King

di bloodingeyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Regno lontano ***
Capitolo 2: *** Re e fratello ***
Capitolo 3: *** Notizie indesiderate ***
Capitolo 4: *** Combattimento ***
Capitolo 5: *** Pensieri ***
Capitolo 6: *** Gare ***
Capitolo 7: *** Tempesta ***
Capitolo 8: *** Orizzonte ***
Capitolo 9: *** Partenza ***
Capitolo 10: *** Guerra ***
Capitolo 11: *** Malattia ***
Capitolo 12: *** Pila di pietre ***



Capitolo 1
*** Regno lontano ***


Regno lontano

Dolci colline verdi su cui i fiori della prima primavera coloravano gentili le dolci curve del terreno. I campi coltivati dove il verde tenero dei raccolti iniziava a germogliare nel terreno brullo. Gli alberi che si riempivano dei fiori bianchi e rosati. E le case bianche, le vie piene di vita e di persone. Il mercato. La fontana della Dea, dalle cui mani sgorgava l’acqua fresca e cristallina. E poi il castello, dalle mura alte e imponenti, su cui svettavano gli araldi bianchi con il drago dorato dipinto sopra. Tutto era luminoso e tranquillo, presto ci sarebbe stato il palio e le strade si sarebbero riempite di persone in festa, tutti con addosso il loro vestito migliore. Tutti sarebbero accorsi per vedere quali delle otto contrade avrebbe vinto i palii quell’anno. Ci sarebbero state gare di bandiere, musiche, danze, giochi di fuoco, tornei per i cavalieri e bancarelle piene di dolci e giocattoli. E ci sarebbe stata felicità, festa e vita. Ma soprattutto, ci sarebbe stato il Re. Il popolo attendeva l’arrivo della primavera soprattutto per questo, per poter vedere lui, il Re Monaldo. Lui che aveva permesso la rinascita di quel piccolo regno, che aveva portato la pace in quelle terre, lui così bello e perfetto. Presenziava alle gare delle contrade e ogni anno partecipava alle gare fra i cavalieri, e il popolo aveva l’ooportunità di vederlo da vicino. Era forte e giusto, il re che ogni suddito avrebbe voluto. Eppure aveva solo 16 anni, era poco più che un ragazzino ma alla morte del padre aveva preso in mano le redini di un regno sull’orlo della rovina e l’aveva risanato. Le ingiustizie ora venivano punite, i deboli erano difesi dalla spada delle guardie e tutti erano felici. Ogni dubbio che si era sollevato quando il vecchio re era morto lasciando il regno al figlio minore si erano quietate neppure due mesi dopo. Il popolo amava il suo nuovo re e non aveva importanza che fosse un ragazzino, faceva in modo che il paese prosperasse e non si poteva chiedere un re migliore di lui.

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Capitolo 2
*** Re e fratello ***


Re e fratello

                Il giovane re guardava la città fuori dalla finestra con un accenno di sorriso sulle labbra. Presto sarebbe iniziato il palio e lui lo adorava, gli piacevano soprattutto le gare di bandiere e non vedeva l’ora di potersi confrontare anche quest’anno con i principi dei regni vicini. Ma soprattutto non vedeva l’ora di stare in mezzo al suo popolo di vedere le loro espressioni felici, di sapere che lo amavano e che stavano bene. Per lui quella era l’unica cosa importante. Non desiderava l’oro, le ricchezze, il potere, o altre cose di quel genere. Lui desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Per ora la Dea lo aveva graziato, dando inverni miti alle sue terre e estati tiepide, Monaldo ogni sera la pregava perché i raccolti fossero buoni e gli animali non si ammalassero. Molti altri regnanti lo prendevano in giro perché le casse del suo castello non straripavano d’oro ma a lui non importava, vedeva i loro popoli, la fame che pativano, la miseria in cui vivevano e vedeva l’odio nei loro occhi. Non avrebbe mai potuto accettare di vedere quell’odio negli occhi della sua gente, mai

                -Mio re, cosa fate alla finestra?- Monaldo sobbalzò spaventato e si voltò verso chi l’aveva chiamato

                -Guardavo i preparativi per il palio- rispose il giovane re sorridendo al nuovo arrivato –quest’anno sarà ancora più grande, hai visto quante bancarelle che ci sono, fratello?- l’altro rimase serissimo mentre il giovane gli saltellava incontro felice

                -Mio re, non dovreste stare davanti alla finestra, non va bene-

                -Perché?- chiese ingenuamente il re

                -Ve l’ho già spiegato mio re… - sospirò l’altro

                -E perché continui a chiamarmi “mio re”?- lo interruppe -Siamo fratelli, perché non mi chiami con il mio nome?-

                -Perché siete il mio re e sono tenuto al rispetto- gli rispose l’altro

                -Ma sei mio fratello!- si imbronciò il ragazzo e l’altro sospirò di nuovo inginocchiandosi davanti a lui

                -Voi siete prima di tutto il re e il fatto che siamo fratelli non conta- gli spiegò per la milionesima volta e prima che il giovane potesse ribattere si rimise in piedi –ora dovete prepararvi mio re, c’è un banchetto al quale dovete presenziare fra meno di mezz’ora e siete ancora in camicia da notte-

                -Va bene… - borbottò il ragazzo mettendo però il broncio. Si tolse con un solo gesto la camicia da notte e la buttò per terra –vado a farmi il bagno-

                -Vi chiamo le vostre ancelle- disse il fratello mentre usciva dalla stanza e Monaldo riuscì appena a trattenersi dal fare strani versi, non gli piaceva avere delle ancelle, non gli piaceva che delle ragazze lo toccassero, e poi delle volte il suo corpo reagiva in modi strani, che non capiva e che non gli piacevano. Ma non poteva rifiutarsi, era normale per un re essere servito in ogni cosa e suo fratello si sarebbe molto arrabbiato se avesse mandato via le ragazze. Argo teneva molto alle tradizioni e il ragazzo non voleva farlo arrabbiare, quindi spesso anche se una cosa non gli piaceva la faceva lo stesso per non vedere il fratello arrabbiato con lui. Questo non valeva sulle faccende che riguardavano il popolo e il regno, lì suo fratello poteva anche arrabbiarsi e non parlargli per settimane ma la cosa importante era che il regno prosperasse.

                Monaldo si lasciò lavare dalle ancelle e per una volta tanto il suo corpo non gli giocò strani scherzi, una volta finito le ragazze lo asciugarono e lo vestirono con gli abiti che Argo aveva scelto per lui e poi lo pettinarono. Una volta che fu pronto ordinò alle ragazze di lasciarlo solo e rimase ad osservare la propria immagine riflessa allo specchio. Alle volte, quando si guardava di sfuggita, quasi non si riconosceva. Non era mai stato abituato a indossare abiti così eleganti, a tenere i capelli così lunghi e a portare la corona in testa. Essendo il secondogenito non sarebbe dovuto diventare lui re, quello era il posto di Argo. Per questo, sin da piccolo, era sempre stato un po’ trascurato, a lui venivano dati i vestiti meno belli, quelli meno vistosi, era lui quello che veniva messo da parte alle feste e ai banchetti, quello che nessuno notava. Perché era piccolo e gracile e alle volte l’avevano persino scambiato per una ragazza. Aveva i tratti del viso dolci e gli occhi limpidi e innocenti come quelli di ogni ragazzino e di un color azzurro luminoso come i cieli di primavera, lo stesso azzurro degli occhi della regina. E poi c’erano i capelli, quelli che aveva preso da suo padre, i capelli che prima gli arrivavano solo alle spalle e che ora scendevano sinuosi fino alle reni, altro segno della sua regalità. Quando ancora era solo il principino nessuno si sarebbe mai immaginato di vedere il diadema che ora era sulla sua fronte: la corona che era stata di suo padre, di suo nonno e di tutti i suoi avi. La stessa corona che tutti immaginavano si sarebbe posata sulla testa di Argo. Era sempre stato suo fratello l’immagine perfetta del re. Era alto e con spalle ampie e un corpo possente, bravo in battaglia, un ottimo stratega, vinceva ogni competizione a cui partecipava, cacciava con il falco e tirava d’arco senza mai sbagliare, era bravo con i soldi e si vestiva sempre in maniera impeccabile. Tanto bello da sembrare un dio, non veniva mai scambiato per una ragazza lui. E i suoi capelli sono sempre scesi fino alla schiena, brillando dei mille riflessi dell’oro più puro. E gli occhi! Quegli occhi che Monaldo aveva sempre ammirato, così pieni di forza, così fieri e impavidi. Aveva visto il fratello combattere e soffrire, lo aveva visto ridere e parlare con persone molto più grandi di lui. Eppure nessuno sembrava poter neppure sfiorare la sua magnificenza, nessuno sembrava in grado di poter arrivare a guardare quegli occhi senza dover alzare lo sguardo. Perché nessuno era tanto perfetto e regale quanto Argo.

                Eppure era Monaldo che portava la corona e ora Argo era quello che si vestiva anonimamente, era lui quello con i capelli corti, non era più il grande principe che sarebbe presto diventato re. Era solo Argo, il fratello del re. Monaldo l’aveva pregato di non tagliarsi i capelli durante la sua incoronazione ma il fratello non l’aveva ascoltato, aveva tagliato quegli splendidi capelli che il fratellino gli aveva sempre invidiato, e per quando gli regalasse splendidi vestiti Argo andava sempre in giro vestito ai limiti della povertà. Ormai tutti si permettevano di guardarlo dall’alto in basso perché nei suoi occhi era sparita la fierezza e la forza che lo aveva sempre contraddistinto. E ogni volta a Monaldo si stringeva il cuore, non voleva questo per il fratello, voleva che fosse felice, che tornasse ad essere quello di prima. Eppure Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servire il Re, come se ne fosse diventato il cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.

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Capitolo 3
*** Notizie indesiderate ***


Notizie indesiderate

                Al giovane re piacevano le feste, piacevano i banchetti, gli piaceva mangiare e divertirsi come ad ogni ragazzo, però molto spesso non sopportava i commensali con cui si trovava a contatto. Spesso erano nobili più vecchi di lui, che venivano al suo castello solo per farsi belli e per scroccare un pasto. Altre volte erano ambasciatori stranieri che non parlavano la sua lingua e che non riuscivano a rispondere alle sue domande sui paesi da dove venivano, oppure gli raccontavano di cose per lui inutili e noiose. Ma i ricevimenti peggiori erano quelli dove i nobili portavano le loro famiglie. Per Monaldo quei banchetti non sembravano finire mai, vedeva padri tenere la mano delle loro mogli di nascosto, scambiarsi con loro dolci sguardi credendo di non essere notati. E vedeva come i genitori si comportavano con i figli, sgridandoli sommessamente, ridendo con loro, e parlando con gli altri nobili della loro famiglia con uno sguardo carico di orgoglio. Ma soprattutto vedeva parlare fratelli e sorelle fra di loro, litigare e ridere, come lui e Argo non facevano più ormai da tempo. E questo gli faceva male, si voltava spesso verso il fratello ma lui non lo guardava mai, parlava con ambasciatori e nobili assicurandosi che tutto fosse in ordine e parlava con lui solo in rarissimi casi. Alle volte pensava che Argo si vergognasse del fatto di essere suo fratello. Spesso Monaldo era triste durante i banchetti ma ostentava un sorriso raggiante che ogni tanto era pure vero e genuino, soprattutto quando arrivava il dolce, ma più spesso era solo una maschera.

                -Mio re- lo chiamò Argo ad un certo punto del pranzo, inginocchiandosi affianco alla sua sedia. Si sentiva così spesso chiamare “mio re”, “sire”, “maestà” in queste occasioni che non faceva neppure più caso al fatto che anche suo fratello lo chiamasse così

                -Dimmi Argo- gli rispose Monaldo appoggiando le posate e intrecciando le mani sullo stomaco per concentrarsi completamente sulle parole dell’altro

                -C’è una persona che desidera ardentemente parlarvi- lo informò il fratello

                -Lascia che venga, non ho mai negato a nessuno di parlarmi, se ne avevo il tempo… - Argo annuì e si rialzò ma Monaldo lo fermò prendendogli una mano –Cos’hai?- gli chiese, aveva visto uno strano sguardo su di lui, uno sguardo preoccupato e teso come non gli capitava da tempo di vedere

                -Nulla, mio re, vado a dire che avete accettato di parlare al vostro ospite- Monaldo gli lasciò la mano e si mosse agitatamente sulla sedia, non capiva il perché di quello sguardo sul viso del fratello. Forse non era nulla, oppure era una di quelle cose di cui si doveva seriamente preoccupare. Argo tornò presto accompagnando un uomo basso e tozzo, ma non grasso, con i capelli bianchi e lunghi, una barba curata e lunga, vestito elegantemente. Era quasi un nobile, lo capiva dai begli anelli che portava alle dita, le pietre che vi erano incastonate brillavano così intensamente da non poter essere dei falsi, e le vesti erano lavorate con maestria. Era un nobile e l’aveva anche già conosciuto in passato, anche se non ricordava il suo nome, ma non capiva che cosa ci fosse di così importante da discutere e da preoccupare Argo

                -Sire- lo salutò il nobile inginocchiandosi a lui

                -Salute a voi, nobile signore- gli rispose Monaldo voltando la sedia per poterlo guardare e allo stesso tempo rimanere seduto comodamente –di cosa desideravate parlarmi?-

                -Una cosa molto importante, sire- gli rispose quello con un sorriso appena accennato sulle labbra –però temo che vostro fratello potrebbe volerci interrompere- Monaldo guardò il fratello che stava dritto e impassibile a guardarli

                -Argo non ci interromperà- sentenziò il giovane re –quindi parla, ora!- il nobile si mosse agitatamente guardando di sottecchi il fratello del re che continuava ad essere impassibile quanto una statua di granito

                -Sire, temo che quello che ho da dirvi non vi piacerà…  - gli disse il nobile

                -Ci sono molte cose che non mi piacciono ma le ascolto lo stesso, quindi parla!- iniziava a spazientirsi, il nobile annuì e iniziò a spiegare molto cautamente, soppesando attentamente ogni parola che usciva dalla sua bocca

                -Sire, sono settimane ormai che le mie spie mi portano notizia che molti nobili tramano alle vostre spalle per spodestarvi, compresi molti dei vostri cugini e molti degli invitati a questa festa… -

                -Ne sono a conoscenza- gli rispose pacatamente il re –anche le mie spie me ne hanno riferito e ho preso i miei provvedimenti, non dovete preoccuparvi della mia sicurezza, sono ben protetto, le avete notate quelle guardie nascoste dietro le colonne? E quelle a tutte le entrate e le uscite? E dovete sapere che i miei camerieri sono stati addestrati a proteggermi e nelle cucine ci sono guardie in borghese che controllano la preparazione di ogni mio cibo… non sono uno sprovveduto, mio nobile signore, so come proteggermi da quelle serpi che vogliono la mia corona!- il nobile annuì e si morse le labbra, come per decidere se parlare o meno –C’è qualcos’altro?- gli chiese Monaldo. E ora temeva quello che avrebbe potuto dirgli quel nobile perché non sembrava avergli detto ancora quello di cui voleva metterlo al corrente, e temeva che sarebbe stata una cosa molto brutta

                -Mio signore, so che voi siete intelligente e sapete come difendervi ma spesso le minacce più grandi arrivano da dove meno ce lo aspettiamo… - si morse le labbra nervosamente e continuò –mio re, voglio solo farvi capire che non è dei vostri cugini o degli altri nobili che dovreste davvero preoccuparvi, ci sono serpi ben più infide da cui dovreste guardarvi in questo momento, serpi che aspirano ad indossare la vostra corona e che vi pugnaleranno alle spalle per strapparvela, e la ferita che vi infliggeranno sarà molto più dolorosa di quella che una qualsiasi arma vi potrebbe procurare, sarà una ferita al vostro orgoglio ma soprattutto spezzerà la completa fiducia che riponete nella persona che vi farà del male… -

                -Voi parlate per enigmi- gli rispose Monaldo –ditemi di chi mi devo preoccupare perché possa prendere provvedimenti-

                -Non posso mio re- gli rispose il nobile con un espressione tormentata in volto

                -Perché?- gli chiese l’altro stupito

                -Perché non vi piacerà sapere di chi sto parlando e perché temo che una volta che avrò detto quel nome mi ucciderete-

                -Cosa?- perplesso e sorpreso, il giovane re guardò senza capire il nobile. Non aveva mai ucciso una persona alla leggera, per Monaldo ogni vita era preziosa e spesso non si sentiva in diritto di toglierla. Ed era risaputo in tutto il regno e in quelli vicini che non aveva mai fatto del male a nessuno che non lo meritasse. Quindi non capiva lo sguardo preoccupato, spaventato, che gli stava rivolgendo quel nobiluomo

                -Mio re- si intromise Argo inginocchiandosi di fronte a lui, al fianco del nobile che sobbalzò di sorpresa –è di me che sta palando il vostro ospite- gli disse senza alzare lo sguardo da terra

                -Di te?- chiese il re confuso –ma… - la testa gli girava, aveva il vomito e non riusciva a capire perché Argo gli stesse dicendo quelle cose. Erano fratelli, lui non gli avrebbe mai fatto del male. Si voltò verso il nobile e lo costrinse a guardarlo negli occhi –è da Argo che mi volevate mettere in guardia?- gli chiese e l’altro tremò sotto il suo sguardo

                -Si, mio signore- ammise il nobile tremando. Il giovane re li guardò entrambi: il nobile che tremava nell’incertezza della sua fine e Argo che aspettava ad occhi chiusi la propria condanna. Monaldo respirò lentamente per liberare la mente da sentimenti e cattivi pensieri, per ragionare freddamente, per capire qual’era la verità. Chiuse gli occhi e sfoderò il pugnale che teneva sempre alla cintola e se lo rigirò per un attimo fra le mani. Guardò entrambi gli uomini davanti a sé, guardò i loro occhi, quelli impauriti del nobile e quelli seri di Argo e si alzò in piedi tenendo saldamente il coltello in mano. SI guardò attorno e si accorse che gli occhi di tutta la sala erano puntati su di lui

                -Che prove avete?- chiese il giovane al nobile che lo guardò sorpreso

                -Prove?- chiese come se quella parola non rientrasse nel suo vocabolario

                -Si, prove! Fatti o azioni che vi hanno spinto a pensare che mio fratello mi possa voler tradire-

                -Non… - cercò di dire il nobile, tremava e sudava vistosamente

                -Allora?- lo incitò il giovane

                -Non ci sono prove, mio re, semplicemente è quello che mi hanno riferito le mie spie-

                -E le vostre spie dove hanno preso questa notizia?-

                -Non… non lo so, mio re- il nobile tremò ancora più forte –mio signore, vi prego, credete alle mie parole! Io vi sono fedele, perché avrei dovuto dirvi queste cose anche se sapevo di poterne morire? Io vi amo, mio signore, e voglio solo che sappiate e siate pronto in caso… -

-In quale caso?- gli chiese Monaldo appoggiando la lama del pugnale sulla guancia del nobile –ditemelo!- ordinò e l’uomo tremò ancora più forte nel vedere lo sguardo duro che il ragazzo gli rivolgeva –voglio sentirvelo dire, ditemi a cosa devo stare attento!-

-A che  vostro fratello vi tradisca- balbettò il nobile. Monaldo spostò il coltello dalla sua guancia e si voltò verso Argo. Il pavimento della sala si tinse in un istante del rosso scarlatto del sangue. Il coltello di Monaldo si macchiò per la prima volta di quella linfa calda e i suoi abiti se ne sporcarono quasi completamente, persino sul suo viso me arrivarono alcune gocce. Aveva trapassato la giugulare con un unico colpo, e il pugnale era entrato e uscito dalla carne tenera del collo senza sforzi o strattoni. Argo era restato ad occhi aperti senza capire quello che era successo e il suo viso si era irreparabilmente macchiato di sangue, come i suoi vestiti e i suo capelli dorati. Era la prima volta dopo molto tempo che Monaldo lo vedeva esprimere qualcosa di diverso dalla solita maschera seria e imperturbabile e pensò che era davvero assurdo che servisse la morte per smuoverlo ma ora non aveva più importanza. Rinfoderò il pugnale e si guardò le mani sporche di sangue

-Devo andarmi a lavare- disse in un sussurro, scavalcò il cadavere e aggiunse –Argo occupati tu di dire ai servi di rimettere in ordine, io torno fra poco- e mentre Monaldo usciva dalla stanza suo fratello si rimetteva in piedi, fissando stupito quello che l’altro aveva fatto al nobile, il modo perfetto e letale con cui aveva ucciso anche se era la sua prima volta. Si toccò la guancia e le sue dita si tinsero di rosso, le fissò solo per un istante, prima di ritornare finalmente padrone di sé stesso e ordinare ai servi di ripulire il tavolo del re e di portare via il cadavere del nobile. Poi si voltò verso i commensali e li esortò a ritornare a mangiare. Sarebbe stato suo dovere rimanere a controllare gli ospiti ma invece andò a cercare Monaldo e lo trovò nella sua camera a litigare con i laccetti della camicia e con gli occhi pieni di lacrime

-Non riesco a slacciarli- piagnucolò e Argo gli scostò gentilmente le mani per aiutarlo. Lo svestì, gli ripulì il viso con un panno bagnato e lo rivestì. Tutto in completo silenzio. Monaldo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singhiozzo ma per il resto rimase completamente silenzioso e quando fu pronto per tornare al ricevimento anche le lacrime avevano smesso di scendere dalle sue guance –Devi cambiarti anche tu Argo- disse al fratello mentre lasciavano la stanza da letto

-Si mio re- gli rispose l’altro e Monaldo non ebbe neppure la forza di arrabbiarsi o rattristarsi per il fatto che per l’ennesima volta l’aveva chiamato “mio re”.

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Capitolo 4
*** Combattimento ***


Combattimento

Alla luce del primo mattino la spada di Monaldo splendeva come fosse fatta di pura luce. Mentre il giovane re la affilava lanciava tante piccole scintille per terra, sul pavimento grigio e regolare del suo campo di addestramento protetto. Era un semplice terrazzo con vista sul villaggio, c’era una balconata ricoperta quasi totalmente da edera verde sgargiante e ai lati della terrazza c’erano piantati anche due alberi secolari. All’inizio, quando il castello era stato costruito, non erano altro che due piccoli arbusti buoni neppure a  fare ombra alle dame nei pomeriggi assolati. Ora invece erano grandi e le loro radici avevano spaccato anche la pietra in alcuni punti. Ma il terrazzo era solido e non c’era pericolo che potesse crollare, non nell’immediato futuro per lo meno. Non c’era nient’altro su quel balcone, tranne i due alberi, Monaldo e la sua spada. Non c’era neppure l’insegnate di scherma perché malato e si stava ancora cercando un sostituto. Così il giovane re ora aveva un po’ di tempo tutto per sé stesso. C’erano tanti pensieri nella sua testa, soprattutto riguardavano il nobile che aveva ucciso appena due giorni prima, ancora lo sognava la notte e si svegliava piangendo e tremando. Non aveva ragionato abbastanza lucidamente in quell’istante, sapeva di essere stato trasportato dalla rabbia, dal desiderio di vendicare l’onore di suo fratello e ora ne stava pagando le conseguenze con tremendi incubi, in cui si rivedeva più e più volte compiere lo stesso gesto letale. Vedeva come se tutto fosse rallentato ogni istante, come ogni millimetro della lama entrava nella carne della vittima e come, quando l’aveva estratta, aveva schizzato il sangue dappertutto, sporcando lui e tutto quello che si trovava attorno. E poi come il corpo, con una lentezza quasi esasperante, era caduto a terra producendo un tonfo attutito dai vestiti, e ancora il sangue usciva copioso dalla ferita. Ogni istante era impresso a fuoco nella sua memoria e lo sarebbe stato per sempre, per tutto il resto della sua esistenza. Il giorno dopo quel banchetto, quando aveva visto il suo coltello appeso alla sedia, dove era solito lasciarlo ogni sera prima di andare a letto, aveva avuto un attimo di tentennamento. Aveva paura a riprenderlo in mano, il ricordo di quello che aveva fatto era ancora così forte e vivido nella sua mente che temeva di doverlo rivivere ancora e ancora, all’infinito. Una paura sciocca e irrazionale. Alla fine, dopo essere stato quasi un quarto d’ora a fissare quell’arma l’aveva presa e se l’era appesa al fianco come tutti i giorni. Ma da allora era stato più consapevole di quella lama letale appesa al suo fianco sinistro, aveva assunto un significato diverso ed era come se avesse assorbito il sangue di quel nobile che aveva ucciso, perché ora gli sembrava incredibilmente più pesante. Era un vero sollievo poterla togliere alla sera o nei momenti più tranquilli, quelli in cui era sicuro non sarebbe stato attaccato. Come in quell’istante: il pugnale stava nella sua guaina appoggiato alla ringhiera dove il re stava appoggiato, alla distanza di un braccio. Era sempre un bene averlo a portata di mano, anche quando impugnava la sua spada. Le porte che collegavano il castello al terrazzo si aprirono e il giovane re scattò in piedi, pronto a ricevere un qualsiasi visitatore ma quasi subito si rilassò

-Mio re- lo salutò Argo facendolo irritare da subito –mi dispiace abbiate dovuto aspettare così tanto ma non siamo riusciti a trovarvi un maestro di scherma per questa mattina- gli annunciò e Monaldo sospirò sommessamente

-Va bene, fa lo stesso- gli disse mentre andava a prendere il fodero della spada –vorrà dire che andrò a sbrigare qualche altra faccenda… - sospirò un'altra volta. Gli piaceva combattere, gli piaceva la strana sensazione di libertà e agitazione mentale che provocava essere completamente assorbiti nel combattimento, era un divertente passatempo e l’aiutava a rimanere in forma. E poi presto ci sarebbe stato il palio e lui aveva bisogno di allenarsi

-Mio re- lo chiamò Argo con appena un accenno di tentennamento nella voce

-Dio, Argo! Smettila di chiamarmi “mio re”!- sbottò il ragazzo -Siamo solo noi due in questo momento, anche se mi chiami per nome nessuno lo verrà a sapere e a me di sicuro non da fastidio-

-Mi dispiace- gli rispose Argo abbassando gli occhi a terra –ma se volete poterei combattere io contro di voi- Monaldo si voltò stupito verso il fratello e lo guardò perplesso e sorpreso. Da quanto tempo era che non combattevano più? Prima della morte di loro padre lo facevano almeno una volta alla settimana e Monaldo era sempre quello che finiva battuto, ma da quando era diventato re suo fratello non aveva più accettato di combattere contro di lui, neppure quando l’aveva supplicato non aveva ceduto. E invece ora si offriva di fargli da avversario

-Dici sul serio?- gli chiese sorridendo radioso

-Se lo desiderate- gli rispose Argo con la sua solita freddezza e il fratello si lasciò sfuggire un urletto di felicità, ben poco regale. Era così tanto che non combatteva contro Argo, era così tanto che non faceva qualcosa con lui che non fosse litigare, era così tanto che non facevano insieme qualcosa da fratelli! Gli veniva quasi voglia di piangere dalla felicità

-Si, lo voglio- gli rispose e Argo si voltò, serio e imperturbabile quanto una statua di marmo, e si andò a posizionare al centro della terrazza, sfoderando la sua spada. Monaldo lo raggiunse, ancora sorridente e si preparò a combattere –Non ti trattenere, per favore- gli disse e Argo tentennò prima di annuire molto lentamente, come se non fosse molto sicuro che fosse una buona idea. Si toccarono con le spade appena un paio di volte, per iniziare. Colpi quasi lenti e neppure sferrati con molta forza, giusto per capire se ancora l’avversario reagiva nella stessa maniera di… quanto? Tre anni prima? Più o meno era quello il tempo che era passato da quando i due fratelli si erano confrontati in una battaglia e con lentezza e cautela ora riprendevano quella che prima era stata quasi una routine. In poco però i colpi divennero più forti e più veloci, sempre più spesso i due fratelli dovevano rotolare per schivare i fendenti dell’altro e in poco si ritrovarono a combattere entrambi al meglio delle loro abilità. Argo era forte, veloce e aveva l’esperienza dalla sua parte, Monaldo era altrettanto veloce, ma più agile e aveva riflessi più pronti. In maniere diverse entrambi erano forti e sapevano come mettere in difficoltà l’avversario. Monaldo ancora si ricordava molto bene che il fratello aveva la brutta abitudine di scoprirsi completamente in fianco destro quando caricava i colpi da sinistra e Argo si ricordava molto bene che il fratello quando voleva affondare con forza divaricava leggermente le gambe e portava indietro la sinistra e una volta schivato il suo affondo gli ci volevano alcuni istanti per rialzare la guardia. In quell’allenamento era come se il tempo si fosse fermato e anche se i due stavano sudando e quasi sentivano i loro cuori uscire dal petto non riuscivano, non volevano fermarsi. Eppure vennero interrotti proprio mentre le loro spade si incrociavano per l’ennesima volta un urlo di paura li distrasse. Monaldo si voltò per capire cos’era successo e Argo gli fece lo sgambetto, buttandolo a terra. Subito il giovane re si preparò a parare ma il fratello lo guardò sorpreso, come se trovasse strano esserlo riuscito davvero a buttare a terra, poi però una voce li fece voltare entrambi

-Argo ma che stai facendo?- la giovane donna gli venne in contro e gli prese la mano sinistra fra le sue –Stai bene? Ti sei fatto male?- gli chiese apprensiva osservando attentamente i vestiti sbrindellati qua e là, su cui però non c’era traccia alcuna di sangue

-Si, tutto apposto Ninime- gli rispose Argo con il fiatone –ci stavamo solo allenando- la donna lo guardò perplessa, non capiva come fosse possibile che un duello così accanito fosse solo un allenamento. La sua fronte liscia si aggrottò e gli occhi castani si fissarono su quelli di Argo. Poi si voltò ad osservare l’avversario e si portò una mano alle labbra per nascondere lo stupore, quando riconobbe Monaldo

-Sire- lo salutò con una piccola riverenza

-Buon giorno, mia signora- la salutò il re chinando appena la testa

-Mi dispiace di avervi interrotti- disse la ragazza sempre stringendo la mano di Argo –ma non avevo capito che vi stavate allenando-

-Non si preoccupi, va bene così… - gli rispose il re andando a rinfoderare la spada –anzi, mi ha fatto un favore, avevo ormai perso la cognizione del tempo! Adesso sono in ritardo per l’assemblea-

-Mi dispiace- disse Argo chinando la testa

-No, fratello, non è colpa tua- gli sorrise e si risistemò i capelli –comunque ora devo andare- salutò entrambi e senza aggiungere neppure una parola se ne andò.

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Capitolo 5
*** Pensieri ***


Pensieri

Quel giorno, durante l’assemblea, Monaldo non riuscì a restare molto attento. Nella sua testa passavano di continuo le immagini del combattimento contro Argo e gioia pura lo riempiva. Era felice che finalmente suo fratello avesse voluto condividere con lui qualcosa che non fossero documenti o fatti che riguardavano il regno. Si erano allenati insieme ed era stato come se non fosse mai passato neppure un giorno dall’ultima volta che l’avevano fatto. Ma poi era arrivata Ninime. Di solito Monaldo non aveva problemi con lei, era una bella ragazza, giovane, gentile e fedele ad Argo. Ma quel giorno avrebbe davvero tanto voluto che non fosse mai esistita, che Argo non l’avesse mai sposata. Ninime era una principessa di un regno piuttosto lontano, Argo l’aveva conosciuta durante un ricevimento molti anni prima e l’aveva sposata pochi mesi dopo, senza però il consenso del padre, che avrebbe voluto per lui qualcosa di più di quella principessina, bianca come il latte, piccola e gracile quanto un fuscello. Era bella, molto, con quei lunghi capelli neri e quegli occhi castani intensi, ma non era esattamente la donna ideale: era troppo gracile e non sarebbe mai riuscita a mettere al mondo figli degni di un re. Eppure Argo l’aveva sposata, l’amava ed era felice con lei, o per lo meno Monaldo lo pensava e lo sperava. Vedeva il fratello sorridere spesso quando pensava di non essere guardato, e i due si scambiavano spesso sguardi di un intensità strana, come se si potessero parlare senza parole. Ninime non era molto presente nella vita di corte mentre Argo se ne occupava molto, anche troppo alle volte, e quindi non li si vedeva molto spesso insieme. Ma quando erano nella stessa stanza lei diventava radiosa, bella quasi quanto la Dea, e Argo si rilassava visibilmente, lasciando che anche i suoi occhi e il suo viso perdessero quella rigidità che ostentava in continuazione. Ed era come rivedere una pagliuzza di quello che era stato l’Argo di un tempo. Monaldo alle volte era geloso di questi loro sguardi, del fatto che lui non riusciva a far riaffiorare l’Argo di un tempo mentre quella donna doveva solo farsi vedere per riuscirci. Si, era geloso di Ninime e ancora di più era geloso di suo fratello, di quel legame che aveva sempre dato per scontato e che ora non c’era più.

Alle volte si chiedeva cosa sarebbe potuto succedere se lui non fosse diventato re e, invece, come sarebbe stato normale, fosse stato incoronato Argo. Non aveva difficoltà a vederlo con la corona in testa, fiero e forte, pronto a difendere il suo regno da ogni male. E sarebbe bastato così poco perché quei suoi pensieri diventassero realtà. Se al tempo Argo non si fosse intestardito e non avesse sposato Ninime, se avesse aspettato la morte del vecchio re, allora in quel momento non ci sarebbe stato Monaldo seduto sul trono con la corona in testa ma ci sarebbe stato Argo. Era stata solo una ripicca quella di loro padre: aveva detto al maggiore di non sposare la principessa Ninime ma lui aveva voluto fare di testa propria e l’aveva fatto infuriare. Le nozze si erano svolte fra feste e canti, gioia e felicità. Il maschio primogenito della casata reale aveva finalmente trovato moglie! Tutto il regno era in festa ma il vecchio re no, lui era furioso e sul letto di morte, poco meno di 6 mesi dopo, aveva chiamato Monaldo, un uomo di chiesa e il suo medico personale perché potessero testimoniare che nel pieno delle sue facoltà mentali il re incoronava suo figlio minore, Monaldo, come nuovo re. Una settimana dopo, quando il vecchio re fu seppellito, si tenne un'altra cerimonia, più formale, e Monaldo venne incoronato di nuovo. Argo gli si presentò davanti quel giorno e lo guardò diritto negli occhi. Il ragazzo cercava nello sguardo del fratello qualcosa, una certezza, un aiuto, la forza per affrontare tutto quello che gli era ricaduto addosso ma Argo era impassibile, non disse nulla, non lo tranquillizzò, non gli diede conforto, non fece nulla per lui. Gli si inginocchiò davanti e sempre fissandolo negli occhi si tagliò i capelli. La debole protesta del nuovo re non valse a nulla, Argo gli consegnò i suoi lunghi e splendidi capelli in mano e Monaldo faticò parecchio a non piangere. Non voleva quello, non l’aveva mai voluto, non aveva neppure una volta pensato alla possibilità di diventare re, era così assurdo pensare che Argo non avrebbe indossato la corona! Eppure era successo. Tutto perché suo fratello non aveva avuto la pazienza di aspettare qualche mese per sposare Ninime. Spesso Monaldo nei momenti di grande incertezza e di paura guardava suo fratello e la sua sposa e li odiava, li odiava entrambi, con una forza tale da spaventarlo. Perché era colpa loro che, come due ragazzini, si erano lasciati prendere dal loro amore e non avevano saputo aspettare un momento più propizio per unirsi e ora sulle spalle di Monaldo pesavano tutti i problemi del regno e non aveva più una vera famiglia a cui appoggiarsi. Si sentiva solo e spaventato, con nessuno a consolarlo. E allora tutto il suo amore per suo fratello e tutta la simpatia che provava per la sua sposa si tramutavano in un odio puro e denso, che gli stringeva il cuore in una morsa oscura di cui spesso era difficile liberarsi.

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Capitolo 6
*** Gare ***


Gare

Una giornata leggermente nuvolosa era quella in cui cominciava il palio. Sfilavano davanti al re le otto contrade della città: la contrada dell’Aquila bianca, la contrada dell’Idra, la contrada del Paraduro, quella della Lince bendata, la contrada dell’Aquila sulla ruota, quella della granata svampante, quella dell’unicorno e quella dell’anello episcopale. Ogni gonfaloniere portava i colori delle contrade e lo seguivano gli armati, gli sbandieratori, i musici e poi tutti gli altri appartenenti alla contrada. Monaldo sorrideva e i suoi occhi erano luminosi per l’eccitazione, era già stanco di vedere la sfilata e desiderava che presto iniziassero le gare. Riconosceva già fra i vari sbandieratori i solisti più bravi, quelli che ogni anno si contendevano il palio nelle gare di singolo, le più belle insieme alla grande squadra, in cui una decina di sbandieratori si muovevano all’unisono sulla piazza. Vederli era sempre un emozione forte, unica, che ogni anno si ripeteva e ogni anno era differente. I gonfalonieri lo salutarono e gli enunciarono i nomi dei campioni di quell’anno. Tutto stava durando anche troppo, oramai il giovane re doveva ficcarsi le unghie nei palmi delle mani per imporsi di stare calmo e non iniziare a saltellare come un pazzo sul suo trono. E poi finalmente cominciarono, i tamburi della prima contrada iniziarono a battere il tempo e i rullanti scandirono le battute mentre il primo singolista scendeva nella piazza fra gli squilli delle chiarine. La sua bandiera fendeva l’aria e lui la lanciava alta riprendendola e muovendola egregiamente. Poi le bandiere divennero due, poi tre e poi quattro e ancora lo sbandieratore le muoveva e le lanciava in aria riprendendole e muovendole anche grazie alle gambe, mentre i tamburi e i rullanti scandivano il tempo dei suoi movimenti e dei suoi lanci. E poi la quinta bandiera gli venne lanciata e ancora lo sbandieratore si muoveva come se non se ne accorgesse. Le aveva sentite in mano Monaldo quelle bandiere, e pesavano, tanto. Eppure l’uomo si muoveva e lanciava le sue bandiere bianche e nere senza dimostrare alcuna fatica e riprendendole con precisione. Cinque bandiere, le mosse per un tempo quasi troppo corto eppure quando completò il numero inginocchiandosi e rendendo onore al re la folla esplose in un boato di applausi e grida e perfino Monaldo si lasciò andare battendo le mani forte e per molto tempo, sorridendo contento e con gli occhi che luccicavano. Lo sbandieratore e i musici della contrada dell’Aquila sulla ruota lasciarono il posto alla contrada dell’Idra e poi dopo di loro tutte le altre. E la giornata passò veloce e le gare si susseguivano. Si esibirono i singoli di tutte le contrade e poi anche la piccola squadra, composta da al massimo 5 o 6 sbandieratori. La sera scese e non si riuscì a continuare e il re fu costretto a tornare al castello, anche se desiderava che quella magnifica festa continuasse anche per tutta la notte ma con l’oscurità era impossibile vedere chiaramente le bandire e se non voleva che qualcuno si facesse male, doveva aspettare il giorno seguente per vedere le ultime due gare di bandiere

-Mio re- lo chiamò Argo venendogli incontro e distogliendolo dai suoi pensieri e dai suoi sogni ad occhi aperti

-Si?- chiese sorridendo e il fratello lo guardò per un attimo senza dire nulla facendo appassire leggermente il sorriso sul volto del giovane, che già temeva il peggio

-Nulla, perdonatemi per il disturbo- Monaldo lo guardò perplesso mentre si allontanava.

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Capitolo 7
*** Tempesta ***


Tempesta

Il giovane re si distese a letto molto presto quella sera ma ci mise un po’ ad addormentarsi, era ancora troppo eccitato per aspettare tranquillo il giorno successivo. La notte era scura e tranquilla, molto tranquilla. Ma ad un certo punto, quando ormai il giovane re si era praticamente assopito, qualcosa lo ridestò di colpo, facendolo sobbalzare sul suo letto. Una luce intensa appena fuori dalla finestra e poco dopo quel suono cupo e basso che poteva essere prodotto solo da una frana o da un tuono vicino, troppo vicino. Il giovane re si nascose sotto le coperte e chiuse forte gli occhi, tappandosi le orecchie con il cuscino. Si soffocava lì sotto, faceva caldo e non c’era quasi aria, ma era molto meglio che restare fuori da quel bozzolo dove la tempesta aveva iniziato ad infuriare, sferzando di pioggia le finestre della sua camera, mentre i fulmini illuminavano a giorno la stanza solo per un istante, per poi farla ricadere nella più completa oscurità mentre quel rumore, così forte, così brutto e assordante gli riempiva le orecchie facendolo sobbalzare ogni volta. Monaldo aveva paura dei tuoni e della tempesta, ne aveva sempre avuta, non poteva sopportare quel rumore terrificante e ogni volta rimaneva pietrificato dall’orrore. Quando era ancora piccolo sua madre veniva a cullarlo ma quando era morta non era più arrivato nessuno a consolarlo. Il re non era quel tipo di padre, probabilmente non aveva neppure mai saputo di questa sua fobia. Argo invece era venuto poco dopo la morte della regina, solo un paio di volte ma alla fine anche lui aveva smesso, anche lui non era quel tipo di fratello. Così ora si preannunciava una lunga, lunghissima nottata per il giovane re: stretto al suo cuscino, arrotolato dentro le coperte con il viso affondato nel cuscino per zittire i singhiozzi e gli urletti di puro terrore che gli uscivano di bocca ogni volta che un tuono cadeva. Fortunatamente era passato il periodo in cui se la faceva anche a letto ma ancora non aveva il coraggio di uscire dal bozzolo sicuro fra le coperte durante la tempesta, sarebbe stato davvero un brutto colpo se il suo popolo avesse saputo che il loro re se la faceva addosso ogni volta che cadevano due gocce d’acqua! E per fortuna che i suoi servi erano molto discreti sul fatto che ogni tanto lo sentissero piangere la notte di tempesta. Solitamente non entravano neppure nella sua camera in quelle notti. Così quando Monaldo sentì la porta della sua camera aprirsi e chiudersi in un leggero tonfo trovò il coraggio di guardare chi era entrato e per un attimo non sentì nulla attorno a sé, né lampi, né tuoni, né la pioggia che impetuosa batteva le sue terre. C’erano solo lui e il suo visitatore notturno: Argo, l’ultima persona al mondo che si sarebbe aspettato di vedere in quel momento

-Che ci fai qui?- gli chiese perplesso e suo fratello si guardò attorno lasciando trasparire il suo disagio

-Volevo solo vedere come stavate, mio re- ammise sempre più a disagio. Monaldo si strinse al cuscino

-Sto bene- mentì e, come per punizione, un tuono rimbombò potente proprio in quell’istante facendogli sfuggire un urlo, prontamente attutito dal cuscino

-Mio re- Argo si era avvicinato al suo letto e aveva appoggiato una gamba su di esso per poter arrivare a toccare il fratello, gli sfiorò appena una spalla e Monaldo lo guardò sorpreso, non l’aveva più toccato da quando era stato incoronato da loro padre. Con le lacrime agli occhi gli si lanciò fra le braccia ma questa volta il suo era un pianto di felicità e sollievo, di sentirsi abbracciare dopo tanto tempo, anche se molto goffamente, dal proprio fratello e avere la sicurezza che almeno per una notte erano tornati fratelli o quasi.

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Capitolo 8
*** Orizzonte ***


Orizzonte

I giorni passavano lenti e tranquilli, anche il palio era finito. Il re Monaldo aveva vinto un paio di gare di scherma e si era divertito. Argo dopo quella notte di tempesta era tornato lo stesso, freddo e duro come sempre e continuava ostinatamente a chiamarlo “mio re”. Eppure il giovane non era mai stato più felice che in quei giorni: tutto sembrava andare per il meglio, suo fratello si era dimostrato gentile con lui, tenendogli compagnia per l’intera notte di tempesta e il raccolto appena cominciato sembrare stare dando buoni frutti. Ma all’orizzonte non c’era altrettanta serenità.

In un giorno cominciato come tanti altri arrivò al regno un viandante, un uomo vecchio, sporco, ferito e denutrito. Chiedeva insistentemente udienza al re Monaldo che alla fine dovette accettare. Il vecchio gli disse di essere un superstite di un villaggio del regno vicino e di essere scappato per un puro colpo di fortuna. Il suo villaggio era stato attaccato da un grande esercito che aveva ucciso tutti gli abitanti e che si stava dirigendo al castello del re Enastase. Monaldo gli chiese perché non avesse avvertito il re Enastase e invece fosse venuto da lui. Il vecchio gli rispose che l’esercito che aveva attaccato il suo villaggio era troppo grande anche per le immense guarnigioni di re Enastase e che in aggiunta era capitanato da uno dei cugini di Monaldo, Franmeo. Il suo obbiettivo poi, non era affatto il regno di re Enastase, di cui ne voleva derubare soltanto le armi belliche da assedio, il suo vero obbiettivo era il regno di Monaldo

-Come fai a sapere queste cose, vecchio?- gli chiese con cattiveria Argo e il fratello gli scoccò un occhiata torva, era inutile prendersela con quel povero vecchio

-Rispondi alla domanda- gli ordinò gentilmente il giovane re

-Ho sentito i soldati parlarne e visto che il mio regno era ormai spacciato ho pensato di correre ad avvertirvi, ho sentito tante cose meravigliose sui vostri possedimenti e non volevo che un posto così bello venisse distrutto e ridotto in cenere come il mio villaggio, come la mia famiglia… - gli occhi del vecchio si oscurarono e si velarono di lacrime mentre ricordava immagini tremende del suo villaggio distrutto e delle sue figlie stuprate e aperte a metà da quei cani bastardi

-Ti ringrazio- gli disse Monaldo –grazie per averci avvertiti di questo pericolo, per i tuoi servigi ti offro di rimanere al mio castello tutto il tempo che desideri- il vecchio lo ringraziò più volte e si prostrò ai suoi piedi. Quando se ne fu andato Monaldo fece chiamare le sue spie e gli chiese spiegazioni sul fatto che non erano state loro le prime ad informarlo di questo pericolo

-Non abbiamo trovato prove del fatto che vostro cugino Franmeo vi volesse attaccare, secondo le nostre informazioni era interessato solo al regno di re Enastase-

-Allora controllate se quel vecchio dice il vero- ordinò Monaldo serissimo –se mio cugino pensa di potermi attaccare e sopravvivere capirà presto che sbaglia di grosso! E ora andate, siate i miei occhi e le mie orecchie nel mio regno e in quelli dei miei vicini!- le sue spie si inchinarono e sparirono nell’ombra. Monaldo chiuse gli occhi e lasciò che le emozioni fluissero da lui, per concentrarsi e calmarsi

-Mio re?- gli chiese Argo ad un certo punto, per ridestarlo dai suoi pensieri, probabilmente era passato molto tempo, anche se il ragazzo non se ne era quasi accorto

-Vedo all’orizzonte i fuochi di guerra- gli disse e Argo annuì gravemente –Cavalcherai al mio fianco, fratello?- gli chiese Monaldo guardandolo con occhi da adulto

-Ora e per sempre- gli rispose Argo inchinandosi.

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Capitolo 9
*** Partenza ***


Partenza

Le spie di Monaldo scoprirono in un solo giorno che quello che il vecchio sopravvissuto aveva detto era tutta la verità. Franmeo si preparava a muovere guerra a Monaldo, aveva da poco conquistato il regno di Enastase e aveva ucciso lo stesso re. Ora si muoveva per raggiungere il regno del cugino e attaccarlo di sorpresa. Ma il giovane re aveva già fatto preparare il suo esercito che in confronto a quello del cugino era inferiore di numero di quasi uno a due ma le spie gli avevano assicurato che i loro soldati erano ben superiori in quanto a preparazione e armamento, gli uomini di Franmeo erano per lo più contadini addestrati sul campo e le corazze e le armi che avevano rubato a re Enastase non erano bastate ad equipaggiare tutti i loro uomini. Il risultato del conflitto non era ancora certo.

Monaldo aveva deciso di scendere in battaglia con i suoi uomini. Non era il suo battesimo di fuoco ma era la prima volta che doveva combattere da generale ed era incerto e impaurito. Era qualcosa a cui non era mai andato incontro, sapeva combattere molto bene, al pari di molti uomini più vecchi di lui ma non sapeva se era in grado di guidare una campagna di guerra e vincere. I peggiori dubbi lo assalivano e ogni notte la passava insonne. L’unica sua consolazione era Argo, che lo sosteneva, anche solo con uno sguardo, sapeva riscaldarlo, infondergli forza e spronarlo ad andare avanti. In poche settimane l’esercito fu pronto a mettersi in marcia per andare ad affrontare Franmeo. I soldati di Monaldo guardavano il loro re fiduciosi e pieni di speranza, erano pronti a dare la vita per lui, per difendere il suo regno di pace con le loro armi. Monaldo non poteva che essere loro grato. Stavano abbandonando le loro famiglie per un futuro incerto e lo facevano con un sorriso. Perché confidavano nel loro re, che lui li avrebbe condotti alla vittoria. Argo era più serio del solito e il giorno della partenza prese il fratello da parte

-Mio re… - iniziò –c’è una cosa che tento di dirvi da molti mesi ormai- Monaldo lo guardò perplesso e lo incitò a continuare –Ninime è incinta- gli annunciò

-Ma è fantastico!- disse entusiasta il giovane re sorprendendo il fratello

-Dite sul serio?-

-Si certo! Era ora che almeno uno di noi due mettesse al mondo un discendente, temevo di dover essere io il primo, a sedici anni! Sai che schifo sposarsi a quest’età! E invece, grazie al cielo, ti sei deciso a fare un erede! Non sai quanto mi hai reso felice!-

-Aspettate! Cosa volete dire?- gli chiese Argo perplesso

-Che se in questa campagna dovessimo morire entrambi almeno ci sarebbe un erede! Anzi, adesso che ci penso forse tu dovresti rimanere qui con Ninime per aiutarla e per tenere insieme il regno mentre sono via… -

-State scherzando vero?- chi chiese sempre più stupito

-Certo che no! Io non ho figli, anzi, non mi sono neppure sposato, ed è normale che se morissi la corona andrebbe a te o a tuo figlio… -

-Non dire così!- gli urlò contro infuriato Argo –tu non morirai!-

-In guerra è molto facile- ribatté il fratello

-No! Non permetterò che tu muoia!- e dopo quest’ultimo sfogo se ne andò quasi correndo, senza lasciare a Monaldo la possibilità di rispondergli. L’aveva fatto infuriare, come mai prima di allora, e non capiva il perché. Era normale per il giovane re preoccuparsi del regno e Argo sarebbe stato un re perfetto, anzi, era lui il re di diritto di quelle terre. Non capiva perché si fosse tanto arrabbiato all’idea di ricevere la corona che gli spettava per nascita. Era normale che un giorno o l’altro Monaldo sarebbe morto, i loro cugini sarebbero presto arrivati come sciacalli sul loro regno per conquistarlo. Vedevano nel giovane re una preda facile e lui pensava che fosse stato un miracolo già il fatto che non l’avessero attaccato il giorno esatto della sua incoronazione ma avessero aspettato addirittura degli anni. Franmeo sarebbe stato il primo ma non l’ultimo. Ed era un bene che Argo avesse messo incinta Ninime, almeno la corona avrebbe avuto un'altra testa su cui posarsi prima di cadere nelle mani avide di qualche altro re meno degno di portarla.

Quel giorno stesso l’esercito si mise in marcia per andare incontro a Franmeo e bloccarlo prima che questo potesse raggiungere le porte della città. Monaldo cavalcava alla testa del gruppo, affiancato dalla sua guardia d’elitè e seguiva il suo esercito. Il popolo, ai lati della strada lanciava loro fiori e petali augurando ai guerrieri buona fortuna e di tornare presto a casa. Il giovane re pregò la Dea perché proteggesse il suo regno mentre lui era lontano e che proteggesse ognuno dei suoi uomini dalla morte, dalla sofferenza e dal lutto. Sapeva che in molti sarebbero morti ma sperò che il loro sacrificio non sarebbe stato vano

-Perché non mi avete aspettato, mio re?- gli chiese Argo affiancandolo

-Che ci fai qui?- gli chiese perplesso il re

-Ve l’ho promesso: cavalcherò al vostro fianco ora e per sempre-

-Ma Ninime… ?- cercò di dire Monaldo

-È una donna forte, ce la farà anche senza di me-

-Ma… - tentò di dire ancora il re

-Niente ma! Il mio posto è al vostro fianco mio re! E lo sarà per sempre- Monaldo si morse le labbra e riprese a cavalcare diritto e fiero. Nel suo animo si agitavano due emozioni molto contrastanti: da una parte era sollevato che Argo lo accompagnasse, con lui nei paraggi a sostenerlo si sentiva più sicuro ma dall’altra parte si sentiva in colpa per averlo portato via dalla sua sposa e per non essere abbastanza forte da ordinargli di tornare indietro al castello.

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Capitolo 10
*** Guerra ***


Guerra

Attaccarono Franmeo a sorpresa: lui voleva arrivare alle mura della città senza dichiarare guerra e loro l’avevano fermato molto prima. In una depressione avevano accerchiato il suo esercito e gli avevano scaraventato addosso una valanga. Monaldo aveva ascoltato quel suono così orribile con una certa soddisfazione, senza neppure un briciolo di paura. Avevano poi attaccato con gli arcieri e solo a quel punto erano scesi fra le file nemiche: dai lati più alti della depressione erano scesi i fanti e i lancieri mentre dall’imbocco della depressione e dalle sue uniche due uscite erano arrivati i carri da guerra e la cavalleria. Monaldo guidava i cavalieri all’imbocco della depressione mentre Argo aveva il comando di tutto il lato destro della fanteria. Fu una lunga battaglia, il sangue inzuppò il terreno verde e le urla dei morti e dei feriti si levarono alte. Gli uomini di Franmeo ebbero in poco la peggio ma si ostinarono a combattere fino all’ultimo, portando all’altro mondo con loro anche molti degli uomini di Monaldo ma quando il giovane re uccise suo cugino i soldati iniziarono a disperdersi e arrendersi. Una serpe privata della testa muore. Argo e il fratello si scambiarono un sorriso da sotto gli elmi che coprivano i loro volti e il re alzò la spada al cielo urlando di felicità per la vittoria conquistata con il sangue il sudore. Monaldo diede ordine ai suoi uomini di non uccidere i sopravvissuti e diede a quegli uomini, che poco prima aveva combattuto, la possibilità di diventare suoi sudditi, di vivere nel suo regno come cittadini liberi oppure di tornare a casa. Molti se ne andarono in fretta mentre altri decisero di seguire il giovane re. La battaglia era conclusa e mentre tutti si preparavano ad accamparsi per la notte e festeggiare accadde qualcosa di orribile. Il re smontò da cavallo e andò da suo fratello per congratularsi della vittoria e dell’egregio lavoro che aveva fatto nel comandare il suo drappello di uomini ma non ci riuscì. Si bloccò a metà di un passo e si guardò stupito alle spalle. Uno degli uomini di Franmeo stava alzando su di lui il coltello, un'altra volta, per colpirlo ancora ma una freccia lo raggiunse in pieno volto prima che potesse colpire nuovamente il re. Monaldo barcollò, sentiva uno strano calore sulla schiena, poco sopra le reni, ci portò una mano già insanguinata e non capì se stava sanguinando lui o era solo sporco. Non si accorse di essere finito a terra finchè non vide davanti a sé il cielo e la faccia preoccupata di Argo che gli urlava qualcosa, ma non lo riusciva a sentire. Suo fratello aveva il viso così sporco di terra e sangue, ed era tutto sudato. Era nella condizione peggiore in cui l’avesse mai visto in vita sua eppure non gli era mai sembrato così bello come in quel momento. Perse i sensi e tutto divenne nero e freddo.

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Capitolo 11
*** Malattia ***


Malattia

Si svegliò in una tenda su un letto scomodo di paglia e coperto solo con un telo bianco e leggero eppure aveva caldo, tanto caldo, come se stesse bruciando fra le fiamme dell’inferno

-Mio re- si sentì chiamare e si accorse finalmente di Argo

-Non chiamarmi così- ribadì con voce roca e impastata

-Sai bene!- lo sentì dire sollevato

-Ho caldo-

-Hai la febbre alta ma ti riprenderai, stai tranquillo, andrà tutto bene!- si sentì toccare i capelli e rimase sorpreso allo scoprire che era stato Argo a farlo e che continuava, come se lo stesse accarezzando. Non l’aveva mai fatto ma era una bella sensazione

-Cosa mi è successo?- chiese il giovane re

-Uno dei generali di Franmeo, nostro cugino, ti ha pugnalato alle spalle dopo la battaglia, te lo ricordi?-

-Si- gli rispose debolmente Monaldo –doveva essere molto fedele a nostro cugino se anche dopo la sua morte ha cercato di uccidermi-

-Si, lo era- ammise Argo per poi sorridere –ma fortunatamente non è riuscito nel suo intento, sei ancora vivo e presto ti riprenderai!-

-Fratello… - lo chiamò il ragazzo –dimmi la verità: come sto?-

-Ti riprenderai- lo rassicurò lui con convinzione, tolse la mano dai suoi capelli e la strinse forte a quella del fratello minore

-Mi stai mentendo vero?- gli chiese retorico –quasi non sento più che mi stai stringendo la mano, non sto bene quindi dimmi quali sono le mie condizioni reali- Argo guardò le loro mani strette insieme e poi guardò gli occhi resi lucidi dalla febbre del fratello

-La ferita è grave e la febbre è alta, il medico dice che potresti non sopravvivere neppure una settimana ma se la febbre si abbassa potresti avere una possibilità-

-E quante sono le probabilità che la febbre si abbassi?- gli chiese il ragazzo con un sospiro tremante

-Poche- ammise in un sussurro il fratello

-Vai a chiamare il medico- gli ordinò Monaldo e mentre l’altro si alzava aggiunse –e porta con te anche un sacerdote e i generali, ci sarà bisogno anche di loro-  Argo si bloccò di colpo mentre tentava di capire a cosa potessero servire anche i generali e quando lo capì si oppose con forza

-No! No, tu non morirai, mi hai capito? Tu non puoi morire!-

-Argo… - tentò di dire il ragazzo ma l’altro lo fermò

-No! Adesso stai zitto! Tu non capisci, non puoi morire, non è ancora ora, sei troppo giovane! Non hai neppure trovato la donna della tua vita, non puoi morire! Non te lo permetto! Ora devi guarire, non devi pensare al peggio, devi essere ottimista e concentrare tutte le tue energie per riuscire a rimetterti in sesto e tornare a governare come prima! Sei un re straordinario, se non vuoi farlo per te stesso fallo per il tuo popolo, loro hanno bisogno di te, della loro guida!-

-Tu sarai un re migliore-

-Cazzate! Sono tutte emerite cazzate! Hai risollevato il paese dalla miseria a cui l’aveva trascinato quel tiranno di nostro padre e il popolo ti ama! Io non potrò mai essere un re migliore, neppure in un milione di anni arriverei mai ad eguagliare la tua grandezza! Hai fatto quello che alcuni non riescono a fare neppure in un’intera vita! Ora devi rimetterti e tornare a poggiare quel tuo culo sul trono! Non ti puoi arrendere, non l’hai mai fatto! Nostro padre ti ha scelto proprio perché aveva visto in te il re dei re! Non puoi abbandonare il tuo popolo così presto, non puoi morire ora! Sei ancora un moccioso non puoi tirare le cuoia adesso! Non te lo permetterò! A costo di portarti indietro a piedi ti riporterò al tuo trono e tu continuerai ad essere re ancora per anni!-

-Argo smettila… - cercò di dire il ragazzo con le lacrime agli occhi

-No! Dannazione! Non accetterò di indossare la tua corona! Non sono io il re, sei tu! E non voglio neppure pensare che potresti morire, sei forte! Guarisci e non fare stronzate, non c’è bisogno che tu mi metta la corona in testa, quella rimarrà sulla tua testaccia dura per anni, io non la voglio!-

-Basta!- urlò Monaldo con quanto fiato gli riusciva e lo sforzo lo fece tossire parecchie volte. Uscirono alcune macchie di sangue che per un attimo lo terrorizzarono e allo stesso tempo lo resero ancora più sicuro di quello che voleva fare –Se sono il tuo re allora fai come ti ordino: vai e portami qui il medico, un prete e i miei generali, ora!-

-No… - tentò di opporsi Argo

-Mi disubbidisci?- gli chiese duramente il ragazzo –sono o non sono il tuo re?-

-Lo sei e lo sarai per sempre-

-Allora fai come ti ho detto e torna presto- Argo gli strinse la mano un ultima volta e, con le lacrime agli occhi uscì dalla tenda. Tornò accompagnato dalle persone che Monaldo gli aveva chiesto di convocare e tornò al suo capezzale –Prendi la mia corona- gli ordinò e il fratello strinse forte i pugni prima di ubbidire, la portò affianco al giovane re che ne percorse il semplice disegno con un dito –ora aiutami a sedermi- ordinò

-Sire non è una buona idea, le ferite… - tentò di farlo ragionare il medico

-Silenzio! Questo è un ordine!- il medico lo aiutò con molta delicatezza a mettersi seduto e lo sorresse tutto il tempo. Monaldo quasi svenne per il dolore ma non urlò e non si lamentò. Dopo un attimo allungò le mani verso il fratello e prese la corona –Inginocchiati davanti a me- gli ordinò e negli occhi di Argo riuscì a leggere tutto il tormento che quel comando gli provocava –spicciati, santo cielo! Prima la finiamo prima posso rimettermi disteso!- solo allora Argo gli si inginocchiò di fronte e lui –Nel pieno della mia santità mentale nomino te, mio fratello Argo, mio successore al trono- disse a voce alta e chiara - che le persone qui presenti possano confermare che la corona che ora poserò sulla tua testa te la cedo per diritto di nascita, che la Dea ti benedica e che le stelle rischiarino il tuo cammino! Proteggi il tuo popolo, amalo e lui ti ricambierà. È tutto quello che io ho imparato in questi anni e lo tramando a te, convinto che farai il bene del nostro popolo e del nostro regno- gli posò la corona in testa e Argo lo guardò con occhi pieni di lacrime

-Quando starai meglio te la ridarò- gli promise e Monaldo annuì tornando a stendersi

-Ora andatevene, voglio riposare- i generali e il sacerdote gli si inchinarono ed eseguirono, il medico si accertò che fosse tutto nella norma e poi se ne andò anche lui. Argo invece si tolse la corona e rimase al suo capezzale. Vi rimase per tutti i giorni che seguirono, tutte le volte che Monaldo si risvegliava lo trovava al suo fianco sempre più sciupato e provato, gli occhi gonfi di sonno e forse di lacrime, la barba incolta e lunga come non lo era mai stata. Gli ripeteva spesso di resistere, che sarebbe tutto passato e che presto sarebbero ritornati a casa cavalcando fianco a fianco. Gli prometteva che l’avrebbe portato in un bordello per prima cosa, appena tornati a casa, e poi si sarebbero presi tutto il tempo per trovargli una moglie bella e dolce. E gli parlava di come i loro figli sarebbero cresciuti insieme, belli e forti, e un giorno avrebbero ereditato il regno. Gli promise che non lo avrebbe mai più lasciato solo durante un temporale e che avrebbero ripreso ad allenarsi insieme ogni giorno. E gli promise altre cose futili e splendide allo stesso tempo. Tutto per cercare di infondergli coraggio e per convincerlo a guarire. Ma piano piano Monaldo si consumava, deperiva e si avvicinava sempre di più al punto di non ritorno

-Non morire- lo supplicava Argo –Ti prego- il fratello piangeva, sapeva che mancava poco, che non sarebbe guarito e non sarebbe mai tornato a casa vivo e ormai si era messo il cuore in pace. Argo ancora non riusciva a lasciarlo andare e stringeva forte la sua mano, anche se erano giorni che Monaldo non sentiva più quel tocco

-Fratello ti voglio bene- gli disse

-Lo so- gli rispose l’altro accarezzandogli i capelli e la fronte bollente

-Sarai un ottimo re, non ti preoccupare, non è così difficile! Ci sono riuscito pure io!-

-Non dire scemenze, guarirai e torneremo a casa insieme!-

-No, lo sai che ormai non c’è più nulla da fare- gli disse gentilmente il ragazzo –smettila di preoccuparti e vai avanti, io sono pronto ad andarmene-

-No!- urlò Argo –no fratello! Non puoi, mi hai capito? Non puoi andartene! E ora perché piangi?-

-Mi hai chiamato fratello!- gli rispose Monaldo fra i singhiozzi –non l’avevi più fatto da quando sono diventato re- piansero entrambi, senza più parole. Argo baciò la fronte al fratello e gli ripetè all’infinito che gli voleva bene e che non l’avrebbe mai dimenticato. Ora anche Argo vedeva che non c’era più nulla da fare, non voleva che il fratello morisse, non l’avrebbe mai voluto, ma non sapeva più che fare, non c’era medicina al mondo che potesse curarlo e l’unica cosa che rimaneva loro da fare era salutarsi. Potevano ritenersi fortunati, loro avevano potuto dirsi addio un’ultima volta mentre molte altre persone non ci erano mai riuscite. Ma in quel momento nessuno dei due si sentiva fortunato. Piangevano come bambini e non se ne vergognavano

-Devo confessarti una cosa fratello- gli disse Argo fra i vari singhiozzi –quel nobile non ti aveva mentito, io avevo tramato per rubarti la corona, ma non così! Non avrei mai voluto che tu morissi!-

-Lo so- gli rispose il ragazzo –lo sapevo da tempo, ancora prima di quel nobile… l’ho scoperto il giorno stesso che sei andato a parlare con il vecchio giudice per trovare con lui una legge che ti desse il diritto di diventare re-

-E perché non… ?- cercò di chiedergli Argo

-Perché sei mio fratello e sapevo che non mi avresti mai fatto del male-

-Ma una volta ci ho pensato! Ho pensato di ucciderti in quell’allenamento pochi mesi fa!-

-Ma non l’hai fatto- Argo non riuscì a rispondergli, trapassato da quel sorriso aperto e fiducioso che il fratello gli rivolgeva. Lo abbracciò e pianse. E quando Monaldo spirò Argo si lasciò andare ad urla di dolore atroci che risvegliarono l’intero accampamento. E tutti seppero che il re era morto.

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Capitolo 12
*** Pila di pietre ***


Pila di pietre

Era tradizione che il corpo di un re morto venisse seppellito senza che il popolo partecipasse ma Argo diede ordine che tutta la gente potesse assistere al funerale di Monaldo. Il corpo del giovane venne posato su degli scudi e portato a spalla dai suoi generali migliori fino al cimitero, mentre i soldati tenevano lontani i cittadini che tentavano di avvicinarsi alla salma per toccarlo o vederlo un’ultima volta. Il giovane re venne posato nella sua fossa ancora sopra gli scuri, che erano stati riempiti di petali per profumarlo e tenerlo comodo, come a simulare un letto. Fra le mani intrecciate al petto il giovane teneva stretta la sua spada e al fianco aveva il suo pugnale. Era stato vestito con il suo vestito più semplice e più bello e i suoi capelli si aprivano come un aureola fra i fiori. La sua corona era posata sulla testa di Argo che di tanto in tanto la sfiorava e si tratteneva a stento dal piangere. Come da tradizione, ogni cittadino libero poteva impilare un sasso sulla tomba del defunto per commemorarlo, come pegno del proprio affetto. Le pile di sassi di molti re non arrivavano all’altezza di un metro, invece sopra la tomba di Monaldo vennero impilate così tante rocce da formare una piccola montagna. Il popolo aveva amato il suo re e tutti lo piangevano e l’avrebbero pianto per molto tempo avvenire.

Quando, il giorno seguente il funerale, il nuovo re Argo si affacciò dal balcone per la prima volta, non furono molte le urla di giubilo, erano ancora tutti in lutto per la morte di Monaldo ma quando il nuovo re mostrò al popolo suo figlio tutti rimasero a bocca aperta

-Questo è il mio figlio primogenito- annunciò con voce forte e chiara Argo, anche se aveva le lacrime agli occhi -e il nome con cui lo chiamerete sarà Monaldo, in onore di suo zio, il re che tutti abbiamo amato, che amiamo e che ameremo per sempre - strinse al petto il bimbo in fasce e lo baciò sulla fronte –in tuo onore fratello- sussurrò –vorrei che l’avessi potuto vedere almeno una volta- ma il giovane re non avrebbe mai visto suo nipote e Argo tornò alla sua famiglia e al suo nuovo trono.

Fine

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Dedico questa storia a mio fratello (non è morto tranquilli!)

Ti posso bisfrattare, insultare, farti piangere e romperti le palle, ma solo io posso farlo. TVTB =)


Ed è anche in onore della mia contrada: Rione San Paolo di Ferrara. L'aquila sulla ruota per sempre!



            Se avete cinque minuti per lasciarmi un commento mi farete molto felice. Grazie a tutti bye!!!

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