King di bloodingeyes (/viewuser.php?uid=66367)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Regno lontano ***
Capitolo 2: *** Re e fratello ***
Capitolo 3: *** Notizie indesiderate ***
Capitolo 4: *** Combattimento ***
Capitolo 5: *** Pensieri ***
Capitolo 6: *** Gare ***
Capitolo 7: *** Tempesta ***
Capitolo 8: *** Orizzonte ***
Capitolo 9: *** Partenza ***
Capitolo 10: *** Guerra ***
Capitolo 11: *** Malattia ***
Capitolo 12: *** Pila di pietre ***
Capitolo 1 *** Regno lontano ***
Regno
lontano
Dolci colline
verdi su cui i fiori della prima primavera coloravano gentili le dolci
curve
del terreno. I campi coltivati dove il verde tenero dei raccolti
iniziava a
germogliare nel terreno brullo. Gli alberi che si riempivano dei fiori
bianchi
e rosati. E le case bianche, le vie piene di vita e di persone. Il
mercato. La
fontana della Dea, dalle cui mani sgorgava l’acqua fresca e
cristallina. E poi
il castello, dalle mura alte e imponenti, su cui svettavano gli araldi
bianchi
con il drago dorato dipinto sopra. Tutto era luminoso e tranquillo,
presto ci
sarebbe stato il palio e le strade si sarebbero riempite di persone in
festa,
tutti con addosso il loro vestito migliore. Tutti sarebbero accorsi per
vedere
quali delle otto contrade avrebbe vinto i palii quell’anno.
Ci sarebbero state
gare di bandiere, musiche, danze, giochi di fuoco, tornei per i
cavalieri e
bancarelle piene di dolci e giocattoli. E ci sarebbe stata
felicità, festa e
vita. Ma soprattutto, ci sarebbe stato il Re. Il popolo attendeva
l’arrivo
della primavera soprattutto per questo, per poter vedere lui, il Re
Monaldo.
Lui che aveva permesso la rinascita di quel piccolo regno, che aveva
portato la
pace in quelle terre, lui così bello e perfetto. Presenziava
alle gare delle
contrade e ogni anno partecipava alle gare fra i cavalieri, e il popolo
aveva l’ooportunità
di vederlo da vicino. Era forte e giusto, il re che ogni suddito
avrebbe
voluto. Eppure aveva solo 16 anni, era poco più che un
ragazzino ma alla morte
del padre aveva preso in mano le redini di un regno sull’orlo
della rovina e
l’aveva risanato. Le ingiustizie ora venivano punite, i
deboli erano difesi
dalla spada delle guardie e tutti erano felici. Ogni dubbio che si era
sollevato quando il vecchio re era morto lasciando il regno al figlio
minore si
erano quietate neppure due mesi dopo. Il popolo amava il suo nuovo re e
non
aveva importanza che fosse un ragazzino, faceva in modo che il paese
prosperasse e non si poteva chiedere un re migliore di lui.
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Capitolo 2 *** Re e fratello ***
Re
e fratello
Il
giovane re guardava la città fuori dalla finestra con un
accenno di sorriso
sulle labbra. Presto sarebbe iniziato il palio e lui lo adorava, gli
piacevano soprattutto
le gare di bandiere e non vedeva l’ora di potersi confrontare
anche quest’anno
con i principi dei regni vicini. Ma soprattutto non vedeva
l’ora di stare in
mezzo al suo popolo di vedere le loro espressioni felici, di sapere che
lo
amavano e che stavano bene. Per lui quella era l’unica cosa
importante. Non
desiderava l’oro, le ricchezze, il potere, o altre cose di
quel genere. Lui
desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva
che un re a cui manca questo
non è un re: è un tiranno. E lui non voleva
essere come suo padre, non voleva
affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri
regnati.
Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva
le guerre. Per ora la Dea lo
aveva graziato, dando inverni miti alle sue terre e estati tiepide,
Monaldo
ogni sera la pregava perché i raccolti fossero buoni e gli
animali non si
ammalassero. Molti altri regnanti lo prendevano in giro
perché le casse del suo
castello non straripavano d’oro ma a lui non importava,
vedeva i loro popoli,
la fame che pativano, la miseria in cui vivevano e vedeva
l’odio nei loro
occhi. Non avrebbe mai potuto accettare di vedere quell’odio
negli occhi della
sua gente, mai
-Mio
re, cosa fate alla finestra?- Monaldo sobbalzò spaventato e
si voltò verso chi
l’aveva chiamato
-Guardavo
i preparativi per il palio- rispose il giovane re sorridendo al nuovo
arrivato
–quest’anno sarà ancora più
grande, hai visto quante bancarelle che ci sono,
fratello?- l’altro rimase serissimo mentre il giovane gli
saltellava incontro
felice
-Mio
re, non dovreste stare davanti alla finestra, non va bene-
-Perché?-
chiese ingenuamente il re
-Ve
l’ho già spiegato mio re… -
sospirò l’altro
-E
perché continui a chiamarmi “mio re”?-
lo interruppe -Siamo fratelli, perché
non mi chiami con il mio nome?-
-Perché
siete il mio re e sono tenuto al rispetto- gli rispose l’altro
-Ma
sei mio fratello!- si imbronciò il ragazzo e
l’altro sospirò di nuovo inginocchiandosi
davanti a lui
-Voi
siete prima di tutto il re e il fatto che siamo fratelli non conta- gli
spiegò
per la milionesima volta e prima che il giovane potesse ribattere si
rimise in
piedi –ora dovete prepararvi mio re, c’è
un banchetto al quale dovete
presenziare fra meno di mezz’ora e siete ancora in camicia da
notte-
-Va
bene… - borbottò il ragazzo mettendo
però il broncio. Si tolse con un solo gesto
la camicia da notte e la buttò per terra –vado a
farmi il bagno-
-Vi
chiamo le vostre ancelle- disse il fratello mentre usciva dalla stanza
e Monaldo
riuscì appena a trattenersi dal fare strani versi, non gli
piaceva avere delle
ancelle, non gli piaceva che delle ragazze lo toccassero, e poi delle
volte il
suo corpo reagiva in modi strani, che non capiva e che non gli
piacevano. Ma
non poteva rifiutarsi, era normale per un re essere servito in ogni
cosa e suo
fratello si sarebbe molto arrabbiato se avesse mandato via le ragazze.
Argo
teneva molto alle tradizioni e il ragazzo non voleva farlo arrabbiare,
quindi
spesso anche se una cosa non gli piaceva la faceva lo stesso per non
vedere il
fratello arrabbiato con lui. Questo non valeva sulle faccende che
riguardavano
il popolo e il regno, lì suo fratello poteva anche
arrabbiarsi e non parlargli
per settimane ma la cosa importante era che il regno prosperasse.
Monaldo
si lasciò lavare dalle ancelle e per una volta tanto il suo
corpo non gli giocò
strani scherzi, una volta finito le ragazze lo asciugarono e lo
vestirono con
gli abiti che Argo aveva scelto per lui e poi lo pettinarono. Una volta
che fu
pronto ordinò alle ragazze di lasciarlo solo e rimase ad
osservare la propria immagine
riflessa allo specchio. Alle volte, quando si guardava di sfuggita,
quasi non
si riconosceva. Non era mai stato abituato a indossare abiti
così eleganti, a
tenere i capelli così lunghi e a portare la corona in testa.
Essendo il
secondogenito non sarebbe dovuto diventare lui re, quello era il posto
di Argo.
Per questo, sin da piccolo, era sempre stato un po’
trascurato, a lui venivano
dati i vestiti meno belli, quelli meno vistosi, era lui quello che
veniva messo
da parte alle feste e ai banchetti, quello che nessuno notava.
Perché era
piccolo e gracile e alle volte l’avevano persino scambiato
per una ragazza.
Aveva i tratti del viso dolci e gli occhi limpidi e innocenti come
quelli di
ogni ragazzino e di un color azzurro luminoso come i cieli di
primavera, lo
stesso azzurro degli occhi della regina. E poi c’erano i
capelli, quelli che
aveva preso da suo padre, i capelli che prima gli arrivavano solo alle
spalle e
che ora scendevano sinuosi fino alle reni, altro segno della sua
regalità.
Quando ancora era solo il principino
nessuno si sarebbe mai immaginato di vedere il diadema che ora era
sulla sua
fronte: la corona che era stata di suo padre, di suo nonno e di tutti i
suoi
avi. La stessa corona che tutti immaginavano si sarebbe posata sulla
testa di
Argo. Era sempre stato suo fratello l’immagine perfetta del
re. Era alto e con
spalle ampie e un corpo possente, bravo in battaglia, un ottimo
stratega,
vinceva ogni competizione a cui partecipava, cacciava con il falco e
tirava
d’arco senza mai sbagliare, era bravo con i soldi e si
vestiva sempre in
maniera impeccabile. Tanto bello da sembrare un dio, non veniva mai
scambiato
per una ragazza lui. E i suoi capelli sono sempre scesi fino alla
schiena,
brillando dei mille riflessi dell’oro più puro. E
gli occhi! Quegli occhi che
Monaldo aveva sempre ammirato, così pieni di forza,
così fieri e impavidi.
Aveva visto il fratello combattere e soffrire, lo aveva visto ridere e
parlare
con persone molto più grandi di lui. Eppure nessuno sembrava
poter neppure
sfiorare la sua magnificenza, nessuno sembrava in grado di poter
arrivare a
guardare quegli occhi senza dover alzare lo sguardo. Perché
nessuno era tanto
perfetto e regale quanto Argo.
Eppure
era Monaldo che portava la corona e ora Argo era quello che si vestiva
anonimamente,
era lui quello con i capelli corti, non era più il grande
principe che sarebbe
presto diventato re. Era solo Argo, il fratello del re. Monaldo
l’aveva pregato
di non tagliarsi i capelli durante la sua incoronazione ma il fratello
non
l’aveva ascoltato, aveva tagliato quegli splendidi capelli
che il fratellino
gli aveva sempre invidiato, e per quando gli regalasse splendidi
vestiti Argo
andava sempre in giro vestito ai limiti della povertà. Ormai
tutti si
permettevano di guardarlo dall’alto in basso
perché nei suoi occhi era sparita
la fierezza e la forza che lo aveva sempre contraddistinto. E ogni
volta a
Monaldo si stringeva il cuore, non voleva questo per il fratello,
voleva che
fosse felice, che tornasse ad essere quello di prima. Eppure Argo
continuava a
comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servire il
Re, come
se ne fosse diventato il cameriere. Non lo aveva più
chiamato fratello da
giorno dell’incoronazione e non si era più
comportato come tale da allora. E da
quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore
aveva
preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato
donato un regno, un
popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i
genitori e
suo fratello non era più suo fratello.
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Capitolo 3 *** Notizie indesiderate ***
Notizie
indesiderate
Al
giovane re piacevano le feste, piacevano i banchetti, gli piaceva
mangiare e
divertirsi come ad ogni ragazzo, però molto spesso non
sopportava i commensali
con cui si trovava a contatto. Spesso erano nobili più
vecchi di lui, che
venivano al suo castello solo per farsi belli e per scroccare un pasto.
Altre
volte erano ambasciatori stranieri che non parlavano la sua lingua e
che non
riuscivano a rispondere alle sue domande sui paesi da dove venivano,
oppure gli
raccontavano di cose per lui inutili e noiose. Ma i ricevimenti
peggiori erano
quelli dove i nobili portavano le loro famiglie. Per Monaldo quei
banchetti non
sembravano finire mai, vedeva padri tenere la mano delle loro mogli di
nascosto, scambiarsi con loro dolci sguardi credendo di non essere
notati. E
vedeva come i genitori si comportavano con i figli, sgridandoli
sommessamente,
ridendo con loro, e parlando con gli altri nobili della loro famiglia
con uno
sguardo carico di orgoglio. Ma soprattutto vedeva parlare fratelli e
sorelle
fra di loro, litigare e ridere, come lui e Argo non facevano
più ormai da
tempo. E questo gli faceva male, si voltava spesso verso il fratello ma
lui non
lo guardava mai, parlava con ambasciatori e nobili assicurandosi che
tutto
fosse in ordine e parlava con lui solo in rarissimi casi. Alle volte
pensava
che Argo si vergognasse del fatto di essere suo fratello. Spesso
Monaldo era
triste durante i banchetti ma ostentava un sorriso raggiante che ogni
tanto era
pure vero e genuino, soprattutto quando arrivava il dolce, ma
più spesso era
solo una maschera.
-Mio
re- lo chiamò Argo ad un certo punto del pranzo,
inginocchiandosi affianco alla
sua sedia. Si sentiva così spesso chiamare “mio
re”, “sire”,
“maestà” in queste
occasioni che non faceva neppure più caso al fatto che anche
suo fratello lo
chiamasse così
-Dimmi
Argo- gli rispose Monaldo appoggiando le posate e intrecciando le mani
sullo
stomaco per concentrarsi completamente sulle parole dell’altro
-C’è
una persona che desidera ardentemente parlarvi- lo informò
il fratello
-Lascia
che venga, non ho mai negato a nessuno di parlarmi, se ne avevo il
tempo… -
Argo annuì e si rialzò ma Monaldo lo
fermò prendendogli una mano –Cos’hai?-
gli
chiese, aveva visto uno strano sguardo su di lui, uno sguardo
preoccupato e
teso come non gli capitava da tempo di vedere
-Nulla,
mio re, vado a dire che avete accettato di parlare al vostro ospite-
Monaldo
gli lasciò la mano e si mosse agitatamente sulla sedia, non
capiva il perché di
quello sguardo sul viso del fratello. Forse non era nulla, oppure era
una di
quelle cose di cui si doveva seriamente preoccupare. Argo
tornò presto
accompagnando un uomo basso e tozzo, ma non grasso, con i capelli
bianchi e
lunghi, una barba curata e lunga, vestito elegantemente. Era quasi un
nobile,
lo capiva dai begli anelli che portava alle dita, le pietre che vi
erano
incastonate brillavano così intensamente da non poter essere
dei falsi, e le
vesti erano lavorate con maestria. Era un nobile e l’aveva
anche già conosciuto
in passato, anche se non ricordava il suo nome, ma non capiva che cosa
ci fosse
di così importante da discutere e da preoccupare Argo
-Sire-
lo salutò il nobile inginocchiandosi a lui
-Salute
a voi, nobile signore- gli rispose Monaldo voltando la sedia per
poterlo
guardare e allo stesso tempo rimanere seduto comodamente –di
cosa desideravate
parlarmi?-
-Una
cosa molto importante, sire- gli rispose quello con un sorriso appena
accennato
sulle labbra –però temo che vostro fratello
potrebbe volerci interrompere- Monaldo
guardò il fratello che stava dritto e impassibile a guardarli
-Argo
non ci interromperà- sentenziò il giovane re
–quindi parla, ora!- il nobile si
mosse agitatamente guardando di sottecchi il fratello del re che
continuava ad
essere impassibile quanto una statua di granito
-Sire,
temo che quello che ho da dirvi non vi piacerà…
- gli disse il nobile
-Ci
sono molte cose che non mi piacciono ma le ascolto lo stesso, quindi
parla!-
iniziava a spazientirsi, il nobile annuì e iniziò
a spiegare molto cautamente,
soppesando attentamente ogni parola che usciva dalla sua bocca
-Sire,
sono settimane ormai che le mie spie mi portano notizia che molti
nobili
tramano alle vostre spalle per spodestarvi, compresi molti dei vostri
cugini e
molti degli invitati a questa festa… -
-Ne
sono a conoscenza- gli rispose pacatamente il re –anche le
mie spie me ne hanno
riferito e ho preso i miei provvedimenti, non dovete preoccuparvi della
mia
sicurezza, sono ben protetto, le avete notate quelle guardie nascoste
dietro le
colonne? E quelle a tutte le entrate e le uscite? E dovete sapere che i
miei
camerieri sono stati addestrati a proteggermi e nelle cucine ci sono
guardie in
borghese che controllano la preparazione di ogni mio cibo…
non sono uno
sprovveduto, mio nobile signore, so come proteggermi da quelle serpi
che
vogliono la mia corona!- il nobile annuì e si morse le
labbra, come per
decidere se parlare o meno –C’è
qualcos’altro?- gli chiese Monaldo. E ora
temeva quello che avrebbe potuto dirgli quel nobile perché
non sembrava avergli
detto ancora quello di cui voleva metterlo al corrente, e temeva che
sarebbe
stata una cosa molto brutta
-Mio
signore, so che voi siete intelligente e sapete come difendervi ma
spesso le
minacce più grandi arrivano da dove meno ce lo
aspettiamo… - si morse le labbra
nervosamente e continuò –mio re, voglio solo farvi
capire che non è dei vostri
cugini o degli altri nobili che dovreste davvero preoccuparvi, ci sono
serpi
ben più infide da cui dovreste guardarvi in questo momento,
serpi che aspirano
ad indossare la vostra corona e che vi pugnaleranno alle spalle per
strapparvela, e la ferita che vi infliggeranno sarà molto
più dolorosa di
quella che una qualsiasi arma vi potrebbe procurare, sarà
una ferita al vostro
orgoglio ma soprattutto spezzerà la completa fiducia che
riponete nella persona
che vi farà del male… -
-Voi
parlate per enigmi- gli rispose Monaldo –ditemi di chi mi
devo preoccupare
perché possa prendere provvedimenti-
-Non
posso mio re- gli rispose il nobile con un espressione tormentata in
volto
-Perché?-
gli chiese l’altro stupito
-Perché
non vi piacerà sapere di chi sto parlando e
perché temo che una volta che avrò
detto quel nome mi ucciderete-
-Cosa?-
perplesso e sorpreso, il giovane re guardò senza capire il
nobile. Non aveva
mai ucciso una persona alla leggera, per Monaldo ogni vita era preziosa
e
spesso non si sentiva in diritto di toglierla. Ed era risaputo in tutto
il
regno e in quelli vicini che non aveva mai fatto del male a nessuno che
non lo
meritasse. Quindi non capiva lo sguardo preoccupato, spaventato, che
gli stava
rivolgendo quel nobiluomo
-Mio
re- si intromise Argo inginocchiandosi di fronte a lui, al fianco del
nobile
che sobbalzò di sorpresa –è di me che
sta palando il vostro ospite- gli disse
senza alzare lo sguardo da terra
-Di
te?- chiese il re confuso –ma… - la testa gli
girava, aveva il vomito e non
riusciva a capire perché Argo gli stesse dicendo quelle
cose. Erano fratelli,
lui non gli avrebbe mai fatto del male. Si voltò verso il
nobile e lo costrinse
a guardarlo negli occhi –è da Argo che mi volevate
mettere in guardia?- gli
chiese e l’altro tremò sotto il suo sguardo
-Si,
mio signore- ammise il nobile tremando. Il giovane re li
guardò entrambi: il
nobile che tremava nell’incertezza della sua fine e Argo che
aspettava ad occhi
chiusi la propria condanna. Monaldo respirò lentamente per
liberare la mente da
sentimenti e cattivi pensieri, per ragionare freddamente, per capire
qual’era
la verità. Chiuse gli occhi e sfoderò il pugnale
che teneva sempre alla cintola
e se lo rigirò per un attimo fra le mani. Guardò
entrambi gli uomini davanti a
sé, guardò i loro occhi, quelli impauriti del
nobile e quelli seri di Argo e si
alzò in piedi tenendo saldamente il coltello in mano. SI
guardò attorno e si
accorse che gli occhi di tutta la sala erano puntati su di lui
-Che
prove avete?- chiese il giovane al nobile che lo guardò
sorpreso
-Prove?-
chiese come se quella parola non rientrasse nel suo vocabolario
-Si,
prove! Fatti o azioni che vi hanno spinto a pensare che mio fratello mi
possa
voler tradire-
-Non…
- cercò di dire il nobile, tremava e sudava vistosamente
-Allora?-
lo incitò il giovane
-Non
ci sono prove, mio re, semplicemente è quello che mi hanno
riferito le mie
spie-
-E
le vostre spie dove hanno preso questa notizia?-
-Non…
non lo so, mio re- il nobile tremò ancora più
forte –mio signore, vi prego,
credete alle mie parole! Io vi sono fedele, perché avrei
dovuto dirvi queste
cose anche se sapevo di poterne morire? Io vi amo, mio signore, e
voglio solo
che sappiate e siate pronto in caso… -
-In quale caso?-
gli chiese Monaldo appoggiando la lama del pugnale sulla guancia del
nobile
–ditemelo!- ordinò e l’uomo
tremò ancora più forte nel vedere lo sguardo duro
che il ragazzo gli rivolgeva –voglio sentirvelo dire, ditemi
a cosa devo stare
attento!-
-A che vostro
fratello vi tradisca- balbettò il
nobile. Monaldo spostò il coltello dalla sua guancia e si
voltò verso Argo. Il
pavimento della sala si tinse in un istante del rosso scarlatto del
sangue. Il
coltello di Monaldo si macchiò per la prima volta di quella
linfa calda e i
suoi abiti se ne sporcarono quasi completamente, persino sul suo viso
me
arrivarono alcune gocce. Aveva trapassato la giugulare con un unico
colpo, e il
pugnale era entrato e uscito dalla carne tenera del collo senza sforzi
o
strattoni. Argo era restato ad occhi aperti senza capire quello che era
successo e il suo viso si era irreparabilmente macchiato di sangue,
come i suoi
vestiti e i suo capelli dorati. Era la prima volta dopo molto tempo che
Monaldo
lo vedeva esprimere qualcosa di diverso dalla solita maschera seria e
imperturbabile e pensò che era davvero assurdo che servisse
la morte per
smuoverlo ma ora non aveva più importanza.
Rinfoderò il pugnale e si guardò le
mani sporche di sangue
-Devo andarmi a
lavare- disse in un sussurro, scavalcò il cadavere e
aggiunse –Argo occupati tu
di dire ai servi di rimettere in ordine, io torno fra poco- e mentre
Monaldo
usciva dalla stanza suo fratello si rimetteva in piedi, fissando
stupito quello
che l’altro aveva fatto al nobile, il modo perfetto e letale
con cui aveva
ucciso anche se era la sua prima volta. Si toccò la guancia
e le sue dita si
tinsero di rosso, le fissò solo per un istante, prima di
ritornare finalmente
padrone di sé stesso e ordinare ai servi di ripulire il
tavolo del re e di
portare via il cadavere del nobile. Poi si voltò verso i
commensali e li esortò
a ritornare a mangiare. Sarebbe stato suo dovere rimanere a controllare
gli
ospiti ma invece andò a cercare Monaldo e lo
trovò nella sua camera a litigare
con i laccetti della camicia e con gli occhi pieni di lacrime
-Non riesco a
slacciarli- piagnucolò e Argo gli scostò
gentilmente le mani per aiutarlo. Lo
svestì, gli ripulì il viso con un panno bagnato e
lo rivestì. Tutto in completo
silenzio. Monaldo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singhiozzo
ma per
il resto rimase completamente silenzioso e quando fu pronto per tornare
al
ricevimento anche le lacrime avevano smesso di scendere dalle sue
guance –Devi
cambiarti anche tu Argo- disse al fratello mentre lasciavano la stanza
da letto
-Si mio re- gli
rispose l’altro e Monaldo non ebbe neppure la forza di
arrabbiarsi o
rattristarsi per il fatto che per l’ennesima volta
l’aveva chiamato “mio re”.
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Capitolo 4 *** Combattimento ***
Combattimento
Alla luce del
primo mattino la spada di Monaldo splendeva come fosse fatta di pura
luce.
Mentre il giovane re la affilava lanciava tante piccole scintille per
terra,
sul pavimento grigio e regolare del suo campo di addestramento
protetto. Era un
semplice terrazzo con vista sul villaggio, c’era una
balconata ricoperta quasi
totalmente da edera verde sgargiante e ai lati della terrazza
c’erano piantati
anche due alberi secolari. All’inizio, quando il castello era
stato costruito,
non erano altro che due piccoli arbusti buoni neppure a
fare ombra alle dame nei pomeriggi assolati.
Ora invece erano grandi e le loro radici avevano spaccato anche la
pietra in
alcuni punti. Ma il terrazzo era solido e non c’era pericolo
che potesse
crollare, non nell’immediato futuro per lo meno. Non
c’era nient’altro su quel
balcone, tranne i due alberi, Monaldo e la sua spada. Non
c’era neppure
l’insegnate di scherma perché malato e si stava
ancora cercando un sostituto.
Così il giovane re ora aveva un po’ di tempo tutto
per sé stesso. C’erano tanti
pensieri nella sua testa, soprattutto riguardavano il nobile che aveva
ucciso
appena due giorni prima, ancora lo sognava la notte e si svegliava
piangendo e
tremando. Non aveva ragionato abbastanza lucidamente in
quell’istante, sapeva
di essere stato trasportato dalla rabbia, dal desiderio di vendicare
l’onore di
suo fratello e ora ne stava pagando le conseguenze con tremendi incubi,
in cui
si rivedeva più e più volte compiere lo stesso
gesto letale. Vedeva come se
tutto fosse rallentato ogni istante, come ogni millimetro della lama
entrava
nella carne della vittima e come, quando l’aveva estratta,
aveva schizzato il
sangue dappertutto, sporcando lui e tutto quello che si trovava
attorno. E poi
come il corpo, con una lentezza quasi esasperante, era caduto a terra
producendo un tonfo attutito dai vestiti, e ancora il sangue usciva
copioso
dalla ferita. Ogni istante era impresso a fuoco nella sua memoria e lo
sarebbe
stato per sempre, per tutto il resto della sua esistenza. Il giorno
dopo quel
banchetto, quando aveva visto il suo coltello appeso alla sedia, dove
era solito
lasciarlo ogni sera prima di andare a letto, aveva avuto un attimo di
tentennamento. Aveva paura a riprenderlo in mano, il ricordo di quello
che
aveva fatto era ancora così forte e vivido nella sua mente
che temeva di
doverlo rivivere ancora e ancora, all’infinito. Una paura
sciocca e
irrazionale. Alla fine, dopo essere stato quasi un quarto
d’ora a fissare
quell’arma l’aveva presa e se l’era
appesa al fianco come tutti i giorni. Ma da
allora era stato più consapevole di quella lama letale
appesa al suo fianco
sinistro, aveva assunto un significato diverso ed era come se avesse
assorbito
il sangue di quel nobile che aveva ucciso, perché ora gli
sembrava
incredibilmente più pesante. Era un vero sollievo poterla
togliere alla sera o
nei momenti più tranquilli, quelli in cui era sicuro non
sarebbe stato
attaccato. Come in quell’istante: il pugnale stava nella sua
guaina appoggiato
alla ringhiera dove il re stava appoggiato, alla distanza di un
braccio. Era
sempre un bene averlo a portata di mano, anche quando impugnava la sua
spada.
Le porte che collegavano il castello al terrazzo si aprirono e il
giovane re
scattò in piedi, pronto a ricevere un qualsiasi visitatore
ma quasi subito si
rilassò
-Mio re- lo salutò
Argo facendolo irritare da subito –mi dispiace abbiate dovuto
aspettare così
tanto ma non siamo riusciti a trovarvi un maestro di scherma per questa
mattina- gli annunciò e Monaldo sospirò
sommessamente
-Va bene, fa lo
stesso- gli disse mentre andava a prendere il fodero della spada
–vorrà dire
che andrò a sbrigare qualche altra faccenda… -
sospirò un'altra volta. Gli
piaceva combattere, gli piaceva la strana sensazione di
libertà e agitazione
mentale che provocava essere completamente assorbiti nel combattimento,
era un
divertente passatempo e l’aiutava a rimanere in forma. E poi
presto ci sarebbe
stato il palio e lui aveva bisogno di allenarsi
-Mio re- lo chiamò
Argo con appena un accenno di tentennamento nella voce
-Dio, Argo!
Smettila di chiamarmi “mio re”!- sbottò
il ragazzo -Siamo solo noi due in
questo momento, anche se mi chiami per nome nessuno lo verrà
a sapere e a me di
sicuro non da fastidio-
-Mi dispiace- gli
rispose Argo abbassando gli occhi a terra –ma se volete
poterei combattere io
contro di voi- Monaldo si voltò stupito verso il fratello e
lo guardò perplesso
e sorpreso. Da quanto tempo era che non combattevano più?
Prima della morte di
loro padre lo facevano almeno una volta alla settimana e Monaldo era
sempre
quello che finiva battuto, ma da quando era diventato re suo fratello
non aveva
più accettato di combattere contro di lui, neppure quando
l’aveva supplicato
non aveva ceduto. E invece ora si offriva di fargli da avversario
-Dici sul serio?-
gli chiese sorridendo radioso
-Se lo desiderate-
gli rispose Argo con la sua solita freddezza e il fratello si
lasciò sfuggire
un urletto di felicità, ben poco regale. Era così
tanto che non combatteva
contro Argo, era così tanto che non faceva qualcosa con lui
che non fosse
litigare, era così tanto che non facevano insieme qualcosa
da fratelli! Gli
veniva quasi voglia di piangere dalla felicità
-Si, lo voglio-
gli rispose e Argo si voltò, serio e imperturbabile quanto
una statua di marmo,
e si andò a posizionare al centro della terrazza, sfoderando
la sua spada.
Monaldo lo raggiunse, ancora sorridente e si preparò a
combattere –Non ti
trattenere, per favore- gli disse e Argo tentennò prima di
annuire molto
lentamente, come se non fosse molto sicuro che fosse una buona idea. Si
toccarono con le spade appena un paio di volte, per iniziare. Colpi
quasi lenti
e neppure sferrati con molta forza, giusto per capire se ancora
l’avversario
reagiva nella stessa maniera di… quanto? Tre anni prima?
Più o meno era quello
il tempo che era passato da quando i due fratelli si erano confrontati
in una
battaglia e con lentezza e cautela ora riprendevano quella che prima
era stata
quasi una routine. In poco però i colpi divennero
più forti e più veloci,
sempre più spesso i due fratelli dovevano rotolare per
schivare i fendenti
dell’altro e in poco si ritrovarono a combattere entrambi al
meglio delle loro
abilità. Argo era forte, veloce e aveva
l’esperienza dalla sua parte, Monaldo
era altrettanto veloce, ma più agile e aveva riflessi
più pronti. In maniere
diverse entrambi erano forti e sapevano come mettere in
difficoltà
l’avversario. Monaldo ancora si ricordava molto bene che il
fratello aveva la
brutta abitudine di scoprirsi completamente in fianco destro quando
caricava i
colpi da sinistra e Argo si ricordava molto bene che il fratello quando
voleva
affondare con forza divaricava leggermente le gambe e portava indietro
la
sinistra e una volta schivato il suo affondo gli ci volevano alcuni
istanti per
rialzare la guardia. In quell’allenamento era come se il
tempo si fosse fermato
e anche se i due stavano sudando e quasi sentivano i loro cuori uscire
dal
petto non riuscivano, non volevano fermarsi. Eppure vennero interrotti
proprio
mentre le loro spade si incrociavano per l’ennesima volta un
urlo di paura li
distrasse. Monaldo si voltò per capire cos’era
successo e Argo gli fece lo
sgambetto, buttandolo a terra. Subito il giovane re si
preparò a parare ma il
fratello lo guardò sorpreso, come se trovasse strano esserlo
riuscito davvero a
buttare a terra, poi però una voce li fece voltare entrambi
-Argo ma che stai
facendo?- la giovane donna gli venne in contro e gli prese la mano
sinistra fra
le sue –Stai bene? Ti sei fatto male?- gli chiese apprensiva
osservando
attentamente i vestiti sbrindellati qua e là, su cui
però non c’era traccia
alcuna di sangue
-Si, tutto apposto
Ninime- gli rispose Argo con il fiatone –ci stavamo solo
allenando- la donna lo
guardò perplessa, non capiva come fosse possibile che un
duello così accanito
fosse solo un allenamento. La sua fronte liscia si aggrottò
e gli occhi castani
si fissarono su quelli di Argo. Poi si voltò ad osservare
l’avversario e si
portò una mano alle labbra per nascondere lo stupore, quando
riconobbe Monaldo
-Sire- lo salutò
con una piccola riverenza
-Buon giorno, mia
signora- la salutò il re chinando appena la testa
-Mi dispiace di
avervi interrotti- disse la ragazza sempre stringendo la mano di Argo
–ma non
avevo capito che vi stavate allenando-
-Non si preoccupi,
va bene così… - gli rispose il re andando a
rinfoderare la spada –anzi, mi ha
fatto un favore, avevo ormai perso la cognizione del tempo! Adesso sono
in
ritardo per l’assemblea-
-Mi dispiace-
disse Argo chinando la testa
-No, fratello, non
è colpa tua- gli sorrise e si risistemò i capelli
–comunque ora devo andare-
salutò entrambi e senza aggiungere neppure una parola se ne
andò.
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Capitolo 5 *** Pensieri ***
Pensieri
Quel giorno,
durante l’assemblea, Monaldo non riuscì a restare
molto attento. Nella sua
testa passavano di continuo le immagini del combattimento contro Argo e
gioia
pura lo riempiva. Era felice che finalmente suo fratello avesse voluto
condividere con lui qualcosa che non fossero documenti o fatti che
riguardavano
il regno. Si erano allenati insieme ed era stato come se non fosse mai
passato
neppure un giorno dall’ultima volta che l’avevano
fatto. Ma poi era arrivata
Ninime. Di solito Monaldo non aveva problemi con lei, era una bella
ragazza,
giovane, gentile e fedele ad Argo. Ma quel giorno avrebbe davvero tanto
voluto
che non fosse mai esistita, che Argo non l’avesse mai
sposata. Ninime era una
principessa di un regno piuttosto lontano, Argo l’aveva
conosciuta durante un
ricevimento molti anni prima e l’aveva sposata pochi mesi
dopo, senza però il
consenso del padre, che avrebbe voluto per lui qualcosa di
più di quella
principessina, bianca come il latte, piccola e gracile quanto un
fuscello. Era
bella, molto, con quei lunghi capelli neri e quegli occhi castani
intensi, ma
non era esattamente la donna ideale: era troppo gracile e non sarebbe
mai
riuscita a mettere al mondo figli degni di un re. Eppure Argo
l’aveva sposata,
l’amava ed era felice con lei, o per lo meno Monaldo lo
pensava e lo sperava. Vedeva
il fratello sorridere spesso quando pensava di non essere guardato, e i
due si
scambiavano spesso sguardi di un intensità strana, come se
si potessero parlare
senza parole. Ninime non era molto presente nella vita di corte mentre
Argo se
ne occupava molto, anche troppo alle volte, e quindi non li si vedeva
molto
spesso insieme. Ma quando erano nella stessa stanza lei diventava
radiosa,
bella quasi quanto la Dea, e Argo si rilassava visibilmente, lasciando
che
anche i suoi occhi e il suo viso perdessero quella rigidità
che ostentava in
continuazione. Ed era come rivedere una pagliuzza di quello che era
stato
l’Argo di un tempo. Monaldo alle volte era geloso di questi
loro sguardi, del
fatto che lui non riusciva a far riaffiorare l’Argo di un
tempo mentre quella
donna doveva solo farsi vedere per riuscirci. Si, era geloso di Ninime
e ancora
di più era geloso di suo fratello, di quel legame che aveva
sempre dato per
scontato e che ora non c’era più.
Alle volte si
chiedeva cosa sarebbe potuto succedere se lui non fosse diventato re e,
invece,
come sarebbe stato normale, fosse stato incoronato Argo. Non aveva
difficoltà a
vederlo con la corona in testa, fiero e forte, pronto a difendere il
suo regno
da ogni male. E sarebbe bastato così poco perché
quei suoi pensieri
diventassero realtà. Se al tempo Argo non si fosse
intestardito e non avesse
sposato Ninime, se avesse aspettato la morte del vecchio re, allora in
quel
momento non ci sarebbe stato Monaldo seduto sul trono con la corona in
testa ma
ci sarebbe stato Argo. Era stata solo una ripicca quella di loro padre:
aveva
detto al maggiore di non sposare la principessa Ninime ma lui aveva
voluto fare
di testa propria e l’aveva fatto infuriare. Le nozze si erano
svolte fra feste
e canti, gioia e felicità. Il maschio primogenito della
casata reale aveva
finalmente trovato moglie! Tutto il regno era in festa ma il vecchio re
no, lui
era furioso e sul letto di morte, poco meno di 6 mesi dopo, aveva
chiamato Monaldo,
un uomo di chiesa e il suo medico personale perché potessero
testimoniare che
nel pieno delle sue facoltà mentali il re incoronava suo
figlio minore,
Monaldo, come nuovo re. Una settimana dopo, quando il vecchio re fu
seppellito,
si tenne un'altra cerimonia, più formale, e Monaldo venne
incoronato di nuovo.
Argo gli si presentò davanti quel giorno e lo
guardò diritto negli occhi. Il
ragazzo cercava nello sguardo del fratello qualcosa, una certezza, un
aiuto, la
forza per affrontare tutto quello che gli era ricaduto addosso ma Argo
era
impassibile, non disse nulla, non lo tranquillizzò, non gli
diede conforto, non
fece nulla per lui. Gli si inginocchiò davanti e sempre
fissandolo negli occhi
si tagliò i capelli. La debole protesta del nuovo re non
valse a nulla, Argo
gli consegnò i suoi lunghi e splendidi capelli in mano e
Monaldo faticò
parecchio a non piangere. Non voleva quello, non l’aveva mai
voluto, non aveva
neppure una volta pensato alla possibilità di diventare re,
era così assurdo
pensare che Argo non avrebbe indossato la corona! Eppure era successo.
Tutto
perché suo fratello non aveva avuto la pazienza di aspettare
qualche mese per
sposare Ninime. Spesso Monaldo nei momenti di grande incertezza e di
paura
guardava suo fratello e la sua sposa e li odiava, li odiava entrambi,
con una
forza tale da spaventarlo. Perché era colpa loro che, come
due ragazzini, si
erano lasciati prendere dal loro amore e non avevano saputo aspettare
un
momento più propizio per unirsi e ora sulle spalle di
Monaldo pesavano tutti i
problemi del regno e non aveva più una vera famiglia a cui
appoggiarsi. Si
sentiva solo e spaventato, con nessuno a consolarlo. E allora tutto il
suo
amore per suo fratello e tutta la simpatia che provava per la sua sposa
si
tramutavano in un odio puro e denso, che gli stringeva il cuore in una
morsa
oscura di cui spesso era difficile liberarsi.
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Capitolo 6 *** Gare ***
Gare
Una giornata
leggermente nuvolosa era quella in cui cominciava il palio. Sfilavano
davanti
al re le otto contrade della città: la contrada
dell’Aquila bianca, la contrada
dell’Idra, la contrada del Paraduro, quella della Lince
bendata, la contrada
dell’Aquila sulla ruota, quella della granata svampante,
quella dell’unicorno e
quella dell’anello episcopale. Ogni gonfaloniere portava i
colori delle
contrade e lo seguivano gli armati, gli sbandieratori, i musici e poi
tutti gli
altri appartenenti alla contrada. Monaldo sorrideva e i suoi occhi
erano
luminosi per l’eccitazione, era già stanco di
vedere la sfilata e desiderava
che presto iniziassero le gare. Riconosceva già fra i vari
sbandieratori i
solisti più bravi, quelli che ogni anno si contendevano il
palio nelle gare di
singolo, le più belle insieme alla grande squadra, in cui
una decina di
sbandieratori si muovevano all’unisono sulla piazza. Vederli
era sempre un
emozione forte, unica, che ogni anno si ripeteva e ogni anno era
differente. I
gonfalonieri lo salutarono e gli enunciarono i nomi dei campioni di
quell’anno.
Tutto stava durando anche troppo, oramai il giovane re doveva ficcarsi
le
unghie nei palmi delle mani per imporsi di stare calmo e non iniziare a
saltellare come un pazzo sul suo trono. E poi finalmente cominciarono,
i
tamburi della prima contrada iniziarono a battere il tempo e i rullanti
scandirono le battute mentre il primo singolista scendeva nella piazza
fra gli
squilli delle chiarine. La sua bandiera fendeva l’aria e lui
la lanciava alta
riprendendola e muovendola egregiamente. Poi le bandiere divennero due,
poi tre
e poi quattro e ancora lo sbandieratore le muoveva e le lanciava in
aria
riprendendole e muovendole anche grazie alle gambe, mentre i tamburi e
i
rullanti scandivano il tempo dei suoi movimenti e dei suoi lanci. E poi
la
quinta bandiera gli venne lanciata e ancora lo sbandieratore si muoveva
come se
non se ne accorgesse. Le aveva sentite in mano Monaldo quelle bandiere,
e
pesavano, tanto. Eppure l’uomo si muoveva e lanciava le sue
bandiere bianche e
nere senza dimostrare alcuna fatica e riprendendole con precisione.
Cinque
bandiere, le mosse per un tempo quasi troppo corto eppure quando
completò il
numero inginocchiandosi e rendendo onore al re la folla esplose in un
boato di
applausi e grida e perfino Monaldo si lasciò andare battendo
le mani forte e
per molto tempo, sorridendo contento e con gli occhi che luccicavano.
Lo
sbandieratore e i musici della contrada dell’Aquila sulla
ruota lasciarono il
posto alla contrada dell’Idra e poi dopo di loro tutte le
altre. E la giornata
passò veloce e le gare si susseguivano. Si esibirono i
singoli di tutte le
contrade e poi anche la piccola squadra, composta da al massimo 5 o 6
sbandieratori. La sera scese e non si riuscì a continuare e
il re fu costretto
a tornare al castello, anche se desiderava che quella magnifica festa
continuasse anche per tutta la notte ma con
l’oscurità era impossibile vedere
chiaramente le bandire e se non voleva che qualcuno si facesse male,
doveva
aspettare il giorno seguente per vedere le ultime due gare di bandiere
-Mio re- lo chiamò
Argo venendogli incontro e distogliendolo dai suoi pensieri e dai suoi
sogni ad
occhi aperti
-Si?- chiese
sorridendo e il fratello lo guardò per un attimo senza dire
nulla facendo
appassire leggermente il sorriso sul volto del giovane, che
già temeva il
peggio
-Nulla,
perdonatemi per il disturbo- Monaldo lo guardò perplesso
mentre si allontanava.
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Capitolo 7 *** Tempesta ***
Tempesta
Il giovane re si
distese a letto molto presto quella sera ma ci mise un po’ ad
addormentarsi,
era ancora troppo eccitato per aspettare tranquillo il giorno
successivo. La notte
era scura e tranquilla, molto tranquilla. Ma ad un certo punto, quando
ormai il
giovane re si era praticamente assopito, qualcosa lo ridestò
di colpo,
facendolo sobbalzare sul suo letto. Una luce intensa appena fuori dalla
finestra e poco dopo quel suono cupo e basso che poteva essere prodotto
solo da
una frana o da un tuono vicino, troppo vicino. Il giovane re si nascose
sotto
le coperte e chiuse forte gli occhi, tappandosi le orecchie con il
cuscino. Si
soffocava lì sotto, faceva caldo e non c’era quasi
aria, ma era molto meglio
che restare fuori da quel bozzolo dove la tempesta aveva iniziato ad
infuriare,
sferzando di pioggia le finestre della sua camera, mentre i fulmini
illuminavano a giorno la stanza solo per un istante, per poi farla
ricadere nella
più completa oscurità mentre quel rumore,
così forte, così brutto e assordante
gli riempiva le orecchie facendolo sobbalzare ogni volta. Monaldo aveva
paura
dei tuoni e della tempesta, ne aveva sempre avuta, non poteva
sopportare quel
rumore terrificante e ogni volta rimaneva pietrificato
dall’orrore. Quando era
ancora piccolo sua madre veniva a cullarlo ma quando era morta non era
più
arrivato nessuno a consolarlo. Il re non era quel tipo di padre,
probabilmente
non aveva neppure mai saputo di questa sua fobia. Argo invece era
venuto poco
dopo la morte della regina, solo un paio di volte ma alla fine anche
lui aveva
smesso, anche lui non era quel tipo di fratello. Così ora si
preannunciava una
lunga, lunghissima nottata per il giovane re: stretto al suo cuscino,
arrotolato dentro le coperte con il viso affondato nel cuscino per
zittire i
singhiozzi e gli urletti di puro terrore che gli uscivano di bocca ogni
volta
che un tuono cadeva. Fortunatamente era passato il periodo in cui se la
faceva
anche a letto ma ancora non aveva il coraggio di uscire dal bozzolo
sicuro fra
le coperte durante la tempesta, sarebbe stato davvero un brutto colpo
se il suo
popolo avesse saputo che il loro re se la faceva addosso ogni volta che
cadevano due gocce d’acqua! E per fortuna che i suoi servi
erano molto discreti
sul fatto che ogni tanto lo sentissero piangere la notte di tempesta.
Solitamente non entravano neppure nella sua camera in quelle notti.
Così quando
Monaldo sentì la porta della sua camera aprirsi e chiudersi
in un leggero tonfo
trovò il coraggio di guardare chi era entrato e per un
attimo non sentì nulla
attorno a sé, né lampi, né tuoni,
né la pioggia che impetuosa batteva le sue
terre. C’erano solo lui e il suo visitatore notturno: Argo,
l’ultima persona al
mondo che si sarebbe aspettato di vedere in quel momento
-Che ci fai qui?-
gli chiese perplesso e suo fratello si guardò attorno
lasciando trasparire il
suo disagio
-Volevo solo
vedere come stavate, mio re- ammise sempre più a disagio.
Monaldo si strinse al
cuscino
-Sto bene- mentì
e, come per punizione, un tuono rimbombò potente proprio in
quell’istante
facendogli sfuggire un urlo, prontamente attutito dal cuscino
-Mio re- Argo si
era avvicinato al suo letto e aveva appoggiato una gamba su di esso per
poter
arrivare a toccare il fratello, gli sfiorò appena una spalla
e Monaldo lo
guardò sorpreso, non l’aveva più
toccato da quando era stato incoronato da loro
padre. Con le lacrime agli occhi gli si lanciò fra le
braccia ma questa volta
il suo era un pianto di felicità e sollievo, di sentirsi
abbracciare dopo tanto
tempo, anche se molto goffamente, dal proprio fratello e avere la
sicurezza che
almeno per una notte erano tornati fratelli o quasi.
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Capitolo 8 *** Orizzonte ***
Orizzonte
I giorni passavano
lenti e tranquilli, anche il palio era finito. Il re Monaldo aveva
vinto un
paio di gare di scherma e si era divertito. Argo dopo quella notte di
tempesta
era tornato lo stesso, freddo e duro come sempre e continuava
ostinatamente a
chiamarlo “mio re”. Eppure il giovane non era mai
stato più felice che in quei
giorni: tutto sembrava andare per il meglio, suo fratello si era
dimostrato
gentile con lui, tenendogli compagnia per l’intera notte di
tempesta e il
raccolto appena cominciato sembrare stare dando buoni frutti. Ma
all’orizzonte non
c’era altrettanta serenità.
In un giorno
cominciato come tanti altri arrivò al regno un viandante, un
uomo vecchio,
sporco, ferito e denutrito. Chiedeva insistentemente udienza al re
Monaldo che
alla fine dovette accettare. Il vecchio gli disse di essere un
superstite di un
villaggio del regno vicino e di essere scappato per un puro colpo di
fortuna.
Il suo villaggio era stato attaccato da un grande esercito che aveva
ucciso
tutti gli abitanti e che si stava dirigendo al castello del re
Enastase.
Monaldo gli chiese perché non avesse avvertito il re
Enastase e invece fosse
venuto da lui. Il vecchio gli rispose che l’esercito che
aveva attaccato il suo
villaggio era troppo grande anche per le immense guarnigioni di re
Enastase e
che in aggiunta era capitanato da uno dei cugini di Monaldo, Franmeo.
Il suo
obbiettivo poi, non era affatto il regno di re Enastase, di cui ne
voleva
derubare soltanto le armi belliche da assedio, il suo vero obbiettivo
era il
regno di Monaldo
-Come fai a sapere
queste cose, vecchio?- gli chiese con cattiveria Argo e il fratello gli
scoccò
un occhiata torva, era inutile prendersela con quel povero vecchio
-Rispondi alla
domanda- gli ordinò gentilmente il giovane re
-Ho sentito i
soldati parlarne e visto che il mio regno era ormai spacciato ho
pensato di
correre ad avvertirvi, ho sentito tante cose meravigliose sui vostri
possedimenti e non volevo che un posto così bello venisse
distrutto e ridotto
in cenere come il mio villaggio, come la mia famiglia… - gli
occhi del vecchio
si oscurarono e si velarono di lacrime mentre ricordava immagini
tremende del
suo villaggio distrutto e delle sue figlie stuprate e aperte a
metà da quei
cani bastardi
-Ti ringrazio- gli
disse Monaldo –grazie per averci avvertiti di questo
pericolo, per i tuoi
servigi ti offro di rimanere al mio castello tutto il tempo che
desideri- il
vecchio lo ringraziò più volte e si
prostrò ai suoi piedi. Quando se ne fu
andato Monaldo fece chiamare le sue spie e gli chiese spiegazioni sul
fatto che
non erano state loro le prime ad informarlo di questo pericolo
-Non abbiamo
trovato prove del fatto che vostro cugino Franmeo vi volesse attaccare,
secondo
le nostre informazioni era interessato solo al regno di re Enastase-
-Allora
controllate se quel vecchio dice il vero- ordinò Monaldo
serissimo –se mio
cugino pensa di potermi attaccare e sopravvivere capirà
presto che sbaglia di
grosso! E ora andate, siate i miei occhi e le mie orecchie nel mio
regno e in
quelli dei miei vicini!- le sue spie si inchinarono e sparirono
nell’ombra.
Monaldo chiuse gli occhi e lasciò che le emozioni fluissero
da lui, per
concentrarsi e calmarsi
-Mio re?- gli
chiese Argo ad un certo punto, per ridestarlo dai suoi pensieri,
probabilmente
era passato molto tempo, anche se il ragazzo non se ne era quasi accorto
-Vedo
all’orizzonte i fuochi di guerra- gli disse e Argo
annuì gravemente
–Cavalcherai al mio fianco, fratello?- gli chiese Monaldo
guardandolo con occhi
da adulto
-Ora e per sempre-
gli rispose Argo inchinandosi.
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Capitolo 9 *** Partenza ***
Partenza
Le spie di Monaldo
scoprirono in un solo giorno che quello che il vecchio sopravvissuto
aveva
detto era tutta la verità. Franmeo si preparava a muovere
guerra a Monaldo,
aveva da poco conquistato il regno di Enastase e aveva ucciso lo stesso
re. Ora
si muoveva per raggiungere il regno del cugino e attaccarlo di
sorpresa. Ma il
giovane re aveva già fatto preparare il suo esercito che in
confronto a quello
del cugino era inferiore di numero di quasi uno a due ma le spie gli
avevano
assicurato che i loro soldati erano ben superiori in quanto a
preparazione e
armamento, gli uomini di Franmeo erano per lo più contadini
addestrati sul
campo e le corazze e le armi che avevano rubato a re Enastase non erano
bastate
ad equipaggiare tutti i loro uomini. Il risultato del conflitto non era
ancora
certo.
Monaldo aveva
deciso di scendere in battaglia con i suoi uomini. Non era il suo
battesimo di
fuoco ma era la prima volta che doveva combattere da generale ed era
incerto e
impaurito. Era qualcosa a cui non era mai andato incontro, sapeva
combattere
molto bene, al pari di molti uomini più vecchi di lui ma non
sapeva se era in
grado di guidare una campagna di guerra e vincere. I peggiori dubbi lo
assalivano e ogni notte la passava insonne. L’unica sua
consolazione era Argo,
che lo sosteneva, anche solo con uno sguardo, sapeva riscaldarlo,
infondergli
forza e spronarlo ad andare avanti. In poche settimane
l’esercito fu pronto a
mettersi in marcia per andare ad affrontare Franmeo. I soldati di
Monaldo
guardavano il loro re fiduciosi e pieni di speranza, erano pronti a
dare la
vita per lui, per difendere il suo regno di pace con le loro armi.
Monaldo non
poteva che essere loro grato. Stavano abbandonando le loro famiglie per
un
futuro incerto e lo facevano con un sorriso. Perché
confidavano nel loro re,
che lui li avrebbe condotti alla vittoria. Argo era più
serio del solito e il
giorno della partenza prese il fratello da parte
-Mio re… - iniziò
–c’è una cosa che tento di dirvi da
molti mesi ormai- Monaldo lo guardò
perplesso e lo incitò a continuare –Ninime
è incinta- gli annunciò
-Ma è fantastico!-
disse entusiasta il giovane re sorprendendo il fratello
-Dite sul serio?-
-Si certo! Era ora
che almeno uno di noi due mettesse al mondo un discendente, temevo di
dover
essere io il primo, a sedici anni! Sai che schifo sposarsi a
quest’età! E
invece, grazie al cielo, ti sei deciso a fare un erede! Non sai quanto
mi hai
reso felice!-
-Aspettate! Cosa
volete dire?- gli chiese Argo perplesso
-Che se in questa
campagna dovessimo morire entrambi almeno ci sarebbe un erede! Anzi,
adesso che
ci penso forse tu dovresti rimanere qui con Ninime per aiutarla e per
tenere
insieme il regno mentre sono via… -
-State scherzando
vero?- chi chiese sempre più stupito
-Certo che no! Io
non ho figli, anzi, non mi sono neppure sposato, ed è
normale che se morissi la
corona andrebbe a te o a tuo figlio… -
-Non dire così!-
gli urlò contro infuriato Argo –tu
non morirai!-
-In guerra è molto
facile- ribatté il fratello
-No! Non
permetterò che tu
muoia!- e dopo
quest’ultimo sfogo se ne andò quasi correndo,
senza lasciare a Monaldo la
possibilità di rispondergli. L’aveva fatto
infuriare, come mai prima di allora,
e non capiva il perché. Era normale per il giovane re
preoccuparsi del regno e
Argo sarebbe stato un re perfetto, anzi, era lui il re di diritto di
quelle
terre. Non capiva perché si fosse tanto arrabbiato
all’idea di ricevere la
corona che gli spettava per nascita. Era normale che un giorno o
l’altro
Monaldo sarebbe morto, i loro cugini sarebbero presto arrivati come
sciacalli
sul loro regno per conquistarlo. Vedevano nel giovane re una preda
facile e lui
pensava che fosse stato un miracolo già il fatto che non
l’avessero attaccato
il giorno esatto della sua incoronazione ma avessero aspettato
addirittura
degli anni. Franmeo sarebbe stato il primo ma non l’ultimo.
Ed era un bene che
Argo avesse messo incinta Ninime, almeno la corona avrebbe avuto
un'altra testa
su cui posarsi prima di cadere nelle mani avide di qualche altro re
meno degno
di portarla.
Quel giorno stesso
l’esercito si mise in marcia per andare incontro a Franmeo e
bloccarlo prima
che questo potesse raggiungere le porte della città. Monaldo
cavalcava alla
testa del gruppo, affiancato dalla sua guardia
d’elitè e seguiva il suo
esercito. Il popolo, ai lati della strada lanciava loro fiori e petali
augurando ai guerrieri buona fortuna e di tornare presto a casa. Il
giovane re
pregò la Dea perché proteggesse il suo regno
mentre lui era lontano e che
proteggesse ognuno dei suoi uomini dalla morte, dalla sofferenza e dal
lutto.
Sapeva che in molti sarebbero morti ma sperò che il loro
sacrificio non sarebbe
stato vano
-Perché non mi
avete aspettato, mio re?- gli chiese Argo affiancandolo
-Che ci fai qui?-
gli chiese perplesso il re
-Ve l’ho promesso:
cavalcherò al vostro fianco ora e per sempre-
-Ma Ninime… ?-
cercò di dire Monaldo
-È una donna
forte, ce la farà anche senza di me-
-Ma… - tentò di
dire ancora il re
-Niente ma! Il mio
posto è al vostro fianco mio re! E lo sarà per
sempre- Monaldo si morse le
labbra e riprese a cavalcare diritto e fiero. Nel suo animo si
agitavano due
emozioni molto contrastanti: da una parte era sollevato che Argo lo
accompagnasse, con lui nei paraggi a sostenerlo si sentiva
più sicuro ma
dall’altra parte si sentiva in colpa per averlo portato via
dalla sua sposa e
per non essere abbastanza forte da ordinargli di tornare indietro al
castello.
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Capitolo 10 *** Guerra ***
Guerra
Attaccarono Franmeo
a sorpresa: lui voleva arrivare alle mura della città senza
dichiarare guerra e
loro l’avevano fermato molto prima. In una depressione
avevano accerchiato il
suo esercito e gli avevano scaraventato addosso una valanga. Monaldo
aveva
ascoltato quel suono così orribile con una certa
soddisfazione, senza neppure
un briciolo di paura. Avevano poi attaccato con gli arcieri e solo a
quel punto
erano scesi fra le file nemiche: dai lati più alti della
depressione erano
scesi i fanti e i lancieri mentre dall’imbocco della
depressione e dalle sue
uniche due uscite erano arrivati i carri da guerra e la cavalleria.
Monaldo
guidava i cavalieri all’imbocco della depressione mentre Argo
aveva il comando
di tutto il lato destro della fanteria. Fu una lunga battaglia, il
sangue
inzuppò il terreno verde e le urla dei morti e dei feriti si
levarono alte. Gli
uomini di Franmeo ebbero in poco la peggio ma si ostinarono a
combattere fino
all’ultimo, portando all’altro mondo con loro anche
molti degli uomini di
Monaldo ma quando il giovane re uccise suo cugino i soldati iniziarono
a
disperdersi e arrendersi. Una serpe privata della testa muore. Argo e
il
fratello si scambiarono un sorriso da sotto gli elmi che coprivano i
loro volti
e il re alzò la spada al cielo urlando di
felicità per la vittoria conquistata
con il sangue il sudore. Monaldo diede ordine ai suoi uomini di non
uccidere i
sopravvissuti e diede a quegli uomini, che poco prima aveva combattuto,
la
possibilità di diventare suoi sudditi, di vivere nel suo
regno come cittadini
liberi oppure di tornare a casa. Molti se ne andarono in fretta mentre
altri
decisero di seguire il giovane re. La battaglia era conclusa e mentre
tutti si
preparavano ad accamparsi per la notte e festeggiare accadde qualcosa
di
orribile. Il re smontò da cavallo e andò da suo
fratello per congratularsi
della vittoria e dell’egregio lavoro che aveva fatto nel
comandare il suo
drappello di uomini ma non ci riuscì. Si bloccò a
metà di un passo e si guardò
stupito alle spalle. Uno degli uomini di Franmeo stava alzando su di
lui il
coltello, un'altra volta, per colpirlo ancora ma una freccia lo
raggiunse in
pieno volto prima che potesse colpire nuovamente il re. Monaldo
barcollò,
sentiva uno strano calore sulla schiena, poco sopra le reni, ci
portò una mano
già insanguinata e non capì se stava sanguinando
lui o era solo sporco. Non si accorse
di essere finito a terra finchè non vide davanti a
sé il cielo e la faccia
preoccupata di Argo che gli urlava qualcosa, ma non lo riusciva a
sentire. Suo
fratello aveva il viso così sporco di terra e sangue, ed era
tutto sudato. Era
nella condizione peggiore in cui l’avesse mai visto in vita
sua eppure non gli
era mai sembrato così bello come in quel momento. Perse i
sensi e tutto divenne
nero e freddo.
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Capitolo 11 *** Malattia ***
Malattia
Si svegliò in una
tenda su un letto scomodo di paglia e coperto solo con un telo bianco e
leggero
eppure aveva caldo, tanto caldo, come se stesse bruciando fra le fiamme
dell’inferno
-Mio re- si sentì
chiamare e si accorse finalmente di Argo
-Non chiamarmi
così- ribadì con voce roca e impastata
-Sai bene!- lo
sentì dire sollevato
-Ho caldo-
-Hai la febbre
alta ma ti riprenderai, stai tranquillo, andrà tutto bene!-
si sentì toccare i
capelli e rimase sorpreso allo scoprire che era stato Argo a farlo e
che
continuava, come se lo stesse accarezzando. Non l’aveva mai
fatto ma era una
bella sensazione
-Cosa mi è
successo?- chiese il giovane re
-Uno dei generali
di Franmeo, nostro cugino, ti ha pugnalato alle spalle dopo la
battaglia, te lo
ricordi?-
-Si- gli rispose
debolmente Monaldo –doveva essere molto fedele a nostro
cugino se anche dopo la
sua morte ha cercato di uccidermi-
-Si, lo era-
ammise Argo per poi sorridere –ma fortunatamente non
è riuscito nel suo
intento, sei ancora vivo e presto ti riprenderai!-
-Fratello… - lo
chiamò il ragazzo –dimmi la verità:
come sto?-
-Ti riprenderai-
lo rassicurò lui con convinzione, tolse la mano dai suoi
capelli e la strinse
forte a quella del fratello minore
-Mi stai mentendo
vero?- gli chiese retorico –quasi non sento più
che mi stai stringendo la mano,
non sto bene quindi dimmi quali sono le mie condizioni reali- Argo
guardò le
loro mani strette insieme e poi guardò gli occhi resi lucidi
dalla febbre del
fratello
-La ferita è grave
e la febbre è alta, il medico dice che potresti non
sopravvivere neppure una
settimana ma se la febbre si abbassa potresti avere una
possibilità-
-E quante sono le
probabilità che la febbre si abbassi?- gli chiese il ragazzo
con un sospiro
tremante
-Poche- ammise in
un sussurro il fratello
-Vai a chiamare il
medico- gli ordinò Monaldo e mentre l’altro si
alzava aggiunse –e porta con te
anche un sacerdote e i generali, ci sarà bisogno anche di
loro- Argo si
bloccò di colpo mentre tentava di
capire a cosa potessero servire anche i generali e quando lo
capì si oppose con
forza
-No! No, tu non
morirai, mi hai capito? Tu non puoi morire!-
-Argo… - tentò di
dire il ragazzo ma l’altro lo fermò
-No! Adesso stai
zitto! Tu non capisci, non puoi morire, non è ancora ora,
sei troppo giovane!
Non hai neppure trovato la donna della tua vita, non puoi morire! Non
te lo
permetto! Ora devi guarire, non devi pensare al peggio, devi essere
ottimista e
concentrare tutte le tue energie per riuscire a rimetterti in sesto e
tornare a
governare come prima! Sei un re straordinario, se non vuoi farlo per te
stesso
fallo per il tuo popolo, loro hanno bisogno di te, della loro guida!-
-Tu sarai un re
migliore-
-Cazzate! Sono
tutte emerite cazzate! Hai risollevato il paese dalla miseria a cui
l’aveva
trascinato quel tiranno di nostro padre e il popolo ti ama! Io non
potrò mai
essere un re migliore, neppure in un milione di anni arriverei mai ad
eguagliare la tua grandezza! Hai fatto quello che alcuni non riescono a
fare
neppure in un’intera vita! Ora devi rimetterti e tornare a
poggiare quel tuo
culo sul trono! Non ti puoi arrendere, non l’hai mai fatto!
Nostro padre ti ha
scelto proprio perché aveva visto in te il re dei re! Non
puoi abbandonare il
tuo popolo così presto, non puoi morire ora! Sei ancora un
moccioso non puoi
tirare le cuoia adesso! Non te lo permetterò! A costo di
portarti indietro a
piedi ti riporterò al tuo trono e tu continuerai ad essere
re ancora per anni!-
-Argo smettila… -
cercò di dire il ragazzo con le lacrime agli occhi
-No! Dannazione!
Non accetterò di indossare la tua corona! Non sono io il re,
sei tu! E non
voglio neppure pensare che potresti morire, sei forte! Guarisci e non
fare
stronzate, non c’è bisogno che tu mi metta la
corona in testa, quella rimarrà
sulla tua testaccia dura per anni, io non la voglio!-
-Basta!- urlò
Monaldo con quanto fiato gli riusciva e lo sforzo lo fece tossire
parecchie
volte. Uscirono alcune macchie di sangue che per un attimo lo
terrorizzarono e
allo stesso tempo lo resero ancora più sicuro di quello che
voleva fare –Se
sono il tuo re allora fai come ti ordino: vai e portami qui il medico,
un prete
e i miei generali, ora!-
-No… - tentò di
opporsi Argo
-Mi disubbidisci?-
gli chiese duramente il ragazzo –sono o non sono il tuo re?-
-Lo sei e lo sarai
per sempre-
-Allora fai come
ti ho detto e torna presto- Argo gli strinse la mano un ultima volta e,
con le
lacrime agli occhi uscì dalla tenda. Tornò
accompagnato dalle persone che
Monaldo gli aveva chiesto di convocare e tornò al suo
capezzale –Prendi la mia
corona- gli ordinò e il fratello strinse forte i pugni prima
di ubbidire, la
portò affianco al giovane re che ne percorse il semplice
disegno con un dito
–ora aiutami a sedermi- ordinò
-Sire non è una
buona idea, le ferite… - tentò di farlo ragionare
il medico
-Silenzio! Questo
è un ordine!- il medico lo aiutò con molta
delicatezza a mettersi seduto e lo
sorresse tutto il tempo. Monaldo quasi svenne per il dolore ma non
urlò e non
si lamentò. Dopo un attimo allungò le mani verso
il fratello e prese la corona
–Inginocchiati davanti a me- gli ordinò e negli
occhi di Argo riuscì a leggere
tutto il tormento che quel comando gli provocava –spicciati,
santo cielo! Prima
la finiamo prima posso rimettermi disteso!- solo allora Argo gli si
inginocchiò
di fronte e lui –Nel pieno della mia santità
mentale nomino te, mio fratello
Argo, mio successore al trono- disse a voce alta e chiara - che le
persone qui
presenti possano confermare che la corona che ora poserò
sulla tua testa te la
cedo per diritto di nascita, che la Dea ti benedica e che le stelle
rischiarino
il tuo cammino! Proteggi il tuo popolo, amalo e lui ti
ricambierà. È tutto
quello che io ho imparato in questi anni e lo tramando a te, convinto
che farai
il bene del nostro popolo e del nostro regno- gli posò la
corona in testa e
Argo lo guardò con occhi pieni di lacrime
-Quando starai
meglio te la ridarò- gli promise e Monaldo annuì
tornando a stendersi
-Ora andatevene,
voglio riposare- i generali e il sacerdote gli si inchinarono ed
eseguirono, il
medico si accertò che fosse tutto nella norma e poi se ne
andò anche lui. Argo
invece si tolse la corona e rimase al suo capezzale. Vi rimase per
tutti i
giorni che seguirono, tutte le volte che Monaldo si risvegliava lo
trovava al
suo fianco sempre più sciupato e provato, gli occhi gonfi di
sonno e forse di
lacrime, la barba incolta e lunga come non lo era mai stata. Gli
ripeteva
spesso di resistere, che sarebbe tutto passato e che presto sarebbero
ritornati
a casa cavalcando fianco a fianco. Gli prometteva che
l’avrebbe portato in un
bordello per prima cosa, appena tornati a casa, e poi si sarebbero
presi tutto
il tempo per trovargli una moglie bella e dolce. E gli parlava di come
i loro
figli sarebbero cresciuti insieme, belli e forti, e un giorno avrebbero
ereditato il regno. Gli promise che non lo avrebbe mai più
lasciato solo
durante un temporale e che avrebbero ripreso ad allenarsi insieme ogni
giorno.
E gli promise altre cose futili e splendide allo stesso tempo. Tutto
per
cercare di infondergli coraggio e per convincerlo a guarire. Ma piano
piano
Monaldo si consumava, deperiva e si avvicinava sempre di più
al punto di non
ritorno
-Non morire- lo
supplicava Argo –Ti prego- il fratello piangeva, sapeva che
mancava poco, che
non sarebbe guarito e non sarebbe mai tornato a casa vivo e ormai si
era messo
il cuore in pace. Argo ancora non riusciva a lasciarlo andare e
stringeva forte
la sua mano, anche se erano giorni che Monaldo non sentiva
più quel tocco
-Fratello ti
voglio bene- gli disse
-Lo so- gli
rispose l’altro accarezzandogli i capelli e la fronte bollente
-Sarai un ottimo
re, non ti preoccupare, non è così difficile! Ci
sono riuscito pure io!-
-Non dire
scemenze, guarirai e torneremo a casa insieme!-
-No, lo sai che
ormai non c’è più nulla da fare- gli
disse gentilmente il ragazzo –smettila di
preoccuparti e vai avanti, io sono pronto ad andarmene-
-No!- urlò Argo
–no fratello! Non puoi, mi hai capito? Non puoi andartene! E
ora perché
piangi?-
-Mi hai chiamato
fratello!- gli rispose Monaldo fra i singhiozzi –non
l’avevi più fatto da
quando sono diventato re- piansero entrambi, senza più
parole. Argo baciò la
fronte al fratello e gli ripetè all’infinito che
gli voleva bene e che non
l’avrebbe mai dimenticato. Ora anche Argo vedeva che non
c’era più nulla da
fare, non voleva che il fratello morisse, non l’avrebbe mai
voluto, ma non
sapeva più che fare, non c’era medicina al mondo
che potesse curarlo e l’unica
cosa che rimaneva loro da fare era salutarsi. Potevano ritenersi
fortunati,
loro avevano potuto dirsi addio un’ultima volta mentre molte
altre persone non
ci erano mai riuscite. Ma in quel momento nessuno dei due si sentiva
fortunato.
Piangevano come bambini e non se ne vergognavano
-Devo confessarti
una cosa fratello- gli disse Argo fra i vari singhiozzi –quel
nobile non ti aveva
mentito, io avevo tramato per rubarti la corona, ma non
così! Non avrei mai
voluto che tu morissi!-
-Lo so- gli
rispose il ragazzo –lo sapevo da tempo, ancora prima di quel
nobile… l’ho
scoperto il giorno stesso che sei andato a parlare con il vecchio
giudice per
trovare con lui una legge che ti desse il diritto di diventare re-
-E perché non… ?-
cercò di chiedergli Argo
-Perché sei mio
fratello e sapevo che non mi avresti mai fatto del male-
-Ma una volta ci
ho pensato! Ho pensato di ucciderti in quell’allenamento
pochi mesi fa!-
-Ma
non l’hai fatto- Argo non riuscì a rispondergli,
trapassato da quel sorriso
aperto e fiducioso che il fratello gli rivolgeva. Lo
abbracciò e pianse. E
quando Monaldo spirò Argo si lasciò andare ad
urla di dolore atroci che risvegliarono
l’intero accampamento. E tutti seppero che il re era morto.
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Capitolo 12 *** Pila di pietre ***
Pila
di pietre
Era tradizione che
il corpo di un re morto venisse seppellito senza che il popolo
partecipasse ma
Argo diede ordine che tutta la gente potesse assistere al funerale di
Monaldo.
Il corpo del giovane venne posato su degli scudi e portato a spalla dai
suoi
generali migliori fino al cimitero, mentre i soldati tenevano lontani i
cittadini che tentavano di avvicinarsi alla salma per toccarlo o
vederlo
un’ultima volta. Il giovane re venne posato nella sua fossa
ancora sopra gli
scuri, che erano stati riempiti di petali per profumarlo e tenerlo
comodo, come
a simulare un letto. Fra le mani intrecciate al petto il giovane teneva
stretta
la sua spada e al fianco aveva il suo pugnale. Era stato vestito con il
suo
vestito più semplice e più bello e i suoi capelli
si aprivano come un aureola
fra i fiori. La sua corona era posata sulla testa di Argo che di tanto
in tanto
la sfiorava e si tratteneva a stento dal piangere. Come da tradizione,
ogni
cittadino libero poteva impilare un sasso sulla tomba del defunto per
commemorarlo, come pegno del proprio affetto. Le pile di sassi di molti
re non
arrivavano all’altezza di un metro, invece sopra la tomba di
Monaldo vennero
impilate così tante rocce da formare una piccola montagna.
Il popolo aveva
amato il suo re e tutti lo piangevano e l’avrebbero pianto
per molto tempo
avvenire.
Quando, il giorno
seguente il funerale, il nuovo re Argo si affacciò dal
balcone per la prima
volta, non furono molte le urla di giubilo, erano ancora tutti in lutto
per la
morte di Monaldo ma quando il nuovo re mostrò al popolo suo
figlio tutti
rimasero a bocca aperta
-Questo è il mio
figlio primogenito- annunciò con voce forte e chiara Argo,
anche se aveva le
lacrime agli occhi -e il nome con cui lo chiamerete sarà
Monaldo, in onore di
suo zio, il re che tutti abbiamo amato, che amiamo e che ameremo per
sempre -
strinse al petto il bimbo in fasce e lo baciò sulla fronte
–in tuo onore
fratello- sussurrò –vorrei che l’avessi
potuto vedere almeno una volta- ma il
giovane re non avrebbe mai visto suo nipote e Argo tornò
alla sua famiglia e al
suo nuovo trono.
Fine
*°*°*°*°*°**°*°*°*°*°**°*°*°*°*°*
Dedico
questa storia a mio fratello (non è morto tranquilli!)
Ti
posso bisfrattare, insultare, farti piangere e romperti le palle, ma
solo io posso farlo. TVTB =)
Ed è anche in onore della mia contrada: Rione San Paolo di
Ferrara. L'aquila sulla ruota per sempre!
Se avete cinque minuti per lasciarmi un
commento mi farete molto felice. Grazie a tutti bye!!!
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