Lina

di Gloom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 - una volta per tutte ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


C'è un bel cartellone davanti la finestra della nostra cucina, pubblicizza qualcosa ma non sappiamo cosa. L'unico indizio sono ragazze in posa come testimonial, ma non vale tanto come indizio, dato che quelle sono ovunque.

La gente che considera belle la ragazze dei cartelloni pubblicitari evidentemente non ha mai visto Lina. Ma, se davvero per bellezza intende le ragazze dei cartelloni pubblicitari, probabilmente non la vedrà mai.

Lina non ha occhi di ghiaccio o capelli all'olio di cocco o un naso piccolo come una virgola; non mostra fianchi modellati come se fossero creta o gambe sode e abbronzate; non veste con abiti diafani e gonne maliziose, e non si è neanche mai truccata. Eppure è bella.

Lei non ci crede. In realtà lei proprio non lo sa, perché non si è mai vista. Funziona così da noi: in casa non abbiamo specchi o altri posti dove poter vedere il nostro riflesso, quindi siamo cresciute senza sapere come stessimo venendo su. Io neanche so come sono: l'unica volta che ho visto il mio riflesso, per sbaglio, è stato una volta in cui Lina stava piangendo; l'ho fissata negli occhi e mi sono vista nel velo di lacrime che la stava prosciugando. Poi lei ha sbattuto le palpebre e sono sparita, senza neanche avere il tempo di vedere come fossi.

Non sappiamo quando siamo nate, nè quanti anni abbiamo in realtà, allora ci siamo dovute arrangiare. Abbiamo riflettuto che i bambini non pensano tanto quanto noi, quindi non possiamo essere bambine; i vecchi sono sempre a pezzi, invece noi scoppiamo di salute, quindi non possiamo essere vecchie; gli adulti... gli adulti non vedono il mondo per quello che è, ma per quello che vogliono sia, quindi non possiamo essere neanche adulte; forse quindi siamo adolescenti. 

Non sappiamo quando finiremo di essere adolescenti. Resteremo così fino a quando non ci verrà voglia di scoprire il nostro aspetto, probabilmente. 

Abitiamo in questa casa, che comunque tanto casa non è: sembra che sia stata costruita mettendo insieme una manciata di stanze buttate a caso. Ci stiamo bene, così tanto che non ne siamo mai uscite... altrimenti potremmo vedere il nostro aspetto e in quel caso smetteremmo di essere adolescenti, invece abbiamo ancora bisogno di capire e pensare, come gli adulti non saprebbero mai fare. 

C'è qualcosa che accomuna me e Lina; c'è anche qualcosa che ci fa soffrire, e forse siamo capitate insieme proprio per capire cosa sia. Fa male, un male cane, e sia io che lei dobbiamo trovare un modo per fronteggiare questo dolore. 

Ci stiamo lavorando.    

 

Siccome devo giusto scrivere per il gusto di scrivere, non vi spaventate se sembra che abbia perso la testa: non sono pazza.

La storia di Lina l'ho scritta quest'inverno (sono solo poche pagine di quadernone, ma ci ho messo più o meno cinque mesi... ehi è stato difficile! xD) e ho pensato di inserire qualcosina su EFP. Non so se la scriverò tutta, per alcune cose non credo di essere pronta (stiamo parlando di qualcosa di molto intimo, maneggiate con cautela xD). Però potrebbe essere interessante... anche se forse non si capisce molto già da questo primo capitolo.

Sappiate che non c'è una trama precisa, dovrete essere lettori un po' elastici. Un po' azzardata come cosa, ma vabbè :)

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


L'altro giorno ho notato che Lina ha dei capelli talmente lunghi che le sfiorano la curva della schiena. Sono bellissimi anche quelli, ovviamente: leggeri come piume, le circondano il volto e le spalle muovendosi a ogni suo gesto, come se fossero dotati di volontà propria.

Non appena ho fatto caso a ciò, mi è venuta la curiosità di toccare anche i miei, di capelli: non so se siano più belli o più brutti di quelli di Lina, ma comunque sono altrettanto lunghi. Ci ho messo un po' per arrivare al fatto che, non avendoli mai tagliati, ovviamente dovevano avere lo stesso taglio e la stessa lunghezza dei suoi.

Era questa la soluzione per scoprire il nostro aspetto? L'una doveva guardare l'altra? Anche io ero bella come Lina allora?

Ne ho parlato con lei, ma si è stretta nelle spalle come se volesse disinteressarsi della cosa: 

 -Non mi importa sapere come sono, non mi importa davvero. Chissenefrega! Io voglio solo smettere di soffrire. Non ce la faccio più a vivere così. E scommetto che non ce la fai più neanche tu-.

 -Era solo un pensiero...-

 -Tanto non c'è un modo per smettere di soffrire- ha risposto, come se non mi avesse neanche ascoltata.

 

Quella sera mi sono ritrovata in bagno, dopo la doccia, e i capelli da bagnati erano molto più scuri e molto più lisci. Proprio come quelli di Lina. 

Ho preso un paio di forbici e li ho tagliati, prima di poco, poi sempre più corti. Mi sono fermata quando non riuscivo più a far passare bene la forbice dietro le orecchie.  

Io non volevo essere come Lina. Volevo reagire alla sofferenza. Anche se non c'erano vie d'uscita: mi sarei agitata fino a quando non ne sarebbe comparsa una.

 

Grazie mille a Eirween, che ha avuto l'onore di recensire per prima :) La narratrice non è propriamente la sorella di Lina, ci hai visto giusto... ma tocca aspettare qualche capitolo (non so di preciso quanti xD) per capire che tipo di rapporto lega le due ;)

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Ogni tanto Lina si mette a suonare la chitarra. Ne ha una classica, ed è probabile che abbia più anni di me e lei messe assieme. Non se la cava affatto male, soprattutto quando alla musica aggiunge la voce. Non ha mai seguito lezioni di canto, ma il risultato è comunque ottimo.

Una volta si è offerta di insegnami a suonare, ma io ho rifiutato: amo la musica, ma ho paura ad impararla. è come se volessi rimanere analfabeta per ammirare la bellezza di lettere meravigliose.

Mi sono tagliata i capelli e a Lina ha quasi preso un colpo nel vedermi. Sembrava crucciata e sorpresa. E forse un po' risentita, perché non è stata lei a pensarci per prima. Ma Lina non è antipatica, è solo immensamente triste.

Una sera ho appoggiato l'orecchio alla porta della sua camera, perché da dentro lei stava suonando come mai aveva fatto. Mi ero praticamente accoccolata sul pavimento, quando ho sentito qualcosa rompersi. Crash.

Entrai, ricordandomi di fare piano, e capii che Lina doveva aver scagliato per terra tutto ciò che si trovava sul comodino. Era stata la porcellana alla base della lampada da tavolo a fare crash.

 -Ehi, che succede?- mormorai, in piedi sulla soglia.

Lina si era praticamente nascosta dietro la chitarra, e stava tentando con tutte le forze di affondare nel letto.

 -Volevo solo sentire che rumore fanno i sogni quando si rompono-.

Mi morsi il labbro, chinando la testa (era molto più leggera senza tutti quei capelli), poi mi avvicinai e le diedi un bacio sulla guancia.

 

Me ne uscii fuori, su quel fazzoletto di terra che gli altri chiamano giardino. Mi levai scarpe e calze e mi sedetti a gambe incrociate sulla terra (non c'era dell'erba vera e propria, solo terra spaccata dal sole). Mi diedi un pizzico violentissimo, conficcando le unghie nella pelle e arrivando a strapparla. Non ci feci caso.

La tristezza mi stava schiacciando cosi tanto che mi sentivo pesantissima.Ogni volta che mi muovevo sentivo chili e chili di ciccia muoversi insieme a me, e trascinarli dietro era quanto di più faticoso avessi mai provato. Tutto era talmente opprimente da viziare la stessa aria che respiravo. Come se fosse veleno.

 

Mi scuso per questo capitolo particolarmente corto e insignificante, ma era per entrare più a fondo nella psicologia dei personaggi (suona bene eh? xD) e per ingannare l'attesa mentre mi do una regolata su come sistemare il resto della storia. Ora che l'ho pubblicata non posso fare fluff, quindi ci sto lavorando :)

Grazie mille alla nuova anima pia che mi ha recensita, Sarawinky. Se ti interessa saperlo no, non sono gemelle... Non so ancora se definire bene cosa sono; in caso ditemelo voi, per vedere se specificare il loro rapporto sia fondamentale ai fini della soria :) Un grazie ai miei carissimi lettori!! :)

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Diciamo che ci sono due vasi, uno piccolo e uno grande.

Diciamo che entrambi i vasi contengono la stessa quantità di veleno, solo che, mentre quello piccolo ne è pieno fino all'orlo, quello grande lo contiene senza troppi problemi.

Diciamo che a un tratto i veleno aumenta per entrambi i vasi, come se colasse da un rubinetto malefico e letale: da quello piccolo trabocca subito, perché già ne è pieno. Quello grande invece lo sostiene come può. Ma il veleno che straripa dal vaso piccolo finisce nel vaso grande... come se fossero uno sotto l'altro, capite?

 

Diciamo che questo veleno comincia ad essere un po' troppo, diciamo pure che tra un po' mi intossico.

Diciamo che mi sto scocciando a dover portare, oltre al mio, anche il veleno che Lina non riesce a sopportare.

Che succederebbe se il vaso più grande si rompesse?

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


                                                                                                                                                                                                      7.01.2010

(Lina era incazzata nera: si era piazzata davanti a quel cassetto e non aveva la minima intenzione di lascirmelo aprire)

-Spostati, dai.

-No.

-Fammi avvicinare!

-Non se ne parla neanche!

-Perché?

-So quello che fai, cosa credi. Pensi che non mi sia accorta di niente? So che non appena mi sposterò da davanti questo cassetto, tu ne prenderai un coltello o una forbice o qualche altra porcheria del genere e... lo so cosa fai! Ho visto le tue braccia, la tua pelle.

-Io... non è niente! Non lo faccio per farmi male, lo giuro!

-Sei impazzita? Tu ti ferisci da sola.

-Non capisci, non puoi capire... è come quando da piccola sbattevo il ginocchio e tu mi davi un pizzicotto sul braccio. Dicevi: "così non pensi all'altro dolore". Ora è lo stesso!

-No che non è lo stesso. Tu ti tagli, ti ferisci! è spaventoso!

-Vai al diavolo, Lina! Sì, sarà pure spaventoso, ma solo perché lo vedi. A volte mi spavento un po' anche io, ma poi ci ragiono e mi dico che tutto va bene, che devo stare tranquilla, perché è solo un modo per far uscire tutto il veleno che sento. Anche tu ti spaventi quando ti ritrovi buttata sul pavimento a piangere a dirotto per questo schifo di situazione che viviamo -so che lo fai e so che ti spaventi. Ora, per cortesia, spostati.

-Vuoi farlo di nuovo?!

-Sì! Sì, voglio un'altra ferita!

-Ma non capisci che non è così che eliminerai il veleno? Quello ritorna, più ne fai uscire e più ritorna. Non puoi andare avanti così, finirai solo per portarti dei segni che rinnoveranno sempre questo dolore. Cosa vuoi fare, tagliuzzarti tutta la vita? è disgustoso.

-Sempre meglio che sputare il veleno addosso agli altri, come fai tu.

-Idiota! Gli altri esistono per questo! Taglia me se può esserti d'aiuto, tortura me. Lo vedi? Tu credi che io sia più fiacca e debole, ma in realtà probabilmente tra noi due sono io quella tosta. Non ci vuole niente a portarsi tutto dentro, come non ci vuole niente a crogiolarsi nel dolore. 

-Ma è proprio evitare di crogiolarmi che voglio...

-Non è vero. Tu vuoi solo farti ancora più male, credendo che possa temprarti così tanto da annullare tutti i tuoi sentimenti. Magari speri di proteggerti. Ma non funziona così: chiuderò a chiave questo cassetto e farò sparire da questo posto tutti gli oggetti con cui tu ti possa ferire di nuovo, prima di tutto. Ma se poi non sarai tu a venire da me per vomitarmi addosso tutta la furia che hai dentro, io portò solo guardarti sprofondare sempre di più, fino a toccare il fondo. Ma, amica mia, il fondo non c'è: il dolore è una caduta continua che ti tortura costantemente, e tutto quello che noi possiamo fare è tentare di risalire. Altrimenti non finirai mai di tagliarti. 

 

Come al solito grazie a Eirween che mi ha recensito, e a tutti quelli che, non avendo niente di meglio da fare, hanno letto questa storia. Questo capitolo mi ha fatto sollevare un po' di perplessità (una volta ho chiesto a una mia amica di leggerlo, ma a lei ha fatto troppa impressione... sono io che ho il cuore di pietra o è davvero lei ad essere troppo sensibile? xD), ma alla fine ho deciso comunque di postarlo. Spero che non sia troppo incasinato, ci ho pensato a lungo... per ogni cosa, recensite :)

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


                                                                                                                                                                                             14.01.2010

Da quando Lina ha fatto sparire dalla circolazione tutti gli oggetti taglienti, i miei livelli di stress sono saliti così in alto da rasentare le nuvole da temporale. Quelle nere, grandi e minacciose.

Ho paura: sento tanto di quel veleno dentro le mie vene che potrebbe esplodere da un momento all'altro, potrei esplodere da un momento all'altro.

Mi sto scervellando per trovare dei surrogati. Ho pensato di rompere il bicchiere degli spazzolini in bagno, ma Lina noterebbe la sparizione e non voglio che si accorga di quello che voglio fare. Già è stato abbastanza brutto quando si è arrabbiata la prima volta.

 

Un giorno decisi di riparlarne con lei: avremmo potuto metterci d'accordo, trovare un compromesso, cose così.

Stava mestamente lavando i piatti quando mi avvicinai. Avevo indossato un maglione bianco con le maniche lunghe fino alle nocche, così Lina non si sarebbe dovuta soffermare sui miei tagli. Al diavolo, erano solo dei graffi, dopotutto. Niente a che fare con le cascate di sangue che piacevano tanto agli emo. 

Lina piangeva, e le lacrime cadevano nel lavello bucando il soffice strato di schiuma che copriva le stoviglie. Mi distrusse vederla così; deglutii un nodo alla gola, mi avvicinai, le portai via una lacrima col dito e infine le posai un bacio sulla guancia. 

Lina rimase bloccata, con lo sguardo fisso nella schiuma. Poi sospirò, pescò un piatto e mi fece cenno di seguirla in giardino.

Non capivo cosa volesse fare, ma le restai dietro. Una volta fuori, Lina scagliò il piatto per terra, con tutte le sue forze. Quello si frantumò in decine di cocci che si sparsero per tutto il giardino. 

-Hai sentito che bel rumore?- bisbigliò. Strinse i pugni e rientrò in casa. 

La guardai sparire dietro la porta, tranquillamente triste. 

Dopo aver a lungo riflettuto, raccolsi i cocci e li spezzai in frammenti più piccoli, poi ne nascosi alcuni in camera.  

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Ormai ne sono sicura: io e Lina proviamo le stesse emozioni.

La osservo da diversi giorni, e in tutto questo tempo ho fatto caso ai suoi comportamenti, e al suo umore. Quando ho cominciato a capire che qualche connessione c'era, ho pensato di confermare le mie supposizioni. Tanto non ho comunque nient'altro da fare...

Mi sono messa a guardare un programma demenziale in tv, con i miei comici preferiti. Sempre siano lodati i buoni comici... a far piangere non ci vuole niente; la vera difficoltà è farla ridere, la gente. 

Mentre io ero piegata in due dalle risate, Lina si stava facendo un bagno. Era immersa in quella vasca da almeno mezz'ora, ma forse riusciva a sentirmi anche da lì; in ogni caso, quando entrò in cucina, avvolta nell'accappatoio e con un turbante a sostenere i lunghi capelli bagnati, sorrideva con non faceva da settimane.

-Ma tu stai piangendo dal ridere!- esclamò strabiliata, col sorriso che si allargava sempre di più.

-Oddio ti prego levami da qua davanti, sto per morire soffocata!- sghignazzai, cercando di riprendere fiato tra una risata e l'altra.

-Stupidaaa!- Lina mi diede un pugnetto sulla spalla, poi si avvicinò al cesto della frutta e prese una mela.

In tv mandarono la pubblicità, e finalmente riuscii a smettere di ridere. Che botta di salute.

Lina finì la mela, poi si abbandonò su una poltrona e prese la chitarra. Cominciò a pizzicare le corde, suonando l'incipit di una canzone che conoscevo ma di cui non riuscivo a ricordare il titolo.

-Perché sei improvvisamente così contenta?- le chiesi, accoccolandomi meglio sulla sedia.

Lina continuava a suonare, ma il titolo ancora non arrivava.

-Boh. Non lo so. Deve esserci un motivo?

-Immagino di no... però è una novità piacevole

-Novità, novità... come se non fossimo mai state contente!- rise lei.

-Non ti seguo...

-Noi ci sentiamo sempre tristi, no? Però per sapere che quella che proviamo è tristezza, evidentemente conosciamo anche la felicità. Altrimenti non riusciremmo a distinguere l'una dall'altra... non potremmo sapere cosa ci manca.

-Oh. Cavolo, mi stupisci!

-In realtà ho letto tutto questo da un libro. C'entra qualche filosofo greco... un tipo secondo cui tutto scorre.  Eraclito?

-L'ho sentito nominare.

-Che bella la cultura, eh?

-Cultura di 'sta ceppa, io sono così ignorante che non ricordo neanche il titolo della canzone che stai suonando...

-Ah ah! E io ti lascio nel dubbio.

Le feci una linguaccia e lei sorrise, continuando a suonare.

-Lina... ci hai mai fatto caso che sei diventata felice proprio quando anche io...

-E' perché siamo un cuore solo diviso in due persone. Tu hai una metà, io l'altra. Proviamo le stesse emozioni, ma reagiamo in modi diversi. Non siamo sorelle, amiche, conoscenti, colleghe. Il nostro non è un rapporto descrivibile a parole... tu per me sei niente e sei tutto, allo stesso tempo. Capisci?

Rimasi a bocca aperta; Lina c'era arrivata prima di me.

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


La parentesi di felicità durò molto poco, in realtà. 

Le risate senza motivo arrivano fino a un certo punto: ti fanno star bene per un paio d'ore, giusto il tempo di far passare la fase più acuta di malinconia, ma poi inevitabilmente tutto ritorna al solito piattume, il piattume che odi, il piattume che ti sta corrodendo. Se il piattume vuol dire sofferenza, ci sono poche vie di fuga.

Lina mi aveva svelato il mistero delle nostre emozioni; forse allora sapeva anche la soluzione al nostro dolore. Insomma, davvero, non poteva mica nascere dal nulla.

La trovai che si era appisolata, sepolta da un cumulo di libri. Chissà perché leggeva sempre così tanto: contatti col mondo esterno non ne avevamo, quindi era per puro diletto personale... ma non riuscivo a spiegarmi cosa trovasse di dilettevole in libri di storia o di filosofia. Boh.

In ogni caso, lei era crollata su uno dei suoi libri; io le preparai una tazza di caffè, aprii un pacco di biscotti e portai tutto nella sua stanza.

-Lina, svegliati- le dissi.

Lei aprì gli occhi e si mise ritta, un po' spaesata. Si massaggiò la guancia, che aveva preso la sagoma delle pagine che le avevano fatto da cuscino.

-Che c'è?-

-Niente, ma ti ho visto addormentata e, se vuoi continuare il sonno, dovresti metterti comoda. Lo sai che altrimenti ti si attorcigliano i muscoli?-

-Ma che dici...

-Sul serio. Beh, poi non venirti a lamentare da me. Comunque, ti ho portato il caffè. E un po' di robe da mangiare. Ho bisogno di parlare-.

Lina si stropicciò gli occhi, ancora assonnati, poi mise da parte il libro e prese avida la tazzina di caffè.

-Metti via quelle porcherie... ho lo stomaco chiuso- borbottò.

-Anche io. Era solo per fare scena.

-Dai, dimmi quello che mi devi dire...

-Ecco...- mi presi un mignolo e cominciai a cincischiare con le dita -tu l'hai capito perché soffriamo così tanto?- chiesi. 

Lina aveva appena finito di sorseggiare il caffè, ma rimase interdetta, con la tazzina poggiata alle labbra.

-No che non l'ho capito. Altrimenti già avrei pensato a rimediare, non credi?-

-Sì, ma... insomma, è assurdo.

-Direi di si. Ma se ci rifletti, ci sono un bel po' di cose che non sappiamo. C'è la questione della nostra età, prima di tutto. E c'è quella del nostro rapporto. E poi, ti sei mai chiesta come e perché "abitiamo" qui? E perché non riusciamo ad avere contatti con l'altra gente, al punto da dubiarne perfino dell'esistenza?

-No, non ci ho mai pensato.

-Neanche io.

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Tutto è tornato pesante come prima.

Pensavo di poter andare avanti, e che col tempo le cose sarebbero migliorate, ma invece siamo cadute ancor più in basso; c'è un buco infinito, senza fondo e senza appigli, e non possiamo far altro che precipitare.


L'altro giorno mi sono messa a fissare la gente fuori dalla finestra: quelli che passeggiavano non sono come noi. Hanno due gambe e due braccia e un naso, sì. Sono belli, sono brutti, sono alti e bassi, hanno i capelli lunghi o corti, scuri o chiari. Ma. . . non sono come noi.

C'è qualcosa di diverso: con loro non sento lo stesso rapporto che c'è con Lina. E non perché non li conosco (non conosco neanche Lina, a dirla tutta), ma. . . ho capito cosa intendeva Lina quando ha detto che abbiamo un cuore in due.

Io so cosa prova lei. Sento le sue emozioni.

E' una cosa sovrannaturale e indescrivibile.

Ma non aiuta comunque.

 

 

Un momento. . .

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Insomma, ho avuto un'idea. Un'idea semplicemente geniale.

La situazione è critica: soffriamo, e non ci ricordiamo neanche il perché. A questo punto penso che non sia neanche così importante. . . tutti soffrono, o hanno sofferto, o soffirranno (oh sì, arriva per tutti). E' inutile stare a raccontare la nostra storia, perché nessuno capirebbe.

Il dolore è quanto di più personale possa esistere; quello vero -quello che ti mozza il respiro e che ti inumidisce gli occhi al solo pensarci- non è cosa da mostrare al mondo. E, le poche volte che lo mostri, è inutile sperare che gli altri capiscano: per quanto possano sforzarsi, non ci arriveranno mai fino in fondo.

E' come se provassero a imitare la tua grafia: con tutto l'impegno possibile, non ci riuscirà mai nessuno. Non è da biasimare: è normale.

 

Ma io ho trovato un modo per svoltare: io posso cambiare la situazione.

Se Lina soffre, è perché soffro anche io.

Se io non soffrissi, non soffrirebbe neanche lei.

E se davvero non siamo legate da nessun vincolo, se davvero l'unico nostro legame è quello che sentiamo nel cuore...

Si può vivere senza una metà del cuore: fin'ora, con un pezzo ciascuna, ce la siamo cavata.

E allora, se solo mi levassi di mezzo... potrei eliminare il veleno, potrei uscire da questo tunnel, potrei liberare Lina dalla parte di cuore che ci fa soffrire entrambe.

 

Tocca fare buon viso a cattivo gioco, anche se qui il gioco è talmente cattivo che del buon viso non rimarranno che brandelli.

 

 

Rieccomi a imbrattare carta virtuale... ma penso davvero di dovermi sbrigare: mancano solo pochi capitoli e, se non mi do una mossa, rischio di venire sommersa dalla scuola prima di finire.

Sappiate che, in quel caso, la storia sarà in serio pericolo; quest'anno la situazione è tragica dalle nostre parti (gli studenti cominciano a bestemmiare di prima mattina, e ho detto tutto), e io non sono immune dallo stress... anzi, forse sono anche tra i più sfigati. Ma questa è un'altra storia.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... recensite! Scommetto che chi lo farà sarà sicuramente il più figo dell'universo ;-)

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


E' come quando ti viene da starnutire e tossire allo stesso momento: le vie respiratorie sono bloccate e ti sembra di essere spacciato.

Anzi, è come quando vomiti e qualche porcheria rimane incastrata nell'esofago; ecco, questa metafora è abbastanza disgustosa da rendere l'idea dello schifo che ho fatto.

Insomma, a un certo punto mi sono ritrovata in volo. Ho approfittato del sonno di Lina, ho aperto la finestra da cui mi fermo sempre a guardare la gente, ho svuotato la mente e mi sono buttata.

Me ne sono pentita quasi subito: ti ritrovi in volo e provi ad agitare le braccia, vuoi tornare su, pensi che non volevi, che non ne valeva la pena, che puoi migliorere la situazione... ma è inutile; la disperazione ti avvolge quasi subito e, prima che le lacrime possano anche solo sgorgare, tutto diventa buio.  

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


12. 05.10

Lina: quell'ammasso di lenzuola che non riesce a prendere sonno.
Magari, se mi sforzo, riesco a vederti: tu che, stanca di rigirarti nel letto, ti alzi a sedere e ti guardi intorno. Alla fine decidi di andarti a prendere qualcosa di caldo. Amica, forse sarà l'inverno poco clemente della parti tue, ma quella prima settimana d'aprile è stata gelida.
 Raggiungi la cucina, ma a metà strada cambi idea e pensi di andare a controllare se lei dorme, se è sveglia, se ha bisogno di qualcosa.
Ti senti inquieta, e allora è altamente probabile che lo sia anche lei... una camomilla farà bene a entrambe.
 Ti avvicini alla porta della sua stanza, sempre più circospetta man mano che il territorio diventa suo, e abbassi la maniglia cercando di non far rumore.
 La camera pare sempre la stessa, solo un po' più inquietante senza una luce che la illumini.
Così, al buio, riesci a vedere solo i vestiti bagnati dalla luce lunare e le pozzaghere d'argento che questa crea.
E che colpo quando ti accorgi che lei in realtà non c'è.
 Ti sei scagliata sul letto senza neanche accendere la luce. Hai tastato nervosamente le coperte, abbastanza per renderti conto che effettivamente lei non c'è.
Ed è tutto lì, come se stesse dormendo: un cellulare sul comodino, la sveglia che suonerà tra poche ore, un vecchio orso di peluche ai piedi del letto.
 Un brivido ti sale su per la schiena, e non ha niente a che fare con il freddo da cui il pigiama non è più in grado di proteggerti; il cuore comincia a battere, scaricandoti un'adrenalina dentro che ti fa accelerare i respiri.
 C'è pericolo tuto attorno a te,e non sai da che parte voltarti: ormai è sicuro, lei non è in casa.
 Non riesci a muoverti. Puoi solo aspettare, ma non sai cosa.
 E poi ti sblocchi: non sai quanto tempo è passato e non vuoi neanche saperlo, l'importante è correre via, alla ricerca di qualcosa a cui ancora non sai dare un nome, ma che ti ha abbandonata. Ti infili dei jeans, delle scarpe, un cappotto.
Poi, senza neanche rifletterci, varchi la porta.


Quando scendi in strada, c’è gente attorno a te. Ti parlano, ma tu non guardi nessuno in faccia, non sai neanche cosa sia, una faccia, ti muovi con gesti meccanici anche se non sai cosa stai effettivamente facendo.
Però ascolti: le parole sembrano petali nervosi che volteggiano tra la gente, morbidi, leggeri e inconsistenti.
Non ti danno fastidio, è la prima volta che le senti e, se solo non fossi stata così terrorizzata, ora ricorderesti cosa dicevano.
 Però lo sei, terrorizzata: ragazza ammutolita, spettinata e con gli occhi spalancati dalla paura, ti fai spazio tra la gente mentre questa circonda la tua meta, anche alle tre e mezza del mattino.
 Ma non la noti neanche, la gente: è una novità con cui farai i conti tra un po’, perché ora hai da fare.
Lì c’è lei.

 Non riesci a piangere, la paura ti impedisce di fare anche quello.
Lei è lì, giace riversa in pigiama, incosciente. Una parola ti attraversa la mente (e non è affatto un petalo): morta.
 Non riesci a parlare: ti avvicini a lei, sotto gli occhi di tutti. La prendi delicatamente per le spalle, la volti, sposti alcuni ciuffi di capelli dal viso.
C’è sangue ovunque ora, e sei certa che sia velenoso a berlo.
 Puoi solo pensare: era quello il veleno di cui parlava? Aveva pensato di eliminarlo tutto in quel modo?
 
 A quel punto non pensi più. Tutto quello che fai è stringere a te quel corpicino, sognando di ripararlo.
 E adesso sì che la gente si sta facendo troppo soffocante…


I'm back! Troppo tardi: la scuola e tutti gli altri impegni mi hanno risucchiata, e ora se riuscirò a postare qualche capitolo sarà a ogni morte di papà. Ma farò del mio meglio, per ringraziare tutte quelle persone che vengono a leggere, che hanno recensito e che recensiranno :)
Scusate per la brusca fine del capitolo. Aggiornerò il prima possibile... nel frattempo faccio la bastarda e lascio il lettore col fiato sospeso. In ogni caso, sappiate che chiunque pensi di recensire sarà sicuramente il più figo della via Lattea ;)

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Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


-Non vogliono lasciarmi andare.
-Lo so. I medici hanno parlato anche con me- disse Lina.
-Ma io sto bene, davvero!-
-Convincili. Hai tentato il suicidio, dopotutto-.
Le parole di Lina mi fecero attorcigliare il cuore per una frazione di secondo: detta così, la cosa non sembrava affatto ragionata.
-Mi spiace. Davvero- sussurrai.
Lina rovesciò la testa all'indietro, rischiando di far ribaltare la sedia su cui era seduta. E io non avrei neanche potuto recuperarla, da costretta al letto com'ero.
-Non ti preoccupare. Piuttosto, i medici vogliono farti parlare con uno psicologo-.
-Che se lo levino dalla testa, il mio cervello sta benissimo!-
-Ma se sei così idiota che non sei neanche capace di suonare- sogghignò Lina.
Avrei voluto tirarle un cuscino, ma preferii restituirle il sorriso.
 -Ho voglia di sentirti. Quand'è che mi canti una canzone?-
-Siamo in ospedale, non mi pare il caso...-
Alzai gli occhi al cielo. Non proprio al cielo però, perché tutto quello che il mio sguardo incontrò fu il soffitto bianco della corsia in cui ero ricoverata.
Pensai che io e Lina eravamo sole, nessuno stava ascoltando...
 -Lina, sei venuta con la Vespa?-
 -Sì...-
La fissai, mentre mi si allargava un sorriso sulla faccia:
 -Tirami fuori di qui-.
 -Ma...-
 -Lina, lo sai anche tu come stanno le cose. Come glie lo spieghi ai medici che, pur avendo tentato il suicidio, io non abbia neanche un graffio?-
 Lina non rispose. Perché, effettivamente, non c'erano risposte... per lo meno risposte plausibili.
 -Dimmi come te lo spieghi tu, prima di tutto-.
 Sospirai.
 -Non potevo morire. Non potevo farmi del male... non se continui ad esistere anche tu. Fino a quando il tuo cuore batte, batte anche il mio. E questo perché...
 -... perché abbiamo un cuore in due; mezzo a te, mezzo a me-.
 -E nessun medico, nessuno psicologo ci arriverà mai-.
 -Direi di no-.
 Ci scambiammo uno sguardo: lei aveva gli occhi talmente furbi e intelligenti da poter mettere in fuga il primo che l'avesse infastidita.
 -Dobbiamo essere veloci- disse infine.
 -Sapevo che avresti capito!-
 -Non sarebbe potuto essere altrimenti, no?- mi fece l'occhiolino, poi tirò fuori dalla borsa un paio di jeans e una t-shirt scura per sotituire il pigiama in cui ero costretta.
 -Se ci fermano cosa inventiamo?-
 -Fermarci? E come potrebbero fare? Siamo talmente potenti che la gente ci fa un baffo-.
 
 Sorriri, presi Lina per mano e tutto quello che rimase di noi in quell'ospedale fu un letto sfatto e il rimbombo di passi che si allontanavano.

 

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Capitolo 14
*** capitolo 14 - una volta per tutte ***


Nota dell'autrice: non avrei ambientato il finale dove è ambientato, se non fossi nata dove sono effettivamente nata. Ma c'è un motivo, in appendice (si dice così? Boh).
Buona lettura a tutti gli strafighi che hanno aperto questa storia!



Corre la Vespa: attraversa strade sempre più buie, sotto un sole che cedeva gli ultimi rimasugli di luce alle montagne stanche e tremolanti.
Anche io e Lina tremavamo, ma di freddo. Stava calando la notte, l'escursione termica precipitava e io non avevo altro se non una t-shirt dei Ramones e un giubbetto.
 Non portavo neanche il casco, ma non me ne preoccupavo: la città era deserta. E lo sarebbe rimasta per molto tempo... difficile immaginare uno scenario più tetro: era una città copletamente a terra.
Le case, i palazzi, i negozi e tutti gli edifici erano stati sgretolati dal tremolio delle montagne. Apparivano profanati, ma le macerie che si stagliavano nel tramonto apparivano dignitose. Ferite e dignitose: tipo me e Lina.

Lei parcheggiò la Vespa e si tolse il casco; scosse la testa per far tornare ogni ciocca di capelli al proprio posto e si girò verso di me, appallottolata e intirizzita dietro di lei.
 -Che cosa stupida arrivare fin qui. E' quasi buio ormai- dissi. Lina scese dal motorino.
 -Sì. Beh, di giorno è più facile che ci becchino- rispose.
La fissai perplessa.
 -Oh. Stai pensando quello che penso io?-
Lei ripose il casco e tolse la chiave. Sorrise.
 -Ovvio. E' ora di svegliare un po' quello che è assopito-.

Abbiamo scavalcato le transenne e siamo entrate di nascosto nella zona rossa.
Zona rossa: la zona pericolante, la zona pericolosa. Roba per noi, roba che era nostra.
A quel punto si era fatto completamente buio, le stelle si vedevano benissimo.
 Ci siamo mosse alla luce della luna, in silenzio e con gli sguardi persi. Qualcosa dalle parti del petto batteva, ma non riuscivo a capire se era più forte quel battito o il suono dei nostri passi. Entrambi quei rumori erano gli unici che si sentivano.
 Mentre ci aggiravamo tra le macerie, le emozioni si mescolavano; c'era inquietudine (passeggiare per le vie della propria città non dovrebbe essere proibito, eppure lì lo era), c'era timore, preoccupazione... e un sacco di adrenalina.
E c'era la certezza che, se non avessimo fatto qualcosa, sarebbe esplosa.
 Le sette divennero le otto. Le nove. Le dieci. Le undici. E noi continuavamo a camminare come ipnotizzate.

 C'era una panchina, coperta di scritte liceali risalenti a mesi e mesi prima. E altrettanti mesi, se non anni, sarebbero passati prima che qualche liceale tornasse a scriverci sopra.
 Ci sedemmo davanti alla statua di Sallustio che, inclinato, ci fissava austero.
Passarono i minuti.
 -Mmm... Lina?-
 -Dimmi-.
 -Canta-.
 -Oh... non è cantando che le macerie si rimettono insieme-.
 Mi fissai le scarpe, puntellandomi con le mani sulla panchina, e cominciai a dondolarmi.
 -Beh, sì, ma... cazzo, male non fa!- esclamai.
 Un pipistrello, spaventato, volò via e si andò ad infilare dentro un buco in un palazzo.
 Lina mi fissò di sbieco, alzando un sopracciglio. Un sorriso le si arricciò all'angolo della bocca.
 -Qui non ci sentirà nessuno, a parte i topi- disse dopo aver ridacchiato.

 La corsa verso la Vespa fu spettacolare: ognuna di noi voleva arrivare prima dell'altra, e allora sdrucciolavamo sui sampietrini sconnessi, sulla ghiaia e sulle macerie. Lina mi urlava di rallentare e io ridevo, io mi voltavo e lei mi prendeva in giro.
 Saltammo sulla Vespa e Lina mise in moto.
Ci allontanammo dal centro storico, prendendo una strada a caso. L'importante è allontantarci da quei cumuli di macerie, aveva detto Lina.
 -Hanno fatto parte della nostra vita, "quei cumuli di macerie"- risposi.
 -Sì, e ci hanno anche fatto parecchio male-.
 -Già. Io però non li odio. Volevo bene a quello che ora è macerie-.
 -Io pure. sarà ben imparare a convivere con loro fino a quando non troveremo un modo per sistemarle... per toglierle di torno-.
 Alzai lo sguardo verso le stelle, mentre filavamo per le vie deserte.
 Mi venne voglia di tagliarmi i capelli.
 Mi venne voglia che fosse mattina.
 Mi venne anche voglia di cantare.
 Cantammo, cantammo fino a quando non alzammo così tanto la voce da svegliare la gente che dormiva nelle case.
 
Quella notte abbiamo cantato tutte le canzoni di cui sapevamo le parole.
 Abbiamo svuotato il serbatoio della Vespa e, una volta rimaste a secco, ci siamo buttate su un prato a fumare e a guardare le stelle.
 Quella notte siamo state sole, senza incontrare nessuno; pochi sono riusciti ad entrare in quella città in cui noi scorrazzavamo come cavallette.
 Abbiamo aspettato l'alba e, quando il sole stava per sorgere, ci siamo arrampicatesu un albero per vederlo meglio.
Lina odia il rosa, ma la luce dell'alba le sta d'incanto.
 Io le ho intrecciato i capelli e lei mi ha raccontato che non suonava da un po'.
 E, mentre aspettavamo che il primo bar aprisse per prendere qualcosa di caldo, ho sentito il mio cuore abbandonarsi sollevato dentro di me e sorridere.
Una volta per tutte.


Avezzano, 14.06.2010, ore 23:16

Ed eccomi, infine. Solo una piccola nota: sì, parlo dell'Aquila qui, nel caso non si fosse capito.
Ho scritto questo capitolo in tarda primavera... ma è davvero così: da queste parti, se vuoi andare in centro, ci sono camionette di militari e transenne che ti proibiscono l'accesso ai luoghi che eri abituato a considerare la tua città.
  Non ho la minima intenzione di mettermi a fare politica, cosa-è-stato-fatto-e-cosa-no, perché odio la politica, i politi e i magheggi che hanno fatto e continuano a fare (soprattutto qui). E ora chiamatemi ignava.
Semplicemente, prima del sei aprile abitavamo in una città con centro storico, ora in una città senza centro storico.
Ci si adatta a tutto, anche perché non c'è molto altro da fare.
 Se non fossi stata aquilana, non avrei osato usare questa città come sfondo.
Ma, mio malgrado, lo sono, con tutto quello che ciò implica. E ho pensato che Lina e la protagonista avrebbero dovuto vivere il peggio del peggio. Il che implica anche che avrebbero dovuto abitare una città difficile. Difficile come L'Aquila. Beh... almeno per me, che all'Aquila non abito più ma a cui rimango aggrappata come un gatto al cuscino preferito, è difficile.
 Ma comuque tornerò a casa, prima o poi, quindi sto apposto :)

La storia finisce qui.
Grazie a tutti voi che l'avete recensita (soprattutto a Miharu, che riesce sempre a farmi sentire meno fallita xD). Siete i migliori recensori del mondo.
 Vi prego, fatemi sapere cosa pensate di tutta la storia... è importante per me :)
Grazie <3 
 

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