo gentilmente. Ignorò la pelle d'oca che aveva iniziato a formarsi sul suo collo, quando improvvisamente le parole della sua migliore amica le balenarono in mente.
« Tu fremi dalla voglia di fare un po' di sano movimento sotto alle lenzuola... », « Hai un bel chitarrista a disposizione – per di più famosissimo per le sue prestazioni – che ti fa gli occhi dolci e che ti accoglierebbe a braccia spalancate nel suo letto, e tu sei ancora qui a negarti un'occasione simile? »
« Oh, cazzo! » esclamò, allontanando definitivamente Tom. « Non posso! » aggiunse, più a se stessa, mentre il moro la osservava inespressivo.
« Fermati. » le disse semplicemente, senza battere ciglio.
« Cosa?! » domandò agitata la mora, che ancora pensava a quelle parole.
« Mi viene da vomitare. » le chiarì il ragazzo.
« Oddio, aspetta, non qui. »
Accostò nuovamente con la macchina da un lato della strada e scese velocemente da essa, per andare a recuperare il chitarrista e far scendere anche lui. Lo accompagnò dietro ad un cespuglio, fino a che questo non si chinò appena a rimettere. Monique gli tenne la fronte con una mano ed i cornrows con l'altra, per non farglieli cadere davanti al viso.
« Quando hai finito, mi devi spiegare cos'hai bevuto. » commentò la ragazza, osservandolo con una smorfia. Solitamente, quando vedeva vomitare qualcuno, subito si fiondava a farlo anche lei, ma avrebbe dovuto resistere e contenersi. « E quanto. » aggiunse, notando che non finiva più. Finalmente si rialzò con il busto. « Aspettami qui; appoggiati un attimo all'albero, vado a prendere l'acqua in macchina. » gli intimò, facendolo appoggiare alla dura corteccia, alla sua destra. Corse alla macchina e recuperò la bottiglietta che teneva sempre lì, in caso di necessità. Tornò velocemente dal ragazzo, poggiato sulla schiena all'albero, e gliela porse, dopo averla aperta. « Dai, sciacquati la bocca, almeno ti togli quel saporaccio. » gli disse. Lui obbedì come un automa. Nel frattempo, la guardava; la guardava come volesse convincersi che fosse davvero lei e questo Monique l'aveva capito.
Una volta che ebbe finito di sciacquarsi la bocca, le restituì la bottiglietta.
« Va un po' meglio? » gli domandò retoricamente: la sua faccia dimostrava stesse tutto fuorché meglio. Eppure il chitarrista preferì annuire appena. « Torniamo in macchina. » disse quindi la mora.


Il tragitto non era durato poi molto. Tom aveva minacciato più volte di addormentarsi ma Monique gli aveva continuamente intimato di restare sveglio o non sarebbe riuscita a portarlo allo studio.
Una volta giunti a destinazione, Monique scese dalla macchina e, dopo aver aperto la portiera del chitarrista, lo aiutò ad uscire, poiché ancora non si reggeva in piedi. Poco facilitata dal fatto che lui fosse più alto di lei di una buona decina di centimetri, raggiunse la porta dello studio.
« Cerca di stare in piedi, devo prendere le chiavi. » sussurrò la mora, quando improvvisamente Tom la sovrastò con il proprio corpo, bloccandola con la schiena al muro. « Tom, levati, devo aprire. » disse nuovamente la ragazza, cercando di non prestar attenzione alle labbra del chitarrista nuovamente sulla pelle del suo collo; quella volta immobili. Sentiva solamente il suo respiro caldo infrangersi su esso ed una vocina nel suo cervello lo pregava di porre fine a quella tortura e baciarla come doveva.
Con qualche difficoltà riuscì ad aprire la porta e far nuovamente camminare il ragazzo verso la sua stanza. Non accese la luce della lampada sul comodino affianco al letto fino a che non ebbe chiuso la porta. Mettere il chitarrista a letto fu più facile del previsto, poiché quest'ultimo vi si buttò letteralmente, a peso morto. Si premurò di togliergli le scarpe e le calze; esitò sui jeans, pensando che potessero essere troppo scomodi per dormire, ma alla fine decise di lasciarglieli addosso, per la sua sanità mentale.
Tirò le coperte sul corpo del ragazzo, ma questo allungò le braccia verso di lei, circondandole la schiena e prendendola alla sprovvista.
« Resta qui con me. » sussurrò, guardandola negli occhi, con sguardo implorante ma profondo allo stesso tempo. Monique sentì un enorme calore in quell'esatto punto in cui le braccia di Tom la tenevano stretta. Sentiva quasi il fuoco ardere proprio in quei punti. Se avesse dato ascolto al suo istinto sarebbe rimasta, si sarebbe infilata sotto alle coperte, per poi stringersi possessivamente al suo corpo bollente e protettivo. Ma la razionalità doveva prevalere su tutto; l'aveva deciso da qualche tempo.
« Non posso, Tom. » rispose a malincuore.
La mano del chitarrista salì sulla sua testa fino ad insinuarsi fra i suoi capelli. Prese ad accarezzarla appena e Monique trovò spontaneo chiudere gli occhi, estasiata da quel tocco. Una lieve pressione la fece chinare verso di lui, fino a sedervisi affianco, sul materasso.
« Ti prego. » mormorò nuovamente lui. Monique aprì gli occhi e lo osservò rapita per qualche istante. La mattina seguente – o meglio, di lì a qualche ora – non si sarebbe ricordato nulla, con molta probabilità. Non ne valeva la pena, anche se la proposta la allettava particolarmente.
Non fece in tempo a rispondere che Tom, con la mano sulla sua nuca, guidò il suo viso verso il basso. In una frazione di secondo, Monique ritrovò le proprie labbra poggiate con leggerezza su quelle del ragazzo ed il suo cuore prese a battere all'impazzata. Era troppo tempo che non sentiva nuovamente quella morbida consistenza su di sé. Era troppo tempo che voleva di nuovo stringersi a lui, senza poterlo fare.
Chiuse gli occhi e si lasciò guidare dai piccolissimi movimenti della sua bocca, non riuscendo a sottrarsi ad esso. Non approfondirono quel bacio, anche perchè Monique non ne diede il tempo. Troppo presto si era resa conto che ciò che stava facendo era totalmente sbagliato: lei era ancora ferita da lui e lui era ubriaco.
Non poteva funzionare così.
Si ritrasse con un leggero schiocco dalle sue labbra, per poi guardarlo negli occhi, mentre lui continuava ad accarezzarle la nuca.
« No. » si limitò a dire, con un sorriso malinconico sul volto. Gli accarezzò dolcemente la fronte e i cornrows e, dopo essersi nuovamente abbassata per baciarlo lì, dove la sua mano era appena passata, si alzò dal materasso. « Buona notte. » sussurrò di nuovo, prima di spegnere la luce ed abbandonare quella camera.


« Ma sei ancora viva? Sicura di stare bene? »
La voce perplessa e preoccupata di Jessica arrivò alle sue orecchie come un'eco lontana. Monique era ancora immersa nel piacevole tepore delle coperte del suo letto, abbracciata al morbido cuscino. Quando aprì gli occhi, ne trovò un paio celesti che la guardavano incuriositi. Eveline era a qualche centimetro e la mora vedeva solamente i suoi occhietti vispi spuntare da dietro il materasso.
« Mamy, veiati; cottinui a dommile. » intervenne proprio sua figlia, gonfiando poi le guanciotte.
« Ma che ore sono? » borbottò assonnata la ragazza, ancora nel letto.
« Sono quasi le otto, bella addormentata! Tra un quarto d'ora dovresti essere allo studio! » rispose Jessica. Monique impiegò qualche secondo per metabolizzare il tutto, fino a che, con un balzo, non scese dal letto, ad occhi sgranati.
« E voi solo ora mi chiamate?! » esclamò, prendendo a correre da una parte all'altra della stanza, alla ricerca di un qualche capo da indossare.
« Ma noi ti tiamo chiamando da tle ole. » ribattè mestamente la piccola, osservandola viaggiare da destra a sinistra e viceversa.
« Si può sapere che hai? Solitamente ti svegli senza problemi e ieri sera siamo andate a dormire abbastanza presto. » domandò accigliata la rossa.
« Te lo spiego quando torno! Ciao! » salutò Monique, in fretta e furia, prima di correre fuori dalla sua camera, dove Jessica ed Eveline la guardavano basite.


« Buon giorno, Monique. » la salutò David, non appena entrò allo studio di registrazione, con un gran fiatone.
« Ciao, David, scusa il ritardo. » ricambiò la mora, mentre si sfilava velocemente la sciarpa dal collo.
« Capirai, per dieci minuti... Rilassati. » le sorrise il manager, invitandola a rallentare i suoi movimenti così frenetici. « Tanto stamattina nessuno ti corre dietro: Bill è in fase di risveglio, Georg è in bagno da tre quarti d'ora – non mi chiedere cos'ha mangiato ieri sera – Gustav si sta prendendo un caffè e Tom è in coma nel suo letto. » aggiunse tranquillamente, dopo che la mora si fu spogliata anche del cappotto.
« In coma? » indagò la ragazza. Che David avesse intuito qualcosa?
« Sì, ieri sera è andato a ballare. Sarà tornato tardi. »
« Ah, sì, può darsi. »
Facendo finta di nulla, si congedò nel suo studio, pronta – o quasi – per una nuova giornata di lavoro.
Aveva timore, al solo pensiero di rivedere il chitarrista; non erano passate molte ore da ciò che era successo, ma sembrava comunque un'eternità. La sua mente formulava strani pensieri e preoccupazioni: si chiedeva se il ragazzo si sarebbe ricordato di ciò che aveva fatto, nonostante non fosse propriamente lucido.
L'aveva baciata.
Si sentiva stupida; si sentiva come una bambina, anzi, una ragazzina alle prime fasi di una tenera cotta. Non poteva andare avanti a comportarsi a quella maniera. Aveva ventidue anni ed una figlia; doveva mettere una croce su quegli avvenimenti così puerili ed innocenti.


Un violento mal di testa fu tutto ciò che percepì al suo poco immediato risveglio. Si guardò attorno, come non ricordasse dove si trovasse e perchè. Le tende della sua stanza erano ancora tirate ed il buio era un qualcosa di estremamente piacevole per i suoi occhi. Provò a fare mente locale qualche attimo ma tutto ciò che sentiva in essa era un feroce ronzio. Si mise seduto su quel materasso, caratterizzato di coperte sfatte – segno che aveva passato una nottata poco tranquilla – e si guardò attorno, dopo aver acceso la luce della lampada affianco al letto.
Dai, Tom, si incoraggiò mentalmente, fai uno sforzo e ricordati.
Ma niente. Blackout.
Posò i piedi nudi sul freddo pavimento e si accorse che vestiva ancora dei jeans, della maglia e della felpa. Qualcosa non quadrava, ma decise che l'avrebbe scoperto strada facendo.
Si alzò dal letto con serie difficoltà. La stanza vorticava brutalmente attorno a lui ed una sgradevole sensazione di nausea gli attanagliava lo stomaco.
Il solito coglione, si disse nuovamente, che beve come una spugna.
Sbuffando appena, si diresse verso la porta della sua camera, per poi aprirla mestamente.


Il legno freddo della scrivania premeva contro la sua guancia, ma Monique non vi dava peso. Si era nuovamente assopita; stava visitando mondi ultraterreni, fatti di cartoni animati e tanta felicità.
Un tocco caldo e delicato sulla spalla: un gattino che si strusciava addosso a lei, facendole le fusa. Di nuovo quel tocco, ancora più insistente, fino a che gatto e fusa non sparirono dalla sua visuale, riportandola fulmineamente alla realtà.
Sollevò di scatto la testa dal tavolo e respirò con affanno, mentre apriva gli occhi per mettere bene a fuoco la situazione attorno a lei.
Si era addormentata sul posto di lavoro. Mai le era capitata una cosa simile, prima di allora.
« Non volevo spaventarti. »
Quella voce le procurò una fortissima morsa allo stomaco, mentre brividi innumerevoli si diffondevano lungo il suo corpo. Voltò appena la testa alla sua sinistra e trovò il chitarrista in carne ed ossa, affianco a lei, che la scrutava con discrezione. Aveva un viso sbattuto, tipico di chi si era appena svegliato da un lungo sonno post sbornia pesante.
« T-Tom. No, scusami, mi sono addormentata, non avrei dovuto. » balbettò velocemente la mora, gesticolando più del dovuto, mentre cercava di riporre in ordine le schede sulla scrivania, di fronte a lei.
« Hai fatto le ore piccole anche tu? » le sorrise il moro. A quell'affermazione, Monique si immobilizzò a fissare il vuoto.
Non ricordava nulla... Proprio come aveva previsto.
Sentì un dolore lancinante al petto e chiuse momentaneamente gli occhi. Perchè la prendeva a quella maniera? D'altronde aveva immaginato che il chitarrista non avrebbe rammentato nulla di tutto ciò che era successo quella notte. Eppure un gran senso di malinconia la pervase; anche quel bacio dunque era stato un qualcosa voluto dalle circostanza e non dal ragazzo.
« Sì... Ho – fatto le ore piccole anch'io. » mormorò con dispiacere, senza guardarlo.
« Io mi sa che ho esagerato con l'alcol. Ho il classico mal di testa post sbornia. » sorrise Tom, del tutto ignaro della verità. Anche Monique si sforzò di sorridere, ma quell'ulteriore affermazione era assai lontana dal divertirla. « Non hai portato Eveline, stamattina. » constatò successivamente il moro.
« No, è a casa con Jessica. »
« Sai, mi piace passare del tempo con lei. Quando Jessica non può tenerla, se vuoi, ci sono io. »
Monique sollevò nuovamente lo sguardo sul ragazzo. Quest'ultimo la guardava con la serenità negli occhi, come tutto fosse a posto.
Nulla era fottutamente a posto.
« Ehm, certo. » si limitò ad annuire, tornando ad occuparsi delle cartacce posate sulla scrivania, ormai da buttare. « Anche lei è stata bene con te. » aggiunse senza darvi troppo peso e facendo ben attenzione a non guardarlo.
« Sì? » sorrise entusiasta il chitarrista. « Sono contento. » disse infine. « Beh, io ero venuto per darti il buongiorno. Ora me ne andrò a fare una doccia, così mi riprendo. » le riferì successivamente. Monique si limitò ad annuire, fino a che Tom non le diede le spalle per uscire dallo studio; quando improvvisamente un insistente pensiero fuoriuscì dalle sue labbra, prive di controllo.
« Io ti sto facendo male, Tom? »
Il chitarrista impuntò sui propri piedi, fino a voltarsi appena verso di lei.
« Come? » le domandò corrugando la fronte. Probabilmente non aveva capito ciò a cui lei si riferiva, dato che lei stessa era la prima a non averlo compreso. Aveva semplicemente ripetuto le sue parole.
Non ricordava nulla e di certo non sarebbe stata lei ad aiutarlo a farlo.
« Nulla; lascia perdere. » scosse quindi la testa, dopo aver deciso che, forse, era meglio così.


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Capitolo 9
*** Nine. ***


9

Nine.



Si era da tempo impegnata per far sì che quelle piccole gocce salate non scorressero lungo il suo viso a causa sua. In pochissimo tempo era riuscita ad infrangere quella sorta di promessa.
Tirò lievemente su col naso, mentre le sue mani stringevano la tazza calda, contenente della camomilla fumante, sul tavolo della cucina.
Si odiava perchè era tornata ad essere debole, nonostante non lo fosse e lui, da una parte, non se lo meritasse; si odiava perchè era tornata a contatto con la consapevolezza che quel dannato sentimento non era totalmente sfumato dal suo cuore, se non per nulla; si odiava perchè stava di nuovo piangendo per un ragazzo.
Il fatto era che aveva combattuto con se stessa per far sì che quel bacio rubatole quella notte non le rimanesse impresso nella memoria e soprattutto sulla pelle, come grande emozione. Eppure, da quando quel fatto era accaduto, non aveva smesso di pensarvi con ansia, nostalgia, dubbio. Voleva assolutamente capire cosa fosse passato per la testa del chitarrista, in quell'esatto contesto: se era stato un bacio di circostanza, voluto anche dalla grande sbornia, o se era stato un bacio voluto dal suo subconscio. Non aveva ancora trovato risposta, perchè non aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Le pesava ancora di più che lui non si ricordasse nulla.
Che stesse fingendo, per evitare casini? Eppure sembrava così tranquillo, così a posto con la coscienza...
Ed ora stava lì, curva su quel tavolo, con le lacrime agli occhi e sul viso ed un forte dolore a scalfirle il petto.
« Hey. » la voce di Jessica le fece sollevare lo sguardo per poi farle asciugare velocemente il viso, con la premura di non farle vedere alla sua amica, ma invano. « Stai ancora pensando a quel bacio? » domandò cautamente la rossa, ancora in pigiama dato che erano le tre di notte, mentre si sedeva al tavolo, di fronte a lei.
« Giuro che non volevo piangere. » mormorò con voce tremolante Monique, mentre altre lacrime sgorgavano senza controllo dai suoi occhi. Non erano singhiozzi i suoi; era un pianto silenzioso. Le lacrime tracciavano semplicemente il proprio percorso sul suo volto, impossibili da fermare.
« Non ho mai pensato volessi farlo. » sorrise appena Jessica, comprensiva. Sapeva che Monique era una ragazza assai orgogliosa ed il fatto che si piegasse a fare ciò per un maschio era un qualcosa di straordinario. Il buffo era che per Tom aveva già versato tante lacrime e ciò voleva dire che lui rappresentava una figura maschile ben più importante di altre passate, nella sua vita. « E poi non c'è nulla di male a piangere. » aggiunse con dolcezza.
« Lo so, ma mi scoccia farlo per lui. »
« A te scoccia farlo per chiunque. »
« Ma per lui, in particolare. »
Jessica sorrise nuovamente, alla vista della mora imbronciata. Sembrava una bimba offesa per un inaspettato scherzetto o dispetto. Precisamente assomigliava molto ad Eveline quando, un po' di tempo prima, aveva gonfiato le proprie guance e aveva messo un delizioso broncio perchè la sua mamma le aveva tolto la caramella dalle mani, ritenendo ne avesse già mangiate troppe.
« Perchè non gliene parli? » le propose successivamente la rossa.
« Perchè non ne ho il coraggio e poi darebbe le stesse risposte di molto tempo fa: “E' stato un errore”, oppure “Non ero in me”... Ho finito di farmi prendere in giro in questo modo. »
« Ti devo ricordare che in aeroporto è stato sincero con te e che ti ha praticamente dichiarato i propri sentimenti senza alcun timore? Non vedo perchè dovrebbe mentire ora. »
« Proprio perchè non vorrà tornare ai vecchi tempi. E poi, perchè sei così convinta che lui sia ancora interessato a me? Quella sera l'ho visto il succhiotto, non me lo sono immaginato. Lui non ha problemi a trovarsi qualcun'altra che lo soddisfi. Ormai la cosa è passata, me ne farò una ragione. Credevo di non essere più innamorata di lui ma così non è stato, non ci posso fare nulla; al cuore non si comanda. Sono grande e forte e me la farò passare, anche perchè da lui non voglio niente: sono ancora ferita e non mi potrei mai catapultare fra le sue braccia così presto. »
Monique, detto questo, si portò la tazza alle labbra e prese a sorseggiare il liquido caldo al suo interno, mentre Jessica la osservava pensierosa: non accettava di vedere la sua migliore amica così afflitta.


Erano giorni ormai che Tom si stava spaccando la testa per venire a capo di quella situazione. Non ricordava precisamente da quando, ma sapeva per certo che un dubbio atroce aveva preso a trapanargli letteralmente ed insistentemente il cervello: come era tornato a casa, quella sera, dalla discoteca? Qualcosa non andava.
Ricordava perfettamente di essersi ubriacato e di certo non avrebbe mai potuto mettersi alla guida, in quelle condizioni. Eppure la sua macchina, la mattina seguente, l'aveva trovata al proprio posto, al di fuori dello studio di registrazione.
Vi erano troppe incongruenze in quella storia e non poteva aver sognato tutto quanto; il mal di testa post-sbornia non se l'era immaginato. Quello era stato più che reale. E anche il succhiotto sul collo era stato assai evidente, mentre ora – davanti allo specchio – ne vedeva una lieve traccia che, di lì a poco, sarebbe del tutto svanita.
Suo fratello non sapeva nulla e nemmeno David; contrariamente lo avrebbero ucciso, dopo un'atroce tortura fisica. Chi altro poteva essere stato ad assisterlo?
Sbuffò pesantemente, continuando a riflettere, mentre il suo dito scorreva con distrazione sul suo cellulare. Ma ecco che improvvisamente il suo sguardo planò su un particolare per niente irrilevante: tra le chiamate effettuate di quella sera, spiccava il nome Monique.


« Trentotto e mezzo. » sospirò affranta la mora, dopo aver staccato lo sguardo dal termometro. Tornò a guardare la piccola Eveline, rifugiata sotto alle coperte del letto matrimoniale, tremendamente accaldata e con sguardo spento. « Mi chiedo come abbia fatto a prendersi la febbre. » borbottò successivamente Monique, riponendo il termometro sul comodino, affianco al letto.
« Sarà stato anche un piccolo colpo d'aria, mentre uscivate di casa... Magari quando è venuta assieme a te, allo studio. » commentò Jessica, in piedi, alle sue spalle.
« Cot'è la febble, mamy? » mormorò mogia la bambina, osservando la sua mamma con occhi socchiusi ma con uno sguardo sereno sul volto, come sempre.
« Quando viene la febbre, si sente tanto caldo alla pelle e stanchezza, tesoro. » le sorrise appena Monique.
« Proprio ora che mi ha chiamato mia madre... In questo periodo è più esigente del solito. » commentò dispiaciuta la rossa, al che la mora fece un gesto superficiale con la mano.
« Non ti preoccupare, vai tranquilla. » la rassicurò. D'altronde non era piccola, era per di più madre, e una semplice febbre non avrebbe rappresentato un problema per lei. A volte le dava fastidio essere trattata come un'incapace.
« D'accordo. Al massimo, chiama David se vedi che non... »
« Jess. » l'occhiataccia di Monique fu più che eloquente, ragion per cui la rossa decise di acconsentire.
« Ciao, Tia Gege. » mormorò debolmente Eveline, tirando appena fuori dalla morbida trapunta la manina bollente.
« Ciao, piccolina. » le sorrise di rimando Jessica, per poi rivolgere un saluto anche a Monique, prima di uscire dalla camera da letto.


La situazione non migliorava: la febbre non scendeva neanche di una linea e il viso di Eveline sembrava stesse per prendere fuoco. La piccola respirava più velocemente del normale e la cosa non piaceva affatto a Monique, la quale prendeva ad agitarsi sempre di più. Aveva una vaga idea di telefonare a sua madre, ma la coscienza le imponeva di non allarmare quella povera donna, a chilometri di distanza, e che – probabilmente – non avrebbe potuto fare nulla.
Eveline aveva cominciato ad agitarsi nel letto; si muoveva da una parte all'altra, biascicando versi e parole che forse comprendeva solo lei.
« Mamy. » la chiamò improvvisamente, con gli occhi chiusi, ma con il viso rivolto nella sua direzione.
« Dimmi, amore mio. » le rispose prontamente e con la voce incrinata appena dalla preoccupazione.
« Ho caddo. » sussurrò la piccola, suscitando tanta tenerezza in sua madre.
« Lo so, tesoro. Ma ti ho dato le medicine, dovrebbe passare. »
Eveline, in risposta, tossì violentemente. Monique non si sentiva per niente tranquilla. Era la prima volta che le capitava una cosa simile e, per un momento, non riuscì nemmeno a ricordarsi cosa sua madre era solita fare con lei, in quelle situazioni.
« Voio Tom. »
Monique si immobilizzò improvvisamente, con lo sguardo fisso su sua figlia.
Voglio Tom.
Voglio Tom?!

« Tesoro, ma... » balbettò incredula, prima che Eveline la interrompesse.
« Mamy, fai venile Tom. » insistette.
Monique si ritrovò incapace di negarle una richiesta simile. Alla voce di sua figlia, difficilmente riusciva a declinare certe richieste e, quando era costretta a farlo, le doleva il cuore.
« Va – va bene. » acconsentì. Non sapeva il motivo per cui Eveline avesse improvvisamente bisogno di Tom, ma non perse tempo a chiederselo. Prese di corsa il cellulare e compose, con uno strano brivido alla schiena, il suo numero.
Uno squillo... Due... Tre...
« Pronto? »
Le parole quasi le morirono in gola. La mano che reggeva il cellulare tremava vergognosamente.
« Ehm... Tom? » mormorò a disagio.
« Hey, Monique, è successo qualcosa? » fu la repentina e preoccupata domanda del chitarrista, alla quale Monique non poté fare a meno di sentirsi un pochino – pochissimo – importante per lui... Forse.
« So che è assurdo, soprattutto a quest'ora di cena, ma... Eveline ha la febbre alta. Le ho già dato una medicina per fargliela abbassare ma non è ancora successo nulla. Continua a non sentirsi bene e mi sto preoccupando; poi mi ha chiesto di te e... »
« Stai tranquilla, arrivo subito. »


La velocità con cui le aveva assicurato che presto sarebbe arrivato l'aveva lasciata come stordita, per un attimo. Nella vita, mai le era capitato di sentirsi così protetta, in un certo senso, da un uomo.
Forse era quello il punto: aveva sempre considerato i ragazzi con cui si era impegnata solamente come tali; ovvero come maschi in preda a perenni crisi ormonali. Tom era diverso; lui era, sì, un ragazzo con i propri bisogni ed anche piuttosto accesi – cosa del tutto normale – ma, nell'eventualità, un uomo che riusciva ad infonderle ancora sicurezza, nonostante gli eventi passati.
Qual'era il soggetto maschile che ad un singolo, misero richiamo d'aiuto si sarebbe prodigato con così tanta fretta ad assisterla, senza nemmeno farla finire di parlare?
Era inutile cercare di negarlo: per quanto Tom potesse apparire, agli occhi degli altri, duro e superficiale ed in passato l'avesse fatta soffrire, poteva essere considerato come modello di compagno che forse qualunque ragazza avrebbe desiderato per sé.
Posò lo sguardo su Eveline e constatò che il rossore sul viso non era svanito e neanche quel respiro affannato voleva saperne di cessare. Proprio quando chiuse gli occhi, nella speranza che il chitarrista la soccorresse in tempo, il campanello trillò.
Il suo cuore fece un balzo, talmente forte che la indusse a scendere velocemente dal letto, fino a catapultarsi fuori dalla stanza. Il suo istinto le avrebbe volentieri suggerito di gettarsi letteralmente fra le braccia di Tom, non appena lo vide lì, davanti a sé, una volta aperta la porta, ma quell'incessante timore per la salute di sua figlia la spinse ad adottare un comportamento più contenuto e normale.
« Grazie, Tom. » fu il primo sussurro sincero che le sue labbra rilasciarono.
« Figurati. » le rispose con dolcezza il ragazzo, mentre entrava in casa e Monique richiudeva la porta, cercando di ignorare la buonissima scia di profumo che egli aveva addosso. « Come sta la piccola? » domandò quindi Tom, seguendo la ragazza in camera da letto.
Era troppo strano riaverlo lì, in casa sua... Troppi ricordi si erano risvegliati nella sua mente, prendendosi a pugni fra loro.
« La febbre non scende e lei sta malissimo... Mi ha chiesto di farti venire. » rispose la mora, con lieve impaccio. Tom si avvicinò al letto matrimoniale, fino a chinarsi appena ad osservare la bambina, nelle sue condizioni.
« Hey, Eve? Sono Tom, come ti senti? » le sussurrò con estrema dolcezza, mentre la sua grande mano le accarezzava la fronte bollente.
« Caddo. » mormorò stancamente la piccola, osservandolo con occhi semichiusi.
« Lo so, piccina, ma non ti preoccupare. Adesso io e la mamma te lo facciamo passare, okay? » Monique era letteralmente stregata da quel tenero e rassicurante modo di fare del ragazzo. Lui non era padre, eppure in quel momento lo sembrava e si sentì tremendamente piccola, in confronto. « Monique, potresti prendere un bicchiere d'acqua, per favore? » le domandò poi Tom, voltatosi nella sua direzione e prendendola quasi alla sprovvista.
« S-sì. » annuì, per poi correre in cucina a fare ciò che le aveva detto. Quando tornò in camera con l'essenziale, Tom la ringraziò ed estrasse successivamente, dalla tasca della sua felpa, un pezzettino di carta stagnola. Monique trovò spontaneo aggrottare le sopracciglia.
« E' antibiotico. Quando la febbre si alza così, daglielo. » le spiegò tranquillo Tom.
La mora volle spalmarsi una mano in faccia, per quanto si sentiva stupida.
Perchè non vi aveva pensato? Era talmente semplice! Ed intanto una nuova e spiacevole consapevolezza si faceva largo dentro di sé e, sapeva, sarebbe crollata di lì a poco.
Osservò Tom sollevare con delicatezza il capo di Eveline ed avvicinarle alle labbra la pastiglia.
« Che cot'è? » domandò appena lei, scrutando di sbieco e poco convinta quella “novità”.
« E' una caramella insipida che devi mandare giù con l'acqua, senza masticarla. Ti farà passare il caldo. » le sorrise il chitarrista. Eveline non impiegò quindi un secondo di più ad aprire la bocca, dove Tom posò la pastiglia. Fece bere la piccola dal bicchiere e lo posò successivamente sul comodino, affianco al letto. « Vedrai che tra non molto starai meglio. Ora dormi un po', se riesci; io e la mamma siamo di là. Se hai bisogno, chiama, d'accordo? » Eveline annuì appena, per poi chiudere gli occhi e voltare il viso dalla parte opposta, segno che voleva provare, come le aveva consigliato il chitarrista, a dormire un po'.
Monique rabbrividì al tocco della mano del ragazzo sulla sua schiena, per indurla gentilmente ad uscire insieme dalla stanza, la cui porta venne solamente socchiusa dal giovane.
« Io... Non so come ringraziarti. » mormorò la mora, osservando le sue spalle. Tom si voltò nella sua direzione con un dolce sorriso sul volto.
« Non mi devi ringraziare. Lo sai che io sono sempre disponibile, quando vuoi. Insomma... Te l'avevo promesso, no? » sussurrò quasi timidamente.
Monique strinse appena i pugni.


«Io mi prenderò cura di te. Te l'ho promesso in ascensore, no?»


Quelle sue parole di un anno e mezzo prima le tornarono in mente come una ventata d'aria fresca e tutto ciò la fece sorridere appena, forse con imbarazzo. Sì, lo sapeva che Tom ci sarebbe sempre stato per lei... Ma in che modo? Avrebbero potuto continuare ad inseguirsi a quella maniera, senza trovare un dannato punto di incontro?
« Tom, io avrei dovuto sapere cosa fare, in quel momento. Sono sua madre, cazzo. » nel pronunciare quelle parole si portò le mani al viso, in segno di disperazione. Si sentiva tremendamente in colpa, si sentiva una fallita... Tutto perchè non era stata in grado di assistere sua figlia nel migliore dei modi. Ancor di più perchè a farlo era stato un ragazzo che di bambini, apparentemente, non se ne intendeva nulla. « Ti rendi conto che non sono stata in grado di arrivare a pensare ad uno stupido antibiotico? Avrei dovuto farlo, invece mi sono disperata. Non ho saputo che fare e questo è grave! Come posso crescerla, se non so nemmeno come curarla? Potevo chiamare un dottore e non l'ho fatto! Sono una madre fallita; anzi, non sono proprio tagliata per questo tipo di mestiere! È come ti avevo detto molto tempo fa! »
Tom la afferrò saldamente per le spalle e la scrutò profondamente negli occhi, catturandole lo sguardo. La ragazza sentì, per un momento, mancare il respiro. Si era quasi dimenticata di cosa volesse dire guardarlo così intensamente negli occhi.
« Monique... E' la prima volta che ti succede che Eveline si ammali. È normale, ti sei agitata, non eri pronta, forse. Non sei nata mamma; tutte le donne hanno dovuto imparare, piano piano, anche sbagliando. » cercò di rassicurarla con voce calda e sicura.
« Non si può sbagliare su una vita umana. » mormorò la mora, mentre una lacrima prese a scivolare lungo la sua guancia.
« Non l'hai uccisa, Monique. Sei ancora alle prime armi, sei giovane. Anche le quarantenni sbagliano; vuoi che non sbagli una ventenne? » dicendo questo, le asciugò quella goccia salata con un dito, trasmettendole una notevole quantità di calore allo zigomo, esattamente sul punto in cui l'aveva toccata.
« Ma io non mi posso permettere di sbagliare se voglio che questa figlia cresca con me, nel migliore dei modi, come mi ero ripromessa. 
« E ti posso assicurare che lo sta già facendo. Sta già crescendo nel migliore sei modi, e tutto questo grazie a te. »
« Ma c'è anche Jessica ad aiutarmi. »
« Non c'entra. Chiunque ha bisogno di un po' di aiuto, ogni tanto, e non te ne devi fare una colpa. Ti sei solo agitata, poco fa, semplicemente perchè non ti era mai capitata una situazione del genere, ma ora che hai visto che bisogna mantenere la calma e che è questione di poco, vedrai, non ti troverai mai più impreparata. »
« Chi me lo assicura? Mia figlia dovrebbe avere una madre con le palle, non una che si spaventa al minimo problema e non sa che fare! Il bello è che mi sono anche infastidita quando ho visto che Jessica continuava a raccomandarmi di chiamare qualcuno in mio aiuto; ma io sono troppo testarda! Ovviamente ho voluto fare tutto da sola e questo è quello che mi merito. »
Tom sorrise appena e, con un semplice gesto, le afferrò delicatamente il braccio per attrarla al suo petto, dove la strinse calorosamente, per poi posare il mento sulla sua testa. Monique chiuse gli occhi, lasciando cadere le ultime lacrime sulla sua pelle, e si strinse maggiormente a lui, inspirandone l'odore.
Le mancava dannatamente quel contatto. Avrebbe voluto rifugiarsi fra le sue braccia per sempre, fregandosene di tutto quanto; di tutto quello che era successo in precedenza, di tutto quello che si erano detti e dei suoi buoni principi.
Era proprio in quei momenti che aveva paura di cedere, perchè di spirito più debole.
« Smettila di darti le colpe. Tu sei una mamma fantastica e fai anche più di quello che potresti. Sei perfetta così, Monique. » le sussurrò all'orecchio, al che la ragazza si rilassò in un sorriso leggero e spontaneo, mentre i brividi le ricoprivano nuovamente il corpo, a sentire il fiato caldo del chitarrista sulla sua pelle. « Guarda come Eve sta crescendo bella, sana e serena... Non ti sei accorta che ha sempre il sorriso in faccia? Non ti sei accorta che appena non ci sei ti cerca? E non ti sei neanche accorta che tutto è così per merito tuo? » continuò il moro. « Non credo che Eveline senta il bisogno di una madre diversa da te; non avrebbe quel perenne sorriso sul volto. E sai perchè devi considerarti ancora più brava? Perchè la stai crescendo da sola, senza un padre. Stai facendo un doppio lavoro e non ti devi preoccupare perchè lo stai svolgendo meravigliosamente. »
Quelle parole la fecero commuovere.
Erano così veritiere... Una delle più grandi premure di Monique era quella di non far pesare troppo l'assenza di un padre alla sua bambina. Non poteva sopportare il fatto che nella sua vita albergasse quel vuoto incolmabile e sapeva che un domani Eveline le avrebbe fatto delle domande a riguardo.
Ma forse stava sul serio facendo un buon lavoro e non era una semplice febbre a dover distruggere ciò che in tutto quel tempo aveva costruito. D'altronde, per la sua età, aveva fatto abbastanza, se ne rendeva conto, e probabilmente quei crolli emotivi erano dovuti dalla volontà di apparire perfetta alla vista di sua figlia, di raggiungere sempre il massimo e, perchè no, passarvi oltre, se possibile.
Perchè Eveline doveva essere felice e completa.
Tom sapeva sempre come farla sentire apprezzata, in un certo senso grande per ciò che faceva. Ogni volta che lui parlava, lei si rendeva conto che forse tutti i suoi sforzi non erano del tutto vani, come lei credeva.
Lui riusciva a farla sentire importante.
« Grazie, Tom. »


Quella foglia di insalata minacciava di cadere dalla forchetta, a causa del tremore così accentuato della mano della mora.
Vista l'ora e visto anche il fatto che Tom non aveva ancora mangiato, per catapultarsi a casa sua, Monique l'aveva gentilmente invitato a fermarsi da lei per cena; invito che il ragazzo non aveva di certo declinato.
La mora continuava a chiedersi come diavolo avesse fatto ad esternare quel suo intimo desiderio. Ormai vi era in corso una battaglia fra il suo cuore e il suo cervello e di certo sapeva chi avrebbe vinto, ma – almeno fino alla fine – voleva sperare che il suo cervello potesse tirarsi su le maniche per ottenere quella lontana vittoria che difficilmente sarebbe stata sua. Più la ragazza si impegnava a tenere lontano il chitarrista – o per lo meno, lo facesse mentalmente – più lo avvicinava con le parole o con i gesti. A complicarle la questione era quel carattere così ben disposto, così dolce ed amichevole del moro. Alle volte desiderava che questo riprendesse a trattarla come la spazzatura dall'odore più sgradevole, come i primi tempi in cui aveva cominciato a lavorare allo studio di registrazione; almeno, mandarlo a quel paese sarebbe stato molto più semplice.
Come faccio a mandare a quel paese un gran bel pezzo di ragazzo, che ha rubato gli occhi a Bambi e che non fa più nulla per farmi incazzare? E che, per una botta di sfiga improvvisa, mi fa battere il cuore?
Questi erano i principali pensieri di Monique, mentre il chitarrista, seduto di fronte a lei, con un piatto di insalata e pomodori sotto il naso, le parlava gesticolando appena, ignaro di quel suo travaglio interiore.
« Allora, tu che ne dici? » le domandò quindi, osservandola con interesse.
Oddio, quelle domande che odiava con tutto il cuore, quando non ascoltava i discorsi della gente...
« Ehm... » sentì la fronte imperlarsi appena di sudore. Avrebbe fatto una figura degna di una cretina, se lo sentiva. « Potresti illuminarmi su che cosa? » chiese in imbarazzo, sperando che Tom non la prendesse a male.
« Del viaggio che dovremo fare a Tokyo, fra una settimana. David te ne avrebbe parlato domani; io l'ho semplicemente anticipato. » le spiegò con estrema tranquillità il ragazzo.
Monique restò a fissarlo qualche secondo, deglutendo ripetutamente.
Viaggio. Tokyo. Fra una settimana.
« Aspetta un momento, Tom. Io... Non posso lasciare Eveline! » esclamò repentinamente, sgranando gli occhi, come avesse appena visto un fantasma, di fronte a sé. Tom, al contrario, sembrava rilassato, con un'espressione serena sul volto e la cosa la rendeva alquanto nervosa.
« Ma infatti non dovrai lasciarla. La porterai con noi. » le sorrise con un'alzata di spalle, come se fosse ovvio.
Monique boccheggiò per qualche attimo; forse non aveva ben compreso.
« Ma Tom, ha un anno e mezzo! Io dovrei lavorare, non potrei portarmela dietro! E poi, sarebbe pieno di telecamere e non voglio che lei sia disturbata dai media. »
« Hey, tranquilla, non ho mai parlato di questo. Anche noi vogliamo la sua protezione ed il mondo dello spettacolo sarebbe l'ambiente meno tranquillo per lei. Durante le interviste potresti lasciarla a qualcuno dei nostri tecnici o a Natalie; lo sai che è una donna in gamba e saprebbe trattarla con cura. E poi sarebbe questione di pochissimi attimi. Starebbe con noi in albergo; la terresti sempre con te, Monique. Non sarebbe un problema. Di questo non ti devi preoccupare, soprattutto delle telecamere. Loro staranno alla larga da lei, te lo prometto. »
Monique prese a riflettervi per qualche istante. Certo, la prospettiva cambiava leggermente, dopo le rassicurazioni di Tom, ma c'era qualcosa ancora che la bloccava ed era un'insicurezza che le pesava come un macigno. Perchè non riusciva a prendere decisioni, senza avere paura?
« Non so... » mormorò, con un sospiro.
« Monique, ti fidi di me? Tua figlia non sarà toccata, nemmeno con lo sguardo. »
Brutto stronzo, non me la mettere sul “Ti fidi di me?” e soprattutto con quegli occhi, perchè così cedo in tre secondi, pensò scettica la mora.
« D'accordo... Poi domani ne parlerò meglio con David. » si arrese infatti, scoccandogli un'occhiataccia obliqua, cosa che suscitò divertimento nel chitarrista.
« Non te ne pentirai... E' anche un'occasione per far conoscere a tua figlia un posto nuovo. » la rassicurò.
« Sai com'è... Pensavo prima di farle finire di visitare la Germania, dato che ha un anno e mezzo, e poi continuare, per lo meno, sempre in Europa, invece di catapultarla direttamente in Oriente, tra gli occhi a mandorla. » commentò con sano sarcasmo Monique, al che Tom ridacchiò compiaciuto.
« Vedrai che le piacerà. »
« Oh, questo non lo metto in dubbio. »
Non appena ebbero finito di mangiare, Monique si alzò dalla sedia per poter poggiare i piatti nel lavandino e lavarli.
« Ti aiuto. » si offrì subito Tom, alzandosi a sua volta.
« Ma no, tranquillo. » lo ammonì Monique, con le mani nell'acqua e nella schiuma.
« Mi fa piacere, invece. » insistette il ragazzo, affiancandola successivamente.
Monique percepì il cuore prenderle a battere con ferocia in petto, non appena egli ebbe immerso le mani nell'acqua, proprio assieme alle sue, per velocizzarle il lavoro. Sentiva il proprio braccio bruciare, a contatto con quello del moro, che si muoveva appena per strofinare la spugna su un piatto.
Era, per lei, tanto una scena da film, di quelle che si sarebbero concluse con un bel bacio appassionato ed una seguente notte infuocata in camera da letto o sul divano.
Si sentì arrossire violentemente al pensiero del corpo nudo e bollente del chitarrista su di sé e cercò di ignorarlo con tutta se stessa per non fare pazzie, d'altronde c'erano una minorenne e ancora qualche briciola di buon senso, in quella casa.
Fortunatamente il lavaggio non durò a lungo e la mora poté definirsi salva, almeno per metà.
« Andiamo a vedere come sta Eve? » le propose Tom. Lei si limitò ad annuire, mentre si asciugava le mani, per poi seguirlo al di fuori della cucina. Si affacciarono entrambi in camera di Monique, dove notarono che la bambina era placidamente addormentata, a pancia in su. « Visto? Sta bene. » le sussurrò lui con un sorriso.
« Già. » annuì la mora, intenerita da quella visione.
« A questo punto sarà meglio che io torni allo studio; sono uscito senza dire niente a nessuno e se mio fratello non mi trova si fa venire un esaurimento nervoso, prima del necessario. »
Monique accompagnò il chitarrista alla porta e si fermò ad osservare con quanta eleganza lui riuscisse anche ad infilarsi una giacca.
« Grazie per la cena. » le sorrise amabilmente. Monique ricambiò il gesto, con un lieve rossore sulle gote.
« Figurati, è stato un piacere. Piuttosto grazie mille a te, che sei venuto di corsa e mi hai aiutato. Non avrei saputo che fare, senza. »
« Te l'ho detto che mi puoi chiamare ogni volta che vuoi. E poi... Così siamo pari, no? » Monique aggrottò appena le sopracciglia, scrutandolo interrogativa. « Grazie per avermi accompagnato a casa, quella notte, e anche per avermi riportato la macchina, la mattina seguente. » le sorrise, come chiarimento. Monique sentì le gambe farsi improvvisamente molli. Quindi lui sapeva? Non fece in tempo a rendersene conto che il viso del chitarrista si era avvicinato al suo per schioccarle un tenero bacio sula guancia. « Buona notte. » le sussurrò prima di uscire di casa e chiudersi la porta alle spalle.
Quando Monique poggiò le proprie dita su quel lembo di pelle dove il bacio di Tom era planato, fu convinta di scottarsi.


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Capitolo 10
*** Ten. ***


10

Ten.



« I taponeti? » domandò Eveline, con sguardo incuriosito, mentre Monique le allacciava al collo la sua sciarpa rosa, preferita. Gli occhioni celesti erano ben aperti e sani, di fronte a lei, motivo per cui la mora si sentì tremendamente rincuorata. L'intervento di Tom a casa sua, una settimana prima, era stato assolutamente essenziale.
« Giapponesi. » la corresse la mora. « Sì, andiamo a stare per qualche giorno in mezzo a loro. » le sorrise successivamente.
« E chi tono i taponeti? »
Monique soffocò una lieve risata: la parola giapponesi, evidentemente, non riusciva a pronunciarla.
« Sono le persone che vivono in Giappone, un posto molto distante dalla Germania, dove andremo a stare per almeno una settimana. » le spiegò di nuovo Monique, mentre si infilava il cappotto, pronta per uscire, con la valigia ed il piccolo borsone di Eveline ai suoi piedi.
« E pecchè? » chiese curiosamente la piccola, con un ditino sul mento, mentre osservava la sua mamma dal basso.
« Perchè io e i Tokio Hotel dobbiamo lavorare. Terranno molte interviste, in cui io dovrò tradurre ciò che diranno, e faranno anche un sacco di foto. »
« Acchìo le voio fale! »
« A quello ci penserò io. Ho preso anche la macchina fotografica, così, quando torneremo a casa, faremo vedere alla Zia Jessica quanto ci siamo divertite. »
« Tì! »
Monique prese la piccola in braccio, dopo che questa ebbe finito di battere entusiasta le manine, e recuperò la valigia ed il borsone con qualche difficoltà. Non seppe dire come riuscì ad aprire la porta di casa, ma ce la fece ed in poco tempo si ritrovarono fuori, pronte per entrare in macchina.


Tom si domandava da ore cosa fosse scattato in lui quella sera in cui Eveline aveva avuto la febbre: l'aveva soccorsa, le aveva parlato e l'aveva coccolata come fosse una cosa del tutto naturale e per niente nuova per lui.
Aveva sempre esternato timidezza con la piccola e, di conseguenza, Eveline non aveva mai osato più di tanto con lui.
Eppure quella sera aveva agito d'impulso. All'improvviso la timidezza era svanita e non si era sentito nemmeno per un momento impacciato; anzi... Le aveva dato quell'antibiotico con immensa sicurezza, come fosse stato un bravo dottore o un bravo genitore; come l'avesse fatto più volte. La cosa gli sembrava del tutto innaturale; non gli apparteneva.
E se il solo pensiero lo faceva arrossire, allo stesso tempo lo rendeva sereno, perchè per lo meno l'aveva aiutata a guarire.
Ora, però, si sentiva di nuovo estremamente intimidito con lei. Non aveva ancora avuto occasione di parlarle in modo più ravvicinato, quella mattina, ma quest'ultima gli sedeva di fronte, in braccio alla sua mamma, intenta ad osservare le nuvole attraverso l'oblò dell'aereo privato, come rapita, ed il suo cuore pompava sangue a velocità nettamente superiore del normale.
Che fosse anche per Monique, non lo sapeva dire.
La mora, dal suo canto, osservava anch'ella il cielo azzurrino sotto di loro, con sguardo perso ma sereno. Non sembrava incupita o pensierosa riguardo qualcosa di poco felice. Forse per la prima volta da quando la conosceva, la vedeva tranquilla e ciò gli provocava dei piacevolissimi brividi di contentezza ed affetto nei suoi confronti. Aveva una dannata voglia di allungare le braccia verso di lei e stringerla a sé, per comunicarle quanto tenesse a lei, ma i suoi muscoli erano come intorpiditi, immobili, al loro posto.
E forse, da una parte, era meglio così.
« Ti piace, piccola? » udì improvvisamente la voce di suo fratello, seduto accanto a lui, con lo sguardo sereno rivolto alla piccola Eveline, la quale non osava staccare lo sguardo così affascinato dal paesaggio sottostante.
« Tì. » annuì energicamente la bambina, particolarmente entusiasta. « Mamy, le nuvole non ti pottono toccale? » domandò successivamente, voltando il viso verso Monique.
« Beh, no, è pericoloso, Eve. » le rispose con un sorriso. Tom era intenerito da tale dolcezza e tale ingenuità, da parte della piccola. A volte sentiva la mancanza della sua infanzia, quella che si era svolta prima che cominciasse ad andare a scuola, quando ancora la curiosità era ciò che più lo caratterizzava. Per molti aspetti, era meglio non sapere per vivere sereni... Ed i bambini potevano ritenersi fortunati ad avere tale privilegio. « Io vado un attimo in bagno. Riesci a stare seduta, senza spiattellarti per terra? » si rivolse ironica a sua figlia, la quale gonfiò appena le guance.
« Controllo io che non si spiattelli, tranquilla. » la rassicurò Georg, al suo fianco.
« Grazie. »
Tom osservò attentamente la mora alzarsi dal proprio sedile e sparire, in direzione del bagno.


Il suo viso sembrò rinascere al piacevole contatto dell'acqua fresca; ne aveva decisamente bisogno.
Si chiedeva ancora come accidenti avesse fatto ad apparire, agli occhi degli altri, così disinvolta ed apparentemente serena. La verità era che si sentiva particolarmente nervosa: la presenza del chitarrista sortiva in lei tensione. In particolar modo, da quando si era occupato di sua figlia, non aveva potuto fare altro che guardarlo sotto un'ulteriore luce differente. Sentiva che i suoi sforzi per tenersi lontana da lui stavano, piano piano, diventando del tutto vani.
Lei era tremendamente decisa a dimenticarlo, sentimentalmente parlando, ma lui stava, giorno per giorno, mandando a monte i suoi piani con la tenerezza, la premura nei suoi confronti e in quelli di Eveline. La situazione stava degenerando.
Si osservò allo specchio e ciò che lesse nei propri occhi non le piacque per niente: l'amore.
Sobbalzò non appena vide, attraverso il vetro, la porta del bagno aprirsi alle sue spalle. La figura alta ed imponente di Tom fu ciò che le fece scoppiare il cuore in petto.
« Hey. » le sorrise lui con strana disinvoltura.
« Ho finito, mi sposto. » si affrettò a dire Monique, asciugandosi il viso con un panno, lì affianco.
« No, tranquilla, mi devo solo lavare le mani. » la rassicurò, restando alle sua spalle e continuando ad osservare il suo riflesso. « Non ti senti bene? » le domandò successivamente, probabilmente alludendo al fatto che si era bagnata il viso.
« No, volevo solo rinfrescarmi un attimo. » Tom le si avvicinò appena, per poi aprire il rubinetto, far scorrere l'acqua nel lavandino e poter lavarsi le mani. « Questa scena non mi è nuova. » sorrise la mora. Tom sollevò lo sguardo sullo specchio, con un lieve sorriso, e la osservò mentre la sua mente cominciò a scavare nel passato.


« Che hai da fissare a quella maniera? » domandò freddamente, per poi spegnere l'acqua ed asciugarsi le mani affianco. Monique deglutì il mare di insulti che avrebbe voluto urlargli contro e riaprì il rubinetto per potersi lavare le mani anche lei.
« Attendevo semplicemente il mio turno. » [...] « Si può sapere qual'è il tuo problema con me? » Vide il ragazzo fermarsi, ma senza voltarsi nella sua direzione. [...] « Mi ignori in continuazione oppure mi parli con freddezza, come se ti avessi fatto qualcosa. Vorrei sapere il motivo, se non è troppo. »
[...]
« Non siamo così in confidenza, Schmitz. »


« Non siamo così in confidenza, Schmitz. » sorrise il chitarrista, avvicinandosi maggiormente a lei, dopo essersi asciugato le mani.
« Quanto ti ho odiato... » rammentò Monique.
Quasi smise di respirare, nell'esatto istante in cui Tom si fece ancora più vicino a lei, con lentezza disarmante. Percepiva il calore del suo corpo bruciarle la pelle, l'anima e non sapeva se esserne contenta o meno.
« Mi odi ancora? » le domandò in poco più di un sussurro lui, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Le gambe di Monique fremevano, volenterose di correre via di lì e mettersi in salvo, prima che l'irreparabile accadesse. Non trovò la forza di rispondere, poiché quegli occhi nocciola stavano scavando in lei, nel profondo, e aveva paura che questi avrebbero trovato qualcosa di inchiodante. « Tu lo sai perchè mi comportavo a quella maniera con te. » continuò quindi il ragazzo, carezzandole lievemente i capelli. Il cuore di Monique prese a fare le capovolte nel suo petto, lasciandola senza fiato.
Era imbarazzata. Quella vicinanza con il chitarrista era altamente pericolosa e si sentiva tremendamente in soggezione, nei suoi confronti.
« Tom... » provò la mora, con l'intento di non farlo proseguire con parole che, sapeva, le avrebbero fatto male.
« Che c'è? » chiese lui con dolcezza inaspettata, mentre un lieve sorriso albergava sul suo volto e la mano si posava sulla gota di Monique. Quest'ultima, ancora una volta, non trovò il coraggio di rispondere. « Io lo so che hai timore di me. Lo so che non ti fidi del ragazzo che hai di fronte. »
Monique sentì una fitta al petto. Aveva dannatamente paura di quello che avrebbe aggiunto, guardandola così intensamente negli occhi.
Era la pura verità: aveva paura di lui, o meglio, non riusciva più a riporre in lui quella fiducia che forse mai vi era stata. Molto tempo prima non aveva fatto altro che immergerla nei dubbi, nella confusione più totale e ciò non l'avrebbe mai portata a riporre fiducia in lui, nonostante il sentimento fosse grande, dentro di lei.
Sì, era una codarda. Ma forse aveva le sue buone ragioni.
« Tom, lasciami uscire, per favore. » sussurrò tremante.
Non riusciva ad affrontarlo. La forza che aveva accumulato inizialmente, non appena i Tokio Hotel erano tornati dai loro interminabili viaggi, era crollata ai suoi piedi, a causa del moro. Doveva acquisirla nuovamente o non sarebbe mai riuscita a venir fuori indenne da quella situazione. Ora vi era di mezzo una figlia e non poteva giocare con il fuoco.
A quella richiesta, Tom la scrutò ancora per qualche istante, forse dispiaciuto, ma con una nota comprensiva negli occhi, fino a che non si scostò e permise a Monique di uscire in fretta da quel bagno.


« Mamy, ma io co chi to? » domandò Eveline, piuttosto incuriosita di ciò che le stava accadendo attorno. Quello studio televisivo rappresentava un qualcosa di totalmente nuovo per la bambina, motivo per cui si guardava in giro, come spaesata.
Dietro le quinte, Monique si assicurava che la piccola comprendesse che per nessun motivo avrebbe dovuto fare irruzione in quella sala circondata di divanetti e telecamere, dove di lì a poco i Tokio Hotel si sarebbero seduti.
« Tu starai qui con David. Hai capito che non devi entrare? » si assicurò per l'ennesima volta.
« Tì, mamy, ho capito! » esclamò Eveline, evidentemente stanca di sentire le stesse raccomandazioni, più volte.
Monique se ne rendeva conto, ma la sua paura più grande era che sua figlia apparisse in televisione, suscitando curiosità e dubbi in qualsiasi fan dei ragazzi.
Ricordava bene qual'era stata la violenta reazione di alcune “fan” in Malesia, contro di lei, spinte semplicemente dalla gelosia nei confronti suoi e del suo innocente lavoro.
Non voleva che Eveline subisse le stesse cose, poiché la stupidità umana, in molti casi, non conosceva limite.
« Cinque minuti e si comincia. » annunciò una voce accanto a loro. David giunse dalla mora, per tenere la piccola Eveline, così che Monique poté entrare in sala assieme ai ragazzi e sedersi sul divanetto, affianco a loro.
Quei pochi minuti volarono e la conduttrice, donna curiosa dagli occhi a mandorla e i capelli color ebano, si voltò in direzione della telecamera, portandosi contemporaneamente il microfono alla bocca e cominciando a parlare una lingua che Monique comprendeva perfettamente, con l'enfasi tipica degli orientali.
La mora si divertiva, nello stesso momento, a voltare lo sguardo in direzione dei Tokio Hotel: le loro espressioni erano sorridenti, ma di un sorriso tipicamente perplesso, poiché non capivano una parola di ciò che la conduttrice stava dicendo ed il motivo di tutto quell'entusiasmo.
Quando finalmente la donna si rivolse a loro, sembrarono rincuorati, voltandosi in direzione di Monique che si prodigò a tradurre.
« Siamo felicissimi di avervi qui, per la prima volta, a Tokyo. Che effetto vi fa? » riportò quindi in tedesco.
« Beh, senza dubbio è una bellissima sensazione. Abbiamo sempre amato questa città ed abbiamo desiderato per anni di poterla visitare. Ora che finalmente ci siamo, è fantastico. » rispose prontamente Bill, con quel suo tipico gesticolare, come per farsi comprendere al meglio. Monique tradusse nuovamente in giapponese ed il pubblico di fronte a loro, prese a strillare eccessivamente.
Ormai vi era disperatamente abituata, o meglio, si era arresa: ogni risposta che i Tokio Hotel avrebbero dato sarebbe stata un pretesto per quelle ragazze, dall'animo tremendamente isterico, per urlare a squarciagola. Quello che ancora non sapevano o che forse si impegnavano ad ignorare era che ai loro beniamini tutto quel trambusto, a lungo andare, infastidiva parecchio.
« So che vi siete presi un periodo di pausa. Avete intenzione di lavorare ad un nuovo album? » domandò nuovamente Monique, subito dopo aver ascoltato la stessa domanda dalla giapponese.
« Stiamo buttando giù qualcosa. In questo periodo ce la stiamo prendendo un po' più comoda, giusto perchè non è passato molto tempo dall'ultimo tour. Diciamo che ogni giorno è potenzialmente creativo; veniamo ispirati da qualunque cosa ci accade attorno. » rispose nuovamente Bill.
L'intervista proseguì, come tutte le precedenti, allo stesso modo: stesse domande, stesse risposte, stesse battute, stesse urla. Monique avrebbe potuto rispondere ad ogni domanda dell'intervistatrice al posto loro; le era bastato poco per memorizzare ogni singola risposta che puntualmente davano. D'altronde, i giornalisti avevano sempre avuto una magra fantasia nel porre domande.
Improvvisamente però, l'attenzione di Monique fu catturata dall'inaspettata e nuova questione che l'intervistatrice aveva posto.
Il suo cuore aveva preso a battere all'impazzata; le mani prudevano fastidiosamente; un gran senso di nausea le invadeva la gola. Stava esitando e nel suo lavoro non doveva assolutamente accadere.
Il pubblico mormorava appena, mentre i ragazzi la scrutavano incuriositi, non capendo quale fosse il motivo di quell'indugio.
Muoviti, dannazione, si incoraggiò mentalmente, nonostante una grandissima voglia di prendere a schiaffi il soggetto sul quale ora aveva posato lo sguardo era assai invitante.
« Tom, la tua relazione con Chantelle, che riprendesti per qualche mese, al termine del tour, può essere considerata finalmente ufficiale? » scandì per bene le parole, ingoiando il groppone che le si era formato in gola. Aveva potuto vedere con chiarezza i muscoli facciali del chitarrista irrigidirsi appena e la cosa la fece ancora più imbestialire.
Si sentiva totalmente cretina. Aveva voglia di andare via da quello studio, di andare via dal Giappone, di tornare a casa con sua figlia dove la sua migliore amica l'avrebbe accolta a braccia aperte.
Era vero, avevano passato quasi un anno ancora, in giro per il mondo, subito dopo aver finito il tour – il tempo in cui Monique era andata in maternità – ma rimaneva il fatto che il solo pensiero che Tom nel frattempo si era rivisto con quella biondina le lacerava brutalmente lo stomaco, lasciandole un solco profondo anche nel cuore.
Non le aveva mai promesso nulla, ma le aveva comunque confessato di essere molto preso da lei, poco tempo prima; senza contare che, al suo ritorno, sembrava volesse ritrovare quel rapporto che si era venuto a creare tra loro, qualche settimana addietro.
Ciò che aveva fatto ultimamente allora non contava nulla?
I suoi pensieri così pedanti ed urgenti vennero improvvisamente interrotti dallo schiarirsi della voce da parte del chitarrista, il quale si impegnò ad osservare l'intervistatrice e non lei.
Sentiva il sangue ribollirle nelle vene.
« Ehm, no. La piccola relazione, se così si può chiamare, che abbiamo ripreso qualche mese fa non è mai stata ufficiale o comunque non è mai stata particolarmente importante. Siamo giovani e ci siamo semplicemente divertiti. Fra noi due c'è sempre stata particolare simpatia ma niente di più. Chantelle è una bella ragazza ma, oltre questo, non c'è altro da dire. Direi che come episodio è morto e sepolto. » parlò il ragazzo, per la prima volta serio dall'inizio dell'intervista. Monique si sforzò di tradurre quelle parole, senza lasciar trapelare il tremore della sua voce.
Perchè si comportava così? D'altronde aveva detto che con Tom non avrebbe mai intrapreso una relazione, no? Non si fidava di lui... E quell'ultima rivelazione ne era stata l'ulteriore prova: se veramente aveva provato qualcosa per lei, come le aveva detto, non sarebbe riuscito ad accantonarla così presto e con così tanta facilità. Non le importava nulla – o quasi – delle avventure di una notte; quelle caratterizzavano ogni ragazzo presente sul pianeta. Ma se con Chantelle si era visto per qualche mese, allora voleva dire che per lui significava qualcosa di più?
« Quindi non provi nulla per quella ragazza? » si ritrovò nuovamente a dover tradurre, contro la propria volontà.
« Assolutamente no. Ma nemmeno in passato e lo stesso vale per lei. Ci siamo semplicemente trovati bene a passare del tempo insieme. » rispose nuovamente il moro, con una scrollata di spalle. L'intervistatrice, dal suo canto, come Monique, non sembrava del tutto convinta, mentre le ragazze tra il pubblico mormoravano parole che facevano pensare a qualcosa di decisamente poco allegro.
« Sarà vero? Chi lo sa... Comunque vi ringrazio, ragazzi, per essere stati qui. Spero non sia l'ultima volta che ci incontriamo. In bocca al lupo per la vostra carriera. »
Monique attese quasi senza fiato sino all'ultimo secondo di riprese, per poi alzarsi velocemente dalla poltrona e camminare diretta verso le quinte, dopo aver stretto la mano alla conduttrice. Avrebbe giurato di aver udito pronunciare il proprio nome da parte del chitarrista, con l'intento di fermarla, ma si era decisa a non voltarsi, fino a giungere da sua figlia che le saltò in braccio con un sorriso ingenuo sul volto.
Si sentiva tremendamente scossa; quella rivelazione non ci voleva decisamente e se già aveva qualche dubbio sul ragazzo, ora non poteva fare altro che immergersi nella disperazione più totale.


La cena stava assumendo un carattere piuttosto imbarazzante per Monique. Per tutta la serata era rimasta in silenzio, ascoltando semplicemente ciò che i Tokio Hotel avevano da dire, limitandosi a mangiare e ad imboccare Eveline, seduta accanto a lei, al tavolo circolare della sala da pranzo. Anche Tom aveva stranamente optato per il silenzio. Sembrava pensieroso, tormentato, come avesse qualcosa di urgente da dire ma non potesse farlo in quella circostanza.
Sotto sotto, Monique sperava si trattasse dell'argomento venuto alla luce qualche ora prima. Il controsenso era che lei non avrebbe comunque dato ascolto alle sue spiegazioni e, per quanto le riguardava, non aveva nemmeno voglia di sentirle. D'altronde nemmeno gliene doveva, poiché non erano assolutamente fidanzati e non lo erano nemmeno stati quando lui aveva ripreso a vedersi – e non solo, a quanto pare – con quella biondina, alla quale un nome non riusciva proprio a dare, nemmeno mentalmente.
Nel complesso, Monique non aveva mangiato poi molto; a dire il vero aveva toccato, sì e no, due pezzetti di carne. Sentiva di avere lo stomaco completamente chiuso ed il solo pensiero del cibo le procurava sgradevole nausea.
« Hey, Monique, non hai mangiato praticamente nulla. » si rivolse improvvisamente a lei David. Percepì gli occhi di ognuno puntati addosso a lei e la cosa le piaceva ben poco.
« Non ho tanta fame. » sorrise appena la mora, cercando di apparire il più convincente possibile.
« Tlano, la mamy mangia semple tanto. » intervenne Eveline, ingenuamente. Monique decise di non replicare; d'altronde era una bambina e non poteva sapere cos'era bene dire e non dire in determinati momenti.
« Non ti senti bene? » domandò quindi Gustav, perplesso, rivolto alla mora.
« Mi sento bene, GusGus, tranquillo. » sorrise rassicurante Monique. « Sono solo un po' stanca, infatti io adesso andrei in camera. » aggiunse subito dopo.
« Ma, mamy, io voio tale accola co lolo. » protestò mestamente Eveline, mettendo un tenero broncio in viso. Monique si sentì tremendamente combattuta: da una parte voleva abbandonare quel luogo, dove la persona che più in quel momento le dava fastidio le stava facendo la radiografia completa con gli occhi, dall'altra le dispiaceva come non mai negare un piacere a sua figlia.
« Monique, se vuoi, la puoi lasciare con noi. » le propose quindi Georg.
« Ma non voglio che vi disturbiate. » ribattè lei, quasi mortificata. Che dei ragazzi ventenni non avessero una smisurata voglia di fare da balie ad una bambina di un anno e mezzo era più che comprensibile.
« Assolutamente nessun disturbo, ci piace avere la piccola tra i piedi. » le sorrise rassicurante il bassista.
« Beh, allora grazie... Mi raccomando, in camera non più tardi delle dieci. » si premurò di mettere in chiaro quel punto saliente.
« Alle nove e cinquantanove verremo a bussare. »
Monique sorrise appena a quell'ultima affermazione e successivamente si abbassò verso sua figlia, per stamparle un bacio sulla guancia.
« A più tardi allora. E buona notte a chi non vedrò. »

Dette queste parole, si alzò dalla sedia e sparì dietro l'angolo che l'avrebbe condotta all'ascensore.


I suoi muscoli si stavano piacevolmente rilassando sul materasso di quel letto matrimoniale.
Dopo aver fatto un bel bagno caldo, si era sdraiata sul letto, di fronte alla televisione che trasmetteva strani programmi giapponesi, e aveva deciso di non pensare a nulla. Non che questo implicasse il fatto di riuscire in tale impresa; per lo meno vi aveva messo la buona volontà.
Improvvisamente sentì bussare alla porta, cosa che la lasciò perplessa per un attimo, dato che era passata a malapena mezz'ora da quando era salita in camera. Si alzò dal letto con un sospiro e si avvicinò alla porta, per poi aprirla incuriosita.
Sentì il cuore precipitare verso il basso, non sapeva dire bene dove; era semplicemente sicura del fatto che il chitarrista era l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel preciso istante.
« Hey. » mormorò Tom, piuttosto serio. Sembrava, più che altro, si sentisse in colpa. Monique non gli rispose; restò a fissarlo negli occhi con severità, senza indugio e senza spezzare quel contatto visivo. « Dormivi già? » le domandò quindi il ragazzo.
« No. » si limitò a rispondere Monique.
Era più forte di lei; non riusciva a comportarsi come nulla fosse accaduto, come se quel fatto non la toccasse minimamente.
« Allora, hai voglia di scendere con me nel giardino dell'hotel? Vorrei parlarti un po'. » le propose Tom.
Un brivido.
« Perchè dobbiamo scendere in giardino? »
« Ho bisogno di prendere una boccata d'aria e fumarmi una sigaretta. E poi vorrei che nessuno origliasse; qui c'è troppo silenzio. »
« Gli altri? »
« Sono nella sala giochi. »
Monique esitò tremendamente. Da una parte il cuore fremeva dalla voglia di stare con il chitarrista, dall'altra il suo orgoglio e la rabbia le impedivano di farlo. Senza pensare che aveva una paura dannata di scoprire cosa le avrebbe voluto dire. Temeva che, le sue parole, non le avrebbe gradite.
Si prese ancora qualche attimo per riflettere.
D'altronde, prima o poi, avrebbe dovuto affrontarlo. Farlo quella sera stessa o più avanti non le cambiava di certo la vita.
« D'accordo. » si arrese infine.
Sapeva che quella serata si sarebbe conclusa in modo molto spiacevole.


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Capitolo 11
*** Eleven. ***


11

Eleven.



Silenzio.
Poteva chiaramente udire il proprio cuore battere ripetutamente e spingere con violenza nel suo petto e nient'altro.
Da qualche secondo aveva trovato sostegno sulla corteccia dura di un albero che si innalzava a lato di quell'immenso giardino, sul retro dell'hotel. Tom sostava di fronte a lei, intento a fumare una sigaretta, con la mano libera rifugiata nella tasca dei suoi jeans oversize. Inutile dire che quel semplice gesto procurava in lei una dolorosa morsa allo stomaco, ricordandole il motivo – uno dei tanti – per cui si era scoperta ancora così presa da lui.
Si domandava ancora cosa stesse aspettando, a cosa servisse quel silenzio. Le aveva chiesto di scendere in giardino assieme a lui ma non aveva ancora udito una parola fuoriuscire dalle quelle stupende quanto irritanti labbra. Continuava ad osservarlo, agitando un piede sull'erba umida, aspettando una qualsiasi esternazione.
Improvvisamente però, il suo cuore prese ad accelerare i battiti; il motivo era quasi futile: Tom si era semplicemente schiarito la voce, probabilmente con l'intento di parlare.
« Volevo parlare un po' di... Quello che è successo oggi. » esortò infatti, mentre la mora prendeva ad agitarsi sempre di più. « L'intervistatrice ha spiegato la situazione a modo suo e vorrei poter chiarire alcune cose anche io. » aggiunse, osservandola attentamente negli occhi, non riuscendo a celare però quella sfumatura dispiaciuta e tesa che albergava nei suoi.
« Riguardo? » domandò Monique, pur conoscendo perfettamente la risposta.
« Riguardo il discorso che è uscito su Chantelle e me. » rispose il moro, provando quasi disprezzo al solo pensiero.
« Non vedo cosa dovresti chiarirmi; io non c'entro nulla con te e non devi darmi giustificazioni di alcun tipo. » ribattè fermamente Monique.
Stai calma, continuava a ripetersi mentalmente, ma il nervoso le stava facendo esternare il peggio che di sé poteva dare.
« Hey, non fare così. » mormorò Tom, osservandola dispiaciuto.
« Che dovrei fare? » sbottò nuovamente, lanciandogli un'occhiata particolarmente rovente.
« Vorrei che provassi ad ascoltarmi, prima. Dato che credo tu invece abbia il diritto di sapere come stanno le cose. » le chiese con fare pacato il chitarrista, al che la mora non seppe come replicare ulteriormente. Era inutile attaccare chi nemmeno provava a fare altrettanto; avrebbe dovuto calmarsi, volente o nolente. Così optò di nuovo per il silenzio, con un sospiro forzato, ed incrociò le braccia al petto, attendendo che parlasse. « Innanzitutto, l'intervistatrice ha usato un termine che, in tutta questa situazione, è tremendamente inappropriato. Ha chiamato “relazione” ciò che si è consumato in poco tempo e che è privo di ogni importanza. »
« Qualche mese non mi sembra poco tempo e privo di importanza. » commentò Monique, altamente disgustata.
« Monique, per qualche mese si intendono due mesi insignificanti, in cui io e lei ci siamo visti, sì e no, una decina di volte. »
A quell'ultimo chiarimento, Monique sentì un brivido di stizza percorrerle la colonna vertebrale. Il solo pensiero che lui si fosse visto con la stessa ragazza già per una decina di volte, le dava il tormento. Credeva di essere stata l'unica, nel bene e nel male, ad aver ricoperto un ruolo così “unico”, in un certo senso, con lui. Credeva che tutte le altre ragazze che si portava a letto fossero di passaggio e, vista la poca importanza che dava lui alla questione, che fosse riuscito a farlo con un'altra era inconcepibile, per lei.
« Se l'hai vista più volte, vuol dire che un interesse c'è, nei suoi confronti... » cominciò la ragazza che, non appena vide il chitarrista aprire la bocca per ribattere contrariato, aggiunse velocemente, un po' più furente: « E non dire di no! »
A quel punto, il moro ammutolì, con un sospiro.
« Perchè dovrei mentire? » domandò disarmato.
« Appunto, perchè dovresti? Dì le cose come stanno; ti ho già detto che non mi devi dare dimostrazione di nulla. Quel poco che è successo tra noi è acqua passata, mi pare di essere stata chiara su questo. »
« Ecco, vedi che vizio hai?! Devi sempre mettere le mani avanti e ripetere fino allo sfinimento che le cose fra noi sono cambiate, che non provi più nulla per me e cazzate varie! »
« E tu che ne sai se sono caz...?! »
« Io non ti credo, quando parli così! Semplicemente perchè sembra che tu debba, tutte le volte, autoconvincerti di questo! Se fossi sicura, come tu tanto decanti, non avresti bisogno di ribadirlo in ogni discussione fra noi! »
« Tu hai seri problemi di presunzione, te l'ho già detto. »
« Sì! Sono presuntuoso quando ho la possibilità palese di esserlo! Se io affermo una cosa, è perchè ho delle basi da cui dedurre tutto quanto! »
« E quali sarebbero queste basi?! »
« Quando hai sentito il nome Chantelle, hai cambiato colore! »
« Dio! » Monique si prese nervosamente la testa fra le mani, voltandosi momentaneamente di profilo, con l'intento di calmarsi e non prenderlo a pugni. « Ho cambiato colore, come tu dici, semplicemente perchè mi ha fatto e mi fa schifo il solo pensiero di quanta facilità tu abbia avuto nel cambiare preda! Dopo tutte le cose che mi avevi detto! Allora vuol dire che i sentimenti che dicevi di provare per me non erano così forti! » esclamò successivamente, tornando a guardarlo con furia.
La gambe le tremavano, così come le mani e tutto il resto del corpo.
Se solo avesse potuto aprire il suo cervello ed il suo cuore per mostrarne il contenuto al chitarrista, sarebbe stato tutto più facile. Odiava doversi spiegare a parole, poiché mai riusciva a dare alle sue frasi il senso voluto.
« Primo, io non ti ho mai considerato una preda e lo sai che provavo sul serio qualcosa di diverso per te! Secondo, è stato solo sesso, Monique! Sono un maschio, cazzo, non mi posso castrare! »
« Sei squallido, quando parli così! Ti comporti da animale, come se nella tua vita contasse solo quello! »
« Come fai a dire una cosa del genere quando con te mi sono sempre rifiutato di farlo?! Non ti ho mai buttata sul letto, assalendoti in modo burbero; ti ho sempre rispettata, soprattutto perchè eri incinta! »
« Senti... »
« No, adesso mi lasci finire! Se avessi voluto e se non mi fossi interessata, ti avrei presa all'istante, okay? Non mi fare così incapace, Monique! Non l'ho mai fatto semplicemente perchè ho rispetto di te, perchè non sei come le altre e te l'ho fatto capire tante volte! E ti posso assicurare che ti volevo in modo smisurato, ma non volevo turbarti o farti credere che io cercassi solo il sesso da te! Perchè infatti non volevo solo quello ed ero stato anche chiaro; per questo mi volevo allontanare, come ti ho già spiegato! E se proprio lo vuoi sapere, per tutto il tempo che ho passato con te, il sesso me lo sono solo sognato! D'altronde non stavamo insieme, avrei potuto andare a letto con chiunque, eppure ho sempre evitato, per rispetto dei miei sentimenti e dei tuoi! » A quelle confessioni, Monique si sentì per un attimo sballottata a destra e a manca. « Visto che tu mi consideri un animale, non in grado di controllare le proprie squallide pulsioni, fatti un pensierino su questo! » continuò irato il chitarrista.
Lui aveva sempre odiato essere attaccato su quel punto. Odiava dover passare agli occhi della gente per quello che non era, ovvero un maniaco del sesso, arido e senza cuore. Ancor di più non voleva passarvi agli occhi di Monique.
« Non ho mai detto questo, ho semplicemente detto che mi da fastidio quando parli in un certo modo, cercando di farti conoscere per quello che non sei! Io lo so che non sei squallido, come vuoi far credere, ma quando parli in questo modo, mi fai salire il sangue al cervello! »
« Ma perchè dovrei parlare diversamente?! Perchè ti dovrei dire che con Chantelle c'è stato più del semplice sesso, quando non è così?! Non me ne importa nulla di quella lì! »
« Non andresti mai a letto con la stessa ragazza più volte, se non provassi nulla per lei! »
Tom buttò malamente la sigaretta per terra, spegnendola con la scarpa. Si stava alterando sempre di più.
« Allora, vuoi saperla la verità, una volta per tutte?! » urlò, quasi sull'orlo di una crisi isterica. Il cuore di Monique scalpitò; non sapeva cosa aspettarsi. « Io volevo dimenticarmi di te! » La mora si trovò immobile, incapace di intendere e volere, con gli occhi fissi sul ragazzo. « Perchè, se non dovessi saperlo, mia cara, anche io ho un cuore e dei sentimenti; non sei l'unica a star male per determinate cose! Avevo un fottuto bisogno di toglierti dalla mia testa e ho cercato i mezzi più classici e stupidi per farlo, ovvero sesso, alcol, concerti e ancora sesso e alcol e concerti! Non hai idea della grandissima merda che mi sono sentito a dirti quelle dannate cose, quel giorno in aeroporto! Non immagini neanche quanto ho faticato a salire su quel fottuto aereo, con il pensiero che ti avevo lasciato con spiegazioni insulse, che avevano fatto male sia a te che a me! E invece, no! Eri sempre lì, sempre lì, nella mia mente, a rompermi le palle, sempre lì a ricordarmi che esistevi e a darmi del coglione ogni volta che le mie mani sfioravano una ragazza che non fossi tu! » Quelle parole erano arrivate dritte al cuore di Monique come pezzi di vetro; dolorosissimi pezzi di vetro. « Quello che ti sto dicendo è che per quanti sforzi io abbia fatto, in tutto questo tempo, a mettere una croce sul tuo nome, ho fallito miseramente e che tutte le ragazze con cui mi sono intrattenuto, compresa Chantelle – perchè, ripeto, non è stato altro che divertimento da parte di tutti e due – valgono meno di zero, perchè, che ti piaccia o no, nella mia cazzo di mente malata ci sei ancora tu! »
Fu come venire strozzata da una fune invisibile; fu come sentirsi strappare il cuore dal petto; come ricevere un pugno alla bocca dello stomaco. Fu una marea di sensazioni tremendamente forti che la lasciarono in apnea per qualche secondo, anche quando il ragazzo le diede le spalle per poi sparire con passo furente all'interno dell'hotel.
Era semplicemente pietrificata.


Sembrava volesse sfondare quel dannato ascensore con la sola forza dei suoi pugni. La sua fronte premeva con violenza su quella parete metallica, mentre l'elevatore lo conduceva lentamente al suo piano e la sua mano batteva su di essa, accantonando il dolore che vi si stava diramando, poiché – confrontato con quello che provava nel cuore – era pari ad un pizzicotto.
Si sentiva un deficiente; un imbarazzante essere vivente che non ancora riusciva a dare una freno alla propria lingua.
Perchè le aveva detto tutte quelle cose? Perchè le aveva sputato in faccia la realtà dei fatti, senza riflettere sulle conseguenze? Agire d'impulso era un qualcosa che non riusciva a sopportare e si impegnava sempre a prendere le distanze da quel tremendo errore, cadendovi poi sempre, irrimediabilmente.
Non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe dovuto aprire il suo cuore a Monique, a quella maniera. Si era sempre impegnato per tenerla lontana, ma si era reso conto che nulla di ciò che aveva pensato era andato come voleva. Si era ritrovato inchiodato, con le spalle al muro, e la verità era uscita dalle sue labbra, quasi senza una riflessione, in modo troppo veloce e distruttivo.
Non sarebbe riuscito a guardarla ancora negli occhi, motivo per cui se n'era subito andato.
Non sarebbe riuscito, al contempo, a ricevere un rifiuto.
Non sarebbe riuscito ad accettare il fatto che lei non volesse stare con lui, per ciò che in passato era successo; non se lo sarebbe mai perdonato.
Aveva sempre commesso errori in vita sua e li aveva sempre, di conseguenza, pagati; ma perderla definitivamente era un prezzo decisamente troppo alto e sapeva che non sarebbe riuscito a sostenerlo, neanche con tutta la sua buona volontà.


Era un'automa.
Camminava lungo il corridoio che l'avrebbe condotta in camera sua, totalmente inespressiva e distrutta.
Si sentiva tremendamente scossa da ciò che il chitarrista aveva avuto il coraggio di confessarle. Probabilmente, il tutto rappresentava sia un bene che un male. Un bene perchè finalmente aveva potuto considerare una certezza il fatto che Tom fosse ancora preso da lei; un male perchè ora di sentiva ancora più combattuta di prima.
Senza dubbio, era ciò che attendeva da tanto tempo, ma tutto era arrivato decisamente nel momento sbagliato. Più scavava nel profondo del suo cuore, più non riusciva a scovarvi quella dannata fiducia di cui aveva bisogno.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Lui era preso da lei, lei era presa da lui; la situazione avrebbe potuto essere perfetta, così com'era. Era tutto, all'apparenza, tremendamente semplice. Eppure si sentiva frenata.
Ascoltare il cuore o la testa? Era un dannato dilemma che ogni volta le si ripresenta e dal quale non riusciva a venir fuori.
Si chiuse in camera, buttando successivamente un occhio all'orologio; Eveline sarebbe arrivata in camera, di lì a non molto. Si portò una mano al petto: il suo cuore stava manifestando tutto ciò che il suo corpo non riusciva ad esternare, nonostante la discussione fosse accaduta già da un bel pezzo.
La verità era che si sentiva entusiasta, in qualche modo, e le parole del chitarrista, nel profondo, l'avevano resa schifosamente felice. Non poteva negare di aver sperato tanto che finalmente lui le ammettesse i propri sentimenti.
Ma non era decisamente il caso di montarsi la testa: Monique aveva imparato a conoscere Tom, dal punto di vista delle sue incertezze e dei suoi ripensamenti, cause principali della sua inevitabile mancanza di fiducia. Se fosse stata scottata anche in quel momento, se lui le avesse successivamente ammesso di essersi pentito o di aver detto cose non vere – come già in passato aveva fatto, conseguentemente ad un bacio – non sarebbe più stata in grado di perdonarlo. Avrebbe voluto cancellarlo dalla sua vista, dai suoi pensieri e dalla sua vita e la cosa non era del tutto semplice.
Sentì la fastidiosa presenza di alcune piccole gocce salate accumularsi suoi suoi occhi.
Era la classica situazione che voleva a tutti i costi evitare. Forse, avrebbe vissuto meglio nel dubbio, piuttosto che nella consapevolezza di essere importante per lui.
Ora dipendeva tutto da lei, giusto?
Come si coricò sul letto, quelle lacrime deboli si trasformarono in un vero e proprio pianto liberatorio.
Perchè non riusciva ad uscire di corsa dalla sua stanza e fiondarsi da lui, per imprimere di nuovo il sapore di quelle labbra morbide sulle sue, come il cuore le suggeriva? Era un bisogno troppo forte per essere ignorato ma i suoi muscoli non accennavano il minimo movimento, se non i sussulti involontari, dovuti ai singhiozzi.
Improvvisamente però, il bussare alla porta della sua stanza catturò la sua attenzione, invitandola a zittirsi, per non farsi sentire da chiunque si trovasse al di là del muro. Tirò su con il naso e si asciugò velocemente le lacrime scivolatele lungo il viso arrossato. Si avvicinò incerta alla porta, inconsciamente sperando che si trattasse proprio del chitarrista, fino a che, titubante, non l'aprì.
Il trovare sua figlia teneramente addormentata tra le braccia del vocalist fu ciò che più la aiutò a razionalizzare tutto quanto e sorridere appena. Era lei l'unico essere abitante quel pianeta che avrebbe sempre trovato un modo per farla sorridere; l'unica a non spezzarle mai il cuore.
« Grazie, Bill. » sussurrò, lasciandogli lo spazio per passare.
« Hey, che hai? Hai pianto? » le domandò preoccupato lui, dopo aver posato la bambina sul materasso del letto matrimoniale.
« Non ho nulla. » si limitò a rispondere lei, pur consapevole di non poter negare l'evidenza.
« Hey. » mormorò lui, perplesso, sfiorandole il viso dalla pelle irritata dalle precedenti lacrime, con due dita. « Monique, non ti devi far problemi a parlarmi, lo sai. Ti prego, dimmi che è successo, mi fai preoccupare. »
Monique restò qualche attimo in silenzio a fissare in viso il ragazzo, fino a che l'enorme magone di qualche attimo prima non le tornò su, portandola a gettarsi fra le braccia di Bill e sfogare nuovamente il proprio dolore.
« Succede che non potrò mai essere felice, Bill. Non potrò mai vivere la persona che amo come vorrei per colpa delle mie stupide paure. » pianse con tutta la forza che aveva in corpo, ma in silenzio per non svegliare Eveline, mentre il vocalist le carezzava dolcemente i capelli, in segno di conforto.
« Monique, non riesco a vederti soffrire così. Apri il tuo cuore alla persona che ami; abbandona le tue paure e concediti di provare a trovare quella felicità che tu stessa ti stai precludendo. Liberati di questo timore meschino ed ingiusto che ti sta impedendo di vivere con spensieratezza e serenità. Troppi pensieri non ti portano a nulla. » le sussurrò all'orecchio. Successivamente le poggiò una mano sul petto, al di sopra del seno sinistro. « Ascoltalo. È l'unico modo per vivere bene. » aggiunse con dolcezza, alludendo al suo cuore.
Monique si sentì quasi mancare. Non seppe dire come avesse afferrato il nocciolo della questione in così pochi secondi e se avesse capito a chi si stava riferendo, ma gli fu tremendamente grata per ciò che aveva detto.


Sbuffò nervosamente, per l'ennesima volta.
Dove si era cacciata quella benedetta bambina?
« Monique, scusami tanto, la stavo controllando ma mi sono un attimo distratto per parlare con David! » continuò ad esclamare alle sue spalle il bassista, dai capelli perfettamente piastrati ed in ordine. Ma Monique non lo stava ascoltando. Al momento, era troppo occupata a cercare sua figlia e se non le fosse venuto un infarto in quel momento, non le sarebbe venuto mai più. Sapeva che il rosso era un po' sbadato, ma non credeva fino a quei livelli.
« Eve?! » la chiamò di nuovo, continuando a percorrere ogni angolo di quella hall più e più volte. Il cuore batteva all'impazzata nel suo petto; non poteva essere scomparsa nel nulla.
« Cot'hai detto? » Quella vocetta curiosa attirò la sua attenzione, come una rigenerante boccata d'ossigeno. Si guardò attorno, in direzione di quel suono, fino a che – con immenso sollievo – non trovò sua figlia ai piedi di una poltrona, di fronte ad un uomo seduto su di essa, che la guardava con fare incuriosito. Quest'ultimo le parlava in giapponese e, per forza di cose, Eveline non riusciva a comprendere mezza parola. « Ma come palli? » domandò nuovamente incuriosita, con un ditino sul mento.
« Eve! » esclamò la mora, affrettandosi a raggiungerla. « Non ti devi allontanare da noi; non farlo più! » le intimò, prendendola fra le sue braccia per sollevarla dal pavimento. « Gomen'nasai. » si scusò successivamente con l'uomo che invece le sorrise comprensivo.
« Mamy, pecchè fa quelli tlani velsi? » le chiese la piccola, aggrappata al suo collo, mentre si allontanavano.
« Non sono versi, è la lingua dei giapponesi. Tu parli tedesco e lui giapponese. » le spiegò pazientemente Monique. Sorrise nell'osservare sua figlia assumere un'espressione ulteriormente incuriosita e voltarsi in direzione del giapponese, come sorpresa. « David, io ed Eveline, allora, andiamo. Ci vediamo qui all'ora di pranzo? » si accertò la ragazza, facendo ben attenzione a non incrociare lo sguardo del chitarrista – che probabilmente nemmeno la stava guardando, per l'imbarazzo.
« Sì, noi saremo di ritorno verso mezzogiorno. » le sorrise in risposta il manager.
« Perfetto, allora, a più tardi. » detto questo, la mora uscì dall'hotel con Eveline, perfettamente imbacuccata tra giubbottino, sciarpa e cappellino, stretta in braccio.
« Dove addiamo, mamy? » si informò la piccola, osservandola con i suoi occhioni celesti perfettamente aperti e vispi.
« Andiamo a farci un giro e tante belle foto, mentre i Tokio Hotel vanno a firmare gli autografi delle loro fan, ti va? » rispose Monique, particolarmente serena. L'ultima cosa che avrebbe dovuto fare era trasmettere il proprio malessere a sua figlia.
« Tì! » esclamò, entusiasta, Eveline.
Monique sopirò appena.
Per lo meno, una parte della giornata l'aveva occupata, in qualche modo.


« Si è miracolosamente svegliato il nostro treccina! » era stata l'imminente esclamazione di Jessica, dall'altro capo telefonico, non appena Monique ebbe terminato di riportare le parole del chitarrista, risalenti alla discussione della sera prima. La mora sorrise appena, mentre teneva d'occhio sua figlia, intenta a vagare all'interno di una casetta di legno, trovata per caso, in mezzo a tanti giochi per bambini, in quell'enorme parco.
« Non è il punto principale della questione. Il fatto è che non riesco totalmente a fidarmi. Lo sai che, in passato, ha fatto delle cose, per poi mettere le mani avanti e negare tutto quanto o sminuirlo con un “ho sbagliato”, oppure “non ero in me”. Come faccio a capire se questa volta è sicuro di ciò che dice? Per quanto ne so, potrebbe aver detto quelle cose per la circostanza. » ribattè mogia Monique.
« Oh, andiamo, Monique. Te l'ho sempre detto che si vede lontano un miglio che quel disastroso ragazzo è cotto di te. Non può averti detto quelle cose per la circostanza, sono troppo importanti e, per quanto stupido possa essere alle volte, non è tipo da giocare con i sentimenti degli altri; soprattutto con i tuoi. »
« Insomma. Diciamo che quando ero incinta non si è fatto tanti scrupoli nel baciarmi e poi dire che era sbagliato e nel... » si accostò maggiormente il cellulare alla bocca, coprendolo con la mano per non farsi sentire da Eveline. « ... Toccarmi in una determinata maniera e concludere il tutto con un “E' meglio che non ci vediamo più”. Questo, a mio parere, è giocare con i sentimenti altrui. »
« Come sei pignola. » borbottò Jessica.
« Realista e previdente. » la corresse la mora. « Beh, ti saluto. Eveline vuole spiattellarsi a terra da un metro e mezzo d'altezza. » aggiunse, avvicinandosi alla piccola che nel frattempo si stava arrampicando su un lato della casetta, rischiando di perdere la presa e cadere.
« Corri a recuperarla e salutamela. » commentò divertita la rossa.
« D'accordo. Un bacio. » Ripose il cellulare nella borsa e posò una mano sulla schiena di Eveline, aiutandola a salire definitivamente al “piano superiore” della casetta. « Non potevi salire le scale, come tutti i bambini normali? » le domandò quindi, senza ricevere risposta. Prese a frugare nella borsa, alla ricerca della macchina fotografica, fino a che non la scovò. « Hey, hai voglia di fare una foto assieme alla mamma? » le propose successivamente.
« Tì! » annuì energicamente Eveline, con un gran sorriso, per poi stendere le corte braccia verso la sua mamma che la prese in braccio. La piccola gliele strinse attorno al collo, appiccicando la sua guanciotta liscia contro quella di Monique, in attesa che scattasse la foto. La mora sorrise e premette il pulsante.
Sentirsi stringere così da Eveline era un qualcosa di estremamente appagante per lei. Le donava infinita gioia ed era ciò di cui aveva bisogno, poiché era una ragazza e soprattutto una madre molto insicura. Aveva bisogno di sapere che sua figlia le voleva bene, almeno quanto gliene voleva lei. Aveva bisogno di sentirla vicino e non l'avrebbe mai abbandonata per nessuna ragione al mondo.
Era proprio vero che il legame fra una madre ed una figlia era un qualcosa di saldo, di forte ed indistruttibile e non avrebbe mai pensato di dover ammetterlo, un giorno. Il solo pensiero di aver ipotizzato persino l'aborto, i primi tempi della gravidanza, la fece letteralmente inorridire.
« Ne facciamo un'altra con il cellulare, così la mandiamo alla zia Jessica. » detto questo, scattò una seconda fotografia con il telefono, per poi inviare l'immagine alla sua migliore amica. « Direi che è ora di tornare in albergo per mangiare. » concluse infine, prendendo a camminare lungo il marciapiede, con Eveline su un fianco. Pochi secondi dopo, percepì la vibrazione del suo cellulare avvisarla dell'arrivo della risposta di Jessica: “Siete bellissime e mi mancate un sacco. Vi voglio bene.”


L'intero pomeriggio era passato con una lentezza esasperante. Sembrava che la sera non volesse decidersi ad arrivare o che i minuti volevano lasciare molta più possibilità a Monique di farsi scoppiare la testa con i troppi pensieri su quello che avrebbe dovuto fare o non fare con Tom.
Stava raggiungendo un livello tale di pazzia che quasi faticava a tenere gli occhi aperti dalla confusione che la sua mente ospitava. Aveva passato tutte quelle ore a valutare i pro e i contro di una possibile relazione con il chitarrista – se fosse stato questo quello che lui voleva. Il punto era che non era convinta di aver capito bene. Non era convinta del fatto che tutto quel discorso chiaro e diretto puntasse a cercare una storia con lei. Primo, perchè lui aveva sempre cercato di allontanarla, reputando impossibile poter intraprendere una relazione così seria ed importante; secondo, perchè lui non era decisamente il tipo; terzo, non l'aveva detto esplicitamente. Le aveva semplicemente confessato di essere attratto da lei e fine. Né più, né meno e la cosa la mandava ancor più in confusione.
Si passò una mano sulla fronte bollente, probabilmente per le troppe riflessioni.
Provò anche a pesare con cautela le parole che Bill le aveva detto, quella stessa sera, in camera sua. E proprio in quel momento, il suo cuore prese a battere ad una velocità inaudita.
Ascoltalo, le aveva detto.
Come non potesse controllare i propri movimenti, si alzò dalla poltrona della hall, dove Bill, Gustav ed Eveline stavano giocando ad acconciare i capelli di Georg in qualche stravagante pettinatura, e si diresse verso l'uscita dell'hotel.
Sapeva che lui era in giardino a fumare l'ennesima sigaretta.
Lo sto ascoltando, continuava a ripetersi nella mente mentre il cuore continuava a pompare velocemente sangue, come volesse parlarle seriamente, mi sto lasciando guidare.
In pochi secondi si ritrovò a contatto con la fresca brezza serale di Tokyo, sotto un cielo ancora non del tutto buio ma terribilmente delicato.
E lo trovò. Le dava le spalle, intento a fumare lentamente, mentre una mano se ne stava, come al solito, nascosta in tasca.
Prese un bel respiro e, senza dare ascolto ai propri pensieri e ai propri timori che cercavano di nuovo di farla tornare sui propri passi, si avvicinò a lui. Le braccia le si tesero da sole, nella sua direzione, fino a che non si appostarono attorno al corpo imponente del chitarrista.
Sentì i suoi muscoli irrigidirsi appena, probabilmente per la sorpresa di quel gesto, ma non si staccò da lui. Chiuse gli occhi e poggiò la tempia sulla sua schiena calda; voleva godersi quel tenero momento, senza maledirsi. Poi sorrise lievemente, rincuorata, non appena sentì la mano del ragazzo posarsi dolcemente sulle sue braccia, ricambiando quel gesto, nonostante non l'avesse davanti a sé.
Forse era la soluzione migliore. Prima di prendere una decisione definitiva, riguardo loro due, voleva assicurarsi che lui fosse davvero sincero con lei.
« Dammi modo di fidarmi ancora di te, ti prego. »


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Capitolo 12
*** Twelve. ***


12

Twelve.



Non credeva ancora di esserci finalmente riuscita.
Non credeva ancora di aver acquisito quel coraggio che da un po' di tempo le era mancato.
Stringere Tom, a sua insaputa, e porlo davanti alla speranza di un eventuale ripensamento, qualora quella dannata fiducia avesse potuto riaffiorare, era un qualcosa che non aveva decisamente programmato. Si era semplicemente lasciata guidare dal proprio cuore e doveva ancora capire se ciò fosse positivo o meno; per il momento lo avrebbe preso come un qualcosa di positivo, poiché così si sentiva di fare. Aveva da poco deciso che avrebbe smesso di farsi sopraffare dall'inquietudine interiore, dalla perenne paura di amare ed essere amata.
Tom non le aveva chiesto di mettersi con lui e lei non gli aveva tanto meno dato quella certezza, ma per lo meno ora avrebbe provato a ricostruire con lui un rapporto, se le avesse dimostrato di essere serio nei suoi confronti. Un rapporto sul quale, molto tempo prima, era stata messa un'enorme croce. Si sentiva entusiasta, in un certo senso, ma anche spaventata.
Ignora la paura, continuava a ripeterle la mente, quel giorno, e doveva dire che, per il momento, quel metodo funzionava. D'altronde se l'era promesso. Da oggi, solo cuore e spontaneità, si era detta, anche se un minimo di raziocinio non avrebbe comunque fatto male.
« Bill, bend your head, a little. Yeah, like that. »
Il fotografo continuava a parlare, a dare istruzioni riguardo le infinite pose che i ragazzi dovevano assumere. Fortunatamente, sapeva comunicare in inglese, così non vi era bisogno dell'aiuto di Monique, la quale sostava in un angolo di quella stanza, con Eveline in braccio, intenta ad osservare ogni minima movenza della band.
« Georg, put your hands in your pockets, please. »
Ed ecco che un altro flash si diffondeva tra le pareti, in un lampo.
Il fatto che la mora si era ritrovata ad osservare instancabilmente ogni singola espressione, ogni movimento facciale e corporeo del chitarrista, non era un caso. Più volte si era impegnata per distogliere lo sguardo e posarlo su di un altro componente, ma non vi era nulla da fare: Tom, quel giorno, era per lei magnetico.
« Okay, we've finished. Thanks, guys. » concluse improvvisamente l'uomo dagli occhi a mandorla.
« Thank you. » ringraziarono, a loro volta, i ragazzi, per poi camminare in direzione di David, Monique ed Eveline.
« Ho fame. » annunciò Georg, come fosse una novità.
« Ora andiamo in albergo e pranziamo, tranquillo. » sospirò David, mentre tutti si accingevano a seguirlo, in direzione dell'uscita di quel palazzetto. Il furgone nero sostava proprio di fronte a loro, accostato al marciapiede, così che i Tokio Hotel potessero affrettarsi ad entrarvi, senza dare troppo nell'occhio. Monique si fece momentaneamente da parte per dar loro la precedenza e questi salirono. Nel frattempo percepì una dolce carezza sul braccio e fece appena in tempo a notare, con un brivido, che era stato Tom, nella frazione di secondo in cui era entrato nel veicolo.
Le venne spontaneo sorridere, per poi montare, con Eveline in braccio, seguita dal manager.


Ormai era un periodo in cui vedeva suo fratello decisamente molto strano. Che fosse una cosa positiva o negativa non sapeva dirlo; eppure poteva affermare con certezza che si trattava di qualcosa di estremamente importante. Non erano semplici sbalzi d'umore i suoi, non erano solo momenti di smarrimento... Erano veri e propri pensieri che probabilmente stavano facendo a botte nella sua mente. Aveva un disperato bisogno di capire cosa fosse quel corpo estraneo che aveva deciso di entrare nella sua testa e dargli il tormento.
« Hey, Tomi? » lo chiamò quindi, con cautela. Il chitarrista, dal suo canto, carezzava pensieroso le corde della sua chitarra, seduto su un lato del suo letto, con il capo chino. Alzò questo, all'udire quel richiamo, per osservare incuriosito il vocalist, di fronte a sé. « Ti va di parlare un po'? » gli propose suo fratello. Tom inarcò un sopracciglio. Quando Bill partiva con certe premesse, non si prospettava nulla di buono o comunque nulla di tranquillo. Annuì perplesso, poggiando a lato il suo amato strumento, per concentrarsi solo ed esclusivamente sul ragazzo, che ora si era seduto sul letto, di fronte a lui. « Ti vedo pensieroso, in questo periodo. » gli sorrise appena. L'unico modo per indurre Tom a confidarsi, era trattarlo con dolcezza.
Come previsto, scrollò con superficialità le spalle.
« Non più del solito. » rispose vago, essendo consapevole che stava dicendo una grandissima bugia.
« Dai, Tomi, con me puoi parlare, sono il tuo gemello. E lo sai che certe cose le sento; capita anche a te quando non sto bene io, no? » insistette, con la dovuta pazienza, Bill.
« Ma io sto bene. »
« Eppure hai sempre la testa altrove. » Tom restò qualche attimo in silenzio, spostando lo sguardo sul materasso. Tanto sapeva che, prima o poi, suo fratello lo avrebbe smascherato. Era la sua specialità. « C'entra, per caso, Monique? » domandò quindi il vocalist. A quel nome, Tom sentì il cuore fare un balzo, mentre il suo viso prendeva a voltarsi in direzioni diverse, purché non incrociasse lo sguardo di suo fratello.
« Può essere. » rispose evasivo. Bill sorrise soddisfatto.
« Che succede? » lo incoraggiò ulteriormente.
« Diciamo che, due sere fa, nel mezzo di un nostro litigio, ho perso un po' le staffe e... Le ho spiattellato tutto in faccia. »
« Spiattellato cosa? »
« Che non – non ho mai smesso di pensare a lei. »
Quell'improvvisa confessione fece nuovamente sorridere Bill, stavolta con più naturalezza, con più gioia. Udire tali parole uscire proprio dalla bocca di suo fratello era terribilmente appagante. Forse aveva cominciato a guardare le cose sotto una giusta luce e senza riflettere troppo sulle conseguenze. Tante volte lo aveva incitato a confidare a Monique i proprio sentimenti, ma lui si era sempre rifiutato, sostenendo di non essere più preso da lei e di stare benissimo con le sue groupies.
Un bel “te l'avevo detto” era proprio lì, sulla punta della sua lingua, e fremeva per esternare tale dichiarazione, ma il suo buon senso poté suggerirgli che non era decisamente il momento di fare i pignoli e i saccenti, altrimenti Tom non gli avrebbe più parlato.
Ora che vi pensava, poteva collegare quell'incompleto racconto al pianto liberatorio di Monique, proprio quella sera. Le cose tornavano.
« E lei? » si informò così, facendo finta di nulla.
« Non ha detto niente, anche perchè non le ho dato il tempo di farlo: me ne sono subito andato, dopo averle praticamente urlato quelle cose. » ammise Tom, piuttosto in imbarazzo. « Ieri sera, però, è venuta ad abbracciarmi – cosa che non faceva da un bel po' – e mi ha chiesto di farle ritornare quella fiducia che riponeva in me, un anno e mezzo fa. » continuò. Si prese qualche secondo di pausa, in cui fece un gran sospiro, e poi ricominciò. « Però non riesco a capire cos'altro posso fare. Apparte che ho una paura assurda di tutto questo... »
« Paura di che cosa? »
« Di questa nuova sensazione che sento dentro di me. Insomma, lei mi piace e anche tanto ma... Ho paura di non essere in grado di reggere una situazione simile; ho paura di non essere in grado di prendermi cura di lei, nel caso volesse qualcosa di... Più serio con me; ho paura di non essere ancora sicuro di quello che voglio, di pentirmi e tirarmi indietro, ferendola per l'ennesima volta. E poi ha una figlia... Non so che fare, Bill. D'altronde, le mie giustificazioni, quel giorno in aeroporto, sono state chiare: il mio lavoro, le mie abitudini, le circostanze. Perchè ora dovrebbe essere diverso? »
« Forse prima li sentivi di più, questi problemi, per il semplice fatto che era la prima volta che provavi delle emozioni simili. Era la prima volta che ti sentivi così preso da una ragazza, seriamente. Hai avuto modo di fare quello che ritenevi giusto, di starle lontano per molto tempo, per provare a rimpiazzarla con qualche groupie e di scoprire che, dopo tutto, ti mancava da morire e che senza di lei non stavi bene come quando invece c'era. »
« Ma perchè dovrei accantonare quegli impedimenti? Non è cambiato nulla; il mio lavoro è sempre questo e come le mie giustificazioni valevano un anno e mezzo fa, potrebbero valere anche ora. »
« Potrebbero... Ma tu non lo vuoi. Non ora che sei riuscito a riavvicinarla, che ti sei reso conto di quanto tu tenga a lei, non ora che senti il bisogno vitale di stingerla a te e dimostrarle quanto conta e quanto tu abbia bisogno di riacquistare la sua fiducia, proprio come una volta. »
« Lei non ha mai avuto fiducia in me. Le ho sempre creato tanta confusione in testa e me ne rendo conto. L'ho sempre illusa, per poi negare o sminuire tutto quello che facevo con lei. Quando, in realtà, per me era molto importante. Non saprei come convincerla a fidarsi, davvero. Però ho una fottuta paura. Ho paura di una storia seria, Bill. Lo ammetto, ho paura di innamorarmi, perchè so che lei potrebbe farlo accadere. Ho paura di soffrire e far soffrire lei. »
Vedere suo fratello così smarrito ed indifeso, nei suoi stessi pensieri, provocò in Bill una forte sensazione di tenerezza e di comprensione. D'altronde era facile da capire: Tom era sempre stato un ragazzo dall'animo libero e mai nella vita aveva dato spazio ai sentimenti, all'amore. Aveva sempre rifiutato tutto ciò che ruotasse attorno a quella parola. Ed ora, trovarsi catapultato in quella nuova dimensione era tremendamente traumatico per lui e non sapeva come venirne fuori, se voleva venirne fuori e quale strada imboccare.
« Tom, tu tieni davvero tanto a Monique. Ti giuro, non ho mai visto nei tuoi occhi quella scintilla che noto ogni volta che la guardi. Ciò che hai fatto per lei in passato, ciò che stai facendo ora... Sono tutte dimostrazioni chiare dei tuoi sentimenti nei suoi confronti. Perchè negarti una cosa bella come questa? Anche lei è presa da te; vi siete sempre rincorsi a vicenda, ma scappando uno dall'altra contemporaneamente. Non siete mai riusciti a trovare quel punto d'incontro che vi avrebbe permesso di trovarvi, di unirvi ed amarvi. Forse perchè era troppo presto, non lo so; io sono convinto che nulla, nella vita, accada per caso e se non era destino che vi metteste insieme prima, probabilmente era tutto calcolato. Ma ora perchè negarvi di nuovo quest'occasione? Non ti tarpare le ali, Tom. Stare con una persona non vuol dire necessariamente perdere la libertà. È un qualcosa che, se provi sentimenti puri e reali, ti appaga in maniera smisurata; molto più di una squallida notte di sesso sfrenato con una sconosciuta. Perchè a quel punto dedicherai gran parte della tua esistenza a lei e sarai felice quando la vedrai serena grazie a te, quando ti farà una carezza, quando ti dirà che ti ama e quando la troverai semplicemente sdraiata, accanto a te. »
Quelle parole toccarono Tom nel profondo, ma un pensiero martellante nel suo cervello non gli impedì di parlare di nuovo.
« Bill... Ha una figlia. » mormorò.
« Quindi? » domandò il vocalist, come se non vi fosse nessun potenziale problema.
« Quindi, Bill, io non sarei assolutamente pronto a rappresentare una figura paterna per Eveline. Sono giovane, immaturo ed assolutamente inesperto. Il fatto che io l'abbia soccorsa quando aveva la febbre è stata solo una botta di culo improvvisa. Non potrei occuparmi di lei, non avrei comunque il tempo. »
« Nessuno ti dice che devi rappresentare per lei una figura paterna. Lei non ha l'idea del padre; non ha avuto modo di conoscere bambini con entrambi i genitori e, per lei, avere solo la madre rappresenta la normalità. Non pretenderebbe nulla da te. Si affezionerebbe semplicemente, come sta già facendo con tutti noi e in particolare con te. È incredibile, è come se da sola avesse capito che tu rappresenti una persona particolarmente importante nella vita di sua madre e quindi ti riserva un comportamento del tutto straordinario. È come se fossi il suo prediletto, pur essendo più timida nei tuoi confronti, ma non mi dire che la cosa ti dispiaccia. »
« Ma no che non mi dispiace; io adoro quella bambina – anche se il solo pensiero che sia il frutto di Monique assieme ad un altro mi manda in bestia – però potrebbe affezionarsi ancora di più e se dovesse succedere qualcosa di negativo con sua madre, ne risentirebbe molto anche lei. »
« Sai qual'è il tuo problema? Pensi troppo alle cose negative. Cerchi sempre di guardare il bicchiere mezzo vuoto ed arrivi alle conclusioni più insensate, senza neanche sapere cosa accadrà. Mi fai un favore, Tom? Smetti di pensare a tutte queste cose e pensi a trovare un modo per dimostrare a Monique che con lei non scherzi, dato che è quello che vuoi con tutto te stesso? »
E, per l'ennesima volta, Tom dovette ammettere che suo fratello, purtroppo, aveva ragione.


Stava dolcemente osservando sua figlia parlottare di chissà quale interessante argomento, mentre camminava ancora goffa per quell'immenso giardino, appartenente all'hotel. Monique sostava in piedi, poggiata con la schiena al muro e le braccia conserte, con un lieve sorriso a illuminarle il volto.
Ripensava a quella tenera carezza da parte di Tom, donatale qualche ora prima. Era stato un gesto del tutto semplice, ma aveva suscitato in lei innumerevoli sensazioni stupende, come fosse una ragazzina in preda alla cotta più grande della sua esistenza. Il fatto era che tutto ciò che faceva il chitarrista la emozionava, la faceva stare bene, da un semplice sorriso ad una parola sussurrata a un bacio tremendamente tenero, come era successo molto tempo addietro.
« Hey. »
Sobbalzò quando il protagonista dei suoi pensieri si materializzò proprio al suo fianco. Si sentiva ancora in po' in imbarazzo per tutta quella situazione – decisamente strana – che si era venuta a creare, ma doveva cercare di accantonare ogni singola traccia di disagio.
« Ciao. » rispose semplicemente, con un timido sorriso, mentre lui le si avvicinava sempre di più, con le mani rifugiate nelle tasche dei suoi jeans. Si appoggiò al muro, affianco a lei, prendendo ad osservare Eveline, con espressione decisamente serena sul volto. La bambina, dal suo canto, si voltò verso di lui per qualche secondo e, dopo aver sorriso appena, riprese a trotterellare per il giardino, rischiando di perdere l'equilibrio, di tanto in tanto.
« Sembra le piaccia questo posto. » esortò improvvisamente Tom, senza distogliere lo sguardo da quella bimba così adorabile. Monique prese a torturarsi le mani.
« Sì, infatti. » annuì, tremante. Era più forte di lei: averlo così vicino, soprattutto dopo quello che le aveva confessato, era ancora insostenibile. Deliziosamente insostenibile. « Pare ami anche i giapponesi. Continua a voler parlare con loro ma non ha ancora capito che nessuno riesce a comprendere la sua lingua. »
Tom ridacchiò appena, intenerito da tale affermazione, al che Monique non poté fare a meno di sorridere estasiata, a quel piacevole suono.
« Potresti insegnarle la lingua giapponese, se le piace tanto questo mondo. Ha la fortuna di avere la mamma interprete. »
« Non riesce ancora a parlare bene il tedesco, mi metto ad insegnarle il giapponese? »
Tom sorrise, abbassando lo sguardo sulle sue mani; quelle mani lisce e sottili e dalle unghie ben curate che aveva sempre adorato.
Perchè, sì, lui le aveva sempre osservate. Aveva sempre osservato lei in ogni singolo movimento, espressione, parola, emozione e si era ritrovato ad adorare tutto ciò che la caratterizzava. Non vi era nulla che lo infastidiva di lei, nemmeno quelle sue insicurezze, quei suoi modi di fare a volte aggressivi ed ingiustificati. Nulla. Era semplicemente pazzo di lei... Pazzo era la definizione giusta.
Notò che le mani della mora si stavano ancora torturando a vicenda, così decise di osare. Allungò la propria, fino ad afferrare dolcemente le sue: erano fredde, segno che era molto nervosa.
Monique percepì un brivido lungo la colonna vertebrale, a quel tocco così caldo e rassicurante. Il chitarrista le strinse una mano fra le proprie, prendendo a donarle carezze che per un attimo la destabilizzarono. Quelle di Tom erano morbide, nonostante suonasse la chitarra, erano calde e decisamente più grandi delle sue, cosa che le infondeva ancora più sicurezza.
« Tom... » mormorò la mora, mentre la sua mano tremava appena.
« Non aver paura. » sospirò il chitarrista, con tono ugualmente dolce e rassicurante. « Non di me. »
Improvvisamente, le loro orecchie furono attraversate dal pianto disperato di Eveline. Quando si voltarono preoccupati nella sua direzione, notarono che la bambina si trovava stesa sull'erba, a pancia in giù, probabilmente dopo una brutta caduta. I due ragazzi corsero velocemente verso di lei e le si inginocchiarono affianco.
« Tesoro, hey, tranquilla, non è successo nulla. » cercò di tranquillizzarla la madre, tirandola su e stringendosela al petto, mentre la piccola continuava a piangere per lo spavento. Tom, intanto, aveva allungato timidamente una mano fino a posarla sui capelli corvini di Eveline, per carezzarli con dolcezza. Tale gesto, ancora un volta, sorprese Monique.
« Hey, Eve, guarda. » esortò improvvisamente il ragazzo, al che la bambina si voltò appena, nella sua direzione, senza smettere di stringersi al collo di sua madre, con il volto teneramente arrossato ed ancora pieno di lacrime. « Hai una coccinella sulla gamba. » le sorrise il chitarrista, indicandole l'animaletto rosso e nero che sostava sul suo ginocchio. Eveline abbassò lo sguardo, improvvisamente tranquilla, con un ditino sulla bocca.
« Cot'è? » chiese con vocina indifesa ed ancora incrinata dal precedente pianto.
« E' un animaletto che ti porta tanta fortuna, se ti si posa addosso. » le spiegò dolcemente Tom, prendendo ad asciugarle con un dito le lacrime dal viso.
Monique sentiva una morsa allo stomaco. Ma era piacevole, era un qualcosa di delicato, che le trasmetteva serenità.
« Davvelo? » domandò ulteriormente Eveline, sollevando i suoi occhioni azzurri ed ancora acquosi su di lui.
« Sì. Puoi chiederle quello che vuoi. Però in silenzio, così che ti possa sentire solo lei. »
« E lei fa succedele quello che chiedo? »
« Spesso sì, soprattutto se trova bambini buoni. »
« Io tono buona! »
« Certo che lo sei. »
« Allola via, che devo pallale colla cotella! »
Monique e Tom si sollevarono dall'erba e si allontanarono, come la piccola aveva stabilito, ma senza perderla di vista. La osservarono divertiti parlare con la coccinella riguardo chissà quale strambo pensiero.
« E questa storia come ti è uscita? » domandò improvvisamente la mora, osservando con un lieve sorriso sua figlia.
« Me la raccontava sempre mia madre da piccolo, quando avevo poco più di Eveline. Da allora, appena incontravo una coccinella, mi mettevo subito a parlarle. » ricordò con una piccola nota nostalgica il ragazzo.
« E cosa chiedevi, ogni volta? » si informò incuriosita Monique, prendendo a guardare il suo profilo.
« Di far tornare a casa mio padre. »
Le si smorzò improvvisamente il fiato, a quell'ammissione. Aveva sentito un'acuta fitta al petto, che le aveva impedito di respirare per un momento. Vide il volto del chitarrista contratto in una lieve smorfia malinconica e il dolore fu ancora più grande.
Sapeva che Tom e Bill avevano un patrigno ma non le era mai capitato di sentirli parlare riguardo il loro vero padre. Aveva sempre sostenuto che fosse troppo doloroso per loro e così si era sempre astenuta dal far domande inopportune a riguardo. Eppure, in quel momento, sembrava il chitarrista avesse bisogno di confidarsi con qualcuno, così provò a parlare.
« Non... Non hai più rapporti con tuo padre? » gli domandò cauta. Lo vide sorridere amaramente.
« Quasi nessuno. Non glien'è mai importato più di tanto dei suoi figli. » rispose, continuando ad osservare Eveline, che ora si era messa a studiare quel piccolo animaletto semplicemente in ogni suo movimento.
« E... Senti la sua mancanza? »
« Quando sai che un padre non prova nulla o quasi per te, è inutile. Se ci penso, sento ancora un po' male, ma ho imparato a convivere con questa sorta di mancanza che poi è stata colmata da Gordon, il compagno di mia madre. Lui è una brava persona e gli voglio molto bene; soprattutto perchè si è sempre preso cura di noi, come un vero padre, cosa che avrebbe dovuto fare quell'altro. A volte mi chiedo il motivo; mi chiedo se io e Bill gli abbiamo fatto qualcosa di male, ma eravamo piccoli, come potevamo? È solamente lui il codardo che non ha voluto creare una famiglia e nemmeno prendersi cura dei suoi figli. È per questo che odio con tutto me stesso Christian. » Monique sobbalzò a quell'ultimo nome. « Ti ha messo incinta e ti ha abbandonata, senza volerne sapere nulla di Eveline. Povero idiota, non sa neanche quale splendido regalo ha rifiutato. » La mora sentiva un forte magone, a quelle parole. Erano così dolci, così sincere e mai nessuno aveva capito tutto ciò quanto lui. « Eveline è una bambina adorabile che credo qualunque genitore vorrebbe. È piena di affetto, è serena, è tranquilla... E Christian mi fa solamente venire da vomitare. » Monique si ritrovò a concordare con ogni singola affermazione del chitarrista ed il solo pensiero di quell'essere così spregevole le fece appunto montare la nausea. « Ma fortunatamente Eveline ha una splendida mamma e le persone attorno, che le vogliono bene, non le mancano. Non si è persa nulla. »
Monique si avvicinò timidamente al ragazzo, fino a posare il capo sul suo petto e stringerlo appena, mentre lui ricambiava quel gesto affettuoso.
« Grazie. » sussurrò semplicemente lei. Lui sorrise, carezzandole la schiena, fino a che l'esclamazione sorpresa di Eveline non si udì improvvisamente in quel giardino.
« La cotella è volata via! »


Quando furono di ritorno allo studio di registrazione, era ormai buio. Per Monique era ora di tornare a casa, dato che Eveline le si era addormentata tra le braccia. Ogni tanto stringeva la sua maglietta nel suo piccolo pugno, durante il sonno, probabilmente perchè stava sognando. La sua guancia era poggiata sulla sua spalla ed il suo respiro rilassato e caldo le batteva sul collo.
« E' un po' triste tornare a casa. » commentò improvvisamente Bill, mentre mettevano in ordine in cucina ciò che avevano portato dal Giappone.
« Io sono contento però di tornare a dormire nel mio letto morbido. » ribattè Georg.
« Sempre troppo viziato. » sorrise ironico Gustav, ricevendo in risposta una pacca leggera sul braccio muscoloso da parte del bassista. « Dai, Bill, ti sei portato dietro anche questi cosi orribili? » borbottò di nuovo il batterista, sventolano una confezione di un qualche cibo strano giapponese, di cui non avevano ancora capito il nome.
« A me piacciono! » si difese il vocalist, piuttosto risentito.
« Quanto sei strano. » intervenne Georg, con una smorfia di disgusto.
« Tanto meglio, me li mangio tutti io! » esclamò Bill, stringendo fra le braccia quell'enorme confezione di cibo-giapponese-ignoto, come fosse un peluche dal quale non si sarebbe staccato nemmeno sotto tortura.
Monique, divertita da tale discussione, decise di intervenire, cercando di non svegliare Eveline.
« Ragazzi, io vado a casa. »
« D'accordo, Monique, ci vediamo lunedì; grazie per essere venuta con noi. » le sorrise David.
« Figurati. » rispose la ragazza. Salutò tutti gli altri componenti del gruppo ed uscì dalla cucina. Cercò di tenere Eveline grazie all'uso di un solo braccio per recuperare la sua valigia, ma trovò qualche difficoltà.
« Aspetta, te la porto io. » si propose il chitarrista, affrettandosi a sollevarla. Monique arrossì appena, ma lo ringraziò e lo seguì al di fuori dello studio, dove la sua macchina era rimasta parcheggiata durante tutto il loro soggiorno in Giappone. Osservò il ragazzo aprire la portiera posteriore di quest'ultima, posarvi la valigia e poi voltarsi nella sua direzione. Monique gli si avvicinò in modo da poter sistemare Eveline, senza il minimo movimento brusco, sul seggiolino, aiutata da lui. Una volta concluso il tutto, chiuse con delicatezza la portiera.
« Beh, grazie allora. » gli sorrise appena. Tom, nel frattempo, si era appoggiato con la mano al tetto della sua auto, soffermandosi a guardarla attentamente, con un lieve sorriso.
« Di niente. » rispose gentilmente.
« Allora... »
« Senti, Monique... » il chitarrista si prese un momento di pausa, forse per formulare bene una frase di senso compiuto. Si sentiva per la prima volta in imbarazzo con una ragazza, a fare una richiesta simile. Forse perchè richieste del genere non ne aveva ancora fatte. « Volevo... Volevo chiederti se... » il cuore di Monique non smetteva di palpitare violentemente nel suo petto, quasi timoroso di ciò che le avrebbe detto. « Ti va di... uscire, domani sera, con me? » le domandò, di un colore improvvisamente più acceso. « So che sembra un po' stupida, come cosa; d'altronde ci vediamo tutti i giorni ma... Intendevo io e te, via di qui. Magari a... Mangiare da qualche parte. »
Monique si sentiva tremendamente emozionata. Quella richiesta era stata così inaspettata e dolce che l'aveva presa totalmente in contro piede.
« Non lo so... » mormorò, sentendosi improvvisamente in colpa.
« Monique... » sospirò appena il ragazzo. « Mi hai detto che vuoi tornare ad avere fiducia in me. Io giuro che voglio che accada e farò di tutto per dimostrati che non ti prendo in giro, ma se non mi dai nemmeno la possibilità di provarci, come posso farti cambiare idea? » le spiegò con calma. « Se non hai voglia di stare con me, è un altro discorso, ma se mi dici di no perchè hai una sorta di timore nei miei riguardi... Ti prego, togliti qualunque brutto pensiero dalla testa. »
Lo osservò ancora qualche istante, pensierosa.
Era vero, doveva dargli almeno qualche modo per far sì che lui le dimostrasse quello che voleva dimostrarle, esattamente come lei gli aveva chiesto, anche se la cosa la scombussolava altamente. Quegli occhi nocciola, lì, davanti a lei, non riuscirono a farle rifiutare tale proposta e la sua voglia di stare con Tom era semplicemente smisurata.
« D'accordo. » accettò infine, con il cuore che le batteva all'impazzata, permettendo al chitarrista di sorridere.
Un appuntamento. Di quelli seri. Con Tom.
Aveva improvvisamente caldo.


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Capitolo 13
*** Thirteen. ***


13

Thirteen.



« Sono una cretina! » esclamò per l'ennesima volta, tracciando profondi solchi sul parquet, a furia di camminare avanti e indietro per la sua stanza, mentre Jessica frugava tranquillamente all'interno del suo armadio, intenta a trovare qualcosa di elegante da farle indossare per quell'occasione così speciale.
La rossa era altamente eccitata all'idea che la sua migliore amica uscisse con Tom; era da tanto tempo che non le capitava con un ragazzo e finalmente era giunto il momento. Tante volte l'aveva incoraggiata a riprendere in mano la sua vita e ricominciare a godersi la sua ancora giovane età, ma la mora si era sempre rifiutata, sostenendo che il suo unico pensiero sarebbe dovuto essere quello di Eveline. Ciò le faceva molto onore ma in un certo senso le tarpava anche le ali. « Lo sapevo che andava a finire così; avrei dovuto dire di no, sin dall'inizio! » continuò Monique, in preda ad una crisi di nervi.
Si sentiva estremamente agitata, forse in modo eccessivo, e quell'appuntamento la spaventava molto. Probabilmente aveva paura di peggiorare le sue condizioni, di lasciarsi trascinare da quelle emozioni, compiere l'irreparabile ed uscirne nuovamente ferita. Sapeva che si sarebbe fatta coinvolgere ancora di più dal ragazzo, perchè aveva un potere fortissimo a lei sconosciuto, ma ciò non doveva accadere. Non se con lei non voleva qualcosa di serio. Il solo fatto che lui sostenesse il contrario non le poteva bastare; voleva i fatti. Ma se avesse dovuto vedere tali fatti peggiorando la sua condizione sentimentale, ciò non le andava esattamente a genio.
« Smettila di disperarti così. Hai fatto la cosa giusta. » la riprese Jessica, continuando a rifugiare la sua testa rossa all'interno dell'armadio. Avrebbe dovuto trovare qualcosa di elegante e non volgare, che sarebbe stato in grado di mandare fuori di testa il chitarrista. Un paio di gambe scoperte ed una scollatura mediamente pronunciata avrebbe fatto al caso suo.
« No che non l'ho fatta! Questo ragazzo mi manderà al manicomio, prima o poi. » si lamentò nuovamente Monique, mentre Jessica, finalmente, si rialzava con un vestito elegante, bianco. « Cosa ci dovrei fare con quello? » domandò con sguardo indagatore la mora.
« Indossarlo, mi sembra ovvio. » rispose con eccessiva tranquillità Jessica, allungandole con un braccio quel bellissimo capo.
« Sei impazzita? Il bianco risalta ogni tipo di forma e di difetto! » esclamò Monique, dopo aver sgranato gli occhi. Non l'avrebbe messo neanche sotto tortura.
« Tu sei proprio l'ultima ragazza che dovrebbe farsi questo tipo di problema. Hai un fisico bellissimo, nonostante tu abbia partorito, hai le forme giuste ai punti giusti, ergo, infilati questo vestito. »
« Neanche se mi paghi. »
« Ci sarà un motivo se l'hai comprato, no? Non penso per far compagnia agli altri vestiti nell'armadio. »
« Quando l'ho fatto non ero ancora incinta, ero immatura, ero fidanzata con un maniaco sessuale e avevo la segatura al posto del cervello! »
« Mi sa che un po' di quella segatura ti è rimasta. Muoviti ad indossarlo! »
Inutile dire che dopo non molti minuti Jessica era riuscita nel suo intento, come al solito. Monique era sempre stata debole di polso con lei; non sapeva per quale motivo, alla fine dei loro battibecchi, aveva sempre la rossa la meglio. E ciò che le rodeva di più era che aveva ragione!
Si guardava attentamente allo specchio, girandosi di tanto in tanto per osservare come le scendeva il vestito dietro alla schiena e doveva ammettere che ancora una volta Jessica ci aveva preso. Era un abito abbastanza stretto ma che le fasciava morbidamente il corpo, risaltandone le forme, anche se non in modo eccessivo. La scollatura non era molto pronunciata ma faceva intravedere un po' del suo generoso decoltè. Non era nemmeno troppo corto dato che le scendeva leggero fino a poco prima delle sue ginocchia.
« Non è... Troppo elegante? Insomma, sembra che voglia fare colpo su di lui a tutti i costi. » cercò lo sguardo di Jessica e non si sorprese quando la scorse fissarla con un sopracciglio inarcato ed il sarcasmo ad uscirle da tutti i pori.
« Perchè, non è quello che vuoi? » le domandò con malizia. Monique si sentì arrossire ma non rispose. « Ah già, hai fatto colpo su di lui, secoli fa. » scherzò nuovamente la rossa, beccandosi una pacca sul braccio da parte della sua amica. « Stai benissimo. » sorrise infine. Monique abbassò appena lo sguardo, sospirando lievemente.
« Vorrei potermi godere quest'appuntamento senza pensieri. » confessò.
« C'è un modo. » le disse Jessica, al che la mora posò nuovamente gli occhi su di lei. « Dimenticati di tutto ciò che è successo in passato. Prendilo per quello che è, fingi di conoscerlo solo ora. »
« Fosse facile. »
Jessica la prese delicatamente fra le sue braccia, per stringerla appena. Sapeva che era agitata e che teneva particolarmente a quell'uscita e ciò la faceva sorridere.
« Forza, pensiamo al trucco! » esclamò poi, qualche secondo più tardi.


Era passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui aveva indossato delle scarpe col tacco ma dovette ammettere che quella sensazione ritrovata non le dispiaceva affatto. Camminava ancora con la giusta sicurezza e ciò le fece tirare un sospiro di sollievo. Qualunque pretesto, quella sera, sarebbe stato buono per farla agitare ancora di più e farle desiderare che il chitarrista non arrivasse.
« Tei bella. » disse Eveline, dal divano, osservando la sua mamma da capo a piedi.
« Grazie, piccola. » le sorrise grata Monique, torturandosi le mani.
« Dove vai? » le domandò di nuovo la bambina, prendendo a giocherellare con un lembo della maglietta di Jessica, comodamente seduta affianco a lei, intenta a guardare un quiz televisivo.
« Ehm, vado ad una cena di lavoro. » rispose non troppo convinta la mora. Jessica, non appena udì tali parole, si voltò nella sua direzione, fulminandola con lo sguardo. Sapeva che secondo lei avrebbe dovuto dire la verità a sua figlia ma le pareva ancora troppo presto ed Eveline si sarebbe sicuramente creata dei film assai fantasiosi nella sua giovane mente. « Tu stai qui con zia Jessica che ti prepara qualcosa di buono da mangiare, okay? Io sarò di ritorno non troppo tardi, ma tu, per quell'ora, sarai già nel letto, d'accordo, signorina? » continuò, tornando ad osservare la bimba che, a quell'ultima raccomandazione, gonfiò le guance piuttosto contrariata, come suo solito. Monique sorrise appena, per poi darle un bacio sulla testa. « Non darle da mangiare schifezze. » intimò successivamente a Jessica, la quale la congedò con un gesto svogliato della mano.
« Tu invece fanne tante di schifezze. » commentò, coperta di chili di malizia. Monique sgranò gli occhi, assumendo un'espressione alquanto scandalizzata, per poi darle un'ennesima pacca sulla nuca. Con Tom, quella sera, non avrebbe di certo fatto schifezze, come le aveva definite la sua amica.
Proprio in quel momento, il citofono trillò rumorosamente, facendola saltare dallo spavento. Il cuore prese a batterle all'impazzata e le gambe le divennero improvvisamente molli. Era come sentisse l'acido lattico scorrere lungo esse ed una strana sensazione di formicolio su ogni millimetro di pelle.
« Beh... Vado. » annunciò, per poi deglutire più volte la saliva. Salutò Jessica ed Eveline ed uscì di casa. Prese un bel respiro e premette il tasto per chiamare l'ascensore.
Stai calma, continuava a ripetersi, è solo un'uscita... Una normalissima uscita come tante altre.
Nel momento in cui fece il proprio ingresso in quella scatola metallica, esitò qualche secondo prima di schiacciare il pulsante che l'avrebbe condotta al piano terra ma, dopo aver deciso di mandare all'aria ogni sua paura, lo fece. Ad ogni minimo movimento dell'elevatore e più questo si avvicinava a destinazione, il fiato le veniva sempre meno. Se lo immaginava lì, fuori dal portone, in tutta la sua bellezza e la sua dolcezza. Sentiva caldo al solo pensiero.
Le ante si aprirono davanti a lei e credette di svenire. Camminò cercando di non barcollare dal nervoso sui propri tacchi, fino a che non aprì il portone e si mostrò al mondo esterno.
Di fronte a lei, trovò un Tom ancora più bello di come l'aveva precedentemente immaginato: un enorme cappotto nero, lasciato aperto, così da far intravedere la sua felpa dello stesso colore, al di sotto di esso. I jeans scuri e meno larghi del solito cadevano morbidi fino alle sue scarpe firmate Reebok. Una fascia nera a coprirgli la fronte ed il luccichio del metallo dei suoi orecchini, oltre essa.
Ora posso morire in pace, pensò come rapita da tale visione. Non era eccessivamente diverso da come lo vedeva tutti i giorni, ma quella sera aveva un qualcosa di ignoto in più. Forse era quell'aria serena ed emozionata quanto la sua a rendere il tutto ancora più speciale.
« Ciao. » le sorrise lui, con voce talmente calda da frastornarla per un attimo.
« Ciao. » ricambiò lei. Dopo un piccolo cenno del ragazzo, lo seguì in direzione della macchina.
« Stai molto bene. » le disse, nel momento in cui le aprì la portiera dell'Audi, da gentiluomo.
« Grazie. » rispose Monique, rossa in viso, mentre si sedeva al suo posto, prima che Tom richiudesse la portiera e facesse il giro dell'auto per salire dalla parte del conducente. Posò le proprie mani congelate sulle gambe lievemente più scoperte, dato che era seduta, e prese a torturarsele come non mai. Entrando in macchina, il chitarrista si era trascinato dietro una magnifica scia di profumo da uomo estremamente delicato ma per lei quasi afrodisiaco. « Dove andiamo? » domandò un po' impacciata, dopo che il ragazzo ebbe messo in moto.
« In un ristorante non troppo al centro di Berlino; non vorrei ci fossero paparazzi. È un po' più tranquillo ma molto carino. » le rispose lui, tremendamente tranquillo e sereno. Invidiava quella sua compostezza; ne avrebbe avuto disperatamente bisogno, in quel preciso istante. « Eveline l'hai lasciata con Jessica? » si informò lui, successivamente.
« Sì, starà con lei finchè non torno. »
« Le hai detto che esci con me? »
A quella domanda, Monique sentì un brivido lungo la schiena e fu costretta a prendersi qualche secondo di silenzio, prima di rispondere.
« Ehm, no. » fece imbarazzata. Vide Tom sorridere amaramente, quasi impossibile da notare, mentre continuava a fissare concentrato la strada.
Cretina, pensò di nuovo. Sempre troppo sincera.
« Bill sembrava una donnetta in calore. » ridacchiò poi, come per cambiar discorso, il chitarrista. Monique ne fu rincuorata.
« Perchè? » sorrise, osservandolo incuriosita.
« Strillava e saltellava per tutto lo studio, sostenendo che ciò che stavo facendo avrebbe portato alla caduta di un meteorite che avrebbe sconvolto l'intera umanità, testuali parole. » raccontò divertito. « Tutto per dire che non avevo mai chiesto un appuntamento ad una ragazza, prima d'ora. » aggiunse, provocando in Monique una scossa elettrica. « Ma il peggio deve ancora arrivare: ha provato a farmi mettere la camicia. »
Monique quasi si strozzò con la propria saliva. Il pensiero del chitarrista in camicia bianca le faceva semplicemente andare in tilt il cervello, mentre le sue gote prendevano fuoco. I ragazzi in camicia erano un qualcosa che la mandava letteralmente fuori di testa.
« Ma tu hai già messo camicie larghe. » rammentò la mora.
« Sì, ma quella che voleva rifilarmi Bill era bianca, da sera e decisamente più piccola dei miei standard. »
Non me lo dire, pensò Monique, sentendo la pelle d'oca espandersi sul suo corpo.
Non appena giunsero a destinazione, Monique scrutò rapita il ristorante al quale Tom aveva prenotato per la loro serata. Sembrava molto carino, visto dall'esterno.
Si strinse nel proprio cappotto bianco e si accinse a camminare affianco al ragazzo, il quale le poggiò con leggerezza una mano sulla sua schiena per scortarla all'interno del ristorante. Un piacevolissimo tepore la travolse, non appena vi entrarono. Non era grandissimo come posto, era molto intimo ed accogliente, proprio come piaceva a Monique. Le luci attorno a loro erano di un colore tenue e delicato, dalle tinte gialle e arancioni. Arrossì appena nel constatare che la maggior parte della gente attorno a loro era felicemente accoppiata; probabilmente, chiunque avesse visto lei e Tom in quell'istante li avrebbe altrettanto scambiati per una coppia.
« Vieni. » sentì il chitarrista a qualche millimetro dal suo orecchio, dopo che ebbe finito di parlare con il proprietario del ristorante. Le sue gambe si mossero come incontrollate, fino a giungere ad un tavolo piuttosto appartato, dove lesse il cartellino “Riservato”. Vide Tom togliersi la giacca per poggiarla sullo schienale della sedia, così fece lo stesso. Si sentiva a disagio con quel vestito addosso ed aveva timore ad incrociare lo sguardo del chitarrista. Cercò di fare il tutto con calma, per poi sedersi di fronte a lui con le guance colorite. Proprio come non voleva accadesse, trovò il ragazzo scrutarla in viso con un tenero sorriso sulle labbra. « Ti vedo agitata. » le disse con dolcezza.
« No. » si affrettò a negare lei.
« Non pretendo nulla da quest'uscita, stai tranquilla. Ho semplicemente voglia di stare un po' con te. » la rassicurò, al che Monique sorrise annuendo.


L'atmosfera si era fatta decisamente meno tesa. Le rispettive portate erano arrivate al loro tavolo ed i due ragazzi avevano preso a mangiare, continuando a chiacchierare serenamente, come non fosse mai successo nulla in passato tra di loro; come si stessero conoscendo in quel preciso istante, proprio come Jessica aveva suggerito a Monique. La mora era sollevata per questo; sentiva decisamente meno l'ansia di comportarsi in modo poco fraintendibile o quant'altro.
« Stai scherzando? Hai messo davvero la pittura sulla sedia della professoressa? » domandò Monique, sorpresa, tenendo la forchetta a mezz'aria.
« Se è per questo, anche la colla sulla maniglia della porta. » disse di rimando il chitarrista con un sorriso furbetto sulle labbra. « O la macchina di Gordon distrutta contro un albero. »
« Immaginavo fossi uno scalmanato, ma non fino a questi livelli. » ridacchiò quindi la mora, dopo essersi tamponata lievemente il tovagliolo sulla bocca.
« Ne ho fatte decisamente troppe. E tu, invece? » le domandò successivamente il ragazzo. « Avrai fatto qualche cazzata nella tua vita. »
« Apparte farmi mettere incinta da un coglione, dici? Beh, ho provato l'ebrezza di venire arrestata. »
A quella confessione, Tom sgranò gli occhi.
« Arrestata? » domandò incredulo.
« Oh, sì. Avevo diciassette anni ed ero appena uscita da una discoteca, completamente ubriaca. Ai tempi non frequentavo una buonissima compagnia ed ero fidanzata con un ragazzo decisamente poco a posto. »
« Non era Christian? »
« Non era Christian. Lui aveva diciotto anni, quindi guidava la macchina. Con noi erano saliti in auto altri quattro amici, tutti schiacciati sui sedili posteriori. Nemmeno il mio ragazzo, Lucas, era tanto lucido; così, mi ha fatto sedere al posto di guida, esortandomi a mettere in modo e far vedere quello che sapevo fare. Non avevo mai toccato un volante, prima di allora, e l'alcol non mi aiutava. Insomma, guidavo in modo decisamente spericolato, facendo a zig zag per la strada – fortunatamente era notte fonda e non passava quasi nessuno – fino a che non ci siamo trovati davanti una macchina della polizia. Insomma, ho fatto un salto alla centrale e poi i miei sono corsi a prendermi decisamente delusi e neri di rabbia. »
« Però! La precisa e diligente signorina Schmitz ne ha fatte di peggiori delle mie! Sono piacevolmente sorpreso. » Monique ricambiò quel sorriso, piuttosto divertita. « Come mai ti sei sempre presa ragazzi poco affidabili? » chiese poi il chitarrista.
« Non ne ho idea; si vede che ho una calamita per gli scapestrati. » sorrise ironica la ragazza.
« Io non sono scapestrato. » commentò Tom, con malizia.
« Smettila. » gli intimò lei, imbarazzata.
« Tanto ormai lo sai che mi piaci. »
Monique cercò di ignorare quelle parole, anche se il cuore, nel suo petto, stava dando letteralmente i numeri. Lo adorava quando si comportava a quella maniera, quando si toglieva ogni maschera e le parlava senza filtri, esternando semplicemente ciò che sentiva dentro.
« E tu non hai mai avuto una relazione seria con una scapestrata, invece? » cercò di continuare il discorso precedente, per uscire da quell'impaccio, anche se non era molto sicura di volerlo sapere.
« Tante scapestrate, ma nessuna storia seria. » rispose Tom, giocherellando con un lembo della tovaglia. « Non ne ho mai trovata una che mi avesse fatto perdere seriamente la testa. »
« O forse sei tu che hai sempre voluto scappare. » sorrise appena la ragazza.
« Può darsi. » annuì con estrema tranquillità il chitarrista. « Ma ora mi sono un po' stufato di farlo. » aggiunse, osservando distrattamente il proprio bicchiere.
« Bravo. »
A quella piccola presa in giro, Tom non poté fare a meno di sorridere divertito, rispondendo un “grazie” decisamente ironico.


Una volta terminato di cenare, Tom pagò da bravo gentiluomo il tutto, per poi invitare Monique ad uscire dal ristorante. Entrambi cercarono di raggiungere l'auto del chitarrista il più in fretta possibile, per evitare presenze di paparazzi o ragazze isteriche. Una volta che si fu chiusa in macchina, assieme a lui, la ragazza sfregò fortemente le mani sulle sue gambe scoperte, con l'intento di alleviare quel gelo insopportabile di Berlino. Tom quindi accese il riscaldamento, attendendo qualche attimo prima di mettere in moto e partire verso una meta sconosciuta.
« Se non riesci a scaldarti, ho una copertina, qui dietro. » le disse con dolcezza il ragazzo, sfregandosi le mani, poiché anche lui accusava molto il freddo.
« No, no, mi sto già scaldando. » sorrise di rimando Monique, cominciando ad avvertire quel piacevole tepore lambirle la pelle infreddolita, mentre nascondeva le proprie mani fra le ginocchia. Notò Tom sorriderle appena, per poi afferrarne delicatamente una, facendo ben attenzione a non sfiorare nemmeno per sbaglio le sue gambe, e la nascose fra le sue, con l'intento di infonderle maggior calore. Sapeva che Monique non ne aveva bisogno e che con quel semplice contatto aveva già preso fuoco da un bel pezzo, ma gli piaceva tremendamente avvertire il contatto della pelle liscia della mora contro la sua.
Lei, dal suo canto, nonostante si sentisse particolarmente a disagio, non mosse un muscolo e non provò tanto meno a liberarsi da quella dolce presa protettiva.
Doveva ammettere che per quanta fiducia lei volesse riacquistare, si sentiva sempre al sicuro con lui. Era l'unica persona in grado di farla sentire a casa, sempre e comunque. Era l'unica persona che con un semplice sguardo riusciva a renderla tranquilla, in tutto ciò che faceva.
Sentiva le leggere carezze del ragazzo sulla sua mano e non poté fare a meno di sorridere, pensando a quanta dolcezza fosse capace di racchiudere in se stesso, per poi esternarla in quelle occasioni, in modo così naturale, così innocente ed inaspettato.
« Hai le mani piccole. » constatò improvvisamente il ragazzo, come fosse la prima volta che lo notava davvero. Monique abbassò incuriosita lo sguardo sulle loro dita intrecciate: sembravano fidanzati sul serio.
« Beh, più piccole delle tue, decisamente! Sono enormi! » ridacchiò la mora. Tom la seguì appena, senza staccare lo sguardo da quella stessa direzione.
« Che dici, facciamo un giro in macchina? Mi spiace che non possiamo camminare, ma non posso seriamente rischiare. » le disse successivamente il chitarrista, sciogliendo dolcemente quell'intreccio e portando poi le mani al volante, pronto per partire.
« Figurati, lo capisco. » si affrettò a tranquillizzarlo Monique, mentre prendevano a muoversi lungo la strada. Restarono qualche secondo in silenzio, forse a meditare su qualche buon argomento da tirare fuori in quella situazione. Forse si erano resi entrambi conto che prima o poi avrebbero dovuto – o comunque sarebbe stato lecito – parlare di quella questione così seria che li tormentava. Il problema era che nessuno dei due aveva idea di come tirare in ballo il discorso.
Monique, dal suo canto, aveva tanti punti interrogativi che il chitarrista le avrebbe dovuto inevitabilmente chiarire. Eppure aveva come paura di turbarlo a causa di particolari parole.
Sospirò appena.
Era inutile; quella domanda era lì, sulla punta della sua lingua e voleva dannatamente uscire allo scoperto.
« Se io ti chiedessi cosa ti aspetti da me, quali sono le tue idee su noi due... » la lasciò comunque in sospeso, pregando affinché il ragazzo ci arrivasse da solo. Lo vide osservarla attentamente di sbieco, come a dosare pensieri e parole da confessare. Come a non voler partire in quarta, come suo solito, arrivando a spaventarla o deluderla di nuovo. Poi tornò ad osservare la strada e prese a parlare.
« Sarò sincero con te, come ho deciso di esserlo in tutto e per tutto ultimamente. Mi fa un po' paura tutto questo. Se tu mi chiedi cosa mi aspetto da noi due, mi viene subito da risponderti che voglio stare con te e non in senso astratto o metaforico. Poi mi ricordo delle cose che ti ho detto in aeroporto e mi rendo conto che quelle stesse parole potrebbero valere anche ora, poiché non ho cambiato lavoro. Forse ho cambiato semplicemente modi di fare, abitudini; intendo dire che non vedo e non sento più nessuna groupie già da un bel po', ormai, anche perchè ho deciso di concentrarmi solo ed esclusivamente su di te. »
A quelle parole, Monique si sentì arrossire. Nonostante il vestito le lasciasse scoperta buona parte della sua pelle, percepiva una sensazione di calore quasi insopportabile. E non era il riscaldamento presente in quella macchina.
« Ma, se ti fa così paura allora... Perchè insistere? » domandò ingenuamente lei.
« Perchè ho una dannata voglia di cambiare, Monique. Mi sono stufato di recitare la parte di un ragazzo che non sono, solamente per fare un piacere ai giornali o alle fans che non mi vorrebbero assolutamente vedere impegnato con nessuna. Anch'io ho una vita e dei sentimenti, esattamente come loro. È vero, ho sempre voluto allontanarmi da tutto questo, ma non ho mai affermato di esserne felice. »
Monique si prese ancora qualche attimo, meditando sulle sue parole. Lo capiva; riusciva a capirlo e ciò era importante. Il fatto che lui ci volesse comunque provare era lodevole.
« Quando ti ho chiesto di darmi modo di fidarmi di te... L'ho fatto perchè, ammetto, l'idea di una nuova storia, dopo quella di Christian, mi spaventa. Perchè nella mia vita non ho mai avuto certezze dai ragazzi con cui sono stata, soprattutto da Christian, che mi ha abbandonata anche di fronte ad un qualcosa di grande come la nascita di Eveline. Avrei il perenne timore che tu possa fare lo stesso, capisci? » mormorò timidamente, tornando ad osservarlo con insicurezza. Gli occhi del chitarrista si posarono di nuovo un momento su di lei, con una dolcezza quasi del tutto nuova.
« Io ho smesso di farti soffrire, Monique. Credimi, è l'ultima cosa vorrei accadesse ed è questo forse l'unico fatto che mi frena ancora un po', con te. Non perchè non sono sicuro dei miei sentimenti, anzi... Forse quelli rappresentano l'unica mia certezza, in questo momento. La mia paura è semplicemente quella di farti soffrire involontariamente e non parlo necessariamente di tradimento. Ho paura di non essere all'altezza, ho paura di non riuscire a darti quello di cui tu hai bisogno giornalmente, non so se sono il ragazzo giusto per te, però... Vorrei tanto provarci. Almeno quello. Vorrei poterti dimostrare di essere in grado di prendermi cura di te. E non voglio dimostrarlo solo a te, ma anche a me stesso. Voglio davvero credere di essere in grado di fare tutto questo, come tanti altri ragazzi della mia età. »
Monique non poté fare a meno di sentirsi rapita da tali parole. Si sentiva tutto ad un tratto più importante ed i suoi muscoli avrebbero voluto gettarsi addosso a lui. Eppure quelle sue solite incertezze le annebbiavano la mente.
« Ma se dovessi stufarti di me... » cominciò, mogia.
« Perchè pensi in anticipo a queste cose? E poi tu non sei un pupazzo che posso usare a piacimento e che butto via non appena non ho più voglia di averlo tra i piedi. Non mi chiamo Christian. » disse lui con espressione sprezzante, a quell'ultimo nome.
« Ma se tu dovessi sentire la mancanza delle tue libertà, delle tue abitudini... »
« Mio fratello mi ha detto che stare assieme a qualcuno è tremendamente appagante, che ti rende felice con poco e che non ti fa sentire in gabbia. »
« Ha ragione, ma forse, per chi non è abituato... »
Non riuscì a terminare la frase, poiché la macchina, con una frenata quasi brusca, accostò affianco ad un marciapiede. Si voltò in direzione di Tom, il qualche aveva spento il motore e si era girato completamente verso di lei, con espressione crucciata.
« Non mi fare così incapace, Monique, ti prego. Ho ventidue anni, non tre. Capisco perfettamente da solo se mi interessa seriamente una persona, se vale la pena stravolgere la mia vita per lei e se mettermi in gioco in questo modo. Sono grande abbastanza per questo, per decidere se sono seriamente pronto oppure no. » le disse con inquietante serietà. « Se io, in questo momento, ti guardo negli occhi e ti dico che ho una voglia matta di stare con te, di stringerti, baciarti, fare l'amore e sentirti mia una volta per tutte, mi credi o pensi siano stupide frasi di circostanza, pronunciate da un ragazzino immaturo? » Monique si sentì trafitta da una violenta scarica elettrica. « Frasi che, per la cronaca, non ho mai detto a nessuno, in vita mia. » aggiunse il ragazzo, più pacato, quasi in imbarazzo.
Sentiva il cuore batterle all'impazzata nel petto. Erano le esatte parole che già molto tempo prima avrebbe pagato per sentirsi dire. Percepiva le proprie guance infuocarsi repentinamente e se non fosse stato per il suo autocontrollo, avrebbe messo in atto ogni singola azione che il ragazzo le aveva detto di voler fare con lei. Non voleva essere avventata, così si limitò al silenzio, sorridendo appena e tornando ad osservare la strada di fronte a sé, mentre Tom rimetteva in moto.


Probabilmente erano fermi, in macchina, già da cinque minuti ormai, ma nessuno dei due aveva intenzione di salutare l'altro. Non si erano detti granché; a dire il vero non aveva proferito nemmeno mezza parola, poiché il silenzio era stato il vero protagonista dall'ultimo suono che Tom aveva emesso, prima di rimettere in moto. Aveva deviato in modo quasi automatico verso casa della mora: immaginava la serata si fosse conclusa lì, con quella sua ennesima dichiarazione. Eppure non vi era tensione all'interno di quell'Audi. Erano semplicemente fermi, immobili, intenti ad osservare di fronte a loro, in silenzio, ognuno con pensieri forse differenti nella testa.
Tom aveva notato il lieve sorriso involontario di Monique sul suo volto, ma non le disse niente comunque, nonostante ciò provocasse in lui una sorta di sollievo, constatando che sembrava non essere turbata ma, anzi, compiaciuta.
Potrebbe essere la prima volta che parli e non fai danno; bravo, Tom, si disse nella mente il ragazzo, con una buona dose di ironia.
« Beh, allora io... Vado. » spezzò improvvisamente il silenzio Monique, dopo aver preso una buona boccata di ossigeno. Quella frase pareva più detta a se stessa, come una sorta di auto convinzione. Eppure le sue gambe non accennavano a muoversi; forse perchè sperava in un qualche gesto da parte del chitarrista, ma si sentiva sempre più sconfortata all'idea che questo non arrivava. « Grazie per la serata, sono stata bene. » vide semplicemente il ragazzo annuire, come pensieroso, ed una nuova fitta al petto la prese alla sprovvista. Mentalmente lo implorava di fermarla o dirle almeno qualcosa. Non poteva credere che avrebbe concluso quella bellissima serata in quel modo così assurdo. Ma quando perse del tutto le speranze, posò una mano sulla maniglia della portiera. « Buona notte. »
Non si ricordò più dove finì quella portiera. Non si ricordò dove finì la visuale di casa sua. Sentì semplicemente una forte – ma al contempo delicata – presa sul suo polso, intenzionata a fermarla, ed il suo cuore non fece quasi in tempo a battere veloce, che le labbra del chitarrista si erano fiondate sulle sue.
Di nuovo quel profumo che, dopo tanto tempo, ancora era impresso nella sua mente. Ancora quella morbidezza e quel calore che la sua bocca era in grado di trasmettere. Ancora quella stordente dolcezza di cui si impregnavano i baci di Tom.
Si trovò semplicemente catapultata in un altro mondo. Era stato tutto così inaspettato, ma così fortemente desiderato, al tempo stesso.
Chiuse gli occhi e non perse tempo ad avvolgere il collo del ragazzo con le proprie braccia tremanti, mentre quel baco si trasformava in un qualcosa di estremamente passionale, ma senza abbandonare quella delicatezza in grado di rendere il tutto ancora più speciale.
I neuroni della mora avevano ufficialmente dato le dimissioni, nell'esatto momento in cui aveva percepito i denti e la lingua del ragazzo lambirle con gentilezza il labbro inferiore, per poi racchiuderla di nuovo in una morsa possessiva, dalla quale certamente non si sarebbe ritratta.
Non riuscì a capire se nel suo cuore era più forte l'improvvisa felicità, l'improvvisa pazzia, o il timore che di lì a poco Tom si sarebbe staccato da lei.
Quel bacio racchiudeva mille significati, mille sentimenti repressi per tanto, troppo tempo, da parte di entrambi e avrebbero dovuto esternarne ancora innumerevoli.
Improvvisamente però l'ossigeno venne a mancare da tutte e due le parti, cosa che li costrinse a separarsi, mentre il dolce suono di uno schiocco umido perforava le loro orecchie, facendoli timidamente sorridere. Monique si beò ancora per qualche istante delle carezze sul suo viso, da parte del chitarrista, fino a che quest'ultimo non ricambiò il suo precedente saluto: « 'Notte. »
Scendere dalla macchina e varcare la soglia del suo condominio si rivelò molto più arduo del previsto, mentre il tempo veniva scandito dai battiti accelerati del suo cuore, salitole sino in gola, e le sue orecchie si dedicavano ancora qualche istante al rombo del motore dell'Audi che ripartiva, allontanandosi velocemente da lei.

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Capitolo 14
*** Fourteen. ***


14

Fourteen.



« Monique, ti si sta bruciando il caffè. »
Quell'improvviso richiamo la fece alzare dalla sedia con un balzo, per affrettarsi a raggiungere i fornelli e spegnere il fuoco.
Era distratta. Ma per la prima volta era distratta positivamente.
I suoi pensieri vorticavano ancora attorno a quel bacio, avvenuto così inaspettatamente da farle salire il cuore in gola, al solo ricordo. Rammentava perfettamente la dolcezza con la quale il chitarrista l'aveva arpionata a sé ed il buon profumo che la sua pelle emanava.
« Sei distratta. » le fece notare nuovamente Jessica, mentre lei versava il caffè bollente in due tazzine.
« No, ho solo un po' sonno. » rispose la mora, piuttosto vaga.
Appena tornata a casa, la sera prima, aveva trovato Jessica teneramente addormentata sul divano – forse con l'intento di attendere il suo arrivo – ed Eveline nelle medesime condizioni, rifugiata in camera da letto. Aveva quindi deciso di non svegliare la rossa ed andare a stendersi affianco a sua figlia, sebbene quella notte si prospettasse insonne. E così era stato: non aveva chiuso letteralmente occhio. Aveva passato le ore ad osservare disinteressata il soffitto, continuando a rivedere l'immagine di lui e lei, lì, sul muro bianco sopra di sé.
Si sentiva tremendamente emozionata. Per la prima volta aveva voglia di viversi il momento, tralasciando il timore di essere presa in giro o arrivare a soffrire di nuovo; semplicemente perchè Tom riusciva ad infonderle tanta sicurezza e tutte quelle parole, pronunciate la sera prima con gli occhi fissi sui suoi, le erano sembrate totalmente prive di falsità.
« Non mi hai raccontato com'è andata ieri sera. » sorrise maliziosa, all'improvviso, la rossa, dopo aver preso a sorseggiare il suo caffè, seduta al tavolo, di fronte alla sua migliore amica. Monique arrossì repentinamente. « Uh, sento che è successo qualcosa di molto interessante. Confessa, hai fatto schifezze, come ti avevo detto! » esclamò entusiasta e la mora non poté fare a meno di prendere fuoco sul viso.
« Ma quali schifezze! Non ho fatto nessuna schifezza. » si difese.
« Però è successo dell'altro, ti si legge in faccia. » sorrise nuovamente Jessica, con quell'espressione furba in volto, tipico di una persona che ha già capito tutto. Monique fece un bel sospiro e poi sorrise.
« Sì. » ammise, al che la rossa esultò con un gridolino ed un battito di mani. « Eravamo in macchina a parlare, dopo cena. Avevamo deciso di farci un giro. Abbiamo cominciato un discorso piuttosto serio, riguardo noi due. Io volevo delle certezze e devo dire che lui me le ha date. Dice che non è sicuro di essere il ragazzo giusto per me ma che ci vuole provare. Mi ha fatto intendere che con me non vuole una semplice storiella, ma qualcosa di serio. » prese a raccontare con gli occhi che le brillavano, mentre Jessica la fissava curiosa, con un sorriso enorme disegnato sul volto. « Una volta arrivati davanti casa, ci siamo ritrovati in imbarazzo ed in silenzio, forse per il precedente discorso, forse perchè non ci volevamo salutare, forse perchè non sapevamo come farlo. Sta di fatto che prima che io potessi scendere dalla macchina, mi ha presa e mi ha baciata. » concluse, con il cuore impazzito.
Era assurdo che provasse quelle forti emozioni per un semplice bacio. Era in quei momenti così strani, che si sentiva un'adolescente al primo amore. Questa cosa le piaceva perchè voleva dire che le sue emozioni non erano morte e sepolte, ma erano ancora lì, vive, nel suo cuore, pronte ad uscire allo scoperto e regalarle gioia.
« Finalmente! Il nostro treccina si è dato una santa mossa! » esclamò la rossa, spalancando le braccia in aria. « E quindi, ora? » domandò successivamente, tornando a sedersi composta. Monique prese a fissare il vuoto.
Già, e ora? Non lo sapeva nemmeno lei cosa sarebbe successo, ma non voleva preoccuparsene. Aveva constatato che troppa razionalità le faceva male e che sarebbe stato necessario un po' più di istinto.
« Ora non lo so. Vedrò come si comporterà tra poco, in studio. Non penso faccia di nuovo finta di niente, come tutte le altre volte. Ieri sera mi è sembrato molto convinto di ciò che stava facendo ed i suoi occhi non mostravano segni di pentimento, subito dopo. Voglio stare tranquilla, non voglio crucciarmi prima del dovuto. » decise di rispondere, con estrema calma.
« Questa nuova Monique mi piace molto. » sorrise Jessica, tornando poi a bere il suo caffè, ormai tiepido.


Riusciva a camminare per miracolo, poiché il lieve tremore alle gambe non cessava.
Stava attraversando il vialetto che l'avrebbe condotta alla porta dello studio di registrazione. Eveline era rimasta a casa con Jessica, la quale si era offerta di tenerla poiché riteneva che la mora avrebbe dovuto occuparsi delle sue faccende sentimentali, per lo meno quel giorno.
Si sentiva piacevolmente nervosa; certo il timore di ricevere una brutta sorpresa era sempre lì, dentro di lei, ma questa volta cercava di sorridere ugualmente. Voleva prendere il tutto con diverso spirito e sentiva che ci sarebbe riuscita e che avrebbe finalmente cominciato a vivere meglio.
Suonò il campanello, come sempre, per poi aprire la porta con le chiavi. Suonare il campanello era per lei di vitale importanza. Voleva come avvisare tutti quanti che stava entrando, poiché non si sarebbe mai permessa di farlo senza, nonostante il manager le avesse dato il via libera più volte.
Quando varcò la soglia trovò proprio David venirle in contro con un gran sorriso.
« Buon giorno, Monique. » la salutò con la sua solita gentilezza. « Ti aspetta una lunga e dura mattinata. » ridacchiò successivamente, mentre la mora appendeva il suo cappotto sull'appendiabiti, all'ingresso.
« Mezza tonnellata di lettere di fan impazzite da tradurre? » si informò divertita.
« Togli pure quel mezza. » sorrise amabile il manager.
« Oh, allora è tutto regolare. » scherzò quindi Monique, per poi prendere a camminare verso il suo ufficio.
« Hai già fatto colazione? »
« Sì, grazie, David. I ragazzi sono in cucina? »
« Sì, sono tutti lì, uno più rimbambito dell'altro. Non so che facciano la notte per svegliarsi sempre così. »
« Preferirei non saperlo. » Risero qualche istante, fino a che David non le augurò “buon lavoro” per poi dileguarsi nel suo ufficio. Monique prese un bel respiro e si affacciò in cucina. « 'Giorno! » salutò con espressione decisamente più solare del solito. Trovò Bill e Gustav a darle le spalle, seduti al tavolo, e Georg e Tom posizionati di fronte a loro.
Non appena gli occhi del chitarrista la perforarono, il cuore fece un balzo nel suo petto. Lo vide sorriderle dolcemente, cosa che la tranquillizzò: era tutto a posto.
« Buon giorno, Monique! » la salutarono in coro, eccetto Tom che si limitava a guardarla con un sorriso ebete in volto. Ciò la fece quasi ridere.
« Come stai? Passato un bel fine settimana? » le domandò Gustav.
Studiò attentamente la sua espressione, cercando di avvertire qualsiasi sfumatura ironica o maliziosa. Non riusciva a capire se sapesse o meno di ciò che era successo con Tom; decise quindi di fare finta di nulla.
« Sì. » si limitò ad annuire, per non destare alcun sospetto. « Beh, volevo salutarvi, ora mi metto al lavoro. » aggiunse successivamente, per poi congedarsi con un sorriso ed uscire dalla cucina.
Tirò un sospiro estasiato. Rivedere Tom era stato come prendere una boccata d'aria, dopo ore di asfissia. Aveva bisogno di rivedere il suo sguardo per accertarsi che ciò che aveva vissuto la sera prima era vero e sicuro; voleva leggerlo nei suoi occhi sinceri.
Quando giunse nel suo ufficio, si posizionò di fronte alla scrivania in modo da riordinare nella cartellina alcuni fogli lasciati liberi mentre l'occhio le cadde sulla pila di lettere posizionate a lato, pronte per essere lette e tradotte. Sì, erano decisamente tante.
Improvvisamente, un tocco delicato ma rovente si posò sui suoi fianchi. Il suo corpo si irrigidì in automatico nel momento in cui lo sentì semplicemente respirare, dietro di sé. Doveva ancora abituarsi a quella situazione, nonostante non fosse successo nulla di così eclatante, ma il pensiero che con il chitarrista sarebbe iniziato apparentemente un tipo di rapporto decisamente più intimo le faceva impazzire il cervello.
« Ciao. » la salutò, sempre alle sue spalle, con voce dannatamente roca. Non voleva apparire sensuale, ma ciò di cui forse non si rendeva conto era che vi appariva in ogni cosa che faceva, sempre e comunque.
« Ciao. » rispose lei, tentennante, mentre si voltava nella sua direzione ed il ragazzo non staccava le proprie mani dal suo corpo. Gli occhi di Tom erano sereni e la osservavano con una nuova luce. Erano diversi, erano spensierati, privi di ogni malessere.
« Non mi hai salutato. » le disse con dolcezza.
« Sì che ti ho salutato, prima, assieme agli altri. » ribattè accigliata la mora, non capendo cosa intendesse dirle. Il ragazzo, dal suo canto, le sorrise teneramente, per poi abbassarsi sul suo viso e sfiorarle l'angolo della bocca con le labbra morbide.
Monique si sentì stordita per un attimo. Non era più abituata a quei saluti mattutini particolarmente appaganti e doveva dire che, nonostante tutto, non le dispiacevano affatto.
Si spostò appena per far sì che le sue labbra combaciassero perfettamente con quelle di Tom, potendolo così baciare come preferiva. Fu breve ma le lasciò comunque un marchio infuocato, dentro di sé.
Quando si staccarono, si sorrisero con gli occhi.
« Ora va meglio. » affermò il chitarrista, piuttosto soddisfatto, per poi allontanarsi da lei e dare un'occhiata a ciò che la sua scrivania presentava. « Oh, vedo che hai un bel da fare. » commentò divertito, osservando il mucchio di lettere che già da qualche minuto stava lanciando fulmini e saette, in direzione di Monique.
« Già, per colpa vostra e del vostro dannato fascino. » scherzò la mora, mentre faceva il giro della scrivania, per sedersi sulla sua poltrona in pelle, pronta a mettersi al lavoro.
« Accetto volentieri i complimenti impliciti. » sorrise di rimando il chitarrista, rimanendo in piedi, di fronte a lei, al di là del tavolo. « Perchè non hai portato Eveline? Avevo voglia di vederla. » aggiunse poi.
Monique arrossì troppo velocemente, al pensiero delle parole di Jessica, riguardanti il fatto che avrebbe voluto che lei e Tom avessero un po' di tempo per parlare e chiarire la loro situazione sentimentale con calma e senza momentanei impedimenti.
« Diciamo che Jessica voleva che io, stamattina, mi occupassi di... Altro. » ammise, arrossendo sempre più vistosamente, mentre cercava di nascondere il suo imbarazzante stato, abbassando la testa. Tom sembrò decifrare quella strana frase ed il suo viso si distese in un semplice sorriso.
« D'accordo, all'ora della pausa, ci occuperemo di altro. » le disse, senza malizia, poiché non intendevano nulla di malizioso, se non una semplice conversazione per mettere in chiaro alcune cose, dato che tutto era successo all'improvviso ed inaspettatamente. « Ora ti lascio lavorare in pace. A dopo. » le sorrise successivamente, per poi sparire oltre la porta del suo ufficio.
Avrebbe retto fino alla pausa?


Gli occhi cominciavano ad inumidirsi per lo sforzo, portandola a sbattere più volte le palpebre, segno che la stanchezza l'aveva ormai irrimediabilmente presa e che era giunto il momento di staccare per un attimo il proprio sguardo da quelle dannate lettere. Portò le braccia al di sopra della sua testa per allungare i muscoli con un sospiro esausto; aveva passato due ore buone curva su quella scrivania, senza mai prendersi una meritata pausa ed ora il suo fisico e soprattutto la sua mente ne stavano risentendo. Si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta del suo ufficio, lasciata costantemente aperta – per scambiarsi occhiate con il chitarrista ogni qual volta lui passava, ma questo non l'avrebbe mai confessato, nemmeno sotto tortura –, imboccando poi il corridoio che l'avrebbe condotta in salotto: era sicura che avrebbe trovato qualcuno, lì dentro. Infatti, non appena si affacciò al suo interno, vi trovò Gustav, pesantemente disteso sul divanetto, con una cuffia dell'i-pod in un orecchio.
« Hey. » le sorrise il ragazzo, non appena la vide, illuminandosi in un sorriso. « Vieni a sederti vicino a me. » le disse poi, battendo appena una mano sul morbido divano, affianco a sé. Monique ricambiò quel dolce sorriso e gli si avvicinò, fino a sedersi. « Che occhietti. » commentò intenerito il batterista, dopo averla osservata attentamente in volto.
« Tutte le vostre dannate fans. » sorrise Monique, poggiando poi la testa sullo schienale, dietro di lei. Sentì Gustav ridere appena.
« Arriverai mai ad amarle, un giorno? » le domandò, divertito.
« Credo mi sia impossibile. » scherzò quindi la mora, voltando il viso nella sua direzione, per guardarlo negli occhi. « Bill è a procreare? » chiese poi, piuttosto incuriosita, visto che non vedeva l'ombra né del vocalist, né di nessun altro.
« Sì, dice che gli è venuta un'illuminazione improvvisa per una nuova canzone. Mi spaventa quando fa così. »
« Tanto si sa che, alla fine, ne viene fuori un testo schifosamente meraviglioso, sempre e comunque. »
« Già, almeno una nota positiva. » Si dedicarono qualche secondo ad un innocuo silenzio, fino a che il biondino non riprese a parlare. « Ti ho vista particolarmente raggiante, al tuo arrivo. » esortò, cogliendo alla sprovvista Monique, la quale si accese repentinamente di un colore tendente al fucsia. « Qualche novità? » le domandò poi, con un'espressione decisamente troppo furba per i gusti di Monique.
Doveva senz'altro sapere.
« Gustav... Sai per caso qualcosa che non dovresti sapere, che io non so che tu sai? » indagò con un tremendo giro di parole e con gli occhi ridotti a due fessure. A quel punto, il batterista scoppiò a ridere.
« Sì, effettivamente so qualcosa che non dovrei sapere, che tu non sai che io so. » la prese in giro. Monique non seppe se esserne contenta o meno.
Doveva vergognarsi? Doveva esprimergli quanto stupidamente emozionata fosse, come una ragazzina alla sua prima cotta?
« Oh, e... Cosa sai, precisamente? » domandò di nuovo, cauta.
« Che sei riuscita a far diventare un'ameba l'indistruttibile SexGott. » le sorrise, al che lei desiderò scavarsi una fossa dalla vergogna.
« E questo è... Positivo? »
Gustav scoppiò a ridere, decisamente divertito da quella timida curiosità.
« Ma certo! » esclamò entusiasta.
« No, sai, perchè io le amebe le trovo disgustose. » Quell'affermazione fu un pretesto per un'ulteriore risata da parte del batterista. « Felice di divertirti. » sorrise la ragazza.
« Sei tenera, Monique. Non mi è difficile capire il motivo per cui tu piaccia così tanto a Tom. » Monique arrossì ulteriormente, abbassando lo sguardo. « Ti ricordi quella sera, in albergo, quasi due anni fa... Quando ti dissi che era solo questione di conoscenza? Che Tom non era così perfido come lo vedevi? » le domandò quindi.
Monique sorrise appena, a quel ricordo, risalente ai primissimi tempi, quando il chitarrista era solito comportarsi in modo odiosamente scontroso con lei e lei si spaccava la testa per capirne il motivo, inutilmente.
« Sì. » rispose.
« Voglio un bacio bello grande qui! » le disse quindi con enfasi, battendosi più volte un dito sulla guancia, sporta nella direzione della mora.
« D'accordo, avevi ragione, GusGus. » ammise divertita lei, prima di schioccargli quel bacio richiesto sulla pelle. « Grazie! » borbottò ancora. Gustav era sempre più divertito da quella situazione, ma al contempo soddisfatto, poiché con lei ci aveva visto lungo, sin dall'inizio.


Finalmente lo trovò in giardino, a darle le spalle, intento a fumarsi una sigaretta, ed il suo cuore prese a ballare la Samba. Si avvicinò con cautela al chitarrista, senza mai staccare i propri occhi dalle sue spalle così larghe e ben proporzionate al resto del corpo, proprio come piacevano a lei.
« Finirai per carbonizzarteli, quei poveri polmoni. » esortò con un sorriso spontaneo in volto. Vide il ragazzo sussultare appena per poi voltarsi nella sua direzione con sguardo sorpreso. Non appena la vide, le sorrise a sua volta.
« Fino ad ora, non si sono mai lamentati. » rispose dolcemente.
« Speriamo non lo facciano mai. » concluse, una volta giunta di fronte a lui.
« Hai finito di tradurre quel macigno? » le chiese quindi, dopo aver preso un'altra boccata di fumo ed averla liberata attraverso le sue labbra.
« Diciamo che sono a buon punto. Non mi manca molto ma avevo un disperato bisogno di staccare. »
« Trovato qualcosa di interessante? »
« Apparte un quarto buono di lettere dove ti invitano ad un po' di selvaggio sadomaso, assieme a loro? Mmm, forse solo una richiesta per Georg, il quale dovrebbe tagliarsi una ciocca di capelli e spedirla ad una certa Raja. »
Tom scoppiò a ridere, senza curarsi del fatto che in quel modo Monique avrebbe potuto perdere ogni capacità intellettiva.
« Non lo farebbe mai. » commentò, piuttosto divertito. « Per il sadomaso ci potrei pensare... » aggiunse poi, scrutandola di sbieco, con un sorrisetto furbo in volto.
Ti sta solo provocando, si disse nella mente la mora, per non prenderlo a cazzotti.
« Bene, divertiti allora. » rispose con una scrollata di spalle proprio lei, cercando di non far notare il fastidio che le si era propagato dentro, all'affermazione del ragazzo.
« Guarda che scherzavo. » mise in chiaro lui, cercando di capire se si fosse offesa o meno.
« Non mi ero mica incazzata. » mentì la mora, distogliendo lo sguardo e concentrandosi su un paio di uccellini che cinguettavano dall'alto del ramo di un albero a qualche metro di distanza da loro. Sentì l'improvviso tocco della mano di Tom fra i suoi capelli e le venne spontaneo chiudere gli occhi, beandosene.
« Non riesci neanche a dirmi le bugie. » sorrise il ragazzo con dolcezza, per poi prenderla per mano, prima che lei potesse ribattere. « Ci sediamo un po'? » le propose quindi, trascinandola con sé sul piccolo muretto a lato del giardino. Monique fremeva dalla voglia di chiedergli quale fosse il suo intimo pensiero riguardo loro due, cosa avesse intenzione di fare; se rendere ufficiale la loro strana e, per un certo verso, assurda situazione, o stabilizzarla a semplici bacetti di tanto in tanto, come sembrava stesse per il momento succedendo. « Alla fine hai detto ad Eveline che ci siamo visti? » le domandò improvvisamente, mandandola decisamente fuori strada. Proprio quella domanda doveva porle? Si sentiva tremendamente in imbarazzo ed in difetto. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, divenendo improvvisamente rossa.
« No. » soffiò timida. Poté notare con la coda dell'occhio il chitarrista irrigidirsi appena, per poi muoversi impercettibilmente, forse per cercare di non innervosirsi.
« E... Quando hai intenzione di farlo? »
Monique non capì. Perchè avrebbe dovuto a tutti i costi?
« Scusami, Tom, ma che dovrei dirle, precisamente? » chiese spiegazioni la ragazza, voltandosi verso di lui con lo sguardo. Sussultò appena quando notò che lui aveva fatto la stessa cosa, ipnotizzandola quindi con quelle iridi color cioccolato.
« Beh, di noi due, mi sembra ovvio. » ribattè accigliato, come fosse la cosa più logica del mondo.
« E' questo che non capisco. Cosa le dovrei dire riguardo noi due? Alla fine è stata solo un'uscita. »
« Solo un'uscita? E quello che è successo dopo non conta? »
« Un bacio e mezzo? »
Tom la osservò ancora qualche istante, come esterrefatto per ciò che la mora stava dicendo.
Le sembrava decisamente assurda quella reazione; d'altronde era la verità, era ciò che era successo e non poteva dire altro di diverso.
« Io credevo avessimo fatto almeno un piccolo passo avanti. » obiettò.
« Tom, io mi sono semplicemente adeguata alle circostanze. Non mi hai mai detto che stavamo insieme. »
« Dopo tutto il discorso che ti ho fatto ieri sera, in macchina, mi dici che non sapevi nulla? »
« Ma cosa potevo fare? Non potevo dedurre che dopo un bacio stessimo ufficialmente insieme! »
« Volevi la richiesta ufficiale? Io non ti capisco. »
« No, sono io che non capisco te. »
Restarono qualche attimo in silenzio. Tom guardava piuttosto pacato l'erba sotto di sé, mentre Monique si guardava attorno innervosita.
Non le piaceva il fatto che lui desse tutto per scontato. Anche la sua opinione valeva qualcosa in quel fottuto mondo!
« D'accordo, ora calmiamoci. » sospirò il chitarrista, grattandosi la nuca.
« Io sono calmissima. » sibilò a denti stretti la mora, essendo perfettamente a conoscenza del fatto che, per l'ennesima volta, stava dicendo una fesseria.
« Sì, vedo. » sorrise ironico il ragazzo, per poi aggiungere: « Ricominciamo, okay? Rewind. Dunque... Io, ieri sera, ti ho detto determinate cose, molto importanti per me, e non ho ricevuto nessuna risposta – non che fosse obbligatoria – ma nemmeno un verso, un grugnito, giusto per farmi intendere che tu avessi capito. »
« Ho capito. » chiarì lei, secca.
« E non ti fa né caldo né freddo tutto ciò? »
« Ma certo che me ne fa, ma al momento non ho saputo che dire... Mi hai leggermente spiazzata. »
« Beh, non mi puoi dire che non te lo immaginavi minimamente. »
« Immaginare è un conto, sentirsi confermare tutto quanto dal diretto interessato è un altro. »
« Penso che tu ci abbia riflettuto, no? Ora sei in grado di dirmi qualcosa a riguardo? »
Si prese ancora qualche secondo. Quella situazione la stava mettendo in difficoltà ed odiava che ciò accadesse.
« Tom... » cominciò, dopo aver preso una consistente boccata d'aria. « Insomma, lo sai che io sono sempre stata attratta da te; penso che ogni parola, in questo momento, sarebbe scontata. È ovvio che io, ieri sera, sia rimasta stordita ma piacevolmente sorpresa. Primo, perchè non mi aspettavo tu riuscissi a dirmi certe cose. Secondo, perchè erano le parole che attendevo da una vita. » notò il chitarrista sorridere appena.
« Ma, per lo meno, hai capito che sono stato estremamente sincero con te? » domandò nuovamente il ragazzo, quasi con fare intimidito, cosa che suscitò tanta tenerezza in Monique.
« Sì... » rispose.
« Io non so se sono riuscito a farti riacquistare la fiducia che avevi o che forse non hai mai avuto in me. L'unica cosa che ti chiedo ora è di farlo, di fidarti di me perchè mai come adesso sono stato sicuro di ciò che volevo. Il futuro non lo posso prevedere e non ti posso dire se potremmo essere la coppia perfetta o meno; se non ci si prova non lo si potrà mai sapere, giusto? » ricominciò il chitarrista, con una dolcezza che sembrava non appartenergli. Il cuore di Monique intanto galoppava. « Per lo meno insegnami. Insegnami ad entrare nel vivo di un rapporto serio; insegnami tutto ciò che non so e che mi sono rifiutato di imparare in tutto questo tempo. Fammi capire che anche io sono in grado di farlo. Io non ti voglio promettere nulla, perchè non vorrei deluderti nel caso le cose non dovessero funzionare, ma ti prometto almeno che farò di tutto per riuscire a creare qualcosa di positivo, perchè questo è quello che voglio. »
Gli occhi del moro erano fissi nei suoi e possedevano quella nuova luce che un po' sconcertava e un po' rassicurava Monique. Li trovava estremamente sinceri e forse, in quel momento, anche impacciati ed ansiosi di ricevere una risposta. Quelle timidi dichiarazioni, quella timida richiesta d'aiuto, quella voglia di imparare ad amare erano arrivate dritte al cuore della ragazza, la quale non sarebbe mai riuscita a dirgli di no.
Le sue labbra di rilassarono in un lieve sorriso e pochi secondi dopo annuì appena.
« D'accordo. » sussurrò. « Provare non costa nulla. » aggiunse. Vide Tom sorridere a sua volta, come rincuorato, per poi avvicinarsi a lei e stamparle un piccolo bacio sulle labbra.
« Grazie. » mormorò. Monique ricambiò con un semplice sguardo carico di amore.
Improvvisamente però le balenò nella mente un pensiero che avrebbe dovuto subito mettere in chiaro.
« Per il momento però, Eveline non deve sapere nulla. » disse, guardandolo seria. Notò un'espressione corrucciata del chitarrista, segno che non era molto d'accordo.
« Perchè? » domandò perplesso.
« Perchè non voglio fare le cose di fretta con lei. Non voglio porla davanti ad una realtà appena iniziata, che non so nemmeno se durerà. Non vorrei si abituasse troppo all'idea di noi due insieme, per poi ricevere una delusione. Vorrei dirle tutto un po' più in là, quando sarò sicura che le cose tra noi due funzioneranno sul serio. » spiegò con pazienza. Anche non fosse stato d'accordo, la sua decisione era quella. Non poteva mandare in confusione la sua bambina; non prima del dovuto.
Tom sembrò riflettervi qualche istante, fino a che non annuì, sospirando appena.
« Hai ragione. Va bene, faremo così. » si arrese. « Ciò vuol dire che non posso nemmeno venire a trovarvi a casa tua, anche per stare un po' con te? » domandò successivamente, quasi imbronciato.
« Se vuoi farlo, puoi venire... Basta che non le facciamo capire nulla. » gli concesse la mora.
« Andata... » grugnì leggermente contrariato Tom. « Prevedo che stare con te sarà più avventuroso e divertente del previsto. » sorrise poi, ironico, ricevendo di conseguenza una fulminata con lo sguardo da parte della mora.
« Potrei renderti la vita impossibile, se lo volessi. » commentò lei con un sopracciglio inarcato.
« Non lo faresti. » sorrise il chitarrista, avvicinando nuovamente il viso al suo. Monique percepiva il suo respiro caldo sulle labbra e già cominciava a vedere rosso ovunque.
« Sicuro? » lo sfidò lei, la quale sentiva di inoltrarsi lentamente nella via del cedimento.
« In ogni caso, sono pronto a tutto. »
Quell'ulteriore sussurro, a qualche millimetro dalla sua bocca, fu abbastanza per farle colmare l'odiosa distanza con le proprie labbra.


« Tieni Bubi. Prendilo. »
Monique era seduta a terra, nel piccolo salotto, fra il tavolino ed il divano, intenta a regalare un po' di divertimento e di gioco alla piccola Eveline, la quale sorrideva entusiasta, acchiappando il suo pupazzo ogni qual volta sua madre lo afferrava.
« Mamy, dammi Bubi! » esclamò la bambina, mentre si arrampicava letteralmente sul corpo di Monique, che intanto rideva, sollevando il braccio per tenere in ostaggio il pupazzo, abbastanza lontano da lei. « Dammi Bubi! » ripetè la morettina riuscendo a far sdraiare totalmente a terra sua madre. Monique, dal suo canto, continuava a ridere nell'osservare con quanto impegno e fatica sua figlia cercasse di afferrare quella povera giraffa. Dopo qualche difficoltà, Eveline esultò soddisfatta, non appena ebbe recuperato il suo amichetto e si fu sollevata dal corpo di Monique.
Quest'ultima si prese qualche minuto per osservarla con tutto l'amore possibile nei propri occhi. Più passava il tempo e più amava immensamente sua figlia ed il solo pensiero di tornare a vivere senza di lei la mandava nel panico più totale. Quasi non riusciva a ricordare quale sensazione provasse prima che nascesse, ma era del tutto certa che non avrebbe voluto tornare a quel periodo nemmeno per tutto l'oro del mondo.
« Quaddo potto vedele i Toccoté? » chiese improvvisamente Eveline, portando quindi la mora a scoppiare a ridere. Era la prima volta che la sentiva pronunciare quel nome e non credeva sarebbe suonato a quella maniera.
« I Tokio Hotel li puoi vedere domani, se vuoi. Ti porto al lavoro con me? » le propose con un sorriso sereno in volto.
« Tì! »
« Allora poi chiamo la zia Jessica e le dico che non ti deve tenere. »
Quanto le sarebbe piaciuto poterle dire la verità; poterle confessare della sua freschissima storia, se così si poteva definire, con il chitarrista. Sapeva che Eveline ne sarebbe stata entusiasta e sapeva anche che Tom avrebbe saputo trattarla con il dovuto garbo e nel migliore dei modi. Ma il fatto che sua figlia si fosse affezionata così tanto a lui, o che vi stesse semplicemente lavorando, oltre a rappresentare un qualcosa di bello all'apparenza, complicava un po' le cose. Il suo terrore più grande era di vedere sua figlia soffrire e sarebbe certamente accaduto se lei e Tom avessero scoperto, più avanti, di non essere fatti per stare insieme. Non voleva sconvolgere le abitudini e gli equilibri di Eveline facendole trovare in casa un ragazzo, in quattro e quattr'otto. Non aveva mai nemmeno conosciuto la figura di un padre e non avrebbe saputo come spiegarle quella nuova situazione. Avrebbe fatto passare semplicemente un po' di tempo, proprio come aveva precedentemente detto a Tom, per poi arrivare alle dovute confessioni.
Venne improvvisamente svegliata dai suoi pensieri nell'esatto momento in cui udì il suo telefono squillare. Si precipitò a rispondere, mentre Eveline continuava a giocare per conto suo con Bubi.
« Pronto? » rispose.
« E se venissi a darvi un salutino ora? »
Sorrise dolcemente ed intenerita da quella chiamata. La voce di Tom era suonata tremendamente speranzosa e vogliosa di portare a termine la sua idea.
« Tom, vai a dormire tranquillo. Tanto domani mattina porto Eveline con me, allo studio. » lo rassicurò, prendendo ad osservare nel frattempo sua figlia, ignara di quella telefonata.
« D'accordo. » lo sentì sospirare piuttosto contrariato, cosa che la fece sorridere maggiormente. « Allora ci vediamo domani. » aggiunse con un tono che lasciava intendere che volesse portare avanti quella conversazione, in qualsiasi modo.
« A domani. »
« 'Notte. »
Quando riattaccò si sentì improvvisamente più serena ed un sorriso spontaneo le si formò in volto: per la prima volta nella sua vita, si sentì completa.


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Capitolo 15
*** Fifteen. ***


15

Fifteen.



« Tom, butta il fumo fuori dalla finestra! »
Il chitarrista si limitò a ridacchiare appena, all'improvvisa esclamazione della mora. Era seduto vicino al davanzale della cucina, mentre la sua ragazza era intenta a scarabocchiare qualcosa di ignoto su un pezzo di carta, seduta al tavolo, di fronte a lui. Adorava quando cominciava a perdere le staffe a quella maniera.
« Non fare la suocera. » sorrise, dopo aver espirato il fumo al di fuori della finestra, come gli era stato ordinato.
« Poi rimane l'odore qui in cucina e mi da fastidio. » borbottò lei, continuando a calcare la penna sul foglietto. Tom la osservò qualche secondo per poi spegnere la sigaretta non ancora del tutto consunta nel posacenere. Camminò in direzione della mora, per poi appostarsi alle sue spalle. La cinse dolcemente con le braccia, da dietro, e rifugiò il mento nell'incavo del suo collo.
« Hey, che hai? » le sussurrò all'orecchio. Un semplice respiro a fior di pelle in grado di causarle pelle d'oca e tachicardia. « Sembra che tu voglia uccidere quel pezzo di carta. » continuò lui con un lieve sorriso, nonostante lei non potesse vederlo.
« Nulla. » rispose Monique. Effettivamente non vi era nulla che la turbava apparte un enorme punto interrogativo nella sua mente riguardo ciò che avrebbe potuto comprare a Tom per Natale. Sentiva che qualunque regalo gli avesse fatto non sarebbe mai stato abbastanza. Conoscendo lui, le avrebbe fatto avere qualcosa di ultra-costoso e preziosissimo, cosa che lei non avrebbe potuto permettersi, nonostante il desiderio di farlo fosse incontenibile.
« Non si direbbe. » ribattè dolcemente il chitarrista, sfiorandole una guancia con la punta del naso.
« Sono solo un po' nervosa, tutto qui. »
« Potevi dirmelo subito che sei indisposta, allora, evitavo di farmi seghe mentali. »
Quella tenera e limpida risatina da parte del ragazzo non poté non farla sorridere, dimenticando per un attimo ciò che più la turbava.
« Stronzo. » borbottò, colta in flagrante.
« Ho semplicemente imparato a convivere con il tuo scazzo durante questi simpatici periodi. » sorrise il ragazzo, per poi schioccarle un bacio sullo zigomo e tornare ad assumere una posizione eretta con la schiena. « Vado a stuzzicare un po' Jessica. » disse poi, camminando verso la porta della cucina, con l'intento di raggiungere la rossa in salotto, alle prese con Eveline. Monique scosse appena la testa con fare divertito, mentre osservava rapita l'imponente figura del suo ragazzo allontanarsi sempre più, fino a sparire.
Ed intanto un timido e mai confessato Ti amo risuonava prepotente nella sua testa.


« Non vale, stai barando! »
« No, sto solo vincendo, il che è piuttosto abituale. »
« Tu vedi le mie carte! Sei un gemello scorretto! »
« Bill, ti sei voluto sedere dalla parte opposta del tavolo, il più lontano possibile da me. Non ho ancora sviluppato i raggi ics. » Ormai il dibattito fra i due gemelli proseguiva da più di un quarto d'ora. Tom conosceva fin troppo bene le uscite di quel genere da parte del vocalist: inevitabilmente sulla via della sconfitta, aveva trovato una scusa alquanto scontata e ripetuta che vedeva il chitarrista intento a sbirciare le sue carte, pur da una distanza piuttosto determinante. « Non vuoi ammettere di essere una mezza calzetta con le carte e ti inventi delle palle. » continuò Tom, dopo aver sbuffato appena.
« Io non sono una mezza calzetta! Basta, mi sono stufato. » detto ciò, Bill gettò le sue ultime carte sul tavolo e si stravaccò sulla propria sedia, a braccia conserte ed un broncio infantile ad ornargli il viso.
« Quando fai così mi chiedo da quale cacchio di utero sei uscito. » commentò il chitarrista, osservandolo attentamente, subito dopo aver raggruppato tutte le carte per metterle a posto. Trascorsero qualche minuto in silenzio, entrambi altamente scocciati, decisi a fissare due punti indefiniti della cucina ed attenti a non incrociare i propri sguardi. « Mezza calzetta. » ribadì Tom, rompendo il silenzio. Bill si alzò di scatto dalla sedia ed aprì violentemente il cassetto di fronte a lui, recuperandone un grosso mestolo.
« D'accordo, fatti sotto! » esclamò puntandolo contro il fratello, il quale scoppiò inevitabilmente a ridere.
« Bill, non abbiamo più cinque anni. Posa quel mestolo. » gli intimò divertito.
« Va bene, sulla tua testa però. » continuò il vocalist senza abbassare quell'arma pericolosa.
« Non mi costringere a prendere lo scolapasta. »
« Bill, perchè stai puntando un mestolo in faccia a tuo fratello? » Tom e Bill si voltarono di scatto in direzione della porta della cucina, dove sostava un Gustav decisamente perplesso. « Devo chiamare le forze dell'ordine o l'ambulanza? » domandò nuovamente il biondino, mentre si avvicinava ai due. Nello stesso istante entrò in cucina Georg.
« Che mi sono perso? » si informò del tutto tranquillo ed un po' spelacchiato, segno che si era appena svegliato da un lungo sonnellino pomeridiano.
« La solita battaglia all'ultima stoviglia, niente di che. » rispose Gustav, mentre strappava dalle mani di Bill il mestolo, per riporlo nel cassetto.
« Non vuole accettare che io vinca sempre a carte. » sospirò con fare teatrale il chitarrista, aggiungendo un'alzata di spalle con disinvoltura.
« Oh beh, questo sì che è un buon motivo per tirare fuori le armi. » commentò con cupo sarcasmo il batterista. Bill, con un eloquente “Vaffanculo”, si congedò per raggiungere a grandi passi il salotto adiacente alla cucina.
« Io l'ho sempre detto che ha bisogno di scopare. » disse Tom con tono esperto.
« Comincio seriamente a pensare che tu abbia ragione e la cosa mi preoccupa alquanto. » si aggiunse Georg, sedendosi al tavolo, di fronte al chitarrista, mentre Gustav poggiava il bacino al bancone, intento ad osservarli a braccia conserte. « Fai un'opera di bene per il tuo fratellino; fagli trovare una bella pollastrella in camera da letto, non fare l'egoista. Tu sei appagato almeno, ci dai dentro con Monique! » Tom restò in silenzio e si voltò ad osservare il giardino fuori dalla finestra. Sentiva che qualcosa di altamente imbarazzante l'avrebbe umiliato per secoli. Percepì forte e chiaro gli occhi di entrambi i suoi amici addosso a sé e si rifiutò di ricambiare i loro sguardi. « Tom? » lo richiamò Georg, sospettoso. E sentì che la fine era vicina. « Perchè non dici niente? Nessuna battutina come tuo solito? » Tutta quella curiosità lo infastidiva. Odiava quella sua perspicacia. « Non mi dirai che... »
« Oh, insomma, Georg! Smettila di guardarmi con quegli occhi da pesce lesso! No, non ci sono ancora andato a letto, va bene?! È tanto strana come cosa?! » sbottò il chitarrista, divenuto bordeaux per la vergogna. Poteva dire addio alla sua credibilità in quanto mostro assetato di sesso.
« Ma qui l'ambulanza serve davvero! » esclamò Georg, dopo essere scoppiato a ridere con noncuranza. « Dov'è finita la tua virilità, SexGott? » continuò a prenderlo in giro e Tom percepì un istinto omicida prendere il sopravvento.
« Se continui, ti sgonfio ogni singolo muscolo che ti ritrovi, compreso quello che tieni nelle mutande. » lo minacciò il moro, al che Georg si ricompose.
« No, dai, scusa... Non volevo prenderti in giro. È che mi sembra così assurdo da parte tua, che dopo un mese non hai ancora buttato Monique sul letto... » cercò di rimediare il bassista.
« Perchè è assurdo? In molte coppie è una cosa normale non farlo subito. » giunse in aiuto Gustav.
« Sì, ma se c'è una vergine di mezzo. »
« Ma che vuol dire? Magari Tom non vuole affrettare le cose e le vuole prima dare altre dimostrazioni, o sbaglio? »
Quando Gustav si voltò in direzione di Tom, attendendo una risposta, quest'ultimo abbassò lo sguardo.
« Più o meno... » borbottò.
« Tom, perchè fai tanto il misterioso? Non avrai mica problemi di erezione? » chiese preoccupato Georg.
« Che?! Ma sei impazzito?! Io, problemi di erezione?! » esclamò Tom scandalizzato ed incredulo a tale ipotesi. « Non ho problemi di questo tipo. Il punto è che... Sì, è un po' come dice Gustav, riguardo il fatto che le voglio dare soprattutto altre dimostrazioni; ma avrei aspettato decisamente meno. »
« E qual'è il problema? Non ti vuole lei? » domandò il bassista accigliato.
« Ma certo che mi vuole, almeno spero. Semplicemente non riusciamo mai a trovare l'occasione adatta. » sospirò rilassandosi sulla sedia e passando continuamente un dito sul tavolo, con fare rassegnato. « A volte ho provato a farle capire qualcosa, ma lei si è sempre rifiutata a causa di Eveline. Effettivamente non possiamo metterci a fare sesso con la bambina in casa. Tra l'altro, non sa neanche che stiamo insieme. » si prese una piccola pausa e poi continuò. « Io giuro che sto resistendo e sto anche facendo fatica perchè credo di non aver mai desiderato nessun'altra ragazza come desidero lei ora. Però non posso nemmeno trattenere i miei istinti, quando ce l'ho vicina. »
« Parlagliene chiaramente. » suggerì Georg.
« No, mi sembra troppo squallido dirle apertamente tutto questo. E poi – non provate a prendermi in giro – vorrei che sia anche un po'... Speciale tutto quanto. Non voglio darle l'idea di essere un animale bisognoso di sesso, anche perchè in questo momento non è così. Ho solo voglia di lei, punto. »
Entrambi i ragazzi guardarono il loro amico con espressione sognante. Non potevano credere alle loro orecchie.
« Il piccolo Tom si sta innamorando. » disse Gustav con un sorriso ebete in volto.


Era incredibile con quanta velocità il Natale si stesse avvicinando.
Monique non era mai stata una grande amante di quella festività, eppure sentiva che quell'anno avrebbe portato un qualcosa di diverso e decisamente più sereno di come era stato qualche tempo prima. Senza dubbio, tale periodo rappresentava per lei un mix perfetto di novità del tutto inaspettate. La sua storia con Tom ne era un valido esempio.
Il fatto che dopo un mese di relazione lui non avesse ancora manifestato il minimo dubbio, la minima esitazione, era alquanto bizzarro. Monique continuava a passare fantastici momenti con lui e ciò non le sembrava possibile, dopo tutti gli screzi e le problematiche che avevano dovuto affrontare.
Si sentiva cambiata, totalmente. Affrontava ogni tipo di questione in modo diverso e più pacato e la prima cosa che notava non appena si svegliava al mattino, era il sorriso spontaneo e sincero perennemente presente sulle sue labbra.
Tom la riempiva di attenzioni; era tremendamente dolce, nonostante non avesse perso quel suo fidato senso dell'umorismo che le movimentava le giornate. Adorava farla arrabbiare, adorava farle i dispetti, adorava farla ingelosire. Ma adorava anche stringerla a sé e regalarle momenti di tenerezza che stentava a riconoscere come sua.
La mora, dal suo canto, apprezzava tutto ciò e pregava perchè quella bellissima situazione rimanesse tale.
« Che hai intenzione di regalare a treccina? »
La domanda esatta che non avrebbe voluto udire.
« Non ne ho idea. Qualunque regalo, in confronto al suo, sarebbe insulso. » borbottò la mora.
« Ti fai troppe seghe mentali, Monique. Sarà anche stupido ma non è così arido da non apprezzare un tuo qualsiasi gesto. » la incoraggiò Jessica.
« Tom non è stupido! » lo difese immediatamente la mora, piuttosto risentita da tale affermazione. La sua migliore amica, in risposta, si concesse una piccola risata.
« Sta di fatto che qualunque regalo tu gli faccia, sarà contento comunque. Ti pare che non capisca la tua situazione? È stato uno dei primi con il quale ti sei confidata qualche anno fa. »
Monique restò qualche attimo in silenzio meditando sulle sue parole. Effettivamente aveva ragione: Tom avrebbe capito perfettamente e non si sarebbe aspettato nulla da lei. Restava comunque il fatto che le dispiaceva non poter fare di più.
Sospirò appena e poi annuì, anche se poco convinta; d'altronde, altro non avrebbe potuto fare, in ogni caso.
« D'accordo. » concluse.
« Io ora vado a casa. Stasera esco con uno. » disse improvvisamente la rossa, mentre si alzava dalla sedia, come se niente fosse. Monique si rese conto di quale significato avessero quelle parole solamente qualche attimo dopo. Sollevò di scatto la testa nella sua direzione e la osservò con sguardo sorpreso, nascondendo però una lieve nota di indignazione.
« No, aspetta, frena! Che hai detto? Esci con uno? » le domandò curiosa. Notò che la rossa si guardò qualche attimo attorno, giocherellando quasi nervosamente con la maglietta che indossava.
« Sì... Uno che ho conosciuto qualche giorno fa. » borbottò appena, fin troppo misteriosa per i gusti di Monique.
« Ma chi è? Dove? E perchè non ne sapevo nulla? »
« Pensavo non fosse una cosa importante. Insomma, l'ho conosciuto così per caso ma credevo non l'avrei più rivisto, per questo non te ne ho parlato. »
« Io però ti dico sempre tutto. »
« Avevi già i tuoi pensieri con Tom e quindi... » Lasciò la frase a metà, come impacciata, guardandola di sbieco qualche attimo. Monique si sentì un po' nervosa. « Beh, io allora vado. » senza darle il tempo di rispondere, si affrettò ad uscire dalla cucina e chiudere la porta di casa in meno di cinque secondi.
Monique restò in cucina da sola, seduta al tavolo intenta a fissare il vuoto. Qualcosa non le tornava. La sua migliore amica era stata fin troppo misteriosa con lei e la cosa non le piaceva affatto; senza contare tutta quella fretta nell'abbandonare casa sua, come a non volersi sottoporre ad ulteriori domande.
Le stava senza dubbio nascondendo qualcosa.


Camminava a qualche passo dietro il suo ragazzo, lungo quell'infinito marciapiede. La probabilità di incrociare paparazzi o fans indiscrete era sempre troppo alta per lasciarsi andare in tenere effusioni o in una semplice passeggiata, mano nella mano. Monique non era turbata per questo; capiva perfettamente quale fosse la situazione per il chitarrista e a quali rischi non potesse andare in contro.
Tom aveva deciso di mantenere la loro relazione segreta, agli occhi dei media; un po' per rispetto verso di lei e un po' per salvaguardare la sicurezza di Eveline. Non voleva venisse esposta; il mondo dello spettacolo aveva i suoi pro e i suoi contro ed il fatto che non fosse del tutto positivo per una bimba di quasi due anni era più che certo.
Avevano deciso di uscire e dare un'occhiata a negozietti di vario tipo. Così, giusto per allontanarsi un po' da casa, dove passavano la maggior parte del loro tempo. Monique ne aveva approfittato per farsi venire qualche idea riguardo il regalo di Natale per Tom.
Quando si affrontava il discorso “regali”, veniva sempre travolta dall'ansia. Era una debolezza che l'aveva sempre colpita sin da quando era più piccola. Non riusciva a viversi con tranquillità e spensieratezza quel punto. Era dannatamene insicura e dava per scontato che ogni suo regalo sarebbe stato insulso. Questo perchè si metteva sempre in paragone con gli altri.
Ad un tratto notò Tom, davanti a sé, indicare appena un negozio di vestiti, così aspettò che lui fosse entrato per fare anche lei la stessa cosa. Fortuna volle che al suo interno non vi fosse ombra di ragazzine, ma solamente di qualche donna di mezza età, assieme al proprio marito, le quali non avrebbero dato di certo problemi. Monique ne approfittò per avvicinarsi finalmente al ragazzo.
« Tutto tranquillo. » disse rincuorata. Il chitarrista le sorrise annuendo, per poi intrecciare il mignolo al suo e trascinarsela dietro. « C'è un po' di tutto, qui. » constatò la mora, guardandosi attorno. Era molto grande, come negozio, e si domandò per quale losco motivo non vi fosse mai entrata prima di allora. « Uuuh, i jeans che piacciono a me! » esclamò ad un certo punto, affrettandosi a raggiungere ciò che aveva adocchiato da lontano. Tom la seguì ridacchiando, divertito da quel suo entusiasmo.
« Ti piacciono? » le domandò.
« Da morire. » rispose Monique sognante, per poi dar loro le spalle.
« Provateli. » la richiamò il chitarrista.
« Nah. »
« Perchè? »
« Lo sai perchè. »
« Te li prendo io, che problema c'è? »
« Assolutamente no. »
Detto questo, Monique riprese a camminare in un'altra direzione, sperando che il ragazzo si arrendesse. Odiava dover affrontare quel discorso con lui perchè sapeva che avrebbe insistito, come sempre, per aiutarla economicamente. Ma lei non voleva gravare su di lui, nonostante sapesse perfettamente che non l'avrebbe di certo mandato in rovina. Eppure anche lei aveva una propria dignità ed un proprio orgoglio da rispettare ed il fatto che a tutto dovesse pensare lui le faceva male. Fino ad allora se l'era sempre cavata da sola, in qualche modo, con il proprio stipendio ed avrebbe continuato a quella maniera. Se l'era promesso.
« Sei una testona. » le disse Tom, una volta che l'ebbe raggiunta. Monique, dal suo canto, sorrise e si allungò verso di lui per stampargli un bacio sulle labbra.
« Sai che Jessica si vede con uno? » esortò improvvisamente, decisa a cambiare discorso, mentre continuavano a camminare, guardandosi attorno.
« Davvero? Con chi? » si informò Tom, incuriosito.
« Non me l'ha detto. Ma mi è sembrata strana. Insomma, lei solitamente mi dice tutto. Mi è dispiaciuto saperlo così. »
« Non te la prendere. Magari le è passato di mente. »
« Ti posso assicurare che non le passa mai nulla di mente, quando mi deve dire qualcosa. »
« E secondo te perchè non te l'ha detto? »
« Non lo so, è questo il punto; me lo chiedo anch'io. Non voglio che ci siano segreti tra di noi. »
Sentì il braccio di Tom avvolgerle le spalle e le sue labbra lambirle la tempia.
« Stai tranquilla. » la rassicurò. « Hey, guarda questo vestitino! » esclamò successivamente, indicando un piccolo capo rosa, da bambina. « Vorrei comprare qualcosa ad Eveline per Natale. » le confidò un po' intimidito.
« Ma, Tom, non devi. » gli sorrise Monique.
« Sei impazzita, per caso? » la guardò con occhi sgranati. « Pensi che possa piacerle? » le domandò poi.
« Beh, sai... Ha quasi due anni. Che le piacciano dei vestiti è relativo, dato che la vesto a mio gusto e lei non dice nulla. Penso sia ancora un po' presto perchè lei esprima già dei giudizi sul vestiario. Quindi direi che questo vestito vada comunque bene. » Osservò intenerita il ragazzo rigirarsi tra le mani quel piccolo indumento, con sguardo pensieroso, come se si stesse immaginando ciò che reggeva addosso ad Eveline. Lo stomaco di Monique si contrasse appena, nel momento in cui uno strano pensiero le passò per la testa. « Sai, ti vedrei bene a fare il papino. Sei tenero. » confessò, sentendo le guance prenderle fuoco.
Tom si voltò nella sua direzione con un lieve sorriso sul volto.
« Beh... Potrei esercitarmi per un futuro ipotetico. »
Monique non fece in tempo a chiedergli cosa intendesse dire, che il ragazzo era già sparito, in direzione del bancone, dove avrebbe pagato il vestitino per la piccola.
Si sentì ancora più accaldata e le venne spontaneo sorridere nel vuoto.
Un futuro ipotetico.
Loro due.
Una famiglia.

L'idea le piaceva.


Sospirò appena mentre poggiava stancamente la nuca sull'appoggiatesta del sedile dell'auto. Tom, affianco a lei, guidava tenendo d'occhio la strada di fronte a sé e probabilmente navigando con i pensieri nel suo mondo.
Anche lei, dal suo canto, era pensierosa. Come aveva immaginato, non era riuscita a trovare nulla che le potesse andare a genio come regalo per il suo ragazzo. Si sentiva altamente suscettibile e l'ansia cresceva sempre di più: Natale sarebbe arrivato di lì a tre giorni. E, per essere più precisi, la Vigilia di lì a due.
La mano di Tom sulla sua gamba la riportò alla realtà, facendola voltare nella sua direzione.
« Pensierosa? » le sorrise, scrutandola qualche secondo.
« Io no... Tu? » sorrise di rimando.
« No. » Restarono qualche attimo in silenzio e poi scoppiarono a ridere all'unisono, consci tutti e due di aver mentito. « Io pensavo a quanto strana è tutta questa situazione. » ammise Tom. Monique sorrise appena ed intrecciò le dita con quelle del chitarrista, ancora sulla sua gamba.
« Non farmi mai soffrire, Kaulitz. Potrei non risollevarmi più. » disse la mora, osservando le loro mani unite. Tutto ciò le donava un piacevole calore allo stomaco.
« Modo implicito per dirmi che tieni a me? » le domandò lui, osservandola di sbieco. Monique non rispose, ma continuò a sorridere, così Tom si voltò nuovamente verso la strada.
« Non farmi mai soffrire, Schmitz. »


Non appena varcarono la soglia dello studio di registrazione, furono travolti da risate cristalline ed un rumore di piedi in corsa. Monique e Tom si scambiarono un'occhiata perplessa e, subito dopo, scorsero Bill correre lungo il corridoio – imitando con la bocca il rumore di un treno – con Eveline sulle spalle, intenta a ridere a crepapelle. La ragazza non aveva mai visto sua figlia divertirsi a quella maniera e la cosa non poté fare altro che riempirla di gioia.
« Vedo che mio fratello ha finalmente trovato la sua vera vocazione. » commentò sarcastico il chitarrista, ricevendo in risposta un ceffone scherzoso sullo stomaco, da parte di Monique.
« Oh, ciao, ragazzi! Non vi avevo visti! » esclamò Bill, camminando nella loro direzione, con Eveline sempre sulle spalle.
« Già, eri troppo occupato ad allagare il pavimento con i tuoi sputi, a furia di riprodurre i rumori delle rotaie. » lo prese in giro il chitarrista, battendogli una mano sulla spalla. Intanto Monique aveva preso in braccio sua figlia, la quale l'aveva stretta forte al collo, ancora scossa dalle risate.
« Ti sei divertita con Bill, oggi? » le domandò sorridente.
« Tì! » risposte entusiasta la piccola.
« Bravo, zio Bill! » si complimentò quindi la mora, rivoltasi al diretto interessato. Improvvisamente videro arrivare Georg, mentre si aggiustava il colletto della camicia. « E tu? Dove vai così elegante? » sorrise Monique, piuttosto sorpresa.
« Esco. » rispose enigmatico.
« Anche tu? Tutti che escono, stasera! » commentò con sarcasmo la ragazza, alludendo a Jessica. Il bassista, dopo un “ciao” frettoloso e generico, uscì dallo studio di registrazione. Monique si scambiò un'occhiata con i gemelli. « Qui la gente sta impazzendo. »


« Quindi la Vigilia assieme... E il pranzo di Natale con i genitori. »
Monique annuì alle parole del chitarrista, seduto sul divano, affianco a lei. Da qualche minuto stavano discutendo sulla questione del Natale; in particolare con chi l'avrebbero passato, arrivando quindi alla conclusione di stare assieme durante la Vigilia e poi separarsi ed andare dalle rispettive famiglie per il pranzo del venticinque.
« Tai connoi? » intervenne la piccola Eveline, seduta per terra, intenta a giocare con la sua giraffa.
« Sì, piccola. Starò con voi durante la Vigilia. » le sorrise il ragazzo, suscitando così esultanza da parte della bambina. La morettina infatti battè ripetutamente le manine con un enorme sorriso stampato sul volto.
Tom rabbrividì non appena sentì la mano calda di Monique sfiorare la sua. Quando si voltò nella sua direzione, notò che gli stava sorridendo, così intrecciò le proprie dita alle sue per carezzargliele dolcemente e tornò ad osservare sua figlia.
« Sai, Eve, io e Tom dovremmo dirti una cosa. » esortò improvvisamente la ragazza. Il chitarrista si girò di scatto verso di lei, con occhi semi-sgranati. Che avesse intenzione di parlare di loro due alla piccola? Eveline alzò la testa verso la sua mamma ed attese curiosa. « Vedi... Io e Tom ci siamo resi conto di volerci bene e... Per questo motivo lo vedrai molto spesso qui a casa. » continuò, sorridente.
Tom era semplicemente esterrefatto. Tante volte aveva combattuto con Monique affinché lei si decidesse a parlare della loro situazione ad Eveline, ma lei si era sempre rifiutata, poiché riteneva fosse troppo presto per dirle una cosa del genere. Riteneva sua figlia non fosse ancora pronta e che la loro relazione non fosse così stabile e duratura da poter fare un'ammissione di tale importanza. Questo aveva sempre un po' offeso Tom che, nonostante capisse il suo ragionamento, non riusciva a trovarvisi in pieno accordo.
« La cotella! » esclamò Eveline, sgranando gli occhi, contenta.
Monique e Tom si scambiarono un'occhiata incuriosita e poi tornarono a guardarla.
« La coccinella? » le domandò la madre.
« Ho chietto di fal tale Tom qui connoi! »


« Cot'è? » chiese con vocina indifesa ed ancora incrinata dal precedente pianto.
« E' un animaletto che ti porta tanta fortuna, se ti si posa addosso. » le spiegò dolcemente Tom, prendendo ad asciugarle con un dito le lacrime dal viso.
Monique sentiva una morsa allo stomaco. Ma era piacevole, era un qualcosa di delicato, che le trasmetteva serenità.
« Davvelo? » domandò ulteriormente Eveline, sollevando i suoi occhioni azzurri ed ancora acquosi su di lui.
« Sì. Puoi chiederle quello che vuoi. Però in silenzio, così che ti possa sentire solo lei. »
« E lei fa succedele quello che chiedo? »
« Spesso sì, soprattutto se trova bambini buoni. »
« Io tono buona! »
« Certo che lo sei. »
« Allola via, che devo pallale colla cotella! »


A quel tenero ricordo, Monique sorrise dolcemente. Non avrebbe mai immaginato che sua figlia volesse talmente bene a Tom da esprimere un desiderio simile. La cosa, oltre che piacevole, era anche preoccupante, nel caso remoto che la loro storia fosse finita. Eppure cercò di pensare solamente al lato positivo di tutta quella faccenda. Per lo meno la sua bambina era felice della sua felicità, e ciò contava in modo assoluto.
Al suo fianco, vide Tom con un sorriso perso. Sembrava avesse ricevuto il dono più bello, presente su quella terra. Non lo aveva mai visto così.
Il chitarrista, cercando di ingoiare il groppone che dopo tanti anni gli si era formato nuovamente in gola, allungò le braccia in direzione di Eveline, invitandola ad avvicinarsi. La piccola non vi pensò due volte e si alzò dal pavimento, allungando le sue di rimando per far sì che il ragazzo la afferrasse delicatamente da sotto le ascelle. Se la pose sulle proprie gambe e la strinse a sé, schioccandole poi un bacio sulla tempia.
« Tu sei una bambina speciale. » le sussurrò all'orecchio con voce calda.
E la lacrima che da tanto minacciava di cadere, scivolò lungo la guancia di Monique.


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Capitolo 16
*** Sixteen. ***


16

Sixteen.



È stata una pessima idea, pessimissima idea.
Da minuti interminabili ormai, il suo unico pensiero era quello. Non che le dispiacesse avere Tom accanto a lei per tutta la notte ma, a mente lucida, si era resa conto di aver forse affrettato troppo le cose.
Pochi giorni erano passati dalla pseudo confessione riguardo la loro fresca storia ad Eveline e credeva non fossero abbastanza per passare direttamente a quella fase.
La proposta era nata in modo del tutto spontaneo, non premeditato, ed il chitarrista non aveva fatto altro che annuire sorpreso ma al contempo compiaciuto. Accoccolati sul divano, tra una carezza e l'altra, sembravano intenti a guardare la televisione in silenzio, fino a che quella domanda non era uscita dalle labbra di Monique, quasi contro il suo volere.
Il problema era che Tom la faceva sentire bene in qualsiasi momento e in qualsiasi cosa facesse, così tanto da farle perdere la cognizione di tutto ciò che aveva attorno. Così era successo anche quella sera, mentre Eveline era già nella sua cameretta a dormire, ignara di ciò che al di fuori di quella stanzetta stava accadendo.
Monique aveva cominciato a pensare che quella era stata una pessima idea nel momento in cui si erano incamminati verso la sua camera da letto; poi le sue preoccupazioni avevano preso forma più consistente non appena il chitarrista aveva cominciato a spogliarsi per infilarsi sotto le coperte del letto matrimoniale.
Si sentiva stranamente inquieta. Aveva paura che quell'improvvisa novità avrebbe turbato in qualche modo gli equilibri di Eveline, nonostante a lei piacesse Tom. Ma come l'avrebbe presa nel vederlo lì, nel letto con la mamma? Stavano accelerando tutto quanto? Di colpo la situazione le era sfuggita di mano, senza mezze misure.
Tom, dal suo canto, pareva piuttosto tranquillo, il che era abbastanza normale da parte di un ragazzo.
Monique non seppe dire con esattezza quale fosse la cosa che più la sconcertava e le metteva una forte agitazione addosso: il fatto che Eveline avrebbe scoperto la presenza di Tom nel letto della sua mamma o che Tom era seminudo, sotto le sue coperte, ad attenderla.
Ammettere di avere una grande voglia di lui era riduttivo. Essere consapevole di aver resistito per tutti quei mesi e che ancora non avrebbero potuto concludere nulla nemmeno quella sera era a dir poco straziante. Tutta quell'attesa stava diventando una vera e propria tortura per lei, il che non le capitava da un po'.
Da quando era nata Eveline il sesso era passato seriamente agli ultimi posti della sua personale classifica di importanza e ciò non l'aveva mai turbata. Da quando aveva dato inizio alla sua relazione con Tom però, quella mancanza aveva ricominciato a farsi sentire. Non per il sesso in sé, ma semplicemente perchè voleva sentirsi nuovamente di qualcuno e stavolta in modo sincero; ma più di ogni altra cosa, voleva lui. Lui e basta. Essere amata da lui. Così tanto che la sua vicinanza quasi le faceva male.
« Eve dorme? » le domandò improvvisamente proprio il protagonista dei suoi pensieri più intimi e poco casti. Quest'ultimo era sdraiato sotto le coperte, a pancia in su, intento ad osservare la sua fidanzata restare in completino da notte. Monique lo stava maledicendo mentalmente, poiché i pettorali scoperti persino dalle lenzuola stavano diventando una vera e propria minaccia per il suo autocontrollo.
« Sì, l'ho messa nel suo lettino. » rispose, avvicinandosi al letto per scostare appena le coperte. « A proposito di questo... » aggiunse una volta coricatasi accanto a lui. « Mi chiedevo... Non è che stiamo correndo un po' troppo? Insomma, le abbiamo detto tutto da poco e non vorrei che questo fatto che tu ti fermi a dormire qui la turbi. » ammise, osservandolo attentamente negli occhi. Il chitarrista sospirò appena.
« Ascoltami, Moni... Eve ha quasi due anni. Non è ancora in grado di capire fino in fondo cosa voglia dire per due persone stare insieme. Come tu hai cercato di spiegarle la nostra situazione nel miglior modo possibile, lei penserà semplicemente che io sono un tuo amico, che qualche volta si fermerà a dormire con te, proprio come fa Jessica. Non può ancora rendersi conto di cosa può voler dire dormire con un'amica e dormire con un ragazzo. Per questo, secondo me, devi stare tranquilla. » le spiegò con tono pacato. Monique abbassò lo sguardo sul materasso, riflettendo qualche attimo sulle sue parole. Probabilmente aveva ragione, ma la paura, per una mamma, era più che giustificata.
« D'accordo. » si arrese. Tom allungò le braccia verso di lei per avvicinarsela al petto e stringerla a sé con dolcezza.
« Stai tranquilla; nessuno turberà la serenità di tua figlia. Noi per ultimi. » le sussurrò all'orecchio, per poi carezzarle una tempia con le labbra morbide e calde. Monique si accoccolò meglio contro il suo petto nudo, inspirandone l'odore, e chiuse gli occhi. Le carezze del chitarrista sulla sua schiena la stavano cullando beatamente e poco mancava perchè spiccasse il volo verso il mondo dei sogni. Ma non poteva concludere quella sera a quella maniera: aveva tremendamente voglia di affetto e coccole ed avere Tom lì affianco a lei era una buona scusa per riempirsene.
Sollevò lo sguardo nella sua direzione e si beò del suo sorriso, fino a che non posò le proprie labbra su quelle morbide di lui. Sembrava strano a dirsi, ma le mancavano i suoi baci; quando erano in compagnia di Eveline, cercavano di limitarsi il più possibile con quei gesti in qualche modo più intimi, per rispetto della bambina, nonostante conoscesse la situazione. Ma anche per una questione di imbarazzo, soprattutto da parte di Monique. Sua figlia non l'aveva mai vista in quegli atteggiamenti e dover far finta di nulla, di punto in bianco, proprio non le riusciva.
Posò una mano sulla guancia liscia del ragazzo ed approfondì quel bacio tanto agognato. Le braccia del chitarrista si erano intanto chiuse attorno al suo corpo, fino a schiacciarla al materasso con il suo. I cornrows le solleticavano il collo in ogni minimo movimento e le venne spontaneo sorridere. Brividi incontenibili presero a diradarsi lungo la sua pelle nel momento in cui la bocca di Tom cominciò a saggiare il suo collo, e la sua gola prese a rilasciare lievi ansimi, del tutto incontrollabili. Aveva tremendamente voglia di lui ma non potevano spingersi così in là, con Eveline nella stanza affianco.
Sentì improvvisamente le mani di Tom insinuarsi al di sotto della sua cannottierina, per carezzarle dolcemente il ventre bollente, ed una pressione del tutto nuova contro la sua gamba.
« No! » esclamò quasi spaventata, per poi agitarsi sotto il suo corpo, con l'intento di allontanarsi da lui. Tom si spostò velocemente da lei, permettendole di sedersi sul materasso, contro lo schienale del letto. La osservò qualche attimo in silenzio, con espressione cupa in volto. Monique, dal suo canto, si sentiva in imbarazzo per quella sua improvvisa reazione e non si era ancora permessa di guardarlo negli occhi. Continuava a tenere lo sguardo fisso sulle lenzuola ed avrebbe continuato a fare così fino a che lui non avesse detto qualcosa. Qualunque cosa.
« Comincio a pensare che tu non mi voglia. » commentò il chitarrista, fissando il vuoto al suo fianco. Monique si voltò di scatto nella sua direzione, con occhi sgranati.
« Sei impazzito, per caso? » esclamò, portandolo a guardarla nuovamente negli occhi. « Che diavolo ti salta in testa? »
« Dico solo quello che vedo, Monique. Continui a respingermi. Te l'ho detto, e mi sembra di avertelo anche dimostrato, non voglio metterti fretta ed accetto ogni tua singola condizione. Ma ogni volta che tento di avvicinarmi a te, ti tiri indietro come avessi paura o ti facessi schifo. » ribattè Tom, cercando di mantenere un tono di voce ragionevolmente basso.
« Tom, non è affatto così! Come può venirti un'idea del genere in testa? »
« Comincio a pensare a qualunque cosa, Monique. »
« No, ti sbagli! Te l'ho spiegato il motivo; è per Eve! »
« E io ti ho detto che avrei rispettato la tua decisione ma... Cristo santo, è di là che dorme! Pensi che se ne accorgerebbe? »
« Tom, è capitato altre volte che si sia svegliata nel sonno e sia venuta a cercarmi nel mio letto! Non voglio rischiare, per la miseria! »
« Quando mi hai chiesto di dormire con te, pensavo avessi cambiato idea. »
« Quando ti ho chiesto di dormire con me era per il semplice gusto di averti vicino, brutto stupido! »
Detto questo, Monique si alzò bruscamente dal letto ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta con violenza. Percepiva un gran magone in gola. Si sentiva ridicola e stupida: lei voleva Tom con tutta se stessa ma si comportava come se si trattasse del contrario, incapace di spiegargli con esattezza cosa la turbasse.
Entrò in cucina e si sedette sulla sedia, poggiando poi i gomiti sul tavolo davanti a sé e reggendosi la testa fra le mani. Sapeva che presto quelle dannate lacrime sarebbero sgorgate di nuovo dai suoi occhi.
Ciò che le faceva più male era sapere che Tom credeva di non essere accettato da lei; cosa del tutto assurda, di cui nemmeno riusciva a capacitarsi. Come poteva non volerlo? Solo una pazza l'avrebbe respinto per altri motivi!
Il suo corpo continuò ad essere scosso da singhiozzi silenziosi; ormai il sonno le era passato definitivamente e non avrebbe mai avuto il coraggio di tornare in camera e sdraiarsi accanto a Tom, come se niente fosse mai accaduto.
Si passò disperatamente le mani sul viso, fino a che non percepì un lieve tocco sulle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi che le braccia del chitarrista la avvolsero protettive, come sempre. La bocca del ragazzo si posò delicata sulla sua tempia, per poi cedere il posto alla guancia.
« Scusami. » sussurrò dispiaciuto, mentre con un dito le asciugava le lacrime ancora sul volto. « Sono stato uno stronzo privo di tatto. Volevo non metterti fretta e dimostrarti che potevo benissimo aspettare e ti ho mostrato tutto il contrario, senza volerlo. Mi dispiace. » continuò con la bocca poggiata sulla sua pelle, il che le procurava piacevoli brividi lungo la colonna vertebrale. « Io sul serio non voglio metterti fretta. Non so cosa mi sia preso. Anzi, a dire il vero lo so... » A quella timida confessione, Monique non poté fare a meno di sorridere. « Ma non voglio che pensi male di me. »
La mora si voltò nella sua direzione e, senza dire una parola, lo strinse forte a sé, sospirando quasi con fatica.
« Tu pensi che tutto questo sia difficile solo per te. » mormorò al suo orecchio, mentre i suoi occhi restavano chiusi. « Ti prego, non pensare mai più che io non ti voglia. » aggiunse, divenendo bordeaux sulle gote; cosa che lui, fortunatamente, non poté notare. Lo sentì piuttosto sorridere sulla sua pelle e stringerla maggiormente.
« Andiamo a dormire. » le disse con estrema dolcezza.


«Scusami, Monique, ma... Ha ragione. »
Le mancava solamente quell'ulteriore informazione da parte della sua migliore amica ed aveva definitivamente finito di vivere. Si sentiva già sufficientemente in colpa per ciò che era successo la sera precedente con Tom ed il fatto che Jessica si divertisse a sottolineare quanto giuste potessero essere le parole del chitarrista le faceva ancora più male, facendola sentire ancora più ridicola e stupida.
« Grazie. » borbottò in risposta, continuando a camminare lungo quell'infinito negozio di alimentari.
« Non è per darti contro; e poi, lo sai che difficilmente do ragione a treccina ed il fatto che io lo stia facendo ora, mi costa metà della mia dignità. » chiarì pazientemente la rossa, beccandosi in risposta un'occhiataccia da parte di Monique. « Ad ogni modo, era normale che arrivasse a scoppiare; è stato anche fin troppo bravo in tutto questo tempo. Non ne trovi in giro di ragazzi in grado di aspettare così tanto per avere un rapporto. Considerando che proprio lui, il vecchio Playboy, ci sia riuscito con te, sentiti piuttosto lusingata. »
Monique sbuffò, continuando a guardarsi attorno.
Quelle parole erano dannatamente veritiere ma continuare a girare il coltello nella piaga a quella maniera le sembrava del tutto impertinente.
« Potresti cercare di non farmi sentire ancora più in colpa, per favore? » commentò sull'orlo di una crisi di nervi.
« Ti dico solo la verità. Se il tuo problema è Eveline, presto fatto: fammela tenere una sera e voi dateci finalmente dentro. » concluse con diplomazia la rossa. Monique per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, prendendo successivamente a tossire, rossa in faccia. « Perchè ti scandalizzi tanto? Io l'avrei già fatto molto tempo fa, fossi stata in te. » continuò Jessica, come se nulla fosse.
« Non hai una figlia, non puoi capire. »
« Da quando essere madre significa astenersi dal sesso? »
« Da quando hai una bambina in casa che vuoi far crescere senza traumi infantili. »
« Non la devi tenere nel letto con voi. E poi ci sono tantissimi modi e posti per farlo, Eveline non se ne accorgerebbe mai. »
« Ma è comunque imbarazzante! Non potrei mai farlo con Tom e pensare nel frattempo che ho una figlia nella stanza affianco, che potrebbe avere bisogno di me da un momento all'altro! »
Jessica si sbattè una mano sul viso, sfigurandosi per qualche secondo, e poi sospirò prossima al limite.
« Avanti, quando hai intenzione di stare da sola con Tom? Dimmelo e io prendo Eveline per farla dormire a casa mia. » parlò con fare pratico. Monique arrossì ulteriormente e riprese a camminare, dandole le spalle.
« A questo punto, dopo Natale, che tanto è fra tre giorni. » si arrese.


« E' già la terza, Tom. » commentò improvvisamente Georg, scrutando con attenzione con quale ingordigia il chitarrista stesse bevendo l'ennesima lattina di birra.
« Lo so. » borbottò il moro, prima di riporre la sua valvola di sfogo sul tavolo. « Dovrò pur ricoprire certe mancanze con delle alternative. » aggiunse, come fosse un qualcosa di fin troppo ovvio.
« La birra sarebbe un'alternativa al sesso? » domandò con sarcasmo il bassista, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
« Precisamente. » annuì Tom, per poi riportarsi alla bocca la lattina.
« Però... Devo dire che si equivalgono. » continuò a prenderlo in giro Georg, senza preoccuparsi delle fulminate che gli occhi del chitarrista gli lanciavano. « Perchè non ti dedichi ad un po' di sano “Fai da te”? » gli propose successivamente. Per poco Tom non si strozzò con la birra.
« Primo: sarebbe irrispettoso nei confronti di Monique. Secondo: sarebbe incredibilmente umiliante per me; possibile che tu non te ne renda conto? »
« Allora continua ad affogare i tuoi dispiaceri nella birra. Il tuo stomaco, un domani, ti ringrazierà. »
« Ti ringrazieranno anche i tuoi attributi se non la smetti immediatamente. »
« Perchè, per una volta, non vi parlate con dolcezza, voi due? » irruppe in cucina Bill, con sguardo annoiato, ponendo quindi fine a quel “botta e risposta”. « Georg, leva le chiappe, devo parlare con mio fratello da solo. » si rivolse poi al bassista, con fare pratico. Quest'ultimo, dopo aver sbuffato pesantemente, si alzò dalla sedia e si dileguò al di fuori della cucina. Il vocalist prese il suo posto al tavolo, sotto lo sguardo perplesso di Tom, e lo scrutò attentamente in volto.
« Tom, a che punto sei con il regalo di Monique? » gli domandò, senza troppi giri di parole, proprio come temeva il chitarrista. Il moro, infatti, abbassò lo sguardo, rosso in volto, e borbottò poche parole sconnesse ed incomprensibili. « Come, scusa? » gli chiese nuovamente Bill, nonostante avesse intuito cosa stesse cercando di dire: era quella la ragione che l'aveva spinto a porgli quella domanda; proprio perchè conosceva troppo bene suo fratello.
« Non le ho ancora preso niente. » ammise, con sguardo costantemente basso. Bill annuì come attendesse con sicurezza quella timida risposta.
« Proprio come pensavo. » commentò con fare esperto, il che irritò particolarmente il chitarrista.
« Taci, tu. Non provare a farmi la ramanzina. » lo ammonì in fretta, sapendo che non sarebbe servito a nulla.
« Sai che la Vigilia è domani? »
« Sì che lo so. »
« E sai anche che queste lattine di birra non ti faranno trovare un regalo già incartato dietro la porta di casa, da dare a Monique? »
« La tua ironia fa schifo. »
« La tua disorganizzazione ancora di più. »
Tom sospirò con fatica e si passò le mani sulla faccia; sembrava sull'orlo della disperazione.
Aveva pensato al regalo per Monique; eccome se ci aveva pensato. Ma lui era un uomo, o meglio un ragazzo, e di regali se ne intendeva come un africano poteva intendersi di cultura giapponese: era un qualcosa di completamente estraneo a lui, ancora di più perchè non era mai stato fidanzato seriamente con una persona.
« Bill, lo sai che non sono pratico di queste cose. » mormorò, sconfitto.
« Oh, lo so benissimo, è per questo che adesso tu molli quelle birre, ti prepari e vieni con me al centro commerciale. » rispose il vocalist, per poi alzarsi nuovamente dalla sedia.
« Al centro commerciale? Ma sei impazzito? È pieno di ragazzine urlanti! » esclamò basito il chitarrista.
« Ci portiamo dietro Tobi. Muoviti e non fare storie, ti sto salvando da una colossale figura di merda. » concluse il vocalist, mentre usciva dalla cucina, senza degnare suo fratello di ulteriore attenzione.


Il centro commerciale, quel giorno, non era particolarmente affollato. Monique odiava dover camminare in mezzo a tanta gente e quella visione fu per lei un sollievo. Jessica, accanto a lei, si guardava attorno, alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto fare al caso del chitarrista. Alla fine, l'aveva convinta a passare una giornata assieme a lei, a fare compere, con l'intento di trovare finalmente un regalo di Natale per il suo fidanzato. Eveline sedeva sul passeggino, mentre giocherellava distrattamente con la sua giraffa di peluche.
Per lei, Monique aveva già risolto: un bambolotto e delle scarpette. Sarebbe stata sicuramente contenta di ricevere quei regali, accompagnati al vestitino che Tom le aveva comprato e che si era portato allo studio di registrazione, per incartarlo nel miglior modo possibile, anche se con qualche difficoltà. Monique si era anche offerta di farlo al posto suo, ma il ragazzo aveva puntato i piedi e con fermo orgoglio aveva rifiutato.
Tipico dei Kaulitz, pensò con un lieve sorriso sul volto.
« Allora, ti stai facendo venire in mente qualche idea? » le chiese improvvisamente Jessica.
« No, sto andando sempre più in palla. » borbottò Monique.
« Non ti concentri. » la rimproverò quindi la rossa.
« Anche mi concentrassi, non troverei nulla. »
« Sei una scansafatiche. »
« Non insultare a gratis! »
« E tu allora comincia a spremerti le meningi per questo benedetto regalo! Non usciamo di qui finchè non abbiamo finito! »


« Bill, smettila di insultarmi! Sto pensando! » si lamentò il chitarrista, al passo con suo fratello, in mezzo a quell'enorme centro commerciale. Tobi al seguito.
« Sei in grado di pensare un po' più velocemente? E magari produrre anche qualcosa di utile con quella tua testaccia? » ribattè Bill, del tutto scocciato. Non voleva agitare Tom più del dovuto, ma avrebbero festeggiato tutti insieme la Vigilia il giorno seguente e non ci sarebbe stato più tempo per le compere.
« Bill, sei un martello pneumatico! » esclamò per l'ennesima volta proprio il chitarrista. Si sentiva già estremamente incapace e fuori tempo massimo per quel tipo di impegno ed avere qualcuno affianco a ricordargli quanto fosse idiota ogni tre secondi era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento. « Oddio, c'è Monique! » esclamò poi, sentendo il proprio cuore fargli un balzo in gola, spezzandogli il fiato.
« Cosa? Ma che dici? » domandò Bill esterrefatto, guardandosi attorno.
« Bill, cazzo, abbassati! » Lo afferrò per la magli e se lo trascinò con sé in ginocchio, dietro a delle giacche in pelle.


« Oddio, ho visto Bill! » Monique corse velocemente dietro un pilastro in muratura che quel negozio ospitava nel proprio centro. Jessica, con qualche difficoltà per via del passeggino con Eveline a bordo, la raggiunse frettolosamente. « Era con Tom! » aggiunse la mora, agitata. « Mi aveva detto che doveva stare tutto il giorno allo studio di registrazione! » obiettò successivamente. Non le piaceva l'idea che Tom le dicesse delle bugie, anche se, effettivamente, nemmeno lei gli aveva raccontato tutta la verità.
« Non cercare il pelo nell'uovo; anche tu gli hai detto che saresti rimasta a casa, a dormire. » le ricordò immediatamente Jessica, come la voce della sua coscienza. Odiava ammetterlo, ma aveva ragione.
« Sta di fatto che non deve trovarmi qui. Cerchiamo di andarcene. » sussurrò la mora, con decisione. La rossa sollevò gli occhi al soffitto, sconfitta ormai da tanta assurdità.
« Mamy, cota fattamo? » domandò all'improvviso la piccola Eveline, decisamente annoiata da quella strana situazione. Aveva passato abbastanza tempo a giocare con il suo pupazzo, da sola, in un mondo fantasioso, frutto della sua immaginazione infantile, ma era giunto il momento in cui la noia e la monotonia avevano preso il sopravvento.
« Ora usciamo da questo negozio. Ma tu mi devi fare un favore: finchè non siamo fuori, non parlare, okay? » parlò fin troppo velocemente Monique, senza pensare che una bambina di due anni non avrebbe mai capito quale fosse la motivazione. Proprio per questo, Eveline gonfiò le guance, incupendosi in un simpatico broncio che la rendeva, per assurdo, ancora più carina e dolce.
« La mamma sta impazzendo, piccola, devi capirla. » sospirò, con fare teatrale, Jessica, ricevendo in risposta una vigorosa sberla sul collo da parte della diretta interessata.


« Tom, questa è la cosa più umiliante che tu mi abbia mai chiesto di fare in ventidue anni! »
Le lamentele di Bill continuavano a fungere da sottofondo a quella situazione già di per sé imbarazzante ed in un certo senso comica. Ricordando un esercizio del servizio militare, i gemelli erano intenti a pulire il pavimento del negozio con i propri vestiti. Tom era deciso a non farsi scorgere da Monique – la quale era momentaneamente scomparsa dietro ad un pilastro assieme a Jessica ed Eveline – e, seguito da suo fratello, avanzava carponi nella direzione opposta di quella della sua ragazza, ancora nascosto dietro degli indumenti appesi.
« Smettila di lamentarti e collabora! » esclamò, piuttosto scocciato da tanta riluttanza da parte di suo fratello.
« La commessa ci sta guardando come fossimo cavie da laboratorio e credo che stia seriamente pensando di chiamare l'ambulanza per la nostra discutibile sanità mentale. »
« Rendile lo spettacolo più piacevole abbassandoti i pantaloni, così, se siamo fortunati, chiamerà anche la polizia. »
« Non sei divertente. » Continuarono ad avanzare, senza mai omettere qualche offesa reciproca di tanto in tanto. « Comunque, non la vedo più. » esortò all'improvviso Bill, dopo qualche minuto. Tom si guardò incuriosito attorno, senza dare troppo nell'occhio, e con incredibile sollievo si rese conto che suo fratello aveva ragione: di Monique non vi era più nemmeno l'ombra.
« Bene, possiamo continuare le ricerche. » sospirò rincuorato, mentre si rimetteva in piedi per scrollarsi di dosso la polvere che aveva preso la residenza sui suoi vestiti. Il vocalist, del tutto schifato da ciò che aveva trovato sui suoi preziosi indumenti, lo imitò, stando però attendo a non sporcarsi le mani più del dovuto, con una smorfia disgustata.
« Uno di questi giorni, devo chiedere a mamma di cancellare il tuo nome dal suo testamento. » ringhiò, riprendendo a camminare dietro all'essere che rendeva la sua vita dannatamente movimentata.


Si sentiva decisamente più sollevata, ora che il chitarrista si trovava lontano da lei. Uscire da quel negozio si era rivelato decisamente arduo ma, con un po' di pazienza, vi era riuscita. Jessica, dietro di lei, non aveva fatto altro che lamentarsi su quanto imbarazzante ed assurda fosse quella situazione, mentre Eveline, ancora seduta sul passeggino, aveva mantenuto la parola data e quindi aveva taciuto fino alla fine della loro “fuga”.
« Ora però siamo di nuovo punto e a capo. » mormorò Monique, con un lieve sospiro rassegnato. Le pareva l'impresa più difficile e quasi impossibile del secolo; era solo un regalo di Natale... Un semplicissimo regalo. Non avrebbe implicato nulla, soprattutto con Tom, il quale sarebbe stato contento sempre e comunque di ogni suo gesto, questo lo sapeva. Ed il fatto che non fosse ancora riuscita a trovare una soluzione a tale dilemma la faceva sentire ancora più stupida.
Camminò ancora per qualche metro, fino a che la sua attenzione non fu catturata da una particolare vetrina. I suoi occhi si illuminarono e le sue labbra si schiusero appena, in un'espressione di totale sorpresa ed adorazione.
« L'ho trovato. »


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Capitolo 17
*** Seventeen. ***


ciao

Seventeen.



Cambiò per la settima volta posizione del cuscino rosso sul divano. Il pavimento l'aveva spazzato tre volte e cinque volte aveva spolverato i mobili. Non che le importasse particolarmente arrivare a specchiarsi sul legno scuro dell'arredamento, ma non le capitava tutti i giorni di avere ospiti a casa sua, apparte l'onnipresente Jessica, che ormai non faceva più testo. Era come se una parte di lei volesse ancora fare colpo su di loro, sui Tokio Hotel, ma quella volta nei panni della fidanzata del loro amico.
Sapevano ogni cosa di lei; conoscevano il suo carattere, il suo modo di vestire, la sua casa, le sue ansie, i suoi difetti... Ma forse, come ragazza di Tom, ancora non la conoscevano bene. Sentiva di dover ricominciare da capo, di dare loro un'ulteriore nuova impressione perchè, quella volta, era per una ragione molto più importante.
Era la Viglia di Natale ed il suo cuore batteva ad un ritmo regolare ma accelerato; tutti quanti avrebbero festeggiato assieme a lei, nella sua umile dimora, e ciò la fece sentire un po' più importante ed apprezzata. Passare quella serata anche con Tom significava rendere ancora più ufficiale, per quanto fosse possibile, il loro rapporto e l'emozione, probabilmente, derivava da quel costante pensiero.
Nascose il pacchetto per il suo fidanzato nell'armadio, con l'intenzione di non farlo uscire di lì fino al fatidico momento dell'arrivo di “Babbo Natale”. Non voleva rendere l'infanzia di Eveline diversa da quella degli altri bambini o semplicemente della sua: fino ai sei, sette anni aveva sempre creduto nell'esistenza di Babbo Natale e per tanto non voleva privare sua figlia di quell'immaginazione così pura ed innocente.
Si era già messa d'accordo con Tom: Jessica avrebbe portato Eveline in bagno, con una scusa, e lei ed il chitarrista avrebbero tirato fuori i regali per la bambina, posizionandoli sotto l'albero. Solo in quell'esatto istante Monique avrebbe aggiunto quello per Tom.
Si passò le mani leggermente umide sui jeans, quando finalmente sentì suonare il campanello. Sorrise in modo del tutto spontaneo e, dopo aver preso un bel respiro, andò ad aprire la porta.
« Auguri! » esclamarono i Tokio Hotel in coro. Monique non fece in tempo a rispondere che la travolsero di baci ed abbracci; poteva percepire fragranze diverse di profumi da uomo farsi sempre più forti e gradevoli con la loro vicinanza. Quando finalmente i ragazzi entrarono, Tom le si avvicinò con un dolce sorriso, per poi stamparle un bacio sulle labbra.
« Auguri. » sussurrò. « Ho qui i regali per Eveline. » le disse successivamente, mostrandole i sacchetti.
« Vieni. »
Monique lo fece entrare e chiuse la porta, per poi correre in camera sua, con lui al seguito. Aprì l'anta dell'armadio, dove Tom non avrebbe trovato il suo regalo, e lo invitò a posarci le buste.
« Eveline? » le chiese poi, voltatosi nella sua direzione.
« In giro con Jessica; adesso arrivano. » sorrise la mora, mentre il chitarrista la stringeva delicatamente a sé, per immergere il proprio viso fra i suoi capelli.
« Sei... Bella. » le sussurrò all'orecchio, quasi con imbarazzo. Il cuore di Monique fece una capovolta; ancora non era abituata a ricevere complimenti da lui.
Lui era fondamentalmente timido, nonostante cercasse di marcare continuamente il suo carattere forte e sicuro di sé, e per quella ragione non si perdeva spesso in commenti o discorsi troppo melensi: ormai aveva imparato a conoscerlo ed a leggerlo nel profondo del suo animo attraverso gli occhi nocciola che tanto la rapivano, ed il fatto che di tanto in tanto riusciva anche a strapparlo da quelle sue abitudini la lusingava particolarmente.
« Ho addosso dei semplici jeans ed una semplice maglietta. » disse Monique, con la voce ovattata, poiché aveva il viso schiacciato contro il suo petto.
« Non devi vestirti come una sgualdrina per essere bella; lo sei comunque. » ribattè Tom, cercando di mantenere un tono privo di imbarazzo per ciò che con tanta fatica stava dicendo. Monique si limitò ad arrossire, senza rispondergli, ed a schioccargli un veloce bacio sul collo, prima di staccarsi definitivamente da lui e raggiungere assieme il salotto, dove gli altri li attendevano, seduti sul divano e sulle poltrone.
« David ha raggiunto la sua famiglia? » domandò Monique, mentre si sedeva in braccio a Tom, sul divano. Affianco a loro, Bill li osservava con un dolce sorriso sul volto.
« Sì, è partito stamattina. Ci ha detto di salutarti, ma penso che ti chiamerà domani, per farti gli auguri. » rispose Gustav, comodamente seduto su una poltrona, mentre Georg occupava la seconda, di fronte a lui.
« Voi a che ora partite, domani mattina? » chiese nuovamente la mora, sta volta a Tom e Bill. I due si scambiarono un'occhiata e poi tornarono a guardarla.
« Quando parti tu. » le rispose Tom, mentre con una mano le carezzava distrattamente un fianco. Monique, dal suo canto, cercava di comportarsi in modo disinvolto, ma non poteva nascondere di adorare quelle dolci attenzioni.
« Ti fermi qui? » gli domandò.
« Se vuoi, sì. »
« Certo che voglio. »
Proprio in quel momento, il campanello trillò. Monique si alzò velocemente dalle gambe del chitarrista e corse ad aprire a sua figlia ed alla sua migliore amica. « Ciao, piccina! Ti sei divertita in giro con zia Jessica? » esclamò la mora, prendendo in braccio la bambina per stringerla e riempirla di baci. Eveline sorrise entusiasta ed annuì con energia. Alle spalle di Monique, si era nel frattempo avvicinato Tom.
« Ciao, piccola. » salutò la morettina, arruffandole appena i capelli con una mano. Eveline rispose con un semplice e timido sorriso.


« Hai cucinato tu, sul serio? » domandò Bill, con la bocca piena, intento a masticare tutto ciò che di prelibato Monique aveva preparato quella sera.
« Certo; non ci credi? » rispose la mora, fiera.
« Complimenti, Monique, è buonissimo tutto quanto. » intervenne Gustav.
Erano tutti seduti a tavola, intenti a mangiare e chiacchierare animatamente. Monique adorava quel tipo di atmosfera ed era ciò che più desiderava per sua figlia. Crescere in quell'ambiente le avrebbe fatto bene; oltre ad essere pazze, erano soprattutto brave persone.
« La mamy cutina bene. » intervenne Eveline, mentre veniva imboccata da sua mamma.
« Sì, amore. » sorrise dolcemente Bill, decisamente intenerito da quella piccola creatura.
Quando Monique si voltò verso la sua destra, notò uno strano comportamento da parte di Jessica: non era la solita spumeggiante amica, piena di battute e vitalità; quella sera era una ragazza più timida e chiusa del solito, decisa a scrutare il proprio piatto e facendo ben attenzione a non sollevare lo sguardo troppo spesso. La mora la conosceva meglio di chiunque altro e percepiva fortemente che qualcosa non andava.
« Oh, mi sono ricordata ora di una cosa. Jessica verresti un attimo con me, di là? » esortò Monique all'improvviso. La rossa sollevò lo sguardo corrucciato su di lei ed annuì distrattamente. « Torniamo subito. » aggiunse, prima di uscire dalla cucina assieme a Jessica. Una volta giunte in bagno, chiuse la porta.
« Che devi fare? » le domandò Jessica, osservandola incuriosita.
« Parlare con te. » rispose Monique, con fermezza. « Stasera hai qualcosa che non va. »
« Non ho niente che non va. »
« Non mi raccontare delle storie, ti conosco benissimo. Sei spenta e non è da te. »
Jessica abbassò momentaneamente lo sguardo, torturandosi le mani. Sembrava stesse per ammettere una verità estremamente scottante, persino per lei.
« Io... Credo... » cominciò, per poi deglutire a fatica. Monique era sempre più impaziente di capire cosa turbasse la sua migliore amica. « Credo di essermi innamorata. »
Il silenzio che ne provenne fu quasi destabilizzante. Monique non faceva altro che fissarla, sbattendo ripetutamente le palpebre e cercando di analizzare per bene quelle parole.
Faticava a capacitarsene: Jessica si era sempre definita uno spirito libero, un po' come Tom agli inizi. Aveva sempre quasi ripudiato l'amore ed aveva sempre e fermamente ribadito che non sarebbe mai stata in grado di innamorarsi di qualcuno, poiché lei non credeva in quel sentimento così forte e totalizzante.
« Sei – sei innamorata? » ripetè Monique, osservandola con espressione incredula. Jessica, invece, non riusciva a guardarla negli occhi. Aveva le guance purpuree e, forse per la prima volta, si sentiva in completo imbarazzo.
« Non lo so. Credo. Come ci si sente, quando si è innamorati? Io non l'ho mai saputo. » rispose la rossa, con lo sguardo basso. Monique sentì una stretta al cuore: vedere la sua migliore amica così indifesa ed improvvisamente piccola le faceva uno strano effetto.
Sorridendo appena, le si avvicinò e la strinse forte a sé, cercando di infonderle quella sicurezza che aveva momentaneamente perso. La rossa sembrò rincuorata da quel gesto, così ricambiò quella stretta, cercandovi un rifugio sicuro. Monique la comprendeva: probabilmente, in quell'istante, si sentiva frastornata, insicura, forse un po' impaurita. Ma non poteva non esserne felice.
« Lo sapevo che non avevi il cuore di pietra. » sorrise la mora, carezzandole appena la schiena. Successivamente si separò dall'abbraccio e la scrutò entusiasta negli occhi. « Georg, non è vero? » le domandò comprensiva. La rossa, a quel punto, posò lo sguardo sul suo, corrugando la fronte. « Siete usciti la stessa sera, insieme, senza dire niente a nessuno. » continuò Monique, mentre Jessica la osservava sempre più stranita. « Potevi dirmelo. Che male c'è? »
« Ehm... Georg? Che c'entra Georg? » domandò la rossa, perplessa.
« Siete usciti fuori una sera, no? »
« No. »
Monique stette qualche attimo in silenzio, cercando di collegare. Era convinta che quella sera, poiché tutti e due erano usciti senza dare spiegazioni a nessuno e con atteggiamento piuttosto scaltro, si fossero visti di nascosto.
« Allora mi dev'essere sfuggito qualcosa. » ammise.
« Io credo di essermi innamorata di... » prese un bel respiro. « Di Bill. »
Per poco la mandibola di Monique non toccò il pavimento.
Jessica sia era innamorata di Bill?! Il prototipo di ragazzo che aveva sempre criticato?
« Di – di Bill?! » esclamò esterrefatta.
« Lo so, sembra assurdo anche a me. Ma, con il passare del tempo, vedendolo molto spesso, ultimamente... Non so, mi è scattato qualcosa. Hai presente quella voglia di stringerti a lui e sentirti al sicuro fra le sue braccia? » spiegò Jessica con un'innocenza del tutto nuova nei suoi occhi, al che la mora annuì appena, con un sorriso comprensivo sul volto. « Il che è piuttosto assurdo, visto il suo esile corpicino, dato che potrebbe essere il contrario. » aggiunse poi, con tono ironico. Monique si lasciò andare ad una lieve risata: non aveva tutti i torti.
« Ma lui lo sa? » le venne spontaneo domandare. Che si fosse tutto svolto sotto i suoi occhi senza che lei se ne fosse mai accorta?
« No. Ma il punto è che tutto è nato da me all'improvviso. Voglio dire, non ci siamo neanche mai parlati né sentiti, apparte “Buon giorno” e “Buonasera”, se capitava di incontrarci. Quasi non saprà che esisto, per intenderci. »
« Comincia a scambiarci qualche parola, fatti conoscere meglio. » le consigliò quindi Monique, la quale aveva decisamente capito in quale situazione si trovasse Jessica.
Lei, che non aveva mai avuto problemi con i ragazzi; lei, che non aveva mai avuto timore di far sapere al mondo intero un proprio pensiero; le, che non sapeva nemmeno cosa fosse la timidezza. Ora si trovava in difficoltà, come un pesce fuor d'acqua, come non avesse mai attraversato nulla di simile. La spiegazione era una sola: Bill era divenuto per lei un vero e proprio punto di riferimento e lo desiderava da impazzire.
« Mi mette quasi in soggezione. Lo vedo così aperto con te; con me è timido, riservato... »
« Con me è aperto perchè sono la fidanzata di suo fratello e lavoro per lui. Magari con te è timido proprio perchè anche tu gli piaci. Ti ricordi quando mi avevi detto, tempo fa, che il comportamento scontroso di Tom poteva dipendere proprio da quello? A me sembrava assurdo, ma alla fine si è rivelato tale. »
Stette ancora qualche attimo a riflettere, a meditare sulle parole sincere della sua migliore amica. Monique era positiva: Jessica era una bellissima ragazza, dal carattere meraviglioso e difficilmente passava inosservata. Non c'era motivo che potesse spingere Bill a rifiutarla, una volta conosciuta meglio.
« Non lo so. Proverò. » si arrese quindi, dopo aver tirato un lieve sospiro. La mora sorrise soddisfatta e le schioccò un bacio sulla guancia, prima di invitarla a tornare in cucina.
Al loro ingresso, trovarono Tom intento ad imboccare Eveline, la quale accettava di buon grado quelle attenzioni – cosa che fino a poco tempo prima non avrebbe assolutamente fatto.
« No, ti prego, potrei commuovermi. » disse Monique, avvicinandosi intenerita a Tom, il quale le sorrise appena, un po' rosso sulle gote. Le cedette il posto e le fece una leggera carezza sul braccio, prima di tornare a mangiare affianco a lei.
« Che hai dimenticato? » le domandò quindi, piuttosto interessato.
« Cose di donne. » rispose enigmatica. « Ma voi non partite più per concerti, interviste o cose varie? Io continuo a venire a lavorare ma non mi viene detto nulla. »
« Beh, ora siamo in vacanza, almeno fino al ventisei. Un po' di pausa concedicela, ogni tanto. » ridacchiò Bill, con espressione stremata in volto.
« Che ne so, siete sempre impegnati. » si difese Monique, divertita.
« A proposito di gente impegnata... Piccolo Georg, non devi dire qualcosa alle signorine qui presenti? » sorrise improvvisamente con malizia Bill. Monique e Jessica si scambiarono una veloce occhiata incuriosita, per poi tornare a concentrarsi sulla faccia paonazza del rosso.
Quest'ultimo si schiarì la voce, continuando ad osservare il proprio piatto, e rimase qualche secondo in silenzio, prima di dare loro il benservito.
« Ehm... Ho conosciuto una ragazza ultimamente... » cominciò, rimanendo fastidiosamente sul vago.
« Cosa?! Chi?! » esclamò Monique con occhi sgranati.
« Sembrerà assurdo; era una nostra fan. Dall'ultimo viaggio in Francia per il servizio fotografico, ci siamo sentiti sempre per telefono o per messaggio. Ogni tanto mi veniva a trovare ed io uscivo di nascosto dallo studio di registrazione per non farvi sospettare di nulla, almeno fino a che la cosa non fosse divenuta ufficiale. Beh, è divenuta ufficiale. »
Monique si voltò di scatto in direzione di Tom, il quale si tirò automaticamente indietro di qualche millimetro, come spaventato da quegli occhi sgranati che lo fissavano quasi sotto shock.
« E tu non mi hai detto niente?! » domandò esterrefatta. A quel punto, fu Tom a sgranare occhi e bocca.
« Ma non lo sapevo nemmeno io! Me l'ha detto solo ieri! » si difese, risoluto. Monique si limitò a grugnire, parzialmente soddisfatta da quella risposta.
« E come si chiama? » domandò quindi a Georg.
« Elize. » sorrise appena. « Ha vent'anni. »
« Devi farcela conoscere. »
« Non appena mi verrà di nuovo a trovare, sicuramente. »
Ora Monique capiva. Non si vedeva con Jessica ma con Elize.
« Beh, che ne dite di una partita a tombola? » propose il rosso all'improvviso.


Eveline sedeva in braccio alla sua mamma e con lo sguardo seguiva ogni singolo movimento dei componenti della tavolata. Era la prima volta che veniva a conoscenza di quello strano gioco, anche se non aveva capito più di tanto come funzionasse. Si limitava ad osservare il tutto, piuttosto incuriosita, senza dire una parola. Ogni tanto Monique la invitava a tirare giù una strana casella in una schedina rossa, ma la piccola proprio non riusciva ad afferrare a cosa servisse. D'altronde non si poteva pretendere più di tanto da una bambina di due anni.
« Settanta. » continuò a parlare Gustav, il quale rimescolava le pedine in un piccolo sacco di velluto, per poi posarlo sul suo quadro, che teneva di fronte a sé. La tavolata stava in silenzio. « Trentatré. »
« Tombola! » esclamò all'improvviso Tom, al fianco di Monique. Quest'ultima di voltò verso di lui con espressione incuriosita, mentre un sopracciglio si inarcava con sarcasmo. « Sono troppo forte. » si vantò lui, successivamente.
« Non è abilità, è culo. » lo contraddisse la sua ragazza. Il chitarrista si voltò verso di lei con un simpatico broncio sul viso.
« Sei cattiva, dovresti stare dalla mia parte. » si lamentò, fingendosi offeso.
« Oh, lo sono, ma sono anche dannatamente sincera. » sorrise lei amabilmente. Tom, in risposta, le fece una sentita linguaccia. Nel momento in cui Monique sollevò lo sguardo sull'orologio appeso al muro della cucina, si rese conto che il momento di tirare fuori i regali era giunto: era mezzanotte meno dieci. « Ehm, wow, già mezzanotte meno dieci! » esclamò, scambiandosi uno sguardo eloquente con Jessica, la quale capì subito l'antifona.
« Io vado un attimo in bagno; Eveline, vieni con la zia? » sorrise teneramente ad Eveline, dopo essersi alzata dalla sedia. La piccola, ovviamente, non le disse di no ed allungò le braccia nella sua direzione per farsi prendere in braccio. « Torniamo subito. » annunciò la rossa, per poi sparire al di là della porta.
Monique e Tom, a quel punto, si alzarono a loro volta dalle sedie e chiesero agli altri presenti di sedersi in salotto, poiché loro sarebbero tornati presto.
Non appena entrarono nella camera della ragazza, si affrettarono a recuperare dall'armadio tutto ciò che di incartato sostava lì dentro; Monique, senza che Tom lo notasse, prese anche quello per il suo ragazzo, sentendo nel frattempo un forte brivido d'agitazione lungo la schiena.
Una volta tornati in salotto, posizionarono il tutto sotto l'albero adorno. Monique, quindi, spiccò una corsa verso il bagno, cominciando poi a bussarvi delicatamente.
« Eveline! Esci subito fuori con la zia! » La porta si aprì immediatamente. « E' arrivato Babbo Natale! Vieni a vedere quanti regali ci ha lasciato sotto l'albero! »
Gli occhioni celesti di Eveline si sgranarono di sorpresa, mentre un sorriso gioioso le si dipinse in volto. Jessica, sorridendo a sua volta, camminò con la piccola in braccio, fino a raggiungere i Tokio Hotel in salotto.
« Hai visto quanti regali, Eve? Babbo Natale è un tipo simpatico. Gli abbiamo chiesto di restare un po' ma ha detto che aveva da fare e che doveva portare gli altri regali ai bambini di tutta la Germania. Pensa che fatica! » parlò Bill, suscitando divertimento in ogni presente, esclusa Eveline, la quale sembrava crederci sul serio.
Non appena Jessica la posò sul pavimento, la piccola si avvicinò quasi timorosa ai regali, con un ditino in bocca. Lo faceva spesso quando era intimidita. Proprio nel momento in cui si trovava ad una giusta distanza da quei pacchetti colorati, si voltò verso la mamma, come aspettando un gesti di assenso da parte sua.
« Hey, aprili, non mordono mica. » la incoraggiò Monique.
Eveline, a quel punto, si voltò nuovamente in direzione dei regali e provò ad aprirne uno, dopo essersi seduta per terra, per facilitarsi il compito. Cosa del tutto inutile, dato che aveva qualche difficoltà nello scartare. Così, Monique e Tom si sedettero affianco a lei e, chi con un pacchetto, chi con un altro, l'aiutarono ad aprirli tutti.
Eveline sembrava incredula a tutto ciò che le si presentava davanti agli occhi e non aveva neanche il coraggio di dire qualche cosa. Monique sapeva che era una bambina molto timida, che difficilmente si mostrava agli occhi degli altri, ma sapeva che sua figlia in quel momento era felice. Il vestitino di Tom le era piaciuto particolarmente, assieme agli altri capi da parte dei Tokio Hotel; così come i pensieri da parte di Jessica e Monique. Quest'ultima era serena nel leggere la contentezza negli occhi di sua figlia; non avrebbe potuto desiderare di meglio.
« Glatie, Babbotale. » disse la piccola, ancora intimidita, poiché tutti gli occhi erano ancora puntati addosso a lei. A quell'affermazione, non poterono fare altro che sentirsi tremendamente inteneriti.
« Sei contenta? » le domandò la mamma. Eveline, con un piccolo sorriso, annuì appena; ciò voleva dire che era a dir poco entusiasta. « Bene, allora riferiremo a Babbo Natale. Ora, piccina, è arrivato il momento per te di andare a nanna. Sei stata anche fino troppo in piedi. » Eveline, a quell'affermazione, gonfiò le guance, come suo solito, con espressione contrariata. « Dai, saluta tutti. »
Eveline schioccò un timido bacio sulla guancia di ognuno, ricevendolo in cambio assieme ad un “Buon Natale”. Non appena arrivò il turno di Tom, la piccola lo afferrò dolcemente per la maglia.
« Acche tu di là. » disse semplicemente e nel petto di Tom cominciò a smuoversi qualcosa che lo rese momentaneamente il ragazzo più felice del mondo.
Venire così apprezzato, ma soprattutto essere anche cercato dalla figlia della propria ragazza era un qualcosa di unico, di troppo bello per sembrare reale. Aveva sempre avuto paura di dover fare i conti con un muro troppo più alto di lui, ma così non era stato. Anzi, il tutto viaggiava nella sua stessa direzione.
Il chitarrista quindi, con un sorriso sereno in volto, si sollevò dal pavimento per poi seguire la sua fidanzata, con Eveline in braccio, fino alla stanzetta della bambina.
Monique cercava di reprimere un urlo di gioia, poiché si sentiva pienamente soddisfatta e completa. Cosa c'era di meglio in ciò che stava vivendo in quel momento? A volte aveva una sorta di timore, poiché sembrava realmente troppo bello per essere vero. Come se la vera batosta fosse lì dietro l'angolo, pronta a colpirla quando meno se lo sarebbe aspettata. Mai la sua vita era andata così bene, fino a quel momento.
Insieme, rimboccarono le coperte ad Eveline, proprio come una vera famiglia, il che fece loro uno strano ma piacevole effetto. Le schioccarono un bacio sulla guancia e poi la lasciarono riposare, chiudendosi la porta alle spalle.
Prima di tornare in salotto, Tom afferrò Monique e se la strinse forte al petto, respirando intensamente il suo profumo.
« Non hai idea della gioia che mi date entrambe. » le sussurrò all'orecchio. Monique, toccata nel profondo, si strinse maggiormente a lui, per poi posare le labbra sulle sue.
Era lui che non aveva idea del contrario. Da quando si erano messi insieme, non si sentiva più persa.
« Lo sai che devi ancora aprire il mio regalo? » gli sorrise a pochi millimetri dalle labbra.
« E tu lo sai che devi ancora aprire il mio? » le domandò, di rimando.


« Monique, hai ufficialmente firmato la nostra condanna. »
Quell'affermazione così sconsola arrivò da parte di Georg nel momento in cui Bill scoprì cosa gli avesse regalato la mora: un set completo di trucchi, accompagnato da prodotti per i capelli. I Tokio Hotel sapevano che Bill, non l'avrebbe fermato più nessuno. Avrebbe passato delle ore davanti allo specchio, molte di più di quelle che già spendeva giornalmente, costringendo gli altri ragazzi ad andare a fare la pipì in giardino, ogni mattina.
« Beh, mi è sembrata la cosa più azzeccata, non appena l'ho vista. » si giustificò Monique, piuttosto divertita.
« Sappi che mi trasferisco da te. » borbottò Tom. Non che questo alla mora dispiacesse.
« Non li ascoltare, Monique, non capiscono nulla. Mi piacciono davvero tanto. Ora mi sbizzarrisco! » esclamò un Bill decisamente entusiasta. Si sporse in direzione della mora e le schioccò un sonoro bacio sulla guancia. « Grazie, cognatina! »
Tom, affianco a Monique, prese a tossire, probabilmente strozzatosi con la sua stessa saliva.
« Bill, c'è tempo per il matrimonio. Stiamo calmi. » fiatò, un po' in difficoltà, con le lacrime agli occhi per il troppo tossire. Tutti quanti ridacchiarono, compresa Monique. Non voleva neanche sentir nominare la parola 'matrimonio'.
« Dai, Monique, apri il mio regalo ora. » la esortò il vocalist divertito, mentre le passava un pacchetto color rosso fuoco. Monique, incuriosita, prese a scartalo, fino a che non ne tirò fuori un indumento alquanto bizzarro. Per lo meno, per lei.
« Ma... Bill! » esclamò Tom, indignato.
Monique sventolava con una mano il provocante completo intimo in pizzo nero, trasparente, del quale un pezzo avrebbe dovuto dividerle a metà le natiche. Le venne spontaneo scoppiare a ridere.
« Questo è più per Tom che per me, ammettilo. » sorrise divertita, continuando ad osservare quel simpatico completino.
« Beh, non nego di aver pensato a Tom, quando l'ho preso. Potresti farlo felice in certi momentini. » ammise con malizia.
Tom, affianco a Monique, grugnì appena.
« Allora te lo devi mettere solo per quei determinati momentini con me, non per andare in giro. » concluse irremovibile.
Monique doveva ammettere che tutte quelle attenzioni e quei momenti di gelosia non le dispiacevano. Sembrava strano, ma era un buon metodo per constatare quanto tenesse a lei. Non che ne dubitasse, ma sentirsi così speciale – ancora di più – di tanto in tanto era una mano santa per il suo orgoglio femminile.
« Sì, signore. » lo prese in giro, fingendosi rassegnata.
A quel punto, venne il momento dei regali di Gustav e Georg. Gustav le aveva comprato uno splendido set di trucchi di ogni tipo, mentre Georg le aveva comprato un profumo buonissimo 'Dior'. Jessica le aveva preso invece un paio di orecchini pendenti in oro bianco.
Gustav aveva ricevuto una maglia dei Metallica da parte di Georg, una cintura – accompagnata da un'intera scatola di preservativi – da parte di Tom, due nuove bacchette per la batteria da parte di Bill ed una felpa grigia con il cappuccio da parte di Monique. A Georg era spettato un paio di pantaloncini da Bill, una piastra nuova da parte di Gustav, un DVD da parte di Tom ed una maglietta da parte di Monique. Quest'ultima aveva regalato a Jessica una collana della Morellato.
A quel punto, venne il turno di Tom, il quale ricevette un paio di scarpe da Bill, una felpa da Gustav e dei boxer neri da Georg.
Il cuore di Monique, nel frattempo, aveva cominciato a martellarle forte nel petto. Era giunto il momento di porgli il suo regalo. Aveva una paura incontenibile, forse anche inspiegabile. Temeva che non gli sarebbe piaciuto o non ne aveva idea. Il punto era che non riusciva a non pensare a qualcosa di catastrofico; ancora di più non appena lo vide afferrare il suo pacchetto.
Tom non faceva altro che sorriderle, come a volerla tranquillizzare, poiché leggeva nei suoi occhi l'ansia. Ormai la conosceva e sapeva perfettamente quanto fosse insicura.
Prese a scartare incuriosito, mentre la mora si torturava le mani e pregava perchè gli potesse piacere ciò che gli aveva comprato. Quando tirò fuori dalla carta la scatoletta trattenne il respiro. Il viso di Tom era contratto in un'espressione incuriosita e serena.
Poi aprì la scatoletta.
A Monique venne spontaneo chiudere per un attimo gli occhi, per poi riaprirli appena e controllare la sua reazione.
Il ragazzo restò come basito per un momento e poi gli venne spontaneo ridacchiare appena. Monique venne trafitta da un pugnale. Perchè quella reazione? Faceva così tanto ridere? Tutte le sue paure si erano dimostrate fondate e si sentì tremendamente stupida.
Non riuscì a dire nulla, semplicemente lo osservò tirare fuori il bracciale dal cordino nero, con un pezzo in metallo nel centro. Avrebbe dovuto dirgli che il suo regalo non era finito lì, che doveva voltare il pezzo in metallo perchè vi era incisa una parola al suo interno, ma le passò la voglia. Voleva correre via. Sapeva che come scelta era stata avventata.
« Mi piace tantissimo, piccola, grazie. » le sorrise, mentre continuava a rigirarsi quel bracciale fra le dita. Monique, a quel punto, si sentì offesa.
« Non c'è bisogno che fingi, Tom. » sputò acidamente. Il chitarrista corrugò la fronte. « Puoi semplicemente dirmelo che ti sembra una cosa esagerata e ridicola. »
« Esagerata e ridicola? Ma che dici? » domandò lui non capendo cosa volesse dire.
« Ti sei messo a ridere non appena l'hai visto! » esclamò a quel punto Monique con le lacrime agli occhi. Ecco che l'ansia accumulata la stava facendo esplodere. I presenti si scambiarono delle occhiate tese.
« Ma, piccola, non mi sono messo a ridere per questo regalo. » Le sorrise rassicurante. « Vuoi sapere perchè mi sono messo a ridere? » le domandò successivamente, per poi voltarsi in direzione dell'albero e recuperare il suo pacchetto. « Apri. » le disse, porgendoglielo.
Monique esitò qualche istante, poi, asciugatasi una lacrima che le era sfuggita al controllo, fece come le aveva detto. Nel frattempo Tom le si era fatto più vicino e la aveva stretta a sé da dietro. Monique completò l'operazione e quando aprì la scatoletta rimase di stucco.
Ora si vergognava ancor più di prima.
Tra le mani teneva lo stesso braccialetto che gli aveva regalato. Quello stesso braccialetto che l'aveva fatta dannare per tutti quei giorni, poiché non era convinta potesse andargli a genio.
Avevano avuto lo stesso pensiero.
« Se siamo arrivati a farci lo stesso regalo, ci sarà una spiegazione, no? » le sussurrò all'orecchio Tom, sempre alle sue spalle, per poi darle un leggero bacio sul collo.
I Tokio Hotel e Jessica, rincuorati, sorrisero, mettendo da parte la tensione solo Bill era a conoscenza del motivo per cui suo fratello si era messo a ridere alla vista del regalo di Monique, poiché si trovava con lui al momento dell'acquisto di quel gioiello. « Il mio però dovesti girarlo. » continuò con voce dolce.
Monique fece come le aveva detto e notò che all'interno del bracciale vi era incisa una parola.


Mine


Non appena la lesse, un brivido le attraversò la schiena. Era straordinariamente bello sentirsi finalmente di qualcuno.
Si voltò verso di lui o, con un lieve sorriso, gli diede un bacio sulle labbra.
« Grazie. » sussurrò. « Ora però gira il mio. »
Tom aggrottò le sopracciglia incuriosito e fece come gli aveva detto. Sul retro dell'acciaio, anche lei vi aveva fatto incidere una parola.


Home


« Perchè con te mi sento finalmente a casa... Al sicuro. »


I Tokio Hotel, tranne Tom, e Jessica se n'erano andati già da un bel pezzo, lasciando il chitarrista e Monique a casa da soli. Eveline era nel suo lettino, ormai nel mondo dei sogni da un po', mentre i due ragazzi, per niente assonnati, si trovavano seduti al tavolo della cucina, intenti a chiacchierare.
« Caspita, non lo avrei mai detto. » commentò Tom, piuttosto sorpreso. Monique gli aveva raccontato ciò che Jessica le aveva confessato in bagno, quella sera.
« Già, nemmeno io. Tu pensi che a Bill possa interessare? » gli domandò poi, speranzosa.
« Beh, non lo so. Lui non mi ha mai parlato di lei, ma non è detto. Possono conoscersi meglio. Bill non è un tipo facile; lui è uno che crede nel colpo di fulmine, ma tutto può essere. Io penso che Jessica gli possa piacere. Per molte cosa si assomigliano. »
« Sì, lo credo anch'io. »
« Comunque, piccola, io ti dovevo far leggere una cosa, prima. » Detto questo, Tom tornò in salotto per recuperare la lettera e gliela portò in cucina. « Solo che vorrei la leggessi da sola perchè mi vergogno, quindi me ne vado in camera e ti aspetto nel letto. »
Monique poteva notare il rossore sulle sue gote, cose che la intenerì parecchio, fino a che il chitarrista – dopo averle schioccato un veloce bacio sulla bocca – non sparì oltre la porta.
A Monique tremavano le mani. Non aveva mai ricevuto una lettera in vita sua, soprattutto da un ragazzo. L'aveva sempre trovata una cosa molto romantica ed era dannatamente curiosa di sapere cosa le avesse scritto Tom.
La aprì e, dopo aver preso un bel respiro, iniziò a leggere.


Dunque, come saprai, non sono per niente bravo in queste cose, ma farò lo stesso un piccolo sforzo perchè ne sento il bisogno. Probabilmente sai cosa penso di te ma preferisco dirtelo, poiché voglio essere sicuro che tu ne sia convinta.
Non è cominciata bene fra noi... Per niente. Ma forse era necessario che accadesse tutto ciò che abbiamo passato. Io non voglio ricordare tutto con malinconia. Voglio anche pensare che una nota positiva ce l'abbia.
Insomma, siamo arrivati fino a qui, giusto? Vuol dire che effettivamente qualcosa di positivo c'è stato. Avrei potuto farti soffrire un po' meno, questo sì – anzi, hai fatto bene a ripagarmi con la stessa moneta, quando ho capito di essere stato un coglione – ma ora siamo più forti e più uniti di prima.
Sai, piccola, ti parrà strano e forse sarà la solita frase scontata, ma sei riuscita a farmi aprire gli occhi. Ho capito che non si vive di solo sesso e sgualdrine perchè poi la tua vita rimane vuota, poiché non hai nessuno per cui stare al mondo; non hai nessuno che ti faccia sentire... Amato? Posso usare quest'espressione?
Prima io conoscevo solamente l'affetto di mio fratello e di mia madre, ma avevo anche bisogno di quello di qualcosa che non c'entrasse nulla con la mia famiglia. Questo non lo avevo mai capito, fino a che non provato questa sensazione straordinaria, non appena hai fatto irruzione nella nostra vita. Io ringrazierò per sempre David, per questo.
Nel caso non lo avessi ancora capito, io tengo tantissimo a te; altrimenti non avrei fatto tutto questo casino nei mesi precedenti. Voglio anche ricordarti che sono un ragazzo di ventidue anni e tu hai una figlia. Se non fosse stato abbastanza forte il mio sentimento per te, ti posso assicurare che, per come sono fatto io, me la sarei data a gambe.
Invece ho deciso di mettere da parte il timore perchè per me tu sei più importante.
Non nego di avere un po' di paura. Ritrovarmi con una bambina, nonostante non sia mia, mi mette un po' d'ansia; ma ormai lo sai che mi sono affezionato tantissimo ad Eve, dalla prima volta che l'ho vista, e se dovessi arrivare al punto di non vederla più... Penso che ne soffrirei.
Tu mi affascini, in ogni cosa che fai. Mi affascini al mattino, appena sveglia, con gli occhi gonfi ed i capelli in disordine; mi affascini quando sei in cucina a preparare da mangiare e litighi con i fornelli; mi affascini quando urli al telefono con il commercialista; mi affascini quando sei intrattabile perchè sei indisposta e hai mal di pancia; mi affascini quando dormi o il modo in ti addormenti aggrappandoti a me a koala; mi affascina il tuo modo di essere mamma.
Sei meravigliosa in ogni cosa che fai e sono sincero. Anche se mi fai arrabbiare, dopo poco passa tutto perchè riesci sempre e comunque a mettere in primo piano i tuoi pregi.
Mi hai fregato, Schmitz.
Sì, sono un uomo perso. Ma, indovina un po'? Ne sono felice, perchè con te non potrei chiedere di meglio.
Non ti dirò le solite frasi sdolcinate e melense tipo “staremo insieme per sempre” o “sei la mia vita”.
Voglio solo che tu sappia che io, per te e tua figlia, ci sono e non ho nessuna intenzione di scappare; e se tu volessi farmi lo stesso favore, ne sarei contento.
Visto? Sono l'anti-romanticismo in persona, ma spero che io ti piaccia anche un po' per questo e che ciò che ti o detto, se l'hai afferrato al di là della forma, ti abbia fatto piacere.
Ora vieni a darmi un bel bacio e ad accoccolarti a me a koala, così ti faccio i grattini che ti piacciono tanto.

L'irresistibile Tom.


Monique si trovò a sorridere, decisamente colpita da quelle parole. Non sapeva che dire; Tom l'aveva lasciata senza fiato e l'aveva sorpresa ancora una volta. Con poche e semplici parole era riuscito a farla sentire speciale, amata, protetta.
Si alzò velocemente dalla sedia e corse in camera sua. Tom era sdraiato, sotto le coperte, con la testa poggiata ai due cuscinoni, posati uno sopa l'altro, intento a giocherellare con un cornrow.
Si scambiarono un'occhiata fugace ma lui non fece in tempo a dire nulla che Monique aveva già preso la rincorsa fino a buttarsi addosso a lui, stringendosi come una gattino. Gli baciò ripetutamente il collo, mentre Tom sorrideva abbracciandola ed accarezzandole la schiena.
« Certo che ci sono anche io per te. E no, non ho intenzione di scappare. » sussurrò.
Tom la strinse maggiormente a sé, mentre la ragazza gli circondava il corpo anche con le gambe, nella sua posizione “a koala”, come diceva lui. I corpi bruciavano a contatto, ma non si separarono; stettero così per tutta la note, mentre la fioca luce della Luna faceva brillare i loro bracciali identici.

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Capitolo 18
*** Eighteen. ***


18

Eighteen.




Un dolce profumo.
Quel profumo che riconosceresti anche ad un miglio di distanza. Quel profumo che rappresenta per te una figura speciale; un componente della famiglia. Un profumo che ti fa sentire al sicuro.
Monique, quella mattina, si era svegliata col sorriso, poiché proprio quel tipo di profumo le era giunto alle narici in modo delicato.
La pelle di Tom aveva un odore piacevole, particolare.
Aveva ancora gli occhi chiusi ma percepiva, sotto il suo viso, i muscoli rilassati del suo ragazzo e la sua pelle nuda. Non si spiegava come anche d'inverno soffrisse il caldo e si intestardisse nel dormire in boxer. Al contrario, lei soffriva molto il freddo, ma quella mattina – o meglio, tutta la notte – aveva trovato tepore fra le sue braccia.
Non ricordava da quanto tempo non provava quella piacevole sensazione; quella di svegliarsi ogni mattina e percepire accanto una presenza umana che per lei era di vitale importanza. Le permetteva di dare inizio alle sue giornata con il sorriso sulle labbra, con la spensieratezza, ed avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre.
Alzò lo sguardo in direzione del viso del chitarrista, il quale dormiva ancora, con un'espressione serena, segno della sua quiete interiore. Vederlo le causava sempre una sorta di subbuglio allo stomaco; le così dette “farfalle”. Era così indifeso, quando dormiva, così dolce e sereno che avrebbe passato delle intere ore ad osservarlo in silenzio.
Purtroppo però, quel giorno sarebbero dovuti partire per andare a passare il Natale dalle rispettive famiglie e l'orologio della radiosveglia segnava le nove del mattino. Avevano già dormito a sufficienza.
Con l'intento di svegliarlo il più delicatamente possibile, prese a carezzargli con la punta delle dita i suoi pettorali esposti, cercando nel frattempo di controllare i propri istinti, per troppo tempo repressi. Si avvicinò con il viso al suo e cominciò a sfiorargli il collo con le labbra, fino a che non si trattenne dal ridere.
La sua gamba, posta tra quelle di Tom, era con sorpresa venuta a contatto con un terzo incomodo. Evidentemente anche Tom, come tutti i ragazzi, aveva dei problemi al mattino con l'alzabandiera.
Soffocò una risata e cominciò a chiamarlo con voce roca.
« Hey? Tom? » Il ragazzo mugugnò qualcosa di incomprensibile, fino a che non aprì lentamente gli occhi, provando a mettere a fuoco la persona che ancora gli giaceva fra le braccia. « Buongiorno. » lo salutò sorridendo. Tom sembrò dovesse ancora capire chi lei fosse. « Tom, sono Monique, la tua fidanzata, hai presente? » lo prese in giro, piuttosto divertita.
« Sì, ho presente. » borbottò, prima di nascondere il viso tra i suoi capelli con un gran sospiro, con l'intento di rimettersi a dormire.
« Hey! Non vorrai riaddormentati? » esclamò lei, picchiettandogli appena una spalla. « Coraggio, dobbiamo partire, è tardi. E inoltre hai un bestione tra le gambe che necessita di una bella doccia fredda. »
A quell'ultima affermazione, Tom si sollevò di scatto a sedersi.
« Scusa. » mormorò in imbarazzo. Monique ridacchiò e gli si buttò addosso, facendolo sdraiare nuovamente sul materasso. Si poggiò sul suo petto, scrutandolo dall'alto, mentre lui le posava le mani sulla schiena.
« Lo sai che ti salterei addosso, Kaulitz, non ti scusare. » A quella frase sentì che la situazione sotto di lei andò a peggiorare, così, dopo un bacio sulle labbra, si sollevò dal suo corpo. « Una bella doccia fredda e passa tutto! Io vado a svegliare Eveline e a preparare la colazione. »
Era felice, di buon umore.
Trotterellò verso camera di sua figlia, dove trovò la bambina immersa nel mondo dei sogni. Per qualche strana ragione, assomigliava dannatamente a Tom quando dormiva.
Le carezzò delicatamente i capelli, fino a che anche lei non aprì gli occhi.
« Vieni, piccina, andiamo a fare colazione; dobbiamo andare dai nonni. »
La prese in braccio, mentre lei si strizzava un occhio e raggiunsero la cucina, dove Eveline fu posata sul suo seggiolone, pronta a mangiare. Monique preparò la tavola e mise a scaldare latte e caffè. Tirò fuori ogni tipo di biscotti ed attese che Tom uscisse dalla doccia e la raggiungesse. Tutto ciò non accadde troppo tempo dopo, poichè, cinque minuti più tardi, vide comparire il diretto interessato, perfettamente vestito e profumato.
« Ciao, piccina. » salutò Eveline, schioccandole un timido bacio sui capelli, per poi sedersi affianco alla mora, la quale gli carezzò appena un braccio. « Quante cose da mangiare... » commentò compiaciuto, prima di servirsi.
« Hai chiamato Bill? » gli domandò Monique.
« Sì, era già sveglio. Strano ma vero. » rispose, mentre spalmava un pò di marmellata su un biscotto. « Solitamente lo devono sempre buttare giù dal letto. »
« Lo so, lo so. »
« Allora, piccola, sei contenta di andare dai nonni? » si rivolse ad Eveline, la quale veniva imboccata dalla sua mamma.
« Tì! »esclamò la piccola, con un enorme sorriso sul volto. Quando parlava dei nonni, era la bambina più felice del mondo. I primi tempi, Monique si era sentita particolarmente gelosa, ma poi aveva accantonato quell'inspiegabile sentimento ed aveva imparato a convivere con la cosa.
« Sai che io li ho conosciuti? Sono molto bravi e simpatici. » le sorrise di nuovo. La mora apprezzava dannatamente come il ragazzo cercasse di apparire disinvolto con sua figlia.
« Nonno Fifì timido. » disse Eveline. Monique sorrise. Nonno Alfred era divenuto "nonno Fifì". Tom ridacchiò.
« Hai ragione, il nonno è molto timido, ma è anche molto dolce. »
« Vieni connoi? » gli propose successivamente Eveline. Tom e Monique si scambiarono un'occhiata intenerita.
« Mi piacerebbe tanto, piccina, ma sai, io devo andare con Bill a casa della nostra mamma e del suo fidanzato. » le rispose.
« Chi è? » domandò incuriosita la bambina.
« Si chiama Simone ed il suo fidanzato si chiama Gordon. Un giorno te li farò conoscere. »
Eveline sorrise contenta ed annuì. Monique si limitò ad osservare la scena con amore.
Dopo qualche minuto, terminarono di fare colazione e si alzarono da tavola, mentre Eveline giocherellava con un cucchiaio, ancora sul seggiolone.
« Chiamami appena arrivi. » disse Monique a Tom, dopo che il ragazzo ebbe salutato Eveline. Intanto si incamminarono in direzione della porta.
« Sì, mamma. » sorrise lui di rimando.
« Scemo, mi preoccupo solo. » borbottò quindi la mora. Tom le carezzò i capelli e le stampò un bacio sulle labbra.
« Anche tu chiamami quando arrivate e salutami i tuoi. »
Detto questo, le diede un altro bacio, aprì la porta e scese le scale del condominio.


«Ecco qui le mie bambine! »
L'urlo di gioia di Ester giunse velocemente alle orecchie di Monique ed Eveline, le quali erano appena uscite dalla macchina e stavano camminando lungo il vialetto. Monique inviò velocemente un messaggio a Tom, come gli aveva promesso, e poi sorrise a sua madre, pronta ad abbracciarla e farle gli auguri. Suo padre Alfred, come sempre, sostava sulla soglia con un sorriso più intimidito, attendendo il suo turno.
« Ti trovo bene, tesoro. » disse Ester a Monique, dopo aver dedicato alcune attenzioni ad Eveline. « Più radiosa del solito. » aggiunse soddisfatta.
« Ti devo raccontare delle cose, mamma. » sorrise Monique, con gli occhi lucidi.


« Sono arrivate. » annunciò Tom a suo fratello, seduto in macchina accanto a lui. « Mi sarebbe piaciuto portarle da mamma. » aggiunse poi, riponendo il cellulare e tornando ad occuparsi della guida.
« Già... Mamma sarebbe impazzita per Eveline. » rispose Bill, intento a scrutare il paesaggio attorno a sè, in movimento.
« Ho intenzione di dirle di Monique. »
« Vedrai che ne sarà contenta. »
« Potresti darti una mossa anche tu però. »
« Senti, Tom, io non me le vado a cercare. Credo ancora nei colpi di fulmine, purtroppo. »
« Magari hai intorno tante ragazze e tu nemmeno te ne accorgi. »
« E chi avrei? »
« Beh... C'è Jessica. »
Bill si voltò verso di lui con la fronte corrugata.
« Jessica? » chiese. Tom fece il vago e, scrollando le spalle come nulla fosse, rispose con un "Sì" disinvolto. « Beh, non ci ho mai pensato; forse perchè la vedo più come amica di mia cognata. »
Tom si agitò nuovamente, come la sera prima.
« Bill, basta con questa cosa della cognata, mi metti angoscia. »
Il vocalist si mise a ridere. Adorava stuzzicare suo fratello, nonostante la maggior parte delle volte non si rendesse conto di farlo.
« Comunque, figurati se una come Jessica guarda uno come me. » continuò Bill.
Tom si voltò verso di lui, per studiarne lo sguardo.
« Ma ti piace? » gli domandò.
« No... Cioè, non nel senso che intendi tu. Oggettivamente è una bella ragazza. Senti, ma perchè stai calcando su di lei? Sai per caso qualcosa che io non so? »
Tom sobbalzò sul posto e tornò a guardare la strada.
« Cosa? Ma va, nulla. Cosa dovrei sapere? »


Monique sedeva a tavola con la sua famiglia quasi al completo. Era dannatamente bello poter vivere quei momenti piacevolmente intimi con i suoi cari. Certo, se a quella tavolata vi fosse stato seduto anche Tom, il tutto sarebbe stato perfetto, ma non poteva pretendere tutto dalla vita, no? Ogni cosa avrebbe avuto il suo tempo e sapeva che sarebbero arrivati anche a quello.
Improvvisamente il suo cellulare vibrò, segno che le era arrivato un messaggio. Sorrise, non appena constatò che si trattava di Tom


Arrivati anche noi! Mamma è ingrassata ma è più serena del solito, mentre Gordon ha tolto un pò di pancetta. Peccato, mi divertivo a prenderlo in giro. Lì tutto bene? Sappi che Bill mi sta rompendo le scatole perchè vuole sapere a tutti i costi perchè io gli abbia parlato di Jessica. Mi sa che ho fatto uno dei miei soliti disastri. Salutami mamma è papà; bacio.


Monique sorrise scuotendo appena la testa. Era proprio un combinaguai.


Sei un caso clinico. Comunque qui tutto bene, stiamo mangiando e tra poco dirò tutto di noi due; sono un pò agitata, ma mamma e papà hanno sempre tifato per te. Anche a me salutami i tuoi e passate una buona giornata. Ci vediamo stasera... Un bacio.


Ripose il cellulare in tasca e riprese a mangiare.
« Cos'è quel sorrisino da ebete che hai da cinque minuti stampato in faccia? » domandò Ester con malizia ed un sopracciglio sollevato.
La mora sollevò lo sguardo su di lei, come caduta dal pero.
« Stavo sorridendo? » chiese. Non se n'era sinceramente accorta.
« Oh sì. È il classico sorriso che ti sbucava quando andavi al liceo e mi parlavi del ragazzino che ti piaceva. »
Monique arrossì ed abbassò lo sguardo. Sì, probabilmente aveva la stessa espressione sul volto e ne era dannatamente felice. Poter finalmente stare assieme a Tom era un qualcosa di straordinario e certamente non avrebbe mai saputo cancellare quel suo sorriso spontaneo sulle labbra.
« Beh, diciamo che dopo vi devo parlare di una cosa, proprio riguardo questo sorriso. » la accontentò e forse solo in quel momento sua madre capì.


« Tom, da quando porti i braccialetti? »
Simone, seduta a tavola con i suoi figli e suo marito, aveva posato il proprio sguardo sul polso di Tom già da un bel pezzo, studiando con attenzione il gioiello che lo circondava. Fu proprio in quel momento che cominciò a sospettare di qualche presenza femminile nell'aria. Se così fosse stato, di certo le sarebbe parso per un primo momento assurdo, vista e considerata la sua tendenza ad inseguire qualsiasi tipo di gonnella.
Tom, non appena sentì quella domanda, per poco non si strozzò con il pezzo di carne che stava tranquillamente masticando. Bill, nel frattempo, si era voltato nella sua direzione con sguardo malizioso.
« Ehm, questo... Questo... » cominciò a balbettare e Simone e Gordon sollevarono un sopracciglio. Il chitarrista deglutì pesantemente, per evitare che il cibo gli andasse di traverso e poi riprovò a parlare. « Questo... E' un regalo. » concluse impacciato. Simone si scambiò un'occhiata con suo marito e poi tornò ad osservare suo figlio.
« Strano, non hai mai voluto portarne. » commentò furbescamente.
« Beh, ma questo racchiude un preciso significato. » si intromise Bill nella conversazione. L'istinto primario di Tom fu quello di ucciderlo. 
« Ma va? » sorrise la bionda. « Dai, Tomi, parla con mamma. » lo incoraggiò, vedendolo restio dal pronunciare mezza parola.
« Ti sei fidanzato?» domandò a quel punto Gordon. Le guance di Tom si dipinsero di un rosso acceso.
« Si chiama Monique. » borbottò in imbarazzo. A quel punto, sua madre si alzò dalla sedia e fece il giro del tavolo per abbracciarlo.
« Lo sapevo, lo sapevo che non potevi essere così arido! » esclamò la donna, continuando a stringerlo a sé. Tom sorrise appena e ricambiò quell'affettuosa stretta. « Ma lei chi è? La conosco? » domandò successivamente, tornando a sedersi al suo posto.
« E' la nostra traduttrice. » rispose Bill. « L'avrai vista con noi alla televisione. »
« Mmm, purtroppo non mi ricordo di averla mai vista. Ma quanti anni ha? »
« Ha la mia stessa età. » rispose Tom. « Poi ve la farò conoscere. »
« Volentieri! E da quanto state insieme? »
« Due mesi. »
« Il mio piccolo Tom che fa progressi! »
Tom sorrise, abbassando lo sguardo sulle proprie mani riunite in grembo.
Sì, stava decisamente facendo progressi.
« Però c'è un piccolo dettaglio. » aggiunse Bill, all'insaputa di tutti. « Monique ha una figlia di due anni. »
Il silenzio cadde attorno alla tavola. Tom strinse con forza la tovaglia, senza farsi notare, reprimendo l'istinto di prendere suo fratello a botte. Certo, avrebbe dovuto dirlo lui, in ogni caso, ma l'avrebbe fatto con più delicatezza.
« Ah, beh... » balbettò Simone, scambiandosi poi uno sguardo con Gordon. « Non – non è certo un problema, giusto? » disse non del tutto convinta.
« No che non lo è. » rispose con fermezza il chitarrista. Aveva scelto di stare con lei indipendentemente dalla sua situazione familiare, semplicemente perché non gli importava. Voleva solo stare con lei e ad Eveline voleva già un bene smisurato.
« L'importante è che tu ti senta convinto della tua scelta. » intervenne Gordon con dolcezza.
« Non sono mai stato più convinto in vita mia. So che una figlia non è un giocattolo e che con il passar del tempo potrebbe vedere in me la figura del padre che le manca. Ma io voglio bene a quella bambina, mi sono molto affezionato e penso che non avrei problemi nel prendermi cura anche di lei. Una volta non avrei mai parlato così; avrei detto che non avrei mai accettato una simile situazione, poiché non ero in grado di prendermi una responsabilità del genere. Ma il punto è che lo voglio fare. Per lei ma soprattutto per Monique. Io le voglio stare vicino in ogni caso. »
Simone si era quasi commossa dal discorso serio di suo figlio.
« Devi voler davvero molto bene a questa Monique. » sorrise la donna.
« Sì. » rispose pensieroso Tom. «Non sapete quanto. »


Il pranzo di Natale era trascorso nel migliore dei modi. Ester aveva cucinato una delle sue specialità che a Monique ed Eveline piacevano tanto ed avevano chiacchierato del più e del meno. Monique, tante volte, si era ritrovata con la testa altrove, in particolar modo a Lipsia, ma poi, con qualche battutina da parte di sua madre, si era ricomposta, prestando più attenzione a ciò che le stava accadendo attorno.
Anche l'apertura dei regali era andata a meraviglia. Eveline aveva apprezzato i regali dei nonni e i nonni avevano apprezzato quelli di Monique. Quest'ultima aveva ricevuto da loro un buonissimo profumo, dalla fragranza leggera, fresca, proprio come piaceva a lei.
Ora Alfred si era gentilmente proposto di fare una piccola passeggiata con sua nipote, in giro per Amburgo, così da lasciare un po' sole Monique ed Ester, la quale aveva intenzione di indagare su questo presunto ragazzo, poiché era certa che si trattasse di una presenza maschile nella vita di sua figlia.
Sedute sul divano, si guardavano negli occhi con dei sorrisi consapevoli, come se non ci fosse niente, in realtà, da spiegare, poiché si erano già capite alla perfezione. Ma Ester voleva comunque sapere.
« Allora? » le domandò quella. « Di chi è quel braccialetto? » sorrise, indicando con lo sguardo il gioiello stretto al polso di Monique. La mora, in automatico, portò lo sguardo su di esso e lo stomaco le compì una capovolta.
« Questo... Questo è di una persona che conosci. » ammise.
« Ah! Lo sapevo! » si alzò improvvisamente dal divano Ester, per saltellare allegramente attorno al tavolino. Monique la guardava esterrefatta; non aveva mai visto sua madre reagire a quella maniera. « Lo sapevo che era di Tom, posso fare la strega! » esclamò nuovamente, con un enorme sorriso sul volto, per poi sedersi nuovamente accanto a sua figlia.
A Monique scappava da ridere: era sul serio così contenta che si trattasse di Tom?
« Beh, sì, si tratta di lui. » confermò. « Ci siamo messi insieme due mesi fa. »
« Perché non me l'hai detto subito? »
« Perché... Sinceramente non lo so il perché. Forse per non affrettare troppo le cose, non so, per scaramanzia. Volevo prima vivermela, quella nuova situazione, e poi te ne avrei parlato. »
« Io lo sapevo che prima o poi vi sareste messi insieme. Siete fatti per stare insieme, l'ho sempre pensato dalla prima volta che ho visto quel ragazzo, quando ancora non andavate d'accordo. Anche nelle litigate eravate affiatati, per assurdo. »
« Credo che tu abbia ragione. Forse sono state proprio le nostre litigate a farci mettere insieme. »
« Com'è successo? »
« Diciamo che è stata una cosa un po' strana, forse non sono neanche in grado di spiegartelo alla perfezione. Quando sono tornati dal loro tour mondiale, dopo un anno che non ci vedevamo, in Tom è cambiato qualcosa. Ha cominciato a dimostrarmi in modi diversi quanto tenesse a me, fino a che, una bella sera, in Giappone, non mi ha confessato i suoi sentimenti. Io, inizialmente, ero spaventata da questa cosa, nonostante mi facesse piacere; ma avevo paura di cascarci di nuovo, capisci? Così l'ho tenuto un po' sulle spine, fino a che non ho potuto fare altro che cedere. Non potevo non farlo dopo tutte le cose che ha fatto per me. Mi ha veramente dimostrato quanto ci tiene ed era ciò di cui avevo bisogno. »
« Io l'ho sempre detto che quel ragazzo è giusto per te; non so, sentore di mamma. »
« Anche secondo me è il ragazzo giusto per me. È sempre una sensazione. »
« E con Eveline? »
« Oh, con Eveline lo dovresti vedere. È un amore. Inizialmente era intimidito ed impacciato, non che ora sia tanto più sciolto, ma devi vedere con quanta premura si occupi di lei. E lei si è affezionata moltissimo, quasi in modo morboso, e la cosa mi spaventa un po'. »
« Perché? »
« Beh, perché se dovesse andare male tra noi, cosa che ovviamente spero non accada mai, lei soffrirebbe molto il distacco da lui. »
« Tu ora non pensare ad un'ipotetica separazione. Pensa solo che con lui stai bene e che finché tra voi continua così, non hai nulla di cui preoccuparti. »
« Grazie, mamma. Avevo bisogno di parlarti, soprattutto in questo periodo. Non potevo non condividere questa bella notizia con te. »
Detto questo, Monique si allungò verso sua madre e l'abbracciò con affetto, accoccolandosi fra le sue braccia, come faceva quando era piccola. A volte le mancavano quei momenti, quella spensieratezza, quell'ingenuità fanciullesca con la quale era cresciuta.
« Sono orgogliosa di te, piccola mia. » fu la risposta di Ester, la quale mise a tacere ogni altra frase.


Ho detto tutto a mamma e Gordon e sono molto contenti. Non ti conoscono ma già ti adorano. Ho spiegato loro anche di Eveline. Ne sono rimasti sorpresi ma poi hanno capito la cosa. Ora siamo in macchina, stiamo tornando a casa. Voi dove siete?


Alla lettura di quel messaggio, Monique sentì quasi un vuoto allo stomaco. Aveva detto tutto ai suoi, compresa la questione di sua figlia. Chissà se davvero l'avevano presa bene come sosteneva lui o l'aveva detto solamente per farla stare tranquilla. In ogni caso, decise di credergli.


Spero l'abbiano presa bene sul serio. Comunque noi siamo ancora qui a casa ma stiamo per ripartire. Stasera vieni da me?


« Eve, ti va di dormire da zia Jessica, stasera? » domandò Monique, seduta sul divano accanto a sua figlia, con il cellulare in mano, ad attendere la risposta di Tom. La piccola sedeva su quello di fronte a lei con uno dei pupazzi che le avevano regalato i nonni.
« Tì! » rispose con entusiasmo la piccola. Monique sapeva che non si sarebbe opposta.
« D'accordo, allora poi la chiamo e glielo chiedo. »
Intanto arrivò la risposta di Tom.


Sì, l'hanno presa bene. Poi ti racconto stasera. Mi porto la roba per dormire?


Sì, sì, portatela, se vuoi. Credo che Eveline vada a dormire da Jessica.


D'accordo. Allora a più tardi.


Monique annunciò a sua figlia che doveva andare un momento in bagno, in modo da poter chiamare Jessica e dirle in tutta onestà di cosa avesse bisogno.
« Pronto? » rispose la rossa, dall'altro capo del telefono.
« Ho un enorme favore da chiederti. » le disse con tono implorante.
« Spara. »
« Non so se ti ricordi quella nostra conversazione in cui mi rimproveravi per essere dannatamente crudele con Tom, perché non mi ero ancora decisa a... Insomma, ad andare a letto con lui. »
« Ti sei guardata un film porno? »
« No! Insomma... Siccome anche io... Beh... Oh, in poche parole! Terresti Eveline a casa tua per la notte? » Monique sentì la sua migliore amica scoppiare a ridere. E intanto le sue guance si tinsero di un bel bordeaux acceso. « Potresti anche evitare di ridere in questo modo. » borbottò la mora.
« Finalmente ti sei decisa! Rischiavo di diventare vecchia! »
« Smettila di prendermi in giro o ti chiudo il telefono in faccia. »
« Okay, okay, scusa. Comunque, certo che te la tengo, che domande! »
« Okay, grazie mille, allora te la lascio direttamente a casa, al ritorno. »
« D'accordo! »
« Allora, a dopo. Grazie. »
« A dopo e... Trasgressiva! »
« Fottiti! »
Riattaccò, sentendo che le sue guance stavano per prendere fuoco. Era una cosa così strana voler fare l'amore col proprio ragazzo?
Uscì immediatamente dal bagno e tornò in salotto.
« Zia Jessica ha detto che va bene! » sorrise a sua figlia, come se niente fosse.


« Ha detto che Eveline stasera, forse, dormirà a casa di Jessica. » annunciò Tom con sguardo concentrato sulla strada davanti a sé, ma i pensieri altrove. Bill si voltò nella sua direzione con sguardo malizioso.
« Forse stanotte quagli. » sorrise.
« Bill, evita questi commenti. » lo riprese il chitarrista.
« Una volta non vedevi l'ora di parlare di queste cose. »
« Beh, non se c'entra Monique. »
« Perché? È una cosa normale, Tom. »
« Lo so, ma mi sento a disagio a parlare di queste cose a sua insaputa. Non so perché. »
« Perché ci tieni tanto e non vuoi far sembrare che i tuoi pensieri si fermino a quello. »
« Può essere. »
« Lo è. Ma, Tomi, non hai bisogno di tutto questo. Hai già dimostrato tutto il tuo interesse nei suoi confronti e ti posso assicurare che non ci avrei mai creduto. Non devi nascondere di avere voglia di lei, è una cosa bella. »
« Lo so. Ma io non vado da lei con questo pensiero. Se succede, bene, sennò sono disposto ad aspettare ancora. Non voglio metterla a disagio. »
Bill quasi non credeva alle sue orecchie. Era davvero suo fratello la persona che gli sedeva affianco, intenta a guidare? O era stato impossessato da qualche corpo estraneo?
O più semplicemente... Che fosse l'amore a causare tutto ciò?


Monique era inspiegabilmente agitata.
Sì, sedeva sul divano di casa sua e si torturava le dita delle mani, davanti alla televisione che trasmetteva un normale quiz. Eveline era a casa di Jessica e tutto sembrava tranquillo e nella norma, se non fosse stato per i battiti cardiaci esageratamente accelerati nel suo petto.
Si sentiva una completa cretina. Aveva attraversato di tutto nella sua vita, persino un parto. Possibile che fosse agitata come dovesse affrontare la sua prima volta? Detestava il fatto che Tom le facesse provare quelle emozioni adolescenziali. O forse lo adorava? Il fatto era che non poteva lasciarsi andare a certe emozioni; aveva ventidue anni, non quindici.
Sbuffò per l'ennesima volta, lanciando un'occhiata all'orologio appeso al muro. Erano le nove di sera e Tom sarebbe arrivato di lì a qualche minuto.
Forse cominciava a capire quale fosse il motivo di quella sua tensione. Non voleva che il chitarrista pensasse che l'aveva invitato a casa sua solo ed unicamente a quello scopo. Benché tale pensiero fosse comunque incluso tra le sue motivazioni, non era quello principale e teneva al fatto che il ragazzo non fraintendesse, nonostante ne sarebbe stato solo contento. Aveva semplicemente voglia di stare un po' da sola con lui; in intimità, senza dover stare attenta a come comportarsi in presenza di Eveline.
Proprio mentre il suo cervello elaborava tali pensieri contorti, il campanello di casa prese a trillare. Si alzò di scatto dal divano e si avvicinò velocemente alla porta, per poi aprirla. Dietro essa sostava un Tom particolarmente sorridente, con un piccolo borsone in mano, forse contenente il cambio per la notte e per il giorno seguente.
« Hey. » le sorrise. « Il portone di sotto era aperto. » aggiunse, per poi entrare, mentre lei chiudeva la porta.
« Sì, dev'essere la signora del secondo piano che non la chiude mai. » borbottò, per poi stampargli un bacio sulle labbra. « Hai già mangiato? » gli chiese poi, incamminandosi in cucina, seguita da lui.
« Sì, abbiamo mangiato in autogrill, stavamo morendo di fame. » rispose Tom, sedendosi al tavolo, mentre Monique trafficava con una tazza ed un cucchiaino.
« Ah, d'accordo. Beh, io mangio qualcosa perché sto svenendo. »
« Mi spiace, non lo sapevo. Ti avrei aspettato e avrei mangiato con te. »
« Tranquillo, mi faccio solo una tazza di latte con qualche biscotto. » Detto questo, posò tutto in tavola e si sedette di fronte al chitarrista. « Allora? Raccontami per bene com'è andata a casa tua. » si rivolse poi a lui, mentre intingeva un biscotto nel latte.
« Beh, non c'è molto di più da raccontare, rispetto a quello che ti ho già detto. All'inizio, quando hanno saputo di Eveline, sono rimasti un attimo interdetti, ma solo perché sanno com'ero fatto. Io poi ho spiegato loro tutto quanto, che a me va a meraviglia così e hanno capito tutto. Sono contenti, piccola, te lo giuro. Anzi, non vedono l'ora di conoscerti. »
Monique sorrise appena, dopo aver ingoiato il biscotto.
« Ne sono felice; anche a me piacerebbe conoscerli. Devono essere delle persone straordinarie. » disse, senza guardarlo negli occhi.
« Sì, lo sono. E tu? Non appena hai detto ai tuoi che ero io, che hanno fatto? Volevano cercarmi con i forconi? » ridacchiò il moro.
« Perché i forconi? »
« Dopo tutto quello che ho fatto alla loro figlia...! »
« Macché! Loro ti hanno sempre inspiegabilmente adorato. »
« Hey! »
« Beh, eri difficile da adorare ai tempi. »
« Devo ricordarti che ti ho fatto comunque perdere la testa? »
« Sì, d'accordo, questo te lo concedo. » Si sorrisero appena, divertiti, e poi Monique continuò a mangiare. « Sicuro di non volere niente? » gli domandò successivamente. Si sentiva un po' in colpa a mangiare davanti a lui, senza offrirgli nulla.
« No, tranquilla, sto scoppiando. Ho mangiato un panino con dentro la bistecca. » rispose lui massaggiandosi appena la pancia. Monique fece un'espressione leggermente schifata e poi tornò ad occuparsi dei suoi biscotti.
« Dopo il pranzo di Natale, sei riuscito a fare una cosa simile. Mi chiedo dove tu lo metta tutto quel cibo. »
« Nei muscoli. »
« Ma dove! » Tom si imbronciò a quell'ultima affermazione, facendo scoppiare a ridere Monique. « Dai, ovviamente scherzo. » rimediò quindi la mora, con un sorriso furbo sul volto.
In poco tempo era riuscito a metterla a suo agio. Aveva dimenticato ogni singolo motivo della sua precedente agitazione, ritenendolo alquanto futile. Come poteva sentirsi a disagio con lui?
Passarono qualche attimo ad osservarsi appena, con un lieve sorriso sulle labbra, dopo che Monique ebbe finito di mangiare.
« Vieni qui. » le disse all'improvviso Tom con estrema tenerezza nel tono di voce.
Monique si alzò dalla sedia e, fatto il giro del tavolo, si andò a sedere sulle gambe di Tom, come le aveva chiesto. Si strinsero appena, sospirando, e Tom ne approfittò per schioccarle qualche bacio sul viso.
« Che c'è? » domandò lei, notando poi che il chitarrista la scrutava.
« Niente. » sorrise lui. « Andiamo un po' sul divano? » le propose poi, ricevendo una risposta affermativa.


« Dai, Tom, molla! » esclamò Monique per l'ennesima volta, intenta ad arrampicarsi letteralmente in braccio al chitarrista per recuperare il cucchiaino del gelato che da un po' si stavano dividendo nella vaschetta semivuota, stravaccati sul divano, davanti alla televisione.
« No, perché poi ingrassi! » la prese in giro il ragazzo.
« E a te i muscoli diventano flaccidi! »
« Ma smettila! »
Tom continuava a ridere, intenzionato a non lasciarle l'ultima cucchiaiata di gelato, fino a che la ragazza, fingendosi offesa, non si sedette nuovamente composta sul divano, a braccia conserte, in direzione della TV. Il ragazzo sorrise appena, avvicinandosi a lei con cautela. Come per dispetto, prese a farle svolazzare il cucchiaino sotto il suo naso, attendendo che la ragazza facesse qualcosa per recuperarlo. Questa si voltò verso di lui, osservandolo e quando provò ad avvicinarsi con il viso per ripulirlo, lui fu più veloce a nascondere la posata e sostituirla con le sue labbra, guadagnandosi quindi un bel bacio a stampo. Mentre Monique sbuffava scocciata, Tom continuava a ridere, portandosi quindi alla bocca l'ultima quantità di gelato.
« Vinci sempre tu. Non ti sopporto. » borbottò la mora, per poi alzarsi dal divano.
« Hey, dove stai andando? » chiese con un sorriso sereno lui, afferrandola per la mano, prima che potesse sfuggirgli.
« A lavarmi i denti per andare a dormire. » lo liquidò lei, scrollandosi dalla presa e uscendo dal salotto.
« Dai, non te la sarai presa sul serio? » ridacchiò Tom, ma non ricevette risposta. Scuotendo la testa divertito, recuperò il telecomando e spense la televisione, per poi alzarsi dal divano e seguirla in bagno. Questa sostava di fronte allo specchio, intenta a spazzolarsi i denti con indifferenza.
Tom trotterellò nella sua direzione, per poi cominciare a punzecchiarla con un dito sul fianco, suscitando così ancora più fastidio nella sua ragazza.
« Efapoa. » borbottò questa con lo spazzolino in bocca.
« Eh? » sorrise Tom, il quale aveva capito perfettamente cosa gli avesse detto. Monique si piegò verso il lavandino, si sciacquò la bocca e poi si risollevò, voltandosi nella sua direzione.
« Evapora. » ripeté, per poi uscire dal bagno. Tom si fermò lì dentro per potersi lavare anche lui.
Adorava quando Monique faceva l'offesa e fingeva di essere arrabbiata con lui.
Monique, nel frattempo, era entrata in camera sua e, veloce come un lampo, aveva indossato la biancheria intima che le aveva regalato Bill per Natale. Quella provocante che, in un altro momento, non avrebbe mai pensato di indossare. Vestì un normale pigiama sopra di essa e si sistemò sotto le coperte del suo letto matrimoniale.
Non era offesa sul serio; si divertiva semplicemente a farlo impazzire.
Il protagonista dei suoi pensieri fece il proprio ingresso in camera nemmeno due minuti più tardi, perfettamente lavato e profumato. L'aveva cercata con lo sguardo, con un sorriso furbesco, ma lei aveva fatto finta di nulla. Lo osservò mentre si spogliava, fino a rimanere in boxer, come suo solito, fino a che no si infilò nel letto con lei.
La mora si voltò nella direzione opposta, dandogli le spalle, e poté sentire da parte sua una risatina divertita e compiaciuta. Il suo corpo caldo le si avvicinò, fino ad attaccarsi a lei per stringerla da dietro.
« Fammi un sorriso. » la invitò, scrutandola da oltre la spalla. « Dai, sorridi. » ripeté e lei gli fece una linguaccia. Tom scoppiò a ridere. “Non fare come i bambini!” scherzò. Con un po' di fatica, riuscì a farla voltare a pancia in su, bloccandola con il proprio peso sopra di lei.
La scrutò per qualche istante con dolcezza, come avesse dimenticato il motivo per cui avevano cominciato quella messa in scena, fino a che non abbassò il viso sul suo, sfiorandole le labbra con le proprie. Era un tocco gentile, delicato e casto, al quale la mora rispose volentieri, improvvisamente immemore di ciò che stava facendo precedentemente.
Il suo cuore le galoppava nel petto; sentiva che finalmente potevano dedicarsi un po' a loro stessi e la cosa, oltre ad agitarla, la riempiva di gioia. Quanto tempo aveva atteso quel momento? Probabilmente non era nemmeno in grado di stabilirlo.
Le mani di Tom si erano fatte meno timide ed avevano preso a percorrerle il corpo con una certa curiosità, mentre il bacio si era impregnato di tutta la passionalità che per due mesi avevano dovuto reprimere. Si lasciò andare al corso dei fatti, poiché non attendeva altro.
Il chitarrista aveva preso comodamente posto fra le sue gambe, dedicandosi a lei e alla sua pelle calda sotto la maglietta, mentre con le labbra le lambiva quella del collo esposto. Non trascorsero molti minuti prima che la maglia del pigiama volasse via da quel letto, in un punto non definito della camera.
Sentiva con quanto ardore Tom si stesse occupando di lei, sforzandosi per non accelerare le cose. Poteva percepire la fatica che aveva fatto per contenersi in qui due mesi; e in quell'istante si accorse anche di quanto lei stessa fosse stata paziente, senza accorgersene, per lo stesso motivo.
Tom la riempiva di baci, facendola andare completamente fuori di testa. Sapeva che si era accorto di quale completo intimo indossasse e poté giurare di aver scorso un piccolo sorriso compiaciuto sulle sue labbra.
Continuò la scia di baci sul suo corpo, fino a che non giunse all'orlo dei pantaloni, che vennero tolti lentamente, mentre il loro percorso veniva accompagnato da tocchi leggeri della bocca del ragazzo sulla pelle delle sue gambe.
Sentì come se le mancasse la sua vicinanza, così si artigliò immediatamente alle sue spalle, non appena col viso tornò alla sua altezza, per baciarla nuovamente. Sentiva il suo respiro sulla pelle, bollente ed impaziente, così come il suo. Gli occhi del chitarrista la scrutavano con amore, con dedizione, come fosse stata un gioiello troppo prezioso per lui, mentre le sue mani le accarezzavano ogni millimetro del suo corpo, pronto a donarsi completamente a lui, senza indugi.
Il reggiseno andò a fare compagnia al resto del suo vestiario, sul pavimento. Il suo cuore batteva all'impazzata e Tom lo percepì immediatamente, a contatto con il suo petto. Le baciò le palpebre socchiuse, le carezzò una guancia, poi le labbra, per poi scendere sul mento e tornare a saggiarle il collo. La stava inebriando del suo odore di uomo, forte e piacevole, fino a che non sentì anche i suo slip abbandonarla qualche momento dopo.
Il chitarrista la guardò qualche attimo negli occhi, come a volersi inutilmente assicurare che lei fosse del tutto d'accordo in ciò che sarebbe successo ma non ebbe bisogno di parole o conferme, poiché Monique lo baciò, stringendosi forte al suo corpo, bisognosa di calore e protezione.
Sentì la mano del suo ragazzo scendere fra i loro bacini uniti per abbassare l'orlo dei suoi boxer. Quel nuovo contatto fu per lei qualcosa di stordente, qualcosa che non poteva essere reale, per quanto avevano atteso. E nel momento in cui si sentì riempire il corpo di lui, si strinse possessivamente tra le sue braccia, come per non uscirne più.
Tom aveva sospirato sul suo orecchio, sovrastandola interamente con il corpo, anche lui tremendamente appagato da quell'unione sofferta. Si ritrovò a chiedersi come avesse mai fatto ad aspettare così a lungo quel momento; come avesse fatto a privarsi di un piacere così grande con lei. Eppure, si disse, ne era valsa comunque la pena.
Monique si era ritrovata invece a sorridere spontaneamente, mentre lui muoveva delicatamente il suo bacino. Non vi era cosa più bella che sentirsi appartenente al proprio ragazzo, in senso completo. Ora poteva finalmente dire di averlo assaporato in ogni sfumatura, in ogni minima emozione. Ora si sentiva realmente completa e di qualcuno.
Le loro pelli, lievemente umide di sudore, strusciavano l'una addosso all'altra con regolarità, infondendo in loro quel senso di familiarità, di intimità di cui necessitavano da tempo, ed i loro ansimi, mescolati, componevano un unico suono privo di stonature, fatto solo di complicità ed amore.
Tom la strinse forte, circondandola con le sue braccia muscolose, mentre accelerava i movimenti. I suoi baci si alternavano a piccoli ed affettuosi morsi a lato del collo, i quali la facevano sospirare ancor di più di piacere, portandola a circondagli possessivamente il bacino con le gambe.
Il moro si ritrovò a pensare che quel momento rappresentava un qualcosa di totalizzante e completamente diverso da ciò che aveva sempre vissuto con altre ragazze. Quella volta, si sentiva pieno di gioia, quasi da farlo piangere. Sentiva il bisogno di continuare a dedicarsi a lei, senza mai smettere. Non voleva semplicemente abbandonare quel corpo caldo e delicato.
Ma una fine giunge per ogni cosa; si mosse ancora qualche attimo, fino a che non percepì Monique irrigidirsi sotto di lui, fino ad inarcarsi con la schiena in un gemito più sonoro rispetto ai precedenti e lui non poté che fare la stessa cosa qualche secondo dopo, crollandole poi sul corpo, sfinito ed ansante.
Restarono qualche attimo in silenzio ed immobili, intenti a riprendere fiato, con i cuori che ancora correvano nei loro petti, quasi impazziti; poi Tom sollevò appena la testa per osservarla in viso.
Aveva un'espressione serena ed estasiata, gli occhi lucidi ed un sorriso spontaneo sulle labbra, le quali vennero baciate qualche secondo dopo dalle sue. Quello bastò per farlo addormentare, stretto a lei, con la felicità ad inebriargli le vene.


La mattina seguente, in quella casa regnava la quiete. La luce, attraversante le persiane della camera da letto, giungeva ad illuminare i corpi nudi e intorpiditi dei due ragazzi.
Fu Tom il primo a svegliarsi, avvertendo un'immediata sensazione di piacere. Sorrise. Semplicemente sorrise nel trovare la ragazza ancora stretta a lui, profondamente addormentata. Poggiando la testa sulla sua mano, prese a carezzarle – attento a non svegliarla – la schiena con la punta delle dita. Ne tracciava la linea della colonna vertebrale, indugiando sulle piccole ali che aveva sul fondo, per poi tornare su, fino al collo.
Notò che in poco tempo il suo corpo venne ricoperto da pelle d'oca, così prese la coperta e la stese sopra di esso.
Facendo ben attenzione a non fare rumore, si spostò da quella posizione e posò i piedi sul pavimento freddo. Si alzò dal letto e prese a vestirsi in silenzio, continuando ad osservare quella che era per lui la tenerezza personificata.
Si sentiva dannatamente sereno e privo di problemi. Aveva solo voglia di coccolarla un po', al momento del suo risveglio. Fece il giro del letto e, accucciatosi accanto a lei, le sfiorò appena il viso con le labbra ed una carezza sui capelli. Successivamente si sollevò ed uscì dalla camera, con l'intento di prepararle la colazione.
Posizionò il tutto su di un vassoio, ordinandolo con cura, dannatamente puntiglioso, come non lo era mai stato prima di allora.
Talmente era assorto in ciò che stava facendo che si accorse in ritardo che qualcuno aveva suonato alla porta. Sollevò lo sguardo corrucciato sull'orologio a muro e notò che erano solo le otto del mattino. Chi poteva essere?
Con un lieve sospiro e la curiosità a sbranarlo vivo, si incamminò alla porta, fino ad aprirla. Dietro essa la sua vista venne a contatto con un ragazzo non troppo più grande di lui, con gli occhi azzurri; quegli occhi azzurri troppo simili a quelli di una persona che conosceva bene. Ma prima di farsi prendere dal panico preferì chiarirsi le idee.
« Ciao. Tu sei...? » gli domandò apparentemente tranquillo. Il biondo sorrise ambiguamente.
« Christian. »

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Capitolo 19
*** Nineteen. ***


diciannove

Nineteen.




A Tom servì qualche attimo per rendersi conto di che cosa quel semplice nome avrebbe portato nella sua vita, in fatto di cambiamenti. Aveva da poco cominciato a stabilizzarsi, a vedere un qualcosa di concreto per lui e Monique, dopo tanta fatica, ed ora sembrava che il destino avverso si fosse impegnato ancora una volta per rendere loro la vita impossibile.
Non poteva essere successo sul serio. Christian non poteva essere lì davanti a lui; non poteva essere l'ex fidanzato di Monique ed il padre di sua figlia. Doveva esserci per forza un errore, sembrava troppo irreale.
Perché aveva deciso di uscire allo scoperto solo in quel momento? Solo nel momento in cui Tom e Monique avevano trovato finalmente un loro equilibrio? Perché chiunque si trovasse lassù ce l'aveva disperatamente con lui?
« Christian. » ripeté Tom fissandolo serio, come non volesse ancora credere a ciò che aveva sentito.
« Esattamente. E tu chi saresti?»
La spocchia con cui aveva posto quella domanda gli perforò il cranio con immenso fastidio, facendolo rabbrividire dal nervoso. Il suo istinto primario era quello di spaccargli la faccia.
« Io sono il fidanzato di Monique. » affermò con decisione, come volesse precisare ogni singola questione prima del dovuto.
Christian, di fronte a lui, fece una smorfia che doveva sembrare un sorriso. Ciò fece imbestialire maggiormente il chitarrista, il quale fremeva dalla voglia di sbattergli la porta in faccia. Una cosa era certa: in casa non vi avrebbe messo piede.
« Beh, si da il caso che io sia l'ex. Strano incontro, non credi? » lo prese in giro il biondo, con tono crudelmente sarcastico. Tom strinse i pugni.
« Vieni al dunque. » lo incitò, a denti stretti.
« Hai per caso fretta? »
« Sì, di chiudere la porta. »
« Non è casa tua. »
« Nemmeno la tua. »
« Io ci ho passato molto tempo però. »
« Recando solamente dolore ad una ragazza che non lo meritava. »
« Oh, che discorsi toccanti. »
« Senti, dimmi cosa vuoi o giuro che chiudo la porta. »
« La domanda giusta è chi voglio. »
Tom percepì una scossa fulminea percorrergli il corpo intero. Non gli piaceva il punto a cui quella conversazione – se tale era il suo nome – stava giungendo.
« E chi vorresti, sentiamo? » lo sfidò il chitarrista, non sicuro di volerlo sapere sul serio, poiché sapeva sarebbero dovuti venire inevitabilmente alle mani. Non sarebbe riuscito a trattenere i nervi e stava già facendo enormi progressi nell'aspettare lì, di fronte a sé, che rispondesse alla domanda. Purtroppo temeva di sapere quale fosse la risposta.
« Monique e sua figlia. »
Poté percepire il tonfo che il suo cuore fece nel cadere a terra. Era proprio ciò che temeva, proprio ciò che sapeva avrebbe risposto. Perché lui aveva sempre dovuto combattere nella vita; non era mai riuscito ad ottenere qualcosa senza sudare, senza stringere i denti per mantenerne il possesso. Ed ora che era finalmente riuscito ad avere Monique, avrebbe dovuto nuovamente lottare con le unghie e con i denti per riuscire a tenersela stretta.
« Temo di non riuscire a comprenderne il motivo. » si limitò a rispondere, cercando di mantenere la calma. Non voleva Monique si svegliasse; voleva risolvere quella questione da solo e senza farla preoccupare.
« Il motivo è molto semplice: quella è anche mia figlia. »
A quell'affermazione, Tom sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
« Ah sì? E dov'eri quando Monique era incinta? Dov'eri quando ha partorito? E quando Eveline ha avuto la febbre? E nel cambiarle i pannolini? Per due anni, dove cazzo sei stato? A questo punto mi chiedo: che pretese hai su di lei? Non l'hai mai voluta, giusto? Hai abbandonato Monique nel momento del bisogno; ora spiegami in che modo vorresti accaparrarti il diritto di riprendertele tutte e due. »
Aveva sputato quelle parole il più acidamente possibile. Voleva giungere dritto al punto, senza troppi giri di parole. Quell'essere non ne meritava.
« In che modo? Semplice, sono il padre biologico e nessuno mi può togliere il diritto di vedere mia figlia. » spiegò il biondo con uno strano sorriso sul volto. Era proprio quel sorriso a non convincere il chitarrista.
« Posso chiederti cosa ti ha fatto arrivare qui dopo due anni? Non hai mai voluto saperne né di Monique, né di tua figlia. Cosa ti spinge a venire qui ora? Perché proprio adesso vuoi tua figlia? »
« La gente cambia idea. »
« Ti offendi se ti dico che non ho la minima intenzione di crederti? »
« No, perché per me non sei nessuno e del tuo giudizio ne faccio volentieri a meno. »
« Benissimo, anche io faccio a meno della tua presenza, quindi, se non ti dispiace, ti pregherei di andartene. Sai, è mattina presto e la gente vorrebbe riposare. »
« Se me ne vado ora, tornerò in un altro momento. »
« Fai quello che ti pare. Ti consiglio solamente di non turbare la serenità di alcune persone; in particolare quella di tua figlia. »
Detto questo, Tom, senza attendere una sua risposta o la minima esitazione, chiuse la porta.
Si sentiva particolarmente nervoso. Quella pretesa ingiustificata era una cosa che lo mandava fuori di testa. Monique aveva scelto lui e lei era sua e così sarebbe stato per molto tempo. Non sarebbe arrivato un damerino dagli occhi azzurri ad infrangere quel bellissimo equilibrio che si era venuto a creare. Quella mattina, avrebbe voluto svegliarsi assieme a lei, coccolarla per tutto il tempo, ripensando alla bellissima serata che avevano trascorso finalmente insieme. Le avrebbe preparato la colazione ed avrebbero chiacchierato in tutta serenità.
Strinse i pugni e decise che così avrebbe fatto. Quell'essere spregevole non avrebbe avuto la meglio su di lui. Per il momento non avrebbe detto nulla a Monique; avrebbe fatto finta di niente per non turbarla. Sapeva che si sarebbe arrabbiata, scoprendo la verità più avanti, ma non voleva assolutamente guastare quel momento.
Rientrò in cucina e finì di preparare la colazione, per poi afferrare il vassoio ed incamminarsi in direzione della camera di Monique. Non appena vi entrò, richiuse la porta e poi si avvicinò al letto, per poggiare il vassoio sul comodino, affianco alla ragazza ancora dormiente, ignara di tutto ciò che nel frattempo era accaduto in casa sua.
Si stese sul materasso, accanto a lei, osservandola con tenerezza. Allungò una mano nella sua direzione e, con delicatezza, prese ad accarezzarle i capelli.
Era abbracciata al cuscino con il quale aveva dormito lui, proprio per quell'abitudine di riposare aggrappata a qualcosa. Evidentemente, nel sonno, aveva percepito la sua mancanza e si era stretta alla prima cosa che le fosse capitata a tiro.
Più la osservava e più si domandava come Christian avesse fatto ad abbandonarla in quelle condizioni. Ma soprattutto come avesse fatto a trattarla da sgualdrina per tutto il tempo della loro relazione. Monique era una ragazza estremamente dolce ed affettuosa; non poteva minimamente pensare di alzare le mani con lei o usarla per le proprie squallide voglie sessuali. Ma soprattutto si rendeva sempre più conto di poter arrivare addirittura ad accettare un figlio da lei. Certo, non si sentiva assolutamente pronto per quel tipo di ruolo, nei confronti di un bambino, ma se Monique fosse rimasta incinta, non si sarebbe distrutto dalla disperazione. Avrebbe semplicemente convissuto con quell'idea e non sarebbe scappato, perché tutta la fatica che avevano fatto per stare finalmente insieme, non l'avrebbe buttata via così.
Proprio mentre pensava a queste cose, sorprendendosi per la velocità incredibile in cui la sua mente aveva imparato a pensare a qualcosa di maturo e lodevole, Monique aprì lentamente gli occhi.
Quei due pozzi marroni, come si posarono sulla sua figura, gli causarono una violenta capovolta dello stomaco.
« Buon giorno. » le sorrise dolcemente. La mano era sempre nascosta tra i capelli della mora.
Quest'ultima sorrise appena e, chiudendo nuovamente gli occhi, si stiracchiò braccia e gambe. Tom la sovrastò con il proprio busto, per abbracciarla e respirare il profumo del suo collo, dove sembrava esservi rimasto un sapore di baci ed amore.
No, non l'avrebbe turbata raccontandole di Christian. Voleva continuare a vedere quel sereno sorriso sulle sue labbra.
« Ti ho portato la colazione. » le annunciò, con la bocca ancora premuta sulla sua pelle sensibile.
« Davvero? » domandò Monique, con voce assonnata e roca, cosa che fece sorridere il chitarrista.
« Sì. So essere un gentiluomo, ogni tanto. » commentò lui, ironicamente.
Si sollevò da lei, dopo averle schioccato un bacio sul collo, e si allungò verso il comodino per recuperare il vassoio. Nel frattempo, anche Monique si sollevò a sedersi, strizzandosi appena gli occhi infastiditi dalla luce che perforava le persiane.
« Lo so. » rispose lei, serena. « Ma tu non mangi? » gli chiese poi.
« E' tutto qui. » le sorrise, posandole il vassoio sulle gambe. « Mangiamo insieme. Però voglio un bacino. »
Monique, a quella tenera richiesta, allungò il viso e lo baciò sulle labbra. Lui la trattenne per la nuca ed approfondì quel bacio per qualche secondo, fino a che non si staccarono sorridenti per prendere a mangiare.
« A che ora ti sei alzato? » gli domandò la ragazza mentre si spalmava un po' di marmellata sulla fetta biscottata.
« Venti minuti fa. » rispose lui, per poi portarsi alla bocca un biscotto.
« Potevi svegliarmi. »
« E vedere il tuo muso imbronciato? No, ho preferito aspettare. Dormivi troppo bene. »
Tom stava facendo decisamente fatica a tenerle nascosto tutto ciò che era successo qualche attimo prima. Si era in qualche modo convinto che per il momento era giusto così e che non voleva turbarla, anche se una parte del suo cervello continuava a ribadire che stava sbagliando.
« Mi potrei anche abituare a tutto questo. » sorrise la mora, alludendo al vassoio che teneva sulle gambe.
« Fallo. » rispose Tom con un'alzata di spalle, senza guardarla.
« Certo, dovresti venire a vivere qui. » ridacchiò Monique, guardandolo di sbieco. Il chitarrista scrollò nuovamente le spalle.
« Per me... »
Monique rimase esterrefatta.
Era come se, da una parte, Tom avesse paura di perderla; come se avesse voluto starle più vicino per tenere sotto controllo ogni singola mossa di Christian. Come avesse voluto marcare il proprio territorio, da bravo maschio dominante.
« Dai, smettila di scherzare. » ridacchiò la ragazza, riponendo il vassoio sul comodino per alzarsi dal letto. « Vado a farmi una doccia. » riferì a Tom, camminandogli nuda davanti.
« Mi stai provocando? » le domandò infatti il ragazzo, cercando di non scomporsi più di tanto.
« Può darsi. » lo stuzzicò ulteriormente. Tom non attese altro: si alzò dal letto, la prese in braccio e corse in bagno, accompagnato dalle risate della mora.


« Oh, cazzo. » fu la fine esclamazione di Tom, non appena uscì dalla doccia, completamente sfinito. Dietro di lui, Monique aveva ancora il fiatone. Era ufficiale: il chitarrista, di lì a una settimana, l'avrebbe distrutta.
Una cosa positiva c'era: fare la doccia era magicamente diventato ancora più piacevole.
« Kaulitz, hai intenzione di fare così ogni volta che dovrò farmi una doccia? » domandò a quel punto la mora. Il chitarrista si voltò verso di lei con un ghigno in volto.
« Così e anche molto di più. » disse con fare angelico.
Monique, ancora presa dalle risate, scosse appena la testa e poi si rifugiò in camera sua, con l'intenzione di rivestirsi, senza che il chitarrista potesse sconvolgerle i piani ancora una volta.
A Tom, mentre si rivestiva, prudevano le mani. Era al corrente di una verità troppo rilevante, che riguardava Monique, della quale proprio lei non conosceva l'esistenza. Si stava comportando da codardo e da egoista. Stava pensando solamente a se stesso, non tenendo conto del ruolo della mora in tutto ciò. Avrebbe dovuto avvisarla della visita inaspettata di Christian, o non vi avrebbe dormito sopra per giorni, dal rimorso di non averlo fatto.
Con un lieve sospiro, entrò senza chiedere il permesso nella stanza della sua ragazza, dove la trovò alle prese con il reggiseno, poiché faceva fatica a chiuderlo dietro la sua schiena. Senza dire nulla, le si avvicinò ed afferrò i gancetti, chiudendoli in pochi secondi. Monique, sorpresa di trovarselo alle spalle, si voltò nella sua direzione e gli sorrise.
« Grazie. » disse, per poi dargli nuovamente le spalle ed infilarsi i jeans. « Che hai? » gli chiese successivamente. Ormai lo conosceva troppo bene. Sapeva analizzare ogni sua singola espressione, ogni suo singolo cambio di umore per essere certa che qualcosa nella sua testa lo stava tormentando.
« Ehm, dovrei parlarti. » cedette il moro. La ragazza si immobilizzò, non appena ebbe finito di allacciarsi i pantaloni e si voltò ad osservarlo ancora in reggiseno.
« Devo preoccuparmi? Non mi piace quel tono. »
« No, stai... Stai tranquilla, non c'entro io. Per lo meno... Non direttamente. »
« Okay, però parla, non mi fare agitare. »
« Sediamoci. » La prese per mano e la indusse a sedersi accanto a lui, sul suo letto. « Ascoltami, io non ti ho detto una cosa prima. » cominciò a parlare. « Stamattina, mentre tu dormivi, sono entrato in cucina per prepararti la colazione ma... C'è stato un imprevisto. »
« Che imprevisto? » domandò in fretta Monique. Tom stette ancora qualche attimo in silenzio, torturandosi le mani. « Tom, che tipo di imprevisto? » ripeté ancora più agitata.
« Christian. »
Non seppe nemmeno dire come riuscì a pronunciare quel nome. Aveva sostato per tutto il tempo sulla punta della sua lingua ma sembrava quasi un'impresa impossibile arrivare ad esternarlo. Monique, davanti a sé, aveva sgranato gli occhi e sapeva che di lì a qualche istante avrebbe cominciato ad urlare.
« Smettila di scherzare. » disse solamente, con un'insolita freddezza nel tono di voce.
« Non sto scherzando. » mormorò il chitarrista, abbassando lo sguardo sui propri piedi.
« E tu me lo dici solo ora?! Sei riuscito a far colazione con me e a fare l'amore senza dirmi nulla?! »
« Non volevo rovinare l'atmosfera che si era venuta a creare da ieri sera. Volevo passare una mattinata con te senza... Senza dover pensare. »
« E tenermi all'oscuro di una cosa così importante?! »
« Christian è importante per te? »
« E' il padre di mia figlia! »
« Ma è anche uno stronzo che non ha impiegato un minuto nello scaricarti incinta! Pensi che ad Eveline serva un padre del genere? »
« So io ciò che è meglio per mia figlia! »
« E Christian sarebbe il meglio per tua figlia?! Pensavo ti fidassi di me e... Insomma mi potessi dare una possibilità con Eveline. »
« Tom, mettitelo in testa, non sei suo padre e non potrai mai esserlo, che ti piaccia o no! »
La fitta di dolore che Tom percepì al petto, quasi lo lasciò senza fiato. Non aveva mai provato una sensazione simile. Una sensazione di rifiuto, una sensazione che gli logorava l'anima in pochi attimi. Quelle parole gli avevano fatto dannatamente male e di certo non se le sarebbe mai aspettate da una delle persone a cui teneva di più in assoluto.
Forse, solo allora Monique sembrò rendersi conto di ciò che aveva detto ed un fremito d'ansia e di timore si impossessò terribilmente di lei.
Il chitarrista, turbato, si sollevò dal materasso e si diresse in direzione della porta della camera.
« Tom... » provò la mora, dispiaciuta, ma il ragazzo non la ascoltò ed uscì dalla stanza. Non appena sentì la porta di casa sbattere, le lacrime le salirono velocemente agli occhi.
Era stata una stupida a trattarlo così. Era stata una stupida a sputargli in faccia quelle orribili parole. Sapeva quanto lui teneva a diventare qualcosa di più importante per Eveline e lei lo aveva sempre incoraggiato a diventarlo. Ora, presa dal nervoso, aveva cancellato tutto ciò che di bello si erano detti o promessi.
La verità era che quella notizia l'aveva presa in contropiede. Non si sarebbe mai aspettata una simile ricomparsa nel corso del tempo, e poi, a quale scopo? Cosa voleva da lei, Christian?


Un tonfo violento della porta dello studio di registrazione, fece accorrere Bill all'ingresso, dove trovò suo fratello con la cera più brutta che gli avesse mai letto in volto. Si ritrovò ad osservarlo con lieve timore negli occhi. Timore di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, timore di farsi lanciare contro una sedia. Sapeva che Tom aveva molta pazienza, ma quando si infuriava a quella maniera, la cosa poteva essere definita altamente grave.
« Ehm, ciao, Tomi. » provò quasi intimidito. « Va tutto bene? »
« A meraviglia! Christian è tornato ed io non sarò mai nessuno nella vita di Eveline! » spiattellò ogni cosa, senza minimamente pensarvi, e si chiuse in camera sua.
Bill restò qualche attimo impalato dove lo aveva lasciato, a battere continuamente ciglio, fino a che non decise di bussare alla sua porta. Non ricevette risposta, ma sapeva fosse un consenso. Non appena fece il proprio ingresso all'interno, trovò Tom disteso sul letto, a dargli le spalle. Si avvicinò con cautela, fino a sedersi sul materasso accanto a lui, scrutandolo attentamente dall'alto.
« Che... Che intendi dire con Christian è tornato? » gli domandò, timoroso della risposta che gli sarebbe giunta all'orecchio.
« Esattamente quello che ho detto. È venuto a rompere i coglioni. È venuto a riprendersi la mia ragazza e sua figlia. » borbottò il chitarrista, con rabbia pericolosamente repressa. Bill sgranò gli occhi, mentre uno sgradevole senso di vertigine lo prese allo stomaco.
« E cosa vorrebbe da loro, dopo due anni? »
Tom si alzò di scatto a sedere sul materasso.
« Non lo so! Non lo so, Bill! È questo il punto! Che cazzo vuole da loro?! » esclamò con espressione disperata in volto. Sembrava stesse per crollare in un pianto ininterrotto e Bill sentì una dolorosa fitta al cuore nel vederlo in quelle condizioni. Gli venne spontaneo avvicinarsi a lui e stringerlo fra le braccia come non facevano da troppo tempo. « E lei mi ha praticamente urlato in faccia che non sarò mai un padre per Eveline. Bill, sto impazzendo. Andava tutto bene fino a stamattina. Abbiamo finalmente fatto l'amore ed è stata la cosa più bella del mondo; eravamo sereni, ormai tranquilli ed intoccabili. Ed ecco che siamo tornati al punto di partenza. A volte mi chiedo se sia destino che non dobbiamo stare insieme. » mormorò contro la maglietta di suo fratello, il quale continuava ad infondergli supporto.
« Io invece direi il contrario: che è destino che dobbiate stare insieme. Dopo tutte le difficoltà ed i problemi che avete dovuto affrontare, e non sono pochi, siete comunque ancora insieme e più uniti di prima. E vedrai che quelle parole, Monique le avrà dette solo perché era nervosa. Prova a metterti nei suoi panni. Probabilmente anche lei si sentirà confusa e non saprà che fare. D'altronde è pur sempre il padre di sua figlia e, nonostante non le vada a genio, non può negargli la conoscenza di Eveline, a meno che non faccia qualcosa di veramente grave. »
« Bill, non credo di riuscire a dividerla con lui. »
« Nessuno ti chiede di farlo. Non è Monique che devi dividere con lui ma... Eveline. »
« Mi ha detto esplicitamente di volersi riprendere anche Monique. »
« E tu, se sei un uomo con le palle come dici, non glielo permetti. »
Tom sembrò sul punto di scoppiare a piangere come un bambino, ma riuscì a trattenersi. Semplicemente si strinse con maggior forza a suo fratello e chiuse gli occhi con un gran sospiro.


« Si può? Becchiamo situazioni strane? » la voce di Jessica fece capolino in casa di Monique, la quale si era abbandonata sul divano con insopportabile spossatezza. Era rimasta lì per tutta la mattina a pensare; a pensare a che piega assurda aveva preso la sua vita e a quanto era stata idiota qualche ora prima.
« Mamy? »
Quella voce la fece improvvisamente ridestare, facendo sì che finalmente un sorriso spontaneo le occupasse il volto. Si sollevò velocemente dal divano e raggiunse sua figlia all'ingresso, tenuta in braccio dalla rossa. Non appena l'ebbe davanti, la strinse a sé, come non la vedesse da anni, tanto che Jessica gliela lasciò fra le braccia, osservando accigliata la scena in disparte.
« Ti voglio bene, piccola mia. » sussurrò la mora all'orecchio della bambina.
« Acchìo, mamy. » rispose Eveline, non capendo quale fosse il motivo per cui la sua mamma le stesse facendo quella dichiarazione improvvisa.
« Stai bene, Monique? Tom dov'è? » domandò all'improvviso Jessica. Era decisamente troppo intuitiva.
« Ehm, tesoro, che ne dici di andare a giocare con Bubi? Io e zia Jessica dobbiamo scambiare due parole. » Detto questo, poggiò sua figlia a terra, la quale corse in direzione della sua stanza, dove la piccola giraffa di peluche l'attendeva.
Le ragazze, nel frattempo, entrarono in cucina.
« Dimmi che non vi siete lasciati. » mormorò Jessica, mentre si sedeva al tavolo, senza perdere di vista la sua migliore amica.
« Non credo. » borbottò Monique, prima di sedersi di fronte a lei.
« Non credi? »
« Se n'è andato di casa ma non abbiamo rotto ufficialmente. »
« Ma che è successo? »
Monique prese un bel respiro e, senza una singola pausa, le raccontò tutto ciò che era successo quella mattina, nei minimi particolari, ad una continuità ed una velocità inaudite. Prima si fosse tolta quel peso, meglio sarebbe stata, anche se come consolazione era del tutto scarna. Jessica l'aveva ascoltata ogni singolo attimo, con sguardo pietrificato e puntato sulla sua figura. Non voleva lasciarle spazio per replicare, almeno fino a che non avesse finito di raccontare. Sembrava almeno sconvolta quanto lei.
« E ora? Che intendi fare? » domandò Jessica, una volta che Monique ebbe finito di raccontare. La mora sospirò pesantemente.
« Non lo so. Questa cosa mi ha mandato in confusione. Se vuole vedere sua figlia, io non posso di certo negargliela. »
« E con Tom? » Monique abbassò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate sul tavolo. « Monique, hai sbagliato a dirgli quelle cose. »
« Lo so, lo so, e mi sento uno schifo ma... Non so come rimediare. »
« Vai da lui e parlagli. »
« E dici che funzionerebbe? »
« Certo, secondo me non aspetta altro. Lui non è intransigente come te. »
Monique ridacchiò appena. Era vero; Tom era una persona che sapeva perdonare, sapeva mettere da parte ogni screzio, anche un torto subito. Cose che invece lei mandava giù molto lentamente. Tom era diverso da lei; era la parte mancante della sua personalità e per questo la completava.
« Jess? » mormorò appena, rossa in viso.
« Dimmi. » rispose la rossa. Monique sbuffò appena in imbarazzo.
« Lo amo. »
Il silenzio che ne derivò fu quasi assordante. Monique teneva lo sguardo basso, mentre le sue gambe si muovevano frenetiche. Jessica la osservava con espressione sorpresa e compiaciuta allo stesso tempo.
Era da tanto che quelle due paroline risuonavano instancabili nella sua testa, ma mai aveva avuto il coraggio di dar voce ai suoi più intimi pensieri, soprattutto in presenza del diretto interessato. Aveva paura di spaventarlo, di farlo scappare da lei. Aveva paura fosse troppo presto e che lui l'avrebbe derisa. Una miriade di paranoie le riempivano la testa, come sempre, e non riusciva a venirne a capo.
« Gliel'hai detto? » le domandò Jessica con un dolce sorriso in volto. La mora scosse appena la testa, in negazione. « E che aspetti a farlo? Vai da lui, chiedigli scusa e digli che lo ami. »
« La fai facile. Se per lui non è la stessa cosa? »
Jessica sorrise consapevole.
« Sei proprio cieca, Monique. »

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Mi scuso per il ritardo madornale ma ho avuto un sacco di problemi. Non sono nemmeno riuscita a ispondervi singolarmente, periò lo faccio qui: siete carinissime tutte quante. Ogni giorno mi spronate sempre di più a continuare a scrivere. Vi ringrazio tantissimo e spero che continuerete a seguire questa storia fino alla sua fine (che non dovrebbe essere molto lontana).

Un bacio a tutte.

_KyRa_

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Capitolo 20
*** Twenty. ***


Twenty

Twenty.



« Tom, mi passeresti il sa... » Il chitarrista, con un grugnito, sbatté con forza il contenitore del sale sul tavolo, di fronte a Georg, il quale sbatté le palpebre accigliato. « D'accordo. » commentò il bassista, per poi prendere ad insaporire il proprio pezzo di carne.
La tavola era completamente silenziosa, nonostante i Tokio Hotel, compreso David, sedevano ad essa, intenti a mangiare. Da quando il chitarrista non si parlava più con Monique, era divenuto intrattabile. Nessuno era tenuto a rivolgergli la parola, a meno che non lo decidesse lui stesso, ma solo per questioni pratiche.
« Per domani, vi ho messo un servizio fotografico alle due. » esortò il manager, sperando in una risposta, soprattutto da parte di Tom. Inutile dire che quest'ultimo fece finta di non sentirlo. Solamente Bill gli diede la soddisfazione, annuendo appena con la testa per fargli intendere che aveva capito.
Improvvisamente, un forte stridio della sedia fece sobbalzare tutti quanti. Tom si era alzato e, senza dire nulla, era uscito dalla cucina, lasciando il resto del gruppo basito.


Da circa un quarto d'ora aveva lo sguardo fisso sui surgelati. Non che questi suscitassero in lei particolare interesse, ma la sua testa era troppo piena di pensieri per rendersene conto. Fare la spesa era solo un diversivo, un metodo decisamente poco efficace per strapparla da quell'ambiente alquanto soffocante che portava il nome di casa. Proprio mentre era indecisa su quale confezione prendere, da cucinare per quella sera, il cervello aveva preso a vorticare verso luoghi differenti, come era solito capitarle nei momenti meno opportuni. Aveva ripensato alla discussione con Tom ed al modo brusco in cui, giustamente, se n'era andato. Non si sentivano da due giorni e lei non faceva altro che soffrirne, poiché sentiva dannatamente la sua mancanza. Ancora una volta il suo orgoglio era passato in primo piano, impedendole di cercarlo per prima, nonostante ne avesse parlato con Jessica, decidendo quindi di chiedergli scusa. A contribuire, una buona dose di sensi di colpa e di vergogna, che le impedivano di presentarsi allo studio e guardare Tom negli occhi. Sapeva che quando voleva era in grado di farla sentire molto ma molto piccola. Ed avrebbe persino avuto tutte le ragioni del mondo.
Talmente era assorta nei suoi pensieri, che la confezione che aveva finalmente afferrato le scivolò di mano come nulla fosse. Sbuffando, si chinò per raccoglierla.
« Vedo che rimani sempre la solita sbadata. » Un fremito. Quella voce. Non voleva alzare lo sguardo, in direzione di quella, per paura di sapere a chi appartenesse. « Però sei più bella del solito. » Tremante, sollevò i propri occhi sull'alta figura di Christian, il quale, con un ambiguo sorriso a dipingergli il viso, la scrutava come si fossero visti solo il giorno prima. « Ciao. » la salutò ironico.
« Che cosa vuoi? » gli domandò freddamente, cercando di mascherare l'agitazione. Un'espressione fintamente dispiaciuta occupò il volto del ragazzo.
« Ma come? Dopo due anni, è questa l'accoglienza che mi merito? »
« Ti meriteresti di peggio, stronzo
« Sei anche più fine di come ti ricordavo. »
« Non fare lo spiritoso, non ti conviene. »
« Sai, ho avuto il piacere di conoscere il tuo nuovo fidanzato, l'altra mattina. Simpatico. »
« Smettila. »
Restarono qualche attimo in silenzio a fissarsi. Lei con odio, lui con divertimento.
« Dai, paga, così andiamo a bere qualcosa. » le disse successivamente il biondo, con eccessiva disinvoltura.
« E perché dovrei venire a bere qualcosa con te? » chiese lei sprezzante.
« Immagino tu voglia delle spiegazioni, no? Come mai sono tornato? Cosa voglio da te e mia figlia? No? La tua mente non si sta spaccando per arrivare ad una conclusione? Strano, sei sempre stata così paranoica... »
Monique restò in silenzio. Quel bastardo aveva dannatamente ragione, anche se odiava doverlo ammettere.


Quella situazione era del tutto assurda. Dopo due anni di silenzio ed odio, dopo tutti gli avvenimenti accaduti, lei e Christian ora sedevano al tavolino di un bar, all'aperto, intenti a bere tè freddo. Ovviamente non era passato secondo che la mente di Monique non avesse formulato insulti da sputargli in faccia, non appena fosse stato necessario, ed un pericoloso istinto omicida che sapeva non sarebbe riuscita a reprimere ancora per molto. L'unica cosa che la fermava era solo una: aveva una figlia e non poteva finire in galera.
« Da quanto stai con quello lì? » domandò all'improvviso Christian, prendendola in contropiede.
« Quello lì ha un nome. » ribatté punta dal nervoso. « E da quanto stiamo insieme, non sei tenuto a saperlo. » Poi sbatté il bicchiere sul tavolino e lo guardò con odio: « Non siamo qui per un'allegra chiacchierata, mi pare. Avevi detto che mi avresti spiegato il motivo di questa tua entrata in scena a grande effetto. Ebbene? »
Attese con irritazione che Christian finisse di bere con tutta calma il proprio tè e poi si accinse ad ascoltarlo, con espressione scettica in volto.
« Ho il diritto di vedere mia figlia. » esortò tranquillamente. Monique scoppiò in una falsa risata.
« Oh, oh, è da quando sarebbe diventata tua figlia? » domandò con tetro sarcasmo.
« Tu e Tom vi siete messi d'accordo per darmi contro? » sorrise lui perversamente.
« No, semplicemente chiunque ti darebbe contro, razza di idiota. »
« Potresti smettere di insultarmi? »
« Credimi, ti sto insultando per non ucciderti. L'idea mi alletta pericolosamente. »
« Addirittura, mi vuoi così male? »
« Purtroppo, sì. E levati quel sorrisetto irritante dalla faccia, mi viene voglia di spaccartela. »
« Questa violenza da dove salta fuori? Una volta eri così remissiva... »
Monique sbatté con forza una mano sul tavolino, per poi puntargli il dito contro.
« Non – ti azzardare a tirare fuori il periodo in cui stavamo insieme. Sei fortunato a non aver ricevuto una bella denuncia. E ringrazia il mio animo buono, per questo. » sibilò con freddezza, cercando di non alzare troppo la voce, poiché la clientela era più presente del solito, quel giorno. « Cosa mi fa credere che tu sia davvero intenzionato ad instaurare un rapporto con mia figlia, senza secondi fini, eh? »
« Mi fai così losco e calcolatore? » ridacchiò Christian
« Sì. » rispose Monique, secca. « Ormai, da te, mi aspetto di tutto. »
« Ti stai comportando da egoista, lo sai? Un domani la bambina potrebbe voler conoscere il suo papà. Pensa che brutta figura se venisse a scoprire che gliel'hai impedito. »
« O forse mi ringrazierebbe per non averle fatto conoscere uno spocchioso come te. »
« Lascialo decidere a lei, come sono. »
« Nella nostra famiglia, c'è già Tom come figura maschile ed Eveline lo adora. »
« Ma non è suo padre. »
« Che importanza può avere? Intanto lui si prende cura di lei, a differenza tua. »
« E nel caso in cui non te ne fossi ancora accorta, sono venuto a chiederti di fare lo stesso. »
Un'ulteriore pausa da parte di Monique. A parole poteva renderle la situazione dannatamente rosea e poteva dipingersi come la persona dall'animo più buono e dalle buonissime intenzioni. Ma quegli occhi... Quegli occhi troppo fitti di ironia le dicevano tutt'altro.
« Io non ti credo, Christian. » tagliò corto la mora, per poi alzarsi dalla sedia, dopo aver lasciato sul tavolo le monete della propria bevuta. « Ho bisogno di tempo per pensare. » detto questo, se ne andò, senza aspettare che lui replicasse, convincendosi che ciò che aveva fatto era la cosa più giusta.


« Non rompete i coglioni. »
Gustav sospirò pesantemente. Quella era stata l'ennesima risposta da parte del chitarrista, alla singola richiesta di uscire dalla sua stanza.
« Hai intenzione di marcire lì dentro? » domandò a quel punto il biondino, al di là della porta.
« Sì. »
Il batterista non aggiunse altro. Discutere con Tom era altamente inutile.
Intanto, all'interno della sua stanza, Tom era seduto sul letto, a gambe incrociate, con la chitarra in grembo, intento ad improvvisare qualche nota con il suo amato strumento, l'unico in grado di comprenderlo, in quel preciso istante.
Si sentiva furioso da una parte e triste dall'altra. Furioso perché nonostante Monique avesse sbagliato a trattarlo a quella maniera, non si era ancora fatta minimamente viva. Era talmente nero di rabbia che per un momento pensò addirittura che avesse scelto di tornare assieme a Christian e divertirsi a sua insaputa, giusto per togliersi il dente. Poi si ricredeva, poiché sapeva che Monique non era il tipo di ragazza che si comportava a quella maniera e, inoltre, poteva affermare con certezza che lei tenesse a lui; o almeno, così gli aveva sempre dimostrato. Dall'altro lato, invece, si sentiva triste poiché aveva perso ogni sorta di speranza. Non aveva più idea di come mandare avanti quel rapporto, senza farsi toccare da ogni minimo problema, come succedeva ogni qual volta ricominciavano a vivere sereni. Riuscire ad avere una relazione stabile e serena assieme a lei era chiedere troppo?
Buttò uno sguardo al suo cellulare, che teneva poggiato sul comodino, affianco a lui, ma niente. Non squillava, non avvisava dell'arrivo di qualche messaggio. Era muto. Forse era per quello che aveva preso la chitarra, cominciando a strimpellare qualcosa; tutto quel silenzio l'aveva riempito di angoscia ed aveva voluto rimediare, in qualche modo.
Avrebbe potuto porre fine a quell'agonia e chiamarla lui di sua spontanea volontà, ma il suo orgoglio, ancora una volta, pesava più di un macigno. Per una volta, voleva fosse lei a fare il primo passo; lui ne aveva già fatti troppi.


Il colloquio da qualche minuto tenuto con Christian l'aveva agitata ancora di più. Da quando era entrata in macchina, per tornare a casa, non aveva fatto altro che sbuffare seccata. Perché quell'essere spregevole era sbucato nuovamente fuori a complicarle la vita? Andava tutto così bene, fino a quel momento. Ed ora anche la sua storia con Tom se ne stava andando a farsi benedire, ed era l'unica cosa che non voleva accadesse. Aveva un disperato bisogno di lui, di averlo vicino, e se fosse stata privata anche di lui, non avrebbe saputo reggere oltre.
Una volta ferma al semaforo, le mani sul volante fremettero più volte. Era arrivata all'incrocio: svoltando a sinistra, sarebbe tornata a casa, come aveva pianificato sin dall'inizio, avrebbe preparato la cena ed avrebbe atteso l'arrivo di Jessica ed Eveline. Svoltando a destra, invece, avrebbe imboccato la via che l'avrebbe condotta allo studio di registrazione, dove un ragazzo d'oro, forse arrabbiato a morte con lei, attendeva le sue scuse.
Aveva una tremenda voglia di gettarsi fra le sue braccia.
Svoltò a destra.


Non appena udì il campanello trillare, Georg si diresse alla porta, per poi aprirla incuriosito. Al di là di essa trovò, con sua gioia, una Monique piuttosto intimidita.
« Hey! Oh, meno male che sei venuta. Fai qualcosa per quell'ameba chiusa in camera sua, ti prego. » esclamò il bassista, facendosi nel frattempo da parte per farla passare. Monique aggrottò le sopracciglia, non capendo a cosa si riferisse. « Vai da lui e dichiaragli amore eterno. È insopportabile. »
A quel punto, Monique capì di chi stesse parlando.
« E' tanto incazzato? » domandò, quasi timorosa di conoscere la risposta.
« Ti dico solo che mi ha quasi sbattuto il sale in faccia. Non litigate più, se questi sono i risultati. »
A Monique stava quasi passando la voglia di raggiungere il chitarrista in quelle presunte condizioni ma, preso un bel respiro, si incamminò lungo il corridoio, fino a giungere di fronte alla porta della sua camera. Con mano tremante, bussò appena ad essa ed attese.
« Chiunque tu sia, vattene a 'fanculo. »
La voce del chitarrista, proveniente dall'interno della stanza, giunse alle sue orecchie spaventosamente gelida.
« Sono Monique. » disse con voce tremante. Non udì altro; la stanza cadde nel silenzio più totale e lei non seppe cosa fare.
Doveva andarsene? Doveva entrare in ogni caso? Doveva chiedergli prima il permesso?
Era testarda, sì. Entrò.
La stanza non era molto illuminata rispetto al solito. Una luce chiara e poco abbagliante faceva capolino tra le ante della finestra, leggermente aperte, e nient'altro. Tom era seduto sul letto, con la chitarra in grembo e la testa bassa su di essa, ma non suonava nulla. Si era semplicemente immobilizzato, non appena l'aveva sentita. Il cuore della ragazza fece un balzo quando lo vide sollevare lo sguardo su di lei.
« Sei venuta a dirmi che ti sei rimessa con occhioni blu? »
Quella domanda sibilata con così tanto sprezzo la fece raggelare. Ma soprattutto la ferì poiché non credeva Tom avesse una così bassa considerazione di lei.
« E' questo che pensi di me? Che sia una ragazza così facile? » Non le rispose. Semplicemente restarono a guardarsi infiniti istanti, fino a che Monique non gli si avvicinò e si sedette sul materasso, di fronte a lui. « Io vorrei che tu mi ascoltassi. Non mi interrompere però, perché sennò faccio un macello. » disse nervosamente, mentre si torturava le mani riunite in grembo. « La prima volta che sei entrato in casa mia, dopo la nascita di Eveline, avevo il cuore impazzito. Ancor di più il primo giorno in cui vi ho fatti conoscere. Ammetto che inizialmente avevo paura che si affezionasse a te, semplicemente perché conosco mia figlia e conosco te. Lei si affeziona in modo quasi morboso alle persone e tu sei dannatamente tenero. Io ero sicura, al cento per cento, che le saresti subito piaciuto. Quando ci siamo messi insieme, vuoi sapere qual'è stata la prima cosa che ho pensato? Mi piacerebbe tanto essere una famiglia, tutti e tre insieme. » A quelle parole, Tom deglutì a fatica il grosso malloppo che gli si era formato in gola. « Questo per farti capire che tutte le cose che ti ho detto due giorni fa erano solamente delle grandissime cazzate. Se non ci fossi tu, nella mia vita, assieme ad Eveline, non sarebbe la stessa cosa. Non mi alzerei con il sorriso al mattino, non dormirei sonni tranquilli sapendo che mia figlia è al sicuro ed amata anche da te. Io ti voglio con me, Tom. Ti voglio con me ed Eveline, perché so che potrai essere per lei un, se ti fa paura il termine padre, un amico, uno zio speciale. Perché so che la renderai felice e perché... » Prese un bel respiro. « Ti amo. »
Il cuore di Tom sprofondò nel più profondo del suo corpo e non seppe nemmeno dire dove. Il suo fiato si smorzò per attimi che gli parvero infiniti, mentre i suoi muscoli sembrarono all'improvviso intorpiditi, impossibili da muovere. Osservava Monique con occhi quasi sgranati, come non avesse ben inteso ciò che gli aveva detto. Quest'ultima ricambiava il suo sguardo con espressione quasi impaurita, forse timorosa di una qualsiasi sua reazione.
Lei, d'altro canto, fu quasi delusa per il fatto che non seppe dirle nulla e cominciava a sentirsi un'emerita cretina ad essere corsa da lui per dichiarargli tutte quelle cose, senza riflettervi. Sorrise amaramente, abbassando lo sguardo.
« Beh, io... » mormorò, per poi alzarsi dal letto e dargli le spalle, con l'intento di uscire dalla porta, fino a che, a sua insaputa, non si sentì il proprio polso venir chiuso in una delicata morsa calda. Si voltò di scatto e non riuscì nemmeno ad incrociare gli occhi di Tom, poiché quest'ultimo si era già tuffato ad divorare le sue labbra.
Fu forse il bacio più passionale che si fossero mai scambiati da quando si erano messi insieme. Le mani del chitarrista vagavano come impazzite lungo tutto il suo corpo, senza mai fermarsi, mentre le sue labbra le assaporavano la bocca, il collo, gli zigomi, la fronte, ogni cosa.
« Anch'io. » Quel sussurro la fece sobbalzare, poiché non se lo aspettava minimamente. Avrebbe piuttosto scommesso su un suo silenzio; invece quella risposta era arrivata come un fulmine a ciel sereno, cosa che la riempì di gioia, fino a sentirsi mancare.
Lo circondò con le proprie braccia e si lasciò guidare fra le morbide lenzuola.


« Bill, Georg, dai, non mi sembra il caso, andiamocene. » sussurrò imbarazzato Gustav, con la schiena poggiata al muro di fronte alla camera di Tom e le braccia conserte. Il vocalist ed il bassista, erano accucciati proprio da essa, con un bicchiere all'orecchio per entrambi, intenti ad ascoltare tutto ciò che Monique e Tom si stessero dicendo all'interno della stanza del chitarrista.
« Shh, zitto! Mio fratello che ricambia un “Ti amo”, non l'ho mai sentito in vita mia. Fammi godere di questo momento. » cercò di parlare a bassa voce il moro, senza staccare l'orecchio da quella fonte di informazioni.
« Se escono, ci facciamo una figura di merda e io non c'entro nulla! » si impuntò nuovamente Gustav, sbattendo appena un piede per terra.
« Mmm, strano, non sento più nulla. » mormorò ad un tratto Georg. Si scambiò un'occhiata con Bill. « Cosa fanno? Si guardano negli occhi? »
Dopo qualche secondo sentirono un verso piuttosto ambiguo, il quale li fece levare di scatto dalla porta. Dalla fretta, caddero uno addosso all'altro, mentre Gustav prendeva a correre lontano, esclamando “Ve l'avevo detto io!”. Si sollevarono di nuovo ed inciamparono una seconda volta, ridendo a crepapelle, ma cercando al contempo di non fare chiasso. Finalmente riuscirono ad alzarsi e correre via, continuando a sbellicarsi fino a farsi venire il mal di stomaco.
« Non sia mai, non voglio partecipare alla vita sessuale di mio fratello. » esclamò ancora divertito Bill, mentre si asciugavano le lacrime.
« Siete due cretini. » commentò Gustav, sotto le risate di Georg e Bill.


Monique sorrideva appena, mentre la mano del chitarrista giocherellava distrattamente con i suoi capelli. Il petto del ragazzo, sotto il suo viso, si alzava e si abbassava regolarmente, controllato da un respiro tranquillo e rilassato. Il braccio della mora gli circondava l'addome, tracciando con le dita dei semicerchi sulla pelle calda del suo fianco, mentre le loro gambe giacevano intrecciate, sotto le coperte. La seconda mano del chitarrista invece, l'aveva posata sul braccio che lei teneva sul suo addome ed il silenzio pervadeva la stanza. Almeno fino a che Monique non sospirò lievemente.
« Che c'è? » le domandò, abbassando appena lo sguardo sul suo viso.
« Prima ho visto Christian. » A quella confessione, sentì un automatico fremito di stizza, che lo portò a stringerla maggiormente a sé, come per ribadire che era sua. Sua e di nessun altro. « L'ho incontrato al supermarket. » continuò Monique, ricambiando la stretta, come per rassicurarlo. « Mi sono tolta la soddisfazione di insultarlo un po'. » cercò poi di smorzare la tensione e poté sentire Tom sorridere appena.
« Avrei voluto assistere. » mormorò sarcastico. Monique aspettò qualche secondo prima di continuare.
« Dice che vuole fare il padre. » disse. « Ma, se devo essere sincera, non mi convince. »
« Quel sorrisetto da imbecille, di certo, non lo aiuta. » aggiunse il chitarrista, ricordandosi la visita di quello spocchioso, due giorni prima.
« Già. » sospirò Monique. « Però, non so. Ho paura che un domani Eveline mi possa rinfacciare che non le ho fatto conoscere suo padre, quando si è presentata l'occasione. » ammise. « Al tempo stesso però, ho paura di sconvolgerle la vita, dicendole che quell'essere è suo padre. È così piccola. E poi, è così attaccata a te. Un po' mi piace l'idea che ti scambi per suo padre. » Tom ridacchiò appena, schioccandole un tenero bacio sulla tempia. « E' un discorso egoistico, vero? » sorrise la mora, fissando il vuoto davanti a sé, ma senza lasciare quel caldo rifugio tra le braccia del chitarrista.
« No. » sussurrò quest'ultimo. « Piccola, se vuoi farglielo conoscere, fallo. » aggiunse successivamente, ad insaputa di Monique, la quale sollevò lo sguardo sorpreso su di lui. Tom ignorò quegli occhi per non cambiare idea. « Sì, insomma. D'altronde è il padre biologico; nessuno gli può togliere il diritto di vedere sua figlia. »
« A te non da fastidio? » gli domandò curiosa.
« Fastidio? Fosse per me, sarebbe già morto, bruciato. » Monique ridacchiò. « Però è giusto così. Non possiamo pensare solo a noi. Sarà una scelta di Eveline, quando sarà un po' più grande, cosa fare. »
« Hai ragione. È un'idea che non sopporto però. »
« Puoi sempre farglielo conoscere come estraneo, come hai fatto con me. Li fai frequentare un po', vedi che impressione fa su Eveline e, se è il caso, più avanti le dici che è suo padre. »
Monique meditò qualche attimo su quella proposta. A dirla tutta, non le dispiaceva affatto. Eveline era una bambina molto istintiva ed avrebbe scoperto immediatamente se Christian era adatto a fare il padre o semplicemente fosse la persona adatta a stare con lei ogni tanto.
« Penso che farò così. » concluse quindi, rilassandosi nuovamente sul petto di Tom, chiudendo gli occhi. Improvvisamente, il suo cellulare prese a squillare. « Mm, dev'essere Jessica. » mormorò, mentre il chitarrista allungava il braccio verso il comodino per recuperare il cellulare.
« Ciao, simpaticona! » rispose il ragazzo, al posto suo. Monique sorrise appena, godendosi la chiacchierata.
« Tom, sei con Monique? » domandò sorpresa la rossa, dall'altra parte.
« No, l'ho uccisa, ho nascosto il cadavere e mi sono tenuto il suo cellulare. »
Monique, divertita, gli diede un piccolo schiaffo sul braccio.
« Divertente. Allora avete fatto pace? »
« Oh, sì, una pace molto... Piacevole, visto che siamo nudi, nel mio letto. »
« Tom! » esclamò Monique esterrefatta, sollevandosi a sedere sul letto per tirargli un altro schiaffo, più forte di quello precedente.
« Tom, ho Eveline in braccio, non vorrei sentisse le tue assurdità. » commentò Jessica.
« Taooo! » fu la voce della piccola che Tom udì al telefono.
« Ciao, piccolina! » sorrise intenerito.
« Voi lì avete finito o ne avete ancora? » chiese a quel punto la rossa.
« Mah, non lo so, aspetta che lo chiedo a lei. » scherzò Tom, voltandosi poi verso Monique, ma tenendosi comunque il cellulare all'orecchio, in modo che Jessica potesse sentire. « Amore, sei a posto così o vuoi un secondo round? Io sono pronto anche per il terzo e il quarto. » sorrise, sbattendo ironicamente le ciglia con fare eloquente.
« Vuoi vedere che te lo taglio prima del secondo?! » esclamò nuovamente Monique, lanciandogli un cuscino in faccia. Tom scoppiò a ridere, decisamente divertito dalla situazione. « Dammi il telefono. » gli ordinò ancora la mora, ma lui la ignorò.
« Beh, le puoi dire che io ed Eveline stiamo tornando a casa sua per cenare? » parlò Jessica, ormai arresa alla stupidità del ragazzo.
« Ma venite a cena qui, no? Dai, mangiamo tutti insieme, vi aspettiamo! » propose Tom, entusiasta.
« Ma... Prima chiedi a... »
« Okay, perfetto, alle otto qui. A dopo! » chiuse la telefonata prima che la rossa potesse ulteriormente ribattere e si voltò verso Monique, la quale lo fissava con sguardo assassino. « Dai, che mi adori quando faccio così. » sorrise lui, dandole poi un bacio veloce sulle labbra per alzarsi dal letto.


Tutti ascoltavano divertiti i discorsi senza senso di Eveline, la quale chiacchierava per conto suo, mentre Monique la imboccava, a tavola. Tom ridacchiò appena, decisamente intenerito da quella bambina così speciale.
Si era spesso domandato cos'avrebbe provato se Monique ed Eveline avessero deciso di abbandonarlo, e la risposta che si era dato non prospettava decisamente nulla di buono.
« Da domani si ricomincia a lavorare. Era troppo bello starsene in vacanza. » commentò Georg all'improvviso.
« Non ti lamentare. » ridacchiò Monique. « A me spetta una nuova montagna di lettere di fan impazzite e con gli ormoni a palla da tradurre, vogliamo parlarne? »
« Anche tu hai gli ormoni a palla, cara. » la stuzzicò il chitarrista.
« Cota vuol dile? » si intromise nella conversazione la piccola Eveline. Monique, a quel punto, fulminò il ragazzo.
« Essere particolarmente felici, piccola. » cercò di rimediare Tom.
« Allola acchìo ho ommoni a palla. » sorrise la bambina, prima di accogliere un altro boccone di carne nella sua bocca. Tutti i presenti al tavolo scoppiarono a ridere.
« Okay, però non dirlo a nessuno. » commentò Monique, con un'espressione mista tra il divertito e l'imbarazzato.
A quel punto, voltò lo sguardo in direzione di Jessica e notò che quest'ultima cercava con tutte le proprie forze di ignorare quello del vocalist, il quale invece la adocchiava di tanto in tanto. Alla mora venne da sorridere in modo del tutto spontaneo; sentiva che qualcosa si sarebbe evoluto, tra i due.
Improvvisamente però i suoi pensieri furono interrotti dal vibrare inaspettato del suo cellulare, il quale la stava avvisando dell'arrivo di un messaggio. Incuriosita, lo recuperò dalla tasca dei suoi jeans, mentre tutti gli altri attorno parlavano senza minimamente accorgersene, e visualizzò sullo schermo il messaggio.


Domani aspetto te e tua figlia al parco, alle cinque. Metti il tuo orgoglio da parte.
Christian.


Si irrigidì talmente tanto che Tom, affianco a lei, dovette percepirlo, poiché voltò il viso nella sua direzione, con sguardo interrogativo.
« Hey, che c'è? » sussurrò in modo tale che gli altri non lo sentissero.
Monique, senza dire una parola, gli passò il cellulare, permettendogli di leggere una semplice frase che l'aveva ulteriormente turbata.
Un lieve sospiro fu tutto ciò che udì dal chitarrista.

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Capitolo 21
*** Twenty-One. ***


21

Twenty-One.




Ciao, Tom, mi chiamo Jacqueline e sono americana. Non hai mai fatto caso a me, ma io ti ho visto tante di quelle volte, che ormai ho perso il conto. Non riesco ad addormentarmi la sera, senza che il tuo pensiero faccia capolino nella mia mente. Più passa il tempo e più sento il bisogno di conoscerti. Qui sotto ti lascio il mio numero di telefono ed il mio indirizzo, sperando che tu possa farti sentire e conoscermi. Un bacio, J.


Sbatté le palpebre più e più volte.
Era lei la cretina che non riusciva a comprendere l'utilità di quella lettera o era effettivamente così? Non che questa l'avesse sconvolta più delle precedenti, ma spesso si domandava cosa passasse per la testa delle ragazze, nel momento in cui la penna veniva afferrata dalle loro dita. Sul serio era convinta che il chitarrista, il quale non conosceva nemmeno la sua faccia, l'avrebbe chiamata?
« Signore, aiuta queste poverine, ti prego. » mormorò Monique, seriamente preoccupata per la loro sanità mentale.
« Sono i miei occhi che fanno cilecca o stai sul serio parlando con Dio? »
Non appena sollevò lo sguardo, notò proprio il diretto interessato della lettera sulla soglia della porta dell'ufficio di Monique. Quest'ultima sventolò la lettera, facendogli segno di avvicinarsi. Tom ubbidì ed afferrò il figlio di carta, leggendone poi il contenuto.
« Mmm, interessante. » commentò sarcastico, una volta che ebbe finito.
« Tom. » borbottò la mora.
« Stavi pregando perché io non mi segnassi il numero? » domandò il ragazzo, malizioso, mentre si avvicinava a lei, dopo aver posato nuovamente la lettera sul tavolo.
« No, pregavo perché questa povera ragazza non passi le sue giornate ad attenderti alla porta di casa, speranzosa, fino a star male. » rispose Monique, mentre il chitarrista la stringeva da dietro, fino a darle un bacio sulla testa. Quest'ultimo ridacchiò appena.
« E sei io decidessi di far diventare il suo sogno realtà? » Monique si voltò verso di lui, con espressione indagatrice. « Scherzavo. » aggiunse Tom, così che Monique si voltasse nuovamente verso il tavolo, sempre stretta dalle sue braccia.
« Potrei essere gelosa. »
« Potresti? »
« Potrei. »
« Anch'io potrei essere geloso del fatto che oggi ti vedi con Christian. »
Monique si voltò nuovamente verso di lui, mentre lui si staccava da lei per fare il giro del tavolo e tornarle di fronte.
« Mi vedo con Christian? Gli faccio conoscere la bambina, non mi vedo con Christian. » precisò, un po' risentita di quell'affermazione.
« Beh, passerete una giornata al parco, insieme. » continuò il chitarrista, senza guardarla negli occhi, con apparente calma.
« Questo perché non voglio lasciare Eveline da sola con lui. Almeno non la prima volta. » Tom si limitò ad annuire, continuando a non guardarla. Forse, se l'avesse guardata, le avrebbe spiattellato in faccia tutta la verità. Le avrebbe detto che era geloso marcio; le avrebbe detto che non voleva assolutamente che si incontrasse con Christian e che Eveline lo conoscesse. Ma doveva essere comprensivo. D'altronde era stato proprio lui ad incoraggiarla, poiché gli sembrava la cosa più giusta da fare, ma ora si stava pentendo spudoratamente di tutto ciò. « Vieni con me. » propose all'improvviso Monique. Tom sollevò lo sguardo corrucciato su di lei.
« Cosa? » domandò, credendo di non aver capito bene.
« Vieni con me. Stai al parco con noi. Tanto il servizio fotografico è alle due, no? L'appuntamento è alle cinque. D'altronde, sei il mio ragazzo, non vedo perché non dovresti esserci. »
« Non riuscirei a sostenere di nuovo la sua presenza, lo prenderei a pugni. »
« Ci sarò io ad evitare che questo accada. Te lo leggo negli occhi che vuoi venire a marcare il tuo territorio. »
Tom la guardò ridacchiare e riuscì ad ammorbidire i muscoli, lasciandosi andare in un lieve sorriso.
« Posso stuzzicarlo? » chiese, eccitato al solo pensiero.
« Dipende in che modo. »
« Potresti strusciarti addosso a me per tutto il tempo? Godrei come un cane nel vedere la sua faccia. Anzi, facciamo direttamente l'amore su una panchina, davanti a lui? »
Monique scoppiò a ridere, decisamente colpita dalla fantasia del chitarrista.
« Ti devo ricordare che ci sarà anche Eveline? » domandò divertita.
« Ah, giusto. » la sua euforia si spense all'improvviso. « Beh, vorrà dire che gli daremo fastidio in altri modi. » concluse, per poi incamminarsi verso la porta dell'ufficio, per uscire. Proprio qualche secondo prima però si fermò e si voltò nella direzione della mora, con un sorriso furbo in volto. « Avresti fatto sul serio l'amore con me sulla panchina, se non ci fosse stata Eveline? » le domandò interessato.
La mora sollevò lo sguardo sul suo e sorrise maliziosa.
« Può darsi. » rispose. Il chitarrista sollevò le sopracciglia compiaciuto.
« Bene, la prossima volta, so dove portarti. »


« Sicura che sia una buona idea far venire anche Tom con te? » domandò Jessica, piuttosto preoccupata.
Monique sospirò appena. Sapeva di aver azzardato e non poco con quella proposta al chitarrista, ma gli era venuta talmente spontanea, che non era riuscita a controllarsi.
« Sto cercando di auto convincermi di aver fatto la cosa giusta. Per favore, non farmi venire ancora più dubbi di quelli che già ho. » mormorò la mora, decisamente poco incoraggiata da quella domanda.
« Sai com'è fatto Tom e sai anche com'è fatto Christian. Pensi che riuscirebbero a passare un pomeriggio assieme senza mettersi le mani addosso? »
« Confido nel buon senso di Tom. »
« Allora siamo rovinati. »
« Jess! »
« Scusami ma, sinceramente, riesci ad accostare la parola “buon senso” al nome “Tom”? Ti prego, sii oggettiva. »


« Okay, sposta un po' la testa a sinistra. Così, perfetto. »
Gustav Shäfer odiava terribilmente posare per un servizio fotografico. Più il tempo passava, più si domandava cosa ciò potesse c'entrare con il reale lavoro che aveva scelto di fare: il musicista. Che bisogno c'era di farsi scattare tutte quelle foto?
Nel frattempo, dall'altra parte della stanza, Tom Kaulitz fremeva dall'agitazione per tutto un altro motivo.
« Bill, non sono sicuro di riuscire a trattenermi. Oggi, quello, lo stendo. » borbottò, continuando ad osservare le mosse del batterista, a qualche metro da lui.
« Tomi, non fare cazzate. » ribatté tranquillamente il vocalist, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
« Certo, è facile, per te, dirlo. »
« Beh, allora, sappi che se esce un solo giornale con le foto di te e Christian che vi prendete a botte, non ti lascerò nemmeno il tempo di guardarle e darti del coglione da solo. »
« Sai, non è con le minacce che mi aiuti. »
« Oh, ma io non ti ucciderò se anche tu terrai le tue manine a posto. »
Il chitarrista scoccò una veloce occhiata in direzione del moro e poi tornò a concentrarsi su Gustav. Prevedeva una giornata decisamente lunga e faticosa.


Non appena il campanello trillò, Monique si precipitò alla porta, ad aprire. Il chitarrista comparve da dietro essa e le sorrise amorevolmente, prima di schioccarle un bacio sulle labbra.
« Pronta? » le domandò, dopo aver richiuso la porta.
« Sì. Aspetta, che mi metto la giacca. Tu intanto prendi Eveline. »
Tom obbedì e si avvicinò al divano, dove sedeva la bambina, intenta a giocare con il proprio pupazzo.
« Hey, piccina. » le sorrise, chinandosi appena, per guardarla negli occhi. Eveline sorrise contenta.
« Tao. » rispose.
« Vieni in braccio a Tom, così andiamo al parco? » le domandò con dolcezza. La morettina annuì entusiasta ed allungò le braccia verso di lui, il quale la prese da sotto le ascelle e se la poggiò su un fianco. Sorrise non appena la bambina gli circondò il collo, stringendosi a lui.
Il suo cuore sembrava impazzito. Era sempre un'emozione unica vedere come Eveline si era affezionata a lui.
« Andiamo? » fece Monique, per poi uscire di casa sorridente, assieme alla sua... Famiglia.


Tom guidava con apparente tranquillità. Affianco a lui, Monique osservava distrattamente il paesaggio che sfrecciava veloce accanto a lei, mentre Eveline, sul seggiolino dei sedili posteriori, faceva uno dei suoi soliti discorsi senza senso, ma divertenti.
« Mi sento un padre che porta la sua famiglia al parco. » disse all'improvviso Tom in un lieve sussurro, così che lo sentisse solo Monique, mentre un sereno sorriso era dipinto sulle sue labbra. « E ti dirò di più: mi piace. » ridacchiò successivamente, smuovendo anche la mora.
« Anche a me piace. » mormorò lei, per poi sentire la propria mano venire racchiusa nella stretta dolce e protettiva di quella di Tom.
« Arrivati. » annunciò all'improvviso lui, accostando e spegnendo poi il motore. « Forza e coraggio. » aggiunse prima di infilarsi gli occhiali da sole, il cappellino di lana e la sciarpa, per evitare che qualche fan impazzita o paparazzi vari lo riconoscessero. Fece il giro dell'auto per prendere in braccio Eveline e poi, assieme a Monique, si incamminò all'interno di quell'enorme ed affollato parco.
Bambini di ogni età correvano da una parte all'altra, sperimentando tutti i tipi di giochi che trovavano a disposizione, mentre i genitori sedevano alle panchine, intenti a chiacchierare e fare conoscenza.
« Dovrebbe essere qui, da qualche parte. » borbottò Monique, guardandosi attorno.
« Beh, noi intanto rilassiamoci e godiamoci questa giornata. Quando arriva, arriva. »
« Chi alliva? Tia Gege? » domandò all'improvviso la bambina, con le braccia strette al collo di Tom.
« No, tesoro, Jessica ha da fare. » rispose la madre.
« Arriva un... Vecchio amico della mamma. » intervenne Tom. Come scusa sembrò bastare, perché la piccola non disse altro. Semplicemente tornò ad osservare il parco in silenzio. « Vuoi camminare un po'? » le chiese all'improvviso il ragazzo.
« Tì. » rispose la morettina, prima di essere posata gentilmente a terra. Tom le prese la piccola manina e tornò a camminare con lei al seguito, mentre Monique sorrideva intenerita.
« Sei tremendamente bello e dolce da vedere. » mormorò rossa in viso. Tom si voltò verso di lei e le sorrise teneramente; allungò un braccio e le circondò le spalle, avvicinandola a sé. Le schioccò un bacio sulla tempia e continuò a camminare senza lasciarla andare.
« Io sono sempre bello e dolce da vedere. » le sussurrò all'orecchio, causando una leggera risata nella mora.
« Ma che allegra famigliola. »
A quell'affermazione, entrambi si voltarono, come scottati. A Tom venne spontaneo riprendere in braccio Eveline, la quale si strinse a lui più forte del solito.
Christian sostava di fronte a loro, con le mani in tasca ed uno strano ghigno sulle labbra.
« Ciao. » cercò di risultare civile Monique.
« Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui. » commentò sprezzante il biondo.
« Sai, è il mio ragazzo e può venire ovunque egli voglia. » ribatté Monique, senza apparentemente scomporsi.
« Oh, certo, certo. Il tuo nuovo ragazzo. »
« Beh, se hai finito, ti faccio conoscere mia figlia. » Christian non rispose, quindi Monique afferrò Eveline dalle braccia di Tom. « Amore, lui è il mio amico di cui ti parlavamo prima. Christian. »
Tom sentì una tremenda fitta di gelosia, solamente nell'istante in cui quelle due paia di occhi blu, identici entrarono in contatto. Ci fu un attimo di silenzio, da parte di tutti, in cui si poteva udire solamente lo schiamazzare degli altri bambini, attorno a loro.
« Ciao. » salutò il ragazzo in direzione della piccola. Non un sorriso, non un sguardo affettuoso. Semplicemente freddezza, come stesse parlando con una sua coetanea che non aveva niente a che fare con lui.
L'espressione di Eveline immediatamente mutò e si strinse maggiormente alla mamma, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Per forza, pensò Tom, una freddezza del genere può solo spaventarli, i bambini.
« Su, Eve, saluta. » la incoraggiò Monique.
« Sa parlare questa bambina? » chiese scocciato il ragazzo.
« Non ti permettere. » intervenne Tom.
« Nessuno ti ha interpellato. »
« Ci calmiamo, per favore? La bambina è già agitata. » disse Monique, mentre carezzava la schiena della piccola, la quale si stringeva a lei sempre più forte. « Dai, Eve, tranquilla, non ti mangia mica. » cercò poi di calmarla.
La morettina, con sguardo quasi spaventato, si voltò verso Christian. Sembrava stesse per piangere.
« Tao. » sussurrò, impercettibilmente.
« Posso metterti giù? » le domandò quindi Monique, con dolcezza. Eveline non disse nulla, perciò la mora la poggiò piano a terra.
« Quanti anni hai? » le domandò privo di interesse Christian, nonostante lo sapesse perfettamente. Eveline sollevò due dita. « Hai già due anni e non parli? »
Eveline aggrottò le sopracciglia e si strinse alla gamba di Monique.
« Ma lo fai apposta a farla sentire a disagio? » gli domandò la mora, decisamente scocciata.
« Cosa le avrò mai detto? » ribatté Christian.
La giornata andò avanti allo stesso modo e sembrava la situazione volesse addirittura peggiorare ogni secondo di più. Monique vedeva perfettamente quanto Christian non piacesse a sua figlia e un po' la cosa, egoisticamente parlando, la risollevava. Era tremendamente gelosa di un loro possibile rapporto e sapeva che anche a Tom dava fastidio l'idea.
Aveva persino provato a lasciare Eveline un po' da sola con il padre, ovviamente a pochi metri di distanza, ma subito la piccola l'aveva di nuovo cercata.
Intanto non era passato attimo in cui il chitarrista non avesse provato soddisfazione nell'infastidire Christian, schioccando qualche bacio a Monique, tenendola per mano o abbracciandola di tanto in tanto. Voleva ad ogni costo farlo sentire inappropriato. Voleva ribadire in ogni maniera che loro due, anzi tre, avevano già trovato un proprio equilibrio, che stavano bene così e che non c'era assolutamente bisogno che lui arrivasse a guastare quella quiete.
Apparentemente stava funzionando perché il ragazzo era sempre più scocciato della presenza di Eveline e soprattutto di quella di Tom. Si vedeva benissimo che moriva dalla voglia di scollarsi di dosso la bambina, nonostante fosse proprio quest'ultima a sentirne particolarmente il bisogno, e di prendere il chitarrista a botte, o semplicemente andarsene.
Non appena il sole calò e giunse l'ora di cena, finalmente Christian ritenne opportuno finire lì quella messa in scena.
« Io me ne vado. » esortò all'improvviso, tanto che Monique e Tom si scrutarono allibiti. « Direi che ho perso fin troppo tempo. »
« Sei stato tu a darmi appuntamento qui. » precisò Monique, piuttosto scocciata.
« Sì e preferirei non averlo fatto. »
« Se non ti piacciono i bambini, avresti dovuto metterlo in conto, prima di venire a fare casino a casa mia. »
« Pensavo fosse meno pesante il lavoro di genitore. »
« Meno pesante? Ma in che razza di mondo vivi? »
« In uno in cui i bambini non esistono e si sta a meraviglia. Avrei fatto meglio a non tornare. Avevo fatto bene ad andarmene, due anni fa. »
« Benissimo, allora vedi di non farti mai più rivedere! »
« Non sarà un problema. »
Detto questo, le diede le spalle e se ne andò. Monique strinse i pugni e cercò di reprimere il pericoloso istinto omicida che ormai aveva preso piede nel suo corpo.
« Ma tu guarda che razza di... Animale. Ha anche provato a dare la colpa a me. Come se avessi voluto io fargli conoscere Eveline. » mormorò la mora, mentre Eveline si era ormai addormentata in braccio a Tom, il quale le si avvicinò appena.
« Hey, non ci pensare. L'importante è che ce lo siamo tolti di mezzo. » la incoraggiò con voce calda e dolce, per poi darle un tenero bacio sulla tempia. « Hai visto che il mio piano ha funzionato? » si vantò poi fiero, facendo scoppiare a ridere finalmente Monique.


Quando entrarono allo studio di registrazione, poiché David aveva pregato Monique di fermarsi con Eveline, visto che non vedeva la bambina da un bel po' di giorni, sentirono un tonfo improvviso, un rumore di vetri in frantumi e dei passi affrettati. Fecero appena in tempo a notare una Jessica mezza nuda affrettarsi a chiudersi in bagno, proprio dopo essere uscita dalla stanza di Bill. Monique e Tom si scambiarono un'occhiata perplessa e poi il ragazzo le fece segno di aspettare, mentre lui raggiungeva la camera di suo fratello.
« Bill? » domandò una volta affacciatosi all'interno, dove notò il vocalist tirarsi velocemente su i pantaloni. « Che diamine stai facendo? » chiese di nuovo, questa volta con un sorrisetto malizioso sul volto.
« Ehm, io – vedi, io... » balbettò il ragazzo ma, prima che potesse completare la frase, Tom scoppiò a ridere e si fiondò su di lui per abbracciarlo e saltellare.
« Finalmente l'abbiamo fatto uscire dalla tana, fratellino! Gli abbiamo fatto prendere un po' d'aria! » esclamò, decisamente divertito. Bill, invece, era sempre più imbarazzato e combatteva con tutte le sue forze per farsi lasciare.
« Smettila! Ti sentono, cretino! »


Dopo aver poggiato Eveline ancora dormiente sul divano, Monique corse in bagno, dove si era chiusa precedentemente la rossa. Entrò in fretta e furia, senza bussare, per poi richiudersi la porta alle spalle ed osservare la sua amica con espressione maliziosa e curiosa al contempo.
« Voglio tutti i particolari più sconci che tu possa trovare! »


A tavola, Jessica e Bill erano seduti uno accanto all'altra ma muti come due tombe. Completamente imbarazzati, non si decidevano a sollevare lo sguardo dal proprio piatto o semplicemente intrattenersi in una conversazione con gli altri componenti della tavolata.
La felicità di Monique non era quantificabile; il suo sorriso partiva da un orecchio e le arrivava all'altro, ripensando al racconto della rossa, di qualche istanti prima.
Bill e Jessica avevano finalmente trovato l'occasione di dichiararsi l'un l'altra e, presi da una violenta scarica di eccitazione, si erano gettati fra le coperte, pronti a cominciare una lunga e passionale danza carnale.
Monique era semplicemente sorpresa dalla velocità con la quale si erano messi insieme quei due, se paragonata alla lentezza madornale che invece avevano impiegato lei e Tom, solo per capire di piacersi.
« Allora, Eve, ti sei divertita oggi al parco con mamma e Tom? » domandò all'improvviso David, mentre si portava alla bocca un po' di pasta.
« Clitan cattivo. » borbottò la piccola, gonfiando le guanciotte.
« Clitan? » domandò David corrugando la fronte, mentre si voltava a guardare Monique e Tom, come alla ricerca di una spiegazione.
« Christian. » gli venne in contro Monique. « Non le ha fatto un buon effetto. Ancora una volta si è rivelato per quello che è. »
« Beh, meglio così, no? Meno problemi. » ridacchiò Georg.
« Quello sicuro. » intervenne Tom, piuttosto convinto, mentre Monique gli posava una mano sulla sua.
« Amore. » sorrise teneramente.
« Quindi, stavolta, se n'è andato definitivamente? » si informò Gustav.
« Così sembrerebbe. » rispose la mora, tornando poi a mangiare.
« Tom e Bill tono flatelli, mami? » domandò all'improvviso la morettina, tirando appena la maglia della madre. Monique si voltò verso di lei e sorrise.
« Sì, tesoro, perché? »
« Io ho flatelli? »
Monique si scambiò una veloce occhiata con Tom, il quale aveva un'espressione perplessa in volto, e poi tornò a concentrarsi sulla bambina.
« Ehm, no... » rispose, non ben sicura di ciò che avrebbe potuto dirle.
« Allola lo voio acchìo. » concluse decisa la piccola, prima di spalancare nuovamente la bocca, in attesa di un nuovo boccone che Monique le avrebbe dato. Quest'ultima restò qualche istante con la forchetta a mezz'aria e gli occhi semi-sgranati, mentre le guance avevano preso ad imporporarsi violentemente.
« Hai capito, Tom? Mettiti al lavoro. » disse Georg con malizia, ricevendo in cambio un potente calcio allo stinco, che lo fece letteralmente piegare su se stesso, reprimendo una bestemmia.
« Pecché Tom? » domandò ingenuamente la bambina, dopo aver ingoiato.
« Perché dipende solo da lui l'arrivo del tuo fratellino. » sorrise amabilmente il bassista, beccandosi un ulteriore calcio, che lo fece piegare una seconda volta, con le lacrime agli occhi. Eveline, completamente ignara della lieve tensione che si era venuta a creare attorno, si voltò alla sua destra, buttando lo sguardo oltre la sua mamma, per arrivare a Tom.
« Tom, mi dai un flatellino? » domandò, con sguardo languido. Tom fu semplicemente ipnotizzato da quegli occhioni blu, così teneri, così pieni di speranza che lo scrutavano interamente. Si ritrovò a balbettare, non sapendo cosa rispondere, così si affrettò a venirgli in contro David.
« Beh, in attesa del fratello, magari Bill e Jessica ti fanno un amico. »
Questa volta la pedata partì da Bill e l'obiettivo, finalmente, non fu Georg.


Tom osservava Monique fare avanti e indietro per la stanza, intenta a prepararsi per infilarsi nel letto assieme a lui e dormire serenamente. La osservava rapito, mentre si spalmava la crema in faccia, mentre tornava in bagno per lavarsi i denti, mentre si spogliava per rimanere in intimo. Amava ogni cosa di lei, anche la più piccola. Era lentamente diventata come una droga, non avrebbe più potuto farne a meno.
« Ti amo. » soffiò timidamente. Ancora non si era abituato a pronunciare quelle due paroline così semplici all'apparenza, ma così difficili se pesate. Monique si voltò verso di lui sorpresa, trovandolo già sotto le coperte con la testa poggiata alla mano, intento ad osservarla con un tenero sorriso sul volto.
« Anch'io, amore. » rispose, rossa in viso. Nemmeno lei si era ancora abituata a quel particolare scambio di affetto.
« Vieni qui. » le disse poi lui, battendo appena una mano sul materasso, proprio accanto a sé. Monique, intenerita, sorrise e si avvicinò, fino a salire sul letto, nascondersi sotto le coperte e stringendosi poi al corpo piacevolmente caldo del chitarrista, il quale la avvolse con le proprie braccia, avvicinandosela il più possibile, mentre le baciava la fronte più volte, delicatamente e lentamente. « Pensavo... »
« Ahia. »
« Cosa? »
« Quando pensi, sei pericoloso. » Tom, senza dirle niente, con un tenero sorriso, le morse appena una spalla nuda, facendola sobbalzare fra le sue braccia. « Ecco, appunto. » ridacchiò la ragazza, dopo un gemito contrariato. « A che pensavi? » si informò quindi, incuriosita.
« Alla richiesta di Eveline. » ammise Tom. Monique corrugò la fronte e voltò il viso verso di lui, senza staccarsi dalla sua presa.
« L'ho detto io che pensare ti fa male. » commentò la mora, tornando a rilassarsi con la testa sul cuscino, mentre il chitarrista continuava a stringerla da dietro.
« Guarda che sono serio. » borbottò lui. « Amore, hai visto con che occhi me l'ha chiesto? »
« Sì ed erano gli stessi che usa quando siamo in un negozio e vuole che le compro qualcosa. »
« Ma un bambino è diverso. »
« Ed è proprio per questo che non ci devi pensare. È troppo piccola per capire quanto serio possa essere decidere di far nascere un altro essere umano. È ovvio che per lei è semplice; lei pensa sia come, appunto, un pupazzo: arriva appena lo vuole, ma non è così. » Si prese qualche momento di pausa, per poi voltarsi completamente verso di lui. « Tom, stai pensando ad un figlio? » domandò sconcertata.
« No. Cioè... Non lo so. » mormorò imbarazzato.
« Oh mio Dio. »
« In tutta onestà... Non mi darebbe fastidio. »
Monique lo osservò con occhi sgranati per qualche istante.
« Tom, il fatto non è non darebbe fastidio, è ricominciare da capo con pannolini ed una nuova vita da crescere, assieme ad un'altra bambina piccola. E poi, tu hai il tuo lavoro, te lo devo ricordare? »
« Che c'entra ora il mio lavoro? Come riesco a stare dietro ad Eveline, riuscirei a stare dietro ad un altro bambino. »
Monique sospirò e si alzò appena, per scrutarlo bene in faccia.
« Tom, tu mi stai seriamente dicendo che vorresti un bambino? » gli domandò, decisamente incredula, ma con la giusta serietà. Voleva capire alla perfezione cosa stesse passando per la testa del moro.
« Beh, mi piacerebbe averne uno nostro. Che assomigli a me e a te. » rispose, carezzandole appena la pancia.
« Ma c'è già Eve. »
« E le voglio un gran bene, ma non è nostra. È tua e di Christian; io sto solo facendo quello che dovrebbe fare lui, ma non mi chiamerà mai papà, capisci? »
« Ma lei è affezionata come se lo fossi. »
« Ed io sono felicissimo per questo, credimi, ma... Perché non averne anche uno nostro? Non ti piacerebbe? »
Monique si prese ancora qualche attimo, per poi sospirare e rimettersi giù, stringendosi nuovamente a lui, mentre le loro gambe si intrecciavano sotto alle lenzuola.
« Ma certo, certo che mi piacerebbe, Tom. Però, voglio dire, è una cosa seria. Ne sei davvero sicuro? Riusciresti a stare dietro a due bambini, con il tuo lavoro? » mormorò contro la pelle nuda del suo petto.
« Vi porterei ovunque, sempre con me. E comunque non è una cosa che dobbiamo decidere ora. Non ho detto che voglio questo bambino domani, anche perché sarebbe tecnicamente impossibile. » riuscì a far ridacchiare la mora. « Però, insomma, se devo guardarci insieme, un domani, ci vedo con Eveline ed un bimbo o una bimba nostri. Insomma, mi piacerebbe. »
Monique era semplicemente spiazzata da quel discorso. Non si sarebbe mai aspettata di sentire il suo ragazzo fare discorsi del genere. Non poteva credere che un tipo come Tom potesse già pensare ad un bambino tutto loro, ma non poteva nascondere che la cosa la riempiva di gioia, perché era l'ennesima conferma di quanto tenesse a lei.
« D'accordo, Tom. Avremo anche un bambino tutto nostro. » sussurrò serenamente, prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi fra le sue braccia.

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Capitolo 22
*** Epilogue. ***


epilogo

Epilogue.




Un altro anno era passato così in fretta che persino lei faticava a credere con quanta facilità lei e Tom stavano portando avanti il loro rapporto, senza mai cedere, senza mai farsi prendere dallo sconforto. Nient'altro aveva intaccato la loro quiete, il loro equilibrio, il loro amore. Avevano vissuto quei mesi, prendendosi insieme cura di Eveline come una vera famiglia, finalmente degna di quel nome. Avevano vissuto con il sorriso ad illuminare i rispettivi volti, a dispetto di chiunque volesse loro del male.
Tom si era ormai stabilito a casa della mora definitivamente; non aveva senso per entrambi fare avanti e indietro fra casa e studio di registrazione per dormire assieme. Avevano intenzione di passare insieme ogni singolo attimo della loro vita, ogni singolo istante della loro felicità e della loro intimità.
Bill e Jessica, proprio come loro, sembravano ubriachi d'amore. Non vi era secondo che non si scambiassero un dolce e casto bacio, magari incontrandosi lungo il corridoio, per poi sparire uno in bagno e l'altra in cucina. Erano tremendamente dolci e Monique poteva condividere la stessa identica gioia della sua migliore amica, nel vederla finalmente serena, assieme a qualcuno che le voleva veramente bene. Anche il vocalist si era sistemato quasi definitamente a casa della rossa: era solo questione di poco tempo, Tom e Monique lo ripetevano in continuazione.
Georg era fidanzato da circa tre mesi con una bellissima ragazza di origine dominicana. Nulla di particolarmente serio; si vedevano saltuariamente e lontano dallo studio di registrazione. Non volevano ancora rendere le cose troppo ufficiali e a Georg stava bene così.
Gustav? Beh, Gustav si era innamorato perdutamente di una commessa che aveva incontrato da qualche settimana in un supermercato. Chiunque si era accorto che da giorni, nello studio di registrazione, la spesa non mancava, anzi, non vi era più spazio in cucina per contenerla. Gustav era fatto così. Accecato dall'amore non guardava in faccia a nessuno; agiva d'impulso. E forse fu proprio questo che gli spezzò maggiormente il cuore: quella famosa Lily, della quale parlava in continuazione, era già fidanzata e, ovviamente, non ricambiava i suoi sentimenti. Quando il batterista lo venne a sapere, fu un duro colpo per lui, ma riuscì a riprendersi a tempo record, grazie al suo nuovo amore: una giovane cocorita, regalatagli da Georg, per pura disperazione. Per lo meno, passava il suo tempo a darle da mangiare, a farle qualche coccola e parlarvi come fosse una persona. Qualunque soluzione avrebbero gradito tutti, purché dimenticasse Lily.
Eveline ormai aveva tre anni e Monique, a malincuore ma sotto incoraggiamento di Tom, l'aveva iscritta in un asilo, poco distante da casa, dove sembrava la piccola si trovasse bene e avesse stretto amicizia con tanti bambini dolcissimi, esattamente come lei. Quella parte della sua vita aveva segnato per Monique come un salto importante: per la prima volta si separava da sua figlia, anche se per poche ore, e la cosa i primi tempi l'aveva resa tremendamente triste, benché con il passare dei mesi si fosse resa conto che Eveline stava piano piano crescendo e sarebbe arrivato il momento, più in là, di separarsi da lei, magari con la maggiore età.
Tom non era mai venuto meno ai suoi doveri, alle sue promesse, ed era riuscito a bilanciare lavoro e famiglia, senza combinare danni, come suo solito. Le volte in cui aveva dovuto tenere dei concerti assieme alla band, si era portato dietro anche Monique (anche se per forza di cose, visto che lavorava ancora come interprete) ed Eveline, poiché ormai non riusciva a stare lontano da quella bambina.
Ormai tutto il mondo conosceva la sua situazione sentimentale, ma mai aveva permesso ai media di scavare a fondo, fino ad arrivare ad Eveline. Quella bambina sarebbe stata intoccabile e non sarebbe mai stata turbata da quel mondo, di cui lui faceva parte e che non sempre gli andava a genio. Monique gliene era stata semplicemente grata.
Christian era sparito dalla circolazione. C'era chi mormorava fosse su un'isola a prendersi il sole con qualche ballerina mulatta, ma erano solo voci. E inoltre a Monique e Tom questo non interessava.
I genitori di Monique e quelli di Tom si erano conosciuti ed avevano instaurato un profondo legame, tanto che Monique si era ritrovata a lamentarsi con Ester, per il fatto che non riuscisse mai a trovarla, quando le telefonava, poiché passava le ore a chiacchierare con Simone, scambiandosi ricette per la cucina e segreti per un pulizia impeccabile della casa. E la bolletta telefonica aumentava a dismisura, anche se non sembrava turbare più di tanto sua madre. Ovviamente Monique era semplicemente contenta di quel rapporto che si era venuto a creare fra loro, nonostante la lontananza. Persino suo padre Alfred si era sciolto di più, da quando aveva conosciuto Gordon e spesso partivano insieme per piccole gite in montagna, a parlare di donne, figli e passioni.
Simone trattava Monique come una vera figlia e, ogni volta che andava a trovare i gemelli, portava un regalo a lei e ad Eveline, la quale aveva preso l'abitudine di chiamarla “Nonna Simo”.
Ma la vera novità sostava nel ventre di Monique. Sesto mese di gravidanza. La sua pancia aveva preso a gonfiarsi lentamente, facendola tornare con i ricordi agli anni passati, quelli in cui Tom apparentemente la detestava, ma si prendeva cura di lei e della sua gravidanza. Inutile dire quanto il ragazzo fosse premuroso, ora.
Dopo la conversazione di un anno prima, tenuta nel letto del chitarrista, riguardo un figlio tutto loro, non ne avevano tenute altre. Eppure Monique si accorgeva delle piccole “sviste”, come le chiamava il chitarrista, mentre facevano l'amore. Sapeva che il ragazzo stava provando in tutti i modi a concepire un bambino e che quelle non erano decisamente sviste, ma fatti programmati e studiati a tavolino, e la cosa l'aveva intenerita parecchio, anche se aveva sempre fatto finta di non accorgersi di nulla. Poi venne il giorno in cui scoprì di essere nuovamente incinta – ebbene sì, Tom ci era finalmente riuscito! - e poteva ricordare alla perfezione le lacrime di gioia che per la prima volta avevano ricoperto il volto del chitarrista.
« Se è maschio, Brian! Se è femmina, Ingie! » aveva immediatamente deciso Tom, soffocato ancora dai singhiozzi, facendo scoppiare a ridere Monique, ancora stretta fra le sue braccia.
E così ora era di nuovo incinta, con la differenza che quella gravidanza le stava dando meno problemi di quella precedente, forse perché questa volta non era più una ragazzina immatura che ripudiava i bambini. Questa volta voleva anche lei un figlio da Tom.
« Dunque, se esce fuori Brian, potrò insegnargli un sacco di trucchetti per far cascare ai suoi piedi metà popolazione femminile; poi se sarà bello come il suo papà, non sarà un problema. » aveva parlato una sera a tavola il ragazzo, troppo impegnato con i suoi discorsi per accorgersi che la pasta si era ormai raffreddata nel suo piatto. Monique, seduta di fronte a lui, sorrideva spensierata. Era adorabile e mai avrebbe creduto di vederlo così entusiasta, all'idea di diventare padre. « Se esce fuori Ingie e sarà bella come te, invece, sarà un problema, perché gli avvoltoi saranno sempre in agguato ed io dovrò girare con la mazza da baseball. A proposito, me ne devo procurare una. » continuava a confabulare più con se stesso che con Monique, la quale era sempre più divertita dalla situazione. « Ah, per la cronaca, sia Ingie che Eveline non devono sapere cosa sia il sesso fino ai vent'anni. » aggiunse risoluto. A quel punto, aveva sollevato le sopracciglia, decisamente compiaciuta.
« Fammi capire bene, Brian diventerà un porno star all'età di dodici anni, come il suo papà, e Ingie ed Eve caste ed illibate fino al matrimonio? Che discorso maschilista. »
« Semplicemente perché so cosa passa per la testa a noi ragazzi quando vediamo passare una bella donzella sotto le nostre grinfie. »
Monique aveva sorriso e si era alzata dalla sedia, facendo il giro del tavolo per avvicinarsi seducente al ragazzo.
« E cosa passa per la testa a voi maschietti, sentiamo? » aveva sussurrato sensualmente, sedendosi poi sulle sue gambe, mentre con le braccia gli avvolgeva il collo, avvicinandolo pericolosamente a sé. Tom aveva deglutito pesantemente.
« Meglio se non te lo dico. Se vuoi, te lo dimostro con la pratica. » aveva poi sorriso sghembo.
Tutto ciò era accaduto il primo mese di gravidanza e Monique era sempre più divertita dalla situazione.
Ma ora?
Ora erano stravaccati tutti insieme su quel divano, intenti a guardare la televisione. Monique accoccolata fra le braccia di Tom, il quale di tanto in tanto le carezzava il ventre gonfio e le schioccava qualche bacio sulle labbra, ed Eveline dormiente con la testa poggiata sulle gambe del chitarrista, che le faceva deliziosi grattini dietro la testa, conciliandole il sonno.
Ed infine, una piccola creatura che lentamente andava a formarsi nel corpo della ragazza che amava. Una piccola creatura testimone di quella serenità e frutto del loro amore. Una piccola creatura che, assieme ad Eveline, avrebbe rafforzato ancora di più il loro rapporto, sancendo finalmente la nascita di una vera famiglia.
Un piccola creatura... Di nome Ingie.






The end.





Ed eccoci arrivati alla fine anche di questa storia. Inutile dire quanto io l'abbia presa a cuore e quanto impegno io vi abbia messo per portarla avanti. Non è stato facile scriverla, lo devo ammettere, ma spero di essere riuscita nell'intento. Lo devo comunque a voi, che mi avete sostenuto, che mi avete riempito di gioia con le vostre parole, che avete avuto, diciamo così, fiducia in me.
Vi dico che avrebbe dovuto avere un altro tipo di finale, molto più drammatico, ve lo posso assicurare, ma alla fine non ce l'ho fatta, per il semplice motivo che penso che Tom e Monique (ormai ne parlo come fossero persone reali) ne abbiano già passate troppe; li ho fatti sudare abbastanza prima di farli mettere assieme e far trovare loro un po' di pace. Non mi è sembrato giusto porli davanti ad un'ulteriore tragedia: beh, ve lo dico, Monique sarebbe dovuta morire per un tumore ed Eveline crescere assieme a Tom; così era deciso sin dall'inizio di questa storia. Ma non me la sono proprio sentita. Quindi ho preferito diminuire i capitoli ma dare un finale più felice. Mi è già capitato altre volte di cambiare finali all'ultimo momento per una sorta di... Animo buono? Debole? Mah, non saprei come definirlo, ma comunque, questo è quanto.
Vi ringrazio dal più profondo del cuore, penso che senza di voi non andrei avanti in quello che faccio. Certo, scrivere è la mia passione e non potrei stare senza perché è anche una sorta di sfogo, ma vedere il vostro riscontro è davvero soddisfacente e non c'è cosa più bella. In particolare, grazie a tutte le splendide persone che hanno recensito fino ad ora, grazie alle 42 che hanno inserito la storia fra i preferiti, alle 5 nelle ricordate, alle 50 nelle seguite e alle 57 che hanno inserito me negli autori preferiti. Davvero, non sapete quanto mi rendiate felice. Spero mi lasciate ulteriori commenti, magari dettagliati, per questo epilogo, per le vostre impressioni sulla storia in generale. Mi aiuta a capire cosa faccio giusto e cosa sbagliato.
Al momento ho bisogno di prendermi una piccola pausa, prima di pubblicare altre storie. Quando arrivo alla fine di una Fanfiction è come volessi tirare un momento un sospiro di sollievo, come dopo una maratona; ho bisogno di riprendermi un attimo, sembrerà assurdo ma è così. Vi dico solo che sto lavorando su altre storie, in particolare su una, della quale ho già delineato tutta la trama, compreso il suo sequel, anche se penso che prima di pubblicare un'altra serie, pubblicherò una semplice Long, senza sequel, né niente... Magari anche meno impegnativa, un po' più leggera, ecco. Vedrò come mi andrà di fare.
Ricordatevi comunque di me!
Vi rendete conto che sto continuando a scrivere come non volessi staccarmi da questa storia? Vi rendete conto di quanto sto messa male?
La verità è che mi dispiacerà non sentirvi per un po'.
Vabbè, ora evaporo sul serio, prima che mi vengano lanciati addosso pomodori. Vi aspetto nelle mie prossime creazioni che, vi assicuro, non mancheranno =)
Un bacio a tutte, dalla prima all'ultima!





Kyra.

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