All the things he said

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Die, die, die my darling ***
Capitolo 2: *** Bailamos ***
Capitolo 3: *** Walk away ***



Capitolo 1
*** Die, die, die my darling ***


ATHS - Die my darling -Autore: Rota
-Titolo: All the things he said – Die, die, die my darling
-Fandom: Axis Powers Hetalia
-Personaggi/Pair: Russia/Ivan Braginski, America/Alfred F. Jones; RusAme
-Numero Musa: 1 – Melpomene  
-Genere: Introspettivo, Drammatico
-Rating: Giallo
-Avvertimenti aggiuntivi: One shot, Yaoi, AU, What if…?
-Commento: Il titolo della raccolta che inizio è la ripresa del singolo delle T.A.T.U. “All the things she said”, mentre il titolo di questo primo capitolo è la ripresa di un singolo dei Metallica, ripreso però pari pari.
Dunque, la parola chiave da me scelta è “destino” e questo deve essere preso in relazione con il personaggio di Ivan. Ivan è, molto semplicemente, un bambino un po’ troppo cresciuto, un bambino egoista e parecchio testardo. Nella sua visione – come spero si capisca nella mia ff – imporre la propria volontà come una volontà superiore e assoluta è un fatto quasi naturale, tanto che per lui è NECESSARIO, alla fine, uccidere Alfred. Per una serie di questioni che non sto qui a elencare ù.ù
Per questo, per me, destino e necessità sono espressi in un binomio assolutamente indissolubile.
-Parola chiave: destino, necessità
















*All the things he said*
*Die, die, die my darling*





La neve russa non è bianca. La neve russa è di colore rosso


Le molle sotto il materasso cigolarono quando l’uomo, lentamente, si alzò prima sui gomiti e poi a sedere, poggiando i piedi nudi sopra il tappeto appena in parte al letto. Ivan portò una mano ai capelli, scostando i ciuffi chiari da davanti agli occhi; era un poco assonnato.
Un allegro cinguettio attirò la sua attenzione: dalla finestra aperta si potevano scorgere degli uccellini giocare a rincorrersi, di ramo in ramo, sopra il grande melo del giardino di casa Braginski. Gli scappò un sorriso mesto mentre conduceva lemme lo sguardo all’esterno.
La violenta pioggia della notte aveva lavato l’aria e il cielo, dove ora splendeva un sole luminoso.
-Oggi è proprio una bella giornata!-
Ivan chinò di nuovo il capo, guardando sorridendo la persona che giaceva muta tra le lenzuola. Silenzio; pareva che cotanta bellezza non toccasse l’americano. Braginski fece una smorfia, leggermente contrariato.
Appoggiati gli occhiali spessi sul comodino di legno vicino al letto stesso, il giovane non accennava il minimo movimento.
Ivan stirò le braccia in alto, prendendo un profondo respiro. Un nuovo giorno, per lui, era appena iniziato.

Lui e Alfred si conoscevano relativamente da poco – da quando la famiglia Jones era arrivata in quella piccola cittadina, circa quattro mesi prima.
Braginski era più grande di tre anni ma la frequenza con cui entrambi bazzicavano per i campi di basket del quartiere li aveva fatti incontrare fin troppo spesso.
L’uno meccanico, l’altro aspirante astronomo: niente di più lontano che potesse esserci. Eppure nessuno dei due fece tanto caso a questioni così futili quando, per varie ed eventuali, per frasi dette, non dette o taciute volutamente, cominciarono a condividere ben più che qualche pomeriggio a rincorrere un pallone.
-Tu mi piaci, Braginski!-
Così aveva detto Alfred, mentre tracannava l’ennesima bottiglietta di coca.
Ivan aveva sorriso gentilmente, guardandolo come si fa con gli idioti.
-Anche tu mi piaci, Jones…-
L’americano aveva riso, a quel punto, forse senza rendersi conto di non essere stato davvero compreso. Quando però incollò le proprie labbra alla bocca dell’uomo questo particolare fu ignorato.
Braginski non era quel tipo di persona particolarmente attenta alla forma, così come non si poteva dire che era attratto dalla sostanza invisibile agli occhi. Aveva un gusto particolare – come con i metalli, gli piacevano le cose che non si rompevano facilmente – ma quando una cosa lo interessava, ne diventava quasi paranoico.
Alfred rientrò ben presto in questo gruppo, volente o nolente.
Fu una sua frase a far precipitare irrimediabilmente le cose, a far scorrere gli eventi con una velocità incredibile – inarrestabile. Una frase detta quasi per caso, tra l’esaltazione massima di chi crede di poter dominare il mondo e la cecità degli ottimisti di fronte alla crudezza di una vita terrena e assolutamente banale.

L’uomo, dopo aver sospirato e preso profondi respiri, decise di alzarsi dal letto, raggiungendo la sedia della piccola scrivania di legno dove aveva riposto i propri abiti, piegati e messi in ordine.
Prese la canottiera candida, infilandola velocemente. Stessa sorte toccò alla camicia e ai pantaloni, che andarono a coprire quel corpo robusto celandone le fattezze precise in un’abbondanza di tessuto.
Ivan sorrise mentre si lisciava gli indumenti e si avvicinava al grande specchio posto contro l’armadio, afferrando per ultima la cravatta e legandosela attorno al collo.
Nulla pareva fuori posto nel riflesso immediato della sua possente immagine. Forse i capelli erano più scapigliati del solito, ma niente che non si potesse risolvere con un passaggio veloce delle dita.
Tutto perfetto, tutto come al solito.
Quando però lo sguardo cadde – probabilmente per caso – sul polso appena scoperto dalla manica troppo corta, il sorriso di Ivan si pietrificò per solo qualche istante mentre lo sguardo notava, netto, un graffio ancora scarlatto.
Quel rosso risaltava con tetro splendore sulla pelle nivea.
Il russo sentì la necessità di notarlo, ad alta voce.
Magari la coscienza di qualcuno avrebbe fatto il resto. Magari, in realtà riteneva quasi inutile sperarci troppo – ma era la voglia di puntellare sempre e comunque l’animo altrui che lo distingueva dalla massa di esseri consapevolmente pensanti.
-Sono rimasti i segni di ieri sera…-
Niente, ancora quel silenzio penetrante. Ivan guardò il corpo sdraiato dell’amante nel riflesso dello specchio: sorrise, benevolo, assolutamente incline e propenso al perdono.
Dopotutto, lui non era tipo da portare rancore troppo a lungo.

-Io sono un eroe, e come ogni eroe ho un preciso compito: proteggere i sogni di chi mi sta attorno!-
Ivan lo aveva guardato senza sapere cosa dire per diversi secondi – anche in quel momento il suo sorriso gentile si era cristallizzato sulla faccia, senza mutare di un solo grado. Poi, dopo aver sorseggiato la sua vodka ed essersi così concesso qualche attimo di riflessione, aveva obiettato.
-Non credi che sia una cosa davvero tanto difficile?-
Alfred, con la sua caratteristica energia vitale, aveva scosso la testa e aveva risposto, assolutamente sicuro di sé.
-Niente è impossibile per chi crede davvero! I sogni di un eroe sono destinati a realizzarsi!-
Quindi, aveva riso e bevuto la sua coca cola, chiudendo lì il discorso.
Ivan aveva continuato a sorridere, lasciando che nella memoria si imprimessero quelle parole come marchiature a fuoco.
Ne comprese il senso reale solo dopo giorni: Alfred era un idealista, uno di quelli convinti che la semplice intenzione possa davvero cambiare ogni cosa – vergini di una realtà materiale apparentemente lontana e inarrivabile.
Pian piano, nella coscienza del russo, si fece strada una consapevolezza disarmante. L’uomo con cui condivideva il letto sarebbe rimasto deluso dai fatti concreti, avrebbe visto i propri sogni frantumarsi l’uno dopo l’altro, come cocci di un vetro distrutto che cadono – rovinosamente – a terra, facendo un gran chiasso.
Sarebbe stato semplicemente un’altra vittima del destino crudele, che con il suo pesante martello l’avrebbe percosso fino a renderlo polvere nella polvere.
Ivan non avrebbe però sopportato il lento spegnersi del suo sorriso. Ivan avrebbe cambiato il suo destino, rendendo giusto e necessario lo scorrere degli eventi – esattamente, come avrebbe dovuto essere.

Chiudendo le mani a coppa, si sciacquò la faccia con l’acqua fresca contenuta nella bacinella di ceramica bianca, finemente decorata.
Questo semplice gesto ebbe l’effetto immediato di togliergli il leggero torpore che ancora ricopriva interamente il suo corpo, donandolo finalmente e completamente al mondo dei vivi.
Si guardò allo specchio, sorridendo al proprio riflesso.
Si voltò ancora una volta verso il letto, sorridendo, convinto che quell’ultimo tentativo non sarebbe andato a vuoto.
-Fra poco Natalia dovrebbe arrivare con la colazione… Dille pure che io sono già andato a lavoro….-
Lei si sarebbe arrabbiata, nel non vederlo tra le coperte ad aspettarlo – o meglio, nel vedere un altro uomo al posto del suo amato fratello. Sicuramente, si sarebbe arrabbiata.
Ma Ivan era già di fretta e Alfred pareva non avere ancora intenzione di smuoversi dal materasso, per questo il russo non poté fare altro che sorridere un poco impietosito immaginandosi la scena che si sarebbe svolta di lì a pochi minuti.
Sorrise ancora, avviandosi verso l’uscita.
-Ci si vede stasera, Alfred…-
Chiudendosi la porta alle spalle, se ne andò.

-Stasera facciamo l’amore, Alfred…-
L’aveva detto così, Ivan, delineando quello che sarebbe stato il programma sicuro della serata a venire. Alfred non avrebbe detto di no – e anche se l’avesse fatto, sicuramente non sarebbe stato ascoltato.
L’americano fu disteso sul letto, lungo il materasso candido. Fu baciato e vezzeggiato, come un idolo pagano, assoluto e immortale.
Ivan l’avrebbe ricordato per sempre così, come un eroe perfetto, come un qualcosa che di umano non aveva praticamente nulla.
Fecero l’amore, dimenticandosi del resto.
Destino, giustizia, necessità, realtà e fantasia.
Forse, fu per questo che Alfred spalancò gli occhi alla sorpresa più pura quando sentì le dita del russo serrarsi attorno al suo collo – e farsi sempre più strette, sempre più chiuse, dolorose.
Provò a liberarsi, ma invano. Provò anche a chiamarlo, a chiedere ragione, ad invocare una razionalità che pareva fuggita dal suo sguardo ceruleo.
Ogni parola finì pietrificata sulle sue labbra, per sempre, mentre il respiro si chiudeva nei polmoni e gli occhi diventavano inespressivi come pietre lucenti.
Ivan si scostò solo quando fu certo che la rigidità del corpo sotto il suo non era data da una semplice tensione quanto piuttosto per la conseguenza della sua volontà fattasi reale.
Sorrideva, mentre accarezzava il petto dell’amante, ancora disteso sul letto.
Vi posò sopra un bacio – l’ultimo di quella notte.
E scacciando nei meandri di una coscienza inascoltata la consapevolezza improvvisa di essere più idealista dello stesso Alfred, sorrise teneramente abbracciando il suo busto.

-Ti amo…-













Questa fan fiction si è classificata SECONDA al primo girone del contest indetto da wolvie91 sul forum di EFP "Narrami o musa... le nove arti", in particolare al girone di Melpomene, Musa della Tragedia.
Questa raccolta vorrebbe dedicare un capitolo a ogni Musa - eccetto quella dell'Erotismo, dove vorrei che, invece, il rating fosse Rosso - così da fare otto capitoli più uno in tutto. Tutti RusAme, nella maniera più assoluta.
Il prossimo capitolo sarà dedicato alla Musa della Commedia, e io so già esattamente cosa scrivere :D Spero vogliate seguirmi anche in questa piccola avventura <3

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Capitolo 2
*** Bailamos ***


ATTHS Bailamos -Autore: Rota
-Titolo: All the things he said – Bailamos
-Fandom: Axis Powers Hetalia
-Personaggi/Pair: Russia/Ivan Braginski, America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland; RusAme.
-Prompt: 076. Chi?
-Numero Musa: numero due, Talia
-Genere: Commedia, Generale
-Rating: Giallo
-Avvertimenti: One shot,  AU, Shonen ai
-Conteggio parole:  2810
-Commento: Il titolo della raccolta che inizio è la ripresa del singolo delle T.A.T.U. “All the things she said”, mentre il titolo di questo secondo capitolo della mia raccolta è la ripresa di un singolo d’Erique Iglesias, ripreso però pari pari. Inoltre, il prompt che ho inserito nello specchietto fa riferimento alla community di LJ fanfic100_ita a cui questa fan fiction partecipa ed è iscritta, non altro (L)
Come dire? Non fa ridere, proprio per nulla. È una commedia leggera – penso… spero ç.ç – una piccola cosa senza pretese. Diciamo che mi piace vedere Arthur in situazioni poco consone, ecco tutto XD E niente, so che sarà macello questo turno, perché fa veramente schifo ç.ç


Classificatasi seconda alla Seconda musa del contest "Narrami oh musa le nove arti", girone di Talia (L)




*All the things he said*
*Bailamos*




Ivan aveva allungato la propria mano verso la bocca dell’uomo, tendendo le dita verso le sue labbra e posando tra queste il bordo del piccolo e sottile bicchiere di fine vetro, inclinandolo abbastanza perché il liquido chiaro scivolasse attraverso; l’altro fece lo stesso a sua volta, certamente con molta meno grazia e attenzione, ma Ivan comprese che fosse già un miracolo che Alfred avesse indovinato la bocca senza mandare il calice direttamente nel suo occhio.
Così, a parte uno scrosciare di applausi, i due novelli sposi si beccarono anche numerosi flash di fotocamera e quant’altro e una serie di sospiri più o meno compiaciuti da parte di tutti i presenti, specialmente dalle signore. Certe prassi occidentali Ivan proprio non le capiva – e neanche desiderava farlo, sinceramente, volendosi escludere a priori dai meandri oscuri di tale fede.
Ciò che in quel momento gli interessava sopra ogni cosa era il sorriso sincero e grandissimo che si era allargato sul viso di suo marito, salvo poi vederlo sparire velocemente quando questi prese a tossicchiare perché lo champagne gli era andato di traverso.
Lo lasciò calmare, poggiando con tutta la delicatezza di cui era capace una mano sulla sua schiena e colpendola con leggeri tocchi ripetutamente. Alla fine, vide Alfred ritornare integro e con la stessa carica di prima ben ritto sulla sedia e, senza dare non più di un’occhiata in giro perché tutti fossero ancora al loro posto, riprese ad abbuffarsi come se nulla fosse successo. Ivan sorrise, totalmente vinto, e fece altrettanto, seguito a ruota da tutti gli invitati.

-Chi è quell’uomo?-
Ivan era sempre diretto nelle sue domande, ma aver sorpreso Alfred mentre stava trangugiando l’ennesimo boccone di carne salata e averlo fermato nel suo intento era una cosa che solo lui poteva vantare.
Jones lo guardò un poco spaesato, guardando poi i tavoli che erano disposti davanti al loro, cercando il sospettato di tale domanda.
-Chi?-
Ivan indicò un punto ben preciso della stanza con la propria forchetta, continuando a sorridere imperterrito.
-Quello che sta tentando in maniera molto maldestra di non farsi notare…-
Alfred ci impiegò un attimo a comprendere a chi l’altro si riferisse – mangiare, pensare, respirare e guardare assieme era davvero difficile, in verità – ma poi i suoi occhi riuscirono a inquadrare il diretto interessato.
Il suo sorriso divenne alquanto scettico e dubbioso. Fece un verso strano, tanto che Braginski si voltò verso di lui per guardarlo preoccupato. Lui non l’aveva riconosciuto.
-È da stamattina che ci insegue. Durante la cerimonia si è nascosto dietro ad una colonna, mentre durante il tragitto per venire al ristorante si è distaccato tanto dal resto di noi da arrivare con almeno dieci minuti di ritardo…-
Ivan, per quanto accomodante, non era un uomo stupido, specialmente quando davanti a lui si impuntavano uomini decisamente goffi e privi di ogni grazia. Non era stato tanto difficile riconoscere quell’orrendo smoking verdognolo e con un paio di evidenti e plateali occhiali da sole in mezzo a tutto il resto, così sfarzoso ed elegante.
Il punto era che non aveva riconosciuto il proprietario.
Alfred, dopo qualche minuto d’attesa in cui aveva aguzzato lo sguardo dietro gli occhiali spessi, era tornato a sorridergli e con un piccolo bacio sulla guancia lo aveva rassicurato.
-Lascialo a me, dopo vado a parlargli!-

L’uomo, composto e assolutamente rigido sulla sedia del tavolo, circondato da perfetti sconosciuti – fortunatamente, almeno per la sua immagine – stava portando con lentezza il boccone di dolce alla bocca, guardandosi con circospezione attorno.
Il suo compito era finito e lui avrebbe potuto tagliare la corda nel giro di qualche minuto. Era riuscito a rilassarsi un poco, assolutamente convinto di non aver dato nell’occhio, ignorando volutamente o meno gli sguardi appena allucinati che qualche invitato gli aveva rivolto quando gli era passato accanto; la tecnica inglese del farsi gli affari propri, fregandosene altamente della gente che sta attorno, era sempre un’arma vincente.
Senonché non gli risparmiò, proprio per niente, un sobbalzo in piena regola quando una mano straniera gli si appoggiò sulla spalla.
-Salve!-
Il signore si voltò, ancora troppo sorpreso per essere contrariato. Quando però si ritrovò davanti la faccia sorridente del fratello minore, Alfred, si rabbuiò non poco. Voltò la testa altrove, assolutamente scontroso nei suoi confronti. Tentò inoltre di scimmiottare una voce non propria, rendendola più grave e quasi ferina, giusto perché non doveva farsi riconoscere.
-Non c’è bisogno di spaventare la gente a questo modo, quando la si incontra per la prima volta!-
L’altro, senza neanche ascoltarlo, si sedette accanto a lui su una sedia libera e gli rivolse la più innocente delle domande.
-Non ti ho mai visto. Chi sei? Sei un parente di Ivan?-
Arthur Kirkland, sotto i suoi baffi finti e quel tentativo mal riuscito di truccarsi, grugnì, focalizzandosi sulla torta nel proprio piatto, cominciando a sminuzzarla in pezzi piccolissimi con la forchetta.
-Sono il cugino di secondo grado da parte materna… Yuri!-
Aveva preparato quella parentela il giorno prima, annotandosi mentalmente con una certa cura ogni possibile risposta a ogni possibile domanda. Aveva persino sorriso, tutto soddisfatto del proprio lavoro.
In effetti, Alfred pareva credergli – più che altro non era solito fare tante domande, e questo era proprio uno dei punti su cui Arthur aveva contato maggiormente.
-Sei venuto in America per partecipare al nostro matrimonio?-
L’uomo lo guardo in faccia, abbastanza sconvolto dall’ovvietà di quella domanda. Per questo non rispose, dandogli mentalmente del deficiente.
Ma sul volto di Alfred si dipinse l’ennesima espressione idiota – piena di entusiasmo, piena di vitalità e allegria, piena di felicità sincera.
-Sono contento che tu sia qui, cugino Yuri!-
Lo abbracciò, tanto stretto da fargli quasi mancare il fiato, tanto che dovette interrompere quel momento d’idillio e dagli qualche colpetto sulla spalla per chiedergli di lasciarlo andare.
Alla fine, Alfred sorrideva nuovamente.
-Tieniti pronto! Ora si comincia a ballare!-

Ad Arthur non era mai piaciuto Ivan: l’aveva sempre trovato un bestione gigantesco, con un’insana e alquanto disdicevole passione per l’alcool, con un livello scolastico tanto basso da far impallidire chiunque.
Quando Alfred lo aveva portato a casa loro la prima volta, dopo un primo momento di panico, aveva subito espresso la sua opinione.
-Quell’armadio ambulante non rientrerà a casa mia!-
Ed era stato di parola, Braginski non era più riuscito a varcare quella porta quando dentro si trovava anche lui – e questo non significava certo che per il resto delle volte non lo facesse.
Ad Arthur non era mai piaciuto Ivan, men che mai quando, dopo più di due anni di relazione clandestina, Alfred gli aveva annunciato che si sarebbe trasferito altrove, assieme al suo compagno.
America, aveva detto. Là, dove gli omosessuali possono persino ambire a sposarsi. Arthur aveva inscenato una vera e propria crisi, dopo avergli urlato in faccia per quasi venti minuti si era rifiutato di rivolgergli la parola per mesi, tanto che quando Alfred era partito lui non era andato a salutarlo.
Ad Arthur non era mai piaciuto Ivan, infatti aveva strappato con rabbia l’invito al loro matrimonio non meno di due mesi prima, assieme alla busta bianca con tutti quei maledetti fronzoli e assurde greche colorate – c’era una mano femminile, dietro questo, Alfred aveva accennato a un paio di sorelle non esattamente a posto, in casa Braginski. Non aveva mai risposto alle sue telefonate, non aveva mai scritto niente al fratello.
Ad Arthur non era mai piaciuto Ivan, eppure, quando l’uomo aveva preso per mano il fratello e l’aveva condotto con una grazia che non pensava gli potesse essere propria alla pista e aveva condotto, lento, il primo ballo, una leggera stretta gli aveva preso il cuore.
Molto, molto leggera, tanto che poteva essere accantonata con facilità.
Non smettevano di sorridersi, quei due cretini, girando su sé stessi come pagliacci goffi e impacciati, sbagliando persino ritmo e inciampando di tanto in tanto – anche se la colpa di ciò era tutta dovuta ad Alfred e alla sua decisione di condurre l’altro non essendone minimamente capace.
Andarono anche a scontrarsi contro una coppia di invitati nella foga assolutamente fuori luogo, ma alla fine il tutto fu risolto con una risata sonora e niente più.
Arthur incrociò le braccia al petto, ricordandosi di dover essere disgustato da tutto quello.
Ancora qualche minuto e se ne sarebbe andato, sicuramente. Senza salutare Alfred, sicuramente. Senza salutare Ivan, ancora più sicuramente. Magari prendendo per sé un pezzetto di quel dolce meraviglioso che gli era capitato prima tra le mani e che non aveva gustato bene per colpa di Alfred…
Si riscosse quando la musica del primo ballo finì e cominciò il secondo brano. Questa volta Ivan riuscì a trattenere l’impeto del marito, mettendogli salda una mano sul fianco e conducendolo al proprio ritmo. In qualche modo riuscirono a sembrare meno idioti di prima.
Vide il russo inclinarsi verso il fratello e baciargli le labbra, in un contatto fugace e leggero.
Lo vide poi sorridere incuriosito nella sua direzione, volteggiando appena e riprendendo ciò che stava facendo come se nulla fosse. In quel momento decise di andare via, proprio mentre la musica della terza canzone stava cominciando, allegra.
Ma non aveva fatto che qualche passo tra la folla che si sentì arpionare da una mano e trascinare indietro, esattamente sulla pista.
-Cugino Yuri, balliamo assieme!-

Era stato a dir poco imbarazzante, tutto quello – Ivan gli aveva lanciato sguardi incuriositi tutto il tempo senza però aggiungere una sola parola, per poi passare a quel sorriso inquietante che proprio non lo rassicurava per nulla.
In più, non era stato capace di contenere suo fratello come invece aveva fatto Braginski, per cui fu costretto a svolazzare come uno straccio di qui e di là trascinato a forza dall’irruenza di Alfred, che ghignava e rideva come un pazzo, evidentemente molto divertito dalla cosa.
Aveva ringraziato Dio e qualche altra divinità che tutto quello fosse finito in fretta, nel giro di qualche minuto, così si era potuto ancorare alla propria sedia e riprendere fiato.
-È stato divertente, no?-
Fulminò suo fratello con uno sguardo a dir poco truce, senza la minima remora.
Sbuffando, incrociò le braccia al petto ma evitò accuratamente di commentare: era sicuro che nel caso gli fosse scappato un commento acido tutto il suo travestimento sarebbe caduto miseramente – e in effetti era una paura più che fondata.
Jones sorrise con semplicità, notando la figura di Ivan stretta in un abbraccio a dir poco possessivo con una delle sue sorelle, dondolandosi appena sopra la sedia, non riuscendo proprio a rinunciare alla felicità.
-Io e Ivan siamo felici di averti qui con noi, cugino Yuri!-
Arthur non si sentì in colpa, a quel punto: uno come lui difficilmente avrebbe ammesso i propri sbagli, anche di fronte all’evidenza. Non si sentì neanche male o triste, di fronte a quell’allegria così condivisa e palese.
Semplicemente, accantonò per qualche istante il proprio puntiglio e si lasciò semplicemente invadere da tutto quello.
Sorrise, abbassando lo sguardo al pavimento.
-Anche io sono felice…-
La domanda di Alfred gli arrivò quasi ovattata: era troppo occupato a guardare il suo splendido sorriso.
-Ci verrai a trovare, qualche altra volta in America?-
Sussurrò piano, lasciandosi guidare dal sentimento nuovo che stava provando.
-Forse sì…-
Alfred guardò a quel punto lontano, poi tornò da lui.
-Torniamo a ballare, Yuri!-
Con grandissimo sforzo, Arthur mise da parte per la seconda volta quella vocina tanto insistente quanto inopportuna che gli diceva di mandare a quel paese il fratello, di prendere e di andarsene – che lui non voleva avere niente a che fare con Alfred, ora che l’aveva tradito con quel russo gigante.
In effetti, Arthur si alzò dalla sedia, destando non poco timore nell’altro.
Ma allungò una mano nella sua direzione, scordandosi però il solito sorriso di convenienza.
-Questa volta conduco io!-
Alfred gli saltò addosso dalla felicità, e fu proprio in quel momento che il fattaccio avvenne.
Caddero solo gli occhiali e i baffi finti, la musica non si fermò neanche in tutto quello, ma Alfred ci impiegò lo stesso qualche minuto per riprendersi dallo shock di tale rivelazione.
Dopodichè urlò, facendo girare tutta la sala nella loro direzione.

-Ero solo curioso di vedere come si svolgeva un matrimonio omosessuale! In Inghilterra non ce ne sono, per questo ho seguito il corteo! Se avessi saputo chi erano gli sposi, sicuramente sarei scappato a gambe levate!-
Ivan lo guardava decisamente incuriosito – lui, quel dannato fratello che sempre l’aveva rifiutato, l’aveva visto sì e no una volta, e non era esattamente il tipo da ricordare le cose sgradevoli.
Eppure non poteva trattenersi dal sorridere in maniera divertita mentre questi gesticolava come un forsennato di fronte al suo sposo, nel tentativo vano e decisamente goffo di giustificare la sua presenza in quel luogo.
Come se fosse servito seriamente a qualcosa.
-Vederti in smoking è qualcosa di così stravagante e unico che andava assolutamente registrato in qualche modo! Senza contare che sei riuscito a restare muto per più di due secondi senza avere la bocca piena di cibo! È un record per te!-
Niente, non riusciva a togliere quel dannato sorriso ebete dalla faccia dei due.
Ci riprovò, decisamente disperato.
-Un gruppo di texani folli mi ha avvicinato al club di tennis che frequento e mi ha rapito dopo avermi fatto ubriacare, dopodichè mi ha portato qui per chiedere un riscatto e…-
Alfred lo aveva abbracciato all’improvviso e non l’aveva più mollato, troppo entusiasta, dandogli un valido motivo per cambiare argomento da quelle stupide e patetiche scuse.
Attorno a loro, la festa era ripresa come se nulla fosse accaduto, tornando all’allegria e alla felicità dovuta all’occasione. Fortunatamente, nessuno aveva fatto eccessivo caso alla questione.
-Alfred, lasciami immediatamente!-
Ivan cercò di intromettersi in tutto quello, poggiando delicato ma grave una mano sulla spalla dell’altro, attirando così l’attenzione su di sé.
-Alfred, forse è meglio se lo lasci andare…-
Il marito guardò prima lui e poi il fratello tra le sue braccia, cominciando a diventare un poco lagnoso – come un bambino, esattamente.
-Ma è da tanto tempo che non lo vedo!-
Braginski gli fece un sorriso tenero, accarezzandogli il viso con quella stessa mano che prima era sulla sua spalla, cercando di convincerlo della bontà delle sue azioni.
-Sì, ma lui non sembra gradire il tuo contatto…-
A quel punto Arthur, vedendo un insolito alleato nella figura del russo, prese a scalciare di nuovo con forza, ribadendo il concetto a modo suo e con voce stridula.
-Ovvio che no!-
E subito Ivan gli diede man forte.
-Ecco, vedi?-
Alfred non ascoltò nessuno dei due, eppure tese le orecchie e alla fine guardò il fratello maggiore con aria vittoriosa e che non ammette repliche.
Aveva la stessa espressione di un cane festante.
-Arthur, stanno cominciando un altro ballo! Vuoi ballare con me?-
Kirkland non ci impiegò neanche due secondi a rispondergli, assolutamente schifato da quella prospettiva, come se tutto quello che era stato prima se ne fosse volatilizzato in un nanosecondo, o fossero passati mesi e mesi.
-Manco per idea! Ci mancherebbe altro!-
A quel punto Ivan, prendendo ancora la palla al balzo, si fece vicino al marito e gli disse piano, tentando di essere il più seducente possibile – con qualche difficoltà, dato la vocetta acuta che gli uscì come al solito dalla gola.
-Alfred, ballo io con te!-
Diretto, Arthur lo trascinò lontano, tirandolo di peso via da Ivan e dalla sua lingua biforcuta, coerente come solamente un inglese del suo taglio poteva essere.
-Alfred, ho cambiato idea! Ballo io con te!-
E lo vide sorridere, quel dannato russo, mentre si allontanava tenendo per mano il fratello felice, mentre nella sua testa sorgevano mille e più dubbi sulla reale intenzione di quel diavolo sotto fattezze umane.

-Sei felice che tuo fratello sia venuto?-
La festa non era finita, semplicemente Ivan e Alfred stavano ancora ballando – e Arthur era sparito prima che il dovere di salutare tutti i presenti, compresi entrambi gli sposi, gli toccasse.
Alfred sorrise, volteggiando con più foga.
-Davvero sì!-
La musica stava finendo, gli invitati ormai faticavano a reggersi in piedi e a continuare a muoversi. Ogni cosa andava placidamente incontro alla sua fine, e anche se quel giorno sanciva l’inizio di un nuovo periodo della loro vita, era anche giusto che i due sposi potessero chiudere gli occhi anche quella notte.
Ivan sorrise, facendo una considerazione ad alta voce.
-La prossima volta facciamo direttamente una festa in maschera, così evitiamo tutto questo e tuo fratello verrà comunque da noi…-
Alfred sorrise, pieno di entusiasmo, facendo un vigoroso – e davvero inopportuno – cenno con la testa, troppo concentrato a testimoniare il suo assenso.
-Giusto!-
Si sorrisero, poi Ivan riprese, maligno.
-Oppure gli diciamo che abbiamo un figlio!-
Alfred sogghignò, poi però assunse un’aria decisamente preoccupata: aveva focalizzato la scena nella propria mente.
-Lo vuoi morto, per caso?-
Ivan non rispose, preferendo baciarlo sulle labbra e sedare così la discussione.

Così, il tempo dei balli si concluse, lieto.

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Capitolo 3
*** Walk away ***


ATTHS euterpe *Autore: margherita
*Titolo: All the thing (he) said - Walk Away
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Alfred F. Jones (America), Ivan Braginski (Russia)
*Generi: Introspettivo, Sentimentale
*Avvertimenti: One shot, Lime, Yaoi, AU, What if...?
*Rating: Giallo
*Prompt fanfic100_ita: 045. Luna
*Nome Musa: Euterpe - poesia lirica
*Testo scelto: "E lucevan le stelle", Tosca
*Note: Il titolo è la ripresa del singolo delle TATU come prima parte, mentre come seconda parte riprende il singolo de Franz Ferdinand.
Inoltre vorrei specificare che questa fan fic partecipa all'iniziativa della community fanfic100_ita, con il prompt elencato.
Ah, fa schifo. Ovviamente. Fa letteralmente schifo e non ha senso, per me. Non è stata betata, immagino faccia schifo anche quello.
Beh, però mi piace, ecco ;3;''




Classificatasi *coff* prima al terzo girone di "Narrami o musa... le nove arti" indetto da wolvie91 sul forum di EFP (L)
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Walk Away



E lucevan le stelle,
e olezzava la terra,
stridea l'uscio dell'orto
e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella, fragrante,
mi cadea fra le braccia.
Oh! dolci baci, o languide carezze,
mentr'io fremente
le belle forme disciogliea dai veli!
Svanì per sempre il sogno mio d'amore...
l'ora è fuggita,
e muoio disperato!
E non ho amato mai tanto la vita!
*E lucevan le stelle, Tosca*




Buia, la notte - sembra calarti addosso, da tanto è spessa, mentre si allunga come un gatto sonnacchioso lungo le strette viuzze della città addormentata, penetrando in ogni singolo buco con una sonnolenza che ruba ogni cosa alla ragione.
In alto c'è qualche stella, che spaventata brilla fioca nella penombra di una nuvola scura. Il quarto di Luna che si degna di genoflettersi un poco al di là dell'ombra è spaurito e quasi timido, lasciando che la pallida luce illumini le strade di cemento su cui la nebbia è distesa come una corposa coperta omogenea.
Tace tutto, se non il vento tra le foglie del viale, tranne che all'improvviso si apre con un scatto metallico e un cigolio poco rassicurante una delle finestre di quei lunghi e stretti condominii, lasciando fuoriuscire l'odore acre del tabacco appena fumato. L'anta quasi sbatte contro il muro esterno, prima di essere fermata da una mano veloce e accompagnata al suo posto, in una posizione immobile poco distante dal gancio che la terrebbe ferma.
Alfred Jones spira fuori dai polmoni una boccata di denso fumo grigiastro, liberandosi con un sospiro profondo. Lo sguardo è rivolto alla città, ma in realtà l'uomo non sta guardando proprio niente. Anche i suoi occhiali sono altrove - non occupano il loro posto abituale sopra il naso, regalando al loro proprietario un mondo di immagini nitide e di colori precisi, dai contorni ben distinti e dalle forme chiare. Il giovane non si è affacciato alla finestra per guardare qualcosa, quanto per sentire le spirali di vento affacciarsi su quella stanza a e scivolargli tra i capelli e sulla pelle. Nel frattempo, la miccia di sigaretta che tiene stretta tra due dita brilla di rossa vita e le sue labbra, sottili e morbide, accarezzano il cilindro chiaro, stringendolo appena assieme ai denti bianchissimi.
Resta in attesa, seduto sul cuscino morbido di quella sedia da ufficio, così strana considerato il contesto in cui è inserita - la stanza dietro all'uomo è tutto tranne che formale, tutto tranne che l'ufficio personale di una qualche figura importante. E per quanto Braginski possa avere l'aspirazione e il merito di poter possedere qualcosa del genere, quella sedia dai cuscini blu elettrico non fà altro che confermare il suo essere eccentrico e particolare.
Alfred, intanto, resta in attesa, allungando molle il braccio verso di lato e prendendo tra le dita la cordicella elegante della sua macchina fotografica. Niente protezioni, batteria carica e obiettivo puntato. Il signor Jones si è sempre dimostrato entusiasta alle novità, di qualsiasi tipo queste fossero, eppure ci sono cose - come il suo oggetto di lavoro - che non ha mai cambiato nel corso degli anni. Ivan lo sa bene, perché ogni volta che Alfred capita nel suo letto e sotto le sue lenzuola, da quattro anni a questa parte, si porta appresso proprio quella maledetta telecamera digitale.
Alfred, lasciando ciò che resta della sigaretta nel posacenere che l'altro uomo gli ha predisposto proprio sotto la finestra, ben conoscendo le sue abitudini, resta in attesa, con l'atteggiamento tipico di un predatore ferino che, più di qualsiasi altra cosa, ha la dote della pazienza. Si può dire con tranquillità che Alfred abbia ben pochi obiettivi nella vita, sempre è stato così, da che l'umanità conserva memoria della sua persona. Eppure, prefissata la meta, Alfred ha occhi solamente per quella.
La brezza si solleva, regalando all'udito il lieve e rassicurante rumore di frusciare di foglie, mentre danza per terra una carta leggera, circolando incerta per poi sparire in un vicolo. In lontananza, un miagolio si alza da un tetto.
Lo scatto è silenzioso, ma regala un sorriso sincero e grandissimo al volto del giovane americano. Un'espressione ebete si dipinge sulle sue labbra, mentre abbassa l'obiettivo e si gode il resto di quel fulgido momento.
-In ogni momento, tu pensi all'infinito dopo di te...-
La voce viene dal grande e spazioso letto della stanza , e Alfred lo sa anche senza vedere - lo sa, perchè voltandosi guarda proprio da quella parte, scorgendo tra le ombre soffuse una figura ancora sdraiata che lo sta fissando di rimando, probabilmente sorridendo appena, tranquilla e rilassata.
Non ci sono luci, tra di loro, fondamentalmente perché non sono necessarie. Nè per vedere le espressioni sul viso, né per indovinare i confini dei corpi: le prime le intuirebbero dalle semplici parole, le seconde sono irrilevanti.
Alfred poggia sul mobile la propria macchina, tornando ad ammirare la timida Luna.
-Ci sono momenti che è bello ricordare! Guarda questa Luna, guarda che bella! Uno spettacolo più unico che raro!-
Ivan sorride, senza smuoversi di un solo centimetro: è più preso dal profilo dell'altro che dal bagliore lunare che, a fatica, penetra dalla finestra.
Sente quell'entusiasmo, quella vitalità e quella forza, nella sua voce, che tanto desidera e tanto ama, da tempo immemore.
-Tu vivi di questi momenti, Alfred... Sempre è stato così...-
L'uomo gli rivolge un sorriso, prima di dare un'ultima occhiata alla finestra. L'attimo è finito, il mondo ha girato, la Luna è tornata dietro le nubi e niente, ormai è degno di essere ricordato.
Alfred si alza e raggiunge il letto, gattonando sul materasso per raggiungere il compagno ivi disteso. Accolto da un sorriso, sorride a sua volta.
Ieri lo ha incontrato quasi per sbaglio, a una mostra di arte moderna inaugurata proprio quella sera.
Lui ha riso al suo commento pungente, che gli ha fatto notare come, alla sua età e con la sua esperienza, con la sua baldanza e la sua sconfinata - illimitata - sicurezza, lui non ha ancora nulla che possa essere paragonato a una propria galleria in cui esporre i propri lavori.
-Il prezzo della mia libertà è questo, Braginski! Non avere legami con niente! Neanche da quella che voi tutti definite arte! Che cosa sarà mai questa? Tu chiameresti arte il ritaglio sbilenco del margine di un dipinto? Io no, ma sembra che le persone qui riunite la pensino così!-
Ha arriso, come suo solito, ogni cosa che ha visto.
Tutto quello è spento, privo del pensiero che lo avrebbe - forse - generato. Nell'immaginario di quel romantico irrinunciabile che si è trovato ad essere, malgrado tutto, la velocità non è che fatta da piccoli e indimenticabili attimi diversi. Basta solamente sapere dar il giusto valore a ognuno di loro.
Ecco che allora, a briglia sciolta, lo sbattere frenetico delle ali di una farfalla diventa una metafora della frivolezza di una vita dipendente dagli altri. Ecco che allora, priva di regole, il cadere stanco di una goccia d'acqua è la Morte che sopraggiunge pigramente, strascicando i piedi in maniera rumorosa. Ecco che allora, senza ragione, il ballare della fiamma di un fiammifero diventa una passione che si spegne al minimo soffio.
Ivan non si sofferma a capire quello che l'altro cerca in tutti i modi di far intendere, attraverso le sue opere - si è rifiutato di dare un nome a tutto quello dopo averlo sentito parlare, stupido come si è palesato davanti ai suoi occhi. Ivan, semplicemente, sente ogni cosa. Spalancando gli occhi, guardando e rimirando, riesce a sentire tutto.
Attimo, attimo, attimo dopo attimo, nell'intensità della vita che si cristallizza e diventa immortale. Anche i fiocchi di neve sembrano tutti uguali, eppure non c'è n'è uno solo identico ad un altro.
Alfred lo bacia sulla bocca, sentendo la morbidezza delle sue labbra contro le proprie - e mugugna quando la sua lingua penetra tra di essere, cercando di coinvolgerlo in qualcosa di più di un semplice tocco. Sorride, ma si allontana, mentre l'altro gli accarezza i capelli.
Nella penombra, dischiarato dai raggi della Luna che ancora sguscia fuori, indovina i contorni del suo profilo.
Gli sta sorridendo, amabile come sempre.
Oh, Ivan è l'unico che, alla fin fine, ha potuto allungare le braccia verso di lui e stringerle attorno al suo corpo più di una volta. Fuggevole quanto sottilmente intrigante, Alfred non ha mai visto il letto di di una persona per due volte di fila. Ma se il signor Jones sa affascinare le persone con la forza delle sue argomentazioni e le sue tesi, con la sua arte immediata e la sua energia folgorante, il signor Braginski sa invece ammaliare anche la più pudica e recondita persona, avvicinandola senza essere rifiutato.
Così, per loro è stato, ad incontrarsi in mezzo dove i comuni mortali non sanno arrivare.
Ivan lo accarezza sulle spalle, cercando di trattenerlo e di tirarlo di nuovo giù.
Vuole fare di nuovo l'amore - glielo si legge in faccia, su quel sorriso per una volta sincero che gli rivolge. Probabilmente, Alfred riuscirebbe ad accettare, se solo non gli ronzassero in mente le parole che, stretti in una vasca piena di schiuma e acqua calda, Ivan gli ha rivolto, direttamente soffiando nell'orecchio rosso.
-Ho preso qualcosa che ti piace tanto, per domani a colazione...-
Il giovane è stato felice, tanto da tentare di affogarlo con un bacio non propriamente casto e un'espressione gridata al suo indirizzo: Alfred non sa contenersi in nessun caso, questo è certo.
Ma qualcosa ha pungolato la sua coscienza, anche mentre si sono rotolati tra le coperte, rincorrendo bocche e labbra in un gioco che li ha fatti sorridere entrambi.
No, Alfred non vuole la colazione perfetta, con i cereali perfetti e il latte sul tavolo, proprio vicino alla sua tazza e al suo cucchiaio. Non è persona da routine - come invece Braginski. Perché Ivan, il maledetto, glielo ha detto, la sera stessa. Ha detto parole che sanno di conosciuto, di già visto, di quotidiano, quasi a dire che, tra loro, c'è stato ben più di un semplice attimo.
E ad Alfred fa paura il fatto di essersi tanto aperto da lasciar intravedere gusti e passioni, come se fosse una cosa normale sapere proprio cosa gli piace mangiare e proprio come prepararlo.
O forse il rendersi conto che, più di una semplice scopata, più di un bacio umido e di parole sconce sussurrate contro i petti palpitanti, Ivan sta immaginando di più, per loro. Un futuro dove si programma assieme cosa mangiare e si cammina, mano nella mano, alla luce del sole - senza più sorprese, dove i secondi diventano ore.
Troppo, per lui.
Braginski lo bacia sul collo, allungandosi e alzandosi appena dal cuscino, e Alfred sospira, prendendo i ciuffi dei suoi capelli chiari tra le dita, guidando la sua bocca ancora una volta contro la propria, spingendolo giù.
Sorride, scendendo sul suo corpo. Arriva ai piedi, lasciando che l'altro si apra sulle lenzuola e si rilassi, allungandosi poi verso la propria fedele macchina - la prende e torna indietro, indirizzando l'obiettivo contro di lui.
Il suo corpo l'ha già ripreso altre volte, ma questa è diversa.
Ora la Luna sembra lo stia baciando, giocando con le curve morbide del suo corpo e le pieghe delle lenzuola che, a stento, lo ricoprono benigne. La sua espressione è di dolce attesa, di chi sa che deve solo accontentare un piccolo capriccio per poi avere tutto. Ed è così raro che Ivan abbandoni la sua superiore ed infantile arroganza per sembrare davvero gentile e buono. Lui è infimo, scaltro come un bambino capriccioso - come Alfred, dopotutto, ed è per questo che si sono trovati così bene, per tutto questo tempo. Sa cosa vuole e cerca di raggiungerlo in tutti i modi possibili, cercando di ingabbiarlo in quella cosa strana quanto inspiegabile che si chiama gratitudine o riconoscenza.
Piega una gamba, abbassando con il piede e con una certa veemenza impaziente la macchina tra le mani del proprio amante, fino a farla rotolare via, lontano da lui. Sorride ancora, nel poggiare il piede sopra l'incavo del suo collo e scivolare lento in alto, fino a colpire con le dita le sue labbra, in un tacito invito.
Alfred lo bacia, prendendogli il piede tra le dita e abbassandolo. Piano, risale fino al polpaccio, con le labbra che diventano sempre più umide.
I riflessi della luce lunare illuminano quel tanto che basta la scena perché si veda, negli occhi di Jones, un piccolo bagliore.
Lui alza il viso - ad un soffio dal naso dell'altro.
-Devo... andare in bagno...-
Ivan non dice nulla, ma il suo sorriso semplicemente si cristallizza lì dov'è lasciato.
Viene tentato di fermarlo, quando lui abbassa gli occhi come a reprimere qualcosa - e Ivan sa perfettamente cosa questo sia, lo intuisce perché già lo conosce.
Non dice nulla però quando Alfred si allunga verso i propri occhiali e li inforca, tornando a sorridergli e a posargli un leggero bacio sulle labbra.
-Torno subito!-
Baldanzoso, scende dal letto e corre quasi via, lasciandolo nudo tra le lenzuola.
Quindi il russo sospira, e si lascia andare, chiudendo gli occhi e fissando il soffitto.
Guarda la finestra, oltre la quale la Luna pare scomparire ancora una volta dietro a una nube particolarmente nera, che la rapisce senza aver più l'intenzione - così pare - di ridarla indietro.
Solo un secondo dopo Ivan si accorge che la macchina fotografica non c'è più - il secondo prima di sentire la porta di casa propria chiudersi in fretta e qualcuno scendere velocemente le scale.
Sospira lento, sperando con tutto sé stesso che il sonno riesca a prenderlo abbastanza in fretta da consegnarlo in tempo ad un giusto e riposante oblio. E pregando, in silenzio, che la Luna ricompaia - per illuminare la strada e renderla, appena, più luccicante di sogni trasparenti.

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