Cyanide Jam

di Oneechan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Manuale del Perfetto Necrofilo ***
Capitolo 2: *** Code di lucertola ***



Capitolo 1
*** Manuale del Perfetto Necrofilo ***


Quando Cassandra si svegliò era già giorno, anche se una pallida falce di luna continuava a sogghignare in un angolo di cielo.

Lasciò il letto ai gatti, e raccolse e indossò le prime cose che trovò sul pavimento, tanto tutti i suoi vestiti erano neri e non rischiava di sbagliare abbinamento. La marmellata di cianuro era finita, quindi non sapendo con cosa fare colazione si limitò a sgranocchiare una galletta uscendo.

Ne prese un’altra quando tornò indietro perché aveva dimenticato la borsa e le scarpe.

Nessuno era mai stato così incauto da concederle una patente, quindi andava a piedi o in metropolitana. Non le dispiaceva, perché in entrambi i casi aveva modo di osservare la gente, un passatempo fantastico anche se non privo di rischi: l’altro giorno, troppo concentrata sugli stivali borchiati di un ragazzino dai capelli azzurri, aveva mancato la sua fermata ed era arrivata in ritardo a lezione.

Mentre correva verso il portone dell’università, pensava a tutte le cose che avrebbe dovuto fare oggi: scegliere fra la spesa e l’affitto (non era sicura di quale avrebbe comportato conseguenze peggiori se ignorato), fare dell’altra marmellata, finire le tavole da consegnare al professor Van Gogh e leggere i quattro libri che avrebbe dovuto restituire alla biblioteca degli studenti la settimana prima.

Al portone ci arrivò prima la sua borsa di lei, perché si era inciampata sui gradini ed era caduta. Aggiunse alla lista: comprare cerotti e ricucire le calze.

 

La mattinata fortunatamente era delle più leggere: aveva solo tre lezioni, un’ora buca e poi un’altra lezione. Nella pausa si rifugiò in un angolo del cortile a fumare una sigaretta al cioccolato e approfittarne per andare avanti di qualche pagina nel “Manuale del Perfetto Necrofilo” di T.D. Sotterro, ma Stella la raggiunse sventando i suoi piani.

- Non ti sei pettinata stamattina. – disse vedendola.

- Avrei voluto, ma ho perso il pettine mentre mi sistemavo ieri e non riesco più a trovarlo.

- Faccio io. – Stella si sedette dietro di lei e cominciò a sgarbugliarle i capelli con una spazzolina argentata prontamente estratta dalla borsa.

- Interessante il libro?

- No, è una vera noia, ma devo fare un tema sui possibili usi di un cadavere, e la necrofilia mi sembrava un buon approfondimento. Però continuo a non avere abbastanza idee per scrivere qualcosa di davvero interessante.

- Magari potresti andare a dissotterrare qualcuno.

- Lascia perdere, l’ultima volta che l’ho fatto ci ho messo giorni a far venire via la terra da sotto le unghie, e per di più il guardiano del cimitero mi ha scoperta e ha voluto a tutti i costi offrirmi il tè, così mi è anche toccato stare ore a sentirlo blaterare.

- Pover’uomo, non parla mai con nessuno.

- Per forza, nessuno ha la pazienza di starlo ad ascoltare…

Stella le rubò un tiro dalla sigaretta senza smettere di armeggiare con la spazzola. – Comunque sono contenta di non fare il tuo stesso corso, seguite delle strane lezioni voi di Arte.

Era quello che pensavano molti – tutti, a dire il vero – gli altri studenti dell’università: la sezione Arte era vista come un posto a parte, oscuro e misterioso, popolato da professori svitati e pazzi armati di matite e cartelletta da disegno. E, in effetti, non andavano poi troppo lontano dall’effettivo stato delle cose.

- Hai trovato il pettine? – chiese Cassandra saltando a priori il capitolo su come agire nel caso in cui i vermi avessero già divorato tutte le parti molli del caro estinto.

- Sì, devo solo riuscire a snodarlo da qui… Hai dei capelli incredibili, Cassie. Potresti usarli al posto della borsa.

- Meglio di no, già nella borsa non trovo mai niente…

Stella recuperò il pettine con ancora tutti i denti e riuscì a quasi a rimettere in ordine quel cespuglio blu che l’amica aveva in testa prima di rientrare per il corso di Scrittura Cuneiforme con gli altri studenti di Lingue.

A Cassandra rimanevano ancora una ventina di minuti per leggere prima di tornare in classe.

 

Le lezioni di criminologia del professor Manson finivano sempre in discussione, non tanto per la sua abitudine a identificarsi con i maniaci, quanto perché nessuno aveva ancora capito a che diavolo servissero delle ore di criminologia in un corso di arte.

Cassandra comunque fu più che felice quando la lancetta corta dell’orologio si spostò sull’1 segnando la fine ufficiale della sua giornata scolastica. Riordinando la sua roba scambiò due parole con il vicino di banco riguardo all’argomento di oggi – Jack lo Sventratopi, un crudele assassino convinto di essere un gatto persiano a pelo lungo – poi varcò l’uscita in compagnia di Ciel, una compagna di corso, una ragazza piccina ma di cui non si rischiava di dimenticare la presenza.

- …e quindi pensavo di chiedere a lui di darmi una mano perché altrimenti sono rovinata, sai che nella teoria me la cavo, ma in laboratorio sono proprio negata, non vedo l’ora di passare al prossimo anno così almeno il corso di Disegno dal Vivo posso abbandonarlo, perché quando c’è da disegnare cose morte tanto quanto, ma quelle vive si muovono e santo cielo io mi ci perdo… Tu no?

Cassandra annuì distrattamente, offrendole una sigaretta che di sicuro non l’avrebbe calmata, ma nemmeno nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto renderla più iperattiva. Ciel però preferiva mangiarle che fumarle, diceva che altrimenti il gusto di cioccolato non si sentiva abbastanza.

- Mi accompagni a fare la spesa? – le chiese Cassandra. Si era fatta due conti: considerando che non pagava l’affitto solo da due mesi, e il proprietario dell’appartamento minacciava lo sfratto dal terzo in poi, aveva scelto di comprare da mangiare. E, per una volta, fare una cena non a base di scatolette per gatti.

Ciel rispose entusiasticamente di sì, e senza smettere di saltellare la seguì fino al discount di fiducia degli universitari. Uscirono con due borse di plastica a testa e si diressero verso casa di Cassandra facendo a gara a chi colpiva per sbaglio più bambini di passaggio. Vinse Ciel 24 a 17, ma perse due punti inciampando nei gatti mentre tentava di andare in cucina.

Cassandra si mise immediatamente ai fornelli.

- Ci, passami quel barattolo per favore. No, non quello, quello vicino a quell'altro. Ecco, quello.

- Cosa c’è dentro?

- Erbe aromatiche.

- Hanno uno strano odore…

- Me le ha date il guardiano del cimitero, dice che le raccoglie vicino alla chiesa sconsacrata. Trovo che stiano bene nella marmellata. – andò a prendere la cassetta medica e cominciò a fasciarsi il ginocchio che si era sbucciata il mattino cadendo, mentre con l’altra mano rigirava il contenuto del pentolone e con il piede accarezzava la schiena di un gatto di passaggio.

In quel momento un urlo penetrante e disumano le avvertì che qualcuno aveva suonato al campanello. Era Viviana.

- Ciao Cassie, ciao Ciel, ciao gatti. Cos’è questo buon odore?

- Sto facendo la marmellata. Vuoi assaggiare?

Viviana intinse un biscotto nella poltiglia ribollente. – Hai un po’ esagerato con qualunque cosa dia quel retrogusto dolciastro.

- Oh. – per rimediare, Cassandra buttò un altro po’ di cianuro senza smettere di mescolare.

- Hai lezione stasera? – le domandò la sua amica.

- Sì, un’ora di Estetica della Vita, una di Laboratorio e poi trenta secondi per uscire prima che Jekyll cerchi di rifilarmi un’altra delle sue tinte per capelli sperimentali.

- Non gli piacciono i tuoi capelli? – chiese Ciel.

- Non gli piace il blu. – rispose Cassandra.

- Bene, dopo allora vieni a cena da me. – disse Viviana.

- Proprio oggi che ho fatto la spesa?

- Allora veniamo noi da te.

- Perfetto.

- Sbaglio o i tuoi gatti passano attraverso le pareti?

- Oh, no, quelli sono della vicina. Anche Angie ha lezione stasera, vero?

 

L’ora di Estetica della Vita del professor Lovecraft consisteva nel disegnare cose vive, e la vera difficoltà del lavoro non era tanto disegnarle, ma far sì che cominciassero a muoversi.

Il professor Van Gogh interruppe la lezione per venire a chiedere i compiti che in teoria avrebbero dovuto consegnargli il giorno dopo. Avrebbe potuto essere un problema, ma ormai tutti se l’aspettavano – lo faceva ogni settimana – e si preparavano d’anticipo, e nemmeno Lovecraft si lamentava più dell’intrusione.

Ciel gli chiese dove avesse preso quella meravigliosa giacca azzurra, ma Van Gogh non la sentì: aveva qualche problema di udito all’orecchio destro.

A metà dell’ora dopo, mentre il dottor Jekyll mescolava colori in una nuvola di fumo arancione, Cassandra si calò discretamente dalla finestra e andò a sedersi sul marciapiede. (Il professore, non trovandola a fine lezione, tornato a casa avrebbe spalmato la sua ultima tinta sperimentale su una camicia prima di metterla in lavatrice, usandola al posto dello smacchiatore per sporco difficile.)

Fuori era già buio e la luna non si limitava più a sogghignare: rideva di gusto fissando le stelle con aria famelica. Avrebbe iniziato a mangiarsene qualcuna di lì a un paio di giorni, e tempo due settimane sarebbe stata piena.

Cassandra approfittò dell’attesa per finire il libro e scriversi qualche appunto sulle braccia con una penna biro mangiucchiata sul fondo. Poi una figura alata la raggiunse e le tese una mano per aiutarla a rialzarsi.

- Ciao, Angie.

Angela era un angelo biondo per definizione più che per complimento. A scuola teneva le ali piegate sotto la giacca per essere sicura di non sbatterle in faccia a nessuno, e anche per evitare che qualche furbastro che aveva dimenticato le penne a casa provasse a strapparne una a lei e usarla per scrivere.

Insieme s’incamminano sotto la luce dei lampioni fingendo di non sentire il rumore di passi che le seguivano nel buio.

- Secondo te chi sono?

- Non ne ho idea, però devono avercela con noi.

Cassandra sbuffò. – Devono essere degli incompetenti: chi si sognerebbe mai di derubare degli studenti del corso di arte?

- Io faccio scienze. – obiettò Angela.

- Che facciamo, li aspettiamo e sentiamo cosa vogliono?

- Aspettiamoli.

Si fermarono sotto un lampione e aspettarono. I loro inseguitori erano due tizi qualunque con dei qualunque coltelli a serramanico in mano. Cassandra e Angela gli lasciarono elencare le minacce di rito senza scomporsi.

- Finito? – chiese poi l’angelo con aria evidentemente spazientita.

Gli inseguitori sembravano aspettarsi una reazione un tantino diversa. – Con chi credete di avere a che fare, ragazzine?!

- E che diavolo ne possiamo sapere? – sbottò Cassandra – Ci seguite al buio, passate un quarto d’ora a parlare a vanvera, noi vi stiamo anche a sentire e poi avete ancora da lamentarvi! Te l’avevo detto che erano degli incompetenti. Andiamo, dai.

Gli inseguitori non erano d’accordo a vederle andare via così e provarono a fermarle, ma non fu una grande idea.

La gonna lunga di Angela nascondeva egregiamente un paio di anfibi con suola chiodata, uno dei quali colpì allo stomaco l’uomo più vicino. Nella sottospecie di colluttazione che seguì, l’angelo non ci mise più di dieci secondi ad atterrarlo e strappargli il coltello di mano. Poi si voltò pronta a difendere l’amica, ma non sembrava essercene bisogno. 

Seguì un momento di silenzio in cui Angela guardò la ragazza grattarsi la nuca imbarazzata, in piedi davanti al cadavere sgozzato del secondo uomo.

- Con…una penna?

- Sì, e si è anche rotta la punta.

La bionda intimò all’aggressore sopravvissuto di sparire, e lui obbedì terrorizzato.

- Questi li tengo, possono tornarmi utili a lezione. – disse poi raccogliendo i coltelli. – Di lui però che ne facciamo?

Cassandra stava scrutando la propria maglia schizzata di sangue chiedendosi se sarebbe venuta pulita. – Non ne ho idea. Ma qualunque cosa sia facciamola in fretta e poi andiamo a casa, altrimenti non ceniamo più.

Spostarono il cadavere lontano dal marciapiede e ripresero a camminare pulendosi il sangue dalle unghie.

- Sii sincera – disse Angela – provano a derubarvi spesso voi del corso di arte, vero?

- Ogni tanto.

 

Entrando in casa, trovarono Stella e Viviana che già armeggiavano in cucina.

- Siete in ritardo! – le rimproverarono.

- Scusa, ho ucciso uno che voleva derubarci e abbiamo dovuto nascondere il cadavere.

Stella ridacchiò. – Carina questa. Comunque, a tavola, che è pronto! Ho preparato del risotto. Ho visto che avevi delle erbe aromatiche della chiesa sconsacrata e ne ho messe un po’, spero vi piacciano.

Cassandra era stupita. – Le conosci?

- Certo, le prendo sempre, ci puoi fare una tisana spettacolare. Lo sapevi che vanno raccolte solo nelle notti di luna piena? Altrimenti non sono ancora velenose e non sanno di niente. Deve avermelo detto il guardiano del cimitero…oppure Lissy, una mia compagna appassionata di queste cose, pensate che l’anno scorso ha fatto il tema finale del corso di Swahili sulle proprietà delle erbe… Dice che vuole fare la farmacista, e nessuno riesce a capire perché si sia iscritta a lingue. I gatti della vicina mangiano con noi?

- Non credo che possano, passerebbero attraverso il piatto.

Quanto a quelli di Cassandra, erano già seduti a tavola a fissare la pentola fumante. Spazzolarono tutto il riso che Stella gli mise nel piatto, e chiesero anche il bis.

Le tre ragazze si fermarono a dormire da Cassandra. Angela dormì sul pavimento, così aveva abbastanza spazio per stendere lei ali. Tanto, disse, con tutti i vestiti sparsi per terra non le serviva neanche un materasso.

Passarono un po’ di tempo raccontandosi storie dell’orrore, ma Stella era talmente brava che finì per spaventarsi da sola, e ci volle mezz’ora per calmarla e convincerla che nessuno cadavere putrescente era nascosto sotto il letto. Semplicemente perché con il disordine che c’era, non avrebbe avuto abbastanza posto.

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Capitolo 2
*** Code di lucertola ***


                                                                                                                                                                                                        

Il giorno dopo, mentre pranzava con un panino ketchup e rane allo Skull Café (un locale un po’ bar per studenti e un po’ ritrovo di appassionati di occulto), Cassandra aprì la busta che le aveva consegnato Jekyll, contenente l’elenco di ingredienti necessari per il nuovo compito a casa.

Code di lucertola.

Rilesse un’altra volta, appurando di aver capito benissimo. Maledì il professore e le sue idee: aveva dato a ciascuno un intruglio diverso da preparare, e a lei ne era toccato uno sul genere “strega medioevale nei racconti per bambini”, il che le andava benissimo, ma non poteva andare dalla vicina a chiedere di prestarle una tazza di code di lucertola! O meglio, avrebbe anche potuto, ma dubitava che la signora Pinkerton tenesse molte lucertole in dispensa.

Andare a cercarle col retino era fuori discussione, anche perché l’unico modo per trovarne in città era catturarne qualcuna in campagna e liberarla per le strade.

Si sedette a riflettere un attimo. Le veniva in mente una sola persona che potesse sgranocchiare lucertole morte al posto dei pop-corn davanti alla tv. Poteva chiedere a lui.

Andò quella sera.

Le linee della metropolitana chiudevano tutte a mezzanotte tranne quella che aveva come capolinea il cimitero, per comodità di becchini, vittime, parenti di vittime, fantasmi di vittime e assassini di vittime che volessero seppellire il corpo delle vittime prima dell’arrivo di parenti e becchini. E delle poche persone che andavano mai a trovare il guardiano del cimitero.

Guardiano che, come Cassandra prevedeva, era ancora sveglio e le andò incontro sorridendo quando la vide risalire il cupo viale alberato.

- Cassandra! Voglia di dissotterrare qualcun altro?

- No, però mi servono delle code di lucertola. Ne hai?

Lui alzò un sopracciglio. – Cosa ti fa pensare che io tenga code di lucertola in cucina?

- Non so, mi sembravi un tipo da code di lucertola.

Il guardiano del cimitero scoppiò a ridere. – Dai, vieni dentro, così le cerco. Ti va un tè?

Vista dall’esterno, la sua casetta poteva essere tranquillamente scambiata per una tomba di famiglia un po’ più spaziosa delle altre. Mise sul fuoco un pentolino poi cominciò a rovistare nei pensili della cucina, e un paio di minuti dopo appoggiò davanti alla ragazza un barattolo per biscotti pieno di un ammasso viscido e verdastro.

- Ecco qua. Serve altro?

Cassandra gli lesse la lista degli ingredienti.

- A cosa ti serve tutta questa roba?

Gli spiegò.

- Ah! – il guardiano del cimitero era uno dei pochi che non diceva mai “seguite delle strane lezioni, voi di Arte”, perché anche lui all’università aveva fatto quello stesso corso. – Chi è il tuo professore?

- Il dottor Jekyll.

- Ma dai, insegna ancora? Crederesti mai che è stato anche il mio professore, ai tempi?

- Ci credo sì, hai 37 anni, non è passato un secolo.

Il guardiano del cimitero non era esattamente il classico vecchietto barcollante vestito di nero che sapeva a memoria i nomi di tutti i morti. Piuttosto, era un ex deejay con le braccia coperte di tatuaggi e l’aria simpatica a cui piacevano il tè alla cannella e cucinare dolci, e aveva già rischiato il posto un paio di volte per aver organizzato di straforo dei rave nel camposanto.

- Comunque, posso aiutarti per gli ossi di seppia e le zampe di corvo, ma un limone non so proprio dove andarlo a pescare.

- E per il pelo di topo rigorosamente di fogna?

- È un po’ che non bazzico per le fogne. – disse lui prendendo il corvo impagliato che troneggiava sopra il frigorifero e staccandogli le zampe. – Se vuoi la prossima volta che scendo te ne catturo uno.

- Mi serve per venerdì.

- Allora non credo di fare in tempo, non hai idea di quanti funerali ci siano in questo periodo… Questa è la stagione preferita della gente per morire. Vuoi una fetta di torta?

 

Il mattino dopo, quando la sveglia ebbe la brutta idea di suonare, Cassandra la abbatté con un cuscino: il guardiano del cimitero l’aveva tenuta fino alle cinque meno un quarto a chiacchierare, e oggi niente e nessuno l’avrebbe convinta ad alzarsi dal letto. O almeno, così credeva.

I gatti per pigrizia fingevano da anni di non sapere usare un apriscatole ed esigevano di essere nutriti. Il suo scheletro nell’armadio venne a protestare perché era più di un mese che non gli lucidava le ossa e cominciava a ingiallirsi, e la signora Pinkerton venne a chiedere se aveva una tazza di code di lucertola da prestarle.

Alla fine, si ritrovò seduta in cucina alla solita ora, a lucidare una tibia con una sigaretta al cioccolato fra i denti e mezzo litro di caffè solubile sul fornello, mentre Bonnie (lo scheletro) si rendeva utile almeno leggendole ad alta voce le ultime pagine di “Primo Soccorso in caso di morte”.

Stava buttando una manciata di vertebre in una bacinella di detersivo sbiancante quando suonò il telefono.

- Allô?

- Signorina Cassandra del corso di Arte?

- Dipende da chi mi cerca… Ah, no, allora non sono io. – e riattaccò.

Bonnie la guardò. O meglio, immaginava che la stesse guardando, perché in effetti non aveva gli occhi. – Chi era?

- La bibliotecaria. Leggi più in fretta, mucchio d’ossa, che mi mancano ancora due libri e se non li restituisco entro subito quella mi sguinzaglia dietro dei sicari.

- Cosa vuoi che legga prima, “Decorare col defunto” o “Sogno o son morto”? No, ti leggo quello di decorazione che c’è anche un capitolo su come lucidare bene le ossa. Mi passi un braccio per favore che sennò non posso girare le pagine?

 

Il pomeriggio era caldo e soleggiato. Mentre usciva dalla biblioteca, un distinto zombie di mezz’età le domandò la strada per il centro città.

- Allora, vada sempre dritto da questa parte finché non arriva a una rotonda, faccia due giri intorno alla statua del pinguino, poi prenda la settima a destra e giri l’angolo dopo il negozio di articoli voodoo. Dopo due o trecendo metri alla sua sinistra ci sarà un enorme viale alberato pieno di negozi. Ecco, vada dalla parte opposta. Quando vede la fontana con la muffa sul bordo, è arrivato.

Lo zombie la ringraziò portandosi una mano al cappello e lei proseguì.

- Secondo te dove lo trovo un topo di fogna? – chiese alla propria borsa.

- Nelle fogne. – rispose Bonnie, il cui teschio Cassandra si era portata dietro perché continuasse a leggere durante il tragitto. – E mi sembra anche ovvio.

La ragazza rovistò nei propri capelli finché non trovò una stilografica, e la usò per scardinare il primo tombino che incontrò, poi saltò di sotto. Nel quinto tunnel trovò una carcassa sdraiata in mezzo al passaggio, e le strappò qualche ciuffo di peli. Stava per andarsene quando la carcassa si mosse.

- Mucchio d’ossa – chiese a scanso di equivoci – I topi di fogna possono essere lunghi due metri e mezzo?

Bonnie ne dubitava.

- Allora mi sa che questo non è un topo.

La carcassa che troppo morta non era, si alzò e si voltò a guardarla. E non aveva l’aria per niente contenta.

- Hem…salve. – azzardò Cassandra.

Se avessi voluto strapparmi il pelo l’avrei fatto da me, non credi?

- Mi scusi, l’avevo scambiata per un topo.

Un topo di due metri e mezzo?

- Sì, mi hanno detto che in effetti è un po’ improbabile.

Tu vai in giro a strappare il pelo ai topi?

- No, di solito no, però…

Che te ne fai del pelo? Non lo puoi mangiare.

- Veramente non mangio neanche il resto se posso farne a meno.

Umana, eh?

- Pare di sì. A parte il naso, quello sembra l’abbia ereditato da un lontano zio vampiro. Comunque senta, mi dispiace per l’equivoco, ma la prego non tenti di mangiarmi, già nel primo tunnel ho incontrato un alligatore che…

Mangiarti? Ma per favore. Con tutte le schifezze che mandate giù voi umani, non ci penso neanche. Ci tengo a una dieta equilibrata.

- Oh. Beh, grazie. Adesso se non le dispiace andrei…devo trovare un topo.

Uno in particolare?

- No, va bene uno qualunque, purché sia di fogna.

Allora perché non vai a cercarlo nelle fogne?

Cassandra si guardò intorno. – Ma…

No, questo è il tunnel di manutenzione dei condotti idraulici.

- Ah. E cosa ci fanno un alligatore e un…qualunque cosa lei sia nel tunnel di manutenzione dei condotti idraulici?

Cosa ci farebbe un’umana nelle fogne?

- Touchée.

 

Ciel stava saltellando allegramente per strada quando s’inciampò in Cassandra.

- Cassie, ciao! Ma che ci fai lì per terra, sei saltata fuori da un tombino?

- Esattamente, ma purtroppo era quello sbagliato. Mi accompagneresti in una fogna?

- È una metafora?

- No, devo andarci davvero. Sai mica da dove ci si entra, fra l’altro?

Ciel le indicò un tombino mezzo metro più a sinistra di quello in cui si era infilata. – Perché vuoi farti un giro nelle fogne?

Glielo disse e Ciel annuì comprensiva. – Pensa che io ieri ho girato mezza città per cercare un negozio che vendesse canini di pesce gatto… Comunque, perché invece di infilarti sottoterra non vai a chiedere alla tua vicina se ha un ratto da prestarti?

- Ma non posso chiedere alla signora Pinkerton se… - si fermò. “Signorina, mi scusi se l’ho svegliata, ma ho finito le code di lucertola e mi chiedevo se…” – Sì, ottima idea.

La signora Pinkerton purtroppo aveva solo topi fantasma, gli unici che i suoi gatti incorporei potessero mangiare, ma insistette comunque per offrire loro un tè, e quattro ore dopo erano ancora sedute al suo tavolo della cucina ad ascoltarla raccontare aneddoti sul marito defunto. Cassandra ringraziò il cielo che ci fosse Ciel a mandare entusiasticamente avanti la conversazione, mentre lei restava accasciata dietro il vassoio dei biscotti a fingere di non esistere.

Dovette ricomparire quando suonarono alla porta e la vecchina, andata ad aprire, la avvisò che cercavano lei.

- Chi è?

- Un signore mascherato vestito di nero con un coltello in bocca.

- Gli dica che i libri li ho già restituiti.

- Sono beneducati gli assassini d’oggi. – commentò la signora Pinkerton tornando da loro.

 

- Quella donna parla persino più del guardiano del cimitero. – sospirò Cassandra quando riuscirono finalmente a congedarsi. – A volte mi chiedo se non siano parenti.

Ciel si strinse nelle spalle dicendo che a lei la signora era molto simpatica. – Però adesso hai intenzione di passare la serata nelle fogne?

- A meno che tu non abbia una proposta alternativa.

- Ce l’ho! – dichiarò Ciel trionfante – È arrivato il circo, potremmo andare lì, che ne dici?

A Cassandra l’idea piaceva, ma la sua borsa chiese a gran voce di essere lasciata a casa.

 Tirò fuori il teschio di Bonnie. – Perché, non vuoi venire?

- Ah, no! Non mi piacciono i posti troppo affollati, potresti perdermi o qualcuno potrebbe rubarmi e finirei a decorare un caminetto o nello studio di una cartomante, no, grazie, preferisco restare qui. – se avesse avuto delle braccia le avrebbe incrociate.

- Cos’è? – chiese Ciel.

- Bonnie, il mio scheletro nell’armadio.

- Adesso sembra più che altro uno scheletro nella borsa.

- Di solito sta nell’armadio.

- Perché hai uno scheletro nell’armadio?

- Non ne ho idea, era già lì quando ho affittato l’appartamento.

- Io sono Ciel, piacere di conoscerti, Boney!

- È Bonnie, in realtà. – la corresse il teschio.

- Quindi eri una donna?

- Guarda, sono in quell’armadio dal ’23 e ho dimenticato certi particolari.

- Ma Bonnie è un nome femminile.

- Sono io che lo chiamo così. – disse Cassandra.

- No, tu con grande tatto per la mia condizione mi chiami “mucchio d’ossa”. – brontolò lui.

- Perché l’hai chiamato Bonnie? – chiese Ciel.

- Per non chiamarlo Boney, mi sembrava un nome scontato…

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