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Dolore,
rabbia, frustrazione, abbandono. Questo dilaga nella tua mente. Ti senti
perduto?
Sì.
Che
cosa provi? Rabbia?
Disperazione. Odio. Provo odio.
Lo odio.
Oh, so
cosa senti… Lo so. Ti capisco.
Come puoi? Mi hanno abbandonato. Erano
tutto per me. La mia famiglia… loro dove sono? Anche loro non mi cercano?
Oh, puoi
starne certo, ragazzo. Non ti cercano. Sono convinti
che tu sia morto!
NO! Come può essere? Li odio… li odio!
Sì! Sì!
Tu li odi! Tu, che li hai sempre amati con tutto te stesso.
Tu che sei sempre stato un punto di riferimento per loro… tu li odi…!
Sì.
Allora
vieni da me!
No.
No?
Come posso?
Come? Lo
sai. Alzati e incamminati verso il tuo destino. Ti istruirò
io. L’arte va tramandata da padre a figlio. Lascia che io sia tuo padre e che
tu sia il figlio che loro mi hanno tolto.
Sì.
Alzati!
Va bene.
L’uomo
si alza a fatica. Il respiro affannoso, la fronte imperlata di sudore, le
spalle scosse da tremiti di dolore e di freddo. Un freddo che lo prende
dall’interno, la consapevolezza di essere vivo, di
essere lì. Si tocca la faccia. Come può essere ancora
vivo? L’incantesimo lo ha colpito in pieno. Non era alla sua
forza più distruttiva, pensa. Sì. Un accenno di un lieve sorriso compare
sulle sue labbra. Lo ha studiato a scuola, quasi due mesi prima.
Le gambe
quasi gli cedono, gli fanno male. Quella voce, quella voce subdola dentro di
lui lo ha risvegliato dal torpore che lo aveva preso, in
quella posizione disteso, così vicina alla morte. Ed
ora lo aveva invitato a camminare. Muove un passo, poi un altro. La testa
comincia a girargli, lo prende una nausea improvvisa, si preme una mano sullo
stomaco, piegandosi su se stesso, sentendo il sapore amaro della bile sulla
lingua. Ancora scosso da violenti conati continua a
camminare in quella landa desolata. Si ferma un’ultima volta, per riprendere
fiato, appoggiando le mani sulle ginocchia. Alza la testa, socchiudendo le
palpebre nel grigiore piovigginoso che preceda l’alba.
Nella nebbia la figura incappucciata di una specie di monaco guarda verso di
lui. “Chi sei?” chiese l’uomo guardandolo. Una strana risata scuote la figura
immobile davanti a lui. “Sono la tua paura, il tuo rancore… il tuo odio! Sono
te!”. L’uomo drizza la schiena incurante degli spasmi di dolore che lo scuotono.
“Tu sarai mio padre?” chiede. Il monaco annuisce.
“Sì
figlio mio. Io sarò tuo padre. Vieni con me, lascia che ti istruisca,
che ti faccia diventare un vero re!”
“Ti
seguo… Voglio la mia vendetta!” grida l’uomo nella nebbia che li avvolge. “Mi
aiuterai?”
“Certo,
figlio mio. Gli faremo vedere che non è l’unico essere eccezionale!”
Ore
sette e trenta del mattino. Capelli rossi e occhi incredibilmente verdi fissano
occhi azzurro chiaro. La madre culla quella piccola dimostrazione d’amore.
Angelica ha ormai due anni, gli occhi del padre e i capelli ‘foglie d’autunno’
della madre. Dal salotto proviene uno schiocco secco. La donna guarda sollevata
l’orologio alla parete, che le ha relegato la madre.
Il nome di suo marito sulla lancetta si è mosso da ‘lavoro’ a ‘casa’. “Pa –
pà!” sillaba Angelica battendo le mani. “Sì!” annuisce la donna. Ormai la bambina, anche se ancora piccola ha associato lo schiocco
della materializzazione all’arrivo del padre. Ginevra Weasly si alza dal
tavolo e raggiunge il salotto. Suo marito, Harry Potter, sta appoggiando
all’attaccapanni il cappello e il mantello verde bottiglia. “Pa – pà!” grida
ancora Angelica. Harry le sorride. “Ciao piccola mia!” la prende in braccio.
L’adora. Ginny gli posa una mano sul braccio. “Bentornato amore”
“Grazie
tesoro mio” le risponde facendo sedere Angelica sul divano. La bacia con
passione, quasi non aspettasse altro. “Com’è andata
stanotte?” chiede Ginny premurosa mentre tutti e tre stanno seduti vicini sul
divano. Harry sbadiglia. “Mmm, non male. Nessuna segnalazione. Sono tempi
tranquilli!”
“Per
fortuna. Vero amore?”
“Certo,
però, nemmeno un po’ d’azione!” scherza Harry allargando le braccia. Ginny
soffoca una risata, tirandogli un pugno nelle costole. “Ehi, stavo scherzando!”
si difende lui. “Quando dovrebbe arrivare Molly?”
chiede accarezzando la guancia della moglie.
Ginny
sorrise. “Tra poco” risponde. Harry sospira. “Meno male. Ho voglia di stare con
te!”
“Non sei
stanco?” gli domanda guardandolo con curiosità. Lui
sorrise malizioso.
“Per
stare con te non sono mai stanco!” le dice prima di baciarla. Pochi secondi
dopo uno schiocco precede la materializzazione di
Molly Weasly. La donna li saluta con un sorriso.
“Buongiorno
ragazzi miei!”. La sua allegria agli occhi di Harry appare più che forzata. Il
sorriso è tirato sui denti bianchi e i lineamenti del viso non sono distesi,
gli occhi gelidi. La scomparsa di suo figlio ha gettato un’ombra di tristezza
sulla Molly di un tempo. Non è più la buona e cara Molly con i suoi pasticci e
le caramelle mou. Adesso la sua sola gioia è Angelica. Una volta a settimana la
nonna va a prendere la nipotina e la tiene con sé tutto il giorno finché la
sera o il padre o la madre vanno a riprenderla. Sua
figlia Ginny lavora come inviata alla Gazzetta del Profeta, e quel giorno non
deve lavorare. È felice per loro due. Harry è un gran bravo ragazzo, sicuro e
coscienzioso, anche se qualche volta un po’ avventato, ma in fondo è buono. Ha terminato da poco il corso per Auror e da un po’ lavora
di notte. “Ma solo fino a martedì prossimo, poi posso
tornare al mio turno normale” la informa mentre si salutano. Angelica sparisce
insieme alle sue cose da bambina agitando la mano verso il padre.
“E adesso a noi due, mia principessa!” Harry afferra per la
vita la sua Ginny, sollevandola da terra. “Harry! Ti fai male così! Ma dove le prendi tutte queste energie!” protesta ridendo la
donna mentre lui la porta nella loro camera da letto. Entrambi si tuffano sul letto, ridendo. “Da quanto non facciamo l’amore,
Gin?” chiede Harry accarezzandole la guancia. Lei sorride.
“Quasi
una settima, tesoro” risponde maliziosa. Lui le bacia il collo, affondando le
mani nei suoi capelli. “Allora dobbiamo rimediare… che ne dici?” domanda Harry
al suo orecchio. Ginny annuisce. È così che lo vuole. Pronto
a dare quello che lei è disposta a prendere.
La notte
scende silenziosa sul castello. L’uomo alla finestra tiene gli occhi socchiusi,
osservando il crepuscolo con i suoi colori nero, blu
intenso e viola. Le nuvole ormai sono sparite, dopo l’acquazzone di poco prima
e il cielo appare sgombro. Le prime stelle e la Luna
fanno capolino reclamando il proprio regno. Lui sorride a quel pensiero,
aprendo lentamente gli occhi, sospirando. Quei quattro anni lo hanno formato,
plasmato in un nuovo uomo, del tutto differente dall’altro. Non è più lui. Adesso
è capace di cose che nemmeno un Auror potrebbe. ‘Già,
un Auror’ pensa passandosi una mano sul mento. Si è fatto crescere il pizzetto,
che gli
da
un’aria di serietà e rispettabilità. I suoi studi si sono prolungati più del
previsto e questo non gli è piaciuto. Vuole adesso la sua vendetta. Vuole che colui che lo ha fatto soffrire soffra, molto. Soffra più di
quanto ha sofferto lui. Stringe i pugni, poi si volta ed esce dalla sala. Il
mantello blu notte gli aleggia intorno. Percorre un corridoio illuminato da
torce dalla fiamma azzurrina, camminando velocemente. Prova un leggero senso
d’inquietudine. Si sente sempre più vicino alla realizzazione
del suo piano e questo lo elettrizza e lo eccita. Un
spiffero d’aria fredda gli scompiglia i capelli, impigliandovisi in mezzo.
Ormai è arrivato. Apre la porta, che è già socchiusa e invitante. Sul letto una
donna bendata, con le mani legate dietro la schiena, vestita solo di una tunica
lucente trema per il freddo della notte. I capelli dai morbidi ricci castani le
scendono con grazia sul petto e le spalle, la pelle bianca è accesa di riflessi
dorati dalle candele sospese a mezz’aria. L’uomo sorride, togliendosi il
mantello e appoggiandolo all’attaccapanni. Chiude la porta. Il cigolio fa
voltare la testa della donna verso il suono. Lui prova qualcosa di indefinito, forte e invisibile. Che
sia ancora quell’amore profondo che lo legava a quella stupenda creatura?
Adesso che cos’è? Forse odio? Sorride. Ma l’odio non è la maniera più disperata
di amare? Si appoggia al letto e vi si siede. La donna
cerca di allontanarsi. “ Non fuggire Hermione, è il tuo destino” le sussurra
avvicinandosi e passandole una mano sul collo. Le muove le labbra, pronunciando
il suo nome e qualche parola. Ma lui non può sentirla.
Il suo incantesimo è forte. Hermione non può parlare. La sua voce si è spenta.
“Non avere paura. Sono molto potente Hermione. Più di quanto tu possa
immaginare”. Le preme le labbra
sulla
fronte, la sente irrigidirsi. Sa cosa verrà dopo. Un anno e mezzo prima
Hermione Granger veniva rapita dalla sua casa in
Piccadilly alle tre e quaranta del mattino da un uomo sconosciuto. Lei aveva
immediatamente capito chi era e aveva gridato, urlato, pianto. Ma non c’era stato niente da fare. Avevano fatto diecimila
chilometri ed erano atterrati sopra il castello
dell’uomo. Quella prima notte Hermione Granger era stata privata della
bacchetta, delle vesti dei babbani e della voce. Non le era permesso uscire dalla
camera. Un ometto scarno e gobbo le porta tutti i
giorni da mangiare e da bere e il solo sollievo per lei è sentir cantare gli
uccelli. Anche i suoi occhi si sono chiusi. La seconda
notte lei aveva provato a fuggire, ma il suo carceriere l’aveva scoperta e punita,
togliendole anche la vista. Il suo mondo era grigio, fatto di piccole
sensazioni di luci ed ombre, fatto di piccoli movimenti. Riesce ancora a
distinguere le forme, ma niente altro. Il suo corpo
ormai è in balia di quell’uomo, da un anno e sei mesi.
Lei trema sotto le sue mani, la sente tesa come una
corda di violino, il corpo inarcato e le labbra schiuse in un muto grido di
dolore. L’ha sempre voluta e adesso che può averla per lui è
solo diventata uno strumento. Solo questo. Quando
esce dalla camera, davanti trova il Maestro, il Monaco, anche se non è né l’uno
né l’altro. “Sei sazio, figlio mio?”
“Sì,
padre”
“Bene.
Ho una grande notizia per te. L’ora è finalmente
giunta!”. Gli occhi dell’uomo si accendono e un sorriso di trionfo gli solca le
labbra pallide. “Finalmente” mormora. Il suo Maestro sorride sotto il
cappuccio. “Ormai sei pronto per compiere il tuo e il suo destino, figlio mio.
Prendi ciò che tu non hai mai avuto. Fallo soffrire!” posa le mani sulle spalle
dell’uomo. Lui annuisce. “Non ti deluderò padre, puoi
starne certo!”
A
diecimila chilometri di distanza Harry Potter si sveglia con un tremendo
ricordo in testa e la consapevolezza di essere stato un traditore. Il sogno che
ha fatto lo ha sconvolto. La testa gira, gli occhi bruciano.
Ma come può essere la verità? Sono tre notti che ormai
fa lo stesso sogno. “Ron è ancora vivo!”
Ginny e
Angelica sono sedute al tavolo della cucina, a colazione. Quella mattina Harry
è uscito molto presto. Ginny si alza e va alla finestra. Si sente sola,
smarrita. Da un paio di giorni suo marito è sempre teso, distaccato, quasi
insofferente alle sue dimostrazioni d’affetto. Ogni volta che
prova a parlargli lui le volta la schiena, dicendole che le dirà tutto.
‘Quanti segreti, amore mio’ pensa la donna chiudendo
gli occhi. Passano vari minuti. Uno schiocco improvviso la fa tremare e voltare
di scatto. Nella cucina non c’è nessuno, solo lei e Angelica. “Stai qui tesoro”
dice alla bambina. va in salotto. Con un grido rauco
si ferma sulla porta. Davanti a lei un uomo, alto, imponente,
vestito di una lunga tunica bianca bordata d’oro che rifulge alla tenue luce
delle candele. Il suo volto è coperto dal cappuccio
del mantello, la donna non può riconoscerlo. “Chi sei?” chiede Ginny.
L’uomo ride. Una risata fredda e acuta che la fa tremare.
L’uomo alza una mano. “Mi conosci piccola Ginny” le risponde con voce profonda.
Ginny non riesce a capire. “Chi sei?” ripete. “Togliti di torno, Ginny, non sei
tu che voglio!” ordina l’uomo. Ginny riesce a voltarsi e a correre da Angelica.
La prende in braccio e la stringe a sé. “Vattene!” grida sull’orlo delle
lacrime. L’uomo ride di nuovo. “Non posso mia piccola Ginny,
devo compiere un lavoro. Spostati da lei, altrimenti mi vedrò costretto
a prendervi entrambe”. Ginny stringe più forte a sé la figlia, che intanto si è
messa a piangere, con singhiozzi lunghi e strazianti. “Mia figlia non… va da
nessuna parte!” strilla Ginny spalancando i grandi occhi azzurri. L’uomo ha un
fremito. Poi annuisce. “D’accordo, Ginny, mia cara. Vorrà dire che l’uomo che ti
ha così circuita soffrirà due volte… meglio di quanto
pensassi!” afferma l’uomo sollevando la bacchetta. Ginny si stringe contro la
parete, gridando. “Imperio!” grida l’uomo. Un ultimo grido, poi la coscienza e
la consapevolezza di Ginevra Weasly e Angelica Potter vengono meno. Ed entrambe
cadono in un oblio di obbedienza.
Ad
alcuni chilometri di distanza Harry Potter si asciuga il sudore dalla fronte,
contento che il suo turno sia quasi finito. Si guarda attorno, consapevole che
dovrà usare un bel po’ di incantesimi della memoria
per impedire che gli abitanti di quel tranquillo paesino a nord del
Lanchanshire non ricordino ciò che hanno visto. Non è sempre possibile poter
vedere un ragazzino che vola e un cane che cambia colore come un semaforo, con
la sola differenza che i colori variano dal viola melanzana
al rosso sangue al color senape. Adesso il bulldog è ritornato del color
nocciola e bianco originale e il bambino che volava è ben zavorrato da una
tavoletta di finissimo cioccolato di Mielandia. Harry sorride. Ecco perché ama
il suo lavoro, anche se come Auror si era aspettato un ben diverso compito, ma
non si dimentica facilmente la sensazione di benessere che gli procura stare in
mezzo alla gente e vedere i sorrisi dei bambini o il pianto di felicità di una
madre. All’improvviso mentre guarda la madre che accarezza il bambino ‘volante’
sente una fitta all’altezza del cuore. Un dolore sordo gli invade il petto,
diffondendosi nella sua testa e nelle sue viscere. Sente il sapore amaro della
bile sulla lingua, uno spasmo alla bocca dello stomaco. Si piega su se stesso
con un gemito e cade in ginocchio sull’asfalto, scosso dai conati. Un altro
Auror, Steve Granhag, accorre. “Harry! Harry cos’hai?”
grida preoccupato. Ma Harry non lo sente. Sente colo
un fischio acuto nelle orecchie, la sensazione di qualcosa di
orrendo e pericoloso. Tra un conato e l’altro riesce a rimettersi in
piedi, con l’aiuto di Steve. Ad un tratto tutto cessa, il fischio si spenge, il
dolore al cuore si placa, lo stomaco ritrova il suo equilibrio
ed Harry può finalmente parlare. Ancora boccheggiante guarda Steve negli occhi
color cioccolato. Quelli color verde speranza sono
adesso velati da un dolore ben più grande di quello fisico. Steve ormai conosce
quegli attacchi di panico che invadono Harry, anche se di rado, in quel periodo
sempre più frequentemente. “Sta accadendo qualcosa, Steve, qualcosa di orribile” sussurra Harry premendosi le mani sulle tempie.
Steve gli posa una mano sulla spalla. “A chi?”
“È proprio questo il punto, non ne ho idea. Non lo so, io… non lo so” confessa Harry sedendosi sul marciapiede.
Steve si accoccola accanto a lui. “ Mi hai sempre detto di essere legato a tua
moglie molto più di semplice legame empatico…” propone
Steve passandosi una mano sui folti baffi castani. Harry lo guarda.
“Stai
dicendo che è accaduto qualcosa a Ginny?” gli chiede cedendo per un attimo al
panico. Steve scrolla le spalle. “Non lo so Harry, so solo che l’ultima volta
che ti è preso uno di questi attacchi Ginny veniva
ferita in Central Park da uno psicopatico. Non lo so,
potrebbe essere un messaggio d’aiuto”. Harry lo guarda inorridito. ‘Non
hai tutti i torti Steve’ pensa suo malgrado.
“Forse
hai ragione… ma…”
“Và pure
Harry, il tuo turno è quasi finito, posso sbrigare io le faccende burocratiche
per te, questa volta! Basta solo che la prossima settimana tu, Ginny e Angelica
onoriate me e Lenore di una cena…” Steve gli fa l’occhiolino alzandosi e
battendogli una mano sulla spalla. Harry sorride, un po’ tranquillizzato e si
mette a correre verso un vicolo cieco.
Steve lo
guarda correre e pensa che quando Harry arriverà a casa sarà già troppo tardi.
Sorride sotto baffi castani. ‘Ma quanto sei stupido,
Harry?’ pensa scuotendo la testa. ‘Non ti sei ancora accorto che i tuoi
attacchi non sono dovuti solo al legame che unisce te
e la tua splendida moglie? No, non solo quelli, piccolo traditore! Tra poco
saprai la verità, il mio buon amico il Re te la
spiegherà e… oh, allora sì che soffrirai!’ Mentre si appresta a svolgere le
funzioni burocratiche Steve ride. Una risata lunga, penetrante, fredda che non
può arrivare alle orecchie di Harry Potter, perché lui, ormai, è nella
disperazione più totale e non sente niente. Solo un enorme, freddo vuoto.
Harry si
accascia sul divano del soggiorno. In mano tiene un biglietto scritto con
grafia leggera e inchiostro verde. “Castello di Aragona,
Terra del Fuoco. Sai chi ti manca. Il Re” legge aprendo
appena le labbra. ‘Il Re. Chi è il Re?’ Si
chiede Harry con la testa fra le mani. Stenta a credere che la sua Ginny e la
sua Angelica siano state rapite da uno sconosciuto. Si
sfrega le mani intirizzite dalla paura. ‘Steve aveva
ragione. Ma forse, è proprio lui chi cerco!’ pensa
Harry alzandosi. Butta il mantello giallo senape sul letto e si avvolge attorno quello verde bottiglia a lui più congeniale. Guarda
per un’ultima volta il suo salotto, quasi aspettando di vedere materializzarsi
Ginny e Angelica, da nulla, dicendogli che Angelica è solo inciampata ai
giardinetti. Ma non succede nulla per cinque interminabili
minuti. Alla fine, con un sospiro Harry è pronto ad affrontare tutto ciò che il
destino gli riserverà.
Al
Castello di Aragona il Monaco e il suo discepolo
stanno seduti comodamente su due poltrone. Il discepolo regge nelle mani un’antica
pergamena, contenente un indizio davvero prezioso.
Nella carne del nemico si
nasconde il grigio auspicio,
nella carne della donna sempre avrai contenta somma,
nella carne del protetto presto avrai maggior diletto.
Nel sangue che sgorga feroce,
quando tolta avrai la voce,
nelle vene del serpente tu sarai maggior sapiente,
nella sala di tortura, certo loro avran paura.
Giace immota nella sera, di
nemico grossa fiera,
spada prendi di pari filo, di donna vera e antico Nilo,
Dalla potenza tua senza uguali,
presto avrai preziosi segnali,
porta a termine l’impresa, senza perdere l’intesa,
col tuo caro buon Maestro, che di te ha un gran rispetto,
chiedi al fato gran portento, e sarai di cuor contento.
Ma adesso un monito, ecco arriva,
cova odio la breve vita,
uomo di pensieri fatto, presto raggiunto dal contatto,
grande inganno, grande sbaglio, del poter è maggior guadagno!
Le
labbra del discepolo si contorcono in un lieve sorriso di trionfo. Poggia la
pergamena su un tavolinetto davanti alla poltrona e si alza. Il Monaco
accavalla le gambe, unisce le dita a piramide e prende a parlare. La sua voce
ha un timbro sereno. “Sei stato bravo, figlio mio, hai fatto ciò che ti avevo
chiesto. Presto lui arriverà e dovrai riceverlo con tutti gli onori… sei certo
di poterlo fare?”
“Non ti
deluderò, padre. Saprò tenergli testa”
“Rammenta
il monito, figlio mio. Non farti toccare dalla sua purezza ed
innocenza. Il suo cuore batte di vergogna e tradimento, non
dimenticarlo!”
“Non lo
dimenticherò”
Il
discepolo esce con passo sicuro e tranquillo dalla stanza. Il suo mantello gli
aleggia intorno. Si è tolto il cappuccio, e adesso per il suo nemico sarà
facile capire. Ancora sulle labbra quel sorriso, quel piccolo
cenno di trionfo. D’un tratto decide di
rimettersi il cappuccio. “Harry dovrà capire più avanti…” sussurra tra sé e sé.
Apre una porta, scolpita nella pietra, ed entra in una stanza circolare, ampia
e illuminata soltanto da torce. Al centro della sala un tavolo, e disposte alle
pareti sedie in legno. Tre di queste sono occupate.
Due donne e una bambina. Ognuna di loro ha a che fare con lui. Le guarda
girando lo sguardo, sorridendo amaramente. Si avvicina alla prima. Lei lo
guarda con gli enormi occhi cioccolato, pieni di dolore, sofferenza. Le braccia
sono legate ai braccioli della sedia. Ai polsi i segni rossi
delle corde. Il discepolo si abbassa su di lei, le poggia un mano sul collo, accarezzandole la pelle. La donna ormai
non pensa più a niente. Chiude gli occhi e prega che la sua sofferenza smetta.
Il discepolo le bacia le labbra. “Mi dispiace che fra noi sia finita così, mia
piccola Hermione…” ammette l’uomo guardandola con un vago lampo di compassione
negli occhi. L’altra donna lo guarda inorridita. Adesso sa chi è. L’incantesimo
che la fa restare in silenzio non le impedisce di
pensare. L’uomo si china su di lei. “Mia piccola Ginny… quanto tempo è passato
dall’ultima volta che ci siamo visti… quattro anni. Adesso sì che potrò avere
la mia vendetta!” le dice accarezzandole la guancia. Lei volta il viso
dall’altra parte, mentre le lacrime le inondano le guance. Lui le prende il
mento e si fa guardare negli occhi. “Non piangere, sorellina, tra poco sarà
tutto finito” osserva attentamente quei grandi occhi azzurri velati di pianto e
rivede i suoi. Qualcosa si smuove dentro di lui, ma non sa bene se è odio o
compassione. Distoglie lo sguardo che va a posarsi sulla bambina. Sua nipote. La figlia di chi l’ha tradito. Le va vicino e le preme una
mano sui capelli. La bambina piange disperatamente, senza rendersi conto di ciò
che sta succedendo. La sua voce è spenta come quella delle altre due donne, ma
questo per lei non ha importanza. Non capisce di essere in trappola. Il
discepolo si china su di lei.
“NON
TOCCARLA!” un ordine perentorio, una voce profonda, una voce conosciuta.
Il
discepolo rimane immobile. “Spostati da lei. Non so chi tu sia,
ma non le torcerai un capello!” Harry Potter è arrivato prima del previsto.
Adesso il discepolo si volta, il mantello bianco striscia sulla pietra levigata
della sala e gli occhi ghiacciati si fermano in quelli verdi dell’uomo che gli
sta di fronte e che gli punta la bacchetta contro. Harry non riesce a
riconoscerlo da sotto il mantello. Ma adesso sa che
forse il suo sogno è diventato realtà.
“Bene,
bene, bene” mormora il discepolo drizzando le spalle “Allora
hai fatto prima del previsto, Harry. Non me lo sarei aspettato…”
“Dimmi
chi sei!”
“Ma tu lo sai chi sono!” grida il discepolo strappando il cappuccio.
Per un momento Harry sente le forze venirgli meno. Ha sperato con tutto il suo
cuore che i suoi occhi si ingannassero, ma non è così.
Occhi azzurri freddi come il ghiaccio, pizzetto rosso, viso
fino e un cespuglio di lisci capelli rossi. Gli occhi di Harry si
riempiono di lacrime che presto cominciano a scorrere sulle guance. Abbassa la
bacchetta, ma non riesce a staccare gli occhi da quelli azzurri che gli stanno
di fronte. L’uomo che lui credeva morto adesso è in piedi davanti a lui, vivo e
vegeto.
Ronald
Weasly è il Re. Colui che ha rapito sua figlia e sua
moglie. Colui che ha rapito Hermione Granger più di un
anno e mezzo prima.
“Perché Ron?” chiede Harry appoggiandosi allo stipite della
porta. Ron ride, forte, tanto che le pareti paiono tremare.
“Proprio
tu mi chiedi perché?” dice posando le mani sui fianchi. “Proprio tu, Harry? Tu
che avevi sempre le risposte alle mie domande? Tu che eri il
perfetto, il bambino sopravvissuto?”
“Sai che
non l’ho mai voluto veramente!” si difende Harry.
“Certo
che lo volevi! La fama, la gloria, l’amore, il denaro, la famiglia! Tutte cose
che io non ho mai avuto! Tutte cose che ho dovuto prendere
con la forza, tutte cose che TU e tutti quelli che ti seguivano mi hanno tolto
ancora prima che potessi ottenerle. Io mi meritavo tutto quello che tu
ti sei preso! Hai avuto il merito di aver battuto l’Oscuro, di aver cercato di
salvare il tuo ‘amico’. Ti sei portato a letto mia sorella!” Ron indica Ginny
che sta seduta e piange di fronte a quella scena di terrore e odio “Ti sei
preso tutto quello che era mio! Ed anche la fiducia
Hermione! Lei doveva essere mia, solo e soltanto mia! E
adesso, tu non puoi fare niente per salvare le tue tre donne. Harry rifletti!”
urla Ron sopraffatto dall’odio e dal dolore. Harry non riusciva a credere a ciò
che stava sentendo. Ma il Re non ha ancora finito.
“Adesso
sono più potente di te, Harry, più potente di
qualsiasi altro Auror in tutto il mondo! Non mi lascerò sfuggire il piacere di vederti morire sotto i miei colpi! Adesso non
c’è Silente, o il buon Ron ad aiutarti, Harry. Adesso il buon Ronald, l’inetto
Ronald, lo sciocco Ronald, è il più potente mago del suo tempo! E tu, non puoi farci assolutamente niente!”
“Perché Ron? Perché mi fai questo?
Abbiamo sconfitto Voldemort insieme. Quante volte abbiamo combattuto insieme,
io, te e Hermione? Quante volte mi sono trovato in pericolo e tu sei accorso ad
aiutarmi? Quante? Ti prego Ron cerca di ragionare!”
“Ragionare?
Io dovrei ragionare Harry? No! Sei tu quello che deve ragionare! Apri gli occhi Harry, questo è il giorno della tua morte!”
Ron impugna la bacchetta.
“Ron ti
prego! È me che vuoi, ma lascia andare Hermione, Ginny
e Angelica, ti prego loro non c’entrano!”
“Hai ragione, Angelica non c’entra niente con te. Sarà lei ad
essere mia figlia. Quella che tanto volevo, quella che non
potrò mai avere. Guardala per un’ultima volta Harry. Lei sarà mia!”
“No!
Piuttosto uccidila!” Harry è in preda ad un cieca follia.
I suoi occhi velati sono fissi sopra a quelli di Ron che brandisce la bacchetta
come una spada. D’un tratto nel ghiaccio appare una
scintilla di stupore.
“Tu
uccideresti tua figlia?”
“La
ucciderei perché non possa diventare come te!” risponde Harry sopraffatto dal
dolore. Ron si ferma. Sbircia la bambina che piange ancora disperata. Ha gli
stessi capelli della madre, gli occhi incredibilmente verdi del padre. Prega
perché il Maestro gli dia la forza di pronunciare l’incantesimo. I suoi occhi
tornano di nuovo a fissare quelli di Harry. Non si è mosso,
rimane immobile a guardarlo. Gli occhi dell’uomo sono velati di agonia. Per un attimo Ronald Weasly ritorna con la mente
a quasi sei anni prima, quando Harry riversò loro addosso
tutto il suo dolore e i suoi rimpianti per la perdita di Sirius. Rivede
quegli stessi occhi, quello stesso viso, rigato dalle lacrime, quello stesso
ragazzo, con il respiro affannato dai singhiozzi, le spalle tremanti.
“Tu sei
speciale, Ron, tu sei buono” sussurra Harry. “Non faresti mai del male”
Non dargli ascolto, figlio mio!, la voce del suo Maestro gli
rimbomba nelle orecchie; Ricorda
l’avvertimento della pergamena!, continua. Ron non sa più cosa fare. È
bastato rivedere quegli occhi velati di pianto e terrore che il suo odio per
lui ha cominciato a vacillare. ‘Lui ha sempre cercato
di proteggermi…’ pensa. Alza il mento con fermezza. ‘Non
posso tornare indietro, non posso.’ Ron alza la bacchetta. Vede comparire una
scintilla di rassegnazione negli occhi di Harry Potter. Anche
lui alza la bacchetta. ‘Che cosa succederà adesso?’
pensa Harry. Non può credere che Ronald Weasly, il buon Ronald, colui che non farebbe mai male ad una mosca possa ucciderlo.
Ma evidentemente, qualcosa si è scosso dentro di lui,
qualcosa di terribile e profondo. Come il mare dei suoi occhi. Adesso smeraldo
e diamante si incontrano. Entrambi mormorano
incantesimi, incapaci di urlare. Fiotti di luce scaturiscono dalle bacchette
alzate. Entrambi cadono a terra. La battaglia è finita
e chi ne è il vincitore o il vinto?
Harry
Potter apre gli occhi. Una cascata di lucine dorate
gli danza davanti agli occhi, rendendolo per un attimo cieco. Cerca la sua
bacchetta e se la trova ancora in mano. È disteso sul pavimento, le braccia
allargate e i vestiti strappati. Ma è ancora vivo. Il
suo pensiero va a Ron. Che cosa ne è di lui? Si alza
lentamente a sedere. La testa gli scoppia di un dolore insopportabile. Si porta
una mano alla nuca e sente il calore del sangue da una ferita provocata dalla
caduta sul pavimento. Davanti a sé, vede il corpo di Ron disteso sulla nuda
roccia. Con sollievo vede che il torace si alza e abbassa, lievemente. Ciò
significa che Ron è ancora vivo. Striscia fino a lui, mettendosi al suo fianco.
L’uomo tiene gli occhi chiusi. Una ferita profonda incide il suo petto. Harry
inorridisce. Gli incantesimi si sono incontrati a mezz’aria e sono rimbalzati
sui propri fattori. ‘Sono stato fortunato…’ pensa
Harry prendendo la testa di Ron e sollevandola da terra. Sente il sangue
scorrere sulle dita. “Ron…” sussurra con le guance rigate dalle lacrime. L’uomo
apre gli occhi, velati. Volta lo sguardo su Harry. “Harry… cosa ti ho fatto?”
chiede mentre una lacrima solitaria gli riga il volto, fermandosi vibrante sul
mento. Harry lo guarda e un piccolo, dolce sorriso, affiora sulle sue labbra.
“Non devi pensare a cosa è stato, Ron. Amico mio. Quanto hai
sofferto…”
“Morirò…
lo so…” Ron tossì forte, con la voce che diventava via via
un sussurro rauco. Harry scuote la testa. “Non devi dirlo nemmeno per scherzo,
Ron!” mormora. L’uomo sorride appena. “Porta… Ginny… tua figlia… la mia…
Hermione. Non farle… morire. Harry…” la sua voce si blocca. Poi,
come per uno scherzo del destino sembra riacquistare forza. “Ti voglio
bene”. Harry lo vede spengersi tra le sue braccia. Gli occhi che si chiudono
per sempre sembrano ancora più azzurri e ancora più belli e più grandi. Niente
può descrivere i sentimenti che si provano a vedere il migliore amico
addormentarsi e sapere che per lui non ci sarà un’altra alba a rischiarare i
suoi occhi.