Kisala: la figlia del Principe dei Demoni

di Maura85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio Rocambolesco ***
Capitolo 2: *** Salvando il Villaggio ***
Capitolo 3: *** Zanna ***
Capitolo 4: *** Himaro ***
Capitolo 5: *** L'istinto felino ***
Capitolo 6: *** Rabbia e Traformazione ***
Capitolo 7: *** Il Demone Kisala ***
Capitolo 8: *** Amuleto e Salvezza ***
Capitolo 9: *** Okis ***
Capitolo 10: *** Spettri-Alberi e Scoperte ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni - parte prima ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni - parte seconda ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni - ultima parte ***
Capitolo 14: *** Fuga dallo scontro ***
Capitolo 15: *** Omicidio ***
Capitolo 16: *** Talana ***
Capitolo 17: *** PUBBLICITA'! ***
Capitolo 18: *** La Scienziata ***
Capitolo 19: *** Proposta di Viaggio ***
Capitolo 20: *** Il Futuro ***
Capitolo 21: *** Kuara ***
Capitolo 22: *** Kuara Rassicurata, Inuyasha un po' meno ***
Capitolo 23: *** Spiegazioni e Richiesta ***
Capitolo 24: *** Duello ***
Capitolo 25: *** Ritorno al Passato ***
Capitolo 26: *** Profumi e corse ***
Capitolo 27: *** Sogno e Fuga ***
Capitolo 28: *** Agguati ***
Capitolo 29: *** Riconciliazione ***
Capitolo 30: *** COMUNICAZIONE DI SERVIZIO ***
Capitolo 31: *** Spiegazioni Mancate ***
Capitolo 32: *** Nuova Tessaiga ***
Capitolo 33: *** In Cammino ***
Capitolo 34: *** Caccia Grossa ***
Capitolo 35: *** A Casa del Padre ***
Capitolo 36: *** Artigli e Lama ***
Capitolo 37: *** Sfida - 1 ***
Capitolo 38: *** Sfida - 2 ***
Capitolo 39: *** Sfida - 3 ***
Capitolo 40: *** Separazione ***
Capitolo 41: *** RIMINI ^^' ***
Capitolo 42: *** SCUSATE ;_; ***
Capitolo 43: *** Cure ***
Capitolo 44: *** Cure - 2 ***
Capitolo 45: *** Inizia la nuova avventura! ***
Capitolo 46: *** Korin ***
Capitolo 47: *** Intervento nel duello ***
Capitolo 48: *** Lo Sterminatore Korin ***
Capitolo 49: *** Il Demone in Lui ***
Capitolo 50: *** Lacrime e Racconto ***
Capitolo 51: *** Loro Due Nella Notte ***
Capitolo 52: *** Ancora Due Nella Notte ***
Capitolo 53: *** Divisione ***
Capitolo 54: *** Rapimento ***
Capitolo 55: *** RIPOSO DEL WEEK-END ^^ ***
Capitolo 56: *** Il Salvataggio di Kuara ***
Capitolo 57: *** Facciaa Faccia ***
Capitolo 58: *** La Morte di Kisala ***
Capitolo 59: *** Il Ritrovamento di Makau ***
Capitolo 60: *** Epilogo ***
Capitolo 61: *** OSSERVAZIONI SUI PERSONAGGI ***



Capitolo 1
*** Inizio Rocambolesco ***


Correva. Correva con tutte le sue forse, il fiato che si condensava davanti alle sue labbra in effimere nuvolette, il volto graffiato dai rami che sporgevano sulla sua strada.
Sentiva l’oscura presenza dietro di sé, la sentiva avanzare più veloce del vento, mera portatrice di morte; lo voleva, lo desiderava. E presto lo avrebbe raggiunto.
Svoltò all’ultimo minuto, giusto in tempo per evitare un tronco birbante che aveva pensato bene di crescere davanti a lui, e che una generosa luce di luna piena gli aveva permesso di intravedere.
La milza gli pulsava dolorosamente, e dalle gambe giungevano chiari segnali di resa.
Ma non poteva fermarsi.

Sesshomaru ancora non aveva proferito parola; lo sguardo si spostava molto lentamente ora su una donna, ora sull’altra, come alla ricerca di un indizio che gli facesse capire che era tutto uno scherzo.
Ma entrambe erano impassibili, Rin seduta sulla sua poltrona preferita, intenta a ricamare un pezzo di stoffa, e Kisala, diciassettenne dagli occhi perennemente colmi di sfida verso il mondo, appoggiata contro un muro, con addosso la sua divisa da combattimento.
Da qualche anno a questa parte lui aveva preso ad allenarla al combattimento e alla sopravvivenza, finalmente allargando le sue attenzioni di padre oltre la sconfinata ammirazione per Takurei, unico suo figlio maschio, e accettando il fatto che Kisala fosse non solo molto abile, ma addirittura più portata del fratellino.
Però adesso la richiesta che, con l’appoggio di sua madre, stava avanzando… era davvero inaccettabile!
“No.” Risposta che non accettava proteste, ma chissà perché era praticamente certo che ne sarebbero venute lo stesso; e molte.
“Forse non mi sono spiegata.” Aveva ipotizzato sua figlia, accigliandosi. “Non ti sto chiedendo il permesso di partire, Signor Padre: ho semplicemente ritenuto opportuno informarti circa mia decisione.”
Da sempre manteneva quel tono freddo, distaccato, nei suoi confronti; pur amandolo e rispettandolo, sia come genitore che come insegnante, mai erano riusciti ad allacciare un vero rapporto che andasse oltre i ruoli ai quali erano stati destinati. Kisala era capace di passare intere ore intrattenendosi in piacevole conversazioni con la madre, ma mai sarebbe andata oltre alla stringata comunicazione che aveva con lui; e ciò era una cosa a suo completo svantaggio, come ebbe modo di constatare anche quella volta: quelle due si erano messe d’accordo, per tentare di convincerlo.
“Sesshomaru.” Rin aveva posato il suo ricamo, decidendo di approfittare di ogni debolezza del compagno… a partire dal grande amore che li univa, profondo come dal primo giorno. “Io credo che sarebbe molto utile per Kisala poter viaggiare sola, poter scoprire cosa c’è oltre questo castello… farsi un po’ le ossa…”
“Se le può fare anche qui: la chiudiamo in una stanza con tre orsi e se le fa rompere e rifare quante volte vuole, le ossa!” Sesshomaru aveva fatto per voltare le spalle alle due donne più importanti della sua vita, mentre un sentimento alieno come la paura gli rodeva il cuore: Kisala, la sua piccola, indifesa, fragile Kisala… che esplorava il mondo? Da sola?
“Sai benissimo, padre, che sono perfettamente in grado di uccidere non tre, ma cinque orsi, anche disarmata.” era strano come quella fanciulla fosse un perfetto ibrido tra lui e Rin: i suoi stessi occhi color miele, sottili armi di guerra psicologica che sapeva usare alla perfezione; un selvaggio fiume di lunghi capelli corvini, lasciati sciolti nonostante la scomodità nei combattimenti, incorniciavano un fisico agile e scattante. Una coda, nera ed elegante, fuoriusciva da un apposito buco sul retro dell’abito, ondeggiando nervosamente.
La sua Kisala.
La sua bambina, che voleva partire, sola ed indifesa!
“Se vuoi partire, fallo. Ma sappi che non hai la mia approvazione.” col tempo, anche lui aveva affinato il suo potere di costrizione psicologica: sapeva che queste parole le avrebbero certamente impedito di…
“Sta bene. Arrivederci, padre. Madre, i miei rispetti.” senza dire altro, si era voltata, uscendo dalla stanza, fischiettando un motivetto allegro.
“Caro, cos’è quella faccia sconvolta?” aveva voluto sapere Rin, senza neanche preoccuparsi di nascondere un sorriso beffardo.

Inciampò. Inciampò e cadde con il naso a terra, facendosi un gran male.
Senza badare al sangue che fuoriusciva dal labbro, si rialzò, riprendendo la corsa. Ma non fece neppure in tempo a fare tre passi, che…
Il colpo fu forte, soprattutto per l’alta velocità con cui era scattato; cadde a terra, intontito, così come l’altra figura contro cui aveva cozzato.
“Potresti guardare dove vai.” una figura femminile si massaggiò attentamente la testa là dove si erano scontrati.
Il ragazzo la guardò, un po’ spaesato, prima di realizzare cosa fosse successo: il panico rallentava ogni suo pensiero.
“Scappa!” urlò, tentando di rialzarsi in piedi il più in fretta possibile. “C’è uno spettro, un orribile spettro che m’insegue…”

“Prima di partire, dovresti sapere alcune cose…” Rin la aiutava con una dolcezza tutta materna nel preparare qualche necessario bagaglio. “E’ meglio che la gente non sappia che tu sei un mezzo spettro: comportati come un essere umano normale.”
Kisala aveva annuito mestamente: “E come si comporta un essere umano?”
“Come si comporta? Beh ecco, non so… per farti un esempio: un essere umano non abbatte un albero con un colpo di gomito. Capisci?”
“Devo… far finta che occorrano due colpi di gomito?” Rin e Lanako, una buona e gentile serva, erano gli unici esseri umani che la figlia del Principe dei Demoni avesse mai frequentato; forse non poteva proprio dirsi un’esperta in materia, ma per la sua seppur minima personale esperienza aveva capito che gli essere umani sono buoni. Quindi perché nascondere la sua vera identità?
“Credi a me… sarebbe meglio, almeno all’inizio… Per trovarti qualche amico.”
Il profondo rispetto che la madre aveva sempre ispirato in lei l’aveva convinta a darle retta. Anche se tenere nascosti i suoi poteri non sarebbe stato del tutto semplice.

“Tu sei un essere umano?” la ragazza, sui diciassette anni circa, lo scrutò con strani e curiosi occhi color ambra.
“Sei scema? Ti ho detto che c’è uno spettro che…”
“Anche io sono un essere umano, sai? Un normale, normalissimo essere umano!” assicurò, annuendo, come a voler darsi ragione da sola.
“Buon per te, ma ora vieni via!” non ci pensò due volte, l’afferrò per il polso e l’aiutò a rialzarsi, tirandola affinché anche lei si desse alla fuga. “Se stai qui, verrai divorata!”
“E da cosa?”
“Dallo spettro, piccola stupida! Lo spettro!”
E fu allora che lei fece una cosa davvero strana; sollevò di scatto il volto, inspirando con il sottile nasino la fresca aria notturna, neanche fosse un cane. Fatto questo, borbottò qualcosa di incomprensibile, quasi ringhiando.
“Inseguito da uno spettro sanguinario, di notte, in un bosco dove incontro una povera matta!” si disperò lui, senza però muoversi: non poteva lasciarla lì, ma, per quanto la tirasse, non riusciva a smuoverla di un pollice. “Dai vieni, prima che…”
“Non è uno spettro sanguinario…” sibilò lei, rabbiosa. “E’…”
Il povero ragazzo non poté trattenere un urlo, quando la demoniaca visione che gli era apparsa qualche chilometro più indietro, iniziando follemente ad inseguirlo, piombò davanti a loro, apparentemente per nulla provato dalla corsa.
La sua vita gli passò davanti agli occhi, come un lungo film forse un po’ noioso, uno di quelli che ti addormenti poco prima del finale, e per poco non se la fece addosso.
La fanciulla matta, invece, ebbe tutto un altro tipo di reazione.
“PAPA’!” sbraitò, andando incontro alla figura – uno spettro dai capelli argentati e occhi assetati di sangue – senza alcuna paura, anzi.“Che ci fai qui? Mi ha seguita!”
“Non ti ho seguita, passavo di qui per caso.”
“Come no! E perché inseguivi quel poveretto?”
Il poveretto non sapeva bene a cosa badare di più, se alla stranezza di quella conversazione, o… o al fatto che la misteriosa fanciulla sul didietro avesse una nera ed elegante coda.
La bocca gli si spalancò a O, mentre il litigio fra i due proseguiva senza riserve.
“Non mi devi seguire! Sono partita da due giorni e già ti ho alle calcagna! E in più cerchi di far fuori tutti gli esseri umani nei paraggi!”
“Non TUTTI, solo quelli di sesso maschile!” lo spettro chinò il capo, scrutandola. “Non crederai che io ti lasci vagare sola con dei simili pezzenti attorno?”
Chissà perché, il ragazzo si sentì un poco offeso; ma decise che era meglio non stare a ribattere.
“Se non la smetti, giuro che mi sposo il primo che trovo!”
“SEI TROPPO GIOVANE PER SPOSARTI!”
In quella, una nuova esperienza stava per sconvolgere la già abbastanza agitata notte dell’inseguito: dal cielo, calò un formidabile destriero, una specie di ibrido tra un drago ed un equino, cavalcato da una distinta signora decisamente fuori di sé.
“Sesshomaru! Non ti avevo forse detto di lasciare stare Kisala?”
“Ma… ma Rin…” il temibile spettro era ora come un cane bastonato.
“A casa! Subito!”
Dopo qualche attimo di silenzio e di cupe lotte fatte solo di sguardi, lo spettro si voltò con disprezzo, sparendo in una nuvola di luce dorata.
“Devi perdonarlo, è ancora un po’ turbato…” Disse la donna sul destriero demoniaco, facendo l’occhiolino alla ragazza con la coda. Poi, con sommo orrore del ragazzo, rivolse la sua attenzione proprio a lui: “Tu sei un amico di mia figlia? Piacere di conoscerti.” Sorrise alla sua espressione di shock totale, quindi spronò la cavalcatura e sparì anche lei, nel cielo.
Silenzioso imbarazzo calò nel bosco, ora abitato solo da una ragazza con la coda e un ragazzo che ancora un po’ e se la faceva addosso.
“Come ti chiami?” chiese lei, per uccidere quella coltre che li divideva.
“M… Makau.”
“Io sono Kisala. Forse… ehm, forse avrai capito che non sono solo una semplice umana.” “L’ho intuito, sì. “ Di nuovo silenzio, Makau che si guardava attorno con due occhi grandi così, l’adrenalina che non accennava a scendere. “Hai fame? Ho appena ammazzato un orso…”
In effetti, un po’ di fame l’aveva.

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Capitolo 2
*** Salvando il Villaggio ***


CAPITOLO SECONDO

“Non ti muovere!”
La campagna ondeggiava sinuosamente, mossa dal soffio di un Eolo quel giorno particolarmente in forma; il grande prato sui cui si erano fermati, sulla parete di una tondeggiante e simpatica collinetta, rispose a quello stimolo, increspandosi come un mare verde.
Anche la chioma di Kisala era unita alla danza, e ciò non dava altro che fastidio al povero Makau, che dalla sua postazione si ritrovava sempre con qualche ciocca malandrina in bocca.
“Accidenti, tieni questo mucchio selvaggio!” ordinò, continuando a maneggiare la grezza stoffa verde. “Non vedo nemmeno cosa sto facendo!”
“Scusa, Makau.” mormorò la mezza demone; già da prima aveva tentato di catturare tra le lunghe dita quanti più capelli poteva, ma qualcuno riusciva sempre a sfuggirle, tornando in faccia al suo nuovo amico, accucciato proprio dietro a lei. E il suo lavoro, legarle attorno ai fianchi quel po’ di stoffa che avevano acquistato da una viandante, richiedeva un po’ troppa concentrazione per permettergli di lottare anche contro quei fili così simili a seta.
“Nascondere questa coda è un problema più complicato del previsto.” borbottò il ragazzo, svolgendo il telo e provando ad avvolgerlo in un altro modo, così che sembrasse una normale gonna sopra i pantaloni, e non un geniale espediente per celare quella massa di pelo corvino. “E vorrei fare in fretta: se arrivasse tuo padre e mi vedesse così…”
Kisala si irrigidì, cosa che avvertì anche dalla sua postazione; non seppe bene come, ma lo avvertì.
“Mamma ha promesso di tenerlo a bada; non mi seguirà più.” Spiegò infine, una volta ricacciata dentro tutta l’aggressività in eccesso. “Ma è proprio necessario nasconderla? Mi hanno sempre detto che è molto elegante…”
“Lo è, infatti… da un peloso punto di vista.” strinse un laccio, togliendole un po’ di respiro. “Ma se vuoi passare per un normale essere umano…gli esseri umani non hanno la coda, sai?”
“Lo so.” ribatté, quasi offesa da quel mettere in dubbio le sue conoscenze. “Infatti, mi sono sempre chiesta come facciate…”
“Come facciamo, che cosa?” Si rialzò, asciugandosi un po’ di sudore sulla fronte e ammirando la sua opera: ora sembrava che lei avesse un enorme fondoschiena, ma almeno nessuno avrebbe sospettato la presenza di una coda.
In piedi era alto almeno un palmo più di lei; era abbastanza muscoloso, con capelli color fuoco e occhi castani, grandi.
“Come facciate a mantenere l’equilibrio.”spiegò la giovane, facendo un paio di giri su sé stessa e sperimentando il movimento del suo nuovo capo di vestiario. “Sembrate così traballanti…”
“Traballanti? Non…” ma non fece neppure in tempo a dire ‘… è vero’, che un suo semplice colpo d’indice lo spedì a terra, causandogli una poco simpatica zuccata. “Visto? Vi basta un nonnulla, e cadete.” Spiegò con innocenza del tutto sincera. Allungò una mano per aiutarlo, e lui di malavoglia l’accettò.
“Non sono caduto perché ho carenza di equilibrio, ma perché hai la forza di tre elefanti! E la prossima volta che vuoi fare esperimenti, ti prego di trovarti un’altra vittima!”
“Sì, come vuoi tu.” fece spallucce, e lui scoraggiato intuì che non aveva capito una sola parola del discorso.
“Dai, andiamo…” Fece svogliatamente.
“Al villaggio? Mi porti davvero al villaggio degli uomini?”
“Ma sì, te l’ho già detto… NO! COSA FAI?”
La coda di lei era letteralmente esplosa, sciogliendo ogni nodo della stoffa, e ora, trionfante, si agitava per l’aria, in un eccitato scodinzolio.
“Devi tenerla ferma, ti ho detto! FERMA!” l’afferrò, ma l’arto non volle saperne di essere fermato, costringendolo a volare da destra a sinistra. “Aiuto!”
“Scusa Makau, è che quando sono felice non riesco a controllarla…”
“Se proprio vuoi fare il cane, sii almeno obbediente! Cuccia!” ma di obbedienza la coda non ne voleva sentir parlare, e così, con un ulteriore, violento movimento, spedii il povero ragazzo qualche metro più in là, e le innocenti orecchie di Kisala furono risparmiate da esclamazioni che è meglio non trascrivere.

Come ogni straniero che entrava in quel piccolo villaggio a fondo valle, anche questi due giovani furono scrutati attentamente, non tanto per sospetto quanto per semplice curiosità, e dopo un primo esame vennero ovviamente bollati come innocui… ma non certo indifferenti, soprattutto per la singolare bellezza di lei.
“Un villaggio di esseri umani!” sussurrò Kisala, guardandosi attorno con due occhi grandi così, e restituendo ampiamente la curiosità ai paesani.
Vivendo in semplici e modeste case, e il centro era attorniato dai piccoli orti coltivati in modo ossessivo, che però non davano mai abbastanza frutti da riempire abbondantemente tutte le pance.
“Smettila di guardarli così, o li spaventerai… cerca di essere normale, non farti notare. E ricordati: stiamo qui pochi munti, va bene?” fece qualche passo, e poi gli venne un sospetto, purtroppo confermato non appena si girò a cercarla: lei non era più accanto a lei. “Kisala?”
“Makau, guarda!” il suo urlo gioioso e un altro urlo, un po’ meno gioioso, gli fece venire i brividi al solo pensiero di voltarsi; ma dovette farlo lo stesso, per trovare la sua nuova compagna di viaggio che, trionfante, reggeva per la caviglia a testa in giù un moccioso. Quest’ultimo non era molto felice del trattamento, e strillava come un’aquila. “Ho trovato un cucciolo!”
“Mettilo giù!” Più che un ordine era un’implorazione, alla quale lei decise di non prestare orecchio, sventolando come una bandiera il bambino e osservando come una zoologa le reazioni.
“Ehm…” una voce azzardò dietro di lui. “Quello sarebbe mio figlio…” Era una signora quella che parlava, una signora accorsa non appena quella stramba straniera aveva catturato il suo terzogenito.
“E’ veramente interessante!” Forse Kisala pensava di fare un complimento, ma in effetti sembrava che si stesse studiando il moccioso per la cena. Per Makau ciò che contava era che lei finalmente lo avesse restituito alla titubante genitrice.
“Cosa vi porta da queste parti, stranieri?” un vecchio, molto più probabilmente il più anziano del paese, si era deciso ad intervenire, intimando con cenno del capo alla donna e a suo figlio di sparire. Li osservò con attenzione, non mancando di soffermarsi per qualche secondo in più del dovuto sulle iridi color miele di lei.
“Noi… ehm, noi volevamo acquistare della… ehm, qualcosa.” In effetti, Makau non si era preparato nessuna scusa plausibile, e adesso ciò gli sembrò molto stupido
. “Ahimé, poco abbiamo per noi, nulla da vendere.” sospirò il vecchio. “La costruzione della diga sul fiume va molto a rilento, ed è già tanto se non moriamo di fame.”
“Oh, ma è terribile!” l’urlo della fanciulla era stato così forte che non pochi pensarono ad una presa in giro.
“Sì è un vero, peccato, ma è meglio se ora andiamo…” lui fece per tirarla via, ma ovviamente Kisala con naturalezza gli appoggiò l’indice sul petto; ed un altro volo a terra gli fu inevitabile.
“Cosa blocca la costruzione della diga?” Domandò la ragazza, ignorando o non comprendendo lo sguardo sconvolto dell’anziano, posto su un borbottante e dolorante Makau.
“Uno… uno spettro dispettoso, continua a buttarla giù…”
“Tutto qui? Dov’è la diga? Come la costruite? Perché? Come state in piedi senza coda?”
“Coda?”
Continuando a conversare, si spostarono verso il fiume e i lavori per la diga, seguita da Makau e dal suo bernoccolo.

Era piccolo e rugoso, con qualche spruzzo di pelo grigio sulle sopracciglia e sugli arti; camminava su tozze zampette caprine, motivo ripreso dalle arcuate corna che crescevano ai lati della testa. Un ghigno giallo, sporco, si apriva sul volto, macchiato di sangue.
“Che schifo.” osservò Kisala, estraendo con una lentezza tutta del Principe dei Demoni la spada che tanti anni prima era stata costruita apposta per lei. “Ehi, spettro! Perché importuni questo villaggio?”
Lui dapprima non risposte, comodamente seduto su di un tronco posto in mezzo al fiume. Fissò con ripugnante avidità quella bella ragazza, sorseggiando qualcosa dalla fiaschetta che teneva legata al fianco.
“Sono loro che importunano me.” spiegò infine, con voce bassa. “Il fiume è mio, e faccio ciò che voglio.”
“Se continui a bloccare i lavori della diga, moriremo di fame!” il vecchio si gettò in ginocchio, prostrandosi.
Quasi tutti gli abitanti del paese li avevano timidamente seguiti e ora, più da lontano, osservavano con preoccupata curiosità quella fanciulla che non accennava minimamente ad inchinarsi di fronte al temibilissimo Spettro delle Acque.
Le rosse labbra di lei era incrinate in un sorriso divertito: una creatura cresciuta e allenata da Sesshomaru se li mangiava a colazione, gli spettri di quel genere.
Makau si avvicinò a lei, un po’ preoccupato per la piega che aveva preso la vicenda: “Suppongo tu voglia affrontarlo… non credi che questo risulti… sospetto?”
“Forse, ma non lascerò queste persone sole ed indifese… in guardia!” brandì la spada, puntandola contro di lui, e avvicinandosi attentamente, la stoffa attorno ai fianchi che le impediva di poco i movimenti, i capelli ondeggianti che donavano quasi un’aria soprannaturale a quella gracile fanciulla.
“Ma cosa fa?” si disperò il vecchio, eppure un braccio di Makau scattò davanti al suo petto, bloccando ogni sua intenzione di intervenire.
Non disse nulla; semplicemente scattò, le agili gambe che trovavano con estrema sicurezza ogni possibile luogo d’appoggio. Scattò verso quella creature la quale, dopo averla fissata con ostile divertimento, iniziò saggiamente a preoccuparsi.
“Ehi, cosa fai…? Cosa…?” ma non ebbe tempo di urlare altro, quando la spada di lei lo raggiunse sulla sommità del capo, tagliandolo con sadica precisione in due esatte metà; non perse sangue, non agonizzò: divenne polvere, polvere vecchia di secoli, che un provvidenziale soffio di brezza badò bene di spazzare via subito.
Kisala si voltò con un allegro sorriso verso quelle donne, quegli uomini, quei bambini.
Un boato di trionfo esplose.
Un’ovazione che giunse sino ai paesi vicini.
“Grazie, grazie!” l’anziano capo era davanti a tutti, in ginocchio, in lacrime, che baciava con reverenza un candido palmo di lei; tutti gli altri la circondarono presto, urlando di gioia, i bambini sulle spalle dei padri, le mogli strette ai mariti.
Lo spettro era sparito, lo spettro era sparto grazie a quella strana ma potente fanciulla venuta da chissà dove! Finalmente la diga sarebbe stata costruita, finalmente la fame sarebbe stato un lontano ricordo… e tutto questo grazie a lei!
Era così felice…
“Mamma, guarda!” la vocetta del bambino a fatica raggiunse l’attenzione dell’interpellata, che comunque volse lo sguardo in cerca di ciò che il figlio le indicava. “Guarda che bello, ha una coda!”

Qualche minuto dopo, mentre la stringeva per un polso e correva via, evitando pietre lanciate con la massima ferocia e precisione, Makau non mancò di insultare Kisala, forse non troppo consapevole della situazione, ma ancora scodinzolante.
Mentre fuggivano in tutta fretta dalla folla inferocita, con lei che, forse cieca alle pietre?, ancora protestava per la partenza frettolosa, ebbe il tempo per girarsi un solo attimo, e scorgere la figura che stava apparendo nel centro del paese.
L’uomo, dai lunghi capelli argentati e ricche vesti, alzò l’arma e osservò con silenziosa rabbia quella persone, che solo ora lo avevano notato.
“Avete trattato male la mia bambina.”
A quel punto, Makau ebbe ancora più buoni motivi per correre come mai in vita sua.

“Io ancora non capisco.” Kisala gettò da parte l’osso di cervo (tre, se n’era mangiati tre, e sosteneva d’avere ancora fame…), e fissò con aria metidabonda le stelle che lentamente attraversavano la volta celeste.
Makau le rivolse un’occhiataccia.
“Se solo avessi evitato di scodinzolare… ma non ti vergogni di avere le stesse reazioni di un cane?”
“Li avevo appena aiutati… insomma, anche se sono un mezzo spettro… beh li avevo appena salvati no?”
“Li hai sentiti che hanno detto, che avevi ucciso quello spettruncolo da nulla per rubargli il posto e vessarli più di prima…”
“Mi sembra una scusa.” poggiò la schiena contro una pietra, e chiuse gli occhi, godendosi il profumo della notte.
Makau non rispose, dato che anche i suoi pensieri coincidevano con quella teoria; ma dirglielo forse l’avrebbe fatta star male, così come rivelarle che ancora una volta suo padre la teneva costantemente d’occhio.
“Sai? E’ strano, da quel villaggio arriva odore di… sangue umano?” riaprì di scatto gli occhi d’ambra, guardandolo con preoccupazione. Beata innocenza…
“Magari una pietra ha colpito qualcuno.” fece a fatica spallucce, cercando di darle le spalle, così che la sua espressione non tradisse la sua menzogna.
“Speriamo non si sia fatto male.”
“Ho come il dubbio che nessuno là sentirà mai più del male…”
Ma lei era già lontana, vagando nei pensieri come un poeta romantico; dopo poco chiuse gli occhi, addormentandosi quietamente. Makau, al solo pensiero che il Principe dei Demoni potesse osservarlo da qualche parte nel cielo, neppure si azzardò ad avvicinarla per coprirla.

Sesshomaru riapparve sulla soglia del castello; chinò il capo sulla spada sporca di sangue, e sullo sfondo dei capelli morbidamente ricaduti in avanti ghignò con soddisfazione. Anche per quella volta, giustizia era stata fatta.

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Capitolo 3
*** Zanna ***


CAPITOLO TERZO

“Che cos’è?” Makau si allungò verso di lei, la mano di poco al di sopra delle fiamme del loro piccolo falò. Afferrò il piccolo oggetto bianco, rigirandoselo curiosamente tra le dita.
Erano passati due o tre giorni dalla a dir poco traumatizzante esperienza in quel villaggio e, per la prima volta da quando si erano conosciuti, circa un paio di settimane prima, avevano finalmente una meta precisa; cioè, Kisala l’aveva, e lui la seguiva, senza neanche stare a chiedersi il perché. O dove fossero diretti.
Nonostante le molte spiegazioni che da un paio di giorni lei si prodigava nel fornirgli, ancora lo scopo del viaggio non gli risultava molto chiaro, così che quella sera finalmente la mezza demone aveva deciso di illustrargli il tutto con tanto di prove visive: e queste prove erano costituite appunto da ciò che gli aveva dato.
Osservò quello che lei gli aveva presentato come un piccolo tesoro: sembrava una zanna, una bianca e lucente zanna, da tempo staccata al suo proprietario ma apparentemente ancora in grado di dilaniare l’impossibile.
“E’ un dente di papà.” fu la semplice spiegazione, che gli procurò reazioni non da poco: dall’urlo pieno di disgusto e panico, al lancio dell’oggetto il più lontano possibile. “Ma sei pazzo?” Veloce come al solito, lei era scattata, afferrando al volo il prezioso dente così simile alla madreperla, e stringendolo con un misto di ingordigia ed affetto.
“Tu sei PAZZA! Perché vai in giro con un dente di tuo padre?” ribatté Makau, disgustato. “E perché lo vieni a dare in mano a me?” non sapeva molto bene dove lavarsi quella mano, che teneva a distanza di sicurezza, neanche fosse stata infetta.
“Volevo solo spiegarti dove siamo diretti.” borbottò lei, riponendo attentamente la zanna in una tasca interna della pratica tenuta da combattimento. “Sono giorni che te lo spiego, senza che tu capisca…”
“Ma sì, ho capito: devi andare da un certo Totoqualcosa, un fabbricante di armi… anche se non capisco il perché, dato che ce l’hai già, una spada! E che c’entra quella… quella cosa?” Indicò tremante la tasca dove l’aveva vista nascondere la zanna.
“Questo stuzzicadenti!” estrasse la sua arma, con la quale aveva saputo raccogliere molti successi: ma nonostante questo la rigirò alla luce del fuoco con scetticismo. “Con questa non potrò mai sfruttare al massimo i miei poteri! Il vecchio Totosai, invece, sa trarre ottime spade magiche da qualsiasi cosa… e questa zanna sarebbe un’ottima base!”
“Come… come te la sei procurata?” un’immagine – Kisala invasata come non mai che si gettava all’attacco, provocando una nera finestrella sul sorriso del padre – attraversò la mente di Makau, e a fatica trattenne una risata.
“Una volta l’anno lui le perde, e gli ricrescono subito… di solito le recupera e le tiene tutte in un qualche suo posto segreto… ma questa sono riuscita a prenderla e a nasconderla!” c’era somma soddisfazione nella sua voce, come di chi è riuscito a portare a termine un’epica impresa.
Posò una mano sul piccolo rigonfio della tasca interna, sorridendo con soddisfazione; quindi, prese l’ultimo pezzo di carne messo ad arrostire, e lo addentò con tanta fame da dare quasi l’impressione di essere digiuna: ma nella sua cena lui aveva già contato almeno sei conigli.
Sedeva compostamente come sempre, la bella schiena inarcata e la nera coda raccolta attorno al corpo: più la osservava, più notava l’alta educazione cui era stata sottoposta.
Ma in quel momento lasciò perdere ogni contemplazione, scuotendo il capo.
“Tu sei pazza. Avevo il sospetto, ma ora ne ho la certezza completa!” si stese a terra, incrociando le braccia dietro al capo; sì, era pazza, o comunque molto strana, quella mezza demone: eppure non aveva nessuna voglia di lasciarla vagare da sola per il mondo.
Anche perché da sola sarebbe finita in guai grossi entro mezzo minuto, e certamente nel mezzo minuto dopo il padre avrebbe rasato al suolo tutto quello che si sarebbe trovato davanti… meglio evitare certi cataclismi.
“Non sono pazza! Anche mio nonno fece costruire una spada così!” la carne purtroppo era già finita; gettò via l’osso, delusa.
“Vuoi… vuoi dire che la spada di tuo padre è un dente di tuo nonno?” se possibile, il raccapriccio nella voce di lui era ancora aumentato. Le sue allucinati e distorte idee sulle selvagge leggi delle gerarchie demoniache stavano ricevendo molte conferme, o almeno così gli sembrava.
“Ma no, cosa dici?” rise lei, e per un attimo lui si illuse di aver davvero capito male. “Quella spada ce l’ha il fratello di mio padre, Inuyasha. So che papà una volta ha cercato di ucciderlo per averla, ed è stato allora che ha perso il braccio…”
“Gran bella famigliola.”
“Mi sembri ironico.”
“Chi, io?”
Kisala rovesciò un po’ d’acqua sulle fiamme morenti, quindi si sdraiò, dandogli le spalle. L’aria della notte era fredda, sibilante, e fu con piacere che accettò una sua piccola attenzione:
“Se ti prendi qualcosa, temo di finire decapitato.” spiegò, posandole sulle spalle una pelle di cervo. Lei non rispose, impegnata in profonde riflessioni.
“Se mio padre scoprisse ciò che voglio fare, non credo che ne sarebbe molto contento.” Confessò infine, quasi sottovoce.
“Neppure io sono entusiasta di viaggiare con un suo dente, sai?”
“Non ne sarebbe felice” come al solito, non gli aveva badato, proseguendo sui binari dei suoi pensieri. “perché una simile arma la vorrebbe riservare solo ed esclusivamente a mio fratello!” strinse con un pugno quella pelliccia non abbastanza lunga per coprirla tutta. Suo fratello, il piccolo Takurei, era sempre stato il fiore all’occhiello del padre, e lei era certa che ancora adesso il genitore stesse cercando di creare grandi disparità di poteri tra i due eredi.
“Uhm… preferenze in famiglia, eh?” Makau ricacciò immediatamente i ricordi che riaffioravano in lui, rifiutando come sempre di affrontarli: troppo dolore.
“Eccome! Dobbiamo stare attenti, sulla via che conduce a Totosai… se lui scoprisse cosa abbiamo in mente…”
“Cosa HAI in mente, prego.”
“… Sono certa che ti ucciderebbe solo per avermi accompagnato!”
“Chissà perché, non ne avevo il minimo dubbio. Buona notte.”
“Buonanotte.”
Il vento quella notte ululò con gran forza, e forse era solo un sogno, una sua allucinazione… ma gli sembrò proprio di udire un miagolio…

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Capitolo 4
*** Himaro ***


CAPITOLO QUARTO

“Credo dovremmo deviare ancora un po’ il percorso, nel caso mio padre ci stesse spiando…”
“Nel CASO, eh? Dimmi, precisamente in che modo vorresti deviare?” purtroppo per lui e per le sue vertigini, quella sottospecie di psicopatica lo aveva trascinato su per un monte, costringendolo a immedesimarsi in uno stambecco per sopravvivere. Adesso, in bilico su una stradina spessa mezzo piede e a ridosso di un burrone del quale non si scorgeva il fondo, la guardò decisamente male.
“Beh, se saltiamo per di là…” per niente preoccupata del precipizio sotto di loro, indicò un piccolo baffo di roccia, dirimpetto a loro, raggiungibile con un semplice salto ma che sembrava stare lì per scommessa. “… e poi ci arrampichiamo per di là…” e il dito che mostrava il percorso salì sino a una scoscesa parete dall’aspetto molto assassino. “… Potremmo farcela. Credo.”
“Credi?” urlò. Era da un paio di giorni che si erano avviati verso la dimora del misterioso Totosai, e per non fare intuire nulla ad eventuali spie, lei continuava a proporre deviazioni decisamente impossibili di cui era decisamente stufo. “Piuttosto che fare queste evoluzioni, preferisco la spada di tuo padre!”
“E’ la tua ultima scelta, umano?”
Nessuno dei due aveva minimamente avvertito la sua presenza, ed ora la lama della lunga spada del Principe dei Demoni era premuta contro l’indifesa gola di Makau, il quale ebbe rapidamente modo di rivedere le sue scelte.
“Padre! Che cosa fa qui? Non avevi promesso di lasciarmi in pace?” Kisala purtroppo non poteva fare niente, dato che Makau la divideva dal genitore, e il passaggio era troppo poco spesso per permetterle di passargli davanti, a meno che non fosse fornita di un paio d’ali.
“Come mai vi state arrampicando per questa sperduta montagna?” Odiava, detestava addirittura quando lui le rispondeva con un ulteriore domanda; ma il timore che i suoi propositi fossero scoperti le permise di mantenere una parvenza di calma.
“Stiamo… ehm, rinfrancando lo spirito ed il corpo!”
“Non basterebbero dieci anni di allenamenti per lui.” Con la solita freddezza scrutò un Makau, il quale non era nelle condizioni migliori per ribattere qualcosa di arditamente intelligente; infine, con suo gran sollievo, ritrasse la spada, accogliendola in uno dei due foderi che pendevano al suo fianco. “In ogni caso, sono qui per chiederti un favore, Kisala.”
“Tu… cosa?” la fanciulla socchiuse gli occhi, come un gatto diffidente, mentre le rotelle nella sua testa elaboravano a più non posso, cercando la fregatura.
“Questo è Himaro.” Sesshomaru si strinse più verso della parete, così che i due potessero intravedere una quarta persona, fino a quel momento interamente nascosta dal demone. “Suo padre mi ha cortesemente domandato di poterlo affiancare a voi, in questo… bah, in questo viaggio per il mondo.”
Himaro non disse nulla; tutto ciò che Makau e Kisala poterono vedere fu un ragazzo alto, ben piantato; il volto era ancora nascosto da Sesshomaru, ma in ogni caso sua figlia già decise che non le sarebbe risultato simpatico.
“Scordatelo! Sei stufo di seguirmi e vuoi mettermi alle calcagna una guardia?” non disse altro, semplicemente gli voltò le spalle, riprendendo la scalata alla montagna.
“Himaro ha… delle difficoltà relazionali, Kisala, e sia io che suo padre riteniamo sarebbe molto utile se lo tenessi un po’ con te…”
“Come no! Portalo via, o lo butto giù per il burrone!”
“Tua madre è d’accordo con noi, e si unisce nel pregarti…”
“Stai mentendo!”
“Vuoi forse rifiutare aiuto ad una solitaria creatura…?”
Kisala tacque, il tasto giusto finalmente toccato; si voltò con furia verso suo padre, consapevole d’essere stata gettata in un vicolo cieco, infine, dopo una silenziosa lotta interna, si arrese ed annuì, provocando in lui un sorriso molto vicino a una smorfia omicida.
“Sono fiero della tua decisione; ti auguro una buona giornata, figlia mia.” fece per sparire, tornando da dov’era venuto, ma ebbe un attimo di ripensamento; quindi si voltò verso Makau. “Per questa volta il tuo collo è salvo; ma dormi con un occhio aperto, umano, perché prima o poi ti sgozzerò…”
“Buona giornata anche a lei.” Fu la tranquilla risposta, prima che il Principe dei Demoni si dissolvesse nel nulla, lasciandoli arrampicati su quella parete, soli con il misterioso Himaro.

“E dunque? Ha accettato?”
“Come potrebbe dire di no a suo padre?”
“Mi sembra questo uno sport in cui ha sempre eccelso.”
“Molto spiritosa.”
Sesshomaru sorrise suo malgrado, sedendo con lei sull’erba, all’ombra di un grande faggio. Rin stava insegnando al piccolo Takurei come comporre corone di fiori, e ciò provocò non poco disturbo al Principe dei Demoni.
“Devi devi proprio fargli fare certe sciocchezze da femmina?”
Alla parola ‘schiocchezze’ lei aveva rialzato lentamente lo sguardo, fissandolo sul suo, senza nascondere un briciolo dell’ira crescente. Takurei, accortosi di ciò, pensò bene di spostarsi di un palmo, giusto per sicurezza.
Ma stranamente sembrò non cercare la lite, quella volta, tornando all’argomento che più le interessava: “Dimmi la verità: perché hai portato Himaro da Kisala?”
“Suo padre me l’ha chiesto.” fu la semplice spiegazione, spiegazione di chi vorrebbe fare la figura dell’altruista ed evitare altre domande.
“Sì, ma perché hai accettato?” insistette, anche lei, come la figlia, impegnata nella ricerca del reale movente; amava quella creatura, ma sapeva che poteva rivelarsi infida come una serpe.
“Beh… Mi sento più tranquillo sapendola accanto a qualcuno che sia realmente in grado di proteggerla…”
“E speri che, piuttosto che l’umano, un giorno lei sposi lo spettro.” concluse la sua compagna, finalmente giunta a una logica conclusione.
“No, davvero! Il padre di Himaro mi ha spiegato la delicata situazione del figlio, e io…” ma ormai lei lo conosceva troppo bene, troppo in profondità sapeva leggere le sue reazioni. “Sì, e se sperassi questo? Se proprio deve sposare qualcuno, beh che sia almeno di alto rango…”
“Viene da chiedersi come ti sei innamorato di me…”
“Ma per te è diverso!” Non sapeva bene come o perché; però ne era certo: non si sarebbe mai pentito d’aver amato un’umana. Però che anche sua figlia lo facesse, non gli andava molto a genio. Misteri della mente del Principe dei Demoni…
“Beh, io credo avrai una delusione.” Takurei, notando che il pericolo di una litigata era scampato, porse alla madre una corona appena terminata e lei, nonostante l’irrigidirsi del padre, gliela mise sul capo.
“Per l’amor del cielo, sembra una fatina dei boschi…” borbottò.
“Una fatina dei boschi, sono una fatina dei boschi!” la considerazione del genitore doveva aver notevolmente ispirato Takurei, che prese a saltellare qua e là per il prato, purtroppo non molto virilmente.
Sesshomaru scosse il capo, consapevole di come tutto in casa sua sembrasse sempre sfuggirgli di mano; nonostante ciò, si avvicinò alla compagna, avvolgendola con il sempre accogliente braccio, e provocando il disgusto di Takueri, che corse a giocare più lontano.
Lei si rilassò, abbandonandosi a lui, e sorridendo divertita.
“Tu sai in cosa consistono i… problemi relazionali di Himaro?”
“Non mi sono informato… suppongo sia un po’ troppo scontroso, no?”
Rin rise; rise con un’ilarità forse non proprio appropriata alla risposta, e come troppe altre volte, il Principe dei Demoni ebbe la sensazione che qualcuno lì ne sapeva molto più di lui.
“E… a proposito! Come ha reagito lei, quando ha visto che Himaro è…”

“Gatto! Un demone gatto!” si era slanciata, Kisala, quasi investendo Makau, pronta alla lotta, per nulla preoccupata dalla loro precaria situazione.
“Per l’amor di tutti gli dei, stai ferma, che finiamo tutti ammazzati!” il giovane purtroppo non era del tutto in grado di tenerla a bada; e l’orlo della stradina di montagna era pericolosamente prossimo al suo tallone destro.
Quel finimondo aveva avuto inizio quando il padre di lei era sparito, lasciando libero il loro campo visivo, così che potessero osservare meglio quel ragazzo, biondo e dalla pelle chiara, con dei vistosi baffi felini posti appena sotto il sottile naso dalla punta nera, e innaturali occhi azzurri, dalle pupille verticali.
“Uno schifoso, puzzolente, pulcioso…” i complimenti di Kisala erano cominciati da subito, eppure egli non aveva avuto alcuna reazione.
E ancora adesso se ne stava lì, muto, ad osservare apparentemente indifferente colei che voleva lanciarlo giù per il monte e colui che, per fermarla, stava rischiando proprio quella fine.
Riusciranno tutti e tre i nostri eroi a sopravvivere a questo sconvolgente incontro?

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Capitolo 5
*** L'istinto felino ***


CAPITOLO QUINTO

“Accidenti a mio padre, dovevo immaginare la fregatura, accidenti a te che non me l’hai fatto infilzare subito…” con queste dolci, soavissime parole Kisala si allontanò, in cerca della cena; tutto il nervoso che si era già fatta le aveva procurato una fame non da poco, e Makau sapeva che quella sera molti animaletti del bosco avrebbero pagato per il tiro mancino giocatole dal Principe dei Demoni.
Anche se sinceramente proprio non riusciva a cogliere così tanta gravità; insomma, forse quello spettro era una spia di Sesshomaru, ma certo non sembrava così orribile e pericoloso come lei lo descriveva: poco prima di allontanarsi, aveva chiamato a sé l’amico, intimandogli di non dare mai le spalle al nuovo arrivato, se ci teneva alla propria incolumità. E in effetti questo lo aveva inquietato.
A fatica qualche ora prima aveva convinto Kisala a scendere dalla montagna senza più attentare alla vita di Himaro, e, nonostante tutti quegli strilli e tutto quel trambusto, il destinatario degli insulti della giovane se n’era rimasto impassibile, fissandogli con quegli innaturali occhi azzurri. In effetti, un po’ strano lo sembrava; pericoloso, no, ma strano certamente sì.
E adesso erano soli, essere umano e demone, seduti a terra in quella radura, divisi da un allegro fuocherello ignaro dei nuovi sviluppi; un imbarazzo silenzioso e pesante come un masso gravava sulle spalle di Makau, che non poteva evitare nervose occhiate al suo compagno, intento ad osservare la tribale danza delle fiamme.
“Beh, ehm, sei contento di esserti unito a noi?” Alla fine, non ne aveva potuto più, tentando di intavolare un minimo di conversazione.
“Quella femmina non mi sembra molto sana di mente.” la risposta era giunta senza alcuna inclinazione sentimentale nella voce; aveva semplicemente espresso un dato di fatto che non lo interessava, come se non fosse lui quello che Kisala aveva giurato di uccidere nel sonno.
“E’… solo apparenza, basta conoscerla meglio, e…” … e si scopre che lo è per davvero! Ma non lo disse. Nel caso lei o il padre stessero ascoltando… “Come mai tuo padre ha voluto che venissi con noi?” cambiò prontamente discorso, sperando di trovare qui un campo meno imbarazzante.
“Il vecchio non mi apprezza.” Sembrava non manifestare fastidio alcuno per le sue domande, e anzi adesso gli sorrideva timidamente. In fondo non sembrava un cattivo ragazzo, e che andassero a farsi benedire le paranoie di Kisala.
E poi, con sua somma sorpresa, aveva udito dei singhiozzi: le spalle di quel giovane ora dalla testa chinata ne erano scossi, e calde lacrime cadevano lungo le guance.
“Ehi… ehi che fai?” Quasi urlò, spaventato al pensiero che fossero state le sue curiosità forse un po’ troppo personali a scatenare quella reazione. “Scusami, io non… beh insomma, non…” incapace di trovare una qualsiasi parola adatta, decise di alzarsi e timidamente, andare a sedersi accanto a lui, poggiandogli un’amichevole mano sulla spalla.
Himaro dava l’impressione di non essersi quasi accorto di quel contatto, ma infine sollevò il capo verso di lui, scrutandolo con gli occhi felini, e sorridendo, mettendo in mostra gli aguzzi canini. Un sorriso stentato, ma in ogni caso fonte di sollievo per il povero Makau.
“Va un po’ meglio?”
Sembrava proprio un bravo ragazzo; un bravo ragazzo forse troppo sensibile, che doveva forse aver sofferto molto, rimanendo in ogni caso apparentemente buono e gentile.
“Makau... VOGLIO IL TUO SANGUE!”
“Eh…?”

La coda l’aiutava a mantenere l’equilibrio, anche in quella scomoda posizione, in cima ad un ramo. In capelli l’avvolgevano come un velo, contribuendo a celarla tre le ombre della notte; solo gli occhi color ambra brillavano come due lucciole, orientati verso le future vittime di quell’imboscata.
Quest’ultime, ignare, brucavano l’erba poco sotto di lei; ciò che le univa alla loro cacciatrice era l’approfittare del buio per tentare di nascondersi… Erano una fiera madre cerva e la sua cucciola, due creature forse bellissime a degli occhi romantici, ma che all’affamata Kisala apparivano semplicemente come abbastanza in carne da soddisfare almeno lo spazio dell’antipasto.
Si mosse attentamente di qualche pollice, ogni fibra del suo corpo tesa come un cavo d’acciaio. Avrebbe potuto già attaccarle, sì, ma spesso si perdeva in quella meravigliosa sensazione, una specie di droga dalla quale si rendeva conto di dipendere: l’attimo in cui si sta per attaccare, l’attimo in cui il proprio corpo diventa strumento di assassinio, l’attimo in cui piombo liquido scorre nelle vene al posto del sangue…
Fletté di un altro mezzo grado le belle gambe, e alla fine si decise ad attaccare. Saltò! Saltò, spalancando il più possibili gli arti, simile ad un vezzoso scoiattolo volante, pronta a catturare quelle due creature, pronta a…
L’urlo che si espanse nella foresta in quello stesso momento fu così forte, così acuto, così terribile, da far decidere immediatamente a mamma e figlia cerva di correre il più lontano possibile, forse ignare di ciò che stava loro piombando dall’albero.
Fu così che Kisala si ritrovò naso a terra, gli arti ancora aperti a X, e poco ci mancò che non facesse un buco a terra con la sua sagoma. Rimase così qualche minuto, forse troppo dolorante o troppo furiosa per rialzarsi, mentre quell’urlo di nuovo si ripeteva, folle come non mai; qualcuno era in guai grossi. E adesso lo era il doppio, non appena lei lo avesse trovato!
Fiutò con rabbia l’allontanarsi della sua sfumata cena, e il fine udito non poté fare a meno di indicarle che (punto primo) il padrone della voce era Makau, e (punto secondo) si stava dirigendo proprio verso di lei. Si rialzò il più in fretta possibile, cercando di non farsi trovare in quell’imbarazzante posizione, e decisamente preoccupata: evidentemente lui non le aveva dato retta, e si era fidato di Himoro…
E infatti pochi secondi dopo una cosa urlante eruppe dagli alberi, fiondandosi verso di lei, del tutto inconsapevole della sua presenza: per farsi notare, dovette afferrarlo per un braccio, e nonostante ciò lui desistette dal correre sul posto solo dopo qualche suo urlaccio.
“E’ pazzo, Kisala, pazzo!” Si decise infine a riconoscerla, e mai da quando la conosceva fu così felice di vederla.
“Oh, ma và?” Ribatté lei, controllando con una sola occhiata che non avesse qualche grave ferita; ma sembrava tutto a posto, e si ritrovò a ringraziare qualche dea della buona sorte. E la velocità di Makau: non era da tutti riuscire a sfuggire da un demone gatto. Demone gatto che… “Ci sta puntando!” sussurrò, attivando al massimo tutti i suoi sensi; sapeva che lui li stava osservando, da qualche parte lì attorno… ma era abile ed astuto, così tanto da sapersi nascondere quasi alla perfezione.
Quasi.
Seppe da che parte avrebbe attaccato ancora prima che lui saltasse. Si voltò, pronta ad affrontarlo, Makau dietro di lei tremante come una foglia. Ma era proprio quello l’obiettivo di Himuro, il quale, dopo essere atterrato a un pollice di distanza da lei, aveva di nuovo spiccato un balzo, per portarsi alle sue spalle e afferrare il suo unico amico!
Makau urlò, quando Himuro lo afferrò per il collo, stringendolo così forte da rompergli qualche osso. Si divincolò con tutta la sua disperazione, ma la disparità tra le due forse era troppo grande.
“Lascialo stare, maledetto!” Kisala si ritrovò in mano la fidata spada, estratta quasi senza pensare, e la puntò con sfida verso il demone... eppure dopo un attimo fu davvero perplessa.
“OH Makau, ti voglio tanto, tanto bene!” Himuro se lo stava strizzando come mai nessun altro, la presa da cacciatore trasformatasi improvvisamente in un affettuoso abbraccio, ma non per questo meno soffocante.
“Kis… Kisala…” implorò Makau, ma sinceramente lei aveva già visto che non c’era alcun motivo d’intervenire. Rinfoderò l’arma, quindi si avvicinò timidamente al coccoloso demone gatto.
“Voglio bene anche a te!” urlò quest’ultimo, coinvolgendola nella stretta; si ritrovò naso a naso con un Makau piuttosto scombussolato, e, non sapendo che altro fare, rise di gusto.

“… Mi prendono questi schizzi, sono crisi incontrollabili…” spiegò, gli occhi imbarazzati che cercavano una misteriosa stella nel cielo.
Erano di nuovo nel loro improvvisato accampamento, Kisala piuttosto di cattivo umore per non aver ancora messo nulla sotto i denti, Makau che stava rispettivamente il più lontano possibile da lui e il più vicino possibile a lei, a scanso di eventuali conseguenze, sia omicide che affettive.
“E’ per questo che tuo padre ti ha cacciato?” Volle sapere, gettando un altro ceppo nel fuoco.
“Ma che dici, Makau? Per un demone gatto è normalissimo!” Kisala parlò come della cosa più ovvia del mondo. “Un minuto prima ti parlano tranquillamente, un minuto dopo provano a strapparti una gamba… perché credi che nessuno li inviti mai ad una festa?”
“E io che ne so, delle feste demoniache?”
“Mai vista una? Se vuoi, quando mio padre organizza la prossima, ti invitiamo!”
“No, grazie. Ho come il timore di diventare il piatto forte del buffet.” Si rivolse di nuovo al biondino, che, se possibile, aveva un’aria ancora più spaventata e abbattuta di lui. “Ma allora, se sei perfettamente normale, almeno secondo gli standard di razza, perché tuo padre dice che hai dei… disturbi relazionali?”
“Perché… perché tutti i miei impulsi non si riducono mai a un omicidio! Insomma, parto come tutti gli altri demoni gatti, pronto ad uccidere ma… Alla fine mi ritrovo sempre abbracciato a qualcuno!” scoppiò in lacrime, scosso da profondi singhiozzi.
“Non riesci ad uccidere, è orribile…!” Kisala sembrò seriamente colpita dalla faccenda, e ciò non poté far altro che far pensare a Makau di essere capitato tra due folli competi.
Però… però quel povero ragazzo che piangeva così copiosamente davanti al fuco… quel povero ragazzo così incapace di rispondere agli standard della famiglia, e del padre soprattutto, risvegliava la sua empatia. Sì, in fondo per qualche verso erano simili, e faceva pena anche a lui.
“Dai, dai, non è il caso di fare così…” gli si avvicinò con cautela, provando a consolarlo con qualche pacchetta sulla spalla.
“Makau…” Fece Kisala, non del tutto tranquilla.
“Non piangere, davvero…”
“Makau… io credo che…”
“VOGLIO IL TUO SANGUE!”
“AAAAH!”
“Oh, aggiustatevela tra di voi; io vado a cercarmi del cibo!”
Li lasciò a giocare a guardia e ladri, o gatto e topo che dir si voglia.

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Capitolo 6
*** Rabbia e Traformazione ***


Gli uccellini cinquettavano gioiosamente, in quel tranquillo tramonto, appolaiati su alberi stagliati contro il fuoco del cielo, mentre tutte le sfumature della natura seguivano la tonalità di quell'ordinario ma straordinario fenomeno.
"Himoro, è solo una questione di concentrazione... concentrati..."
"Sì... sì!" I sensi del demone non erano mai stati così all'erta, le vibrisse che si spostavano impercettibilmente, pronte a cogliere ogni movimento della preda, ancora prima che questa pensasse di farlo.
Makau viveva con grande tensione quel movimento, osservando le due creature che quasi si fronteggiava, in quell'arena che era un piccolo spazio ingombrato di sottobosco; i freddi occhi color cielo di Himoro ebbero una contrazione, ed egli attaccò! Era potente, veloce, imbattibile! Niente e nessuno avrebbero potuto fermarlo...
"Oh makau, non ci riesco!" si era fermato, il piede tremante a poco meno di un pollice da terra, proprio sopra la vittima: un bruco ancora più tremante che pensò bene di togliere le tende.
"Non so come vi siate potuti illudere che funzionasse." Kisala, seduta su di una roccia, le ginocchia portate al petto, li guardò con un sopracciglio sollevato; era da un paio di giorni che si sentiva stranamente nervosa, irritabile... e anche i suoi compagni dovevano aver avvertito quel misterioso fastidio interiore, soprattutto dopo essersi trovati un paio di volte i suoi artigli direttamente premuti sulle loro gole.
"Himoro, sei un demone!" Lo esortò Makau, non abituato alla sconfitta. "E' tua natura uccidere, squartare, senza pietà!"
"E come? Come?"
"Maledette BESTIACCIE!" Come un letale boomerang, la spada di Kisala era scattata verso l'alto, facendosi allegramente il giro delle fronde dell'albero, e tornando tra le sue mani. Come avesse saputo imprimere quell'effetto all'arma era un mistero; però dopo cinque o sei secondi, una decina di cadaveri di piccoli passerotti piombò a terra, stecchiti. "Vi avevo AVVERTITO di non cinguettare! Ora siete contenti?"
"Ecco, più o meno così..." Makau rispose balbettando ai quesiti di Himoro, indicando la furia omicida in cui si era trasformata la loro amica. Sì, ultimamente era davvero troppo nervosa...
Himoro guardò il suo piede, guardò i pennuti cadaveri, riguardò il suo piede, guardò Kisala; una lacrima solitasia scorse giù per la liscia e pallida guancia.
"NO! No Himoronon piangere, non piagere, sai poi che ti succede..."
"VOGLIO IL TUO SANGUE!"
"Noooh!" Sapeva che non gli avrebbe fatto del male, che lo avrebbe inseguito con occhi assatanati e poi abbracciato con tutto l'amore di questo mondo, eppure chissà perché proprio non riusciva ad evitare di fuggire.
Kisala fissò freddamente la scena; in un altro momento avrebbe riso volentieri delle buffe evoluzioni dei due, ma si sentiva veramente a disagio con sè stessa: aveva appena ucciso un mucchio di uccelli, e, cosa davvero preoccupante, non avvertiva un minimo di appetito, neppure immaginandoseli arrosto. E la sera prima, non vista, aveva pianto perché si era graffiata un braccio. Stava impazzendo, o cosa?
L'unica cosa certa era che farla innervosire sarebbe stato un bel biglietto di sola andata per l'inferno, per chiunque... e indovina indovinello, chi apparve al suo fianco?
"Padre, le tue visite sono sempre più frequenti e sempre meno gradite."
"Anche io sono felice di vederti in buona salute, figlia." Non c'era niente di peggio di un principe dei demoni che provava a fare del sarcasmo; rivolse una breve occhiata ai passerotti morti, mentre il silenzio di sua figlia gravava sulla sua presenza. "Volevo vedere come vanno le cose con Himoro."
In silenzio assistettero alla scena di un Makau che fuggiva urlando, passava ignaro davanti a un cespuglio, dal quale balzò Himoro, che non aspettò né due né tre per strizzarselo come un pelouche, urlandogli tutto il suo affetto.
"Direi che si è ambientato bene." Commentò infine Kisala, con il tono di chi parla della situazione metereologica.
"Ma... non lo sbarana?" I Principe dei Demoni sembrò a dir poco sconvolto, se non disgustato, dalla scena. "Dovrebbe squartarlo, godere del suo sangue, dovrebbe..." S'interruppe, mentre, una volta terminato l'abbraccio e recuperata la lucidità del demone gatto, i due ritornarono ala ricerca di un bruco; quando la preda adatta fu trovata tutta spaurita su di un fiore, il tifo riprese con più foga di prima. Dai dai Himoro ce la fai! Dai dai bel gattone sei il nostro campione!
"Himoro non è capace di uccidere." spiegò Kisala, non senza una punta di malizia per il colpo che stava consapevolmente infliggendo al padre. "però staimo facendo progressi: ieri ha calpestato una formica! Cioè, non l'ha fatto apposta, e ha pianto ed abbracciato tutti per un paio d'ore, masi va avanti per piccoli passi, no?"
"Quindi... sono questi i disturbi di quell'idiota? finalmente i vari indizi - disperazione del padre di Himaro, sorrisetti maliziosi di Rin - che aveva raccolto fino ad allora presero forma, fornendogli una visione globale di quel raccapriccio.
"Cosa fai, padre?" Kisala fissò distaccata la spada che il padre stava lentamente sguainando.
"Lo libero per sempre dalle sue sofferenze." Fu la breve spiegazione. "Un simile abominio... e io che pensavo fosse un degno e orgoglioso demone...!"
"Tu speravi che Himoro uccidesse Makau; sbaglio?"
"Non sbagli." Fu la sincera risposta, senza alcuna inclinazione emotiva.
"Perfetto." Kiasala, con una velocità non da lei, che lo stupì molto, scese dal sasso, la sua corta spadina puntata contro il genitore. "Ti prego di sparire, padre. Oggi non sono in giornata."
L'arma della giovane aveva attratto l'attenzione dei due compagni, accortosi solo ora della presenza del Principe dei Demoni; non avevano quindi avuto modo di capire cosa era successo, ma una cosa era certa: lui era stato tanto idiota da andarla a stuzzicare. Non solo Makau e Himoro, ma l'intera foresta sembrava congelata, il respiro tarttenuto mentre osservava la scena.
Ma il più meravigliato era proprio Sesshomaru, che prima osservò la punta della spada pericolosamente vicino alla sua gola, poi gli occhi della figlia, altrettanto pericolosi e a dir poco fiammeggianti; infine, comprendendo che no, non era decisamente giornata, sparì nel nulla.
"Avete qualche problema, ragazzi?" Kisala si accorse dei loro sguardi, e non fu esattamente con dolcezza che gli rivolse quella domanda, mentre rinfodereva la spada.
"Chi, no? Nooo..." Abbassarono immediatamente le teste, rischiando di cozzarla l'una contr l'altra, alla disperata ricerca del bruco.

"Inconcepibile! Tua figlia meriterebbe un mese di punizione!" Passeggiava davanti alla compagna, nervoso come una tigre cui abbiano schiacciao la coda; e invece era solo un demone cane cui avevano schiacciato l'orgoglio. Ed era stata proprio la sua primogentia a riuscire nell'impresa. "Tua figlia è veramente impossibile!"
"Ah, adesso è mia figlia; quando abbatte cinque orsi è tua figlia, quando disobbedisce torna alla mia proprietà; un po' pe runo non fa male a nessuno, in fondo." Lei sollevò uno sguardo diveritto dal libro che stava leggendo. "Cos'ha fatto di tanto grave, sentiamo!"
"Ha completamente perso la testa! Mi ha puntato contro la sua spada, te ne rendi conto?"
Rin chiuse di scatto il libro, osservando il demone con un'intensità tale da farlgi paura. "Cos'ha fatto?"
"Mi ha puntato contro la spada."
"E tu che gli hai fatto?"
"Io? Niente! Per una volta che non facevo niente..."
Rin fu abbastanza furba da non credergli: qualcosa doveva aver fatto di sicuro; ma sua figlia, che minacciava il padre con un'arma... no, neanche se lui le avesse fatto fuori un cucciolo, avrebbe mai reagito a quel modo...
La spiegazione, purtroppo, era una sola: ed era una cosa a cui, stupidaggine sua, non aveva più pensato.
"Sesshomaru! Che luna è questa sera?"
Era mezza luna; una mezza luna chiara e generosa, che illuminava con un'aurea di magia e mistero quella piccola laguna, un'ansa di un fiume che si era trasformata in un oasi per qualunque fanciulla avesse desiderato bagnarvisi.
E neppure Kisala aveva saputo resistere all'invito, minacciando di morte fulminante i due compagni se solo avessero osato spiara, e poi calandosi con un sospiro di piacere, in quelle limpide acque.
Era anche lei preoccupata per la strana piega che aveva preso il suo comportamente, ma proprio non riusciva a trovare alcuna spiegazione... si sentiva come... trasformata.
E non poteva immaginare come questa sua sensazione fosse in quel momento vicino alla realtà.
Un prurito, intenso, nacque dapprima sull'epiderma delle braccia; si grattò distrattamente, osservando la bella falce di luna, che la illuminava di riflessi argentati, delineando ogni curva del suo corpo immerso. Il prurito creppe, invadendo altre parti, le gambe, il torace... la faccia.
Ma che accidenti...? Svogliatamente, abbassò lo sguardo sul suo corpo... e il suo cuore perse un paio di battiti; li perse mentre ossevava la pelliccia, bianca come la neve, che cresceva prepotentemente in ogni parte, causandole quel terribile prurito. Gli artigli, di solito letalì, sì, ma non così ebbero una spaventosa contrazione, mentre una sconsciuta e insaziabile voglia di sangue cresceva in lei.
"Mezza luna! Oh mio dio, è la prima mezza luna!" ma poi il suo urlo fu inghiottito da un sordo ringhiare, e dopo essersi domandata che animale fosse, si rese conto che era proprio lei. Gli occhi, da amabrati, divennero neri come la notte che la circondava, e la corvina chioma scolorì progressivamente, divenendo bianca come la sua pelliccia, e più lunga e folta.
La mente umana di Kisala tacque. Come ogni volta ogni mese, era rinato il vero spettro in lei.
Certi mezzi spettri una volta divenano umani; lei no. Complice il ciclo femminile, lei non diventava per niente umana, ma un mostro assetato di morte.

Mentre Makau e Himoro dal loro accampamento avvertivano un sinistro e preoccupante urlo, Rin cavalcava disperatamente il suo infernale destriero, pregando ogni dio a disposizione affinché la facesse arrivare in tempo.

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Capitolo 7
*** Il Demone Kisala ***


CAPITOLO SETTIMO

L’urlo si ripeté, più forte e terribile di prima, riecheggiando tra le foglie immerse nella notte.
“Stavolta lo hai sentito?” Balbettò Himoro; il suo udito era molto più fino di quello dell’amico, e dunque aveva già avuto modo di ascoltare quei suoni, preoccupandosi con largo anticipo.
“Stavolta l’ho sentito.” Makau si era irrigidito nel quotidiano gesto di attizzare il fuoco, la mano pericolosamente vicina alle fiamme e le patetiche orecchie umane all’erta. “Allora non sei pazzo.” Perché era appunto di questo che lo aveva accusato, dandogli del visionario.
Di nuovo la foresta fu squarciata da quello sbraitare disumano, verso di un animale in procinto di morire. O in procinto di recidere qualche gola.
“Dov’è? Non vicino a Kisala, vero?”
Himoro, in piedi, l’ombra allungata dalla luce delle fiamme, rimase in silenzio, gli occhi chiusi e ogni senso in pieno regime; infine, si volse di scatto, individuando l’esatta provenienza di un nuovo urlo.
“Ovviamente proprio dove è andata Kisala.” borbottò Makau, alzandosi in fretta. “Svelto!”
“Non… non credi che sia in grado di cavarsela da sola?”
“Se non vieni giuro che non ti abbracciò più!”
Messo di fronte ad un bivio a suo giudizio assolutamente ingiusto, il giovane non poté fare altro, se non accodarsi all’amico già scattato in una disperata corsa.
Era vero, Kisala era perfettamente in grado di difendersi, come e più di loro due messi assieme, ma non era da dimenticare che si era assentata per bagnarsi… e Makau non faticava ad immaginare ogni sua arma abbandonata sull’erba, e lei, nuda, attaccata da un essere sanguinario…
“A cosa pensi?” Lo interrogò Himoro, correndo al suo fianco, forse incuriosito dall’espressione a dir poco maniacale.
“Io? Niente!” Ehm… forse si era perso un po’ troppo sull’immagine di lei nuda, essere sanguinario a parte; se Sesshomaru l’avesse beccato con una faccia del genere, gli avrebbe strappato le labbra e il naso.
Un nuovo, straziante verso lo riportò alla realtà.
“Fermo!” Il demone gatto lo fermò, ponendogli un braccio davanti al petto. “E’ vicino… è…”
Era lì, dietro di loro.
Li attaccò con una violenza che mai avrebbero immaginato; si era scagliato, lampo bianco nella notte, verso la schiena di Himoro, e grazie agli dei che fosse un po’ codardo e quindi certamente abile nel fuggire, da potersi slanciare in avanti, evitando che esso gli portasse via la pelle e qualche organo vitale.
Makau osservò con stupore l’amico cadere poco più avanti, e quindi il suo sguardo, lentamente, si spostò verso ciò che li aveva attaccati.
Era femmina; su questo non c’era dubbio. La corporatura era delineata da morbide forme, coperte da una soffice pelliccia bianca; stesso colore per la chioma, più simile ad una criniera, e per i lunghi e micidiali artigli, presenti sia sulle mani che sui piedi. Gli occhi, più neri degli incubi più oscuri, lo scrutavano, immersi in quel regolare ma sempre impellicciato volto; era senza bocca.
“Ma che cos’è?” Himoro si era alzato a difficoltà, anch’egli studiando il loro nemico.
“Che ne so? Il demone qui sei tu!” Cautamente, come badando ad una bestia feroce, fece qualche passo indietro, sempre tenuto d’occhio da quel paio d’occhi che sembravano solo domandarsi da che parte iniziare a squartarlo.
“Guarda, non ti attacca! Forse gli stai simpatico…” Azzardò il demone gatto, che altro non avrebbe voluto se non un paio d’occhi sulla nuca per controllare gli inesistenti danni alla schiena.
La creatura balzò, gli artigli protesi; Makau fece appena in tempo ad sfuggirle, ma non a evitare tre profondi graffi, scavati dapprima nel tessuto e poi sulla stessa pelle del suo petto. Cadde a terra, mentre la creatura, distrattamente, osservava quel po’ del suo sangue che l’aveva macchiata; sorrise. Con gli occhi, ma sorrise.
“…O forse anche no.” Concluse Himoro, deciso come non mai a cercarsi una via di fuga finché era in tempo.
“Non stare lì senza fare niente! Sei un demone, combattila!”
“E come? L’abbraccio e bacio a morte?”
Era finita; lei di nuovo rivolse la sua piena attenzione a quella preda tremante. Distese gli artigli, gustandone la forza distruttiva, preparandosi a terminare ciò che aveva cominciato.
“Fermatevi!”
Scese dal cielo, quella bella signora che Makau aveva già visto, sempre in groppa a quel misterioso ma certamente demoniaco destriero. La madre di Kisala. Nonostante la grandezza, la sua cavalcatura atterrò con grazia, dividendo Makau dalla sua fin troppo prossima assassina. Quest’ultima al momento permise quella linea di confine, osservando con curiosità la nuova arrivata.
“Ciao, Makau. Come va?” Domandò, con fare da chioccia.
“Beh…” Non sapeva bene se mettersi a parlare del tempo o indicare il terribile essere che voleva ucciderlo. Alla fine decise per la seconda opzione, che forse ritenne un argomento di conversazione assai più interessante.
“Ah, sì.” Rin improvvisamente si ricordò il motivo della visita, notando l’essere color neve che fissava sia lei che il ragazzo con odio profondo. “Non per traumatizzarvi, ma quella è Kisala.”
A quel nome, l’essere quasi vacillò, come se udirlo le desse fastidio.
A quel nome, Himoro e Makau lo fissarono con due occhi simili a palline, la mascella decisamente troppo in basso rispetto ai limiti concessi dall’anatomia.
“Quella…?” Azzardò l’umano, indicandola, tremante.
“Beh, bisogna ammettere che come look non è male.” Concesse Himoro, improvvisamente, e senza motivo alcuno, più tranquillo.
“Sì, una volta al mese ha questa metamorfosi! Se tre giorni prima assume queste gocce” e qui mostrò una boccetta contenente un liquido violaceo “rimane più o meno padrona di sé… ma questo mese non glielo ho ricordato, e…”
“Quella…?”
“Oh, vi ho traumatizzato, lo sapevo!”
“Ma no, si figuri!”
“Quella…?”
“Beh forse giusto Makau… ma sa com’è, lui è umano…”
“Anch’io sono umana!”
“Mi scusi…”
“Quella…?”
“Cosa sta succedendo qua?” Una voce, fredda e imperiosa, si era inserita fra i discorsi ormai privi di qualsivoglia logica. Sesshomaru fissò con il solito disprezzo Makau, con una rinnovata pena Himoro, con silenziosa rabbia Rin (che era partita senza spiegargli nulla, quale affronto!)… e con un orgoglioso sorriso sua figlia.
Poche volte l’aveva vista così trasformata, e sempre domata da quelle goccie che gli propinava la madre; ma adesso… adesso vide con chiarezza il brillio omicida, lo vide avvolgere quella silenziosa figura come un’aura. Era meravigliosa.
“Kisala… Oh! E’ una creatura a dir poco… perfetta!” Fece per avvicinarla, a braccia aperte. E questo fu il suo errore.
Tutti i presenti chiusero gli occhi, mentre il Principe dei Demoni venne: graffiato, ferito, morso, disarmato, atterrato e calpestato. Ottenuto questo successo, ella corse via, la spada del padre stretta tra gli artigli.
“Perfetta…” ripeté il genitore con un sorriso, incurante del sangue perduto.
“Con che razza di cretino ho mai figliato!” Ma Rin si accucciò su di lui, uno sguardo di autentica preoccupazione negli occhi. “Vi prego, mentre vedo se è grave… cercatela! Se dovesse fare del male a qualcuno, non se lo perdonerebbe mai!”
“E se facesse del male a noi? Ci ha pensato?” Strillò Himoro, terrorizzato alla sola idea di ritrovarsi solo, faccia a faccia, con quella belva.
“Ma voi siete suoi amici…”
“Non mi sembra una scusa accettabile!”
“Tu vai da quella parte, io da questa.” Dispose Makau, deciso a partire; non sapeva bene neppure lui se fosse spinto dalla preoccupazione per l’amica o al non volersi ritrovare lì quando Sesshomaru avesse ripreso i sensi.

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Capitolo 8
*** Amuleto e Salvezza ***


CAPITOLO NONO

Ebbe una specie di deja-vù. La corsa nella foresta, il temere (sperare) di ritrovarsi con un demone che tentava di ucciderlo, la corsa disperata nel buio, tra gi alberi; tutto come in quella folle notte in cui aveva fatto la conoscenza di Kisala... e della sua decisamente non comune famiglia.
In effetti, lo aveva colpito da subito; così piccola, ma in grado di tenere fieramente testa al Principe dei Demoni. Così ingenua, al punto di non fermarsi mai e chiedersi seriamente perché mai lui viaggiasse da solo, prima di incontrarla. Aveva accettato la sua compagnia, e quella di Himoro, con una gioia mista a infantile curiosità; niente di più.
E adesso era una bestia, un feroce demone che già aveva tentato di ucciderlo. Sotto gli strappi del tessuto della sua logora camicia si intravedevano i tre profondi graffi che lei gli aveva generosamente dispensato; su di essi, sballottato qua e là dalla corsa, un medaglione color oro.
“Kisala!” la voce proveniva da lontano, da qualche parte nella foresta; Himoro la chiamava a pieni polmoni. E così non era corso a nascondersi, quel demone gatto così simile a un coniglio! Forse la sua coscienza gli aveva impedito di lasciare un indifeso umano in balia di… “Kisala, non so se puoi sentirmi…! Uccidi Makau! Lui è tenero, sai?”
“Devo ricordarmi di fargli un bel discorsetto…” Borbottò, mentre in cuor suo sperava che tutto quel casino tenesse la cara Kisala lontana da lui e pericolosamente vicina a Himoro.
E invece, beffa della sorte, il momentaneo spettro femmina aveva deciso di dare ascolto ai consigli del mezzo gatto: Makau avvertì chiaramente i suoi passi dietro di lui, gli artigli che stridevano contro le rocce, distruggevano foglie e rametti. Lo aveva di nuovo puntato; e lo avrebbe inseguito, fino alla morte.
“Ma ce l’ha con me, allora!” urlò disperato, aumentando quanto poteva la corsa. Il medaglione, sulle sue carni, divenne bollente, quasi implorando di poter uscire allo scoperto ed esaminare la scena. “Stai a cuccia, tu!” Sì, stava parlando con un ciondolo; ma si condonò la momentanea follia con la scusa di essere in preda al più totale e assoluto panico.
Non avrebbe retto ancora a lungo; lei era agile, veloce, degna figlia di suo padre. Lo stava raggiungendo in fretta e senza alcuno sforzo. Presto avrebbe banchettato con le sue carni.
Eruppe in una radura, una radura costellata dal corso di un tranquillo e centenario fiumiciattolo, illuminato dagli argentei riflessi lunari. Vi eruppe disperato, gli ultimi passi che a fatica lo portarono a cadere sulla sua riva; per un attimo, si vide riflesso.
La faccia di un uomo già morto.
Pensa, pensa, pensa!
Ma non c’era molto da pensare; aveva una soluzione, sì, e l’aveva appesa al collo… anche se non sapeva cosa lo avrebbe ucciso prima, se lasciar fare Kisala o sfruttare quella sua ultima risorsa.
Non ci mise molto, lei, a raggiungerlo. Il tempo di qualche secondo, qualche secondo impegnato in febbrili riflessioni, e già lei era balzata fuori dalla macchia, dirigendosi ad artigli protesi verso una delle poche persone cui, coscientemente, mai avrebbe fatto del male.
La sua decisione fu più frutto dell’istinto che della decisione; afferrò il medaglione, quel medaglione così caldo che chiamava a gran voce la sua mano.
Si voltò verso di lei nel momento esatto in cui era scattata in un ultimo salto, il salto dell’omicidio; si voltò verso di lei, l’oggetto stretto nel palmo destro, un oggetto dorato, sì, ma apparentemente privo di valore. Un innocuo medaglione in cui erano intagliati antichi simboli, rune ormai dimenticate dalla civiltà.
Si voltò verso di lei, e non appena il medaglione iniziò a brillare come un piccolo ma potente sole, sentì le proprie energie scivolare via dalle membra, rifluendo con prepotenza negli intagli del ciondolo, quasi che questi tentassero di prendere vita, a discapito della sua.
Era per questo che mai più si era azzardato ad usarlo; il medaglione lo voleva morto, voleva prosciugarlo di ogni essenza vitale. Sapeva che in quella situazione lui non avrebbe potuto evitare di usarlo, e si era metodicamente preparato a ridurlo ad un guscio vuoto, avvizzito.
Kisala, o meglio, il demone in cui si era tramutata, fissò con sbigottito stupore quello stano oggetto luminoso: l’aveva fermata a metà del suo balzo finale, congelandola a metà come un buffo cartone animato, e ora risucchiava divertito anche le sue energie.
La pelliccia si ritirò velocemente, così come gli artigli; la chioma, smossa dall’energia magica attorno a lei, riprese la naturale colorazione, così simile alla notte che li circondava, e gli occhi tornarono quelli di sempre, dello stesso color ambra del padre.
Ultima, apparve la bocca; una bella bocca di corallo, dischiusa in un’espressione di sorpresa. Kisala ricadde a terra, nuda, normale; l’unico segno della sua natura demoniaco era di nuovo la nera coda, mollemente abbandonata, così come il resto del corpo.
Makau urlò, mentre, una volta ottenuto lo scopo, disperatamente tentava di annullare la sua presa sul medaglione. Era allo stremo delle forse, ormai; ancora poco, e quel dannato oggetto avrebbe vinto…
Con un ultimo, tremendo strattone, staccò la propria mano; appena in tempo… Lo rimise al sicuro, sotto la camicia e al contatto della sua pelle.
Il paesaggio circostante divenne un insieme confuso di ombre, ed egli cadde in un sonno profondo, sdraiato accanto alla fanciulla senza veli.
E fu così che il Principe dei Demoni, assieme a Rin e Himoro, li ritrovò, la mattina del giorno dopo.
Makau quasi credé di sognare che Sesshomaru voleva dar fuoco al suo corpo e gettare le ceneri in una latrina, qualche mese dopo raccontò questa bizzaria a Himoro, il quale non ebbe mai cuore di rivelargli quanto quel sogno fosse vicino alla realtà.

Si svegliò circa tre giorni dopo, intontito; non ebbe neppure il tempo di chiedersi chi fosse, prima di essere assalito da un turbinio color piume di corvo.
“Sì è svegliato! Himoro, si è svegliato!”
Makau timidamente ricambiò l’impetuoso abbraccio della mezza demone, senza realmente capire cosa fosse successo, e a chi.
“Ti hanno trovato vicino a me, nella foresta… evidentemente il sole è sorto poco prima che io ti finissi… oh Makau!” e di nuovo gli levò il fiato con la sua tipica stretta dello spezza costole.
“Ehm, sì, il sole… sorto in tempo…” si dichiarò d’accordo con quell’assurda teoria, felice di poter rinviare il momento di imbarazzanti dichiarazioni circa la sua identità.
“E’ vivo! E’ vivo!” Himoro pianse, quindi perse il controllo e invocò il sangue di Makau; come risposta, ebbe un orso morto, che strizzò con tutto l’affetto che aveva.
“Per oggi accontentati di quello; lui è ancora debole!” Kisala rise divertita, mentre tornava a rivolgersi a lui. “Devi aver corso un bel po’, quella notte, per dormire tre giorni di fila!”
“Ehm…”
“In effetti, anche io ho ero parecchio scombussolata, una volta tornata normale… addirittura più del solito! Evidentemente, ho passato la notte a inseguirti!”
“Già.” In realtà, quel segreto monile che celava in sé aveva racchiuso anche molte delle sue energie, ma non era quello il momento di affrontare tali argomenti; più avanti, forse…
“VI VOGLIO BENE A TUTTI!” il gatto tentò di unirli al suo abbraccio con l’animale morto.
“Himoro, fila via con quel cadavere! Lascia stare Makau, è ancora convalescente!”
“Che puzza; da quanti giorni è morto quest’orso?”

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Capitolo 9
*** Okis ***


CAPITOLO DIECI

“Quello è il Monte Higo!” Makau allungò un braccio nella fredda atmosfera autunnale. Sotto di loro, un tappeto di foglie scricchiolava ad ogni passo, pallido ricordo dell’estate appena trascorsa. Sopra, la foresta, spoglia, i rami simili a scheletriche braccia protese verso il cielo; e più in alto, più in alto ancora, svettante della sua punta innevata, il monte che aveva attirato l’attenzione del ragazzo.
“Come fai a conoscerlo?” Kisala si fermò, seguendo l’indicazione del suo compagno.
“E’ molto famoso: da esso si estrae l’Okis!” Fissò con depressione gli sguardi vuoti della fanciulla e di Himoro, e in quel vuoto lesse una totale ignoranza dell’argomento.
“Ma siete demoni o cosa? L’Okis è un minerale che contrasta ogni tipo di spionaggio demoniaco!”
Di nuovo arido deserto nelle pupille dei due interlocutori.
“Se ce ne procuriamo un po’” prosegiì, facendo appello a tutta la sua pazienza “potremmo evitare continui a pedinamenti… hai presente? Zanna, Totosai, spada…?”
“Spada?” Quando avevano più o meno tentato di mettere al corrente Himoro circa la destinazione del loro viaggio, e il segreto scopo di Kisala, chissà perché gli era presa un’altra crisi, ed era corso ad abbracciarsi un albero; da allora non erano più tornati sull’argomento. “Che spada?”
“Ma certo!” Lei batté il pugno sul palmo della mano, finalmente illuminata di comprensione. “Quel minerale lo bloccherebbe? Davvero?”
“Non potrebbe più né spiarci, né tanto meno localizzarci!” Makau sorrise trionfante, pregustando un tranquillo periodo in cui non avrebbe più dovuto temere di essere ucciso nel sonno dal Principe dei Demoni. “Dobbiamo andare al villaggio sotto il monte, e acquistar…” Ma le parole gli erano praticamente morte sulle labbra; in compenso, era nato qualcosa in Kisala: una brillante, prorompete, folle e incontenibile gioia.
“Un villaggio umano? Mi porti in un villaggio umano?” Ella saltellò dalla felicità, e già si apprestava a tirare fuori il pezzo di stoffa con cui l’ultima e poco tranquilla volta aveva tentato di spacciarsi umana.
“Veramente, io gradirei molto se mi aspettaste qui…” Azzardò Makau.
“Himoro, ci porta dagli umani!” Strinse con commozione le mani del demone gatto, casualmente non badando alla opposizione dell’umano.
“Io non ne ho mai visto uno!” Egli si fece trascinare dall’entusiasmo; a volte la pazzia di Kisala sapeva essere eccessivamente infettiva.
“Davvero, sarebbe meglio per tutti se non veniste…”
“Non ne hai mai visto uno? Sono buffissimi, e quando vai via ti salutano con delle pietre!”
“Sembra divertente! Dai andiamo!”
“Sì!”
Corsero come solo due demoni sanno correre, dimenticando nel bosco un ragazzo ancora intento a spiegare che era decisamente opportuno se lui fosse andato solo.
Li raggiunse poco dopo, in tutta calma; passeggiava come un viandante privo di pensieri, sicuro che senza di lui non sarebbero mai riusciti ad entrare nell’indifeso insediamento umano. E infatti non si era sbagliato.
Erano spaesati, i due ragazzi dal sangue demoniaco, terribilmente spaesati da uno strano fenomeno: l’assoluta inesistenza di un villaggio. Lo avevano cercato in lungo e in largo, attorno alle vaste pendici del monte; eppure non avevano trovato niente, neppure una traccia di vita umana.
“Ci hai presi in giro, Makau?” La voce di Kisala oscillava tra il nervosismo e la delusione, la coda miseramente tra le gambe, che provocò in lui un inconsapevole sorriso: ormai aveva imparato a conoscerla bene, e sapeva che quello era segno di mera sconfitta.
“Non vi ho presi in giro: siete voi che non mi avete ascoltato! L’Okis protegge dalla localizzazione demoniaca…”
“Ma sì, questo l’ho capito! E’ che non troviamo il villagg…” A questo punto si era bloccata, voltandosi lentamente verso Himoro.
“Il villaggio è invisibile a noi, perché siamo demoni.” Fu lui a tradurre in parole l’idea che aveva appena colpito Kisala.
“Esatto!”
“Ma… ma perché? Noi siamo demoni buoni!” Molto offesa, si portò una mano al volto, forse per un attimo vergognandosi del sangue che scorreva nelle proprie vene.
“Sì, lo so… ma l’Okis non fa alcuna distinzione…” Sorrise, pensando che con quella scusa avrebbe evitato la loro imbarazzante compagnia, almeno in mezzo agli umani; ma appena notò la tristezza negli occhi della fanciulla, con un sospiro ammise a sé stesso che non avrebbe mai avuto il cuore di lasciarli lì, esclusi. “Venite, adesso; avete la fortuna di essere accompagnati da un essere umano! Appena vi farò varcare il cancello, il villaggio sarà visibile anche a voi.”
“Dici davvero? Evviva!” Kisala gli saltò al collo, cosa che provocò una delle simpaticissime crisi di Himoro, e i tempi di entrata nel villaggio furono parecchio rallentati da ciò.
Ma alla fine, ecco che lui indicava agli amici l’esatto punto dove varcare la soglia di un cancello invisibile; non si può dire che Kisala non fosse scettica, dato che quello per lei fu un normale passo nel nulla di un prato, eppure appena lo compì si ritrovò tra case, animali… e persone.
“Questi sono esseri umani…?” Mormorò Himoro, sporgendosi da dietro di lei; entrambi stavano fermi sull’entrata, quasi non osando muovere un passo. “Sono simili a noi!”
“Sì, sì, ma è solo apparenza!” Lo rassicurò lei. “In realtà sono molto deboli e non troppo intelligenti… però riescono a camminare senza coda!”
“Nemmeno io ho la coda!”
“Sì ma almeno tu hai i baffi!”
“Se avete finito con i complimenti per noi patetici umani e se avete esaurito la gamma di teorie senza senso, direi che è ora di cercare un buon artigiano che venda dell’Okis…” Avrebbe anche potuto offendersi, ma ormai ci aveva fatto il callo.
Li spinse in avanti, gettandoli nella via centrale del paese; si vedeva che il villaggio era un fornitore di materiale e amuleti rari: era decisamente affollato, gente ferma davanti a modeste bancarelle e artigiani all’opera sotto il leggero sole. Kisala si ricordò troppo tardi di non aver nascosto la coda, eppure le sembrò inutile: lì tutti avevano qualcosa da fare, e nessuno badava ai nuovi arrivati.
“E’ un minerale molto potente, per averci nascosto tutto questo.” Osservò Makau, camminando accanto a loro con il naso per aria, curioso di particolari sugli esseri umani.
“Questo solo perché qui è altamente concentrato.” Makau camminava rilassato, quasi fosse abituato e trovasse rigenerante essere immerso in quella grande folla di persone. “Ciò che noi cerchiamo sono solo piccoli amuleti di Okis, che ci permetteranno di celarci a Sesshomaru, dato che ci spia da lontano. Non illudetevi quindi di diventare invisibili ai demoni che incontreremo nel cammino.”
“Papà non sarà molto contento di questa novità.” Kisala si lasciò andare in una risata, immaginando la faccia del padre, quando egli avesse perduto ogni possibilità di spiare le mosse della primogenita.
E non sapeva che quella faccia, a qualche miglia di distanza da lì, l’aveva già fatta, non appena lei aveva varcato il cancello del villaggio; era scoppiato in un urlo rabbioso che solo gli alberi poterono udire, senza poter evitare di tremare dalle radici.
“Sei molto informato.” Himoro smise di osservare gli umani, concentrando su Makau gli azzurri e felini occhi; quando voleva, sapeva essere affascinante ma cupo come ogni buon demone gatto, attento scrutatore delle ombre dell’animo. E quella era proprio la sua espressione, mentre studiava di sottecchi Makau.
“Ma… a cosa stai pensando? Queste sono cose che sanno tutti…” Balbettò il poveretto, non sapendo tener testa a quelle fredde iridi puntate nelle sue.
“Bah, se lo dici tu…” Finalmente la faccia di Himoro riprese quella sua tendenza a uno stato d’animo tontolone, e il ragazzo poté fare un respiro di sollievo. Povero demone gatto, doveva essere davvero la vergogna della famiglia: buono, gentile, e ingenuo come pochi. Per questo si sentì molto vicino al suo cuore, e alle sue sofferenze. Ma ringraziò il cielo che fosse così poco sveglio.
“Oh! Makau, Makau, voglio questi!” Kisala era ferma davanti ad una bancarella, per niente preoccupata della scodinzolante coda in piena vista; e in fondo, nessuno badava a lei. Solo il venditore, vecchia volpe, la osservava con un saggio sorriso: sapeva che quando una donna, con la coda o meno, faceva così, qualcosa si vendeva di sicuro.
“Metti giù quella coda!” La rimproverò, mentre Himoro si chinava per osservare cosa aveva colpito l’attenzione della giovane: tre bracciali, fatti di uno strano materiale bianco, molto elaborati, raffiguranti gotici leoni, uno avvolto sull’altro, in una spirale.
“Belli, eh?” Sorrise il venditore, il quale, prima che qualcuno glielo impedisse, ne mise uno al polso della ragazza; le stava ovviamente bene, risaltando sulla carnagione scura, ed evidenziando il suo sottile polso. Bene. Adesso che la cliente lo aveva al braccio, era solo un altro pesce che aveva abboccato: altro non restava che tirare le lenza, e guadagnare qualcosa.
“Sono in Okis… un bell’Okis puro, mi sembra.” Rifletté Makau, del tutto estraneo ai canoni estetici. Ne prese uno anche lui, lo osservò in controluce ed annuì.
“Lavoro l’Okis da quando ho cinque anni; i miei lavoro sono di alta qualità.” Il venditore porse il terzo bracciale a Himoro, pregustando i soldi che stavano per entrargli in saccoccia.
“Sì, vanno bene questi! Contenta, Kisala?”
“Sono tre monete d’oro a testa.” Ghignò l’uomo, lieto di aver concluso un affare.
“Ecco.” A dire il vero Makau, consapevole dell’esosità di certi artigiani, si era già preparato in mano cinque monete, e sorrise dell’onestà dell’uomo: faceva ottimi lavori a giusti prezzi. “Ehm… ragazzi, non pagate?”
“Pagare?” Kisala lo fissò sorpresa.
“Sì pagare: gli dai tre monete!”
“Monete?” Anche Himoro sembrava in alto mare.
“Ma come… non sapete cos’è il denaro? Non ne avete un po’ con voi?”
“Secondo te di cosa sta parlando?”
“Non lo so, assecondalo…”
Makau sentì il sangue ribollire nella parte alta del viso; era in imbarazzo, ed in più era in imbarazzo di fronte ad un artigiano, il quale, ora un poco preoccupato, assisteva in silenzio a quello scambio di battute.
“Volete dire che non avete soldi?” Sbottò alla fine l’uomo.
“Ho questi…” Lasciò cadere sul bancone le ultime due monete d’oro che si era tenuto in mano, e scosse il capo, sempre implorando a sé stesso pazienza; da quando conosceva quei due, quella gli sembrava ormai essere una pratica quotidiana. “Non accetta qualcosa in pegno, magari?”
“Solo se è qualcosa di interessante.” Li scrutò a lungo con qui vecchi occhi abituati agli affari. “Dica, signorina, quella coda è vera?”

“Stai attenta!” Esclamò per quella che sicuramente era la centesima volta. Fu veloce ad afferrarla, aiutandola a compiere un altro passo.
“La mia coda! La mia bella coda…” Kisala si appoggiò all’amico, e lo fece con il braccio ora ornato da un nuovo bracciale; un bracciale in Okis costatole molto caro.
“Hai detto che ricrescerà, no?” L’aiutò a sedersi davanti al fuoco; avevano organizzato un accampamento molto vicino al villaggio da poco lasciato: purtroppo, senza coda Kisala non aveva equilibrio. Portarla sino a lì era già stata una bella impresa.
Quel vecchio era stato più che furbo; Makau sapeva bene che una coda di mezzo demone, dalla quale trarre un bell’amuleto, valeva ben più di tre o quattro monete d’oro… ma loro avevano un disperato bisogno dell’Okis, e quindi aveva permesso che egli, con una specie di tronchesino, tranciasse di netto l’arto della fanciulla.
Beccandosi, tra l’altro, un sonoro ceffone.
“Sì ricrescerà, ma… Ha fatto male! E non riesco a stare in piedi!”
“Per quello ci sono io.” Le si sedette accanto, spostandole i capelli, scomposti dall’affaticato cammino, e liberandole il volto. Gli occhi ambrati brillavano nel riflesso delle fiamme.
“Ho fame! E non posso andare a caccia!”
“Ho mandato Himoro.” La sua esclamazione lo aveva riscosso da quella specie di contemplazione in cui era caduto, e forse era un bene; sì che Sesshomaru non poteva più spiarli, ma non era certo il caso di fare il pesce morto.
“Himoro? Ma se non sa uccidere…!”
Quasi invocato dalle sue parole, una strana faccenda urlante attraversò di corsa il prato, andando a tuffarsi nella parte opposta, tra gli alberi. E la faccenda urlante era un indifeso Himoro in groppa ad un infuriato orso bruno.
“Ehm… magari raccolgo qualche erba, e stasera faccio una zuppetta?” Azzardò Makau dopo diversi minuti dalla illogica visione.
“Sì, direi che è meglio…”

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Capitolo 10
*** Spettri-Alberi e Scoperte ***


CAPITOLO UNDICESIMO

Ruzzolò, si aggrappò ad un ramo, riprese la via, riaccadde su un cespuglio, si rialzò con una risata di sfida e proseguì il cammino.
“Ma… ma sei proprio sicura di voler andare a caccia in quelle condizioni?” Makau si trattenne di nuovo dal correre ad aiutarla: era una testa dura, quella, e un suo intervento avrebbe solo intensificato la volontà della ragazza. Si era messa in testa di camminare da sola, e lo avrebbe fatto; in tre giorni le era ricresciuto una specie di mozzicone di coda spelacchiato, e lei aveva stabilito che fosse più che sufficiente per ritrovare l’equilibrio.
E anche adesso, davanti ai fatti concreti, rimaneva assurdamente fedele alla sua teoria.
“Preparatevi: stasera si mangia carne!” Dopo questa fiera esclamazione, pensò bene di cascare di nuovo, evitando per un pelo un non proprio piacevole atterraggio su uno sconvolto porcospino; invece che ringraziare la dea bendata, ella fissò con occhi luccicanti l’animale, borbottando qualcosa riguardo un arrosto, e quindi, un po’ in piedi, un po’ a gattoni, prese ad inseguirlo, sparendo tra gli alberi della foresta.
“Sei sicuro che sia prudente lasciarla andare da sola?” Azzardò Himoro, mentre si curava una delle molte ferite che la poco fruttuosa caccia all’orso in cui si era cimentato qualche giorno prima gli aveva procurato.
“Sono sicuro che sarebbe molto meno prudente seguirla: hai sentito di che ci ha minacciato, no?”
“Escoriazioni, unghie strappate, capelli al rogo…” Himoro elencò oziosamente le varie opzioni di vendetta che l’amica si era inventata sul momento.
“Appunto; quindi lasciamola fare: tornerà qui con la coda tra le gambe!”
“O quello che le è ricresciuto.” Si fissarono un attimo, quindi scoppiarono a ridere, consci del fatto che se lei li avesse uditi, avrebbe aumentato il numero di sadiche punizioni; e le avrebbe applicate tutte.
“E in ogni caso” riprese Makau, asciugandosi una lacrima per le risate. “cosa vuoi che le succeda? E’ un boschetto tranquillo, questo.”
Aveva appena finito di parlare, quando un qualcosa che solo lui poteva percepire lo colpì con incredibile forza.
Fu come essere ciechi e improvvisamente ritrovare la vista; antichi e sopiti sensi maggiori del ragazzo si risvegliarono improvvisamente, registrando i sovrannaturali impulsi che di punto in bianco lo avevano colpito dal profondo della foresta.
“Makau…?” Himoro fissò costernato l’amico che, da ridente e spensierato che era, si guardava ora attorno come un coniglio braccato. “Cosa succede?”
Il medaglione si scaldò, divenendo tiepido sulla pelle del suo petto, pretendendo a gran voce di poter uscire e studiare anch’esso chi o cosa si aggirava attorno a loro.
Non sapeva se fosse un chi o un cosa, ma era certamente potente; sapeva che li stava cercando, e solo i braccialetti di Okis gli aveva impedito di individuarli con precisione… ma era terribilmente vicino, ormai, e non ci avrebbe più messo molto.
“Makau!” Fu l’amico demone gatto che, scrollandolo, lo fece riprendere da quella specie di trance in cui era caduto. Oh, accidenti. Ogni volta che percepiva una forza come quella, rimaneva come rapito, ipnotizzato; e questo poteva essere ancora più pericoloso di quel dannato medaglione, ora a dir poco incandescente.
“Scusa, Himoro, io…” Si portò una mano al volto, maledicendo l’Okis: ora che Kisala aveva quel bracciale, non riusciva a calcolare l’esatta distanza tra lei e quella malefica energia; che razza d’idiota era stato, farla andare in giro da sola! “Ho avuto un piccolo capogiro. Credo che… è meglio se vado a cercare un bel ruscello, dove magari bagnarmi la faccia.”
“Abbiamo dell’acqua qui.” Sorrise lui, senza riuscire a percepire l’evidente menzogna, e mostrando allegro una bisaccia di pelle.
“Io… credo sia meglio l’acqua corrente; torno subito.” Povero Himoro, era proprio ingenuo come pochi; mentre l’essere umano si inoltrava tra gli alberi, stranamente nella stessa direzione in cui era andata Kisala, gli fece pure ciao ciao con la manina.
Proseguì senza sosta, non sapendo bene lui se seguendo le tracce di oscuro potere che entravano prepotentemente nella sua mente, o se badando alle fresche tracce che indicavano il malsicuro passaggio di Kisala; in effetti, aveva poteri per salvarla tranquillamente da qualsiasi cosa ci fosse tra quegli alberi. Ma avrebbe preferito terminare quell’essere senza alcun testimone, come suo solito.
La traccia s’intensificò, bruciando quasi quanto il medaglione che ora era in grado di cuocergli la pelle; non permise ad alcuna ipnosi di catturarlo, e si mise a correre, verso l’energia. Ora la sentiva, la sentiva più che mai, ed era riuscito a dare un nome ed un volto al proprietario: Kyuo, Spettro delle piante. Niente di troppo speciale, ma se riesce a prenderti con uno di quei suoi rami…
Scacciò il pensiero, liberando la mente per una maggiore, spianandola da tutto ciò che non fosse la ricerca di quella creatura.

Si legò i capelli, dato che per la prima volta dopo tanti anni le davano fastidio; era sempre stata abituata a portarli sciolti, lungo ed elegante velo sulla sua schiena, anche nei combattimenti più impegnativi; ma adesso le risultavano un vero e proprio impiccio. Li strinse provvisoriamente in una coda alta che, in mancanza d’altro, fissò con un ciuffo rimasto orfano.
Accidenti a quel mercante e accidenti alla sua coda che ci metteva così tanto a ricrescere! Kisala con attenzione riprovò ad alzarsi, e questa volta l’espediente parve funzionare: la coda, purtroppo ancora così corta da risultare legata nei movimenti dai capelli prima liberi, ora riusciva molto meglio nel suo compito, cercando attentamente il baricentro, e spostandosi con velocità e precisione; rimpianse quando l’aveva lunga sino alle ginocchia, nera ed elegante, ma si sentì molto orgogliosa di riuscire a cavarsela anche così.
Doveva rincominciare a camminare il più presto possibile. Presto sarebbero arrivati da Totosai, dal leggendario fabbricatore di spade, ed egli l’avrebbe fornita di una potente arma… non sapeva neppure bene lei perché pretendeva da sé stessa una tale ricerca di forza e poteri, eppure l’istinto la spingeva proprio a quello: sempre più in là, sempre più in alto, mirando a diventare invincibile. Forse somigliava al padre più di quanto volesse ammettere.
Padre che, intanto, girava parecchie miglia più indietro, vagando su e giù attorno al monte produttore di Okis, alla ricerca di un villaggio che, per vendetta, aveva intenzione di radere al suolo, ma purtroppo per lui non sarebbe mai stato in grado di localizzare. Però questa è un’altra storia.
Torniamo alla giovane la quale, sempre incerta nei suoi passi come un bambino, si sentì improvvisamente chiamare.
“Pssst…” Era un suono che proveniva da tutte le parti e da nessuna; si guardò parecchio attorno, guardinga, sino a che il proprietario della voce non le diede un altro indizio: “Qui, bambina, qui al tuo fianco…”
Lo spavento che provò fu tale da farla cadere; accanto a lei, nel tronco di una quercia secolare, un volto antico quanto il mondo la studiava con un sorriso. Non proprio rassicurante, ma in ogni caso un sorriso.
“Chi… cosa sei?” Fece molta fatica per rialzarsi e non perdere di nuovo l’equilibrio, quindi si avvicinò alla faccia, picchiettando l’indice sul nodoso naso. “Sei imprigionato in questo albero?”
“Non sono imprigionato” un ramo pieno di foglie scacciò l’impertinente mano della fanciulla “io sono quest’albero!”
“Ah! Un albero parlante mi mancava.” In effetti, come figlia del Principe degli Demoni, ella avrebbe dovuto conoscere un po’ tutti gli spiriti che popolavano quel mondo; eppure ve ne erano certi, esiliati da tutto e da tutti, la cui memoria si era forse persa. I Demoni degli Alberi ne erano un valido esempio: esseri senza pietà, abituati a nutrirsi di umani, ma soprattutto di piccoli spettri, godevano di quel silenzio che aleggiava attorno alla propria razza, che tornava assai utile per abbindolare quante più prede possibile.
“Sei una giovane mezzo demone! Qual è il tuo nome?” Chiese quello con noncuranza, mentre, non visto, uno spesso ramo scendeva lentamente dietro di lei.
“Io mi chiamo Kisala, tu?”
Il ramo scoccò il suo attacco; debole, lento. Lei si era già accorta della sua presenza, e fu lesta nello scartare di lato.
Peccato solo che non avesse più considerato la quasi totale mancanza di coda e che, quindi, si ritrovò a terra, indifesa ed esposta al ritorno del ramo assassino.
La colpì in testa, sulla fronte, e fu qui che ella perse i sensi.
“Ma che bel bocconcino…” Sussurrò l’antica creatura, mentre un altro ramo, ancora più grosso e adornato di tanti piccoli ramoscelli, scendeva per aiutare il primo; avvolsero il corpo della fanciulla, sollevandola d terra. “Assorbirla sarà un…”
“Fossi in te, la metterei giù.”
“Chi…?”

Kisala riemerse lentamente dall’oscurità in cui era improvvisamente caduta; voci concitate parlavano, in un campo sonoro che ancora non riusciva a distinguere con chiarezza, e anche comprendere ombre ed immagini fu una vera impresa.
“Perché dovrei metterla giù, piccolo e stupido umano?”
“Voi spettri non mancate mai di adulare la mia razza, vedo.”
Makau! Non guardava lei, ma fronteggiava con coraggio quel maledetto spirito dell’albero, che così facilmente l’aveva catturata; un dolore pulsante riecheggiava sulla fronte, laddove le fronde l’avevamo colpita, e per quanto tentasse di parlare e avvisarlo del pericolo, non una parola usciva dalle sue labbra, perché un rametto malandrino gliela tappava con forza.
“Posala; non sai con chi hai a che fare.” Makau, una volta appurato che la giovane fosse in piena salute ma priva di sensi, aveva stabilito di agire il più in fretta possibile, anche se - e ci scusiamo per il gioco di parole - sapeva che Kyuo era una dannata testa di legno.
“E’ vero, non lo so: con chi ho a che fare?” Divertito, fece oscillare a destra e a sinistra Kisala, senza che l’amico notasse il fatto che gli ambrati occhi della giovane erano aperti e attenti.
Makau, lentamente, badando a non afferrarlo direttamente ma sfruttando solo il cordino d’argento, estrasse il medaglione, mostrandolo con aria di sfida alla creatura; l’albero vibrò, forse di sorpresa, forse di paura, mentre scrutava le antiche rune incise sul ciondolo.
E anche Kisala vibrò; se avesse potuto urlare, l’avrebbe fatto, e se l’avesse potuto attaccare, armata di spada, non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione. Makau… lui…
“Sei uno Jun… Sei della famiglia dei Cacciatori di Demoni!” Il grande albero parlante non sapeva più che pesci pigliare; uno Jun, e per di più IL Jun, il ragazzo cui era stato affidato il Medaglione del Sole…
Un faccenda troppo grossa per lui; una faccenda fin troppo grossa per la maggior parte dei demoni di sua conoscenza.
“Per l’appunto.” Makau si concesse un sorriso, ritenendo inopportuno precisare brutte e molto personali verità che si celavano dietro quel medaglione in suo possesso.
“E dimmi… Questa piccola mezzo demone lo sa?” Era solo un espediente per prendere tempo e riflettere, ma fu geniale. L’alberò spostò Kisala, ponendola tra loro due; con un letterale tuffo al cuore, Makau ebbe modo di constatare che era sveglia; e doveva esserlo da troppo, data l’espressione a metà tra la sorpresa e la furia che attraversava il suo volto. Se un ramo non le avesse tappato la bocca, orribili insulti sarebbero scaturite da quelle labbra. “Ah, no, dalla sua faccina mi sembra di no…”
“Adesso basta! Mettila giù!” Non doveva farsi distrarre da quello, ora. Più tardi, forse, avrebbe spiegato…
“Io so come funziona quell’aggeggio. Se lo usi, rischi di morire.”
“Io rischio, ma tu muori di certo.” Fu la semplice spiegazione, che sembrò immediatamente convincere lo spettro: come tutti quelli della sua razza, fu lesto ad abbandonare preda e sfidante, muovendosi da un albero all’altro e sparendo nell’intricata vegetazione.
L’erborea prigione della fanciulla perse ogni potere, lasciandola cadere malamente a terra. Ma lei non vi badò molto; sollevò due occhi diffidenti verso Makau, verso quell’amico che si era illusa d’aver trovato, quindi fece per alzarsi, senza chiedere aiuto nonostante le evidenti difficoltà e il continuo dolore alla testa.
“Kisala, io…”
“Stai zitto. Non ti avvicinare!” Scacciò malamente il suo tentativo di soccorso; lenta e traballante, ma orgogliosamente in grado di farcela da sola, si avviò verso l’accampamento, seguita a breve distanza da lui.
Non gli rivolse la parola per l’intero tragitto.

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Capitolo 11
*** Rivelazioni - parte prima ***


CAPITOLO DODICESIMO

Spesso si tende a fare confusione, eliminando ogni distinzione tra gli Sterminatori di Demoni e i Cacciatori di demoni.
I primi, certamente forti, indubbiamente valevoli nella lotta, sono solo semplici esseri umani cresciuti ed addestrati allo sterminio delle creature della notte; fanno uso di armi da loro stessi create, e la loro forza risiede senza ombra di dubbio nello scontro fisico.
Di ben altra pasta i Cacciatori: una sola famiglia al mondo ha l’onore, e l’onere, di appartenere a questa categoria, e ciò per un semplice motivo: Cacciatore lo si nasce. E lo si nasce accompagnati da un grande potere magico, da un’inesauribile forza donata da benevoli dei per due semplici scopi: scovare e distruggere i demoni. Nel nostro mondo, il potere di Cacciatori di Demoni è affidato all’antico e nobile clan dei Jun, risiedenti nelle montagne del nord.
Dopo molti millenni e molte generazioni, questo clan ha sviluppato rigide regole, che distinguono senza possibilità di errore le figure chiave della famiglia (la quale poi è un vero e proprio esercito da battaglia): Il patriarca, i compagni, gli eredi e il prescelto. Il patriarca è sempre il più anziano in vita; i compagni, che possono essere sia uomini che donne, sono coloro che sposano un componente del clan, entrandone a far parte, ma non possedendo alcun potere. Gli eredi, com’è logico, sono il frutto di queste unioni, tutti dotati di poteri; e infine, c’è il prescelto. O la prescelta.
Questo punto chiave sul quale rotea l’intera organizzazione nasce sempre sotto l’influenza della terza stella della sera, e il suo venire al mondo è perennemente accompagnato dall’improvvisa comparsa di un gallo dal piumaggio blu e verde; così è sempre stato e così continua ad essere, senza alcuna eccezione: i segni per comprendere l’identità di un prescelto sono inequivocabili, e così al neonato viene posto il marchio che rappresenta secondo alcuni una benedizione e secondo altri una condanna: gli viene appeso al collo il Medaglione del Sole.
Da quel momento, grazie a un sortilegio forse antico quanto la madre terra stessa, non potrà più toglierlo, fino alla morte.
Morte che non si farà attendere: il prescelto è sì la persona più dotata della propria generazione, ma deve continuamente fare i conti con la potenza e l’impetuosità del Medaglione; il quale, pur di ottenere la distruzione del nemico, non esita mai a sacrificare il padrone, persino quando ciò risulta non indispensabile.
Nessuno sa quale siano le origini di questo potente monile; antiche leggende la collegano addirittura alla nascita del sole stesso, ma queste sono solo storie che offuscano la verità, e a cui è meglio non prestare troppo l’orecchio.
Meglio un giorno da leone o cento da pecora? Il prescelto non ha diritto a questa scelta…

Dagli studi di Kihuuro Sanio.


“Diglielo.” Sbottò, sedendosi davanti al fuoco che il solerte Himor aveva acceso, nell’attesa del loro ritorno. Appena li aveva visti uscire dagli alberi, aveva rivolto loro uno dei più solari sorrisi che aveva in serbo – anche perché sperava in una fruttuosa caccia di Kisala – ma le espressioni truci di entrambi lo avevano fatto ragionevolmente preoccupare. “Diglielo tu, o lo farò io.”
“Cosa…?” Makau non si era seduto; ritto innanzi a loro, guardava la loro amica con un profondo dolore; e il demone gatto non ci mise molto a leggere, sotto la facciata rabbiosa di lei, lo stesso malessere, misto a risentimento e sfiducia. Ma insomma, che avevano combinato senza di lui?
“Kisala, ascolta…” Tentò di nuovo di farla ragionare, ma sapeva bene che era un’impresa impossibile; e in fondo, lei aveva tutte le ragioni.
“Che cosa devo ascoltare?” Gli occhi ambrati, pericolosi come non mai, si inchiodarono su di lei, creandogli sconvenienti formicolii. “Devo ascoltare quanto ti sei divertito a prenderci in giro, o cosa? Devo ascoltare delle tue notti passate sperando di ammazzarci?”
“Come, scusa?” Himoro non ebbe dubbi riguardo al fatto che l’oggetto della discussione gli era sfuggito; e non aveva dubbi riguardo al fatto che non gli sarebbe piaciuto per niente. Lì si parlava di ammazzarlo nel sonno, e la cosa non gli risultava per niente simpatica
“Non vi volevo prendere in giro!” Makau infine si era seduto, quasi di schianto, proteso verso di lei; finse di non notare lo spazio che Kisala guadagnò, allontanandosi di qualche dito. “E neppure uccidere! Cosa credi, che se lo avessi voluto, non lo avrei già…?”
“Ragazzi, davvero, io vorrei capire…” Makau, sempre così gentile, e ingenuo quanto lui, adesso era diverso; più vecchio dentro, quasi.
“DIGLIELO!” Due scoiattoli che stavano amoreggiando lì vicino fuggirono a gambe levate, il più lontano possibile dalla padrona di quella rabbiosa voce.
“Vuoi che glielo dica? Bene!” Trafficò un secondo, mentre Himoro non riusciva ad afferrare perché adesso il soggetto del litigo fosse lui. “Ecco, guarda!”
Il demone gatto fissò svogliatamente il ciondolo che lui gli aveva presentato; poi ne notò la forma; poi i simboli; poi, con un urlo che fece allontanare tutta la fauna del circondario, fuggì, riuscendo ad arrampicarsi su di un albero ad una velocità record.
“Ecco, contenta?”
“Chiedilo a lui.”
Ma domandare non era indispensabile: il giovane stava già esponendo a pieni polmoni le sue teorie al riguardo.
“IL Medaglione! Il Cacciatore col suo Medaglione davanti a me! Lo giuro sul nome di mio padre, non ho mai fatto nulla per meritare tutto questo…” Himoro tentò senza successo di salire ancora più in altro, ma andava a finire su di un ramo troppo sottile. Decise quindi di rimanere lì, urlante. “Il Cacciatore mi ha truffato, mi ha ingannato, mi ha…”
“Kisala… non ve l’ho detto per quello!” Il dito tremante indicò il biondo demone in preda ad una vera e propria crisi da panico. “Per evitare simili reazioni! Io…”
“Cos’è, speravi che ti seguissimo in giro per il mondo, assistendoti mentre stermini i miei simili?”
“Tuoi simili? Tu sei un mezzo demone…”
Lo schiaffò partì veloce come una tigre; graffiò senza pietà la sua guancia destra, lasciandovi cinque distinte sagome. Kisala apparve sorpresa quanto lui, la mano ancora a mezz’aria, e non riuscì a ritrarla prima che Makau l’afferrasse, attraendola a sé. Aveva detto un’idiozia, e non sapeva nemmeno spiegarsene il motivo; ma l’aveva ferita di nuovo, e questo bastò per fargli decidere a spiegare tutto, sino in fondo.
“Non volevo offenderti.” La sentì fare qualche debole resistenza, quindi la strinse di più. “Davvero. E non volevo imbrogliare o divertirmi alle spalle di nessuno dei due.”
“Me povero, me misero, me morto, me vittima sacrificale…”
“Parlo anche per te, Himoro! Scendi.” Le lasciò la mano, così che lei potesse scegliere se restare o andarsene, per sempre; e per fortuna ella rimase lì, diffidente e furiosa, ma rimase. “Ho una storia da raccontarvi.”
Himoro, dopo un ulteriore e poco gentile invito di Kisala, si decise a scendere, sedendosi dietro la sua amica, e sperando che servisse come parziale barriera tra lui e lo Spauracchio dei Demoni. Quando era piccolo, e faceva i capricci, come minaccia la madre (una bella demone gatto dalla carnagione bianca come il latte), gli assicurava che presto sarebbe arrivato il cacciatore con il Medaglione del Sole, per punirlo. E adesso eccolo lì, quel cacciatore, sotto le mentite spoglie di colui che aveva creduto amico.
“Io sono il prescelto.” Makau prese fiato. Era la prima volta che narrava la sua storia a qualcuno che non fosse un albero o un animale; e trovare le giuste parole gli sembrava impossibile.

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Capitolo 12
*** Rivelazioni - parte seconda ***


CAPITOLO DODICESIMO

Mikaa correva a perdifiato, correva in quel grande prato, in un’atmosfera già quasi notturna, illuminata solo dalla luna e da tre solitarie, ma splendenti, stelle.
Era una bambina di dieci anni circa, con una fulva chioma che in boccoli disordinati ricadeva sul fresco volto, adornato da migliaia di lentiggini e due splendenti occhi color smeraldo. In quel momento, avrebbe dovuto essere a letto, ma tanta era la sua agitazione, e tanta la sua voglia di correre, che nessuno aveva osato trattenerla: e in fondo, un Cacciatore di Demoni, pur così giovane, aveva ben poche cose da temere.
L’alta erba si piegava cordialmente al suo passaggio, i piedi scalzi che calpestavano sassi e pietre, senza avvertire fastidio o dolore; quando giunse al portone di legno della via che conduceva al grande castello sulla montagna, si dovette fermare, ansante. Correre era bellissimo, era come volare, e quando lo faceva si sentiva talmente libera da voler proseguire per sempre; ma c’era sempre il momento in cui, senza fiato, era costretta a fermarsi, a guardarsi intorno per vedere dov’era finita.
Questa volta, per fortuna, le energie le erano venute meno proprio davanti alla meta; con baldanza, si intrufolò nel portone, penetrando nei ricchi orti che costituivano i giardini del castello; dopo molte generazioni spese a lottare i demoni e a far ritorno alla stessa base, i Cacciatori potevano vantare una ricca casa, in grado di mantenere agiatamente i molti figli e gli innumerevoli nipoti.
Mikaa era una figlia, una figlia speciale: la primogenita del patriarca. Suo nonno era venuto a mancare qualche anno prima, facendo salire di grado il papà; e adesso il suo nucleo familiare era al centro delle attenzioni di tutto il clan, cosa che poteva piacere così come dare fastidio. Mikaa si era semplicemente accorta di essere molto più coccolata da tutti.
Tutti che adesso erano riuniti nell’orto circondante la casa dei suoi genitori: salutarono la bambina con affetto e rispetto, e sorrisero orgogliosi quando ella corse a sedersi accanto alla nonna. Chi ama e rispetta gli anziani, diverrà saggio. Un giorno, forse, Mikaa sarebbe diventata grande e forte, e forse avrebbe preso il posto del genitore, guidandoli.
“E’ nato?” Domandò con reverenza la piccola, osservando incuriosita lo strano intreccio di fibre cui la nonna si stava dedicando: talismano antidemoni, molto probabilmente destinato ad uno dei Cacciatori adulti che aveva perso il suo.
“Non ancora.” La pazienza nella voce della donna era il risultato di anni di esperienza, eppure Mikaa non capiva come potesse essere così calma: dentro a quella casa, testimoni gli urli di sua madre, stava avvenendo un miracolo. Il suo fratellino (o sorellina, chi lo sa?) stava per venire alla luce!
“In cielo ci sono solo tre stelle…” Mormorò Muhai. Mikaa ancora non aveva capito molto bene tutti i legami familiari che aveva con quella trentina di persone; secondo le informazioni correnti, Muhai era suo cugino in terzo grado, da parte di padre, o una cosa simile. “Credo che sarà il prescelto.” Nessuno commentò l’affermazione, dato che era cosa ovvia.
“E’ nato?” Ripeté, non dando molto peso a quella storia del Prescelto: prescelto di qui, prescelto di là, tutti non parlavano mai d’altro, senza che lei avesse mai avuto modo di capire cosa fosse esattamente. Ma in fondo la cosa non la riguardava più di tanto.
“Non ancora.” Ella alzò il suo operato, strizzando gli anziani occhi per osservarlo meglio.
“E come fai a saperlo?” Insistette Mikaa, cercando di sovrastare gli urli della madre: anche se non aveva mai chiesto informazioni al riguardo, comprese che partorire non dovesse essere un bell’affare.
“Lo so.” Fu la semplice spiegazione. “Quando sarà il momento, lo vedremo tutti.”
E lo videro per davvero.
Un gallo, un gallo mai visto prima, dal brillante piumaggio composto dal blu e dal verde, volò verso di loro, maestoso come l’Uccello della Gloria; tutti trattennero il fiato, mentre l’animale scendeva in larghi cerchi verso la casa. Con grazia, sporse le speronate zampe, mirando un soffice atterraggio verso il tetto.
“Ecco, appena il gallo si poserà…” Due lacrime rigarono le guance della donna: era la seconda (e supponeva ultima) volta nella vita in cui assisteva ad uno spettacolo del genere. “… appena si poserà, il Prescelto verrà alla luce…”
E ecco che l’animale entrava in contatto con la superficie legnosa del tetto; piegò leggermente le ali, cercando il giusto equilibrio, quindi tentò di completare l’atterraggio…
…. Senza però riuscirvi: uno sperone s’impigliò in una scheggia, esso fece per liberarla, l’equilibrio andò a farsi benedire, e il gallo cadde miseramente, spezzandosi il collo.
La folla rimase a fissare quel cadavere che stirava le zampe, ultimi spasmi di vita che gli rimanevano; nessuno sembrò badare agli innocenti vagiti che proprio allora esplosero dalla casa.
“Questo dev’essere un segno.” La vecchia fu la prima a ritrovare la voce. “Non so come vada interpretato, ma è un segno.”
Tutti sapevano che all’interno della casa, intanto, suo padre stava facendo scivolare attorno al collo del nuovo nato quello strano e pesante medaglione che tutti trattavano come se fosse un dio in terra.
“Andiamo a vedere il mio fratellino!” Esclamò Mikaa, correndo verso la porta; qualcuno esitò, ma poi molti la seguirono, sorridenti. Insomma, il gallo venuto a portare la lieta novella doveva semplicemente essere un po’ stanco, o troppo sbadato: non bisognava dare quel granché d’importanza a certi particolari.
La nonna rimase un po’ in giardino, esitante, fissando l’uccello; infine, fece spallucce, lo prese e lo portò a casa sua, per spennarlo e ricavarci un buon brodo.


“Stai scherzando.” Sbottò Himaro; quel pezzo di storia l’aveva sentito mentre provava a bere qualcosa, ma il gallo kamikaze lo aveva fatto quasi strozzare dal ridere, e per salvarsi era stato costretto a sputacchiare un bel po’ di liquido, riuscendo persino a spegnere il fuoco.
“Hai bagnato pure me!” Kisala si ritrasse, finendo più vicina a Makau di quanto in realtà gradisse: il fatto che lui stesse aprendo loro il proprio passato ancora non lo autorizzava a riconsiderarsi compagno o amico: li aveva presi in giro, e sinceramente la mezzo demone non capiva come la storia della sua vita avrebbe potuto giustificarlo. Ma tanto valeva ascoltare, no?
Il peso del freddo e della notte gravò improvvisamente sui tre viaggiatori, cosicché prima di proseguire il racconto furono costretti ad armeggiare nelle tenebre, alla ricerca della pietra focaia e della legna.

Intanto… Intanto qualche miglia più dietro di loro, c’era chi passeggiava tranquillamente nel bosco, incurante del freddo, della notte, dei sospetti scricchiolii della foresta: era un Principe dei Demoni così furioso che incontrarlo non sarebbe risultato conveniente per nessuno.
Ma ci fu chi ebbe questa sfortuna.
“Il Signor Sesshomaru!” La voce era sibilante, proveniva dal tutto e dal nulla; ma egli non si lasciò certo confondere, voltandosi con arida freddezza verso un tronco, dal quale spuntava un legnoso volto. “Quanto tempo! Saranno secoli che non ci vediamo.”
“Tre o quattro secoli, Kyou” Confermò il demone, sorridendo appena alla vista del vecchio amico.
“Ah, se sapesse! Ho appena passato una brutta avventura!”
Sesshomaru non sapeva e in realtà neppure gli importava: era lì solo per ritrovare sua figlia e far fuori chi le aveva consigliato di mascherarsi al suo controllo; eppure lo spirito della foresta ritenne il suo sguardo di furia un’espressione di malcelato interesse, e proseguì nel suo racconto:
“Stavo per farmi uno spuntino, sa, avevo una fame! E chi mi trovo davanti? Una stupida mezzo demone, una marmocchia sui diciassette, diciotto anni: un bocconcino!”
Questa volta aveva davvero catturato l’attenzione del demone: ma non nel senso che credeva. Le iridi ambrate si spostarono leggermente, e se uno sguardo potesse incenerire, il caro spettro sarebbe già andato a fuoco con l’albero. Ma gli sguardi, seppur demoniaci, un tale potere non ce l’hanno, quindi l’essere proseguì tranquillo nel suo racconto:
“Era debole, credo perché le stava ricrescendo la coda – aveva solo un moncherino che agitava inutilmente – e quindi mi sono detto: ah che bel pasto facile!”
“Le… stava ricrescendo la coda?” Il fiato di Sesshomaru si spezzò, eppure neppure questo sembrava invitare Kyuo a stare zitto.
“Ma sì, ma sì, credo proprio fosse così! Beh, insomma, io la catturo, sto per mangiarmela… e chi mi arriva a rovinare tutto?”
Sesshomaru non rispose a quella domanda; se erano stati l’umano o il stupido demone gatto a salvarla, tanto di cappello: quei due idioti assieme non avrebbero saputo salvare una farfalla dalla tela di un ragno.
“Uno stupido moccioso umano! Io mi dico: oh bene, mi mangio anche lui! E invece… invece ha tirato fuori il Medaglione del Sole! Oh quale delusione!” L’albero credé che la faccia fuori da ogni schema emozionale di Sesshomaru indicasse sorpresa, e pietà per lui. Ma invece nella mente del demone si era scatenato un putiferio tale da essere impossibile da raccontare persino per me.
“Pu… puoi descrivere quell’umano?” Riuscì finalmente a balbettare.
“Certo: alto, dai capelli rossi e occhi verdi…”

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Capitolo 13
*** Rivelazioni - ultima parte ***


CAPITOLO TREDICESIMO

Era alto, dai capelli rossi e gli occhi verdi; la chioma la teneva legata in un lungo codino, e il bel fisico scolpito da anni di addestramenti era uno spettacolo non da poco, anche sotto la leggera tunica del dì di festa.
Makau e Mikaa si somigliavano molto: entrambi avevano preso dalla madre, una donna proveniente da una terra lontana, che aveva seguito loro padre come segno di riconoscenza quando lui l’aveva salvata da un demone. Era una donna orgogliosa, dai lineamenti sottili, capelli rosso fuoco e occhi color mare.
E adesso quegli occhi erano davvero pieni di mare, di acqua salata che sfuggiva dalle ciglia, scivolando in irregolari rigagnoli giù per le belle e rosee guance. Ella si sedette, sempre osservando i figli pronti per andare alla festa del paese; quei figlioli che erano cresciuti così in fretta… e non si trattava solo dei primi due, ma anche di Hokaro, di tre anni più giovane di Makau, dal pelame scuro e occhi azzurri, di Melia, che sembrava proprio una fotocopia del padre, solo che in miniatura e al femminile; e infine di Jinko, ultimo nato e in fasce, stretto tra le sue braccia.
Se Melia e Jinko ancora potevano dirsi estranei alle lotte e all’allenamento di un Cacciatore di Demoni, tutti gli altri nascondevano nei bei volti e nei bei corpi macchie, bruciature, cicatrici: così bambini eppure già così adulti.
“Scusate…” Mormorò, mentre con un cenno li invitava ad uscire, ad andare a divertirsi, loro che potevano. “E’ che… è che siete così belli…”
Rispettosamente, essi si volsero verso la porta, e Makau non poté fare a meno di notare che i fratelli lo spiavano di sottecchi, rivolgendogli amare espressioni: tutti sapevano perché la madre stava piangendo. Non era perché erano belli, e neppure perché erano cresciuti in fretta. Semplicemente, sua madre scoppiava in lacrime ogni volta che guardava troppo a lungo il secondogenito, ogni volta che il suo occhio scivolava sul pesante medaglione che gli penzolava sul petto.
E non era certo difficile intuire il perché: Makau era certamente il più forte del clan, in grado di fronteggiare spettri dai poteri inimmaginabili. Grazie a lui, grazie alla sua potenza, già tre temibili creature delle tenebre erano state valorosamente sconfitte, creature che senza il suo appoggio non sarebbero state neppure scalfite dal resto del clan. E per ognuna di quelle tre occasioni, quando aveva sfruttato quasi al massimo sé stesso e il proprio legame con il medaglione, ci aveva quasi rimesso la pelle, salvandosi per un soffio. Ma non sarebbe stato sempre così.
Ecco perché sua madre spesso lo fissava e piangeva: per lei, quel buon figlio era un morto che camminava, e ciò le straziava il cuore.
E non era solo una sua idea. Fratelli, cugini e parenti vari evitavano rapporti che andassero oltre la buona educazione; se c’era una regola di buon costume, una regola che sapeva evitare inutili sofferenze a tutti, essa era: non dare confidenza, non affezionarti al prescelto. Tanto, non dura a lungo.
Makau, sospirò, evitando accuratamente gli sguardi di rimprovero dei fratelli: va bene, sua madre andava in crisi depressiva ogni volta che lo vedeva, ma avrebbe dovuto girare coperto con un cappuccio? Non avere rapporti affettivi con nessuno? Sì, rispondeva l’antica tradizione di famiglia: un Prescelto, un Prescelto come si deve, di solito si deve ritirare in eremitaggio, limitando i rapporti con il clan agli interventi nelle cacce al demone; per il resto, avrebbe dovuto essere più insignificante di un’ombra, così che alla sua morte nessuno ne avrebbe sofferto troppo.
Ma questo Prescelto non era così, anzi: solare, forte, impulsivo. Era affettuoso e in cerca d’affetto, anche se questo privilegio gli era negato da tutti; forse era questa differenza rispetto ai predecessori che la caduta del gallo alla sua nascita voleva preannunciare.
Nessuno lo sapeva, ma tutti trovavano quel futuro morto in battaglia molto scomodo, soprattutto quando pretendeva di seguire i fratelli nelle varie feste paesane alle quali i giovani e le giovani del clan in cerca di matrimonio venivano invitati.
Makau si accodò ai fratelli, scendendo la via della montagna dove era stato costruito il loro castello. Sperava in una serata spensierata, in un ambiente diverso da quello familiare dove si sentiva come un condannato a morte al quale offrire sempre un buon pasto, e niente di più.
Fu un viaggio breve, e presto giunsero a quel piccolo agglomerato di casette; furono accolti con gran gioia, con un esplosione di danze e di alcool: il divertimento aveva inizio.


“Questo.” Spiegò, spingendola un po’ più a fondo. “E’ per aver tentato di mangiare mia figlia.” La spada era affondata senza pietà nel vecchio tronco legnoso, e lo aveva fatto così improvvisamente che l’antico spirito non aveva avuto modo di sfuggirgli, saltellando in altre celle arboree.
“S… sua figlia…?” Furono le sue ultime parole, prima che stramazzasse, morto.
Sesshomaru levò il capo al cielo, in un urlo rabbioso: Kisala era sperduta da qualche parte, privata della preziosa coda e in compagnia di un maledetto Cacciatore di Demoni!
Questa volta, avrebbe versato tutto il sangue che il caso richiedeva.

“Ciao.” Lei gli era giunta alle spalle, sorprendendolo. La furia delle danze davanti a loro, e il riverbero delle fiamme del grande fuoco, davano un’aria di irrealtà alla scena, conferendo un aspetto quasi angelico a quella fanciulla dalla chioma color oro.
Era una contadina, una giovane contadina del villaggio; aveva notato quel bel ragazzo passare la maggior parte della serata da solo,osservando e quasi divertendosi del divertimento altrui, e aveva deciso di avvicinarlo: era un Cacciatore, ovvio, e convincere un Cacciatore a sposarla era la cosa migliore che le potesse capitare nella vita.
“Ciao.” Le rivolse un sorriso smagliante, gli occhi verdi che riflettevano i movimenti delle fiamme: era molto carino. “Vuoi ballare?”
“Certo.”
Era un ballerino forte, prorompente; il suo danzare era espressione di una incontenibile energia e amore per la vita, il suo corpo si muoveva fluidamente, in un’armonia che mai la fanciulla aveva osservato. Ma chi era quel misterioso ragazzo? Era così bello, così forte, e nessuna ancora l’aveva scelto per un ballo?
Sorrise, poggiandosi a lui, poggiando la testa sul suo petto. E si irrigidì, sorpresa. “Ma questo…” Nella penombra delle fiamme non lo aveva notato; sollevò il medaglione, attenta a non toccare altro che la collana d’argento che lo reggeva, e lo rigirò, mentre il castello di nuvole che si era costruita su quello straniero crollava miseramente. “Il Medaglione del Sole?”
Ma certo. Ecco perché era solo, ecco perché nessun altra lo corteggiava: chi mai avrebbe voluto maritarsi a uno che sarebbe morto di lì a poco?
“Sì, è lui.” Confermò, levandolo delicatamente dalle sue belle dita: non fosse mai che lo sfiorasse per sbaglio, provocando brutte conseguenze su sé stessa. “Non vuoi più ballar…?”
Ma era già sparita, quasi per magia, fuggendo come meglio poteva su quei delicati e sottili piedini; la intravide ancora un attimo in mezzo a quella folla di danzatori, e poi mai più.


Makau si accorse solo allora, durante una pausa del racconto, del gentile tocco: per un attimo pensò terrorizzato che avrebbe ritratto la mano, ma invece riuscì a mantenerla calma e rilassata, godendo della leggera carezza che Kisala gli aveva riservato, lontano dagli occhi di Himoro, nel buio non raggiunto dalla luce delle fiamme. Era un silenzioso gesto di comprensione, forse di compassione.
“Beh, ma poi come sei arrivato solo nel bosco, dove hai incontrato Kisala?” Domandò il demone gatto, anch’egli illuminato da una maggiore pena per Makau.
“Quella sera stessa, dopo quell’episodio… ci rimasi tanto male da fuggire. Dopo un paio di giorni ho incontrato lei, e il resto è storia.”
“Vuoi dire che… che il clan dei Cacciatori ti sta dando la caccia?” La mezzo demone non poté fare a meno di provare timore, e dal canto suo Himoro quel timore non lo nascose neppure:
“Sei un portaguai senza precedenti! Kisala, cacciamolo e pensiamo alla nostra pelle!”
“Mi sembra che lui non mi abbia abbandonato, quando mio padre ha stabilito di ucciderlo.” Lei lo privò di quel contatto, incrociandosi le mani sulle ginocchia, e fissando il fuoco. “E mi sembra che sia uno dei pochi al mondo a tenerti anche con le tue strambe crisi, Himoro.”
“Sì ma…”
Fu interrotto dallo scattare simultaneo di entrambi. Himoro si portò le mani alle tempie, cercando di tradurre ciò che stava avvertendo, e Kisala annusò un paio di volte l’aria, in fretta, spalancando gli occhi.
Capirono nello stesso istante. Si guardarono, spaventati.
“Parli del Principe dei Demoni… e spunta.” Balbettò Makau. “Meno male che c’è l’Okis, se no ci avrebbe già trovati!”
“L’Okis non gli impedirà di fiutarci, sai?” Kisala spense in fretta il fuoco, alzandosi barcollante e accettando di buon grado l’aiuto di Himoro. “Dobbiamo andarcene.”

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Capitolo 14
*** Fuga dallo scontro ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

“Non per essere ripetitivo, ma direi che è l’ora di scappare.” In effetti, Himoro era decisamente ripetitivo, ma gli altri avevano smesso di dare peso alle sue implorazioni: anche se aveva ragione, dovevano trovare un modo per sparire, e alla svelta.
Sesshomaru si stava avvicinando, più in fretta che poteva: aveva colto le loro tracce, e ai tre quasi parve di sentire i suoi pesanti passi, le foglie secche schiacciate impietosamente, i rami che osavano ostacolarlo tranciati di netto con un solo artiglio.
“Se corriamo ci sente, se stiamo fermi ci annusa…” Makau elencò le varie possibilità, omettendo l’utilizzo del medaglione; in fondo, si era appena quasi riappacificato con Kisala, e non sarebbe stato di buon gusto suicidarsi per farle fuori il padre.
“Mi chiedo perché accidenti mi son fatta tranciare la coda, l’Okis non doveva prevenire queste situazioni?” Sbraitò lei, escludendo l’eventualità di attaccare il padre dall’alto e tramortirlo: sicuramente, lui l’avrebbe atterrata in mezzo minuto, dedicandosi poi a piacevoli svaghi come lo sgozzare i suoi compagni.
E c’era anche una cosa strana: il fiuto della fanciulla era degno del genitore, e avvertiva chiaramente la furia che lo muoveva. Era veramente troppa, anche considerando la faccenda di quegli amuleti antilocalizzazione: chissà cosa aveva fatto arrabbiare così il padre. Decise che non era per niente strano stare lì e scoprirlo.
“Resa condizionata? Se vi consegno a lui dite che mi lascia andare?”
“Prima dovresti badare che io non ti strappi i baffi uno a uno, Himoro.”
“Non cominciamo a minacciarci a vicenda!” Makau si contrappose tra di due litiganti – o meglio, tra Kisala litigante e Himoro in procinto di fuga – tentando di mantenere un briciolo di lucidità. “Se ci fosse un modo per fuggire, senza far rumore, e coprendo il nostro odore…” Sì, facile a dirsi. Avrebbero potuto gettarsi in un fiume e poi correre nel bosco con delle pattine ai piedi: no odore e no rumore.
Non è il momento di pensare a battute idiote.
“Ehi, io forse un’idea l’avrei…” Azzardò di nuovo Himoro, ma questa volta nessuno gli badò realmente; e in fondo se lo meritava.
“Makau, forse è meglio che voi vi allontaniate… forse si lascerà calmare da sua figlia…”
“Come no, ti rinchiuderà in qualche prigione dorata: bella prospettiva!”
“Posso ricordarti che la tua prospettiva è essere brutalmente assassinato?”
“Dico sul serio, è un bel piano…” Ma nessuno dava peso all’idea di Himoro la quale, stranamente, era davvero l’unica con un capo e una coda.
“Non m’importa d’essere ammazzato, non puoi vivere con quello che ti pedina!”
“Parla quello che non è inseguito dalla famiglia…”
“RAGAZZI!”
“Che vuoi?” Kisala si voltò, il volto deformato dalla rabbia, le zanne tanto scoperte da costringere l’amico ad indietreggiare, non tanto per codardia, quanto per sicurezza.
Himoro non rispose alla domanda, ritenendo di aver tentato una spiegazione del suo piano un numero eccessivo di volte, senza ottenere la minima attenzione: semplicemente, sorrise, con una sicurezza che era rara a vedersi, e l’attimo dopo sprigionò tutto il suo potere demoniaco.
“Ma che…?” La mente di Makau fu colpita dalla scoperta di quella nuova energia, e si voltò preoccupato verso l’amico: era caduto gattoni, il volto deformato dallo sforzo… il volto eccessivamente deformato dallo sforzo…
L’attenzione del giovane fu immediatamente catturata dalla spropositata crescita delle sue mani: stavano letteralmente gonfiandosi, mentre fieri artigli esplodevano dalla sommità; il viso del giovane, e i suoi occhi azzurri, si allungarono, ricoprendosi di pelo, in una forma più felina, più elegante.
“Si trasforma?” Balbettò Kisala. Non sapeva come ciò poteva venire loro utile, ma la speranza è l’ultima a morire, soprattutto quando avverti più che chiaramente il Principe dei Demoni troppo vicino.
Lo stesso pelo color oro del volto proseguì la sua corsa, fondendosi con la folta chioma del demone gatto; la coda, a pelo corto ed appena cresciuta, sferzò nervosamente l’aria. Adesso era un enorme felino, la cui testa superava abbondantemente in altezza sia Makau che Kisala.
“Montatemi in groppa.” La voce era quella dell’amico, eppure non sfruttava più le onde sonore: esplodeva nella loro mente, terrorizzato ma fermo messaggio telepatico. “Garantisco fuga silenziosa ed odore nullo.”
Non stettero neppure a domandare, arrampicandosi non proprio gentilmente sulla grande schiena dell’animale, strappando il pelo a ciuffi.
L’attimo dopo, esattamente tre secondi prima che Sesshomaru piombasse nella radura, non trovando altro che un resto tiepido di focolare e la fine delle sue tracce olfattive, tutti e tre erano spariti, inghiottiti nel nulla.
Lo ave vano fatto fesso. Di nuovo.

“Oh mio…” Il mondo girava più che furiosamente, danzandole attorno quasi volto a prenderla per i fondelli. Si premette le tempie, come a volerlo fermare, eppure quel gesto non ebbe molto effetto.
Si voltò a destra. Erba. Si voltò a sinistra. Erba. E un fiore viola. In alto? Il sole, allo zenit, che le coceva il volto. Fece per alzarsi, per osservare meglio dove cavolo fosse finita e perché.
“Sei ancora confusa.” Una mano, delicata ma ferma, la costrinse a terra, impedendole di guadagnare una visuale più ampia.
“Makau?” Sì, era lui, chinato con preoccupazione sulla mezzo demone. Era lui che la costringeva a stare lì, anche se ciò non le forniva alcuna spiegazione utile sull’oscillare da ubriaco del paesaggio. “Fammi alzare.”
“Come vuoi, ma sii prudente.” Le puntellò una mano alla schiena, mentre faticosamente Kisala riusciva a trovare una distinzione tra sotto e sopra, levandosi lentamente a sedere: più di quello non osò. Non si sentiva debole, ma era come se dovesse vomitare tutto quello che aveva mangiato nell’arco dell’intera vita; e non era poca roba.
“Che accidenti mi è successo?” Ringhiò, non ricordando assolutamente nulla degli eventi della notte precedente; in quel momento, tutto ciò che contava era il cessare di quella nausea. Ah, e che il mondo stesse finalmente fermo.
“E’ il teletrasporto.”
“Cosa?”
“Il teletrasporto. Ho usato quello per scappare da quel folle di tuo padre.”
Oh, sì. La foresta, Makau Cacciatore di Demoni, il padre assetato di sangue che quasi li aveva raggiunti: adesso era tutto molto più chiaro.
“Credo di doverti un grosso favore.” Ammise, lasciandosi sfuggire un sorriso e per poco anche un conato. “In battaglia non sarai un granché, ma in fuga non ti batte nessuno.”
“Massimo esperto in materia.” Le strizzò l’occhio, quindi lasciò che stesse seduta da sola, rilassandosi sull’erba verde di quella tranquilla montagna.
“Ma perché mi sento come se mi avessero aperta in due e riempita di api e sterco?” Domandò infine.
“Che paragone colorito!” Rise, sollevato del miglioramento delle sue condizioni. “Tranquilla, è solo una cosa momentanea: solo gli spettri completi possono usufruire del teletrasporto senza conseguenze: quella che sta soffrendo è la tua parte umana.”
“Sì, capisco.” Finalmente la terra aveva smesso di ballare, e anche lo stomaco stava ritrovando la giusta via. “Un momento… ma se io sono ridotto così, Makau…?”
“Ehm, lui è completamente umano, e…”
Makau passò dietro di loro, il capo adornato di una bellissima corona di fiori gialli, fiori che non aveva esitato ad infilare in ogni buco, corporeo o dell’abito. Due spuntavano persino dalle orecchie.
“Le cornacchiette gracchiano, gracchiano, e i rospetti gracidano, gracidano…” Canticchiò allegramente, prima di notare che Kisala fosse di nuovo sveglia e vigile. “Saluti a te, Ermenegilda. Un tempo ottimo per pescare paguri, non trovi? Le cornacchiette gracchiano, gracchiano…” Si allontanò felice e danzante, incurante dello sguardo sorpreso di lei.
“Rimarrà così qualche giorno, temo.” Makau fece spallucce. “Ma in fondo da’ più allegria, no?”
“Spero per lui che duri poco: dobbiamo ripartire al più presto.”
“Meta?”
“Il rifugio di Totosai.” Kisala spezzò il fiore viola, quello che aveva notato al suo risveglio. “Sono stufa di scappare: quando mio padre oserà rifarsi vedere, si troverà davanti una figlia ben armata. E pronta a lottare per l’indipendenza.” Lanciò lontano i resti del fiore, che il vento accolse tra le proprie spire, trasportandoli tra mille giravolte. “Sono sinceramente stufa di questa situazione.”

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Capitolo 15
*** Omicidio ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

Lo vide già da lontano, quel bel ragazzo, biondo, inginocchiato nella neve; si avvolgeva nelle sue stesse braccia, quasi a donarsi calore, o conforto, da solo.
Era alto, dal corpo muscoloso; sembrava non soffrire per nulla il freddo.
“Ehi…? Tutto bene?” azzardò la fanciulla, indecisa se abbandonare o meno il sentiero che stava percorrendo; era già in ritardo e se non avesse portato presto l’acqua a casa suo padre l’avrebbe battuta; nondimeno, decise di dare un’occhiata a quello stranissimo ragazzo, così solitario eppure così simile ad un angelo.
Lasciò profonde impronte nella neve fresca, mentre usciva dal sentiero in terra battuta e timidamente si avvicinava allo straniero.
“Io… sono… solo…” mormorò egli.
Poi vi fu un urlo, e poi più nulla.

Un urlo.
“Himoro-chaaan!!”
Il nulla.
“Non risponde, accidenti!”
Simpatiche nuvolette uscivano al posto del respiro di Kisala, mentre ella, arrabbiata come l’aveva vista poche volte, arrancava tra la neve di quella fredda regione d’alta montagna, continuando a cercare l’amico smarrito.
O meglio, fuggito.
“Potevi anche non trattarlo così male!” non sapendo con chi prendersela, si rivolse nuovamente al suo compagno di viaggio, i cui rossi capelli erano coperti dai primi fiocchi di neve che scendevano dal cielo. Tremava dal freddo, eppure l’orgoglio gli impediva di proporre una qualsiasi sosta: mai e poi mai avrebbe ceduto alla dura tundra prima di una donna, mezzo demone o meno che fosse!
“Scusa se non gradisco dormire abbracciato a un maschio!” ribatté con acidità, mentre per un pelo evitava di inciampare su un sasso appena coperto dalla bianca coltre. Era nato in una regione calda, lui, e più arrancava in quelle particolari condizioni climatiche, più comprendeva di non esservi adatto; ma Totosai abitava da qualche parte, su di una montagna di quella grande catena rocciosa, e quindi quella gita era inevitabile, anche se non sapevano esattamente in quale montagna cercarlo; ma Kisala affermava che, una volta giunti, riconoscerla sarebbe stato facilissimo: l’aura velenosa avrebbe quasi ammazzato Makau, l’essere umano. Ma che bello.
“Che ti costava? Invece no, lo hai dovuto rifiutare, e adesso eccoci qui come cretini a cercarlo!” Lei proseguì imperterrita. Accidenti, era già duro tirarsi dietro un demone gatto, figuriamoci uno che di punto in bianco partiva in quarta e non tornava per tutta la notte.
“Non è scappato perché l’ho offeso, ma perché voleva qualcuno da abbracciare! Potevi offrirti volontaria, no?” storse le labbra, cercandola con gli occhi color smeraldo. Ma, come al solito, lei aveva già la risposta pronta.
“Ehi, io gli ho offerto quel cadavere d’orso: o questa minestra, o giù dalla finestra.”
Makau strizzò gli occhi per evitare la macabra immagine di Himoro che affettuosamente si strizzava ad un orso morto, considerando che, anche in uno dei suoi momenti di schizofrenia totale, il demone era stato abbastanza lucido da rifiutare quell’offerta. Ma poi era fuggito di corsa, diretto chissà dove, in cerca di qualcuno cui donare tutto il suo amore.
“Quel folle è la prova vivente che le carenze d’affetto FANNO MALE…” borbottò, tremando sempre di più per il freddo. Accidenti, ma proprio adesso che loro si erano decisi ad abbandonare quella bella grotta con tanto di fuoco scoppiettante doveva mettersi a nevicare?
“Tieni” una pelle di cervo gli arrivò in faccia. “Ti sento rabbrividire da qui.”
Ah. Aveva dimenticato la finezza dell’udito di lei; sospirando, si fasciò in quel caldo rifugio.
Da quando si erano avventurati in alta montagna, percorrendo un’ideale percorso lungo lo spartiacque di quei giganti sassosi, non aveva fatto altro che soffrire il freddo, tremare per il freddo, rabbrividire per il freddo. Senza però mai lamentarsi per il freddo, dato che gli altri due sembravano non avvertirlo. Ma in fondo, sapeva di giocare una partita con sé stesso già persa in partenza: era completamente inutile tentare di fare l’orgoglioso, quando si viaggiava con una ragazzina in grado di sradicare un albero con un colpo di gomito.
“Eccolo! Guarda, eccolo là!” Per fortuna, senza saperlo lei lo aveva strappato alle sue dolorose riflessioni, tirandolo per una mano e indicandogli una figura lontana, strettamente allacciata ad una seconda, più bassa, priva di sensi.
“Speriamo che non abbia traumatizzato nessuno…” si mise a correre anche lui, pur apparendo patetico alle calcagna di quella creatura così agile, che in quattro balzi aveva raggiunto il terzo della loro compagnia… e in tre ne era fuggita, più in fretta di prima, invocando il nome di Makau.
“Cosa succede?” Lei gli piombò quasi in braccio, e se il caro Sesshomaro fosse stato nei paraggi Makau non avrebbe avuto il tempo di un secondo respiro; ma evidentemente, da quando gli erano sfuggiti quella notte nella foresta, egli non era più stato a portata di spada, così che lui poté godersi un altro giorno di vita.
“Himoro… la ragazza! Sangue!” La spiegazione fu piuttosto confusa, ma l’ultima parola gli aveva suggerito che era bene correre dal demone gatto, e in il più in fretta possibile… forse era stato ferito?
Ma no. Come ebbe modo di constatare una volta arrivato; non era Himoro ad essere ferito. Anzi.
Tra le lunghe e muscolose braccia reggeva una fanciulla di sedici anni circa, ricoperta di sangue; morta. La reggeva con quel suo sguardo di totale assenza, quello che ormai avevano imparato a distinguere come lo ‘sguardo delle sue crisi’… era una visione raccapricciante, una specie di riproduzione di un macabro quadro.
Questa volta, la perdita di controllo del loro compagno non si era risolta in un semplice abbraccio…
“Hi… Himoro?” azzardò Kisala, avvicinandosi alla coppia con attenzione. Poggiava lentamente i bei piedi nella neve, uno davanti all’altro, pronta a scattare ad ogni segnale di pericolo.
Eppure non accadde nulla; allungò una mano, ben attenta a non sfiorare neppure una traccia di sangue. Lo scrollò con delicatezza, sino a che dai i suoi occhi non s’intuì che la coscienza stava lentamente tornando indietro.
Disorientato, quasi lasciò cadere il cadavere, mentre pian piano riacquistava il controllo di sé. Fissò con genuina sorpresa sia lei che Makau; infine, incredulo, abbassò lo sguardo su ciò che reggeva.
“Oh, mio…!”
“Va tutto bene, Himoro. Posala.”
“Io…” non poté fare altro che obbedire, lasciando andare quel corpo, e fissandosi incredulo le mani. “Io…”
“Himoro…” Makau non seppe bene se correre a consolarlo o procurarsi qualche arma a scopo difensivo; l’espressione sconvolta dell’amico gli suggerì un immediato e profondo travaglio interiore, che non poté fare a meno di scatenare nell’umano una profonda angoscia. Era la prima volta che il demone mieteva una vita, e certo questo doveva averlo sconvolto, forse facendogli capire che l’omicidio non è poi quella gran cosa.
“Io…” Di nuovo studiò il cadavere, studiò il sangue. “Io… ho ucciso… EVVIVA!”
“Ma che evviva e evviva, idiota!” proruppe Makau, non potendo evitare di mollargli un sonoro scappellotto. “Guarda cos’hai fatto!”
“Guardo, guardo!” E in effetti guardava, si gustava quella scena di morte con un’avidità che colpì l’essere umano; Kisala, invece, senza badare a quelle inutili discussioni, si era chinata per esaminare meglio la povera ragazza, il cui sguardo fisso ancora rifletteva il sentimento di pura paura con cui era morta, molte ore prima.
“Non essere felice!”
“Ho ucciso! Ho ucciso!”
“Razza di cretino…!”
“Non è stato lui.”
Si fermarono, entrambi, Himoro a metà dei festeggiamenti e Makau a un terzo della ramanzina. Si fermarono e, come statue dai movimenti programmati, si voltarono verso di lei.
“Non è stato lui.” spiegò semplicemente. “Questi non sono i segni di morsi o graffi di un demone gatto. Non so chi sia il responsabile, ma non tu.”
“Questo significa…” cominciò Himoru, ma fu Makau a terminare:
“Questo significa che c’è una sanguinaria creatura che si aggira per la montagna, mietendo innocenti vittime…”
“Ma no, questo significa che sono ancora un inutile codardo!” cadde in ginocchio, più disperato che mai.
“Su dai, non ti disperare…” Kisala perse improvvisamente interesse per il cadavere, dedicandosi a Himoro, il quale non ebbe pudore nel farsi consolare.
“Che ho fatto, che ho fatto di male per meritarmi due come voi?” Si sedette a terra, sconsolato, e perciò fu il primo ad intravedere l’ombra che si allungava su di loro; sorpreso, si rialzò, mentre a fatica distingueva una minuta figura in controluce.
“Che cosa fate con quella povera morta?” Il tono era imperioso.

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Capitolo 16
*** Talana ***


CAPITOLO SEDICESIMO

“Allora? Che cosa state facendo?” Non riuscivano a vedere altro che quella sagoma femminile; i particolari erano celati dai prepotenti riflessi di luce: il sole a quell’altitudine forse non scaldava molto, ma illuminava con fierezza. Infine, Persona Misteriosa si decise a scendere verso i tre, privandosi dell’alone luminoso che aveva celato i particolari della propria figura, e fissandoli con severi e intelligenti occhi verdi.
Era bassa, dalle forme morbide. I capelli erano raccolti in una coda scomposta, e vestiva di un abito nero sormontato da un grembiule in origine presumibilmente bianco, ma ora macchiato di olio e grasso. Uno o due appuntiti attrezzi di scrittura erano in bilico dietro l’orecchio; avrà avuto una ventina d’anni, più o meno.
“Noi… beh, noi l’abbiamo trovato e…” Kisala prese Himoro e lo pose dietro di loro, tentando inutilmente di celare il sangue che macchiava gli abiti del demone gatto: ci mancava solo di essere scambiati per assassini, come se non fossero già stati perseguitati da un numero sufficiente di problemi.
Makau tentò un sorriso isterico e ben poco rassicurante, che la nuova arrivata non considerò, mentre li oltrepassava e si chinava sulla fanciulla deceduta. Senza il minimo timore o soggezione per quel macabro spettacolo, pose una mano sul collo del cadavere, accertandosi la cessazione di ogni attività vitale.
Era proprio una fanciulla strana; anche perché non era un essere umano. Tutti e tre, chi grazie ai sensi, chi grazie ai poteri, avevano già intuito la sua vera natura: quella bassa e paffuta donna era in realtà un potente demone! Sotto quelle carni forse invitanti per un uomo, si celava un oscuro potere, al momento sopito o semplicemente trattenuto.
“Sei… stata tu a fare questo?” Azzardò Makau, mentre una mano correva verso il ciondolo; pratica inutile, dato che l’oggetto risultava freddo come il marmo, e dunque non c’era da aspettarsi pericolo alcuno. Per scaramanzia, strinse la collana alla quale il medaglione era appeso, in attesa di non chissà cosa.
“No, certo che no.” Si rialzò, pulendosi – o forse sporcandosi ulteriormente – le mani nel grembiule; quindi, studiò uno ad uno quegli stranieri, soffermandosi qualche istante di più su Kisala. “Sono un demone, sì, ma queste pratiche mi sono estranee.”
Himoro sobbalzò, sorpreso, mentre lo sguardo di lei passava oltre lo scudo dei suoi amici, serpeggiando sospettoso sulle sue abbondanti macchie di sangue.
“Anche a me non piace uccidere.” Si affrettò a precisare, omettendo un sacco di particolari circa il perché e il per come non amasse mietere vite. “Non temere, io so chi è il colpevole.” Lo rassicurò, rialzandosi in piedi; era di poco più bassa di lui, ma il suo sguardo sapeva essere talmente attento ed acuto da indurre chiunque in soggezione.
“Scusa… ma chi sei?” Kisala fece la domanda del secolo con circospezione.
“Mi chiamo Talana.” Solo il nome fornito come presentazione, e lei che di nuovo esaminava il corpo di quella fanciulla e la neve attorno sporcata della sua morte. Proprio una tipa strana, ma apparentemente non pericolosa. “HOJO!” Si era voltata, esplodendo in un possente richiamo che attraversò monti e valli. Qualche istante dopo, una strana cosa, argentata e luccicante, spuntò da un crinale, correndo furiosamente verso di loro.
La spada di Kisala era già nell’aria, prima che riuscisse a distinguere chiaramente cosa diamine quella demone travestita da donnetta aveva invocato. Una creatura oscura, senza alcun dubbio, un piccolo e patetico servitore cui avrebbe chiesto di liberarla di loro, forse definitivamente… fu con non poca sorpresa che fissò quella creatura gioiosa e saltellante, una specie di polipo… interamente di metallo!
“E quello cosa…?” Makau mollò la presa sul medaglione, perdendosi nell’ammirare la creatura: era di metallo, sì, e apparentemente privo di un’essenza spirituale. Insomma, legalmente non era dotato di vita, ma ufficiosamente si muoveva, spostandosi allegramente sugli otto tentacoli, forniti di elaborate giunture che permettevano ogni torsione.
“Prendila.” Il polpetto eseguì senza commentare il secco ordine: si avvicinò alla deceduta, disponendosi all’utilizzo dei tentacoli, i quali dimostrarono di sapersi allungare o ritrarre a piacimento, fornendo una presa sicura. La sollevò, e si voltò soddisfatto verso la padrona, una muta domanda negli occhi metallici che ebbe subito risposta: “Dobbiamo portarla al laboratorio, per l’autopsia.”
Autopsia? Era un vocabolo nuovo per Kisala, eppure chissà perché le fece correre un brivido lungo la spina dorsale; non sapeva bene se riporre la spada o meno, e fu un guaio che non avesse ancora deciso prima che ella si girasse, notandola e afferrandone la lama con vivo interesse.
“Uhm… non è ben equilibrata.” Ammise, strappandogliela del tutto di mano ed esaminandola meglio. Era la prima creatura al mondo che riusciva a privare la mezzo demone della sua arma, e fece forse finta di non notare le scintille negli occhi ambrati di lei. “Anche se non è del tutto da buttare, come lavoro. Ma sapevo che saresti venuta qui per cercarne una migliore, Kisala.”
Il tempo e il respiro si fermarono, mentre tre facce la fissavano, stupiti. Insomma, viaggiare per il mondo, trovare un cadavere e poi un demone che conosce con esattezza il proprio nome non è un’esperienza rassicurante per nessuno. Figuriamoci poi per lei, braccata dagli inseguimenti paterni.
“Siamo… parenti?” Azzardò infine, cercando senza successo un qualche segno di somiglianza nei tratti di lei. Non aveva una coda, o qualche altro segno canino, e suo padre permetteva di rientrare nell’insieme ‘famiglia’ solo i demoni come loro; tutti gli altri, erano pappetta senza valore.
“Oh, no, affatto!” Appunto.
“E allora, come conosci il mio…?”
“Ogni cosa a tempo debito. Se volete seguirmi…” Voltò le spalle ai tre, avviandosi dietro al polpo che già era goffamente partito, trasportando il corpo ed evitando che questi toccasse terra.
Kisala, Makau e Himoro si fissarono, perplessi. Infine, i primi due fecero spallucce, incamminandosi dietro la donna, e presto furono seguiti timidamente da un poco tranquillo Himoro.
“No, lui no.” Improvvisamente lei si volse, agitando l’indice verso Makau. “L’aria del mio monte avvelena gli esseri umani, e dubito voglia morire così giovane.”
“L’aria del…? Ma allora tu sei Totosai?” Esplose Kisala, sorridendo. Forse adesso tutto cominciava ad acquistare un senso; certo, a parte il trascurabilissimo dettaglio del sesso: Totosai non avrebbe dovuto essere un maschio?
“Te l’ho detto, io mi chiamo Talana.” Rispose secca, stufa di doverlo ripetere una seconda volta, e del tutto indifferente di aver distrutto la flebile speranza della fanciulla. “Allora, venite o no?”
Tra la mezzo demone e Makau vi fu un discorso silenzioso, basato su sguardi e complicità; infine, ottenuto muto consenso e fiducia, lei riprese il cammino, subito seguita da Himoro.
“Ascolta.” Makau afferrò il demone gatto per un braccio, trattenendolo e parlandogli a bassa voce, così che le due donne non potessero udirlo. “Non so quanto possiamo fidarci di quella: è un demone che sta trafugando un cadavere...”
“E sembra avere controllo su quel pupazzo di metallo.” Himoro annuì, deglutendo a fatica; in effetti, la situazione non stava prendendo una delle pieghe migliori, ed erano anche costretti a proseguire senza l’appoggio dell’amico!
“Se Kisala è nei guai e tu fai tanto di fuggire…” Il sussurro di Makau si tramutò in un sibilo minaccioso. “Beh ricordati che qui ti aspetto io. Con questo.” Estrasse brevemente il ciondolo e, avuta conferma della comprensione terrorizzata del demone gatto, lo spedì con l’amica, già sparita dietro una parete rocciosa.
Makau rimase solo, in mezzo al vento e ai fiocchi di ghiaccio che danzavano cadendo dal cielo; solo, vicino a quella neve sporca di rosso. Decise di tornare alla caverna, ed attendere.

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Capitolo 17
*** PUBBLICITA'! ***


INTERVALLO!

Kisala: Intervallo? E che vuol dire?
Beh, è un’interruzione della storia… una pausa sul più bello, con utili consigli per gli acquisti!
Kisala: E perché mai tale sadismo?
Ma che ne so, e poi gli sponsor pagano bene! Quindi, ora zitta e mosca! Forza, cominciamo con il primo spot!

PRIO SPOT:
Himoro: Ehiii? C’è nessunooo? Mi sento tanto, tanto, tanto solo… (Vaga nel nulla) C’è nessunooo?
Voce Sexy Da Spot: Acqua Demone Gatto. Ricca di piacere, povera di neuroni!
Himoro: Neuroche? AAARGH, non rovesciate la bottiglia! (Viene ignobilmente versato in un calice, con la particella di sodio che se lo tacchina)

SECONDO SPOT:
Makau: Ma che morbido questo maglioncino! E che colori! E’ nuovo?
Sesshomaru: (Guardandolo male mentre costui gli carezza gli abiti) No, è lavato con sangue umano.
Makau: Ah. (Toglie di scatto la mano) Passaparola, eh? ^^’

TERZO SPOT:
Himoro: Aiuto! Aiuto, mi hanno imprigionato! (Batte furiosamente sulle mura in cemento armato)
Makau: (Da fuori) Ma che fai, lì dentro? Non vedo porte, come ci sei finito?
Himoro: Ma non lo so, mi sono addormentato, e quando mi son svegliato ero imprigionato…
Kisala: Ma che stregoneria potrà mai essere?
Voce Sexy Da Spot: Banca San Gatto: costruita intorno a te!
Makau: Ah-aaah. Molto spiritosi -.-
Kisala: Non l’ho capita.
Himoro: Qualcuno mi libera?

QUARTO SPOT:
Makau: (Parla al cellulare anche se la sua interlocutrice è dietro di lui) Kisala, vuoi sposarmi?
Sesshomaru: (Anche lui via telefono) Muori, bastardo (Lo insegue armato di spada.)
Kisala: Ma… ehm, non dovrei essere io a scappare e Diego a inseguirmi?
Sesshomaru: (Mancando per un soffio la gola di Makau) Diego? Chi è Diego?
Himoro: Guarda Kisala, ho trovato quattro gattini! Quattro quattro quattro quattro!
Kisala: Sei ubriaco? Però, bei grassocci, potrei farmeli arrosto…
Himoro: (Glieli leva da davanti) Tu sei quattro volte matta!
Sesshomaru: AH! Quela maledetto mi è scappato! (Non vede Makau, nascosto in immersione nella Fontana di Trevi, che intanto ruba le monete dei turisti)
Himoro: OOoh! Quattro paperelle! (Indica la fontana dove paperelle antropofaghe già hanno puntato l’improvvisato sirenetto)
(Intanto alle spalle passa Sesshomaru che insegue come un pazzo Diego)
Kisala: Adesso basta idiozie, io prego!
Va bene, l’intervallo è finito! Ora la storia può riprendere, più audace, folle, insensata di prima!

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Capitolo 18
*** La Scienziata ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO

Soffriva il freddo e il sonno; il fuoco innanzi a lui illuminava a malapena le budella della gelida grotta dove aveva trovato rifugio, sfuggendo alla tormenta che imperversava all’esterno.
Sospirò; creando una piccola ma efficace barriera, che lo celasse ad eventuali predatori: adesso era invisibile, sia alla vista che all’olfatto. Sapeva di essere al sicuro, e che avrebbe dovuto concedersi una piccola e ristoratrice dormita, ma il corpo non ne voleva sapere di distendersi, la mente che continuava a correre al pensiero della sorte dei due amici.
Non sapeva, a causa del suo stesso scudo, che lo proteggeva, sì, ma bloccava l’innata sensibilità a presenze demoniache, che fuori, tra la neve, il vento e il gelo, una figura vagava in tutta la sua furia, gli argentei capelli scompigliati dalla tempesta…

“Sei sicura di… di non aver sbagliato strada?” Azzardò Kisala, dei tre forse l’unica più sensibile al gelo. Aguzzò la vista, convinta che fosse ingannata dalla vorticosa danza dei fiocchi di neve; ma invece non era così: si trovavano proprio di fronte ad una grande parete rocciosa, davanti alla quale Talana si era fermata.
Invece che rispondere, ella si mosse verso la roccia; vi si appoggiò e sussurrò qualcosa che nessuno dei due riuscì ad udire chiaramente.
“Perfetto: questa parla con la montagna.” Concluse Himoro, appena due passi dietro di lei, scacciando con un calcio il polipo meccanico e il suo sanguinoso carico. “Ma dobbiamo incontrare solo dei pazzi?”
Parla lo schizofrenico, fu l’immediato pensiero che la giovane non tradusse in parole; ma ciò non tanto per gentilezza, quanto per la sorpresa che la stava cogliendo, lentamente ma inesorabilmente: la sorpresa di vedere una parte della montagna aprirsi, sollevarsi verso l’alto, creando una grande apertura in cui Talana lestamente s’insinuò.
La voce di Himoro sembrava ostinatamente bloccata nella gola, così che poté indicare il fenomeno solo con l’indice puntato e la mascella apparentemente slogata; in effetti, demoni o meno, questa non era una cosa che si vedeva tutti i giorni: quella non doveva essere un tipo da poco, anzi. Per fare una cosa del genere, bisognava disporre di un enorme potere, e quella lo usava solo per la porta di casa!
Non era affatto da sottovalutare; e ora loro si stavano addentrando nella loro tanta, seguendo la creaturina metallica e il cadavere.
“Andiamo via.” Aveva finalmente recuperato la voce, il demone gatto, usandola immediatamente per proporre ciò che più gli aggradava: una fuga.
“Neanche per sogno: voglio arrivare sino in fondo.” Kisala deglutì silenziosamente, afferrando il disperato demone e trascinandolo con lei all’interno del monte. Dietro di loro, la parete iniziò a scendere, sigillando alla perfezione l’ingresso.

Pensò che non avrebbe dormito: tanto valeva far cadere quella barriera.
Era impossibile anche da pensare, un pisolino, sino a che non avrebbe di nuovo avuto Kisala e Himoro al suo fianco. Era incredibile come si fosse abituato alla loro confusionaria, folle, ma affettuosa presenza, ed ora, pur avendo piena fiducia nella loro capacità di far fronte a tutto – o meglio, in Kisala per la sua rabbiosa combattività e in Himoro per il suo primato nella fuga –, non riusciva a tranquillizzarsi, neanche approfittando di quel tempo morto per riprendere energie.
Ma si stava perdendo i riflessioni, come gli accadeva spesso, e non aveva ancora adempiuto al suo proposito di eliminare l’inutile barriera, posta ipotizzando più che altro eventuali attacchi nel sonno da parte di animale selvatici.
Fu questo ritardo nell’abbattimento dello scudo a salvarlo.
Questo, e il suo occhio, che, prima di buttare giù la barriera, cadde verso la piccola e strozzata apertura della grotta: occhio che intravide una coda bianca come la neve che le cadeva addosso, occhio che vide due spade pendenti al fianco di un elegante abito. Insomma, il Principe dei Demoni, che passava esattamente a tre metri da lui, non intravedendolo e, grazie alla barriera, non annusandolo.
Makau trattenne esclamazioni che in ogni caso sarebbero state censurate. Si strizzò verso il fondo della grotta; invece che distruggerla, potenziò la magica cupola protettiva.

Kisala credeva che nella vita non avrebbe mai visto altro che la sorprendesse più della parete di montagna mobile, ma fu immediatamente costretta a ricredersi, non appena varcò la soglia del rifugio di Tanala.
Là dentro era il caos più completo. Da una parte, una specie di falegnameria, un esplosione di legna, seghe, chiodi; proprio lì accanto, ammassati disordinatamente, ferri, di ogni lega e dimensione. Fogli con disegni, appunti e progetti sembravano appositamente seminati ovunque, dai vari tavoli, al pavimento, persino al lampadario, costituito da un fuoco magico, che illuminava, scaldava, ma non bruciava.
E il movimento. Ogni cosa lì sembrava muoversi, fornita di vita propria. Kisala e Himoro si accorsero che quel polipo, che ora stava poggiando il cadavere su un tavolo metallico in fondo all’enorme salone, non era altro che un assaggio di ciò che poteva Tanala: ovunque, vi erano creature in metallo, o in legno, o in legno e metallo, che se ne andavano per i propri affari, movimenti meccanici limitati dalle giunture di cui erano dotate. Senza saperlo, stavano ammirando i primi robot della storia.
“Scusate il disordine.” Minimizzò lei, scacciando da un divano quello che sembrava un orso di legno in scala 1:10, e invitandoli a sedersi.
Evitando lo sguardo di sfida e rabbia dell’orso, essi obbedirono.
“Ma tutto questo, cosa…? Chi sei esattamente tu?” Kisala accettò di buon grado un piccolo e grazioso uccellino di metallo corso a posarsi sul suo grembo. Himoro le diede di gomito, indicandole quella che forse era una delle cose più interessanti del luogo: enormi ingranaggi, posti proprio dietro la porta di roccia che si era spostata, permettendo il loro ingresso: dunque non era opera di magia, ma solo d’ingegno.
“Mi chiamo Tanala. Credo di avervelo già detto.” Forse voleva offrire loro qualcosa, dato che si era diretta in una caotica cucina, aprendo lo sportello di una mensola; e doveva esserci un bel po’ di roba stipata lì dentro, dato che le cascò tutto in testa. “Accidenti, ma dove ho messo il formaggio?”
“Non… non disturbarti.” Himoro non aveva la minima intenzione di assaggiare una qualsiasi cosa commestibile offertagli da una creatura tanto stramba.
“Ah! Eccolo! Ma che ci faceva sotto al lavandino? Bah.” Tornò da loro, con un piattino su cui faceva bella (putrescente) mostra di sé una sostanza a metà tra il bianchiccio, il gialliccio e il verdiccio. Himoro trattenne un conato, ma Kisala, e accidenti al suo stomaco sempre vuoto, accettò di buon grado.

Sesshomaru sapeva che qualcosa si celava ai suoi sensi superiori, era una sensazione pastosa come la melassa, che eppure non riusciva a cogliere appieno, individuando esattamente chi, che cosa, ma soprattutto da dove sfuggiva alla sua ricerca.
Alzò il naso, in piedi su quella rupe, inspirando appieno l’aria della bufera di neve. sì era lì vicino! Ma dove?
Sotto di lui, nella caverna sotto quella rupe, Makau pregava gli dei che non aveva.

“Totosai, mio padre, è morto cinque anni fa.” Rivelò Tanala, seduta su una poltrona (poltrona che pigolava e muoveva a piacimento i braccioli), davanti a loro. “Da allora io occupo quella che fu la sua montagna, anche se, come vedete, non mi dedico esattamente alle spade.”
Kisala non riusciva a prestare il massimo dell’attenzione alle parole della demone, distratta continuamente da una nuova meraviglia della magia, o della meccanica, che passava davanti, sopra o sotto di lei.
“Come riesci a far funzionare tutto questo?” Anche i timori di Himoro si erano momentaneamente sopiti, rimpiazzati da curiosità.
“Meccanica. Scienza. E dove queste due arti non mi bastano, a volte aggiungo magia.”
“La meccanica è una stupida invenzione umana.”
Tanala rise e il demone gatto avvertì calore sul volto, segno che l’ilarità di lei aveva fatto colorare di rosso il suo pallido viso. Detestava arrossire.
“Non è poi così stupida, se vedi cosa riesco a fare: posso spostare un intera montagna, usando la metà dei poteri che sarebbero realmente necessari.” La poltrona pigolò ancora, e lei si applicò nel farle grattin grattin sullo schienale, placandola. “Sono una scienziata, sì, una demone scienziata. E gli stolti che mi disprezzano e sottovalutano di solito sono i primi a lasciarci le penne!”
Himoro si guardò bene dal ribattere.
“Perché hai portato qui quel cadavere?” Kisala indicò il tavolo metallico dove la morta era stata deposta, e il polipo ancora lì accanto.
“Lo studio.”
“Prego?”
“Lo studio: lo apro, e vedo che c’è dentro. L’anatomia è una cosa davvero affascinante!”
“Ne sono certa.” La mezzo demone avvertì come una sensazione nello stomaco, precisamente voglia di vomitare, ma pensò di tenersela per sé.
“E’ una vera fortuna che in questi ultimi mesi ci sia uno spettro assassino” parlava di morte con il tono di una dama che prendeva il the; anzi, con il tono di uno sperimentatore che studia i risultati dei suoi sforzi. “mi ha procurato un sacco di soggetti dove approfondire le mie ricerche, senza più dover profanare tombe fresche!”
“Una fortuna sfacciata.” Convenne Himoro, iniziando a perlustrare la casa con lo sguardo, in cerca di eventuali vie di fuga laterali.
“Bene, adesso passiamo a noi: tu sei la figlia del Principe dei Demoni.” Non era una domanda, e Kisala si limitò a sorridere. “Mio padre mi ha parlato a lungo del Signor Sesshomru, così come del Signor Inuyasha, tenendomi aggiornata circa le nuove nascite in casa di tuo padre. Appena ti ho visto, ho capito che eri la sua primogenita!”
“Sapevi che sarei venuta a cercare Totosai?”
“Oh, sì. Mio padre ti conobbe una sola volta, quando eri forse troppo piccola per ricordarlo, ma rimase favorevolmente impressionato.” Rise, volgendo lo sguardo ad un ritratto del genitore defunto, appeso nella parete sopra il divano. “Continuava a ripetere che prima o poi avresti strappato una zanna a qualcuno, correndo qui per farti fare una spada degna di te.”

Adesso Makau era veramente confuso. Sesshomaru, dopo essere stato un po’ troppo a lungo in piedi sopra il suo rifugio, era partito di corsa, attirato da chissà cosa.
Dopo un po’ era ripassato davanti alla sua tana, ferito e sanguinante, molto probabilmente diretto a casa per curarsi le evidenti e profonde ferite.
Chissà chi aveva fatto passare un brutto quarto d’ora al Principe dei Demoni?
Purtroppo Makau non sapeva che, limitato com’era nel suo scudo protettivo, si era perso un match davvero interessante, che aveva coinvolto Sesshomaru e Hokui, ovvero il misterioso demone che da molti mesi uccideva senza pietà su quei monti, procurando inconsapevolmente soggetti di studio a Talana.
Il Principe dei Demoni, avvertendo solo la presenza di quella creatura, sfidato dalla furia cieca dello spettro, aveva combattuto, sfogando la propria rabbia, e vinto, ma non troppo facilmente: ritirarsi brevemente per curarsi sembrava l’unica soluzione.
Makau fece spallucce: l’importante era che si togliesse dai piedi.

“Quindi tu… non puoi farmi una spada?” Kisala ritrasse delusa la mano, con la quale aveva porto a Talana la zanna così faticosamente rubata al padre.
“Una nuova, no. Per la somma vergogna di mio padre, diventare armaiolo non è mai stato tra i miei interessi.” Scosse il capo. “Ma aggiungere quella zanna a un’altra spada, fortificandola… quello sì, potrei farlo!”

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Capitolo 19
*** Proposta di Viaggio ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

“Quando lo saprà, tenterà d ucciderci.” Le previsioni di Kisala erano quanto mai vicine alla realtà e Himoro, con suo sommo timore, lo sapeva. “Tenterà di ucciderci, e fuggirà in preda al panico.”
Talana, camminando accanto a loro nella neve fresca portata dalla bufera appena passata, non si pronunciò: sapeva anche lei che stavano per chiedere ad un umano un favore che andava oltre sé stesso, ma la scienza certo non poteva farsi fermare da simili sciocchezze!
Gli occhi di Kisala erano vuoti; le iridi color ambra forse un po’ più dilatate del necessario, ma nessuno poteva intuire il dilemma etico dentro di lei.

“Beh, allora rinforzala!” Kisala, circa un’ora prima, quando ancora erano nel rifugio a conversare, le aveva allungato la sua fedele spada, ma Talana aveva dovuto reclinare l’offerta.
“Non è abbastanza forte” aveva spiegato, “la zanna di tuo padre necessita di una base molto più potente.”
“In altre parole?” L’attenzione di Himoro era continuamente richiamata da un gatto di metallo, ma porgeva un orecchio alla conversazione tra le due.
“In altre parole, o aggrediamo uno spettro forte come tuo padre – o tuo padre stesso, se ti aggrada –, privandolo della sua arma…”
“Fuori questione.” Kisala aveva scosso il capo: pur essendo in tre, pur avendo l’appoggio del Medaglione del Sole, vincere una simile sfida sarebbe significato sacrificare Makau. Come minimo. “Piano alternativo?”
“Beh…” E a quel punto Talana si era chinata sulla nuova conoscenza, così simile a una comare impegnata in un pettegolezzo. “C’è un’altra spada… un’arma che usò un mezzo demone… sarebbe molto adatta…”
“Ma?” Himoro l’aveva fissata di sottecchi, provocandole un sorriso beffardo.
“Chi ti dice che ci sia un ma?”
“Andiamo! Tutte le volte che si usa quel tono c’è un ma! ‘Ma rischierai la vita’, ‘Ma dovrai sacrificare un tuo amico’, e simili…” aveva taciuto un attimo, riflessivo. “Uhm, Kisala… tu non mi sacrificheresti mai, vero?”
“Oh, no Himoro. Assolutamente no, a meno che non sia strettamente necessario!” Quindi, lieta di averlo rassicurato, si era nuovamente rivolta a Talana: “Insomma, dov’è questa spada? Cosa devo fare per averla?”
“Io parlo di Tessaiga, la spada di tuo zio Inuyasha.” Talana aveva taciuto un secondo, giusto il tempo di sorridere dell’espressione sorpresa di Kisala: a Tessaiga, proprio non aveva pensato. “Non so se conosci quel casotto che combinarono con la Shikon No Tama, ma non è importante: ciò che conta è che alla fine della storia, proprietario e spada partirono.”
“Diretti dove?”
“Nel futuro.”


“Sarà tornato alla caverna?” Ipotizzò Kisala. La bufera aveva cancellato qualsiasi traccia, e per fortuna che ella riusciva a ricordare l’esatta ubicazione di quel rifugio lasciato in fretta e furia qualche ora prima, dopo la fuga di Himoro.
“Siamo sicuri di volerlo fare?” Il demone gatto si era rivolto esclusivamente alla compagna di viaggio. “Rischiamo di ucciderlo, lo sai?”
“Se i miei calcoli sono esatti, non dovrebbe morire” nonostante lui continuasse ad escluderla, Talana non poteva fare a meno di intervenire: quell’esperimento era terribilmente importante, anche per lei. Sarebbe stato la conferma dei suoi molti anni di ricerca e sperimentazione! “forse stare in coma per un mese, ma morire no.”
“Riesci sempre ad essere così ottimista, tu, o ti ci stai mettendo d’impegno apposta per noi?”

“Nel futuro!” Himoro era scoppiato a ridere, ma poi, vedendo la faccia seria di Talana, aveva immediatamente smesso. “Scusa, ma come pensi di arrivarci?”
Talana non aveva risposto subito; con uno sguardo furbetto, si era alzata, dirigendosi verso un minuscolo aggeggio poggiato sul tavolo. Lo aveva alzato, mostrandolo e divertendosi delle loro perplessità.
“Macchina del tempo.” Aveva spiegato, e di nuovo Himoro si era messo a ridere: era stato allora che il vendicativo polipo metallico lo aveva attaccato senza pietà.
“Macchina del tempo? E funziona?” Kisala, speranzosa, aveva allungato un braccio, prendendo lo stano oggetto, senza tener conto delle urla provenienti dal demone gatto in lotta: era in legno, con strane giunzioni in vetro e ceramica; beh che funzionasse o meno, era molto bello, curato nei dettagli.
“Non lo so.” Aveva ammesso Talana, sedendosi di nuovo accanto a lei. “Serve un grande forza… forse tutti e tre i nostri poteri messi assieme, e… serve un catalizzatore.”
“Un cosa?”
“Un catalizzatore. Un talismano potente, che possa racchiudere e convolare le energie nel fulcro della macchina.”
“Ah, ecco.” In realtà, aveva semplicemente finto di aver capito, per non offenderla. “E dove lo prendiamo, un catamizzatore?”
“Catalizzatore, Kisala…”
“Fa lo stesso. Allora?”
“Finora, non ne ho ancora trovato uno abbastanza potente.” Aveva taciuto un secondo, ma alla fine si era decisa a dire tutto quel che c’era da dire. “Ehm… sbaglio, o quello che ho visto al collo del tuo amico è il Medaglione del Sole?”


“Kisala!” Makau corse fuori dalla grotta; forse il primo istinto era stato quello di abbracciarla, sentire che stesse bene, ma evidentemente riuscì a cambiare idea prima che fosse troppo tardi, fermandosi innanzi a lei, e controllandone lo stato con occhi ansiosi. “Non ci crederai, c’era tuo padre, che girava per i dintorni, e…” Ma il discorso gli morì sulle labbra.
Che strano. Lei continuava ad evitare il suo sguardo, neanche avesse la coscienza sporca.
“Stai… bene?” Azzardò, rivolgendo un’occhiata diffidente a Talana; costei lo ignorò ostinatamente.
“Anche io sto bene, grazie.” Borbottò Himoro, sedendosi su una roccia. “Sono sopravvissuto a una terribile lotta con un polpo meccanico, ma sto bene.”
“Allora? Cosa vi ha detto?” Makau non si era nemmeno degnato di ascoltarlo.
“Ecco, vedi…” Kisala non seppe proprio da che parte iniziare: cercava le parole giuste per comunicare la sua richiesta con un minimo di tatto. Doveva convincerlo, cercando di non spaventarlo, anzi rassicurandolo il più possibile. Gli prese le mani tra le sue, guardandolo finalmente nel profondo di quegli occhi color foresta. “… So che rischi un’orribile morte, ma mi presteresti il Medaglione del Sole?” Sorriso a trentadue denti.
“No!” La risposta fu del tutto imprevedibile, almeno per Kisala. Tanala e Himoro, invece, scossero il capo, depressi dalla stoltezza della mezzo demone.
“In realtà, tu non rischieresti nulla” infine, la demone scienziata si decise ad intervenire, per il buon esito della missione. “Useremo il Medaglione per concentrarvi i nostri poteri, ed attivare la Macchina del Tempo.” Gli mostrò il cubo di legno, ceramica e vetro.
“Viaggio nel tempo. Macchina nel tempo.” Ripeté Makau, fissando l’insolito oggetto. “Ha bevuto del sakè, questa?”
“No Makau, dice la verità: dobbiamo andare nel futuro, per recuperare la spada di mio zio!”
“E che ci fa tuo zio nel futuro?”
“Non lo so!”
“Ve lo siete bevuti tutti, del sakè? Himoro almeno tu sei sobrio?”
“Siamo sobri tutti, purtroppo.” Himoro sollevò il capo, fissando l’amico: forse era l’unico lì a capire per davvero l’enormità della richiesta. Se il Medaglione si fosse ribellato al loro sfruttamento, il primo a rimetterci sarebbe stato colui che lo portava al collo.
“Allora, ci stai?” Domandò Kisala, che ancora gli stringeva le dita.
“Certo che no!”

E infatti, una mezz’oretta dopo, erano tutti e quattro riuniti attorno ad un masso, pronti alla nuova impresa. La Macchina del Tempo era poggiata sulla roccia, e Makau teneva il medaglione esattamente sopra di essa, circondato dalle lunghe dita demoniache dei compagni.
“Se ci lascio la pelle, tu…”
“Funzionerà come un teletrasporto.” Annunciò Talana, interrompendolo. “Solo che, invece che attraverso lo spazio, ci muoveremo attraverso il tempo. Siete pronti?”
Non lo erano. Ma lo fecero.

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Capitolo 20
*** Il Futuro ***


CAPITOLO VENTESIMO

Anche nel folto della foresta, nel pieno della notte, il silenzio non calava mai. I gufi planavano, i topi fuggivano, i pipistrelli emettevano quel loro verso inesistente per gli esseri umani, ma appena udibile, come un sussurro, per lei.
Dunque, era abituata a dormire profondamente, anche immersa in quella orchestra naturale che mai taceva; sapeva esiliare i rumori ai confini della sua mente, così che non turbassero il sonno. Però adesso era una cosa davvero impossibile!
Kisala riaprì gli occhi di scatto. Cos’erano quel caos, quella giungla di rumori? Una battaglia, il bosco in fiamme?
Il bosco c’era, sì, ma di gambe. Gambe che passavano davanti, dietro, intorno a lei; gambe degli impiegati di prima mattina, nessuno dei quali sembrava interessato all’intontita fanciulla, apparsa dal nulla e priva di coscienza. Nessuno che si fermava, chiedendo se stesse bene.
Si alzò lentamente a sedere, trattenendo il senso di nausea che il teletrasporto normalmente portava alla sua metà umana; e questa volta era davvero un malore peggiore di quello già provato: dovevano aver fatto un bel salto. Un salto… dove? Alzò il capo, per orientarsi con il sole, e rimase ancora più sconvolta: simili a demoni infernali, enormi costruzioni si arrampicavano su, in una gara d’altitudine, in un’aperta sfida agli dèi; nascondevano il cielo, gli astri, qualsiasi cosa.
La marea di gambe in movimento proseguiva attorno a lei; i rumori erano continui, implacabili, e ferivano la sensibilità del suo udito. Per non parlare degli odori: ce n’erano di ogni tipo, ed ognuno più feroce dell’altro: buono o cattivo, erano tutti troppo abbondanti, confondendola.
Pensò seriamente di essere finita all’inferno. Faticosamente, strisciò verso l’esterno, calpestata regolarmente dai passanti; raggiunse una parete di quelle costruzioni, e vi si puntellò, alzandosi con molta cautela. Sentiva che avrebbe potuto vomitare, da un momento all’altro. E non sarebbe stata cosa appropriata.
Dunque. Gli altri dov’erano? Talana l’aveva avvertita circa le possibilità di materializzarsi in più punti diversi – “E’ già una sfida alla natura quel che facciamo”, aveva sbottato, “Non cominciamo a pretendere l’impossibile, eh?” – quindi c’era solo da stare calmi e provare a capire dove accidenti fosse finita e come raggiungere i compagni. Innanzitutto, che anno era? Fissò sbalordita le strane creature che, come un fiume, scorrevano al di là della folla in movimento, emettendo strani fumi; di certo, si erano spostati di non poco.
“Mi scusi…?” Mormorò, alzando un dito verso una gentile signora che marciava come un carro armato. Costei la squadrò, vide il tipico sguardo perso da drogata, e tirò dritto. “Ma… ehi…” Niente, era sparita.
“Senta…” Decise di ritentare con un affabile signore della terza età, ma egli le rivolse un epiteto che è meglio non riportare e la scacciò malamente. La mano di Kisala tremò, scivolando verso la spada, ma poi si fermò. No. Non era lì per difendere l’onore e combattere, ma solo per rintracciare prima di tutto i compagni, e in secondo luogo suo zio. Quell’Inuysaha che suo padre si prodigava tanto nell’insultare…
“Scusa, io…” Aveva puntato un bambino, e questa volta non se lo fece scappare, bloccandogli un braccio, gentilmente ma con forza. Ma non ebbe neppure il tempo di formulare la domanda, che un carico pesante si scaraventò sul suo capo, stordendola.
“Lascia stare mio figlio, donnaccia!” La madre fece roteare la temibile borsetta, ricordandole non si sa bene quale scuola di arti marziali, quindi, recuperato il pupo, riprese la sua strada. “Vai a lavorare, piuttosto!” Le urlò ancora, prima di sparire anch’ella.
Kisala pensò bene di rinunciare alle sue domande. Si strinse le braccia attorno al corpo, osservando con disperazione l’orrore in cui aveva deciso di calarsi. Qualcuno le sfiorò la schiena…
“Stai lontano, eh!” Urlò, con un salto decisamente degno di lei; Talana rise di gusto di quell’azione, ma fu subito circondata dalle braccia della mezzo demone: Kisala l’abbracciò con forza e terrore, finalmente non più sola in mezzo ai pazzi.
“Stai bene.” Come al solito, quelle della scienziata non erano domande, ma affermazioni. “Che ne dici? Siamo nel 2003, nella città di Tokyo!”
“Come fai a saperlo?” Kisala si staccò da lei, e riprese ad osservare tutte le stranezze di quel tempo: ora che era in compagnia, non le facevano più molta paura.
“Me l’ha detto un ragazzo.”
“Tu… sei riuscita a comunicare?”
“Si, perché?”
“Lascia perdere.” scacciò un ciuffo corvino dal volto, riportandolo in compagnia del resto della chioma. “Dobbiamo trovare gli altri. E mio zio; come facciamo?”
“Per quanto riguarda tuo zio, sfrutteremo il principio che ci ha condotte sin qui: percezione dell’aurea.” Estrasse uno strano marchingegno dalla tasca: la Macchina del Tempo. Kisala notò che le parti in ceramica e vetro erano illuminate, in un codice che Talana sola poteva interpretare. “Grazie a questo, sapremo dove dirigerci.”
“Scommetto che quella macchinetta amplia le tue percezioni.” Sorrise della genialità del demone. “Ma come fai a percepire l’aurea di mio zio? Se non sbaglio, si può fare solo con chi si conosce…”
“Ho conosciuto Inuyasha una volta, molti anni fa.” Fu la breve spiegazione, quindi Talana si mise in marcia, tuffandosi nel mare di folla con Kisala alle calcagna. Il vorticare di quell’enorme agglomerato di esseri umani le dava alla testa; le era impossibile camminare a passo rilassato, un po’ perché costretta a seguire la rapida marcia del demone, un po’ perché continuamente spintonata, da chiunque, e nessuno che sprecasse un attimo della propria esistenza per scusarsi; alquanto selvaggia, come società.
E si ritrovarono di fronte ad un brutto problema: Talana si era improvvisamente fermata a bordo del marciapiede, e fissò per la prima volta disorientata la temibile sfida che si presentava loro: la pista proseguiva oltre quel punto, in linea retta, costringendole ad attraversare quel fiume in piena di strani e rumorosi oggetti metallici semoventi, apparentemente utilizzati per il trasporto di cose o persone.
“Affascinante.” Sussurrò Talana, gli occhi curiosi che ne studiavano composizione e propulsione.
“Affascinante? Suicida, direi. Come facciamo ad arrivare di là?”
Talana si guardò attorno; non erano le uniche ferme: altre persone sostavano in quel punto, evidentemente ansiose di attraversare; eppure guardavano alto, in cerca di un qualche segnale convenzionale che desse loro il permesso di farlo. Non le ci volle molto per individuare una luce rossa dall’altra parte: era quella che attirava l’attenzione comune, e sarebbe bastato attendere che cambiasse, o che gli altri si muovessero…
Oh, no.
Fissò sbalordita Kisala che, insensibile ai suoi metodi empirici e deduttivi, sorda a ogni sacra riflessione, si era gettata in mezzo alla strada, affrontando le bestie di metallo.
Saltò a destra, scartò a manca, doppio salto mortale per evitare un mezzo a due ruote, balzò sul tetto di uno a quattro e molto grande di un leone, infine cadde nel mezzo della strada… Era spacciata.
DLING! La luce rossa passò a verde e Talana, seguendo la folla, raccolse una a dir poco scossa e traumatizzata mezzo demone, intimandole di seguirla in silenzio e non muoversi o prendere altre illogiche iniziative senza il suo permesso.
Kisala annuì, ritenendo fosse cosa buona e giusta, dunque si rimise alle sue spalle, rimettendosi in marcia.
Talana, grazie alla sua freddezza e alla sua scientificità, sapeva adattarsi più che bene a quello strano tempo, e conveniva affidarsi completamente a lei: era l’unica sua alleata. Tutti i volti erano anonimi, tutte le voci e i suoni a lei sconosciuti: era aliena in mezzo a quelle persone.
Eppure… eppure c’era una voce, una voce che conosceva molto bene. E stava cantando. A squarciagola.
“Guarda!” Talana si era fermata, e poco ci mancò che non le sbattesse contro; allungò il collo dalla pelle abbronzata, scorgendo ciò che aveva attirato l’attenzione della demone. E, stranamente per l’epoca, ciò che riusciva ad attirare l’attenzione di parecchie persone.
“Le cornacchiette gracchiano, gracchiano…”

“Ben ti sta. Ben ti sta!” Con quest’ultima esclamazione, lei fissò le bende, facendogli un po’ più di male del dovuto. Sesshomaru strinse i denti, ed evitò lo sguardo pieno di rabbia di Rin. Dopo quello scontro in alta montagna, era stato costretto a tornare, dato che, a causa del veleno del suo avversario, le ferite non ne volevano sapere di rimarginarsi. “Non puoi lasciare in pace quella benedetta ragazza? Trovati qualcosa da fare, magari alleva il tuo secondo figlio, che ne dici?”
Takurei, cinque anni e gli stessi occhi neri della madre, lo fissò, seduto su quelle accoglienti ginocchia paterne che tanto amava. Certo, stare con la mamma era bello, ma il papà… beh, il papà era speciale!
Sesshomaru gli pose una mano sul capo, quel capo con i suoi stessi capelli argentati, e rivolse un’occhiata al panorama fuori dalla finestra, pensieroso: un tempo, passava le sue giornate interamente ad istruire quel figlio. Poi aveva scoperto Kisala, la sua innata combattività, quel suo essere primogenito maschio mancato, e non aveva potuto continuare ad ignorarla.
Ma tutto ciò era avvenuto troppo tardi, quando lei era già troppo distante dal cuore del genitore; era per questo che non gradiva la sua presenza, che continuava a fuggire da lui? Forse. Che fosse a causa del fatto che voleva sterminare i suoi compagni di viaggio, non gli passò manco per la mente.
Sospirò e chiuse gli occhi, assopendosi con Takurei in braccio; le ferite pulsavano come non mai.

“… E le ranocchiette gracidano, gracidano…” Ballava davvero bene, in fondo. Aveva un gran senso del ritmo, anche se certe movenze del bacino si sarebbero potute evitare.
“Effetti collaterali del teletrasporto, suppongo.” Talana era rimasta fredda, composta, mentre Kisala non aveva potuto fare a meno di precipitarsi verso Makau, Pulcino Ballerino che rallegrava la prima mattinata di quell’affollata strada di Tokyo.
“Oh gentile Aldonza, vi unite a me?” Domandò cortesemente il ragazzo, prendendola e facendola volteggiare in quello piccolo spazio che si era ritagliato, osservato e ammirato dalla folla. Qualcuno aveva lanciato loro dei dischi rotondi, argentanti, qualcun altro degli strani foglietti di carta. Strana usanza. Forse erano considerati talismani per curare la pazzia, o forse…
“Lo spettacolo è finito.” Annunciò Talana, accostandosi a loro, e aiutandola a trascinare via l’amico; non dimenticando, però, di raccogliere ciò che era stato così generosamente donato.
“Makau allora era finito qui.” Kisala apparentemente lo teneva affettuosamente a braccetto, ma in realtà la sua era una dolorosa mossa che ‘gentilmente’ intimava l’amico a stare fermo e zitto. “Meno male che l’abbiamo trovato. E Himoro?”
“Troveremo anche lui. Credo.”

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Capitolo 21
*** Kuara ***


CAPITOLO VENTUNESIMO

“Fila in camera tua, signorina! In camera tua!”
E lei c’era filata, di corsa, le lacrime che sgorgavano dagli occhi; si tuffò sul letto, chiudendo la porta con una pedata – abile mossa che aveva richiesto anni di allenamento – quindi si lasciò andare in singhiozzi disperati, mentre anche la porta di casa venne sbattuta pesantemente: suo padre e sua madre stavano andando al negozio, e non sarebbero tornati prima delle sette di sera.
Ma a Kuara questo non importava; tutto ciò che avvertiva in quel momento era dolore, vergogna e rabbia. Dolore per il litigio appena passato, vergogna per sé stessa, rabbia nei confronti di quel padre così dannatamente retrogrado, così stupidamente possessivo, così terribilmente geloso.
Aveva avuto il coraggio di sgridarla, perché l’aveva vista con Kajimbo! Kajimbo, uno dei ragazzi più belli e ammirati della scuola, principe azzurro dai capelli corvini e cocchi color del mare, si era fermato per parlare con lei, anonima nullità della prima classe, carina, sì, ma di certo senza troppe pretese. E suo padre, intravedendoli dalla vetrina del negozio di famiglia, osservando uno dei momenti più belli ed emozionanti della vita della figlia, era stato così intelligente, così sensibile e così diplomatico da uscire a rotta di collo, urlante ed armato di coltello. Kajimbo ovviamente si era dato alla fuga, e lei era finita in punizione.
“Questo perché MIO PADRE E’ UN IDIOTA!” Lo aveva urlato contro il nulla, contro la finestra dalle imposte abbassate della sua stanza. Aveva quindi anni, Kuara, ed era una fanciulla dai grandi occhioni neri e capelli del medesimo colore, che portava in un baschetto spettinato; teneva spesso le imposte così, trovava affascinante la camera avvolta in quella semi oscurità, che la proteggeva come una calda bambagia dal resto del mondo.
Resto del mondo che non aveva mai trovato molto adatto alla sua natura, resto del mondo in cui non aveva mai saputo calarsi appieno, trovando una propria nicchia nella società. Aveva degli amici, sì, ma niente di troppo affettuoso o addirittura fraterno; delle volte, mentre prendeva la metropolitana, si ritrovava ad immaginare sconfinate praterie, candide nuvole sopra di lei, e di correre sino a perdere il fiato. Ma non sapeva spiegarsi il perché queste fantasie, e certo a Tokyo non vi erano molti spazi, dove correre. Per i suoi piedi, affamati di leghe da percorrere, persino la palestra scolastica sembrava ristretta.
E adesso era di nuovo sola, sola in quella oscurità così materna; si asciugò lacrime che nessuno avrebbe mai avuto modo di vedere, e stette a lungo, in silenzion, inginocchiata nel letto.
Finché non lo sentì muoversi.
Aveva sempre avuto sensi maggiori rispetto agli altri; se n’era resa conto sin da bambina, e l’aveva trovata un’ottima caratteristica, di cui andava fiera. Ma non l’aveva mai sfruttata appieno. Adesso, fece scorrere lo sguardo nella penombra, trattenendo il fiato, i padiglioni auricolari tesi a percepire qualsiasi segnale.
Un altro movimento. Soffocato, come di un animale imprigionato; ma non era un animale, come si rese conto da quel pesante respiro; scese cautamente dal letto, mentre un esile braccio si allungava, silenzioso come un gatto, ad afferrare la sua vecchia mazza da baseball.
Scivolò sulla moquette, afferrò la maniglia dell’armadio e… tirò!

“Qui dentro.” Annunciò Talana, indicando un palazzo forse più piccolo di quelli del centro, ma molto grazioso, elegantemente bianco come una nuvola e circondato da un verde giardino.
“Il cancello è chiuso.” Osservò Makau, ancora un po’ intontito. Gli era appena passata la fase del cantante allo sbaraglio, e adesso vi era quella di assestamento, dove tendeva a far notare cose evidenti, come che il pavimento fosse duro o il cancello chiuso.
“Scavalchiamo.” Kisala afferrò una sbarra metallica, trasportandosi agilmente dall’altra parte. Talana, mente più agile del corpo, necessitò di un aiuto dalla mezza demone, e Makau, rimasto solo, fece un gran brutto atterraggio.
“Il pavimento è duro.” Confermò, mentre Kisala, alzando gli occhi al cielo in cerca di pazienza, lo aiutava a rialzarsi.
“Andiamo, su: e chissà che mio zio non ci offra qualcosa, ho un buco nello stomaco…”
Makau rabbrividì, augurandosi che quel parente non possedesse cani o gatti: con la sua fame, Kisala avrebbe potuto papparsi anche quelli.

“E tu, chi sei?” Sbottò. Non aveva ancora abbassato l’arma, ma già il fascino di lui l’aveva ammaliata, quasi stregandola: e in fondo, cos’altro aspettarsi da un demone gatto, anche se innocuo come Himoro? “Che ci fai lì?”
“S… scusami, io… mi sono ritrovato qui.”
“Ti sei ritrovato nel mio armadio?” Sollevò un sottile sopracciglio, scettica.
Himoro soffiò goffamente, allontanando un lembo di abito che gli solleticava il naso; se non fosse stata una cosa capitata a lei, l’avrebbe trovato persino buffa.
“E’ una storia lunga” spiegò lui, tentando faticosamente di rialzarsi. Per un attimo, lei pensò di tramortirlo e chiamare la polizia, ma qualcosa la spingeva a non fare nulla. “non volevo spiarti. Scusa. Ti ho sentito piangere.”
Kuara non disse nulla, ma si sedette sul letto, fissando sbalordita quel gran bel pezzo di armadio che era uscito dall’armadio; altro che Kajimbo…
“Hai litigato con tuo padre?” Domandò, con gentilezza, forse per apparire meno alieno, meno invasore; non poteva immaginare che lo sguardo negli occhi di lei non fosse interamente spavento, ma un misto di questo con la contemplazione.
Era una cosa assurda, parlare con un estraneo finito per caso nell’armadio dei punti di attrito tra lei e il genitore; eppure, una nuova lacrima malandrina corse per le gote della ragazzina, mentre faticosamente annuiva.
Himoro ne fu alquanto impressionato. “Anche io, litigo molto spesso con mio padre…” Sussurrò, prima di mettersi a piangere anche lui, passionalmente e istericamente.
Kuara rimase ancor più sbalordita: adesso era una ragazzina che si era trovata un estraneo nell’armadio, cui aveva confidato i propri pensieri al punto di farlo piangere; peggio del teatro dell’assurdo!
Timidamente, allungò una mano verso una delle grandi spalle del ragazzo, consolandolo.
E si può immaginare il putiferio che ne seguì.

Grazie al cielo, i tre baldi eroi del passato trovarono il portone lasciato aperto dalla gentile signora del primo piano, che tutti i giorni lavava il pianerottolo e poi spalancava l’ingresso, così che l’aria fresca asciugasse il tutto più in fretta.
Se avessero anche dovuto vedersela con i citofoni e il loro modo d’uso, saremmo ancora qui a parlarne; ma per una volta la sorte fu dalla loro, senza che quasi se ne rendessero conto.
Senza dare un’occhiata al numero dei piani, si diressero verso le scale, Talana che puntava e interpretava i segnali che la Macchina del Tempo le forniva regolarmente.
Salirono per tre piani, domandandosi cosa fosse quella scatoletta in cui tutti, qualcuno dopo averli guardati un po’ male, s’infilavano, e non realizzarono certo che fosse lì per evitare movimento a chi doveva raggiungere i piani alti.
Una volta giunti al quarto, fu guida più l’udito di Kisala che il trabiccolo di Talana.
“Sento… delle grida…”
“Sente delle grida.” Si sentì in dovere di far notare Makau.
“Che tipo di grida?” Meno male che c’era Talana, a fare domande intelligenti.
Esclamazione censurabile. Poi: “Qualcuno che chiede del sangue: vi fa venire in mente qualcosa?”

La fuga era proseguita per tutta la casa: Kuara era miracolosamente riuscita a sfuggire dalla propria stanza, prima che quel ragazzo le saltasse addosso, implorandola di concedergli ogni goccia di sangue. Quindi era corsa per il corridoio, con lui alle calcagna, gli occhi rossi e gli artigli protesi che spaccavano tutto quel che trovavano; aveva oltrepassato la cucina, non pensando neppure ad armarsi con qualche bel coltello, ed era arrivata ad un soffio dalla porta, alla sua unica via di fuga, quando lui l’aveva afferrata, stringendola a sé.
Kuara urlò, urlò, urlò ancora, invocando la polizia, i pompieri, la protezione civile, addirittura suo padre. Pensò di essere già morta, quando si rese conto che l’abbraccio di quel pazzo restava… un semplice abbraccio.
Non riusciva a liberarsi di quella stretta, ma smise di urlare. Si voltò verso di lui, gli occhi sbarrati, fissando Himoro che intanto era impegnato ad urlarle quanto, QUANTO le volesse bene.
E non era finita, dato che la porta di casa in quel momento venne scardinata, e tre misteriose figure fecero il loro ingresso.
Kuara, stufa della situazione, decise di svenire.

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Capitolo 22
*** Kuara Rassicurata, Inuyasha un po' meno ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO

“Accidenti, se mangia…” Kuara, in ginocchio sulla stuoia, fissava con tanto d’occhi le mascelle di Kisala mai stanche del proprio lavoro.
Ci avevano messo un bel po’, a rassicurarla e spiegarle tutto, senza ottenere grandi risultati – considerando anche il lungo tempo impiegato per staccare Himoro dalla ragazzina – ma appena aveva compreso il suo legame di parentela con quella bella ragazza dagli occhi color ambra (e la coda!), più che spaventata era apparsa forse lieta, addirittura onorata.
“Sinceramente, credo di non aver ancora capito bene la vostra storia.” Le avevano spiegato tutto, a quattro voci, non appena aveva recuperato coscienza, e quindi non era tutta colpa sua se non aveva potuto prestare massima attenzione alle diverse versioni del racconto. “Demoni, Macchine del Tempo… quello psicopatico…” Senza farsi vedere, puntò il pollice verso Himoro, impegnato a fare le fusa a un Makau costretto a tenerlo buono.
“Tuo padre era un mezzo demone.” Ripeté pazientemente Talana, che in realtà non era mai stufa di fare lezione, di qualsiasi argomento si trattasse.
“… E grazie alla Shikon No Tama è diventato umano e ha sposato mamma. Tutti felici e contenti.” Sorrise appena. “Quando me la raccontavano quando ero bambina; credevo fosse una storiella per marmocchi. Ma voi… beh, voi siete veri!”
“Certo che lo siamo, altrimenti chi ti starebbe svuotando la dispensa?” Makau lasciò finalmente andare il demone gatto apparentemente tornato in sé, e rise della propria battuta.
“E distrutto la porta di casa?” Lo rimbeccò lei: entrare a quel modo era infatti stata una geniale iniziativa dell’umano.
“Io ho solo polverizzato un po’ di arredamento!” Himoro, come suo solito, pensò bene di difendersi con largo anticipo.
“Quando mamma e papà vedranno questo macello, saranno guai.” Fissò di sottecchi Talana che, incuriosita da un tostapane, si impegnava nel smontarlo; ritenne inutile fermarla, dato che nel gruppo sembrava la più affidabile e sana di mente. “Ma davvero venite nel passato?”
“Guoi sgognettecci!” Kisala sputò un po’ di riso in quel tentativo di conversazione, quindi adocchiò dei gamberi e perse ogni interesse per qualsiasi altra cosa.
“Cosa… cosa ha detto?” Balbettò Kuara, osservando i crostacei sparire alla velocità del fulmine tra le sue labbra.
“E’ kisalese mangereccio. Tradotto letteralmente: puoi scommetterci!” Spiegò Makau con un sorriso furbo. “Kisala quando si abbuffa assume un linguaggio comprensibile solo da pochi! Meno male che ci sono io, il Traduttore!”
“Gnon ghei shihitoscio!” Lo fulminò, ma due terzi della mente era ancora inquadrata sui gamberi.
“Oh, trovi che io sia affascinante?” Evitò per un pelo un gamberetto lanciato ad una velocità tale da risultare omicida, quindi si trattenne saggiamente dal fare altre battute.
“Com’è il passato?” Kuara fece quella domanda a bruciapelo, mentre Kisala, non trovando bicchieri (sì, c’erano quei cosetti in carta lucida che Kuara aveva definito plastica, disposti davanti ad ognuno di loro, ma certamente non potevano avere quella funzione… insomma… bere nella carta? Assurdo.) bevve direttamente dalla caraffa, divertendo non poco la cugina.
“Il passato.” Ripeté pensierosa, abbassando il contenitore quasi del tutto svuotato. “Beh… è verde. C’è meno puzza.”
Il tostapane tra le mani di Talana le diede la scossa, esplose e prese fuoco.
Kuara pensò che suo padre e sua madre non sarebbero stati esattamente al settimo cielo per quella visita.

E infatti, qualche ora dopo, Inuyasha uscì dall’ascensore, stanco della lunga giornata; la lunga chioma nera ma con qualche striatura grigia era stretta in un codino, e la vista, appannatasi con gli anni, aveva le sue brave stampelle, ovvero un paio d’occhialetti tondi che gli davano quel qualcosa d’intellettuale. A vederlo, non sembrava certo il padrone di un supermercato, ma un colto insegnate.
Camminava pigramente, come sempre in quella seconda metà della sua esistenza, la metà passata nel futuro della sua donna, intontito dai rumori, dallo smog, dal caos. L’unico piacere che ancora si riservava era il ritorno a casa, alla sera, al fianco di sua moglie; un ritorno in quell’appartamento che aveva trasformato in una tana sicura ed accogliente, dove vivere nell’amore della compagna e della prole, che aveva sempre desiderato numerosa, ma che il costo della vita aveva costretto a ridurre ad un solo individuo. Una bella ma terribilmente isterica femmina: Kuara.
Quella sera, mentre le porte dell’ascensore si aprivano ronzando, un senso di inquietudine lo colse, non certo per premonizione di chi o cosa avrebbe incontrato di lì a poco, ma per il ricordo del furibondo litigo avuto con Kuara a pranzo: era stato un idiota, padrone di accettarlo a mente lucida, ma non avrebbe mai ammesso di aver sbagliato, e mai si sarebbe scusato con sua figlia. Nonostante le continue suppliche di Kagome.
“E’ inutile fare il sostenuto! Più tenti di soffocarla, più lei si allontanerà…” Continuava a predicare un’idiozia dopo l’altra, da quando aveva messo le mani su quelle riviste di psicologia per genitori.
“Come può un genitore che si prostra ottenere rispetto?” Ribattè, camminando verso il proprio pianerottolo.
“Non è prostrarsi ma ammettere i propri errori, e…” Ma lui si era bloccato, fissando l’ingresso della loro abitazione. “Ma cosa…?” Kagome si voltò, lentamente, verso ciò che tanto aveva sconvolto il marito: la porta di casa era stata letteralmente scardinata.
“Kuara!” Inuyasha non attese altro, scattò, come durante quei tempi passati in cui combatteva con così tanta foga, scattò verso quella sua tana così sicura, cosi agiata, pregando per la propria figlia.
La scena che si trovò non era esattamente quello che si aspettava; o meglio, un uomo che torna a casa dal lavoro e si trova il portone sfasciato non sa proprio che scena aspettarsi, eppure quella che l’ex mezzo demone si trovò davanti mai l’avrebbe immaginata.
Kuara era a terra, seduta sulla stuoia, in buona salute; accanto a lei, una fanciulla dagli occhi… color ambra? Sì. sì! Erano identici a quelli che aveva un tempo, a quegli occhi screziati di miele che avevano affrontato mille battaglie.
Un ragazzo dai capelli rossi poco più in là, accanto a quello a prima vista, a causa della lunga chioma bionda, sarebbe passato per un metallaro, ma che era inequivocabilmente un demone gatto. Ma dove se li era andati a pescare, sua figlia, degli amici così?
Talana era fuori vista, chinata sotto il lavandino della cucina, borbottando qualcosa circa la genialità di quel sistema idrico.
Kagome, notando Inuyasha a dir poco paralizzato presso i resti porta, lo prese a braccetto, anche lei sconvolta da quegli sconosciuti; rimasero così, sulla soglia, per un numero indefinito di minuti, il silenzio che calava su tutti come stalattiti di ghiaccio.
“Ehm… ciao, papà!” Azzardò infine Kuara, con falsa vivacità. “Com’è andata oggi in negozio?”



IMMAGINI DI KISALA! XD
Ragazzi, non ci credo, c'è chi si mette lì a disegnare Kisala! Grazie mille! Le posto così che tutti possano vedere, e ovviamente l'invito è esteso a chiunque voglia cimentarsi, non solo nel disegnare la mezzo demone, ma Himoro, Makau, Sesshomaru che sgozza Himoro... quello che volete!
Io non disegno perché so fare solo la casetta, l'alberello e il fiume xD
Allora, la prima immagine, davvero bella(Tranne che per un paio d'orecchie da cane che Kisaluccia non ha, ehheheh), è di Jinny, che credevo solo una brava scrittrice e invece scopro anche piena di talento nel disegno:
(Per vederle, copiate l'indirizzo e incollatelo nella barra di explorer)
http://img240.echo.cx/my.php?image=8provaxd0hg.jpg
Le altre due le ha realizzate mia sorella, unica mia lettrice non virtuale:
Kisala con spada e codona fluente: http://img240.echo.cx/my.php?image=warriorkisala7tx.png
Kisala che se la vede così Sesshomaru ci fa fuori tutti (ovvero mezza nuda e senza coda xD): http://img240.echo.cx/my.php?image=lacci22jw.png

SONDAGGIO:
Che ce ne facciamo di Kuara? La si lascia nel futuro o la si porta nel passato? Io l'avevo creata così, come personaggio passeggero, ma vedo che vi è piaciuta! Per me fa lo stesso, perché ho in mente una trama per entrambe le opzioni: sta a voi scegliere!
Grazie ancora di seguirmi!

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Capitolo 23
*** Spiegazioni e Richiesta ***


CAPITOLO VENTITREESIMO

“Ripetimelo! Ripetimelo, io prego!” Si asciugò le lacrime, ridendo come un pazzo. Rotolava praticamente a terra dal ridere, l’aria da intellettuale del tutto perduta.
Kagome sorrise, cingendo con un braccio le esili spalle della figlia: Inuyasha sembrava di nuovo un cagnolino, non più ristretto dai canoni della vita moderna, ma reinserito in quel piccolo ritaglio di passato che quegli individui avevano saputo ricreare con il loro viaggio.
Una sola di loro era già nota ai genitori di Kuara: Talana, la figlia che Totosai non aveva mai riconosciuto, perché non dedita al fabbricare spade. Era stato con un vero shock che avevano riconosciuto quella demone intravista solo qualche volta nel passato, quando si era rivelata di importanza cruciale per sconfiggere Naraku e recuperare la sfera.
Quindi, una volta conquistata un po’ di fiducia nei confronti di quel gruppo male assortito, si erano seduti, volendo ascoltare la loro storia; ma durante le presentazioni l’uomo aveva perduto ogni contegno, non appena appresa l’identità di quella mezzo demone.
“Fa così tanto ridere?” Kisala si grattò una guancia, perplessa, osservando il delirium ridens in cui suo zio era stato gettato da quella semplice informazione. “Mio padre è Sesshomaru, tuo fratello, e mia madre un’umana di nome Rin. Cosa c’è di così divertente?”
Le risate di Inuyasha aumentarono di frequenza, sino a che quel vecchio brontolone del loro vicino, spazientito, non batté la scopa contro il muro, intimandoli al silenzio.
“Conosciamo sia tuo padre che Rin.” Spiegò Kagome con gentilezza, forse non avendo il cuore di aggiungere tutto quel che sapeva. Quella fanciulla era sua parente, in un modo o nell’altro, e non voleva assolutamente risultare scortese; anche se le avevano distrutto mezza casa, compreso il tostapane nuovo.
“Tuo padre” Inuyasha si rimise a sedere, componendosi quel tanto che bastava, e fissò con ilarità la nipote appena ritrovata. “Tuo padre, ha passato la vita nel disprezzare i patetici, inutili esseri uman i” scimmiottò così bene l’austera voce del Principe dei Demoni da farla sorridere. “lui, che prende a portarsi in giro una marmocchia! Se la cresce, e ci fa dei figli!” E qui attaccò di nuovo a ridere, senza riuscire più a fermarsi.
“In effetti.” Ammise Makau, ripensando ai vari, e fortunatamente sino ad allora infruttuosi, tentativi del demone di ucciderlo. “In effetti, non è molto coerente.” “Proprio per niente!” Ed eccolo che riattaccava a sghignazzare, battendo il palmo del piede a terra. Makau gli andò dietro, e risero come vecchi compagni di scuola; ma non fu una cosa vantaggiosa, dato che Inuyasha, tra una risata e l’altra, lo osservò più a fondo, notando una cosa che brillava sul suo petto. “Medaglione del Sole!” A volte l’istinto è qualcosa di più forte del pensiero e del raziocinio, e Inuyasha, pur essendo da tempo un normale essere umano, e quindi immune a quel simbolo, saltò di un paio di metri buoni, risvegliando un terrore infantile che da sempre albergava in lui.
“Stai tranquillo, zio! Makau non ci farebbe mai del male!” Kisala, notando la delusione dell’amico, quell’ilarità mortagli sulle labbra, gli strinse brevemente il braccio, confortandolo: per il ragazzo, purtroppo, scene di umani e demoni che fuggivano da lui alla sola vista di quel pendaglio non erano storia nuova.
“Tuo padre sa che razzoli con un Cacciatore di Demoni?” Inuyasha, recuperata la calma, fischiò piano. “Appena lo verrà a sapere, vorrà sgozzarti con le sue mani, temo.”
“Non si preoccupi: ha già approvato questa linea d’azione neppure senza saperlo!” Makau si esibì in un sorrisino isterico che gli valse un’altra stretta affettuosa da parte di Kisala. Lo stava viziando. “Forse gli sto particolarmente simpatico: trova che non ci sia niente di meglio del mio sangue che sgorga a fiotti!”
“E’ proprio da mio fratello.” Convenne Inuyasha, asciugandosi una delle lacrime che la tanto divertimento gli aveva procurato.
“Come mai siete venuti a farci visita?” Kagome manteneva certo un tono gentile, spensierato e materno; ma i suoi occhi erano saettati dapprima verso la metà di arredamento distrutto, e infine all’antico vaso di ceramica inesorabilmente a pezzi, e Kuara avverti chiaramente la stretta attorno alle proprie spalle farsi più graffiante.
Kisala non rispose subito. Cercò con gli occhi i compagni di viaggio, non sapendo bene come cominciare il discorso: avevano affrontato pericoli e viaggi nel tempo per formulare quella richiesta, e non intendeva rovinare tutto usando le parole sbagliate. C’era bisogno di tatto, semplicità e diplomazia, come le aveva spiegato qualche ora prima Talana. Memore di quella lezione di psicologia improvvisata, la demone la fissò con occhi intelligenti, curiosa di vedere come avrebbe formulato il proprio desiderio.
“Voglio Tessaiga, la tua spada! Me la dai, zietto? Eh? Eh?”
Inuyasha non cadde a sedere di schianto solo perché era già seduto, e Talana si sbatté una mano sulla fronte, scuotendo il capo. Makau si chinò su di lei, sorridendo: “Te l’avevo detto che era meglio non farla parlare…”
Tutta la stanza era di nuovo in un imbarazzante silenzio, mentre si attendeva risposta da un uomo che non sapeva più dove aveva messo la lingua; alla fine, faticosamente, riuscì a racimolare un abbozzo di discorso:
“Tessaiga… è l’unico ricordo del mio passato! L’unico ricordo che Kuara può avere di suo nonno!” Ma Kuara non sembrava minimamente interessata a quell’affezione al passato, anzi fece spallucce. “Perché la desideri?”
Kisala aprì il taschino interno della tenuta da combattimento, estraendo la zanna di Sesshomaru, che porse gentilmente allo zio. Lui la fissò interessato, rigirandola alla luce e apprezzandone la lucida forma. Un tempo, aveva avuto zanne come quella, forti e capaci di dilaniare qualunque cosa.
“Di chi è?”
“Di mio padre.”
“Che schifo!” La lanciò attraverso la stanza, così che Kisala dovette fare una complicata evoluzione per recuperarla al volo.
“Ehi, anche io ho fatto la stessa cosa!” Esclamò Makau, divertito.
“Cosa c’entra un dente di Sesshomaru con la mia spada?”
“Voglio rinforzarla.” Rispose Talana, con un sorriso imbarazzato. “Kisala mi ha chiesto di fabbricare una nuova spada con quella zanna… ma non ne sono capace, come ricorderete. Posso semplicemente inserirla nella struttura di Tessaiga.”
Inuyasha abbassò il capo, pensieroso. Tutti gli sguardi erano puntati su di lui, e ciò lo infastidiva alquanto, anche perché sapeva benissimo qual era la risposta giusta. Solo che non voleva pronunciarla.
“Vieni con me.” Disse infine. “Solo tu.” Con un gesto della mano fermò Makau e Himoro che già si stavano alzando, e, seguito da Kisala, si diresse nel corridoio.

La camera matrimoniale non era molto grande e Inuyasha certo la preferiva così: simile ad una piccola tana, in cui riposare abbracciato a Kagome, in quel morbido letto.
Ma adesso non badò neppure al suo giaciglio, dirigendosi speditamente verso il muro di fronte ad esso, dove era appeso, con tutte le attenzioni riservate al caso, un antico fodero, dentro al quale riposava da anni un’antica spada.
“Quella è…?” Ma le parole di Kisala quasi non ebbero la forza di uscire dalle rosse labbra, mentre quello zio mai conosciuto con cautela staccava uno dei suoi più grandi tesori dalla parete; lo vide chinarsi sul fodero, come in un attimo di muta contemplazione, ed infine voltarsi verso di lei, con un vero e proprio funerale negli occhi.
“Tuo padre tentò di uccidermi, per questa.”
“Sì, me l’ha raccontato un sacco di volte!” Risposta allegra, gioviale, che lo fece sorridere.
“Come favoletta della buona notte, immagino.”
“Come ha fatto ad indovinare?”
Il sopracciglio di Inuyasha scattò verso l’alto: il fratello utilizzava storie di tentati omicidi per addormentare la pargoletta, e poi quello che, secondo Kagome, non aveva principi pedagogici era lui!
“Quella è una spada?” Con un cenno del capo, indicò l’arma che penzolava al fianco della giovane, la quale, sorpresa, annuì. “Mostramela.”
Fissò la lama uscire alla luce, splendente; un buon lavoro, un’arma non propriamente egregia, ma adatta ad un apprendista.
Estrasse Tessaiga. La lama, quella vecchia lama che sembrava rosicchiata dai topi, uscì malamente, neanche fosse un vecchio con l’artrosi e la voglia di starsene in casa; egli ricordò con un brivido di dispiacere i tempi i cui da quello stesso contenitore usciva una creatura possente, viva quanto lui, e pronto ad accompagnarlo sino alla morte.
Kisala osservò sbalordita la spada leggendaria, che altro non sembrava se non un ferro vecchio totalmente inutile; ma non disse nulla: sapeva che da qualche parte c’era un trucco.
“E’ questa che vuoi?”
Osservò ancora quella lama rovinata, smozzicata, distrutta dall’usura. Era quella che voleva? Piegò brevemente il capo, annuendo.
“Bene, allora guadagnatela. In guardia!”

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Capitolo 24
*** Duello ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

“In guardia!”
Era in posizione d’attacco, quella ridicola, vecchia spada puntata contro di lei; attendeva solo una sua mossa, che Kisala non era in grado di fornire. Insomma, suo zio, un signore di mezza età che non disponeva più neppure di un briciolo di potere demoniaco, voleva sfidare lei e la sua spada con quel… con quella cosa!
“Dai zio, lascia perdere…”
“La vuoi o no, la mia Tessaiga?”
Kisala sospirò, quindi attaccò: Nonostante le poco rassicuranti premesse, fu così scarsamente furba da farlo priva di convinzione. Si ritrovò immediatamente svantaggiata; stretta contro l’armadio, insediata dalla rapidità di movimenti di Inuyasha. Fu solo grazie a quelle ore, a quei giorni e a quei mesi passati ad allenarsi con il padre che non perdette immediatamente una delle più importanti sfide della sua esistenza.
Pur essendo fratello del suo insegnante, lo stile di Inuyasha era molto diverso, costruito non da una tradizione di famiglia, ma dalla necessità di sopravvivere. Le sue erano stoccate precise ma imponenti, repentine mosse che la costringevano a parare con tutta sé stessa.
Il combattimento li prese, subito, prese entrambe le loro menti e le focalizzò semplicemente sulla danza argentea delle lame; saltellavano, saltavano ora sul letto, ora a terra, ricercando ogni volta un nuovo equilibrio, difendendo ed offendendo con micidiale precisione.

Kagome stava intrattenendo gli ospiti – e soprattutto un’attentissima Talana – raccontando loro alcune curiosità sul futuro, dall’energia elettrica, alla televisione, al Tamagotchi che qualche anno prima anche Kuara aveva voluto.
Tutti l’ascoltavano in religioso silenzio, e per una volta anche sua figlia non piazzava qua e là qualche commento impertinente; la donna fece appena in tempo a pensare che forse non tutto il male veniva per nuocere, quando rumori, rumori inequivocabili di un duello misti ai rumori di un arredamento che torna al creatore, la fecero ricredere immediatamente.
“Oh, no… la mia stanza!” Scosse il capo, scoraggiata.
“Credo che Inuyasha voglia valutare le capacità di Kisala.” Talana espresse una teoria ovvia, che fu sovrastata da un rumore di vetro in frantumi.
“Sì, ma le mie abat-jour che c’entrano?” Gemette la buona donna.

Si ritrovò chiusa in un angolo, e pensò che la sua sfida finisse lì; all’ultimo momento, però scorse una via di fuga, che fu lesta nell’afferrare, saltando agilmente dietro la schiena dell’avversario. Atterrò, ma non fece in tempo a voltarsi che già la lama si era fiondata verso di lei, tranciando di netto un ciuffo di corvina chioma, e fu costretta a chiudere in difesa, chiudere in difesa, chiudere in difesa!
Arretrò di un paio di passi – mossa che, se n’era accorta, lui le aveva concesso magnanimamente – e rifletté sorpresa sul fatto che quello fosse il primo duello in cui doveva ricorrere così tanto a parare. Di solito, il suo stile rispecchiava il suo carattere, e si perdeva in furiosi attacchi; ma qui era costretta a rivedere il proprio modo di fare, ricorrendo a tutt’altra strategia, fatto più sull’agilità che sulla forza. Anche così, la vittoria appariva come un’isola lontana e irraggiungibile. Quell’uomo con vent’anni di più sulle spalle, senza poteri demoniaci e con una spadina che non avrebbe tagliato del burro, era addirittura più letale di suo padre!
“Già stanca?” Ma era una domanda inutile, dato che il petto di lei si alzava e riabbassava in ampi, disordinati respiri; Kisala annuì brevemente: sì, era più che stanca. Quindi, saltò verso di lui, e l’intrecciato balletto riprese.

“Questo era il mio comodino. Questa la testata del letto. Questo… questo il muro!” Kagome ad ogni colpo riusciva a distinguere cosa andava distrutto, e con la faccia tra le mani elencava disperatamente.
“Accidenti, signora: lei sì che ha udito!” Si complimentò felice Himoro, ricevendo una gomitata nel costato a destra da Makau e a sinistra da Talana.
“Su mamma non fare così…” Azzardò Kuara, mentre Kagome annunciava che l’anta dell’armadio poteva anche andare a farsi benedire.
“Tuo padre… tuo padre poi mi sente!” Ma non era vero, non avrebbe mai sgridato Inuyasha, neppure se avessero raso al suolo l’intera casa – impresa in cui quei due invasati minacciavano di riuscire – sapeva che quello era il commiato con Tessaiga, sapeva che il consorte aveva semplicemente cercato un ultimo, intenso duello, non come prova della la nipote, ma come gesto d’addio a quella vita così libera cui aveva rinunciato per amore.

Le spade s’incrociarono per l’ultima volta, prima che lui, con un divertito, trionfale gesto, la disarmasse, ghignando.
Kisala, sdraiata a terra, si vide quella lama così rovinata puntata alla gola, e sorrise ammirata. Una volta rivisto il padre, gli avrebbe dovuto raccontare un bel po’ di faccende circa quel ‘buono a nulla’ di suo fratello.
Al posto della lama, lui le tese una mano, che la giovane accettò volentieri. “Sei brava.” Concesse, iniziando a guardarsi attorno con un po’ di rimorso: ci avrebbe rimesso un bel po’ a ripagare l’intero arredamento; ma era pur vero che la soddisfazione di un simile duello gli avrebbe gonfiato il cuore per anni.
“Sei una combattente leale.” Ammise con un sorriso, riponendo la spada nel fodero e porgendogliela con affetto. “Quello che hai visto, però, non sono le vere potenzialità di Tessaiga.”
La nipote, afferrando con reverenza l’arma, lo guardò, incredula e sorpresa. Ah, quindi era stata battuta da una spada non al massimo delle sue possibilità? Divertente…
“Estraila.”
Non fece domande; solo mezz’ora prima, lo avrebbe sommerso di quesiti, ma adesso il rispetto la costrinse a tacere, eseguendo l’ordine. Afferrò l’elsa, e con attenzione, con un’emozione dal sapore antico che non fu in grado di spiegarsi, tirò.
Azionata dalla sua natura di mezza demone, fu la vera Tessaiga a rispondere al richiamo; gli occhi ambrati di Kisala ebbero un fremito, mentre ammiravano l’enorme, possente lama uscire allo scoperto, scintillando alla luce, riflettendo le macerie della stanza.
“Cosa…?”
“Una volta potenziata con il dente di tuo padre, sarà ancora più letale; saprai usarla con saggezza?”
Kisala annuì, avvertendo una forza misteriosa fremere tra le sue mani; sapremo essere alleate, Tessaiga?
Era pesante, terribilmente pesante; la mosse con attenzione, ricercando un equilibrio e un’abilità che solo il tempo le avrebbe concesso. Infine, le braccia distrutte da quella zavorra, fu costretta a riporla nel fodero, non senza un sorriso che le illuminava il volto, scoprendo gli aguzzi canini.
Inuyasha rimase lì, a fissare quella giovane con la sua spada in mano: le generazioni cambiano, ed ecco quella nuova. Sapeva che lei gli avrebbe fatto un’altra richiesta, e l’attendeva con pazienza; ma Kisala, invece, ignara di quell’attesa, si guardava attorno, aspettando che lui le proponesse di tornare dagli altri.
“Beh?” Chiese infine lo zio.
“Beh, beh cosa?” Si domandò spaventata ed esausta se vi fosse qualche altra prova da superare; ma ormai la spada era nelle sue grinfie, e non l’avrebbe mollata per nulla al mondo.
“Beh, non mi chiedi nulla della sfera?”
“Che sfera?”
“La Shikon No Tama, dannazione!” Lo disse come se era impensabile il fatto che lei ancora non ci avesse pensato.
“Ah, sì. Quel gioellino per cui si ammazzavano a vicenda tutti.” Riassunse in poche parole i racconti del padre, causando una preoccupane tonalità rossastra nel volto dell’uomo. “Perché dovrebbe interessarmi? Serve a fortificare Tessaiga?”
“No. No! Serve a te! Io ce l’ho, e posso trasformarti in demone o in essere umano, a tua scelta!”
Kisala continuava a non capire.
“Perché dovresti fare una cosa simile?” Era sbalordita, adesso.
“Come perché? Perché diventeresti completa, non più a metà tra una razza e l’altra!” Se avesse avuto uno specchio, glielo avrebbe posto innanzi, cercando di risvegliarne la coscienza. Cercando di farle comprendere quale abominio lei fosse. “Saresti finalmente una creatura con un’identità ben distinta!”
“Non voglio assolutamente questo cambiamento.” Si riassestò la tenuta da combattimento, leggermente scomposta, e rivolse uno sguardo di sfida che non valeva solo per lo zio, ma per tutto il mondo, per tutte le epoche. “Questa indeterminatezza mi piace. Io sono questa indeterminatezza! Se cambiassi… forse sarebbe una vita più facile, ma non sarei più io.”
Inuyasha non diede a vedere quanto in profondità quelle parole lo avevano colpito; silenziosamente, ritrovò i suoi occhiali a terra, un po’ rotti ma ancora utili, quindi l’accompagnò nell’altra stanza, dagli altri.
C’era stato un altro duello, un duello di idee; e Kisala, forse senza saperlo, lo aveva vinto.



PICCOLO FLASH - IDENTITA' E PENSIERI
Kisala dice di non provare alcun sentimento, se non orgoglio, riguardo la sua situazione di mezzo demone, ma noi sappiamo che mente: mente perché quando Makau le ricordò di non essere una demone, si beccò un bello schiaffone. Ciò ci dimostra che la fanciulla è abbastanza sensibile all'argomento.
Credo che i pensieri della nostra cara mezzo demone verranno approfonditi più in seguito, ma adesso vi invito a pensare a Inuyasha; Noesis, e altri, nei commenti mi hanno scritto che il cagnolino è davvero triste così umano: questo perché forse non ha fatto la scelta giusta.
E' vero, come mezzo demone ha sempre vissuto da emarginato, e poi chissà perché s'è convinto che per amare Kagome dovesse diventare completamente umano. Come persona romantica, io approverei quella scelta... ma non so se l'approverei anche adesso, vedendolo quella quella Tessaiga smagrita tra sue le mani(anche se usata con maestria), vedendolo senza i suoi artigli e le sue zanne.
Inuyasha secondo me è l'emblema di quanto il voler a tutti i costi fingere di essere ciò che non si è ci distrugga, ci sprema, ci lasci svuotati, con un senso di indefinitezza peggiore di quando la propria identità veniva difesa, forse in solitude ma con la sicurezza di possedere un proprio io.
Forse le mie idee sono sbagliate; però non posso che ripetere che non è certo stata una scelta giusta ciò che ha portato a questo spettro del cagnolino di un tempo.
Voi cosa ne pensate?

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Capitolo 25
*** Ritorno al Passato ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO

“Insisto! Rimanete per la notte!” Kagome strinse le mani di Kisala, neanche fosse il capo di una qualche spedizione. “Ripartirete domani, riposati e freschi.”
“Sono d’accordo: un viaggio nel tempo non è uno scherzo.” Inuyasha, seduto a gambe incrociate contro il muro, fissò con tristezza uno dei due foderi che poggiavano sul fianco della nipote. Tessaiga.
“E’ che non vorremmo disturbare…” Ma Talana fu interrotta da un gesto di Kagome, interpretabile come: ho la casa distrutta, in che altro modo potreste ancora disturbarmi? La donna non aveva avuto il coraggio di appurare in che stato fosse la sua stanza, ma prima o poi sarebbe dovuta entrarvi...
“Beh, non sarebbe male dormire un po’…” Ammise Makau, le palpebre appesantite dallo stress dell’intera giornata. Sorrise ad una Kisala che gli si sedeva accanto, ammiccando alla nuova spada; vedeva l’orgoglio e la felicità sprizzare da ogni poro della mezzo demone, e stranamente ciò aveva il potere di far stare meglio anche lui.
“Allora vi fermate, che bello!” Kuara non distolse però l’attenzione dalle pietrine disposte in un antico schema, prestando orecchio alle spiegazioni che Himoro le forniva: annoiato dall’attesa, infatti, il demone gatto aveva acconsentito a spiegarle un gioco dei propri tempi, le cui regole però ancora sfuggivano alla giovane.
“Non si disturbi nel prepararci dei letti: una coperta a testa sarà più che sufficiente!”
“Ne sono lieta, anche perché ho come l’idea che l’unico letto intatto rimasto in casa sia quello di Kuara…” La risposta era stata fornita con un accento spensierato, allegro, come se a parlare non fosse stata una signora costretta a riacquistare quasi tutto l’arredamento.
Ma si sbagliava, dato che anche quel letto era stato sfondato dall’inseguimento di Himoro. Ma nessuno, figlia compresa, ebbe il cuore di correggerla, mentre lentamente seguiva il marito nell’ex camera da letto.
Quando vi entrò, l’urlo riecheggiò in tutta la casa. Quando, dopo un po’, andò anche in quella di Kuara per prendere qualche coperta, stranamente vi fu il silenzio. Inuyasha la trovò svenuta.
Qualche ora dopo, ripresi i sensi e un po’ di colorito, augurò la buona notte agli ospiti, sistemati in soggiorno con Kuara, la quale aveva dichiarato di voler dormire in compagnia di una cugina che forse mai più avrebbe rivisto.
Né i genitori, né il gruppo del passato videro lo strano brillio che animava i suoi occhi, e quindi il permesso le fu accordato.
Kuara augurò la buonanotte alla madre, con un bacio sulla sua morbida guancia, e stranamente concesse lo stesso anche alla pelle un po’ ruvida di barba incolta del padre.
Era stata così calorosa solamente perché sapeva che quello sarebbe stato il suo l’ultimo saluto ai genitori.

La notte calò improvvisamente su Tokyo, città che si difendeva dalle tenebre con luminose insegne, accecanti lampioni, rumorose urla e assordanti clacson.
Kisala pensò che non avrebbe mai dormito; nonostante l’enorme spossatezza, le era impossibile prendere sonno, accerchiata com’era dal caos del ventesimo secolo; gli uomini e le donne di quel tempo o erano praticamente sordi o praticamente pazzi, per resistere in un clima simile.
Sospirando, si alzò a sedere, scostando la morbida e calda coperta – pile, le avevano detto che era in pile – e lasciando correre lo sguardo verso una grande finestra. No, non era solo il non essere abituata a quel tempo che non le permetteva di dormire.
C’era qualcosa che martellava nel suo cuore, nella sua mente, un dubbio che aveva sempre tenuto a bada e che solo qualche ora prima era riuscito ad evadere, prepotentemente, occupando ogni spazio della sua corteccia celebrale.
Strisciò nel buio, cercando qualcuno con cui parlare, dal quale cercare consiglio; afferrò la spalla di Makau, senza lasciarsi intenerire dal respiro pesante di chi è immerso in un ottimo sonno, e lo scosse, con una gentilezza non da lei.
“Mmh?”
“Ah, bene, sei sveglio!” Sorrise, scuotendolo di nuovo.
“Mmh…”
“Possiamo… parlare?”
Niente, era ripiombato nel sonno: avevano usato il suo medaglione per quel viaggio, ed era logico che controllare quel catalizzatore improvvisato lo avesse stancato come non mai… per non considerare poi le energie spese nei balletti in mezzo alla strada. Ma non poteva davvero lasciarlo riposare: certi pensieri andavano spazzati ben prima della loro partenza, e sentiva che solo lui avrebbe avuto il potere di tranquillizzarla.
“Ma cosa vuoi?” Infine aprì gli occhi color smeraldo, scrutandola nella penombra della stanza; gli altri, chi per terra, chi sdraiato su un divano, continuavano a dormire beatamente, e il ragazzo non poté fare a meno di invidiarli. Però si alzò, sedendosi accanto ad una Kisala inginocchiata e dall’aria molto pensierosa, i capelli che accompagnavano morbidamente il volto chino, immerso in chissà quale idea. I tratti erano gli stessi dell’austero volto del Principe dei Demoni, ma lei sapeva darvi un’eleganza tutta sua, gentile e tagliente; non l’aveva mai vista così, ed ebbe un fremito lungo la spina dorsale.
Era così bella.
“Tu... beh…” Non trovava le parole, stranamente. Aveva quel concetto sulla punta della lingua, eppure non riusciva ad esprimerlo, nemmeno con una persona così fidata. “Mio zio mi ha offerto la Shikon No Tama. Nel caso volessi diventare o donna, o demone.”
“E tu che hai detto?”
“Ho rifiutato!” In effetti, la domanda le parve stupida: se avesse subito una qualche trasformazione, lui se ne sarebbe accorto, no?
“Potevi diventare un demone completo, e hai rifiutato… Se tuo padre scopre anche questo, sei morta!” Rise appena, sottovoce per non svegliare nessuno, quindi assunse un’espressione sincera, prendendo una sua mano tra le proprie, lasciandosi sfuggire qualche carezza sulla pelle morbida come un petalo. Lei rifuggì a quel contatto, prendendosi tra i suoi dubbi, e Makau sospirò. “Che cosa c’è che non ti torna?”
“Non lo so, ma non mi fa dormire.”
“Credi… che sarebbe stato meglio accettare?”
“Non lo so.”
“Perché hai rifiutato?”
Kisala alzò lo sguardo, riflettendo e scavando nella propria memoria: perché lo aveva fatto? Ah, sì: orgoglio. L’orgoglio di non avere bisogno di una razza, l’orgoglio di non volere propri simili cui fare riferimento; l’orgoglio di essere unica. Ma era giusto questo comportamento, o avrebbe finito col ritrovarsi sola? Anche Makau forse si sarebbe presto stufato di una creatura né carne né pesce…
“Tu non sei un demone. Non sei una donna.” Glielo ricordò con schiacciante freddezza, e quindi si sciolse in un rassicurante sorriso. “Sei molto di più. Più di un umano, più di un demone; un anello di congiunzione, un ibrido perfetto. Siine fiera.”
“Lo sono!” Si volse di scatto, puntando le iridi quasi incandescenti. Era incredibile come danzasse tra apparenze di gattina affettuosa e tigre assassina; lo incantava, ipnotizzava. “Ma ho paura di rimanere sola. E’ il destino degli hanyoukai.”
“Anche destino del Prescelto dal Medaglione è solitudine e morte.” Prese un bel respiro; lei aveva già rifiutato il contatto tra le loro mani, e adesso lui cercava qualcosa di più; qualcosa che gli facesse sentire il battito del suo cuore, il lento ondeggiare del respiro. Sapeva che tutto ciò di cui lei necessitava era solo del calore, una presenza amica, ed era lieto di potergliela fornire. “Eppure mi sembra di essere vivo e in ottima compagnia…” Il braccio di Makau s’insinuò lento e guardingo, attraversando un improvvisato passaggio nei suoi capelli e tentando di cingerle le spalle; Kisala s’irrigidì, spaventata da quel contatto così nuovo eppure così piacevole, e stava quasi per sciogliersi nell’abbraccio…
“Voglio venire!”
“UAAARGH!” Makau, forse la coscienza sporca che, anche se era un evento impossibile, attendeva da un momento all’altro l’esecuzione del Principe dei Demoni, saltò come un canguro, lasciando una non meno sconvolta Kisala e cascando quasi in braccio a Himoro, addormentato lì vicino. Stranamente, nessuno nella casa sembrò sentire quel verso terrorizzato, e tutti rimasero beatamente nel mondo dei sogni.
Tutti, tranne i due ragazzi e chi li aveva sorpresi: Kuara. In piedi dietro di loro, fissava la cugina con un’espressione che ad entrambi non piacque affatto.
“Voglio venire!” Ripeté, sedendosi tra loro due, e non smettendo di rivolgere a lei quello sguardo così insostenibile.
“Ehm… venire dove, Kuara?”
“Nel passato, no? Con voi.” Solo allora Kisala la osservò meglio, notando che il pigiama aveva lasciato posto ad una gonna ed un maglione.
“Stai scherzando?”
“No.”
“Non ci pensare nemmeno!”
“Invece sì!”
“Invece no!” Molto diplomatiche entrambe.
Makau pensò bene d’intervenire, portando argomentazioni plausibili:
“Il passato è nostro territorio… noi sappiamo muoverci, e sopravvivere anche soli lì… ma tu…”
“Ci sarete voi a proteggermi, no?” Lo disse con leggerezza, quasi fosse un ovvietà. E in effetti per Kisala l’idea di portarsi dietro quella simpatica parente non era malvagia, e badare a lei non sarebbe certo stato un peso. “Sentite, io non voglio più stare qui; non vivo bene a Tokyo, e meno che mai con mio padre. Avevo già in mente di scappare, e poi siete arrivati voi…”
“Scappa, allora, ma lasciaci fuori da questa storia!” Makau scosse il capo, avvertendo come la sensazione di un nuovo terremoto pronto a cascargli sul groppone; e quel terremoto era Kuara.
“Ah, sì? E voi avreste la coscienza di lasciarmi qui?”
“Certo.”
“Sapendo che in ogni caso fuggirò, anche sola? Sapendomi sperduta per il mondo, senza protezione alcuna?”
Kisala e Makau la fissarono, infine lei rise e lui cacciò uno sbuffo.
“E’ proprio tua cugina.” Borbottò, prima di andare a svegliare Himoro e Talana, ed evitando rumori che avrebbero destato anche gli zii di Kisala.
Compirono quel rituale nella notte, e al mattino dopo Kagome pianse a lungo la scomparsa della figlia.
Inuyasha, immediatamente consapevole di cosa fosse avvenuto, si diresse verso la propria stanza, come una furia: avrebbe recuperato la Shikon No Tama, attraversato il pozzo, preso per i capelli la figlia e costretta a un castigo di tre anni almeno…
Ma i suoi buoni propositi caddero come un castello di carte, quando s’accorse che con la primogenita era sparita anche la sfera.

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Capitolo 26
*** Profumi e corse ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO

Kisala socchiuse gli occhi feriti dal sole; cicale cantavano per i prati, e questo la fece subito sorridere; tastò sotto di sé, pensando forse di trovare soffice erba, e invece rimase di sasso nel trovare… un sasso.
Ciò riportò immediatamente tutta la sua coscienza al posto che le spettava e, senza badare alla nausea, si alzò, scrutando dove fosse capitata. Era in un prato, sì, ma aveva avuto la sfortuna di atterrare sull’unico masso degno di questo nome, così grande da svettare al di sopra dell’incolto mare verde. Notò tracce di sangue, e portandosi una mano al volto si rese conto che era suo: ritornando nella propria epoca, doveva aver preso una bella facciata contro quella pietra.
Eppure non fu mai così felice di un risveglio.
Annusò rilassata la calda aria estiva, portatrice di profumi tutti particolari, odori e anche puzze, forse, ma niente di eccessivo, che le ferisse i sensi; oh, sì: era davvero a casa!
Il teletrasporto l’aveva riportata sulla montagna vicina a quella di Talana, facendola di nuovo tornare alla realtà sola, e forse avrebbe dovuto sbrigarsi nel partire alla ricerca dei compagni sparsi chissà dove, ma una calma interiore appena ritrovata le impose di godere ancora qualche minuto dell’abbraccio della natura.
“Ehi! Eccola là!” La voce fu portata dal vento, e Kisala si rese conto che quel fenomeno era possibile solo in quella patria di silenzio: in città, avrebbe anche potuto sgolarsi, prima che qualcuno la sentisse.
Himoro da lontano agitò le braccia, salutando quella figura in controluce seduta su di una roccia, la chioma smossa dal vento; Kisala, invece, vide qualcosa che la sorprese non poco: il demone gatto sembrava decisamente nei guai, intento a trascinarsi dietro due figure all’apparenza matte come cavalli.
Il vento condusse generosamente altri suoni, dapprima stridule note della solita canzoncina a proposito di cornacchiette e ranocchiette, e poi un urlo, una voce femminile, che con tutta sé stessa implorava di lasciarla correre, nel nome di Dio!
Infine, il gatto fu costretto a mollare almeno lei, Kuara, che percorse gioiosamente e senza mai affaticarsi il grande prato, in cerchi concentrici attorno al masso di Kisala, il caschetto scomposto come non mai; attento a non farsi investire da quella furia, Himoro la raggiunse, sempre tenendo il canterino Makau.
“Non sono riuscita a tenerla, scusa.” Le si rivolse il demone gatto, mentre Makau la etichettava col nome di Casilda.
“Oh, lasciala correre. Sembra felice.” Sorrise, e una mano scese involontariamente verso la nuova spada che le ornava il fianco.
“Pazza, vorrai dire.” Però ricambiò la sua espressione beata: sì, anche se fuori di testa per il teletrasporto, Kuara era praticamente al settimo cielo, e lo esprimeva con tutte le sue energie, in quella forse inutile ma bellissima corsa. “E se la morde un serpente?”
“La cureremo, sperando che impari la lezione.” Kisala sghignazzò, sentendo uscire dalle proprie labbra una voce responsabile, quasi di tutrice: si sentì vecchia. “E’ in mondo sconosciuto adesso, e più imparerà, più probabilità avrà di arrivare a domattina.”
“Ti sei presa una bella responsabilità, a portarla via.”
Kisala tacque, accettando di buon grado un fiore che Makau, questa volta denominandola Luisa, le porgeva canticchiando. Infine, si decise a rispondere:
“Dì la verità: tu avresti lasciato una tua parente in un tempo come quello?”
“No.”
Aveva davvero corso fino a scoppiare, la ragazzina, crollando a terra ridente e pericolosamente vicino ad un altro masso; Himoro si precipitò a raccoglierla, e nonostante lei fosse momentaneamente convinta circa la sua seconda vita da rapinatore di gentili fanciulle, e si difendesse strenuamente, riuscì comunque a portarla dalla mezzo demone e dall’altro matto.
Talana ancora non si vedeva, e cercarla con quei folli era praticamente impossibile; ma solo dopo qualche ora, quando i due aveva più o meno recuperato gran parte delle attività celebrali, arrivò il simpatico polipo argentato, con un messaggio: Dagli Tessaiga e la zanna, quindi dai a me tre giorni. Talana.
Trattenendo l’emozione che le stringeva il cuore, ella consegnò i due preziosi oggetti a quel robot, promettendogli atroci sofferenze e zampe strappate nel malaugurato caso le avesse perse. Quindi, prese Makau, e, assieme a Himoro e a una distrutta Kuara, cercò rifugio.
Nessuno di loro intuì ciò che Kuara prima di partire aveva nascosto in una delle lunghe calze a righe che le coprivano le magre gambe fin quasi all’orlo della corta gonna. E fu un male. Fu un male soprattutto perché qualcun altro, non lontano da loro, aveva avvertito eccome l’energia di quell’oggetto…

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Capitolo 27
*** Sogno e Fuga ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO

L’antico lago è immerso nella notte più nera e più cupa; solo un raggio di Luna, che faticosamente riesce a filtrate attraverso il tetto naturale delle fronde, ne raggiunge la superficie, donando alle acque riflessi argentati, forse magici.
Lui sta osservando con occhi non suoi; è nella mente di una creatura che non sa riconoscere; abbassa lo sguardo sul proprio corpo, vedendolo azzurrino e piumato, elegante e letale. No, non sa proprio cosa accidenti sia; almeno può riconosce quel posto?
E’ un luogo quasi sospeso nel tempo; lì tutto tace, rispettoso delle tenebre. Al centro del lago, una minuscola isoletta, sulla quale fa sfoggio di sé una piccola costruzione in pietra, una specie di tempio per bambole. E’ talmente bianco da brillare di luce propria.
Makau avverte chiaramente come la creatura di cui è ospite desidera raggiungere quel luogo; la sente muovere tremanti passi, e si accorge solo in quel momento del fatto che sia ferita a morte. Non vede come, ma avverte lo spettro dell’incoscienza che incombe sull’essere, e dentro di sé non può non ringraziare gli dèi: forse non vi sa attribuire un’identità, ma ha chiaramente avvertito la sua natura malvagia, e non può che essere sollevato da quella provvidenziale e prossima morte.
Infatti, dopo un paio di passi, la creatura crolla; nonostante la morte in arrivo, lo sguardo tremante di desiderio indugia ancora sul tempio, e infine cade sul lago, che fissa con le sue ultime forze
. L’acqua è ferma; si increspa solo nei pressi del corpo. Del corpo di quella morta, riverso sulla riva opposta al tempio, il volto immerso nell’acqua, il sangue che fluttua assieme ad un tappeto di capelli corvini…

Makau si svegliò di soprassalto, balzando a sedere e prendendo una sonora capocciata.
Mugolando, si portò le mani alla testa, maledicendo il tetto troppo basso di quella grotta nella quale avevano trovato riparo per la notte. Talana aveva chiesto loro almeno tre giorni di tempo, per forgiare una nuova spada dalle ceneri di quella vecchia, e così si erano accampati su quei monti. Lui, Kisala, Himoro e Kuara, cugina desiderosa di lasciarsi alle spalle il caotico futuro, ritrovando sé stessa nel passato.
Si spostò febbrilmente nella notte, contando i compagni ma facendo attenzione a non svegliarli; dapprima avvertì le ossute scapole della piccola Kuara, poi il lungo codino di Himoro… e infine, con un sospiro di sollievo, una forte spalla di Kisala, confusa tra la massa di capelli. Rimase lì a lungo, la mano che non voleva spostarsi da lei, per la paura che qualcuno gliela portasse via; non poté fare a meno di rielaborare ciò che aveva visto in quell’orribile sogno.
Un lago; quella strana creatura in cui si era immerso. Il tempio.
Kisala morta.
Doveva essere stato solo un incubo; un incubo causato dallo stress. In fondo, in due soli giorni aveva vissuto avventure per una vita intera, ed era logico che la sua stanca mente inventasse stupidaggini, per di più macabre.
Ma stava solo mentendo a sé stesso, e lo sapeva: ogni buon Prescelto possiede facoltà divinatorie. E il suo medaglione ora pesava sul petto, caldo come le braci dell’inferno: ciò che aveva visto non era una semplice paura, tradotta in incubo, ma la dura realtà che li aspettava.
Una lacrima scorse giù per la guancia del ragazzo; destino, sempre e solo destino! Era perseguitato da quella parola, da quello stupido concetto, che non voleva accettare, adesso meno che mai.
Rimase quasi un’ora nel silenzio, nel buio, tutti e cinque i sensi avvinti dal tatto, che gli forniva la non più ovvia certezza del regolare respiro di lei. Sapeva cosa doveva fare, ma il cuore si sentiva morire alla sola idea; eppure quell’amica, così ingenuamente immersa in sogni certamente più piacevoli dei suoi, senza saperlo aveva una sola speranza, ed albergava in lui.
No. Adesso basta scappare. Avrebbe dovuto affrontare vecchi incubi, forse, ma non avrebbe mai permesso che quella visione diventasse realtà.
Si chinò, pregando che l’udito sovraumano di lei non lo facesse scoprire; le carezzò per un istante una ciocca di capelli, così simili alla seta, quindi la baciò lievemente sulla sommità del capo, e purtroppo nella notte non vide le labbra di lei che si piegavano in un dolce sorriso.
Sgusciò fuori dalla grotta, ancora più silenzioso, incamminandosi. Sarebbe tornato solo con delle risposte, o non sarebbe tornato affatto.

Il mattino dopo, quando lei non lo vide, dapprima pensò che si fosse allontanato per sfamarsi o dissetarsi.
Dopo due ore senza notizie, era pericoloso per chiunque avvicinarla. Sedeva con Himoro e Kuara, ed entrambi temevano anche solo di fiatare, fissando preoccupati i lunghi artigli di lei che si aprivano e richiudevano, nervosamente.
Era successo qualcosa a Makau! Ne era praticamente certa, eppure non era in grado di alzarsi ed andare a cercarlo: c’era una paura, una paura vigliacca e senza un motivo di esistere, che però riusciva ad inchiodarla lì, impedendole di agire.
Ovvero il pensiero che Makau se ne fosse andato di sua spontanea volontà; non era precipitato da una rupe, né stato attaccato da un orso o da un brigante: semplicemente n’era andato, stufo di loro. Stufo di lei. Era questo il timore nel cuore della mezzo demone, era per ciò che non si azzardava a chiamare il suo nome: non avrebbe mai voluto scoprire una simile verità.
Ma no, solo la sera prima, nel futuro… le sue parole… e quel braccio attorno alle sue spalle. Aveva finto? Oppure aveva riflettuto in seguito, accorgendosi di non voler più godere della loro compagnia? E ciò sarebbe anche stato comprensibile, in fondo lei non gli aveva procurato altro che guai…
“Vai.”
“Eh?” Cadde dall’ennesimo brutto pensiero, fissando spaesata la cugina: inginocchiata accanto al tronco di un antico ed enorme albero, ricambiava il suo sguardo, con aria furba.
“Non so di cosa tu abbia paura, ma vedi di superarla: un nostro amico è sparito, e bisogna ritrovarlo.” Tacque, e Kisala capì come la cugina potesse leggere facilmente le sue emozioni. “Io ti rallenterei, quindi vai tu.”
Beh, era una persona pratica, era da riconoscere. Ed era da riconoscere anche che avesse ragione. Kisala si alzò, ripulendosi distrattamente il didietro da qualche residuo erboso.
Mise in moto il fiuto, ed iniziò una ricerca disperata, affidando lasciando soli Kuara e Himoro. Frugò su tutte le montagne, le passò palmo a palmo, non sapendo bene se desiderare di trovarlo morto, o sano ma stufo di lei; infine scese nei due villaggi attigui alle montagne, chiedendo disperatamente notizie circa un viandante dai capelli rossi.
Ma nessuno seppe dirle nulla; l’unico che forse avrebbe saputo fornire indizi adatti, un uomo che nella notte aveva venduto il suo unico cavallo proprio a un ragazzo che corrispondeva a quella descrizione, era nei pressi di un fiume, ubriaco marcio: i soldi di quella vendita avevano sfruttato tanto buon alcool.

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Capitolo 28
*** Agguati ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO

Kisala era appena sparita nel folto degli alberi, seguendo il consiglio di Kuara e precipitandosi a cercare l’amico. La ragazza fissò quella grande ed elegante cugina correre lontana, sospirò e rivolse uno sguardo di scuse a Himoro.
“Mi dispiace tu sia costretto a rinunciare alle ricerche solo per badare a me…”
“Cosa?” Lui cadde dalle nuvole, mentre giocherellava con un bastoncino.
“Tranquilla; ho come il dubbio che sia tu a dover badare a me, e non il contrario.”
Kuara rise. Ah, sì: le crisi del demone gatto, che lo rendevano totalmente inaffidabile. Si sorprese di come la prima impressione che si ha di un individuo continui a pensare così tanto sulla mente: la prima volta che l’aveva visto, le era sembrato una specie di metallaro, un reietto della società, un ribelle chissà perché rifugiatosi nel suo armadio; l’idea, e il soggetto in questione, l’avevano affascinata non poco. Ma adesso, adesso che poteva osservare la sua vera personalità – timida, paurosa e a modo suo buffa – sentì che il ragazzo non aveva perduto nemmeno una briciola di quell’aurea affascinante, e continuava ad attrarla, anche se in modo leggermente diverso.
“Cosa ne diresti di un’altra partita?” Propose lui, cercando sassolini nell’erba. Conosceva da poco, anzi da pochissimo, quella ragazzina pelle e ossa, ma già si sentiva… protettivo; sì, proprio così, per quanto lo possa essere uno pronto a scappare anche di fronte ad una formica.
“Volentieri, ma temo di non aver ancora capito qualche regola…” Un abbozzo di timido sorriso.
Con pazienza e gentilezza, gliele rispiegò nuovamente, mentre giocavano una mano di prova.
Non si accorsero di essere spiati sino a che non fu troppo tardi.

Neppure costei si era accorta di essere spiata. China sul ruscello, si sciacquava il volto, mentre lunghi boccoli rossi cadevano morbidamente in avanti.
Era una guerriera, lo si vedeva dallo spartano equipaggiamento, compresa l’antica e preziosa balestra appesa alla sua schiena e il cavallo baio che l’attendeva poco più avanti; era una guerriera che aveva passato una nuova notte all’addiaccio, sempre all’inseguimento del solito disgraziato, e che ora usava l’acqua gelida del fiume per risvegliarsi del tutto.
Rimase per un attimo con il volto gocciolante sull’acqua, intenta ad osservare la sua immagine in quell’increspato specchio naturale. Era bella, sì, con grandi occhi verde smeraldo, e quei boccoli che morbidamente incorniciavano un gran bel corpo; una donna stupenda, che avrebbe gettato ai suoi piedi migliaia di pretendenti… se solo ciò le fosse importato qualcosa.
Distrusse l’altra sé stessa con un gesto rabbioso della mano, eliminando quella faccia piena di vecchie e nuove cicatrici che la osservava con severità. Era in viaggio da un sacco di tempo, in quella missione affibbiatale dal padre. Una missione a dir poco stupida e fondamentalmente senza senso: stava inseguendo una persona che era nata per vivere nell’ombra, una persona con alle spalle il suo stesso addestramento e furba come una volpe. Un viaggio del tutto inutile, il suo: sapeva benissimo che non l’avrebbe mai trovato, a meno che non fosse stato proprio lui a volerlo.
E stranamente fu proprio quello che il fuggitivo volle.
Non lo sentì neppure, non ebbe quasi il tempo di reagire, correndo con le forti braccia verso la sua fidata balestra: lui già l’aveva afferrata, bloccandole i movimenti e puntandole un piccolo pugnale al bel collo candido.
“Ciao, sorellina.” Le sussurrò all’orecchio. “Hai voglia di fare un favore al buon, vecchio Makau?”

Balzò fuori dal nulla. Letteralmente.
Prima la foresta era stata teatro dei soliti suoni, senza che niente di anomalo mettesse in allarme uno dei due; e poi, all’improvviso, quello era saltato fuori, esplodendo dalle foglie, piombando senza pietà verso di loro.
Quello era un essere umano; un omino di mezza età, dall’attaccatura dei capelli molto alta e vuoti occhi neri. Brandiva un pugnale, e fissò con gioioso divertimento le sue due vittime.
Inutile dire che Himoro urlò.
Kuara, invece, fissò sbalordita quell’uomo così non umano, così spento e così… così morto. Emanava aria di tomba ad ogni respiro, e la fanciulla non seppe proprio cosa le ispirasse ciò, ma era certa di non essersi sbagliata: aveva davanti un morto. Cercò in quegli occhi una risposta ad un simile orrore; ma aveva sbagliato tutto: se solo si fosse concentrata sul suo collo, avrebbe visto un tatuaggio, una piccola piuma di pavone che brillava di un rosso sangue.
Himoro, al momento il più pratico e meno poetico dei due, non poteva staccare gli occhi dalla sua arma, e non seppe nemmeno lui come fece a trattenersi dalla fuga.
“Ragazzina, dammela…” Sibilò con voce dall’oltretomba. Himoro sospirò di sollievo nel vedere che non ce l’aveva con lui, ma il suo cuore si bloccò quando vide l’uomo afferrare le gambe della nuova compagna di viaggio. Doveva fare qualcosa!
Tic. Toc. Tuc. Le pietroline, quelle stesse che stavano usando solo qualche minuto prima per giocare, rimbalzarono sull’ampia fronte del nemico, seguite dalle minacce isteriche del demone gatto; l’uomo di distrasse solo un attimo dalla sua vittima, fulminandolo con lo sguardo, e una nuova pietrolina gli atterrò in mezzo agli occhi.
“Attento a non fargli troppo male, miraccomando.” Kuara scosse il capo, esasperata, ed approfittò della distrazione per mollargli una bella scarpa da ginnastica in faccia: ci mancò poco che uno strano simbolo a forma di baffo non rimase impresso sulla fronte dell’aggressore.
Si rialzò, prese per mano Himoro e con lui iniziò a correre.

“Che cosa vuoi, maledetto?” Sputò a terra, a dimostrazione di piena grazia femminile, e fece di nuovo resistenza; ma era inutile: era stata lei ad insegnare quella presa al fratellino, e sapeva quanto sapesse essere micidiale.
“Paparino ti ha mandato a cercarmi?” Makau avvicinò il pugnale alla gola pulsante di lei, ridendo. “Non dovevate disturbarvi, sto bene.”
“Non cercavamo te, ma il Medaglione! Tu non fai più parte della nostra famiglia!” “Non ne ho mai fatto parte, mi avete sempre usato come una pedina!” Tacque, pentendosi di quell’eccesso d’ira; ogni volta che associava l’immagine della sua dolce sorellina a quel mostro in cui l’aveva trasformata il padre, tratteneva a fatica la rabbia. “E in ogni caso, il Medaglione si sfilerà dal mio collo solo alla mia morte, no? Perché mi cerchi già ora?”
Mikaa non rispose. Non ce n’era affatto bisogno.
“Ah. Quindi quella balestra non te la porti solo per legittima difesa.” Rafforzò la presa, costringendola ad emettere un piccolo verso di dolore. “Mi perdonerai se non sono molto gentile, ma c’è una cosa che voglio, e la voglio immediatamente.”
“Se vuoi morire, sono tutta tua.”
“Ti piacerebbe.” La trascinò, badando bene ai movimenti delle agili gambe della sorella: era furba, agile e spietata. Un pessimo triumvirato che l’avrebbe ammazzato alla prima occasione, recuperando trionfalmente quel Medaglione che tanto disprezzava. “Allora. Dove hai messo il Libro?”
Gli occhi di Mikaa si spalancarono dalla sorpresa.

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Capitolo 29
*** Riconciliazione ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO

Kisala vagava in quella foresta, una piccola macchia verde alle pendici della montagna più maestosa di quella catena montuosa, ed era sinceramente scoraggiata: non aveva trovato né Makau, né indizi che le suggerissero cosa gli fosse accaduto e dove fosse ora; stranamente, neppure deboli tracce olfattive nell’aria, come se si fosse volatilizzato nel nulla. O come se si fosse impegnato al massimo per non essere seguito.
Doveva tornare dagli altri, ma esitava: farlo sarebbe significato ammettere di aver perso un compagno. Sì, era una cosa logica, che balzava alla sua mente anche senza doverlo annunciare a Kuara e Makau, però tornare dalla cugina e dal demone sola e senza notizie l’avrebbe sicuramente fatta star peggio.
Si sedette a terra, contemplando il sottobosco illuminato a sprazzi da quel poco di sole che strisciava tra i rami, e si perse nella contemplazione del silenzio. Una vera idiozia, visto e considerato i guai che passavano gli altri due.

Kuara cadde, inciampando goffamente e picchiando il naso; teneva ancora per mano Himoro, che non poté fare altro se non seguirla nel crollo, piombandole addosso e facendole non certo piacere.
Lo scostò in fretta, osservando con terrore quell’uomo che li inseguiva; no, non era un uomo, ed era ora che la smettesse di considerarlo tale! Un misterioso istinto, una voce del suo animo che mai aveva sentito, eppure di cui si fidava ciecamente, le urlò di nuovo che era un morto, un burattino in putrefazione mosso dagli artigli di qualche creatura.
“Non si stancherà mai…” sussurrò, sconvolta. “Non rimarrà mai senza fiato, perché non respira più.”
Himoro non si disturbò a sorprendersi delle parole della ragazza: anche i suoi fini sensi di demone l’avevano già avvertito circa la vera natura dell’inseguitore, ma questo non spiegava che accidenti voleva da loro! No, non da loro… da lei.
In effetti, che c’entrava lui, con quella storia? Se si fosse smaterializzato e l’avesse lasciata alla mercé di quella creatura, cosa c’era di male? In fondo, tutta la sua vita si era fondata su questo principio, e quello era il classico momento in cui conveniva essere prima di tutto coerenti con sé stessi…
Gli ambrati occhi di Kisala illuminarono la sua mente, occhi feroci e alla ricerca di vendetta, occhi che desideravano spolpare chi aveva permesso l’omicidio della sua cara cuginetta. Ehm, forse la fuga non era poi la cosa più conveniente.
“Vuoi invitarlo ad un the?” Sbottò ad un certo punto, afferrandola per un magro polso e tirandola; Kuara tentò di alzarsi, tremante, e appena vi riuscì ricadde, bianca come un lenzuolo. “Senti, non è il momento di svenire, va bene?”
Ma lei non l’ascoltava, i grandi occhi fissi sul loro inseguitore: ormai era prossimo, e già pregustava la vittoria, l’assalto finale alla preda, il suo sangue che scorreva copioso…
Himoro le lasciò il polso, allontanandosi inconsapevolmente di qualche passo. Stava per essere uccisa, senza che lui, solito idiota buono a nulla, potesse fare nulla…

“Il libro.” Lo aveva ripetuto pazientemente, giocherellando con la punta del pugnale sulla sua gola. La stava stuzzicando, quasi godendo di quella indiretta vendetta nei confronti dell’intera famiglia.
“Perché lo vuoi?” Mikaa per la sorpresa aveva persino smesso di divincolarsi, e rivolse uno sguardo disperato a una delle sacche appese ai lati del suo destriero, dove era custodito l’oggetto del contendere.
“Perché mi serve.” Spiegazione concreta e sincera. “Dunque, vuoi esaudire le mie richieste, o devo cominciare con qualche taglietto superficiale?”

Aveva sete, molta sete, e seguiva il rumore del fiume che scorreva, pazientemente; era un rumore continuo, una rilassante nenia proveniente da ovest, in mezzo agli alberi. Una volta dissetatasi, aveva stabilito di tornare da Kuara e Himoro, e dare loro la triste notizia della ormai accertata scomparsa (fuga) di Makau.
Camminava svogliatamente, i passi più pesanti del solito e il capo chino, lo sguardo che si perdeva senza meta nel terreno. Sola, in mezzo a quegli alberi.
Ecco lo scrosciare del fiume, sempre più forte, sempre più possente; Kisala sorrise a malapena, lieta di poter quietare se non il suo animo almeno la sua sete, e intravide il serpente argentato che si snodava tra le piante, creando per sé una piccola radura. Lo raggiunse, senza minimamente aspettarsi l’incontro che l’attendeva.

Il balzo fu perfetto, una parabola che ebbe il suo culmine a qualche metro da terra, e l’atterraggio sarebbe stato ancora più magnifico, con il coltello esattamente piantato in quella giovane carne.
Himoro urlò qualcosa che Kuara non comprese chiaramente; fissava esterrefatta quella morte che la raggiungeva a tutta velocità, non capacitandosi che la propria esistenza dovesse finire così.
Il demone gatto infine si decise ad intervenire, forse non volendo fare altro che mettersi tra lei e l’arma; e fu allora che accadde l’impossibile.
L’aurea dorata nacque dal nulla, avvolgendo in una luce materna Kuara; l’avvolse in quella mezza cupola, e nessuno si accorse che l’esatto epicentro della stessa era in piccolo, tondeggiante rigonfiamento in una delle calze della fanciulla. Forse non se ne accorsero, inseguitore ed alleato, perché il primo troppo impegnato a disintegrarsi, diventando polvere, e il secondo sbalzato molti metri più in là, stordito ma sano.
Kuara non osò muoversi, credendo tutto ciò una sua allucinazione; lentamente, cessato il pericolo, la barriera si affievolì, sino a dissolversi, e fu solo con un gentile tocco sulla spalla da parte del demone gatto che ella tornò in sé.
“Cos’è successo? Cos’è stato?”
“Credevo lo sapessi tu…”

“Makau!” La voce gli giunse alle spalle, e non dovette certo voltarsi per riconoscerla. Come accidenti aveva fatto a rintracciarlo? Aveva fatto di tutto per cancellare le proprie tracce, eppure eccola lì, Kisala, giunta in un momento decisamente inopportuno. Il ragazzo non poté certo immaginare che vi fosse capitata per caso, e sentì di rispettare molto gli acuti sensi le avevano permesso di ritrovarlo; anche se non era proprio ciò che voleva. “Che cosa stai facendo? Chi è quella?”
Mikaa osservò quella fanciulla, sbucata dalla foresta con gli occhi fissi sul fiume, e accortasi solo in un secondo momento dei due fratelli. Aveva grandi occhi ambrata e un elegante coda nera; la ragazza avvertì chiaramente la forza di quella creatura, e ne distinse subito l’indefinita natura.
“Stai tranquilla, Kisala, va tutto ben…”
“Non dirmi che va tutto bene! E leva quel pugnale dal collo di quella poveretta!”
“Così adesso tra le tue conoscenze si annoverano schifosi mezzi demoni?” Intervenne Mikaa, e buon per lei che non trovò altra saliva con cui sputare, altrimenti la sua parte nella storia sarebbe finita immediatamente.
“Ho cambiato idea: accoltellala.” Decise Kisala, fulminandola.
“Ehm… Kisala, questa è mia sorella. Mia sorella, questa è Kisala…”
“Non osare presentarmi a quel rifiuto della società!” Istintivamente, provò uno scatto da anguilla, che però non portò a nulla.
“E’ proprio simpatica.” Ammise Kisala, estraendo la vecchia spada.
“Un vero fiore di fanciulla.” Convenne Makau. Accidenti, però le cose non stavano affatto andando come aveva progettato! Era partito di notte, senza dire nulla a nessuno, solo perché aveva ormai da tempo la chiare percezione di Mikaa sulle sue tracce, e del Libro in viaggio con lei. Niente di troppo pericoloso, depistarla era un vero spasso, ma quando aveva capito che le serviva per poter consultare quel manoscritto, aveva deciso di evitare un’imbarazzante incontro tra i suoi nuovi compagni e quel residuo del suo vecchio passato. Forse però certe cose sono proprio inevitabili; come la morte, o come delle formiche ad un picnic.
“Il libro è nella tasca destra, al fianco del cavallo.” Borbottò infine Mikaa, consapevole della situazione di stallo completamente a suo sfavore.
“Segui le istruzioni e prendilo, Kisala.” Makau osservò attentamente l’amica che, dopo qualche incertezza, si avvicinava al baio, aprendo la sacca, e trovandovi un vecchio manoscritto, rilegato in pelle. Strani simboli dorati ne adornavano la copertina, simboli che non la fecero sentire bene. “Sì, è proprio quello; adesso, sorellina, mi scuserai, ma devo congedarmi.” Con una mano le afferrò quel punto speciale tra la terza e la quarta vertebra, e Mikaa cadde a terra, svenuta. Avrebbe dormito per un bel po’, e Makau non seppe se preoccuparsi o sperare dell’attacco di qualche berlva feroce durante la sua incoscienza.
Kisala stringeva il libro al petto, fissando sorpresa quel ragazzo pieno di sorprese: prima scappava, nascondendosi alle sue ricerche, e poi lo ritrovava intento a minacciare la sorella, il tutto per quel libro?
Si era preoccupata, preoccupata da morire, perché lui aveva da rubare uno stupido e puzzolente manoscritto?
“Idiota!” Sbraitò, lanciandogli l’antico e prezioso oggetto esattamente in mezzo agli occhi, quindi si voltò, furiosa, senza prestare orecchio alle sue lamentele, e si avviò nella foresta, intenta a raggiungere gli altri; dopo un po’, sentii chiaramente i suoi passi. Camminava dietro di lei. Erano di nuovo insieme.

Ritrovarono Kuara e Himoro la sera, esattamente dove li aveva lasciati, solo che con due occhi grandi così. “Suppongo di non essere stata la sola ad aver avuto una giornata movimentata…” Commentò Kisala. Il resto della notte fu speso in racconti.

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Capitolo 30
*** COMUNICAZIONE DI SERVIZIO ***


RAGAZZI, QUESTO NON E' UN CAPITOLO, COME AVRETE GIA' INTUITO DAL TITOLO. PURTROPPO, HO IN VISTA UN ESAME ATROCE E NON POTRO' PIU' AGGIORNARE SINO AL SEI - SETTE LUGLIO.
SCUSATE, SPERO DI AVER DIMOSTRATO SINO AD OGGI QUANTO TENGO AD AGGIORNARE REGOLARMENTE... NON SAPETE CHE FASTIDIO MI DA DOVER SOSPENDERE ADESSO, SOPRATTUTTO ORA CHE TANTE DOMANDE CHIEDEVANO RISPOSTA. SPERO DI RITROVARVI TUTTI QUI, IL SEI O IL SETTE, ANCORA PRONTI A FARVI SORPRENDERE DA KISALA E COMPANY.
BUONA SETTIMANA A TUTTI (PERCHE' PIU' DI UNA SETTIMANA IN FONDO NON E' NO? ;) ), SPERO CHE LO SPIRITO DI MAKAU O HIMORO MI SUGGERISCANO NEL MOMENTO DEL BISOGNO!
VI VOGLIO BENE,
CIAO A TRA UNA SETTIMANA! ^_^

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Capitolo 31
*** Spiegazioni Mancate ***


CAPITOLO TRENTESIMO

“Viene dato solamente al primogenito del Capo Clan… è un concentrato di conoscenze sulle razze e gerarchie demoniache.” Makau spolverò attentamente l’antica copertina, lasciando scivolare i polpastrelli sull’incisione del titolo. Un gesto che aveva visto fare molte volte alla sorella, detentrice dell’onore – o onere – di poter consultare il testo. “Non ne esistono altre copie; il giovane, o la giovane, cui viene affidato è tenuto ad impararlo a memoria. Per questo Mikaa lo aveva con sé.”
“Da quanto tempo eri a conoscenza del fatto che quell’invasata ti cercava?” Kisala lo interruppe malamente; sedeva accanto alla cugina, un braccio attorno alle esili spalle della giovane.
Un gesto materno, protettivo, del quale Kuara aveva sicuramente bisogno, considerando i traumi vissuti solo qualche ora prima. Però egoisticamente Makau sentì una sorta di vuoto, sia nel cuore che nello spazio: da quando l’aveva conosciuta, ogni sera, la mezzo demone aveva sempre trovato posto accanto a lui, inconsapevolmente permettendogli dolci ore passate ad osservare il riverbero delle fiamme sulle sue forme.
Attratto da le? Sì, lo era. Spaventato di ammetterlo? Ancor di più.
Ora l’oggetto di quelle elucubrazioni se ne stava in disparte, coccolando sì la cugina, ma soprattutto usandola come barriera tra loro due. Gli rivolgeva a volte occhiate diffidenti, di creatura tradita ed abbandonata. Makau sospirò.
“Perché te ne sei andato senza dire niente?” Himoro si allungò verso di lui, afferrando quel manoscritto fonte di tanta discordia. Lo sfogliò svogliatamente, rabbrividendo di tanto in tanto, forse in prossimità di accurate spiegazioni circa lo sterminio dei demoni.
“Ci hai fatto preoccupare! Mi hai costretta a cercarti per foreste e monti, e Kuara ha rischiato di morire!” C’era anche un’altra accusa sottintesa, una condanna per aver spezzato quella fiducia così faticosamente riottenuta dopo aver confessato la sua vera identità, e il giovane avvertì una fitta all’animo.
Quella notte, quando spaventato li aveva abbandonati, i pensieri che correvano solo al libro che intendeva consultare, sapeva che molto probabilmente la sua azione sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Che forse lei non l’avrebbe più voluto con sé, considerandolo un voltagabbana.
Eppure, adesso era con loro, condividendo di nuovo l’accampamento. Nonostante la distanza di Kisala, non poté fare a meno di sentirsi un po’ meglio. Le ramanzine e gli urli erano un giusto dazio, pur di godere della loro compagnia.
“Se ho agito così, ho i miei motivi…”
“Ovvero?”
Makau spalancò la bocca. Lo fece con tutta la buona volontà del mondo, pronto a confessare ogni particolare del sogno: ma non avrebbe narrato una semplice visione onirica, e lo sapeva. Ciò che aveva visto era il futuro, e ciò che aveva visto nel futuro era il cadavere di quella fanciulla che ora gli lanciava sguardi di fuoco.
Poteva annunciarle che presto sarebbe morta?
Le labbra si richiusero, il capo si abbassò. Kuara avvertì con sorpresa l’innalzamento della temperatura di Kisala, e timidamente si scostò dalla cugina, cercando rifugio nei pressi di Himoro, anch’egli in stato d’allerta. Makau, invece, non ebbe neppure bisogno di osservarla, per comprendere la furia che stava covando. Si scusò, più e più volte, ma lo fece solo mentalmente. E Kisala, come tutte le creature di questo mondo, era impossibilitata alla ricezione di messaggi telepatici.
“Non sei più il Prescelto!” Esplose infine. “Non sei isolato, o costretto al mistero, o chissà quali altre idiozie ti abbiano messo in testa! Viaggi con noi! Non meritiamo forse la tua sincerità?”
“Io…”
“Tu un bel paio di…”
Himoro, con un coraggio degno di un leone, aveva posato una mano sulla spalla della fanciulla, interrompendola nell’acuto maggiore.
“Forse ha delle buone ragioni.” Osservò.
“Se le ha, che le dica!”
E di nuovo il silenzio che incombé su di loro come un manto gelido; Makau non era il solo a covare un segreto.
Nessuno, infatti, aveva saputo dare logica spiegazione all’attacco subito da Kuara e dalla barriera che l’aveva protetta. E lei, paurosa di essere ricondotta a forza nel futuro, si era guardata bene dallo spiegare come stavano le cose, approfittando della distrazione creata dalla sparizione di Makau.
“Buonasera a voi.” Si voltarono di scatto, i nervi a fior di pelle.

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Capitolo 32
*** Nuova Tessaiga ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO

“Che facce sbattute.” Non era una domanda, come al solito, ma una scientifica osservazione; stranamente, pure un po’ beffarda. Talana, poggiata a quel vecchio albero, visibile solo grazie ai riflessi del fuoco, sorrise. “E’ pronta.”
Kisala dimenticò ogni cosa. Attentati alla cugina, fuga e misteri di Makau… niente aveva importanza. La testa ridotta ad una tabula rasa. Balzò in piedi, scattando verso la demone, la quale con orgoglio le porgeva quel logoro fodero contenente Tessaiga.
Nella notte vi fu un sussurro di voci lontane, di voci defunte, ricordi di coloro che avevano forgiato, impugnato e amato quell’arma. Deglutì, rispettosa, infine fece forza. L’enorme lama bianca fu libera, esplosa dalle mani della mezzo demone, che a fatica la reggeva, gli occhi pieni di ammirazione.
“Hai aggiunto la zanna di mio…?” Ma era una domanda retorica: pur essendo solo la seconda volta che aveva l’onore di impugnarla, ne avvertì con chiarezza la nuova potenza, un fiume di energia che liberamente scorreva dall’elsa ai taglienti bordi, così grande da risultarle quasi impossibile un completo controllo.
“E’ bellissima!” Kuara balzò in piedi, avvicinandosi quasi con reverenza a quella che per lei era sempre stata una vecchia arma senza alcun valore; studiò il candore quasi abbagliante che la caratterizzava, e sorrise con complicità alla cugina.
“Provala, no?” Talana, non mancò di notare il timore con cui la mezzo demone reggeva quel tesoro; ed era cosa sbagliata: ammirare e rispettare la propria arma è segno di onore per ogni guerriero… ma adorarla e credere di non esserne all’altezza causa più morti della fame!
“Sì, certo.” Fortunatamente, Kisala trovò la forza per superare quell’iniziale stupore, cercando qualcosa o qualcuno su cui sperimentare i poteri di Tessaiga.
“Avrei bisogno di un avversario…”
“Perché guardi me?” Domandò Himoro con voce stridula.

Un solo membro del gruppo era rimasto in disparte, accoccolato nei presi del fuoco, un antico libro aperto in grembo e le labbra che velocemente bisbigliavano alla notte ciò che leggeva.
L’apparizione di Tessaiga, quell’armonia che sprigionava l’arma tra le mani di Kisala, lo avevano certamente incantato. Ma si era riscosso subito: sapeva di dover approfittare di quel momento di distrazione comune per ritrovare in quel vecchio libro ciò che lo interessava. Altrimenti, che senso avrebbe avuto rischiare una decapitazione ad opera della dolce sorellina?
Aveva bene in mente cosa cercare: demone piumato. Lo stesso in cui si era immedesimato in quel sogno – profezia! Non sogno, profezia! – , lo stesso che agognava a quel misterioso tempio al centro di quel misterioso lago. Una creatura di un freddo ed infernale azzurrino, dalla corporatura elegante ma letale… un po’ come Kisala.
Alzò distrattamente lo sguardo, richiamato da alcune urla. Urla del demone gatto, usato come innocente cavia per sperimentare la nuova spada della giovane, il suo terrore ostentatamente ignorato da Kuara e Talana, immerse in una fitta conversazione. Himoro non era certo avversario degno di Tessaiga, tanto più perché non sapeva fare altro che fuggire, senza rispondere a un solo colpo, ma sempre meglio di niente, no?
Appena l’aveva vista brillare nel buio, fredda come la Luna, Makau ne aveva avvertito l’immensa potenza, e con un tuffo al cuore aveva compreso che neppure quell’arma avrebbe potuto salvare l’amica dal destino che l’attendeva. Non sapeva bene cosa glielo aveva fatto sentire, ma da anni ormai aveva imparato a fidarsi ciecamente del proprio sovrannaturale istinto.
Voltò pagina. Demoni melma. Che schifo.
Himoro, dall’alto della quercia sulla quale si era arrampicato veloce, appunto, come un gatto, fece la linguaccia a Kisala. Qualche minuto dopo, l’arboreo rifugio crollò miseramente a terra, tranciato di netto dalla spada.
Voltò pagina.
Eccolo.
Le pupille nere al centro delle fredde iridi azzurre si spalancarono, distinguendo in quell’antico disegno ogni particolare della creatura che aveva in mente. Ricoperta di piume, i piedi terminanti in due enormi artigli, il nulla al posto del naso e della bocca.
Non era spaventoso, e neppure esageratamente letale, almeno a prima vista. Il ricordo dei capelli del cadavere di Kisala fluttuanti nell’acqua misero a tacere quelle stupide osservazioni.
“Lyio, demone del vento!” Era strisciata silenziosamente alle sue spalle, sbirciandogli la lettura, spaventandolo non poco. “Una creatura pericolosa, ma interessante.”
“Ho come l’idea che per te tutto sia interessante.” Makau sorrise a Talana, che gli si sedette accanto e gentilmente gli prese dalle mani l’antico manoscritto, creato appositamente per sterminare la sua razza. Lo lesse attentamente, borbottando qualcosa circa qualche errore di forma, quindi gli piantò negli occhi uno sguardo decisamente poco piacevole.
“Tu sai cosa sta succedendo.”
“Più o meno. E tu cosa sai?”
“Kuara mi ha raccontato tutto, dall’attacco subito, al tuo comportamento… e io conosco i poteri di un Cacciatore.” Concluse, lasciando intendere il resto all’intelligenza dell’umano. Volse il capo verso Kisala, alleatasi alla cugina nell’inseguimento di Himoro. “C’è qualcosa che non puoi dire a loro; e a me?”
“Hai detto che si chiama Lyio?” Se c’era una cosa in cui il ragazzo era esperto, era contrapporre ad una domanda un’altra. Talana non si perse d’animo, annuendo:
“Sì. Non è immortale, ma molto potente. Uccide per succhiare le anime e vivere più a lungo.” Makau riprese il libro, con profondo disgusto nei confronti dell’illustrazione. “Può creare dei fantocci umani, copie perfette, zombi ai suoi ordini.”
“Zombi… Come…?”
“Sì, come quello che ha attaccato Kuara.”
“Chissà che accidenti vuole da noi.” Borbottò il ragazzo, leggendo le scarne informazioni poste a lato del disegno. Forse c’entrava quel tempio? Certo che sì, ma chissà con quale arcano collegamento!
“Senti” Talana gli poggiò una mano sul braccio, amichevolmente, sorda alle implorazioni provenienti dal folto della foresta: Kisala doveva infine aver raggiunto Himoro. “io non so esattamente cosa vuoi tenere nascosto a tutti. Anche se sono certa tu abbia le tue ragioni. Ma c’è una cosa che dovresti sapere: il demone che condivide queste montagne con me, quel demone che uccide e lascia i cadaveri in giro… è Lyio!”
Makau udì le allegre risate di Kisala e Kuara, alle quali dopo un po’ si unì anche quella più incerta di Himoro. Nonostante la notte non fosse troppo fredda, tremò.

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Capitolo 33
*** In Cammino ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO

“Ma… ma sei sicuro?” Arrancava faticosamente, tenendo a malapena il suo passo; Makau non sembrò considerare la cosa, proseguendo in lunghe falcate.
“Sicuro, sì. Perché?” Da un po’ evitava di guardarla negli occhi, da quando aveva inventato quell’ennesima bugia (beh non era poi tanto una bugia, quanto una scusa campata per aria), spingendoli ad allontanarsi da quella pericolosa montagna.
“Perché rischi di essere ammazzato.” Ovvia spiegazione, che però non lo distolse dalle sue idee.
Poco più indietro, Kuara e Himoro li seguivano, la prima cavalcando un vecchio e pigro cavallo, le briglie tenute da Talana. Avevano a disposizione solo quella non troppo fresca cavalcatura, e di comune accordo avevano stabilito di cederla alla giovane umana, che godeva ora della sua prima cavalcata.
“Proprio non lo capisco.” Borbottò Himoro, facendo un cenno del capo verso le spalle di Makau, sempre seguite dai tentativi di conversazione di Kisala. “Adesso gli è preso il brizzo di andare da Sesshomaru! Secondo me è uscito di testa.”
Talana non rispose, ma sorrise impercettibilmente. Una volta appreso di essere in pieno territorio nemico, il Cacciatore di Demoni aveva stabilito di dover trascinare via di lì il gruppo… purtroppo, non godendo esattamente della loro piena fiducia, non poteva certo pretendere di essere seguito senza qualche scusa… e così, aveva usato la più folle. E suicida.
“Vuole semplicemente che il Principe dei Demoni insegni alla figlia un corretto utilizzo…”
“… Della spada!” La interruppe, stufo di sentire di nuovo quella storia che non lo convinceva del tutto. “Sì. Ma con tanti insegnanti al mondo, proprio…?” Il demone gatto scosse la coda bionda. “Ci ha seguiti per mari e per monti, voleva ammazzarci!”
“Che bello, vedrò mio zio!” Esultò Kuara, dando una leggera pacca sul collo dell’animale. “Che tipo eh?”
“Tipo che ti sgozza.”
“Ah.”
“Scusa, ma tu perché ci segui? Amante degli omicidi?” Himoro rivolse uno sguardo critico a Talana.
“Spiritoso.” L’occhiata che gli rivolse lo fece sentire un idiota completo; un giochetto psicologico brevettato dall’astuta demone, che una volta di più se ne sentì orgogliosa. “Voglio solo controllare come funziona Tessaiga: non ho mai fatto un esperimento del genere!”
“Come no: tu vuoi i nostri corpi per vivisezionarli e studiarli!”
“Può essere.” Concesse, ben consapevole di causare un mezzo arresto cardiaco al demone. “Se hai paura, puoi anche non venire…”
Himoro fu tentato. Davvero. Come un assetato che scorge lo zampillio di una fonte, meditò seriamente su quella possibilità, lasciandosene man mano avvincere; ma alzando inconsapevolmente lo sguardo su Kuara, espressione beata mentre cavalcava.
“No. Vengo.” Concluse, ed evitò l’ulteriore sorriso furbetto della demone. Accidenti, era proprio una scienziata: da sola sembrava saperne su tutti loro più che chiunque altro! Ed erano informazioni ottenute grazie ad una costante, attenta osservazione. “Non sarò forse utile, ma voglio venire.”
“Dritti nella bocca del leone.” Kisala scosse il capo, mentre si adoperava per scendere attentamente una dolce pendice della montagna, adornata di florida foresta.
“Beh, non sei contenta di poter provare la tua arma su degno avversario?” Lei di malavoglia accettò una sua mano, appiglio nella discesa in un punto particolarmente ripido.
“Non so come reagirà lui… Anzi lo so, e non mi tranquillizzo affatto! Oh!” Un piede cedette, lei cadde addosso a lui, la testa che gli si appoggiò al petto, il corpo circondato dalle sue braccia. “Accidenti, abbiamo sceso un brutto punto da cui scendere!” Si staccò il più in fretta possibile, anche se non riuscendo a liberarsi del tutto dalla calda prigione delle sue braccia. Si voltò con preoccupazione verso Kuara e la sua cavalcatura, temendo che il cavallo avesse dei problemi. Ma l’animale, saldamente tenuto da un’attenta Talana, non dava segni d’incertezza, scendendo agevolmente, anche se utilizzando un’altra strada, di una decina di metri più lontana da loro, meno ripida. “Come al solito, lei ha fatto la scelta migliore.”
Makau la teneva. Sapeva che se entro dieci secondi non avesse abbassato i tentacoli, lei avrebbe estratto la spada e lo avrebbe ridotto a brandelli… però non riusciva a far sì che l’ordine del cervello arrivasse ai muscoli: c’era qualcosa a metà che lo bloccava, e forse l’incursore misterioso era proprio il cuore.
Lei non alzò gli occhi. Non fece forza per dividersi da lui. Sentiva sotto una sua mano il forte e regolare battito, così simile a quello che, da bambina, udiva poggiando l’orecchio sul morbido petto della madre. Era così rassicurante…
“Io… ho pensato.” Esplose infine, ma sottovoce, così che lui dovette chinarsi leggermente, per udire quel discorso soffiato. “Non so cosa tu abbia in mente, non so cosa tu sappia. Però, sai…” Due meravigliose iridi color ambra lo inchiodarono, fermano il mondo, il tempo, la vita. “… Ho pensato che mi fido di te. So che se ci sarà qualcosa che io debba sapere, tu me la dirai.”
Makau deglutì. Ora sì che era riuscito a staccare le mani, facendo ricadere le braccia lungo i propri fianchi. In quegli occhi leggeva sincerità, fiducia senza limiti. Non erano parole buttate lì tanto per dire, per spingerlo ad essere sincero, ma una confessione proveniente dal profondo dell’animo.
Gli credeva. Non sapeva neppure lei a cosa credesse credendo a lui, ma aveva ugualmente deciso di appoggiarsi a quell’amico, così come ora faceva, una mano attorno al suo collo, l’altra delicatamente poco sopra del ventre. Chiedeva solo di sapere ciò che lui avrebbe considerato utile farle sapere.
La futura morte rientrava nelle informazioni che lei avrebbe gradito ricevere? Sì. Certo. Lei si fidava, a patto che lui fosse sincero sulle cose più importanti! E infatti…
“Grazie per la fiducia.” Sorrise, allontanandosi da quelle labbra così vicine, e riprendendo la discesa. “Se ci sarà qualcosa che dovrai sapere, non esiterò a comunicartela.”
Bugia. Bugia grossa quanto un elefante. Si sentì peggio di un ammasso di feci, e la sensazione peggiorò quando lei gli sorrise con spensieratezza, seguendolo.
“Però…” Kisala riprese il cammino, ridendo un poco. “ Però, pur non sapendo nulla, ho come la sensazione che siamo in un guaio. Un grosso guaio.”
“Sì.”
Poco più lontano da loro, Himor con terrore elencava le torture cui il Principe dei Demoni li avrebbe sottoposti; non si sa bene perché, ma Kuara lo trovò spassoso.

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Capitolo 34
*** Caccia Grossa ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO

“Il castello è oltre quella montagna. Potremmo fermarci per la notte.” Lo aveva proposto già sedendosi, cosa che non ammetteva repliche. “Credo che dovremmo arrivare da mio padre come minimo ben svegli.”
“Più che ben svegli, armati sino ai denti!” Nessuno badò al commento del demone gatto, che si apprestava ad aiutare Kuara a scendere da cavallo.
“Rilassati: scommetto che lo zio sarà felicissimo di vederci!” Ella, dopo essere scesa, concesse all’animale che così pazientemente l’aveva portata in groppa qualche carezza. “In fondo, conoscerà la sua unica nipote no?”
“E la darà in pasto ai lupi.”
“Himoro! Non la spaventare inutilmente!” La mezzo demone, a gambe incrociate su una grossa radice, lo riprese.
“Il guaio, cara, è che i miei commenti corrispondono alla cruda realtà.”
“Teoricamente, Tessaiga è una garanzia di sopravvivenza.” Osservò Talana, sedendo accanto alla mezzo demone, gli occhi persi nel tramonto che infuocava il cielo e la pianura circostante.
“Con avverbi come teoricamente o probabilmente non sopravvive nessuno!” Fu il borbottio di risposta. “E tu, disgraziato, non avevi altre idee da metterle in testa?”
Il disgraziato lo degnò di una breve occhiata e un ironico sorriso, elaborata maschera che ne nascondeva il travaglio interiore; come spesso lo avevano visto in quegli ultimi due giorni, di nuovo tra le mani aveva il libro aperto, che studiava con stoica tenacia, anche se disperando di trovare altre informazioni utili sul demone.
“Beh.” Kisala si rialzò, stiracchiando muscoli forse non indolenziti dal cammino, ma certamente sullo stanco andante. “Direi sia ora di procurarsi una cena!”
“Aspetta!” Kuara la fermò precipitosamente. “Questa sera posso fare io?”
Kisala rise. Rise sinceramente, di gusto, poi vide l’espressione seria della cugina e tacque. “Ehm… puoi raccogliere qualche erba aromatica…”
“No, no! Devo pur ambientarmi in quest’epoca!” Si guardò attorno con gioia; gioia folle, ma pur sempre gioia. “Se vivrò qui, dovrò imparare a cacciare, non trovi?”
Tutto ciò che la mezzo demone trovava era un macabro senso del ridicolo a pensare la cugina in lotta con un orso; l’aveva portata con sé, certo, ma mai aveva ipotizzato di istruirla a cose come la lotta o la caccia. Però aveva un’espressione dannatamente seria. Sì, ma che idiozie erano? Insomma, quella era una giovane femmina che…
Oddio. Stava pensando come suo padre! Kuara era una femmina equivaleva a Kuara era una povera incapace? Sì, la mente le rispose con spiazzante velocità. Accidenti, proprio lei che si era con tale forza ribellata alle idee paterne, ritrovarsi ad applicarle come una stupida!
Nel mentre di quel monologo interiore, l’espressione della cugina passò da fredda determinazione, a fremente attesa, a deludente delusione… sino a che Kisala non le sorrise. “Hai ragione. Vai, e fammi vedere quel che sai fare!”
“Sì!”
“Non vorrai farla andare da sola?” Makau aveva trovato il tempo per riemergere dalle sue letture ed intervenire.
“Certo che no!” Fece una faccia offesa. “Himoro, vai con lei!”
“IO?”
“Non mi sembra una soluzione molto intelligente!”
“E’ mia cugina! Sono affari miei no?”
“Ah è vero: falla ammazzare come ti pare!” E rimise il naso tra le pagine. Il demone gatto e la fanciulla erano già corsi su per una collina; Kisala, offesa, si avviò in ricerca di legna e Talana sospirò, sorridendo. Che manica di pazzi.

“Himoro… posso chiederti una cosa?” Camminavano fianco a fianco, il demone gatto che rabbrividiva alle prime ombre della notte, lei che con i grandi occhi scrutava tutto ciò che sembrava una preda.
“Sì, certo.”
“Come si va a caccia?”
Al demone cascarono le braccia e altre parti del corpo. “Ti sei offerta di andare a caccia, e non sai nemmeno da che parte si comincia?”
“Beh, no.”
“E se io non fossi venuto, che avresti fatto?”
“Sinceramente, non so.”
Tacquero, lui che borbottava qualcosa a proposito di una carenza di materia grigia che evidentemente doveva essere marchio di famiglia, lei in attesa di istruzioni adeguate.
“Insomma, cosa devo fare?” Chiese infine, spazientita.
Himoro la guardò. Cupamente. “Che ne so. Nemmeno io sono mai andato a caccia!”
“Ah.” Perse le parole, ma ne recuperò subito delle altre. “E dimmi, tu hai almeno un vago senso dell’orientamento?”
“No, perché?”
“Uhm, allora ci siamo persi.”
“COSA?”
“Guarda, un coniglio! Prendiamolo!”

“Sei stata una maledetta incosciente!” Borbottò, chiudendo il libro. Per quella sera aveva finito di leggerlo, causandosi uno stress indicibile: accidenti, era completo di spiegazioni su ogni razza e specie… una Bibbia sui demoni… e l’unica creatura appena accennata era quel Lyio! “E se dovessero venire attaccati nel bosco?”
“Tsahugi.” Rispose Talana, mentre Kisala, senza badare alla predica del giovane, accendeva un allegro fuocherello.
“Come?” Alle sue orecchie, era sembrata una parolaccia del dialetto tipico della zona in cui era nato. Ma gli sembrò strano che Talana gli desse del figlio di **** ****** con **** montato a ***** . Quindi chiese maggiori ragguagli.
“Tsahugi.” La demone sbuffò, come ogni volta in cui doveva spiegare qualcosa: ma era pura finzione, dato che adorava tenere lezione. “Ne ho attaccata una a Kuara: registra il suo spettro vitale ed eventuali variazioni: in ogni momento posso sapere dov’è, come sta e cosa sta facendo!”
“Dopo che ha saputo di quell’attacco, Talana mi ha proposto questa soluzione: e devo dire che è utilissima.”
“Tutte le mie soluzioni lo sono.” Evviva la modestia.
“Certo che ne sai una in più dei diavoli! E in questo momento, cosa sta facendo?”
La demone estrasse un piccolo congegno, dotato di molte scritte in alfabeti sconosciuti e di molti punti luminosi. “A nord-ovest. Sta bene, sta correndo.”
“Correndo?”

“Corri!”
“Sì, sì! Arrivo!”
Per essere un’umana, sfrecciava quasi più veloce di lui, le snelle ma forti gambe tese nello sforzo, cieca e sorda a qualsiasi distrazione, come i rovi che le graffiavano il volto e il corpo, o le sue implorazioni a fermarsi e riposarsi.
Era un antico istinto, un istinto alla caccia che forse derivava persino da quel leggendario nonno mai conosciuto, che adesso si era risvegliato con forza, spingendola al dare il massimo di sé stessa, a porre la sua vita in beneficio del traguardo ultimo: la preda.
Una preda piuttosto terrorizzata, bianca come la neve e con due enormi occhi rossi, che zampettava innanzi a loro, la codina simili a un batuffolo di cipria che ondeggiava simpaticamente sul culetto conigliesco.
Era un giovane. Nato l’estate prima, appena affacciatosi alla vita senza la presenza della madre; e si era già ritrovato inseguito da predatori molto fuori del comune, grossi e rumorosi come un branco di elefanti.
Svoltò, slittò, attraversò il prato di foglie, giunse a quella parete di roccia e comprese che era finita. Si voltò per fronteggiare gli avversari, che già lo avevano raggiunto.
“E’ nostro!” Esultò l’umana, fermandosi anch’ella e osservandolo guardinga. “Come facciamo a prenderlo?”
“Prego: lascia fare a me.” Himoro sorrise, e quindi tirò fuori quel po’ di spettro che c’era in lui.
La fanciulla lo vide con sorpresa mentre spalancava gli enormi e freddi occhi azzurri, fissandoli in quelli dell’animale; vide le sue mani, i suoi artigli, muoversi verso di esso, in una lenta danza che la ipnotizzava. Distolse immediatamente lo sguardo, azione dettata dal puro istinto.
Istinto che la sapeva lunga, dato che l’aveva appena risparmiata dall’influenza dell’antico Rito Ammaliante dei demoni gatto. Il coniglietto, invece, di non troppo meno furbo di lei, ora li fissava con sguardo nuovo, spento ma nel contempo attento.
“E’ in nostro potere!” Sussurrò vittorioso il demone gatto. “Mi deve obbedire.” Il coniglio, mosso dalla volontà di Himoro, si alzò sulle zampe posteriori, esibendosi in buffi passi anatomicamente parlando quasi impossibili.
“Geniale! Ma allora sei utile!” Lui finse di prendere l’inconscio insulto per un complimento. “Adesso, bisogna solo ucciderlo!”
Tacquero.
“Ehm…”
Tacquero.
“Non è che puoi convincerlo a suicidarsi?” Si grattò la nuca, imbarazzata.
“Bella cacciatrice che sei!”
“E’ la prima volta!”
“Va bene, va bene.” Prese fiato, mentre il coniglietto attendeva ordini. “Forse una soluzione c’è. Vedi anche tu quello che vedo io?”
Kuara si guardò attorno. La parete di roccia, le piante, un burrone, dei rovi, rami secchi.
Non aveva capito molto della sua idea.

“Non è… molto mangiabile.” Ammise Kisala, non sapendo bene da che parte guardare la carcassa. “Ma che animale è?”
“Coniglio! L’abbiamo preso noi!” Kuara sorvolò sui terribili problemi che un ritorno al campo aveva posto, e sorvolò anche sul fatto che se non fosse stato per l’orientamento stellare di Himoro, sarebbero stati ancora nella foresta.
“Da’ molto l’aria di carcassa rivenuta casualmente.” Ammise Makau, inserendosi nell’intricato problema di dove fosse il sopra e dove il sotto. “A dirla tutta, sembra che sia caduto da un burrone…”
Kuara e Himoro arrossirono.
“Ma che gli accidenti gli avete fatto?” Kisala non era ancora partita a caccia di orsi solo perché temeva di ferire la sensibilità della cugina; e di sentirsi ancora una volta così orribilmente simile al padre.
Per quella sera si mangiò coniglio.

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Capitolo 35
*** A Casa del Padre ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

Sesshomaru spostò di un dito l’arco di Takurei, aiutando il figlio a trovare la giusta angolazione.
In realtà, era davvero buffo: un piccolo mezzo demone con appuntite orecchie nere, che tentava di maneggiare un arco quasi più grosso di lui; sua madre l’avrebbe trovato adorabile.
Ma non era adorabile: era il primogenito maschio del Principe dei Demoni, ed ora si stava guadagnando il brillante futuro che lo aspettava: un glorioso destino di mero portatore di sofferenza e disperazione fra gli uomini, una spietata macchina della morte; e in ciò lo avrebbe addestrato personalmente il padre, ogni giorno, con il sole o con la pioggia, con la fame o con la sete, con…
“Mi sono tagliato!” Il bambino, scandalizzato, mostrò al padre la piccola ferita, dalla quale non ne voleva sapere di uscire manco mezza goccia di sangue. “Fa male!” “Non ti distrarre: mira alla preda.”
La preda era un colorato uccello elegantemente posato su di un ramo alto, che li guardava con ironica curiosità.
“La mamma mi da sempre il bacino sulla bua…” Un grosso, sfacciato, ignobile lacrimone corse giù per le guanciotte del bambino.
Sesshomaru non alzò gli occhi al cielo solo perché sapeva che lassù non vi era nulla che potesse consolarlo. Takurei era giovane, e da lui non poteva certo pretendere una vittoria in sanguinosa battaglia… ma era innegabile che le tormentose cure materne lo stessero trasformando in una mezza femminuccia.
Che ironia della sorte. L’unico maschio era una mammoletta, e la sua unica femmina una fredda guerriera, così astuta da riuscire a sfuggire persino a lui. Da tempo ne aveva perso le tracce, e non si era più neppure disturbato a pedinarla: anche perché Rin aveva giurato che la prossima volta che fosse tornato a casa sanguinante, lei avrebbe iscritto il figlio ad un corso di danza con l’ombrellino.
Takurei pianse; così, di punto in bianco: cacciò un urlo che neanche lo avessero sgozzato – ovviamente facendo volare via la preda – e pestò i piedi, con veemenza.
Erano già tre ore che il padre se lo trascinava qua e là per la foresta, blaterando di onore, di caccia, di sangue, e rifiutandosi di procurargli la merenda. Mamma non era così cattiva, piagnucolò tra le altre cose.
Ma il Principe dei Demoni già non gli badava più: completamente rapito da quell’odore che aveva invaso le sue narici e la sua mente, come in ipnosi si voltò verso un punto ben preciso del fogliame che li circondava.
Era proprio lei; ispirò a fondo, riconoscendo l’odore di una figlia così astuta da riuscire quasi a sorprenderlo, coprendo attentamente la propria presenza. E forse ora lui l’aveva individuata solo perché lei glielo aveva promesso.
Kisala emerse sorridendo dal sottobosco, e con dolcezza prese in braccio Takurei, dapprima sorpreso, ma subito felice nel riconoscere quella sorella da troppo tempo lontana.
“Papà è cattivo.” Concordò, stretta dall’abbraccio del fratellino. “Guarda cosa ti ho portato!”
Takurei addentò vittoriosamente la mela. Un hurrà per la merenda, che sempre sia lodata…
“Kisala.” L’intonazione di Sesshomaru divenne ancora più distaccata di quando tentava d’essere maestro. “Ti sei pentita, e sei tornata? Hai ucciso l’umano?”
“Veramente, no. Siamo andati al castello, per farti un saluto…”
“E le guardie hanno ucciso i tuoi accompagnatori, vero?” Domanda speranzosa.
“Sono vivi e in buona salute.” Sembrò pensarci su, ma in realtà semplicemente pregustava la seconda notizia che gli avrebbe dato: “Mamma ha offerto un the a tutti, e mi ha mandato a chiamarti…”
Sesshomaru digrignò i denti.

Due umani. Due umani e un demone da strapazzo nel suo salotto. Ed erano vivi.
Quando il Principe dei Demoni fece il suo ingresso, Himoro percorse a velocità da record l’intera stanza, tuffandosi con disperazione dietro un grande mobile in legno scuro.
Takueri corse in fretta verso quel sicuro rifugio che erano le braccia materne, coperte da un elegante kimono, e sorrise cordialmente a tutte quelle nuove facce.
Egli, invece e ovviamente, li scrutò silenziosamente, letali occhi color ambra che li trapassavano senza pietà; si addolcì solo per un istante, salutando con un breve cenno del capo quella vecchia conoscenza che era Talana – e domandandosi ovviamente cosa facesse con loro – quindi riprese il suo operato di terrorismo psicologico.
“Insomma Sesshomaru, non fare così!” Lo rimproverò infine Rin. “Tua figlia e i suoi amici ci hanno gentilmente concesso una visita… vuoi del the?”
No, non voleva del the.
C’era anche il Cacciatore, sì, il maledetto! Makau sostenne con sicurezza il suo sguardo, ed era pronto a tenere gli occhi sbarrati sino a lacrimare, pur di non essere il primo a cedere. Il braccio di Sesshomaru vibrò impercettibilmente. Quel Cacciatore di Demoni che aveva osato accompagnarsi a Kisala, la sua Kisala! Presto avrebbe perduto molto sangue per questo ardire.
A proposito di sangue…
La ragazza. Quella quasi bambina dalla corporatura così esile, che lo scrutava con sgranati occhi nocciola. Il suo odore... era familiare, sì, ma una familiarità che richiamava qualcosa di sgradevole.
La stanza e i suoi occupanti sparirono, lasciando posto solo a quello zio e a quella nipote che si studiavano in silenzio; infine, fu lei a rompere il ghiaccio, svelando l’arcano. “Ciao, zio!”
Sesshomaru non comprese immediatamente; forse perché la sua mente semplicemente rifiutava il concetto.
“Costei è forse una povera pazza che hai raccolto per la strada, Kisala?”
“No, padre.” Il sorriso furbo sulle labbra della figlia lo fece preoccupare non poco.
“Il suo odore…?” Azzardò.
“E’ la figlia di Inuysha: viene dal futuro!”
Gli ci volle qualche secondo per riorganizzare le idee: quindi quell’idiota del fratello aveva trovato qualcuna che si riproducesse con lui! Una faccenda ai limiti dell’impossibile…
“E’ tua nipote!” Fu l’ulteriore spiegazione.
“Proprio così, zietto!”
Un momento.
“E… cosa ci saresti andata a fare, nel futuro?”
Senza permesso, quasi aggiunse, prima di ricordardi che era decisamente troppo cresciuta per chiederlo.
Kisala estrasse Tessaiga.

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Capitolo 36
*** Artigli e Lama ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

Per i primi due minuti non si preoccupò più di tanto; dopo cinque iniziò a ponderare seriamente la questione. Passato un quarto d’ora, pensò che sarebbe stato meglio chiamare un medico.
L’espressione era la solita, fredda e inquisitoria; fissava l’enorme, potente lama di Tessaiga. Solo che, da quando Kisala trionfalmente l’aveva estratta davanti ai suoi occhi, non aveva più mosso un muscolo. Se ne stava lì, ritto in piedi, la coscienza fluttuata chissà dove.
“In stato di shock.” Concluse Talana. Come sempre, con il tono di chi parla del tempo. Nessuno sembrò comprendere quell’espressione, solo Kuara, forte di un’infarinatura delle conoscenze del proprio tempo, annuì.
Sembrò quasi che il mondo si fosse fermato con il respiro del Principe dei Demoni; quel muto silenzio non faceva esattamente parte della moltitudine di reazioni che si erano aspettati.
“Non lo vedevo così da quando gli ho detto di essere incinta.” Rin ci pensò su. “O forse da quando ha beccato Takurei a giocare con i miei trucchi.”
“Mamma!” Al piccolo non piacque molto rievocare un così imbarazzante episodio. Kisala strinse più forte l’elsa. Come gli altri, anche lei aveva tentato di immaginare varie e diverse reazioni, tutte che iniziavano con una spada e finivano con del sangue. Ma che Sesshomaru diventasse una specie di stoccafisso demoniaco era una cosa al di là di ogni immaginazione.
Adesso basta. Ecco la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.
“Andatevene tutti. Lasciateci soli.”
“Cosa?” Rin cadde dalle nuvole, senza distogliere lo sguardo dalla buffa reazione del compagno. Però sorrise immediatamente, riconoscendo nel volto della figlia la stessa espressione risoluta di quando aveva deciso di partire per il mondo.
“Sei pazza?” E a dirlo era stato proprio Makau, colui che aveva proposto tutta quella pazzia, salvandola senza che lei lo sapesse dalle fauci di un leone, ma gettandola tra quelle di un altro. Un altro forse più paterno, ma certamente non meno pericoloso: e di certo non voleva lasciarla sola con un Principe dei Demoni pronto per uno psichiatra.
“Per me va benissimo!” Himoro, come logico.
Kuara non parlò. Da quando era stato introdotto in quella stanza, non aveva saputo distogliere lo sguardo dallo zio. Dal temibile Sesshomaru, di cui aveva sempre e solo sentito parlare.
Già aver incontrato Kisala, la sua innaturale forza e sottile bellezza, l’aveva spinta a credere a quei racconti pieni di orrore e di meraviglie che da sempre il padre le propinava: sapeva di essere nipote di un grande spettro, eppure non era mai stata in grado di cogliere… la verità.
Ed eccola, la verità: ecco le sue radici, che affondavano in creature come il Principe dei Demoni, dalla lunga chioma argentata e letale carisma; per la prima volta in tutta la vita, Kuara era stata orgogliosa del proprio albero genealogico, desiderando ritrovare dentro di sé un po’ di quella demoniaca presenza. Anche se era impossibile.
“Uscite, ho detto.” Era il tono di chi l’avrebbe ripetuto una seconda volta puntando una lama alla gola di qualcuno; lentamente, uno dopo l’altro, tutti – Himoro per primo e di corsa – abbandonarono l’ambiente. L’ultimo fu Makau, che non poté evitare di rivolgerle uno sguardo nervoso.
Poi, ripetendosi per l’ennesima volta che salvarla da Lyio e portarla dal padre fosse stata l’unica scelta giusta, o logica, come avrebbe detto Talana, si richiuse la porta alle spalle, con un rumore che riecheggiò nel grande salone vuoto.
Sesshomaru non reagì a nulla di tutto ciò. Kisala lo fissò ancora un attimo, quindi sorrise una sicurezza che non aveva, e rinfoderò la spada. Si accomodò su di una poltrona, un piccolo gioiello d’arredamento che a dir poco Rin adorava, ed accavallò le gambe, squadrandolo come un ragno ammira la preda nella tela.
“Ma bravo.” Sì allungò sul tavolo, concedendosi un’elegante tazza di the. “Complimenti, sai? Come al solito, sei riuscito ad essere imprevedibile.” Bevve una lunga sorsata, sapore che le ricordò l’infanzia in quel maniero, e proseguì, cieca alle non reazioni del padre. “Fai pure il cretino, se vuoi: io so che mi stai ascoltando. E tanto mi basta.” Posò la tazzina e alzò gli occhi verso di lui, in una di quelle espressioni che fanno tremare di terrore i più coraggiosi. “Sai? Ho una storia interessantissima da raccontarti.” Si sistemò meglio, rilassandosi per la prima volta dopo tanto tempo, mollemente appoggiata allo schienale. “Ero stufa delle tue idiozie sulle figlie femmine da allenare al cucito e maritare con sostanziosa dote: e così me ne sono andata, grazie all’appoggio di mamma. Anche perché sperare in un tuo appoggio sarebbe stato come cercare oro nel letame!” Niente, era proprio in un altro mondo; ah, ma lei sapeva come riportarlo qui. “Ma tu non mi volevi lasciar stare, vero? Prima mi segui, poi mi metti alle costole quel demone gatto, sperando che io ritrovi il fascino dei veri demoni… e quando ti sei accorto che Himoro non era esattamente come intendevi tu, hai deciso di far fuori pure lui! E’ stato per questo che ho chiesto aiuto a Talana…” Sorrise dell’ironia: anche la demone scienziata aveva vissuto molti attriti con il proprio padre, tanto che egli quasi non l’aveva riconosciuta come erede. “… Sono andata nel futuro, ho cercato quel fratello che tanto disprezzi. Mi sono battuta con lui.” Tacque. Il movimento, il tic nervoso in un angolo dell’occhio destro del padre aumentò la sua sicurezza. “Ho miseramente perso: pur essendo un umano al completo, mi ha battuto con Tessaiga ridotta a un ferrovecchio.” Altro scatto, questa volta delle lunghe dita; erano nascoste dalla veste, ma lei era riuscita a coglierlo ugualmente. “Chi l’avrebbe mai detto, eh? E poi, sai, mi ha offerto un regalo: la Shikon No Tama. Ha detto che sarei potuta diventare spettro o umana, a scelta, ma io ovviamente ho rifiutato, perché…” Il clangore di lame riecheggiò in tutto il palazzo.
Nell’infinitesima unità di tempo che il Principe dei Demoni aveva impiegato per saltare sulla primogenita ad artigli protesi, lei già aveva eretto una più che funzionate difesa, Tessaiga verso il cielo, le braccia tese nello sforzo di trattenere l’impeto paterno.
“Ci siamo decisi ad affrontare la realtà? Bravo papi. Sono certa che non ti divertirai.”
Saltò in piedi, movimenti veloci che ancora una volta ricordarono un grande ragno, cercò di bilanciare sé stessa all’aggiuntivo peso di Tessaiga, e sorrise alla nuova sfida.
Sesshomaru non aveva ancora parlato. La fissava con furia. E non quella furia fredda, terribile, con cui aveva affrontato tutte le battaglie della sua esistenza, terrorizzando gli avversari con un semplice sguardo: no, adesso la rabbia aveva finalmente raggiunto la parte più fredda e isolata del suo animo, trasformandolo in una belva.
Meglio. Più irrazionale e istintivo era, più per lei la cosa sarebbe stata facile. In battaglia non bisogna mai perdere il sangue freddo, e questa era una massima che gli aveva sentito ripetere più volte; quando si dice predicare bene e razzolare male…
Vide le sue narici dilatarsi, cercando indizi olfattivi dell’arma della figlia, e il sorriso di Kisala si fece ancora più divertito, quasi folle.
“Odore familiare, eh? Forse perché ho osato rubare una tua zanna e impiantarla nella lama…”
Parò un altro assalto, quindi partì all’attacco.

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Capitolo 37
*** Sfida - 1 ***


CAPITOLO TRENTASEI

Kisala aveva un vantaggio e uno svantaggio.
Ovvero, l’aver provocato sino all’inverosimile il padre le dava il vantaggio di un avversario accecato dalla furia, che si lanciava in attacchi privi di una qualsiasi tattica, non cercando altro se non di affondare la spada nelle sue carni. E spesso questi assalti finivano nel nulla, mancando clamorosamente un bersaglio lucido e freddo, pronto a scansarsi.
Lo stratagemma da lei adottato risultò geniale: il Principe dei Demoni sprecava preziose energie in movimenti inutili, e presto sarebbe stato troppo stanco anche per sollevare l’arma.
Cosa che però portava allo svantaggio: era dotato di una potenza che mai si sarebbe immaginata; già due volte il suo corpo aveva tremato sotto colpi andati a segno, e parati per nient’altro se non un puro miracolo.
Forse aveva sbagliato nel volerlo affrontare; forse non era ancora pronta…
Sollevò Tessaiga, chiudendo quasi gli occhi al contraccolpo; le due spade si unirono, si scontrarono in un rumore metallico, dunque si separarono di nuovo.
Forse non era esattamente il momento più adatto per pensare ai forse. Scansò un altro colpo, ma non potè evitare di sorridere; e chissà perché questo peggiorò notevolmente l’umore di Sesshomaru.

“Cosa sta succedendo?” Rin, priva di un Takurei corso in giardino con la nuova cugina, fece fare un gran bel salto a Makau, piombandogli alle spalle silenziosa come uno spettro. Dopo tanti anni passati con il Principe dei Demoni, certi trucchetti li si impara quasi per inerzia.
“Combattono…” Staccò l’orecchio dal legno del portone, con espressione colpevole: in fondo, stava spiando in casa sua.
“Ah, quindi è riuscita a risvegliarlo dalla catalessi; non so perché, ma ne ero convinta.”
Makau scrutò quell’umana; quella minuta, semplice umana, dai profondi e saggi occhi neri. Sesshomaru, il glaciale Principe dei Demoni che voleva ammazzarlo solo perché umano, cosa accidenti aveva trovato di attraente in lei? Sì, era bella, anche se già verso la mezza età, la chioma che cominciava a striarsi d’argento; era certo attraente, ma cosa lo aveva realmente conquistato, avvinto?
“Kisala ha sempre avuto attriti con il padre perché hanno lo stesso carattere.” Inconsapevole dello sguardo inquisitorio del ragazzo, ella congiunse le mani, nascondendole nelle grandi maniche del kimono. “Orgogliosi, testardi, combattivi…”
“Non deve essere stato facile convivere con entrambi.” Makau non poteva evitare di stare quasi sull’attenti in sua presenza. Non la temeva, certo, ma sentiva un istintivo rispetto.
“No per niente” Rin rise, trillo di giovani usignoli, ma un’ombra di tristezza spense quel delizioso suono. “E non sono per niente contenta per la situazione che si è creata: duelli, e cose simili. Ma se è inevitabile…”
“E’ inevitabile.” Makau tornò ad appoggiarsi alla porta, anche se gli era impossibile stabilire chi fosse in vantaggio. “Se lei dovesse vincere, Sesshomaru finalmente comprenderebbe che non ha bisogno d’essere seguita e controllata ovunque.”
Rin annuì dolorosamente. Anch’ella era giunta a una conclusione simile, permettendo quello strano combattimento tra padre e figlia.
“Sono contenta che tu l’accompagni. Mi sembri un bravo ragazzo.” Makau questa volta non rispose. Un bravo ragazzo forse avrebbe detto all’amica che presto sarebbe morta.

“Ecco, ecco! Prendi anche questo!” Takurei, eccitato come solo un bambino in presenza di estranei può esserlo, pose nella sua mano un delicato fiore blu. Un blu profondo, puro come le profondità oceaniche; Kuara lasciò che il suo profumo la inebriasse. Non era come quelli del futuro, oh no, non ricordava minimamente quei pallidi fantasmi corrotti dalla modernità che si spacciavano per fiori.
Ne staccò il gambo, e lo incise con il rametto, esattamente al centro, facendolo scivolare nella corona che lei e il cuginetto stavano costruendo.
“Ve la intendete bene.” Osservò Himoro, seduto sul ramo più alto del pesco preferito di Rin, un tenero sorriso che gli illuminava il volto.
“Beh… siamo parenti, mi sembra il minimo, no?” Quella gioia libera dell’infanzia l’aveva contagiata, alleggerendole il suo cuore. Adesso non pensava più ad attacchi, a sfere o a barriere; non le passavano manco per l’anticamera del cervello. Fu un grosso errore, al quale baderemo più avanti.
“Ehi, come va lassù?” Himoro si rivolse alla demone scienziata, svolazzante verso il terzo piano del castello, unica spettatrice di fronte la grande vetrata del salotto dove avveniva il match.
“Tessaiga sembra molto resistente” rispose prontamente, ma senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo. “Non sembra danneggiata dai colpi, anche se potevo bilanciare meglio la…”
“Io intendevo come sta Kisala, non la spada!” A volte quella strana creatura si faceva un po’ trascinare dall’amore per le sue creazioni.
“Ah, Kisala…” Tono di delusione per lo scarso interesse del demone gatto. “Boh, mi sembra in vantaggio… non lo so.”
“Come non lo sai? E che accidenti ci fai lassù allora?”
Kuara non si disturbò neppure ad ascoltare quel battibecco, infilzando nella fila un grande fiore rosa.

Più andava avanti, e più perdeva il controllo; era già cominciata male, con la furia di una belva ferita, e la sua situazione emotiva peggiorava di minuto in minuto.
Non solo quella disgraziata, sfacciata e ingrata figlia gli si presentava bel bella in casa accompagnata dalla peggior marmaglia immaginabile… Come limitarsi a ciò? No, aveva anche dovuto provocarlo, come mai nessuno si era osato. Se era ancora viva e in buona salute, doveva solo ringraziare d’essere sua discendente; e di avere quella dannatissima spada potenziata.
Urlò. Per la prima volta in tutta la sua esistenza, contornò l’assalto di un possente grido.

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Capitolo 38
*** Sfida - 2 ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO

La spada affondò. Senza pietà, senza esitazione, aprì quello squarcio tra le carni, esultando di quel sangue che copioso prese a scorrere sulla lama.
Kisala sbarrò gli occhi dalla sorpresa, mentre il padre, lentamente, face leva, estraendole il ferro dal fianco, un sorriso di trionfo stampato sul volto. Una mano, un’elegante mano femminile dalle lunghe ed aggraziate dita, tastò senza crederci quella ferita.
“Come vedi, le femmine non sono fatte per le armi.” Concluse, risoluto, per nulla impietosito dal suo stesso sangue a cielo aperto. “Mi dispiace, ma è una lezione che hai voluto capire solo così, e…”
Tessaiga volò alla gola del Principe dei Demoni, sfiorandola quasi per gioco; tramava impercettibilmente, ma era pur sempre una faccenda pericolosa: soprattutto tra le insanguinate mani di Kisala.
“Come vedi, i maschi sono i più idioti.” Sputò uno sputo intriso di rosso. “Sempre a perdere tempo nel blaterare in battaglia!”
Sesshomaru scostò l’arma dalla sua giugulare; e lo scontro riprese.

Kuara sentiva quella forma che premeva tra la sua pelle e le lunghe calze a righe… una sfera perfetta, una sfera speciale, che aveva sottratto al suo tempo, portandola in quel secolo dove faceva gola a molti.
Ma non vi badò molto. Scacciò dalla mente la sensazione di freddo trasmessale dal materiale della gemma e sollevò trionfante la composizione di fiori; Takurei fu lieto di poggiargliela sul capo, addolcendole quel caschetto così asimmetrico e poco femminile.
Qualcosa si mosse dietro di loro, occultato da una fila di ciliegi in verde. Ovviamente, nonostante la figura non cercasse minimamente di celarsi loro, nessuno se ne accorse.
“Allora, come va?” Himoro nuovamente si rivolse a Talana, piccola vedetta lombarda svolazzante, la quale pensò sarebbe stato meglio eludere quella domanda: Kisala sanguinava, sì, e copiosamente. Ma aveva deciso di proseguire nel duello, e comunicare ciò al demone gatto avrebbe sicuramente comportato un irregolare ingresso in campo da parte della banda.
“Mi sembra proceda bene.” Commentò, elusiva.
Quel qualcosa si avvicinò ulteriormente, passando accanto una grande siepe in fiore; non è difficile intuire che fossero in arrivo guai grossi.
Himoro comprese troppo tardi. Voltò di scatto il capo, ma già la figura incombeva alle spalle del bambino e della ragazza, ignari…

“Fai ridere. Conciata così non puoi…” Ma fu nuovamente interrotto da Tessaiga, che gli tranciò di netto una ciocca argentea, spillando sangue dalla sua nobile guancia. Kisala, fu costretto ad ammettere almeno con sé stesso, era migliorata notevolmente, aspide che saettava fronteggiandolo con baldanza, spesso riuscendo ad eludere la sua guardia. Come adesso.
“Non hai ancora capito che in battaglia si sta zitti?” lo canzonò lei, pallida come uno spettro. “La prossima volta approfitterò davvero della tua distrazione, padre. Puoi credermi.”
Avrebbe pagato anche per quelle lezioni non richiese.

“Kuara!” Himoro balzò giù dal ramo, atterrando in modo non molto ortodosso. Diciamo solo che la prima a riunirsi con Madre Terra fu la sua testa.
“Ma cosa…?” Non badando al suo stato di salute, ella si volse dove lo sguardo terrorizzato del demone gatto si era fissato con orrore. E fu davvero sorpresa.
Era grande, maestosa, dalla chioma color vinaccia raccolta una un signorile acconciatura, occhi dalle iridi azzurre e pupilla orizzontale che la studiavano, canini denti esposti in una smorfia a metà tra il sorriso e la voglia di uccidere. Lunghi baffi sotto l’elegante naso e appuntite orecchie viola sulla sommità del capo; un corpo perfetto, sinuoso, dalla lunga e bella schiena.
“Ma… ma…” Come tutti gli esseri umani che si rispettino, anche Kuara in presenza di forti sorprese non era assolutamente in grado di concepire discorsi coerenti. O per lo meno, comprensibili; meno male che c’era Takurei.
“Signora Hazoi!” Urlò, saltandole letteralmente in braccio. Il demone femmina lo fissò con benevolenza, raccogliendolo ed arruffandogli i capelli con i lunghi artigli neri. “Sei venuta a trovarci?”
“Sì, certo; volevo vedere Sesshomaru. Anche se…” Annusò un paio di volte l’aria, con tranquillità. “Credo che sia impegnato: sento il suo sangue.” Detto con il tono di chi propone un the; davvero spassosa, se l’umana non l’avesse trovata a dir poco terrorizzante. Ma come faceva quel bambino a starle felicemente in braccio?
“Ma voi…” Kuara si alzò, lentamente, accorgendosi con timore di arrivarle solo fino al seno; un prosperoso e forte seno, racchiuso in abiti di pelliccia. “Siete un…?”
“Mamma!” Himoro, rialzatosi a fatica dopo la botta presa, corse verso quella che in realtà era una demone gatto, riverendola con cospetto. “Cosa ci fate qui?”
Lei alzò il nasino dalla punta nera, cercando maggiore altezza pur essendo notevolmente rialzata anche rispetto al figlio. Ma sovrastare era una cosa che adorava. “Che ci fai tu, piuttosto! Credevo che Sesshomaru ti avesse affiancato a quella pazza della figlia, per insegnarti qualcosa!”
“Ehm, sì. E’ lei che lo sta facendo sanguinare.”
“Oh, ecco.”
Silenzio che cadde sul gruppo; solo Talana sembrò non badare minimamente al nuovo arrivo, continuando a prestare attenzione al duello. Kuara tossicchiò leggermente, Himoro guardò terra e persino Takurei avvertì la pesantezza dell’atmosfera.
“L’avevo scambiata per uno spettro cattivo.” Ammise infine l’umana, tanto per azzardare una conversazione.
“Conosci forse uno spettro buono e caritatevole, ragazzina?” Dal tono, Kuara comprese immediatamente quanto la madre del demone gatto avesse gradito il suo tentativo. “Ah, ma certo che lo conosci: questo idiota che si spaccia per mio figlio!”
Himoro arrossì violentemente, senza staccare gli occhi dal prato. “Mamma…”
“Allora, questo tuo viaggio è servito a qualcosa?” Era abitudine che lei lo interrompesse con quel suo solito accento così marziale. “Hai imparato ad uccidere?”
“Beh, ecco, io…”
“Lo sapevo! Sei sempre il solito, incapace di fare secca una formica!”
“Veramente” interloquì Kuara, intervento ancora una volta non richiesto. “l’altro giorno ha ucciso un coniglio.”
La demone gatto sollevò un sopracciglio. Forse non era esattamente un’espressione ammirata.

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Capitolo 39
*** Sfida - 3 ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO

Il mondo sfumò, ridotto a rozze pennellate impressionistiche. Kisala strizzò gli occhi, occhi ancor più neri nel pallore del suo volto, e fortunatamente ciò riportò il tutto alla normalità; eccezion fatta per quello strano ronzio nelle orecchie. Effettivamente, la situazione non era proprio a suo favore.
Non ho alcuna intenzione di svenirgli davanti. Piuttosto crepo in piedi! Si slanciò, in un attacco disperato: aveva poco tempo e poche energie a disposizione, quindi non poteva più sprecarsi in un combattimento leale: a malincuore, si vide costretta a ricorrere al suo asso nella manica, biglietto di prima classe per una tranquilla vittoria. Sempre che funzionasse…

“Lo dicevo, io, che tuo padre era un povero illuso: affidarti alla marmocchia di Sesshomaru!” Kuara provò profonda rabbia nei confronti di quella madre che con tranquillità umiliava in pubblico il figlio, ma non si azzardò ad aprire bocca. La saggezza popolare le consigliava di non intromettersi in affari di famiglia, e soprattutto di non ribattere alle idee di un pezzo di demone alto più di due metri.
“Ma mamma, io…”
“Niente ma! Adesso vieni a casa, e ti insegno io!”
Talana scosse leggermente il capo, non potendo ignorare quegli strilli: ci mancava pure quella! La madre di Himoro era la più pericolosa e psicopatica demone gatto mai nata, e non era consigliabile farla discutere con qualcuno senza barriere al titanio tutt’attorno. Scese lentamente verso di loro, cercando di studiare un metodo d’intervento che salvaguardasse la salute di tutti.
“Non ho intenzione di seguirti! Io…”
“Tu sei la mia vergogna!” Tonante; in nessun altro modo si poteva definire quella voce, se non tonante. Ricordò a Kuara certe valchirie di illustrazioni fantastiche. “Se quella sera con tuo padre avessi fatto dell’altro…”
“Ma mamma cosa dici!” Himoro si tappò le orecchie, evitando informazioni che avrebbero potuto traumatizzarlo.
“La prego signora” Talana, sempre dall’alto e a distanza di sicurezza, sembrava un Angelo della Democrazia. “Non è né il luogo, né il momento per discutere; la prego di essere ragionevole…”
“Meno male che c’è Talana, lei sa essere convincente…” Sussurrò Kuara a Himoro, con una gomitata d’incoraggiamento.
“Ma chi è quella botte svolazzante? Amica tua?”
Nella sua esistenza, Talana si era sentita rivolgere i peggiori epiteti; gli altri demoni, e suo padre con loro, trovavano estremamente buffa una demone con la testa sempre persa in progetti di meccanica, e non mancavano certo di farle notare quanto fosse strana, anzi, pazza. Ma lei, sempre persa fra le nuvole, quasi non li aveva ascoltati. Tutto le era passato addosso senza intaccare quella sua aria confusionaria ma geniale; eppure, c’era un insulto, e uno solo, che non perdonava. E indovinate cosa montasse in lei una speciale furia omicida?
“A chi hai dato della botte, gattaccia rognosa?”
“Oh, no.” La ragazza e il demone gatto si spostarono impercettibilmente, liberando il campo di battaglia per le due contendenti che si squadrarono con occhiate fiammeggianti.

Anni prima, c’era stato un mezzo demone di nome Inuyasha, che aveva impugnato Tessaiga e quasi ucciso il fratello; quest’ultimo, protetto da Tenseiga, era sopravvissuto, perdendo un braccio.
Dopo di allora, il Principe dei Demoni non aveva mai incontrato avversari degni di questo nome, eccezione fatta per un certo Naraku, personaggio oscuro ma astuto, che aveva sempre saputo eludere un combattimento impegnativo.
Nessun contendente seriamente agguerrito significa nessun reale progresso in battaglia; c’erano gli allenamenti, sì, ma è solo con la perfida malizia di un nemico che si scoprono i propri punti deboli.
E Sesshomaru aveva quel punto debole, un’area cieca sul fianco del braccio mancante; colpirlo lì sarebbe stata una scorrettezza, ma una creatura come Kisala, con uno squarcio niente male e sangue ovunque, forse qualche irregolarità se la poteva anche permettere.
Prese fiato, mentre con una terribile scossa di dolore parava, fin troppo vicino alla ferita; beh, anche il padre non era troppo corretto, se continuava a mirare il suo lato più debole.
Basta scrupoli. Adesso, adesso o mai più…
Non urlò. Saettò verso il basso, puntando l’enorme Tessaiga, cercando il sentiero scoperto, cercando la sua vittoria.
La trovò?

“Che genere di problemi?” Volle sapere Makau, voltandosi verso di lei.
Kuara chinò il capo. Rin, che con il ragazzo attendeva l’esito del duello dietro il portone, la guardò con preoccupazione.
“Beh ecco”, spiegò infine la fanciulla, “c’è di là la madre di Himoro…”
“Quella!” La donna sbuffò sonoramente. Non aveva ancora capito cosa Sesshomaru trovasse in quella coppia di demoni gatto esibizionisti e maleducati, ma aveva sempre fatto buon viso a cattivo gioco, accogliendoli con un falso sorriso. “Che cosa vuole?”
“Non so, ha visto Himoro, e voleva trascinarlo a casa…”
“Non può permettersi di venire nelle mie proprietà e trascinare via chi vuole!” Rin fece per avviarsi verso il giardino, ma una mano della giovane la trattenne per la veste.
“Ehm, non è prudente.” Spiegò Kuara, sempre senza alzare gli occhi dall’elegante tappeto. “Ecco, vede, ha offeso Talana, e…”
“Offendere Talana è una bella impresa. Ma che gli ha detto?”
“Bah, botte, o una cosa del genere…”
Rin tremò. “Se non le fermiamo, distruggeranno tutto il castello e pure la montagna che ci sta sotto!”
In quella, il portone si aprì.

“Ti ammazzo con le mie mani!”
“Io con questa spada: mi fa schifo toccarti!”
“Inutile abbozzo di demone malriuscito!”
“Ti farò rimangiare quelle parole, dall’estremità opposta da cui ti sono uscite!”
“Signore, se provassimo a ragionare…”
“Taci tu! Con te facciamo i conti a casa!”
“Tu non porti a casa nessuno, perché io ti polverizzo!”
Himoro capì perché non avesse mai posseduto istinto omicida: invece che passarne un po’ a lui, evidentemente la madre aveva deciso di tenerlo tutto per sé. Avvertì un principio d’emicrania.

Makau fissò quella figura che uscì barcollante dal salotto, macchiata di sangue suo e non suo.
Kisala rinfoderò Tessaiga. Rin corse all’interno della stanza, dove rinvenne il compagno, ferito ma non certo in pericolo mortale.
“Ho vinto.” Makau non capì bene a chi la mezzo demone si stesse rivolgendo; a giudicare dallo squarcio sul suo fianco e il pallore del volto, poteva benissimo essere in comunicazione con qualche Angelo della Morte.
Fece appena in tempo ad afferrarla, qualche istante prima che si accasciasse priva di conoscenza; allungò due dita tremanti sulla sua gola, avvertendo con sollievo un debole battito cardiaco.
La sollevò tra le braccia, rivolgendosi a Rin:
“E lui, come sta?”
“Sopravviverà. Lei?”
Makau osservò Kisala, i capelli e gli abiti intrisi di sangue, il sorriso soddisfatto sul volto.
“Anche.” Rispose.

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Capitolo 40
*** Separazione ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO

“Non vorrei certo agitarvi, ma la situazione… non è delle migliori!” Kuara, mani e naso spiaccicati contro il vetro della grande finestra, osservò preoccupata la scena in giardino.
“Precisamente, cosa succede?” Makau si strappò frettolosamente una manica della logora casacca, lavorandola sino ad ottenere un accenno di benda, con la quale tamponò la ferita dell’amica. Le palpebre di Kisala ebbero appena un fremito, segno di chi lotta per rimpossessarsi della propria coscienza, ma tutto finì lì.
“Dunque… diciamo che Valchiria Pazza è armata sino ai denti…”
“Quella selvaggia!” Borbottò Rin, ancora intenta ad esaminare i danni subiti dal compagno: mai visto così ridotto male. Un suo intervento nell’imminente scontro, anche pacificatore, era pura utopia.
“Talana invece ha… ehm, non so cosa sia, ma somiglia terribilmente ad un bazooka!”
“Un che…?” Ma l’attenzione di Makau fu subito attirata dalla mano di Kisala, che lo strinse con immensa debolezza.
“Lascia perdere. Meglio che tu non lo sappia.”
“E il giovane demone gatto?” Rin, che forse ancora non conosceva bene il soggetto del discorso, apparve addirittura speranzosa. “Sta facendo qualcosa, no?”
“Sì. Sta salendo sull’albero più alto del giardino, cercando di mimetizzarsi.”
“Strana tattica.”
Kisala spalancò gli occhi. Fece per scattare a sedere, ma fortunatamente vi fu chi glielo impedì subito: non era proprio il caso di giocare con simili ferite.
“Che succede?” Voce flebile, che costrinse il rosso a chinarsi su di lei.
“Niente, stai tranquilla… va tutto bene! Rilassati…”
“TALANA HA PRESO A SPUTARE FUOCO!”
“Va tutto bene, eh?” Pallida come un morto, riuscì ugualmente a sollevare un sopracciglio, espressione tipica di quando non gli credeva. Gli strappò un doloroso sorriso; stava bene, era viva. Ma per quanto ancora?
“Beh”, ammise faticosamente lui, “abbiamo qualche problema, ma niente di grave…”
“Ha preso fuoco anche l’albero di Himoro!” Kuara suonò un tantino in preda al panico.
Sesshomaru si mosse; a nulla servirono le gentili mani di Rin che tentarono di sospingerlo verso terra. Gli occhi ancora chiusi, si alzò a sedere, lo squarcio che gli traversava il petto grondante di sangue.
Makau osservò con interesse nuovo quelle palpebre che si sollevarono, non più appartenenti al Principe dei Demoni, ma ad una creatura sconfitta dalla stessa figlia. Non lo compatì, però… beh ci andò vicino…
“Fuori di qui.” Appena individuò l’umano e Kisala, non si sprecò certo in convenevoli. “Subito.”
“Ma cosa dici?” Rin, spiazzata da quell’atteggiamento, non riuscì nemmeno a trovare le parole per sgridarlo.
Anche Kisala non fiatò, e neppure voltò il capo per osservare il genitore: stesso sangue, stesso cervello. Entrambi pensavano la stessa cosa.
“Ti ho battuto.” Sbottò, roca. “Adesso non hai diritto su di me…”
“… E neanche doveri.” Completò il demone. “Hai voluto la tua indipendenza? Eccola. Vattene.”
“Sei il solito idiota!” Senza pensarci, Rin gli assestò un mano rovescio, che non migliorò certo la situazione clinica di Sesshomaru.
“No… mamma… ha ragione.” La mezzo demone, non più impedita ma aiutata da Makau, riuscì infine ad alzarsi, puntando le stanche iridi gialle sulla genitrice. “Ora è necessario che io vada. Ma tornerò…”
“Rimani almeno il tempo necessario per farti curare!”
Kisala non rispose, o almeno non a voce: gli occhi raccontarono tutto, e Makau altro non poté se non raccoglierla e avviarsi lentamente fuori dalla stanza, esaudendo il suo orgoglio, seguito a ruota da una poco tranquilla Kuara.
Rin rimase sola, spiazzata. Diede un altro mascone a Sesshomaru, ma questi aveva già da tempo perduto i sensi.

“Cosa intendi fare?” Balbettò Kuara, cercando in tutti i modi di aiutarlo a reggere la cugina. “Kisala non è nelle condizioni d’essere sballottata qua e là…”
“E infatti non la sballotterò qua e là!” Si fermò un attimo, attendendo che lei gli aprisse una porta. “Adesso fermiamo quelle due teste calde, poi troviamo un posto tranquillo, e la curiamo!”
“Lo dici come se fosse una passeggiata.”
“Abbi fede.”
Uscirono in guardino, o meglio, tra i resti carbonizzati e le fiamme di quello che fino a una mezz’ora prima era stato un bellissimo giardino.
Le due contendenti, ancora impegnate in sfoggio di forza distruttrice al semplice scopo di intimidirsi l’un l’altra, non li considerarono neppure, sino a che una pietra volò con matematica precisione sulla grande testa della demone gatto.
“Ma…! Chi ha osato?” Sbraitò, voltandosi verso il temerario lanciatore – Makau, ovviamente – che le rivolse uno sguardo di sfida.
“Signore, credo che dovreste rimandare la gentil contesa…” Propose molto diplomaticamente, ignorando la demone gatto che snocciolava insulti e minacce a non finire.
“Non credo sia molto ben disposta a darti ascolto…” Kuara pensò bene di rifugiarsi dietro la schiena di Makau; sì, forse era un comportamento degno di Himoro, però era il rosso che si era cacciato in quella situazione. Quindi, che l’affrontasse!
“Costei mi ha offesa.” Spiegò Talana, preparandosi all’utilizzo di quell’arma sempre più pericolosamente simile ad un pericoloso bazooka. “Non mi ritirerò senza aver ascoltato le sue scuse!”
“Lascia perdere! E’ inutile tentare di farle ragionare!” La voce dall’alto presumibilmente non apparteneva ad un angelo, ma al demone gatto imboscato in cima ad un albero.
In effetti, la situazione era disperata. A risollevarono intervenne una serie di curiose coincidenze. Il Medaglione del Sole scivolò casualmente fuori dal colletto del giovane; casualmente, lo sguardo della demone gatto vi scivolò sopra, e casualmente l’oggetto brillò di tutto il suo potere.
Forte di queste casualità, Makau osservò con superiorità la madre di Himoro, che sembrò sgonfiarsi lentamente, come un palloncino. Va bene combattere duelli sanguinosi contro altri demoni, va bene gettarsi sbraitando in mille battaglie… ma nulla avrebbe potuto contro quell’oggetto!
“Vi chiedo di perdonarmi, Talana.” Borbottò, prima di voltarsi, e sparire in una corsa disperata, tentando di mettere tra sé e il Cacciatore più spazio possibile nel minor tempo possibile.
Tutto tacque.
“Scusate… non potreste aiutarmi? L’albero sta andando a fuoco!” Sì, la voce dall’alto non era proprio quella di un angelo.

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Capitolo 41
*** RIMINI ^^' ***


RAGAZZI SCUSATEMI CREDEVO D'AVERLO SCRITTO GIA' IERI, MA VADO AL RIMINI COMIX QUESTO FINE SETTIMANA E NON AGGIORNO ^^'
ANZI, CREDO DI NON AGGIORNARE ALMENO SINO A MARTEDI'-MERCOLEDI' PROSSIMO, CAUSA ESAME.
COME AL SOLITO, MI SCUSO DI CUORE ^^
CI SENTIAMO :)

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Capitolo 42
*** SCUSATE ;_; ***


RAGAZZI DOVEVO AGGIORNARE, MA LO SPETTACOLO TEATRALE SI E' RIVELATO UNA GRANA PIU' GROSSA DEL PREVISTO, STASERA MI TOCCA FARE UNA MONACA E RECITARE DAVANTI AL CARDINALE, CHE RIDERE, CI PENSATE SE INCIAMPO COSA NON DICO? QUANTE NE TIRO GIU'? xDDDDDD
IN OGNI CASO, IDIOZIE A PARTE... PERDONATEMI! ;_____;
L'UNIDICI LUGLIO DOVREI TORNARE A CASA E RIPRENDERE A PEINO RITMO! PERDONATEMI SE HO INTERROTTO QUESTA STORIA CHE CI UNISCE, VI ASSICURO CHE L'UNDICI APPENA ARRIVO SARA' COME PRIMA!
BUONA GIORNATA A TUTTI! CI SENTIAMO A PRESTO ^_^ VI VOGLIO BENE ^_______^

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Capitolo 43
*** Cure ***


CAPITOLO QUARANTESIMO

“Non possiamo più proseguire!” Si fermarono tra gli alti e maestosi alberi, poggiandola delicatamente a terra; Makau si chinò, sollevano le bende che nascondevano la brutta ferita di Kisala. Scosse il capo con preoccupazione. “E’ un’emorragia, il sangue non si ferma!”
“Falla stare ferma.” Kuara sedette sull’umido strato di muschio, facendo poggiare il capo della cugina sulle proprie ginocchia, mentre Himoro, grazie a qualche conoscenza passatagli da una buona ed anziana nonna gatto, cercava alcune sostanze naturali che sapeva indicate al caso.
Erano un gruppetto sporco e spossato; persino Talana aveva perduta la consueta freddezza scientifica, abbandonandosi sull’erba. Non era riuscita a lottare come avrebbe desiderato, spaccando in quattro quella maledetta demone gatto, eppure l’adrenalina le aveva ugualmente risucchiato ogni energia. Adesso voleva solo chiudere gli occhi, e dormire per tre giorni almeno… ma purtroppo non era ancora l’ora di riposare.
“Ecco, bisogna fare una pappetta di questi, e applicarla su…” Himoro, riemerso dalla sua ricerca, diede frettolose istruzioni a Kuara, senza badare all’espressione inorridita di lei di fronte a quell’ammasso di vermi e foglie.
Kisala strinse le palpebre, mugugnò qualcosa, e aprì gli occhi color dell’oro, studiando quei volti chini su di lei.
“Ehi, ciao…” Soffiò, respirando a fatica. Aveva le membra intorpidite, la mente imbrigliata nelle corde dell’oblio, e per un attimo si chiese se quella fosse la morte.
“E’ pallidissima! Quell’intruglio serve a qualcosa?” Domandò Makau, facendole aria.
“Sempre meglio che sventolarla con una foglia…” Ribatté il demone gatto, e subito il giovane interruppe l’inutile pratica di salvataggio.
Talana, seppur di controvoglia, si levò a sedere, studiano l’unguento curativo che, con mano tremante, Kuara spalmava su Kisala, macchiandosi del suo sangue. Era una soluzione casereccia, che purtroppo non poteva essere sufficiente: la mezzo demone aveva perduto davvero troppo sangue.
“Non… mi sento molto bene…” Ammise.
“Ben ti sta, così impari a fare a botte con Sesshomaru!” Fu la pronta risposta di CuordiLeone Himoro.
“C’è… c’è una luce laggiù…?” Chiese ancora la ferita.
“Oh Cielo, questa ha le allucinazioni premorte!”
“Kuara non dire idiozie!”
Talana scosse il capo. Che gruppo di folli; se non ci fosse stata lei…
“Ecco qua.” Dalla solita e provvidenziale tascona delle invenzioni fece uscire un nuovo prodigio. “Fateglielo bere.”
La scena si fermò, mentre tre paia d’occhi si fissavano una boccetta contenente un liquido dall’aspetto non molto invitante.
“Forse è meglio l’intruglio coi vermi…”
“E’ meglio di cosa…?” S’incuriosì Kisala, che dalla sua postazione sdraiata non aveva avuto il piacere di osservare la cura proposta dalla demone scienziata. Sollevò a fatica il capo, individuandola. Non ne fu esattamente attratta. “Vuoi avvelenarmi per liberarmi dalle sofferenze?”
“Mi sembra d’avervi fornito di sufficienti elementi circa la mia genialità; non vedo come possiate ancora essere scettici di fronte ad una mia creazione!”
Studiarono di nuovo le sfumature nero verdastre della pozione, e decisero che sì, avevano eccome il diritto d’essere scettici.

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Capitolo 44
*** Cure - 2 ***


“Meglio morire dissanguata o avvelenata?” Volle sapere Kisala, la voce sempre ridotta a sussurro.
Makau considerò attentamente la questione. “Avvelenata è più rapido e indolore.”
“Solo se il veleno agisce velocemente.” Intervenne Himoro. Talana sembrava non badare a quei discorsi evidentemente rivolti alla cura che aveva proposto: se ne stava lì, la boccetta verso il gruppetto di diffidenti, in attesa. Sapeva che non avevano scelta.
“Credo sia un veleno ad azione rapidissima.” Decise Kuara, notando strane bollicine che galleggiavano nell’oscura sostanza.
“Allora datemelo.” Fu accontentata subito. Makau afferrò e stappò il contenitore, trattenendo un conato di vomito al letale odore che ne esplose; tremante, lo avvicinò alle labbra di Kisala. Per lei fu un grande sforzo di volontà aprire la bocca e berselo tutto d’un fiato.
Strizzò gli occhi, sentendo quella lava incandescente scivolarle lungo il corpo e lottando contro uno stomaco che non ne voleva sapere di ospitarla. La fronte le si imperlò di sudore, l’aria a fatica continuò ad entrarle nei polmoni. Sì: era proprio veleno ad azione rapida!
Una mano si alzò verso il cielo, in cerca di chissà quale soccorso divino, ma incontrò solo quella di Makau, che la strinse; le sue orecchie udivano parole, discorsi: qualcuno le stava parlando, ma non riusciva a cogliere chi o perché. Strizzò tra le dita quelle dell’amico, così grandi e ruvide, affondando le unghie nella carne. Un urlo le sfuggì dal petto, inarticolata espressione di dolore.
Basta! Che la uccidessero pure, mettendo fine a quelle sofferenze!
“…A guarire!"
“Cosa?” Farfugliò.
“Ti ho detto” ripeté pazientemente la voce femminile, “di pensare di guarire!”

“Potrei sapere che effetti ha quella poltiglia che le hai propinato?” Kuara fissò spaventata Kisala che soffriva, sudava, si contorceva. La medicina di Talana non sembrava molto utile, anzi: aveva addirittura peggiorato la situazione.
“E’ una delle mie poche invenzioni in cui c’è più magia che scienza.” La demone finse di non considerare gli urli di Makau: Kisala gli aveva afferrato una mano e gliela stava letteralmente dilaniando. “Funziona con la mente: quello che lei pensa del suo corpo, accade!”
“Vuoi scherzare?”
“Certo che no! Himoro, prova a berne un sorso, per dimostrazione…”
“Neanche se mi cospargi di miele e mi butti su un formicaio!” Urlò inorridito l’interpellato, notando la tonalità bluastra assunta dalla mezzo demone. “Guarda come l’hai ridotta!”
“Questa è una medicina per demoni, e Kisala è per metà umana.” Come sempre, spiegava con estrema calma e pazienza, come se non avesse avuto davanti una creatura in bilico tra la vita e la morte. “Quindi per lei è un po’ più doloroso del previsto…”
Kisala urlò. Urlò tutte le fiamme che la stavano dilaniando dall’interno, corrodendole gli organi.
“Un PO’ più doloroso…?”
“Questioni marginali.” Stabilì Talana, spiccia. “Adesso deve capire cosa pensare. Kisala, pensa a guarire!”
La mezzo demone parve ritornare confusamente in mezzo a loro.
“Cosa?”

Pensare di guarire? Ma che idiozia era mai quella? Stava morendo, soffriva come un cane, e una cretina le consigliava di pensare di guarire?
Non è una cretina, si rispose. E’ Talana. E Talana non spreca il fiato per dire idiozie. Quindi, se mi chiede di pensarlo… io lo penso.
Guardò su, verso l’alto, e l’offuscata vista le riportò le immagini delle fronde del grande albero. I pochi raggi di sole che superavano quella barriera floreale le colpirono le pupille, quasi accecandola.
Si concentrò. Vide sé stessa, il suo corpo. Una struttura forte e flessuosa, color perla. Vide il grande squarcio che l’attraversava, strappandole il sangue e le energie.
Pensare di guarire.
Con le mani della mente, afferrò i due lembi della ferita, richiudendoli.

“Ho fame…!” Di nuovo lo straccetto le bagnò la fronte, passando appena sopra le nere ed arcuate sopracciglia. Rivolse un vispo sguardo color miele al ragazzo dai capelli rossi, che non poté trattenere un sorriso.
“Lo so, ma non sei ancora in grado di alzarti.” Makau ripose la stoffa nell’acqua del ruscello. Non riusciva a staccare gli occhi da lei, dalla forte Kisala che per un pelo avevano strappato alla morte. Non era in grado di fissare altro, semplicemente si lasciò incantare da quel bel volto.
“Se non mangio, come faccio a recuperare le forze?” Sedeva contro un sasso, vicino a un allegro e scrosciante ruscello, una mano premuta su quello che fino a qualche ore prima era stato un colpo mortale. E adesso era quasi del tutto richiuso.
Quanta sorpresa, e paura anche, aveva provato, nell’osservare quella ferita che, come dotata di vita propria, aveva preso a richiudersi, richiamando all’interno gran parte del sangue perso.
E quanta gioia. Quanta gioia, quando lei si era ripresa e aveva sorriso. Con aria furbetta.
“Himoro e Kuara sono andati a caccia.” Spiegò, distogliendo immediatamente lo sguardo. Se avesse continuato così, si sarebbe avvicinato troppo a lei… alle sue labbra… beccandosi un bel ceffone!
“A caccia? L’altra volta hanno portato una specie di coniglio spiaccicato!”
“Meglio che niente… ehi! Non sei più concentrata!”
“Cosa?”
Quella pozione di Talana era un autentico colpo di genio. Una mistura che avrebbe salvato mille mila vite, se non fosse stato per un particolare: il corpo di chi decideva, nonostante l’aspetto non proprio salutare, di berla, si modificava a seconda dei suoi pensieri… ma non sempre è così semplice controllare ciò che si pensa!
“Stavi pensando alla cena, vero?”
Kisala abbassò lo sguardo sulle sue mani. “Beh, sì.” Mosse a disagio uno dei grandi unghioni, grattandosi appena il ventre.
“Guarda che hai combinato!” Makau prese un’enorme zampa di orso bruno, che occupavano lo spazio delle mani dell’amica, attaccandosi direttamente ai suoi sottili polsi: un effetto davvero strano. “Pensa a guarire, non a cacciare orsi!”
Talana, immersa nel ruscello sino alla vita, godendo di quel rinfresco serale, sorrise.



FAN ART Ecco una nuova fanart che ha fatto la cara rubin, nuova fan! Guardate quanto è bella Kisala, con un'espressione così dolce ^_____^ Bravissima!
http://img231.imageshack.us/img231/8249/kisalapicture6je.jpg

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Capitolo 45
*** Inizia la nuova avventura! ***


CAPITOLO QUARANTUNESIMO

“Adesso mi sento molto meglio!” Kisala si stiracchiò attentamente, felice di poter finalmente distendere il ventre e la schiena, per troppo tempo costretti all’immobilità dalla ferita. Balzò in piedi, saltellò un paio di volte. “Come nuova!”
Si era appena svegliata dopo l’ennesima, lunga dormita: la pozione della demone le aveva richiesto grandi sforzi mentali, spossandola. Ma ora era tutto finito.
“Guarire in tre giorni è una bella impresa.” Makau sorrise a Talana. “Degna di te.”
“Sono geniale, lo so.” La demone non era certo una creatura che abbondava di modestia.
“No, no! Devi fare così, ecco!” Himoro si accucciò dietro un cespuglio, nascondendosi completamente la vista. “Ecco. E devi respirare in silenzio. Prova!”
Kuara, obbediente, cercò per sé un altro cespuglio dove celarsi, trattenendo il respiro fino a diventare paonazza.
“Non ho detto che non devi respirare!” Si affrettò a salvarla da una fine decisamente stupida.
“Cosa…?” Kisala li squadrò mentre cercavano un nuovo nascondiglio. “Cosa fanno?” In quei giorni passati a scivolare tra la coscienza e l’incoscienza, la mezzo demone non si era resa ben conto di cosa le accadeva attorno, e così si era persa la fondazione della…
“Scuola di sopravvivenza: Himoro ha deciso di insegnare qualche tattica a Kuara, dato che è nuova di questo mondo.” Makau scosse il capo. “L’unica pecca è che sa solo scappare e nascondersi, o nascondersi e scappare.”
“Meglio che niente.” Kisala recuperò la preziosa Tessaiga, legandosela saldamente al fianco: durante la convalescenza le avevano impedito di tenerla con sé, facendola sentire a dir poco nuda. “Io vado!”
“A caccia? In quelle condizioni?” Ma quello era un Cacciatore di Demoni o una mamma apprensiva?
“Cosa…? In queste condizioni? Oh, no, certo che no… io…” Non aveva mai eccelso nel mentire, ma questa volta ce la mise tutta. “… Io voglio solo fare una tranquilla, rilassante passeggiata…”
“Kisala?”
“Sì?”
“Ti stanno crescendo delle orecchie da orso.”
“Talana! Quando cavolo finirà l’effetto di questa medicina?”
“Non lo so; a dirtela tutta, tu sei la prima mezzo demone su cui l’ho sperimentata…” La demone sorrise con fare rassicurante, raccogliendo i capelli in una morbida coda.
Kisala voltò lentamente il capo. Molto lentamente. “Vuoi forse dire che… potrei rimanere così per sempre?”
“Ah! Senti questa aurea? Sai cosa significa?” Il demone gatto balzò fuori dal nulla, parlando all’allieva e facendo prendere un infarto a tutti.
“Significa che Kisala è arrabbiata.” Kuara saltò giù da un albero non si sa bene come raggiunto. Era davvero una degna apprendista.
“E cosa facciamo noi quando una mezzo demone mezza matta e pericolosamente armata è arrabbiata?”
“Scappiamo!”
“Bravissima! Ragazzi! Io e Kuara andiamo ad allenarci da un'altra parte!” Himoro e l’umana salutarono, allontanarsi. Scomparvero saltellando da cespugli a nascondigli in vecchi tronchi.
“Ma bene, lei sta diventando peggio di lui” Makau si assestò una manata sulla fronte. “Forse era meglio lasciarla nella puzza e nel caos del suo tempo…”
“Non mi hai ancora risposto…” Fece notare Kisala.
Talana prese tempo schiarendosi leggermente la voce e assestandosi alcune inesistenti pieghe dell’abito. “Ecco… forse non sarà eterno… però credo che dovrai sopportalo un po’…”
“E per quanto, esattamente?”
Talana ritenne opportuno rispondere con un sorriso e allontanarsi il più in fretta possibile.
“Ehi! Torna qui!” Il tentato inseguimento fu bloccato da una gamba trasformatasi misteriosamente in una zampa di grizzly. “Accidenti a te!”
Makau si tenne a distanza di sicurezza dalla mezzo demone-mezza umana-mezza belva che mischiando terribili epiteti e ancor più terribili ruggiti si avviava ad una rilassante caccia… povera la preda che avrebbe incontrato!
Sospirò di quell’inaspettata solitudine, alzò il capo al cielo azzurro e qualcosa lo afferrò per la gola.

Quando era giovane, qualche secolo prima, passava tutte le sue giornate in un antro, buoi e caldo, dove studiava e fabbricava sempre nuove diavolerie, che mai convincevano l’antiquato padre; anzi, spesso con esperimenti non proprio ortodossi la combinava davvero grossa e finiva in punizione per mesi.
Ma sempre era stata sorda ai richiami dei fratelli, di quei fratelli solo uterini, che le chiedevano di giocare con loro, di andare al fiume con loro, di prendere il sole con loro: erano solo sciocchezze, che rubavano tempo alla sua voglia di conoscere.
Fortunatamente, crescere significa innanzitutto evolvere, anzi, formare armoniosamente la propria persona, scoprendo nuove esperienze che vadano a completare quella spirale armoniosa che è l’anima.
Così Talana aveva fatto, nel corso dei decenni, restando sì fedele adepta delle scienze, ma avvicinandosi anche ad altri spazi e materie d’apprendimento. Infine, con sorpresa, aveva capito che la migliore aula era proprio la natura, e il più grande degli insegnanti l’ozio: quell’ozio che consente alla mente di vagare, fantasticando, forse inventando senza neppure accorgersene.
E adesso, allontanatasi dal gruppo, fingendo di voler sfuggire alla mezzo demone, ma in realtà semplicemente vogliosa di restare sola con sé stessa – non era certo abituata ad una compagnia costante e chiassosa come quella –, assaporava i remoti pertugi dove la sua fantasia si era annidata. Da troppo tempo non inventava qualcosa; forse…
Fu allora che qualche vigliacco l’attaccò; ovviamente, rimanendo alle sue spalle.

“Maledetto bastardo, ti ho ritrovato, eh?” Strinse più forte, e il filo minacciò seriamente di tagliargli il collo.
“Che fortuna… urgh!” Mosse una mano verso il cielo, ma nulla e nessuno lo avrebbero aiutato. Talana fuggita, Kuara e Himoro nascosti chissà dove. E Kisala…? C’era da augurarsi che Kisala fosse ancora del tutto umana. Insomma, non il momento migliore per ricevere la visita dell’amata sorellina. “Come te la passi? A casa tutti bene?” Tentò una conversazione che lei non accolse.
“Non solo mi tocca inseguirti per mari e per monti…” Aveva usato su di lui una sottile bava metallica, una geniale arma che le permetteva di legare il nemico come un salame e torturarlo per quanto aveva piacere. Uno strumento adattissimo alla sue personalità, insomma. “… Mi hai anche presa in giro, rubandomi il Libro!” Si avvicinò quel tanto che bastava, mantenendo salda la presa su quella geniale trappola, e gli assestò un bel calcione. “Questa volta ti ammazzo! E poi ti taglio il collo!” A voler essere davvero precisi, sembrava che avesse l’intenzione di fondere le due azioni in una sola, continuando a tendere sulla sua gola quella tela di ragno in metallo, che avidamente assaggiò il sangue dell’ennesima vittima.
Makau prese commiato dal mondo.
E sua sorella cadde a terra priva di sensi.
“Te l’ho già detto che questa qui non mi sta per niente simpatica?” Kisala ripulì dal sangue la fodera di Tessaiga che aveva utilizzato per tramortire la fanciulla dai boccoli rossi. “Non so più chi scuoiare, se lei o lui!” Indicò con il pollice la carcassa di un orso appena catturato, e Makau rise di folle sollievo.

Talana si rialzò, tremando di rabbia.
Squadrò la figura, una figura alta e dai capelli neri come la notte.
“Chi sei, maledetto?” Ringhiò.




Uh com'è finito questo capitolo ^^
Non mi uccidete! ^^
Adesso posso finalmente mostrarvi i disegni della bravissima Jinny! ^^
Per vederli, copiate e incollate il link sulla barra dell'indirizzo ^^
Guardate che Himoro sensuale! Se diventasse un demone malvagio sarebbe proprio un gra bel pezzo di micio ;)
http://img388.imageshack.us/my.php?image=himoro9ax.jpg
Ed ecco invece una bellissima Talana! Guardate che occhi stupendi, raccontano tutta la sua intelligenza! E da questo disegno si possono anche ammirare i famosi rotolini che la mamma di Himoro ha osato criticare (Rischiando la pellaccia)
http://img388.imageshack.us/my.php?image=talana9fj.jpg
Ho tenuto come ultimo il ritratto di Kisala. E'... è bellissimo! Una creatura scarna, con la lunga ed elegante coda e gli occhi color oro ^^
E' pensierosa... chi lo sa, forse la nostra Jinny l'ha colta in un momento di malinconia... forse quando Makau se n'è andato! ^^
http://img4.imageshack.us/my.php?image=kisala4ak.jpg

Eccoli qua, li ho già finiti! ^^
Ovviamente, estendo l'invito a disegnare a chiunque abbia voglia e/o tempo! ^^
Grazie di nuovo... stiamo assieme, leggiamo assieme come abdrà finire questa folle storia! ^_^

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Capitolo 46
*** Korin ***


CAPITOLO QUARANTADUESIMO

Molto spesso, il destino è rappresentato come un vecchio dal ghigno sadico, un antipatico burlone, che elegantemente muove i fili delle nostre esistenze; oppure, è un bambino, un roseo bambino dalle gote rosse come mele mature, che giocando lascia cadere i suoi bei dadi, che rotolano, si scontrano, rollano, si fermano: e stabiliscono la nostra via.
Cosa accomuna queste due immagini? Il divertimento. Lassù c’è qualcuno – anziano o giovane, questo non importa – che si divertente con noi, piccole formiche che giocano sotto la grande volta celeste. Ci prende, e ci intreccia, senza un apparente logica; forse solo con una buona dose di sadismo.
I nostri lettori vorranno logicamente sapere cosa accidenti c’entra questo discorso con gli avvenimenti che sono stati lasciati in sospeso; fidatevi: in quello che vi racconto v’è sempre una logica.
E difatti, a cos’altro poteva essere dovuto quell’incontro, un incontro che a ben vedere non era cominciato nel più roseo dei modi, se non a un complicato gioco di destini?
Talana, rialzandosi e osservando il suo avversario, non poteva certo sapere ciò che il narratore onnisciente vi sta rivelando: quel giovanotto, dai capelli neri come la notte, e occhi del medesimo colore, profondi come l’oblio, altri non era se non uno dei discendenti di Sango e Miroku, uniti in sacro legame da molti anni, e baciati dalla fortuna che gli aveva concesso una ricca prole. Tra questi, colui che aveva appena colpito Talana: Korin, ereditario dell’Hiraikotsu, e giovane sterminatore di demoni.
Ma la caccia ai demoni non era l’unica cosa che il giovane aveva ereditato, specialmente dal ramo materno… E questo è un aspetto di lui che avrete modo di scoprire da subito.
Talana si rialzò, quasi ringhiando. La schiena, colpita da quell’enorme quanto ridicolo boomerang, doleva: di essere salva lo doveva solo alla sua incredibile resistenza fisica. E al fatto che Korin prima di colpirla seriamente voleva capire chi fosse.
“Chi sei, maledetto?” Lo apostrofò, mentre in lei si riaccendeva un fuoco – e mai espressione fu più letterale –, un fuoco che presto gli avrebbe sputato addosso, facendolo pentire non solo d’averla attaccata, ma anche d’essere rimasto lì a fissarla con quella faccia da cretino.
“Accidenti… da dietro non mi ero accorto… di quanto fossi bella!” Lui rise, spingendosi all’indietro un ciuffo di capelli ribelli che sempre gli spiovevano sul volto. “Chiedo perdono, temo di essermi sbagliato.” Congiunse le mani e fece un breve inchino di scuse; molto educato, sì, ma nel farlo lasciò che un’occhiata scivolasse nella scollatura di lei, apprezzandone le morbide forme.
“Razza di pervertito!” Come avrete già intuito nel corso della storia, era davvero difficile che Talana si scomponesse; ma per questo scemo saltato dal nulla fece volentieri un eccezione, urlando come una donnina qualunque e coprendosi immediatamente la zona che lo aveva interessato. “Che significa che ti sei sbagliato? Mi sembra tu abbia preso in pieno… Smettila di guardare lì! Chi accidenti sei?”
“Il mio nome è Korin, venerabile demone.” Sorriso a trentasei denti. “Sono uno sterminatore di tuoi simili, ma certo non potrei mai colpire una fanciulla dalle morbide forme come te…”
Forse fu una sua illusione ottica, forse fu proprio quello che accadde: fatto sta che a quel punto Korin fu pronto a giurare d’aver visto scintille, anzi, fiamme, avvampare nei grandi occhi di lei.
“Nessuno… né demone, né tanto meno umano… nessuno…” Talana iniziò a sbuffare come un toro pronto alla Corrida, e anche la più stolta delle creature sarebbe già fuggita il più lontano possibile. “… Può permettersi di far battute sul mio fisico!”
E a quel punto per l’umano furono dolori.
Da qualche parte, nell’immensità di un universo che a nessuno di noi è dato di conoscere appieno, una creatura chiamata Destino si fece una sonora, grassa risata.

“Liberami e combatti come si deve, razza di vigliacco!” Era bella, di una bellezza esotica o addirittura elfica, con quei perfetti boccoli rossi e gli occhi simili a due enormi smeraldi. Eppure, riusciva facilmente e ignobilmente a rovinare quell’apparenza di beltà, ringhiando verso il fratello che voleva uccidere. “Ti ammazzo, strapperò ad una ad una le tue membra, le cucinerò a fuoco lento…”
“Ognuno di noi ha una famigliola dannatamente simpatica.” Osservò Kisala, poggiata ad un albero, a braccia conserte.
“I simili si attraggono tra loro.” Makau rise, ignorando stoicamente le serie di torture che la sorella stava snocciolando nella sua direzione; prese un nuovo pezzo di corda, e lo fissò a quella già utilizzata per immobilizzarla il più possibile.
“Potresti imbavagliarla? Fa venire il mal di testa.” Kisala fu subito accontentata, ma non poté evitare uno sguardo carico di vendetta da parte della Cacciatrice di Demoni. “Sì, sì: poi mi ucciderai con tutta calma, ma ora è meglio se stai zitta!” Rispose.
Makau fissò l’altra estremità della corda ad un grande e spesso ramo; fece sì che un capo scivolasse verso di loro, e cominciò a tirarlo. Con una risata divertita della mezzo demone, la ragazza, che ora poteva sbraitare solo nella propria mente, fu issata, in alto, lassù in mezzo alle fronde, come un sacco di provviste che si vuole difendere dagli animali selvatici.
“Forza!” Makau fissò la corda, quindi si adoperò per recuperare la sua sacca… e tutte le utilissime armi confiscate al suo stesso sangue. “Andiamocene. Qui c’è puzza di carogna!” Una scarpa caduta dall’alto, anzi, lanciata con precisione matematica, gli provocò un gran bernoccolo. “Ma non ti arrendi mai, disgraziata?”
“Sono contenta che tu abbia deciso di non ucciderla: è pur sempre tua sorella!” Kisala, senza dimenticare un bell’orso che altro non aspettava se non di essere degustato, si avviò per il bosco, intenzionata a raccogliere gli altri.
“Sì, è pur sempre mia sorella.” Confermò Makau, senza nascondere un ghigno.
La sorella impiegò tre giorni e tre notti per liberarsi, ma la sua avventura non è cosa che ci riguardi.

“L’avevo già vista così… mette davvero i brividi! Non trovi, Himoro?” Kuara si strinse tra le magre braccia, osservando da dietro un giovane tronco Talana impegnata a sputare fuoco su un umano che non sarebbe resistito ancora a lungo. “Ma… Himoro? Ehi!” Doveva immaginarselo: dopo essere stato, a casa di Kisala, imprigionato sulla cima di un albero incendiato proprio da quelle fiamme, era logico che il demone gatto se la sarebbe data a gambe. Però, lasciarla lì, sola… Non era molto cavalleresco, ecco. “Ma tu guarda che tipo!” Osservò ancora la scena, domandandosi chi fosse quell’uomo che non solo riusciva a difendersi dalle fiamme della demone, ma anche ad attaccarla con un enorme boomerang.
Talana aveva cominciato quello scontro spinta dalla furia cieca, che ne aveva ottenebrato da subito le capacità logico matematiche; per non parlare poi dell’autocontrollo, perduto in chissà quali nicchie della sua anima. Il fatto poi che quella specie di moccioso umano riuscisse a parare ogni suo attacco l’aveva man mano innervosita sempre di più, sino ad arrivare a estrarle ogni goccia di natura demoniaca.
Adesso era una creatura dagli occhi color braci e lunghi artigli, che svolazzava qua e là emettendo dalle rosse labbra fiammate letali.
Kuara pensò che sarebbe stato il caso di fermarla. Kuara però pensò che non sarebbe stato il caso di finire arrosto al posto di quel poveretto. Kuara convenne che non v’era posto migliore, se non dietro a quel tronco.
Sì, forse Himoro e il suo “coraggio” l’avevano un po’ infettata…



Ecco qui come promesso la doll di Mikoru (a.k.a. Lena)
E' davvero pucciosissima, l'ha vestita come me l'ero immaginata io ai primi capitoli ^^
Grazie Lenuccia!
http://img355.imageshack.us/my.php?image=kisala1ld.png
(Copiate e incollate l'indirizzo su una nuova pagina.)
Come sempre, l'invito a darmi o consigli e/o a disegnare è esteso a tuti voi! Grazie di seguirmi! ^_^

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Capitolo 47
*** Intervento nel duello ***


CAPITOLO QUARANTATREESIMO

“Bella e focosa, cos’altro volere da una donna…” Korin si fletté appena, evitando una calda e serpeggiante fiammata che gli passò accanto. Tornò dritto e sbadatamente si spolverò la parte bruciacchiata della manica. “Se solo ti calmassi, forse potrei spiegarti…”
Talana sollevò il capo, mostrando le iridi ora color brace. Calmarsi? Quel cretino prima la colpiva alle spalle, poi faceva il pervertito… e ora osava anche chiederle di calmarsi? Avrebbe proseguito all’inferno i suoi discorsi deliranti!
Kuara, spia celata dietro verdi foglie primaverili, sobbalzò di paura, quando qualcuno le sfiorò una spalla. Si voltò, e a fatica distinse in controluce due sagome fortunatamente familiari.
“Kisala! Makau! Grazie al cielo!”
“Che sta combinando Talana? E chi è quello?” Kisala sedette accanto alla cugina, studiando il combattimento.
“E dov’è Himoro?” Makau invece preferì fare la domanda del secolo.
“Non lo so, è scappato! Siamo arrivati qui per caso, e abbiamo visto Talana imbufalita…” S’interruppe non appena il ragazzo si accomodò con loro. “Com’è che hai il collo sporco di sangue?”
“Visita di cortesia della sorella.” Kisala indicò l’amico con un sorriso di scherno, quindi gettò da parte l’orso. Quando, quando sarebbe riuscita a mangiarlo? “Sarà meglio che vada a fermare quella psicopatica…” Anche perché rimandare ancora a lungo l’ora del pasto le avrebbe procurato sgradevoli allucinazioni.
Si gettarono in due per fermarla, ma inutilmente: in un balzo lei era già sfuggita loro, allo scoperto, quasi in mezzo al campo di battaglia, l’elegante coda nera che scattava nervosamente qua e là; gli sfidanti studiarono il nuovo arrivo, e un barlume di lucidità sembro riacquistare il possesso di Talana.
“Allora?” Kisala si rivolse direttamente alla demone, ignorando il ragazzo. “La smetti, o ti devo fermare io?”
“Impicciati degli affari tuoi.” La demone digrignò i lunghi ed affilati denti, e fu allora che Kisala ebbe conobbe la sua istintiva ferocia. Priva di sensi, anzi, praticamente in fin di vita, non aveva avuto il piacere di scoprire quel lato della scienziata, durante quel suo famoso scontro con la madre di Himoro, e una tale visione la lasciò senza fiato. Quel ragazzo era riuscito a sopravvivere a uno scontro con un simile mostro? Tanto di cappello!
Makau osservava la scena dal nascondiglio, non sapendo bene cosa temere: anche Kisala non propriamente un cuor calmo, e se per un malaugurato evento si fosse infuriata, perdendo il controllo e scagliandosi sull’amica, non ci sarebbero stati santi che avrebbero tenuto.
“Sono affari miei, invece.” Pacata e padrona di sé, la mezzo demone si mosse a grandi passi, senza staccare lo sguardo da quello di Talana, così come fanno molti ammaestratori di belve. Quando si fermò, era davanti a Korin, in mezzo ai contendenti “Se vuoi colpire lui, dovrai… eh?” Quasi senza crederci, sentì una mano maschile scivolare sotto il suo braccio, e afferrarle un seno.
“Davvero notevole.” Il proprietario della mano sorrise, approfondendo l’esplorazione. “Per essere magra, sei ben fornita!” Korin parlò con tono da intenditore, ignorando il tremore di rabbia che attraversò il corpo della mezzo demone.
Per Makau fu davvero una gran brutta faccenda salvarlo dalle due femmine inferocite.

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Capitolo 48
*** Lo Sterminatore Korin ***


CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO

“Ehi… serve aiuto?”
Makau alzò appena lo sguardo, senza smettere di ansimare. Era sudato e malconcio come se avesse cercato di trattenere a mani nude due stalloni pronti a combattere per il proprio territorio. Metafora che, a ben vedere, non s’allontanava di troppo dalla realtà; anche se a dire il vero a conciare come un grumo di uva pestata il povero ragazzo erano state due femmine, focose giumente, ora in un angolo, ma sempre pronte a staccare la testa a un secondo ragazzo, provocatoriamente sorridente e in perfetta salute.
“Ora, no. Prima, quando una mi mordeva una gamba e l’altra cercava di cavarmi un occhio, e io urlavo come un cane in fin di vita, avevo bisogno d’aiuto, sì.” Ammise il rosso, trattenendosi a fatica dal prendere a pugni lo sfacciato demone gatto, da poco spuntato quasi dal nulla. “Ma adesso, come ti ho detto, è del tutto superfluo.”
“Ah, bene.” Sorrise sollevato. “Kuara, andiamo a prendere dell’acqua? Credo che ce ne sia bisogno…”
Felice di allontanarsi da tre creature terribilmente nervose e quel da ragazzo che continuava a guardarla come se la stesse immaginando vestita da coniglietta, Kuara balzò in piedi e si allontanò in compagnia del demone, giocando a catturargli la bionda coda.
“Adesso, non rendere inutili tutte questi tagli e scottature.” Korin sorrise alle parole del suo salvatore, che mostrava i segni lasciati da Kisala e Talana. “Chi sei, e cosa vuoi?”
“Rispondo io: è un dannato pervertito che vuole morire!”
“Talana, ti prego di non…”
“Il mio orso!” Kisala, completamente assorbita nel tentato omicidio faticosamente sventato da Makau, aveva del tutto dimenticato quella preda che attendeva d’essere consumata; e che infine stava trovando posto negli stomaci dei cani selvatici che ora se la contendevano, con sordi ringhi e acuti versi di minaccia. “Lasciatelo stare, maledetti!”
Incurante del sangue perduto, si avventò sul branco, mischiando la sua natura canina a quella degli animali, e scatenando una rissa non da poco.
“Una creatura dalla semplicità interessante.” Ammise Korin, prima di accorgersi del piccolo pugnale – un’arma dalle ridotte e pratiche dimensioni, che Talana amava celare nella scollatura – che minacciosamente gli pungeva la gola.
“Io ammazzo te.” Fu la scientifica spiegazione.
“Anche tu non scherzi, eh?”
“Talana! Non mi avevi promesso di…” Makau fu interrotto da un urlo di giubilo. Kisala, rimasta sola con un orso in parte sbranato, scodinzolò per la vittoria.

“Mettiamo un po’ i piedi in acqua?”
“Beh… forse dovremmo tornare dagli altri…”
“Figurati! Ne avranno per un bel po’, credo.” Himoro si tolse i semplici calzari che lo avevano sostenuto in così tante fughe, rivelando piedi dall’aspetto sia umano che felino, quindi, con un sospiro di sollievo, si accomodò sulla sponda del torrente, lasciando che l’acqua gelida li bagnasse. “Quel Korin è un tipo sospetto: uno sterminatore di demoni! Oltre che un pervertito.”
“Infatti! Talana e Kisala sono sue nemiche naturali! Non sarebbe meglio andare ad aiutarle…?”
“Credimi: se non ci fosse stato Makau, ora dovremmo aiutarle solo a scavare una tomba per quello stupido!”
Kuara rise di gusto. Sedette accanto a quell’amico che mai avrebbe sperato di trovare e si sfilò le moderne scarpe da ginnastica, così fuori luogo in quegli spazi incontaminati; tolse le lunghe calze a righe colorate che le coprivano le secche gambe, sino all’orlo della minigonna, sospirando al piacere della pelle accarezzata dall’aria fresca.
Nel farlo, non poté fare a meno di riportare alla mente un problema che l’attanagliava da ormai diversi giorni: la Shikon No Tama era sparita.
L’aveva riportata in quella epoca di contrabbando, nascondendola appunto nelle calze, conservandola con attenzione. Eppure era scomparsa nel nulla, senza che lei se ne accorgesse: volatilizzata.
Non che la cosa le dispiacesse: una volta aveva subito l’attacco di una sottospecie di zombi, forse proprio a causa di quell’oggetto maledetto. Quindi, perderlo doveva valerle come un’assicurazione sulla vita… no?
Scacciò quella preoccupazione, muovendo i piedi nell’acqua. Schizzò casualmente Himoro, e da lì partì una feroce battaglia, che si concluse con entrambi i contendenti zuppi da capo a piedi.

“Così…” Makau aveva consumato altre preziosissime energie per convincere Kisala che non era affatto igienico mangiare un qualcosa sgranocchiato da cani selvatici, ed ora, seduto accanto a lei, era a dir poco stremato. “…sei stato assoldato per dare la caccia a un demone?”
Sentiva poggiato a sé la schiena della mezzo demone, la sentiva sollevarsi in lenti respiri. Il cuore le batteva, poteva avvertirlo, batteva come un pazzo: ma non certo per l’emozione d’essere accanto a lui. Semplicemente, voleva uccidere il nuovo arrivato.
“Io mi guadagno da vivere così.” Korin annuì, sorridendo. “Trovo il demone, ammazzo il demone. Di solito seguo una scia spiritica, ed è stato per questo che per sbaglio ho colpito questa bellissima creatura…” Si chinò per applicare un perfetto baciamano su Talana, e un ceffone non mancò di raggiungerlo. “Però, ahimé, non è lei la mia preda… anche se potremmo metterci d’accordo…” Questa volta riuscì ad evitare il colpo.
“E chi avresti dovuto catturare?” Makau trattenne a stento Kisala, pronta ad intervenire per salvaguardare l’onore dell’amica. Accidenti, con quel Korin di mezzo si sentiva davvero una sottospecie di baby-sitter!
“Una bestiaccia, un demonaccio senza stile che è spuntato fuori da qualche settimana a questa parte.” Korin fece un evidente sforzo mnemonico. “Un certo… Lyo, se non sbaglio.”
Kisala sentì Makau trattenere il respiro.
E poi tutti udirono Kuara, distante, urlare.



SEZIONE LETTERINE E DISEGNI ALL'AUTRICE:
Mikoru (a.k.a Lena) mi manda una bellissima doll di Makau! E' proprio un gran tocco di ragazzo come pensavamo, avete visto? ;)
http://img359.imageshack.us/my.php?image=makau4ny.png
Grazie mille ^________^


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Capitolo 49
*** Il Demone in Lui ***


CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

L’urlo si ripeté. Pieno di terrore, pieno di dolore. Kisala non poté più reggere il lento passo umano, e si discostò da Makau, saltando lontana come solo lei sapeva fare.
“Scusa, ci vediamo là!” Gli urlò, poco prima di sparire alla vista; Makau non commentò l’abbandono: anche correndo con tutte le sue forze, non avrebbe mai raggiunto la velocità della compagna: e in questo momento, sembrava proprio che Kuara avesse bisogno di soccorso il più presto possibile.
“Io vado con lei!” Talana sparì letteralmente nel nulla, e all’umano rimase il dubbio se fosse così veloce da risultare invisibile o se avesse usato direttamente una sorta di smaterializzazione.
“Ci hanno lasciati soli; una cosa molto romantica, no?” Ma quello, aveva sempre un sorriso idiota stampato in faccia?
“Un giorno mi restituirai tutti questi danni fisici, Korin. Con gli interessi!” Ringhiò.

Era caduta nell’acqua, bagnandosi le vesti di quel ventesimo secolo da cui era tanto frettolosamente fuggita.
Il ruscello la investiva, bagnandola e gelandola, ma lei non vi fece caso: era davvero troppo concentrata sulle cinque creature che li accerchiavano, ghignanti e puzzolenti di morte come certi teschi di un film dell’orrore di serie B.
“Cosa facciamo?” Himoro, alle sue spalle, anch’egli inzuppato sino alla vita, cercò una via di fuga, ma inutilmente: erano stati molto furbi, accerchiandoli come ombre silenziose, mentre loro giocavano beatamente nel ruscello.
“Sono della stessa razza di quello zombi!” Kuara scivolò indietro, finendo quasi tra le braccia del demone gatto, che la strinse a sé. “Ci ammazzeranno!”
“Ma cosa vogliono da noi?” Kuara non s’accorse del dilemma etico che stava contorcendo la coscienza del demone, non se ne rese conto sino a che non avvertì…
Un vuoto dietro di lei.
Quasi cadde all’indietro, quando Himoro, che aveva resistito stoicamente sino all’ultimo, era balzato via, oltre la cerchia dei nemici, abbandonandola al suo destino. Kuara urlò più e più volte il suo nome, senza ricevere risposta.
Fuggire con lei gli avrebbe impedito troppo i movimenti: non sarebbe mai riuscito a sparire così in fretta. E in fondo, quelli sembravano avercela proprio con Kuara: tanto valeva salvare almeno la sua pelle, no? Così l’aveva lasciata lì, come un cucciolo di cui si è stufati troppo presto.
Uno dei nemici forse rise di lei; e poi le saltò addosso.

Kisala atterrò all’improvviso, seguita da Talana.
La nera coda scattò a destra e a sinistra, chiaro segno di furia omicida, mentre gli occhi color oro esploravano il gruppo di idioti che osavano ostacolare la loro strada, armati sino ai denti.
Era l’ora di controllare l’affilatura di Tessaiga: estrasse l’arma, gustando il potere che con lei emerse dall’antico fodero, e si mise in posizione d’attacco.
Erano cadaveri. Se ne accorse alla prima tanfata che raggiunse le sue sensibili narici, una puzza così forte che quasi le fece girare la testa.
“Questa è logicamente una distrazione.” Intuì la demone scienziata, tirando fuori da chissà dove un qualcosa che Kuara avrebbe definito pericolosamente simile ad un bazooka. “Però suppongo di bastare io: tu vai avanti!”
Kisala non se lo fece ripetere due volte. Anche perché era cosa buona e giusta allontanarsi da Talana prima che azionasse quella sua arma infernale. Saltò, lontano.
Un boato esplose nella foresta alle sue spalle.

Kuara si accorse di piangere quando il gusto salato di una lacrima raggiunse l’angolo della sua bocca; si accorse di stare per morire quando uno dei burattini senza vita s’avventò su di lei, a denti protesti e artigli sguainati, lanciandosi con golosità su quella giovane e fresca carne che lo attendeva.
L’urlo peggiore di tutti riecheggiò quando l’assassino le afferrò una gamba, rovesciandola a testa in giù, nell’acqua, addentando la bianca belle del polpaccio. Affondò, e affondò, guastando il pasto, bevendo il sangue.
Kuara non urlò più. Sott’acqua, annaspò disperatamente alla ricerca d’aria, e questo bisogno primario quasi le fece dimenticare il dolore di essere divorata viva. Quasi. Tra le verdi fronde degli alberi che circondavano il fiume, qualcuno vibrò di terrore. Ma anche di rabbia.
Himoro. Fuggito, come prevedeva il copione della sua esistenza, assistette impotente allo spettacolo. Avrebbe voluto scappare anche da quel ruolo di spettatore dell’orrida scena, correre lontano e dimenticare tutto, ma sentì di non poter più muoversi. Cosa aveva fatto?
Qualcosa colpì la sua attenzione, distogliendolo parzialmente dai sensi di colpa. C’era qualcosa nelle carni di Kuara, qualcosa che il bastardo stava cercando nel modo meno indolore possibile. Grazie alla sua natura di demone, Himoro poté intuire senza vedere cosa si celava nella gamba dell’amica: la Shikon No Tama.
Non era perduta. Semplicemente, l’essere a contatto con la pelle della giovane, l’essere stata trascinata in quell’epoca in cui tutti la bramavano, tendendo ingordi artigli verso di lei, avevano spinto la sfera a cercare riparo in quel corpo, facendosi assorbire e celandosi al suo interno. Ma il trucco non aveva certo imbrogliato il misterioso capo degli zombi, che aveva saputo ordinare con precisione dove incidere per prelevare l’agognato oggetto di potere.
L’acqua si colorò di rosso, mentre Kuara veniva lasciata cadere. Sputando acqua, riemerse, rabbrividendo di dolore mentre il polpaccio sfigurato piombò nel ruscello. Il nemico si pulì il volto, con ricercata lentezza, quindi dalle zanne fece uscire una piccola sfera, rotonda e luccicante.
La ragazzina, vedendola tra le mani del nemico, ricoperta dei suoi rossi fluidi, avvertì l’oblio avvolgerle la mente, sentì la minacciosa ombra di uno svenimento farsi greve su di lei, ed a nulla servì tentare di resistere o mordersi con forza la lingua: le forze la stavano abbandonando. Precipitando in un’oscurità da cui, ne era certa, non avrebbe più fatto ritorno, vide gli altri quattro avvicinarsi a lei: adesso non era più portatrice della sfera, ma solo un lauto pasto, di cui ognuno reclamava una parte.
Non ebbe nemmeno la forza di gridare.
Qualcuno balzò tra loro e la preda.
Kuara non cadde nel nulla solo grazie a quella visione, che la sorprese, spaventandola, riempiendola d’adrenalina: una creatura, selvaggia, dai capelli biondi e occhi di assassino, che frapponeva i lunghi artigli tra il nemico e lei.
I denti erano scoperti dalle labbra arricciate. Labbra decorate da lunghe vibrisse feline, che ondeggiavano nell’aria. Somigliava terribilmente a…
“Non. Toccatela.” Himoro, poco prima di perdere del tutto la coscienza, pronunciò questo monito. Quindi, si scagliò all’attacco.

“Talana è passata per di qui.” Intuì Makau, attraversando quello spazio di foresta bruciato e devastato, costellato di parti di cadavere semi fuse.
“Che gran donna!” Sospirò Korin.

Era terribile. Affondava gli artigli nell’avversario con sadico e ricercato divertimento. Lo afferrava, lo squartava, godendo delle carni che si laceravano al suo passaggio.
Tre erano a terra, uno in piedi. Il quinto, quello con la sfera tra le strette dita, era fuggito da tempo, richiamato dal misterioso burattinaio che doveva aver annusato problemi non previsti.
Himoro afferrò l’ultimo, strappandogli un braccio come fosse carta velina, lasciandolo cadere in quel ruscello ormai inquinato dai morti che tornavano ad essere semplici morti. Il demone contemplò per un attimo il massacro da lui compiuto, quindi voltò occhi alienati verso Kuara. Con uno sguardo che non le piacque per niente.
Urlò di nuovo, un breve verso terrorizzato, mentre lui l’avvicinò. Si chinò verso l’amica, la compagna per la quale aveva ucciso quasi senza pensarci. E pianse. Pianse, mentre gli artigli rientravano nelle dita sporche di rosso, mentre i denti lasciavano che le labbra li ricoprissero, mentre la coda, così fiera, si afflosciava nell’acqua.
“Hi… moro…?” Kuara allungò una mano verso di lei, sfiorandogli e carezzandogli con mano tremante la chioma color del sole, ma fu subito ricacciata indietro.
“Non avvicinarti a me!” Il demone studiò le proprie mani, mani color sangue che non sarebbero tornate pulite nemmeno dopo averle lavate mille volte. Con un balzò rabbioso, si allontanò da lei, forse per sempre, sparendo nella foresta.

Kisala giunse dopo una decina di minuti, e trovò una scena non proprio idilliaca. Strinse con affetto la cugina in lacrime, sussurrandole che era tutto finito.



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Capitolo 50
*** Lacrime e Racconto ***


CAPITOLO QUARANTASEIESIMO

“Sssh… sssh…” Kisala, seduta contro quel tronco, la strinse ancora di più a sé, cercando di arginarne le lacrime. Con una mano le carezzava una ciocca di neri capelli, e con l’altra quasi la tratteneva, impedendole di reagire alle cure di Talana. “Va tutto bene…” Mai menzogna fu più spudorata.
Non andava tutto bene, per niente. Ed era solo colpa sua, se adesso la cugina si ritrovava un polpaccio aperto in due e il cuore forse in uno stato ancora peggiore. Colpa sua, sì, che non aveva saputo occuparsi di quella fragile creatura proveniente da un tempo così diverso; l’aveva lasciata andare, senza minimamente soffermarsi su quelle cose chiamate conseguenze. Ed ora Kuara le avrebbe pagate al posto suo, soffrendo per la ferita, non riuscendo a dormire per incubi che in eterno avrebbero popolato la sua mente.
“Ti prego, spiegaci che cosa è successo…” Makau ripeté per l’ennesima volta quella domanda, ma anche questa volta lei non si degnò di ascoltarlo, né tanto meno di fornirgli una risposta. Piangeva, tremava, fissava con occhi sbarrati un mondo tutto suo, fatto di ombre e mostri.
Talana, dopo aver lavato con attenzione la ferita, l’avvolse in una fascia impregnata di erbe mediche dalle molteplici qualità: effetto anestetico, curativo e calmante. Non appena il sangue fresco della giovane sfiorò l’impacco, non appena questi principi attivi entrarono in circolo, ella si calmò; o perlomeno, smise di tremare.
“Grazie, sei gentile.” Kisala forzò un sorriso di gratitudine, quindi l’aiutò ad assumere una posizione più comoda. Si morse le labbra, trattenendo una maledetta lacrima che voleva scendere, forse per far compagnia a quelle di Kuara: non era proprio il momento di cedere a inutili pianti.
Korin tornò proprio allora, stringendo qualcosa in mano; stranamente, sembrò avere un’espressione seria, addirittura intelligente. Oltre che grave.
“Ho esplorato il luogo dell’attacco.” Spiegò, sedendosi con loro. Forse un po’ troppo appiccicato a Talana, e forse con una mano allungata su una sua parte anatomica molto privata. Insomma, qualcosa fece, dato che un ceffone lo centrò sulla guancia; senza scomporsi, proseguì il suo discorso: “Non c’erano altro che pezzi di cadavere qua e là… e questo.!” Aprì la mano, mostrando un piccolo quadrato in terracotta. Al suo centro, era visibile un minuscolo simbolo; un simbolo magico, scritto in una lingua tanto maledetta quanto antica. “Serve nelle magie con cadaveri, o con pupazzi di fango: da’ loro la vita, e li costringe ad obbedire agli ordini.”
Makau non disse nulla, ma chi l’avesse guardato negli occhi avrebbe visto l’inferno: conosceva bene quel simbolo; l’aveva già visto in quel libro rubato alla sorella, proprio accanto alla maledetta illustrazione di Lyo. In questo momento, Korin aveva in mano il secolare marchio del demone, e lo maneggiava con noncuranza.
“Mi hanno… presola sfera…” Kuara alzò finalmente gli occhi verso di loro. “Non so come, era finita dentro di me… e…”
“La sfera? Che sfera?”
“Kisala, se ci fosse un premio per le domande più stupide…” Makau s’interruppe, fulminato da un paio d’occhi color miele: Kisala ricalcò esattamente una delle espressioni più terribili del padre, portando una mano alla spada. “Voglio dire… la Sfera! Quale sfera attira demoni come mosche? La Shikon No Tama, no?”
“La Shikon No Tama? Non era andata distrutta?” Korin sussultò a quel nome, che aveva udito solo nelle narrazioni dell’anziano padre.
“No, si trova nel futuro.” Fu la logica spiegazione di Talana.
“Come, nel futuro? Quale futuro?”
“Certo che in quanto a domande idiote fai a gara con lei…”
“Io… l’ho portata con me! Quando sono venuta con voi.” Kuara si strinse alla cugina, versando altre lacrime. “Volevo evitare che papà e mamma mi seguissero!”
“Aspetta… volete farmi credere che lei viene dal futuro?”
“Korin, perché non vai a fare conversazione con un bel procione?”
“Hai portato qui la sfera?” Makau si sentì raggelare. “Ma come… come è finita nella tua gamba?”
Kuara riprese a singhiozzare, e questo mise fine alla stentata conversazione.
“E Himoro?” Fu infine la domanda che sputò Talana; tutti gli altri si erano ben guardati da porla, per non ferirla ulteriormente, ma la curiositas della demone non si faceva certo fermare da stupidaggini psicologiche.
“Per quel che ho potuto vedere, i cadaveri sono stati fermati da artigli. E zanne.” Korin fissò Kuara, in cerca di risposte.
“Ah, è riuscito a combattere? Ottimo.” Makau sorrise, e di nuovo fu colpito da un’occhiata non proprio rassicurante di Kisala. “Cioè… volevo dire…” Ma non riuscì a correggersi: era una cosa buona, no? Da che l’aveva conosciuto, aveva visto il demone gatto non cercare altro se non imparare ad uccidere. E ora aveva raggiunto il suo obiettivo; strano che fosse fuggito, senza fermarsi con loro a festeggiare. Ma forse aveva da recuperare tutti gli stermini perduti sino ad allora.
“Adesso non gli serviamo più.” Intuì Talana. “E’ un demone completo, ed è andato per la sua strada.”
Kuara non ebbe alcuna reazione a quelle parole. La spossatezza, ma soprattutto le erbe che premevano sulla ferita, la stavano conducendo ad uno stato di forzata quiete e forse, se gli dei lo volevano, anche ad un breve sonno. Socchiuse gli occhi, strinse leggermente la mano della cugina. Infine, scivolò in un dormiveglia costellato di incubi.
“Dobbiamo recuperare immediatamente la sfera.” Korin fissò duramente il gruppo. “Non ho capito un accidente, ma voi siete i responsabili della sua ricomparsa!”
“Non ho bisogno che tu ci faccia la ramanzina, pervertito.” Kisala lasciò Kuara, e si alzò di scatto. “Appena lei starà meglio, l’affiderò a qualcuno… e poi cercherò quel bastardo che l’ha quasi ammazzata. E quando l’avrò trovato…!” Passò gli artigli su una corteccia, quasi senza pensarci, graffiandola in profondità.
“Non possiamo permetterci di aspettare così tanto!” Anche Korin si alzò, e con la stessa noncuranza le si avvicinò e le palpò il seno. Una volta finito di rotolare per il calcio che prese, continuò il suo discorso: “Sai cosa può fare un demone con la Shikon No Tama?”
“La sfera non è completa.” Annunciò Talana.
“Sai adesso cosa ti faccio io, dannato pervertito?” Kisala non le diede il minimo ascolto.
“Spero sia una cosa sensualmente proibita…” Fu la sfacciata risposta, con tanto di sguardo maniaco.
“La sfera non è completa!” Ripeté Talana, stranamente con meno pazienza.
“Sarà proibita, sì: ti prendo quella tua arma e te la ficco su per…” Fortunatamente, Kisal fu interrotta da Makau.
“Piantatela di far casino, o sveglierete questa poveretta!”
“Cosa? Makau, difendi lui invece che me?”
“Non prendo le parti di nessuno!” Makau si massaggiò le tempie, cercando di ricacciare il mal di testa. “E, tra parentesi, tu non sei esattamente una creatura che ha bisogno di difese…”
“Ragazzi!” Talana per ottenere l’attenzione fu costretta a frapporsi tra i due, appioppando degli spintoni che li costrinse a cadere a terra. “La sfera non è completa!”
“Come, non è completa?” Kisala rialzò il capo, massaggiandosi là dove aveva colpito malamente il terreno. La scienziata sbuffò: perché le spiegazioni toccavano sempre a lei?
“Molti anni fa, quando suo padre” Indicò una Kuara immersa in un sonno disturbato. “scelse di diventare completamente umano, si pensava che la sfera dopo averlo esaudito finalmente si purificasse, e sparisse.” Talana scosse il capo, ricordando quel periodo, quando ancora era giovane, e Totosai la teneva con sé. “Ma non accadde, per motivi che nessuno sa spiegare. Così, per evitare che finisse in cattive mani, fu spedita nel futuro. E, per sicurezza, una scheggia fu tenuta qui, nel passato. In un tempio segreto.”
Il silenzio calò su di loro.


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Capitolo 51
*** Loro Due Nella Notte ***


CAPITOLO QUARANTASETTESIMO

Respirava con lui. Si muoveva come lui. Solo che lui ancora non si era accorto della presenza di lei. E se non se ne fosse reso conto in tempo, non avrebbe fatto una bella fine.
Kisala si spostò leggermente, strisciando sul tappeto d’erba e foglie, ma senza causare il minimo rumore; la coda si tese, in ricerca d’equilibrio, i muscoli si prepararono, e l’orso, impegnato a derubare il terreno di qualche bacca, non dava accenni d’aver compreso il guaio in cui s’era cacciato.
Dopo molto tempo di silenzio e di riflessione, di improvvisi risvegli di Kuara in lacrime, lei al crepuscolo si era alzata, decisa a procurare almeno un pasto decente. Ma in realtà era solo vogliosa di allontanarsi dalla disperazione della cugina, che seccamente ricadeva sulla sua coscienza.
Adesso era sola, sola con la sua preda e il suo istinto: una combinazione che le permettevano di estraniarsi dal mondo, di fermare quel suo cervello dal quale traboccavano troppi pensieri. Adesso non era più una mezzo demone piena di guai, ma solo una predatrice…
Strinse il terreno, conficcandovi gli artigli; sembrava quasi un’atleta pronta a partire per i cento metri.
Ecco, il momento finale, il momento del balzo, della lotta per…
“Ti devo parlare.”
L’orso si voltò verso di loro, sorpreso da quell’improvviso suono. Ringhiò alla ragazza con la coda che prendeva a testate il terreno, ringhiò al ragazzo dalla fulva chioma; infine, non avendo certo voglia di battersi a stomaco pieno, caracollò lontano, ondeggiando l’enorme e peloso didietro.
“Makau, disgraziato! E adesso che mangiamo?” Kisala seguì con l’udito lo spostamento dell’animale nella notte, e decise che forse non era ancora troppo tardi; fece per scattare, ma una mano la trattenne, con forza. “Insomma, cosa c’è? Kuara è debole, devo portare un po’ di carne…”
“Dopo. Adesso devi starmi a sentire.” Era notte, e la foresta illuminata dalla piena luce della luna piena conferì un aspetto sinistro al volto dell’amico. Alla mezzo demone parve quasi di vedere un angelo della morte.
“Va bene!” Scacciò dalla mente quella stupida idea, e si poggiò ad un tronco, incrociando le braccia. “Allora, cosa vuoi dirmi di così urgente?”
Makau misurò più volte l’ampiezza dei suoi passi, a disagio: non sapeva proprio da che parte prendere il discorso. Infine, si fermò, deciso, puntando lo sguardo in quello color oro di Kisala, e facendosi forza.
“Tu sai… che chi possiede il Medaglione del Sole ha poteri sensitivi, vero?”
“No, a dire la verità non ne sapevo niente.” Lei fece spallucce: ma dove accidenti aveva intenzione di andare a parare?
“Io ho sempre avuto… visioni. Visioni del futuro, che non hanno mai mancato di avverarsi.” Makau si grattò l’incavo del gomito, ripensando a quando aveva predetto la nascita dei fratelli, la morte della nonna, l’incidente quasi mortale del padre… e molto altro ancora.
“Sì.” Annuì, fingendo di capire. In realtà, la sua mente galoppava lontana, galoppava alla caccia di quell’orso che le era scappato.
Makau prese fiato una volta. Lo prese anche una seconda e una terza volta. Infine, cominciò a parlare.
Parlò ore ed ore. Parlò mentre la Luna seguiva nel cielo il suo eterno tragitto, parlò mentre gli occhi di Kisala si spalancarono per la sorpresa. Raccontò tutto, dal principio, da quel sogno maledetto, il sogno dove aveva visto tutto dalla prospettiva di Liyo. Parlò di quando, spinto dalla paura, era fuggito da lei, costringendo la sorella a consegnarli il Libro, dove sperava di trovare informazioni. Parlò della sua disperazione, della sua morte, inevitabile, ma che lui voleva scongiurare, anche a costo di piegare il fato alla sua volontà.
E infine tacque, abbassando il capo. Anche senza i poteri, era perfettamente in grado di prevedere la prossima domanda…
“Perché me lo dici solo adesso?” Kisala piegò un angolo della bocca, indecisa se credere o meno a Makau. Nella vita, aveva sviluppato una sua precisa visione del mondo, che ipotizzava spinto da un’irrefrenabile principio di casualità: nella natura niente era prevedibile. Per la mezzo demone, prevedere il futuro sarebbe stato come far figliare una gatta tartarugata e pretendere di sapere in anticipo dove i figli sarebbero stati bianchi, neri o rossi. Una cosa impossibile.
Eppure, non aveva mai visto l’amico tanto serio, e insieme, disperato.
“Te l’ho tenuto nascosto… non lo so nemmeno io perché.” Sorrise un sorriso amaro. “E’ che… sei così vitale. Non volevo spezzarti, forse.”
“Ci vuole ben altro che le tue visioni oniriche per spezzarmi.” Voce dura. Com’era cresciuta, dopo lo scontro del padre! Aveva acquisito forza, sicurezza. “Ma perché me lo hai detto ora?”
“Tu vuoi recuperare quella sfera incompleta. Tu vuoi vendicare Kuara.”
“Mi pare ovvio.”
“Non farlo. Lascia che quel bastardo si tenga la Shikon No Tama… se lo combatti, morirai!”
Uno di fronte all’altro, nella notte e sotto la luna, tra le foglie di una foresta sussurrante; due creature sole, rifiutate dalla nascita da quasi tutte le persone che avevano avuto attorno. Si erano trovati, porgendo amicizia l’uno all’altro. Ma ora il loro legame si stava spezzando, inesorabilmente.
“Ciò che è accaduto è mia responsabilità.” Mise le mani sui fianchi, ricordando inconsapevolmente la madre quando rivolgeva ramanzine a carattere morale al Principe dei Demoni. “IO ho portato Kuara qui, IO non mi sono accorta della sfera che aveva con sé. Quindi scusa, ma non pretendere che me ne lavi le mani!”
“Forse non hai capito: se lo combatti, morirai!”
“Meglio combattere che fuggire!” Abbassò il capo, pensierosa. “Mi sono sempre chiesta come Himoro sopportasse la sua esistenza! Io, al posto suo, mi sarei gettata da una rupe…”
“Certo che da tuo padre hai ereditato un bel po’ di stupidità!” Makau si scompigliò i capelli, con rabbia. “Che razza di discorsi sono questi? Tu non puoi scegliere di morire!”
“E perché no?”
Fu un attimo; in uno scatto così veloce che neppure lei poté fermare, se lo ritrovò addosso, stretta tra braccia calde. Baciata da ruvide labbra che cercarono sollievo sulle sue.
Makau fece scivolare le mani su di lei, assaporò la sinuosa linea della schiena, giunse alle spalle, al collo. Le prese i bordi del viso, continuando a comunicarle ciò che a parole sarebbe stato inesplicabile.
Dopo minuti intensi come anni, si staccò. Kisala aprì gli occhi, senza parole.
“Perché” sussurrò lui, roco. “Senza di te, io tornerei ad essere solo…”


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Capitolo 52
*** Ancora Due Nella Notte ***


CAPITOLO QUARANTOTTESIMO

“Che cosa? Hai cambiato idea?” Talana si sporse verso di lei, rinunciando per un attimo il controllo giornaliero della ferita di Kuara. Solo la sera precedente, prima di partire per una caccia notturna che si era rivelata infruttuosa, la mezzo demone era più che decisa a spaccare le ossa a Lyo! E adesso… “Adesso non vuoi più andare a recuperare la sfera?”
Kisala non alzò il capo, evitando accuratamente gli sguardi della demone e di Korin. Dire che la loro espressione era allibita sarebbe fare un eufemismo. Dire che erano basiti sarebbe una semplice riduzione.
Korin aprì un paio di volte la mascella, forse a vuoto, o forse boccheggiando qualcosa che comunque capì solo lui. E, diciamolo, la sua sorpresa era piuttosto comprensibile: da poco conosceva la mezzo demone, eppure l’unica impressione che già era riuscito a farsi su di lei era quella di una creatura tenace, decisamente poco propensa alla resa. Eppure quella stessa fanciulla ora stava proponeva una soluzione da vigliacchi; una soluzione che, anzi, non era assolutamente una soluzione!
“Talana, sbaglio o hai detto che la scheggia mancante si trova in un luogo che solo tu conosci?” Makau prese la parola, tono duro e risoluto come non mai.
La demone annuì meccanicamente. Il suo sguardo passò da Kisala, rossa in volto, a Makau, seduto accanto a lei, alla mano di lui che teneramente stringeva due dita di lei, quasi di nascosto. Un sorriso di comprensione la illuminò.
“Bene” Makau proseguì, inconsapevole delle deduzioni cui lei era giunta. “dunque la sfera senza quella scheggia è inoffensiva… perciò ci basterà correre a recuperarla, e nasconderla in luogo sicuro! Forse nel futuro…”
Kuara mugolò. Navigava tra la coscienza e l’incoscienza, ma era riuscita ugualmente a cogliere quella parola, che temeva con tutta sé stessa: futuro. Sicuramente l’avrebbero ricondotta là, tra i folli abitanti del secondo millennio, sola in una moltitudine, annegata nei gas di scarico. Senza più rivedere… senza più rivedere nessuno… compreso Himoro.
Anche se rimanere nel passato al momento non poteva certo essere considerata come una garanzia di un incontro con il demone gatto: da quel terribile giorno, lui non aveva più fatto ritorno.
“La tua ignoranza mi sorprende!” Sbottò Korin, interrompendo le confuse riflessioni della giovine. “Anche senza la sfera al completo un demone può ottenere un potere spaventoso!”
“Però Lyo vuole la sfera. La vuole completa. Di questo ne sono certo.!” Aprì il Libro, quello sottratto a una furiosa e omicida sorella, e lo aprì sulla magra descrizione del demone. “Non ha vita eterna! Vuole usare la sfera per ottenerla.”
Korin prese con malagrazia il volume, leggendo la parte interessata. Lo chiuse con uno scatto, non meno preoccupato.
“Anche se questo fosse vero, cosa ti fa pensare che il demone in questione sia Lyo? Ti basi solo sul fatto che io lo stessi cercando?” Korin scosse il capo. Se c’era una cosa che lo faceva infuriare come non mai, questa era fondare le proprie azioni su basi irrazionali; una caratteristica che, in fondo, lo accomunava con Talana.
“Di certo non mi baso solo su questo.” Ribatté Makau, piccato.
Kisala passò una mano sulla fronte della cugina, con un sorriso rassicurante. Non voleva certo che si agitasse nel sentire i due grand’uomini battersi i pugni sul petto in un ridicolo tentativo d’essere il capo dell’impresa.
“E allora su cosa ti basi, di grazia?”
“Su un sogno premonitore, va bene?”
Forse è meglio non trascrivere la risposta dello sterminatore di demoni. Sappiate solo che un boomerang fu usato come valido antistress: scagliato con rabbia, volò tra le fronde, tagliando alcune innocenti foglie di sempreverdi.
Riacchiappatolo e ritenendosi sfogato, Korin piombò a terra, a gambe incrociate, oscuro in volto. “Andremo a recuperare la scheggia.” Accettò. “Però se poi finirà tutto nel sangue e con noi che scappiamo urlando, non ditemi che non vi avevo avvertiti!”
Rimasero ore a parlare, a discutere, a stabilire piani. Infine, a notte fonda, si addormentarono profondamente. Nessuno aveva pensato a proporre dei turni di guardia. Ma forse non ce n’era bisogno.
Non ce n’era bisogno perché lì vicino, in alto, in mezzo a quei rami che poco prima erano stati quasi tranciati di netto dal boomerang, vi era una figura che con attenzione li spiava, e continuò a farlo, sino a quando avvolti dall’oscurità essi furono colti dal sonno.
Li figura allungò il volto verso di loro, inspirando il profumo di creature in piena fase REM, quindi, raccolto un po’ di coraggio, si decise a scendere, a strisciare verso di essi, sperando che la demone dal fuoco facile o lo sterminatore non si accorgessero della sua presenza.
Ebbe un fremito di piacevole sorpresa, quando vide il ragazzo dalla chioma rossa assopito con un braccio attorno alla vita della mezzo demone dalla lunga coda nera. Quasi pensò di svegliarli, di congratularsi con loro, ma di nuovo sentì di non poter reggere un confronto con tutti loro. No, non acora.
Solo una fanciulla era il suo obiettivo; un obiettivo non facile, perché il suo giaciglio era al centro del gruppo, sinonimo di protezione per la creatura più debole e ferita di loro.
La raggiunse, a gattoni. Le carezzò i capelli, la frangia che spioveva sulla fronte giovanile, così come aveva visto fare alla cugina qualche ora prima. Era ancora calda per le febbri portate dalla ferita, ma chiaramente in via di guarigione; il pallore del suo volto illuminato dalla luna lo indusse ad avvicinarsi maggiormente, sedendosi accanto a lei, e facendole poggiare il capo sulle sue gambe incrociate.
Fu un errore, perché il gesto la svegliò. Kuara spalancò i grandi occhi, osservando stupita chi le riservava così tante attenzioni.
Aprì la bocca, forse per urlare, ma un semplice dito premuto sulle sue labbra la convinse a tacere. A tacere, godendo delle sue coccole, come un felino dagli occhi ancora chiusi che si addormenta leccato ed amato dalla madre.
Rimase molte ore con lei. Solo quando Kisala si mosse nel sonno, in modo anomalo, scattò, spaventato, abbandonandola senza troppi complimenti e fuggendo a rotta di collo in mezzo agli alberi.

Kuara riaprì gli occhi feriti dall’impietosa luce dell’alba.
Un sogno? Sì, solo un sogno… Non poteva essere altro che un sogno.
“Accidenti…” Borbottò Kisala, stiracchiandosi. “Datemi della paranoica, ma qui c’è odore di demone gatto…”
Ma era un odore piuttosto vecchio. Lui era scappato molte ore prima, precedendo il gruppo verso la meta che aveva spiato dai loro discorsi.

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Capitolo 53
*** Divisione ***


Accidenti, gli impegni mi hanno soffocata! ç_ç
Ma io ho resistito, e quindi eccomi qua! Finalmente ho finito Kisala!
No, calmatevi! Questo non è l'ultimo capitolo! ^^'
Però sappiate che la storia per appunti è già finita. Credo che avremo ancora cinque, sei capitoli. E poi saremo a posto (non mi sembra vero).
Chiedo perdono per la lunga attesa. Purtroppo, scrivere nelle condizioni in cui ero prima sarebbe stato un delitto verso la storia: ero talmente nervosa che sarebbero morti tutti! xD
Però adesso sto meglio. Forse qualcuno si salverà BWAWAWAAWWA!
Kisala: Non stai molto meglio ç_ç
Talana: Autrice... ho inventato una tisana rilassante, ti va di assaggiarla? ^^'
Kuara: NON voglio morire ç_ç
Himoro: Grrr
Makau: Ma questo va avanti a ringhiare?
Mamma di Himoro: CHI mi sta palpando il sedere?
*Korin e Lyio fischiettando innocenti*
Ehm, ho finito lo sclero xD
Adesso metto il capitolo vero.
Cosa ne pensate? ^^




CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

“Finalmente sei tornato? Creatura sozza ed inutile!” Il servitore si prostrò, o meglio crollò ai piedi del padrone: l’effetto della magia stava per terminare, ed il cadavere era del tutto intenzionato a ritornare tale. Con sforzo immane allungò un braccio verso di lui, mostrandogli il gioiello che stancamente stringeva tra le dita. Ah, la Sfera. Eccola, sì. Sì!
“Ci hai messo troppo tempo! E i tuoi compagni, dove sono?” Afferrò con rabbia la Shikon No Tama, mentre lo schiavo, troppo impegnato nel ritrovato processo di decomposizione, decise di non rispondere. Voltò il capo verso il cielo, lo fissò vitreo, e si spense, forse per sempre.
Lyio avanzò di un paio di passi, avvicinandosi all’uscita della grotta. Un raggio di sole nascente ne illuminò il corpo, coperto da grandi e colorate piume, impegnate a riflettere la luce in mille giochi. Chinò il grande capo dotato di becco adunco, per non cozzare contro il tetto in roccia che lì si abbassava sotto i due metri, ed uscì.
Sollevò all’altezza degli occhi neri come il fuoco dell’inferno la preziosa sfera. Infine, era sua.
La strinse tra i lunghi artigli, assaporandone l’immensa energia. Fuoriusciva da ogni centimetro di superficie, quell’energia, sprigionata con tanta potenza da far vacillare chiunque sotto sogni di potenza e gloria infinita. E di vita, soprattutto, di vita eterna!
“Rendimi immortale…” Sussurrò roco, rigirandola, ammirandone la perfetta rotondità, il bagliore dorato, la minuscola fessura di scheggia mancante, il calore che sapeva…
Cosa?
Sgranò gli occhi. Si dilatarono con una velocità eccezionale, rivelando pupille ancor più nere delle iridi che le circondavano. Una fessura. Una fessura di scheggia mancante.
“MALEDETTI BASTARDI!” Si trattenne a fatica dallo scagliarla via con forza selvaggia. Quegli imbroglioni schifosi lo avevano giocato! Lo avevano giocato eccome! “TU! Alzati immediatamente!” Si volse indietro, verso l’antro oscuro della caverna, rivolto al servitore. “Piantala di decomporti, accidenti ai tuoi dei! Alzati!”
Lentamente, smosso dalla volontà del padrone, il cadavere ebbe un fremito. Un altro. Stanco, spossato e demoralizzato, si sollevò sulle gambe, lasciando le braccia e il volto a penzoloni, stufo di quell’inferno. Non bastava essere morti? Era davvero necessario essere morti e sfruttati da un cretino ricoperto di piume?
Sarebbe stato così bello starsene sepolto ad almeno due metri di profondità, divorato dai vermi, nutrendo quella terra che per una vita intera aveva nutrito lui…
“Mi ascolti? Ti ho detto di tornare da quegli idioti! Cerca quella scheggia, o parola mia: per l’eternità non ti lascerò trovare pace!”
Non annuì. Non diede segno d’aver capito. S’allontanò a stanchi passi strascinati, emettendo versi senza significato. La scheggia. Mancava una scheggia. Forse era rimasta a quella ragazzina?

Ragazzina che zoppicava, sostenuta dalla cugina.
Il polpaccio bruciava come un fuoco, un maligno fuoco che nessuna acqua poteva estinguere; la ferita non andava certo migliorando, e dover camminare non era d’aiuto. Ma non si sarebbe fermata.
“Forse dovremmo fermarci…” Azzardò Makau, fissandola con preoccupazione.
“Non ce n’è bisogno!” Kuara si strinse ancor di più a Kisala, e proseguì stoicamente.
“Ci rallenta e basta.” Sentenziò Korin, senza peli sulla lingua. “Qualcuno dovrebbe restare indietro con lei, e gli altri proseguire!” Poi perse del tutto l’espressione da Gran Saggio, cambiandola con uno da maniaco senza speranza: “Se volete, le faccio compagnia io… Ahia!” Un bernoccolo si gonfiò laddove Talana aveva abbassato il pugno.
“Sei utile quanto una zecca, Korin.” Gli rivolse un gentil complimento.
“Sono realista, a differenza di voi.” La fissò con aria languida. “O forse sei gelosa? Se vuoi, posso stare anche con te…Ahio!” Un secondo bernoccolo corse a far compagnia al primo.
“Idiota!” Talana infierì altre cinque o sei volte quando lui, fingendo un mancamento per i colpi ricevuti, tentò di crollare proprio sulla sua scollatura.
“Ci mancava solo la lotta dal vivo…” Sospirò Makau. Poi fissò Kisala e rabbrividì: gli eventi non proprio felici degli ultimi tre giorni l’avevano stressata, a dir poco; emanava una specie di aura oscura, e chiunque le avesse rivolto le parole sbagliate avrebbe rischiato una morte lenta e sofferta.
Forse era per questo che Korin aveva rinunciato a corteggiare almeno lei: in fondo, ci teneva alla pelle.
“No, è inutile!” Kisala si fermò improvvisamente, e aiutò la cugina a sedersi a terra. Con un sorriso quasi di sollievo, Kuara allungò la gamba, tentando di dimenticare la carne dolorante. “Non possiamo andare avanti così!”
Si era fermata in uno spiazzo di terreno color marrone scuro, appena confinante con un grande, florido e selvaggio prato verde. Si accucciò, e passò più volte la mano piatta a terra, ottenendo una specie di piano; prese un bastoncino, lo porse a Talana.
“Fammi una mappa. Spiegami dov’è questo posto.”
“Perché?” Makau non poté evitare un tono colmo di preoccupazione.
“Ci divideremo: un gruppo starà con Kuara, un altro correrà a recuperare la scheggia, per nasconderla meglio.”
“E quando recupereremo il grosso della sfera?” Borbottò Korin.
“Innanzitutto dobbiamo controllare che Lyio non si procuri l’intera Shikon No Tama.” Talana annuì al piano di Kisala. “Poi, il recupero sarà un’altra questione.”
“Certamente non piacevole.” Commentò l’umano, e tutti annuirono con convinzione.
“Talana, fammi quella mappa.” Kisala fu subito accontentata. Con movimenti rapidi e sicuri, Talana schizzò il territorio in cui stavano avanzando. Disegnò un fiume, tre monti, e una gola molto piccola. Una gola dentro alla quale si nascondeva un piccolo laghetto, isolato e dimenticato dal mondo.
“Al centro c’è il tempio. Nel tempio, la scheggia.” Spiegò la demone.
Il cuore di Makau perse un paio di battiti.
“Un buon nascondiglio” Si complimentò Kisala, rialzandosi. “Dunque. Per voi dovrebbero occorrere tre giorni di cammino. Ma io me la sbrigo in uno, forse uno e mezzo! Se c’è un villaggio nei dintorni, andateci: bisogna far curare Kuara.”
“Un momento.” Makau le strinse un braccio, trattenendola. “Hai detto due gruppi. Chi viene con te?”
“Con me? Nessuno.”
“Non se ne parla!”
“Tutti voi mi rallentereste!”
“Io no…” Azzardò Talana.
“Voglio che tu rimanga con loro.” Non Aggiunsero altro, ma fece un impercettibile cenno verso la cugina: devi restare, curarla e proteggerla, dissero gli occhi dorati.
Makau vibrava di sdegno a quella proposta. “Non ti lascerei andare sola nemmeno se…”
“Ah Makau… lo so…” Mormorò con dolore; infatti in un secondo fu alle sue spalle, dolce presenza. Gli assestò un breve colpo, in un punto che lei sapeva, e l’umano crollò, privo di sensi. Kisala ne trattenne il corpo in caduta, con uno sguardo colmo d’affetto. Infine, lo poggiò a terra, accanto alla cugina. La quale, come tutti, aveva gli occhi sgranati. “Non è colpa mia se è una testa dura!” Si difese la mezzo demone. “Dormirà qualche ora. Badate anche a lui. Io vado.”
Saltò. In un balzo fu già lontana, in due fu un punto lontano. Al terzo, era solo un fantasma che si dirigeva verso il luogo della sua morte.



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Capitolo 54
*** Rapimento ***


Grazie ai tre che si sono subito accorti della ripresa di Kisala e si sono precipitati a commentare ^^
Vedo che a nessuno piace l'idea di uno sterminio di massa del gruppo xD Cercheremo di evitarlo, allora ;)
Kisala: Grazie al cielo ç_ç
Bene, ecco un altro capitolo. Tra poco questa storia finirà, e speriamo di farla finire come si deve ^^
Che ne dite? ^^





CAPITOLO QUARANTASEIESIMO.

Aveva dimenticato cosa fosse il silenzio.
Adesso faceva parte di un gruppo chiassoso, un gruppo composto da una demone sempre pronta a spiegazioni, da un’allegra cugina sempre pronta alla risata, da un demone gatto sempre pronto alla fuga, da un maniaco sempre pronto a palpare, e da un dolce umano sempre pronto a confortarla. Ma adesso era di nuovo silenzio attorno a lei.
Instancabile, procedette nella sua sovrannaturale corsa, scacciando dalla mente i pensieri più negativi.
Non esistevano cugine ferite, sfere rubate, o Makau che si sarebbero risvegliati dopo essere stati tramortiti da lei. No, erano solo illusioni. Sì, illusioni.
Si sforzò di concentrarsi sull’immensità del silenzio che la circondava.
Esistevano solo quegli spazi sconfinati; il verde; la montagna; e lei. Nient’altro.

“La troverò, e le strapperò la coda!” Makau espose quella diplomatica teoria, schiumando rabbia. Si era appena ripreso, e non era esattamente lo spettacolo più rassicurante del mondo; Kuara badò bene di allontanarsi il più possibile.
“Ha agito secondo logica… tu l’avresti rallentata e basta.” Talana, ignara di sogni, premonizioni o di morti prossime, tentò di farlo ragionare. “Sarà di ritorno entro tre giorni, cosa vuoi che succeda?”
Makau rispose con termini che è meglio non riportare. Persino Korin ne fu scandalizzato.
“Andiamo al villaggio, Makau. Facciamo curare Kuara, e aspettiamo il ritorno di…”
“NON TORNERA’!” Esplose finalmente il ragazzo, pestando un pungo contro l’aria.
“Come sarebbe a dire che non…? Come puoi dirlo?” Korin piegò la testa di lato, osservandolo.
“So che sei legato a lei, ma non è il caso di essere irrazionale…” Talana aggiustò Kuara, aiutandola a sistemarsi meglio.
“Io lo SO.” Makau sollevò dal petto il pesante medaglione, con furia. “Purtroppo, queste cose io le SO! Sempre.”
La demone si bloccò. Letteralmente. Lui sapeva, sì, il Medaglione del Sole donava poteri di premonizione… ma allora… “Morirà?”
“Non dirlo neanche per scherzo.” Sibilò. “Io la raggiungo! Talana, so che ce l’hai! Lo devi avere di sicuro!”
“Io…? Cosa dovrei avere…?”
“Un mezzo di trasporto, no? Una di quelle tue idee geniali. E pretendo che vada veloce!”
Talana scosse il capo, pensierosa. Però poi vi fu subito un brillio nei suoi occhi.
“Sì, forse si potrebbe fare qualcosa…” Sussurrò, colta dal Sacro Spirito dell’Inventiva. Schioccò le dita, entusiasta. “Legna, voglio della legna! Molta legna!”
Un Makau sempre più agitato e un Korin spinto a calci nel didietro – era fermamente convinto d’essere assolutamente indispensabile come infermiera di Kuara – si precipitarono in una macchia boscosa lì vicino, mentre la demone si chinò a terra, cancellando la mappa e disegnandovi sopra un complicato progetto.
“Mi serve questo… e questo!” Borbottò chissà a chi. “Kuara, devo andare al mio laboratorio. Puoi aspettare qui?”
L’umana, un po’ sconvolta per l’agitazione di tutti, annuì. Un grave pesò si schiacciò sulla sua coscienza: tutto questo era accaduto per colpa sua; sempre e solo colpa sua. E adesso era ferita ed assolutamente inutile.
“Non ti preoccupare per me. Vai pure.” Chiuse gli occhi, in un abbozzato tentativo di riposo, mentre Talana spariva dalla vista, diretta al proprio rifugio.
Un mezzo di trasporto? Quella demone era una vera e propria fucina di idee. Chissà che non avesse in mente di creare proprio una automobile! Ma no… le macchine non si potevano certo fare in legno.
Una mano scivolò da dietro, afferrandole una spalla. Sobbalzò sorpresa, ma sorrise subito: “Himoro…” Sì. L’avevano lasciata sola, e lui ovviamente, come quella notte, ne approfittava per salutarla…
Una serie di versi gutturali le diedero il sospetto d’essersi sbagliata. E la sicurezza le fu offerta da un penetrante odore di cadavere.
Ma ormai era tardi per urlare, dato che una mano in decomposizione corse a tapparle la bocca, soffocandole un grido in gola. Lo zombi l’afferrò agilmente, ignorando le sue proteste e i suoi colpi; se la caricò sulle braccia, e corse via; al posto della fanciulla, ora v’era solo uno spiazzo d’erba schiacciata e una sottile traccia di sangue.
Fu questo che Talana, Makau e Korin trovarono al loro ritorno.

Himoro sollevò il capo, annusando l’aria con folle sguardo di predatore. Vide lo scoiattolo, la buffa e pelosa creature dalla lunga coda, lo vide avanzare sul ramo accanto al suo, squadrando l’ambiente con i grandi e curiosi occhi scuri.
Lo afferrò, lo stritolò tra i lunghi artigli, se ne portò una parte alla bocca.
Assaporò il sangue.
Poi, disgustato da sé stesso, gettò verso il suolo i resti di quella vita così ignobilmente strappata. Si portò le mani al volto, sporcandolo ulteriormente di sangue.
Cosa gli era successo? In nome del Cielo, che cosa? Era diventato quel mostro, difendendo Kuara. Aveva superato una linea invisibile, ed ora non poteva più tornare indietro.
Condannato ad un’eternità di solitudine e di sangue. Solo.
Era l’ora di andare a vedere come procedevano gli altri. Doveva essere accaduto qualcosa, una scissione: qualche ora prima, aveva visto Kisala correre come una furia verso la loro meta. E degli altri, nessuna traccia.
Chissà come stava la piccola, gentile umana. Chissà come procedeva la sua ferita.
Non scese dall’albero. Ormai erano giorni che non abbandonava le fronde, saltando qua e là con un’agilità che aveva del sorprendente.
Percorse molti piedi, quando un qualcosa di spaventosamente veloce lo sfiorò, passando sotto di lui: cosa accidenti?
La cosa sparì velocemente all’orizzonte. Odorava di legno, di magia, ma soprattutto di umano: e quell’umano gli sembrò Makau. Forse quella era un’invenzione di Talana? Per raggiungere Kisala?
Proseguì, immerso nelle sue riflessioni, talvolta distratto da abituali prede che uccideva inutilmente e crudelmente. Dopo un’ora, comincio ad avvertire i loro odori, odori che gli diedero uno strano senso di familiarità. Perché non poteva tornare con loro? Lui, mostro senza volontà.
Ecco Korin! Sedeva di fronte ad un fuoco, e poggiava una pezza sulla fronte di Talana. Ma Kuara, dov’era?
“Sei sicura che sia stata una buona idea?” Domandò l’umano, umettandole il volto. Un volto pallido, molto pallido.
“Domani starò meglio.” La demone faticava a tenere gli occhi aperti. “Ho usato troppa energia per quella macchina… non aveva mai convertito l’energia magica in propulsione… è fantastico!”
Korin annuì fingendo spudoratamente d’aver capito. “Ma non sarebbe stato meglio conservarle, queste energie? Dovremmo cercare Kuara…”
Kuara? Cercare Kuara? Perché?
“A dire la verità… non avevo previsto di prosciugarmi così.” Ammise Talana, vergognandosi del proprio errore di calcolo. “Guardiamo il lato positivo: così Makau potrà raggiungere Kisala…”
“E nel frattempo Kuara sarà morta.”
“Non credo. Se la voleva uccidere, avrebbe potuto farlo subito, no? Invece l’ha rapita…”
Kuara… rapita. Rapita.
“Chissà a che scopo…” Borbottò Korin. “Vi ho appena incontrati, ma portate solo guai!”
“Forse vuole usarla per ricattarci… non so. Domattina, quando sarò in piena forma, partiremo subito!” Volse il capo verso di lui, illuminata dal bagliore delle fiamme, e forse stava per ringraziarlo delle sue premure, quando qualcosa la fece contrarre: “Korin? Che ci fa la tua mano lì?”
“Uhm…” L’umano passò più volte il palmo sul fondoschiena della demone. “Ci sta bene, no?” Considerò con tutta l’innocenza possibile.
Talana era molto, molto debole; ma un rumore come di schiaffo non mancò di riecheggiare tra le fronde.
Fronde ormai vuote, abbandonate dal mostro gatto; assetato di morte, di vendetta, partì alla ricerca dell’umana.



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Capitolo 55
*** RIPOSO DEL WEEK-END ^^ ***


Ho appena cominciato a ripostare e già mi fermo? xD
Noo non temete... i capitoli ci sono già tutti! Solo che prima di pubblicarli ci volevo dare un'altra letta... ed essendoci oggi e domani il mio ragazzo a casa mia non ho il tempo^^'
Lunedì riparto a correggere e a postare! ^^
Essendo gli ultimi capitoli, ho la pretesa che siano perfetti! ^^
In ogni caso, per non lasciarvi a bocca asciutta, ecco un bellissimo ritratto di Kuara realizzato dalla mia allieva Jinny *ç*
http://img460.imageshack.us/img460/1457/kuarad8mh.jpg
E' davvero come me l'ero immaginata! xD Compreso il sorriso solare... anche se devo ammettere che con lei tendo ad essere davvero molto sadica... molto, molto, molto sadica! xD
Povera Kuara! Resisti! ^^
Allora noi ci sentiamo lunedì, va bene? Buon week-end a tutti! ^^


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Capitolo 56
*** Il Salvataggio di Kuara ***


Allora, eccoci! ^^
Kisala sta finendo e mi sento davvero soddisfatta di come la sto facendo finire. Un po' sadica, forse, ma certamente soddisfatta.
Grazie mille a tutti voi che mi commentate regolarmente!
Jinny sono contenta che la scena di Himoro ti sia piaciuta... e anche in questo capitolo credo troverai pane per i tuoi denti xD Ah vorrei ricordarti che non mi hai ancora disegnato Makau... è il mio perferito! Dai dai io aspetto xDD
KillKenny e Darth Bane... mi fate davvero paura ç___ç
Meno male che c'è Mikoru... lei impedirà a voi di uccidermi, dato che ha la precedenza! Ehm, nemmeno ciò è molto rassicurante ;_;
Rispondo infine alla povera Manu che vuole mandarmi un ritratto di Kisala: io l'ho ricevuto via mail, ma non sono riuscita ad aprirlo, dato che lo devi convertire in jpg.
Ti spiego come fare, è semplice: lo apri da Paint, e poi metti Salva con Nome. Quando dovrai salvarlo, sotto alla casellina dove devi mettere il nome, c'è quella con scritto 'Salva Come'. Lì scegli in formato JPEG (*.JPG*.JPEG*.JPE*.JFIF) E poi me lo rinvii ^^ Ok? ^^
Bene, e dopo queste spiegazioni sì scientifiche da sconvolgere persino me, ecco il nuovo capitolo. Che ne dite? ^^



CAPITOLO QUARANTASETTESIMO

Non aveva mai raggiunto simili velocità.
Sollevato a pochi palmi da terra, sfrecciava su ogni tipo di terreno, controllando a stento la grandiosa potenza del mezzo sotto di lui.
In quel momento, dopo una serata e una nottata trascorse senza fermarsi, attraversava un immenso prato, la cui erba veniva prepotentemente piegata dalla potenza del suo passaggio.
Come al solito, Talana era stata geniale. E fredda. Tornata dal suo laboratorio, e accortasi del rapimento di Kuara, non aveva perso la concentrazione, mentre, a onor del vero, sia lui che Korin saltellavano qua e là imprecando contro tutto e tutti.
Semplicemente, lei aveva tratto dalla veste ciò che era corsa a recuperare – lo aveva definito ‘convertitore energetico’, o una roba simile – e aveva usato la legna da loro raccolta per creare quel che aveva in mente. Infine, perentoria, aveva ordinato a Makau di partire: adesso erano due le fanciulle da salvare, ed era inevitabile che il gruppo si dividesse ulteriormente.
E lui, per quanto volesse bene a Kuara, non se l’era certo fatto ripetere due volte: appena Talana aveva usato la propria energia per dare vita alla sua invenzione, era partito a rotta di collo. Senza fermarsi.
Kisala. Fosse anche solo per vederti morire, ma sarò con te.
Il prato finì. Si addentrò tra gli alberi, risalendo il fianco di una montagna.

“Allora… non ne vogliamo parlare?”
Era davvero una creatura affascinante. Dava raccapriccio, sì, ma ammaliava: con i tenui riflessi bluastri del piumaggio, con il grande, adunco becco, con gli occhi neri. E quegli artigli con cui sfiorava la sua giugulare. Pregustava il momento in cui l’avrebbe lacerata…
Kuara gli sputò in faccia.
Non aveva mai sputato, e in effetti non fu di grande effetto. Se lo aspettava molto più consistente. Però che soddisfazione, ragazzi!
“Io te l’ho chiesto una volta con le buone.” Fece spallucce, allontanando gli artigli dal suo collo, e passandoglieli sul volto. Incidendole la pelle. “Adesso passiamo alle cattive, ti va?”
“Ammazzami, tanto…” Era stata condotta di peso lì, vicino a quella grotta, e adesso era tenuta stretta dallo zombi. Il suo puzzo le faceva girare la testa. O forse era la consapevolezza di stare per morire.
“Ammazzarti!” Rise di gusto, come ogni cattivo che si rispetti. “Mi darebbe soddisfazione, sì… ma sarebbe inutile. Io ho altri sistemi, sai?” Le sollevò la frangia, svelando la giovane fronte. “Vediamo cosa c’è in questa testolina…” E quindi Kuara provò le ‘gioie’ di un assalto mentale.

“Come ti senti?” Korin finì di stiracchiarsi, mentre i primi raggi di sole lo svegliavano. Si era rivolto a una Talana sdraiata a terra, accanto a lui, ma lei non era già più lì.
“Sei sveglio? Forza, andiamo!” Lo incitò la demone, già in piedi. Accidenti. Quella sì che era una ripresa rapida! “Non poltrire!”
“Arrivo, arrivo!”
“Dobbiamo trovare quel bastardo. Quando troviamo quel bastardo, troviamo Kuara. E quando troviamo Kuara, IO potrò sfogarmi su quel bastardo.”
Per quanto malvagio potesse essere il bastardo, Korin un poco lo compatì: una Talana così infuriata era calamità da non augurare neppure al peggior nemico.

Dolore.
Non v’era altro a questo mondo, non esistevano luci o ombre, felicità o tristezza. Solo dolore. Infinito, insopportabile, lacerante.
Mortale. Eppure lei non moriva.
“La vuoi piantare di opporre resistenza? Ti fai male e basta, stupida!” Premette ancora di più la mano sulla sua fronte, concentrandosi maggiormente nell’incursione mentale. La giovane aveva inconsciamente elevati grandi barriere a propria difesa, ma non poteva niente contro la sua forza e la sua esperienza.
Con impazienza, le distruggeva, sbriciolandole, ignorando il sangue che usciva copioso dalle cavità nasali dell’umana.
“So che sai dove si trova… dai, fammelo vedere…” Ecco! Infranse l’ultima barriera, la distrusse! Finalmente era dentro.
Come uno studioso in preda ad un sacro furore che si scaglia verso i suoi tomi, così lui spalancò la sua mente, invasore, e spogliò senza ritegno tutti i suoi ricordi più intimi, setacciandoli alla ricerca di un utile indizio.
E non dovette cercare molto. Ecco un flash, un ricordo recente. Una formosa demone che illustrava una mappa disegnata a terra. La mappa di un tempio al centro di un laghetto…
Mollò la presa, ridendo di soddisfazione. Ovviamente, non badò a Kuara, che, pallida, crollò come un peso morto.
“Ora sì che posso ucciderti…” Sibilò, facendo un cenno verso lo schiavo.
E com’è ovvio, fu allora che un’ombra cadde dal cielo.

“Ehi… ma come fai a sapere dove si trovi Kuara?” Balbettò lui, tentando di rimanere accanto a lei.
“Cosa?” Talana si voltò, fissandolo con orrore. “Credevo che lo sapessi tu!”
Korin imprecò.

“Uh, che faccina cattiva che abbiamo…” Lyio fissò con aria di sfida la creatura innanzi a lui. Era gelido, il lungo codino biondo smosso dal vento, i freddi occhi azzurri fissi su di lui, e le vibrisse simili ad aghi in acciaio. “Non eri tu il demone gatto cacasotto?”
Himoro soffiò.
Era piantato a gambe larghe, davanti a una Kuara priva di sensi, ancora sorretta dallo schiavo zombi. Un unico pensiero attraversava la sua mente: sangue.
“Vuoi farmi fuori, scommetto. Ma non preferiresti occuparti della tua amichetta?” Himoro fece un passo verso di lui, lento ed inesorabile. “No? Beh, allora vorrà dire che sarà il mio amichetto ad occuparsi di te!” Schioccò i lunghi artigli, e il cadavere semovente abbandonò senza indugi l’ostaggio umano, che cadde a terra.
Himoro non si voltò neppure; allungò un braccio all’indietro, verso la parabola compiuta dallo zombi con il suo assalto, e lo tranciò con un colpo solo. Nel frattempo, però, Lyio, allargate le enormi ali, si era già alzato in volo, allontanandosi.
Himoro fletté le ginocchia, pronto a scattare all’inseguimento.
Si era tuffato mosso dall’ira, dalla passione, e ora non voleva certo perdersi tutto quel buon sangue demoniaco…Aveva sete di quel sangue.
“Himoro…”
Si bloccò. Si voltò. Le zanne erano ancora in bella vista, scoperte dalle labbra arricciate. Ma si voltò.
Kuara alzò il capo, debolmente, sporca di sangue e di fango. E di lacrime.
“Mi ha strappato il posto… me lo ha preso… Non… ho…”
Si sentì sollevare da mani tremanti. Himoro le passò delicatamente una mano sul volto. Per la prima volta da molti giorni, da quando aveva ucciso, finalmente gli artigli si ritrassero, timorosi di ferirla ulteriormente. Una smorfia di dolorosa preoccupazione invase il volto del demone, costringendolo ad abbassare le labbra sulle lunghe zanne.
“Non vai più via?”
“No.” Aveva parlato con voce sconosciuta, con voce roca.
“Davvero?”
Ma non ascoltò la risposta, perché lì perse i sensi. Himoro la strinse a sé, e non si rialzò.

“Dove. Accidenti. Siamo?”
“Ehm. Proviamo a chiedere?”
“A chiedere? A chiedere cosa? ‘Scusi, ha mica visto un cadavere che trasportava una ragazzina proveniente dal futuro?’ Ma non essere idiota!”
“Veramente, io pensavo più a: ‘Scusi, sa dov’è il nord?’ Dato che non sappiamo nemmeno questo...”
Talana imprecò.


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Capitolo 57
*** Facciaa Faccia ***


Accidenti, sto postando questo capitolo dal computer dell'università xD
Faccia tosta, portami via xD
Va beh. Ecco il nuovo pezzo... siamo a pochissimo dalla fine che bello! ^^
Spero che sinora siate soddisfatti. E' così bello ritrovare il mio vecchio gruppo ^___^
Spero di sconvolgere nessuno con questi capitoli finali... ero nervosa xD
Che ne dite? ^^





CAPITOLO QUARANTOTTESIMO

Prendiamo un’ideale cartina della regione ove si svolge la nostra storia. Eccola qui. Guardate, osservate le delicate sfumature delle tre montagne, dai pendii scoscesi ed impervi; lasciate che il vostro sguardo scivoli sino al grande fiume che ne bagna due, avvolgendole tra le sue azzurre spire come un serpente affamato.
Ed ora, concentratevi; vedete quel minuscolo tratto blu? Quello insinuato in una gola, un tratto blu mai bagnato dai benevoli raggi solari. Ecco. Quella è la meta dei tre piccoli punti colorati che ho appena disegnato: il nero indica una Kisala ormai in zona, il rosso un Makau certamente veloce, ma non abbastanza per raggiungerla; il terzo, infine, quello turchese, è una creatura tanto malvagia quanto rapida, che sorvola la zona con un’espressione maligna in volto, e una sfera stretta tra gli artigli.
Ma adesso scendiamo di quota, almeno noi; non possiamo certo seguire la scena attraverso dei punti! E quindi dedichiamoci a quello più scuro, quello nero: osserviamo Kisala che raggiunge lo strapiombo, un immenso strapiombo a picco sulla mortale gola, ed osserva il piccolo laghetto sotto di sé, la lunga chioma nera smossa da possenti correnti d’aria canalizzate dalle inaccessibili pareti rocciose. Una bella scena, no? Un eccellente punto di partenza, oserei dire.

Kisala sfidò con lo sguardo l’altezza che la separava dalla sua meta. Ansimava, non riuscendo a trattenere il fiatone: aveva corso per un’intera notte, più il giorno successivo, senza alcuna pausa. In quel momento, la sua mente non era tanto concentrata sulla scheggia di sfera contenuta in quel tempietto appena visibile al centro del lago, quanto sull’immensa quantità d’acqua. Era assetata, da morire.
Era possibile discendere a piedi?
La coda eretta nel disperato tentativo di mantenere l’equilibrio nonostante il forte vento, si sporse ancora di più, comprendendo senza troppa difficoltà che una discesa per quella parete sarebbe valsa un suicidio.
Beh… suicidio, per suicidio, tanto valeva cercare di scendere cercando di stancarsi il meno possibile, no?
Ghignando al solo pensiero di ciò che avrebbe urlato Makau, inspirò un paio di volte la fredda aria montana, quindi si preparò al tuffo più spericolato della sua esistenza.

Voleva fare qualcosa. Anzi, doveva fare qualcosa.
Sì, un qualcosa che sfuggiva alla sua memoria, nascondendosi nei pertugi della mente. Un qualcosa di molto importante, di questo ne era certo, ma al momento una specie di spettro: qualunque cosa fosse, gli era impossibile fermarla, focalizzarla.
Seduto in quello spiazzo fangoso, all’uscita di quella grotta, accanto ad un cadavere finalmente in decomposizione, strinse gli occhi, sperando forse di strizzare dalla sua testa che cosa stesse dimenticando.
Da poco aveva riacquistato lucidità; da poco ogni creatura vivente aveva smesso di apparirgli come un gustoso grappolo di caldo sangue e calda carne. Ed ora aveva la consapevolezza di un importante compito. Ma non riusciva proprio a rammentare quale fosse.
A sua discolpa possiamo dire che era distratto. Sì, distratto da quel caldo fagotto tra le sue braccia. Quasi timoroso di romperla, non osava muoversi; tratteneva il respiro, per quanto poteva, lasciando che Kuara, un orecchio premuto al suo petto, ascoltatore del lento ma forte battito del suo cuore, riposasse.
Fu così, in questo quadretto idilliaco, fu in questo modo, ad essere sinceri un po’ stupido, che Himoro dimenticò completamente che Kisala avesse immediato bisogno d’aiuto, e rimase lì, compagnia per la piccola umana bisognosa di tranquillità.

Riemerse.
Scosse il capo, liberandolo dell’acqua che colava sul suo volto; rise, eccitata per l’impresa che aveva appena compiuto, quindi guadagnò la riva più vicina.
Si raccolse seduta sul terreno roccioso, strizzando la lunga chioma, e spiando con gli occhi dorati il tempietto al centro delle tranquille acque: stava su di un minuscolo isolotto, grande a malapena per contenerlo, apparentemente vuoto da anni.
Molto bene.
Si alzò, pronta ad una nuova immersione, ma purtroppo fu proprio allora che il secondo punto giunse sul luogo. E per secondo punto, non intendo quello rosso: parlo proprio del turchese.
Lyio atterrò a pochi metri da Kisala, ridendo come ubriaco.

“Senti: sbaglio, o suo padre è il Principe dei Demoni?” Talana, tra un’imprecazione e l’altra perché avevano nuovamente sbagliato strada, annuì distrattamente. Chiuse gli occhi, cercando nuovamente una fiammella, una traccia di potere che le indicasse la presenza di Himoro, ma tutto era inutile: il micio non si era mai privato del bracciale di Okis, e rimaneva invisibile ad ogni tipo di individuazione demoniaca.
“Scusa ma… perché non rinunciamo a trovarlo, e non ci rivolgiamo a Sesshomaru?”
“Cosa?” Il tono di Talana risultò addirittura scandalizzato, ma Korin proseguì ugualmente nel suo ragionamento.
“Il Principe dei Demoni sarebbe un ottimo alleato! Ora, se noi…”
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Sesshomaru è stato battuto da Kisala, e l’ha abbandonata a sé stessa: non verrebbe in suo aiuto neppure se piangessimo sangue!”
Korin decise di non demordere: “E’ pur sempre suo padre! Se non ho capito male, la fanciulla rischia di lasciarci le penne… vuoi che l’abbandoni in un simile frangente?”
“Tu sottovaluti l’orgoglio di quel demone.”
“Può darsi; ma tentare non costa nulla, no? Cosa vuoi che succeda?”
“Per esempio, potrebbe smembrarci entrambi…”
Korin deglutì a fatica. “Non voglio che uno spettro ottenga il potere della sfera! E a girare come degli idioti non siamo utili a nessuno: direi che è la nostra ultima speranza.”
“O la nostra condanna a morte.” Talana sospirò, quindi raccolse tutto il coraggio che poteva. “Sì, hai ragione. Dobbiamo andare. Vieni, e speriamo di fare in fretta!”
“Aspetta…” Lui l’afferrò per il polso, costringendola a voltarsi.
“Cosa c’è?” Lei sbarrò gli occhi, sorpresa dallo sguardo dannatamente serio di Korin.
“Talana… rischiamo di non uscirne vivi, lo sai? Perciò…” Una mano di lui scese dove è meglio non raccontare. “E’ meglio godere immediatamente dei favolosi frutti dell’amore, prima che sia troppo tardi!” Strillò, appiccicandosi a lei con una mossa stile koala.
“Razza di pervertito!” E poi il solito rumore di schiaffo.
“Non vorrai forse sbarrarmi la strada? Con quella? Ridicolo!”
Kisala non rispose. Mantenne la presa sull’elsa di Tessaiga, stringendo con l’altra mano il fodero della spada non ancora estratta.
“Sei tu il bastardo che ha mandato quegli zombi?”
“Ovviamente, sì.”
“E lo ammetti così tranquillamente? Come hai fatto ad arrivare qui?”
“Qui? In questo delizioso posticino? Ho semplicemente frugato nella testolina dell’umana… aspetta, m’è parso di leggere che siete cugine: sbaglio?”
Gli occhi della mezzo demone si ridussero a due fessure color oro. La coda sferzava nervosamente l’aria, e gli artigli su Tessaiga si serrarono più strettamente del dovuto.
“Lo sai che ora ti ammazzo, vero?” Sibilò.
“Sono proprio curioso di vedere come farai…”
E dopo questi ovvi quanto boriosi scambi tra paladino e gran cattivo della storia, entrambi si misero in posizione d’attacco. Lyio estrasse lunghi artigli, posizionò il lungo becco adunco, e non mostrò alcuna meraviglia quando Tessaiga esplose dal suo fodero, brillando anche in quel luogo così oscuro.
Si lanciarono, senza un urlo; artigli contro lama, e la battaglia incominciò.

Ma non abbiamo dimenticato qualcuno?
Povero Makau… continuava a viaggiare, spingendo al massimo il suo mezzo. Eppure non sarebbe mai arrivato in tempo, e forse dentro di sé già lo sapeva.



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Capitolo 58
*** La Morte di Kisala ***


Ah non ci credo... oggi posto gli ultimi tre capitoli! Ce l'abbiamo fatta, siamo in fondo! *___*
Ammetto di essere stata molto, molto cattiva con la nostra Kisala... dovete prendervela con una persona che mi ha fatto arrabbiare un sacco! xD
Però mi sono trattenuta abbastanza... per quanto ero nervosa poteva finire molto peggio!
Beh non voglio rovinare nulla! Leggete, ci risentiamo in fondo!




CAPITOLO QUARANTANOVESIMO

Scintille.
Esplosero dopo quell’ennesimo incrocio di potenza, e quasi accecarono i due contendenti.
Kisala balzò all’indietro, recuperando terreno; non badò alla ferita che si era aperta sulla sua spalla, mentre Lyio, con aria beata, leccò il sangue rimastogli sull’artiglio.
“Sei saporita, mezzo sangue…”
“Io li uccelli me li faccio alla brace.”
“Lo sai che ti ammazzerò, vero? Sono nettamente superiore. Lascia perdere, vattene per la tua strada!”
“Io andavo per la mia strada! TU ci hai attaccati!” Kisala non attese altro, e balzò a Tessaiga protesa; lui parò, seppur con difficoltà, e ne approfittò per un nuovo affondo, che la mezzo demone schivò facilmente. E poi, venne il momento di uno scambio di colpi così rapido, che io stessa non saprei descrivere con certezza.

“Un umano e una demone chiedono di poter conferire con voi…”
Sesshomaru non rispose, ma dentro di sé esplose la gioia: un umano e una demone, eh? Ah, ah. Sua figlia e il bastardino umano, senza nessun dubbio. Che chiedevano umilmente perdono.
Sì, gli erano stati annunciati un umano e una demone completa… ma era certamente un errore! Quella serva che li aveva ricevuti doveva essere proprio stupida, per non riconoscere una mezzo demone. Ma forse sua figlia era così splendida che, seppure in quella forma meticcia, risultava pura agli occhi dei profani.
“Introduceteli” Rispose con la solita freddezza, e a stento tratteneva un ghigno: alla fine erano tornati, eh? Con la coda tra le gambe… La porta alle sue spalle si aprì… “Cia’! Allora, dove sta questo Principe dei Demoni?”
“Ssst! E’ quello! Taci, e lascia parlare me!”
Sesshomaru si voltò lentamente… molto lentamente. E per la prima volta da molti anni, sgranò gli occhi.
“Ehm, buongiorno. Avremmo da chiederle un favore…”
Sesshomaru non gridò a Rin di portargli la clava solo perché non aveva mai assistito ad un episodio de Gli Antenati. Però sguainò gli artigli, con convinzione omicida.

Makau salì l’ultimo versante della montagna con disperazione. Il medaglione, tiepido al contatto con la sua pelle, lo confuse, mentre nella sua mente riacquistarono potenza le visioni di quel suo dannato sogno.

Kisala urlò. Si portò una mano alla coscia, e questa fu subito inondata di sangue. Zampillava dalla profonda ferita che il mostro le aveva appena aperto; mostro non abbastanza cavaliere da attendere che la mezzo demone si riprendesse dal dolore: balzò su di lei, allungando il becco intriso di sangue. Del suo sangue.
Mirava al cuore. A quell’organo pulsante, vivo, che da troppo tempo non assaggiava.
Kisala si abbassò prontamente, alzando la spada; ed aprendo un lungo, profondo scorcio nel fianco del nemico, che, spinto dalla sua stessa foga, rovinò a terra, scivolando sulla roccia per parecchi metri.
Entrambe le creature, che con la loro battaglia disturbavano l’eterna tranquillità di quel luogo, ansimarono. Il tramonto, quasi invisibile dalla gola nascosta, salutò la lotta per la sopravvivenza; Kisala sollevò la mano dalla ferita, e se la pulì distrattamente sulla stoffa dell’abito.
Lyio si rialzò, a fatica, puntellando le grandi braccia piumate a terra, fissandola con odio infinito.
E dunque riprese il duello.

“Questi non sono affari miei.”
Talana scosse il capo, mordendosi il labbro come faceva quando era terribilmente nervosa.
“Non so se mi sono spiegata, ma sua figlia…”
“Mia figlia? Io non ho una figlia!”
“La prego… non mi costringa ad usare le maniere forti!”
“Maniere forti?” Sesshomaru rise di gusto. “E cosa vuoi fare? Darmi di nuovo fuoco al giardino?”
“No: dire tutto a sua moglie.”
La bocca di Sesshomaru si bloccò a metà risata; rimase buffamente aperta, mentre gli occhi ispezionavano la stanza.
“L’umano! Quello che era con te… dov’è andato?”
Il sorriso di Talana raggelò il sangue del freddo Principe degli Inferi. E a ragione, dato l’urlo che pervase il castello.
“Sesshomaru!” Rin esplose da un’altra porta, precipitandosi nella stanza. “C’è un pazzo che mi ha palpata! Ha detto che Kisala è in pericolo! Dobbiamo aiutarla, subito!”
“Ti ha… palpata?” Sesshomaru scoprì le lunghe zanne. Se il pensiero della figlia in pericolo di vita non lo avesse distratto abbastanza, Korin era nei guai; eccome!

“Come fai ad essere così forte, mocciosa? E’ quella spada?” Lyio la fulminò con lo sguardo, tappandosi la nuova ferita. Una ferita al petto, per essere precisi. E mortale, per essere ancora più precisi.
“No: è solo che ho voglia di ammazzarti!” Kisala arretrò, con soddisfazione.
L’impeto della battaglia l’aveva spinta nell’acqua, ed ora essa le lambiva i polpacci, gelida. Ma era finita.
Lyio barcollò, sputò sangue. La spada tra le mani della mezzo demone tremò, troppo pesante per la debolezza che l’aveva assalita. La ripose, incapace di reggerla ancora. Era distrutta. Ma aveva vinto. Da sola, contro un demone. Aveva vinto…
Lyio urlò. Spalancò il becco, e spinse le ultime forze della sua esistenza vero il nemico.
Kisala vide bianco, vide rosso, mentre il becco di lui affondava nella sua carne, cercandone il cuore, e trovandolo.
Lyio, morente, si rialzò, lasciando cadere a terra il cadavere. E non si accorse del velivolo che era appena giunto. O dell’umano che lo guidava. Ormai era troppo impegnato a morire a sua volta.
L’antico lago è immerso nella notte più nera e più cupa; solo un raggio di Luna, che faticosamente riesce a filtrate attraverso il tetto naturale delle fronde, ne raggiunge la superficie, donando alle acque riflessi argentati, forse magici.
E’ un luogo quasi sospeso nel tempo; lì tutto tace, rispettoso delle tenebre. Al centro del lago, una minuscola isoletta, sulla quale fa sfoggio di sé una piccola costruzione in pietra, una specie di tempio per bambole. E’ talmente bianco da brillare di luce propria.
Makau non parlò. Non si mosse, stringendo spasmodicamente le primitive maniglie in legno del suo mezzo. Il sogno esplose nella sua mente, e realtà e supposizione si sovrapposero con glaciale precisione.
Lyio sembra in fin di vita.
Infatti, dopo un paio di passi, la creatura crolla; nonostante la morte in arrivo, lo sguardo tremante di desiderio indugia ancora sul tempio, e infine cade sul lago, che fissa con le sue ultime forze.
L’acqua è ferma; si increspa solo nei pressi del corpo. Del corpo di quella morta, riverso sulla riva opposta al tempio, il volto immerso nell’acqua, il sangue che fluttua assieme ad un tappeto di capelli corvini…

Makau urlò. Un suono acuto, che rimbalzò tra le pareti di pietra, e ritornò a lui, quasi che il luogo volesse partecipare al suo lutto.

Sesshomaru, pronto alla partenza, ebbe una fitta al cuore. Si accasciò, avvertendo un cordone spezzarsi.
“Che hai?” Rin, anche lei uscita in giardino per assistere al marito pronto al salvataggio, gli poggiò una mano sulla spalla. E lui subito, l’avvolse, stringendola nel suo solo braccio, con sofferenza.
Non riuscì a trovare le parole per confessare alla moglie che ormai era tardi.

Makau non capì più nulla. La prese, la voltò, così che i suoi occhi, ancora sbarrati per la sorpresa, fissassero quel cielo così lontano, in un’eterna espressione di meraviglia.
Distolse immediatamente lo sguardo dal profondo, maledetto squarcio tra i suoi seni, e non trovò un suono che potesse esprimere tutta la sofferenza che lo opprimeva; sentì di soffocare, di perdere l’anima, di morire egli stesso.
“Kisala…” Liberò il suo volto da una ciocca di capelli intrisa di acqua e sangue. Il pallore del volto, gli occhi color ambra… si chinò sulle labbra color corallo, le sfiorò senza baciarle.
Il medaglione era incandescente contro il suo petto, e lui lo estrasse dalla camicia con rabbia. “Oggetto inutile! Sarei morto io, al suo posto! Piccolo, inutile… inutile…” Lacrime gli rigarono le guance ispide di barba non fatta da troppi giorni; la sollevò, la strinse a sé, e il medaglione divise per quanto poteva i due corpi.
E reagì.
Fu come se gli strapparono la vita direttamente dai polmoni. Makau boccheggiò, mentre l’inutile oggetto s’illuminò, espandendo tutta la luce all’ambiente.
Cosa accidenti…?
Ma certo. Serrò le labbra, sopportando il dolore irreale.
Reagiva ad un suo ordine: aveva chiaramente affermato che sarebbe anche morto per lei, ed il medaglione aveva deciso di vedere cosa poteva fare.
Lui chiuse gli occhi, mentre le forze gli venivano meno, e strinse un po’ troppo forte il corpo privo di vita di lei. Se quella era la morte… era una morte giusta. Forse era quella che andava cercando da anni.

Sesshomaru spalancò gli occhi, quegli occhi così simili a quelli della figlia, sorpreso.
“E’ pazzo… Sta facendo una pazzia...”
“Chi è pazzo? Vuoi dirmi cosa succede?” Rin l’afferrò per le spalle, scrollandolo. Ma la mente del Principe dei Demoni era molto, molto distante da lì.

Silenzio. No, un suono. Acqua che s’increspa? E un pianto. Un pianto femminile.
Makau non poté credere di poter aprire gli occhi. Eppure lo fece.
Sdraiato a terra, guscio vuoto privo di energia, creatura che soffriva anche solo respirando, si guardò attorno, confusamente.
Chi è che piangeva? Lui aveva pianto, per Kisala. Per Kisala, che era morta, no?
La creatura in un angolo, quella dalle spalle esili scosse da singhiozzi, era bianca come un miracolo. Interamente ricoperta di pelliccia soffice, nella quale spizzicavano due occhi neri come la notte, non smetteva di piangere, terrorizzata.
“Kisala…?” Mormorò, senza altre parole. Lei reagì a quel nome. Alzò sul suo salvatore occhi furenti, e aprì la bocca irta di zanne.
“GUARDAMI!” Si alzò, spalancando un corpo di predatrice perfetta. “Come hai potuto, come hai potuto farmi questo?” E quindi balzò via, essere innaturale, spettro completo, fuggì su per quelle rocce così impervie, e sparì alla vista.



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Capitolo 59
*** Il Ritrovamento di Makau ***


Ecco qua l'ultimo capitolo prima dell'epilogo!
Approfitto di questo spazio per postare un bellissimo ritratto di Kisala fatto da Manu_Hikari! http://img392.imageshack.us/img392/4375/tmp287sk.jpg
E' bello vero? ^^
Va beh non chiacchero... vi lascio al capitolo!




CAPITOLO CINQUANTESIMO

Lo trovarono tre giorni dopo.
Un po' tardi, sì, ma per ovvi motivi.

Una volta ripresosi da quella specie di coma contemplativo nei confronti di Kuara, Himoro si era riscosso, ipotizzando che forse, e sottolineiamo il forse, sarebbe stato opportuno andare alla ricerca degli altri, i quali forse, e sottolineiamo una seconda volta il forse, avrebbero avuto bisogno del suo aiuto.
Avvertendo la presenza di Talana come la più vicina, aveva raccolto Kuara in spalla e si era precipitato… trovando la demone e Korin impegnati a consumare un simpatico the con pasticcini in compagnia della bella Rin, nel palazzo del Principe dei Demoni.
“Vi siete bevuti il cervello?” Li aveva salutati con gran gentilezza.
“No, solo del the…”
“Siete pazzi. Dove sono Kisala e Makau?”
“Sesshomaru è corso da loro, ci ha vietato di seguirlo…” Spierò Korin, sorbendo un altro sorso. “Così, questa bellissima quanto gentile signora ci ha offerto dell’ottimo the…”
“Ma i pasticcini sono opera tua” si schermì Rin. “E sono davvero deliziosi!”
“Più che deliziosi!” Confermò Talana.
“Pasticcini? Dove?” Sussurrò Kuara, risvegliandomi.
“Credevo d’essere impazzito io!” Sbraitò Himoro. “Lui vi ha vietato di seguirlo! E allora? Da quando in qua gli diamo retta? Siete folli, completamente! Kisala e Makau potrebbero…”
“Mi ha morso.” Confessò Talana.
“Prego?”
“Sesshomaru. Ha visto che non volevamo lasciarlo andare solo, e mi ha morso.” Scoprì velocemente la gamba destra, mostrando un polpaccio color palude. “Ho preso la mia medicina speciale, ma prima di un giorno non mi reggerò in piedi. Suo marito ha nelle un veleno molto simile al carattere, signora.” Ammiccò a Rin, che arrossì.
“Mi dispiace, è fatto così…”
“L’importante è che i pasticcini e il the siano buoni.” Talana fece spallucce. “Per Kisala e Makau… spero che il Principe dei Demoni sia sufficiente come alleato. Posa Kuara, Himoro, voglio vedere come sta.”
Himoro scosse il capo, incapace di sollevare altre obiezioni, ed obbedì, poggiando l’umana su una poltroncina vuota.
In realtà, non erano completamente pazzi; o freddamente menefreghisti. Ad essere precisi, Korin era furente contro il demone che aveva ferito Talana; quest'ultima era furente per essere immobilizzata per un giorno intero. Infine, Rin avrebbe ammazzato il marito una volta che fosse rientrato a casa.
Ma quando c'è una tensione simile, molti tendono a mascherarla; e il the era stato per tutti un ottimo espediente. Ottimo, oltre che saporito.
“Ecco, bravo Himoro. Siediti con noi! Vuoi un po’ di the?”
“NON VOGLIO UN PO’ DI THE!”
“Nervosetto. Una camomilla?”
“Signori dell’inferno, datemi la forza…” Singhiozzò.

Nel frattempo, mentre un demone gatto iroso rompeva una delicata tazzina da the contro un lussuoso muro, un Principe dei Demoni era appena atterrato nelle prossimità di una gola con all’interno un lago.
Non era giunto lì a caso, ma spinto dal suo fiuto interiore; spinto da quella creatura, dalla forza che emanava, quasi un richiamo disperato.
E infatti, pochi attimi dopo, qualcosa di bianco sbatté contro di lui. La trattenne con tutte le sue forze, che bastarono a malapena nell’impresa, sussurrando ammirato: “Figlia, sei perfetta.”

Insomma, una volta guarita Talana e una volta parzialmente guarita Kuara, finalmente la piccola carovana partì, salutata da una Rin piuttosto preoccupata dal non ritorno del marito.
Camminarono in fretta e furia per un paio di giorni, sino a ritrovare quel famoso lagetto; e sulla sua riva, stremato dal medaglione, dalla fame, dalla disperazione, un essere umano irriconoscibile, che giurò d’essere Makau.
E in effetti, una volta curato, pulito e rifocillato, risultò essere proprio il giovane umano dai capelli rossi; gli occhi, un tempo brillanti, erano ora come spenti, rivolti al vuoto. Un vuoto che, spietato, albergava anche in lui.
“Cerchiamo di capire.” Talana, come sempre interessata più al lato delle spiegazioni logiche che a quello delle amichevoli pacche sulle spalle, tentò di riassumere nuovamente la situazione. “Kisala era morta, sì?”
“Morta.” Confermò lui, atono.
“Ma poi è scappata via…”
“No. Il medaglione. E’ stato lui, l’ha riportata in vita.”
“E non ci sei rimasto secco tu?”
“Per… farlo… ha cercato di risparmiare anche me… e ha fatto leva sulla natura più forte di Kisala, quella demoniaca. Così il lavoro è stato più facile, e siamo sopravvissuti entrambi.” Makau abbassò il capo, lasciando che Korin gli esaminasse uno stupido, lieve taglio dietro al collo.
“Ma perché Kisala è scappata?” Sussurrò Kuara, accanto a Himoro.
“Ha fatto leva sulla sua parte demoniaca. Ha riportato in vita solo quella. Capisci cosa intendo?”
“No…”
“Kisala è tornata tra noi; ma come demone completo. Lei, così orgogliosa d'essere mezzo demone...” Il demone gatto rabbrividì a quell’idea. “Ti avrà odiato…”
“Sì, lo ha fatto.” Makau non pianse. Durante quei tre giorni di solitudine aveva versato quante più lacrime era possibile; e ora si sentiva completamente svuotato di ogni forza.
“Chissà dov’è ora.” Borbottò Talana. “Adesso capisco il comportamento di Sesshomaru: ha avvertito il cambiamento in lei. Per questo ha voluto trovarla prima di noi!”
“Sì. Adesso è sua. Ha vinto lui.” Makau raccolse le ginocchia al petto, vi posò sopra il capo, e non volle più veder nessuno. Il medaglione, freddo come il ghiaccio, gli schiacciò il petto. Ma non vi badò.


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Capitolo 60
*** Epilogo ***





EPILOGO

Tre anni e mezzo dopo.

Sole che sorgeva, bagnando di calda luce foreste, prati, campagne, villaggi. E uomini.
Uomini che uscivano di casa, salutavano con un bacio le mogli, i figli, e si avviavano verso i campi. Vite. Vite di sofferenze, di stenti, ma di gioie incommensurabili. Quegli uomini vestiti di stracci possedevano i più grandi tesori del mondo, alcuni forse senza neppure rendersene conto.
Ti accorgi di quanto una cosa fosse preziosa solo quando la perdi.

“Nooo, ho perso un’altra vita!” Urlò da un’altra parte del tempo un demone, rabbrividendo. “Accidenti, avevo quasi raggiunto il bonus!”
“Ehm… figliola cara, mio tesoro… per quanto pensi si tratterrà con noi il tuo amico?”
“Lui?” Kuara voltò il capo verso il demone gatto che, appollaiato davanti al televisore del soggiorno, combatteva strenuamente per garantire una lunga vita al suo Super Mario Bros. “Non so. Sino a che non completerà almeno il primo livello, suppongo.”
Kagome scosse il capo, con finta disperazione. In realtà, quando aveva visto la figlia ritornare, anche se in compagnia di uno spostato, aveva fatto salti di gioia.
“Non hai ancora preso una decisione?” Sussurrò, fissando in lei i lineamenti così simili a quelli di suo marito. “Passato o futuro?”
“Ora che ho questa…” Kuara tolse dal colletto un medaglione dove era stata incastonata la scheggia di sfera contenuta nel tempio in mezzo al lago. “Suppongo un sano mix di entrambi, no?” Kagome l’abbracciò, ignorando il capo famiglia, un Inuyasha decisamente nero per la presenza del non troppo gradito ospite, che si lamentava per il ritardo della cena.

“Ehm. Perché va tutto a fuoco?”
“Che ci fai qui?”
“Il laboratorio è in preda alle fiamme… lo vedi?”
“Piccolo incidente di percorso. I miei schiavi di metallo stanno domando le fiamme: dunque, che ci fai qui? Non sai che i demoni cattivi gli umani se li mangiano?”
Korin finse un’espressione offesa.
“Pensavo che questa demone in particolari preferisse una torta alla carne umana…” Confessò, estraendo dalla sacca un dolce alle noci.
Il viso di Talana si raddolcì all’istante. “Potevi dirlo subito che eri qui per una visita di cortesia, no?” Scherzò, prendendolo a braccetto e conducendolo in un luogo un po’ più panoramico.
L’umano sorrise quando lei gli poggiò la testa sulla spalla. La cinse con un braccio.
Da due anni perseguiva nel suo intento, piombando nel territorio di Talana ogni volta che poteva: era attratto da quella demone, che poteva farci? E certamente anche lei, inconsciamente, ricambiava. Anche se l’orgoglio di razza le impediva di ammetterlo apertamente; e quei dolci che, impegnata a baciarlo, spesso non toccava neppure, continuavano ad essere utili per strapparle un’iniziale sorriso. E dopo quello, lei gli apriva sempre le porte del suo cuore.
Prima o poi, sarebbe andato da Talana senza nulla da mangiare. Allora, forse, lei avrebbe ammesso di volergli bene. O avrebbe assaggiato carne umana, chi poteva saperlo?

Sole, luce solare che bagnava il paesaggio. Che spettacolo spietatamente bello.
Si passò una mano sulla guancia, trovandola abbastanza ruvida; da quanti giorni era che non si faceva la barba? Sbuffò. E da quanti mesi era che non si procurava un cambio d’abiti? Sbuffò nuovamente, quindi si rialzò.
I capelli erano cresciuti parecchio, in quei tre anni di vagabondaggio selvaggio, e non si sognava neppure di impegnare il suo tempo a tagliarli. Adesso, quando entrava in un paese, i bambini lo fissavano con timore, e le donne tendevano ad allontanarsi prudentemente. E forse era proprio questo che voleva.
Che lo lasciassero solo. Che lo cercassero solo se bisognosi di qualcuno in grado di scacciare qualche spettro brutto e cattivo come lui.
Aveva provato, per qualche tempo, a restare in compagnia degli altri. Aveva persino seguito Kuara e Himoro in qualche gita nel futuro. Ma la realtà calava sempre su di lui come un masso: era fuori posto, ovunque. Forse sarebbe stato bene solo in una tomba.
E quale modo più veloce per morire, per il Detentore del Ciondolo del Sole, se non cacciare demoni? E così aveva ripreso la sua attività. Ed era molto rischiesto!
Anche quella mattina lo cercarono proprio per quel motivo. Lo comprese quando vide un bambino, un bambino di circa tre anni con un fazzoletto legato sul capo, che copriva una massa di capelli neri come la notte. Correva verso di lui, fissandolo con occhi che avevano un qualcosa di alieno; Makau comprese solo all’ultimo cosa fosse: un occhio era bianco, l’altro nero. Che cosa bizzarra.
Il medaglione divenne tiepido contro la sua carne: quel bambino portava certamente notizie di uno spettro; ne aveva l’odore addosso, e certi odori non sfuggivano a quel dannato oggetto.
“Signoe!” Parlò con voce acuta, storpiando le parole come solo un fanciullo così giovane sapeva fare. “Spettlo! Di là, di là!”
Makau non rispose. Si alzò, sovrastandolo con la sua altezza. Smise di fissare la particolarità dei colori del fanciullo, e si avviò verso il punto che aveva indicato con le sue piccole ma tozze dita. Non si preoccupò di rassicurarlo, né di spiegargli dove avrebbe potuto trovare un villaggio.
Prima avrebbe ammazzato il demone; lo spettlo, sì. E poi, forse, se ne avesse avuto voglia, avrebbe aiutato il marmocchio.
Ma il piccolo lo seguì senza invito. Spalancando i grandi, innocenti occhi, zampettò dietro i larghi passi dell’adulto, addentrandosi con lui nel folto degli alberi.
“Allora, dov’è?” Chiese Makau, spazientito. E poi perse il fiato.
Eccolo.
Una lunga chioma bianca come la neve, che scendeva mollemente lungo la bella schiena, e spargeva le sue punte sul masso ove la creatura si era accomodata. Una creatura elegantemente vestita, dai freddi occhi color oro, e una coda che, arrotolata, formava un paio di spire sulla coscia destra, lasciando ricadere a terra il resto.
“Ma…?”
Kisala si voltò verso di lui; sorrise con labbra che un tempo erano state color corallo, e erano adesso pallide. Anche se non meno attraenti.
“Makau.” Kisala fece un gesto verso il bambino, che corse verso di lei. Lo raccolse e lo strinse a sé. “Ti presento il mio nuovo fratellino. Kiton, saluta.” Il bambino gli rivolse un’infantile occhiata astuta, mentre la sorella gli liberava il capo del fazzoletto, rivelando due appuntite orecchie bianche. “Mamma me lo ha prestato per farti uno scherzetto.” Confessò, ghignando. “Sorpreso?”
“TU? Aspetto umano? Come…?”
Forse toccò un tasto dolente. Kisala, la nuova Kisala, che dell’antica conservava solo gli occhi e la bella spada, gli rivolse un’occhiata furente. Ma infine rispose con diplomazia: “Quando tu hai fatto… quello che hai fatto” Evitò di definire la deplorevole azione, dato che il solo ricordo la faceva stare male. “Mio padre è corso subito a cercarmi. E’ stato lui ad insegnarmi questo e molti altri trucchetti.” Come se volesse dare una dimostrazione delle sue parole, sollevò il fratello, gli stampò un bacio sulla fronte e lo fece sparire. “Vai a casa, sarai stanco…” Mormorò al vento. Quindi, si voltò di nuovo verso l’umano, con sincero intento di conversazione. “Allora! Cos’hai fatto in questo lungo tempo? Hai trovato una donna? Hai procreato?”
Makau scosse il capo. In realtà, aveva passato gli anni sperando di rincontrarla; e nella sua mente si era creato mille scene ove lui si prostrava a terra, implorando di perdonarlo, e snocciolando i perché e i per come le aveva fatto ciò. Ma adesso che l’aveva davanti agli occhi, ogni parola sembrava perduta.
“Sai che ho fatto io? Ho pensato. Molto.” Si alzò tra le ombre e le luci del bosco. Una fredda, maligna regina, ecco come appariva. In nome del cielo, cosa aveva mai fatto? “E ti ho odiato, sai? E ho lasciato che, solo, vagassi in solitudine. Forse a volte ho sperato che morissi.” Fece qualche passo verso di lui. “Ma sei ancora vivo, piccolo umano. E forse dovrei pensarci io a mettere fine alle tue sofferenze. Sarebbe poetico, non trovi?”
“Molto.” Gracchiò Makau.
“Non tiri fuori quel tuo… meraviglioso pendaglio?” Si fermò innanzi a lui; le sue vesti, semplici come le aveva sempre amate, ma fatte delle sete più preziose, lo sfiorarono.
“No.” In effetti, il medaglione aveva avvertito la pericolosità di lei. E bruciava, voglioso di distruggerla.
“Ah, e ti lasceresti uccidere così? Da me? So che in questo lasso di tempo hai polverizzato creature molto più…”
“Uccidimi, allora.”
Kisala lo circondò con lunghe, pallide braccia. Scivolarono su quel corpo umano, e lo trascinarono attaccato a quello della demone. “Perché lo facesti? Perché mi riportasti in vita, nonostante i rischi? E non dirmi che non potevi prevedere i rischi!” Alzò un attimo la voce, furente, poi la riabbassò a un sussurrò intangibile, ma letale. “Per cosa? Per amore, o per egoismo?” Ringhiò.
“Me lo sono chiesto. Forse per entrambe le cose.” Tremava, ma non di paura.
“L’egoismo lo si ricambia con la vendetta. Io ero venuta per questo.” Strinse la presa su di lui; non incontrò resistenza. Voleva morire, quell'umano, e proprio tra le sue braccia! “Ma l’amore…” Kisala si abbassò su di lui, sfiorando quel volto mal rasato con le soffici labbra. “L’amore… lo si ricambia con amore, credo.” Trovò quelle di lui; Makau, sempre più tremante, osò sollevare le proprie braccia, cingendo quella creatura così perfetta. Quella creatura che avrebbe potuto distruggerlo semplicemente stringendo un po’ troppo quell’abbraccio. E che eppure lo baciava.
Una scena davvero bellissima.
Peccato che Sesshomaru, alla ricerca della figlia sfuggita ai suoi insegnamenti, dovesse arrivare proprio in quel momento…

Il resto, è storia.



FINE?



Oddioooooo! Abbiamo finito! xD
Che ne dite? Spero di non aver deluso nessuno; certamente sono stata prevedibile, ma in fondo sono un cuor tenero. Ehm. Molto il fondo.
Voglio ringraziarvi di nuovo, uno ad uno. Questa storia è esistita grazie a VOI. Molte storie in questo sito potrebbero esistere grazie a voi, grazie a tutti coloro che si appassionano, scrivono, commentano, si emozionano, insomma vivono e fanno vivere la fantasia di chi scrive.
Mikoru : Mia sorella bovina, che hai letto questa storia con affetto per me... grazie mille! Con te ho scherzato su Himoro-chan, ho riso per le mie bave su Makau... insomma mi hai tirato su tantissime volte! ^^ Un abbraccio ^_^
Jinny: La mia allieva! Grazie alle nostre storie siamo diventato grandi amiche, e questa è una delle cose più belle che scrivere possa portare. Manu_Hikari: Spero ci sentiremo ancora! Sei simpaticissima! E spero che la storia ti abbia dato momenti lieti ;) bea:Non hai mao recensito sino a che non hai visto la mia folel pausa pubblicitaria... e allora non hai resistio! Grazie per avermi seguita.
Mao-chan91 Ti sei complimentata oltre che per la storia sul fatto che i miei personaggi non fossero delle noiose Mary Sue... questo è stato molto bello pe rme grazie!
Noesis2: Un'autrice che rispetto moltissimo... e che ha seguita la mia storia.. che onore ^___^
Ilune Willowleaf: La mia seconda sorella bovina che ha commentato solo una volta, ma che ha seguito tutta la storia! Un muggito e una leccata a te sorella xD
Dk86: Mi hai sempre dato ottimi consigli, e mi sembra che la storia ti sia piaciuta... sono conteta! ^^
Darth Bane: Un mito. Guarda, i tuoi commenti essenziali ma simpaticissimi mi facevano morire dal ridere! Sei un grande xD
Hita Segue dal primo capitolo, e la ringrazio per non essersi mai stufata! ^_____^ Mi ha sempre commentato senza fretta e con passione, mi ha fatto tanto piacere che tu seguissi la storia fino a questo punto.
Killkenny: Il sicario nazionale! Nonostante le continue minacce di morte, sono contenta che la storia ti sia piaciuta(se ti è piaciuta!) ^^
kaggy-chan Una sola recensione, ma fatta da una persona contenta della storia. Grazie ^^
ariel87 Ariel arriva sempre dopo qualche capitolos cusandosi del ritardo... non ti scusare! Sono felice quando arrivi, anche se in ritardo. Ti ho sempre vista appasionata dei pesonaggi, e mi ha sempre fatto tanto tanto piacere ^_^
rubin89 E' stata lei che mi ha dato la spinta a riprendere. Mi ha esortata, e io ho ripreso. Grazie ^____^
Lily 90 Segue dal primo capitolo, e anche se ultimamente non l'ho più vista sono certa che prima o poi leggerà il finale ^^
giodan Anche lui è sparito, ma la storia gli piaceva... quando tornate se avete voglia fatevi sentire ^^
Honey Grazie dei complimenti... gentilissima ^^
Kiba91 Mi ha recensita un paio di volte; credo ci stia ancora seguendo, e aprofitto di questo spazio per salutarla!
Alexia Un saluto! Grazie ancora per i commenti ^____^
Chuchu Grazie mille della recensione.. che hai poi deciso per la tua storia fantasy? erato Che mi fece i complimenti per la storia e per l'utilizzo dell'html ^^
meima Una fanciulla simpaticissima che mi ha commentato ^^ Grazie ^^
-Cric- Vedevo che la storia ti piaceva assai... e questo mi mandava avanti! Grazie!


Accidenti quanti siete ragazzi! Grazie, siete il mio gruppo! Il gruppo di Kisal! Mi mancate guà ç_ç
Infatti, aprofitto per mettere il mio contatto msn: forever_mukka@hotmail.com contattemi se avete voglia mi fa un MONDO di piacere!
Ecco, ora è davvero il momento dell'arrivederci. Anzi, no. Ho ancora un capitolo, una cosa comica che avevo scritto nel caso la storia fosse andata in un altro modo. Se ho tempo di coreggerlo per adattarlo a questa trama, lo metterò!
Per ora, mi congedo.
Grazie mille. A tutti. VI VOGLIO BENEEEEE ç________ç


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Capitolo 61
*** OSSERVAZIONI SUI PERSONAGGI ***





Ho pensato che potesse interessarvi un pezzetto dove spiego alcune cosuccie… come ad esempio la genesi dei personaggi, o alcune cose rimaste in sospeso…

Ad esempio, vi ho detto che il modello di Papà Sesshomaru l’ho copiato molto da quello che è mio padre? Mikoru, che lo conosce, può confermare credo: e anche quella povera creatura del mio ragazzo, che preferirebbe spararsi piuttosto che far innervosire il mio temibile papone! xD

Ma parliamo dei miei personaggi; ho molte cose da approfondire e spiegare, credo.

Kisala innanzitutto! Com’è nata?
Per chi non lo sapesse, la inventai per un capitolo speciale di un’altra storia (che trovate a questo link: http://www.egoio.net/efp/viewstory.php?sid=38491 ). Una storia, che, lo ammetto, era davvero sadica nei confronti di Rin, ma che ho amato moltissimo.
Però, per risollevarla dalla tristezza iniziale, pensai a questo capitolo speciale dove spuntava Kisala. Che piacque molto. Forse perché creatura capace di far discutere Sesshomaru e Rin, forse perché così forte eppure così tenuta nella bambagia dal Principe dei Demoni, Kisala ha conquistato immediatamente molti lettori, che mi hanno scritto pregandomi di andare avanti con una storia su di lei.
Io li ho accontentati, ed ecco cosa è uscito: sessanta capitoli (questa è la fic più lunga della mia vita) pieni di follia xD
Kisala è… caotica. Ho sempre caratterizzato la sua personalità facendovi scorrere un fiume di energia inesauribile; è forte, questa mezzo demone, sia fisicamente che emotivamente.
Dato che ha vissuto sino all’età della fuga in compagnia dei genitori e di servi prescelti, non ha mai realmente sentito il peso della sua condizione di mezzo demone; e questo le ha evitato molte paranoie mentali che non avevo proprio voglia di addossarle. Certo, è consapevole del fatto che molti disprezzano quelli come lei… ma una cosa è sapere di una condizione, una cosa è subirla. E Kisala, in pratica, non l’ha mai subita.
Inoltre, sempre per questa sua condizione di, se mi passate il termine, ingenuità, ho potuto darle una fresca sincerità molto infantile, che personalmente adoro nelle persone. Kisala è una creatura lineare, mi ricorda quasi un cane (e beh, in fondo affinità coi canidi ne ha no? xD ): ama con tutta sé stessa, in pochi attimi può salire dalla disperazione più profonda alla gioia totale, difende con ogni mezzo ciò che è suo, cose o persone. Mi piace, sì. Sono molto soddisfatta di lei, anche se ho sempre temuto che cadesse nel vortice delle Mary Sue. Spero di averla tenuta oltre quel precipizio, ma non ne ho la certezza assoluta.
Mi ha sempre colpito di lei il suo assoluto orgoglio di mezzo demone: rifiuta dallo zio la trasformazione, s’infuria quando Makau, per riportarla in vita, la cambia interamente. Kisala sa che essere mezzo demone non è semplice, eppure non rinuncerebbe a quella che è la sua vera essenza per nulla al mondo. Sì, questa cosa mi piace. Il coraggio di affermare ciò che siamo. Dovremmo seguire in molti questo esempio. ^^

Makau.
Ah, Makau.
Che parto complicato è stato il tuo!
Non scandalizzatevi, ma questo bel giovanotto è nato per morire. Sì vi giuro: doveva essere una povera creatura, a ben vedere piuttosto sfigata, che non sarebbe stato altro che un amico per la nostra Kisala, una amico che avrebbe perduto presto.
Questo perché, quando ideai la storia, pensai a un’ambientazione molto più oscura; poi, però, dato che era estate, dato che c’era tanto sole e tanto mare ed io ero tanto di buon umore, la fan fic ha preso una piega imprevista, verso il comico e l’allegro. E allora l’ho risparmiato. Per il momento, eheheh ^^
Se ve la devo proprio dire tutta: Himoro doveva mettersi con Kuara. Trovavo assolutamente divertente che un demone accostato alla figlia dallo stesso Sesshomaru, un demone che si scopre poi codardo come pochi, conquistasse il cuore della mezzo demone, facendo infuriare un già pentito Principe dei Demoni. Però Makau, e la storia che ho scoperto alle sue spalle, una storia di Prescelti e Medagliono, mi ha conquistata *_*
Insomma, il ragazzo è una povera creatura reietta da tutti, isolata: come i mezzi demoni. E Kisala, anche se non ha mai sofferto per la sua natura ambigua, s’è subito sentita sulla stessa linea d’onda del ragazzo. E a quel come potevo ucciderlo?
Però Makau ha rischiato di morire molte volte: all’inizio, come vi ho detto, per lasciare il posto a Himoro. E verso la fine, dato che secondo la mia iniziale idea per riportare in vita Kisala doveva perire. E pure nell’epilogo: nella prima versione, Kisala si vendicava uccidendolo. Makau deve avere sette vite come un gatto, per salvarsi in così tante occasioni. O forse sono stati i capelli rossi a tenere lontana la morte (non so se lo sapete, ma l’Autrice qui ha una specie di morbo psicologico per i capelli rossi: quando vede un fanciullo dalla fulva chioma, ha uno scompenso ormonale e non capisce più niente.) Insomma, meno male che sei arrivato sino in fondo, Cacciatore di Demoni; fossi in te, accenderei un cero al tuo santo protettore: se lo merita! ^^

Ah, per i fan della coppia: ecco una ritratto fatto da me. E’ oscuro, e forse triste, ma mi fa impazzire. http://img519.imageshack.us/img519/2585/makaukisala6aj.png
I capelli li ho presi da un doll maker, e la base non so più dove me la sono procurata. Però che ne dite, vi piace? ^^

In mano Makau ha il Ciondolo del Sole. Quella faccenda nera sulla sua gamba dovrebbe essere la coda di Kisala.
Che pucciosi, eh? ^^

Mikaa: la sorella di Makau! Mi piaceva un sacco, davvero; una bella ragazzaccia forte e cattiva come non mai. Ma che fine ha fatto? Non è più spuntata… Uffaa me la sono dimenticata! ç_ç
La mia prima idea era di farla ricomparire verso il finale. Sì, a fare altri casini che si sarebbero aggiunti a quelli già presenti. Ma rischiavo che ci scappava il morto…
Perché: se attaccava Kuara, dopo tutto quello che la fanciulla aveva passato, Himoro perdeva la testa di brutto. E anche Mikaa avrebbe rischiato di perderla, a causa degli artigli del demone gatto.
E se avesse rivolto le sue ‘gentili’ attenzioni verso Korin e Talana? Essendo una bellissima fanciulla dal corpo di guerriera scolpito ad arte, quanto ci avrebbe messo il maniaco a saltarle addosso? E quanto ci avrebbe messo lei a trapassarlo da parte a parte con una spada? Molto poco. E non volevo rimetterci Korin!
Di farle attaccare Makau e Kisala ci ho pensato, ma ho subito scartato l’idea: insomma, li volevo soli. Soli con Lyio. Tanto per essere poco sadica.
E la povera Mikaa è finita nel dimenticatoio. Ma la riesumerò per un capitolo speciale che sto già elaborando… Intanto, godetevi questa doll che ho trovato. A parte che è vestita e come non lo sarà mai in tutta la sua vita (queste cose da femmina lei non le sopporta), il viso e i capelli sono come me li ero immaginati! ^^
Forse la sua espressione è molto, molto più truce… ma mi accontento! ^^
http://img519.imageshack.us/img519/8092/mikaa7fm.png

Himoro, sai una cosa? Ti amo mio puccioso demone gatto! Dico davvero, sei il mio amorino!
Da tempo avevo in testa di creare un personaggio del genere; psicopatico, forse, ma codardo come pochi. Poi m’è venuta l’illuminazione di un demone gatto che invece che uccidere abbraccia con tanto affetto, e il resto è venuto da sé.
I demoni gatto: me li ero immaginati come creature affascinanti, che riescono a sedurre come i vampiri. E, in onore della specie felina famosa per i suoi voltagabbana, li ho fatti con crisi che li portano ad uccidere e dilaniare tutto ciò che hanno intorno!
E invece Himoro è… difettoso. Questo lo ha portato ad essere vigliacco come pochi, ma non è colpa sua: come sareste voi, se aveste passato il resto della vostra vita a farvi insultare, deridere e picchiare dai vostri simili? E poi, avete visto che razza di mammina ha il gattino? Anche io al posto suo avrei una tale paura addosso!
Insomma, si vede che sono proprio affezionata al caro Himoruccio? E c’è pure chi ha fondato un fan club su di luI! Oddio che bello, mi devo procurare la tessere ^__^
Himoro 4ever and ever!
E durante la storia… si è evoluto. Mi è piaciuto molto il suo cambiamento, così freddo, così impulsivo, così terrorizzato da sé stesso. Nel capitolo speciale però sarà normale; mi spiace, ma lo voglio così xD

E Kuara? Ah questa sì che è divertente: lei l’avete voluta voi!
Io l’avevo descritta con qualche breve pennellata, solo per dare un contesto alla vita nel futuro di Inuyasha; e invece, grazie forse al fatto di essere immediatamente stata traumatizzata da Himoro, è piaciuta subito. E l’abbiamo voluta con noi.
Devo dire che… non mi ha mai convinto appieno, questa fanciulla. Forse perché è lei che ha combinato tutto il casotto con la sfera, o forse perché non sono mai riuscita a darle una caratterizzazione particolare… insomma, secondo me è un personaggio che ha senso solo accanto a Himoro. Ed è stato solo per il mio affetto verso il demone gatto che lei ha evitato una pessima fine… Povera Kuara! xD

Ah, eccoveli qui, in un ritratto puccioso:
http://img363.imageshack.us/img363/7026/kuarahimoro7up.png

Ora passiamo a un altro mio mito: la cara Talana! Bella lei, mi piace un sacco!
Perché? Perché è una demone curiosa, perennemente alla ricerca di nuove scoperte; una creatura immortale che non disdegna quella mortale occupazione che è la scienza. Sì va beh, ci mette un po’ di magia, ma la maggior parte delle sue invenzioni funzionano anche senza!
E poi… ha delle forme morbide, molto morbide. E le piace un sacco mangiare, cosa inedita tra gli spettri. Per questo la adoro.
E’ così orgogliosa, pur nella sua testa sempre tra le nuvole; avete visto come s’infiamma al solo sentir parlare delle sue forme? Sì, forse è il personaggio che mi somiglia di più. Per questo credo sia stato quello che ha sofferto di meno xD

E Korin? Mi spiace sia apparso così in fondo, tale da sembrare una specie di comparsa. Però mi piace tanto muoverlo.
Avere un maniaco nella storia da’ sempre quel po’ di pepe in più. Avere un maniaco come il figlio di Miroku, poi, mi ha fatta morire dal ridere! Spero di poterlo usare di più nel capitolo speciale… Chi vivrà, vedrà ^^
Ah ovviamente… un ritratto deformed dei due pucci: http://img291.imageshack.us/img291/7905/talanakorin2if.gif

Avrete forse notato che la storia a volte non è coerente, ci sono degli errori logici… questo perché ho cominciato a scriverla come una furia: uno o due capitoli al giorno, senza fermarmi. E poi per circa un mese ho proseguito al ritmo di uno al giorno.
Ultimamente, a causa del teatro, avevo rallentato orribilmente, e quando smetto di scrivere rincominciare è terribile: mi sembra che faccia schifo tutto ç_ç
Beh insomma, questo per spiegare che: gli errori non sono sempre dovuti alla mia stupidità. Spesso le interruzioni nella narrazione regolare mi faceva dimenticare molti, troppi, particolari. Non so quanto ciò sia evidente, ma per correttezza lo dico ^^

Spero di non avervi annoiato con queste chiacchere. Ho approfittato del finale della storia per fornire quante più informazioni potevo.
Se devo essere sincera sino in fondo, devo ammettere che Kisala & company mi mancano, da morire. E che forse, oltre il capitolo speciale ne scriverò altre. Non storie lunghe, no, ma qualche episodietto per ridere sì lo vorrei. E voi?

Vi saluto con un bacio. Ne approfitto per salutare Yuna, che è spuntata tra le recensioni e mi ha fatto molto piacere, e giodan, con il quale mi scuso molto per averlo dato per disperso. ;)
E ovviamente saluto tutti coloro che hanno accolto il finale di Kisala... grazie ^_^

Vi lascio con un ultimo ritratto… povero, povero Makau, tra le due arpie! xD
http://img515.imageshack.us/img515/2569/fotokuaramakaukisala3fq.png

Ci sentiremo presto, ragazzi ;)
Maura.



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