Teoria e pratica

di Akane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le parole che non dice ***
Capitolo 2: *** Presa di coscienza ***
Capitolo 3: *** non escludermi ***
Capitolo 4: *** Passato e futuro ***
Capitolo 5: *** Gelosia ***
Capitolo 6: *** La tua vita sulle mie spalle ***
Capitolo 7: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 8: *** piacevoli torture ***
Capitolo 9: *** Fantasmi dal passato ***
Capitolo 10: *** Preludio ***
Capitolo 11: *** Diavoli e angeli ***
Capitolo 12: *** Ritorno alla vita ***



Capitolo 1
*** Le parole che non dice ***


TITOLO: Teoria e pratica
AUTORE: Akane
SERIE: Numb3rs
GENERE: sentimentale, azione in qualche capitolo
TIPO: slash, What if?, piccolo spoiler
RATING: per ora faccio un generico giallo (PG13) se poi cambio avverto.
PARTI: qualche capitolo non molti credo
PERSONAGGI: DonXCharlie (attenzione, non è come sembra… leggete le note, prima…)
MODO: terza persona al passato
AMBIENTAZIONE: inizio quinta serie quindi in questo senso c'è qualche piccolissimo spoiler sulla prima puntata ma solo quella, credo. Qua Don e Charlie non sono fratelli biologici ma solo legalmente, ovvero Don è stato adottato dalla famiglia di Charlie che erano piccoli, quindi ha preso il cognome e sono considerati da tutti fratelli. La storia non è cambiata di una virgola...
DISCLAMAIRS: I personaggi non sono miei ma degli autori che ne detengono ogni diritto…
NOTE: E se Don e Charlie non fossero fratelli? Oh, quante volte me lo sono chiesto… ed ora eccomi qua a farlo.
Spiego meglio: ho sempre pensato che la coppia più slash del telefilm fosse proprio DonXCharlie, peccato che fossero fratelli altrimenti sarebbero perfetti insieme! Vedendo la serie mi sono continuati a piacere moltissimo sia come personaggi individuali che come coppia così mi è venuta l’illuminazione: e fare una what if in cui non sono fratelli e quindi posso sviluppare il loro rapporto a piacimento? Ebbene eccomi qua a scriverla!
Ero indecisa se negli avvertimenti scrivere AU o What if, perché parlando con mia sorella mi ha detto che un cambiamento importante che poi finirebbe per cambiare molte cose viene ritenuto AU lieve, io però lo vedo come solo What if poiché a conti fatti cambio solo un particolare della serie, tutto il resto dell’ambientazione rimane invariato così come gli eventi che hanno vissuto e i vari episodi. Quindi metto What if, ma sappiate che è possibile che qualcuno la veda come un AU. Comunque ormai avete capito di cosa tratta la fanfic, quindi poche ciance e andiamo al dunque!
Ah... qua Charlie non sta più con Amita!
Ovviamente spero che vi piaccia e vi auguro buona lettura. Baci Akane
DEDICHE: a Taila che le stuzzicava molto una storia così e a Yukino che apprezza molto questa coppia nonostante siano fratelli. E che saranno contenti della mia piccola innocentissima variazione!
RINGRAZIAMENTI: a tutti quelli che commenteranno e leggeranno!

TEORIA E PRATICA

CAPITOLO 1:
LE PAROLE CHE NON DICE

/Nothing else matter - Metallica/
Quando vennero a chiamarlo brutalmente durante una lezione universitaria, il cuore gli balzò improvviso in gola tagliandogli il respiro di netto.
Non era un tipo istintivo nemmeno in ciò che normalmente provava, ma sentì chiaramente una brutta sensazione alla bocca dello stomaco quando vide Ian, l'agente dell'FBI, il tiratore scelto e amico di suo fratello piombargli come una furia nell'aula in piena lezione universitaria.
Sentendo chiedergli il suo aiuto si rifiutò subito senza dargli modo di spiegarsi, cosa che fece immediatamente con poche incisive e dure parole:
- Don è nei guai. - Non avrebbe ammesso repliche e onestamente non ne avrebbe tirata fuori mezza.
Charlie nell'istante immediato si raggelò, ma poi subito dopo si trovò a correre per il corridoio come un matto, dimentico della lezione mollata a metà, con dei tamburi in testa mentre l'ansia ingigantiva fin quasi a farlo impazzire.
Se non fosse stato per la sua mente matematica e razionale che si era messa a ragionare in fretta su come trovare Don, sarebbe rimasto fuori dal mondo per molto ancora!
Anche se, a onor del vero, quella sua mente ragionevole non gli aveva ricordato che era stato estromesso dall'FBI come consulente!
Fra questo e Don nei guai non c'erano dubbi su dove pendesse il piatto della bilancia!
Forse però costringersi a non pensare a cosa sarebbe potuto succedere a suo fratello era l'unico modo per aiutarlo, altrimenti il panico l'avrebbe colto per colpa dei sentimenti che cercavano di avere la meglio.
Eppure nonostante i suoi sforzi, una volta fatto quel che poteva per trovare Don disperso in una zona selvaggia per scalatori piuttosto pericolosa, con alle calcagna dei criminali che tentavano di ucciderlo, non gli rimase che lasciarsi divorare da ciò che provava, pur contro la sua volontà.
Non gli piaceva quando questo suo lato prendeva il sopravvento e come tutto cercava di controllare anche quello, ma in quegli anni di lavoro all'FBI aveva imparato che non si poteva farlo sempre.
Anche il periodo passato con Amita gli aveva fatto capire che non poteva fare così con tutto e che certi sentimenti andavano liberati.
Certo, poi con lei era finita, ma erano rimasti ugualmente amici.
Così si trovò lì, nell'ufficio in cui non poteva stare, in attesa che con i suoi dati trovassero suo fratello.
Impossibilitato a far altro si mise a pensare a lui e alla loro infanzia.
Di alcuni anni di differenza, si erano trovati a vivere insieme da bambini.
Don era arrivato da piccolo in casa loro, rimasto orfano di genitori. Era stato abbastanza grande per ricordare bene gli eventi legati ad essi e per qualche oscuro motivo i suoi avevano preferito cambiargli legalmente anche il cognome mettendogli il loro.
Eppes.
Solo molti anni dopo aveva scoperto che la madre e il padre erano stati uccisi in circostanze misteriose. Con la paura che scoperta l'esistenza del figlio gli dessero la caccia per uccidere anche lui, quelli che l'avevano salvato avevano voluto cambiargli identità per poterlo crescere nella serenità e al sicuro.
Così era stato, nessuno era più venuto a cercarlo e non aveva avuto problemi di alcun genere, ma gli assassini non erano mai stati trovati.
Don aveva capito tutto quel che era successo e probabilmente fu quello a ripercuotersi sul suo carattere già difficile, chiuso e duro di suo.
Charlie al tempo non sapeva nulla e trovandosi un fratello maggiore adottivo così scorbutico, si era fatto molte domande a lungo senza risposte.
Si era sempre sentito intimidito da quel bambino così serio e sulle sue, grugniva al posto di parlare e sembrava non conoscere gentilezze e sorrisi.
Da subito non avevano instaurato nessun rapporto ed era stato così per molti anni.
Sebbene i suoi genitori gli volessero molto bene e non gli fecero mancare nulla crescendolo come un vero figlio, Don non dimostrò mai un vero e proprio sentimento d'affetto nei loro confronti ed anzi sembrava non andargli affatto a genio quel fratellino super intelligente.
Charlie dal canto suo oltre alla gelosia, si era sentito del tutto rifiutato così aveva preferito tenersi sempre a debita distanza. Non era stato facile essere suo fratello, lui così forte, sveglio, attivo, brillante nelle attività fisiche e negli sport e senza il minimo problema con le ragazze.
Poi era morta la madre e qualche anno dopo, Charlie era diventato un famoso matematico con un cervello sopra la norma e Don, entrato all'FBI, era andato a vivere per conto suo venendo a trovarli ogni tanto per senso del dovere.
Fra i due c'era sempre stata una voragine e nel corso degli anni era aumentata di brutto, erano davvero troppo diversi, uno il giorno e l'altro la notte.
Ma poi, sorprendentemente, erano finiti a lavorare insieme.
Charlie era diventato consulente dell'FBI della squadra di Don.
Da allora, lentamente, fra loro era tutto cambiato.
Da un legame assente ad uno sempre più forte e stretto, fino a che a tutti non erano sembrati davvero fratelli.
A tutti tranne che a loro due.
Al contrario avevano pian piano cominciato a sentirsi ben altro, un 'altro' non chiaro.
Definire il loro attuale rapporto sarebbe stato più complicato di eseguire un problema matematico senza soluzione.
Solo una cosa era limpida: non si sentivano solo dei semplici fratelli, cosa che nella realtà effettivamente non erano specie considerando che non erano cresciuti come tali.
Ed ora che era lì ad aspettarlo sperando di rivederlo presto col cuore che impazziva sempre più, gli tornavano alla mente tutte le volte che era stato a rischio sotto i suoi occhi, che per salvare qualcuno, specie della sua squadra, si era buttato a capofitto in una situazione pericolosa che poi era degenerata. Aveva visto rischiare la sua vita un sacco di volte e sempre si era trovato sospeso nel nulla a sperare di rivederlo sano e salvo.
Ora che veniva a trovarlo ogni sera e che lo vedeva di giorno a lavoro. Ora che si era tutto aggiustato, anni e anni di silenzi e invidie... ora che gli era così vicino lo vedeva rischiare la vita così tanto.
Un giorno avrebbe potuto vederlo morire proprio lì ad un soffio dalla sua mano e lui, impotente nonostante la sua matematica sempre utile, non avrebbe potuto riportarlo indietro.
Quando ci pensava, credeva sempre che sarebbe stata anche la sua fine e per non impazzire si aggrappava ai pochi momenti in cui lo vedeva sorridere.
Il viso sempre cupo e accigliato si illuminava e chi lo vedeva veniva preso da un irrefrenabile istinto di sorridere a sua volta pur senza motivo.
L'immagine di un Don sorridente ebbe il potere di calmarlo e si lasciò scaldare dalla figura alta, atletica, forte e affascinante di quello che in realtà non era suo fratello ma nemmeno solo un semplice amico. I capelli arruffati gli erano cresciuti un po' e gli stavano scomposti sulla testa, scuri e mossi. Gli occhi castani cupi, la fronte sempre aggrottata, i lineamenti decisi e a volte tenebrosi. Era un bell'uomo e quando rideva lo era ancor di più. Ogni volta sperava di riuscire a strappargli un sorriso cosa che a volte accadeva ed allora si sentiva al settimo cielo.
Spero di rivederla, quella sua rara espressione sul viso. Presto.”
Cosa che da quando aveva cominciato a lavorare con lui non aveva più dato per scontato.

Quando la porta dell'ascensore si aprì facendo entrare Don accompagnato da Colby e da Ian, la prima cosa che si accertò Charlie andandogli di corsa incontro, furono le condizioni del fratello e vedendo che era ancora effettivamente tutto intero, tirò un profondo respiro di sollievo, quindi col cuore che tornava a battere regolare scrutò la sua espressione mentre gli si avvicinava col solito passo sostenuto e veloce.
Alla sua domanda su come avessero fatto a trovarlo e alla conseguente risposta (grazie a Charlie), i suoi occhi castani erano corsi immediatamente a cercarlo e trovatolo a colpo sicuro davanti a sé, proprio come immaginava vide il rimprovero nel suo viso serio.
- Non dovevi! Lo sai che non hai più l'autorizzazione per collaborare con l'FBI! - La prima cosa che venne alla mente a Don furono i doveri e ciò che si poteva e non poteva fare, ma alla difesa di Ian sembrò realizzare che aveva avuto ragione.
O per lo meno così parve al più giovane dai ribelli ricci lunghi intorno al viso.
Don rimase serio per un istante mentre non arrestava la sua avanzata, seguito ora anche da lui che lo affiancava spiegandogli a macchinetta perchè era venuto lo stesso e cosa aveva fatto.
- Si, ma ora va via prima che ti becchino qua! Non puoi starci! - Disse allora sempre con il suo solito tono duro e sbrigativo. Ancora una volta a pensare alle regole. Proprio uno come lui.
Sapeva bene che lo faceva solo per non metterlo ulteriormente nei guai. Dopo che era stato allontanato dall'FBI per quelle informazioni mandate in Pakistan, Don non era più venuto a cercarlo per lavoroe a chiedergli aiuto, al contrario degli altri che gli avevano detto in continuazione di cercare di riavere le sue autorizzazioni.
Charlie, dal momento che Don non glielo aveva ancora chiesto, non le aveva volute riottenere.
Si fermò per seguire l'ordine perentorio dicendosi che aveva ragione e che sapeva avrebbe reagito così, eppure deluso.
Consapevole ma deluso.
Lo conosceva ormai ma non voleva dire che non poteva rimanerci male davanti a certi modi e parole non dette.
Non aveva dimostrato gratitudine o entusiasmo al suo piccolo ritorno solo per lui.
Niente.
Ci era rimasto male ma proprio quando si stava girando per smettere di guardare le sue spalle larghe tagliarlo fuori di nuovo dalla sua vita, lo vide voltarsi a tre quarti e allungare il pugno verso di lui con qualcosa che era ben lontano da un sorriso, ma che volendo poteva ricordarlo.
Un ghigno, più che altro.
E un: - Ah, Charlie... grazie! - sempre brusco e serio.
Charlie si fermò di nuovo e allungando subito il pugno toccò il suo in quel saluto che non si erano mai scambiati ma che avrebbe sempre voluto fare.
Qualcosa di familiare, amichevole, alla pari...
Sentendosi immediatamente al settimo cielo, sorrise contento andandosene senza rimpianti e delusioni.
Lo conosceva.
Era così e doveva saperlo ma non era facile abituarsi in effetti...
Le parole che non diceva erano molte e quelle poche non comprendevano quasi mai qualcosa di gentile e affettuoso nei confronti di altri. Le varie ragazze di turno che aveva avuto lo sapevano bene.
Lui la parola 'ti amo', forse non l'aveva nemmeno mai detta.
Era così, Don. E questo era anche il suo fascino.
Nonostante tutto non l'avrebbe mai voluto diverso.


Per tutta la giornata alle prese con Larry e Amita al posto di Charlie, come ultimamente era successo spesso, Don aveva sentito un irrefrenabile istinto di andare da lui a chiedergli collaborazione.
Non era per abitudine o perchè quei due fossero effettivamente meno efficienti di suo fratello, ma averlo accanto per gran parte della giornata gli faceva ormai affrontare il lavoro diversamente. Era come una sorta di garanzia che laddove lui non sarebbe arrivato, ci sarebbe stato Charlie coi suoi metodi opposti e sarebbe stato determinante permettendogli di farcela.
Ma finché si era trattato degli altri era stato diverso... l'aveva capito quel giorno quando aveva rischiato la sua vita se non fosse stato trovato al momento giusto.
E il momento giusto era stato grazie a Charlie.
Si era trattenuto dal chiedergli di tornare per molti motivi, fra cui rispettare la sua volontà. Se Charlie se la sarebbe sentita di tornare, l'avrebbe fatto da solo. Se non cercava di riottenere le sue autorizzazioni, significava che in realtà stava meglio così.
Poi c'era il fatto che comunque lavorando con lui gli aveva fatto rischiare la vita molte volte, non era al sicuro al suo fianco ed era un dato di fatto. Ma fino a quel momento era sempre andata bene, eppure continuare così era come sfidare la sorte.
D'altro canto se non ci fosse stato, quel giorno probabilmente Don non sarebbe arrivato a sera vivo.
Anzi. Di sicuro.
Seduto al tavolo della cena a casa del padre insieme agli altri, coi soliti inseparabili amici di sempre, seguiva con mezzo cervello i loro discorsi mentre col resto si chiedeva cosa sarebbe stato meglio.
Con la testa piegata di lato, appoggiata alla mano e mezzo stravaccato, si trovò a ricordare i momenti in cui si era perso per quel percorso con alle calcagna tre criminali pronti a sparargli. Aveva rischiato grosso più di una volta e Ian era arrivato in tempo ma non grazie alla sorte, bensì grazie a suo fratello.
Solo grazie a lui.
Ricordava bene mentre correva coi due che doveva salvare. Come si era sentito, cosa aveva provato.
Di volta in volta era sempre diversa eppure questa, forse, era stata peggiore delle altre e per un semplicissimo, limpido e vero motivo.
Quando in precedenza si era trovato in pericolo bene o male era sempre stato sicuro che Charlie l'avrebbe trovato così come trovava una soluzione a tutto con quel suo cervello mostruoso.
Lì, correndo con gli inseguitori, sfiorando pallottole senza più munizioni, si era detto che quella volta non ci sarebbe stato lui a fare la magia e che era fuori gioco.
Mentre fosse stato uno dei suoi uomini in pericolo lui avrebbe trovato un dannatissimo modo per aiutarlo con o senza matematica magica, lì si era sentito solo con le sue uniche forze a dovercela fare. Nessun capo sarebbe arrivato in extremis, nessun fratello coi suoi calcoli, nessun colpo di fortuna... niente di niente.
Lui da solo.
E si era sentito malissimo.
Non voglio tornare a stare così. Consapevole della mia fine.
Lo sono sempre ma questa volta era diverso.
Sono solo un egoista che sebbene non sembra abbia a cuore la mia vita, in realtà non voglio morire. Non voglio più essere certo della mia morte. Voglio poter pensare fino all'ultimo che lui ce la farà per me laddove io non arrivo.
Sono egoista ma voglio che torni. Se la vedrà brutta, avrà molte difficoltà e si troverà spesso in pericolo ma io voglio che torni e che mi stia di nuovo vicino. Che mi copra ancora le spalle. Che stia con me. “
Sebbene questa era solo una parte della verità, non sarebbe riuscito a tirare fuori così presto il resto. Quella più importante e nascosta.
Qualcosa a cui forse Charlie nonostante la sua razionalità e la sua logicità, sarebbe arrivato prima.
Così capendo al volo che stavano cercando di convincere suo fratello a fare ricorso per tornare all'FBI, agganciandosi ai: - Per me dovresti farlo. - di tutti i presenti, anche lui finalmente disse la sua, qualcosa che non aveva mai fatto fino a quel momento preferendo lasciarlo decidere da solo.
- Anche per me. - Mormorò appena udibile. Tutti si fermarono all'istante ed un ulteriore silenzio cadde fra loro. Lo sguardo di tutti si puntò su Don ma nello specifico quello di Charlie si mostrò stupito ed ansioso.
- Davvero? - Chiese solo pensando di aver capito male, sicuro che non glielo avrebbe mai detto.
- Si, davvero. - fece solo l'altro, con un mormorio che fece rabbrividire il moro davanti a sé.
I due si guardarono negli occhi a lungo cercando di scrutarsi dentro ma mentre Don era come al solito impenetrabile, Charlie mostrò la sua contentezza e non trattenendo il sorriso stimolò quello dell'altro che ne accennò uno.
Il consueto calore colpì il giovane che disse subito:
- Allora lo farò. - dimostrando a tutti che non aspettava altro che il suo permesso.
Tutti i presenti pensarono che era strano vedere Charlie in attesa del parere di qualcuno per fare qualcosa. Normalmente se voleva non c'era Santo che tenesse, lo faceva e basta. Lì sembrò davvero come se volesse l'invito di suo fratello.
Mentre tutti riflettevano sollevati che le cose sarebbero potute tornare presto come prima, gli altri due che continuarono a guardarsi assorti ognuno con un proprio pensiero, si lasciarono infine semplicemente avvolgere da quella piacevole sensazione di serenità e felicità.
Presto sarebbero tornati insieme e il resto, le difficoltà ed i problemi, sarebbero stati un contorno trascurabile!


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Capitolo 2
*** Presa di coscienza ***


*Allora... in questo capitolo ci sono alcuni spoiler della quinta serie che riguardano i colloqui che Don e Charlie hanno con il capo di Don per riottenere le autorizzazzioni. Però la scena in sé che ho descritto, naturalmente, non c'è nella puntata originale. Sono contentissima che la fic piaccia nonostante il cambiamento insolito che ho fatto, su Taila e Yukino già sapevo ma sono felice che anche altri apprezzino! Ringrazio tutti quelli che hanno commentto e seguito. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO II:

PRESA DI COSCIENZA

/Forever - Papa Roach/
Lo scroscio della doccia copriva ogni altro suono, così come il vapore dell'acqua bollente impediva alla vista di vedere bene forme e colori.
Il piacere di quel momento portato dalle gocce che gli ricadevano addosso spazzando via ogni pesantezza, era come sempre impareggiabile.
Poteva arrivare a fine giornata stanco morto senza la forza di reggersi in piedi ma la doccia non se la toglieva mai, la faceva sempre per poi rinascere e riprendersi almeno in parte.
Il resto lo faceva il proprio letto ed un bel sonno completo.
Peccato che per qualche tempo avrebbe dovuto accontentarsi del letto di qualcun altro, così come della doccia.
Casa sua, un piccolo appartamento utilizzato solo per dormire e per lavarsi, era purtroppo fuori gioco e probabilmente lo sarebbe stato per un bel po' di tempo dal momento che si era rotto tutto l'impianto elettrico e che per rifarlo da cima a fondo non ci sarebbe voluto un attimo!
Quelle sfortune potevano capitare solo a lui ma era anche vero che quella dove sarebbe stato per quel mesetto, non era una casa estranea. Ci aveva vissuto da piccolo fino a che non aveva potuto andarsene per conto suo, stare lì era come un ritorno alle origini.
Sarebbe stato strano ma non troppo, ci passava comunque molto tempo per stare con suo padre e suo fratello, inoltre se non mangiava lì tendeva ad evitare il pasto, quindi i suoi familiari preferivano vederlo con loro piuttosto che saperlo a digiuno!
Don non si curava mai molto di sé stesso.
Con l'acqua calda che scivolava sulle curve perfette e muscolose del suo corpo adulto e ben formato, lavando via la schiuma, si passava le mani addosso soffermandosi in modo particolare sui capelli scuri più lunghi di quanto non li avesse mai avuti.
Si era chiesto se fosse il caso di tagliarseli ma sentendo un apprezzamento scherzoso di Charlie riguardo a quel suo look aveva deciso di lasciarli così com'erano, un poì più lunghi del suo solito e spettinati come volevano stare.
La sua mente, tuttavia, era completamente rivolta alle parole del suo superiore.
Il ricordo di poche ore prima, quando si era trovato nel suo ufficio a concludere quello che poi si era trasformato in una specie di interrogatorio, era ancora vivo e l'aveva lasciato spiazzato.
Era iniziato tutto per difendere Charlie e raccomandarlo al capo in modo che gli ritornasse le sue autorizzazioni, era poi finita per essere lui quello preso di mira.
Quel bastardo che si era sempre finto amico di Don, altro non era che probabilmente colui che lo detestava nel modo più accanito.
Mandare via Charlie era stato solo un modo per colpire lui e spingerlo ad andarsene.
Il colloquio pro Charlie si era trasformato in una specie di inchiesta contro Don!
Aveva addirittura chiesto a tutti i membri della sua squadra cosa pensassero del proprio super visore e che modi di lavorare avesse. Fortuna che l'avevano tutti difeso e che di loro, lo sapeva ad occhi chiusi ora, poteva fidarsi.
Sapeva bene che in alcuni momenti aveva calpestato lui stesso la legge esagerando non poco per ottenere i suoi risultati che, per quanto buoni fossero, non giustificavano i mezzi.
Un esempio eclatante era tato il rapimento di Megan, quando per farsi dire dal complice della rapitrice dove la tenesse, chiuso nella sala degli interrogatori senza video e coi vetri oscurati l'aveva picchiato a sangue facendolo finire in ospedale!
Il caso si era risolto bene e Don si era addirittura trovato ad uccidere anche la donna che aveva rapito Megan, non era stato preso un provvedimento serio se non che poi lui era stato mandato dallo psicologo!
Il fatto che il suo capo ce l'avesse con lui e cercasse in tutti i modi di mandarlo via calpestando addirittura Charlie, lo mandava naturalmente in bestia.
Non erano quelli i modi, non era giusto.
Se ce l'aveva con lui doveva lasciare in pace suo fratello e ridargli quelle dannate autorizzazioni. Anche se aveva fatto qualcosa che non doveva, non era un vero pericolo per l'FBI e per nessun'altro.
Alla fine della giornata, dopo che aveva visto i propri uomini interrogati uno ad uno su di lui, era entrato nel suo ufficio e aveva concluso con decisione e determinazione dicendo che senza Charlie non poteva lavorare e che si sarebbe dimesso se non fosse stato riammesso come consulente nella sua squadra.
Non aveva aggiunto altro.
Era stato Carl, il suo capo, a dirgli che lui e suo fratello erano dannatamente uguali!
Lo stupore che l'aveva colpito si era dimostrato in un sorriso di sorpresa che gli aveva illuminato il viso.
Uno di quelli rari che non sfoderava facilmente.
Aveva risposto contento che nessuno glielo aveva mai detto e se ne era andato. Non aveva mai pensato di essere né simile né uguale a lui ma ne era estremamente felice.
Sapere di esserlo gli aveva ribaltato la giornata del tutto dandogli un buon umore che non aveva avuto per tutto il tempo.
Non se lo era spiegato, si era sentito così e basta.
Ora sotto la doccia, chiudendo il rubinetto, si chiedeva cosa avrebbero deciso i piani alti dopo il rapporto di Carl. Era fortunato che non spettasse a lui l'ultima scelta ma non era molto confortante, in fondo.
Lo voleva chiaramente fuori e quella era un ottima opportunità.
Bastava non accettare Charlie e lui se ne sarebbe andato!
Sospirando con la fronte aggrottata si obbligò a ripensare al paragone con suo fratello.
Erano così diversi... in cosa erano uguali?
Forse anche Charlie l'aveva difeso nel suo colloquio... non se lo immaginava ma non poteva che essere così. In fondo era quello ciò che aveva fatto, niente di più.
Con ancora molte domande nella testa, Don uscì dal box della doccia fatto di piastrelle e vetri smerigliati, quindi prese un asciugamano rosso e se lo avvolse alla vita sentendo le gocce corrergli e solleticargli il corpo bagnato e lucido.
Si passò in fretta le mani fra i capelli per scrollarseli dall'acqua, quindi li lasciò spettinati e non più attaccati alla testa ed uscì dal bagno.
Lo stomaco gli brontolava non poco, solo quando era lì gli veniva fame!
Ma ciò di cui aveva più bisogno in quel momento era un birra fresca. Con quella pensava meglio!
Lasciando dietro di sé una scia di pozze mentre scalzo si dirigeva verso la cucina, ignorando la decenza che gli diceva di doversi asciugare e vestire prima di prendersi un accidente o di incontrare qualche ospite consueto girare per casa Eppes, giunse in sala da pranzo dove trovò chino sul tavolo suo fratello alle prese con dei fogli pieni di numeri e calcoli. Non vi si soffermò oltre e salutandolo entrò subito in cucina per prendersi la sua birra.
Sapeva che suo padre quella sera era fuori quindi quando era arrivato trovandosi casa vuota, era andato subito a mettere giù il borsone coi suoi cambi e a farsi una doccia. Charlie non era ancora arrivato.
Il giovane matematico lo salutò distratto e subito dopo alzò la testa di scatto come una molla con un espressione interrogativa e corrugata.
Ma ho visto bene?”
Si chiese avendo intravisto appena la figura del fratello mezzo nudo e bagnato passargli dietro.
Si girò accigliato verso la porta che dondolò una seconda volta rivelando nuovamente Don proprio come gli era parso un secondo prima.
Mezzo nudo e bagnato!
Dimostrando ulteriore stupore, sgranando gli occhi e lasciando aperta la bocca, per un attimo la sua testa piena di nozioni divenne una lavagna nera e vuota. Uno dei suoi terrori, in effetti, considerando che era un matematico che lavorava con le lavagne!
Don si appoggiò con una sola mano al mobile davanti a lui, al di là del tavolo dietro cui era seduto, incrociò le gambe e si mise a sorseggiare la birra che si era appena preso ed aperto.
Con una muta domanda nello sguardo gli chiese cosa avesse e Charlie con un altrettanta muta risposta si strinse nelle spalle scuotendo energicamente la testa senza avere la minima idea di che cosa dire.
- Papà non te lo ha detto? - Charlie ancora non riuscì a dire nulla, quindi l'altro riprese: - Ho l'impianto elettrico rotto, ci vorrà un mese per rifarlo tutto così starò qua intanto. -
A quello ci potevo arrivare da solo, ma la mia domanda era: che fai mezzo nudo e bagnato?”
Pensò con le corde vocali atrofizzate e la gola secca. Cominciò a mordicchiarsi le labbra a disagio e questo fu indicativo per Don.
- Qualcosa non va? - Chiese quindi rimanendo tranquillo lì facendo sfoggio di sé e del proprio bel corpo. Per lui non c'era niente di male, a casa girava sempre mezzo nudo e gli piaceva stare un po' così prima di vestirsi. E poi loro erano come fratelli, che problema ci poteva essere a ritrovarsi in quelle condizioni?
Certo, sapeva che Charlie era un po' pudico poiché da piccoli mentre lui gironzolava come niente fosse senza maglietta per giocare a baseball o a basket, quello sembrava essere un tutt'uno coi propri vestiti!
Non si era quasi mai spogliato davanti a lui e forse era perché non l'aveva mai considerato un vero fratello.
Non si era comunque posto il problema.
- Charlie, hai problemi se giro così? Io lo faccio sempre a casa, anche quando vivevo qua lo facevo quindi... ma se ti dà fastidio mi vesto subito! - Questo slancio di gentilezza nei suoi confronti lo spiazzò di nuovo e come se non fosse abbastanza senza parole, si trovò ad imporsi sulla sua testa che non gli dava più ordini di alcun tipo se non quello di fissarlo come un alieno.
Ma quando provò a dire qualcosa il rossore colpì le sue guance dimostrandolo chiaramente imbarazzato:
- N-no, n-non p-preoccuparti. F-fa come s-sempre. -
A Don non parve molto convinto ma del resto se non glielo diceva non poteva costringerlo!
Quando non avrebbe più voluto vederlo così, semplicemente l'avrebbe avvertito, si disse dimenticandosi di nuovo che anche se uno su mille gli aveva suggerito che erano uguali non era vero in ogni campo!
- Sai una cosa? - Iniziò così senza spostarsi da lì, in modo da essere ben visibile nella sua interezza. - Carl oggi mi ha detto che siamo uguali io e te. Che si vede che siamo fratelli. - Con quello l'attenzione di Charlie si spostò dal corpo quasi nudo che aveva davanti, un corpo atletico e ben formato, per guardarlo stupito in viso.
- Davvero? - Don annuì con un mezzo sorriso appena accennato. Al giovane piacque trovandolo sensuale al cento per cento! - Ma sa che non lo siamo in realtà? - La domanda fu insolita, si sarebbe aspettato una cosa tipo ' ma dove ci vede simili?', suo malgrado rispose dopo aver bevuto un altro sorso:
- Nel mio file c'è tutto su di me ma non credo si sia dato pena per leggerlo. La maggior parte ci crede davvero fratelli. -
Il giovane rimase assorto a fissare il suo viso ormai asciutto dove quell'ombra di malizia era passata. Sforzandosi di non guardare di nuovo il resto del corpo si concentrò sul discorso, quindi continuò giocherellando nervoso con la matita che aveva in mano:
- E in cosa siamo uguali? - Finalmente chiese.
Qua, il maggiore tornò nuovamente a fare quel cenno di sorriso divertito da qualcosa che l'altro non riusciva ad immaginare, quindi lo sentì parlare ancora stringendosi nelle spalle, facendo fare ai muscoli delle braccia un guizzo che catturò come una calamita il suo sguardo chiaramente teso:
- Non lo so... devi aver detto o fatto qualcosa che ho fatto anche io... -
Pensa, Charlie. Pensa e non fissargli le braccia e le spalle! Pensa e guardalo negli occhi!”
Si impose il moro dai capelli ricci tutti intorno al viso. Gli occhi di Don erano castani simili ai suoi e lo fissavano con la solita intensità con cui faceva con chiunque. Penetrava le persone, non le osservava e basta come faceva lui!
- Io... - Si trovò di nuovo con la gola secca e le corde vocali dure, tossicchiò, inghiottì a vuoto e continuò: - Io gli ho solo detto che tu eri indispensabile per la squadra e che se si aspettava che ti calpestassi per poter riavere le autorizzazioni si sbagliava di grosso, piuttosto ne facevo a meno! -
Questa volta fu Don a stupirsi delle sue parole e spegnendo quel cenno dalle labbra dimostrò l'incredulità nell'espressione di norma tenebrosa:
- Davvero? - Chiese credendo lo prendesse in giro.
Qua Charlie si drizzò sulla sedia lasciando perdere la matita, quindi colto sul vivo rispose più deciso, dimenticandosi finalmente del suo imbarazzo:
- Certo, Don! Non potevo consegnarti a quello squalo! Lui ti vuole fuori ed era disposto anche a metterci l'uno contro l'altro pur di riuscirci! Ma ha sprecato il suo tempo! Piuttosto rinuncio alle consulenze per l'FBI! -
Questo discorso fatto con aria sostenuta e lievemente offesa per lo stupore che albergava negli occhi del fratello che non lo credeva capace di una cosa simile, colpì molto Don che non gli staccò lo sguardo di dosso come se quello mezzo nudo fosse lui, ora!
E Charlie si sentì effettivamente così... come se lo stesse spogliando!
All'idea divenne paonazzo e si alzò di scatto dalla sedia passandosi agitato le mani sul viso e poi fra i ricci, ingarbugliandoli ulteriormente. Don continuava ad osservarlo senza parole, quindi lui non avendo idea di che cosa fare si costrinse a non scappare, conscio che non avrebbe avuto senso e non avrebbe saputo spiegarlo!
L'altro a quel punto si staccò dalla propria postazione e cominciando a camminare lentamente e casualmente, dopo aver quasi finito la bottiglia, gli arrivò davanti e lì si fermò impedendogli una possibile fuga, quindi serio e imperscrutabile disse:
- Anche io ho detto una cosa simile. - Non specificò cosa e malgrado Charlie morisse dalla voglia di saperlo, non gli chiese nulla ritrovandosi per la millesima volta in poco tempo con la gola arsa. Si limitò a scrutarlo col fiato evaporato dai polmoni e occhi sgranati ben puntati in quelli altrettanto castani che aveva a poca distanza da sé. Cosa pensava?
Si trovò a domandarselo mentre l'ansia più assurda mai provata saliva alle stelle.
Perché non faceva mai capire ciò che provava?
Gli altri potevano solo immaginarlo ma erano sempre certi di non riuscire ad arrivargli nemmeno lontanamente vicino. C'era poco da fare.
Don per lui era sempre stato un mistero, tutto quel che poteva fare era continuare a rincorrerlo cercando di raggiungerlo.
E comunque non si accorgerà mai di niente...”
Concluse a sé stesso con una delusione crescente.
Il cuore però continuò a battergli all'impazzata nel petto fino a fargli credere fermamente che anche quello che in realtà non era suo fratello, potesse sentirlo.
Rimasero a fissarsi così per un istante, in piedi l'uno davanti all'altro, poi Don finì la birra senza staccare gli occhi dai suoi e posò la bottiglia vuota sul tavolo a fianco.
Rimanendo nel silenzio più completo, infine, se ne andò per vestirsi.
Non disse altro sull'argomento.
Rimasto solo, Charlie si sentì come se gli tagliassero i fili e cadde sfinito sulla sedia dietro di sé nascondendo il viso fra le mani di nuovo, questa volta non si mosse a lungo pensando stralunato alla micidiale sensazione che aveva provato fra l'averlo lì in quelle condizioni e le cose che gli aveva detto.
Aveva praticamente ammesso che non voleva lavorare senza di lui, che voleva continuare a stare con lui e che l'aveva difeso e protetto col suo capo a scapito della propria carriera!
O almeno quello gli rimaneva da immaginare con la sua logica, secondo ciò che gli aveva solamente accennato l'altro.
Cosa sta succedendo? Pensavo si trattasse solo di raggiungere quello che ho sempre considerato un fratello.
Pensavo fosse solo la ricerca di... di Don!
E di questo si tratta ancora, in effetti, ma non per le stesse motivazioni di quando ho iniziato... ora c'è ben altro.
Ora... sembra che si sia tutto trasformato.
È più un raggiungerlo per entrargli dentro, fargli capire che ci sono anche io, che gli voglio stare vicino in ogni modo, essere qualcuno per lui...
E' più un... un amore non corrisposto... e non un amore fraterno... “
Realizzando ciò, ricordandosi chiaramente quando era stato con Amita trasformando l'amicizia in amore e dimenticando quando poi era finita, si disse che non era uguale ma molto, molto più forte ora.
E che a differenza di quando vivevano insieme da bambini e ragazzini, c'era il desiderio.
Desiderio di essere guardato, considerato un uomo e non un consanguineo o peggio un fastidio.
Desiderio di lui.
Lui nella parte più intima, profonda e completa.
Quando lo capì grazie alla sua mente analitica che elaborava alla velocità della luce ogni cosa, il panico lo avvolse.
- Se sono fortunato mi considera appena come un fratello... - Mormorò sconvolto.

Chiuso in quella che un tempo era stata la sua camera da letto e che ora l'avrebbe ospitato di nuovo per un mese almeno, Do si stava rivestendo con noncuranza svelto e assente. La testa da tutt'altra parte.
Al discorso appena avuto.
Quando Charlie aveva puntualizzato che in realtà non erano fratelli aveva sentito un moto di stizza mescolato a un vago senso di sollievo.
Da una parte gli dava fastidio sapere che per lui era vitale specificare sempre che non avevano reali legami di sangue, dall'altra ne era contento perchè significava che non lo vedeva in quel modo e questo da un lato poteva essere triste ma dall'altra aveva i suoi vantaggi.
Anche se lì per lì non li comprese affatto, ecco perchè focalizzò unicamente il fattore negativo.
Perché specificare che non erano veri fratelli?
Charlie era sempre troppo preciso...
Eppure era strano da parte sua. Aveva passato la sua infanzia a sottolineare in ogni modo il fatto che lui non era davvero figlio di Alan e Margaret, poi improvvisamente il fatto che Charlie lo tenesse presente lo feriva, quasi.
Scrollò le spalle rifiutandosi di andare oltre con quei pensieri, quindi una volta vestito con comodi abiti da casa uscì dalla camera tornando di sotto con l'unico pensiero di non rovinare quello che avevano costruito con fatica dopo anni di lontananza e silenzi.
Quello che ora aveva con quel ragazzo non lo si poteva definire con un semplice affetto fraterno poiché non l'aveva mai visto così, però c'era, finalmente, ed era forte.
Ci teneva.
Ci teneva davvero e non avrebbe permesso a niente e nessuno di rovinarlo.
Però, si disse anche, non c'era logicamente bisogno che altri sapessero di questo tesoro che voleva conservare a tutti i costi.
L'importante era che lo sapesse lui e lui soltanto, così l'avrebbe protetto meglio!

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Capitolo 3
*** non escludermi ***


*Ecco il terzo capitolo, all'interno c'è un altro cenno a ciò che succede in una delle puntate della nuova serie, quando Charlie scopre da Larry e suo padre che Don ha iniziato a frequentare il tempio a sua insaputa e ci rimane male decidendo di parlargliene. Poi ovviamente il finale l'ho aggiunto io! Inizialmente avevo pensato di fare che Don frequentava la chiesa cattolica poiché di quella ebrea non conosco un fico secco, ma poi ho deciso di mantenere il tempio... spero di non trovarmi a scrivere strafalcioni nel caso debba parlarne meglio. Vabbè, intanto grazia a chi ha commentato e letto gli altri capitoli. E buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 3:
NON ESCLUDERMI

/Twenty years – Augustana/
Già sentirlo da suo padre gli parve strano ma pensò comunque che potesse anche essere comprensibile, tutto sommato.
Entrambi si confidavano con lui per molte cose, non era poi così anormale,.
Quel che però lo sconvolse del tutto fu sentirlo da Larry.
E quando lo sentì anche da lui non gli bastò la raccomandazione che precedentemente gli aveva fatto il padre, ovvero di aspettare che fosse Don a sentirsi di dirglielo. Quando realizzò che lo sapeva anche Larry e che invece a lui, suo fratello, non ne aveva parlato affatto, non riuscì a trattenersi.
Oh, non era certo da Charlie fiondarsi in ufficio da Don per pretendere spiegazioni, ma appena l'avrebbe visto non sarebbe certo stato zitto.
Non era scemo, capiva bene che Don era molto riservato e che parlava a stento. Lui grugniva, non discorreva. Però sperava sempre che certe cose importanti gliele dicesse almeno ora che si erano avvicinati così tanto.
Si sentì ferito e deluso dal fatto che questo, così essenziale proprio perché estremamente insolito per lui, non era venuto a dirglielo.
Perchè?
Né Larry né suo padre seppero spiegarglielo e nel tempo che rimase ad aspettare di poterglielo chiedere di persone aveva pensato di tutto.
Anche troppo.
Che Don andasse al tempio e sentisse le celebrazioni del rabbino non era normale. Non era una cosa facilmente assimilabile, non era una notizia che la si poteva apprendere da chiunque con tranquillità dopo la quale si poteva andare avanti come niente fosse!
Don in chiesa a sentir parlare di Dio?!
Più era rimasto solo a pensarci, più si era trovato sconvolto da questo fatto.
Quando finalmente suo fratello era arrivato a casa a metà giornata per una piccola pausa trovata a metà di un caso, Charlie era scattato in piedi seguendolo con un nervoso salito alle stelle.
Ok, voleva chiederglielo ma poi cosa?
Che parole esatte usare per non farlo chiudere a riccio ed ottenere l'effetto opposto?
Era così difficile strappargli qualcosa...
Sospirò tormentandosi le mani, quindi guardando le sue spalle larghe mentre si muoveva deciso per la stanza semplicemente lo chiese a bruciapelo, lasciando perdere il proprio cervello improvvisamente vuoto!
- Hai iniziato ad andare al tempio? - A quel punto Don si era girato fermandosi di scatto, l'aveva guardato stupito con una chiara domanda nello sguardo, domanda che fece:
- Te l'ha detto Larry? - Come se il problema fosse quello...
Il giovane si strinse nelle spalle sprecandosi a rispondergli, sperando che poi lo facesse anche lui:
- Si ma anche papà... -
- Io non l'ho detto a papà... l'ho detto solo a Larry... - Fece allora Don sorprendendo sempre più Charlie. Solo Larry? E perché mai?
- A lui l'ha detto Larry... - In effetti era vero. Don ne aveva parlato solo con il suo amico e nemmeno col padre.
- Bè, si... - Disse allora Don rispondendo alla sua domanda iniziale, tornò quindi a girarsi per continuare la sua avanzata verso l'altra stanza, credendo di aver concluso il discorso. Ma Charlie ovviamente non mollò e continuando a seguirlo, col cuore che gli martellava nella gola, chiese ancora con un tono leggermente più nervoso di prima:
- E perché non me lo hai detto? - Di nuovo il fratello si fermò e si girò, questa volta più lentamente mentre si notava cercava di soppesare meglio le parole. D'istinto gli avrebbe detto che erano solo affari suoi ma un'occhiata attenta ai suoi occhi ansiosi e chiaramente delusi, gli fece capire che ne era rimasto ferito, così sospirò, si morse il labbro, poi rispose stringendosi nelle spalle cercando di mitigare la questione:
- Non volevo iniziare un interminabile discussione con te sulla questione... - Sapevano bene entrambi che Charlie avrebbe fatto una specie di tesi sul perché Dio non esisteva e a Don quel genere di cose non erano mai piaciute, era sempre stato insofferente riguardo certe cose. Ma più di tutti non era sicuro lui stesso di quello che stava facendo e vedendo gli occhi sempre più lucidi dell'altro, glielo disse aprendosi come non aveva messo in conto di fare:
- La verità è che non sono sicuro nemmeno io di questa cosa. Cioè, è un esperimento. Non so come può andare e non voglio affrontarla col fiato sul collo da parte di nessuno. - Anche se l'aveva detto per ammorbidire il colpo, in realtà l'aveva reso più affilato!
Charlie provò un forte senso di tristezza addosso, cercò con tutto sé stesso di nasconderlo per non dare grattacapi al fratello e magari anche ci riuscì all'apparenza, ma si vedeva che ci era rimasto male. Era come se non lo volesse nella sua vita in un momento così importante, delicato e particolare.
Certo, lui non credeva in nessun Dio e poteva stare ore a confutare la sua presunta esistenza, ma le parole di Don non erano mai state più chiare e letali per lui.
Non voleva che si intromettesse in quella parte della sua vita.
Sperò vivamente di non dimostrare per nulla la ferita che si era aperta in lui, ma ovviamente non fu così poiché Don se ne accorse immediatamente.
Eppure il fatto che l'avesse notato non significava che avrebbe fatto qualcosa per aggiustare il tiro.
Del resto era la verità. Cosa poteva dire per farlo stare meglio?
Nulla... e lui doveva anche capire che certe cose le voleva ancora affrontare da solo almeno fino a che non sarebbe stato sicuro di esse. Era il suo carattere, lo conosceva.
Così cogliendo al volo la chiamata al cercapersone dall'FBI ne approfittò per mettersi addosso ancor più fretta e far finta di non aver captato la sua delusione.
- Io devo andare... - Lo guardò un attimo negli occhi più profondamente, cercando di fargli capire che non doveva prendersela per quello, ma quando lui annuì smarrito si girò e se ne andò scuotendo impercettibilmente il capo.
Se l'era presa e anche troppo!
Certo che gli dispiaceva ma non poteva farci nulla.
Charlie era grande e doveva capire che certe cose erano solo sue, doveva accettare quando decideva di vivere una determinata cosa in quel modo specifico anche se non gli andava bene. Doveva accettare che si ponesse in quei modi bruschi e poco altruistici. Doveva accettare che non si confidasse con nessuno.
Doveva accettare e superare le proprie delusioni da solo, senza il sostegno di chi lo feriva.
Doveva farcela e andare avanti.
Sarebbe stato facile per lui mentire dicendo che non ci aveva pensato poiché non era stata una cosa tanto importante, Charlie se la sarebbe presa di meno e avrebbe intavolato una discussione sul perché fosse inutile andare al tempio, ma sarebbe stata una bugia e lui non era capace di dirne. Lui diceva sempre quel che pensava e come lo pensava, ma solo se era interpellato.
Altrimenti si teneva tutto per sé.
Glielo aveva chiesto e lui glielo aveva detto. Era stato difficile nella fattispecie perché aveva saputo fin dall'inizio che ci sarebbe rimasto male, ma mentire per indorarglli la pillola non avrebbe avuto senso.
La verità era quella che aveva detto.
Stop.
Charlie era grande, ce l'avrebbe fatta da solo così come ogni giorno ce la faceva lui.

Rimasto solo, il giovane, guardò a lungo la porta chiusa dalla quale era sparito Don. Guardò l'uscio con sguardo perso, in piedi con le mani lungo i fianchi.
Male?
Si, ci era rimasto male.
Anzi. Molto di più.
Questo aveva un significato tutto nuovo per lui, dopo che aveva capito di stare innamorandosi.
Significava che Don non lo ricambiava davvero e che non lo voleva nella sua vita nelle cose davvero importanti.
Certo, non era sicuro di ciò che faceva ma per uno come lui andare al tempio a cercare Dio era paragonabile alla scoperta di una delle teorie matematiche più sensazionali di tutti i tempi!
Come poteva non aver bisogno di parlarne con qualcuno?
Come poteva chiuderlo fuori dalla sua vita ancora?
Forse, dopo tutto, si era solo illuso di essersi avvicinato...
E pensando ciò appoggiò la fronta sullo stipite di legno lì accanto, chiudendo gli occhi scoraggiato, liberando un espressione smarrita e ferita.
Ecco perchè preferiva la matematica ai rapporti umani... quella non lo feriva mai.


Quando a sera Don arrivò a casa, era molto tardi e non si era certo aspettato di trovare qualcuno ancora sveglio.
Con sua sorpresa, invece, seduto al divano coi piedi alzati nel tavolino davanti a sé c'era Charlie addormentato della grossa.
Si fermò nella penombra senza aprire nessuna luce, aiutandosi solo con quella della televisione accesa su una partita ormai finita e quella che veniva dai lampioni esterni.
A qualche metro da lui, togliendosi la giacca, scrutò con attenzione il volto del fratello o per lo meno colui che secondo la legge lo era.
Anche nel sonno la sua espressione non mascherava per niente bene il suo reale stato d'animo.
Tormento, dolore, ansia, un malessere profondo portato certamente da lui e dal suo comportamento.
L'aveva tagliato fuori da una cosa importante e si era ridotto così!
Che senso aveva?
Sospirò con pazienza e senza pensarci si sedette leggero e silenzioso accanto a lui, nel divano. Appoggiando il gomito allo schienale e girandosi a tre quarti, piegò la testa di lato sulla propria mano e assorto rimase a guardarlo ripensando a quando si erano parlati quel giorno.
Ripercorse tutti i momenti e poi, semplicemente, strinse le labbra in segno di non saper proprio che fare.
Era sicuro che non lo potesse aiutare o almeno avrebbe potuto ma in quel caso sarebbe andato contro sé stesso.
Non voleva tagliarlo fuori dalla sua vita di nuovo, ma questa sua ricerca di Dio era così lontana dalla matematica di Charlie che non c'era nemmeno una sola possibilità che si sarebbero potuti trovare d'accordo, questa volta.
Forse era stato anche il timore di allontanarsi di nuovo a farlo agire in quel modo tacendogli la ricerca della sua fede.
Sapere che avrebbe tentato di convincerlo che era solo una perdita di tempo aveva inciso tanto e non poteva sostenere una discussione del genere.
Inoltre non voleva, non voleva assolutamente perderlo di nuovo.
Ennesimo sospire scontento.
Non gli piaceva come si erano messe le cose.
Alzò la mano, cercò il telecomando e spense la televisione. Rimase il silenzio completo ed il buio quasi totale ad inglobarli. I giochi dei lampioni che venivano dall'esterno gli permetteva di vedere appena la sagoma dell'altro accanto, con la testa appoggiata all'indietro, i capelli scarmigliati tutti ai lati del viso e i lineamenti preoccupati anche nel sonno.
Fu lì che si sentì di nuovo lontanissimo da lui, dopo la sorpresa dei giorni passati quando gli avevano detto di essere uguali.
Preferiva sentirsi simile ma non poteva mentire a sé stesso e nemmeno a lui.
Però questo non voleva certo dire che non gli voleva bene.
Forse questa loro diversità poteva rafforzare ulteriormente il loro legame sempre in continua evoluzione.
Poteva anche essere, dopo tutto...
Dopo un interminabile tempo indefinito passato a fissarlo, Don cominciò a rendersi conto di essersi impercettibilmente sempre più avvicinato.
Quando lo notò era già a pochi centimetri dal suo viso e sentendo su di sé i suoi respiri, i battiti del suo cuore accelerarono di brutto mentre si chiedeva che diavolo stesse facendo.
Cominciò a dirsi di tutto, mentalmente, mentre i dilemmi avuti fino a quel momento si cancellavano.
Poi però i suoi occhi si persero di nuovo sul viso di quello che, ora lo vedeva meglio di prima, non aveva nulla di simile a sé stesso. Non fisicamente. E questo perché non erano veri fratelli.
Già... non lo erano...
E mai più di allora se ne sentì sollevato, nonostante di norma gli desse fastidio ricordarsene!
Fu lì che si calmò completamente e controllando tutte le sue improvvise accelerazioni corporee concluse il cammino verso il suo viso e senza il minimo senso di colpa sfiorò le labbra con le proprie.
Solo questo.
Appena leggero, impercettibile.
Dopo di ché la pace lo colse e con serenità si lasciò cadere sullo schienale del divano mentre il sonno lo avvolgeva lì dov'era.

Quando il mattino Charlie si vegliò, a parte i dolori lancinanti alla schiena per la posizione scomoda assunta tutta la notte, sentì ancora prima di aprire gli occhi un peso sulla sua spalla, contro il collo. Un altro respiro oltre al suo.
Sgranò gli occhi di colpo e imponendosi di non pensarlo, girò subito lo sguardo in direzione di quel peso.
Nonostante il sonno e la nebbia che invadeva ancora la sua mente, fu certo di non stare sognando.
Quando mise a fuoco Don addormentato contro di lui un sorriso radioso si formò spontaneo sulle sue labbra, mentre la luce e la serenità tornavano sconfiggendo le tenebre del giorno prima.
Qualunque cosa avesse fatto Don non se ne sarebbe più andato.
Era ancora lì con lui.

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Capitolo 4
*** Passato e futuro ***


*Gente, la puntata a cui fa riferimento è bellissima e la canzone che ho messo come colonna sonora mi ha colpito altrettanto visto che anch’essa viene dalla puntata in questione, la 11 della quinta stagione. (ho trovato un sito che inserisce le canzoni di ogni scena… ma che bello!!!) Vabbè, particolari a parte, il mio capitolo parte dalla fine della puntata, Don si trova davvero nel tempio e quel che pensa riguardo la giornata è ciò che succede davvero nell’episodio. L’unico piccolo cambiamento che ho messo è stato quando poi entra Charlie e parla con lui. In originale, ovviamente, entra la donna di Don che io ho abolito! ^____^
Ad ogni modo questo capitolo mi ha preso particolarmente infatti contro la mia volontà è venuto in prima persona dalla parte di Don. Me ne sono accorta solo quando l’avevo finito di scrivere, quindi rimane così!
Ringrazio coloro che seguono e commentano la fic. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 4:
PASSATO E FUTURO

/Arvo Part – Cactus in memory of Benjamin Britten/
Sono stato tutto il giorno fermo immobile davanti alla foto di Buck e al video dell'auto con la sua donna che bruciava dopo che io le avevo sparato.
Ho pensato tutto il giorno con il numero di cellulare che Buck mi aveva dato dopo avermi telefonato.
Mentre tutti gli altri della squadra, e non, erano preoccupati per me e cercavano di coinvolgermi nell'indagine per trovarlo dopo che era evaso di prigione con il chiaro intento di vendicarsi di me, dopo che li ho ignorati di continuo facendogli fare come volevano, cosa che non avevo mai permesso, dopo che ho risposto con un silenzio alle frasi di tutti quelli che cercavano di sapere come stavo e che volevano aiutarmi a tirare fuori questo mio terribile stato d'animo bloccato e raggelato dentro di me, dopo tutto questo non sono riuscito a fare nulla prima dell'arrivo di Charlie e delle sue semplici parole.
Se dovessi ripeterle non saprei cosa mi ha detto di preciso, ma me l'ha detto.
E mi ha fatto capire cosa andava fatto e cosa voleva davvero Buck.
Tutti hanno pensato che volesse vendicarsi perché ho ucciso la sua donna e l’ho messo in prigione, solo io ho capito cosa voleva davvero.
Morire per mano mia poiché io avevo ucciso sua moglie.
Ecco perché dopo aver tenuto nascosto per tutto il giorno che avevo il suo numero, il numero del criminale che mi dava apertamente la caccia, quando David ha capito tutto è venuto da me infuriato ed io non l'ho mandato via a meno che non facesse esattamente quel che dicevo io.
Non gli ho spiegato, né a lui né a nessun'altro cosa volessi fare di preciso, perché gli avevo dato appuntamento al tempio e perché non avessi voluto nessuna pistola.
Né ho detto che non c'era nessun pericolo poiché Buck non mi avrebbe ucciso in realtà.
È stato Charlie a farmi aprire completamente la mente anche se non ricordo come.
E a lui devo l'esito di questa giornata, in fondo, poiché probabilmente me ne sarei rimasto davanti a quello schermo a guardarmi la sua faccia in foto e pensare al giorno in cui la sua donna ha rapito Megan per riavere il suo ragazzo che avevo arrestato.
Quel giorno ho fatto cose contro la legge di cui non vado fiero e mai ne andrò, ero impazzito ed ho sorpassato tutte le linee possibili e immaginabili.
Non intendo più ripetere una cosa simile.
Per farlo parlare l'ho spedito in ospedale oscurando telecamere e chiudendo le tende della sala interrogatori.
Ma io so che non mi odia tanto per come l'ho ridotto quanto perché l'ho obbligato a tradire colei che amava per consegnarmela.
Ma lei aveva Megan ed io non ho mai avuto scelta. Forse.
Me lo sono ripetuto in continuazione in questi anni ma non sono stato capace di soddisfarmi mai.
Ho dovuto ucciderla.
Gliel'ho poi detto a Buck quando ci siamo trovati faccia a faccia qua, al tempio, circondati da una marea di agenti fra cui tutti i membri della mia squadra.
Aspettavano il mio segnale per ucciderlo ed io non lo davo.
Erano convinti mi avrebbe sparato, certi che non contava altro che quello per lui.
Invece no.
Invece voleva solo morire come era morta la donna che amava, che io gli ho strappato.
È stata una delle cose più dure che ho fatto e da una parte volevo solo farla finita in qualche modo. Bastava un mio cenno e avrebbero sparato, poi fine dei giochi.
Ma non ho voluto darlo.
Volevo parlare con lui, tirargli fuori la verità.
Solo quello.
Così poi in ginocchio davanti a me, piangendo, me l'ha detto.
Me l'ha detto che era come dicevo io e che non poteva sopportare di vivere ancora, ma non gli bastava una morte qualunque.
Ha gridato e poi si è buttato a terra lasciandosi prendere e portare via dagli agenti.
Nessuno è morto e se fossi andato là con l'intenzione di uccidere non ci sarebbe stato altro da fare.
Sarebbe successo.
Semplicemente.
Ma questa volta non l'ho fatto.
Nessuna furia omicida, nessuna pistola. Io, lui e basta.
E altri rimorsi non si accumuleranno, per questa volta.
Perché anche se quando uccido sono costretto e penso a chi permetto di vivere, è sempre una vita quella che tolgo e non ne vado mai fiero.
Non ne sono mai contento.
Come non lo sono stato di aver agito così oggi nei confronti della mia squadra, tutti preoccupati per me.
Rimasto qua da solo, in questo tempio vuoto che ho preso a frequentare ultimamente per ottenere qualche risposta e un po' di pace, non mi rendo conto delle ore che trascorrono e del peso che lento comincia a togliersi ora che sono riuscito a mettere davvero la parola fine a tutto questo.
Ci saranno sempre molti altri fantasmi nella mia vita, ma l'importante è che ora ne ho uno in meno.
Sospiro guardando fuori dalle vetrate di quest'ampio e alto spazio che mi circonda, è notte fonda e forse dovrei proprio andare ma quando sto per alzarmi, gli occhi mi ricadono sulla Torah che proprio ieri sera leggeva in questo posto. Mi ricordo che ero rimasto dubbioso su un argomento che riguardava Mosè e le tavole della legge che gli aveva dato Dio con fatica da tramandare al suo popolo. Sceso dal monte aveva trovato la sua gente che idolatrava e lui infuriato ha rotto le tavole di pietra dicendo loro di tutto. Mi sono chiesto
perché ha fatto ciò che ha fatto per tutti loro, quei sacrifici, se poi loro l’hanno ripagato non avendo fiducia in lui, cadendo così facilmente.
Quando seguo gli incontri qua dentro assorbo tutto quel che si dice e il resto lo leggo dalla Torah che ho in mano e che riapro in un'altra pagina senza alcun pensiero particolare.
Leggendo arrivo su un passo in cui Mosè poi torna sul monte e si fa ridare di nuovo le tavole della legge da Dio, perdonando il suo popolo che aveva peccato, che l’aveva pugnalato e che non si meritava più nulla. Così ho semplicemente capito che le cose stanno così e che l'amore di quella persona era così grande da aver perdonato ed essere andato avanti per la sua strada sempre e comunque.
Non ho ancora compreso il motivo, come fa.
Però oggi forse ci sono più vicino a comprenderlo.
Buck e la sua donna erano dei criminali, hanno fatto davvero del male a moltissime persone uccidendo, lei ha rapito Megan e poi si è praticamente fatta uccidere da me.
Lui ne ha fatte, a tutti e a me per primo; cosa posso dire?
Non ho voluto ucciderlo nonostante potessi, lui volesse e fosse stato giusto.
Forse è simile al mistero di Mosè che ha amato di nuovo.
Poteva odiare e abbandonare tutti e da ciò che sto capendo da quando frequento la chiesa, non lo ha mai fatto, ma ha continuato ad amarli conducendoli alla salvezza.
Io potevo ucciderlo, Buck, e avrei davvero dovuto farlo, ma l'ho lasciato vivo.
Quando riuscirò a capire ciò che è successo stasera, forse capirò meglio anche perché Mosè, e Dio tramite lui, hanno amato ancora.
Con questa conclusione una voce sommessa alle mie spalle mi fa saltare sul posto ed io mi giro senza alzarmi dal bancone in cui sono messo poco compostamente con le gambe allungate davanti a me.
- Sei qua... - Mormora Charlie avanzando a disagio in un posto a lui poco convenzionale.
Rimane in piedi accanto a me, ci guardiamo e io gli faccio un cenno che è un misto fra un 'si', un saluto ed un 'siediti un po' qua'.
Lui riflette attentamente su questi miei messaggi da decifrare, quindi poi per nulla convinto e come fosse un pesce fuor d'acqua, si siede dritto e teso nel posto che gli ho fatto accanto a me.
- Come mai non sei tornato a casa? Ti aspettavamo per cena ma poi abbiamo iniziato. Ora se ne sono andati tutti. - Dice cose un po' inutili per alleggerire il proprio nervosismo. Questo posto è così grande, vuoto e silenzioso che rimbomba tutto.
Sento che mi guarda fisso per non osservare nulla della chiesa, luogo che non gli è mai piaciuto molto, io invece guardo di nuovo il Pentateuco fra le mie mani.
Mi stringo nelle spalle e sussurro appena:
- Mi sentivo bene qua, volevo starci ancora un po'. -
Sta zitto un po', poi seguendo un suo pensiero lo condivide assorto, dimenticando il luogo in cui si trova:
- Il passato non si può cambiare, è lì e basta. Ma il futuro è tutto ciò che possiamo controllare. - Questa non viene da lui, ne sono certo!
O forse è proprio quello che mi ha detto oggi in ufficio, che mi ha fatto smuovere…
Però penso che questa trovata sia più da Larry o da papà... sorpreso che me l'abbia detta così di punto in bianco, mi giro verso di lui che si è un po' rilassato, anche se non molto, e ci troviamo a fissarci negli occhi scambiandoci questi sguardi un po' strani.
- Non è tua questa... - Lui allora accenna ad un sorriso che mi contagia strappandomene uno piccolo anche a me.
- No. Ma più o meno te l’ho già detto prima. - Non importa. Mi ci voleva, è vero.
E ancora una volta ha capito cosa dirmi al momento giusto. Ricordandomi di quel che ha fatto per me oggi, anche se a nessuno dei due è davvero ben chiaro di cosa si tratti, sempre continuando a guardarlo da vicino così come siamo, accentuando un po' questo mio sorriso che tiro fuori difficilmente, sussurro:
- Grazie per oggi, Charlie... - Lui subito si imbarazza:
- Non ho fatto nulla di essenziale per te... - Non è un tipo modesto di solito, è strano che ora lo sia. Pensa davvero di non aver fatto nulla.
- Dai Charlie, lo sai bene... -
- No, davvero... io ti avevo detto che avrebbe voluto ucciderti, secondo quel calcolo delle probabilità che ho fatto. Tu da solo invece hai capito che in realtà voleva farsi uccidere da te. È diverso! -
Scuoto la testa, non cambierà mai. Sospiro, quindi mi raddrizzo anche io e mi giro di più, sposto il braccio dall'altra parte del banco e l'appoggio dietro di lui, quindi assicurandomi che non mi stacchi gli occhi di dosso, torno serio e lo ripeto basso e deciso:
- Non so cosa è stato ma dopo che sei venuto, mi sono deciso a fare la cosa giusta. Non mi hai detto qualcosa che mi ha fatto capire le reali intenzioni di Buck, ma io le ho capite lo stesso. Solo dopo che ho parlato con te. Non so cosa sia stato ma è successo ed io ti voglio ringraziare. Accetta e basta! - Lui rimane spiazzato e ripetendosi svelto le mie parole nella mente, fa un cenno con la testa e gli occhi lucidi. Credo sia emozionato... così decido di aggiungere una parte che mi esce da dentro. Dopo questa giornata non voglio ci siano parole che non dico e che mi tengo dentro. Ma so bene che questa mia intenzione rimarrà attiva solo per questa notte e che domani sarò il Don di sempre. Quindi colgo l'attimo: - Sei importante e prezioso per me, non voglio che lo dimentichi mai. -
Dimostra ulteriormente il suo disagio ed il suo imbarazzo, è proverbialmente senza parole e ne sono ampiamente contento. Quindi il sorriso torna sul mio viso di norma cupo e sembra berne ogni singolo centimetro.
Gli piace quando sorrido, lo so bene, ma non ci riesco spesso.
- Anche tu per me. - Non arriva a dire altro sforzandosi di sorridere a sua volta, non gli riesce bene poiché si vede solo che è ancora più emozionato.
Così sposto la mano che tengo sul banco dietro di lui e la metto sulla sua spalla stringendo in una specie di semi abbraccio. Lui dapprima si tende ma poi si rilassa contro di me. Non azzarda nulla, non muove un muscolo e distoglie gli occhi dai miei.
Se usciamo da qua questa magia svanirà e non ci sentiremo così intimi e vicini, né io così bene nonostante quello che è successo qua dentro, ma è ora di affrontare di nuovo il mondo là fuori.
- Andiamo, ho bisogno di dormire un po'! - dico quindi alzandomi. Nel movimento lui mi segue ma io gli tolgo la mano a malincuore.
È davvero bello rimanere così vicini, così insieme... ma si deve andare avanti, il tempo non si ferma e poi lui l'ha detto bene prima.
Il futuro è tutto ciò che possiamo controllare.
- Andiamo a controllare il futuro insieme. Ti va? -
Credo di non avergli mai fatto una proposta simile così apertamente e semplicemente, lui rallenta il passo, guarda la mia nuca, io proseguo e non rallento accennando ad uno sguardo divertito. La sua espressione sarà di estrema incredulità.
Poi lo sento riprendere il passo di buon grado, contento probabilmente di uscire di qua, mi affianca e con una certa allegria risponde senza né superarmi né starmi dietro.
Perfettamente accanto a me.
Come voglio che camminiamo da ora in poi. “
- Certo! -

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Capitolo 5
*** Gelosia ***


*Detto fatto: devo andare avanti con Teoria e pratica!, mi son detta. Così ecco qua un nuovo capitolo. Inizialmente non sapevo bene cosa scrivere, però poi mi è venuto il classico lampo di genio, la fine l'ho improvvisata completamente mentre scrivevo. In questo capitolo non c'è alcun riferimento a nessun episodio, ma nel prossimo si, ce ne sarà uno anche molto importante! Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano questa fic. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO V:
GELOSIA

/Wolf like me – Tv on the radio/
Quando Charlie rientrò in casa era sera inoltrata e suo padre era a cena fuori con Milly, ormai succedeva anche troppo spesso di trovarsi solo. Bè, non era esatto.
Proprio solo no.
L’auto parcheggiata fuori nel vialetto indicava che Don era in casa e il sorriso che illuminò il suo viso appena l’aveva realizzato era stato inconfondibile. Si era però subito spento vedendo la presenza di un'altra macchina subito dietro. Aveva ospiti?
Non riconobbe il veicolo come uno di quelli dei ragazzi, quindi si chiese curioso chi potesse essere.
Appena messo piede dentro si guardò intorno cercandoli ma nonostante la luce accesa che confermava la presenza di qualcuno, il deserto lo accolse.
Con una certa delusione addosso cominciò a chiedersi dove potessero essere.
Mise giù chiavi e borsa distrattamente, quindi storse le labbra contrariato e si grattò il capo senza capire:
- Eppure deve esserci… e non è solo… se ha un ospite dove vuoi che sia, se non in soggiorno o in sala da pranzo? – Cominciò a parlare da solo ad alta voce, voleva calmare l’ansia che cominciava ad affacciarsi. Ansia stupida ed incomprensibile.
Analizzandola non avrebbe certo avuto motivo di esistere… suo fratello era lì con qualcuno, non era nei paraggi ma c’era… e allora?
Andò dunque in cucina, aprì il frigo sforzandosi di essere naturale e fare finta di nulla, ma dopo un istante che fissava il contenuto senza vederlo davvero, lo richiuse e si precipitò su per le scale, seguendo la scia di un’altra luce accesa, quella del corridoio di sopra.
Era ora di cena e non cenava. Normale per Don. In casi normali avrebbe pensato di trovarlo a farsi una doccia e ci sarebbe stato accuratamente alla larga, ma sapendo della presenza di un misterioso qualcun altro quella che si ostinava a chiamare semplice curiosità si ingigantiva sempre più in lui.
Mordicchiandosi il labbro inferiore andò dritto davanti all’unica porta chiusa con una luce aperta all’interno.
La camera di Don.
Giunto lì davanti divenne sempre più nervoso e serio. Si ostinava a darsi dell’imbecille per ciò che faceva, niente di male in effetti, ma non si muoveva.
Stava là e guardava la porta chiusa.
Il silenzio della casa era quasi completo, però quando sospese i suoi respiri leggermente affannati non poté fare a meno di sentire le voci che provenivano da dentro la stanza.
Era con un uomo.
Charlie corrugò subito la fronte, poi si diede dello stupido. Era positivo che fosse con un uomo, dopo tutto se fosse stato con una donna, trattandosi di Don, poteva significare solo una cosa che non gli sarebbe piaciuta. Ma era con un uomo. Sicuramente solo un suo amico.
Tornò a trattenere il respiro e ad ascoltare quasi attaccato all’uscio chiuso.
E poi se volesse fare sesso ormai potrebbe aspettare… a giorni torna a casa sua… “
Non era contento che se ne andasse, dopo un mese di convivenza, anche se con suo padre intorno, si era abituato a stare con lui, gli era piaciuto davvero nonostante i momenti di imbarazzo.
Però sarebbe tornato ogni sera o quasi, l’avrebbe rivisto lo stesso. Anche se non mezzo nudo e tutto bagnato.
Assunse un espressione contrariata a questo pensiero ma fece ancora una grande attenzione maniacale. E finalmente distinse i loro discorsi.
L’altro non lo conosceva ma sembravano in rapporti amichevoli.
Don lo stava ringraziando di essere venuto lo stesso anche se non era a casa sua o in un posto più adatto. L’altro stava dicendo che non aveva importanza e che per lui faceva questo ed altro. Inoltre quel letto andava bene lo stesso anche se era basso e morbido.
Charlie impallidì e sgranò gli occhi sperando di possedere una vista a raggi X per vedere attraverso il legno.
Cosa stavano dicendo?
Ma soprattutto… cosa stavano facendo?
- Se sei pronto comincio… - Sentì dire lo sconosciuto. Il giovane sentì solo un ‘si’ da suo fratello e subito l’istinto di entrare lo colse. Avrebbe voluto irrompere e bloccarli prima che cominciassero… già, ma a fare cosa?
Quello che pensava?
Però a fermarlo furono i gemiti di Don.
No, non poteva davvero essere quel che sembrava… davvero, no!
Però la sua voce si fece sempre più alta e sofferente, man mano che procedevano diventava più intensa. A tratti sembrava gli stesse facendo molto male ad altri invece che gli provocasse piacere. O per lo meno sembrava così.
In realtà i soli gemiti e a volte quasi urli di Don non erano sufficienti a farsi un quadro perfetto. Ma anche parziale a lui andava bene… c’era poco da vedere, con dei versi simili!
Da bianco divenne rosso acceso mentre immaginava l’uomo di cui si stava innamorando e che desiderava sempre più, fare sesso con un altro. Uomo per di più.
Però il momento delle fantasie durò poco visto che poi si fece subito strada lo shock più nero.
Altro che speranze… quello lo sotterrava direttamente a sei metri nel terreno!
La forza di muoversi per un lungo momento non l’ebbe e la sua mente si paralizzò proprio come il suo corpo e la sua espressione. La bocca aperta. Sconvolto. Non sapeva cosa pensare, il suo cervello non gli rimandava niente. Spento. Scollegato.
Però gli bastarono alcune frasi ansanti di Don per riaccendersi:
- Ecco ecco, lì… è proprio lì che mi… ooohhh…. Sei davvero il migliore… - No, questo era troppo. Quella era pur sempre casa sua, dopo tutto, e quello che faceva sesso con un altro era l’uomo di cui si era innamorato. Un po’ di amor proprio ce lo aveva. Non poteva permettere che lo facessero fesso e lo ferissero a quel modo.
Come potevano?
Non ragionò più.
In quell’istante la mente di Charlie andò per i fatti propri e abbandonandolo nel caos e nella rabbia più totale, si ritrovò semplicemente ad aprire la porta di scatto.
Quando fu dentro con la bocca aperta ed espressione furente pronto per dire di tutto a loro, si bloccò immediatamente come in un ferma immagine del videoregistratore.
La scena che si trovò davanti, dopo tutto, non era nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che aveva immaginato… e ce ne aveva messa di fantasia!
Don era steso a pancia in giù sul letto, completamente nudo con un asciugamano bianco sul fondoschiena.
L’altro uomo era quasi di venti anni più grande ed era in piedi chino su di lui con le mani sulle sue spalle a massaggiarlo.
L’odore di creme e olii aromatici lo investì permettendo al suo cervello di tornare attivo e logico.
La comprensione gli arrivò immediata, ma troppo tardi.
- Charlie… - Disse smarrito ed incredulo Don guardandolo con le sopracciglia aggrottate senza capire che volesse. Aveva una tale espressione di shock… - è successo qualcosa? – Chiese preoccupato credendo che suo padre si fosse sentito male.
Si tirò su sui gomiti per alzarsi ma Charlie arrossì violentemente e si paralizzò cominciando a balbettare, senza staccargli gli occhi di dosso.
- N-n-no… s-si… c-cioè…i-io p-pensavo che t-tu stessi… m-ma ho c-capito male… m-mi sono s-sbagliato. S-scusate l’interruzione. C-continuate pure! – Poi non sapendo nemmeno ciò che aveva detto si voltò e sparì di corsa per il corridoio.
Fece in realtà poca strada perché in un attimo si sentì afferrare il polso da una presa ferrea e facilmente riconoscibile.
Possibile che quell’uomo fosse così veloce e forte?
- Cosa c’è? – Gli chiese di nuovo da dietro costringendolo a voltarsi.
Charlie obbedì, lo guardò di nuovo e… non l’avesse mai fatto!
La prima cosa su cui i suoi occhi caddero era la sua vita su cui quel ridicolo asciugamano minuscolo avvolto frettolosamente, ora era caduto.
Don parve non accorgersene e non curarsene, ma il rossore divenne un incendio, nel viso di Charlie, che se ne accorse eccome.
La sua completa nudità lo colpì come un pugno in pieno stomaco.
Gli tolse il fiato e di nuovo gli scollegò il cervello.
L’altro l’osservò meglio, quindi si piegò leggermente per vederlo negli occhi che cercava di sfuggirgli, per cui disse stranito:
- Charlie tu… hai pensato che stessi facendo sesso?! – La varietà di colori che a quel punto aveva assunto il più giovane fu curiosa ed indefinita. Lo prese per un sì, allora aggiunse incredulo: - Ma non hai sentito che ero con un uomo? – Qua Charlie si riaccese parlando confuso, alzando gli occhi sui suoi:
- E che male c’è con un uomo? E poi tu gemevi e… - Fu Don a sgranare gli occhi senza poter credere a quel che sentiva:
- Gemevo?! Si, di dolore! Oggi ho preso un colpo tremendo alla schiena e alle spalle, visto che mi faceva male anche la gamba ho chiamato Kevin che è un mio amico, mi mette a posto quando mi succedono queste cose! Ecco cosa mi stava facendo! Mi massacrava… per rimettermi a posto! E tu hai pensato che facessimo sesso? A casa tua? – Charlie non sapeva più come sentirsi, un verme, in profondo imbarazzo oppure stizzito. Forse tutti e tre insieme.
- C’è bisogno di essere così espliciti? – Si riferì al fatto che continuasse a dire che pensava avessero fatto sesso. Poi vedendo i suoi occhi fiammeggianti ma non arrabbiati, li riabbassò e quando stava per dire qualcos’altro si ritrovò di nuovo con le sue parti intime bel belle in mostra, come fosse la cosa più naturale! L’imbarazzo vinse: - D-Don, ti prego… v-vestiti! – Per non scoprirsi troppo non glielo avrebbe mai detto, ma lì non poté resistere. Era troppo continuare ad averlo in quello stato dopo quel che era successo!
Don allora si guardò e parve accorgersene solo lì, peccato che non lo vide come un problema. Suo malgrado lo lasciò andare e borbottando uno sbrigativo: - Ne riparliamo dopo. – Sparì in camera per vestirsi e scusarsi col suo amico.
Charlie fu ben contenti di poter sparire a nascondersi!

Quando Kevin se ne fu andato, Charlie non era ancora nei paraggi. Don scuotendo la testa aveva deciso di andare a cercarlo senza aspettare che si facesse vivo. Ovvio che non sapeva attendere!
Andò dritto in camera del fratello sapendo benissimo che poteva essere solo lì o al massimo chiuso a chiave in bagno.
Bè, a dire il vero c'era una forte probabilità che potesse essere in garage a lavorare a qualche problema irrisolvibile di matematica... si calmava in quel modo.
Però il suo istinto lo condusse lì e come spesso accadeva, aveva ragione.
Bussò una volta giusto per prassi, ma non attese la risposta quindi aprì la porta ed entrò.
Lo trovò seduto davanti alla scrivania sommerso fra qualche libro della sua materia preferita a tentare di leggerlo. Si vedeva che non capiva ciò che scorrevano i suoi occhi.
Charlie alzò di scatto la testa e guardò spaventato Don che, con suo sollievo, era vestito. Sollievo e al contempo un po' di dispiacere. Non era certo un brutto vedere...
- Charlie, dobbiamo parlare... - Lo disse senza riflettere e spedito come un carro armato si sedette sulla scrivania davanti a lui, facendo cadere incurante alcuni libri che precari la sommergevano. Ora erano vicini l'uno davanti all'altro. Quello seduto più in basso, sulla sedia, cercò in tutti i modi di sfuggire allo sguardo penetrante e diretto dell'altro più in alto che con le braccia conserte lo fissava implacabile.
L'imbarazzo tornò più di prima.
- Ah si? - Chiese distratto sperando di riuscire a buttarla in qualche modo sullo scherzo... Per un momento desiderò di essere una di quelle persone buffone che scherzavano su qualunque cosa. Sarebbe stato facile affrontare una cosa simile, ora... sarebbe riuscito a sviarlo quando voleva!
Invece sapeva bene che a condurre il discorso scomodo sarebbe stato Don, come faceva ogni cosa nella sua vita.
A volte sembrava un agente anche nel privato!
Ma l'agente in questione non si fece deviare da quel debole tentativo.
Non ce l'aveva con lui, non era arrabbiato, ma voleva capire perchè aveva avuto quella reazione... anche se avesse fatto davvero sesso?
Cosa gli cambiava a lui?
Era la sua camera; certo, in casa di Charlie, ma un minimo di intimità aveva il diritto di averla. In fondo dopo un mese di convivenza sarebbe stato normale voler fare un po' di sesso... a lui non era successo ma non per volontà. Bensì per mancanza di materia prima. La voglia ce l'aveva eccome... anzi, anche troppa ultimamente. Proprio da quando si era momentaneamente trasferito lì...
Forse era il pensiero di non poter avere privacy... non sapeva spiegarselo bene.
Sciolse le braccia e cercò di fare un espressione meno dura, con pochi risultati. Ormai conosceva solo quelle!
- Anche se avessi fatto davvero sesso, era quello il modo di interrompere? Sono grande, ho diritto alla mia privacy anche se non ho ancora casa mia... no? -
Non lo capiva bene nemmeno lui perchè gli premesse tanto chiarire questa cosa. In fondo non era stato nulla di grave, no?
Però voleva sapere... voleva sapere perchè quella reazione esagerata. L'aveva visto dapprima arrabbiato, poi sconvolto ed infine terribilmente imbarazzato.
Charlie boccheggiò un po' alla ricerca di una risposta sensata e soddisfacente. Anche lui ebbe scarsi risultati visto che la risposta c'era, ma era quella vera che non gli avrebbe mai dato!
Ed ecco il suo problema più grande. Sin da piccolo non era mai riuscito a mentire. Ce l'aveva sempre messa tutta ma se si trattava di nascondere era una cosa, poteva anche farcela, seppure con fatica, ma al momento di mentire... no, non ce l'aveva mai fatta.
Si morse il labbro mentre di nuovo i colori di prima imporporarono la sua pelle. Era in visibile difficoltà, a Don dispiacque ma non si placò.
E quella vicinanza dopo averlo visto nudo, non lo aiutava di certo... non doveva nemmeno sforzarsi per rivederlo in quelle apprezzate sembianze, la visione di prima tornava comunque davanti ai suoi occhi impanicati!
- Io... - Iniziò con la gola secca. Tossicchiò e si grattò la nuca ingrovigliandosi ulteriormente i ricci neri, poi riprese non sapendo come giustificarsi: - non so... ho agito d'impulso... -
A questo Don sgranò gli occhi castani mostrando tutta la sua incredulità, si piegò addirittura in avanti e disse:
- Cosa? Tu che agisci d'impulso? Ma cosa dici! - Aveva ragione... era raro che lo facesse... doveva essere ben sconvolto per farlo...
- Ecco... - Ora doveva cercare una giustificazione anche per quello. Si strinse nelle spalle e lo smarrimento fu totale. Non sapeva proprio cosa dire se non la verità.
Lo sapeva bene il perché e non era né matto né scemo. Aveva un senso preciso quel che aveva fatto e creduto. Anzi. Aveva talmente senso che qualunque altra giustificazione sarebbe sembrata sicuramente una cavolata!
Don è un agente... ed anche molto bravo, è un capo squadra. Anche se dice che senza di me spesso sarebbe nei guai coi casi, lui arriva lo stesso alle cose. Ha un istinto infallibile e pensare di farla proprio a lui è pura utopia.
Io, per giunta, che non sono nemmeno un agente come lui. L'unico che è riuscito a fregarlo alla grande è stato Colby, ma vuoi mettere me con Colby? Lui è stato un marine e poi un agente federale sotto copertura, si è passato per spia; insomma, non è una passeggiata quel che ha fatto. È ovvio che solo lui fra tutti poteva fregare Don.
Ma io... cosa spero di riuscire a fare con lui che è sempre stato un mistero per me?
Forse la cosa giusta è la verità, come sempre. Tanto lo verrebbe a sapere lo stesso, in qualche modo. Lui è Don... se qualcosa non lo convince riesce a scoprire cos'è. È stato grazie a questa sua caratteristica che poi è riuscito ad aiutare e salvare Colby mentre tutti gli altri volevano solo dimenticare.
Don è così. Non dimentica e se c'è qualcosa che non gli quadra non molla. Assolutamente mai. E alla fine la scopre.
Nel mio caso se venisse a sapere da solo quel che io ora gli nascondessi, ci rimarrebbe male.
Penso che... dopo tutto... ma si... forse è l'occasione giusta. Perchè no.
Non era nei miei piani dirglielo, pensavo di poterne fare a meno per l'eternità, ma visto che ci sono... sempre meglio di come sto ora, spero. Boh...”
I pensieri di Charlie non erano mai stato più confusi, insicuri ed indecisi!
- Io... la verità è che non lo so. - Don fece un espressione più attenta e continuando a guardarlo diretto quando invece l'altro aveva abbassato lo sguardo amareggiato sul libro che aveva ancora in mano, glielo tolse buttandolo in parte sopra gli altri libri accumulati in un angolo della scrivania su cui era seduto.
- Charlie, non sai cosa? - La cosa si stava mettendo in un modo strano. Però il tono usato era quasi delicato. Quasi.
Il giovane strinse le labbra contrariato ed in difficoltà, quindi sospirò e inghiottendo prese coraggio:
- Cosa provo per te. - In realtà lo sapeva bene...
Il più grande continuava a non capire.
- Spiegati meglio. - Lo esortò deciso. Aveva quel modo di fare a cui non si riusciva ad opporsi.
Dai, Charlie... fatti forza e diglielo! A questo punto non ti rimane altro!”
Fu quando Don gli alzò il viso con un dito appoggiato sul mento, per vederlo in viso e farsi guardare, che si decise.
Con quella scarica elettrica data da quel contatto.
- Io mi sto innamorando di te, Don. So che per te io sono solo tuo fratello ma per me non è così. Per me tu sei molto di più. E quando me ne sono accorto sono stato contento di non avere reali legami di sangue con te. - Aveva voluto ricordargli che non erano veri consanguinei.
Fu il turno di Don di rimanere spiazzato.
Così non lo era mai stato.
O per lo meno era da molto che non ci si sentiva.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa d'istinto, ma non gli era uscito assolutamente nulla. Era rimasto in silenzio a fissarlo con la mano a mezz'aria appena ritirata dal suo mento. Occhi sgranati e bocca schiusa. Senza fiato e probabilmente con qualche battito mancato.
Non capì dove si trovasse e per un attimo si concentrò così tanto sulle sue parole, che credette di aver capito male.
- Tu sei... - Ma non riuscì a finire la frase. La voce un sussurro.
- Si. - Invece quella di Charlie più sicura e determinata. Ora che aveva finalmente sputato il rospo si sentiva meglio, ovviamente.
- ... di me? - continuò vago.
- Si. È stata una cosa che mi ha sorpreso immensamente, ma ne ho preso atto e non potevo più far finta di nulla. Prima ero geloso marcio. - Lo ammise con una tale naturalezza che non sembrava più lo stesso di prima.
E nemmeno Don visto che non sapeva più cosa dire e fare.
- Io non so cosa dire. - infatti lo ammise con la sua onestà sempre pronta. Non aveva tatto nel dire le cose, le diceva e basta.
Charlie l'aveva immaginato, quindi si alzò con calma e tirando i muscoli come se avesse dormito per mesi, si sentì stranamente meglio. Leggero.
Senza quel peso che lo schiacciava da giorni.
- Non dire niente. Non ti chiedo nulla. È solo che non volevo mentirti. Non l'ho mai fatto. Nasconderti le cose si, ma mentirti mai. Mi avevi fatto una domanda, ho dovuto rispondere. Non ti chiedo nulla, non pretendo mi ricambi. Continua la tua vita esattamente come hai fatto fin'ora. E se puoi non cambiare nei miei confronti. So che sarà difficile, ma se ci riesco io penso che possa farcela anche tu. -
Detto questo l'accarezzò con lo sguardo raddolcito e maturo senza osare toccarlo.
Avrebbe voluto farlo ma si trattenne conscio che forse non avrebbe più potuto farlo, conscio che non era sicuro di essere stato considerato da lui nemmeno un fratello, figurarsi di più.
Però la verità era questa.
Quindi vedendolo inebetito e proverbialmente sotto shock uscì dalla propria camera dandogli il tempo che gli serviva per ritornare al mondo.
Eppure lo sapeva.
Da ora sarebbe stata dura, anche se in modo diverso da prima.


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Capitolo 6
*** La tua vita sulle mie spalle ***


*Ecco qua il primo aggiornamento del nuovo anno. Spero sia di vostro gradimento, di mio di certo lo è! Allora... questo capitolo è ambientato in una puntata della quinta stagione davvero molto bella. Qua Don rimane gravemente ferito per colpa di un calcolo sbagliato di Charlie... il povero matematico la vive davvero male ed alla fine si chiede se possa continuare a lavorare per Don sottoponendolo ancora a questi rischi. Anche il dialogo finale è preso dalla puntata e finisce in questo modo incerto... faccio a tutti gli auguri di buon anno e buona befana. Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano e buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO VI:

LA TUA VITA SULLE MIE SPALLE

/Teardrop - Gonzales/
“Quando mi arriva la notizia mi rendo conto di cosa significhi avere un mancamento.
Mi cade quel che tengo in mano e non capisco più niente.
Ho un vuoto.
Nero.
Il nulla per alcuni istanti, quanti?
Non sto male, non sto bene… ma poi le orecchie mi fischiano fortissime ed ogni sensazione è amplificata. Ricomincio a sentire tutto a partire dal sangue che mi scorre nelle vene più intenso e furioso che mai, la testa sembra esplodermi, gli occhi mi bruciano, il nodo alla gola è gigantesco e sale minaccioso, tutto il corpo è di piombo.
Il cuore sembra si sia proprio fermato ma poi per come galoppa forse uscirà dal mio petto.
È terribile.
Non credo di essermi mai sentito peggio, lo giuro.
Solo ora che mi sento così me ne rendo conto.
Don è stato accoltellato ed è in ospedale.
Una pallottola in piena fronte non poteva essere peggiore.
Cerco di respirare ma nulla sembra più funzionare in me come dovrebbe. Non so, non so davvero, sono proprio nel panico più totale.
Penso, ma a cosa?
Mi muovo, sto seguendo qualcuno, mi stanno portando… dove? Da lui?
No, non ci sono veramente e vorrei ragionare, riflettere, dire qualcosa ma non mi viene o forse lo sto facendo ma non me ne rendo conto.
Vorrei dirmi almeno che non sta davvero male, vorrei cercare di crederlo, di sperarlo… ma non ci riesco.
Non so… aver cercato di evitarlo con tutte le mie forze dopo che mi sono dichiarato ed averlo visto così poco facendo finta di nulla, ora mi sembra proprio la cosa più stupida che potessi fare. Anche se lui stesso non me ne ha più parlato, anche se… miseria, quanto sto male!
Sento vagamente David e Nikki spiegare l’accaduto, sempre vagamente capisco che è spuntato un quinto uomo dall’agguato, uno non previsto, che lo ha accoltellato.
È sulle parole di colpevolezza di Nikki che mi pare… si, mi pare proprio di dirlo… e lo dico mentre io stesso lo realizzo con il panico che impazzisce in me.
Non capisco niente, solo questo…
Non era colpa di nessuno, solo mia… ero stato io a fargli il calcolo di quest’agguato. Avevo detto che sarebbero stati in quattro ed invece quel quinto uomo… se solo… se solo avessi fatto bene il mio dovere… se solo non avessi avuto fretta di scappare da lui… se…
È colpa mia se Don ora sta per morire, dovevo considerare meglio i dati e fare un calcolo più preciso.
È questo, è solo questo che mi ripeto.
David mi chiede di aiutarlo col caso perché c’è una cosa che ho fatto altre volte che li porterebbe significativamente avanti con le indagini, io dico che potrei farlo ma…
- Il mio posto è qua… - non intendo andarmene. A tratti capisco cosa succede intorno a me, ogni tanto qualche frase mi arriva ed allora rispondo senza rifletterci davvero. Vago in trance. Il panico è ancora dentro di me, non so cosa sto facendo e cosa dico ma non voglio andarmene da Don. Non lo lascio. No.
Però è papà a prendere in mano la situazione e a dire che invece devo andare perché Don lo vorrebbe. Prima che possa elaborare questa cosa mi ritrovo trascinato via.
Non voglio.
Devo stare con Don, io… è colpa mia se lui…
Però di nuovo tutto si confonde e non capisco più niente.
Il resto della giornata la passo nello stesso limbo, non mi riposo, cerco di concentrarmi sul caso, da un lato capisco che devo proprio aiutarli e farlo per Don ma dall’altro il suo pensiero non mi si stacca di dosso un attimo.
Specie quando ha un arresto davanti a me.
Lui era là e stava per morire. Il suo cuore stava cessando di battere a pochi metri da me.
È stato di nuovo il momento peggiore della mia vita.
La capacità di pensare e capire completamente interrotta, come se non fossi nulla, come se morissi io stesso.
Avere tutto il male possibile e al tempo stesso non sentirlo veramente.
L’hanno salvato ma non hanno assicurato che non possa succedere ancora di peggio.
Ed è così che io poi sono andato avanti.
Così.
Nel corpo di un altro, col cervello di qualcuno che si attivava disperatamente rimanendo sempre sospeso nel caos, facendo azioni e dicendo cose di cui non ero consapevole.
Agivo per forza d’inerzia, per Don, perché era giusto, perché almeno questo glielo dovevo… prendere il bastardo che l’aveva accoltellato.
Ma io… io ho davvero fatto tutto quello o è stato solo un sogno?
Ho viaggiato in questo stato fino a che la notizia del suo risveglio non mi è giunta, sono riuscito ad attivarmi meglio, a ragionare in modo più utile. Quando ho chiesto a David di farmi fare l’esca per prendere il colpevole, lentamente ho capito di essere tornato in vita.
Non mi importava di ciò che sarebbe potuto succedermi, non mi importava che tutto potesse andare peggio di quel che avessi calcolato, come era successo per Don, non mi importava proprio… volevo solo guardare in faccia quello che aveva accoltellato mio fratello.
Ed anche se non è davvero mio fratello è come se lo fosse nonostante io lo ami.
Quello che provo per lui è talmente complicato da non poter essere definito con un semplice termine, ma lo amo e questo non cambia in nessun caso.
Solo quel pensiero mi ha portato avanti fino alla fine.
Per lui, mi ripetevo.
Per Don.
Perché lo amo e glielo dovevo, dopo l’errore tremendo che ho fatto.
Glielo dovevo, dannazione, e lo volevo fare.
Poi così come questa storia terribile è iniziata, è finita con la conclusione del caso, il colpevole preso e arrestato col mio prezioso aiuto; un aiuto che però all’inizio si era rivelato sbagliato e che era costato la vita della persona che per me contava sopra ogni cosa.
Dai miei calcoli dipendono le vite di molte persone ma sopra ogni cosa dei ragazzi che lavorano ai casi. Di mio fratello. E lui non è uno qualunque.
Dai dati che io fornisco loro può morire o vivere qualcuno.
Non sono giochi.
Fino ad ora non l’avevo mai vissuta così, non l’avevo mai vista in questo modo.
Non è una sciocchezza quella che faccio. Devo decidere se è il caso di continuare. Se reggo a tutto questo.
Anche dalle decisioni di Don dipendono ogni giorno le vite di moltissime persone, ma lui ha scelto di fare questa vita, lui la sa fare, lui ce la fa, lui regge… ed io… io non voglio che lui muoia per colpa mia…
Non voglio…
Quando mi ritrovo da solo con lui, in camera, dopo che mio padre si è portato via tutti quelli che c’erano per lasciarci soli, sono come terrorizzato.
Ho questo nodo che ancora non è uscito. Sono stato sull’orlo di piangere per tutta la durata del caso, una tortura tremenda. Pensavo di scoppiare da un momento all’altro eppure solo l’incoscienza di me stesso me lo ha impedito,, però ora questo nodo è tutto ciò che mi è rimasto dopo la tensione che è svanita. Il caso è risolto, il colpevole è stato preso, ho ricompensato almeno un po’ l’errore che avevo fatto… non c’è più niente che mi tenga su.
Don è qua, steso nel letto d’ospedale, appoggiato con la schiena al cuscino che mi guarda in quel modo strano ed indecifrabile. Ha un vago sorriso che aleggia ma non lo tira fuori, sembra aspetti, sembra mi studi, sembra… non so…
- Quindi hai fatto l’esca, eh? - parla con voce roca e bassa, ogni respiro è molto lento e faticoso per lui eppure non evita il mio sguardo, né il dialogo. Mi guarda diretto ed anzi cerca il mio sguardo. Io sfuggo, non ce la faccio.
- Non dico che voglio farla ancora. - Anche per me ogni parola è una fatica immensa ma non per il suo stesso motivo, mi sembra di avere un blocco, è questo dannato nodo…
Sento gli occhi lucidi ed evito con tutto me stesso di guardarlo altrimenti mi renderei conto di ciò che gli ho fatto. Cosa dirgli? Non so proprio cosa sia giusto tirare fuori a questo punto, così con ancora la mente che non funziona parlo senza riflettere, dicendo la prima cosa che mi viene:
-  Quando eravamo bambini mi stavi sempre dietro. Mi proteggevi. - Ed è vero… lo ricordo bene. Nonostante fosse cupo e chiuso, nonostante fosse venuto da noi che era già un ragazzino, nonostante non fossimo mai uniti davvero lui mi proteggeva comunque a modo suo. Non mi ha mai permesso di farmi del male. Chissà perché mi viene in testa adesso.
Lo guardo di sottecchi e rimango incantato dall’espressione stranissima che ha, più di prima. Quel sorriso che premeva per uscire ora lo illumina del tutto, è… mi sento quasi male nel vederlo. È dolce… tenero… non l’ha mai fatto, a nessuno, ne sono sicuro. Mi accarezza con quel suo sguardo gentile e pieno d’amore ma non vorrei solo illudermi di vedere qualcosa che spero ci sia ma magari in realtà non c‘è. Forse non è come sembra.
- Charlie non volevo questo tipo di vita per te. - Dice poi sospirando. Anche se ha quell’aria dolce, non capisco ancora a cosa pensi. Non riuscirò mai ad arrivare a lui, vero?
- Siamo in due. - Dico spontaneamente. No che non lo volevo… non volevo avere il peso della tua vita sulle mie spalle. Non volevo essere io a contribuire alla tua fine o alla tua salvezza, questo è troppo per me. Tu ci riesci ogni giorno, ma io non posso. Come glielo dico? E poi non so nemmeno cosa voglio fare ora di preciso. -  Ok, riposati un po’. Mangerai quella carne? - Indico poi quella che gli ha lasciato papà di nascosto, è convinto che qua dentro non mangerà. Lui divertito me la porge:
- No, prendila tu. - L’afferro e faccio per uscire incerto: - Ci vediamo in ufficio, amico. - Aggiunge poi. Ora questo nodo è appena dietro i miei occhi. Respiro a fondo, mi faccio forza e mi giro a guardarlo e nel farlo di nuovo la verità di cui ormai sono consapevole da un po’, si apre più crudele che mai.
- Già… vorresti… - Dico mio malgrado dimostrando i miei dubbi su ciò che voglio fare. Posso continuare a prendermi un carico del genere? Ce la farò? Per quanto tempo?
Mi volto, muovo qualche passo nel corridoio, poi mi fermo e mi giro ancora. Ha la testa appoggiata sul cuscino, è stanco, pensieroso e sciupato. Guarda da un’altra parte. Cosa pensa? Perché non me lo dice?
Forse non lo saprò mai.
Però la verità è che io lo amo e non posso lasciarlo solo. Non posso e nemmeno voglio. Voglio stargli vicino il più possibile, sempre, ogni istante della mia vita.
Però vederlo morire no, questo mai.
Cosa devo fare?
La confusione non mi ha mai schiacciato e divorato più di ora.
Guardo avanti e me ne vado vedendo solo il buio mentre le lacrime finalmente scendono liberatorie, angoscianti e silenziose sulle mie guance.“



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Capitolo 7
*** Sensi di colpa ***


TEORIA E PRATICA

*Eccovi un altro capitolo, anche se con un po’ d’attesa. Mi serviva il giusto stato d’animo ed in questi giorni devo dire che mi son trovata proprio ispirata. Per chi segue anche le mie fic su NCIS questa scena gli farà venire in mente una all’interno di Mai senza te, ma è comunque diversa alla fin fine. Però non posso farci nulla… la tentazione di scrivere certe cose non mi molla mai! Qua non c’è riferimento a nessun episodio specifico se non che per davvero, dopo l’ospedale, Don sta a casa di suo padre e Charlie e quest’ultimo sentendosi in colpa si butta anima e corpo nel lavoro per l’FBI. Spero vi piaccia. Grazie a tutti quelli che leggono e commentano. Buona lettura. Baci Akane*
 
CAPITOLO VII:
SENSO DI COLPA
 
/New day –Griffin House  /
 
Che potesse tornare tutto come prima era stato un breve tentativo di illusione di Don, non ci aveva mai creduto, aveva saputo da subito che Charlie non sarebbe mai potuto essere quello di sempre.
Steso immobile in quel letto d’ospedale, l’uomo normalmente attivo si era trovato a poter solo pensare davanti a tutto quel tempo libero che tentava di ucciderlo meglio della pugnalata!
A lui non piaceva pensare molto, preferiva agire, attivarsi in qualche modo senza riflettere troppo. Era come se i pensieri andassero troppo veloci per lui, preferiva il fare al riflettere. Però lì si ritrovò in una situazione decisamente difficile da affrontare se non in un unico modo.
Ponderò molto in quei giorni di convalescenza, immobile nel letto.
Su Charlie.
Sapeva che si era sentito in colpa per la sua quasi morte, sapeva che sarebbe stata dura, per lui, da ora in poi con quell’idea fissa che dai suoi aiuti dipendevano delle vite umane. Sapeva che si sarebbe addossato l’intera colpa della sua situazione e che sarebbe scappato evitando del tutto le consulenze per l’FBI come in passato aveva già fatto, ficcandosi in uno di quei problemi irrisolvibili, oppure si sarebbe tuffato in un caso complicatissimo visto probabilmente solo da lui, col tentativo di espiare le sue colpe.
Rovistò mentalmente in lungo e in largo immaginando e prevedendo le sue mosse.
Si era spaventato e glielo aveva letto in faccia quando era venuto a salutarlo la sera in cui si era svegliato.
Non solo aveva voluto fare lui l’esca per prendere il suo aggressore, ma gli aveva fatto chiaramente capire che non sapeva come fare sotto tutta quella pressione. Avere a che fare con le vite degli altri, con la sua specialmente, l’aveva scosso dal profondo ed impaurito. Un tempo era stato certo che coi suoi consulti aiutava a fare del bene, ma lì aveva cominciato a chiedersi se invece non peggiorasse, talvolta, delle situazioni delicate e precarie.
Don era abituato a prendere le decisioni importanti per tutti, da quelle dipendevano le vite di molte persone oltre che dei suoi uomini che si erano affidati a lui.
Però Charlie si era chiesto come ce la faceva ad andare avanti a quel modo.
Don non avrebbe mai voluto quel tipo di vita per lui, era sempre stato consapevole che non era adatta, non era una cosa facile. Però, nonostante gli aveva fatto promettere mille volte che se si fosse sentito male ad aiutarlo con quel genere di cose, che se ne avesse avuto paura o che si fosse sentito appesantito, avrebbe dovuto dirglielo e smettere subito, ora invece voleva che tornasse in ufficio a lavorare con lui.
Glielo aveva detto. Si sarebbero rivisti in ufficio, no?
La sua risposta vaga, però, l’aveva lasciato inquieto ed ansioso come poche volte ricordava di essere stato.
Aveva passato i giorni successivi a pensarci. Cosa avrebbe deciso di fare, Charlie?
Avrebbe continuato ad aiutarlo oppure no?
Non capiva assolutamente come questa seconda possibilità lo gettasse così nell’ansia. Cosa importava se non collaborava più con lui a lavoro? Erano fratelli, si vedevano ugualmente.
E poi non era sempre stata peggio l’idea di mettere in pericolo la sua vita?
Non era sempre stato terribile sapere che per colpa sua Charlie non spiccava il volo con la genialità di cui era padrone?
Se si fosse spaventato al punto da non voler più lavorare con lui, magari Don stesso avrebbe dormito sonni più tranquilli. Sarebbe stato più al sicuro, no?
Eppure nonostante si ripetesse in continuazione, con la sua aria malata, cupa ed assorta, queste cose, non riusciva a convincersene davvero. Non gli bastava.
Erano importanti, certo, ma non necessarie. Non al primo posto.
Prima saperlo al sicuro era la cosa che contava di più, ora invece lo era stare con lui il più possibile.
Stare con lui e basta.
E gli tornò prepotente in mente la sua dichiarazione e prima di quella ancora quello sfioramento di labbra che aveva fatto lui stesso quando l’aveva trovato addormentato sul divano.
Non l’aveva mai saputo, Charlie, di quel suo strano gesto notturno e segreto. Era bravo a nascondere tutto ciò che lo riguardava, il migliore. E come lui era bravo in quello, Charlie lo era nell’esatto opposto. A dire sempre la verità di ciò che pensava e provava, qual ora se ne rendesse conto, cosa non sempre facile per lui.
Era innamorato di lui. Bè, ma in fondo che male c’era? Come gli aveva gentilmente fatto notare, non erano mica fratelli di sangue. Anche se erano cresciuti come tali non contava, ora il sentimento di uno era diventato amore e non certo fraterno. Ma l’altro?
Non gli aveva mai risposto, non ne aveva mai parlato, aveva fatto finta di nulla, come sempre. E poi era arrivata la sua ferita, la sua quasi morte, tutta quella convalescenza e l’evidente senso di colpa di Charlie.
Era arrivato il momento di fare qualcosa, una buona volta.
Stare così fermo e sospeso nel nulla non era decisamente per lui. Si sentiva quasi male in quei panni passivi.
Era lui a dover agire, ora, a spingerlo a non scappare, a rimanere con lui, a…
“Lo voglio solo per me.”
Questa sua affermazione diretta fu in suo perfetto stile.
In qualunque modo capisse le cose, poi non ci girava per molto intorno. Il punto, però, era capire quale fosse quella giusta da fare.
Era davvero giusto per quello che aveva sempre chiamato fratello, seguire i loro capricci o desideri che dir si volessero?
Non era una passeggiata quella che si apprestavano a fare e lui lo sapeva bene.
Ma Don, un uomo d’azione completamente istintivo, si era stufato di pensare.
 
 
Non era di molto gradimento l’idea di dipendere totalmente da qualcuno. A Don questo non era mai andato giù, era diventato indipendente il più presto possibile e ne era stato contento, ma ora gli sembrava di essere tornato drasticamente indietro nel tempo.
Un vero dramma essere convalescente da una ferita così grave.
Gli ordini dei dottori erano stati di non stare da solo, di non fare scale e sforzi di alcun tipo. Riposo assoluto in tutte le sue forme.
Del resto se l’era vista molto brutta, aveva rischiato tanto e non era da prendere sotto gamba nemmeno il tempo di guarigione.
Così seppur contrariato si era trovato costretto a non poter far altro che andare a stare da suo padre e Charlie.
Ora, però, non aveva nemmeno diritto alla sua vecchia camera dal momento che le scale gli erano state proibite!
Nemmeno la doccia completa per un paio di giorni, fino a che non avrebbero tolto i punti e quelli non si sarebbero richiusi tutti.
Era anche importante che rimanesse assolutamente fermo per impedire a quelli interni di riaprirsi, finché anch’essi non si sarebbero rimarginati non poteva fare praticamente niente.
L’idea di non potersi concedere nemmeno una doccia come si doveva, o di dover farsi aiutare per tutto, era traumatico!
Quando però realizzò che avrebbe dovuto farsi lavare a pezzi da qualcuno, andò quasi in crisi.
Sulla bilancia soppesò le due possibilità… rimanere sporco fino al via libero dei medici oppure tornare bambino?
Fu seriamente combattuto ma sapeva che non poteva non mettere mano alla spugna così a lungo.
Era stato un bello squarcio, aveva lesionato addirittura il polmone che per miracolo non era collassato del tutto. Per non parlare dell’arresto cardiaco che aveva avuto e di tutte le altre complicanze.
Non c’era verso di fare da solo.
La verità era che non riusciva nemmeno ad abbassarsi di un millimetro. Ogni volta che si alzava e sedeva era una profonda sofferenza e per ogni stupidissimo gesto sentiva il fiato spezzarsi e i punti tirare, specie quelli interni, il che era peggio di quanto avrebbe mai immaginato.
Certo ne aveva avuti molti, col lavoro che faceva. Non era mica la prima ferita, ma così grave sì e non si sarebbe mai immaginato tanto snervante la guarigione.
Alla fine ci aveva impiegato molto a rassegnarsi, ma aveva dovuto cedere anche se non convinto del tutto.
Non poteva che accettare l’aiuto di suo padre e suo fratello.
Anche se, a dire il vero, era più il primo che il secondo ad occuparsi di lui.
Con un misto fra sollievo e dispiacere.
Non capiva bene se esserne contento o meno, da un lato evitavano molti imbarazzi, dall’altro gli sfuggivano molte occasioni preziose.
Da quando Don si era momentaneamente stabilito di nuovo lì, Charlie non aveva fatto altro che stare all’FBI per lavorare. Fra quello e l’università era già tanto se lo incrociava per caso.
Saltava spesso i pasti per farli fuori, rientrava ad orari impensati e se era dentro si rifugiava in garage per continuare, tanto per cambiare, i suoi calcoli!
Alla fine si era ritrovato a farsi accudire solamente da suo padre e nessuna scena pesante e strana si era verificata, anche se, tutto sommato, a malincuore.
Sapeva che lo evitava perché si sentiva in colpa, ma non era tutto lì. Cercava anche di espiare le sue presunte colpe cercando uno schema matematico per un caso che, al momento, vedeva solo lui!
Non faceva che lavorarci su e praticamente non erano più riusciti a parlarsi.
“Almeno non è scappato dall’FBI come pensavo facesse… avevo paura che non tornasse più a collaborare… spero che continuerà anche quando tornerò attivo!”
Si limitava a pensare questo durante le molte ore di malattia steso nel divano a guardarsi la televisione e a dormicchiare.
Non era mai stato tanto tempo senza fare nulla ed anche la sua mente, ormai, si rifiutava di pensare ancora, convinta che l’avesse già fatto abbastanza.
“Però non potrà mica evitarmi per sempre…”
Ed ora che era lui da quella parte, ovvero quello evitato, capiva come doveva essersi sentito Charlie dopo che si era dichiarato. Però era anche vero che erano diametralmente diversi… a stesse situazioni ponevano reazioni molto diverse,
“Devo bloccarlo e costringerlo a reagire umanamente. Ha paura di guardarmi, paura di un mio rifiuto, paura che io stesso lo accusi di avermi indirettamente ferito, paura che io possa tornare a star male per colpa sua. Ha paura di guardare quel che, secondo lui, mi ha fatto.
E penso che sia da troppo che non dorme, quel ragazzo.”
Fu questa infine una delle sue ultime conclusioni.
Era davvero ora di smetterla.
Si era imposto di lasciargli i suoi tempi che, conoscendolo, gli servivano per immagazzinare le cose ed accettarle, ma adesso ne aveva avuti troppi.
Di norma non era uno che sapeva aspettare e visto che la sua pazienza era pari a zero, ora aveva finito ogni minima riserva.
Quindi deciso a metterlo con le spalle al muro, cosa che gli riusciva bene se voleva, attese il momento propizio.
Non fu facile mandare via suo padre, ma del resto non potendo muoversi ne aveva avute molte di commissioni da fargli fare al suo posto…
La porta d’ingresso si aprì lentamente mostrando poco dopo un titubante ed esitante Charlie i cui capelli erano particolarmente stravolti, evidenti anche le occhiaie sotto gli occhi. L’aria stralunata ce l’aveva tutta.
- Ehi… - Lo salutò debolmente trovandolo subito seduto sul divano.
Ormai la stagione andava via via inoltrandosi verso quella estiva ed il caldo permetteva a Don di stare con una camicia a maniche corte aperta e dei pantaloni di lino bianchi leggeri.
Non che fosse un abbigliamento da lui, ma considerando che doveva stare comodo e leggero aveva ripiegato su quegli abiti che non si poteva certo dire non gli donassero. Specie considerando il torace scoperto fasciato dalla benda.
Stava sempre così ed ogni volta che rientrava, sia pure per un solo secondo, non poteva fare a meno di calamitare i suoi occhi castani su quella sua parte del corpo e di avvampare come un ragazzino. Scappare era l’unica cosa che gli riusciva in quei momenti, ma quella volta non potè farlo ed imponendosi di rimanere fermo e controllato, sentì la sua voce bassa e roca salutarlo con un mezzo sorriso enigmatico dei suoi. Ne faceva spesso e sebbene fossero normali per lui, a Charlie parevano estremamente sensuali e misteriosi. Questo da quando aveva cominciato a perdere la testa per lui.
- Papà mi ha ordinato di stare a casa per assicurarmi che tu facessi il bravo… - Cercò di ironizzare per alleggerire la situazione che, forse, solo a lui sembrava pesantissima ed imbarazzante!
Don, che se lo aspettava, lo assecondò cercando di metterlo a suo agio senza la minima consapevolezza di sé e di ciò che provocava la sua tenuta da casa.
- Lo immaginavo… ha paura che mi metta a fare ginnastica! – Era ovvio che non era certo quello il pericolo, però Charlie gradì la battuta e rise più di quanto non sarebbe servito.
“E’ molto imbarazzato…” Realizzò Don passando i suoi penetranti occhi scuri su di lui da capo a piedi, studiandolo in maniera evidente.
- L’hai spedito a fare commissioni per te? – Chiese rigirandosi nervosamente fra le mani una cartellina, guardandolo con disagio ed imponendosi di non distogliere lo sguardo.
- Sì… sai com’è… non si sentiva abbastanza utile, credo… -
- E’ proprio da lui… -
- Si preoccupa un po’ troppo. Preferisco te, almeno non mi assilli chiedendomi se ho bisogno di qualcosa ogni secondo! – Lanciò di proposito la frecciatina scrutandolo con cura. Nel momento in cui disse quella frase, non gli sfuggì un lampo di dispiacere nello sguardo del fratello. Sapeva di aver colpito sul vivo e l’aveva fatto di proposito.
Voleva che si sentisse in colpa per averlo lasciato così tanto solo.
Se doveva averne una, era solo quella e nessun’altra.
- Bè… allora io vado in garage a lavorare su una cosa che… bè, mi occupa molto in questi giorni e… sì, insomma, così nessuno ti assilla per un po’. Sono di là, ok? Chiamami se ti serve qualcosa. – La frase fu quanto di più difficile da dire e risultò perfettamente imbarazzato e nervoso.
Penetrandolo un’ultima volta, Don chiuse la televisione distratto, quindi prima di farlo andare dall’altra parte della stanza lo richiamò con un guizzo impercettibile nello sguardo.
- Allora ne approfitto subito. Avrei bisogno di lavarmi, è venuto fuori un gran caldo ed ho bisogno di rinfrescarmi almeno un po’… dovresti aiutarmi, non posso farmi la doccia completa, lo sai, ma non arrivo a farmi bene da solo. – Lasciò un attimo di silenzio. Charlie assimilò e concluse come niente fosse: - Sai, con papà è un po’ imbarazzante… -
“Se lo è con lui cosa sarà con me?”
Ma non si mise a riflettere sul fatto che lo facesse apposta. Don sapeva dei suoi sentimenti, come poteva chiedergli una cosa simile proprio a lui? No, non se lo disse. La sua mente acuta in quel momento si era fermata alla richiesta di aiutarlo a lavarsi.
Ora capiva davvero in quale situazione complicata si fosse messo!
Il giovane impallidì, si voltò e con grandi occhi sgranati e davvero liberamente terrorizzati, lo guardò sperando di svegliarsi immediatamente.
Così non fu e dopo un po’ di silenzio pesante, inghiottì e si fece forza rispondendo con un flebile: - Ma certo… - che sembrava il ‘così sia’ di un condannato a morte!
Mise giù la cartellina dispiaciuto di non poter lavorare al sicuro lontano da quello che lì per lì gli pareva un lupo pericolosissimo, dopo di ché come stesse cercando di ingoiare un enorme candela di dinamite accesa senza farla esplodere, si avvicinò al divano dove Don si era drizzato a sedere per alzarsi.
Una delle regole della sua convalescenza era di non farlo alzare da solo. I suoi muscoli addominali non dovevano compiere nemmeno il minimo sforzo, anche il più sciocco.
Su questo non discusse, non voleva assolutamente che stesse ancora male quindi si chinò e allacciando le loro braccia lo tirò su con delicatezza. Don naturalmente collaborava più di quanto non avesse dovuto ma di questo gliene fu grato. Non era uno scherzo sollevare di peso suo fratello!
Una volta in piedi si sciolse in fretta e lo precedette in bagno lasciandosi sfuggire un profondo e sconsolato sospiro.
Doveva farsi forza, la tortura non era nemmeno cominciata, in fondo, non poteva soffrire di già.
Cosa gli passava per la testa? Aprendo l’acqua calda della vasca, seduto sul bordo, se lo chiese.
Don era incomprensibile di suo ma ora lo era più di sempre, assolutamente.
Sapeva che era innamorato di lui, perché chiedergli di lavarlo?
Dopo quella scenata di gelosia non si era sentito più molto appagato, forse?
Il suo ego aveva bisogno di più?
Mentre questa serie di considerazioni vorticavano velocissime nella sua mente nel panico, lo sentì entrare. Per percorrere la casa ci metteva una vita e l’avrebbe preso in giro se non fosse stato così nervoso.
- Non posso immergermi tutto, ancora, ma ormai non manca molto. Mi hanno tolto quasi tutti i punti, sono pochi quelli che non si sono chiusi. – Cominciò a parlare Don per primo interrompendo quel pesante silenzio. Non era da lui ma sapeva quanto faticoso fosse per Charlie.
- Non preoccuparti, fai tanto per tutti… per una volta che sei tu ad aver bisogno… - non finì la frase rendendosi conto di aver tabula rasa. Se avesse improvvisato qualcosa probabilmente sarebbe uscita ancora una volta la verità ed era già abbastanza difficile così!
A quello Don stesso si trovò in imbarazzo e aprendo bocca per continuare un qualunque discorso, la richiuse non trovando più nulla da dire. Non gli piaceva essere adulato in alcun modo, così in silenzio si sfilò la camicia aperta appendendola dietro alla porta dove c’erano accappatoi.
t-family: Tahoma">Solo allora davanti a lui Charlie si rese conto di una cosa.
Gli occhi non riuscirono più ad evitare la benda sulla parte sinistra dell’addome di norma scolpito e piacevole da guardare, così come le sue spalle, le braccia e… bè, ogni altra parte del suo fisico asciutto ed atletico.
Inghiottì a vuoto ma quella dinamite si era ingrandita parecchio.
“Ed ora devo fare i conti con la sua ferita. La mia colpa.”
Evitarlo era stato davvero un modo per non guardare in faccia quello che era convinto fosse un suo crimine, cercare di espiare tutto risolvendo un caso che reputava tale solo lui, per il momento, era stato tutto ciò che era stato capace di fare ma ora doveva fare i conti con ciò da cui fuggiva. La realtà. I fatti.
Anche se tutti gli dicevano che non era stata colpa sua nessuno gli avrebbe mai tolto dalla testa che invece era così.
Quando si fece cadere ai piedi i comodi pantaloni di lino, Charlie li raccolse appendendoli insieme alla camicia, quindi ritrovatosi più vicino, il problema ‘colpe’ passò di nuovo in secondo piano.
Ora al primo posto c’era ben altro… un problema grande come una delle compiante Twins Towers.
Il ‘problema ormoni’!
- Toglimi il resto, per favore. Non riesco da solo. – Solo in un secondo istante il moro dai capelli ricci si rese conto in cosa consisteva il famoso ‘resto’.
I boxer!
Troppo stretti per farli scivolare giù da soli.
Si mordicchiò il labbro e mandò a quel paese il proprio colorito acceso. Quello ormai era il meno.
Balbettò un vago ‘sì’ e facendo ancora un passo verso di lui infilò i pollici sotto l’elastico della biancheria intima, tirando verso il basso. Gli occhi schizzavano da tutte le parti come palline di un flipper, evitando con cura la parte centrale che stava a pochi centimetri dal suo naso.
Una tortura fisica con tanto di calci e pugni sarebbe stata più apprezzata!
Don?
Don se la godeva come un maledetto!
Era giusto che soffrisse così dopo che l’aveva abbandonato solo per degli stupidi sensi di colpa!
Tolti anche quelli Don li calciò distratto all’indietro, quindi Charlie si girò subito verso la vasca dove sopra era stato sistemato un’asse che fungeva da sedile per Don, in modo da stare il più comodo possibile anche per lavarsi.
Senza dire più una parola il più grande si avvicinò al più piccolo e appoggiandosi alla sua spalla con una mano entrò coi piedi nella vasca, quindi si sedette nella sua postazione e, completamente nudo ma assolutamente a suo agio, attese che Charlie iniziasse il piacevole trattamento.
“E’ un’immagine un po’ troppo ricorrente, il suo corpo nudo… non è che vada bene, eh?”
Pensò il giovane sempre più nel panico che non sapeva dove guardare.
La ferita coperta lo faceva star male per un motivo, i suoi occhi per un altro, il suo inguine per un altro ancora!
Immergendo la spugna sotto l’acqua corrente regolata ad una temperatura migliore, decise che quella sarebbe stato tutto ciò che avrebbe visto.
- Passamela addosso facendo attenzione a non bagnare la garza, altrimenti dovrai cambiarmela. – Lo esortò vedendolo incerto sul da fare. In cuor suo era ovvio che sperasse la bagnasse. C’era un’idea che gli stava arrivando in testa e conoscendosi prima della fine l’avrebbe attuata, ma tutto dipendeva da Charlie.
Anche se lui non lo guardava nemmeno per sbaglio, Don al contrario lo fissava come se avesse fra le mani un sospettato di omicidio.
Lo scrutava, lo studiava, lo penetrava, lo snudava nonostante fosse lui, ora, quello nudo.
Ma poi sentì la spugna calda carezzargli e bagnargli la pelle, l’acqua corrergli pian piano addosso donandogli una sensazione di freschezza meravigliosa ed ogni cosa cominciò a sfumarsi nella sua mente.
Iniziò dalla parte meno faticosa, le spalle e le braccia. In realtà qualcosa avrebbe potuto farlo da solo, era vero, ma perché privarsi di un piacere simile?
Farsi accudire così dall’unica persona che ora voleva vicino a sé era la cura migliore di tutte.
Pensando che potesse essere la sua mano al posto della spugna, cominciò a rabbrividire e non vi badò. Qualunque cosa gli facesse gli occhi castani penetranti non lo perdevano di vista un istante sperando che anche lui li incrociasse coi suoi.
- Metti la testa indietro. – Mormorò con voce roca che quasi non gli usciva dalla gola. Don obbedì mansueto e sentì l’acqua scorrergli dolcemente sulla testa appesantendogli i capelli corti per proseguire sulla schiena e abbandonarsi sul sedile improvvisato.
Non aveva calcolato quanto bello avrebbe potuto essere quel momento di intimità, quanto delicato potesse essere una persona innamorata e sofferente.
Mano a mano che proseguiva Don si trovò a sperare solo in una cosa. Che non terminasse mai.
Quando toccò alle gambe fu meno traumatico di quanto il giovane non si fosse aspettato. Bè, erano solo gambe. Non stesso discorso per l’inguine.
Quello non era ‘solo un inguine’!
Era il SUO!
Fece diventare le proprie labbra un filo sottile bianco e trattenendo il fiato, come faceva anche Don, si dimenticò che quello avrebbe potuto farlo da solo. Dimenticò che per strofinarsi la propria parte intima non avrebbe fatto molti sforzi, non certo quanto ne stava facendo lui. E dimenticò anche di imbarazzarsi.
Lo dimenticò mentre comprese che fra la sua mano ed il suo membro c’era solo una spugna imbevuta di acqua e che poi avrebbe dovuto ripassare tutto con il bagnoschiuma e poi di nuovo con l’acqua per sciacquarlo.
Per un momento si vide esageratamente audace mentre lasciava cadere l’oggetto per sostituirlo davvero con le sue dita. Dita che avrebbero potuto carezzare direttamente la sua pelle umida dove ogni tanto c’era qualche vecchia cicatrice. Dita assetate di quel corpo che aveva visto molte volte, in quegli ultimi mesi, ma non aveva mai potuto toccare. Aveva solo potuto sognarlo.
Il rossore svanì così come quell’imbarazzo paralizzante di prima, mentre si rese conto che comunque non avrebbe mai avuto tutto quel coraggio anche se gli sarebbe piaciuto. Appagare sessualmente Don sarebbe stato qualcosa di impareggiabile di certo ma era convinto di non esserne capace.
Prima che potesse avere qualche altra fantasia la sua mano si staccò con ancora la spugna in mano che ricoprì di bagnoschiuma al pino selvatico. Aveva sempre adorato quel profumo, era quello di Don e nonostante avesse potuto usarlo anche lui, aveva preferito limitarsi ad associarlo solo al fratello. Come un qualcosa di unicamente suo che riusciva a ricordargli la persona che tanto gli piaceva.
Sin da piccolo era stato il suo profumo e non aveva mai osato usarlo, non si era mai spiegato questa cosa. Forse non si reputava un tipo da profumo così maschile, a sua detta.
Riprese la tortura tornando a respirare lentamente, notando che anche Don aveva subito la stessa interruzione d’ossigeno.
Procedendo continuò a dimenticare l’imbarazzo di prima e tutti i problemi che si era visto davanti. Continuò solo a fare qualcosa di estremamente bello che improvvisamente non voleva più finire.
Solo il rumore dell’acqua interrompeva il silenzio. Nient’altro.
Don che aveva voluto quel momento con tutto sé stesso, non aveva considerato dopo tutto come avrebbe potuto farlo sentire Charlie e la sua ingenua ed inconsapevole delicatezza mista ad una strana ed insolita sensualità.
Sensualità nei suoi gesti lievi e lenti che compiva assorto sul suo corpo nudo.
Quando gran parte di lui fu coperto di schiuma e si fu staccato a malincuore dal suo inguine che non aveva osato pulire troppo minuziosamente, l’osservò piegando la testa di lato. Lucido, inschiumato e scivoloso. Sarebbe stato perfetto per quella fantasia di prima… fantasia che prepotente e subdola arrivò ancora a bloccarlo boccheggiante.
Le sue mani che scivolavano meglio sui suoi muscoli rilassati, sulle sue cosce e poi là in mezzo ad occuparsi della sua eccitazione…
Ma di nuovo senza che nessuno lo richiamasse tornò alla realtà chiedendosi se anche Don non avesse le sue stesse fantasie.
“Dovrei farlo.. davvero… “
Pensò poi con fatica ma una nuova ondata di imbarazzo lo colse per un momento, il necessario per riprendere il lavaggio più svelto di prima, interrompendo quel piccolo incantesimo.
Tanto non ce l’avrebbe mai fatta. Don al suo posto sì, ma lui no.
E poi senza che nemmeno se ne rendesse conto, di nuovo preso da mille e più pensieri, fra fantasie erotiche che si scontravano con la dura realtà di quel pesante e strano silenzio, il momento magico si concluse del tutto.
Era finito, no?
Ora sarebbe uscito dalla vasca, si sarebbe rivestito e tutto sarebbe svanito semplicemente nel nulla.
Tutto lì.
Però quello sarebbe rimasto un gran bel ricordo, ne era certo.
Un ricordo che forse sarebbe stato unico.
Inghiottì a vuoto quando si alzarono entrambi in piedi e Don, appoggiandosi di nuovo alla sua spalla, uscì lentamente dalla vasca.
Una volta fuori Charlie si affrettò ad avvolgerlo con l’asciugamano e senza pensarci gli passò il torace e tutta la parte intorno alla benda, spaventato all’idea che si bagnasse con le goccioline che correvano sensuali sulla sua pelle lucida e profumata.
Era una tortura quella combinazione e di nuovo la lotta iniziò. Senso di colpa per la ferita o abbandono ai propri desideri?
Come questa battaglia iniziò in lui, si fermò subito rendendosi conto che Don lo fissava stupito ed immobile proprio per quello suo strofinargli l’asciugamano addosso.
E si rese conto che ora poteva sentire i suoi muscoli più di prima, cosa che lo gettò definitivamente nel caos e lo fece ritirare più rosso che mai.
“Ed ora?”
Si chiese Don scrutandolo dritto negli occhi castani simili ai suoi, solo molto più confusi.
Charlie notò la sua muta domanda ma distolse subito lo sguardo sentendosi davvero sotto tortura.
Doveva vestirlo. Doveva vestirlo, no? Asciugarlo del tutto, anche sotto, e vestirlo. Poi sarebbe potuto scappare!
Si aggrappò a quei pensieri che si sforzava di avere come delle litanie ma non gli pareva funzionassero bene. Era troppo, ormai, da sopportare.
- Charlie… - Lo chiamò delicato Don. Lui si affrettò a spiegarsi come giustificasse un suo improbabile plateale errore in un problema di matematica.
- Avevo paura si bagnasse la benda… - Non avrebbe mai potuto togliergliela per cambiarla. Guardare la sua ferita sarebbe stato troppo, quindi aveva solo cercato di non impedire che si bagnasse. Voleva solo scappare, rifugiarsi al sicuro, lontano da lui, la causa di tutta quella tempesta interiore.
Eppure lì accadde.
Quello fu proprio l’inizio, l’imput per Don di agire, come di norma, senza pensare. Quando si aprì l’accappatoio Charlie si sentì mancare; sgranò gli occhi indietreggiando di un passo, incontrollato nel panico che riprese ad ingigantirsi.
- Non è colpa tua. – Disse con forza e fermezza. Stava seguendo un qualcosa di incalcolato e non programmato. Come al solito il suo istinto aveva preso il sopravvento.
Glielo avevano detto tutti ma non lui. Lui ancora no.
Charlie impallidì e si morse il labbro balbettando un agitato: - V-va bene m-ma tu c-c-chiudi ora! – Non poteva davvero fare quello che pensava…
Eppure contro tutte le sue preghiere Don fu implacabile. Si avvicinò colmano la distanza e lui continuò ad indietreggiare, arrivato alla porta si fermò. L’altro davanti si levò anche la benda attaccata all’addome e quando l’orrenda e deforme cicatrice spropositatamente grande fu ben visibile con la metà dei punti ancora da togliere poiché non del tutto asciutti, Charlie si mise le mani sulla bocca, poi fra i capelli e come un anima in pena andò nella confusione più di quanto non gli fosse già successo. Sembrava dovesse scoppiare a piangere disperato da un momento all’altro.
- D-Don… ti prego… - Mugolò precario senza saper cosa dire di preciso. Don però non smise, non si coprì e al contrario l’obbligò a guardare.
- No, Charlie… guarda… questo è quello che rimarrà… ma devi capire. Devi capire che non è colpa tua, hai capito? È stato quell’uomo a ferirmi, non tu. Tu mi stai curando. Non mi stai facendo del male. –
- E come… come ti sto curando? Ti ho fatto male, io… è colpa mia se tu ora… - Charlie tremava e la voce gli si spezzò, gli occhi ora lucidi minacciavano di liberare delle lacrime represse per troppo.
Non riusciva nemmeno a ragionare, a comporre una frase completa. In quello stato Don non l’aveva mai visto ma sapeva che era giusto, che doveva proseguire, non poteva fermarsi nonostante gli dispiacesse vederlo in così.
- Standomi vicino. Mi fai stare bene. – Charlie non registrò subito quel che disse e partì subito con un tentativo di risposta logica:
- Ma se in questi giorni ti ho evitato… - Ma poi si fermò capendo il significato della sua frase.
- E tu non starmi più lontano. Perché mi piace stare con te. – Serio, deciso. Don annullò la distanza, gli prese il viso a piene mani e da vicino, fermo più che mai, ammirò le bellissimea nonostante gli dispiacesse vederlo in quello stato lacrime che scendevano dagli occhi rigandogli le guance, esprimendo tutto il suo essere, le sue paure ed i suoi sentimenti. – Tu mi fai stare bene. – Le carezzò coi pollici. Avvicinò il viso ancora al suo. L’altro che tratteneva il fiato. Lui sicuro e dolce come non lo era mai. – Ed io voglio stare solo con chi mi fa stare bene. – Infine posò le labbra sulle sue dandogli un piccolo e delicato bacio. Su di esse concluse: - Voglio stare con te. – Quello era stato il risultato del suo molto ed insolito pensare. Un gran bel risultato, tutto sommato.
Dopo di quello Charlie davvero non capì più niente. Solo che fra il sapore salato delle proprie lacrime, Don lo stava baciando. E non era una sua fantasia.
 
 

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Capitolo 8
*** piacevoli torture ***


*Ve la metto come me l’ero appuntata io per non scordarmi cosa dovevo scrivere in questo capitolo: Don screa il ‘fratellino’!!!! Niente altro da aggiungere! Grazie a chi legge e commenta! Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO VIII:
PIACEVOLI TORTURE

/Sweet harmony - Beloved/
Quel profumo.
Profumo di pino selvatico, così maschile e intenso che aveva sempre associato a suo fratello ma che non aveva mai osato utilizzare, ora poteva averlo addosso e non perché ci era riuscito, bensì perché Don lo stava abbracciando.
Era ancora bagnato appena fresco della doccia che gli aveva fatto lui stesso, l’accappatoio aperto a scoprire tutta la parte davanti, le goccioline si passavano su di lui bagnandolo, il profumo che lo eccitava solo il sentirlo, ora gli penetrava le narici provocandogli un pericoloso inizio di distacco dalla realtà.
Charlie detestava non essere coi piedi per terra ma al tempo stesso la sua matematica lo portava spesso su un altro pianeta, questo però non toglieva nulla alla sua razionalità.
Lì si rese conto che le sue tipiche caratteristiche erano completamente sovvertite e capì di non essere più il Charlie di sempre. Non aveva idea di chi era, sapeva solo che se non sarebbe stato attento si sarebbe trovato a fare cose che mai aveva nemmeno immaginato.
Però fu ubriacante lasciarsi cingere completamente dalle sue braccia forti avvolte solo da un accappatoio, abbandonarsi contro di lui, annusare quel profumo deleterio che ora gli si impregnava addosso, avere la testa appoggiata contro il suo petto scoperto, forte, rilassato ma perfettamente delineato da dei muscoli che aveva sempre solo guardato da lontano, sentire con l’orecchio i suoi battiti calmi e regolari che allacciavano inevitabilmente i propri, sentire le sue mani sulla nuca, le dita fra i ricci selvaggi che gli premevano la testa contro il suo torace, avvolgerlo lui stesso per la vita, sotto l’accappatoio, aggrappandosi alla sua schiena liscia e umida.
Rimase col viso nascosto nel suo petto che si alzava e abbassava ad ogni respiro controllato, mentre le sue stesse lacrime decidevano finalmente di smettere di inondargli il viso. Lenta la sofferenza per il proprio senso di colpa scemò lasciandolo in pace e altrettanto lentamente, come per lui non era normale, il suo cervello rielaborava le parole di quello che aveva considerato fratello per lunghi anni. Aveva sempre saputo che non c’era alcun legame di sangue ma erano stati amorevolmente cresciuti come se l’avessero, l’aveva sempre visto come un vero fratello a parte quando aveva cominciato ad innamorarsi di lui.
Dopo era semplicemente stato l’uomo che desiderava.
Ricordava appena il bacio leggero che c’era stato solo un istante prima.
Era immerso in una nebbia fitta che rendeva ogni cosa confusa… era vero che Don lo aveva baciato, quel sapore che aveva in bocca, la sensazione della lingua contro la sua, quella morbidezza… era stato solo un sogno oppure era stato tutto reale?
Non aveva il coraggio di indagare, voleva solo abbandonarsi a quell’abbraccio così forte, dolce e protettivo, tutto ciò che aveva sognata da settimane.
Senza domande, per una santa volta.
Si sentì come uno scricciolo fra le sue braccia e così bene, nonostante il pianto ed il panico precedenti, non era stato mai.
Al sicuro, voluto, in pace.
Dopo dei minuti interminabili rimasti così, Don cominciò a spostarsi leggermente in avanti quindi senza che Charlie se ne rendesse conto, in breve, si trovò fra la porta e il suo corpo la cui parte nuda era proprio quella contro a sé stesso.
Inevitabilmente cominciò a boccheggiare con un nuovo ma diverso senso di panico misto a piacere. I suoi desideri e le sue fantasie stavano per trovare sfogo nella realtà.
Sentiva nettamente la sua virilità contro la propria, separati solo dagli indumenti del più giovane che, a occhi sgranati, aveva cominciato ad alzare la testa piano, spaventato all’idea di interrompere in qualche modo quell’incantesimo.
Le mani di Don cominciarono a scendere languide e nel percorso lasciò ogni brivido possibile, quando giunsero alla vita, presero i lembi della maglietta e l’alzò separandosi quel tanto per potergliela sfilare via.
Con entrambi i toraci nudi a contatto, le mani timide di Charlie che cercava di non farsi prendere da degli stupidi tremiti, si spostarono anch’esse e rimanendo sotto l’accappatoio, lo fece scivolare lungo le braccia. Con un fruscio, cadde ai loro piedi scalzi lasciando Don completamente nudo.
La sola idea che ora Charlie lo poteva vedere di nuovo e questa volta anche toccarlo e accarezzarlo, lo fece arrossire facendo sorridere l’altro che lo guardava con la sua consueta intensità così sensuale.
Si sentì nudo anche lui, davanti a quegli occhi penetranti che lo mettevano sempre in subbuglio.
Rimase a contemplarlo per un attimo, assorbendo con dolcezza insolita ogni traccia di timidezza e desiderio insieme, sapeva che lo voleva ma che non osava, forse non sapeva nemmeno da dove cominciare dal momento che non era di sicuro mai stato con altri uomini.
Nemmeno lui, se era per quello, ma la loro diversità stava anche nell’affrontare le situazioni più nuove e complicate. Del resto Don si limitava ad affidarsi al suo istinto, era un uomo pratico, non teorico e razionale come suo ‘fratello’.
Con le dita scese a carezzargli le braccia, poi i fianchi e il ventre. Ci mise poco a raggiungere la cintola dei jeans. Quando iniziò a slacciarglieli, posò la bocca sulla sua ed in un secondo gli annullò di nuovo la coscienza.
Charlie non aveva la minima idea di che cosa gli stava facendo Don, sapeva solo che era terribilmente bello e che non voleva che smettesse.
Di nuovo surclassò il suo cervello e stranamente non si sentì spaesato, tutt’altro.
Don lo gestì in ogni dettaglio, dal bacio alle sue parti intime.
Ad occhi chiusi e respiri affannati, il giovane sentiva solo il suo profumo inebriante, le lingue allacciarsi e divorarlo con prepotenza e le mani occuparsi del suo inguine con decisione e sicurezza.
Nessuna esitazione, nessuna timidezza, nessun tremore.
Scavava in lui con crescente desiderio, eccitandolo fino all’inverosimile.
Solo questo avrebbero fatto, con una piccolissima parte della sua mente lo sapeva visto che Don non era ancora in condizioni di fare certe fatiche fisiche, però già così pensava fosse abbastanza.
Non aveva mai osato immaginare così tanto, mentre tutto quello che lui stesso riusciva a fare era tenersi a lui e alle sue braccia forti, per paura di cadere lungo disteso con tutti quei tremori e quelle ginocchia molli, come se fosse lui quello convalescente da un‘accoltellata.
Da una parte avrebbe voluto avere la forza e il coraggio di fare qualcosa anche lui, dall’altro sapeva perfettamente che non era in grado di muovere un solo muscolo.
Ma quel che gli fece Don gli bastò e avanzò.
Per lui avere Charlie così timido, in confusione e arrendevole fra le mani, fu il più bel regalo che avrebbero mai potuto fargli.
La miccia da non accendere mai in uno come lui.
Rimase in ogni istante lucido e tutto quel che fece fu estremamente voluto e sentito, sapeva perfettamente tutto quel che le sue dita combinavano dal momento che rispondevano come sempre solo ai suoi comandi. Era uno istintivo ma la lucidità la manteneva sempre, o quasi.
Lì intendeva godersi fino in fondo tutto quel che poteva prendersi, conscio di non potersi spingere oltre un certo limite per una serie di motivi.
Quando l’aveva stretto a sé piangente, un’ondata di calore l’aveva invaso prepotente e il desiderio si era acceso subito.
Quell’abbraccio pieno, quasi disperato ma perfettamente consapevole, il suo viso premuto sul torace, i respiri irregolari sulla pelle bagnata, le mani sulla schiena, sotto l’accappatoio aperto… era rimasto fermo per un paio di minuti e considerando che era Don, era stato anche bravo.
Lentamente aveva poi preso la situazione letteralmente nelle sue mani, mani che avevano cominciato ad esplorarlo e farlo suo cospargendolo di brividi.
Quando Charlie era arrossito sentendo la virilità nuda contro la sua, era stato impagabile. Un enorme senso di tenerezza si era fatto strada in lui. Si erano guardati e non era stato capace di far altro che contemplarlo.
Gli piaceva perché era così timido, spaesato, confuso, inesperto, imbarazzato ma pieno di desiderio e di sentimenti così evidenti… gli parve uno scricciolo e non era riuscito a trattenere un dolce sorriso carico di inconsapevole sensualità, proprio come lo sguardo intenso con cui se lo stava mangiando.
Con furbizia, poi, aveva cercato e trovato i suoi jeans e nell’aprirli ed infilarsi sotto, si era impossessato anche della sua bocca divorandosela, prendendo il comando del gioco e facendo propria pure la lingua che non riusciva a opporsi. Sapeva che da lì Charlie non avrebbe più capito nulla, ne era certo. Lo vide assecondarlo nel caos più totale mentre il respiro veniva trattenuto e i battiti galoppavano fino a farsi sentire distinti.
Pulsavano i loro corpi accaldandosi ulteriormente solo per quei pochi gesti, per quel contatto audace, per quel bacio erotico.
Sentiva chiaramente che avrebbe potuto fargli tutto quello che avrebbe voluto, in quell’istante, ma sapeva anche fin dove spingersi per quella prima volta, considerando poi le sue stesse condizioni fisiche.
Le scariche di adrenalina gli permisero di proseguire ed ignorare le piccole fitte alla ferita, così come il bisogno di sedersi, quindi prese possesso anche del suo inguine, della sua intimità inviolata da qualsiasi altro uomo.
L’aveva fatto con altre donne, era certo, ma aveva mai provato qualcosa di simile?
Creta nelle sue mani.
Era lui che gli si aggrappava per non cadere, e non l’incontrario.
Fu allora che il suo ego cominciò ad appagarsi.
Non l’aveva mai toccato ma ora lo faceva con disinvoltura, come se non avesse fatto altro nella sua vita, seguendo i propri capricci, sapendo quanto gli piaceva sentire le dita correre sul suo sesso che si eccitava troppo in fretta, sentiva tutte le sue energie abbandonarlo mentre dalla gola uscivano dei gemiti soffocati contro la bocca.
Non si poteva descrivere quel che provava lui che si limitava ad assaggiarlo appena senza ricevere nessun trattamento in cambio, ma era tremendamente appagante e senza che se ne accorgesse, mentre gli si strofinava addosso spostato leggermente di lato per permettere alla sua mano di muoversi sempre più svelta, si eccitò lui stesso.
Lo sentì smettere di ricambiare il bacio quindi staccò appena le labbra dalle sue lasciandole lì sopra a sfiorargliele, entrambe aperte come se si stessero ancora possedendo. Scambiandosi i respiri affannati, pieni dei loro sapori e di quel profumo che ora era addosso ad entrambi.
I respiri di Charlie erano più corti e gli occhi ancora chiusi, mentre Don invece lo guardava con intensità ma offuscato dal piacere che provava.
Nell’aria si liberarono anche i gemiti del più giovane che non riusciva proprio a controllarsi, mentre le forze lo abbandonavano sempre più.
Il solo pensiero che fosse Don a fargli tutto quello era un ulteriore stimolo.
Quando gli morse il labbro inferiore, semplicemente raggiunsero l’apice insieme, così, in piedi, l’uno contro l’altro, inaspettatamente e violentemente.
Completamente stordito, Charlie, smarrito e più rosso che mai, nascose di riflesso il viso nell’incavo del suo collo e lì rimase ad ascoltare la giugulare battere concitata dopo il tremendo piacere che aveva scosso entrambi.
Gli era parsa una tortura sotto tutti i punti di vista, ma tortura migliore, si disse il giovane dai capelli ricci ora più spettinati di prima, non poteva esserci proprio.
Don lo cinse di nuovo più solidamente, tenendolo su mentre lo sentiva più mollo che mai. Con ancora tutto il corpo accaldato e pulsante, non sentiva il dolore ai punti nonostante avrebbe dovuto. Quello, del resto, era di gran lunga meglio.
In silenzio, senza dire assolutamente niente, lo abbracciò protettivo baciandogli la testa al sicuro fra le sue mani.
Quello era solo l’inizio ed entrambi lo sapevano perfettamente.

Quando più tardi arrivò Alan, lì trovò vestiti e più rilassati che mai in soggiorno in procinto di mangiare qualcosa insieme chiacchierando come hai vecchi tempi, davvero sereni.
Ne fu contento, significava che avevano avuto modo di chiarirsi e che tutto era a posto, ma quando si sedette accanto a Charlie non poté non sentire l’intenso odore di pino selvatico che di solito aveva solo Don.
Trovandolo strano, Alan scherzò bonariamente senza farci troppo caso:
- Ehy, avete fatto la doccia insieme, per caso? Anche Charlie ha lo stesso profumo… - Se non avesse specificato subito il motivo della sua uscita, il ragazzo si sarebbe strozzato completamente con la pasta, invece che limitarsi a tossire come un dannato.
Don ridacchiò e come niente fosse rispose con faccia tosta:
- Tutti cedono al mio fascino irresistibile…. -
- Per il bagnoschiuma al pino selvatico? È quello il tuo segreto? Dovrei provarne un po’ anche io allora… - Rispose divertito il padre convinto che fosse una semplice battuta.
I due figli furono contenti di averlo facilmente sviato, ma erano perfettamente consapevoli che avrebbero dovuto fare molta più attenzione, d’ora in avanti, o si sarebbero trovati in spiacevoli situazioni.


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Capitolo 9
*** Fantasmi dal passato ***


*Ecco qua un altro capitolo di questa fic che da ora si scosta dalla serie originale… in essa si arrivava ad un bellissimo ed esplosivo ultimo episodio che, per quanto etero fosse a causa di Amita che viene rapita, c’era parecchio spazio anche per lo slash fra i due fratellini (chi consola Charlie tutto preoccupato? Ma Don chiaramente!). Io però non posso farlo visto che Amita e Charlie non stanno insieme, così ho progettato un ultimo episodio a modo mio, scoppiettante pure quello. Ci vorranno un paio di capitoli, indicativamente 2 o 3 penso… poi giungeremo alla fine di questa fic! Ringrazio tutti quelli che la seguono e commentano. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO IX:
FANTASMI DAL PASSATO

/Set the controls for the Hearst of the sun - Pink Floyd/

E poi, dopo un paio di settimane passate le quali Don si era ripreso ed era tornato a lavorare al suo solito pieno ritmo, mentre la sua relazione con Charlie proseguiva più che bene, un fulmine percorse il cielo preceduto da un lampo e seguito da una tempesta orrenda.
Il lampo altri non era stato che quella cartellina fra le sue mani, consegnata da un agente di laboratorio che stava esaminando alcune prove inerenti al nuovo caso.
Don scorse velocemente i riscontri sperando in qualcosa che lo portasse sulla giusta pista e quando lesse con quale altro caso era collegato, il tempo gli parve si bloccasse.
A raggiungerlo fu Colby interessato anche lui al risultato. Pensando di aver trovato qualcosa, sbirciò chiedendogli distratto cosa ci fosse, l’altro non rispose.
A fuoco era impresso nella sua mente il numero dell’indagine che aveva dato riscontro con la comparazione della pallottola rinvenuta nella loro vittima.
- La pistola che ha sparato è già stata usata! - Esclamò Colby con un pizzico di gioia. Guardò Don ancora ammutolito che non dava già ordini a destra e a manca e capì immediatamente che quel caso doveva ricordargli qualcosa di importante. - Che indagine era? -
Come dimenticare quei numeri?
Solo semplici numeri che catalogarono qualcosa che l’aveva segnato profondamente.
Lapidarie le sue parole arrivarono ed ebbero l’effetto di un fulmine prorompente che elettrizzava chiunque nelle vicinanze:
- Quella della morte dei miei veri genitori. -
Colby a quel punto impallidì di rimando, ricordandosi immediatamente di quello che era girato quando era arrivato nell’unità… ovvero che Don era stato adottato da Alan Eppes che aveva fornito al figliastro una nuova identità a causa della terribile morte dei suoi veri genitori. Assassinati.
- Il caso non è archiviato… - Lesse non avendo idee più precise su come si fosse risolta la situazione all’epoca. Naturalmente non aveva mai osato chiedere anche se avrebbe voluto saperne di più, sembrava come che le informazioni personali su di lui fossero proibite a chiunque, l’unico modo di saperle era chiedere al diretto interessato, rischio che nessuno osava correre!
- Non è mai stato risolto. - Disse allora senza esserne conscio, sentiva solo con una piccola parte della sua testa quel che gli diceva, con la maggior parte lottava per non ricadere nel solito vortice di ricordi che dopo tutti quegli anni di vita felice, era anche riuscito a scordare!
- Non hanno mai trovato il colpevole? - Domanda retorica che dimostrò lo stupore e l’impazienza di Colby. Non ci stava molto a dire quel che pensava!
Don allora rispose con un mugugno incomprensibile, quindi chiudendo la cartellina, se ne andò diretto alla propria scrivania con la scusa di spolverare i dati vecchi.
Non si sarebbe scucito di più e proprio come di consueto, per lui, avrebbe trattenuto tutto dentro da bravo fino a che non sarebbe scoppiato… o magari non avrebbe trovato delle risposte soddisfacenti in grado di risolvere il caso!
Spesso accadeva la seconda ma non era detto che invece non perdesse semplicemente la testa al culmine della situazione.
Colby sospirò scrutandolo, quindi con un’espressione preoccupata e poco convinta andò a cercare David per parlare del da farsi.
Non era certo l’ideale che Don continuasse a dirigere l’indagine!

Fu come catapultarsi indietro nel tempo, quando era solo un bambino troppo piccolo per ricordare tutti i dettagli ma troppo grande per dimenticare la tragedia.
Perché era stato risparmiato?
Non l’aveva mai capito.
Ogni giorno se lo era chiesto fino a che non aveva cominciato a stare bene con la sua nuova famiglia. Era stato una specie di miracolo ed ora doveva riaffacciarsi a quell’inferno.
Nessun sospetto.
Nessuna pista.
Solo quella pallottola di una pistola a nome di nessuno usata unicamente per uccidere i suoi genitori.
Perché?
Anche quella domanda era stata la sua litania infinita e per quanto da grande avesse esaminato in segreto mille volte il caso e le prove ottenute, non aveva mai scoperto nulla.
La sua mente era una tabula rasa, non riusciva a ricordare un viso o un particolare utile.
Solo quell’odore di sangue, l’odore della morte che si sarebbe riflessa nei suoi occhi a lungo.
La sua stessa oscurità era stato di forte disagio per tutti quelli con cui aveva avuto a che fare, Charlie stesso non era riuscito ad arrivare a lui per molti anni, fino a che, lavorando insieme, non si erano letteralmente scoperti ed innamorati.
Sembrava una favola… eppure lo sarebbe potuto essere se per lo meno avessero trovato gli assassini.
Sì, perché almeno quello lo ricordava, oltre all’odore.
Le voci.
Erano due.
Uomini non molto vecchi, di poche parole. Non avevano dato nemmeno una spiegazione.
Si era nascosto, certo, non l’avevano visto, ma poi le notizie avevano riportato su tutte le televisioni che c’era stato questo bambino sopravvissuto al massacro.
Perché non l’avevano ritenuto pericoloso?
Magari avevano creduto fosse troppo piccolo per aver capito qualcosa, o forse i programmi avevano detto che al momento della strage, il piccolo Don non era in casa.
Qualunque fosse il motivo, non vennero a cercarlo o forse chi lo proteggeva fu talmente bravo da riuscire a tenerlo lontano da loro fino a che non riuscirono a far perdere a chiunque le sue tracce.
Una volta adottato avevano fatto in modo che la sua vera identità venisse cancellata, era diventato un Eppes ed aveva cominciato una nuova vita.
Semplice.
Ma quell’odore, quelle voci e quella visione…
I suoi genitori morti, il sangue che li ricopriva, lui stesso che toccandoli se ne macchiava.
Per anni aveva sognato quel momento e si era rivisto le sue mani rosse del loro sangue, nel cuore della notte, senza gridare o chiamare nessuno, e semplicemente si alzava e andava a lavarsele convinto che bastasse questo.
Si era esercitato bene a tenere tutto per sé per non far preoccupare nessuno, comunque non sarebbe stato capace di spiegarsi, non sapeva come dire quel che lo divorava e cosa aveva visto e provato di preciso. Aveva paura di riviverlo di nuovo, parlandone.
Poi la dolcezza di sua madre e la forza di suo padre, anche se non erano quelli veri, l’avevano aiutato e non sapeva nemmeno lui come, ma quei sogni erano diminuiti e poi, semplicemente, aveva cominciato a dimenticare ciò che gli faceva visita la notte.
Si svegliava convinto di non aver nemmeno sognato e tutto proseguiva regolare.
Ora avevano tornato a colpire, magari era solo la stessa pistola, magari era un caso che la vittima fosse finita nella sua indagine, magari, invece, l’avevano trovato e stavano solo attuando il piano per togliere anche lui di mezzo.
Finché era piccolo che pericolo poteva essere?
Ma ora era un agente dell’FBI che finiva spesso nei giornali per i casi che seguiva e risolveva.
Le cose erano cambiate eccome.
Non seppe quanto rimase lì davanti al monitor a guardare e riguardare tutte le prove che lo riguardavano e a pensare a ruota libera a quel passato remoto, ma fu interrotto dall’unica voce che inconsciamente aveva sperato di sentire.
Charlie.
- Colby mi ha detto… - Disse precipitandosi trafelato da lui, Don alzò lo sguardo accigliato e lo vide in ansia e pallido.
Charlie sapeva poco della morte dei suoi genitori, solo che, per l’appunto, erano stati uccisi e che non erano mai stati trovati i responsabili.
Non servirono parole ulteriori, i loro sguardi si capirono al volo e Don vide quanto male già stava l’altro per lui, sapeva tutto quello che la sua mente velocissima stava elaborando per impensierirlo ulteriormente.
Si alzò di scatto e prendendolo per le spalle con decisione, lo precedette dicendo con fermezza, mascherando tutta la sua tempesta interiore:
- Charlie, va tutto bene, non è ancora successo nulla! E’ solo il riscontro delle pallottole, non è detto che siano proprio loro o che cerchino me nello specifico. Non hanno fatto nessuna mossa che ci faccia capire il collegamento fra… - Ma non riuscì a finire e non ce la fece perché quegli occhi castani erano terrorizzati all’idea che invece potesse esserci eccome, il collegamento.
E quelle dannate teorie non lo lasciavano in pace… matematica inoppugnabile che aveva sempre ragione!
- Non ci sono mai stati sospettati ed anche ora non ce ne sono, è troppo presto per giungere a qualunque conclusione! - Si affrettò a concludere Don, domando a stento l’istinto fortissimo di abbracciarlo e rassicurarlo come avrebbe voluto.
Sembrava davvero spacciato, a guardare la sua reazione ansiosa.
Charlie esagerava, doveva pensarlo o non sarebbe più andato avanti, si trattenne ma non si staccò da lui fino a che non lo vide sforzarsi di tranquillizzarsi, per lo meno doveva provarci e Don aveva ragione.
Non c’era ancora nulla di certo che collegasse i due casi, a parte quella dannatissima pallottola!
E non era abbastanza?, si disse mordendosi il labbro esprimendo ancor meglio la sua titubanza.
Il compagno sospirò capendo che non l’avrebbe mai convinto, quindi decise che per lo meno doveva cercare di destare la sua voglia di fare calcoli… di solito funzionava!
- Ascolta, ho bisogno che mi aiuti col caso. Probabilmente a momenti me lo toglieranno, ma fino ad allora voglio indagare e scoprire più cose che posso. Questo è quello che abbiamo raccolto dalla scena… - Disse consegnandogli una cartellina con diverse carte e fotografie dentro, Charlie la prese e l’aprì senza vederla davvero, con ancora quel solco che attraversava la sua fronte: - puoi fare qualcosa? - Era più un ‘puoi fare qualcosa per me?’, Charlie lo percepì in quel modo e sospirando un paio di volte per cercare la calma, capì che quell’agitazione non l’avrebbe aiutato e che valeva la pena dargli retta ed essere utile, almeno fino a che le cose non sarebbero precipitate.
- Va bene. - Rispose con un filo di voce, rendendosi conto del suo pessimismo cosmico.
Don tentò un debole sorriso poco convinto, quella nube che oscurava il suo volto la riconosceva molto bene, Charlie.
Era la stessa che aveva avuto da quando l’aveva conosciuto per un bel po’ di tempo.
Come dimenticarlo?
Rabbrividendo si trovò stupidamente a sperare una sola cosa: che nessuno glielo avrebbe mai riportato via.
Sperare non era da lui e si sentì a disagio, ma non fu in grado di fare altro mentre lo vedeva allontanarsi per lavorare imperterrito.
Rabbrividì con una terribile sensazione addosso.
Non gli piaceva quella situazione, per niente.

Quando entrò in casa sua con la propria copia delle chiavi, trovò Don seduto sul divano, coi gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani incrociate a fissare nel vuoto davanti a sé. La sua aria vacua, la fronte aggrottata. Immobile.
Per un attimo ebbe un tuffo al cuore credendo assurdamente che fosse stato pietrificato in qualche modo scientifico assurdo, ma poi notò gli impercettibili movimenti della schiena che indicavano i suoi respiri lenti e regolari.
Era semplicemente con la testa da un’altra parte ed il fatto che si fosse isolato senza dire nulla, gliene dava conferma.
Non poteva fare nulla per il caso sul quale non avevano sviluppi, non aveva nemmeno il diritto di convincersi di essere in pericolo o dannarsi per prendere i colpevoli. Però non riusciva a fare a meno di pensarci in maniera ossessiva.
Come quando era piccolo, appena arrivato da loro, e lui lo spiava di nascosto senza capire a cosa pensasse così tanto ed in quel modo cupo.
Non aveva mai osato chiederglielo e non l’aveva mai capito, ma ora era diverso. Ora ci riusciva. Non gli serviva indagare, sapeva già a cosa pensava.
Si sedette rendendosi conto di essere teso in ogni fibra e che continuando così, probabilmente, non sarebbe stato di molto aiuto.
Voleva dire qualcosa ma la sua mente, al momento, era piena di nozioni matematiche una più catastrofiche dell’altra. Il punto era che non ne sapeva abbastanza della tragedia dei suoi veri genitori, per questo non poteva azzardare teorie e soluzioni probabili, ma solo imprecise e questo lo mandava fuori di testa visto che era di Don che si parlava e non di uno qualsiasi.
Voleva solo essergli d’aiuto a trovare gli assassini dei suoi genitori, cosa c’era di male?
Possibile che non c’era un modo per farcela?
Nonostante ci avesse lavorato ininterrottamente tutto il giorno, non aveva trovato nessun risultato degno di nota e si era trovato ad essere più allucinato che mai.
- Novità? - Chiese allora Don rendendosi conto della sua presenza, non distolse ancora lo sguardo dal vuoto ed il suo tono rispecchiava i suoi occhi castano scuro.
- No… nulla di rilevante per… - Non sapeva nemmeno come chiamarlo, era solo visibilmente preoccupato e questo era quanto. Trapelava da ogni parte di sé, a partire dalla sua voce.
- Non c’è mai stato nulla di rilevante. - Disse allora Don senza stizza, solo con ferma e tetra riflessione. Sembrava più pensasse ad alta voce ma il fatto che condividesse con Charlie, lo fece sentire importante: - Né allora, né tutte le volte che le strade sembravano incrociarsi con loro, né adesso. Hanno sempre potuto finirmi quando volevano, sono professionisti, hanno in pugno la situazione. Se nonlo fanno è solo perché pensano che non valga la pena… o che hanno un momento migliore per finire il lavoro! - Si fermò, ancora gli occhi vuoti persi, ancora la sua voce sussurrata e penetrante, lapidaria: - Ma lo faranno. L’ho sempre saputo. - Charlie sospese il fiato e probabilmente anche i suoi battiti, lo guardò accigliato e angosciato, capendo quanto ragione avesse. Si chiese anche come avesse fatto a vivere con questi pensieri tremendi tutti quegli anni, poi Don gli rispose indirettamente: - Sono preparato. Ho vissuto per il momento in cui mi avrebbero trovato per finirmi. Li aspetto da anni. Quando verranno li accoglierò come meritano. - Quando concluse, i suoi occhi cambiarono espressione, diventando taglienti, tenebrosi e feroci. Una minaccia che fu una certezza. Ci sarebbe riuscito eccome!
Charlie se ne spaventò e seppure avrebbe solo voluto toccarlo e abbracciarlo, non osò farlo, fu Don a prendere l’iniziativa e come se si destasse da un lungo sonno tormentato, finalmente si girò a guardarlo.
I suoi occhi scuri erano ancora pieni di quella cupezza che ferì il giovane trovatosi a trattenere il fiato spaesato.
Si rese immediatamente conto del suo stato d’animo e non ci volle che un istante per capire che il colpevole di tanto spavento e ansia era proprio lui. Strinse le labbra dispiaciuto, quello sarebbe stato il massimo delle sue scuse e Charlie lo capì, quindi si sforzò di accennare ad un debole sorriso. Don notò l’intenzione e gli bastò, quindi lo circondò con un braccio e attirandolo a sé con decisione, gli posò le labbra sulle sue approfondendo subito un bacio che seppe immediatamente di bisogno e disperazione.
Un ancora sulla realtà per Don mentre Charlie lo percepiva come una specie di addio.
Non fu un bacio spinto, audace o passionale. Nemmeno dolce o protettivo.
Gli mise addosso una tale tristezza e nostalgia che gli fece bruciare gli occhi stretti.
Si aggrappò istintivamente alla sua maglia e si premette addosso.
Sentì il suo sapore nella bocca e gli ricordò l’amaro.
Fu il bacio più terribile della sua vita.
“Non sarà il nostro ultimo ricordo, vero?”
Se fosse stato uno che credeva in Dio, l’avrebbe pregato affinché non lo diventasse, ma lì poté solo sconvolgersi di quella sensazione tremenda che gli attanagliò uno strano posticino dentro di sé.

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Capitolo 10
*** Preludio ***


*Inizialmente volevo fare la parte clou qua ma non sapevo bene come, era tutto confuso, quindi ho scritto senza un idea precisa ed è uscito questo che è il preludio al momento decisivo. Spero non mi odierete troppo per averlo fatto finire così, ma il peggio deve ancora venire: si capisce? Bè ringrazio tutti quelli che leggono e commentano. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO X:
PRELUDIO

/Run like hell - Pink Floyd/

La vita non la controlli.
Puoi solo cercare con tutte le tue forze di starci dietro.
Cercare di non perderti nulla di ciò che è davvero importante.
Per il resto puoi solo sperare di esserci quando servirà. Perché sai che servirà.

Quella mattina Don non aveva certo idea della piega che avrebbero preso le cose, anche se in cuor suo qualcosa l’aveva percepito dalla sera precedente, quando aveva cercato in Charlie un po’ di pace per calmarsi.
Giunto in ufficio, la sua aria non era molto più distesa della sera precedente, quando li aveva lasciati senza dire una sola parola. Emanava una specie di aura più nera di sempre che non si era schiarita per nulla, nella notte, e quando Colby gli lanciò un giornale con aria seria, dicendo: - Non è una grande trovata in questo momento, no? - il tutto peggiorò decisamente.
Con la fronte corrucciata, guardò l’immagine in copertina che ritraeva una delle rare fotografie rubate di lui con Charlie, sotto, il titolo in bella mostra diceva: ‘L’ispirazione di Charlie Eppes? Suo fratello Don!’.
La foto non li ritraeva in momenti particolarmente imbarazzanti, non rivelava proprio niente della loro relazione, semplicemente camminavano insieme parlando fitto con arie concentrate.
Scollegandosi momentaneamente dalla realtà, Don aprì svelto le pagine cercando il servizio all’interno. Non aveva idea di che giornale fosse né perché ci fossero loro, però per un momento un mattone si piantò fra il cuore e la testa mandando in accelerazione ogni funzione corporea.
Che avessero scoperto la loro relazione e li accusassero di essere incestuosi?
Non lo erano nella realtà, ma pochi lo sapevano, quindi tutto poteva essere.
Non capì perché in quel momento il peggio che potesse succedere, gli parve quello. Essere scoperti e additati da tutti come due fratelli osceni… probabilmente, quello avrebbe significato la fine della loro serenità!
Quando scorse l’articolo, capì che parlava principalmente di Charlie in quanto famoso autore del best seller del momento che parlava dell’analisi dei rapporti con la matematica. Era diventato presto l’uomo del momento e spesso aveva sostenuto interviste e servizi, gli avevano anche chiesto di scrivere il seguito, cosa che per ora non aveva ancora cominciato.
Non era raro trovare un servizio su di lui, lo era vedere la propria faccia inserita accanto alla sua e leggere le dichiarazioni di quello che tutti ritenevano il fratello!
In parole povere diceva quanto erano legati e quanto importante Don fosse stato per lui nella realizzazione di certe teorie espresse nel libro. Sia grazie alla collaborazione con l’FBI che alla profonda diversità che li caratterizzava. Per elaborare molti di quei modelli, si era rifatto a lui e al suo modo sicuro e complesso di fare. Rapportarsi con uno come lui non era per niente facile ed un po’ aveva analizzato, nel libro, il suo modo di essere spiegando come anche con uno così difficile, era possibile relazionarsi con successo.
Nell’articolo, naturalmente, erano inseriti anche alcuni dati che lo riguardavano, anche se nulla di eclatante.
Al termine della lettura, la sua espressione era ancora più terribile di prima, se necessario, tanto che molti maledirono Colby per averglielo fatto leggere.
Il giovane non perse sicurezza ed anzi gli andò davanti con le mani ai fianchi continuando a parlare senza peli sulla lingua, come era nel suo stile:
- Se quella gente è tornata per finire il lavoro di anni fa e sei nel loro mirino, è naturale che ti tengano d’occhio. Questo non può che essere dannoso! - non serviva specificare null’altro. Era ovvio il motivo per cui lo fosse.
Quelle persone erano spuntate di nuovo di proposito, per far sapere a Don di essere ancora braccato dopo tutti quegli anni e se ora venivano a sapere che aveva un fratello, invece di pensare alla cosa più ovvia, ovvero che era solo adottivo, potevano anche decidere di completare l’opera e farlo fuori.
La possibilità non era poi così pittoresca e remota!
Era vero che ormai a Los Angeles in pochi non sapevano che i due fratelli Eppes erano uno un agente dell’FBI e l’altro un famoso matematico di fama mondiale, però chi poteva dire se quelli negli anni fossero rimasti lì oppure no? Magari se ne erano andati… in fondo non avevano più trovato nulla su di loro ed una tale assenza di prove la si poteva ottenere solo se i criminali se ne andavano proprio dalla città facendo perdere le tracce.
Don scorreva mentalmente tutte queste considerazioni alla velocità della luce, sapeva che non era da prendere alla leggera, quella cosa; non certo da sottovalutare l’idea che comunque Charlie potesse essere preso di mira per colpa sua.
In un attimo tutto gli fu chiaro e la nube che l’aveva annebbiato per tutto quel tempo facendolo stare male, ora si dipanava dandogli ogni risposta.
Era quello che non gli tornava, che lo preoccupava tanto, che lo spingeva istintivamente ad allontanare il suo ragazzo.
L’idea che avrebbero potuto fraintendere o peggio scoprire chiaramente che stavano insieme… in quel caso a gente come quella non sarebbe importato nulla che Charlie non fosse sangue del suo sangue.
Erano malati, non aveva altra spiegazione alle loro azioni per lui inspiegabili.
Non aveva mai saputo perché ce l’avessero avuta coi suoi genitori e quindi poi anche con lui. Era sicuramente stata una questione personale, ma perché comportarsi così con lui?
I primi anni della sua vita era stato certo che non avessero mai saputo della sua esistenza, poi però crescendo, quando erano spuntati di nuovo, aveva capito che invece sapevano che lui era Don Eppes e che se anche aveva cambiato cognome ed era stato adottato da qualcun altro, potevano arrivare a lui quando volevano.
Non erano mai andati a fondo e non certo per paura, considerando il grande vantaggio che avevano su tutti, lui per primo.
Perché quello strano comportamento? Cosa volevano ottenere? Terrorizzarlo?
Perdere la propria vita non era il peggio che potesse accadergli, era sempre stato così. Rimetterci la vita non l’aveva mai spaventato davvero, né fermato.
Però perdere quella di chi gli stava a cuore sì e il punto, ora lo capiva con una chiarezza allucinante, era quello.
Pochi riuscivano ad entrare nel suo cuore, quella famiglia adottiva stessa non era mai sembrata prenderlo molto, il fratellastro, poi…
Però da quando si erano messi a lavorare insieme era lentamente tutto cambiato… e di recente si erano addirittura messi insieme.
Cosa poteva esserci ancora da capire, a parte le reali motivazioni che spingevano quelle persone?
Ora, e quell’articolo avrebbe dato la conferma, i due Eppes erano molto legati ed era lampante. Se prima Charlie era stato al sicuro, ora non lo era più e per un semplice fatto.
Prima Don non aveva mai amato, ecco perché non avevano colpito ma l’avevano solo tenuto sporadicamente d’occhio.
Ora amava, ora era vulnerabile, ora potevano terrorizzarlo, se volevano.
Averlo in pugno.
Dunque che puntassero a quello?
Don, senza dire mezza parola, si precipitò fuori dall’ufficio col telefono alla mano cercando di contattare Charlie.
Il cuore pulsava impazzito in gola, la sensazione di esplodere, la testa martellava maledettamente, non riusciva più a sentire chiaramente i suoi pensieri, non come prima.
Ora che aveva capito tutto, o quasi, era peggio di quando era stato all’oscuro.
Non ottenendo risposta dal cellulare di Charlie, il sangue cominciò a pulsargli più in fretta, come un forsennato si fiondò alla macchina correndo e precedendo gli altri di parecchio che, capendo alla lontana ciò che stava pensando, cercarono di stargli dietro.
Il diavolo dietro, o forse ad inseguirlo addirittura.
Incurante dell’idea di essere atteso proprio da lui e di correre il pericolo più grande della sua vita.
La resa dei conti era quella?
Un giocarsi la vita di quello che ormai non era più solo un fratello, ma il suo amore?
Non poteva reggere quel pensiero e superando ogni semaforo rosso ed ogni incrocio, sfiorando una marea di incidenti brutali, seminò i suoi come se scappasse da loro.
Non poteva pensare in quel momento, se lo faceva la paura l’attanagliava selvaggia… paura di perdere l’unica persona che era riuscita ad entrargli dentro e a farsi amare in quel modo.
L’unica che ora come ora contava.
Non poteva pensare di perderlo proprio ora che si erano trovati davvero da poco, aveva assaporato solo per un istante il suo angolo di paradiso, non poteva già finire tutto.
Se gli avessero torto anche un solo capello, Don li avrebbe fatti a pezzi e non nel senso figurato del termine.
Li avrebbe fatti davvero a pezzi.
Cieco di rabbia, angoscia, frustrazione e qualunque altro sentimento terribile ora ingigantisse in lui, arrivò frenando brutalmente all’università dove sapeva doveva essere.
Ci sperò più che altro.
Charlie non rispondeva al cellulare per diversi motivi… per le lezioni, per un’illuminazione matematica, per fare sesso con lui… perché magari era stato rapito da qualche psicopatico maledetto…
Lasciò un segno vistoso di gomme sull’asfalto, quindi scese al volo dall’auto e si precipitò dentro l’edificio, correndo come se già avesse avuto la notizia del suo rapimento!
Ciò che provò percorrendo velocissimo quei metri di corridoio, spingendo inavvertitamente studenti ed insegnanti, non lo avrebbe mai dimenticato.
La paura più concreta e viva di entrare nell’ufficio e trovare la persona che amava, in un lago di sangue.
Arrivare in tempo, esserci, farcela… era questo ciò che contava sempre, poiché il controllo non lo si poteva mai avere.
E se si falliva?
Se era troppo tardi per arrivare in tempo, per esserci, per farcela?
Il rimpianto sarebbe stata la conseguenza minore…
Varcata la soglia della stanza, spalancando la porta che fece un botto non indifferente, le ginocchia quasi gli si piegarono vedendolo davanti alla lavagna a scrivere qualche calcolo importante che lo prendeva molto.
Da solo.
Vivo.
Sano e salvo.
La tensione si sciolse di botto nel vederlo intero e tranquillo, dovette addirittura appoggiarsi al muro per evitare di andare lungo disteso a terra. Come se gli fossero stati tagliati i fili.
Non poteva descrivere il suo stato d’animo, sapeva solo che non lo augurava a nessuno.
- Don! - Esclamò spaventato Charlie precipitandosi da lui preoccupato, convinto che fosse successo qualcosa di terribile.
- Perché diavolo non rispondi al cellulare? - Chiese subito aggressivo Don riprendendosi all’istante e cominciando a gesticolare agitato.
Charlie lo guardò spaesato, quindi fece la prima cosa che la sua mente gli concesse… rispose alla domanda!
- Devo aver dimenticato di rimettere la suoneria… - Solo dopo averlo visto alzare seccato ed impaziente gli occhi al cielo, chiese spaventato: - è successo qualcosa? -
Don ebbe l’insano istinto di picchiarlo, ma si domò poiché comunque si trattava di Charlie… l’avrebbe demolito con un pugno!
- No, non ancora! - Disse severo lanciandogli un occhiata micidiale mentre prendeva il cellulare e fermava i suoi, dicendo che non serviva venissero e che era tutto a posto.
- Che significa? Dovrebbe succedere qualcosa? - Lo rimbeccò  ansioso il giovane dai capelli ricci e sconvolti come lui stesso.
- Certo che dovrebbe succedere! - Esplose Don andandogli davanti con aria furente, la paura di averlo perso era ancora troppo viva in lui e non poteva essere placata tanto facilmente… - Sono nella loro mira, non è un segreto di stato! Chi pensi che possano uccidere giusto per il gusto di ferirmi? Specie dopo quell’articolo? -
Charlie sgranò i suoi occhi castani con aria colpevole, quindi rimase in silenzio a guardare il fratello come un cane bastonato capendo ogni cosa.
- Non pensavo uscisse oggi… l‘ho fatto la settimana scorsa, prima di… tutto questo… - E non aggiunse che voleva fosse una sorpresa per lui, vista la situazione tesa. Sapeva che era arrabbiato perché era preoccupato, da un lato gli piaceva questa specie di dimostrazione d’affetto, erano rare quelle di Don, però sapeva bene anche che aveva passato dei brutti momenti immaginando che gli avessero fatto chissà cosa e vederlo così iroso lo spaventava più dei criminali che gli stavano dietro!
- Non ci avevo pensato, però stavo giusto elaborando uno schema che mi stava proprio portando a quella soluzione. - Disse poi con un filo di voce, mortificato, come se si fosse messo in pericolo da solo. Bè, in realtà non era molto lontano dalla realtà!
Don allora si smontò e sospirando smise di gesticolare, quindi si passò le mani sul viso e fra i capelli corti, trovò un po’ di calma e tornando a guardarlo gli posò la mano sulla spalla dicendo brusco ma non più infuriato:
- Sì bè… ci lavorerai all’FBI e non ti muoverai più da solo! Almeno finché tutta questa storia non finirà. - E non osò esprimere il suo pensiero di quell’istante, un flash…
“Sempre che non la manderanno avanti finché non riusciranno ad uccidere Charlie, per poi sparire ancora.”
La sua evidente paura era naturalmente che ancora una volta fossero loro a condurre il gioco, come era sempre stato, e che a lui non restasse che assistere inerme come sempre.
La possibilità peggiore.
- Scusa, non volevo… - Non finì la frase flebile che tentò di intavolare, Don lo interruppe circondandogli le spalle con tutto il braccio, quindi stringendolo brevemente a sé gli trasmise il suo immenso sollievo di averlo ancora vivo sotto le sue mani.
- Andiamo, dai… - Disse quindi il più grande tranquillizzandolo con quel suo semplice gesto.
Forse per quella volta ci aveva visto male. Forse aveva sbagliato i tempi o magari li aveva sopravvalutati interpretando male le loro azioni.
Chi poteva dirlo… magari era semplicemente arrivato in tempo.

Esserci…
È questo tutto ciò che puoi fare per la tua vita.
Eppure anche se riesci ad arrivare nel posto giusto al momento giusto, sei sicuro di essere all’altezza della situazione?
E se nel momento decisivo, tutto quello che puoi fare è proprio assistere coi tuoi occhi, in prima persona, alla disfatta?

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Capitolo 11
*** Diavoli e angeli ***


*Allora, dopo molto tempo rieccomi qua con un altro capitolo, è uno degli ultimi. Chedo perdono per quanto ho fatto aspettare ma ho avuto una serie di valide motivazioni (le mie ferie, specie mentali, un concorso in scadenza, un nuovo secondo lavoro che mi ha distrutto fisicamente...), per cui ora eccomi qua. Sono stata a lungo incerta su titolo e canzone. Alla fine il titolo è lo stesso originale dell'ultima puntata della quinta stagione (che bella non era?), quella che io ho sostituito con queste vicende. La canzone avrebbe dovuto essere ugualmente quella della puntata (Rifles dei Black Rebel Motorcycle Club), ma alla fine ho scoperto l'ultima dei Linkin Park e non ho potuto fare a meno di capire quanto perfetta fosse, secondo me. Insomma, a me mi ha ispirato. I versi all'inizio sono tratti da quella. Ad ogni modo, questi sono dettagli. La fine si avvicina e so che un paio di voi mi odierà per aver lasciato tutto così in sospeso. Pazienza. Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano questa fic, sono felice che piaccia e che coinvolga così tanto. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO XI:

DIAVOLI E ANGELI

“Dio ci benedica tutti
Siamo un popolo distrutto che vive sotto una pistola carica
E non può essere sconfitto
Non può essere battuto
Non può essere sopraffatto
Non può essere superato
No

Come ricordi in un freddo decadimento
Trasmissioni che riecheggiano lontano
Lontano dal mondo di te e me
Dove gli oceani sanguinano nel cielo”


/The catalyst - Linkin Park/
Davanti ai tuoi occhi.
È lì.
Devi solo allungare una mano e prenderlo.
E salvarlo.
Ma non ci arrivi.
Lo sfiori e basta e quando capisci che non riuscirai a prenderlo, ti rendi conto che è la fine.
E inizia l’inferno.

Don lo precedeva di qualche passo, fremeva per arrivare all’FBI e metterlo in salvo, quando lo sentì dire urgente:
- Ho dimenticato una cosa importante, devo tornare indietro… -
Si fermò ordinando un ‘no’ secco che non fu ascoltato, Charlie si era già avviato per rientrare nell’edificio dell’università davanti alla quale ora si trovavano, poco prima di giungere alla macchina.
Cosa diavolo poteva essere di così importante da farlo tornare indietro in un momento simile?
Il fatto di essere ignorato e di vederlo correre dentro da solo, gli creò un moto di rabbia che lo fece gridare con uno scatto di nervi:
- CHARLIE, NON DEVI MUOVERTI SENZA DI ME! - Molti degli studenti che erano lì intorno si voltarono per vedere di cosa si trattava, anche Charlie si fermò a qualche metro da lui. Si girò e lo guardò pensando per assurdo, per uno stupidissimo momento, che quella poteva essere intesa come una dichiarazione ufficiale detta da uno come Don che aveva un linguaggio tutto suo.
Gli ordini li dava chiari e tondi ed anche gli insulti, se si trattava di complimenti e ringraziamenti, però, quello era tutto un altro paio di maniche.
Trovò appropriato, Charlie, fermarsi e guardarlo per rassicurarlo, per dirgli che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi e che sarebbe tornato subito.
Ma non fece in tempo a dirlo, riuscì solo a regalargli uno sguardo sicuro e felice di essere con lui e di avergli sentito urlare una frase simile.
Fu in effetti una frazione di secondo.
E poi quella dannata macchina nera dai finestrini oscurati passò dalla strada che faceva angolo con quella in cui erano loro, a poca distanza , o forse troppa, o forse semplicemente la necessaria.
Passò andando piano.
Passò abbassando quei finestrini neri.
Passò scaricando l’inferno.
Don non aveva percepito nulla se non ciò che sentiva da quando aveva appreso che Charlie poteva essere un bersaglio per colpa sua, però dentro di sé non aveva mai smesso di essere all’erta.
Sperare di esserci e di essere all’altezza, improvvisamente, era diventata la cosa più stupida, assolutamente insufficiente.
Eppure era tutto, ora.
Il primo sparo arrivò ed andò subito a segno trovando il varco necessario fra tutti gli studenti che c’erano.
All’inizio andò tutto al rallentatore.
Vide il torace di Charlie bucarsi con un qualcosa di un diametro molto piccolo.
Lo vide piegarsi in avanti con dei riflessi incondizionati, prima ancora che il ragazzo potesse effettivamente sentire qualcosa, provare dolore, capire cosa succedesse.
Vide il suo sguardo confuso e improvvisamente spaventato.
Vide i suoi occhi cercarlo, il braccio allungarsi davanti a sé, la mano tendersi verso di lui.
Vide poi sé stesso fare altrettanto, agghiacciato, ancora in piedi, impossibilitato a muoversi.
Vide mentre cercava di prendere la sua mano per tirarlo via dal tiro.
E vide mentre non riusciva ad arrivarci per il secondo sparo che lo colpì alla spalla facendolo definitivamente accasciare a terra troppo lontano da sé.
Dannazione, solo pochi metri, solo un paio di falcate, solo un ordine gridato un secondo prima e sarebbe arrivato a lui.
Quando si rese conto che non ci sarebbe riuscito, l’ondata gelida lo scollegò istantaneamente col mondo e provò la paura più pura, paura che non aveva mai provato nemmeno nei momenti peggiori che aveva affrontato. Ed erano stati molti.
Prima che si ordinasse di reagire e riprendersi, il suo corpo aveva cominciato a fare tutto da solo registrato il meccanismo in casi simili.
Si era buttato a sua volta a terra dietro al primo riparo disponibile, un fottutissimo albero che stava fra lui e quella macchina dannata ferma là a sparare.
Sparare ancora.
Su chi, cazzo?
Charlie era a terra in mezzo all‘inferno, era ferito… ma si muoveva, gridava.
Gridava!
Era ancora vivo.
Lo volevano finire?
Erano lì solo per suo fratello, proprio come aveva immaginato?
Oppure volevano concludere i conti una volta per tutte e far fuori anche lui?
Realizzando che avevano davvero scelto la persona per lui più importante, il gelo e la paura vennero spazzate via in un attimo lasciando il posto ad un devastante fuoco, un furore che lo invase bruciando ogni connessione, lanciandolo come un diavolo a sparare sulle macchine mentre sperava che qualcuno chiamasse i soccorsi, che i suoi fossero ancora vicini tanto da sentire gli spari, che nessun altro si mettesse in mezzo venendo inutilmente ferito.
Che Charlie rimanesse ancora vivo.
Charlie.
La sua voce la sentiva ancora, cosa diavolo stava dicendo?
Il mondo andava alla velocità della luce, ora, e i rumori di spari erano serrati e continui, ma per quanto poteva andare avanti?
Fra un pensiero pratico e l’altro infuriato, cercava di sentire il suo ragazzo che stava gridando con una tale disperazione, dolore e paura da fargli accapponare la pelle.
Gridava.
Gridava il suo nome.
Lo chiamava col terrore addosso implorandolo di raggiungerlo e stare con lui come gli aveva promesso, di aiutarlo, di salvarlo, di non lasciarlo solo, di risolvere anche quel casino.
Lo chiamava e basta, come fosse una formula magica, come fosse Dio, come se potesse fare un miracolo.
Di rimando non gli rimase che rispondere alla sua chiamata allo stesso modo, cercando di metterci tutta la sicurezza che aveva in corpo, per non lasciarlo terrorizzato, per rassicurarlo, per fargli capire che era lì e che anche se non poteva ancora raggiungerlo, non l’aveva abbandonato.
Stava combattendo per lui.
Per il suo angelo.
Stava combattendo come un diavolo con le fiamme ad incendiargli l’animo, il cuore e la mente.
Urgenza di finirla in fretta, di farcela.
Mentre tutt’intorno studenti e persone si erano abbassate e gridavano creando un baccano dell’accidente, mentre a gran voce Charlie chiamava Don e Don chiamava Charlie, mentre soffrivano entrambi per motivi diversi, mentre il più grande dei due sparava ancora, si riparava e tornava a sparare di nuovo ricevendo altrettante pallottole che si conficcavano nel tronco, sfiorando il corpo atterrato del più piccolo, mentre l’inferno li circondava, tutto ciò che potevano fare era pensare l’uno all’altro.
Un attimo per guardarlo non c’era, un attimo per correre da lui non c’era.
Li aveva lì, erano i bastardi che avevano ucciso i suoi veri genitori e che l’avevano braccato per tutti quegli anni.
Erano i bastardi che stavano facendo del male a Charlie steso a terra in mezzo all’inferno, con le pallottole che volevano sopra di lui.
E non ci arrivava, dannazione.
Non poteva farcela. Erano in macchina, potevano andarsene quando volevano.
Non poteva farcela.
Era solo e lui voleva arrivare a suo fratello, alla sua vita, al suo amore.
E non ci arrivava.
Non poteva.
La follia allo stato puro, dopo la paura più nera.
- DON! DON AIUTAMI! DON TI PREGO! - E poi solo e semplicemente: - DON! - Senza riuscire a chiedere nulla.
Volerlo solo semplicemente lì con lui.
Con la paura che attanaglia, che divora, che paralizza, che fa impazzire.
Il dolore che mangia.
Il furore che esplode.
E finire le munizioni, e tirare giù il cielo, e mandare tutto al diavolo, e correre lo stesso fuori dal suo rifugio di fortuna, e correre incontro alla sua morte, forse, pur di arrivare a lui.
E correre più veloce che mai in mezzo agli spari fregandosene di dargliela vinta e finire ucciso.
E correre e venire strisciato dalle pallottole e rischiare tutto pur di raggiungere lui, anche senza riuscire a combinare qualcosa di utile, anche senza cavarsela. Solo per riuscire a toccargliela, quella maledetta mano, a cui prima per una frazione di secondo non era riuscito ad arrivare.
E arrivarci, coprirlo col suo corpo ancora miracolosamente intero.
Coprirlo e proteggerlo con l’ultima cosa che era rimasta, chiudendo gli occhi, sentendolo vivo, tremante, piangente, sanguinante sotto di sé che ancora lo chiamava, ma questa volta più flebile, meno impaurito, meno disperato.
Per un attimo il tempo osò fermarsi, Don si rese conto di non sentire niente, di aver escluso tutto il mondo fuori, di non avere concezione di spazio, di suono e di corpo. L’avevano ucciso?
Aprì gli occhi e come se fosse una situazione normale, come se non fosse successo niente, come se fosse l’occasione giusta, come se non ci fosse l’inferno fuori -anche se non sapeva più cosa succedeva- lo guardò.
Charlie era ancora terrorizzato, pallido, si teneva il petto e la spalla sanguinanti, tremava ma lo guardava. Non gridava più, non lo chiamava più.
E poi, come se fosse il momento ideale e nessun altro migliore di quello, Don gli sorrise dolcemente come non aveva mai sorriso a nessuno, nemmeno a lui.
Per Charlie fu come trovarsi davanti ad un angelo, un angelo sceso all’inferno solo per lui, per salvarlo.
In quel sorriso ed in quello sguardo seppe con certezza che ce l’avrebbe fatta.
Fu il rumore fragoroso delle gomme che fece riscuotere Don, quando si tirò su vide che l’auto se ne stava andando e lì, esattamente in quell’istante, con Charlie finalmente calmo ma seriamente ferito, sapendo perfettamente che se se ne sarebbero andati ancora non li avrebbe più rivisti chissà per quanto e l’avrebbero fatta franca senza pagare per il loro scempio, sentendo qualcuno avvicinarsi dicendo che aveva chiamato i soccorsi e chiedendo notizie sul ferito, esattamente lì Don decise.
Decise sentendo la voce flebile ma decisa del suo ragazzo dire:
- Vai e finiscili una volta per tutte. -
Decise che aveva ragione e che uno che feriva il suo amore dopo aver ucciso i suoi genitori e rubatagli la vita, non poteva anche riuscire a scappare.
- Torno subito. - Lo disse serio, risoluto e spaventoso, come se fosse vero.
Come se fosse realtà pura.
E con uno scatto che nessuno gli aveva mai visto fare, e di scatti ne faceva molti ed anche buoni, si alzò precipitandosi nella sua macchina a poca distanza da loro.
Lontanamente si sentì un verme verso il suo ragazzo, ma non poteva farla passare liscia a quella feccia, non poteva.
Anche se era solo e non sapeva nemmeno se la pistola di riserva era ancora nel cruscotto della sua macchina, anche se Charlie era ferito.
Non poteva lasciarli andare.
Avrebbero pagato ad ogni costo.
Dovevano.
Avevano ammazzato i suoi genitori, porca puttana. L’avevano quasi fatto con la persona che amava di più adesso.
Sempre sotto i suoi occhi.
Sempre immancabilmente a mostrargli le loro porcherie.
E quando fu in macchina a correre a rotta di collo, si sentì di nuovo quel fuoco dannato dentro a divorarlo, a montarlo, a farlo impazzire dalla rabbia.
A trasformarlo di nuovo in quel diavolo che era stato prima. Il diavolo che li avrebbe fermati.
Spinse sull’acceleratore e stette dietro per un po’ alla macchina, mandò oltre ogni limite il mezzo seguendo quello davanti a sé e solo quando capì che strada stava cercando di prendere, non ci pensò su un attimo e svoltando in un’altra prima di quella, volò per la scorciatoia che nella sua mente sapeva esattamente dove sarebbe spuntata.
Un azzardo necessario.
Ragionava ma fino ad un certo punto.
Era più che altro istinto, mentre l’immagine dei suoi genitori morenti tornava vivida insieme a quella di Charlie e alle sue urla mentre lo chiamava.
Non si sarebbero salvati.
Quando spuntò nell’altra via, vide da lontano solo l’ombra scura di un mezzo che attraversava veloce.
Poteva aver scommesso male, aver fatto male i calcoli, aver sbagliato veicolo.
Don non rallentò.
“Non sopravvivrete, bastardi figli di puttana!”
Aumentò la velocità e portando la sua macchina al massimo andò dritto dritto a schiantarsi di proposito contro quell’unico mezzo che si era frapposto sul suo cammino, convinto fossero loro.
Non ebbe un solo dubbio.
Il botto che scaturì dallo scontro fu clamoroso, entrambi i mezzi si fermarono incastrati l’uno contro l’altro, il fumo si levò offuscando la visuale, gli airbag bloccarono i movimenti.
Stordimento.
Sapeva che avrebbe potuto ammazzarsi ma non gliene era importato se per quello si sarebbe portato dietro anche quei figli di puttana.
Quando nel caos totale che era la sua mente che non gli rimandava nemmeno delle sensazioni precise del proprio corpo, aprì gli occhi capendo di essere a malapena vivo, li cercò oltre il cofano.
Vide che con lo scontro violento li aveva schiacciati contro il muro dietro bloccandoli e impedendo ogni uscita.
Non sarebbero scappati.
Almeno loro non sarebbero scappati.
Piegandosi con forza d’inerzia, sforzandosi di pensare costantemente a Charlie e rimanere cosciente anche se la testa voleva già esplodergli e dargli sollievo facendolo svenire, si piegò nel cruscotto accanto e tirò fuori la pistola di riserva che per fortuna teneva ancora lì in caso di necessità, la prese e con mille smorfie, trattenendo delle urla per i dolori lancinanti che provava non sapeva nemmeno bene dove, si trascinò fuori puntando la pistola contro gli individui che erano nell’auto davanti, completamente distrutta, più della sua.
Non riuscì a parlare ma quando vide che solo il passeggero davanti era vivo anche se agonizzante, mentre gli altri erano svenuti schiacciati e malmessi, e forse qualcuno anche morto, capì che la sua guerra personale, finalmente, l’aveva vinta lui. Era riuscito a cogliere l’unico attimo in cui erano venuti allo scoperto, troppo sicuri di loro stessi per immaginare che Don avrebbe inseguito loro invece che soccorrere suo fratello.
A quel punto, nel silenzio innaturale dopo il caos apocalittico e l’inferno a cui aveva assistito, di cui era stato protagonista, guardò in alto.
Solo quello.
Sicuro che i suoi genitori finalmente fossero fieri di lui.
L’uomo ferito svenne e lui, dopo essere riuscito a chiamare appena Colby per indicargli dove venire, fece altrettanto accasciandosi in strada senza più forze, solo un fortissimo dolore a… bè, non riusciva proprio a capirlo.


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Capitolo 12
*** Ritorno alla vita ***


*Ragazzi, ecco qua il nuovo capitolo che, guarda caso, è anche l’ultimo. Ok, certe cose le devo dire piano ma non ho molto tatto. Mi spiace di aver fatto aspettare tanto per farlo ma ero presa dallo scrivere un’altra fic, una RPF sul calcio, quindi ora posso riprendere in mano tutte quelle che avevo lasciato in sospeso. Yukino mi ha fatto gentilmente notare che in un paio che scrivo sono ormai alla fine e che era il caso di muovermi, così eccomi qua a concludere Teoria e pratica. Devo dire che mi dispiace ma sono anche soddisfatta di come questa fic è venuta, non mi aspettavo molto, l’avevo iniziata quasi per gioco e poi… bè, giudicate voi!
Ringrazio vivamente tutti quelli che hanno seguito e commentato questa fic, li nominerei uno ad uno ma sono un po’ tanti quindi faccio un grazie cumulativo per tutti.
L’ultima canzone ha scelto me, è una uscita da poco che mi è entrata in testa proprio quando scrivevo questo capitolo, ha delle parole ed una musica molto dolci, secondo me. È stranamente italiana!!!
Ok, non penso mi manchi nulla da dire.
Spero di ritrovarvi in altre mie fic.
Alla prossima, gente, e grazie ancora per avermi seguito.
Buona lettura.
Baci Akane*

CAPITOLO XII:
RITORNO ALLA VITA

“Vedi si rimane in piedi anche se tu non ci credi
Dimmi cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si confonde col mio
Forse serve un po’ di tempo
Credo, spero, penso, sento
Voglio essere importante per te
e non per la gente
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non sei tu
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si confonde col mio
Niente da dire, niente da fare
forse c’è un tempo per riprovare
Perché tu sarai sempre il mio solo destino
Posso soltanto amarti, senza mai nessun freno
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu “

/In un giorno qualunque - Marco Mengoni/
Nell’ovattato morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida, con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Le tue braccia che tengono strette a te la cosa più importante in assoluto.
Non sai cos’è, non la vedi subito, sai solo che è il tuo tesoro più grande.
Non sai dove sei, come ci sei arrivato lì, perché, cosa hai fatto prima, dove andrai, cosa farai, come sei, come ti senti. Sai solo che stai bene, non senti nulla, tutto è confuso, ovattato, nebbioso, pacifico, piacevole. E che stringi ciò che conta più di tutti per te, ciò per cui hai lottato dando la vita.
E l’hai data, la vita?
Non lo sai, non sai cosa sei. Anima o corpo?
Non importa, l’unica sensazione che hai è quella che conta.
Che fra le tue braccia c’è quello per cui hai lottato.
E‘ caldo.
Allora ce l’hai fatta, non sai a far cosa ma sai che ce l’hai fatta.
Così ti culli con lui.
Quando lentamente cerchi di vedere cosa sia e usi la vista per vedere in mezzo a quella nebbia affascinante cosa stringi, alla fine lo metti a fuoco e nell’esatto istante in cui lo vedi e realizzi chi è, il tuo cuore che forse fino a quel momento era rimasto sospeso nel nulla e nemmeno batteva… bè, eccolo che riprende dolcemente a battere.
Batte, senti solo il suo rumore ritmato e costante.
E nei suoi occhi castani gentili, sapienti e consapevoli, miti ma sicuri, tu torni a vivere.

Nell’ovattato morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida, con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Due braccia ti stringono. Non vedi chi è, non sai cosa ti è successo prima, dove sei, cosa farai, cosa sei tu stesso.
Non sai in che luogo preciso ti trovi, la memoria ti gioca brutti scherzi ed anche se sai che normalmente questo ti creerebbe problemi, ora non te ne importa e ti sembra strano ma non ti interessa. È ancora più strano sapere cose di te che non hai idea di come sai…
La sensazione di aver sempre saputo tutto di ciò che c’è da sapere in assoluto è lampante, ma ora una cosa ti sfugge.
Chi è che ti stringe cullandoti così dolcemente, facendoti sentire al sicuro?
Nell’incognita rimanevi terrorizzato, una volta, ne hai la consapevolezza, eppure ora nell’incognita stai bene.
Non importa vedere chi è, sai che è la persona che ha lottato per te più di tutti, quella per cui tu stesso, anche se sei un codardo, avresti dato la vita.
Forse, dopotutto, non è proprio un incognita.
Quella sensazione precisa di sicurezza e tranquillità te la può dare solo una persona.
Ed è quella che ti sta stringendo a sé.
Pensavi di essere solo, fino a quanto l’hai pensato? Non sapresti dirlo.
Ti sembrava di essere calato in un giorno qualunque nel quale eri solo, ne hai passati molti. Però c’era qualcosa di diverso.
Attendevi che lui ti raggiungesse e sapevi che sarebbe venuto a prenderti.
Però ricordare uno di quei giorni qualunque in cui eri solo e non avevi nessuno da aspettare, ti ha fatto chiedere cosa avresti fatto se ora non fosse arrivato.
Avresti sperato, creduto, pensato e sentito, saresti andato avanti ma con un vuoto dentro.
E forse non c’è più niente di te che ti faccia pensare di essere vivo. Forse sei anche morto.
Forse non respiri e non vedi e non senti, forse il tuo cuore ancora non batte, ma le braccia ti stringono e sei certo che sia lui.
Ma questo, e te ne rendi conto quando ti accorgi che non stai respirando e che il tuo petto è vuoto, significherebbe che anche lui è senza vita, come te.
Un’ombra increspa il tuo viso, tu vuoi solo essere quello più importante per lui ma non a scapito della sua vita.
È veramente lui?
E dove siete in questo momento?
È ora di saperlo.
Col tuo cervello che si rimette in moto per la volontà di ottenere risposte importanti, riattivi la tua vista, fra la nebbia piacevole che vi circonda e quella nenia che culla, ti giri ed alzi gli occhi e dopo il bianco finalmente metti a fuoco la prima sagoma.
Quando il suo viso dai lineamenti decisi, la sua espressione sicura, solida, ferma prende forma, lo vedi sorridere dolcemente in quel modo che sai riserva solo a te in rari momenti.
Ed ecco che in un tuffo interiore l’ingranaggio riprende a muoversi.
I battiti si odono regolari e sai che da lì in poi non si fermeranno più.
Il tuo cuore ha ripreso a battere.
Ora puoi svegliarti e vivere ancora.

Quando riaprirono gli occhi nello stesso momento, entrambi fecero la medesima fatica a mettere a fuoco il mondo circostante grazie ai sensi atrofizzati, quando ci riuscirono li mossero sulla stanza d’ospedale riconoscendola dai macchinari che davano il ritmo dei loro cuori praticamente in simbiosi fra loro.
Si cercarono fino a trovarsi e quando i loro sguardi si allacciarono, nella confusione generale che ancora provavano, sorrisero con fatica, un cenno lieve sui loro visi pallidi e stanchi.
Dei due Charlie aveva anche l’ossigeno che usciva dal fastidioso tubo nella gola, mentre Don non così grave respirava da solo, si mosse meglio girandosi verso l‘altro, l’osservò con più attenzione e una vena di dispiacere e di preoccupazione oscurò il suo viso sereno fino a quell’istante.
Realizzando che era davvero quasi morto per colpa sua, il senso di colpa lo invase togliendogli per un istante di nuovo il respiro.
Con le labbra secche ed impastate mimò la parola ‘mi dispiace’ che Charlie capì raddolcendo i suoi occhi che invece si erano mantenuti vivi e luminosi.
Don era lì steso accanto a lui e stava ormai bene, non c’era verso di preoccuparsi e impensierirsi.
Scosse lieve il capo per dire che non doveva, quindi una voce rude e familiare li interruppe. Riconobbero la stanchezza e la pesantezza in essa e prima ancora di vederlo sapevano di chi si trattava.
- Era ora… - Disse loro padre addormentato nella stanza fino ad un momento prima.
I due figli lo fissarono scambiandosi con lui degli sguardi altrettanto sfiniti ma felici. Felici di essere comunque ancora una volta tutti e tre lì a guardarsi.
Felici di avere la certezza che il peggio era passato.
- Ho insistito io per mettervi nella stessa stanza anche se volevano separarvi… sapete… Charlie era davvero grave… due pallottole, una delle due è arrivata vicino al cuore… - Il viso di Alan apparve ancora più vecchio e segnato nel dire quelle cose, proseguì con forza: - Don ha preso un brutto colpo in quel terribile incidente. Quando Colby è arrivato ha detto che vedendo com’erano conciate le auto ha creduto davvero il peggio per un momento… e si è stupito di vedere che eri anche riuscito a scendere e a prendere quei… - Avrebbe voluto chiamarli col loro nome ‘figli di puttana’, ma non sarebbe stato da lui e ricordare quegli eventi era comunque doloroso.
Don sospirò faticosamente, chiuse gli occhi e si visualizzò i crimini dei suoi veri genitori, il proprio dolore, tutte le volte che si era incrociato con quella gente negli anni, la sparatoria con Charlie, l’inseguimento ed infine l’impatto. In quell’attimo rivisse accelerato tutto quello che li aveva riguardati, che gli aveva fatto tanto male.
Quanti anni erano stati i suoi fantasmi, quelle persone?
Ora era finita.
Lo disse il padre per entrambi loro tre, sapendo che anche Charlie dagli occhi lucidi puntati nel fratello accanto, pensava la stessa cosa cercando invano di dirlo.
- E’ tutto finito, ora. Ora ogni cosa andrà a posto. - E nel sentirglielo dire, cioè sentirlo dire proprio da lui, il loro padre che sempre aveva rappresentato la loro roccia, lo rese vero e reale.
E scacciò via tutte le loro paure ed il dolore provato. Via, lontano, spazzato completamente senza possibilità di ritorno.
Ora si potevano dire di nuovo vivi.



Il sole si era alzato da appena poche ore creando quella sensazione di vittoria sulle tenebre della notte.
I primi rumori del mattino penetravano ovattati dalla finestra chiusa, dove le tende erano scostate e gli scuri alzati a permettere alla luce di passare e bagnarli.
In lontananza arrivava una canzone dolce di un artista straniero, la sua voce era dolce ed a tratti disperata. Non si capivano le parole, ma di certo parlava di qualcosa di bello.
Le lenzuola che li coprivano erano tiepide grazie ai loro corpi allacciati e docilmente addormentati.
Le braccia dell’uomo più grande circondavano nel sonno la schiena di quello più giovane che accomodato sul suo petto aveva una di quelle espressioni serene che da tempo, probabilmente, non aveva avuto.
La sensazione del dormiveglia che entrambi provarono fu terribilmente simile a quella del momento precedente al risveglio dal coma.
Dopo che erano venuti a visitarli e a diagnosticarli il fuori pericolo, gli avevano spiegato che fino a che li avevano tenuti separati ognuno nel giusto reparto era successo in entrambi un netto peggioramento mentre quando poi erano stati messi nella stessa stanza su insistenza del padre, lentamente si erano stabilizzati ed avevano cominciato pian piano a migliorare.
La cosa più incredibile ed inspiegabile, però, era stato che Don, secondo i danni ricevuti, si sarebbe dovuto riprendere prima di Charlie che invece ne aveva riportati di più gravi. Quando si erano svegliati insieme non solo era stato anomalo che Don avesse tardato tanto, ma era stato impossibile che Charlie si riprendesse così presto.
Alan gliel’aveva spiegata dicendo che anche se erano diametralmente diversi e avevano fatto tutto separatamente ed in tempi opposti, da quando avevano iniziato a lavorare insieme e si erano ritrovati, avevano poi sempre cominciato a fare tutto insieme.
Alan in effetti non si era stupito di quel fatto strano, erano fratelli ed anche se non di sangue erano stati cresciuti così ed essere in simbiosi, dopo tutto, non significava avere lo stesso carattere, lo stesso sangue e le stesse capacità. Significava essere un tutt’uno con l’animo e loro, anno dopo anno, lo erano finalmente diventati.
La mano di Don cominciò a muoversi per prima sulla schiena del compagno sopra di sé.
Lo sentiva respirare regolarmente e se si concentrava poteva anche percepire i suoi battiti tenui.
Il corpo caldo, la pelle morbida solcata dalle cicatrici che lui conosceva bene, ma l’aria serena.
L’aria di chi si sentiva al sicuro.
Lo era davvero, fra le sue braccia?
Dal giorno della sparatoria aveva cominciato a dubitarne, ma quando la sera precedente gli aveva espresso il proprio dubbio, Charlie si era arrabbiato come non aveva mai fatto in vita sua, era certo di non averlo visto così fuori di sé.
Come evocato dai suoi pensieri assonnati, la mente di Don gli riportò i flash della sera precedente.

/E come poteva toccarlo dopo che le sue stesse mani avevano provocato indirettamente tanto dolore in lui?
L’aveva quasi ucciso e solo perché gli era stato vicino, perché era diventato la persona più importante della sua vita.
Quella stupida frase da film che da grandi poteri derivano grandi responsabilità era forse una cavolata per il contesto in cui era stata usata, ma era comunque vera.
Lui aveva delle responsabilità a cui far fronte, non poteva prendersi semplicemente quello che voleva punto e basta. Sapeva di essere una persona tendenzialmente egoista che si limitava a comandare gli altri secondo le proprie idee e che faceva sempre di tutto per ottenere quello che voleva, in un modo o nell’altro, però ora era diverso.
La vita l’aveva messo davanti ad una verità innegabile.
Spesso ciò che lui voleva era male per l’altro.
Se standogli vicino Charlie rischiava così tanto allora non poteva ignorare questo fatto.
In passato era già successo che si mettesse in dubbio per lo stesso motivo, ma Charlie non aveva mai rischiato di morire come ora.
Si era rimesso, era tornato dall’ospedale e sembrava che tutto andasse per il meglio, come prima dell’inferno, il mondo aveva a ripreso a scorrere ed i giorni si erano susseguiti come fossero ‘uno fra i tanti’.
Però Don non aveva più toccato Charlie, non davvero.
Qualche bacio, qualche carezza interrotta troppo presto…
Il non coraggio di fare l’amore con lui non l’aveva mai nascosto e la scusa era stata che doveva rimettersi per bene prima di strapazzarsi a letto.
Charlie ci aveva creduto o per lo meno si era sforzato di crederci non sentendosi lui stesso in forma ma la propria mente che lavorava veloce gli aveva anche detto che forse Don non voleva per paura di essere la causa del suo dolore.
Quando si era rimesso e aveva continuato a mantenere una certa distanza gli aveva dato poco tempo per elaborare una scusa che reggesse.
L’aveva affrontato subito e come di solito avrebbe fatto Don.
Charlie era uno che arrivava per strade alternative alla meta, era Don quello che prendeva la palla e correva di sfondamento dritto come un carro armato.
Questa volta sembravano essersi invertiti i ruoli e raggiuntolo a casa sua glielo aveva chiesto senza cercare prima di metterlo per l’ennesima volta alla prova. Non era capace di sedurre, non sapeva farlo e si sentiva impacciato, preferiva che gli altri lo seducessero.
Però sapeva essere chiaro.
- Cosa c’è che non va? - Gli chiese a tu per tu sul piede di guerra. Don aveva smesso di spogliarsi  e rimasto con i jeans l’aveva guardato credendo di avere un alieno davanti.
- Niente, perché? - Era sempre stato bravo a mentire, faceva un lavoro per cui se non sapeva tenersi cose per sé era impossibile trovare le risposte giuste. Inoltre aveva passato tutta una vita a tenersi chiuso a doppia mandata, nessuno aveva mai capito molto di lui.
Ora però davanti a Charlie, un Charlie così determinato, sembrava aver dimenticato come si facesse.
- Raccontalo a qualcun altro! Dimmi cosa c’è che non va! - Volente o nolente avrebbe parlato. Non sapeva bene come obbligare Don a fare qualcosa che non voleva, ma l’avrebbe fatto.
- Charlie, a cosa ti riferisci? - Prendere tempo era tutto ciò che riusciva a fare. Nella mente paralizzata non trovava più scuse adeguate e sapeva che era giunto il momento di dirglielo e basta.
- Mi sono perfettamente ripreso, perché continui a tenermi a distanza? Hai paura di toccarmi, di stare con me… di stare con me davvero… - Un velo di rossore colorò il suo viso dando chiarezza su cosa intendesse. Don strinse le labbra in segno di disappunto, non voleva parlarne ed era evidente, ma era messo alle strette.
Rise fra sé e sé. Lui, il grande, forte e testardo agente dell’FBI messo con le spalle al muro da un professore di matematica allergico alle armi!
Ridicolo!
Cominciò a camminare distrattamente per il proprio appartamento, quindi cercando di essere convincente iniziò senza sapere cosa dire davvero:
- Bè, che vuoi… non sono ancora pronto… - In fondo era vero ma non del tutto. Lui in realtà aveva già deciso che per proteggerlo doveva allontanarlo. O smettere di fare quel lavoro. Ma essendo che quello era tutto ciò che sapeva fare, era difficile smettere con quello!
- Certo, come no! Ed io sono Archimede! - Continuò come un mastino Charlie avvicinandosi a lui. Naturalmente tornò a sgusciare via, questa volta più veloce, come cercasse di scavare un fosso nel suo pavimento.
- Ma è così… cioè, non so se è ancora il momento giusto… - La voce di Don si stava innervosendo e Charlie continuò a seguirlo mentre l’altro a scappare sempre più frenetico, come punto da una tarantola.
- Il momento giusto per cosa? Andiamo, stiamo bene entrambi, ormai! Cosa c’è che non ti va? -
Don era davvero in difficoltà e la cosa sarebbe stata sconvolgente di per sé se peggio non fosse stato il fatto che stesse fuggendo dal fratello minore apparentemente innocuo, come se fosse un essere estremamente pericoloso!
- Non mi va che per colpa mia sei quasi morto! - Alla fine lo sputò fuori fermandosi un istante per fissarlo dritto negli occhi ma lo sguardo che vi lesse, quella luce di stupore e di dolore gli fece a sua volta male, per cui riprese la sua marcia in giro per casa. Charlie però rimase fermo in mezzo alla stanza inebetito, capendo finalmente di cosa si trattasse.
- Ma… ma non sei stato tu a spararmi, non era colpa tua… - Sussurrò debolmente più incredulo che altro. Non poteva crederci che fosse per quello. Avevano affrontato il discorso mille altre volte, in passato, quando si era ritrovato in pericolo e Don si era chiesto se non dovesse proteggerlo allontanandolo dall’FBI. Ma lì era diverso.
Ora Don si stava chiedendo se per proteggerlo non dovesse allontanarlo da sé stesso.
Questo aveva la potenza di una bomba atomica per il più giovane che cominciava a non percepire più le stimolazioni nervose al cervello e quindi a non ragionare. Cosa grave per lui.
Don smise ancora la sua avanzata ma rimase a debita distanza con le mani piantate ai fianchi e l’aria cupa e tenebrosa che da anni non aveva.
- E’ stata per colpa mia e lo sappiamo bene entrambi. Siamo abbastanza grandi da non mentirci come dei bambini! -
Ok, si disse Charlie mordendosi l’interno delle guance nervoso, era vero quello che diceva ma non era un buon motivo per allontanarlo. Per lui non ce n’erano proprio, né di buoni né di pessimi.
- Non ha importanza, può succedere ma ora quelle persone non ti perseguiteranno più, non c’è più quel pericolo, non devi più pensarci! - Cercava di motivarlo alla meglio, non era facile con la mente nell’allarme più completo. Cominciava a sentirsi proprio male, lo stomaco stretto in una morsa nauseante, la gola con un nodo gigantesco, quella fastidiosa ondata che minacciava di uscirgli dagli occhi sotto forma di lacrime. Non voleva piangere, non davanti a lui. Voleva essere forte, fermo, deciso.
Don abbassò il tono diventando più dolce, pronto a continuare a scappare se si sarebbe riavvicinato.
- Finché faccio questo lavoro, finché prendo i criminali della peggiore specie che possono uscire da un momento all’altro o che magari hanno amici vendicativi, la situazione non cambierà mai. Io sarò sempre un bersaglio per quelle persone. E con me chi io amo. - Serrò la mascella e tese i muscoli fino allo spasmo, con la voglia matta di distogliere lo sguardo dal suo ferito non si mosse e concluse: - La cosa migliore è allentare il rapporto. Non sopporterei che ti sparassero di nuovo per colpa mia. Solo perché ti amo. -
Un doppio shock lo invase devastandolo e mandandolo storicamente in tilt.
Gli diceva che dovevano lasciarsi e allontanarsi e poi che lo amava.
E non poteva dirgli che lo amava dopo che dovevano lasciarsi.
Anzi, non poteva dirgli quella oscenità proprio per niente.
Nel sentirglielo, dopo lo shock iniziale qualcosa in lui si ribellò. Tutto il suo essere, ogni particella che lo componeva a partire da tutti i neuroni che trasmettevano mille e più stimolazioni e pensieri.
In sé improvvisamente non ci fu nemmeno una cellula calma e ragionevole, pronta a comprendere e a non reagire.
Tutto urlò, in Charlie.
Tutto.
Come non gli era mai capitato in vita sua.
- Tu… - Iniziò con voce bassa e tremante guardando in basso coi pugni stretti lungo i fianchi e le spalle alzate: - tu mi stai lasciando perché mi ami? - Era una di quelle cazzate immense che si assistevano nei film e che quando accadevano ci si rideva su. Ma rendersi conto che nella realtà c’era davvero gente che faceva così e trovarsi protagonista di tale pietoso scandalo, era davvero troppo.
Il silenzio di Don fu fin troppo eloquente, ma quando poi disse un teso e penetrante: - E’ meglio così. - la bomba in Charlie esplose e rapido come poche volte in vita sua era stato, fu davanti a Don che non ebbe nemmeno il tempo di allontanarsi. Rimase fermo immobile a sentire le sue mani artigliarsi sulle spalle nude, affondare nella carne e scuoterlo con violenza facendolo tremare.
- MA MEGLIO PER CHI?! MI HAI CHIESTO COSA VOGLIO IO, INVECE? PERCHE’ DECIDI SEMPRE TU PER TUTTI? SEMPRE DA SOLO! SEMPRE CONVINTO DI SAPERE TUTTO QUANDO INVECE NON SAI UN CAZZO! COME PUOI PENSARE CHE IO VIVA MEGLIO SENZA DI TE ORA CHE TI HO APPENA RITROVATO?  HAI SEMPRE VOLUTO LIBERARTI DI ME, HAI SEMPRE CERCATO DI ALLONTANARMI PER PAURA CHE MI SUCCEDESSE CHISSA’ COSA, MA LA VERITA’ FORSE E’ CHE TI SONO DI PESO! ALTRO CHE AMORE E AMORE! DI’ LE COSE COME STANNO INVECE CHE SPARARE PALLE COLOSSALI! -
Non solo usare quei termini non era da lui, ma nemmeno urlarli a quel modo. Don rimase allibito a subire la sua sfuriata, non l’aveva mai visto così fuori di sé e addirittura arrivare a dire che aveva sempre voluto liberarsi di lui… come poteva dirlo?
Charlie non era mai irragionevole, quelle erano cavolate…
Con una smorfia  incredula sul viso cupo, con la rabbia che si affacciava anche a lui sentendosi messo in dubbio a quel modo, lui ed il suo dolore nel fare la cosa giusta, la fatica nell’ammettere i sentimenti più intimi, reagì a sua volta e non molto bene. Del resto da Don ci si aspettava una cosa simile.
Prendendo Charlie per i polsi glieli strinse e avanzò spingendolo contro la parete lì accanto, gridando anche lui fuori di sé:
- COME PUOI DIRE CHE HO SEMPRE CERCATO DI LIBERARMI DI TE? NON SAI COSA STO PASSANDO! NON SAI QUANTO MI COSTA FARE COSI’! NON SAI CHE TORNANDO INDIETRO MI METTEREI IO SULLA TRAIETTORIA DI QUELLE DANNATE PALLOTTOLE?! COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE CHE STO CERCANDO DI TOGLIERTI DI MEZZO PERCHE’ SEI UN PESO?! COME?! -
Vomitarlo furibondo a quel modo aggressivo, premendolo contro il muro, rendeva il fatto ancora più grave a sé stesso. Farlo uscire dalla bocca gli dava consistenza e pesava ancora di più.
Charlie però ormai si era scollegato e non sentiva ragioni nonostante di solito fossero le uniche cose ad ancorarlo al mondo.
Per nulla spaventato da quel modo che normalmente l’avrebbe bloccato all’istante, continuò a spingere invano finendo per venir schiacciato più di prima col suo corpo possente. Impossibilitato a muoversi continuò comunque a gridare furioso, cercando disperatamente di mettere fine a quell’incubo:
- ED IO NON POSSO SAPERE COSA PENSI SE NON ME NE PARLI MAI! DICI DI AMARMI MA HAI CONTINUATO COME SEMPRE AD ESCLUDERMI DALLE COSE IMPORTANTI. DALLE DECISIONI CHE TI DIVORANO. FINCHE’ NON MI RENDERAI PARTECIPE CHIEDENDOMI COSA VOGLIO E COSA PENSO, SARO’ SEMPRE CONVINTO CHE PER TE SONO UN PESO. CHE NON TE NE IMPORTA NIENTE!  -
Una pugnalata dietro l’altra le sue parole che per Don erano semplicemente terribili, visto l’inferno in cui era finito per decidere quello che aveva deciso.
Non poteva davvero dire quelle cose. Non poteva davvero ucciderlo così.
Entrargli dentro nella pelle e nell’anima e farlo a pezzi in quel modo.
Ma era una cosa vicendevole, il medesimo inferno che passava anche l’altro.
- NON PUOI DUBITARLO! NON PUOI DUBITARE CHE IO TI AMO! NON PUOI! -
- E ALLORA DIMOSTRALO IN MODO NORMALE! -
- QUESTO E’ IL MIO MODO! SE NON TI STA BENE MI SPIACE MA E’ QUESTO CIO’ CHE SONO! -
- NO, NO CHE NON MI STA BENE! NON MI STA BENE CHE PER AMARMI MI LASCI! NON LO CAPISCO ANCHE SE SONO INTELLIGENTE! LA LOGICA IN QUESTO MI SFUGGE! -
Don ebbe improvvisamente un insano istinto di prenderlo a pugni ma ogni muscolo teso di sé indicava lo sforzo immane nel trattenersi. Spingerlo con forza contro il muro bloccandolo, stringergli i polsi immobilizzandolo era un limitarsi per lui e per il modo in cui si sentiva.
- LA LOGICA E’ CHE NON VOGLIO CHE PER COLPA MIA TORNINO A SPARARTI! -
Ma Charlie non era mai stato tanto convinto di una cosa come in quel momento. Sarebbe morto pur di dimostrare che aveva ragione, non avrebbe mai ceduto. Mai. E giunto al limite massimo di sopportazione, non sapendo come farglielo capire, lo sparò disperato nell’ira più rossa:
- PER ME STARTI LONTANO EQUIVALE A MORIRE, COME PUOI NON CAPIRLO? -
Fu esattamente in questo istante che Don esitò trovandosi sconvolgentemente spiazzato, senza parole davanti a tale grido di disperazione pura. Gli occhi gli divennero improvvisamente lucidi, si morse con forza il labbro e il blocco totale lo colse mandandolo in blackout, nemmeno respirava. Charlie allora proseguì incalzante spingendosi ancora contro di lui, irremovibile come una roccia. Spaventato come un bambino. - CHIEDIMI COSA VOGLIO IO, DON! CHIEDIMELO! CHIEDIMI COSA PROVO PER TE! RENDIMI PARTECIPE! FAMMI SCEGLIERE! -
E sapeva bene che se non era Don convinto a farlo scegliere, era inutile che prendesse posizioni poiché sarebbe stato inutile. Però fino a poco tempo prima avrebbe creduto impossibile convincerlo a fare qualcosa che si ostinava a rifiutare.
Eppure era lì ad implorarlo, a gridargli di cambiare idea, di farlo partecipare. Sperando come non mai che lo capisse, che per una dannatissima volta in vita sua si piegasse.
Don ancora era come se non ci fosse, lo fissava negli occhi impalato davanti a lui, premuto ancora addosso, le mani a bloccare i suoi polsi ma la mente assente. Spaventata.
Più un automa che altro.
- Cosa… - Disse senza rendersene conto, senza avere idea di volerlo sapere veramente: - cosa vuoi?  -
E senza avere più la minima idea di come dirlo anche se l’aveva fortemente pensato fino ad un istante prima, fino ad impazzire, con la mente terribilmente vuota, pur immobilizzato da lui, Charlie si allungò il  possibile e con il viso arrivò a quello dell’altro.
E lo raggiunse lì, rigido, arroccato.
Posò le labbra sulle sue con dolcezza chiudendo gli occhi da cui si era accorto solo ora uscivano lacrime traditrici che bruciavano le sue guance.
Gli arrivava, così, il suo sentimento?
Lo sentiva?
Le sue labbra rimanevano serrate e dure ma le proprie con morbidezza e leggerezza continuarono ad accarezzargliele senza cedere, insistenti e sicure. Cominciò allora a inumidirgliele e quando sentì le mani sui propri polsi allentarsi, si liberò immediatamente sgusciando dalla sua presa ferrea per circondare il suo collo come fosse un ancora di salvezza. Lo strinse a sé continuando a riempire di piccoli baci la sua bocca ed il resto del viso ancora inamovibile, fermo in quel nulla dove probabilmente si stava sconvolgendo perché messo in discussione.
Ritornare sulle sue decisioni, rendersi conto che aveva sbagliato, che doveva cambiare idea era qualcosa che non aveva mai fatto e granitico com’era già solo il pensiero di farlo era faticoso. Riuscirci era tragico.
Ma il corpo di Charlie fu finalmente altrettanto libero di premersi di sua volontà contro quello resistente del fratello, morbidamente, gentilmente, dolcemente fino a fargli sentire tutto quello che provava lui, quell’amore che non era ancora riuscito ad esprimere a parole ma che doveva trasmettergli a tutti i costi.
Doveva sapere che non poteva rinunciare a quello. Che non c’era modo di spegnerlo ormai che glielo aveva acceso.
Doveva prendersi le sue responsabilità dopo tutto.
Nell’insistere, nel non mollare, nel stringersi a Don con fermezza e pazienza, nel rimanere ancorato a lui, finalmente lo sentì muovere impercettibilmente le mani rimaste a mezz’aria. Le sentì poggiarsi lievi sulla schiena.
Fu allora che semplicemente abbracciandolo, riuscì anche a dirglielo sul suo orecchio:
- Io ti amo Don… Non mi importa di essere in pericolo, so che mi proteggerai sempre, ma stando con me. Ti prego, non lasciarmi. - E quella piccola preghiera sincera, l’uomo più grande la sentì in profondità come una cura che levava tutto il dolore sentito.
In un attimo tutto fu spazzato via e capì che anche se cambiare idea non era facile, per Charlie poteva farlo.
Fu allora che lo strinse a sua volta con forza  senza l’intenzione di mollarlo mai più.
Charlie si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, in cui tornò a prendere ossigeno tornando un po’ alla vita anche lui.
La seconda risposta di Don fu il bacio che cercò e trovò un istante dopo, quando le loro labbra si riallacciarono di nuovo con una calma che sanciva quella specie di promessa, quella tregua sofferta. Quella pace meritata.
Allacciarono le loro lingue con dolcezza assaporando un bacio di cui avevano avuto davvero bisogno. Un bacio che poi si allungò mutando l’intensità che via via crebbe per la ricerca di maggiore contatto, maggiore pace, maggiore bisogno di fondersi l’un l’altro.
Desiderio che si concretizzò nelle mani di Don che dopo essersi infilate sotto la camicia sgualcita e aver accarezzato la sua pelle che rabbrividì al suo tocco, andò sul davanti a finire di slacciargliela.
Smisero di baciarsi prendendo respiro appoggiandosi fronte contro fronte, le dita di Don continuarono a scorrere sui bottoni fino a che non furono tutti aperti e le mani non si infilarono sotto raggiungendo le spalle e scendendo sulle braccia, facendogli cadere l’indumento che andò con un fruscio ai loro piedi.
Contemplò seccato la canottiera che aveva sotto ma decidendo di occuparsene dopo, riprese a baciarlo conducendolo febbrilmente al letto.
Che fosse tornato in poco tempo il solito Don deciso con le idee chiare che amava condurre, era fin troppo chiaro e di questo Charlie gliene fu grato, visto che si trovava meglio nei panni di quello che seguiva il condottiero piuttosto che in quello che lottava per fargli cambiare idea.
Si ritrovò sul suo letto col cuore che galoppava impazzito, rendendosi conto di cosa stavano per fare e che sarebbe stata anche la loro prima volta.
Ma se da un lato lo spaventava, dall’altro lo desiderava da matti, era arrivato ad un punto tale da lottare con unghie e denti per poter avere del tutto Don, quello era il completamento della sua volontà.
Sentendolo teso ed imbarazzato, Don decise di metterlo prima a suo agio e senza pensarci dalle labbra scese sul suo collo assaggiandolo, lo vide offrirsi istintivamente e un’ondata di piacere lo attraversò mentre cominciava a muoversi su di lui.
Gli alzò la canottiera e con l’accesso libero, scese lentamente continuando a succhiare piccole porzioni di pelle, con delicatezza le cicatrici della sparatoria maggiormente sensibili e piacevoli da leccare, fino a giungere sui suoi capezzoli che divennero in poco tempo duri. Senza fermarsi, continuò la sua discesa raggiungendo i suoi pantaloni e slacciati in poco tempo glieli sfilò dimenticandosi il suo bel proposito di mettere a suo agio il fratellino teso.
Non si rese nemmeno conto che mentre lo denudava completamente con una tale disinvoltura, quell’altro non respirava nemmeno.
Per non parlare di quando gli toccò dapprima con le mani e poi con le labbra il suo membro che in un paio di occasioni aveva già potuto deliziare.
Si accorse che era in difficoltà quando lo vide prendersi al lenzuolo sotto di sé.
Don in quello alzò un sopracciglio con ironia chiedendosi quanto ci avrebbe messo a toccarlo a sua volta, mettendolo alla prova continuò a leccare il suo sesso come non avesse fatto altro in vita sua, sapendo bene come lasciarlo al limite prima di farlo sfogare a pieno. Con una sorta di crudeltà non gli permise di raggiungere così presto il culmine, ma quando sul più bello fece per ritirarsi, finalmente le mani del ragazzo sotto di sé lasciarono il lenzuolo per andare sulla sua nuca e premergli la testa contro il proprio inguine eccitato.
Appena lo fece Don mugolò sorpreso e piacevolmente colpito, questo riportò alla realtà il professore che gemette in una sorta di scuse che non avevano senso e senza sapere che cosa fare, si ritirò di nuovo. Don sorrise languido e divertito, quindi risalì giungendo di nuovo al viso, lo contemplò con fare indecifrabile, assorbì la sua deliziosa timidezza e il suo mortificarsi per un gesto tanto audace, quindi lo tranquillizzò baciandolo.
E se con un bacio del genere avrebbe dovuto tranquillizzarlo, allora era da sperare che non volesse mai agitare qualcuno!
Iniziando con lentezza esasperante, andò in un crescendo erotico fino a succhiargli la lingua fuori dalle loro bocche, passando al labbro e poi al mento, concludendo sul suo orecchio mentre col bacino gli si strofinava contro, seppur separati dai jeans, e con la mano continuava a lavorare sul suo inguine già portato al limite poco prima.
- Finisci di spogliarmi… - Gli disse poi con voce roca e carica di desiderio. Charlie rabbrividì sia per quella che per ciò che gli disse, ma sgranando gli occhi in un attimo di confusione si rese conto che era anche una delle cose che sognava di fare da un po’.
Quando Don si tirò su, Charlie rimase un attimo steso a guardarlo inebetito e rosso, osservando la sua espressione che lo invitava a farsi avanti non resistette e con un certo imbarazzo si alzò a sedere slacciandogli impacciato la cintura che ancora indossava. Alzò gli occhi e lo vide carico di una malizia che ebbe il potere di devastarlo e scaldarlo brutalmente.
Di nuovo il caos lo invase insieme alla voglia di dargli piacere e di rivederlo nudo sopra di sé.
Non sapendo come fare, si affidò al proprio istinto e semplicemente continuò l’operazione, seppure sempre rigorosamente pieno di vergogna, sentendosi troppo audace e sfacciato.
Quando finalmente ci riuscì aiutato alla fine dal fratello che ebbe pietà di lui, se lo risentì addosso come una calda coperta sicura, lo avvolse istintivamente con le sue braccia mentre l’altro si reggeva per non pesargli completamente addosso.
Sentì di nuovo il suo sesso addosso strofinarsi contro, sentì la voglia di essere toccato, sentì la sua bocca che continuava a dargli sempre nuovi piaceri, la lingua che andava in zone che nemmeno sapeva potessero dargli così tanto piacere.
Cominciando a gemere, capì di essere lontano da sé stesso anni luce e senza ritrovarsi ma lieto di essere talmente vicino alla persona che amava, anche se lui non glielo chiedeva si fece forza e si decise a ricambiare il piacere che gli stava dando, quindi scivolò svelto in basso prima di cambiare idea e giunto davanti al suo membro eccitato prima lo toccò con timidezza acuta, esitante, leggero, poi quando la mano di Don andò sopra la sua indicandogli il modo giusto di farlo, con più decisione, stringendo senza paura, muovendosi con ardore, aggiunse la sua bocca finendo di nuovo nel caos più completo.
Ancora esitante, ancora senza sapere come fare, semplicemente lo fece incitato dalle mani del compagno che ancora una volta andarono fra i suoi capelli ingarbugliati premendolo contro il proprio inguine, indicandogli di non avere paura, di farlo con più decisione, che gli piaceva, che andava bene, che lo voleva e lo voleva di più.
Spinto dalle sue mute indicazioni che gli trasmettevano sicurezza, l’andatura di Charlie crebbe d’intensità, invogliato dall’aumentare anche per l’eccitazione che saliva nella sua bocca, sentendolo sempre più evidente pulsante.
Quando la voce roca e penetrante di Don riempì la stanza di gemiti di piacere, lui stesso sentì delle violente scariche elettriche e poco prima che raggiungesse il culmine, Don se lo staccò di dosso bruscamente facendolo rimanere decisamente male.
Vide come il suo viso era sotto sforzo e voglioso, quindi capì che si stava avvicinando il momento. Lo capì da come aveva ripreso a gestirlo come fosse una bambola nelle sue mani.
Era bello esserlo, farsi muovere da lui, fidarsi al punto da lasciargli fare qualunque cosa.
Don senza esitazione, col desiderio alle stelle, se lo riposizionò sotto di sé e scivolando fra le sue gambe che alzò per ottenere un miglior accesso, cominciò a stimolare la sua apertura con delicatezza e sicurezza allo stesso tempo.
Era un uomo rude, di solito, incapace di certe attenzioni, ma lì seppe essere giusto, anche se controllato a fatica visto che fosse stato per lui sarebbe semplicemente entrato.
Occupandosi di tanto in tanto ancora del suo membro sempre più eccitato, sentendolo contorcersi davanti a sé, sotto le sue mani, decise che era ora e senza aspettare più si sistemò meglio sopra di lui, appoggiandosi le gambe di Charlie sulle sue spalle e spingendosi con esse contro di lui di nuovo aggrappato al lenzuolo, pronto all’atto successivo.
Don prima di scivolare in lui gli sfiorò le labbra con dolcezza, quindi gli sorrise dolcemente, come raramente faceva, e dandogli quella calma interiore necessaria, entrò piano fermandosi subito per dargli il tempo di abituarsi.
Charlie provò un dolore lancinante e mordendosi il labbro tirò il lenzuolo, quando però Don cominciò lentamente a muoversi, uscendo e rientrando per farsi miglior strada in lui, dalla stoffa passò alle sue braccia possenti e ad ogni spinta più profonda, le sue unghie affondavano involontariamente di più attirandolo a sé.
Questi piccoli gesti passionali provocarono in Don un ulteriore piacere che lentamente gli fece perdere il controllo, fino a che le spinte non divennero più vigorose nonostante il dolore che gli procurava, aumentando il ritmo e l’intensità creò un miscuglio fra quello ed il piacere che lo confusero portandolo in un altro pianeta, dopo non capiva se stesse urlando per il male che sentiva oppure per il godimento.
Non ritrovandosi più completamente, con il cervello in fiamme, il corpo pulsante e la sensazione di essere finalmente un tutt’uno con Don, lo sentì gemere più forte che mai mentre lo vedeva sull’orlo della follia per lui, perché gli piaceva possederlo, essere in lui, e realizzando lontanamente che stavano facendo finalmente l’amore e che Don era in estasi per lui, cominciò ad andargli incontro nelle spinte, creando delle onde simbiotiche che colpirono il compagno sopra come dei cavalloni violenti.
Il piacere che provò lui fu tale da non avere paragoni precedenti e sconvolgendosi di spinta in spinta, si lasciò semplicemente andare alla follia che provava, senza capire perché mai prima aveva cercato di privarsi di tale benessere.
Anche lui si trovò sbalzato fuori di sé, ben lontano da lì, ma trovandosi col ragazzo che amava non se ne curò e continuò aumentando di più, sempre più, fondendosi totalmente con l’altro, cercandolo, trovandolo e inglobandolo in sé.
Fino a raggiungere il culmine in un tuffo che fece perdere entrambi per un lungo momento.
Un momento introvabile afrodisiaco che non avrebbero mai dimenticato e mai definito.
Rimasero immobili ansimanti coi copri umidi e pulsanti, tremanti, tesi, poi sfiniti si sciolsero ricadendo stesi sul letto, Don sulla schiena che si tirò addosso uno sconvolto Charlie che non riusciva ancora a ritrovarsi ma che si aggrappava a quello che per lui sarebbe sempre stato la sua ancora.
Ora, entrambi lo sapevano, non avrebbero mai potuto separarsi./

Quando gli occhi castani velati di sonno di Charlie si aprirono, trovarono quasi subito quelli più svegli carichi di sicurezza di Don che lo guardava da un po’.
Sorrise in un buongiorno che non disse e con un lontano ricordo della sera precedente, quando aveva perso le staffe come non mai, realizzò che quello era solo un brutto ricordo a cui però si aggiungeva quello più bello in assoluto.
Quando unendosi si erano promessi di non separarsi più, accettando il bene ed il male che sarebbe arrivato.
Da quel momento poteva davvero partire una nuovo capitolo.

FINE

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