Like apple and cinnamon. di GurenSuzuki (/viewuser.php?uid=67051)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 1 *** Chapter 1 ***
CHAPTER 1
Un candido
petalo dalle sfumature rosate entra dalla finestra aperta, posandosi
delicato sul mio banco perfettamente lindo.
Lo prendo
delicatamente tra due dita, saggiandone la consistenza quasi eterea:
scivola come fosse seta.
Lo rinchiudo
nel palmo puntando lo sguardo reso ghiacciato dalle lenti
artificiali sul panorama offerto dalle imposte spalancate:
Tokyo si estende coi suoi palazzi grigi che da bambino mi ricordavano
le guglie di un antico castello medievale. Di quelli che ricoprivano le
pagine dei miei libri di favole e che credevo fossero un sogno
stupendo. Sorridevo guardandoli. Ora capisco che sono solo abitazioni e
fabbriche, nonostante un barlume di allegria riesca a trapelare dai
loro profili, grazie al caldo sole primaverile.
Oggi
è una giornata troppo bella per essere sprecata dietro a
questo pezzo di legno, ad ascoltare una vecchia raggrinzita spiegarmi
qualche assurda formula di Trigonometria che sicuramente non
capirò -dato che nemmeno mi interessa farlo.
Vorrei solo
uscire, respirare l'aria fresca e frizzante, sentire il sole scaldarmi
la schiena: e invece sono bloccato qui ancorato coi piedi per terra.
Io non voglio
stare a terra. Io voglio volare, spiegare le mie ali e librarmi in
cielo, sentendo l'aria fredda dell'alta quota lambirmi la pelle del
volto e scompigliarmi i capelli.
Chiudo gli
occhi e simulo la sensazione che proverei con l'immaginazione: favoloso.
Poi, il mio
ritaglio di perfezione viene sottratto dal suono trillante e fastidioso
della prima campanella del lunedì: il primo giorno di scuola
è forse il più frustrante, coadiuvato interamente
dalla nostalgia dei giorni di libertà e dalla consapevolezza
di avere innanzi a sè ben undici mesi di scuola.
Sospiro
immaginando la signora Fuwa entrare col suo passo baldanzoso,
ampollosamente vestita e col suo solito cipiglio poco amichevole aprire
il registro, gracchiare l'appello e incominciare con le solite
prediche, ormai di rito ad inizio anno per una classe turbolenta e poco
partecipe come la nostra.
Prendo una
penna e inizio a giocherellarci, conscio che non la userò
per tutto il giorno.
Sto appunto
rigirandomela tra le dita poco interessato, incassato nel banco, quando
sento una voce sconosciuta -e maschile- salutare amichevolmente.
"Buongiorno a
tutti"
... e questo
chi è?
E
così questo è il mio primo giorno in questo
istituto.
Non
posso fare a meno di trattenere un sorriso divertito.
Il
mio primo giorno e già mi ritrovo a fronteggiare una classe
descritta dal corpo docenti come un ritrovo di teppisti, tanto che
nessuno voleva occuparsene.
Alla
fine mi sono offerto di farlo io.
Non
mi faccio di certo spaventare da un gruppo di marmocchi.
In
fondo deve ancora nascere chi sarà in grado di sottomettermi.
Non
conosco la parola sconfitta.
Così
come non conosco la parola sottomissione.
E’
qualcosa che hanno imparato persino i miei genitori.
Nessuno
ha il controllo della mia vita.
Nel
momento in cui sono sgusciato via dal ventre di mia madre ed il mio
cordone ombelicale è stato reciso, sono diventato un uomo
libero.
Libero
di vivere la sua vita come vuole.
E
di compiere le sue scelte.
Ed
io ho scelto di cantare.
Di
far vibrare la mia voce al di sopra degli altri denunciando i mali di
questo mondo corrotto.
Se
in questo momento mi trovo a camminare nei corridoi di questo istituto,
cercando di evitare degli alunni in ritardo che corrono come una
mandria di bufali, è solo perché questa dannata
società non ha posto per i poeti.
Per
i sognatori.
Vuole
materialismo.
Fatti
concreti.
Fredda
materia senza ideali.
Chi
non segue questa regola, è tagliato fuori dalla
società e destinato alla miseria.
Prima
o poi riuscirò a realizzare il mio sogno.
E
ci sono vicino, lo sento.
In
fondo la mia è una delle voci più apprezzate nei
locali notturni.
Ogni
volta che salgo sul palco la piccola folla davanti ai miei occhi
comincia ad agitarsi e ad invocare il mio nome come un esercito di
soldati invoca il proprio condottiero trionfante.
Si,
ormai manca poco.
E’
solo questione di tempo, poi finalmente riuscirò a compiere
quel salto di qualità necessario per dedicarmi solo al canto.
Ma
in attesa che questo accada vado avanti con il mio lavoro.
Mio
padre avrebbe voluto che diventassi un medico.
Un
pezzo grosso.
Pretendeva
di manipolare la mia vita come se non fossi altro che un pezzo da gioco
su una scacchiera.
Non
lo accettavo.
Non
potevo accettarlo.
Stare
rinchiuso in uno studio non era quello che volevo dalla mia vita.
Mi
sono ribellato e sono stato cacciato di casa.
Disconosciuto.
Senza
che neanche la mia propria madre prendesse le mie difese.
Costretto
a rifugiarmi dai miei nonni per un tetto sopra la testa e a
pagarmi gli studi solo con la potenza delle mie corde vocali.
Già
gli studi.
Ho
sempre odiato studiare.
Ma
la verità è che senza un titolo di studio non si
può fare niente in questa città e dovevo
guadagnarmi da vivere.
I
soldi che le mie esibizioni mi fruttavano erano quasi insufficienti per
le spese scolastiche, tanto che per riuscire a coprirle dovevo
trascorrere intere nottate insonni nei karaoke o in localacci malfamati
che pur di attirare clienti accettavano di assumere minorenni..
Per
quanto sia un’amara e scomoda verità,
non importa quanto talento si possa avere.
Finchè
non riesce a sfondare, un vocalist non riuscirebbe nemmeno a pagarsi
l’affitto di casa. A meno che non faccia
anche un altro lavoro.
Credo
di essere la dimostrazione vivente di questo.
Se
volessi contare solo sugli introiti delle mie performance canore, non
ce la farei a sostenere i costi della pigione per il mio
appartamento e tantomeno quelli delle bollette.
Ma
non è stata solo per una futile questione di soldi che ho
scelto di fare questo mestiere.
Dicono
che i giovani sono il futuro.
La
speranza per un mondo migliore.
Tante
frasi usate solo per far leva sugli elettori da politici che in
realtà dei giovani ed i loro problemi se ne sbattono
altamente.
Ma
io invece voglio crederci.
Voglio
credere che un giorno una nuova generazione spazzerà via la
corruzione e la crudeltà del mondo.
E
fin quando il mio sogno di condannare i mali che affliggono questa
terra devastata dall’alto di un palco non
sarà realizzato, voglio essere uno di quelli che
contribuiranno alla formazione di quei ragazzi che potrebbero salvare
il futuro.
Perché
in questo stesso istante, in uno dei banchi di queste aule, potrebbero
esserci coloro che saranno in grado di abbattere i muri della
crudeltà delle persone e risanare le ferite che storpiano la
società e la faccia stessa della terra.
Ed
io ho un solo modo per aiutarli: insegnargli a pensare con la loro
testa.
A
non tollerare costrizioni, né sottomissione, né
schiavitù.
Solo
in questo modo avranno le armi per realizzare i loro sogni.
Le
stesse armi che sto usando io.
La
campanella che annuncia l’ultimatum per gli allievi di
entrare in classe trilla e mi distoglie dai miei pensieri.
Mentre
continuo a camminare il mio sguardo corre alle targhette
sulle porte delle aule, alcune già chiuse altre ancora
aperte, finquando non arrivo alla prima classe della giornata in cui
avrò lezione: la V D.
Quella
dei teppisti.
Senza
esitare ne varco la soglia passando in rassegna con lo sguardo i suoi
occupanti.
La
mia scolaresca finquando la loro insegnante non sarà dimessa
dall’ospedale.
Con
un sorriso che vuole essere il più amichevole
possibile mi avvio verso la cattedra, salutandoli.
“Buongiorno
a tutti.”
Un
brusio perplesso si leva dal fondo dell’aula fino ai primi
banchi.
Sicuramente
si stanno chiedendo che fine abbia fatto la loro insegnante.
Con
calma appoggio la cartellina e il registro che ho con me sul ripiano
della cattedra, poi mi avvio alla lavagna.
Il
familiare odore del gesso mi solletica le narici mentre afferro un
gessetto nuovo e lo spezzo, lasciandone una metà
nell’apposito contenitore metallico, accanto al
cancellino.
Con
un movimento quasi artistico procedo a tracciare il Kanji di Kyo,
occupando lo spazio intero della lavagna.
Kyo.
E’
così che mi presento a questi ragazzi.
Tooru
Nishimura è il nome che mi hanno dato quei genitori che mi
hanno voltato le spalle.
Il
nome con cui questa società cinica e materialista mi ha
schedato.
Il
nome di uomo in ceppi.
Ma
io ho spezzato le mie catene, sono libero da loro.
E
il mio vero nome adesso è Kyo.
Completata
la mia opera ripongo il pezzo di gesso ora smussato e mi volto verso i
miei allievi.
Vedremo
se sono davvero i teppisti che gli altri dicono che siano.
In
fondo anche io sono stato definito un teppista solo per essere un uomo
libero.
Nuovamente
scandaglio la classe con lo sguardo in un’altra panoramica
generale, poi passo alle presentazioni.
“Il
mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la
Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente
è ricoverata in ospedale per un braccio rotto e
l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a
parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per
andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da
rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; E
soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando
aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate
sempre e solo con la vostra testa.”
Un ragazzo,
che non dimostra più di 25 anni, è appena
entrato, stretto nei suoi pantaloni di simil-pelle e una giacca dello
stesso tessuto. Ha capelli biondi arruffati e sul suo volto svettano
diversi piercing. Ha uno sguardo molto austero, quasi inviolabile, come
avesse messo un lucchetto alla propria anima.
Va verso la
lavagna -lasciando la porta aperta- e inizia a scrivere un Kanji.
Mentre traccia le corpose linee col gesso precedentemente spezzato,
noto che sulle dita della mano destra ha un tatuaggio... anzi, tre. Un
tribale sull'indice e due scritte in una qualche lingua dell'est
europeo su mignolo e anulare.
Quando termina
di scrivere ripone il gesso e si fa da parte per permetterci di leggere.
Kyo.
Kyo.
Kyo!?
Sì,
Kyo!
Fa ballare i
suoi occhi castani per tutta la classe, osservandoci uno ad uno. Poi
parla e una scarica infinita di brividi mi si propaga lungo la spina
dorsale.
“Il
mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la
Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente
è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e
l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a
parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per
andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da
rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e
soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando
aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e
solo con la vostra testa.”
Dio. Non solo
ha una voce profonda e sensuale... ma pure delle idee proprie. Sento
che potrebbe iniziare a piacermi quest'assurda materia!
Non
è male, in ogni senso. Mi incuriosisce il suo comportamento,
i suoi sguardi e la sua gestualità.
Non ho mai
fissato tanto intensamente qualcuno.
E' il classico
insegnante che è per la libertà assoluta
d'espressione, suppongo: credevo esistessero solo nei telefilm.
Continuo a
giocare con la penna, e lo guardo con l'espressione più
intensa che i miei occhi abbiano mai assunto, mentre Kyo si siede alla
cattedra ed apre il piccolo registro che ha portato con sé.
Prende anche
lui una bic e la scorre lungo tutto il foglio con la scansione dei
nomi, poi inizia a fare l'appello.
Ogni lettera
scivola tra quelle labbra adorne di un cerchietto metallico con la
stessa fluidità dell'acqua e io mi ritrovo in balia delle
onde.
"Natsu Aime"
La ragazza
più corteggiata della classe alza una mano dalle unghie
laccate di rosa shocking, sbattendo le lunghe ciglia finte e muovendosi
un poco dietro al banco.
Kyo la guarda
giusto un attimo e poi si rituffa sul registro, completamente
disinteressato dai tentativi di abbordaggio di Natsu.
Credo sia un
ragazzo parecchio corteggiato: insomma, non solo ha un viso armonioso e
uno stile suo, è anche parecchio sopra le righe e in modo
non troppo appariscente. Sembra quasi si voglia rivelare a pochi e sono
determinato a raccogliere quest'assurda, ma quanto mai intrigante,
sfida.
"Matsumoto
Takanori".
Alzo con uno
scatto fulmineo il braccio.
"Io, ma mi
chiami Ruki" dico riabbassando l'arto.
Lui mette da
parte il registro, allaccia le dita sotto al mento e vi si poggia per
poi dire "Perchè, cos'ha il nome Takanori Matsumoto che non
va?" con un sorrisetto sbilenco e terribilmente strafottente.
Io arriccio un
angolo della bocca, per poi rispondergli, alzando lo sguardo dalla
penna che ancora rigiro tra le mani "... Takanori Vicino al Pino*? Oh
nulla" esalo ironico.
La classe si
lascia andare a qualche risolino.
Lui socchiude
lievemente gli occhi e poi inarca un sopracciglio cesellato,
spronandomi a parlare senza usare parole, solo gli occhi. E'
impressionante questo ragazzo.
Prendo fiato
prima di parlare.
"Takanori
Matsumoto è il nome con cui il mondo mi ha etichettato. Non
sono io. Solo delle stupide lettere datemi da due persone che non mi
conoscevano -e non è cambiato molto da allora. Il nome
migliore che una persona può possedere è quello
che si crea da sola. E il mio è Ruki."
Kyo apre gli
occhi qualche millimetro di più, fissandomi quasi
ipnotizzato. Poi sorride enigmatico e mi risponde in un modo che mi
lascia esterrefatto.
"Mi piaci,
Ruki."
“Mi
piaci, Ruki.”
Le
parole fluiscono spontanee dalle mie labbra, dirette verso il ragazzo
seduto nel banco a destra dell’ultima fila.
Dal
resto della classe si leva un sommesso brusio perplesso e la ragazza
che ha cercato di ottenere le mie attenzioni durante
l’appello mi fissa indignata.
La
mia affermazione deve aver fatto scandalo, ma la cosa infine mi
diverte.
Potranno
scervellarsi per tutto l’anno per capire cosa abbia voluto
dire con quel mi piaci, ma nessuno di loro potrà mai
arrivare alla verità con assoluta sicurezza.
Quel
Ruki mi piace.
Mi
piace il modo in cui ragiona.
Mi
piace il modo schietto in cui affronta qualcuno più grande
di lui senza sottomissione o servilismo.
Mi
piace il fatto che porti la sua divisa aperta, esattamente come facevo
io.
Mi
piace quel ciuffo fuxia che spicca tra il nero dei suoi capelli e che
lo distingue dal resto della classe.
Mi
piace il suono cristallino della sua voce.
Ma
più di ogni altra cosa, mi piace perché pensa nel
modo giusto.
Nel
mio stesso modo.
Quel
modo che mi sono ripromesso di insegnare a questi ragazzi per
rovesciare le sorti di un’umanità destinata alla
sofferenza.
Continuo
a guardarlo negli occhi, resi azzurri da qualche paio di lenti
artificiali, godendo del loro stupore.
Chissà
a cosa sta pensando questo figlio della ribellione.
Mi
piacerebbe saperlo.
Sorrido
ancora, poi termino di fare l’appello.
Tutti
presenti.
Bene,
per essere una classe indisciplinata almeno non hanno saltato il primo
giorno di scuola.
Con
calma mi alzo e vado a chiudere la porta, tornando a far risuonare la
mia voce.
Si
zittiscono all’istante.
Probabilmente
li incuriosisco.
“Sapete
una cosa ragazzi? Il vostro amico Ruki ha ragione.” Comincio
tornando verso la cattedra, saltando a sedere sul suo ripiano, prima di
proseguire “Il miglior nome per una persona è
quello che quella stessa persona compone per se stessa. Per questo
motivo, la prima lezione di oggi la passeremo in questo modo: voglio
che prendiate un foglio, uno qualsiasi, ci scriviate il nome che vi
hanno imposto alla nascita e sotto questo quello che invece voi
scegliete per voi stessi. Perché sarà con quello
che io vi chiamerò d’ora in avanti. Esattamente
come voi mi chiamerete sempre Kyo, in ogni circostanza. Persino di
fronte al Preside se dovesse capitare.”
Finalmente la
campana dell'ultima ora trilla, lasciandoci liberi.
Ripongo
celermente i libri dentro la tracolla ed esco.
Il sole mi
coglie impreparato e strizzo gli occhi. Infilo gli occhiali da sole e
procedo spedito per la via che mi condurrà a casa.
Con le mani
affondate nelle tasche, l'i-pod nelle orecchie che mi aiuta ad aprire
le porte del mondo da sogno che ho creato procedo lungo le grandi e
affollate strade di Tokyo, col sole a lambirmi il volto.
Quel prof,
Kyo, mi piace.
Molto.
Le sue idee,
il suo modo di fare schietto e diretto, la sua franchezza: tutto ha un
effetto calamitico sulla mia mente, che ammetto essere ai limiti del
ribelle.
Sembra abbia
le mie stesse idee su molti punti. Mentre la classe pensava a che nome
fosse meglio utilizzare per descriversi ha parlato un po'.
... e per la
prima volta ho visto i miei compagni pendere dalle labbra di qualcuno,
letteralmente.
E'
incredibile, ha una presenza fortissima e una personalità
complicata, di certo.
Ne sono
estremamente affascinato.
Poi anche il
fatto di usare dei nomi d'arte per chiamarci… è
così schifosamente fuori dagli schemi che potrei amarlo.
Forse sta
cercando di fare il grande, ma non mi importa: almeno ci prova.
Gli altri
insegnati -così come gli adulti nella maggior parte dei
casi- non tenta nemmeno di capire qualcosa di noi ragazzi. Restiamo
sempre e comunque dei poveri bambini ignoranti, incapaci di articolare
pensieri concreti e di avere idee nostre.
Mentre
cammino, calpesto involontariamente dei piccoli fiori rosati, dai
petali così simili a quello che si è posato sul
mio banco stamattina.
A proposito:
lo estraggo dalla tasca posteriore in cui l'avevo precedentemente
infilato e lo faccio scivolare sulla pelle della mani senza guardarlo.
E' così liscio che sembra realmente seta.
Passo per il
parco, fermandomi su una panchina. Poggio la testa sullo zaino e fisso
i rami di un ciliegio, genuflessi dal peso degli steli vergini in
boccio.
Un fascio di
luce si fa strada tra i delicati petali lievemente dischiusi, arrivando
a centrare il mio occhio destro. Mi scosto.
Non vedo l'ora
di sapere quando avrò un'altra ora con quel biondino.
Quel 'mi
piaci' lanciato così enigmaticamente mi ha lasciato a dir
poco perplesso. Insomma, è un qualcosa di totalmente
inusuale da dire a uno studente, nonostante debba ricordarmi di star
parlando di Kyo. Tutte le leggi vengono stravolte quando si tratta di
lui, il giorno e la notte si uniscono e tutto va guardato al contrario.
E'…
forte.
Incredibilmente.
Anche lui mi
piace, parecchio, a tutto tondo. Ogni minima piccolezza sia riuscito a
cogliere oggi mi ha stregato e affascinato a tal punto che ho maledetto
la campana che segnalava la fine dell'ora: evento unico, non
c'è che dire.
Però
ho voluto lanciargli anche io un piccolo segnale, adesso sta a lui
coglierlo.
Un ghigno mi
si disegna in volto al pensiero di cosa gli ho lasciato scritto sul mio
biglietto...
In
fin dei conti come primo giorno non è stato poi male.
Oltre
alla famigerata classe di teppisti ho avuto a che fare anche con due
terze e una quarta, fin troppo disciplinate per i miei gusti.
Di
quelle che si alzano dai banchi e si inchinano per salutare il
professore.
Un
gesto che ho sempre odiato.
E’
vero è un segno di rispetto verso l’insegnante, ma
se l’insegnante stesso non ricambia quel saluto, allora non
ha motivo di esistere.
Un
professore non è in cima alla piramide del sapere.
Gli
allievi hanno da imparare da lui, tanto quanto lui ha da apprendere dai
propri alunni.
Qualcosa
che molti sembrano ignorare.
Come
se fosse qualcosa di inaccettabile.
Così,
chiusi nella loro falsa superiorità, pretendono rispetto e
dimostrazioni di quest’ultimo, quasi che
quell’inchino fosse qualcosa che gli è dovuto per
diritto, restituendo in cambio solo uno sguardo sprezzante.
Il
preciso modo di comportarsi dei miei professori.
Li
disprezzavo.
Li
disprezzo ancora.
Disprezzo
quel saluto ad inizio lezione così come disprezzo le persone
dall’animo corrotto.
Il
popolo di dannati che infesta la terra.
Gli
ho vietato di inchinarsi di fronte a me.
Non
devono più farlo.
I
gesti meccanici e privi di sentimento sono per i soldati.
E
loro invece sono solo ragazzi che si suppone debbano essere educati da
uomini più saggi di loro ma che invece fanno di tutto per
renderli gli uni uguali agli altri, soffocando la loro
personalità.
Tutto
l’opposto di ciò che desidero io.
Tutto
l’opposto di come dovrebbe essere.
Scuoto
il capo trascrivendo su un quaderno nuovo l’elenco dei
nominativi degli allievi affiancati ai loro nuovi nomi.
Alla
fine ho chiesto in ogni classe dove sono stato assegnato di scegliersi
un nominativo.
Forse
molti non hanno compreso il perché di questo gesto, ma non
importa.
Confido
che lo capiranno nei prossimi mesi.
Perché
se credono di aver a che fare con il classico insegnante che assegna
compiti impossibili, solo per il gusto di metterli in
difficoltà, limitandosi a spiegazioni stentate…
beh hanno sbagliato indirizzo.
Finalmente
termino anche questa classe e passo alla successiva.
La
V D.
Non
posso fare a meno di lasciarmi andare ad un sorrisetto.
Me
la sono conservata per ultima, come ciliegina sulla torta.
Ruki…
Confesso
che è la prima volta che un allievo riesce a catturare
istantaneamente la mia simpatia.
Ho
pensato spesso a lui oggi.
Anche
durante le prove di questo pomeriggio per lo spettacolo di stasera.
Guardo
l’orologio appeso alla parete.
Sono
le sette passate.
Ho
più o meno due ore e mezza per prepararmi.
Abbastanza
per trascrivere il loro elenco di nomi, prepararmi, andare al locale e
mangiare qualcosa lì prima dello spettacolo.
Senza
perdere tempo tolgo la fascia di carta, con su scarabocchiato il nome
della classe, che tiene insieme quei fogli.
Sono
molto soddisfatto di loro.
Ci
hanno pensato su parecchio prima di scegliersi il loro nome.
Esattamente
come avevo suggerito.
Decidere
per se stessi un nome non è una passeggiata.
E’
qualcosa che fa fatto tenendo conto di quello che si prova nel proprio
animo, delle proprie idee e di cosa si vuole trasmettere.
Solo
considerando questi elementi sarà possibile creare un nome
che sembra essere cucito addosso a chi lo porta da sempre, come un
marchio indelebile che dichiara chi si è, cosa si vuole
dalla vita, e quali sono i propri sogni.
Un
nome che potrebbero avere anche altre persone ma che se pronunciato
richiamerà alla mente di chi lo ascolta solo ed
esclusivamente quel soggetto che lo ha scelto per sé
seguendo il flusso di emozioni della propria anima.
Esattamente
come il nome Ruki, se fosse portato anche da dieci, cento, mille altre
persone, mi farà pensare sempre e solo a quel ragazzo con i
capelli neri e il ciuffo fuxia seduto all’ultima fila, con
quel sorrisetto strafottente sulla faccia.
Aggrotto
le sopracciglia, pensieroso.
Questo
mi fa ricordare che proprio lui che aveva già il suo nome ha
consegnato per ultimo.
Perplesso
afferro il primo foglio sulla pila, ossia l’ultimo che mi
è stato dato - il suo -.
E’
piegato a metà.
Senza
indugiare oltre lo apro.
Che
peste!
Non
ha scritto neanche il nome e il cognome veri come avevo chiesto.
Semplicemente
un enorme RUKI scritto a caratteri cubitali in inchiostro nero occupa
l’intero spazio, poi la mia attenzione viene attirata da una
scritta molto più piccola, in basso a destra.
‘Penso
che potrei appassionarmi alla stupida materia che insegni.
Ruki’
Beh…
Questo
è…
Inaspettato.
Leggo
più e più volte quelle righe cercando di capire
cosa si celi dietro di esse.
Ironia?
Una
sorta di ammirazione?
Un
apprezzamento per la mia filosofia?
…un
apprezzamento a ME?
…
Una
risata sommessa fa sobbalzare le mie spalle prima di acquietarsi in un
sorriso mentre porto l’estremità della mia penna
tra i denti, mordendone piano il tappo.
Una
brutta abitudine che dovrei perdere quella di mangiare le penne.
Credo
di poterle classificare come uno dei miei alimenti base, ormai.
Cosa
hai voluto dire, piccolo Ruki?
Mi
hai restituito quel ‘mi piaci’ che ti ho lanciato
senza darti modo di interpretarlo nella maniera corretta, facendo in
modo che adesso abbia io qualcosa su cui scervellarmi tutta la sera?
Bravo.
Molto
bravo.
Ti
ammiro, Ruki.
Ma…
sai una cosa?
Non
credo esista un modo corretto di interpretare quel ‘mi
piaci’.
Potrei
dirti che mi piaci perché ragioni nel modo che io reputo
corretto.
Perché
sento che almeno in parte hai le mie stesse idee, solo guardando il
modo in cui ti muovi e parli.
Perché
il suono della tua voce è cristallino e deciso, privo di
qualsivoglia accenno di sottomissione.
E
anche perché con quella faccia da schiaffi e quel sorriso
impertinente ti trovo molto carino, non lo nego.
In
poche parole, mi piaci nella tua interezza.
Mi
piaci a 360 gradi.
Per
questo motivo, non c’è un preciso modo di
interpretare quello che ti ho detto.
Perché
non si riferisce a qualcosa di specifico della tua persona.
Ma
a te in tutto e per tutto.
Sarà
interessante confrontarmi con te, Ruki.
Non
vedo l’ora, credimi.
Davvero
non vedo l’ora.
Con
un sorriso infilo quel biglietto nella tasca dei miei calzoni e mi
metto al lavoro per completare il mio elenco.
Ho
deciso.
Voglio
darti un segno della mia stima, piccolo.
Anche
se non lo saprai mai, questa sera sul palco la mia voce
vibrerà per te.
____________________________________________________________
*Ehggià,
la traduzione in italiano di Matsumoto è proprio Vicino al
Pino xDDD. Povero Ruru ç_ç
Tora’s
note:
u.u”
Il titolo è preso dalla canzone 'Apple and Cinnamon' di Utada Hikaru, da qui l'ispirazione per la nostra opera letteraria u.u. Inoltre, come
avrete già intuito in questo AU Kyo ha ancora il vecchio
look che il sottoscritto adora (pochi tatuaggi, piercing e capelli
biondi) così come Ruki e il suo stupendo ciuffo fuxia. XD
GurenSuzuki's
note: bhe, che dire, credo non ci vogliano grandi commenti. Ruki
ribelle e Kyo insegnante ghetto-style. La riproponiamo dopo un anno,
qui nel fandom dei gazettE, sperando possiate apprezzarla nonostante la
coppia travagliata. Che dire, non mi aspettavo di rivederla pubblicata,
ma è un piacere poter riscrivere queste righe, una
collaborazione divertente e produttiva, si spera xD. Un bacio
ragazzuole.
|
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Capitolo 2 *** Chapter 2 ***
CHAPTER
2
Il Lux
è un edificio abbastanza diroccato, piccolo e malmesso,
nella più sporca e malfamata periferia a sud di Chiba. Non
è esattamente il posto migliore dove passare le proprie
serate, ma fanno buona musica. E soprattutto non ti fanno storie se non
hai un documento che attesti la tua maggiore età.
E' una serata
scura, in cui le luci di Tokyo ingurgitano ogni più piccolo
barlume argentato del cielo nero. Soltanto un flebile e solitario
spicchio di luna veglia sulle strade, e sembra quasi intagliato in
quell'immenso drappo buio.
Il locale
è scarsamente illuminato. In fondo alla sala c'è
un piccolo palco semicircolare, sopra cui l'asta lucida di un microfono
svetta vistosamente, riluce come avesse vita propria. E' ipnotizzante.
Mi
stò rigirando un bicchiere tra le dita inanellate, gli occhi
socchiusi ad osservare senza realmente vedere le piccole increspature
della birra.
"Guarda che
non diventa una vodka solo fissandola!"
La voce di
quel debosciato di Ryo mi ridesta dallo stato catatonico in cui ero
placidamente scivolato. Atteggio le labbra in una smorfia infastidita,
alzando un sopracciglio senza nemmeno distogliere gli occhi
dall'alcolico "Bhe, tenerti le mani sul pacco non te lo farà
crescere a livelli ottimali, ma tu continui."
Questo
è il livello dei nostri discorsi, più o meno. Io
e Ryo ci conosciamo da praticamente una vita. Se cerco di riportare
alla mente tanti piccoli particolari della mia infanza, lui
è presente. Nonostante sia un idiota, una bertuccia in
calore, stupido e infantile, è il mio migliore amico. Gli
sono affezionato come a un fratello, e checchè io ne dica
non potrei davvero essere sereno senza il suo buongiorno assonnato sul
treno delle sei, andando a scuola.
"Invidioso che
io almeno lo uso, Taka-chan?" ribatte instantaneamente, procurandomi un
intenso fastidio all'udire il mio nome.
"Taci,
stronzo."
"Piantatela
voi due..." ci ammonisce senza nemmeno guardarci Kouyou, occhieggiando
distrattamente il locale e i suoi avventori, accavallando in una posa
languida le gambe lisce, scoperte da una minigonna che lascia ben poco
all'immaginazione. Ecco, nonostante il volto da bambola e gli occhi
obliqui sciolti di malizia, Kouyou è uno dei peggiori zotici
che io abbia mai incontrato. Riesce a toccare livelli di
scurrilità a me tutt'ora ignoti se solo lo si tocca sulle
corde giuste, come riesce a riacquistare un'espressione pacifica e
inviolabile. E' bello, Kouyou. Bellissimo. Ha un volto perfetto, un
corpo mozzafiato. E gambe che si aprono con una facilità
encomiabile. Ma come ho sempre sostenuto non sono affari nostri.
"Nervoso
Kou-chan?" domanda pacificamente Yuu, lasciando scivolare la montatura
scura degli occhiali sul naso, fino a scoprire gli occhi torbidi come
catrame, che si puntellano in quelli screziati di nocciola del biondino
al suo fianco, che ciondola distrattamente un piedino curato nell'aria.
Yuu è un tipo strano, insondabile direi. Ha modi affabili e
sensuali, movenze maschili con un aspetto abbastanza aggraziato da
risultare un poco femmineo, lunghi capelli nero pece, tanto lisci al
tocco che sembra di immergere la mano nell'acqua. E' altamente snob, e
lievemente arrogante dall'alto del suo secondo anno da universitario.
E' il più grande tra noi, ma sa essere il più
infantile. Però è un balsamo per il mio cattivo
umore, sa tirare su le persone con poche parole.
"Non sono
nervoso..." ribatte stancamente la bambola, tirandosi via una
dispettosa ciocca di capelli camomilla dagli occhi. Poi soggiunge
"Finalmente iniziano a suonare, guardate."
Mentre ero
ancora immerso in farneticazioni prive di senso, il palco ha iniziato a
muoversi nell'ombra: cinque diverse figure sono salite e hanno iniziato
a portare gli strumenti.
Improvvisamente,
mentre ancora il locale è avvolto dalle spire
dell'oscurità, una voce si erge, scivola nell'austero
silenzio in cui è piombata la sala e si avvita poi in una
scarica di brividi lungo la mia spina dorsale. E' una voce piena,
morbida ma graffiante. E' virile. E' sensuale ai limiti della libidine.
Subito la
segue una chitarra in un arpeggio melanconico, nostalgico quasi. Come
una ninnananna, pare lo sciabordìo rilassante delle onde.
Improvvisamente,
mentre le luci spaccano il buio, un urlo agghiacciante rieccheggia, da
quella stessa voce. Ora il palco è illuminato e riesco a
scorgere l'artefice di ciò: è un ragazzo. Biondo,
scarmigliato.
Indossa una
camicia aderente e leggera, aperta sul petto glabro. Il ventre
è piatto e si intuisce perfettamente la forma guizzante di
ogni muscolo addominale. La linea dell'ombelico termina sotto ad una
cintura che tiene chiusi un paio di semplici jeans aderenti, che
fasciano un fisico maschile ma per nulla volgare o disarmonico.
Il volto
è tagliato trasversalmente da occhi magnetici, limpidi. Le
sopracciglia sono corrucciate: ha lo stesso sguardo di una belva, prima
di sferrare un attacco. Crudo, insensibile eppure attento a ogni
barlume di vita.
Quei tratti
però... mi ricordano qualcosa. Così come la voce
che strilla in quel microfono stretto tra pallide dita sopra cui sono
tatuate delle lettere in cirillico---
Kyo?!
Eccoli.
Sono
questi i momenti che amo di più nella mia vita.
I
momenti in cui ogni luce si spegne, ogni futile chiacchiericcio
svanisce nel nulla.
Il
silenzio totale.
L’attesa
del pubblico.
I
riflettori solo su di me.
Solo
su di NOI, cinque artefici del nostro destino, cinque titani in lotta
contro il mondo intero.
Poi
la musica, infine la mia voce.
Tutto
ciò che voglio.
Tutto
ciò che ho sempre voluto: essere ascoltato.
Essere
ascoltato e dire che questo mondo va di merda e fa di tutto per
trascinarti dove vuole lui.
E
ci vogliono coraggio, palle, e forza per nuotare contro la corrente di
melma che ci viene contro da quando lasciamo l’utero di
nostra madre.
E’
questo che fanno i Dir en Grey.
E’
questo quello che facciamo.
Avanziamo
a gomitate cercando di elevarci con i nostri sentimenti e il nostro
talento al di sopra di questo schifo confidando, sperando, che un
giorno le nostre grida vengano ascoltate dagli altri. Ascoltate, non
sentite, e che spezzino le catene di uomini nati liberi sulla carta ma
già in catene in un modo ingiusto e corrotto prima ancora di
vedere la luce.
Ed
i liberati trarranno in salvo altri prigionieri e questi ultimi privi
di ceppi faranno altrettanto in un ciclo di meravigliosa
catarsi finchè questa terra martoriata
non sarà finalmente libera da falsità,
perversioni, ingiustizie.
Utopia.
Un
Utopia nella quale io credo con tutto me stesso.
Senza
sogni un uomo non vive.
Si
limita a sopravvivere e senza nulla per cui lottare finisce trasportato
via dalla corrente, sottomesso e reso uguale a tutti gli altri.
Non
mento se dico che preferirei la morte ad una vita così.
Per
questo canto.
Canto
con ogni singolo frammento della mia anima, mettendo a nudo
la mia rabbia, la mia speranza, il mio dolore.
Come
in questo momento.
Questa
sera come ogni altra sera mentre un’accecante fascio di luce
ci investe con il suo calore lasciandoci quasi liquefatti sul
palco, le mie mani si stringono attorno all’asta di questo
microfono come se fosse la mia unica ancora di salvezza. Il mio corpo
trema mentre si muove sinuoso al ritmo della melodia creata dai miei
compagni e la gola brucia per quanto sfrutto le mie corde vocali a
piena potenza, come se volessi squassare terra e cielo facendo
collassare tutto questo una volta per tutte e far rinascere un mondo
nuovo e migliore dalle ceneri del precedente. Un mondo nuovo guidato da
una generazione nuova.
Una
generazione come quella dei ragazzi della V D.
Una
generazione come quella di Ruki.
Con
un grido d’agonia mi contraggo su me stesso e proseguo a
cantare questi versi che narrano di amore e dolore, di due anime che
non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi attraverso
il muro dell’incomprensione. *
Quei
muri che spero un giorno verranno spezzati via da ragazzi come te, Ruki.
Come
ti ho promesso questa è la mia canzone per te.
Ed
ora fai del tuo meglio, come io faccio del mio.
Accartocciato
nella mia posizione mi sporgo per leccare l’asta del
microfono dal basso verso verso l’alto provocando delle grida
entusiaste da parte di qualche spettatore.
Se
non stessi cantando sorriderei con ironia ed amarezza.
In
mezzo a questa gente che grida per un gesto puramente scenico ci
sarà qualcuno che ci sta ascoltando sul serio?
Lo seguo con
gli occhi, flettere la spina dorsale come uno spago, manovrare il
proprio corpo adattandolo alla mimica facciale e agli urli che spaccano
le orecchie. E' uno dei canti più emozionanti che io abbia
mai sentito. E'... viscerale. E' una mano che scosta un velo di nebbia.
E' la luce che parla del buio.
E' ipnotico,
porca puttana. Nonostante non si muova per tutto il palco e resti fermo
dietro l'asta del microfono, ha la stessa forza di una tempesta. E
quegli occhi. Quegli occhi così dannatamente vivi da
rasentare l'assurdo, così consapevoli di ciò che
gli sta attorno. Lui guarda questo pubblico, il buio di cui
è intinta la sala, e ci vede.
"Ehi, Rukun,
durello serale?" sento un polpastrello premermi la cerniera dei jeans -
che senza rendermene conto è iniziata ad essere leggermente
soffocante. Lo scosto con malavoglia e la smorfia sulla mie labbra si
indurisce.
"Carino eh?"
mi sussurra Kouyou, occhieggiandomi, come volesse capire la mia
reazione.
"Mah.
Normale." distolgo gli occhi dal palco, decisamente a malincuore, e
passo una falange sul sottile bordo della pinta.
"Ma... Ruki,
quello che canta non è lo sfigato supplente di matematica?"
Dannato Ryo,
dannata lingua lunga di Ryo e dannata memoria di Ryo.
"Boh, forse. E
non è sfigato."
Gli altri alla
parola 'supplente' hanno drizzato le orecchie e ci fissano interessati.
"No, certo.
Solo un patetico idiota che crede davvero di poter cambiare le cose."
il biondo fa una smorfia nel parlare e queste parole mi irritano.
"Almeno lui
crede in qualcosa. La tua massima aspirazione è scopare,
Ryo." ribatto apparentemente disinteressato, giocando con un accendino.
"Le persone
hanno tragurdi differenti nella vita." agita una mano nell'aria.
"Piantala di
cercare di sembrare intelligente. Ti riesce male." in risposta sporge
la lingua.
Mi danno
fastidio, alle volte, le persone come lui. Ogni tanto mi fermo a
pensare alle priorità della vita, o almeno, a quelle che
dovrebbero essere tali. Le persone sono vicine e irraggiungibili, ma
nonostante questo riesco a capire dai loro occhi a cosa pensano, su
quali basi hanno gettato la loro vita. Non è presunzione,
è semplice osservazione.
La maggioranza
non ha voglia di cambiare il mondo in cui vive, troppa fatica per gli
impiegati dal colletto bianco e il posto assicurato fino ai
sessant'anni. Siamo così ordinari, noi giapponesi. Non una
virgola fuori posto, tutto corretto e funzionale ai limiti
dell'eccesso, razionali fino all'inverosimile. Un popolo triste. Tanto
triste da aver creato un variopinto mondo al di fuori dagli ambienti
tradizionali, riempiendolo di tutte quelle chincaglierie che ci vietano
giorno dopo giorno. Siamo nella società più
dicotomica che io conosca: da un lato il ferreo capitalismo delle
industrie e delle aziente, e dall'altro il mondo dei consumi e degli
eccessi della sfavillante vita notturna.
A noi
giapponesi piace così, purtroppo.
A me l'ordine,
la staticità, le emozioni sterilizzate, fanno schifo.
Preferisco un mondo governato dal caos, ma nel quale io sia libero di
essere ciò che voglio, di provare ciò che sento.
Un mondo dove possa prendere ciò che la vita mi lancia di
petto e godermelo fino in fondo. Provare sensazioni grezze, ma vere.
Gordemi il dolore così come la gioia, perché sono
mie e mai torneranno indietro.
Io voglio
provarci, a cambiare gli ingranaggi.
Mi rendo conto
che probabilmente è perché non ho ancora
abbandonato il lato infantile della speranza, dell'onnipotenza e che
probabilmente possegga un ego inversamente proporzionale alla mia
altezza. Ma finché avrò fiato in gola nessuno mi
vieterà di esprimere il mio pensiero.
Rivolgo di
nuovo gli occhi al palco. Nonostante non lo stessi più
osservando le sue parole mi si sono incise nella mente, a fuoco.
Marchiate. Sono lettere così armoniose e crudelmente vere.
Improvvisamente,
carponi sul palco, si rialza fluido, e passa la lingua lungo l'asta del
microfono.
E io me la
sento addosso, la sensazione di quel muscolo umido, poroso che passa
sopra la mia pelle, lento. E i brividi m'avvolgono al sentire
l'ennesima strofa sussurrata.
Improvvisamente
tutto intorno si annulla. Ci siamo solo io e lui. Io, lui e la sua
voce, che riempie la cavità del mio petto di calore. E' come
se stesse cantando per me, questa sera. Solo per me.
Che pensiero
idiota...
Cannot reach
my voice.
Kyo, voglio
raggiungerla. La tua voce. Me lo permetterai?
*
24ko Cylinder – Dir en Grey
note (Guren)
Tengo a dare
una piccola nota di servizio:
Guren: testo normale,
TimesNewRoman, punto di vista di Ruki.
Tora: testo corsivo,
TimesNewRoman, punto di vista di Kyo.
Risponderò
stasera privatamente alle vostre recensioni, vi ringrazio con tutto il
cuore. Che dire, ci stiamo prendendo gusto a pubblicare xD ma non
abituatevi ne!
See you next
chapter!
Guren&Tora.
|
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Capitolo 3 *** Chapter 3 ***
CHAPTER 3
L’intervallo
è sempre stato uno dei miei momenti preferiti quando ero uno
studente.
Sarà
perché non ho mai avuto realmente voglia di applicarmi in
nulla.
Oppure
semplicemente perché così potevo svignarmela
indisturbato sul tetto per fumare una meritatissima sigaretta
osservando la città dall’alto.
Quasi
rimpiango quei tempi sotto certi aspetti.
All’epoca
almeno nell’intervallo potevo dedicarmi in santa pace al fumo.
Adesso
invece devo starmene rintanato nella Sala Docenti dove
c’è un cartello con la terribile sentenza
‘No smoking’ ad armeggiare con i registri
per portarmi avanti col lavoro e scrivere le programmazioni.
Tuttavia,
mentre mastico il tappo della mia bic, penso che questo sia ancora il
male minore.
Non
so dire se mi secca di più non poter fumare, il fatto che la
Fuwa sia indietro con il programma standard in due classi, i Professori
più anziani che si permettono di scrutarmi
dall’alto in basso come se non avessi il diritto di trovarmi
ad occupare il ruolo che detengo, oppure la professoressa di
Giapponese che sono due giorni esatti che prova ad attaccare bottone
mentre io ho tutt’altro a cui pensare.
Ed
infatti eccola.
La
vedo avvicinarsi in punta di piedi con la coda dell’occhio,
le guance imporporate e l’espressione esitante come quella di
un’adolescente innamorata.
Non
posso fare a meno di sorridere, con ironia.
Ti
piaccio non è vero?
L’ho
visto centinaia di volte quello sguardo.
Lo
vedo ogni sera in cui canto nel volto di donne e persino ragazzi che mi
rincorrono dietro le quinte, chiedendo una firma su un pezzo di carta o
persino, i più sfrontati, il mio numero di telefono.
Ma
tu sei esattamente come gli altri.
Come
gli altri ciò che ti attrae è solo la facciata
esterna.
Ma
di me non sai niente.
Stammi
lontana o ti scotterai.
Non
sono un uomo che si getta in relazioni superficiali e le scopate di una
sola notte mi concedono solo un orgasmo di pochi secondi ma non mi
lasciano nulla nell’anima.
Invece
sembra proprio che abbia deciso di provare a scottarsi
perché sento le sue dita affusolate picchiettare sulla mia
spalla, approfittando del fatto che io sia seduto, fingendo di non
guardarla.
“Niimurasan…”
Esordisce con una voce allegra, ma tesa.
Sta
fingendo una tranquillità che non possiede.
“Kyo.”
Ribatto seccamente tornando a dedicarmi ai miei compiti.
“Oh
si, Kyo.” La sento correggersi e proseguire con voce
più attutita. “ Come stai?” Prosegue e
solo allora mi decido a sfilare la bic dalla bocca per voltarmi a
guardarla.
Ha
la bocca coperta da una mano dalle unghie lunghe e curate,
terribilmente femminili.
Come
tutta la sua figura in fondo.
E’
innegabilmente una bella donna, con ogni curva al posto giusto.
Ma
troppo insistente e indiscreta per i miei gusti.
“Ti
preoccupi molto per i tuoi colleghi, vero Nakashima?” Chiedo
con un sorriso leggermente tagliente cercando di farle capire con tutto
il tatto che uno come me possiede che farebbe bene ad alzare le tende e
lasciarmi lavorare.
Alla
mia domanda avvampa completamente e nel momento in cui i nostri occhi
si incontrano distoglie lo sguardo volgendolo altrove mentre un sorriso
timido si affaccia sulle sue labbra.
Non
perdere tempo con me, Ayumi.
Non
sono quello che cerchi.
“Ecco…
volevo sapere se ti sei ambientato bene…” Riprende
soffiando morbidamente le parole, abbassando la mano che aveva portato
alle labbra mentre l’altra resta appoggiata sulla mia spalla.
Odio
questi gesti da parte di persone che conosco poco e male da appena una
manciata di giorni.
Odio
quando invadono il mio spazio.
La
tentazione di darle una risposta al vetriolo è forte e devo
fare del mio meglio per trattenermi.
In
fondo con questa gente, per quanto la prospettiva non mi entusiasmi,
devo lavorarci ed io prendo sempre sul serio i miei impegni.
Sempre.
Per
questo decido di adottare una condotta più socievole e forzo
un sorriso apparentemente cordiale mentre mi alzo in modo da sottrarmi
a quel contatto fastidioso.
“Ti
ringrazio per l’interessamento, ma è un
po’ presto per dire di essermi già
ambientato.”
Rispondo
chiudendo la bic che ripongo nel taschino della camicia e chiudendo il
registro.
Ho
già capito che stando qui non mi lascerà in pace
fino alla fine dell’intervallo.
“Hai
ragione.” Sussurra quasi lei tornando a guardarmi negli
occhi. La vedo esitare ancora e tentennare per qualche istante prima di
proseguire. “Kyo… ti andrebbe di andare a prendere
un caffè?”
Chissà
perché improvvisamente la mia mente mi riporta indietro ai
giorni del liceo quando non ero in grado di attendere la pausa pranzo
per andare a fumare e allora mi rintanavo in bagno per accendermi una
sigaretta.
Credo
sia perché in questo momento ho la tentazione di prendere i
miei registri e chiudermi nel bagno dei professori fino al suono della
campana.
Le
sorrido cercando di nascondere il fatto che quelle attenzioni mi
procurano più fastidio che altro.
“Ti
ringrazio ma devo sbrigare delle questioni urgenti poi ho lezione nella
III B. Faremo un’altra volta.”
Spero
che non mi chieda anche che questioni ho da sbrigare perché
non ne ho idea.
Un
lampo di delusione passa sul suo volto, ma lo dissimula immediatamente
con un nuovo sorriso.
“Oh…
va bene. Io invece ho lezione in V D.”
Alle
sue parole inarco un sopracciglio, pensieroso.
La
V D. Sono due giorni che non ho lezione da loro. Praticamente da quando
li ho incontrati la prima volta.
Chissà
come se la stanno cavando.
Soprattutto
lui.
Beh
lo saprò dopo l'ora della Nakashima.
“Capisco.”
Rispondo con calma raccogliendo i miei registri. “ Allora, ci
vediamo Nakashima.”
La
saluto con calma volgendole le spalle per poi uscire dalla Sala
Insegnanti.
Mi dicono in
molti che il mio comportamento fa trapelare un'insensibilità
di fondo, coadiuvata da un certo menefreghismo, che mi porta ad essere
considerato dalla gran parte dei docenti come un vandalo della peggior
specie. Per non parlare dei luoghi comuni che -come in un irritante
clichè- mi vedono col braccio nudo proteso verso l'ago di
una siringa, o col naso immerso nella polvere. Ma il mio non
è menefreghismo, ne si può parlare di
insensibilità. Anzi, forse -devo a malincuore ammettere-
sono proprio il fenotipo opposto di persona.
Anzitutto, non
posso essere etichettato come menefreghista solo perché
durante qualche lezione dormo invece che ascoltare, giusto? Mh. Okay,
forse non sono proprio una persona attenta o partecipe...
Poi, passando
all'altro punto, bhe... non ho mai "rivelato" i miei gusti sessuali
semplicemente perché non credo debba interessare alle altre
persone, ma credo sia abbastanza chiaro che alle curve procaci di un
torace femminile preferisco un ventre muscoloso...
E,
sì, solitamente preferisco ricoprire il ruolo passivo
durante un amplesso, ma non per questo posso essere definito checca,
chiaro? Ci tengo a sottolineare il concetto dato che madre natura mi ha
affibiato un'acuta sensibilità e dei dotti lacrimali
alquanto debolucci. Io piango, per sfogarmi. I miei nervi non
contemplano altro modo se non farmi appannare la vista dalle lacrime
per chetarsi, e non immaginate l'indescrivibile sensazione di impotenza
quando sento le palpebre appesantirsi, conscio di non potere nulla
contro l'inarrestabile flusso di emozione.
Questa
spiccata sensibilità mi ha portato con gli anni ad affinare
sempre nuovi schermi di protezione: maschere su maschere si sono
incollate al mio volto, scivolando in ogni sorriso, smorfia o gesto che
quotidianamente compio. Ormai io stesso non riesco più a
distinguere dove io finisco e iniziano queste rappresentazioni fittizie
di ciò che vorrei essere. Sono in questo equilibrio dinamico
da anni ormai, e fin'ora è andato tutto bene. Se da un lato
mi demoralizza il fatto che nessuno -nemmeno il mio migliore amico- si
sia mai accorto di quanto i sorrisi che quotidianamente tendono le mie
labbra siano il riflesso di una bugia, dall'altro mi tranquillizzano,
perché nessuno riuscirà mai ad espugnare la mia
fortezza.
Ho vissuto in
quest'altalenante marea per così tanto da essermene
assuefatto.
Ma
stò bene così.
Come sempre il
trillo delle campanella segna la fine dell'ora di Giapponese e quella
gallina della Nakashima smette finalmente di cianciare e sparisce dalla
classe.
"Che abbiamo
ora?" chiedo stiracchiandomi a Ryo, immancabile compagno di banco dalla
prima media.
Lui apre
svogliatamente il diario e getta un occhio all'orario datoci. "Mh...
matematica. Ci sarà il tuo bel biondone." sogghigna senza
pietà. E improvvisamente trovo che la sua fronte starebbe
davvero bene fracassata contro il banco. Non gli rispondo e tiro fuori
il libro dallo zaino, appena in tempo per sentire il familiare brivido
che mi avvolge interamente all'udire quella voce augurarci il
buongiorno.
Rispondiamo in
un coro singhiozzante, ma egualmente entusiasta. Devo dire che
è riuscito a catturare la simpatia di tutti, qui dentro.
"Oggi vi ho
preparato un compito da svolgere qui in classe, giusto per vedere come
ve la cavate. La valutazione non farà media, tranquilli."
dividiamo i banchi e Kyo fa passare i fogli con le varie domande.
Getto
un'occhiata distratta al foglio protocollo, ci scribacchio sopra il
nome, la classe e la data. Nemmeno perdo tempo a guardare le domande,
so perfettamente di non essere in grado di rispondervi.
Tanto per non
fare una figura pessima aspetto qualche minuto prima di consegnare,
minuti in cui osservo la cascata di capelli biondi che nascondono
parzialmente il viso di Kyo chino su dei registri, mentre mastica il
tappo di una bic assorto.
Subito rievoco
le immagini dell'altra sera, al Lux. E non posso fare a meno di
ghignare.
Improvvisamente
un'idea lampeggia. Cerco nell'astuccio -alquanto denutrito devo dire-
un matita e scrivo con una grafia leggera e chiara un messaggio, poi mi
alzo e con assoluta calma poggio il compito sulla cattedra.
Mentre
i ragazzi svolgono il loro test d’ingresso mi dedico alla
stesura del resto delle programmazioni dedicandomi nel frattempo al mio
pasto preferito: il tappo della penna.
Sembra
che niente sia cambiato da due giorni a questa parte.
Mentre
consegnavo i fogli non ho potuto fare a meno di scoccare
un’occhiata a Ruki.
E’
strano ma mi soffermo spesso a pensare a dove potrebbe arrivare un
ragazzo così nella sua vita, cosa potrebbe fare e cosa
ottenere.
E’
la prima volta che prendo uno studente così in simpatia e la
cosa perplime me stesso per primo.
Prendo
un grosso respiro, l’odore dei ciliegi in fiore nel cortile
della scuola irrora la classe con il loro profumo.
Se
il tempo è così bello anche la prossima volta li
porterò a far lezione all’aperto, non ho
intenzione di restarmene rintanato qui dentro.
Mentre
sono assorto nei miei pensieri nel mio campo visivo arriva una mano che
poggia sulla cattedra il foglio del test.
Istintivamente
sollevo lo sguardo per vedere chi è il genio che ha
completato da… quando? Appena dieci minuti si e no
dall’inizio giusto in tempo per trovarmi davanti il sorriso
accattivante di quel ragazzo pestifero impertinente.
Gli
sorrido spostando la bic dalle labbra mentre con una mano afferro il
foglio appena consegnato.
“Già
finito, Ruki?”
“A
dire la verità non ho neanche iniziato.”
E’ la sua risposta con un sorriso privo di imbarazzo.
Lo
osservo con una punta di perplessità prima di portare lo
sguardo sul foglio e notare che effettivamente tutte le domande sono in
bianco e gli spazi in cui svolgere i calcoli completamente vuoti.
Tranne
uno occupato da una scritta a matita che mi porta a sgranare gli occhi
in un moto di sorpresa.
‘
Ti preferivo a petto nudo, come l’altra sera.’
Che
CAZZO …??
L’altra
sera quando??
Non
parlerà mica del Luxury?
Sollevo
su di lui uno sguardo interrogativo ricevendo in risposta una scrollata
di spalle.
Urge
indagare.
Non
tanto perché me ne freghi qualcosa del fatto che se lo
venissero a sapere i docenti anziani di questo istituto morirebbero
d’ictus per l’indignazione, quanto per il fatto che
visto che la cosa mi riguarda da vicino voglio almeno sapere quando e
come mi ha visto.
“…
Ruki, non prendertela ma sei un disastro.” Comincio dunque
con un sorriso affabile. “Visto che non sei riuscito a fare
nemmeno un esercizio, mentre i tuoi compagni fanno il loro test prendi
il libro, il quaderno, una sedia e vieni a sederti alla
cattedra.”
Alla
mia richiesta torna verso il suo posto per prendere il materiale che
gli ho chiesto.
Durante
tutto il suo percorso non gli tolgo gli occhi di dosso nemmeno per un
istante attendendo con pazienza il momento in cui verrà a
sedersi per dare inizio al mio interrogatorio.
Interrogatorio
di cui tra l’altro ho già la risposta dal momento
che ci siamo esibiti solo al Luxury per questa settimana e a meno che,
cosa che dubito, non sia riuscito in qualche astruso modo a scoprire
dove abito e raggiungere il sesto piano della palazzina per vedermi
mentre uscivo dalla doccia… beh, direi che la risposta
è decisamente scontata.
Tuttavia
una sicurezza in più non guasta.
Ed
è per questo che una volta che si è sistemato
accanto a me e mi ha porto il libro di matematica comincio a sfogliare
quest’ultimo alla ricerca di qualche esercizio fattibile per
lui , senza più guardarlo, dando finalmente voce alla mia
domanda.
“L’altra
sera quando?” Chiedo a bassissima voce mentre le mie dita
scivolano tra le pagine praticamente nuove.
E’
evidente che deve averlo aperto poco o niente.
“Lunedì
sera. Al Lux.” Dichiara con quella che sembra una nota
divertita nella voce.
Come
immaginavo, constato.
E
il fatto che un ragazzo di diciotto anni sia entrato al Luxury non mi
stupisce nemmeno.
Chi
cerca di sfondare suona ovunque per farsi notare, non importa se
è una discoteca, un nightclub o un locale della peggiore
categoria come quello di Lunedì dove i controlli non sono
così rigorosi come dovrebbero essere.
Taccio
per qualche istante riportando il tappo della bic alle labbra.
Con
un moto pensieroso chiudo i denti sulla superficie di plastica segnata
da diversi graffi derivanti dalla mia abitudine di compiere quel gesto
che tanto concilia la mia concentrazione.
Se
mi ha visto mi avrà anche sentito cantare.
In
genere non me ne frega niente del parere degli altri sulla mia musica.
L’unica
cosa che mi interessa è riuscire a trasmettere qualcosa.
Vorrei
sapere se ci sono riuscito con uno della generazione futura come lui.
“E
cosa ne pensi?” Domando con calma scrutandolo in tralice,
alla ricerca del suo sguardo.
Per
tutta risposta vedo le sue labbra atteggiarsi in un ghigno mentre
stappa una biro, senza permettermi di incrociare i suoi occhi.
“A
parte quello che ho scritto? Non male. Non mi siete
dispiaciuti.” Dichiara lapidario e la risposta mi strappa una
smorfia di ironia e disappunto.
Anche
di delusione.
Da
uno come lui che mi aveva dato l’impressione di essere in
grado di spezzare gli schemi mi aspettavo qualcosa di più
profondo e non che si fermasse davanti alla mia muscolatura.
Finora
sono sempre stato in grado di intuire l’animo di una persona
semplicemente osservandola per pochi minuti.
In
lui mi era sembrato di rivedere i miei stessi ideali.
Che
mi sia sbagliato?
“Quindi…”
riprendo sottovoce senza poter trattenere una nota di feroce ironia
nelle mie parole “…a parte i miei pettorali non ti
è interessato nient’altro?”
”Mi
piacerebbe poterti dire di si, ma purtroppo mi hai impressionato a
trecentosessanta gradi.” E’ la sua risposta, ed
è inaspettata. Come un temporale improvviso in un caldo
giorno d’estate.
Ma
che mi restituisce la fiducia che avevo riposto in lui. Taccio pensando
a come replicare ed osservo l’espressione sul suo volto
mutare e divenire seria.
“Li
scrivi tu i testi?” E’ la sua domanda successiva.
Tutta
l’ironia di poco prima scompare e lasca il posto ad un
sorriso più quieto mentre torno a concentrarmi sul libro
dove alfine individuo quello che sembra un esercizio di trigonometria
alquanto elementare e lo segno con un x accanto al numero.
“
Si li scrivo io.” Rispondo senza esitare restituendogli il
volume. “Ti hanno trasmesso qualcosa?”
E’
questo il quesito pressante.
La
prova del nove.
La
dimostrazione che non stiamo lottando invano.
Ora
più che mai ricerco quegli occhi artificialmente azzurri e
come prima, non riesco ad incrociare il suo sguardo, dedicato ora ad
alternarsi tra il libro ed il quaderno su cui ha cominciato a
trascrivere l’esercizio.
Ma
il sorriso quasi dolce che gli è spuntato sulle labbra ha
già nella mia anima il sapore di una ricompensa per anni di
lotte, così come le parole che lo seguono. “
Molto. Troppo.”
In
modo istintivo mi sporgo verso il suo orecchio, talmente vicino da
poter sentire l’odore della sua pelle.
Sapone.
Nessun
profumo.
Solamente
un odore semplice e pulito.
Terribilmente
differente da quelli che sento sui ragazzi da una botta e via nei
camerini.
Ma
questa riflessione dura il tempo di un battito di ciglia.
Voglio
sapere cosa pensi, Ruki.
Voglio
sapere cosa hai sentito.
Voglio
sapere cosa possono carpire ragazzi come te dei miei pensieri.
Voglio
sapere cosa puoi carpire TU.
“Quanto
troppo?” E’ la mia unica domanda mentre la mia voce
si spegne in un basso sussurro nel suo orecchio.
Se mi hanno
trasmesso qualcosa?
Spero stia
scherzando. Mi chiedo chi sia la persona che non possa essere in
qualche modo toccata dalle parole che ha cantanto -e in certi punti
strillato- l'altra sera. Mi si sono annidate nello stomaco, nel cuore o
in qualsiasi cazzo di posto abbia una nicchia per le emozioni. Mi si
rimescolano ancora, come un'onda. E le sue parole mi rimbombano in
testa, una dopo l'altra le sgrano come perle di un rosario, e mi
ticchettano nelle orecchie, amplificandosi.
Mi hai
lasciato qualcosa, Kyo. Qualcosa forse non tangibile, ma ugualmente
potente. Forse io e te vediamo con gli stessi occhi.
"Molto.
Troppo." un sorriso fa per sbocciare sulle mie labbra, ma lo trattengo
leggermente. Mi fa stare bene parlare con lui. Sono tranquillo, calmo.
Mentre sto
ancora ricopiando il problema, lo sento muoversi e in uno scatto quasi
felino accostarsi al mio orecchio.
La sua
presenza è calda. Tutto il suo corpo, posso sentirlo, emana
un grande calore. Ho il suo collo a pochi centimetri dal viso e posso
sentire il suo profumo, il suo odore.
E' un odore
forte, virile. Un profumo speziato, menta forse.
E' penetrante.
Non giriamoci
attorno, odora di sesso. Sesso crudo, fine a se stesso. Odora di
perdizione. Libidine pura.
"Quanto
troppo?"
Nel momento in
cui le parole scivolano fuori da quelle labbra all'apparenza
così morbide, una sensazione avvolgente si arriccia nel mio
basso ventre. Come mille braci incandescenti, pronte a spegnersi in
centinaia di scariche elettriche in ogni mio arto. Chiudo gli occhi,
soggiogato.
"Abbastanza
perché io li ricordi ancora." traggo un profondo respiro,
poi continuo cercando di ignorare il terremoto che ho in testa. "Mi
è piaciuta specialmente la prima canzone, mi ha... colpito.
Ho interpretato un amore crudo, vero. Forse non romantico, non bello,
non facile. Un amore più vero di tanti altri. Sporco. Due
anime che non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi
attraverso il muro dell’incomprensione.*" arriccio con le
dita la copertina del libro, nervoso. Ho paura che mi giudichi un
idiota, che abbia frainteso totalmente il contenuto della canzone, che
non abbia colto nemmeno l'accenno di ciò che voleva
trasmettere. La peggior delusione per un artista è che il
proprio messaggio venga stravolto.
Racimolo le
ceneri del mio coraggio e apro gli occhi, adagiandoli nei suoi. Ha gli
occhi scuri, e nonostante siano calmi posso notare lo stesso
luccichìo che ho scorto mentre cantava. E' molto
più blando, ma sempre presente. Le iridi sono grandi, tonde
come biglie, chiuse da due palpebre oblique e sottili, orlate di ciglia
nere come il carbone. Sono occhi vivi, che catturano ogni guizzo
attorno a loro. Sono occhi di chi vede e ha visto. Sono occhi
intelligenti.
Mi guarda
tanto intensamente che sembra voglia bucarmi. Poi, cripticamente,
sussurra "Dovremo parlare." e subito puntualizza "Non a scuola."
sfoderando un sorrisetto apoteosi della sicurezza.
Non mi lascio
scappare l'occasione e dico "Magari davanti alla cena." inclinando
lievemente il capo di lato, esponendo la gola.
Le labbra gli
si piegano in una smorfia, preludio ai sette inferni, poi lo sento
sussurrare nuovamente "Prima i miei pettorali poi un invito a cena? E'
una sorta di proposta oscena?"
Ribatto con
finta innocenza, raddrizzando la postura. "Tu canti mezzo nudo, tu
subisci le conseguenze."
"Oh, lo so
bene." il ghigno di prima non si scolla dai lineamenti, anzi si
accentua in un modo dannatamente erotico. "Ma è la prima
volta che la conseguenza in questione è così
interessante."
Queste parole
mi scivolano addosso nella forma di un lungo, lunghissimo brivido che
muore alla base della nuca, diramandosi e stemperando lentamente,
lasciando una qualche sensazione di lieve torpore.
Nonostante
tutto trovo la faccia tosta di ribattere "Attento che potrei
interpretarla male. Molto male."
Mi regala un
sorriso intrigato "Fammi un esempio." Un ultimo sussurro scivola nel
mio orecchio, prima che torni a posarsi contro lo schienale. Subitaneo
il suo calore viene a mancare e un refolo d'aria gelata mi solletica la
pelle. Accavalla le gambe e un braccio ciondola nell'aria
distrattamente, mentre l'altro si piega puntellandosi al ginocchio. La
camicia leggera che porta scivola leggermente sul petto, aprendo i
lembi del colletto, che rivelano il candore di una pelle glabra ma che
non perde la propria mascolinità. Osservo una mano
pigramente adagiata sul bracciolo della sedia, le dita che penzolano
nel vuoto, anche loro così dannatamente virili.
Sento quelle
stesse falangi passarmi come un brivido lungo la pelle delle braccia,
del collo, delle labbra.
Dio mio, devo
andarmene.
"E'
più interessante la pratica alla teoria." Simulo una
scioltezza ben lungi dall'essere mia, non so nemmeno come.
Lui inarca un
sopracciglio, mettendoci dentro tanti di quei significati da lasciarmi
basito. In quel semplice gesto, tanto semplice quanto irrisorio, leggo
un'implicita sfida. Vuoi giocare, Kyo? So che il fuoco non è
tiepido, e a volte può bruciare. Ma non mi importa.
"Allora?"
Somando lievemente spazientito dal suo silenzio ostinato e loquace.
"Sabato."
Risponde lui, pizzicando tranquillamente con due dita la bic
mangiucchiata, che stappa prendendo il mio quaderno e appuntandoci
sopra alcune cifre. Il suo numero di telefono. "Decidi tu." Aggiunge
chiudendo il tappo.
Gli sfilo
delicatamente dalle mani la penna, facendo attenzione a scontrare la
sua pelle calda. Strappo un lembo di pagina e appunto il nome di un pub
con un orario.
Appena glielo
metto tra le dita, la campanella suona e tutti i miei compagni si
alzano per restituire il compito.
Io, senza una
parola, prendo la sedia, il libro e il quaderno e lascio la cattedra
con la più intensa erezione che abbia mai avuto.
*24ko Cylinder - Dir
en grey, stessa frase che riprende nel secondo capitolo Kyo.
Note.
Saaaalve a
tutti. Qui è sempre guren che parla. Non ho molto da dire su
questo capitolo, specie perché siamo ancora in una fase di
'transizione' diciamo. Si stanno conoscendo e... bhe iniziano a vedersi
i segni dell vicinanza reciproca. O almeno da parte di Ruki.
Il prossimo
capitolo segnerà una svolta significativa *trollface* non
perdetevelo.
See you next
time, babe!
guren&Tora.
|
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Capitolo 4 *** Chapter 4 ***
CHAPTER 4
Mi
rigiro rapidamente davanti allo specchio per l’ennesima
volta, mi chiedo cosa si consumerà per primo: se lo specchio
o la mia pazienza soprattutto visto che ho cambiato idea su cosa
indossare per ben tre volte per poi ricadere sul solito stile casual di
sempre.
Trovo
alquanto ridicola, molto ridicola a dire il vero, questa mia
preoccupazione per l’abbigliamento, soprattutto in questo
frangente, eppure mentirei a me stesso se non ammettessi di aver atteso
questo sabato quasi con ansia.
E
la cosa mi secca.
Mi
secca terribilmente, al punto quasi da farmi rimpiangere di aver
accettato anche se, dopo averci rimuginato sopra per giorni, non saprei
dire da chi precisamente è partito l’invito.
Sono
un uomo fatto e finito, di certo non un liceale che conta i giorni che
lo separano dal grande appuntamento della sua vita.
Figuriamoci.
Con
uno sbuffo mi avvicino ulteriormente allo specchio e con un movimento
rapido insinuo le dita tra i capelli tinti di fresco. La solita
tonalità bionda.
Sposto
il ciuffo sul lato e guardo l’orologio al polso.
La
vista dell’orario mi strappa uno sbuffo seccato.
“Bah!”
Ho
giusto mezz’ora di tempo ancora e non ho certo intenzione di
far la parte della donnicciola vanitosa che arriva in ritardo
perché ha passato tutto il tempo a sbattere le ciglia al suo
riflesso allo specchio.
Inoltre,
tanto per mettere in chiaro le cose nel mio cervello, è solo
una cena che ha come scopo un’unica cosa: il dibattito. Lo
scambio di opinioni.
Anche
se più cerco di imprimere nella mia testa questo concetto,
più ho l’impressione che
dall’affinità intellettuale siamo invece finiti a
fare il gioco del gatto e del topo.
Non
posso fare a meno di stirare le labbra in un sorriso che, guardando la
mia immagine riflessa, sembra più una smorfia.
Mi
dispiace disilluderti, Ruki, ma il gioco sono io a condurlo.
Non
ho mai permesso a nessuno di prendere il controllo, né di
influenzarmi e non comincerò certo adesso facendomi prendere
dall’agitazione per decidere cosa indossare.
Per
questo do seccamente le spalle alla superficie riflettente ed afferro
le chiavi dell’auto dal mobile accanto prima di uscire,
spegnere la luce, e chiudere la porta a chiave.
Sono davanti
allo specchio, che fisso con aria corrucciata una bomboletta di lacca
spray. Okay, forse non ho l'espressione più intelligente del
mondo, ma è dall'esatto momento in cui mi sono alzato da
quella merda di cattedra che rimugino su ogni più
insignificante dettaglio. Sto impazzendo, va bene comportarsi un po'
istericamente -sono pur sempre un gay di diciotto anni, per la
miseria!- ma diventare una donna incinta all'ottavo mese mi pare
prematuro. Sono arrivato dal domandarmi se stavo meglio con i pantaloni
nero nero o poco nero al chiedermi se spararmi i capelli o meno.
Uno sbuffo
seccato mi satura le guance, prima che mi osservi ancora una volta allo
specchio, posando la lacca sul riapiano, deciso a lasciare i miei
capelli in piena libertà. Bha, qualsiasi maglia, giacca o
pantalone che metto mi parrà sempre inadatto, quindi forse
è meglio andarci e tanti saluti. Anche perché se
non mi muovo rischio di arrivare in ritardo, e già il
divario d'età è considerevole, almeno non
comportiamoci in tutto e per tutto come un immaturo dodicenne!
Afferro il
cappotto e le chiavi deciso ad uscire, ma un attimo prima che la lama
seghettata possa combaciare con la serratura ci ripenso, e mi volto
verso la superficie riflettende accanto alla porta.
Kyo
è il genere d'uomo che non chiede il nome prima di scopare,
non pensa a nulla mentre lo fa e probabilmente non ricorda
assolutamente niente poche ore più tardi, perché
è soltanto un numero insignificante che sale. Di gente
insignificante.
Ma
avrò comunque ciò che voglio, anche se conosce il
mio nome, anche se non potrà dimenticarsi di me per almeno
un anno scolastico e soprattutto... anche se non riuscirà a
scordarsi di aver fottuto un suo studente tanto facilmente.
Arricciando
dispettosamente un angolo della bocca, esco e chiudo la porta,
infilando il cappotto.
…centocinquantasei…centocinquantasette…centocinquantotto…direi
che può bastare.
Contare
i miei passi camminando avanti e indietro davanti alla mia auto sta
diventando alquanto noioso.
Centocinquantotto
passi che corrispondono, vediamo un po’… a
più o meno dodici minuti di ritardo di quel pestifero
essere.
I
casi sono due, o è semplicemente in ritardo oppure mi ha
dato buca. Ed io che mi preoccupavo di non essere puntuale.
Sorrido
non so se con più sarcasmo, ironia o fastidio mentre mi
siedo sul cofano della mia stessa auto.
Fastidio…
Si,
sono infastidito dall’idea che possa avermi dato buca, non ho
nessun problema ad ammetterlo.
Ci
tenevo particolarmente a questo scambio intellettuale.
…
…
Puttanate,
Kyo, lo sai benissimo.
Assorto
infilo le mani nella tasca dei jeans azzurri estraendo il pacchetto di
sigarette e l’accendino.
Non
è da me girare attorno a qualcosa e nemmeno negarla.
Soprattutto
a me stesso.
Nel
momento in cui mi ha fatto quell’invito conoscere il suo
pensiero non era più l’unica cosa che mi
interessava.
Ha
incominciato ad attrarmi.
Tenendo
lo sguardo sui pesanti anfibi neri che indosso apro il piccolo
contenitore di cartone e con una pressione decisa del pollice faccio
uscire
un
cilindretto di nicotina su cui chiudo prontamente le labbra.
Questa
roba è veleno.
Ma
è veleno che aiuta a pensare e che manda via lo stress.
Do
fuoco ad un’estremità del mio palliativo
cancerogeno e aspiro una prima intensa boccata spegnendo poi
l’accendino che torno a riporre in tasca
con
il pacchetto di sigarette.
Ho
bisogno di riflettere.
Pft…
riflettere…
In
questo caso è una finta riflessione, posso giocare a carte
scoperte.
Non
è il primo ragazzo di diciotto anni che mi attrae
fisicamente sicuramente non sarà l’ultimo.
E
il fatto che sia un mio allievo non rappresenta un problema.
Non
per me almeno.
La
parola favoritismo non esiste nel mio vocabolario.
Ma
il clichè del professore che scopa il suo studente in cambio
di voti alti è così caro alla
mentalità comune che qualora dovessero scoprire un eventuale
rapporto di natura più…intima, per
così dire, non esiterebbero a puntarci il dito contro.
Ridicoli,
patetici, figli della media borghesia…
Mi
disgustate.
Vi
disprezzo.
Disprezzo
voi, le vostre idee e il vostro mondo.
Disprezzo
il vostro finto perbenismo, disprezzo il modo in cui squadrate tutto e
tutti dall’alto in basso, disprezzo il vostro piccolo,
squallido, mondo artificiale.
Aspiro
un’altra boccata di fumo, con stizza, rilasciandola in un
unico colpo.
Ed
immerso nelle mie riflessioni non mi accorgo di nulla finquando il
cilindretto di nicotina non mi viene sfilato di bocca.
Con uno scatto
felino gli sfilo dalle dita callose la sigaretta e me la porto alle
labbra, palesando la mia attenzione con un "Lo sai che fumare fa male?"
per poi appoggiarmi il filtro tra le labbra e inspirare profondamente.
Lui si volta, sorridendo sensualmente dischiude la bocca "Molto
generoso da parte tua offrirti di prendere il cancro al mio posto."
A tale
affermazione segue un inchino scherzoso, con tanto di palmo aperto
puntato per aria, prima di rialzarmi "Buonasera!"
"Sei in
ritardo."
Lo so porca
vacca, e non lo sarei se non mi fossi perso ad osservarlo fare avanti e
indietro sul marciapiede, sbuffando ogni qualvolta controllasse l'ora
che mano a mano si faceva sempre più tarda.
"Dovevo farmi
bello." Mi passo scherzosamente una mano tra i capelli lisci prima di
soggiungere "Anche se non ne ho bisogno." con tono di noncuranza.
Lui tende un
sorriso di lato, ispira l'ultima boccata della sigaretta, per poi
spegnerla sotto il tacco della scarpa "Stavo pensando di farti un
complimento, ma visto che te lo sei detto da solo ne farò a
meno."
Eh no,
così non va.
"E a che
complimento pensavi?" Chiedo venando la voce di una punta di malizia.
"Che ti
importa saperlo?" Sorride, i muscoli del viso si tendono, la pelle si
illumina assieme allo sguardo. Poggia il bacino sul cofano dell'auto,
incrociando le braccia al petto, sopra alla stoffa della maglietta che
si riempie di pieghe; e con uno sforzo posso immaginarmi i fasci di
tendini che si disegnano sull'incarnato ambrato. Riporto la mia
attenzione alla realtà giusto in tempo per dire, senza
alcuna possibilità di controllo sulle corde vocali "Sono una
mezza donna, i complimenti mi interessano sempre." posando le mani sui
fianchi.
Esattamente un
secondo dopo mi pento di quell'affermazione.
Una mezza
donna? Come diavolo mi è venuto in mente di dire una simile
stronzata?
"In tal caso"
Inizia con un sorriso divertito, che si tinge di libidine
istantaneamente "Sei molto bello, Ruki."
Okay, forse
quest'uomo non ha ben capito che sta parlando con un diciottenne pronto
a saltargli addosso al minimo cenno di apprezzamento. Vuole forse che
lo stupri?
Non posso
fermare lo sbocciare di due fiori carmini sulle gote, prima di
ribattere con un "Grazie, anche tu." fingo una nonchalance che
assolutamente non posseggo, probabilmente sembrando anche molto goffo.
"Sei carino
quando arrossisci. Quasi non sembri lo sfacciato di sempre." Dicendo
ciò si alza dall'auto e si avvicina, con una lentezza
esasperante.
Tutto
ciò che vorrei dirgli stempera, si stinge e non distinguo
più una parola dall'altra quando è abbastanza
vicino da poter percepire il suo calore e il suo odore virile.
"Ricordati la
mia posizione." Mi rendo conto in ritardo del doppio senso contenuto in
quella frase -e per una volta non è voluto.
Lui si
impensierisce, assume un'espressione seria mettendosi le mani in tasca.
Poi sorride. "Correggimi se sbaglio, ma credo che la tua posizione
l'abbia mandata a stendere quando hai scritto quell'apprezzamento sul
foglio del tuo compito."
Scuoto le
spalle con un sorrisetto. "Quindi ora che posizione avremmo?"
"Tu cosa avevi
in mente?" Ribatte provocatorio.
"Te l'ho
già detto, non mi piace molto la teoria. E questa
è teoria."
"Capisco."
Improvvisamente
annulla ogni distanza e mi bacia. Un bacio che si arrotola sulle
rispettive lingue in una maglia di gusti, e scende assieme al respiro
nello stomaco, strizzandolo: il diviario d'età, il ruolo e
lo status che ci dividono... ogni differenza si dissolve mentre la sua
lingua schiocca nel mio palato e si accarezza con la gemella. Non
è un bacio dolce o lento. Se devo essere sincero, mi ha
letteralmente infilato la lingua in gola. Ma nonostante la
velocità non è per niente confusionario, sa
quello che fa ed è così sfacciatamente sicuro che
se non fossi troppo impegnato a non farmi venire un'epistassi, proverei
l'irrefrenabile voglia di pigliarlo a ceffoni.
Ma ogni
pensiero si sgretola e diviene polvere, mentre mi circonda la vita con
le braccia e mi tiene stretto, così caldo e sicuro, mentre
le lingue vorticano con velocità, quasi volessimo trapassare
i rispettivi palati.
Serro gli
occhi e smetto di pensare.
notes.
(guren)
Bhe,
capitolo che è stato un parto, lo giuro o.o
Tra
varie influenze, impegni e quant'altro sayonara. Ne è
passato di tempo, come state?
Non
ho particolari note da fare, risponderò alle vostre
recensioni privatamente appena avrò un pochino di tempo :)
Sì
yaoiste.
Arriva
la lemon.
guren&Tora
|
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Capitolo 5 *** Chapter 5 ***
CHAPTER 5
Il
materasso ondeggia e si piega cedevole sotto il peso dei nostri corpi
mentre le nostre bocche sono ancora impegnate in una schermaglia
serrata e quasi ininterrotta.
Non
so neanche come ci siamo arrivati qui e nemmeno mi interessa.
Pochi
minuti prima eravamo davanti al locale ed invece adesso siamo sul letto
del mio appartamento dove sono già mezzo nudo e senza la
più pallida idea di dove siano finiti il mio giubbotto e la
mia camicia né di quando li abbia tolti.
E
non potrebbe fregarmene di meno.
Non
mentre mi perdo nel calore delle labbra di questo ragazzo, non mentre
sento le sue dita percorre la pelle della mia schiena in un modo tanto
febbrile da farmi quasi perdere la testa.
Mi
piaci, Ruki.
“Mi
piaci, Ruki” sussurro in un soffio al suo orecchio prima di
appropriarmi con le labbra del suo lobo e cominciare a leccarlo e
morderlo.
E’
raro che qualcuno riesca a prendermi in questo modo.
Dovresti
sentirti onorato, Ruki, lo sai?
Alla
mia domanda lo sento inarcarsi sotto il mio corpo ed emettere un alto
gemito acuto prima che le sue dita si insinuino tra i miei capelli
invitandomi con una lieve pressione ad osservarlo in viso.
Il
suo volto è qualcosa su cui non potrei mai comporre una
canzone.
E’
tutto l’opposto di quello che denuncio.
Ed
è anche una delle visioni più erotiche che abbia
mai avuto modo di vedere.
I
capelli scarmigliati, gli occhi lucidi, le guance arrossate, le labbra
dischiuse ed umide... labbra che si muovono e tentano di formare parole
attraverso il respiro affannato.
Parla,
Ruki.
Fammi
sentire la tua voce.
Fammi
capire se sei un angelo o un demone.
“Anche
tu, Kyo.” mormora delicatamente, e la sua voce è
come un petalo di loto che mi accarezza il viso.
“Mi
piace il tuo odore.” Aggiunge ancora strappandomi
un’espressione stupita e perplessa al tempo stesso. Sorrido e
mi adagio meglio sul suo corpo chiudendo le labbra su un capezzolo
ancora coperto dalla stoffa dei suoi abiti.
“Perché,
che odore è?” Chiedo passando la lingua a
più riprese su quel piccolo bottoncino di carne che preme
contro la stoffa umida della camicia.
Le
sue dita si contraggono tra i miei capelli in una stretta spasmodica e
devo trattenermi per non gridare di dolore visto che a momenti me li
strappa.
“E’
virile… sensuale… mi ecciti.”
“E
quando ti ecciti strappi i capelli alla gente?”
Lo
punzecchio vendicandomi per quella tirata di capelli che mi ha fatto
vedere le stelle, scivolando con le labbra a tormentare anche
l’altro capezzolo.
“Scusami…”
mormora debolmente lasciando la presa. Lo ha detto in un modo
così dolce che per un istante mi viene voglia di chiedergli
scusa.
Forse
lo farò dopo.
Forse
non lo farò affatto.
Forse
mi brucerò e mi ridurrò in cenere toccando la sua
pelle nuda che posso sentire incandescente attraverso queste barriere
di stoffa.
Forse
andrò in Paradiso.
Forse
andrò all’Inferno.
Forse
non me ne frega niente di dove finirò se sarà lui
a portarmici.
Avevo
mai conosciuto il significato della parola desiderio prima
d’ora?
Perché
l’ho scoperto proprio con questo ragazzo sfacciato?
Non
lo so, non lo so e ora non mi importa.
Non
mi sono mai posto tante domande mentre ero in situazioni simili e non
voglio cominciare ora.
Con
più decisione comincio a mordicchiare quel punto delicato ma
quando con la lingua urto qualcosa di metallico al di sotto della
camicia mi risollevo leggermente dal suo corpo per cercare di capire di
che si tratti.
Identificare
l’oggetto non mi porta via che pochi istanti ed ha
l’effetto di strapparmi un sorriso divertito.
Un
anellino di metallo al capezzolo fa bella mostra di se attraverso la
stoffa umida della camicia.
Lentamente
insinuo una mano al di sotto dei suoi indumenti, raggiungendo in un
percorso di carezze appena accennate quel punto sensibile per
cominciare a giocherellare con quell’anellino.
“Questa
non me l’aspettavo.” Soffio sulle sue labbra
socchiudendo gli occhi.
Non
risponde, le sue palpebre sono chiuse e il labbro inferiore stretto tra
i denti.
Mi
sento bruciare.
Come
se nel mio corpo non scorresse più sangue ma un fiume di
fuoco.
E
so che se nè accorto.
Come
io mi sono accorto che la stessa cosa sta succedendo a lui.
D'altronde
è difficile non accorgersi di un'erezione che preme contro
la propria gamba.
Non
posso trattenere una risata sommessa, leggermente arrochita dal
desiderio.
"Sembra
che qualcuno qui abbia una certa fretta..." Lo stuzzico smettendo di
tormentare il piercing per scivolare con la mano lungo il suo inguine.
In
risposta vedo i suoi occhi aprirsi mentre le sue dita vanno a
pizzicarmi poco sotto la cintura.
"Anche
qui." Risponde con quella sua solita sfacciataggine.
Sorrido
appropriandomi con le labbra di una piccola porzione di collo.
"Allora
bisogna fare qualcosa." Graffio piano la pelle con i denti cominciando
a liberare quel corpo sinuoso dai propri abiti.
Quelle mani
calde che mi stanno facendo impazzire lentamente, prendono a slacciarmi
i bottoni della camicia che porto, uno alla volta; dapprima con
lentezza. Insinua le dita aperte a ventaglio in morbide carezze sul
petto, i polpastrelli scivolano come acqua sulla mia pelle accaldata e
mi fanno rabbrividire. Ma poi congiunge le nostre bocche, che mano a
mano si fanno sempre più voraci, come le mie falangi che gli
slacciano di scatto i pantaloni, facendo tintinnare la cintura. Glieli
abbasso e prima di poter raggiungere i boxer lui mi alza sul suo
bacino, sedendosi, e mi scivola via dalle dita. Porta i palmi alle mie
natiche, saggiandole con cura e mi strappa parecchi mugolii compiaciuti.
Vado a fuoco,
mi sembra di bruciare completamente. Ogni arto, ogni muscolo
è irrorato di calore, tanto che sembra consumarmi.
Non avevo mai
provato prima un desiderio, una voglia, un'attrazione
così assoluta per qualcuno.
Continuando a
chiudermi le labbra con sempre maggior irruenza, mi slaccia con due
sole dita i pantaloni e me li fa scivolare assieme all'intimo lungo le
cosce, carezzandomele velocemente. Me li sfila dalle caviglie e li
lancia per la stanza, mentre io faccio lo stesso coi suoi.
Ora siamo
completamente nudi, uno di fronte all'altro, in ginocchio in mezzo
all'immenso letto matrimoniale che odora di lui.
"Kyo?"
"Mh?" Mi
chiede facendosi sbocciare un sorriso apoteosi della
sessualità su quelle labbra ormai carminie per i baci
scambiatici.
"E'...
è da un po' che non lo faccio... fai piano, per piacere."
Soffio piano nel suo orecchio.
In tutta
risposta Kyo mi alza il viso, tenendomi una mano su una guancia, e
ricongiunge le nostre bocche; ma questa volta in modo quasi dolce,
abbastanza rassicurante da farmi abbandonare alle sue braccia,
fiducioso.
Continua a
baciarmi, mentre lentamente scivola sul materasso, fino a stendersi e
pormi a cavalcioni. Mi chino per continuare a tenere congiunte le
nostre bocche, mentre lui armeggia con il cassetto del comodino.
"Cosa fai?"
Gli chiedo poco lucidamente.
"Non ti hanno
mai fatto delle lezioni sul sesso sicuro?" Risponde con tono velato di
derisione, mentre mi lecca il collo con lingua famelica.
Non gli
rispondo, vedendolo estrarre un tubetto color prugna e un profilattico,
che adagia accanto alla mia coscia.
Smette di
baciarmi giusto il tempo per lubrificarsi tre dita, poi mentre mi fissa
negli occhi, fa scivolare una falange nel mio stretto anello di
muscoli, che lo circondano come un guanto. Una scarica elettrica mi
spezza il respiro. Sentire quel dito muoversi dentro di me, sfregare
sulla parete anteriore e poi su quella posteriore, scivolare fuori col
ritmo di un'onda per poi reinserirsi in un unico gesto fluido...
è qualcosa che mi annebbia.
Dopo ne
aggiunge un secondo che sforbicia assieme al gemello, in una danza
disordinata ma dannatamente piacevole.
Non mi
è mai successo di concentrarmi tanto sull'amplesso da non
avere più percezione di ciò che mi circonda.
Esistono solo le sue dita che mi dilatano. Il resto lo dimentico; e
alla fine non posso esimermi dal farmi soverchiare dal piacere. Non mi
riesco a trattenere, e praticamente senza che lui mi abbia toccato, ho
un orgasmo.
Quasi non me
ne accorgo, tanto naturale è il passaggio dal semplice
piacere al culmine di questo, come se mi scivolasse addosso un pezzo
per volta, stillando come il mio seme fa sul ventre di Kyo.
Mi tengo
l'inguine con le mani, imbarazzato, mentre chiudo gli occhi e mi mordo
le labbra per non gemere, e sento gocciare il frutto del mio piacere
tra le dita.
"Scu-scusami..."
Articolo pieno di imbarazzo, tenendo le palpebre serrate.
"E allora?"
Apro gli occhi e allaccio il mio sguardo al suo, inciso di
soddisfazione e assolutamente sensuale "Quella è solo la
prima." mi soffia sulle labbra, tirandomi giù per potermi
baciare con estrema lentezza. Fa scivolare fuori le dita,
delicatamente, e me le passa lungo il fianco, e poi sul petto, fino a
rigirarmi il capezzolo. Sono ancora appiccicose per il lubrificante e
calde, immensamente calde.
Mi rivolta
sotto si sé e inizia a stuzzicarmi le cosce, i piccoli
bottoncini di carne che svettano sul mio petto glabro, i fianchi magri,
le natiche, la schiena... continua a baciarmi e toccarmi, a toccarmi e
baciarmi, finché non riesce a farmi eccitare ancora.
Scarta il
profilattico e se lo fa scivolare per tutta la lunghezza della
virilità, fissandomi, facendomi arrossire ancor di
più.
A quel punto
non perde ulteriormente tempo, e dopo avermi fatto allacciare le gambe
attorno alla sua vita, si fa spazio in me. Si introduce con
delicatezza, attento a non farmi male, esattamente come gli ho chiesto.
Vedo il suo volto stropicciarsi a poco a poco dal piacere, le
sopracciglia corrucciarsi sensualmente di concentrazione, mentre gli
cingo il collo con le braccia. Penso di avere più o meno la
stessa espressione, se non chè io ho le labbra aperte: mi ha
mozzato il fiato, mi ha spaccato di netto la ragione. Non è
entrato solo nel mio corpo con una delicatezza che mai gli avrei
attibuito, ma è riuscito a scavarsi una nicchia nella mente,
tale da amplificare il piacere.
E mentre
inizia a spingere, sento il rumore che fanno le maschere quando mi
scivolano via dal viso e si infrangono contro il pavimento,
sbriciolandosi.
Il
suo grido acuto vibra nelle mie orecchie mentre lo sento riversare il
suo piacere tra le mie dita.
Pochi
secondi dopo l'orgasmo mi sorprende con la stessa intensità
di un fiume in piena strappandomi un verso sommesso che non avrei
voluto emettere ma che non ho potuto trattenere e con un ultima spinta
mi faccio strada dentro di lui riversandomi nella protezione che ho
indossato.
Il
mio corpo trema nel lasciare l'adrenalina e l'eccitazione scemare e
devo puntellarmi con le mani sul materasso per imperdirmi di crollargli
addosso con tutto il peso.
Trattenendo
l'orlo del condom con due dita abbandono quella
cavità e mi perdo ad osservarlo.
E'
bello.
Fottutamente
bello.
Fottutamente
bello e fottutamente sexy.
La
luce bianca della stanza si riflette sul ventre piatto e sul petto,
imperlato da stille, di sudore evidenziandone il candore. Ha una mano
tra i capelli, e il respiro corto, in sincrono con il mio che comincia
a stabilizzarsi a poco a poco.
Lo
vedo roteare gli occhi finchè il suo sguardo non incrocia il
mio e solo allora mi rivolge un sorriso.
Un
sorriso che mi abbandona sui confini dello stupore.
Perchè
quello è uno dei sorrisi più dolci che mi abbiano
mai rivolto.
E
per la prima volta in tutta la mia vita mi rendo conto che non ho
nessuna voglia di alzarmi e defilarmi al più presto come
è accaduto per tutti gli altri e le altre che ho avuto.
Perchè?
Cosa
c'è di diverso?
Vorrei
poter avere una risposta, ma quando le mani di Ruki raggiungono il mio
volto e mi attraggono a sè chiudo gli occhi.
E
mentre torno a baciarlo dimentico ogni domanda.
Note.
(guren)
Insomma,
per la lemon mica potevamo aspettare *ghigno* probabilmente eravamo
più esaltati noi nel passarci i pezzi che voi
nell'attenderli!
Bhe,
eccola qui, voglio una cascata di recensioni porche. Tirate fuori le
vene pervertite che voglio sapere cosa ne pensate!!
A
me sinceramente piace molto *-*
See
you next time.
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Capitolo 6 *** Chapter 6 ***
CHAPTER
6
Il modo in cui
mi sveglio ha da sempre determinato il mio umore.
Avendo un udito molto fine, alla mattina il mio sonno si interrompe
automaticamente ad una certa ora. Questa mia caratteristica
è una manna dal cielo: posso evitare tecnologie odiose e
terribili quali le sveglie, o la voce di mio padre.
Se però malauguratamente sono troppo stanco per riuscire a
svegliarmi senza incursioni altrui allora sarò irritabile e
nervoso per tutto il giorno, alla stregua di un bambino.
Quando riprendo coscienza di me, però, non sono stato
disturbato da rumori particolari: effettivamente non credo ci sia un
motivo preciso dietro il mio risveglio.
La prima cosa che percepisco è un odore. Un profumo soffuso,
delicato, di sapone. Forse detersivo da bucato. Mi satura le narici e
ispiro profondamente per racimolarne quanto più posso.
La seconda cosa che percepisco è una sensazione. Mi sento al
caldo, ben coperto da quello che sembra un piumino, in un letto molto
morbido e comodo.
La terza cosa che percepisco è il mio corpo. Sono nudo.
La quarta cosa che percepisco è che quello non è
il mio letto, quelle non sono le mie coperte, e probabilmente se sono
senza vestiti c'è un motivo.
Con la naturalezza che un petalo di ciliegio infonde alla sua caduta
verso il suolo, il ricordo della serata trascorsa con Kyo mi scivola
fra i pensieri, facendo si che sorrida forse un po' stupidamente, con
la bocca coperta dal lenzuolo confortevole.
Apro gli occhi, notando di essere solo, nella stanza illuminata dalla
luce aranciata di un'abat-jour. Osservandomi attorno ancora annebbiato
dal sonno appena lasciato, noto che è una bella stanza,
colorata di tinte chiare, rilassanti ed è molto
più ordinata di come me la sarei aspettata.
Mi tiro su a sedere, strofinandomi una palpebra e svegliandomi del
tutto; inizio a far andare il cervello; allora, per primo sarebbe bene
fare una doccia. Anzi, meglio ancora, trovare asciugamani e vestiti di
ricambio.
Apro le ante dell'armadio, e frugo tra le pile di indumenti, fino a
tirare fuori una felpa dall'aspetto molto caldo e un paio di pantaloni
comodi. Nel farlo però un rettangolo di pesante cartone
scivola per terra e vi cozza con un rumore sordo. Per altro mi trafigge
pure il pollice con il bordo.
"Porc..."
Mi trattengo a stento dal bestemmiare sonoramente, mentre raccolgo
l'oggetto incriminato con sguardo severo, accorgendomi in ritardo che
si tratta di un album di fotografie.
Incuriosito lo apro, senza pensare che è
proprietà privata e che non ho il benché minimo
diritto di appropriarmente, anche se solo per un'occhiatina.
Lo apro a casaccio, in una pagina del mezzo e la prima foto che vedo
è un'istantanea: Kyo è inquadrato mentre siede
con tranquillità su un gradino. Indossa un leggero yukata
color crema decorato con rombi bianchi, quasi invisibili. Ha i capelli
biondi morbidi e lisci, più corti di adesso, e si tiene una
guancia con la mano. Ha uno sguardo dolce, perso a guardare qualcosa
senza vederla, probabilmente sta pensando, ma senza che nemmeno una di
quelle rughe di concetrazione che gli ho visto spesso palesino la
propria attenzione. Ha la pelle chiara, appena dorata dal bacio del
sole, ed è bellissimo.
Con un sorriso mesto in volto chiudo l'album, lo rimetto al suo posto
assieme ai vestiti caduti, prendo gli indumenti che ho scelto e mi
infilo nel bagno, chiudendo la porta alle mie spalle.
Bistecca congelata,
bistecca congelata, gelato alla vaniglia, ghiaccio, zuppa congelata...
una massa di roba congelata informe a cui non so dare
un’identità… ah no ecco è un
polpo.
Quand’è
che ho comprato un polpo congelato?
Scrollo le spalle e
chiudo la celletta del congelatore per passare al figorifero.
Ramen precotto,
bottiglie d’acqua, ramen precotto, due mele, ramen precotto,
qualche lattina di birra, ancora ramen precotto, uova, succo
d’arancia, latte.
Direi che non
c’è molta scelta, ma in fondo non sono quasi mai a
casa e gli unici ospiti che ricevo sono quei quattro e per loro basta
una birra, un succo di frutta per Shinya ed una pizza ordinata
all’ultimo momento.
Solo che
all’una di notte non so quante pizzerie facciano ancora
servizio d’asporto per cui…
Con uno sbuffo afferro
un paio di confezioni di ramen e senza troppi complimenti le schiaffo
nel microonde per scaldarle prima di andare a recuperare una lattina di
birra.
In silenzio chiudo
l’anta del frigorifero e mi appoggio con la schiena al tavolo.
Lo schiocco della
linguetta di metallo che si piega spezza il silenzio.
Probabilmente Ruki sta
ancora dormendo.
Non posso impedirmi di
sorridere con una punta di soddisfazione. Ci sa fare, ma sono sicuro
che non è mai stato con nessuno come me vista la
velocità con cui è crollato addormentato subito
dopo.
Continuo a sorseggiare
la mia birra per un po’, poi il microonde emette il suo
‘bip’ elettronico informandomi che la cena
è pronta. Appoggio la lattina ancora quasi piena sul tavolo
ed in silenzio mi volto per aprire lo sportello. E’ in quel
momento che sento due braccia sottili stringermi alla vita ed un peso
leggero e caldo premere contro la mia schiena.
“Bravo hai
azzeccato il mio piatto preferito.”
La sua voce è
divertita, forse anche un po’ ironica ma non posso fare a
meno di distendere le labbra a mia volta in un accenno di sorriso.
“Meglio
così perché non c’è molto
altro in frigo.” Rispondo con il medesimo tono.
Alle mie parole le sue
braccia lasciano il mio corpo e ruoto il capo osservandolo mentre si
dirige verso il frigorifero e lo apre.
Nel far ciò
mi rendo conto che quelli che ha indosso sono i miei vestiti.
“Mh, beh, hai
le prime necessità: alcol e cibo precotto.”
Sghignazza ironico curiosando all’interno
dell’elettrodomestico semivuoto.
“E tu hai
addosso i miei vestiti mi sembra.” Ribatto portando sul
tavolo i due contenitori di cibo.
“Si,
sai…” mi rivolge un sorriso che capto mentre lo
scruto in tralice “…ho preferito evitare di
girarti nudo per casa.”
“Oh beh non
hai niente che non abbia ancora visto.” Ribatto a questo
punto, sfoggiando un sorriso divertito mentre vado ad incrociare le
braccia sul petto.
Intanto lo osservo.
I miei vestiti gli vanno
un po’ larghi, le sue spalle sono molto
più esili delle mie, e suggeriscono le forme del suo torace
in modo ammiccante.
Senza potermelo impedire
me lo rivedo nudo davanti disteso sulle lenzuola. Un flash di pochi
attimi che scaccio via scuotendo il capo.
“Allora
lunedì avrai argomenti più interessanti da
esporre durante la lezione.” Sorride malizioso mentre
richiude il frigo, ma a me è passata la voglia di scherzare.
“Ruki, credo
che sia superfluo dirti che non deve saperlo nessuno.”
Affermo serio cercando il suo sguardo.
“Si, lo so,
sta tranquillo.” E’ la sua risposta mentre fissa i
suoi occhi nei miei.
La calma e la
maturità nel suo tono mi lasciano sorpreso e credo che sia
piuttosto evidente anche ai suoi occhi che non me lo aspettavo.
“Bene
allora.” Distolgo il volto andando a recuperare le posate.
“Questo Paese ama gli scandali. Avremmo entrambi guai se
trapelasse qualcosa.” Storco le labbra mentre lo dico.
Afferro un paio di
forchette di plastica dal loro contenitore e mi avvicino a lui
porgendogliene una.
Mi sorride in modo quasi
malinconico e non ne capisco la ragione, ma poi torna il solito Ruki di
sempre.
“Beh, non mi
sembri il tipo che alza il voto agli studenti solo perché
sono passati dal tuo letto, vero?”
Chiede con un sorriso
scherzoso.
“No non lo
sono. E tra l’altro sei il primo dei miei studenti che passa
nel mio letto e il primo in assoluto che mette piede in casa mia ed usa
persino i miei vestiti.” Gli faccio notare mentre lascio la
forchetta tra le sue dita. Ma appena mi allontano mi ritrovo afferrato
per il bordo dell’accappatoio.
Senza poter avere il
tempo di reagire Ruki mi trae a sè catturando le mie labbra
con le sue in un bacio vorace.
E’ come il
richiamo di una sirena. Lascio cadere la mia forchetta e lo avvolgo tra
le braccia immergendomi più a fondo nella sua bocca,
cercando il suo sapore con impazienza.
Non sono mai stato
così impaziente, mai.
Cos’ha di
speciale questo ragazzo?
“E chi
è abituato a venire nel tuo letto, allora?”
Sussurra maliziosamente sulle mie labbra, disegnandone i contorni con
la lingua con un erotismo tale da farmi perdere la testa.
“Nessuno come
te.” Rispondo allora sospingendolo contro il frigorifero
mentre la mia bocca comincia a tormentare una porzione di pelle sul
collo.
Lo sento sollevare una
gamba ed allacciarla alla mia vita. In un gesto fulmino il mio braccio
scatta a sorreggerlo e accolgo nel mio palmo quella natica perfetta
prendendo a massaggiarla.
Mi geme tra le labbra,
morbidamente, posso avvertire le dita affusolate di Ruki risalirmi tra
i capelli e prima che possa fare altro torno ad impadronirmi della sua
bocca esplorandola voracemente.
Solo quando non ho
più fiato mi stacco e mi rendo conto che il frigo
è ormai lontano e che entrambi siamo distesi sul tavolo.
Preparato per dolci, lievito, burro, zucchero, cioccolato fondente,
caffè in polvere, latte...
Osservo il cestino della spesa nelle mie mani, controllando di avere
preso tutto. Bhe, sì, dovrei esserci. Allora mi dirigo verso
le casse, a quest'ora del mattino praticamente vuote, e inizio a
disporre gli ingredienti per la colazione sul nastro.
Mentre lo faccio mi immagino già che faccia farà
Kyo quando mi vedrà arrivare a casa sua con tutta questa
roba, a un'orario improponibile per giunta. Sono le otto e mezzo di
domenica mattina, ed è dalle sette che penso e ripenso
soltanto che ho voglia di cucinare per lui. Anche se probabilmente mi
spedirà fuori a calci, data l'ora. Ma posso sempre provare.
E poi, chi resiste a pancake e caffè?
Ripongo tutto nella borsa di plastica, mentre un sorriso mi sboccia
timidamente agli angoli della bocca. Data la tenacia con cui sto
trattendomi dal ridere a trentadue denti, credo che la mia espressione
somigli più a una smorfia. Ma che importa?
Ogni passo che compio, ogni boccata d'aria che respiro, ogni movimento
mi ricorda ieri sera. Sembra una maledizione. Se muovo le dita in un
certo modo mi rivedo mentre prendo il volto a Kyo e gli scosto i
capelli dalla fronte, se sollevo un oggetto mi rivedo mentre prendo la
ciotola di ramen dal ripiano, se fumo rivedo Kyo che fa lo stesso,
abbracciando il filtro della sigaretta maliziosamente... E quando mi
vestivo percepivo la sensazione delle sue fottute dita che mi passavano
sulla schiena, che mi inchiodavano al tavolo e che si insinuavano in me
con sensualità.
Se socchiudo gli occhi scorgo le sue iridi feline che mi trapassano e
davanti a cui mi sento nudo anche con tutti i vestiti addosso.
Dopo aver fatto sesso sul tavolo ed esserci ricomposti, mi ha fatto
mangiare seduto sul suo grembo, e abbiamo parlato. Tantissimo e di
qualunque cosa, dalle più stupide alle più
intelligenti. Ad un certo punto gli ho domandato dove avesse trovato
l'ispirazione per comporre la canzone che ho ascoltato al Lux.
Lui mi ha risposto 'dalle
mie riflessioni', e al chiedergli delucidazioni mi ha
detto che riguardano per lo più il genere umano, l'amore, la
vita. Concetti vaghi, ma che una buona penna sa comunque far diventare
innovativi, o interessanti, degni di nota.
Da qui siamo partiti con una lunga chiaccherata sulla
società, su ciò che pensiamo di questa, dei
nostri valori...
Mi ha stupito molto positivamente riscontrare che abbiamo le stesse
opinioni, in molti casi.
Dopo gli ho detto di aver visto la foto, nell'album che mi ha
fracassato il piede. Mi ha dato del ficcanaso, scurendosi lievemente,
ma poi abbiamo continuato a parlare e a scherzare assieme.
Verso le tre mi ha riaccompagnato a casa, nonostante avessi insistito
per andare in treno e non disturbarlo. Lui ha proferito una sola ed
unica parola, che ha tagliato di netto ogni mio tentativo di replica
come fosse una canna di bambu "Scordatelo."
Una volta arrivati mi ha salutato con molto calore, baciandomi
avidamente; poi sono entrato e lui se ne andato.
Ho provato un misto di felicità e tristezza.
Felicità perché è stata una delle
serate più piacevoli che abbia mai passato, tristezza
perché ero di nuovo a casa.
Nonostante credessi che avrei faticato alquanto ad addormentarmi, dati
i tanti pensieri per la testa (tra cui un Kyo nudo che saltellava in
ogni dove), appena mi ero steso a letto ero caduto addormentato. E
avevo dormito quattro ore di fila, salvo essere svegliato dal sole,
dato che non mi ero premurato di chiudere le imposte.
E così mi ero ritrovato al supermercato dall'altra parte
della città.
Mentre ripercorro passo passo la nottata appena trascorsa, suono il
citofono privo di nominativo del palazzo e attendo con le buste in
braccio.
yukata: indumento
tradizionale estivo maschile.
guren&Tora notes.
Uhuhuh. Bhe, entriamo nel vivo della storia direi :D
Non ho particolari note da fare, tranne buona pasqua a tutti! Dai che ora ci sono le vacanze
:D
Saluti e auguri da guren, Tora, Ruki e Kyo!
See you next time!
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Capitolo 7 *** Chapter 7 ***
CHAPTER 7
Il rumore stridulo del citofono mi strappa via dal sonno strappandomi una smorfia infastidita. Ad occhi chiusi striscio sul materasso verso il comodino e finalmente mi decido ad aprire un occhio per vedere che ore sono. Ed il mio primo pensiero al riguardo è: Chi CAZZO mi rompe le palle a quest’ora del mattino quando avrei tutto il diritto a starmene a dormire??
Sbuffo e torno a chiudere gli occhi sperando che il seccatore se ne vada, ma a quanto pare è una speranza vana visto che pochi secondi dopo una nuova scarica sonora mi costringe ad aprire gli occhi di scatto.
Con un ringhio recupero in fretta un paio di jeans grigi e mi avvio verso il citofono aprendo le comunicazioni.
“Si può sapere chi diamine è a quest’ora??”
Sicuramente non è il postino visto che è domenica.E la voce che mi raggiunge trillando me lo conferma.
“Sono io!
“…”
Per una manciata di istanti rimango bloccato davanti al citofono con un’espressione che non saprei se definire più perplessa o interdetta. Che diamine ci fa lui qui di prima mattina?
“Ruki?”
Chiedo, ma più che chiedere è una specie di ringhio dalla stana nota perplessa e assonnata che abbandona la mia gola mentre affondo la mano destra a riavviare i capelli.
“In persona! Mi apri o vuoi lasciarmi qui fuori tutto solo con le buste della spesa in mano?”
Buste della spesa? Ma che diamine ha in mente?
Non so davvero cosa pensare. Forse è per questo che mi limito ad un nuovo, secco verso e premo il pulsante per aprire il cancello.
Cerco di scacciare via la sonnolenza che avvolge ancora il mio corpo affondando la mano destra dietro la nuca per riavviare energicamente i capelli e con l’altra apro la porta attendendo sulla soglia che le porte dell’ascensore quasi di fronte a me si aprano.
Posso sentire il suono meccanico risuonare sommesso e dopo pochi istanti le porte di aprono e ne emerge quel pestifero essere avvolto in un giubbotto nero, da cui sporgono dei blue-jeans decisamente aderenti, ed una sciarpa grigia. Ha due buste della spesa tra le braccia e mi viene incontro con il sorriso entusiasta di chi abbia appena visto qualcosa di bellissimo.
Uno sguardo molto simile a quello che la mia chitarra acustica riserva alla birra e al nostro batterista.
Mi sorprendo ad indugiare sulle linee rosee di quel sorriso, risalgo sulle gote arrossate dal freddo, sugli occhi, su quel ciuffo fuxia che spicca sul nero e poi ridiscendo lungo il medesimo percorso e proseguo andando più in basso, inseguendo la forma delle gambe.
Per un attimo le sento di nuovo avvinghiate ai miei fianchi ed un brivido mi attraversa lungo la spina dorsale come una scarica elettrica e torno ad osservare il suo volto.
Ruki è l’innocenza e il peccato infusi al suo interno da una schiera di dei capricciosi.
Come il Vaso di Pandora racchiude in sé ingenuità, malizia e speranza.
L’ingenuità di un ragazzo di sentimenti puri, la malizia del più esperto degli amanti, la speranza di una generazione più giusta.
Mi rende quasi ammirato.
Mi confonde.
Mi rapisce.
Non apro bocca quando mi raggiunge ed esclama un “Ciao!” con quella voce energica e decisa. Arretro per farlo passare e lui entra togliendosi rapidamente le scarpe e sparisce in cucina muovendosi per il mio appartamento come se fosse in casa propria. Lo seguo finché non sparisce dalla mia visuale girando l’angolo e solo allora chiudo la porta e lo seguo.
Una volta entrato nella cucina di Kyo mi levo in fretta la sciarpa e il cappotto, appendendoli a una sedia. Alzo la tapparella ancora abbassata, dato l’orario, e mi beo del calore del sole sulla faccia; questa stanza è molto diversa di giorno, assume più tinte, specialmente nei punti del legno dove la luce si riflette con pigrizia. Da un certo senso di pace. E mi serve proprio pace in questo momento, perché Kyo non può credere che aprirmi la porta vestito unicamente di un paio di jeans morbidi aiuti il mio raziocinio a rimanere intatto.
Inizio a guardare a casaccio dentro armadietti e cassetti, alla ricerca sparsa di terrina, bicchieri, ciotole, piatti, mestoli, posate e quant’altro. Quando mi rialzo tenendo tra le mani buona parte del materiale che mi serve incrocio gli occhi di Kyo. E’ appoggiato con una spalla all’infisso della porta della cucina, il corpo che descrive una forma sinuosa e morbida, felina, coi muscoli delle braccia incrociate che si tendono, posati sopra il petto appena mosso dal respiro. Ha le iridi pigramente socchiuse, come se stesse osservando qualcosa di particolarmente desiderato, sospirato. Le sottili occhiaie che gli cerchiano gli occhi rendono lo sguardo fulvo ancor più penetrante e per nulla dissimile da quello che giusto ieri sera mi puntava addosso senza veli, mentre mi affondava dentro.
Un brivido freddo mi fa tremare lievemente le gambe e in un lasso di tempo labile quanto un respiro Kyo passa dall’attrazione all’appena malcelata... confusione, credo. Non capisco bene, dato che ha aggrottato le sopracciglia in un moto che definirei pensieroso e i capelli biondi come spighe di grano gli ricadono scomposti lungo la fronte. Con uno sbuffo seccato cerca di domarli con la mano ruvida, per poi sparire lungo il corridoio.
Io continuo col mio lavoro: tiro fuori gli ingredienti, li dispongo sulla penisola, armeggio un po’ con la macchinetta del caffè.
Vederlo mi ha scombussolato abbastanza, un po’ troppo direi. Ora come ora avrei dovuto iniziare a pensare con più lucidità a ieri sera, ma qualcosa me lo impedisce. O meglio, in realtà riesco ad essere lucido, ma non nel modo in cui dovrei. Sono andato a letto con un insegnante, Cristo! E non mi sento minimamente in colpa per di più.
Però bisogna anche ammettere che non mi è mai importato granché degli sterili doveri dettati dalla società dell’apparire, quindi perché iniziare adesso? Le persone dovrebbero fare ciò che le rende felici, anche solo per qualche secondo, giusto? E allora perché dovrei negarmi qualcosa che mi da serenità e piacere? Ma forse sto correndo troppo. Lui ha la sua vita, il suo passato e il suo presente. E il suo futuro. Non è detto che io ne debba fare parte. Condividiamo molte idee, è vero, ma questo basta a farci dire “sì, possiamo stare bene uno con l’altro”? O ci scopriremo due mondi inconciliabili, separati da un muro d’incomprensione invalicabile?
Un rumore attutito di acqua mi raggiunge i timpani delicatamente; credo che si sia infilato nella doccia.
Non pensarci. Non pensare che è nudo, dico nudo, sotto l’acqua. NO!
Scuoto la testa con un pizzico di aggressività, strizzando gli occhi, come se l’acqua in realtà mi fosse piovuta addosso, scacciando anche la miriade di dubbi e domande senza risposta che mi affollano la testa. Inizio a misurare le porzioni di ogni ingrediente e, cercando una qualche sorta di distrazione, dalla mia gola fluiscono naturali come germogli dalla terra fresca le parole di una canzone.
Mi sto lasciando trasportare.
Mi sto lasciando trasportare troppo.
Mi piace.
E’ inutile negarlo.
E’ qualcosa che va al di là del desiderio fisico.
Me ne sono accorto mentre lo baciavo ieri notte sotto casa sua.
Me ne sono accorto mentre lo osservavo fare il padrone nella mia cucina.
No, non lo stavo semplicemente osservando.
Lo stavo divorando.
Lo stavo divorando con il solo sguardo.
Ho pensato al suo corpo nudo.
Ho pensato alla sua mente.
Ho pensato al suo cuore.
Ho pensato che forse potevamo andare oltre la semplice scopata senza impegno.
Ho avuto paura.
E sono fuggito sotto il getto d’acqua tiepida e confortante della doccia.
Lascio che l’acqua e la schiuma dello shampoo mi scorrano sul capo e sul corpo e chiudo per un istante gli occhi.
Devo pensare.
Non ho paura di quello che può dire la gente.
Gli indici puntati contro, i sorrisi di scherno, le insinuazioni: tutte cose che non temo. Cose vuote. Prive di importanza, senso, valore. Inutili.
E’ altro quello che mi tormenta.
Ruki è solo un ragazzo.
Vive nella sua Primavera, passeggiando tra i petali di ciliegio in fiore, mentre io cammino sotto il sole cocente dell’Estate.
I nostri modi di pensare sono simili ma io sono già un uomo.
Lui non lo è ancora.
Se andassimo oltre, potrei non essere in grado di comprenderlo sempre.
Potrei farlo soffrire.
E non è mai stato questo quello che ho voluto.
Forse dovrei troncare tutto questo prima che si trasformi in qualcosa di incontrollabile.
Ma il solo pensiero mi lascia un fastidioso senso di vuoto nello stomaco.
Come un morso della fame ma che con la fame non ha nulla a che vedere e che mi fa capire che non ho nessuna intenzione di rinunciarci.
Sono un egoista.
Riapro gli occhi e chiudo l’acqua.
Discosto le ante della cabina, lentamente, come se questo semplice gesto mi costasse fatica, ed allungo un braccio ad afferrare l’accappatoio mentre esco infilando i piedi nelle ciabatte nere da doccia.
Mi avvolgo nell’indumento bianco chiudendolo accuratamente con la cintura e sollevo il cappuccio sul capo per frizionare i capelli. C’è odore di bagnoschiuma in bagno.
Un odore semplice, pulito.
Mi fa pensare a lui.
All’odore della sua pelle.
Non so cosa fare.
Sposto lo sguardo sullo specchio ed il mio riflesso mi mostra tutta la portata della mia incertezza.
Sospiro e lascio il bagno per dirigermi in camera da letto e cambiarmi, ma mi blocco appena metto piede in corridoio.
Lo sento cantare.
Lancio uno sguardo quasi sorpreso in direzione della cucina e mi incammino in quella direzione cercando di provocare il minor rumore possibile.
Ha una voce armonica e melodiosa. Decisa, dai toni mascolini, ma decisamente morbida e dolce nelle sue tonalità.
E’ evidente che non sia un professionista ma ha l’impostazione vocale adeguata per diventarlo.
Un passo dopo l’altro guadagno l’uscio della stanza. Mi da le spalle, intento ad armeggiare con una terrina. Non ho la minima idea di cosa stia facendo e non mi importa.
Ma soprattutto non ho la minima idea di cosa stia facendo io mentre mi avvicino alla sua schiena e distendo le braccia oltre quest’ultima finché le mie mani non arrivano a chiudersi sui suoi polsi, imprigionandoli in una stretta decisa ma non dolorosa.
“Canti bene.” Soffio al suo orecchio, prendendo a depositare qualche piccolo bacio dietro il padiglione auricolare. “Dovresti pensare a coltivare il tuo talento.” Aggiungo ancora, morbidamente, mentre le dita si distendono e cominciano ad accarezzare il dorso dei polsi e delle mani in piccoli movimenti circolari.
Lo sento irrigidirsi leggermente alle mie parole e la pelle rosea della sue gote assume un’accesa tinta di rosso. E’ una cosa che mi strappa un sorriso divertito.
Dov’è la tua sfacciataggine, Ruki?
“E’… è solo un hobby...” Mormori, quasi con voce tremante, mentre ti sottrai al mio tocco e ti volti verso di me con lo sguardo smarrito di un cervo che si imbatte in un lupo.
Vedi in me un predatore pronto ad azzannarti alla giugulare?
Accarezzo la linea sinuosa del tuo collo sottile.
Si, Ruki, vorrei davvero morderti, arrossarti la pelle, imprimere su di te il mio marchio.
“Una voce come la tua non è accettabile che resti nascosta.” Ribatto portando lo sguardo nei suoi occhi. Oggi non porta quelle lenti a contatto colorante. Al posto di quell’azzurro freddo e intrigante c’è un castano dalle tonalità più calde e morbide.
Ha dei bellissimi occhi.
“Il mondo e chi lo abita sono sordi. Ascoltano solo chi ha una voce abbastanza forte per farsi udire.”
Lentamente sollevo la mano destra portandola sotto al suo mento e lo invito a guardarmi in volto.
Le parole a volte non sono sufficienti ad esprimere la reale intensità di un pensiero.
Ed io penso che abbia talento.
Penso che abbia qualcosa da gridare contro questo mondo corrotto.
Penso che possa davvero salvarlo.
Se davvero questo ragazzo è in grado di pensare come penso io, allora sarà capace di leggermelo negli occhi.
Guardami, Ruki.
“Se anche tu hai qualcosa da dire al mondo, Ruki, allora canta. Posso insegnarti a farlo. Posso insegnarti a spiegare le ali, ma poi dovrai volare da solo.”
Odio il modo in cui riesce a soggiogarmi con un solo sguardo o un solo tocco. Sentire il suo respiro caldo sul viso è deleterio, allora mi sporgo e gli do un leggero bacio a fior di labbra.
“Dovrai impegnarti però.”
Gli punto un dito contro il naso, scherzosamente.
“Sei tu che dovrai impegnarti.” Mi bacia delicatamente, più e più volte, quasi un tocco fugace di labbra, approfondendo il contatto man mano che il numero dei baci cresce, finché non incolla la sua bocca alla mia, frugandomi il palato con lingua esperta.
Mi stacco piano, per riprendere fiato dall’apnea cui ci siamo costretti e stampandomi in faccia un sorriso malizioso ribatto “Lo sai che le tue lezioni saranno solo un motivo in più per starti addosso?”
Mi guarda fisso per qualche istante, occhi negli occhi, e mi perdo nel colore scuro di quell’iride felina, cercando di decifrarne i contorni, i limiti, non riuscendoci. Gli occhi sono un mezzo molto più diretto delle parole, perché parlano una lingua universale, che non ha bisogno di intermediari, e conoscono parole che la lingua non riesce a formulare, concetti che non riesce a racchiudere in un dato numero di lettere. Gli occhi sono per tutto ciò che non deve avere confini o limiti.
“Vedi di studiare perché non ti farò un trattamento di favore quando sarai alla lavagna.” Stringe tra le labbra la pelle del mio collo, mordendola con delicatezza. Sbatto le palpebre, mentre i brividi che mi hanno attorcigliato lo stomaco si dileguano, lasciando posto per una risposta sfacciata.
“Il giorno prima i miei pantaloni si restringeranno casualmente in lavatrice.” Gli passo una mano lungo la linea dritta della schiena chiusa dall’accappatoio morbido, saggiando con i polpastrelli i fasci di muscoli tonici. Amo la sua pelle, è qualcosa di totalmente erotico, che mi manda nel pallone. E’ tesa e guizzante, è salata e ruvida.
Un ghigno malizioso e arrogante gli tende le labbra “Puoi provarci, marmocchio, puoi provarci.”
Quando le nostre bocche si abbracciano e le nostre lingue si intrecciano, chiudo gli occhi.
Elucubrazioni. (guren)
Siamo finalmente tornati! Abbiamo scritto questo capitolo praticamente in due giorni, colti da un moto di ispirazione viUlenta *-* non posso che esserne felicissima, mi mancava moltissimo scrivere questa fic. Questi personaggi bastardelli hanno un po' modificato il corso naturale della storia, ma così avremo più spunti per poter diramare la fic in più direzioni!
Salutoni,
guren&Tora |
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