Grace

di beesp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Introduzione – Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


La seguente storia è stata ispirata dal video dei My Chemical Romance “SING” seguito di “Na Na Na”. È da premettere che il nuovo album dei My Chemical Romance - “Danger Days: The True Lives Of Fabulous Killjoys” - è un concept album. L’idea di fondo è quella che forma anche il fumetto che Gerard Way, il cantante dei My Chemical Romance, sta preparando e che sarà pubblicato con la Dark Horse. Ancora non è ben chiaro di cosa parli il fumetto o l’album. Parte della storia “Grace” è tratto dalle congetture che è possibile fare dai vari video che sono stati postati in merito, altro è frutto della mia fantasia.
Aggiungo, infine, che i personaggi citati nei video dei My Chem non mi appartengono, né i My Chemical Romance; i fatti per lo più sono di mia invenzione, e lo slash che viene inserito non è necessariamente reale. Non scrivo a scopo di lucro – e bla bla. Parte dei personaggi sono di mia invenzione. Ecco tutto. Spero soltanto che qualcuno legga.




Grace



Introduzione.


È soltanto una questione di principio. C’è sempre qualcosa per cui valga la pena comportarsi in modo stupido e incosciente, che non si può abbandonare. I Killjoys non desideravano affidarsi nelle mani della Better Living. Ma era un prezzo che erano disposti a pagare per …

era di Girl che si parlava. Non un bambino qualsasi – che comunque avrebbero fatto in modo di salvare – Girl.
Il primo a risollevare gli umori fu Fun Ghoul. Aveva appena chiuso una comunicazione via radio trasmittente – non era chiaro con chi avesse parlato – e aveva tutta l’aria del “mi sembra abbastanza chiaro, non ho voglia di spiegare adesso”.
Ma ovviamente i Killjoys non avevano neanche idea di quale fosse l’argomento in questione; Party Poison era impegnato a digrignare i denti con le mani alle tempie e i gomiti sul tavolo, una bottiglia di vetro rotta di fronte a lui, Jet Star lucidava la pistola laser, corrucciato e preoccupato, Kobra Kid aspettava –
e basta – guardando l’orologio di tanto in tanto e sgranchendo le dita delle mani. “L’abbiamo abbandonata!” Sbuffò, per l’ennesima volta.
Lo sapevano tutti che la Better Living li voleva nella sede di Battery City tutti, al completo. E soltanto quella domanda tormentava le loro teste: “
quando ci muoviamo?”.
Allora, vi sbrigate?”. Ordinò Fun Ghoul; alzarono lo sguardo verso di lui.
Girl non c’entrava niente, era un’esca. Ma non potevano sacrificarla.
Un bicchiere tremò al pugno sulla superficie lignea: Party Poison si sentiva un verme. Più del solito.

Andiamo a riprenderci Girl, Poison; alza il culo da quella sedia e smettila di tormentarti”.
I tre seguirono Fun Ghoul: sarebbero entrati nella Better Living, l’effetto sorpresa, per quanto potessero usufruirne, li avrebbe aiutati in qualche modo. O quella dose di fortuna che non poteva proprio abbandonarli in quel momento, non dopo che avevano combattuto infinite volte nel deserto perdendo soltanto un paio di compagni del fronte di ribellione, non quando c’era di mezzo la vita di Girl, o di qualsiasi altro bambino educato tra i ribelli.
Girl sembrava che sarebbe stata scelta per guidare quei bambini. Per qualche strano fenomeno che l’organizzatore delle azioni di Battery City – quando sarebbero tornati al quartiere li avrebbe quantomeno linciati e urlato contro di loro pubblicamente, umiliandoli: non ci si poteva muovere senza la sua autorizzazione, perché lui aveva combattuto, prima, quando le guerre erano all’ordine del giorno e le persone non avevano perso le speranze, che ora si limitavano a plastica e metallo – teneva segreto riguardo la sua nascita misteriosa.
Sapevano soltanto che era comparsa una bambina di pochi giorni al quartiere, che era stata affidata ai Killjoys e che soltanto l’Organizzatore conosceva le sue origini.
Almeno li avrebbe ringraziati, quando la pressione sarebbe scesa e si fosse calmato un po’.

Un furgone partirà dieci minuti dopo di noi dalla base …”. Non c’era bisogno di domandare “Perché?”. Lo sapevano che avrebbero rischiato la vita là dentro; c’era un numero sproporzionato di nemici, era la loro “base”, il luogo che conoscevano meglio, sarebbero stati in vantaggio – anche se i Killjoys potevano essere orgogliosi di non aver quasi mai perso durante le battaglie contro la Better Living – le loro risorse d’armi e braccia sembravano infinite. I Killjoys erano quattro e insostituibili.
Dalla base alla Better Living erano circa cinque miglia, in auto sarebbero arrivati in dieci minuti; avevano deciso di allertare una base di cui conoscevano qualche componente che si trovava nelle vicinanze dell’Azienda.
Alla Better Living si producevano vite perfette. Era nata nel 2010, poco prima della “fine” del mondo. Non era ben chiaro cosa fosse accaduto nel Dicembre 2012, si supponeva un incidente premeditato che aveva a che fare con i governi, affari internazionali iper-segreti e fascicoli bruciati da qualsiasi cosa avesse distrutto l’Italia e la Spagna, la Grecia, il Bangladesh, New Orleans, Afghanistan, Nepal, e molti altri paesi e città considerate sottosviluppate. Nel febbraio del 2013 si scoprì che l’unica azienda rimasta era la Better Living che, da quel momento, con i fili della sua ragnatela estesi in ogni continente, senza che nessuno se ne fosse accorto, avrebbe curato gli interessi dell’intero pianeta con le sue diverse basi. Ogni essere umano dall’Ottobre di quell’anno fu incuriosito dalla pubblicità della Better Living: prometteva una vita migliore, senza dolore, soltanto sorrisi, una promessa di lavoro nella compagnia, e la sicurezza di uno stipendio, di vitto e di alloggio. I trattamenti erano gratuiti. In moltissimi vi si recarono. Quando i parenti si accorsero delle ripercussioni – perdita d’ogni ricordo ed emozione, nessuna necessità di viveri e insensibilità al dolore o ai cambiamenti atmosferici – un gruppo di uomini e donne in Germania si recarono all’Azienda di Berlino per domandare spiegazioni. Furono massacrati, così testimoniarono quelli che li attesero all’esterno, fuggendo. Da quel giorno, diffusasi la notizia del motivo a cui servivano nuovi adepti della setta della Better Living, i Tedeschi si spostarono negli Stati Uniti dove la presenza della BL – come in Italia, che nonostante fosse stata rasa al suolo, era ancora popolata da gruppi di uomini che si ostinavano a non abbandonarsi alle cure dell’Azienda – era minormente diffusa. Tra questi giunse l’Organizzatore, un omaccione che aveva partecipato a guerre in Iraq e in Afghanistan e aveva visto qualsiasi scempio potesse l’uomo concepire; eppure, nel fondo dei suoi occhi, si scorgeva il dolore della perdita, il dolore di aver vissuto quel male che soltanto l’essere umano, da sempre, è in grado di procurare ai suoi simili. Avrebbe desiderato la pace, diceva sempre, una volta nella sua esistenza. Quando finalmente era stato congedato dall’esercito, all’età di quarant’anni, aveva sperato che sarebbe riuscito a vivere, finalmente. E invece esattamente tre mesi dopo il mondo aveva deciso di finire, semplicemente, così come era iniziato.
Tutto era stato stravolto.
Poi uno dei suoi amici era stato coinvolto nella strage in Germania, e lui era scappato nel vecchio New Jersey, a Battery City, dove aveva fondato uno dei fronti più attivi degli Stati Uniti poiché l’oppressione della BL era maggiormente presente, come invece non accadeva a New York – luogo di contrabbando e informazioni top-secret, completamente sotto il controllo dei ribelli – facendosi chiamare Erko. Per i primi tempi fu lui a istruire i “cadetti” di Battery City, fin quando non brillarono i Killjoys.
Si trovarono, come previsto, di fronte il tunnel che li avrebbe condotti ai posti di blocco; Party Poison, alla guida, accelerò: “Tenetevi forte”.
Jet Star mormorò qualcosa come “Manie di protagonismo anche nei momenti più critici”, scuotendo la testa, mentre Fun Ghoul ghignava spudoratamente. Era di gran lunga preferibile vederlo in azione Party Poison, che mezzo morto su una sedia.
Lui e Girl avevano sempre avuto un rapporto molto particolare: continuava a ripetere che quando sarebbe diventata abbastanza grande, l’avrebbe sposato perché era la persona più speciale, anche se “
Poison voleva bene solo a Fun Ghoul”. Poison non aveva occhi che per lei, da quando gli avevano raccontato che c’era un nuovo arrivo tra i bambini – lui era un ventenne con poca autostima, impaurito e rabbioso per la scomparsa dei suoi genitori – ed era una neonata. Quando l’aveva vista nella culla aveva capito che non l’avrebbe più abbandonata. Si fiondò subito nell’ufficio di Erko, e lo supplicò per circa tre quarti d’ora di affidargli la bimba.
Non se ne parla nemmeno! Sei uno dei Killjoys, devi migliorare, non puoi prenderti cura di lei”.
Io devo!”.
No, Party Poison, è un ordine, non ti devi avvicinare a lei”.
Allora me ne andrò da qui!”.
Erko aveva già abbastanza problemi senza doversi occupare delle lagne di un marmocchio depresso – di certo lui non doveva assicurarsi che la cena fosse in abbondanza per le centinaia di uomini, donne e bambini che abitavano la base. “La concentrazione deve essere dedicata tutta all’adde-”.

LO SO QUESTO! Per me è importante combattere contro di loro! Contro la BL! Hanno ucciso i miei genitori, e quelli di tutti i miei amici e le persone che sono diventate la mia nuova famiglia: mentre noi parliamo rischiano il culo fuori da questo ufficio per sopravvivere e per creare un mondo nuovo! Lo so quali sono le priorità! Ma io voglio che lei abbia una famiglia, sin da subito, e che non ci si debba mai separare. Se davvero sono il migliore assieme ai KJs, allora non morirò e non ci dovremo mai dire ‘addio’ …”.
Tanto stupido e immaturo non era Party Poison, che aveva affrontato le difficoltà di qualsiasi ragazzo dell’epoca ed era uno dei numerosi orfani che avevano dovuto vivere settimane – o nei casi più sfortunati mesi – in solitudine, da animali in cattività, prima di trovare una base che li accogliesse. In molti tra i ribelli non osavano accudire nuovi bambini, poiché non ce n’era il tempo né bastavano le risorse per sfamarli. Party Poison era stato trovato in stato confusionale, affamato e disidratato, nel deserto di Battery City assieme a suo fratello (accovacciato accanto a lui, stordito e in lacrime) dall’uomo che poi si sarebbe preso cura di loro: Erko.

E sia”.
Come aveva assicurato, Party Poison riusciva a badare a Girl nella casetta dei Killjoys e di Erko, dove la governante che aveva cresciuto anche i quattro si assicurava che la piccola avesse tutto ciò di cui necessitava; anche se per lo più era Party Poison a obbligare chiunque a designarlo come tutore di Girl. All’inizio Fun Ghoul era stato geloso delle attenzioni che gli erano state negate, ma poi si rese conto che Party Poison desiderava semplicemente che avesse quello che a loro era stato negato, e si adoperò insieme a lui e gli altri per donarle una vera e propria famiglia. Un po’ numerosa, rumorosa e spesso assente per via delle missioni, ma una famiglia su cui poteva contare e in cui credere e affidare ogni desiderio celato, ogni segreto.
Era comprensibile che si abbattesse, ma non era il modo giusto Killjoys di affrontare la situazione: dovevano prendere quell’auto e guidarla come degli incoscienti fino alla Better Living, spaccare i culi di quelle merde, e ritornare trionfanti alla base, con una Girl felice.
C’era inquietudine e tensione nei corpi di tutti e quattro; certo, una volta avevano assalito la BL, ma un gruppo aveva creato un diversivo a trenta chilometri da lì, metà del personale era assente, poterono salvare un centinaio di persone – quelle che trovarono vive – e uccidere uomini sul loro cammino.
Al posto di blocco i guardiani alzarono lo sguardo giusto un attimo prima che raggi laser li colpissero; la Killjoys-mobile, un ragno nero disegnato sul cofano, infranse in mille pezzi la barra di legno e si avviarono verso il portone.
Uno dei due, allo stremo delle forze, premette un pulsante. Ma i Killjoys non avevano il tempo di fermarlo o di chiedersi cosa avesse azionato.

Dall’alto del suo studio il Dirigente della Better Living di Battery City, Aiko Sabouro osservava attraverso gli schermi collegati alle videocamere dell’intero quartiere generale l’avanzare dei Killjoys. Erano conosciuti nella regione – e nell’intero ex-continente Americano – come dei valorosi ribelli. Eppure, dall’alto di donna di mondo qual era Aiko, si accorgeva di come si stessero avvicinando alla morte e ancora non avessero compreso, come tutti gli esseri umani, quale fosse il vero lavoro della Better Living, cosa producesse realmente.
Il Capo, colui che aveva fondato la prima azienda a Tokyo, aveva scoperto le proprietà della pietra che aveva denominato “Grace” in onore della defunta moglie, aveva deciso che fosse arrivato il momento per un Pianeta migliore, per una vita felice e priva di sofferenze o emozioni e sensazioni violente, che distraessero dai reali intenti umani. Eppure aveva scelto alla direzione delle varie basi donne e uomini non tramutati in robot, più capaci di ragionare al di fuori degli schemi che imponeva la Better Living – a volte era necessario ignorare delle regole, quando proprio si doveva agire in fretta.
L’America e l’Italia erano sempre state le più difficili da combattere. Quegli stolti dei Killjoys erano cascati nella trappola: avevano guidato fino all’Azienda, ma non sarebbero riusciti a salvare la bambina, e né sarebbero ritornati alla loro tanto amata base-casa.
Proprio non comprendevano quei ribelli che avrebbero perso la guerra. Aiko era una donna di successo, una delle migliori, una dei pochi prescelti a governare la difficile situazione negli Stati Uniti, ma non riusciva a capire per quale motivo il capo si ostinasse a non ignorare quegli insulsi e arretrati uomini.
Lo ricordava perfettamente cos’era successo: anche lei aveva perso i suoi genitori. Il Capo l’aveva trovata tra le strade di Tokyo prima che iniziasse a piovere quel liquido acido – il Metallo, il ricchissimo metallo Grace – salvandola da morte certa, inserendola tra gli allievi dei corsi dell’Accademia per esseri umani della Better Living e scoprendo, con piacere, di aver trovato un ottimo elemento. Aveva cominciato a usufruire dei benefici delle pillole di Grace impoverito che aiutavano a isolare cervello e cuore, e permettevano di evitare le emozioni.
Quella melodrammaticità che si ostinavano ad adottare, il loro farsi trascinare dalle passioni … anticipavano la loro morte. Insetti schiacciati. E la piccola Girl, così diceva di chiamarsi, non appariva del tutto inutile. Avrebbe potuto studiare all’Accademia. Mentre giocherellava con un pallone blu, Aiko le strappò un capello dalla testa e lo infilò in una bustina da laboratorio: lo avrebbero esaminato e si sarebbero assicurati che fosse stata sana, prima di deportarla a Tokyo, dove sarebbe stata sottoposta a ulteriori analisi. Se le avesse superate, sarebbe stata ammessa.

Stanno per entrare, signorina Sabouro”.
Fate che non trovino troppi ostacoli, Korse sarà la ciliegina sulla torta”.

Le porte erano spalancate. Quattro uomini armati comparvero, due nascosti dietro bassi muretti bianchi – tutto era bianco lì dentro – i Killjoys spararono senza timore: immaginavano che vi fosse qualche trucco, si sarebbero aspettati di trovare come primo avversario Korse. Ma di lui non c’era traccia. Il loro rivale era chissà in quale ala del palazzo. Oltrepassarono i corpi degli uomini e si avviarono lungo i corridoi: conoscevano la planimetria a memoria, era stata una delle prime lezioni che avevano imparato. “I palazzi della Better Living sono tutti uguali e il come sono strutturati non è un segreto. Soltanto una stanza è impossibile da trovare, ed è quella della Direzione”.
Oltrepassarono ancora altre guardie, lasciandole stese al suolo. Non era divertente o piacevole uccidere, ma si erano abituati all’idea, ormai, che per sopravvivere in quel luogo distrutto e perverso si doveva obbligatoriamente impugnare la pistola laser e proteggersi con ogni forza.
Passo svelto; Girl doveva essere salvata. Parlavano poco,
agivano. Funzionava in quel modo assurdo. “Girl sarà salva”, si costringeva a credere Party Poison. “non può andare diversamente: fosse l’ultima mia impresa”.
E Fun Ghoul, suo fratello e Jet Star dovevano tornare. Alla base avevano bisogno di loro: erano talentuosi e avrebbero potuto ricostruirsi una vita. In particolare Fun Ghoul. Insomma, dopotutto la loro era solo un rapporto frivolo, per trascorrere il tempo, erano come fratelli, avevano bisogno di scrollarsi di dosso la tensione in qualche modo. “
No?”.
Kobra Kid aveva smesso di indossare quell’aria lugubre e sorrideva. Correvano – o meglio, si muovevano velocemente – verso una direzione senza ritorno: la morte. Andava bene, non aveva intenzione di abbandonare nessuno, al limite dovevano essere gli altri a lasciarlo in quel luogo; non ci si salvava dalle pistole laser, non ci si poteva attardare, altrimenti si avrebbe perso soltanto tempo.
Aiko impugnò la katana prima che i Killjoys varcassero la soglia della sala di videosorveglianza e sparì tra il buio dei macchinari di controllo, un varco pressoché invisibile, quando apparvero e uccisero – solo momentaneamente – gli uomini che si accertavano della posizione dei quattro diligentemente.

Il piano sta procedendo come previsto, preparate la procedura per avviare Korse” disse con un fil di voce, appoggiando il dito indice all’auricolare nel suo orecchio destro. “Raggiungete l’atrio”.
Party Poison si gettò al pavimento stringendo Girl con tutte le sue forze. “Finalmente sei salva”. La bambina rimase imbambolata: eccolo lì, suo fratello, l’uomo che amava, il salvatore,
tutto. Ed era tra le sue braccia, di nuovo, dopo quelle ore trascorse ai piedi della donna frigida e odiosamente elegante e composta.
Aveva, ora, un’idea di come fossero i pazienti della Better Living. “Non voglio diventare come
loro”. Si lagnò. Fun Ghoul le sorrise e le scompigliò i folti capelli ricci.
È impossibile che un esserino fastidioso come te diventi così antipatico”.
Ragazzi …”.
I tre si voltarono verso Jet Star e Kobra Kid; era ora di andare.

Il tasto di avviamento. Korse si era svegliato e, mentre si avviava giù con un ascensore, fu seguito da un piccolo corteo di uomini. A sua volta Aiko ne raccolse degli altri, e delle guardie lasciarono le loro postazioni per il piano terra. Non servivano tutte le forze per battere quelle formiche. Ed era inutile sprecarle, dunque.
I Killjoys lo speravano troppo: che non avessero dovuto combattere di fronte a Girl.
Si immusonì la bimba, credendo che si trattasse di una delle esercitazioni, mentre i primi raggi di luce colorata – letale – partivano da qualsiasi lato della stanza. I Killjoys erano in svantaggio, ma riuscivano a colpire con maggiore precisione; ne caddero di corpi, mentre si voltavano di continuo accertandosi che tutti stessero bene, che non vi fosse nessuno alle spalle. “
Ce la stiamo facendo!” esultò interiormente Kobra Kid, nonostante la convinzione precedente.
Non bisognava distrarsi. Erano la speranza i Killjoys. Assieme a Girl.
Jet Star ripensò alla prima volta in cui fu portato nella base. Aveva quindici anni, uno sguardo perso nel vuoto, e parlava raramente. Gli si presentò di fronte un bambino dai capelli neri e degli occhi intensamente curiosi e vispi. “Ciao, io mi chiamo Fun Ghoul e tu?”.

Mi hanno detto che il mio nome è … è …”.
Lui è Jet Star, Fun Ghoul” comparve Erko alle sue spalle “è nuovo, e sarà il tuo compagno di squadra, ma dovrai aiutarmi a spiegargli come funziona la base”. Gli fece l’occhiolino, scortandoli verso il suo ufficio nella piccola casa in cui viveva assieme a una governante, la dolce Megg. Fun Ghoul parlò ininterrottamente per quasi un’ora: nella base nessuno non lavorava, ognuno eseguiva il compito che sceglieva, tranne gli anziani, che potevano riposare e raccontare storie alle soglie delle loro dimore. “C’è un signore che sa tutto sulla storia e sulla musica! Mi ha insegnato a suonare la chitarra, è fantastico, dovresti provare!”.
Fun Ghoul, come lui, era nato nel 2000. La fine del mondo e tutto quello che era successo l’avevano vissuto con la speranza che fossero bugie raccontate dagli adulti per spaventarli. Nel 2012 i genitori di entrambi morirono. Fino a quando Jet Star compì quindici anni portò avanti una vita marginale a New York, un luogo poco adatto a un ragazzino: gli temprò il carattere. Era più forte di quanto molti credessero.
C’erano sempre stati dei passaggi che mancavano, che erano stati celati loro. “Un giorno vi racconterò tutto, ragazzi”, prometteva Erko. Ma di tracce delle spiegazioni ancora nessuna.
Un altro corpo colpito per Party Poison. E un altro, e un altro- sfilò una maschera per sbaglio. Quel volto … lo conosceva, l’aveva scorto ogni mattino dal Duemila al Duemilaquindici. Era suo padre. Suo padre sotto una maschera. Suo padre che sarebbe dovuto essere morto “ …
ma che cazzo … ?!”.
Dopotutto, era chiaro: alla Better Living riportavano alla vita i morti. Ecco cosa accadeva, cosa non andava. E lui aveva appena colpito l’uomo che l’aveva messo al mondo e chissà che sotto i visi mostruosi non vi fossero altri parenti, e sua madre … sua madre e il suo odore inconfondibile di pane, e la marmellata che finiva sempre tra i suoi capelli color miele ondulati … Korse era di fronte a lui, si avvicinava, trionfante.

E qual è il mio motivo di vivere?”.
Un’immagine di Fun Ghoul, di Kobra Kid, di Jet Star …
Girl. Dio, Girl. Ma ormai era troppo tardi per salvare qualcuno, Korse sparò l’ultimo colpo e Poison si augurò soltanto che lui, invece, non fosse costretto a resuscitare.

Fun Ghoul lo capì subito: Girl non aveva mai urlato in quel modo. Disperato. Troppo per una bambina di otto anni. A otto anni bisognava ridere e saltare e gioire. Lei urlava. Party Poison era morto. Era un piccolo fagotto di vestiti colorati – così in contrasto con l’ignobile bianco accecante tutto intorno – afflosciato ai piedi di Korse.
Anche Kobra Kid cadde, pochi istanti dopo. Quasi a voler sottolineare che erano fratelli e che, divisi, non riuscivano a sopravvivere. Sentì Jet Star, non lontano da lui, lanciare un’imprecazione. Si slanciarono insieme verso Girl, al centro della sala, spaesata; Fun Ghoul non sarebbe uscito di lì, ma Jet Star doveva prendersi cura di Girl. Chiuse a chiave la vetrata dietro di loro.

Adesso a noi, brutti stronzi”. Avrebbe voluto uccidere Korse, perché l’aveva ferito nel profondo, dove nessuno sarebbe dovuto arrivare – oltre Party Poison.
Quando comparve aveva quindici anni e il suo unico amico era Jet Star. Party Poison lo salutò dal lettino, bofonchiando e soffocando il dolore in smorfie. “Non dovresti alzarti”.

E tu chi sei?”. Gli domandò.
Fun Ghoul”.
Annuì, semplicemente, e la testa gli crollò nel cuscino, di piombo: Fun Ghoul fu in grado di rivedere, come in un film, tutto quello che era capitato al ragazzino. Si mosse d’istinto, di scatto, gli strinse la mano nella sua: “andrà tutto bene, ora”.
Sorrise, leggermente, un pezzo di speranza, un passo in avanti.
Anche quando gli colpirono la gamba, lui proseguì verso Korse. Ma non bastò.

Sei un idiota, Fun Ghoul”. Ma non sapeva biasimarlo.
Voleva solo accartocciarsi sull’asfalto. Ma Girl correva dinnanzi a lui, aveva diritto a un futuro.
Non sapeva che la bimba stesse urlando, ancora, nella sua testa; che si rifiutasse di credere che erano morti i suoi fratelli, la sua famiglia. “
Non mi lasciare anche tu, Jet Star”.
Non ce la farò, Girl”.
Lo seppe, anche prima di voltarsi, dei rumori di laser, e un tonfo. Come quello di Party Poison e Kobra Kid, come un pezzo di lei che cadeva, quando l’assenza di ricordi di sua madre la soffocava e si accasciava contro la porta della sua stanza, dilaniata. Allora arrivava Party Poison – sempre – e se non lui uno degli altri a salvarla, a proteggerla. Era solo una bambina. Aveva visto morire così tante persone … poteva fermarsi, fermarsi e attendere che portassero via anche lei e non avrebbe assistito alla morte di nessun altro.
Un furgone le si fermò esattamente accanto e la incitarono a salire. “
Addio, addio …”: ormai gli occhi affogavano nelle lacrime.













La bambina nel video di “SING” si chiama Grace nella realtà; ho preso il suo nome e l’ho usato per denominare la moglie del Capo della Better Living e il “Metallo”. Molte cose non sono spiegate in questo capitolo introduttivo, ma le scoprirete – per quei pochi che leggeranno, se ce ne saranno – nei prossimi capitoli. Sempre se ce ne saranno. XD

Volevo ringraziare particolarmente L i a r perché ha letto l’intera trama della storia e ha commentato positivamente in merito, perché mi sostiene sempre e perché mi ha promesso di essere già pronta a fangirlare su questo mio lavoro. Ti voglio bene <3

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Capitolo 2
*** Introduzione – Parte Seconda ***


Ringraziamo L i a r, come sempre, per il sostegno morale, per aver messo la storia tra le preferite, per aver commentato e per avermi spronata come sempre (minacciandomi: ma a ognuno i propri sistemi XD).
Un grazie a Ginny_Potter, GioPattz e My_Desperate_Romance per averla inserita nelle seguite.
Per My_Desperate_Romance: Grazie per avermi “esortata”. Sentitevi pure libere, da questa volta in poi, di minacciarmi. Con me funziona meglio delle muse, fidatevi XD Grazie mille per quello che hai detto sullo scorso capitolo, spero che anche questo piacerà a te e alle altre (sempre che siano rimaste con me XD).
Oh, e grazie alle 175 visite, anche se non mi avete fatto sapere di esserci, avete comunque dato uno sguardo al mio lavoro.
Grazie a tutti, buona lettura <3
(Se avete dubbi o domande di qualsiasi genere, chiedete pure).






Introduzione – Parte Seconda.

Non è mai stato certo cosa ci sarebbe stato dopo la morte, nel Mondo. Neanche quando la Terra era un posto libero e ognuno poteva credere ciò che preferiva. Il “Paradiso”, il “vuoto cosmico”, l’“annullamento”. Uno spazio o un non-spazio indefinito.
Per la natura dell’uomo, probabilmente, è impossibile immaginare qualcosa che non ci sia. La presenza dell’assenza.
In particolare, Party Poison era incapace di credere che, una volta chiusi gli occhi del suo corpo terreno, non avrebbe più visto nulla. Non sapeva neanche lui se si trattava di speranza o di tutti quei dogmi che avevano fatto parte della sua infanzia, distante anni luce dalla vita che poi aveva affrontato dal 2012 in poi. Da quando il mondo era cambiato.
A quindici anni aveva aperto gli occhi in una sorta di Pronto Soccorso in una base di ribelli e si era ritrovato di fronte un bambino che, per qualcosa nello sguardo (o forse nel non-sguardo) gli somigliava.
Da quel momento non si era mai seperato da lui. Né da suo fratello, o Jet Star o Erko.
Erko aveva dato loro conforto nel momento in cui erano poco più che quattro bambini sperduti e non desideravano altro che sedersi di nuovo alla tavola delle loro madri, dove affondare la testa in un piatto caldo per affogare le difficoltà, e dondolare sulle gambe muscolose dei loro padri, su cui saltellare, ridere e raccontare le proprie giornate.
Finiti quei tempi. Nell’era della Better Living non c’era spazio per nient’altro che la lotta. Anche i più privilegiati combattevano sin da quando si formavano nell’utero. O arrendersi e soccombere all’assenza di sentimenti.
Korse gli puntò la pistola contro il collo. Lui lo sapeva che anche gli altri lo avrebbero seguito, perché non erano proprio in grado di muoversi da soli.
Gli sembrò di scorgere come Kobra Kid cadesse al suolo, seguendolo, come Girl urlasse piena di dolore. Colma di astio …
Era diventato il momento di Girl. Da quel giorno sarebbe stata lei a prendersi cura di se stessa, della base, la migliore tra i bambini, avrebbe guidato, un giorno, l’organizzazione di Battery City.
I Killjoys erano soltanto pedine per un piano molto più grande che non contemplava l’ipotesi di fermarsi e interrompersi alla loro morte.
Se Party Poison non fosse cresciuto con Erko, avrebbe detto che la morte dei Killjoys era programmata da quando aveva incontrato Fun Ghoul; sarebbe stato esattamente nello stile di Erko scegliere una data nella quale abbandonare per sempre i migliori della base per sostituirli.

Girl era senza parole. La frase adatta. Perché il più sarebbe stato superfluo. Per quello che sentiva – non poteva ignorare il suo corpo di bambina, la pelle che le tirava, gli occhi che le bruciavano, le gambe che le dolevano per la corsa, il cuore che le batteva contro il petto per le troppe emozioni, le pupille ancora lampeggiavano delle pistole laser nell’ingresso della Better Living – non c’erano dubbi. Qualcosa, dentro di lei, si era spezzato.
Qualcosa a cui Party Poison si era aggrappato con le unghie – proprio esattamente il contrario di come si era comportato con tutte le speranze e i piani – e che aveva trascinato con sé (chissà dove e chissà quanto profondo) nel peggiore dei bui.

Fun Ghoul. Un po’ di spazio per lui.
Non aveva mai immaginato una morte diversa da quella che gli era spettata, alla fine. Accanto ai suoi compagni – era certo che nemmeno Jet Star si sarebbe salvato – a provare con ogni forza di vendicare la loro perdita, il modo brutale in cui erano nati i dolori che li tormentavano, il modo brutale in cui dovevano nutrirsi di cibi in scatola perché ogni ortaggio e animale era avvelenato. La Terra malata, arida, cosparsa di un Veleno ancora non-identificato.
Dopotutto, i macchinari tecnologici si trovavano alla Better Living. Non tra i selvaggi quali si erano trasformati gli abitanti del pianeta.
Quanto ardore aveva sentito sotto la pelle fino all’ultimo, le urla di Girl e di tutti gli altri che rimbombavano nelle orecchie, gli occhi riempiti delle lacrime delle parole inespresse, la testa dolorante di ogni colpo al cuore e morto crollato (sotto il peso di tutto quel male).
Anche lui era morto, dunque. I Killjoys non erano immortali. E nemmeno l’amore.

Suo padre l’aspettava nel piccolo appartamento. Era steso al buio, nella cucina, su un divano sgangherato che, quando aveva appena sei anni, era già in quello stato pietoso. E vitale.
L’uomo era immobile, se non per lo sterno che gli si abbassava e alzava ritmicamente, e lo sfarfallio delle palpebre. Era sveglio; quel buio era per cercare di dare un senso.
Era vestito di tutto punto, con quegli indumenti a cui Girl non conosceva alternativa, se non nella Biblioteca della base dove erano conservati vecchi volumi di una civiltà dalle quali ceneri era nata lei.
Girl. La speranza della base di Battery City. Una bimbetta di otto anni con i capelli ricci e gli occhi pieni di domande.
A piccoli passi, lenti, si avvicinò al suo padre adottivo, inginocchiandosi sul pavimento accanto a lui. Erko si voltò verso di lei, aspettando che fosse lei a esprimere la nube di turbamenti e orrore.
Su quel divano i Killjoys ci erano cresciuti discutendo del loro futuro: l’unico argomento che si potesse affrontare in quell’epoca. Il presente stava morendo, il passato era stato distrutto.

Mi sento stanca”.
Sì, piccolina”.
I Killjoys sono morti”. Singhiozzò, nascondendo la faccia tra i cuscini. Se si concentrava, poteva sentire l’odore della carne preferita di Fun Ghoul che aveva impregnato la stoffa dopo tutte le volte che era caduta lì sopra, macchiando e lasciando aloni d’unto.
“ … sono stati coraggiosi, erano lì soltanto per te”.
Non importava quanto avesse tentato di non provar nulla per i quattro, quanto si fosse ripromesso d’essere obbiettivo e oggettivo. E a lui, personalmente, non importava di cosa avrebbero pensato gli altri. Li aveva visti crescere, aveva osservato come diventavano pieni di voglia di lottare per ritornare nel luogo dov’erano nati, con quanta passione erano esistiti. Esistenti. Poteva allungare una mano all’indietro per tastare uno di quei tipici contrasti tra lui e Kobra Kid. Era ben diverso dall’essere semplicemente il loro capo.
Lui era un padre.
I suoi figli erano morti. Gli era rimasta soltanto quel batuffolino di Girl, che diventava giorno dopo giorno sprezzante del pericolo quanto loro, vicina a perire proprio come i Killjoys, a un passo dall’incoscienza dell’orgoglio e della voglia di conoscere.

Dove sono andati, papà?”.
In un posto meraviglioso”.
Ma Girl non era certa che esistesse qualcosa di bello, se portava tanto dolore.

Girl si chiuse la porta alle spalle, con poca grazia. Credeva di aver trascorso delle ore intere sul pavimento accanto a Erko. O forse si trattava di minuti. Erano rimasti in silenzio; qualche volta il dolore era stato troppo forte, non era riuscita ad arginarlo, e si era lasciata andare con qualche singhiozzo. Erko aveva sentito tutto, ogni spasmo, respiro rotto, parola – o nome – sussurrata. Ma aveva lasciato la piccola a se stessa, ai suoi spazi, al caldo della solitudine. Dalla morte dei Killjoys – perdita la quale venuta si attendeva, ormai – Erko aveva deciso sin da quando Girl era comparsa nella vita della base di Battery City che la ragazzina avrebbe preso il posto dei Killjoys. Dal giorno seguente Erko avrebbe organizzato le sue giornate di modo d’allenarla sei ore ogni diciotto, dalla sua alimentazione sarebbero scomparsi i grassi in eccesso e, nel tempo libero, avrebbe studiato.
si stese sul letto, si sentiva mortalmente esausta. Dietro le palpebre pesanti vedeva lampi di luce colorata, odore di bruciato le pizzicava le narici. Ed era sbagliata, totalmente, la musica proveniente da chissà quale punto della base. Qualcuno urlò “finalmente è morto”. Girl lo trovò incredibilmente scortese.

Di cosa avete bisogno?”.
Abbiamo un messaggio per Girl”. Show Pony per la maggior parte del tempo sopportava a stento Erko. Era un uomo dispotico, arrogante e convinto d’essere l’unico in grado di saper distinguere il bene dal male. I Killjoys avevano una totale venerazione per lui, e questo lo rendeva ancor più intollerabile ai suoi occhi. Lo osservava, sapeva che considerava i ragazzini soltanto come delle armi ottime: facili da plasmare e controllabili. Non avrebbe mai scordato come lo aveva escluso assieme ad altri quattro o cinque ragazzini dall’addestramento.
Dr. Death, se avesse potuto senza dare nell’occhio, avrebbe stretto il braccio a Show Pony. Stava cercando d’essere paziente e di mostrare la dovuta – la necessaria – dose di venerazione. Immaginava, anche prima di varcare la soglia dello studio di Erko seguito da Megg – occhi arrossati e gonfi, fazzoletto alla mano – che stesse controllando Girl, non potevano sembrare sospetti, pronti a farle il lavaggio del cervello. Erko era ossessionato dal lavaggio del cervello, e da un certo punto di vista Dr. Death comprendeva i suoi atteggiamenti protettivi fino all’inverosimile e insopportabili. Ed erano ben chiari a quelli come lui, gli scienziati della base, le ragioni per cui fosse così morboso nei confronti della ragazzina, almeno in parte, quel tanto ricavato dalle loro analisi all’apparenza inutili. Non era più un ragazzo e anche quando lo era stato l’impulsività propria di Show Pony non gli era appartenuta. Era quello il motivo per cui aveva scelto di laurearsi in una specializzazione chimica di Medicina. Aveva ricevuto una cattedra da pochi anni nel 2012. Una reazione anomala – stava lavorando in una compagnia avversaria della Better Living – fece esplodere il suo laboratorio. Perse l’uso delle gambe, molti colleghi morirono, altri mutilati irreversibilmente, qualcuno se la cavò con delle semplici escoriazioni. Ma dopo alcuni mesi lui fu l’ultimo sopravvissuto e fu costretto a fuggire a Battery City. Erko lo accolse a braccia aperte, reduce da scempi dopo i quali nessuno era sopravvissuto per raccontarli, tranne lui. Era giusto fosse Erko a guidare la base, era giusto fosse lui a organizzare l’armata. Nessuno aveva il diritto di contrastare i suoi metodi di comando. Ma, al diavolo!, si trattava di Girl; tutti amavano Girl lì dentro, nessuno l’avrebbe tradita, e Dr. Death lavorava con Erko sin dagli inizi, era stato da sempre il suo braccio destro. E lo era ancora. Era il più geniale scienziato di cui disponevano – se non il migliore degli interi Stati Uniti.
Show Pony tremò ancora. Era scosso dalla morte dei Killjoys. Anche se era stato bollato come “diverso” perché escluso dal reclutamento, Fun Ghoul, Party Poison, Jet Star e Kobra Kid erano sempre stati insieme a lui. Dopo qualche tempo anche gli altri si convinsero ad avvicinarglisi e tutti insieme obbligarono Erko a includerlo negli allenamenti e, in seguito, nelle missioni.
C’era troppo rancore tra i due perché Erko non si divertisse a vederlo fremere e perché la voglia di Show Pony di prenderlo a pugni scemasse.

Dovrei visionarlo prima”.
Digrignò i denti. “È personale”. Se Dr. Death conosceva Show Pony – ed era abbastanza sicuro di poterlo decantare quasi fosse una poesia imparata a memoria, o esporne le regole come i nomi dei metalli – entro pochi attimi sarebbe scoppiato. Si sentiva solo e spaesato, ciò lo rendeva instabile, intrattabile e nervoso. Indi per cui facilmente cedibile alle forti emozioni e impulsi.

Erko, per favore. È dei ragazzi …”.
Se Girl ne rimarrà traumatizzata o scossa verrete considerati come diretti interessati, vi do un quarto d’ora, non un minuto oltre. È molto indaffarata in questo periodo e deve riposare”.
Lo sappiamo”. Allora fu Dr. Death a rispondere, ringhiando: non aveva mai approvato i fantomatici ’allenamenti’ di Erko. Non applicati a dei ragazzini.

Dr. Death e Show Pony bussarono alla porta della camera di Girl. Ricordavano l’interno colorato e brioso: lo stile di una bambina e quello dei Killjoys miscelati; al letto aveva legato la collana porta fortuna di Party Poison e il braccialetto di Fun Ghoul, quello regalatogli alla nascita dai suoi nonni. Alle pareti aveva incollato delle foto scattate assieme ai Killjoys e sul davanzale della finestra spiccava una collezione di pezzi di vetro che raccoglievano la luce del sole. Quando Girl diede loro il permesso di varcare la soglia la trovarono seduta dietro la scrivania, visionando delle carte scritte fittamente, un’espressione corrucciata mai vista sul suo volto di bambina. Era tutto, all’interno, grigio e asettico. Al posto dei soliti indumenti, una canotta nera e un paio di pantaloni aderenti dello stesso colore. Al polso aveva legato la collana e il braccialetto; i capelli li aveva tirati all’indietro ordinatamente, in una piccola crocchia perfettamente tonda.
Salve”. Salutò, senza alzare la testa.
“ … ciao, Girl”. Show Pony era più sconvolto di lui, rimaneva sulla soglia, braccia penzoloni, la faccia a metà tra il dubbio e il dispiaciuto. Erano trascorse soltanto due settimane. “Come va?”.
Tutto alla grande”.
Bene”.
Show Pony mosse due passi in avanti. “Pony ed io siamo qui perché dobbiamo darti qualcosa”.

Prego”. Girl indicò il materasso a Show Pony e si allontanò sulla sedia dal tavolo, posizionandosi di fronte i due uomini. “Cos’è?”.
È un video. Un ologramma dei Killjoys”.
Non credere sia un messaggio da addio; è un regalo che avevano preparato per il tuo prossimo compleanno. È un montaggio di tutti i video delle feste … e altri momenti che sono riusciti a raccogliere”.
Erko cosa ne pensa?”. L’unico segno d’emozione in Girl era stato il contrarsi delle dita delle mani poggiate sulle gambe; Pony era sempre più convinto che Erko stesse avviando anche Girl verso la rovina, come se già tutte le persone morte non bastassero. Ma cercare di farla ragionare allora sarebbe stato inutile e dispersivo: avrebbe cominciato a strepitare e convincersi che stessero tentando di “farle il lavaggio del cervello”.
Ha acconsentito”.
Girl annuì, tese una mano, a aspettò che le poggiassero sul palmo l’oggetto. I Killjoys, alla fine, avevano ultimato il regalo. Proprio il giorno dell’incidente nel deserto, quando c’era stato un piccolo scontro con la truppa di Korse e Girl era stata rapita. Mancava ancora un mese all’ottavo anniversario dalla sua nascita, il diciotto Ottobre, anche se ormai due settimane erano trascorse da allora. I cambiamenti erano evidenti anche nel modo di comportarsi di Girl. Erano bastati quindici giorni assieme a Erko, senza l’influenza dei Killjoys a rasserenarla, e si era trasformata, velocemente, in una lugubre copia degli uomini della Better Living. “Come se questo non fosse lavaggio del cervello”, pensò Show Pony, inghiottendo un boccone di saliva particolarmente amaro. Party Poison, Jet Star, Kobra Kid e in particolare Fun Ghoul, ma tutte le persone che erano nate poco prima della strage del 2012 in generale, sapevano cosa significasse vivere. All’aria aperta. Non doversi nascondere, indossare colori luminosi per essere riconosciuti, smettere di usare il bianco.
Certo, le tonalità erano l’ultimo dei loro problemi, c’erano pochi viveri, e non era una sicurezza che sarebbero riusciti a sopravvivere ancora a lungo come ribelli: soltanto la Better Living sapeva come eliminare il veleno dagli alimenti. Ma quella piccola speranza, quella forza di aprire gli occhi per salvare qualcuno, appropriarsi di ciò di cui si aveva bisogno, lottare per se stessi, avere dei compagni … aiutava molto ad andare avanti, a non soccombere.

Adesso potete andare”. Sillabò Girl. Dr. Death e Pony si incamminarono verso l’uscita; Megg, alla loro vista, riprese a piagnucolare in un grande fazzoletto lindo. Quante volte Pony si era intrufolato nella camera dei ragazzi e aveva giocato con loro, alla lotta, ad avere ancora dei genitori; Megg entrava sempre, li contemplava, e subito tornava con dei biscotti o delle prelibatezze cucinate dalle sue stesse mani. Non le era mai importato che Pony fosse “diverso” - soltanto perché a volte gli piaceva travestirsi da donna e preferiva giocare con le femminucce piuttosto che con i maschi – era come un figlio per lei, e i figli si accettano anche quando non sono come tutti si aspettano siano.
Arrivederci, Pony”.
Ciao, Megg”.
Dr. Death, dal basso della sua carrozzina, una volta usciti da quella casa piena di ricordi, avvolse un braccio intorno alla vita di Pony. In circostanze ’naturali’ la vergogna lo avrebbe bloccato: ma si trattava di una difficoltà troppo insormontabile per il compagno, e cercava come poteva di salvarlo da un baratro che si presentava gigantesco per affrontarlo da solo.

Grazie, Death”.

Girl voleva davvero ignorare quell’ologramma poggiato disordinatamente sul tavolo. Ma sembrava chiamarla. Con una voce sconosciuta e dolorante. Voce supplicante, la pregava. Quasi in ginocchio. Forse era proprio se stessa, nascosta lì dentro, a chiamarsi e cercarsi.
Dove era finita Girl?
Sull’asfalto fuori la Better Living, quando aveva perso anche Jet Star: Jet Star c’era sempre, più di tutti gli altri, silenzioso, gentile. Quando litigava con Fun Ghoul e Kobra Kid lui le rimaneva alle spalle, le allungava un cioccolatino, sorrideva sotto i baffi e non le si staccava dal fianco. Aveva un sorriso raro, di quelli capaci di illuminare un’intera stanza. Ed era scomparso. Per sempre.
Chi le avrebbe confidato i segreti del mondo e delle stelle?

Party Poison. Il sentimento che la legava a lui era forte quanto soltanto l’amore passionale dei bambini sa essere. Girl era innamorata di Party Poison. Le sembrava blasfemo e male allontanarsi da quel sentire. Eppure le faceva male il tempo, non riusciva a entrare nella camera dei Killjoys. Non un pezzo, ma ben quattro le erano stati strappati dal petto. Come avrebbe fatto?
Si impossessò dei filmati a malincuore. Avrebbe soltanto peggiorato la situazione quella debolezza.
Le immagini le riempirono gli occhi, i rumori dei Killjoys le orecchie. La mente di ricordi. Aveva chiuso le porte del pianto sin dal giorno seguente la morte dei quattro, non credeva di essere ancora in grado di … piangere. Accucciata sulla sua stupida sedia da lavoro, con le gambe e le braccia al petto. Innocente bambina di otto anni … eppure aveva visto già tutto.
Rivoleva indietro la sua famiglia.

Aiko Sabouro nella sua presunzione di donna e datrice di lavoro perfetta non avrebbe mai immaginato di poter sbagliare. E, certo, quello non poteva essere definito un errore, se si considerava il fatto che non era mai stata avvisata di una tale possibilità.
Quando finalmente era riuscita ad assassinare i Killjoys, si aspettava che il Capo fosse soddisfatto di lei, le assegnasse una promozione, o le dimostrasse in qualsiasi modo avrebbe preferito la soddisfazione per il suo ottimo lavoro svolto. Subito i corpi dei quattro erano stati privati del cuore e del cervello, dove l’anima risiedeva, all’interno delle loro casse toraciche erano state inserite le batterie Better Living, ricolme di Grace che alimentava i “robot”, se così si poteva definirli. Dopotutto, si trattava di esseri umani a quasi tutti gli effetti. La pelle era stata ricoperta della resina isolante che avrebbe permesso al fisico di non andare in decomposizione. Degli elementi allenati e abituati alla lotta come i Killjoys sarebbero sempre stati utili alla Better Living. In più causavano problemi all’Azienda da quando avevano cominciato ad andare in missione, all’età di vent’anni. Mese più, mese meno.
Erano sempre stati la spina nel fianco di Aiko, annientarli aveva avuto un sapore incredibilmente dolce. Sensazioni smorzate dal Grace impoverito, naturalmente, ma dopotutto un aspetto dell’essere umano di cui non si rammaricava era proprio quel piacere nel possedere ciò che si desiderava. E cos’altro avrebbe potuto chiedere, ormai?
Con l’annullamento dei Killjoys poteva aspettarsi soltanto una brillante carriera, accanto al Capo, come suo braccio destro. Le lodi che le giunsero da Tokyo non furono indifferenti, l’uomo le promise un riconoscimento alla fine di Ottobre, avrebbe dovuto aspettare soltanto fino alla fine di quel mese, per poi raggiungere vette incommensurabili.
Purtroppo per Aiko, non aveva previsto ciò che successe nei laboratori della Better Living di Battery City. I “pidocchi”, i “parassiti insignificanti” stavano trionfando di nuovo. Stavano testando il capello della giovane ribelle. Ma c’era un’anomalia nel suo sangue. Non era un qualsiasi tessuto umano quello che avevano tra le mani. Gli scienziati erano tenuti a comunicare qualsiasi distorsione alla base centrale, a Tokyo. Dove erano celati i segreti della società, gli esperimenti a cui pochissimi migliori studiosi avevano accesso. I documenti che, se caduti nelle mani dei ribelli, avrebbero distrutto la società in modo irreparabile e per sempre. Come l’ubicazione – il minore dei mali – della Direzione. Inviarono i risultati delle analisi prima possibile al laboratorio di Tokyo. Fu evidente di cosa si trattasse. Del sangue dell’elemento Omega.
Il Capo fu informato in tutta fretta, gli mostrarono i risultati dei test, a prova di ciò che gli stavano comunicando: qualcosa di cui aveva bisogno sin dal lontano 2021, otto anni prima.

Inviate subito una comunicazione scritta alla signorina Sabouro: che venga qui prima possibile”.
Aiko si trovava sull’aereo per gli spostamenti interni all’azienda verso Tokyo. Ancora dieci minuti e sarebbe atterrata. Una leggera sensazione di panico le attanagliava la gola: aveva paura che i ribelli si vendicassero proprio mentre era via. E un po’ di titubanza la riempiva per quella convocazione anticipata a Tokyo.
L’aereo si posò esattamente sul tetto dell’edificio dei palazzi della Better Living, su quello principale: rigorosamente costruiti in Grace solidificato. Ad attenderla un uomo e una donna con indosso dei camici bianchi e delle cartellette tra le braccia. Le rivolsero un asettico saluto prima di procederla verso l’ufficio del Capo, nel quale non entrava da circa un anno, se ricordava bene. Percorsero i corridoi pallidi e splendenti, tra uomini mascherati e completi che si mimetizzavano perfettamente con i muri e i pavimenti di marmo; qualcuno le accennò con il capo, mentre il ticchettio delle sue scarpe rumoreggiava ed echeggiava lungo i corridoi.
Dall’interno le spalancarono le porte della stanza gigantesca. In un acquario alle spalle del Capo, seduto dietro la sua scrivania di metallo bianco, nuotavano degli squali di dimensioni ridotte. Un paio di collaboratori, in posizione eretta, parlottavano tra loro, al fianco dell’uomo.

Buongiorno, signorina Sabouro”.
Buongiorno a lei”.
E così ha raggiunto un livello che non mi sarei mai aspettato da lei”.
La ringrazio, Signore. Catturare i Killjoys è sempre stata la mia prerogativa da quando sono comparsi. L’operazione è stata portata a termine, finalmente”.
Oh, uccidere i Killjoys è stata la torta, indubbiamente, ma la ciliegina … la ciliegina! Quale prelibato bocconcino, signorina Sabouro, di dimensioni e sapori che neanche riesce a comprendere, ora. Ma con un tale ingegno, una tale bravura, arriverà ben oltre il sapere il perché di questa ciliegina, non si preoccupi”. Aiko sorrise, rilassata, attendendo che il Capo proseguisse a elogiarla spiegandole, inoltre, cosa fosse tale ciliegina. “Mi riferisco alla bambina, naturalmente. Che spero sia in un alloggio adeguato alla sua levatura”.
Lo sguardo di Sabouro parve spaesato per alcuni attimi: poi comprese. La bambina. La riccioluta piaga che aveva giocato con quel pallone di plastica blu nella sala registrazioni. “Intende dire … Girl?”. Ci volle uno sforzo di memoria per ricordare il nome della marmocchia.

Naturalmente. Avrei preferito che la portasse con lei, ma sarebbe potuto non essere prudente. Gli attacchi dei ribelli si stanno evolvendo”. La battuta scaturì delle risate alle sue spalle, dai collaboratori.
Non è più con me. Nel … nel verbale ho scritto che i Killjoys sono riusciti a …”. Ma aggiungere altro sarebbe stato superfluo: il Capo aveva compreso. Dalle espressioni dei segretari – o qualunque fosse il ruolo di cui erano insigniti – Aiko capì di aver messo nei guai anche loro. Probabilmente dovevano essere loro a leggere i verbali delle missioni, e non erano stati abbastanza attenti.
Ma Aiko. Aiko era in pericolo, e lo vedeva. Il Capo non era sembrato mai prima d’allora così furibondo.

Io l’ho raccolta dalla strada, signorina Sabouro. Le ho dato una chance di elevarsi dal basso compito di combattere una battaglia senza speranza contro la Better Living. Le ho affidato carichi importanti, le ho lasciato la piena gestione di Battery City, quel covo di bifolchi … e lei mi viene a raccontare che si è lasciata sfuggire Girl?”.
Io …io …io”. Ogni sicurezza persa in un battito di ciglio; quasi che tutta la sua vita fosse stata gettata via, al vento, e ogni insegnamento avesse seguito i pezzi della sua anima, tagliati via ed espulsi volta dopo volta.
Non c’è bisogno che aggiunga altro”. Sorrise, conciliante, prima di farla portare via, in chissà quale luogo a farle estrarre cervello e cuore per trasformarla in un robot come qualsiasi altro.

Megg in tanti anni aveva atteso quel momento così a lungo … aveva sempre sperato che Erko si ricredesse e cominciasse ad apprezzare i talenti nascosti di Pony. L’aveva spedita a chiamarlo quella mattina, pressoché all’alba, aveva attraversato l’intera base, fino a trovarsi di fronte l’uscio della casetta di Dr. Death, nella quale sapeva avrebbe trovato anche Pony. Difatti fu proprio lui ad aprirle la porta, con i capelli scompigliati e un’enorme maglietta che gli arrivava fino alle cosce.
Erko ti vuole vedere”. Gli annunciò, un sorriso a trentadue denti.
Forse, nonostante l’avversione, ciò che Pony desiderava ardentemente era essere apprezzato dall’uomo in cui sperava e voleva vedere un padre. Ci era riuscito, a quanto sembrava. Era riuscito a far puntare il suo occhio critico su di sé.
Ripercorsero insieme la strada, Megg non smetteva di raccontare quanto fosse promettente quel desiderarlo nel suo ufficio. Sul tavolo aveva sistemato gli strumenti da lavoro: poteva significare soltanto che avrebbero svolto un qualche compito di genere.
Megg lo accompagnò fino all’uscio, per poi lasciarlo con una pacca sulle spalle, e osservare mentre tornava in cucina quanto ci avrebbe impiegato a bussare.
Si decise dopo, calcolando approssimativamente, due minuti. Rispetto ai Killjoys – loro commettevano imprudenze all’incirca ogni dieci minuti – era stato velocissimo, un fulmine.

Ah, Show Pony … pensavo avresti impiegato di più”.
Megg mi ha fatto intendere fosse urgente”.
Non esageratamente urgente”. Lanciò uno sguardo in tralice all’orologio, per poi fargli cenno di accomodarsi. “Voglio che tu sia il mio braccio destro”.

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Capitolo 3
*** Capitolo I ***


Boh, ragazzi/ragazze, vi amo tutti. Sappiatelo. Mi scuso tantissimo per averci messo mesi – secoli, altroché!
E pensare che questo capitolo ce l’avevo pronto da un sacco di tempo. Ma boh, forse la scuola mi aveva “bloccata”, diciamo così.
Spero di essere tornata, finalmente.
Non rispondo singolarmente alle recensioni, ma sappiate che io vado in brodo di giuggiole quando le leggo XD perché sono una persona insicura ma egocentrica, e quindi … spero che i nuovi personaggi vi piacciano, che il capitolo sia di vostro gradimento, e che mi perdonerete. Consideratelo come un regalo, va.
Buona lettura.














Capitolo I
« Ribelli »


Certi atteggiamenti – nella vita umana – non cambiano mai. Possono distruggersi città, e civiltà, ma qualcosa rimane sempre nello stesso posto, allo stesso modo. Alcuni tentano di scappare, perché può apparire soffocante, quando non si sa come farne parte, e non essere soltanto uno spettatore troppo vicino, altri, invece, si aggregano, imparano, amano fino al fanatismo.
Il fanatismo è pericoloso.
I ribelli immaginano come sarà, dopo. Qualsiasi cosa accadrà.
Sorridono i ribelli. Mentre si scottano la pelle sotto il sole del deserto più caldo che mai, sorridono i ribelli di fronte le pistole laser. Muoiono per l’arma, per continuare a salvare l’indipendenza degli esseri umani. Coraggiosi, credono, sfrontati – sono.

Qualcuno scuote il fianco di Gravity. Mugola un paio di parolacce, prima di strizzare le palpebre e osservare il buio illuminato da una luce rossa – un fuoco acceso. È a Battery City, nel deserto.
« Gravity, tocca a te il turno di guardia, forza ». Le sussurra Girl, con i suoi assurdi ricci sparati in tutte le direzioni. Gravity le strappa di mano le due pistole laser, si alza, si massaggia il fondo schiena e si avvia verso un cespuglio adibito come protezione per la sentinella dell’accampamento provvisorio. Teoricamente, Girl non dovrebbe essere lì con loro. Teoricamente, dormire nella sabbia non dovrebbe essere così scomodo.
Si butta con malagrazia dietro le foglie secche di una pianta-rovo. Lei odia i ribelli, odia farne parte, odia combattere, odia le armi.
E odia doversi svegliare durante le notte per controllare che nessuno cerchi di assalirli mentre i suoi compagni riposano. In realtà, la maggior parte di loro tiene gli occhi socchiusi; il panico è troppo forte da vincere, nel deserto, territorio più della Better Living che dei ribelli – terrore, ansia, tensione. Livelli misurati, naturalmente: sono addestrati a non pensare con troppo trasporto emotivo: è bastato l’esempio dei Killjoys, i migliori in assoluto, non si erano mai visti dei combattenti così prima di allora – tutte quelle balle lì, insomma – e l’intero corpo dei ribelli statunitense si è rimesso in riga. I protocolli hanno ricominciato a contare.
Per Gravity è di poco conto il regolamento. Se deve scegliere se colpire o perdere una vita innocente – be’, proprio innocente no, magari, ma nessuno merita di morire – preferisce la prima opzione. Non ha idea del perché per gli altri sia così semplice accettare tutto, il dover essere sempre all’erta, il fatto che, dopotutto, hanno una vita reale più quella sorta di robot che vivono nelle case nei centri della città che loro, anche se hanno un cuore e un cervello. È quello il controsenso. Il male, il distorto … divenuto realtà, il lato giusto e normale.
Un incubo ormai dimenticato l’ha spossata. Sbadiglia un paio di volte, si sistema i capelli neri raccolti in una coda di cavallo, e incrocia le gambe.
Un tempo Gravity ha avuto un padre e una madre come ogni altro bambino, anche quelli che non li hanno conosciuti. Lei avrebbe preferito non conoscerli, in realtà. A otto anni se n’era andata e basta, senza dire nulla, imboccando la strada per la periferia, pregando una sorta di realtà-Dio-fortuna-casualità di non farle incontrare qualcuno della Better Living. Era certa che la sua famiglia avrebbe considerato quella fuga come un peso in meno. I suoi genitori avevano deciso che la famiglia si sarebbe rivolta all’azienda per rendere la loro vita migliore. Gravity aveva visto, assieme a loro, cosa significasse una vita migliore per la Better Living. Se già ancor prima di divenire robot i suoi genitori erano orribili, non osava pensare a cosa sarebbe accaduto dopo. Se non se ne fosse mai andata, probabilmente dopo non avrebbe patito tanto. Come i cinque giorni che trascorse a undici anni, a New York, sanguinando: era diventata donna fino a quel momento. Senza aiuto, con dei dolori lancinanti al ventre. Oppure le settantadue ore in cui era stata costretta a non bere, perché non aveva abbastanza soldi per l’acqua. A dodici anni era sbarcata a Battery City e la sua vita era davvero migliorata. Ma aveva anche capito cosa significasse la guerra: le persone lì dentro ci erano abituate, ma lei no, e vedeva. La frenesia nelle carezze e negli abbracci, la preoccupazione nello sguardo dei genitori, l’accanimento feroce alla guerra dei bambini della sua età. La competività. Erko. Un mostro, lo ha odiato sin dal primo secondo. È una leggenda alla base, tutti quanti lo venerano, compreso Show Pony – il suo migliore amico, l’uomo che l’ha presa in casa con sé – sarà anche un intelligentissimo comandante, o generale, o capo, ma è un vecchio distrutto dalla guerra che non sa vedere altro che distruzione e affligge le nuove generazioni con la guerra penetrata fino in fondo nell’animo perché lui non ha potuto avere una vita.
Girl è una di questi. Fino a quando Girl ha avuto dalla sua l’innocenza e il Dr. Death, è stata una grande amica di Gravity. Si allenavano insieme, progettavano di scappare da Battery City e trasferirsi a New York. Poi Girl ha compiuto quindici anni, Dr. Death è morto, ed Erko l’ha cambiata per sempre.
È la stessa, in fondo, nella sua coscienza. Con i suoi occhi curiosi, con il suo modo di combattere con i problemi senza paura, con i suoi sentimenti nascosti, nessuna paura di morire e il bisogno di salvare il mondo. Ma ha sempre una pistola nella mano destra, ha sempre l’ostinazione di un guerriero. Non ha una vita, per come la pensa Gravity. Ancor meno di tutti gli altri, che tornano a casa da una famiglia almeno. Lei torna a casa da Jenny, da Erko e dalla governante Shelly. Si parla di conflitto, si scappa via dalla tavola e ci si prepara a risolvere problemi, a calcoli, a studiare i vecchi libri.
Un tempo Gravity non aveva esitato a seguire Show Pony a casa di Erko; discutevano di questioni che non riguardavano loro bambine. Jenny, lei e Girl si rifugiavano nella cameretta della piccola e suonavano la chitarra di Jet Star e quella di Fun Ghoul, cantavano e mangiavano biscotti preparati da Megg prima e da Shelly poi con i disegni dei volti dei Killjoys a portata di mano.

Girl si sistema le braccia dietro la testa e guarda le stelle. Sono puntini bianchi nel manto nero. Sono minuscole lucciole dell’atmosfera. Sono guide, per chi sa leggerla.
Ha sempre immaginato, da quando i Killjoys se ne sono andati, che sarebbe bastato imparare a comunicare con le stelle, imparare a comprendere i loro messaggi, per ritrovarli da qualche parte, una sorta di posto-pausa, un luogo dove fermare il tempo, dove il tempo non esiste, ogni istante è già trascorso e ancora deve giungere, e si può rivedere tutto come in un film. Lei si vede sedersi accanto a Party Poison, il dolore particolare e unico fragile di bambina per la sua morte scompare del tutto, perché lui è lì, Girl può raggiungerlo tutte le volte che vuole. Può portare con sé anche Jenny e Johnny e presentare i Killjoys ai due gemelli. È tutto fantastico, può sognarlo anche, certe volte, sembra in tutto e per tutto reale. C’è un profumo di caffè nell’aria, quello che una volta le fece assaggiare Kobra Kid dicendole “questo è vero caffè, non quella sbobba della mensa” in quel suo tono burbero perenne; sulle loro giacche c’è ancora la sabbia del deserto la polvere del combattimento, Girl ha tagli e graffi ovunque, Johnny e Jenny hanno la pelle pallidissima, ma non ha importanza. (Prima di varcare la soglia ha domandato loro come si sentono e non hanno mentito quando hanno risposto “bene”, è questo ciò che conta: che stiano bene, anche con tutte quelle cicatrici). I Killjoys urlano in una direzione imprecisata “Ehi, Joe, vai con la musica” e si sentono delle canzoni, le hanno scritte proprio i Killjoys: parlano di guerra di sangue d’amore di morte di vita, appartengono a loro, si sente nelle note. Party Poison prende per mano lei e Jenny, Johnny prende per mano Jenny e Fun Ghoul, Fun Ghoul prende per mano Jet Star e Jet Star prende per mano Kobra Kid che prende per mano Girl. Ballano insieme, per ore intere, ridono, cantano suonano e bevono caffè di quello buono, non la sbobba della mensa.
Poi, di solito, arriva Shelly son il suo tocco delicato, le sfiora le spalle e la informa che la colazione è pronta.
Tornare alla realtà è sempre facile, dopo, perché Girl ormai ha imparato che i Killjoys non sono spariti per sempre, che ogni volta che ne ha bisogno può richiamarli indietro; Girl non è sola, loro sono assieme a lei da sempre e per sempre.

Jenny è in tensione. Non che sia una novità.
Shelly riesce a sorridere, anche in quei momenti di panico e d’attesa, quando guarda Jenny e vede in lei riflessa la gioventù, e tutta la voglia di vivere. Forse la guerra non insegna molto, e sbaglia nell’impartire la legge della sopravvivenza – valida soltanto in conflitto – ma rende quei giovani, quei combattenti, il fiore all’occhiello. Devono capire quale sia il bene e quale il male, e allora hanno una vera motivazione. Capiscono perché sia importante vivere, perché sia bello vivere.
Era stupendo circondarsi della presenza di Jenny, Johnny, Girl e Gravity. Shelly era certa avrebbero combattuto fianco a fianco fino all’atto finale. Ma la situazione si è modificata. Capisce il motivo. Gravity è arrivata alla base quando ormai era già stanca della guerra, non ne voleva sapere più di tutto quel dolore. Aveva trovato Girl, una compagna, un’amica, qualcuno con cui condividere la fuga. Poi Girl era stata convinta da Erko a scegliere la strada giusta: le è stato ricordato come erano morti i Killjoys. Ha pianto tanto, Shelly ricorda i singhiozzi, appostata dietro la porta dello studio di Erko, ricorda come uscivano fuori dalla gola di Girl, strozzati, le mozzavano il fiato. Ma da quel giorno pezzi di lutto, di sofferenza, si sono staccati da lei. È stata un po’ più libera.
Gravity, nel frattempo, è sparita dalla casa. Shelly sapeva sarebbe successo. Gravity e Girl erano come sorelle … vide come reagì Girl – e sprazzi di Gravity, tra le strade della base – e ne fu certa. Stava male, fisicamente. Un mese dopo Jenny si confidò con Shelly: voleva dichiarare il suo ’interesse’ per Girl. Shelly le consigliò di farlo, fin quando era in tempo, fin quando Girl non si fosse stancata del male e avesse preso a rendersi insensibile. Ne uscirono vincitrici Girl e Jenny. Ma Gravity … a volte Shelly si sente in colpa: forse se avesse lasciato che Girl soffrisse, allora avrebbe sentito estremamente la mancanza dell’altra e sarebbero ritornate l’una all’altra.
Jenny addenta un paio di biscotti secchi, di quelli che nel barattolo sui mobili della cucina non mancano mai, Shelly non permetterebbe che i suoi ’bambini’ rimangano senza cibo, o senza i necessari dolciumi richiesti dalle varie crisi. Guerra, conflitto e quant’altro non rendono gli adolescenti diversi nel profondo, nel disagio del cambiamento, nel bisogno di certezze. E di biscotti. Ha le labbra imbrattate di briciole, e non ha occhi che per le sue mani, la superficie del tavolo, i tovagliolini posati di fronte a lei.
Un tempo, a quello stesso tavolo erano stati seduti i Killjoys. L’avevano raccontato a Shelly; lei riusciva a vederli, nel suo modo particolare, nella sua capacità di immedesimarsi, di interessarsi tanto a fondo da percepire quello che la gente raccontava. Non camminava e basta. Ed era quella la ragione che aveva spinto Erko a prenderla con sé e Girl, quando Megg era troppo stanca e Girl appena tredicenne, l’aveva notato. L’armonia del suo essere, del suo muoversi senza entrare nell’atmosfera altrui, senza disturbare l’equilibrio. Shelly. La donna di casa perfetta, la madre di cui Girl aveva sempre avuto bisogno. Ma era diventata la mamma un po’ dell’intera base, nonostante i suoi – ormai – trentacinque anni. C’è sempre qualcuno, all’entrata della casa di Erko e di Girl – e ormai anche di Jenny e di Johnny – fermo a chiedere consiglio a Shelly.
Si sente completamente parte della base, la sua nuova casa; si sente in simbiosi con Girl, con Erko, con quegli oggetti, ne percepisce l’anima – senza esagerare, senza usare termini eccessivi: hanno un’anima, una serie di ricordi impilati l’uno nell’altro.
Poggia il palmo sul pugno chiuso di Jenny.
« Sta’ tranquilla, tesoro ».
Fino a oggi, non è mai accaduto nulla a Girl. Shelly non riesce a motivare l’apprensione di Erko – così diffidente nel manifestare le proprie emozioni, di norma – quando Girl è fuori dalla base, anche per raccattare scorte d’acqua nei dintorni.
« È che odio non poter andare in missione, odio starle lontana, odio non sapere quello che succede. È lecito, giusto? ».
Shelly annuisce; a lei non dispiace – come ad Erko – che Jenny, per la sua malformazione cardiaca, non possa sforzarsi. In particolare perché se stesse insieme a Girl anche durante il ’lavoro’, si distrarrebbero entrambe e rischierebbero troppo. « Certo che sì … però questo intensifica la passione, dico io ».
Jenny la scruta in volto per un attimo, prima di scoppiare a ridacchiare. Rossa in volto, per altro. “Colto nel segno”, ghigna tra sé Shelly. È piacevole conversare come un qualunque paio di amiche in un pomeriggio d’angoscia insensata, come ci sono sempre stati prima della Better Living e sempre ci saranno. “Sempre”, ribadisce Shelly.

La rivoluzione è nelle anime delle persone, si dice.
Quando sono là fuori, nel deserto, tra la sabbia che vola in mulinelli, bocche e nasi coperti dalle bandane, le torce – di notte – a illuminare pochi metri davanti il loro naso – e sono lì per l’acqua, per il cibo, per delle pattuglie della Better Living da eliminare – quando sono là fuori, soli, nel silenzio, nel fruscio del vento, nel caldo soffocante, è tutto diverso.
Gravity, per quanto sia contraria a tutto quello, è in allerta, è un animale a caccia.
Corpi tesi, occhi che hanno imparato a saper riconoscere le forme nelle tenebre, braccia-mani-pistole pronte a scattare.
In fondo, alla Better Living sarebbe bastato di governare il mondo, di rendere gli esseri umani dei gusci vuoti, degli insensibili amebi sottostanti ai loro ordini.
Li sentono i muscoli, sotto i vestiti, sotto la plastica e il cotone, la pelle – riescono quasi a percepire gli strati di pelle.
Sono appostati dietro un cespuglio di roghi, hanno spento il fuoco dopo essersi accorti del silenzio interrotto da lievi rumori, trasportati nell’aria, rumori metallici. Nel deserto dovrebbe esserci soltanto strisciante fauna in cerca di cibo. Come loro. Uomini divenuti fauna del deserto, in una lotta senza regole, all’ultimo sangue.
E la Better Living. Sempre pronta a contro attaccare, mai esausta, costantemente un passo avanti.
Ma la situazione sta cambiando, Erko l’ha promesso. Presto – non si sa esattamente quando, ma Erko con ’presto’ potrebbe anche significare mesi, certo – ma quel che conta è che c’è una data, Erko la conosce, e ora dopo ora si avvicina, inesorabilmente – ci sarà una svolta definitiva, e le sorti del mondo dipenderanno dalle scelte dei singoli.
La rivoluzione è nelle anime delle persone che combattono per la rivoluzione, si precisa.
Non importa se si vinca, o si perda. C’è sempre qualcuno, dopo, a combattere per il passato, a ricordarlo; certo, la Better Living ha un esercito infinito, a quanto sembra, ma loro sono instancabili. Non bastano le ferite a fermarli.
D’altronde, allenati in modo impeccabile, è rarissimo che vangano sconfitti. I ribelli.
Girl guida la missione, senza preoccuparsi della reazione di Erko all’essere uscita senza il suo permesso e all’affidarsi indebitamente, con un documento falso, il ruolo di ’comandante supervisore’ della spedizione.
Alla base pensano tutti che sia valorosa, la ammirano, le donne la venerano. La osservano, ormai da diversi anni, con occhi da possibili amanti. È sbocciata, dopotutto. Anche sotto la divisa di plastica e cotone dei colori dei Killjoys, si notano le sue gambe. Il volto di Girl è magnetico: ha dei tratti morbidi, i suoi occhi inafferrabili e distanti lo rendono freddo, la bocca rossa rende impossibile il rimanere impassibili al suo passaggio o alle sue parole. La sua vita ritirata, se non per sporadiche visite a Megg o Show Pony, la fanno sembrare misteriosa, quindi desiderata.
« Muoviamoci ». L’incanto si spezza, Girl assomiglia a Erko mentre con gesti svelti ricorda la formazione. Girl e Johnny saranno i primi a muoversi. Alle loro spalle, assicurandosi della loro incolumità, un paio di uomini esperti, a cui quasi sta stretto il comando di una ragazzina, dopotutto, ma non ha mai sbagliato un colpo, non è mai morto nessuno con lei.
Gravity e altri tre formano un circolo intorno alla zona; un bagliore è visibile dietro un piccolo raggruppamento di piante grasse. Girl la indica ai tre compagni, si spostano, passi di silenzio e tenebre. Un pluf fragoroso nell’immobilità del deserto.
Stanno diventando più ottusi che mai”.
Girl non ha mai pietà di quelle guardie – gli ordini le impongono di non smascherarli, assolutamente vietato, a tutti, ma spera sempre di aver colpito uno degli assassini dei Killjoys. Arde perché sia così.
Sono esattamente alle spalle dell’origine della luminescenza; ombre apparentemente umane. “Ombra singola. Ha, al fianco, oggetti irriconoscibili. Presumibilmente armi” appunta mentalmente. Indica a Johnny la sagoma proiettata sulla sabbia, annuisce.
Sbucano alle spalle dell’individuo, pronti ad azionare le armi. Niente bianco, niente divisa.
« Ehi! ». È un ragazzo, si alza in piedi, in volto un’espressione infastidita. Lancia un paio di occhiate a Girl e Johnny, poi sbuffa: « hmpf, ribelli … ».

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