Your blackmail, my downfall; Vol.1

di _Dubhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - your Blackmail, my Downfall ***
Capitolo 2: *** savage into the Lie ***
Capitolo 3: *** the first: Kreyia ***
Capitolo 4: *** ;;new dirty little Secrets ***
Capitolo 5: *** the second one: Luran ***
Capitolo 6: *** when everything changes ***
Capitolo 7: *** ;;normal, Slytherin life ***
Capitolo 8: *** Daphne Greengrass ***
Capitolo 9: *** a Way of not Return ***
Capitolo 10: *** ;;the Rise and the Fall ***
Capitolo 11: *** all together passionately ***
Capitolo 12: *** some Friends never leave us ***
Capitolo 13: *** ;;Nukter & Liliat ***
Capitolo 14: *** her name is Hermione Granger ***
Capitolo 15: *** fool me Once ***
Capitolo 16: *** ;;delitto e Castigo, parte prima ***
Capitolo 17: *** delitto e Castigo, parte seconda ***
Capitolo 18: *** when you say Nothing at All ***
Capitolo 19: *** ;;Betrayments, lies and love ***
Capitolo 20: *** The path of Blood and the path for Life ***
Capitolo 21: *** Things we want and Things we can't get ***
Capitolo 22: *** ;;I'll try to fix you ***
Capitolo 23: *** Epilogo - Your blackmail, My downfall, Our happiness ***



Capitolo 1
*** Prologo - your Blackmail, my Downfall ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Prologo



Theres so many wars we fought
 Theres so many things we're not
 But with what we have
 I promise you that
 We're marchin on 
[Marchin' On - One Republic]

***


La mora si fissò allo specchio, passandosi una mano sul volto stanco. L’ombretto viola era ancora intatto, le matita nera non era sbavata e i ricci erano ancora perfettamente sistemati nell’acconciatura. Riluttante, spostò lo sguardo più in basso, assicurandosi che la stoffa nera rivestita di brillantini viola la coprisse ancora adeguatamente: i corpetti non erano il suo forte, qualcosa finiva sempre con lo sfuggire al suo controllo e lasciare che la sua dignità, già fortemente minata, ne risentisse ancora di più. Era degradante il modo in cui quel vestito non la coprisse: potevano mai esistere pezzi di stoffa così stretti a, contemporaneamente così scomodi e imbarazzanti? Per non parlare dei vertiginosi tacchi neri che portava ai piedi! Aveva imparato a sue spese come la bellezza non fosse affatto secondaria in quel lavoro maledetto ma, anzi, costituisse l’unico mezzo con cui ottenere un qualche guadagno. La spogliarellista! Come diavolo aveva fatto Hermione Granger, la più intelligente e brillante strega del suo tempo, a finire in un bordello come quello? Involontariamente lo sguardo le cadde sul rigonfiamento della giacca appesa qualche metro più in là: la sua bacchetta. Cosa avrebbe dato per poterla usare e smaterializzarsi? Scappare, magari chiedere aiuto ai maghi, suoi simili. Poi, con ancora più dolore, si ricordò di come non potesse farlo: erano stati proprio i suoi simili a ridurla in quella situazione, anche se il grosso del lavoro l’aveva fatto da sé.

Erano passati esattamente 4 anni da quando il nuovo Ministro aveva deciso, spinto da consiglieri bigotti e per nulla intelligenti, a rivelare alla comunità dei babbani l’esistenza del mondo magico e dei maghi. Si era sollevato un polverone come pochi, che né la storia babbana e neppure quella magica avevano mai affrontato prima d’allora. Isteria, diffidenza, accettazione in pochi casi e, per il resto, caos. Ci erano voluti gli sforzi congiunti di molti uffici – senza contare le numerose, illegali maledizioni cruciatus – per calmare le acque. L’ultimo tentativo disperato era stato quello di integrare i migliori maghi, nati babbani, nel loro mondo di appartenenza, in modo tale da dar prova di come i loro mondi potessero cooperare. La cosa sarebbe stata facile, divertente persino, se non ci fosse stato un piccolo intoppo: nessuno doveva sapere che i maghi erano effettivamente.. maghi. Pochi erano riusciti a inserirsi, gli altri – dotati di zero esperienze lavorative e di diplomi che arrivavano alle scuole medie – aveva dovuto arrangiarsi. Il suo di arrangiamento era stato un pidocchioso strip-club di nome “Pussy-Pussy Cat”, gestito da una Maganò, l’unica a sapere della vera natura di Hermione.

In tutto questo, poi, nessuno sapeva quale fosse la sua reale occupazione: dire a Ron, il suo quasi-futuro-marito che si toglieva la biancheria intima per vivere era come buttarsi su una pira e lasciarsi ardere di propria volontà. Cosa avrebbero detto gli altri se l’avessero scoperto? Hermione Granger, la grande e famosa Hermione Granger che lavora come una spogliarellista, come una donna di bassa lega qualsiasi? Grazie al cielo nessun mago si spingeva tanto lontano per un proprio desiderio non appagato e lei, in un modo o in un altro, era riuscita a tener nascosta la cosa a tutti, meno che ad Harry. Un po’ perché lui l’aveva indovinato, un po’ perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, era stato inevitabile confidargli tutto e lasciare che lui la coprisse, nelle rare volte in cui le sue scuse non reggevano e rischiava di essere smascherata. Maledetto Ministero e maledetta Legge!

«Shelley, cara, tocca a te dolcezza! – gridò una bionda, emergendo da dietro delle tendine trasparenti che portavano direttamente sul palco – Il pubblico è come impazzito a sentire il tuo nome! Sei una stella!»

La scelta di un nome falso era stata un’esigenza quasi scontata. Si alzò, guardandosi per un’ultima e straziante volta allo specchio. No, non era il suo quel riflesso, non le appartenevano né quel corpo e neppure quegli occhi rassegnati, circondati da perline e brillantini colorati; la grande strega, divertimento notturno di malati e perversi babbani. Senza indugiare oltre, lasciò che le luci della sala la avvolgessero e entrò nel salone, pieno di voci ululanti.

***

«Smettila di farti tanti problemi, Draco. Non sarà un locale lussuoso come quelli a cui sei abituato, ma è tranquillo, e conosco la proprietaria. Non ti deluderò.»

«Non ho mai dubitato del fatto che tu, Zabini, potessi deludermi. Se l’avessi fatto, adesso non staremmo avendo questa conversazione, ti pare?»

Il giovane Malfoy si limtò a questa battuta, tagliente ma sagace, per concludere definitivamente la discussione con il suo migliore amico. Non era un vena di discutere, dopotutto erano lì per divertirsi, che si trattasse del posto più ricco della Gran Bretagna o della bettola più lurida, alla fine, una donna è sempre una donna, e conoscendo Zabini qui non sarebbe rimasto deluso. Dopotutto, era pur sempre l’uomo che andava a letto con quella Weasley. Bisognava concederglielo, non era per niente male come scelta. La rossa era sposata con Potter da troppo tempo, ormai, era logico che andasse in cerca di relazioni più stimolanti: e chi se non un serpe verde di prima categoria poteva darle quel che cercava? Certo, all’inizio aveva tentato di conquistare le attenzioni del Principe delle Serpi, era vero, ma quello che avevano condiviso non era stata che una notte di passione, che gli era bastata. Non si poteva dire altrettanto di lei, purtroppo, visto che era evidente come bramasse le attenzioni del biondo, ma a Draco lei non stava più simpatica di una pustola sul piede. Aveva un bel corpo, certo, ma l’appagamento fisico era qualcosa che qualsiasi ragazza poteva sargli, non era solo sua prerogativa. E poi Blaise, era evidente, ci teneva alla rossa, a modo suo, quindi non aveva avuto neppure il coraggio di fargli notare di quanto lei, in realtà, gli fosse indifferente. Occhio non vede, cuore non duole. Finchè nessuno infrangeva l’equilibrio potevano vivere tutti felici e contenti, perché preoccuparsi?

Il locale, ma c’era naturalmente da aspettarselo, non era uno dei migliori ma neppure una feccia totale. I divanetti di pelle rossa erano disposti lungo la pareti, alcuni con davanti un tavolo e altri circondati da separè mezzi trasparenti, probabilmente per dare un po’ di privacy ai clienti più esigenti. La luce filtrava attraverso lampade colorate, dando all’ambiente un aspetto soffuso e fumante. C’era odore di incenso, e rhum scadente. Sotto il palco centrale erano accalcati gli uomini più diversi, alcuni posati e con arie da ricconi, altri senza il minimo pudore, che si sdraiavano ai piedi delle ballerine per implorare una loro carezza, patetico. Loro, tuttavia, non si fermarono lì, ma proseguirono fino ad una sala laterale, dove la musica era più bassa e l’ambiente più curato: Zabini sapeva quel che diceva, affermando che il locale non era tutto da buttare. I tavolini erano di legno scuro, con piccole candele a fare luce, i divanetti erano di stoffa scura e l’unico palco si trovava esattamente al centro della sala. Alcuni posti erano già occupati da quelli che avevano tutta l’aria di essere dei diplomatici e uomini d’affari, sicuramente ricchi quanto basta da potersi permettere quel “lusso”. Delle signorine erano sedute accanto a loro o, alcune, addirittura sulle loro gambe, giocherellando meste con le loro cravatte o la zip dei loro pantaloni. Malgrado ritenesse l’ambiente più che sufficiente per loro due, conoscendo i gusti dell’amico, l’altro non si fermò e continuò a camminare, portandolo in un salottino laterale, libero e poco illuminato, con un unico divanetto e un palchetto più piccolo, un bar privato e delle fanciulle che sorridevano rilassate, offrendo loro da bere.

Ok, stavolta Blaise si era superato. Nel chiudere la porta dietro di se, Malfoy dettò un’ultima occhiata alla sala che stava lasciando: era davvero questo ciò a cui si era ridotto? Locali babbani? E, mentre quel pensiero passeggero gli sfiorava la testa, i suoi occhi furono catturati dalla visione di una ragazza che ballava sul palco. Era magra, ben proporzionata, stranamente ancora vestita e, benché stesse facendo un lavoro tutt’altro che rispettabile, aveva un atteggiamento stranamente dignitoso. Era un controsenso, la Serpe se ne rendeva conto, eppure l’impressione che ne riceveva era proprio quella, e non solo. Avrebbe tanto voluto sbagliarsi, eppure quella figura avvolta in pizzo nero e shiffon viola gli sembrava familiare, conosceva quella ragazza, ma non riusciva a ricordarsi il come. Chi era?

«Amico, stai bene?» La voce di Blaise bastò a distoglierlo da quelle futili speculazioni: quanto poteva essere importante una sua conoscenza, se per lavoro faceva la spogliarellista? Chiuse la porta dietro di se e si accomodò al suo posto, prendendo un bicchiere di liquore e sorridendo alla bionda che gli stava porgendo un delizioso piatto di fragole con la cioccolata. Non fece in tempo a prenderne una che notò come l’amico si stesse già dando da fare. Con la stessa velocità, si rese conto che quella, per lui, non era la serata giusta.

Senza dare troppe spiegazione, lasciando Blaise a slinguazzarsi le due biondine, uscì da una porta laterale che, scoprì, essere l’entrata ai camerini: probabilmente era stata progettata come una via d’uscita d’emergenza, nessuno la usava mai. Si accese una sigaretta, chiudendo gli occhi, la schiena poggiata contro il duro muro di pietra dietro di se. C’erano molti piacere che trascendevano i desideri della carne, Blaise ancora non era arrivato a questa sottile conclusione e neppure desiderava farlo. Per lui qualsiasi cosa legata al sesso era sacra. Come adesso, nell’altra stanza. Come con la Weasley. Non c’erano cose appaganti che non riguardassero una ragazza, un bordello o un matrimonio. Ultimamente era proprio quello il suo spasso maggiore: che gusto ci trovava a mettere in una condizione precaria le neo-sposine, Draco ancora doveva capirlo. Ma ognuno è fatto a modo suo, l’indole non si crea e non si aggiusta, è qualcosa che ti porti dentro fin dalla nascita, come la razza, come il sangue.

Cattivo sangue non mente mai..– cantilenò la voce di suo padre, vivida e precisa come se fosse stato accanto a lui in quel medesimo istante. Come se fosse ancora vivo, il caro vecchio Lucius.

E, a quel pensiero malinconico, aprì le palpebre, rendendosi solo allora conto che il luogo in cui si trovava non era altro che la scaletta di accesso al palco della sala privata in cui erano passati prima. La ballerina che aveva visto doveva aver appena finito, perché stava scendendo velocemente le scale. Il biondo non fece in tempo a scostarsi per lasciarla passare, urtando inevitabilmente contro il suo corpo caldo.

«Scusami, io..»

Gli occhi marroni di lei incontrarono quelli di ghiaccio di lui e lo stupore sciolse l’atmosfera di ghiaccio in cui si trovavano i loro pensieri: Draco riconobbe nella ballerina la mezzosangue della Granger, lei riconobbe nell’uomo con la sigaretta in Principe delle Serpi. Rimasero a scrutarsi per alcuni istanti, incapaci di muoversi o proferir parola, entrambi increduli di fronte alla realtà del trovarsi faccia a faccia in un posto simile, vittima e carnefice che si scambiavano le maschere nel gioco di morte della sorte. Non era stato un colpo di (s)fortuna a farli incontrare quella notte, era stato il destino. Si, ma quale?

Come previsto, le parole non tardarono al uscire, tutte insieme e troppo veloci perché l’uno prestasse attenzione a quelle dell’altro. Si bloccarono di nuovo, calmandosi, e il biondo afferrò il braccio della mora, attirandola a se: la sua indole restava la stessa, appunto.

«Se mi avessi invitato prima al tuo spettacolino, Granger, ci sarei venuto volentieri. Com’è che non sapevo niente di questo tuo hobby?»

«Malfoy, maledizione, molla! – strattonò il braccio senza successo, continuando a fissare il suo interlocutore negli occhi – Guarda che non mi ci vuole una bacchetta per prenderti a calci, quindi molla la presa.»

«Brava, Granger, così ti voglio combattiva.. – ammise lui, allentando la presa, mentre la curiosità aveva la meglio – Allora, vuoi dirmi tu cosa ci fai qui o devo chiederlo al tuo fidanzatino?»

«NO! – urlò isterica Hermione, capendo di essersi tradita solo un istante dopo che quello stridulo suono era scappato dalla sua bocca.. voglio dire, che non ce n’è bisogno.. la legge sulla Convivenza con i Babbani.. non è così semplice come tutti credono. »

«Non mi piacciono gli indovinelli, mezzosangue, e neppure le conversazioni abbozzate tra un balletto e l’altro.. – sorrise, vedendola arrossire - ..mi piacerebbe proseguire questa conversazione in privato, vuoi? Domani sera alle nove, a Malfoy Manor. Non dovresti avere difficoltà nel trovarla, no?»

«Cosa ti fa credere che accetterò un tuo invito, Malfoy? – sputò velenosa lei – Il tuo fascino o la tua spudorata e immotivata arroganza?»

«Il ricatto, Granger. – rispose semplicemente lui – Perchè se tu non farai visita a me, io farò visita a te.. anche se dovrò far disinfettare le scarpe dopo aver messo piede in quella bettola dove abita Weasley..»

Le si avvicinò di un passo, la bocca a pochi centimetri dall’orecchio di lei, la voce un sussurro..

«..e non vogliamo che Weasley sappia delle nostre scorribande notturne.. dico bene?»

Non aspettò una risposta. Si voltò e, proprio come Hermione avrebbe voluto fare in quel preciso istante, si smaterializzò, lasciando dietro di se solo il profumo della sua colonia e la solitudine del nulla.

Hermione rimase a fissare il punto in cui era scomparso per qualche istante, incapace di muoversi. Non era un bene il fatto che Malfoy avesse scoperto il suo segreto, non era un bene il modo in cui adesso ne stava disponendo: l’aveva scoperta, minacciata e poi ricattata nel giro degli ultimi dieci minuti. Solo una serpe come Malfoy poteva essere capace di una simile scorrettezza. Ah, se avesse avuto la sua bacchetta a portata di mano quel verme, adesso, sarebbe già stata schiantato e disteso a faccia in giù in qualche fosso per scarichi biologici! Si passò una mano sul volto, togliendosi piccole goccioline di sudore dalla fronte, e governò i movimenti del proprio corpo fino alla sedia nel camerino, nella quale sprofondò come un peso morto.

***

Il giovane Malfoy si materializzò direttamente nella propria camera da letto. La scoperta che aveva fatto quella sera gli dava uno strano senso di soddisfazione: non era come l’aver scoperto un segreto qualsiasi, era come se il fatto che quel segreto riguardasse la Granger includesse tutto il divertimento. La sua mente viaggiava veloce, le mille alternative, le mille possibilità, Blaise e il locale erano ormai anni luce.

Adesso c’era un’unica figura nella sua mente, e quella figura era Hermione Granger.





Spazio autrice ù.u alias moi

Beh, cosa dire? Erano secoli che volevo scrivere una Draco/Herm ma, per una ragione o per un'altra, rimandavo smepre, senza contare il fatto che non ero riuscita mai a trovare la storia giusta che potesse calzare a pennello per questi due. Volevo qualcosa di avventuroso, certo, ma che allo stesso tempo mettesse in gioco gli altri personaggi della saga, magari con caratteristiche più profonde rispetto a quelli dei libri/film in generale.

Qui, in questa storia intendo, avrò modo di introdurre un pò tutti i protagonisti, partendo dai fratelli Weasley - Ginny e Ron, ma anche gli altri avranno la loro parte, Harry ovviamente, Blaise e la sua relazione/avventura con Ginny; aspettatevi un duro scontro Ginny/Herm, visto che ben presto le due si troveranno a malfoy Manor, e dio solo sa cosa potrà pensare Ginny vedendo Herm che parla con Draco.. si farà dei film? Probabile, anzi molto probabile. E cosa dirà invece Harry, l'unico a cui Herm possa rivolgersi per chiedere aiuto e consiglio, l'unico che in realtà sappia della sua doppia vita: gli svelerà del ricatto del giovane Malfoy? E quest'ultimo, riuscirà a conquistare la Granger o il suo amore per Ron vacillerà, alla fine? Ah, vi sto svelando troppo, ma vi ho dato numerosi spunti sui quali riflettere, non trovate
?

Pensateci e ditemi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere avere una vostra opione su questo brevissimo capitolo introduttivo.

Spero a presto - "presto" si intende quando sarò libera da impegni scolastici and co, quando di preciso non si sa! Un mega abbraccio a tutti voi.

xoxo, K


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Capitolo 2
*** savage into the Lie ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo I:

savage into the Lie
 

Bussò solo un paio di volte, per non dare l’impressione di essere impaziente o agitata. In verità, era sia impaziente che agitata, ma non avrebbe dato a quella viscida serpe la soddisfazione di venirlo a sapere. Anzi. La sua dignità aveva già fatto cilecca accettando quell’invito, se adesso si fosse arresa, abbassandosi ancora e arrivando ai suoi piedi, non si sarebbe mai ripresa del tutto. Lei era Hermione Granger, dopotutto: qualsiasi fosse il suo lavoro, qualsiasi fosse il suo abbigliamento, o il posto in cui viveva, o come ci viveva, nulla era paragonato all’umiliazione che stava provando nel trovarsi di fronte a quell’enorme portone di quercia, con incisioni elaborate e maniglie luccicanti. Se questo era l’esterno, non voleva neppure pensare all’interno. Sorrise, compiaciuta di sè: la ricchezza era solo l’esteriorità dell’essere, peccato Malfoy non l’avesse ancora capito questo. Come si aspettava, un elfo domestico venne ad aprirle la porta: era una lei, a giudicare dal volto, anche se corrugato in una strana espressione di sofferenza e compostezza. Le rivolse un debole sorriso, tentando di salutarla, mentre lei, in tutta risposta, trattenne il fiato e si smaterializzò, quasi fosse stata minacciata di morte. Ah, maledizione! Perché quei dannati elfi erano così strettamente legati al desiderio di soffrire in nome del loro padrone, un masochismo come quello avrebbe dovuto già cadere decenni prima, in una società evoluta come la loro, mentre no, restava in piedi, ancora e più saldo di prima.

Con un sospiro di rassegnazione, si concesse di varcare finalmente la soglia di Malfoy Manor. Per precauzione, toccò il rigonfiamento del pantalone, assicurandosi che la sua bacchetta fosse ancora a posto, integra e funzionante: i ricordi dell’ultima volta che era stata lì erano lontani, come lo sfondo di un passato doloroso, ma erano ancora vivi e pulsanti. Troppo per poterli dimenticare e accantonare del tutto. E poi, con la bacchetta pronta, era riuscita a placare le proteste di Harry, fattore non meno importante. Era stata l’unica cosa che Harry le aveva detto, una volta che si era decisa ad andare contro la sua opinione.

«Harry.. posso parlarti?»

Il suo migliore amico era totalmente immerso nella sezione degli annunci della Gazzetta, stava scrutando con interesse un annuncio con scritte colorate e una trottola lampeggiante. Probabilmente, alla fine, si era lasciato convincere da Ron a comprare quello stupido affare per le loro serate “da maschi”. A lei e a Ginny, dopotutto, non davano fastidio, anzi, la vedevano come un’occasione buona per trascorrere il loro poco tempo libero con le amiche o, nei casi estremi, nelle occupazioni dell’ultimo minuto, sempre tante e sempre irrisolte. Era soprattutto Ginny ad averne, di questi problemi. Lei, Hermione, il più delle volte si limitava ad una bella lettura o ad una burro birra con Calì e Hannah.

Quando vide che l’interesse di Harry non si smuoveva dal foglio di carta, decise di agire con un attacco a sorpresa e sperare che funzionasse.

«Beh, mentre ero al locale l’altra sera.. ho incontrato Malfoy. Mi ha afferrato per un braccio, minacciato, insinuato che avrebbe rivelato a Ronald che lavoro lì.. se non vado a cena, da lui, questa sera. Non so cosa fare, non so se andarci e, speravo che tu, mio migliore amico – quando non leggi il giornale ignorandomi! – potessi darmi una mano proprio in questo.. andare o non andare?»

Tornò a fissare gli occhi sul moro, spostandoli dalla grossa libreria di ciliegio a cui li aveva incollati, e trovò gli occhi verdi di Harry su di lei, fissi e sconvolti. Era piacevole sapere che, dopotutto, l’ascoltava davvero, di tanto in tanto. Senza scomporsi, lo guardò di rimando, le braccia incrociate sul petto e un sopracciglio inarcato: segno di sfida, della serie credi-che-non-possa-farlo-davvero-Potter?

«Herm, sei uscita di testa? – gridò lui, a scoppio ritardato – Malfoy? Quella serpe di Malfoy? Ti ricordi che ha quasi ucciso Silente, si? E che era un Mangimorte? Che altro.. aspetta! E’ la persona più viscida su questo pianeta.. davvero non immagini quello che voglia da te, a cena, dopo averti vista in quel locale?»

La voce di Harry era eloquente e, bisognava ammettere, che nemmeno la ragazza era stupida: certo che ci aveva pensato, era stato il primo pensiero ad averle sfiorato la mente quando quella serpe gliel’aveva proposto. Non era difficile da immaginare cosa volesse eppure, per quanto ottimista e ingenua volesse essere, la verità era che volevacredere nel fatto che ci fosse qualcos’altro sotto. Cosa, di preciso, non lo sapeva neppure lei, eppure non poteva comportarsi in modo diverso. Era a rischio tutto quello che aveva con Ron, tutto il loro rapporto, il loro amore, l’affetto condiviso nel corso di tanti anni.. si, doveva andare in quel posto, maledetto e spaventoso ai suoi occhi, per lei e per quello che aveva di più caro.

Non si scompose. «Ci sono cose più importanti, e poi so ben difendermi, lo sai questo?»

Il suo miglior amico si concesse, suo malgrado, un sorriso tirato e passeggero, mentre chiudeva il giornale e lo posava sul tavolino accanto alla poltrona. I suoi occhi si fissarono in quelli di Hermione. «Io non ho mai preteso di dirti cosa fare, Herm, ma solo di consigliarti per il meglio. Se pensi – se vuoi – andare da quella serpe, fallo. Togliti questo pensiero come faresti con un incarceramus mal riuscito, un movimento di bacchetta e via. Non ho paura per te, sarei uno sciocco a pensare che qualcuno, chiunque, possa essere in grado di battere Hermione Granger.»

Lei acconsentì con un cenno del capo, gli occhi leggermente lucidi. «Solo.. – mormorò infine – qualsiasi cosa accada, non dirlo a Ron. Coprimi, se puoi.. è per lui che lo faccio, vorrei solo che non andasse tutto a rotoli per colpa di..»

«Tranquilla.» La voce di Harry la interruppe bonaria. «Andrà tutto per il meglio. E.. Herm? Hai una bacchetta, non aver paura di usarla, anche se si tratta di “mutilare e ferire gravemente”, capito?»

Entrambi si lasciarono scappare una risata al ricordo del piccolo elfo a cui quelle parole appartenevano. L’ultima risata di quella sera, prima che la ragazza girasse su se stessa e si smaterializzasse.

Come era prevedibile, la casa dei Malfoy non era un palazzo semplice, magari con qualche quadro costoso o tappeto persiano. Era l’elogio della perfezione e del barocco, espressione dell’eccesso e del superamento dei limiti, in qualsiasi forma e misura. Era qualcosa che accecava gli occhi a tal punto da costringere, chiunque vi entrasse, a sbatterli più volte e abituarsi. Malgrado ciò, non c’era molta luce, anzi: la stranezza era che quello splendore accecante non era altro che un riflesso dello spirito, mentre l’ambiente restava offuscato da una penombra scura, quasi nebbiosa. Le mura erano ricoperte da quadri antichi, a giudicare dalle cornici elaborate, con i vari componenti della famiglia Malfoy, come si deduceva dai colori verde smeraldo, nero e argento. Alcuni sonnecchiavano, altri la scrutavano con cipiglio severo, altri ancora si permettevano di sussurrare qualche insulto. Oh, purosangue! La loro fastidiosa presenza non era eliminabile neppure con la morte, maledizione!

Non sapendo con esattezza dove andare – e poiché non c’era nessuno ad indicarle la strada – si decise di proseguire da sola, circospetta eppure curiosa: dopotutto, era pur sempre una reggia vecchia di secoli, chi non ne sarebbe stato attratto?

Una persona intelligente, mia cara..– le sussurrò maligna la sua coscienza -  Hai presente l’espressione a casa del nemico? Anzi, meglio.. a letto con il nemico?

Scacciando quei ridicoli – perché, si, erano del tutto ridicoli! – pensieri dalla mente, oltrepassò qualche salone desolato, immerso nella penombra dei caminetti accesi, ricoperti da stoffe verdi e nere, tavoli di legno scuro, librerie e altri pezzi di artisti più o meno famosi, babbani e non. Se non si fosse trattato di un’abitazione privata, era certa che sarebbe potuto benissimo passare per un museo. E poi, quell’ambiente sfarzoso e ricco combaciava perfettamente con l’idea che si era fatta del giovane rampollo della famiglia Malfoy: un ragazzino viziato, già cresciuto, eppure fermo con il cervello all’età della pietra..

Trovarlo, dopotutto, fu più facile del previsto. Il padrone di casa era seduto nel salottino più grande, illuminata da lampade dalla luce giallognola, il caminetto, ad altezza d’uomo, che lasciava che le fiamme, scoppiettanti e allegre, si abbattessero con lunghe ombre sui mobili e sulle figure nella stanza. Di fronte al camino, dei divani di pelle scura, ricoperti da coperte bianche di soffice lana, cuscini argentati e verdi sui bordi, braccioli neri, erano posizionati in posizione obliqua, mentre una poltrona, l’unica, si distingueva per il suo schienale eccessivamente alto. Su di essa, con in mano un bicchiere di un denso e scuro liquido ambrato, era seduto Malfoy. Il suo sguardo non tradiva alcuna emozione – benché fosse evidente che avesse sentito arrivare la sua ospite.
Hermione si schiarì la voce, nessuna reazione. Provò di nuovo, e di nuovo la serpe parve non sentirla. Sarebbe stata tentata di avvicinarglisi e colpirlo ma, ritenne, non sarebbe stata una scelta saggia, dato il motivo per cui aveva deciso di raggiungerlo. Quel maledetto avrebbe parlato, in un modo o in un altro, con le buone o con le cattive, non era venuta lì per guardarlo seduto di fronte al suo caminetto antico, lo sguardo sicuro di sé e il bicchiere in mano. Chi si credeva di essere, Merlino? Per sua informazione lei non era una persona di facile sottomissione, era già tanto l’aver acconsentito a venire lì – venire, da specificare, non andare perché lui gliel’aveva chiesto. Le sfumature sono qualcosa che non si riesce a cogliere, spesso, nel discorso: ci teneva semplicemente a precisare, per non apparire quello che in realtà non era.

«Ti ho sentita, Granger, non c’è bisogno di stare lì e fissarmi con odio. Hai due divani proprio davanti a te. Siediti.»

Preferì vederlo come un invito, piuttosto che come una tacita richiesta, se non ordine addirittura. Si sedette, incrociando le gambe e fissandolo con odio: ah, quanti galeoni avrebbe dato per spaccare quella faccia da sbruffone – di nuovo, si ricordò mentalmente, in una gioiosa ricostruzione del suo terzo anno ad Hogwarts. Era solito trattare tutti con arroganza, addirittura con superiorità – che non gli si addiceva né dal punto di vista sociale, né pratico: non era migliore di tanti altri purosangue e neppure il miglior mago della sua epoca. Quel ruolo era e restava un primato indiscusso, raggiunto all’apice della sua avventurosa vita da Albus Silente, morto per mano del padrone che suo padre si era ostinato a seguire, quello stesso padrone di cui portava ancora il segno sul braccio, il padrone a cui aveva affidato la sua devozione, tradendo il mondo magico e i suoi stessi coetanei. No, lei non l’aveva dimenticato il suo sguardo freddo, gli occhi di ghiaccio che fissavano la bacchetta di sua zia torturarla, non era una cosa che ti esce facilmente di mente. Ma si, era venuta lì, andando contro tutto quello che il buon senso, il suo orgoglio e la sua devozione alla giustizia le ordinavano perché sapeva, dentro di se, quanto lei meritasse di sopportare la vicinanza di quella serpe e , allo stesso tempo, di quanto Ron non meritasse soffrire per causa sua. Lei era quella che aveva accettato un lavoro infido, pur di guadagnare qualcosa, lei era quella che l’aveva protetto con il velo delle sue bugie, a costo di separarsi da lui con un baratro, lei era quella che aveva fatto tutto da sola. Tutto. Ora, stava a lei risolverlo. Malfoy era solo il gradino che le impediva di compiere quel passo.

«Vedo che sei venuta..» - acconsentì a notare, infine, infilando ancora di più il coltello della ferita, già profonda e dolorosa. Lei, per non dargli soddisfazione, si limitò ad un cenno del capo, seguito da uno sguardo deciso.
«La verità, Granger – proseguì lui – è che, per natura, non mi piace guardare streghe intelligenti e potenti come te ridotte.. in disgrazia, va contro il mio spirito cavalleresco..»

L’aveva appena chiamata strega intelligente e potente? Spirito cavalleresco?

«Beh.. sta di fatto che la Maganò per cui lavoravi era la zia di Blaise..»

«Lavoravo? – lo interruppe lei, sentendosi un macigno nel petto – Mi hai fatto licenziare?»

Lui sorrise, ironico. «Non essere sciocca, non posso decidere io chi assume e chi licenzia quella megera. Ma tu si. Lascia quel lavoro e vieni a lavorare per me, Granger.»

Hermione rimase con la bocca aperta – letteralmente – tanto che, accortasi della sua condizione, si affrettò a richiuderla. Le stava offrendo un lavoro? Insomma, un’ancora di salvezza da quel postaccio e da quella vita schifosa, fatta di sguardi languidi e  personaggi lascivi? Cosa diamine voleva dimostrare con quella carità? E poi, lo stupore lasciò lo spazio alla ragione, l’unica fidata confidente di cui la ragazza potesse fidarsi ciecamente: non intende farti un favore, sciocca! Non ha detto che tipo di lavoro dovrai svolgere, non è forse evidente? Quando capì, la sua mascella si fece d’un tratto rigida, lo sguardo duro e le labbra arricciate, in una chiara manifestazione di disappunto e disgusto. «No.»

La serpe, che non poteva aspettarsi altro da una Gryffindor come lo era la ragazza, non si scompose, ma continuò in quello che era il suo intento: non voleva certo farle la carità, figuriamoci! Non era nemmeno questione di.. sesso. Aveva migliaia di donne a disposizione per quello, figurarsi! Ma l’impresa che doveva compiere, che tentava disperatamente di compiere, era vana senza un valido alleato. Blaise era troppo stupido e debole per aiutarlo, chiunque altro avrebbe tentato di intralciarlo, piuttosto che dargli una mano. Ma lei.. era perfetta. L’idea l’aveva sfiorato non appena l’aveva vista in quel pub, la sera precedente, non appena si era reso conto che lenticchia non sapeva nulla di quello che la sua fidanzatina facesse di notte. Non per sua volontà, sicuro: il Ministero e la sua stupida Legge era una delle poche cose che odiava dal profondo del cuore, visto che obbliga i Maghi a vivere come persone comuni, odiati e disprezzati per tentare di integrarsi in un mondo che non gli appartiene. Una ragazza – giovane donna, si corresse mentalmente – non meritava un destino come quello, soprattutto se si trattava di una ragazza come Hermione Granger, che aveva combattuto con così grande impeto e forza di volontà il Signore Oscuro. Poteva essere utile in altri modi, ad altre persone e in altre occupazioni. Allora perché non per lui? Se si fosse trattato di altre circostanze, non l’avrebbe neppure preso in considerazione, visto che la strega avrebbe preferito rinchiudersi in una cella con un Ungaro Spinato piuttosto che aiutarlo, ma adesso era lui con il coltello dalla parte del manico. Aveva bisogno del suo aiuto e lei, malgrado tutto, non poteva sottrarsi a questo. Il destino aveva delineato proprio una trama niente male, dopotutto. E lui, Draco, avrebbe fatto di tutto per sfruttare quest’occasione, per volgerla al suo vantaggio. Dopotutto, la fortuna latina non è mai positiva o negativa, è esattamente nel mezzo, può volgersi ora verso l’una, ora verso l’altra parte. Sta a noi decidere come e dove farla volgere. E, purtroppo per la ragazza, Malfoy sapeva sia il come sia il quando poterlo fare.

«Non essere precipitosa. – riprese lui – Ti sto offrendo la possibilità di ottenere un mese di lavoro, lontana da quel postaccio, con me. E poi non vogliamo che lenticchia scopra tutto?»

Era troppo ottimistico pensare che lei potesse cedere così facilmente. «Scordatelo. Nemmeno morta vorrei lavorare per te, senza considerare che non hai ancora parlato dell’entità del lavoro che dovrei svolgere.»

«Non sarebbe divertente, non trovi? Ti propongo un patto.. è semplice. Io chiamo, tu arrivi. Tutto qui.»

Il sorriso che si era dipinto sul suo volto la fece solo adirare di più. «Stai scherzando o stai cercando in tutti i modi di fare in modo che ti lanci addosso un incarceramus e ti getti nel fuoco? Malfoy, è fuori questione..»

«Due mesi.. – azzardò di nuovo il biondo - ..e niente più nottate a strusciarti su di un sudicio pal..»

«Al diavolo! Non ho intenzione di farlo..»

Ah, io lo sapevo che avrei rinunciato a una fortuna.. ma il Potere è pur sempre il Potere..

«Come vuoi, Granger. Ultima offerta, e se vorrai rifiutarla potrai andartene e non ti infastidirò più.. ovvio, eccezion fatta per la mia discussione formale con il tuo lenticchia.. due anni.. due anni di stipendio, in galeoni, e te ne vai da quel postaccio per sempre. Considera che, se davvero sceglierai di aiutarmi, e lo farai nel modo in cui io ti chiederò, riceverai un premio, e quindi non sarà una misera paga babbana, la tua, ma una paga di una dipendente d’eccezione dei Malfoy.. io ci rifletterei..»

Non era stupido, sapeva che carte giocare, e capì di aver colto nel segno quando il labbro di Hermione tremò: non era stato facile, per lei, sopportare l’umiliazione babbana a cui il Ministero l’aveva sottoposta in quel periodo. Nessuno aveva mai saputo del suo lavoro, nessuno era mai riuscito ad aiutarla, era rimasta sola, ad eccezione della spalla di harry su cui piangere. Ron era l’uomo di cui era innamorata, certo, ma non era facile parlargli, mentre lui raccontava divertito delle sue giornate al ministero, facendo battutine su come lei doveva passarsela male al suo seminario babbano, notturno per giunta, e del quale doveva ridere anche lei, per non destare sospetti, con una fitta al cuore. Quei galeoni le avrebbero fatto comodo, avrebbe potuto dimostrare al Ministero di aver ottenuto sufficiente esperienza nel mondo non-magico, abbastanza per integrarsi e dimostrare il suo valore nella società, abbastanza per tornare nel mondo magico e restarvi. Era qualcosa che avrebbe risolto tutti i suoi problemi, dal primo all’ultimo..
Eppure si trattava dell’aiuto di Draco, un aiuto ovviamente, ma che proveniva da una Serpe. Era pronta a fidarsi? Il no era scontato, eppure non poteva non accogliere quella richiesta, era il suo fisico ad imporglielo, doveva farlo, per se stessa, per Ron e per il loro futuro. Sarebbe tornata nel Mondo Magico, dove tutti la consideravano un’eroina e una strega eccezionale, non avrebbe più dovuto subire gli occhi critici dei babbani e le loro brame di malizia, avrebbe potuto finalmente sposare Ron e farsi una famiglia con lui.. sarebbe stato un sogno.. Ma a quale prezzo? E lei, quel prezzo, era disposta a pagarlo, qualsiasi esso fosse?

«Chiariamo il concetto, Malfoy, prima che qualcuno dei due finisca con il cruciare l’altro.. tu chiami, io arrivo. Non farò nulla di quello che riterrò.. troppo.. invasivo..»

«Dì semplicemente che non verrai a letto con me, Granger.. e puoi rassicurare il tuo fidanzatino, non ho intenzione di gustarmi la prelibatezza della tua carne.. se l’avessi voluto, credi davvero che adesso staremmo qui a parlarne.. un patto è un patto.. non mi interessa il come, il dove, il quando o il perché.. niente scuse, io chiamo e tu arrivi..»

«E tu paghi, Malfoy..»

Lui acconsentì con un sorriso. Era fatta, insomma non era ancora un si, ma stava per diventarlo. Era ora! Finalmente avrebbe rimesso tutti i pezzi insieme, finalmente poteva riprendere l’opera che il suo bis-nonno, prima di lui, aveva incominciato. E se la Granger era dalla sua parte, nulla avrebbe potuto fermarlo, né ora né in futuro. Certo, era della massima importanza che lei non scoprisse nulla riguardo dell’entità di quello che avrebbero cercato, no. Ma l’avrebbe aiutato, e questo sarebbe valso la pena di un po’ di prudenza in più e di qualche galeone. Si, ora nulla avrebbe più potuto frapporsi fra lui e..

«E sia chiaro, Malfoy, che non voglio che nulla mi ricolleghi a te.. insomma.. qualsiasi lavoro tu vuoi che io faccia, nessuno dovrà sapere che lo faccio per.. te.»

Era prudenza o la vergogna di mostrarsi in giro con lui? Entrambe?

«Non temere, Granger. Voglio che il nostro lavoro rimanga segreto quanto lo vuoi tu.»

Le parole non parvero turbare Hermione, che rimase rigida sul divano le mani incrociate sul petto. «Voglio che vada tutto per il meglio Malfoy ma, non appena ti azzardi a fare qualcosa che..»
«
Il patto è mio, mie le regole.. farai ciò che ti dico Granger, senza eccezioni, finchè te lo chiederò, finchè ti sarai a pieno guadagnata i galeoni che ti darò. Hai la mia parola che non ti sfiorerò con un dito, a meno che non sia tu a chiedermelo..»

«Ma andiamo!»

«.. e – riprese lui con un ghigno divertito – non appena pronuncerai il patto ad alta voce, l’incantesimo che ti lega a me sarà vincolante: tu mi aiuterai, finchè non avrò acconsentito a liberarti.»

«E tu, Malfoy – ribattè spavalda lei – ti impegni a liberarmi entro un limite di due mesi, altrimenti niente accordo. Con tutto il rispetto, non ho intenzione di perdere l’intera vita ad accontentare i tuoi comodi.»

Il biondo si limitò a chiudere lentamente gli occhi, in segno di assenso. La Gryffindor si sedette dritta, le spalle basse e il mento alto: stava andando contro qualsiasi possibile ragionamento, contro qualsiasi logica, contro ogni dettaglio razionale che il suo cervello poteva fornirle in quel momento. Allearsi con Draco Malfoy? Fuori questione! Eppure, nonostante tutto, capiva che non c’era altra scelta. Spesso siamo costretti a decisioni che non dipendono da noi e, malgrado siamo noi a prenderle, è come se non fossimo i diretti responsabili, come se ci fossero in gioco fattori e affetti che non ci permettono di ragionare con la calma dovuto. Era questo, uno di questi casi: da un lato c’era la Serpe, dall’altra la sua famiglia, Ron, Harry, il mondo che non avrebbe sacrificato per nulla, che avrebbe protetto a costo della propria vita. Ed era esattamente quel sacrificio che stava compiendo, accettando quella proposta, accettando quel patto.. con il diavolo! Sorrise di se, e pronunciò le fatidiche parole.

«Tu chiami, io arrivo.»

Sentì un calore pervaderle tutto il corpo, le mani formicare, gli occhi appannarsi per una frazione di secondo, prima che la stanza smettesse di vorticare e lei, finalmente, si rendesse conto che tutto era tornato alla normalità. Non aveva mentito, allora: quell’incantesimo era davvero forte, l’aveva percepito su se stessa come mai alcun incantesimo l’aveva mai sfiorata in vita sua. Era stato.. profondo, tanto da scuoterla e preoccuparla. Cosa voleva mai proteggere Draco a tal punto? Cosa c’era di così importante? E, mentre ci rifletteva, si rese anche conto di quella cosa ovvia che, tuttavia, non la trattenne dal sorridere: era una dipendete di Malfoy, stava lavorando per Draco Malfoy. O mio dio!

«Perfetto, direi che ora puoi andare a cambiarti..»

«Scusami? – rispose di getto lei – Perché dovrei..?»

«Perché l’uomo da cui andremo stasera è particolarmente legato all’eleganza ed allo stile e temo che i tuoi pantaloni e la semplice felpa che indossi non sarebbero di suo gradimento.»
Schioccò le dita e un piccolo elfo apparve accanto ad Hermione e, senza lasciarle spiegazioni o darle ulteriori dettagli, lasciò che l’elfo la smaterializzasse in un’altra stanza, probabilmente una delle tante usate per gli ospiti, in cui era già acceso un fuocherello allegro. L’elfo, proprio come era apparso, scomparve. Ah, la gentilezza era qualcosa che probabilmente non insegnavano in quella casa, e non c’era da stupirsene!

La ragazza, incuriosita, esaminò tutte le superfici della stanza, trovando finalmente quello che Malfoy voleva farle indossare. Ah, era già stato abbastanza strano scoprire che il suo misterioso lavoro sarebbe iniziato quella sera stessa, ma era ancora più strano vedere quel bellissimo abito da sera steso sul letto, elegante e dall’aria molto costosa. Andavano ad una festa? La perversione di Malfoy davvero voleva farla ballare di fronte ai suoi amici o imprenditori d’affari? Era questo il suo losco e malefico piano? Purtroppo per lei, qualsiasi cosa fosse, avrebbe dovuto accettare l’incarico senza battere ciglio, almeno in parte. Quando aveva accettato di lavorare per Malfoy si era ripromessa di non spingersi mai oltre il limite della sua legge morale, alias avrebbe preferito morire piuttosto che fare qualcosa di moralmente sbagliato o ingiusto o riprovevole. Patto o non patto, lei era e sarebbe sempre rimasta Hermione Jean Granger, la più grande strega del suo tempo, ridotta “In miseria” dalle futili leggi ministeriali e non dal suo stesso ingegno. Si tolse i propri vestiti ad uno ad uno, fino a restare soltanto in biancheria, e quindi prese in mano l’abito: era un abito lungo, di seta verde, con sopra impressi strani arabeschi e motivi rotondi, dai riflessi verde smeraldo. Lo indossò con calma pacata, sperando di non rompere nulla o di non far uscire qualche filo. Una volta che l’ebbe indossato, chiuse i bottoni a lato con un colpo di bacchetta: sopra era molto stretto, quasi soffocante, mentre la gonna le ricadeva con grazia eccezionale sulle gambe, fino ad aprirsi leggermente arrivata ai piedi; era lungo ma, suppose, il dislivello fra la sua altezza e il vestito sarebbe stato colmato dai tacchi, che aveva già scorto accanto al letto. Dietro, il vestito aveva uno spacco vertiginoso sulla schiena, considerando il fatto che davanti non aveva né bretelle né particolari sostegni. Alla fine del vertiginoso scollo posteriore, partiva una sorta di coda, di un colore verde smeraldo stavolta, con gli stessi riflessi particolari che già aveva notato sul vestito. I guanti di pizzo che le arrivavano fino al polso non furono nulla in confronto ai magnifici gioielli che, come se l’avessi Appellati, erano atterrai sul letto. Un girocollo di smeraldi, finemente incastonati e grandi ciascuno come un pollice, e un bracciale dello stesso motivo. Li indossò, sentendo subito il freddo del metallo sulla pelle e il peso del loro valore su di sé. I tacchi non furono un problema, anche se erano molto più alti di quelli che era abituata a portare di solito: neri, semplici, senza nessun orpello o pietra a sottolinearne il valore. Il vestito faceva già la sua bella figura, pensò lei, era inutile concentrarsi sulle scarpe.

Si concesse un’occhiata allo specchio, capendo subito che la ragazza che le stava di fronte non le somigliava affatto, tranne che per i capelli, ancora disordinati e sciolti sulle spalle nude. Prese la bacchetta, mormorando qualche incantesimo, e un quarto d’ora dopo la sua testa era incorniciata da una pettinatura alta e ordinata, mentre due ciocche ondulate le scendevano ai lati del volto, corte eppure significative. Un altro colpo di bacchetta le aveva dipinto due linee nere sugli occhi: niente ombretto o lucidalabbra, non voleva dare a quei viscidi, chiunque fossero, più di una soddisfazione. Prese la borsetta dal letto e finì di contemplare se stessa nel riflesso della superficie piana: no, non era la stessa ragazza che era entrata in quella stessa casa, per ovvie ragioni.

«Non male, Granger..»

Si girò di scatto, spaventata senza ragione, per ritrovarsi Malfoy di fronte a lei, vestito anche lui di tutto punto e con un mantello ricoperto da pelliccia in mano. «Dove siamo andando farà un bel po’.. freddo. Faresti meglio a coprirti.»

Le gettò il mantello, che lei colse al volo grazie ai suoi riflessi pronti, e quindi rimase immobile, un braccio alzato, tacito invito a prenderlo. Ovvio, non le avrebbe svelato il posto in cui stavano andando, lei avrebbe dovuto semplicemente afferrare quel braccio e restare accanto a lui finchè lui stesso non le avrebbe rivelato qualche particolare, grandioso! Riluttante, si avvicinò al biondo e, dopo uno sguardo dubbioso al suo volto impenetrabile, afferrò la mano che le stava porgendo. Sentì il fastidioso risucchio all’altezza dell’ombelico, il vorticare incorno a lei, mentre l’unico appiglio a cui tenersi stretta era la mano dello Slytherin a cui si teneva. Si odiò per quel senso di sicurezza che aveva provato per un attimo nel tenergli la mano, ah, si odiò proprio tanto.
Quando si concesse di riaprire gli occhi, erano lontani chilometri da casa, la neve su cui posava i piedi ne era una tangibile prova. Capì dal paesaggio che dovevano trovarsi in qualche paese dell’est, probabilmente Russia, e si ricordò di come Victor le aveva descritto quei luoghi, un tempo. Le era parso di capire come fosse legato alla sua terra, mai avrebbe capito cosa intendeva davvero senza vederla in prima persona. Un bosco vivo, coperto da una coltre di neve eppure brillante nella luce della luna piena. Qualche rumore momentaneo, probabilmente provocato da qualche animale e, a qualche metro, le voci e le risate di una festa. Una festa? Capì in un attimo, grazie al suo eccezionale intuito, che non era lì per fare qualcosa di disonorevole, era lì in veste di accompagnatrice di Malfoy, era la sua dama, per quella sera. Stranamente, la cosa non la spaventava e neppure al turbava, anche se il suo intuito, ancora una volta, le suggeriva che c’era molto più di quel che vedeva nella semplice facciata di pietra che le aveva appena messo il braccio intorno al proprio.

«Dobbiamo sembrare credibili, Granger, non rovinare tutto..»

«Non rovinerei tutto se sapessi almeno il perché siamo qui.. – rispose lei pungente e irritata al contempo - ..è questo che volevi da me? Che ti accompagnassi alle feste e stessi con te, fingendo di gradire la tua compagnia al cospetto di qualche magnate russo? Bastava dirlo, Draco, io non mi sconvolgo mica per qualche vestito troppo scollato..»

In quell’istante Malfoy valutò la situazione, avanzando con la Gryffindor al suo fianco: poteva lasciarla nell’ignoranza, certo, ma questo corrispondeva ad esporla a troppi rischi. Non voleva che ci andasse di mezzo perché non sapeva proprio nulla, voleva che restasse con lui, gli serviva in un modo quasi morboso, nello stesso modo in cui gli serviva quello che era venuto a prendere. Acconsentì alla mezza verità.

«E va bene, Granger. Siamo qui perché il signore che ci vive, che si chiama Salvatilovich, possiede un.. a fiala, una sorta di pozione che voglio.»

«Hai provato a chiedergliela? – ironizzò la mora, alzando gli occhi al cielo – Non credo che ti manchino i mezzi per convincere gente come te, Malfoy..»

Era sveglia. «Se avessi potuto convincerlo, l’avrei fatto. Ma lui non deve assolutamente sapere che io voglio questa pozione, altrimenti morirei prima di pronunciare il nome della mia antichissima casata. Devo.. prendergliela, senza che se ne accorga.»

«Rubare?!?! Mi hai portata qui per essere tua complice?!?!»

La stretta intorno al braccio della mora si strinse, tanto che lei trattenne un gemito di dolore. «Zitta, non vorrai farci scoprire. Tu sei qui per accompagnare me al ricevimento di un mio amico, nulla di più. Berremo, balleremo e andrà tutto liscio.»

Hermione si morse un labbro, entrando nel salone pieno di gente che ballava e discuteva gioiosamente. Beh, non poteva certo fare altro che assecondare le maledette e perverse intenzioni di Draco, era ovvio. Aveva promesso, doveva farlo per Ron e per la loro vita futura. Era necessario.
Gli occhi di molte donne la scrutarono invidiose, mentre molti uomini espressero un apprezzamento molto più malizioso ma, nel compenso, nessuno osò proferir parola al loro passaggio, almeno finchè un uomo robusto, sulla cinquantina, non si avvicinò a Draco, prendendolo per le spalle e baciandolo su entrambe le guance, mentre lei restava qualche passo indietro.

«Druaco Màlfoy! Ma che magnificua sorpresa»

«Kostja! – salutò Draco, in perfetto russo e senza accento, per poi proseguire nella sua lingua madre – Non avevo avvisato del mio arrivo ma spero che non ti dispiaccia.»

«Dispiacermi? – ridacchiò paonazzo lui – Sempre burlone, tu, inglese! Figlio di tuo padre! Ahahah!»

Hermione ricordò qualcosa che aveva sentito una volta da sua madre su un antico poeta  latino che aveva descritto un liberto – schiavo liberato – molto ricco ma totalmente privo di cultura, volgare e un buffone in tutto e per tutto. Non ricordava il suo nome, eppure sapeva perfettamente che quel Kostja non era tanto lontano da quella descrizione. Proprio il genere di gente che Malfoy poteva frequentare, ricca e potente eppure priva di neuroni nel cervello.

«Questa è Elizabeth Black, la mia accompagnatrice per questa sera.»

Le tese una mano, con uno sguardo ammiccante, mentre la presentava al suo ospite. Perché aveva mentito riguardo alla sua identità? Era così difficile per lui ammettere di essere venuto lì con una mezzosangue, o era perché la pericolosità del loro compito era tale da imporgli di proteggerla?

Figurati se vuole proteggerti! E’ perché vuole presentarti come una Purosangue e si vergogna di te, sciocca!

«Black? – sgranò gli occhi l’uomo paffuto, prima di squadrarla da capo a piedi – Buon sangue non mente, mia krasavetsa, bienvenuta in casa muodesta di Kostantiv Aleksandrovich Salvatilovich. Divertitevi e se vi serve qualsiasi cuosa, chiamatemi.»

Si congedò con un inchino, prima di passare a salutare altri invitati. Tutti erano vestiti in maniera elegante, sembravano gli ospiti di un ballo fiabesco, tanto che anche lei capì di trovarsi in un abito da favola e in uno scenario per nulla normale. Malfoy la guidò da un salone all’altro, mentre lei osservava ammaliata gli affreschi e le opere d’arte dell’intero palazzo – perché si questo doveva trattarsi.

«Pulisciti la bava, Granger – la rimbeccò Malfoy, conducendola sulla pista da ballo, prima ancora che lei potesse protestare – altrimenti tutti quelli che ti stanno ammirando da quando sei entrata penseranno che sei un’idiota.»

Lei arrossì e lo guardò con odio, mentre lui sorrideva, perfettamente a suo agio. «Sei bellissima, Granger, te l’avevo già detto stasera?»

Solo lavoro, solo lavoro, non ucciderlo.. solo lavoro..

«Credevo di essere una Black, adesso.»

Lo Slytherin le posizionò una mano sulla sua spalla prendendo l’altra nella sua e poggiando la fredda mano sulla sua schiena nuda, tanto che lei fu costretta a sobbalzare a quel contatto improvviso. Le era, tuttavia, impossibile ritrarsi, quindi si limitò a stringere i denti e cominciare a vorticare con lui in un lento valzer.

«Credevo di averti spiegato, Elizabeth – sottolineò lui – che non siamo qui per divertirsi, è una cosa seria.»

«Tu il tuo nome l’hai detto però.» – si imbronciò lei.

«Sono un Malfoy, dolcezza.. – cantilenò lui, come se le stesse spiegando che 2 più 2 fa 4 – E’ difficile che qualcuno non mi riconosca nell’Alta società, che sia inglese, russa o australiana. Tu, invece, non puoi vantare la stessa posizione altolocata, e io non posso perdere la faccia di fronte a gente come Kostja per essere venuto con una mezzosangue. I Black hanno cugini, parenti, zii, ovunque. Non è difficile pensare che tua sia una di loro, anche se i tuoi capelli castani e i tuoi occhi color cioccolato potrebbero tradirti. Sprizzi troppa sincerità e bontà, te l’hanno mai detto?»

«E a te hanno mai detto quanto fai schifo? – sibilò a denti stretti lei, per nulla contenta di quella spiegazione – Io non mi vergogno di quel che sono.»

«Siamo in due..»

La replica dello Slytherin aveva un’ambivalenza che entrambi notarono, ma né lui né lei proferirono parola, continuando a vorticare nell’insieme di gonne e pizzi dei signori ospiti di Salvatilovich. Lui era perso nell’analisi della stanza, cercando probabilmente un modo facile per sgattaiolare fuori, lei era immersa nelle sue riflessione. Alla fine, Malfoy notò la porta che stava cercando e, strano ma un bene, non era sorvegliata da nessun Auror.

«Bene, Granger, ci siamo.. segui me e, appena siamo vicino a quella porta, sgattiola dentro senza farti vedere.»

La mora annuì seria, intuendo che era arrivato il momento di lasciare i balli e i divertimenti e dedicarsi al vero motivo per cui erano lì. Non che fosse d’accordo con quello che dovevano fare, ma la casa e l’ambiente le avevano dato una visione sufficientemente precisa dell’importanza di non essere scoperti. Con circospezione, i due vorticarono insieme alle altre coppie fino all’uscita e, quando nessuno prestava loro attenzione, vi si infilarono dentro e la richiusero alle loro spalle.

Malfoy alzò gli occhi e rimase pietrificato.






Note dell’Autrice:

Beh, salve! Non so se già mi conoscevate, se avete letto il mio paleolitico prologo o se siete qui.. non saprei, per qualche altra e divertente pazzia o gioco del destino, ma sono contenta di darvi il Benvenuto. Come avrete capito, Hermione ha appena accettato il patto che la porterà nelle fauci di una serpe, Malfoy ovviamente, ma ancora non si è resa conto del guaio in cui si è cacciata. In parte la cosa è dovuta al fatto che il giovane non le ha concesso abbastanza tempo per riflettere, d’altro canto lei è ancora troppo sorpresa da se stessa per aver accettato e troppo sicura nel suo futuro con Ron, per poter anche solo.. no, ora spoilero troppo, dovete perdonarmi! Ù.u

Come avrete notato, ci sono alcuni riferimenti al mondo classico e alcune espressioni tipicamente russe – questo perché la sottoscritta è italiana di adozione, quindi ha la leggera presunzione di conoscerla questa lingua. Il complimento che Kostja rivolge a Hermione significa “bellissima”, nel caso voleste saperlo. Il suo accento è di uno che cerca di parlare inglese ma conserva, inevitabilmente, l’accento della sua lingua madre, cosa che invece non fa Malfoy, come nota anche Hermione. Il vestito che lei indossa, poi, rispecchia a pieno il nuovo mondo in cui è appena entrata, una sorta di sigillo sul patto che ha appena stretto: non a caso i colori sono verde e nero, vi ricordano qualcosa o qualcuno, magari? XD

Il riferimento al mondo classico, uno in particolare, mi piacerebbe vedere se siete riusciti a coglierlo voi: quale autore aveva parlato di un liberto esagerato, ricchissimo ma totalmente privo di cultura e addirittura volgare? Parlo di un autore di età imperiale e la cui opera risulta essere, ancor adesso, un genere unico. Indovinate di chi sto parlando? Beh, in ogni caso, indovinate o no, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate riguardo a questo capitolo e riguardo alla piega che la storia sta prendendo. Certo, solo se ne avete voglia, è chiaro!!

Un ringraziamento particolare ad una persona.. speciale? No, non rende abbastanza l’idea. Lei è.. di più!! *-* alla mia adorabile Gio – che voi conoscete come dark rose su efp – che mi ha letteralmente sopportato per sentire questa storia, lei che Harry Potter non lo regge quasi proprio. Ti adoro!!!

Gli aggiornamenti, salvo imprevisti, dovrebbero esserci ogni settimana. Naturalmente il mio ultimo anno di liceo potrebbe avere qualcosa da ridire, a riguardo. Ma ci penseremo a tempo debito.

Eternamente vostra, Katia =)

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Capitolo 3
*** the first: Kreyia ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo II:
the first: Kreyia

 Gli occhi di ghiaccio della serpe si erano soffermati sul punto in lontananza: non era una porta, neppure una finestra, era una sorta di passaggio, un arco, con sopra una piccola incisione su una tarda di marmo. Ah, Kostja! Era sempre stato fin troppo dettagliato nei suoi giochetti, troppo preciso nella protezione degli oggetti a lui cari, come quello. Fin dal momento in cui aveva scoperto cosa doveva cercare e da chi, l’aveva meravigliato rendersi conto che fra lista di nomi di quelli che doveva soggiogare ci fosse anche quello del magnate russo, nonché suo vecchio amico, Kostja Salvatilovich.

Ovviamente nulla era più importante della sua ricerca, della sua missione, che si trattasse di amici, parenti o elfi domestici, tutto era sacrificabile per il potere superiore, tutto passava in secondo piano di fronte all’eternità dell’impossibile. Da quando aveva capito chi sarebbe stato una preda facile, chi un osso duro, si era reso conto immediatamente di come il vecchietto russo non sarebbe stato un problema: non aveva bisogno di una scusa talmente strana per intrufolarsi in casa sua, e da come la serata stava procedendo, non era poi stato così difficile dopotutto neppure aggirarlo e distoglierne l’attenzione. Qui, in parte, il merito andava alla Granger e al suo vestito mozzafiato, scelto con cura proprio per quel motivo: gli occhi sono ciechi di fronte ad una bella donna, proprio come l’animo se ne rallegra. Kostja non aveva mai fatto mistero del suo modo di vivere, e le belle donne erano semplicemente una debolezza che Malfoy aveva deciso di sfruttare. Ma era anche un purosangue, da qui la necessità di far uscire dal sacco il nome di una lontana cugina, Elizabeth Darla Black, attualmente sposata con un mezzosangue e di stanza in California, improbabile che lui potesse ricordarsene o addirittura conoscerla, visto che si era sempre tenuta lontano da feste e da cerimonie pubbliche. Era riservata – a modo suo, anche bella – ed era per questa ragione che aveva sposato un mago americano, la cui famiglia l’aveva inizialmente scambiata per una modella. Beh,da cosa nasce cosa.. la sua non era una storia particolarmente realistica, più adatta ai tabloid babbani inglesi che al Mondo magico, ma era una “di famiglia”, era logico che sapesse di lei quel poco che bastava per poterne prendere in prestito l’identità.
Senza preoccuparsi della Granger, percorse il lungo corridoio che lo separava dall’arco: senza riflettere, senza pensare, la bramosia di ottenere quello che sperava ci fosse al di là di quel passaggio oscurava tutto e tutti. Per sua immensa fortuna, la strega non era altrettanto sprovveduta. Le bastò un attimo per riprendersi dall’improvviso passaggio dalle luci della festa alla penombra di quel corridoio, un altro millesimo di secondo per notare il luccichio prodotto da una lama appesa proprio sopra la testa di Malfoy, senza dubbio una trappola che lui era stato troppo lento a riconoscere, sempre ammesso che l’avesse davvero riconosciuta.. Con una calma che solo le mille avventure con Ron e Harry avevano potuto procurarle, sfoderò la bacchetta, indirizzandola verso la lama, e urlò.

«Finite Incantatem!»

In un secondo accaddero molte cose contemporaneamente: la lama vibrò, cadendo a pochi centimetri da Malfoy, un filo sotto i piedi dello Slytherin si spezzo, producendo un orribile rumore metallico, e tanti altri coltelli, spade, lame, caddero davanti a loro, senza dubbio altri marchingegni che si sarebbero azionati al loro passaggio. Era assurdo pensare che, mentre nell’altra stanza il fior fiore della società magica russa danzava con l’eleganza del XXI sec, loro stavano battendosi per non finire schiacciati dalle armi come in una giostra del Medioevo. A che gioco stava giocando Malfoy? Cosa non le aveva detto? Perché, bisognava ammetterlo, chiunque avesse fatto quel percorso doveva averci messo molta cura, e certamente per proteggere qualcosa di altrettanto degno di cura e prezioso. A cosa davano la caccia?

«Stai un po’ attento, Malfoy, diavolo! – lo sgridò lei, avvicinandosi circospetta – O vogliamo farci tagliare a fettine?»

Troppo orgoglioso anche solo per ringraziarla con lo sguardo, lo Slytherin si limitò ad un brusco cenno di assenso, mentre la sua attenzione saliva di livello: era stato uno stupido a comportarsi come un pivellino alle prime armi, un idiota a pensare che non ci sarebbero state trappole, uno sciocco a buttarsi a capofitto senza curarsi di quello che lo circondava. Ed era stato terribilmente intelligente a portarsi dietro lei. Non sapeva neppure a quello che andavano incontro, eppure lo aiutava, e lo salvava, era più di quello che chiunque al suo posto avrebbe fatto per lui. E così, spinto dal moto di gratitudine verso la Gryffindor, avanzò, tenendo la bacchetta alta e gli occhi vigili dietro i capelli biondi, quasi bianchi alla penombra delle lampade appese alle due pareti.

L’arco era molto più piccolo, ora che lo si vedeva più da vicino. Anzi, era come se non si ingrandisse mai. Irraggiungibile, proprio come il suo desiderio, proprio come la sua infinita brama di potere.

«Ah,voi uomini e l’impazienza..» - mormorò sconfitta, prima di alzare la bacchetta e farla roteare in uno strano spiraglio di linee e cerchi, fino a concludere l’intero processo con un piccolo colpetto. Si sentì un rombo incredibile, come di una porta di roccia in movimento, e quindi l’arco – distante fino a qualche attimo prima – divenne della grandezza giusta, talmente alto da permettere il passaggio anche di un gigante. Di nuovo, Malfoy fissò con stupore la strega. In una situazione come quella, le opzioni possibili erano due: o lui era un totale imbecille, e lei la strega più potente e perspicace della sua generazione, o lui era troppo accecato dall’obbiettivo per ricordarsi di usare le proprie doti e quindi la sua intelligenza spiccava ancora di più, come una macchia di sangue rosso sulla pura neve bianca. Non capì il perché di quel paragone – probabilmente legato al paesaggio russo – ma stavolta non potè trattenersi dal sorridere con ironia.

«Sembra che abbia un doppio debito con te, Granger. Ricordati di promuoverti, quando torneremo al castello.»

«Se.. torneremo.. – lo corresse lei, tranquilla – quindi, sbrighiamoci.»

Il biondo si limitò ad un cenno di assenso, prima di varcare quella sorta di barriera invisibile che lo separava dal suo obbiettivo. Mesi di ricerche, preparativi, piani, tutto riconduceva a quel punto. Non riusciva ancora a crederci, non riusciva a non pensare al briciolo di potere, a quel piccolo frammento che avrebbe rappresentato per lui il primo passo verso l’obbiettivo finale, scopo ultimo, della vita e dell’uomo. Stranamente, mentre il suo petto si alzava e si abbassava senza regolarità, ansante per l’eccitazione frammista a paura, la Gryffindor al suo fianco era di una calma maestosa e ferma, quasi come se non ci fossero pericoli accanto a lei, come se si trovasse nel corridoio di casa sua. Tra il grandioso trio, lei era sempre stata quella che lui aveva considerato di meno: certo, le battutine sulle sue origini erano un passatempo divertente, ma non quanto quelle riguardanti la famiglia di quello sfigato di lenticchia o di quello sfregiato di Potter. Strano ma vero, dall’epica battaglia per Hogwarts tutti e tre ne erano usciti illesi, lei più di tutti.
Non capiva perché gli risultasse ancora strano il fatto che lei fosse una strega così potente, pronta e allenata al pericolo, quanto e forse addirittura un briciolo più di lui. Chissà come avrebbe reagito se, di fronte al pericolo in pasto al quale la stava buttando come carne al macello, fosse rimasta ferita: l’avrebbe incolpato o avrebbe incolpato se stessa per non essere stata sufficientemente attenta?

Ma, quesito ancora più importante di tutti gli altri, da quand’è che gli interessavano i pensieri di una sudi.. ehm, Mezzosangue – e basta? Da quando lui, Draco Malfoy, principe delle Serpi, si abbassava nell’immedesimarsi dei pensieri altrui, per giunta di una persona come lei? Cosa diamine gli stava capitando?

Per sua fortuna, la sala di pietra davanti a lui fu sufficiente a cancellare qualsiasi distrazione. Non badò molto all’estetica, vide solo quello che desiderava vedere, e fu un lampo nel buio dell’universo, del suo universo: su un piedistallo di metallo, stranamente fragile alla prima vista ma probabilmente resistente quanto non mai, c’era una boccettina, con dentro una specie di liquido. Una pozione, credeva la ragazza che gli camminava a fianco, la bacchetta pronta e lo sguardo teso, ma non era una definizione.. precisa. Quello che quella boccetta conteneva era molto, ma molto di più. Un metallo, un metallo il cui aggettivo “rarissimo” non arrivava a definire neppure minimamente la sua unicità: non era un esemplare di altri dieci o di altri cinque, era unico al mondo, non ve ne erano altri, e il suo nome era Kreyia. Il suo colore rosso – rosso sangue – gettava bagliori sinistri, che si riflettevano sulla superficie delle pareti, dandole un vago aspetto inquietante. Ma non era il colore delle pareti a spaventarlo, o la luce che filtrava dall’unica finestra nel soffitto, no, a fargli paura era quello che sarebbe successo una volta che il calore della sua mano avrebbe toccato il freddo vetro della boccetta, sottraendola alla sua prigione. Era preparato a tutto, in teoria, ma spesso la pratica ti sconvolge tutti i piani, quindi non poteva esser sicuro di quello a cui andava incontro.

«Credo che potrei andare avanti io.. – azzardò Hermione, guardandosi intorno circospetta - ..non credo che le trappole siano finite.. o .. Argh!»

Si lasciò sfuggire un urlo, mentre il corpo di Malfoy la schiacciava contro il muro e un fulmine, piuttosto realistico, si abbatteva sul posto esatto in cui si trovava prima. Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di ghiaccio dello Slytherin che la fissavano con confusione, quasi come se quell’azione di spontaneo eroismo avesse sorpreso più lui che lei. Fece un respiro profondo, scoprendo con stupore di possedere ancora due polmoni e di non averli perduti per lo spavento, e fece una lieve pressione – e con questo si intende che spintonò, e basta – l’uomo di dosso dal suo corpo, sistemandosi nervosamente i capelli dietro l’orecchio.

Gettò un’occhiata nervosa al suo compagno, che la fissava come in attesa di qualcosa, che non arrivò: lui poteva essere orgoglioso, ma lei lo era ancora di più. Non si era sbagliato, non c’erano trappole che potessero ostacolarli, almeno da un certo punto di vista: quel fulmine l’aveva visto arrivare, dato che era stato un incantesimo lanciato da una bacchetta, che spuntava dalla finestra sopra le loro teste. Non c’era un attimo da perdere, dovevano andarsene, priam che arrivasse un nemico tanto potente da non poter essere affrontato. Agì in fretta, d’istinto. Afferrò con una mano quella di Hermione, con l’altra afferrò la boccetta, mentre già ruotava su se stesso, smaterializzandosi. Però, prima di scomparire, lo vide, e fu sicuro del fatto che il suo cuore si fosse fermato per una frazione di secondo.

«Mi hai sottratto qualcosa, Draco Malfoy.. qualcosa che solo io possiedo, qualcosa che un mortale come te non è degno di toccare. La tua anima sarà dannata se non lo restituirai a me.. è mio! Kreyia è mio, piccola serpe, e lo riprenderò, che sia io dannata!»

Le parole delle donna incappucciata erano state chiare, come un eco che rimbomba in una sala grandissima e vuota. Era lei, esisteva per davvero, era reale, e lui l’aveva appena aizzata contro di se. La guardiana, colei che sapeva gli avrebbe impedito di prendere il metallo e di portarlo via. Era scampato alle sue grinfie per l’incredibile prontezza di riflessi, non era certo di poter sperare che gli altri sette guardiani sarebbero stati una passeggiata. Era morto, davvero, se pensava di riuscire a radunare tutti gli otto i metalli. Ma doveva riuscirci, ne aveva un disperato bisogno, come un viandante in un deserto di acqua.

«Brutto figlio… chi era quella? Chi diamine era quella tizia incappucciata Malfoy? Cosa diamine hai preso, in cosa mi hai coinvolto, brutta serpe?»

Capì di essere salvo solo quando la voce della Gryffindor gli sfondò un timpano, i piedi sul tappeto polveroso di Villa Malfoy. Castello Malfoy, per la precisione: smaterializzarsi a casa sarebbe stato fin troppo imprudente, visto che la figura incappucciata sapeva il suo nome, e aveva deciso di cambiare destinazione nell’ultimo istante, pensando all’unico posto in cui era sicuro nessuno sarebbe venuto a cercarlo. Il castello dei Malfoy era una rocca medievale, che ovviamente aveva subito diverse modifiche nel corso dei secoli, abbandonata ai primi del ‘800 per la moderna residenza della famiglia, dove abitava adesso anche lui. Anche se vuoto, il castello era ancora munito di tutte le barriere magiche contro eventuali invasori, senza contare l’incanto fidelius che, per motivi di privacy e sicurezza, i Malfoy vi avevano imposto, passandoselo di padre in figlio. Lui, sia benedetto Merlino!, aveva scoperto quel segreto un paio di anni fa e, pur avendolo ritenuto inutile al momento, adesso capiva come gli fosse stato utile: nessuno poteva entrare lì, nessuno poteva trovarlo, erano al sicuro da qualsiasi creatura, magica e non, che potesse decidere di venire a scovare loro o.. il metallo.

D’impulso osservò la boccetta, il liquido rossastro che si muoveva ancora, le piccole pagliuzze di colore più chiaro che rilucevano di luce propria.

«Porca miseria, tu! Ho detto parla!»

Giusto, la Granger. Si costrinse ad alzare lo sguardo, con l’aria più innocente che potesse tirare fuori al momento. «Scusami cara, non capisco cosa intendi. Io non ho visto nessuna donna incappucciata, avrai confuso una colonna o una statua per una..»

«Per piacere! Io non ho confuso un cavolo di niente! Quando hai preso quella.. cosa, quella donna è apparsa. Ho sentito un mormorio nella mia testa, ma era più che altro un suono indistinto, quasi di.. canto? Ma in una lingua che non conosco.. e poi.. puff! Ci ritroviamo qui, dov’è qui, oltretutto? Maledizione, voglio qualche risposta!»

Il biondo fece scomparire qualche telo dai divani e, con un altro colpo di bacchetta, accese il camino, grande e soprattutto ben elaborato nelle decorazioni. «Calmati, rilassati. Nessuno ci troverà qui.»

La mora sbuffò, alzando le braccia al cielo. «Guarda che non sono stupida! E smettila di evitare il discorso! Hai preso una cosa di enorme valore, ben protetta oltretutto, e quella figura ne è la prova. Non so per quale miracolo siamo ancora vivi!»

«Perché sei con me, dolcezza. Siamo in una casa protetta dall’incanto Fidelius di cui io sono il custode, nessuno può prenderci qui. Se passiamo qui la notte, per domattina sarà già tutto passato..»

«Dormire qui? – chiese lei, con un sopracciglio alzato, volendo essere sicura di aver sentito bene – Scusami?»

Il giovane roteò gli occhi al cielo. «Puoi fare meno la schizzinosa, Granger? Sei fastidiosa in questo stato, e io voglio che la nostra collaborazione sia.. piacevole. Si, dormiremo qui, visto e considerato che non sarà la prima notte che dovremo trascorrere lontani da casa, se va come tutto deve andare..»

«E’ una minaccia, Malfoy? – sbuffò isterica lei – Ho un fidanzato a casa, e persone che si preoccupano e..»

Lui si limitò a sorridere. «Dobbiamo proprio trovarti una copertura, sono stato stupido a non pensarci prima, ma le mie percezioni sono, come dire? Alterate, ecco. Quello che sto cercando mi sta togliendo energie e attenzione, devo stare più attento. Ci penseremo appena saremo tornati, domani.»
Soddisfatto di se, ed evidentemente anche del proprio ego, fece sparire qualche altra coperta, e quindi tastò un divano con la mano. Non contento del suo stato, una formula e quello venne privato di tutta la polvere. Un altro colpo di bacchetta e apparvero coperte e cuscini. Senza aspettare oltre, il giovane si tolse le scarpe e si sdraiò con una mano dietro la nuca e a pancia in su, la bacchetta sul bracciolo del divano, pronta ad essere usata in caso di necessità.

«E io?»

Lo Slytherin si era aspettato questa domanda. «Il divano è grande abbastanza per due, mia cara, e l’alternativa sarebbe dormire per terra, quindi non fare storie.»

Benchè avesse maledettamente ragione e lei non avesse alcuna voglia di andare a cercare altri divani in quella casa mezza distrutta e vuota, lo ignorò, evocando un paio di coperte e di cuscini e sdraiandosi accanto al fuoco. Si rigirò un paio di volte – invocando mentalmente tutte le maledizioni a sua conoscenza e usando tutto il proprio autocontrollo per non lanciarle contro Malfoy – ma il sonno non arrivava, e dubitava sarebbe arrivato tanto presto.

Dal canto suo il giovane, probabilmente comodo e al caldo, canticchiava una canzoncina sotto voce, gongolando di soddisfazione. Ma mora respirò a fondo, decidendo alla fine a cedere e alzandosi con il mento alto, per poi stendersi con un gesto secco accanto a lui sul divano. Inevitabilmente, percepì il calore del suo corpo e il suo respiro, ancora riempito dalla risata gutturale, quindi ci tenne a precisare un paio di cosette.

«Toccami e ti faccio evanescere i tuoi attributi, Malfoy.»

«Sei tu che sei venuta sul divano, Granger.. – ridacchiò ancora lui – Io non ti ci ho mica costretta, e ora se vuoi scusarmi avrei sonno. E’ stata una serata intensa, sogni d’oro.»

«Si, come no.. nei tuoi incubi!»

E così, mentre il fuoco scoppiettava alimentato da una fiamma magica, i due si addormentarono, chi con il broncio e lo sguardo corrugato, chi con il sorriso tronfio sulle labbra.

***

Quando dormi non ti accorgi mai di tutto quello che ti circonda: i confini della realtà diventano mano mano più sfumati, fino a lasciare che le possibilità del sonno e sei sogni diventino infinite. Non per tutti è piacevole, ma per molti è indispensabile. Chiudere gli occhi, anche per qualche secondo, e dimenticarsi di qualsiasi turbamento o preoccupazione che possa nuocerci è qualcosa di sublime, confortante e unico. La dolcezza di un sogno, lontano dalle violenze e dai problemi reali e materiali non è degno di alcun incantesimo. E, proprio quando chiudi gli occhi, un attimo dopo, quasi come se fossero passati secondi e non ore, ti svegli, riapri gli occhi e scegli a cosa credere, quella mattina. Perché il risveglio non è mai uguale alla sera. Anche stavolta, per lei, fu così.

Il tepore lasciato dal caldo delle coperte era troppo invitante per abbandonarlo. Hermione si rivoltò sul fianco, rendendosi conto che le era impossibile muoversi, dato che aveva una coscia intrappolata e una mano a circondare un petto forte e largo: ah, com’era bello risvegliarsi con il proprio uomo accanto, sentirne il peso vicino al proprio, la pelle nuda al tatto e così… ah, perfetta. Non ricordava che Ron avesse questi addominali ma, dopotutto, perché lamentarsi? Per  quel che ne sapeva, poteva aver benissimo deciso di migliorare il suo fisico con ore di palestra o quiddich, magari con l’intenzione di apparire più “macho” ai suoi occhi. Beh, lei amava Ron, ma se perdeva qualche chiletto non si sarebbe sicuramente lamentata. Eppure, nel stringerlo forte a se e a poggiare la guancia contro l’incavo del suo collo, percepì che c’era qualcosa che non quadrava. Ron non poteva essere tanto scolpito e forte – dato che l’aveva abbracciato meno di 24 ore fa, non poteva avere quei capelli così lisci e neppure il mento così definito. Quello non era Ron. Ma allora che..?

E la realtà, per quanto brutta potesse essere, le piombò addosso in un momento: quello non era Ron, quello non era il suo letto e lei non era a casa sua. Era nella vecchia villa della famiglia Malfoy, su un divano cigolante e con accanto..

«Aaaah!!!»

Urlò, balzando in piedi e trascinandosi dietro la coperta. Sbattè gli occhi un paio di volte, per essere sicura di vederci bene, quindi osservò, ancora stravolta, il giovane che era comodamente poggiato sullo stesso divano dove, fino a pochi istanti prima, era distesa anche lei. Malfoy – oh si, era proprio lui – era disteso con un braccio a circondare una figura immaginaria, adesso sveglio anche lui, con il torso nudo e con addosso nient’altro che i pantaloni e una coperta. Il giovane la fissò, leggermente confuso, i capelli stravolti e l’aria da fighetto purosangue quasi invisbile.

«Maledetta serpe! – continuò a urlare lei, saltellando sul posto – Perché diavolo sei nudo? Cos’é questa storia? E io.. perché.. io..?»

Terrorizzata dai propri sospetti, ma ragazza si tastò una coscia, verificando se i pantaloni e l’intimo fossero ancora al proprio posto: non c’era nulla fuoriposto, a una prima e superficiale analisi. Guardò in cagnesco il suo datore di lavoro.

«Ora tu mi dici perché tu sei nudo e perché diavolo io.. ah! Portami a casa, SUBITO!!»

Il giovane non era abituato a risvegli tanto burrascosi, anzi non gli garbavano per niente: la mattina le ragazze di solite lo coccolavano, chiedendo un bis o supplicandolo di non cacciarle dal suo letto, magari. Non saltavano mai come gazzelle morse da qualche Ricciolo Schiantoso o altro e cominciavano ad aggredirlo per essersi tolto la camicia. Aveva avuto caldo quella notte – era la verità! – e quindi, per togliersi il fastidio di spegnere il fuoco, aveva preferito togliersi la camicia. Nello stesso momento la mora si era girata, accovacciandosi contro di lui come un topolino, e borbottando qualcosa sul freddo e sul gelo. Supponendo che avesse freddo e non volendo essere indelicato – tanto che, al momento, aveva considerato il tutto solo frutto della sua immaginazione – l’aveva lasciata fare e si era riaddormentato. Non l’avrebbe mai fatto se avesse saputo che, al suo risveglio, lei sarebbe saltata in aria come un petardo e avrebbe iniziato a urlare. Ah, preferiva le ragazze quando dormivano: meno problematiche e, soprattutto, silenziose.

Si passò una mano fra i capelli, per poi strofinarsi gli occhi e alzarsi, rimettendo la camicia e ignorando volutamente la strega. Solo quando si fu alzato del tutto, azzardò un’occhiata nella sua direzione, ancora ferma lì, con la coperta in mano e i capelli sconvolti dal sonno: con quel guizzo di rabbia negli occhi sembrava proprio una leonessa, pronta a balzare e farlo a fettine.

Non è detto che non lo faccia, dopotutto..– riflettè Draco, concedendosi infine un sorriso sarcastico. «Calma i bollenti spiriti, dolcezza. Non sei il mio tipo.
Avevi freddo e ti sei accoccolata a me.»

«E tu, da gentiluomo, mi hai lasciato fare, giusto Malfoy?»

«No, – rispose lui con tutta calma – credevo di sognare e quindi non mi sono proprio posto il problema di respingerti. Non che volessi farlo, sia chiaro.»

Lei ridusse gli occhi a due fessure, abbandonando finalmente il lenzuolo e incrociando le braccia sul petto. «Credevo avessi appena detto che non sono il tuo tipo.»

«Non vuol dire che, solo perché non sei il mio tipo, rinuncerei alla tua compagnia Granger.»

Un guizzo di fuoco e il palco della mora si impresse sulla guancia del ragazzo, che capì l’accaduto solo quando percepì il bruciore sulla pelle. La guardò incredulo: aveva fegato, per agire a quel modo, visto il luogo e la condizione in cui si trovavano. Strano, ma vero, provò un moto di ammirazione per la sua nemica-collega. Dubitava si sarebbe verificato mai più.

Sorrise, facendola infuriare ancora di più. «Se hai finito, andiamo a casa.»

«E la fiala? Siamo rimasti qui dove quella.. – si bloccò, cercando di ricordare con sicurezza di cosa si trattasse - ..cosa non poteva raggiungerci, ora?»

«Ora, cara Granger.. - sillabò lui come un maestro che spiega che due più due fa quattro – lasceremo la fiala qui, o meglio rimarrà nel luogo dove l’ho nascosta mentre dormivi, quindi noi andremo via e la creatura inseguirà, o meglio, percepirà la fiala qui dov’è ora e noi potremo andarcene indisturbati.»

«Sembri sapere un bel po’ di cose, Malfoy. E questa faccenda mi pare molto più pericolosa di una futile pozione.»

Perché non mi sorprende che stia cominciando a capire? Era solo questione di tempo. Ma, dopotutto, più tardi è meglio sarà, per lei e per me.

Il giovane scosse la testa, porgendole il braccio. «Non ho intenzione di discutere di cose che non ti competono. Dopotutto, sei la mia dipendente o no?»

La mora, del tutto inabituata a lasciar perdere e alla sconfitta, non si arrese: mentre si avvicinava a passi lenti e misurati e prendeva il braccio del suo coetaneo, la sua mente stava già vagliando tutte le possibili alternative, immergendosi in branche diverse della magia e delle diverse discipline, alla ricerca del contenuto e dei possibili utilizzi di quella pozione misteriosa.

«Aspetta! – si ricordò all’improvviso, staccandosi dal suo braccio e guardandolo allarmata – Non posso tornare a casa con un vestito da sera come questo! Che dirò a Ron?»

«Sono sicuro che lenticchia apprezzerebbe il tuo nuovo look, Granger. – le fece notare laconico il biondo, squadrandola come la sera precedente – Magari potresti..»

«Non farmi essere volgare Malfoy. Questa è una vecchia villa. Non ci saranno vestiti nuovissimi ma qualche pezza vecchia ci troverà pure, no?»

Il biondo la osservò a metà fra l’irritato e il divertito: aveva appena detto che i vestiti dei suoi vecchi antenati potevano essere chiamati “pezza vecchia” e, malgrado tutto, aveva l’arroganza di chiedergli di indossarli. Capire le donne non era mai stato un problema, per lui poi non lo era mai stato: l’essere un giovane Malfoy, con il mondo ai tuoi piedi, soprattutto dopo che il caro Lucius era passato a miglior vita e aveva raggiunto il suo amato Signore, ti apriva molte porte e, con quelle, anche molte.. ehm. Si, beh, in fondo anche Hermione era una donna, giusto? Pazza, più lunatica di tante altre, decisa, determinata, impulsiva e forte ma, malgrado tutto, una donna. E per giunta una donna innamorata. Lungi da lui capire il cuore di qualcuno che era stato colto da una freccia di Eros: certo, lenticchia poteva anche sbattere la testa contro un muro per la mora, dato che proprio brutta non lo era, ma lei? Che ci trovava in quella feccia, Draco ancora non riusciva a figurarselo: non aveva denaro, non aveva fisico, non aveva intelletto. Era un bradipo sotto sembianze umane, cosa c’era da amare in lui, cosa poteva amare di lui Hermione Granger, paladina e salvatrice del Mondo Magico insieme all’amichetto Potty? Si, alla fine Weasley era quasi una cornice, nel loro affiatato trio.

Si ricordò di quando da bambino, giocando in quella dimora, la madre aveva aperto un armadio e ne aveva apprezzato il contenuto, vestiti protetti da un incanto Anti-Invecchiamento, utilissimo per case come quella. Malgrado sia sua madre che le sue bisnonne l’avrebbero ripudiato solo per averlo pensato, acconsentì ad evocare qualche vestito da farle indossare. Su una poltrona si materializzarono un paio di pantaloni larghi, color fango, un maglioncino lungo grigio e una felpa marroncina.

«Per le scarpe dovrai arrangiarti, dolcezza..»

«Non chiamarmi a quel modo! – sibilò lei – Finiscila!»

«Come vuoi.. – acconsentì lui con un’alzata di spalle indifferente – Io vado a controllare il mio bottino, tu vestiti.. per le scarpe, dicevo, dovrai arrangiarti con quelle.»

Mentre il giovane usciva, decisamente irritato di dover ritardare di qualche minuto la partenza e il suo bagno caldo, la Gryffindor non perse tempo togliendosi di dosso il vestito attillato e infilando con piacere gli abiti che Malfoy aveva evocato: malgrado il loro taglio fosse vecchio, avevano quel qualcosa che li rendeva magici, era come se fossero stati appena comprati e, per giunta, avevano l’aspetto e la consistenza di qualcosa di enormemente costoso. Una volta che si fu vestita, infilò le scarpe – l’unico riciclo della sera precedente.

«Mm.. – sbruffò il giovane, rientrando, con un sopracciglio alzato – se non ti conoscessi, sapendo chi sei e quale mezzosangue sei.. beh, ti scambierei per una donna di tutto rispetto e purosangue, per giunta.»

«Legare l’eleganza alla purezza di sangue non è altro che l’ennesima prova della tua idiozia, Malfoy. Portami a casa.»

Il giovane la vide avvicinarsi, squadrando gli abiti di vecchie prozie Malfoy o Black che ricadevano con grazie sul corpo asciutto e magro della ragazza: erano capi molto costosi, anche se certamente fuori moda, ma si sorprese di pensare che la giovane strega indossava con la medesima grazia quei vestiti che l’abito della sera precedente. Non le aveva permesso di sceglierselo, anche se ne avrebbe avuto il potere, ma spesso la diplomazia e le belle donne sono legate a doppio filo; un filo che aveva dubbi la Granger potesse conoscere.

Per la seconda volta, le tese il braccio, aspettando che lei lo afferrasse. La strega, benché era certo avrebbe preferito staccarglielo a morsi, si sottomise docile al suo invito, probabilmente desiderosa di tornare a casa quanto lui. Lei aveva lenticchia ad attenderla, se l’era scordato: probabilmente era stato un fastidio mentirgli per venire lì con lui. Il locale in cui l’aveva pescata faceva sicuramente orari lunghi, ma non fino alle 10 del mattino, visto che era esattamente quella l’ora che le sue lancette segnavano. Ancora una volta maledisse quella ricerca per tutta la concentrazione e l’attenzione ai particolari che gli aveva fatto perdere: il giorno dopo avrebbe riflettuto sul da farsi, magari trovando una copertura per la sua compagna. Si soffermò involontariamente su quella parola, mentre uno strappo all’altezza dell’ombelico lo riportava nei pressi di Londra..

Compagna..

***

«Herm? Maledizione! Sei stata via tutta la notte! Dove diamine eri finita? Ron mi ha chiamato preoccupatissimo, non sapeva dove sbattere la bacchetta per cercarti!»

«Harry, calmati! – rispose lei in un soffio, dall’altra parte del cellulare – Sto tornando, sono davanti casa. Mi inventerò qualcosa per stavolta, non posso mica dirgli che ero con Malfoy! Sai che impazzirebbe di gelosia! E poi rabbia, dopotutto è di quella serpe che siamo parlando..»

«Ti.. ti ha fatto qualcosa? Insomma, stai bene? Dove siete stati? Non sarò che avevo ragione?»

Le sembrò un’eternità da quando lei e Harry avevano parlato, benché si trattasse solo del giorno prima. L’amico l’aveva avvertita di non fidarsi e lei, fiduciosa nella migliore parte di qualcuno che aveva acconsentito a toglierla dal postaccio in cui lavorava, aveva accettato la sua mano tesa verso di lei senza domanda. Aveva sbagliato? Di sicuro, quella della sera precedente non era stata una passeggiata di shopping, e neppure un pomeriggio tranquillo di studio: insomma, per una frazione di secondo le era sembrato di essere ritornata ai tempi in cui viveva mille avventure con Harry e Ron al suo fianco.

Certo, stavolta non sapeva contro cosa andava incontro e la compagnia era decisamente peggiore ma, dopotutto, a tutti capita un deja-vu almeno una volta nella vita.

«Sto bene! – sospirò stanca – Era un lavoretto a cui, dopo anni passati a salvare te e Ron dalle situazioni più disparate, ero mentalmente e fisicamente preparata, puoi stare tranquillo. Ovviamente Malfoy resta sempre quello che è: voglio ancora capire cosa sta tramando, e se va tutto come spero lo saprò presto.»

«Herm, se riesci a scoprire qualcosa sei un genio! Incastrare Malfoy non solo mi darebbe modo di mettere fuori gioco quel suo damerino, Wiberly o come si chiama, dai miei Auror, ma sarebbe anche a te la possibilità di ritornare al Ministero. Stavolta né le Leggi Magiche nè il Ministro e neppure la Corte potranno impedirtelo. E’ quello che hai sempre aspettato Herm!»

La ragazza realizzò che, malgrado detta così sembrava un’azione meschina e tutt’altro che degna di loro, dopotutto Harry aveva pienamente ragione: quale motivo aveva lei di essere leale a Malfoy? La sua fedeltà andava alla sua famiglia, ai suoi amici, al Ministero e al Mondo Magico, non ad un ex Mangiamorte che aveva deciso di aiutarla per ragioni ancora sconosciute. La stava usando – le era apparso evidente come non mai, dopo la sera precedente – perché una strega come lei non era certo facilissima da trovare, lei e la sua conoscenza degli incantesimi, il suo intuito e la sua bellezza erano sicuramente degne di essere sfruttate per qualsiasi cosa lui stesse cercando di ottenere. Lei gli era indispensabile. E, in fondo, Harry aveva maledettamente ragione: incastrare un ex Mangiamorte come lui, un Mafloy, uno dei personaggi più importanti del mondo magico, sarebbe stato un botto. Non solo il Ministero avrebbe visto quanto lei fosse indispensabile per la comunità magica ma avrebbero anche fatto a gara nel supplicarla di ritornare al Ministero e alle sue mansioni. La sua origine babbana sarebbe stata finalmente offuscata dalla sua bravura e dal suo impegno, quello per cui lei si era sempre battuta con ardore e dedizione.

«Hai perfettamente ragione, Harry. – ammise, con un sorriso, anche se qualcosa nel suo stomaco sobbalzò a quelle parole – E’ la mia occasione per tornare di nuovo al ruolo che mi spetta.»

«Così ti voglio, Gryffindor! Agguerrita e determinata!»
Le sfuggì una risata gutturale. «Sempre, Harry.»

«Ah, e Ron pensa che sei stata in missione da qualche parte, non ho saputo inventarmi di meglio. Non ci ha creduto quindi pensa tu a fare qualcosa per convinc..»

La linea cadde o, più probabilmente, l’amico aveva premuto il bottone troppo presto. Era stata lei a convincere i propri amici ad utilizzare quegli inutili aggeggi babbani per comunicare: la verità era che erano comodi e, finchè non si trattava di Hogwarts, gli apparecchi elettronici funzionavano perfettamente nel mondo magico. Ginny era stata la prima a capirne i vantaggi – ed infatti Harry e Ron avevano tentato di distruggere quegli apparecchi infernali a causa delle ore che le due ragazze trascorrevano a telefono. Harry, cresciuto in una famiglia orrenda ma comunque babbana, si era sentito a suo agio quasi subito, subito dopo essersi abbassato all’utilizzo di quell’affare. Questo era stato prima. Poi Ginny era irrimediabilmente cambiata e i loro rapporti si erano notevolmente raffreddati, ma l’uso dei telefoni cellulare era apparso più conveniente anche ai ragazzi che avevano acconsentito ad utilizzarli, anche se per un tempo limitato – attualmente da quasi due anni. Beh, gli uomini sono fatti così, è inevitabile: dicono una cosa e ne fanno un’altra.

La casa era silenziosa. Oh oh, cattivo segno.

«Ron? – chiamò piano Hermione, avvicinandosi al salotto e posando le chiavi sul tavolino dell’ingresso – Ci sei?»

«Si. – rispose una voce funerea, che proveniva da una figura accasciata su una poltrona vicino ad un fuoco da poco spento – Sono stato qui tutta la notte ad aspettarti. Harry mi ha detto che eri fuori per lavoro, per una missione in carica dal Ministero. Non gli ho creduto. Sei anche amica sua dopotutto.»

Dove diamine voleva andare a parare?

«Insomma, tu non.. stai vedendo.. qualcuno, giusto Herm?»

«Per Merlino! – si concesse di imprecare lei, avvicinandosi al fidanzato con lunghi passi – Io tradirti? Ma ti senti quanto spari queste Cioccorane, Ronald Weasley? Se avessi voluto lasciarti l’avrei fatto, non di certo sarei rimasta a vivere con te e avrei accettato quel maledetto programma Babbano del Ministero. Sarei entrata in clandestinità e mi sarei fatta una vita rispettabile! Se sono qui, con te, un motivo ci sarà, stupido gargoyle! Io ti amo!»

«Mi ami? – chiese lui, quasi cadendo dalle nuvole – Davvero?»

Quel ragazzo sapeva farla morire di emozioni quando voleva, ma per intelligenza negli affari di cuore non spiccava proprio. Doveva proprio ricordagli che lo amava? Stava facendo tutto quello per lui! Lo stesso patto che aveva accettato di stringere con quella serpe dello Slytherin era solo un modo per migliorare al loro condizione, per formare finalmente una famiglia tutti insieme. Perché non ci arrivava?

Gli si sedette sulle ginocchia. «Non potevo avvisarti perché mi hanno comunicato il tutto all’ultimo momento, era una dei quelle cose che non puoi rifiutare. E poi gli serviva qualcuno che conosce le rune.. ah! Il ministero si ricorda di me solo quando nessun altro mago sa fare quello che so fare io, per il resto posso anche marcire fra i babbani a vita!»

Quanto era diventata brava a mentire, sarà stata la vicinanza di Malfoy a darle quella grinta.

«Chiamarti con il cellulare non era cosa possibile, dato che non sai ancora come si usa, e poiché Harry è il Capo Auror.. ne sapeva qual cosina, ma comunque non abbastanza da dirti tutto..»

Ah Granger, sei una bugiarda nata!

«Mi credi, non è vero?»

Gli circondò il collo con le mani, avvicinandosi al suo volto con un’espressione carezzevole, ormai seduta del tutto sulle sue ginocchia. Il ragazzo, benché volesse a tutti i costi capire qualcosa di più, parve accettare quella spiegazione senza indugi: non era da lui mettersi nelle cose del Ministero che andavano oltre la sua portata, non gli piaceva interferire con il lavoro di Harry e Herm. Certo, non si era più trovato in questo genere di fastidi da quando la mora lavorava in quella fabbrica per la Protezione delle Lucciole – che la teneva spesso impegnata anche di notte, quasi sempre di notte in verità – ma in fondo la sua vena protettiva e ambientalistica era una cosa normale con cui aveva ormai fatto i conti. Ma quella sera, la sera prima, non doveva lavorare e lui si era spaventato. Ma, ormai, era inutile rimuginarci sopra: erano lì ed erano insieme.

«Beh.. lascia che mi faccia perdonare.. se ancora non mi credi, tra poco lo farai..»

E con un risolino lo trascinò verso la camera da letto.

***

Il giovane Slytherin entrò in casa, buttando la giacca su una delle poltrone all’ingresso. Aveva bisogno di un bagno caldo e fu esattamente quello che chiese al primo elfo che intravide provenire dalle cucine, probabilmente intento a cucinare la cena per Blaise. Infatti fu proprio la sua voce che udì, passando accanto alle porte chiuse della sala da pranzo. Con la sua, udì la risatina sottile di una ragazza; non una ragazza qualsiasi, la più giovane della nidiata Weasley, Ginevra. Benchè fosse la moglie di Potter, stranamente Blaise trovava la sua compagnia.. inebriante, per citare una sua definizione. E, dato che ormai Blaise aveva preso residenza a Villa Malfoy, era qui che avvenivano i suoi incontri galanti.

Con un sorriso ironico, il giovane Slytherin si diresse nelle sue stanze, in attesa che l’elfa domestica a cui aveva ordinatola vasca venisse a chiamarlo. Si buttò sul letto, ancora vestito con lo smoking e la camicia bianca, stropicciata ma ancora candida, le mani dietro la nuca e lo sguardo pensoso rivolto al soffitto. Si, aveva fatto una buona scelta con l’includere la Granger, era stata proprio un buon acquisto.







Note dell'Autrice: ù.u

Salve a tutti quelli che hanno deciso, non si sa come, di proseguire la lettura di questa storia: a voi, che siete ancora qui, dico bentornati. A quelli che, invece, hanno iniziato a leggere soltanto da poco tempo e sono incappati in questa lettura per caso, dico benvenuti.
Ebbene, qui vedete un primo scorcio della Missione di draco, di quello a cui sta andando incontro. Certo, non si capisce ancora molto, ma il bello sta proprio in questo. Lui è ossessionato da quello che cerca, è un'ossessione talmente forte da mozzargli il respiro e distoglierlo da qualsiasi altra cosa possa esserci intorno a lui. Da qui, ovviamente, lui in pericolo di vita e Hermione che gioca il suo ruolo, quello di fanciulla volenterosa e diligente che gli salva la vita. Da notare: Draco non la ringrazia, quando poi sono fuori pericolo, anzi. Si diverte, ci gioca. Non a caso ritengo che la parte della casa sia probabilmente la più divertente dell'intero capitolo. Vi chiederete ora: ma non è una Dramione? O.o Cosa ci fanno a letto Ron e Herimone?
Beh, il rapporto Draco Herm è appena cominciato: lui non è stata perennemente innamorato di lei, è un sentimento che lui sentirà crescere nel tempo e che maturerà, così come per lei così per lui. Naturalmente bisognerà aspettare di arrivare, a quel punto. Fin'ora lui è troppo sulle sue e lei è fin troppo convinta delle proprie scelte, per cambiare qualcosa.

Spero di essere stata regolare nell'aggiornamento. Ringrazio molto le 3 persone che hanno aggiunto la storia ai preferiti, i 3 che l'hanno inserita fra le storie da ricordare e le.. wow! 24 persone che hanno deciso di aggiungerla alle seguite: grazie molte!!!
Spero di non avervi annoiato e, salvo imprevisti, ci rivediamo sabato prossimo.

Un bacio, K

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Capitolo 4
*** ;;new dirty little Secrets ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo III:

 new dirty little Secrets

 

Dai tempi di Hogwarts, da quando ormai Tiger e Goyle non costituivano più la sua compagnia ideale, l’uno purtroppo morto e l’altro sposato con una Babbana, il signor Blaise Dean Zabini era diventato il suo migliore amico. Certo, usare amico era un parolone ma, in un mondo fatto da persone meschine e doppiogiochiste, erano pochi quei compagni con cui potersi sentire a proprio agio: per il giovane Slytherin, il suo coetaneo Blaise era propriamente uno di quelli. Rampollo di una famiglia importante, dopo la Seconda Guerra suo padre era morto – era proprio ironico morire di cancro piuttosto che ucciso da qualche fattura! – e, dato che la madre era impazzita dal dolore e aveva cominciato a picchiare il figlio, Blaise si era rifugiato a Malfoy Manor, da poco dimora del nuovo Signor Malfoy. Lucius era passato a miglior vita per motivi ancora del tutto sconosciuti, lasciando in mano al figlio un’autentica fortuna di cui, ovviamente, Draco non si lamentava affatto.

Da allora, malgrado avesse tentato – più per scherzo che per autentica irritazione – di cacciare il compagno dalle mura della sua Manor, Blaise era rimasto con lui. La sua compagnia era diventata quasi.. piacevole. Era su questi pensieri che stava indugiando, proprio quando il diretto interessato apparve dalla porta del salone, in cui Draco stava comodamente bevendo la sua cioccolata calda: erano le dieci passate, un’ottima ora per svegliarsi. Il moro aveva addosso soltanto il pantalone del pigiama, mentre il petto ambrato era in bella vista. Lo Slytherin gli sorrise, a mò di saluto, agitando la bacchetta per fargli apparire una tazza di caffè amaro: non era un tipo che amava molto le cose dolci, Blaise.

«Passata una bella serata? – si informò il padrone di casa, conoscendo già la risposta – Ho sentito la Weasley ridacchiare, quando sono tornato.»

L’altro si accomodò su una poltrona, socchiudendo gli occhi al profumo inebriante del caffè amaro, che sorseggiò con lentezza straziante. Quando finalmente ebbe assaporato il suo piacere mattutino per eccellenza, guardò il suo ospite. Rispondendo con un’alzata di spalle. «Ehi, se ti da fastidio la Weasley puoi sempre dirmelo, sai che odio esserti d’impiccio, amico! E poi non credevo..»

«Mi hai frainteso.. – si corresse il giovane biondo scacciando quelle giustificazioni con un gesto distratto della mano - ..volevo solo sapere se ti sei divertito, non c’era critica nel mio interessamento. Se la Weasley mi avesse dato fastidio te l’avrei detto. Ma non ho nessun legame con lei, a parte quella notte che – benché lei dica il contrario – mi è parsa solo un grave errore. Non avrei dovuto dormire con lei..»

La mascella del moro si irrigidì, malgrado fece di tutto per dissimulare la cosa come una reazione al calore del liquido che stava bevendo: malgrado per sua natura non fosse adatto ad esprimere direttamente i suoi sentimenti, Malfoy sapeva che Zabini provava qualcosa per quella rossa fiammante, ed era triste. La giovane donna aveva una ragione più che comprovata per frequentarlo, visto che il suo unico interesse era il padrone di casa, non il suo amico e ospite; stare con Blaise era una speranza di riconquistare lui, Draco, ma il ragazzo questo lo sapeva bene. Entrambi lo sapevano, eppure il moro si ostinava con lei, sperando che, un giorno magari, avrebbe rivolto finalmente le sue attenzioni a lui e a nessun altro. Vane speranze, le sue, anche se Draco aveva troppo a cuore la loro amicizia per rivelarglielo direttamente. La rossa non era una di quelle fanciulle tanto semplici da incantare, in fatto che frequentasse con una certa assiduità Malfoy Manor, pur essendo sposata con Potter, ne era la prova, eppure era sicuro che la testardaggine di Blaise andava oltre quella della Weasley, quindi preferiva lasciare all’amico la decisione più importante, non intromettersi, per poi non avere ripensamenti o motivi per ritenersi responsabile di una loro separazione.

«E’ stata una bella serata, come tante altre.. – ammise l’altro, dissimulando con eccelsa bravura i suoi reali sentimenti – Lei è già andata via, quindi non hai nulla da temere. Anche se..»

Guizzò con gli occhi verso il suo interlocutore, scrutandolo.

«..posso sapere dove tu hai trascorso la tua giornata, ieri? Non ti ho visto per tutto il giorno e suppongo tu sia tornato tardi, per sentire Ginny.»

Malfoy si prese tutto il tempo per rispondere: più e più volte Zabini si era dimostrato un fidato confidente, a cui chiedere consiglio e a cui rivelare i suoi più loschi segreti e le sue macchinazioni, eppure non riusciva a valutare se la faccenda che stava portando avanti fosse o meno importante a tal punto da nascondergliela. Di certo era di immenso valore, era qualcosa che nessuno doveva scoprire al di fuori di lui – o di quelli intorno a lui – ma di chi potersi fidare? Quando c’è in ball il potere, tutti diventano possibili avversari, tutti potenziali nemici: a che punto arrivava la riconoscenza di Blaise, a che punto avrebbe potuto spingersi per aiutarlo o, in caso contrario, mettergli i bastoni fra le ruote? Lo conosceva da anni, certo, ma era sufficienti per potergli affidare un segreto come quello? Come sempre, la sua spiccata bravura oratoria ebbe la meglio e, come sempre, la mezza verità venne preferita ad una verità totale o ad una bugia.

«Sono stato in Russia a trovare Kostja. Aveva organizzato una cena galante e ho pensato di farci un salto..»

«Amico! – si indignò Zabini, strabuzzando gli occhi – Mi deludi fortemente! Vai da Kostja e non mi porti con te, sai che ha una sorella per la quale sarei disposto a vendermi la bacchetta!»

«Si, lo so bene.. – sorrise il giovane, posando la tazza ormai vuota sul pavimento e riunendo la mani davanti al volto, polpastrello contro polpastrello – anche se dubito che Anna provi lo stesso, dato che ha provato a trasfigurarti in una lumaca, l’ultima volta che hai provato a farle un complimento. E, oltretutto, ero andato lì accompagnato..»

«Accompagnato? Con chi?»

«Hermione Granger.. – sillabò piano il biondo, guardando il compagno in attesa di una reazione – Ho chiesto a lei di accompagnarmi.»

Come c’era da aspettarselo, Zabini strabuzzò gli occhi. «Quella Granger? L’amica di Potter? Draco, sei impazzito! Aspetta che venga a scoprirlo Astoria!»

«Tra me e Astoria non c’è niente! – alzò la voce, leggermente contrariato, ancora non del tutto adirato – C’è solo il matrimonio che mio padre stava organizzando e che io non ho mai voluto, lei non è niente per me e non sarà null’altro che la sorella di Daphne.
Anzi, a proposito dei Greengrass.. E’ vero che Daphne è incinta?»

Zabini rise sotto i baffi, quasi strozzandosi di caffè. «Amico, se ti segnassi di leggere le dettagliate lettere che Astoria ti manda una volta la settimana, sapresti tutto!»

«Per mia fortuna, Blaise, tu lo fai benissimo al posto mio e sinceramente non ho proprio voglia di immergermi nelle speculazioni superficiali di una noiosa sedicenne! A quell’età sono così insopportabili, se lo vogliono!»

«Beh.. – proseguì Zabini divertito – Il padre sta seriamente pensando di ripudiarla, anche se dire chi è il padre la salverebbe, o meglio salverebbe la reputazione della famiglia. Lei si rifiuta e, non è finita! Non pensa nemmeno di abortire o darlo via, vuole tenere quel bastardo e crescerlo!»

«Che paroloni! – lo corresse Draco, nascondendo l’evidente divertimento – Mi sembra di essere nel Medioevo, dove bastava che una ragazza facesse sesso prima del matrimonio per essere bruciata viva o altro! Siamo nel XXI secolo, per Merlino! Davvero parliamo ancora di verginità prematrimoniale o di simili sciocchezze? Daphne, poi, non è mai stata il tipo da tenerci a queste stronzate.. se vuole tenere il figlio di qualcuno, vuol dire che a quel qualcuno ci tiene davvero, non credi? Non è che è un Babbano?
Allora si che suo padre la crucerebbe, sarebbe uno spettacolo!»

L’amico ridacchiò. «Vuoi troppo, ora: io so solo quello che ti dice Astoria.. »

«Si, beh, era semplice curiosità, non ho intenzione di farmi trascinare da simili idiozie familiari, soprattutto ora che non ho più una famiglia del genere con cui litigare.. perché preoccuparmi degli altri?»

«Ecco Malfoy! Comunque, dato che ci sei, stasera andiamo dai Locke? Mi hanno detto che ci sarà da divertirsi..»

«Perché no! – il giovane si concesse un sorriso – Dopo ieri ho bisogno di distrarmi, ma prima.. vado a mandare un Gufo a Pellwan, ho bisogno del suo aiuto.»

«Perché chiami il tuo direttore di sabato mattina? L’azienda ha qualcosa che non va?»

«Nulla.. – concluse sbrigativo il giovane, alzandosi e uscendo – Ci vediamo dopo. »

La verità era che Armando Pellwan era l’uomo più importante della sua azienda: un direttore, per molti mesi un mentore, ora un fidato consigliere. Era uno dei pochi uomini che considerasse un suo pari, nel mondo magico, eppure aveva paura di vederlo spesso, quasi per timore di essere eclissato dal suo ego o roba simile. Ma le parole della Granger, la sera prima, l’avevano fatto riflettere: le aveva promesso un modo per riscattarsi, per tornare al ruolo che le spetta nel Mondo Magico e al Ministero, e lui manteneva le sue promesse. Senza contare il fatto che, adesso, aveva bisogno di un diversivo per tenerla lontana da casa – e da quell’idiota di Weasley – per giorni, forse anche settimane se si metteva davvero male, quindi un lavoro le avrebbe fatto comodo.

Ed era un lavoro in un’azienda babbana: la Legge imponeva un lavoro in un’azienda babbana, non c’erano clausole che vietassero che il capo di tali aziende fosse un mago. Era quello il caso quindi – tranne l’astio che sicuramente lei e i suoi amichetti avrebbero avuto – non c’era nessuna imposizione legale che le vietasse quel lavoro, tranne la sua cocciutaggine e insensato orgoglio.

Come c’era da aspettarselo, Armando si materializzò davanti alla sua porta pochi minuti dopo che il giovane aveva spedito il gufo: l’efficienza di quell’uomo era una cosa fantastica, ecco perché gli aveva affidato la sua azienda. L’idea di aprirne una nel mondo babbano era stata un azzardo che, sia Lucius all’epoca sia i suoi amici, avevano rifiutato per sfiducia e incredulità. Per lui, malgrado tutto e tutti, costituiva un buon aggancio: estendere il proprio potere al mondo Magico era uno scherzo, diventare un uomo importante anche nell’Altro Mondo, era una sfida. Lui adorava le sfide, quindi aveva tentato il tutto per tutto in quel progetto. Come c’era da aspettarsi, ne era riuscito vittorioso, grazie soprattutto all’aiuto di un uomo d’eccezione, Armando Pellwan. Mezzosangue di nascita, di madre strega e padre babbano, l’uomo era stato a lungo dipendete di suo padre; quando Lucius era caduto in rovina, o meglio era morto, Armando si era rivelato un buon consigliere nella gestione degli affari finanziari della famiglia. Tra tutti, poi, era stato l’unico ad appoggiare il suo progetto di ampliamento del capitale nel Mondo Babbano – dato che ne conosceva la struttura molto meglio di Malfoy, essendoci cresciuto. Una volta che l’azienda era diventata un portento e uno dei vessilli della Borsa Mondiale, Draco aveva ritenuto superfluo sedersi dietro ad una scrivania e gestire i problemi di un’Industria milionaria, preferendo così affidare quel compito a Armando.

«Signor Mafloy – lo salutò un uomo sulla cinquantina, con i capelli castani percorsi da qualche filo argentato – Mi ha sorpreso il vostro gufo, ma ho ritenuto fosse importante venire di persona..»

Efficienza, appunto.

«Grazie mille, Pellwan, lo apprezzo molto. Non ti tratterrò a lungo, è una questione di poca rilevanze ma c’entra con un dipendente particolare e non potevo aspettare lunedì per parlartene. Devi assumere una persona.. una strega.»

La confusione sul volto dell’uomo fu comprensibili e aspettata. «Strega? Non credevo che volesse allargare il settore dipendenti al mondo Magico o, se voleva farlo, non ho ricevuto alcun..»

«Calma, calma Armando.. – lo tranquillizzò Malfoy, con una pacca sulla spalla – nulla di tutto questo. Si tratta di una babbana di nascita, sai i grattacapi che il Ministero ha dato a quelli come loro negli ultimi tempi… l’integrazione e quant’altro? Bene, lei ha bisogno di una lavoro. La nostra è una Società babbana e quindi sarebbe un posto pefetto.»

L’uomo, dopo un momento di stupore iniziale, assunse un aspetto riflessivo, più calmo. Stava valutando le alternative, stava esaminando le parole di Malofy: non prendeva mai nulla alla leggera, gli piaceva avere sotto controllo ogni cosa, prima di assumersene la responsabilità. «Capisco. Beh, voi siete un mago, non potreste dare questa possibilità a tanti altri maghi senza lavoro? Volete che apra un nuovo..?»

«Nulla di tutto questo, Armando.. – ripetè calmo il biondo – Questo è un caso eccezionale e che non si ripeterà. La ragazza lavorerà da noi ma, in teoria, è come se non lo facesse. Mi segui? Di fatto sarà sul nostro libro paga ma non verrà in ufficio la mattina e non avrà una pausa pranzo. Lavorerà.. personalmente.. perme. Ci sei, mi segui?»

L’uomo annuì: la sua spiccata intelligenza non l’aveva deluso nemmeno in quell’occasione. «Vuole che questa giovane donna sia messa sul nostro libretto dipendenti ma, in realtà, i suoi servizi non verranno resi all’azienda ma solo a lei, anche se gli altri penseranno in contrario. – alzò per un attimo lo sguardo, scoccando un’occhiata tutt’altro che d’approvazione al suo superiore –
Voi sapete che io di solito non mi intrometto in queste decisioni, signor Malfoy.. ma.. Draco.. vale la pena rischiare tanto per lei? Sai che non ci andresti di mezzo solo tu.»

Soltanto l’amicizia e la stima nei confronti dell’uomo gli concedeva il privilegio di chiamarlo per nome. «Si, ne vale assolutamente la pena. Per i dati della ragazza troverai tutto al Ministero sotto il nome “Hermione Jean Granger”. Tutto chiaro, Armando? Posso fidarmi?»

L’uomo di concesse un sorriso ironico. «Come se vi avessi mai deluso. Signore..»

Con un inchino, l’uomo si congedò. Mai come ora, Malfoy capì di aver fatto un buon affare assumendo e affidando i propri affari ad un uomo come quello, di cui poteva avere fiducia in qualsiasi caso o affare. Ora che un problema era andato, bisognava rimettersi al lavoro: fuori una boccetta, ne restavano sette. Ancora sette e, finalmente, avrebbe ottenuto quello che tanto agognava.

***

Svegliarsi sola nel letto, dopo aver trascorso qualche ora focosa con Ron, era diventata ormai un’abitudine: strano ma vero, il rosso odiava le coccole e quindi, ogni qual volta avevano finito di fare l’amore, si alzava con una qualche scusa, per poi dileguarsi in cucina, sul divano o, ancor più probabile, da Harry per una discussione di massima importanze come “I bolidi dovrebbero essere più marroni o più duri?”, “il Ministero dovrebbe approvare la nuova Coppa del Quiddich che dovrebbe svolgersi ad Hogwarts?” o meglio “le tendine sono meglio rosse o blu?”. Insomma, futilità come quelle. Anche se dissimulava il suo dispiacere, in verità Herm ci restava parecchio male a quell’atteggiamento, la faceva sentire una donna oggetto, né di più né di meno di una banale prostituta, utile solo a letto e praticamente inutilizzabile fuori dalla camera da letto o in qualsiasi altra mansione che non fosse il sesso. Quello andava bene, nulla da dire, era il resto a lasciarla in qualche modo perplessa. Mese dopo mese, giorno dopo giorno, sentiva di aver perso quel qualcosa che l’aveva legata indissolubilmente a Ron, all’inizio, subito dopo Hogwarts, subito dopo che Voldemort era scomparso.

Forse non dipende da lui, forse la colpa è tua..

Colpa sua? E di cosa aveva colpa, lei? Si essere una babbana? Quello glielo ricordava ogni giorno il Ministero, mandandola a lavorare nel mondo babbano per la stramaledetta cooperazione, che serviva più a un Gorgosprizzo che agli effettivi maghi. Dell’essersi innamorata di Ron? Di non avergli dato la schiava che sembrava pretendere, ogni giorno sempre di più. Voleva che lei si comportasse esattamente come sua madre: nulla contro Molly, per carità! Era una donna incredibile per aver fatto crescere sette figli in maniera così eccelsa, ma i suoi doveri e le sue ambizioni non andavano oltre le mura della Tana, lei era la perfetta donna di casa, Hermione invece no. La sua ambizione principale era una carriera, un buon lavoro e il rispetto degli altri Maghi, un progetto in cui la famiglia slittava inevitabilmente in secondo piano, senza dubbio. Ron questo o non voleva o non poteva accettarlo, eppure non avevano mai affrontato l’argomento direttamente: ogni accenno di discussione veniva subito frenato da qualche scenetta strappalacrime e con loro a letto o con Ron che sfuggiva con una materializzazione veloce, inventando una scusa al momento. Non gli piaceva litigare, era una battaglia in cui sapeva di non poter vincere e, piuttosto che affrontarla, preferiva scappare.

Prima o poi dovremo affrontare la realtà, per quanto brutta che sia. Starò sempre meno a casa con questa cosa di Malfoy.. dovrò inventarmi qualcosa per giustificare le mie assenze da casa.. chissà cosa dirà il Signorino Malfoy, a riguardo..

Già, cosa avrebbe detto Malfoy? Dopotutto, come ci teneva a ribadire lui stesso, era lui il suo capo, quindi a lui spettavano incombenze come quella. Ancora non si era fatta un’idea precisa di cosa dovessero affrontare ma si era ripromessa di indagare.

Certo, doveva aspettare che Ron se ne andasse, visto che era imprudente coinvolgerlo o farsi beccare, quindi finse di dormire, almeno finchè non lo sentì smaterializzarsi, lasciando la televisione accesa: gli apparecchi babbani non riusciva proprio a gestirli, che si trattasse di un cellulare o di un televisore. Si alzò, trascinandosi la coperta fino in bagno, dove si infilò sotto il getto caldo della doccia. Era bello restarsene lì, immobile, sentendo le gocce calde che le scivolavano lungo la pelle nuda, le dava una sensazione di conforto e calore che raramente provava. Era bello, come dire, evadere dal mondo, anche se solo per un attimo, senza sentire niente e nessuno.

Una volta che fu sazia di quella goduria, uscì e si vestì con un paio di pantaloni neri, un maglione doppio fatto a maglia dalla signora Weasley – e malgrado tutto, molto bello – color azzurrino spento, un paio di stivaletti grigi e una sciarpa, grigia anch’essa: aveva freddo e stava meditanto di uscire per fare qualche acquisto, magari sfruttando anche l’opportunità di rivedere Melissa o Lavanda, che non vedeva da settimane ormai. Mentre si stava infilando il cappotto, il cellulare vibrò: strano, non si aspettava messaggi.

Numero sconosciuto. Io chiamo, Granger.. tu?

Strabuzzò gli occhi, indecisa se essere sorpresa del fatto che Malfoy la chiamasse così presto, del fatto che le mandasse un messaggio e avesse il suo numero di cellulare o, ancora, che sapesse usare un cellulare! Ma dove sarebbero andati a finire, di questo passo? Mancava solo Atlantide..

Capì che, con ogni probabilità, anche quella sera sarebbe stata lunga e difficile, quindi preferì mandare un messaggio a Harry, pregandolo di inventarsi qualche scusa e trattenere Ron.

Ancora bugie, Granger. Attenta a non farlo diventare un’abitudine.

Convinta di aver pensato proprio a tutto, roteò su se stessa, materializzandosi direttamente nel corridoio di Malfoy Manor: fuori faceva freddo, era superfluo aspettare che un qualche elfo le aprisse, visto che tecnicamente era già stata invitata ad entrare da un messaggio del padrone. Insomma, sottigliezze come quella avrebbero dovuto essere secondarie, rispetto alla “chiamata” di Draco Malfoy. Non vedendolo nelle vicinanze, si disse che non l’avrebbe aspettato per tutto il pomeriggio e per tutta la serata, quindi si incamminò per il corridoio scuro, notando una stanza con delle luci accese. Senza farsi troppi problemi, si avvicinò, spiando all’interno.

Quello che vide la raggelò: chini l’uno accanto all’altra, davanti a un bel fuoco acceso e con due bicchieri di vino rosso in mano, c’erano Blaise Zabini, ex Slytherin e probabilmente amico di Draco, e la chioma rossa inconfondibile dell’ultima figlia di Molly, Ginevra. Cosa ci faceva lei lì? E cosa diamine.. oh mio dio! Non concluse neppure il suo pensiero che vide i due sfiorarsi, con un’intimità e una sensualità impressionanti, per poi baciarsi con trasporto. Ginny stava tradendo Harry.. Ginny stava tradendo Harry con Zabini! No, non era possibile!

«Piccola ingenua Gryffindor – le sussurrò una voce tagliente alle spalle – non ti hanno forse insegnato che è maleducazione spiare gli altri, soprattutto se non sei a casa tua?»

Sobbalzò, producendo un rumore ben udibile, tanto che sia Ginny che Balise sobbalzarono, voltandosi verso la porta. Hermione arrossì fino alla radice dei capelli, mentre Draco la oltrepassò spavaldo per entrare nel suo salotto e salutare con un cenno i due, che si allontanarono di scatto, non tanto per la presenza del biondo quanto per quella della mora alle sue spalle. Benchè in quel momento non desiderasse altro che sprofondare sottoterra, sia perché l’ultima cosa in cui voleva essere coinvolta era un tradimento sia perché odiava a prescindere situazioni come quella,  avanzò di qualche passo, guardando i due giovani, che la fissavano con un misto di incredulità, irritazione e – nel caso di Ginny – paura.

«Zabini.»

«Granger.»

«Ginevra.»

«Hermione.»

«Malfoy! – esclamò il diretto interessato, con un alzata di spalle e la voce divertita – Avete finito? Avrei bisogno del salotto, Blaise, quindi se non ti dispiace..»

Il moro annuì, alzandosi, senza mai staccare gli occhi dalla ragazza che era appena entrata e, senza aspettare Ginny, varcò la porta e svanì. Ginny fu più lenta: prima guardò Draco, in una muta supplica, quindi avanzò verso Hermione, gli occhi bassi. Si fermò accanto a lei, decisa a dire qualcosa, ma la mora non glielo permise, sorpassandola con un movimento e veloce e impedendole di parlare. La rossa parve capire, perché uscì velocemente, chiudendosi la porta alle spalle, non prima di aver lanciato un’occhiata indagatrice a Malfoy, chiedendosi il perché volesse restare solo con Hermione ma, soprattutto, che cosa ci facesse lei con lui, a casa sua.

«Sei stata veloce. – si complimentò il biondo, guardandola – Ma stasera non era necessario. Ti ho solo chiamata per farti sapere che ho risolto quel piccolo problema riguardante.. il tuo lavoro…»

La mora parve non capire: non avevano detto che il suo lavoro, adesso, consisteva nel lavorare.. per lui? Aveva già cambiato idea? Non la voleva più, davvero si era dimostrata così inaffidabile la sera prima, o forse aveva deciso di poter svolgere da solo quelle missioni e quindi non gli serviva più? Voleva rimandarla a lavorare in quel postaccio? Per un attimo, si distrasse dalla faccenda di Ginny, sicura che avrebbe avuto modo di pensarci a breve. «Non capisco cosa intendi..» - ammise infine, con un’occhiata confusa alla sua figura, comodamente seduta sulla poltrona di velluto scuro, quasi nero.

«Intendo dire.. – proseguì calmo Malfoy, invitandola a sedersi con un ceno della mano – che non dovrai più preoccuparti di inventare scuse con il tuo fidanzato, perché da oggi hai ufficialmente un nuovo lavoro, nel mondo babbano, ed è del tutto rispettabile. Assicurazione sanitaria e tutto il resto, non sei più disoccupata.»

La ragazza ancora non seguiva il suo ragionamento. «Ma io lavoro per te.. – disse confusa, dopo essersi seduta di fronte a lui – Non avevi detto che mi avresti pagato tu?»

Ah, ma non doveva essere intelligente quella? Si vedeva che gli anni con lenticchia l’avevo rincretinita! «Si, è così infatti. L’azienda babbana per cui lavorerai è la mia, è una mia proprietà, e mentre sarai sul libro paga, e quindi risulterai una dipendente a tutti gli effetti, i lavori che svolgerai saranno per me e con me. Mi segui?»

La ragazza lo fissò stupita: davvero era riuscito ad organizzare un diversivo del genere, da solo e senza aiuto?? Come aveva fatto? Insomma, la strategia è qualcosa che si impara sul campo, i più grandi strateghi del passato agivano come tali soltanto dopo anni di lunghe guerre ed esperienza, e lui era riuscito a ideare tutto quel piano per così poco in così poco tempo?

No, sciocca, certo che no. Lui aveva progettato questo piano da tanto, tantissimo tempo: quello che sta cercando è grande e pericoloso, non può permettersi errori. Tu gli servi e quindi non può permettersi errori nemmeno con te, è logico che voglia e debba proteggerti, anche nella tua copertura. E’ logico, come hai fatto a non pensarci?

La ragazza infine annuì. «Possiedi un’azienda babbana? – decise di voler esaudire la sua unica curiosità – Mi stupisci.»

«Schiava degli stereotipi, Granger. Il denaro è denaro, che sia babbano o di maghi, e io non possiedo tutto quel che vedi soltanto per il mio bel sorriso e per il mio fascino mozzafiato…»

«..fosse così, staresti a cavallo! – replicò lei, affrettando ad aggiungere, vista la sua espressione interrogativa – Detto babbano, che vuol dire “altrimenti non avresti tutto questo”.. è ironia, sai?»

«Beh, ma sta di fatto che ce l’ho. E, dato che ti ho detto quello che volevo, puoi andare. Non ho intenzione di muovermi di casa oggi. Ti chiamerò quando avrò bisogno di te.»

Era tentata di rispondere ma preferì non farlo. Sorrise fredda e si alzò, considerando quello un saluto, prima di uscire con passi veloci dal salone e smaterializzarsi nel corridoio: aveva molte cose a cui pensare, prima fra tutte la faccenda di Ginny.

Il giovane Slytherin la guardò andare via, sorprendendosi nell’apprezzare la gentile curva del posteriore della Granger che ondeggiava al ritmo della sua camminata: era davvero stata sempre così.. sexy? Insomma, non credeva di averlo mai notato prima eppure, ora che la guardava meglio, la vedeva per davvero e capiva che, forse, dopotutto, aveva quel qualcosa che la rendeva attraente, come dire. Ma era una Gryffindor e una mezzosangue e, per giunta, adesso una collega: non era né l’occasione né la persona giusta con cui indugiare su certi pensieri. Affogò il ricordo del suo corpo nell’alcool, accogliendo felice l’oblio dell’ebbrezza, in cui trascorse il resto della serata.

***

«Credi che abbia capito tutto?»

Ginny era distesa sulla pancia, completamente nuda, nel letto di Blaise, gli occhi che fissava in vuoto. Non amava essere presa per una moglie infedele – anche se era quello che effettivamente era – e non amava che gli altri si impicciassero delle sue faccende, in particolar modo gente che poteva rovinarle la vita. Hermione Granger rientrava in quella categoria. Era una ragazza meticolosa, affabile e molto gentile, ma era anche un’amica sincera e fidata, ed era certa che la loro amicizia fosse decisamente meno importante di quella fra lei e Harry. C’era stato un tempo in cui le due erano quasi come sorelle, sempre disposte a sostenersi a vicenda e a confidarsi i reciproci segreti, ma quel tempo era volato via proprio come gli anni della gioventù: erano cresciute e, per diverse ragioni, si erano allontanate. Non c’era stato alcun litigio, alcuna cesura netta, solo un lento addio mai definitivamente imposto, da nessuna delle due, per paura o per speranza di riuscire a riconquistare, un giorno, l’amicizia.

«Beh, non so cos’abbia visto, ma sono quasi certo che con il cervello che ha..»

«Ah, non continuare, è inutile! Certo che ha capito tutto, lei è Hermione Granger! Ce l’ha nel sangue!»

«Si ma non arrabbiarti. Cosa potrebbe fare?» - cercò di persuaderla l’altro, accarezzandole la schiena e chinandosi a baciarle il collo, per poi percorrere il profilo delle sue labbra con la lingua, sperando in una reazione che non arrivò, quindi si distaccò da lei.

«Ok, forse potrebbe fare qualcosa.. ma non avevi detto di voler mollare comunque Potter?»

Certo, a tempo debito, al momento debito, quando e come lo deciderò io, non perché lei ha fatto la spia.

«Non è questo il punto! – si spazientì lei, girandosi e tirandosi addosso il lenzuolo – E poi cosa ci faceva qui, con Draco?»

«Non credo che ci riguardi.. – mormorò il moro, abbassandosi di nuovo su di lei, per essere bruscamente respinto dalla sua mano contro il suo petto – Perché fai così?»

«Perché fai finta di non capire il problema! E’ una cosa grave.. Malfoy era lì con la Granger, non ti interessa sapere il perché?»

«No! – ammise il moro, scattando a sedere, punto nel vivo – Perché adesso dovrebbe importarti di me, che sto cercando di attirare la tua attenzione, o anche di tuo marito magari, non ti Draco e della Granger. Cristo, Ginevra! Per quanto tu possa essere infatuata di Draco potresti avere almeno la decenza di fingere  meglio  in mia compagnia?»

La ragazza arrossì lievemente, nascondendosi velocemente dietro la chioma rossa. Non era un segreto che lei provasse qualcosa per Draco, lo sapeva da tempo. Era rimasta colpita da lui, davvero colpita, quando l’aveva rivisto dopo così tanto tempo, e non si sarebbe mai sognata di tradire Harry, prima di incontrare lui. Aveva creduto – meglio, sperato – che fosse diverso, che potesse ricambiare il sentimento che lei covava nel profondo del cuore, ma si era illusa, a tal punto da distruggere se stessa e quelli che la circondavano. Draco non l’aveva mai amata e non l’avrebbe fatto mai, quello che avevano condiviso era stata una notte folle di passione, che aveva significato tutto per lei e assolutamente nulla per lui. Ma non era riuscita a lasciar perdere. Aveva insistito, fino a incontrare Blaise – certamente ben lontano da Malfoy, ma passabile – grazie al quale aveva avuto libero accesso alla Manor.

Sapeva fin dall’inizio di ingannare Blaise, di non provare per lui assolutamente nulla, ma sapeva anche che doveva farlo, per forza, se voleva avere anche solo la possibilità di stare accanto a Draco. Certamente tutti, in quella casa, l’avevano capito, eppure, per chissà quale misteriosa ragione, Blaise continuava a vederla e a trascorrere del tempo con lei, possibilmente quando la casa era vuota, ergo quando il padrone di casa era via.

«E per quel che vale! – sbottò lui infine, alzandosi e infilando la vestaglia – Se sapessi perché sono insieme, te lo direi. Ci tengo a te molto più di quanto tu tenga a me, credo che ormai si sia capito.»

Senza altri giri di parole si apprestò ad uscire dalla stanza. Aveva detto tutto quello che c’era da dire: Ginevra era qualcosa di indomabile, una forza della natura, che lui aveva incontrato per caso, una prima volta, mentre lei era in visita da Draco, quando lui già aveva deciso di non volerla. Non si era illuso di poterla conquistare, non subito almeno, e aveva preteso di trascorrere del tempo con lei, tempo molto piacevole, senza secondi fini. Anche lui, a modo suo, si era illuso nella speranza di riuscire a resisterle, di rendere il loro rapporto soltanto un qualcosa di fisico. Non ci era riuscito, come prevedibile. Lei l’aveva rapito, anima e corpo, e lo distruggeva vederla così insensibile mentre lui tentava di attirare le sue attenzioni. Di Potter non gliene poteva fregar di meno, anche se era il legittimo marito, tanto la verità era un’altra, più dolorosa e meno gestibile: Ginevra era innamorata di Draco, e lui era soltanto la pedina di turno per potergli stare accanto. Era una cosa meschina, più adatta ad una Serpe, ma lui l’aveva accettato, anche se a costo di enormi sacrifici e sofferenze. Meglio averne una parte, che non averla affatto.

Si fermò, prima di chiudere la porta del tutto. La guardò, ancora ferma nel letto, la pelle nuda coperta soltanto dal lenzuolo, bellissima come sempre.

«Quando tornerai la prossima volta, vedi di ricordartelo, Ginevra.»

Neanche stavolta era stato forte abbastanza da lasciarla andare, da cacciarla dal suo letto e intimarle di non ritornare più; chiunque altro l’avrebbe fatto, lo stesso Draco l’avrebbe fatto. Ma lui non era nessun altro, non era Draco Malfoy, lui.. era se stesso, e in quel momento sentiva di non potersi separare da Ginevra, nemmeno volendo.

Nella camera, ancora tiepida della passione furiosa tra due amanti, Ginevra sorrise.

***

«Io so cosa sei, Draco Malfoy, conosco i tuoi desideri, so cosa brami, chiudendo gli occhi e lasciando che la fantasia scorra a briglia sciolta. Pensi di scappare, ma non hai scampo.. né da me né dal tuo destino.. stai andando incontro alla rovina, ma non te ne rendi conto, non vuoi rendertene conto.. sei accecato dalla brama, le tue passioni ti controllano, tu vuoi il potere..»

Il giovane si rigirò nel letto, afferrando un cuscino e stringendolo forte, gli occhi che si muovevano in preda agli spasmi.

«..fuggire.. la fuga che pensi di aver così brillantemente portato a termine, in Russia, da me.. sciocco! Non esiste via di fuga da qualcosa che non si consoce, non puoi sfuggire al mio controllo, dal momento che hai intrapreso questa ricerca.. lo sapevi.. sapevi che la tua anima sarebbe diventata mia.. un pezzo della tua anima è perduto, ormai.. ne restano sette.. poi diventerai uno di noi..»

Si rigirò ancora, stavolta lasciandosi scappare un gemito di dolore.

«.. uno di noi, che hai giurato di distruggere.. uno di noi, che odi tanto per svariate ragioni, eppure uno di noi.. a cui sei legato a doppio filo, il filo di una Moira, Draco. Il filo della Vita, il filo della Morte. Sei nostro.. non esistono vie di fuga, più ti avvicini a quello che cerchi e più ti allontani da te stesso.. non esiste un modo per tornare indietro, hai scelto il tuo destino.. e io predico.. sarà un destino di morte..»

«..morte.. destino.. no!»

«..dammi ascolto, lascia quella strada, abbandona finchè sei in tempo. Non sarai mai più come eri un tempo ma, almeno, non sarai Nessuno. L’oblio non è qualcosa che conosci, non è qualcosa contro cui combattere, non puoi vincere una battaglia di cui non vedi gli avversari.. i cui avversari ti conoscono a fondo e dei quali non sai nulla.. arrenditi.. fallo.. per lei..»

«..per.. lei.. lei..»

«..lei! Tua madre ti ha insegnato l’amore Draco, sai che cos’è, anche se il tuo cuore di ghiaccio non l’ha ancora sperimentato. Sai cosa si prova, sai cosa può fare l’amore ad un uomo, come può cambiarlo. L’amore può salvare anche una condanna a morte, anche quella emessa dal Destino.. salvati! Rinuncia a quello che cerchi e aspetta.. un giorno arriverò.. l’Amore.. e ti cambierà.. dai modo alla vita di renderti migliore..»

«..migliore.»

«..migliore! di tuo padre! Migliore della maledizione che la tua famiglia ti ha insegnato, del pregiudizio che la tua nascita ti ha inculcato fin da bambino. Rinuncia.. altrimenti.. se non sarò io a darti la morte, lo faranno i miei Fratelli e le mie Sorelle. E sai che possono.. perché loro sono Te, sarai tu stesso a ucciderti.. rinuncia Draco.. rinuncia..»

«Aah!»

Si svegliò, il petto nudo e la fronte percorsi da rivoli di sudore, gli occhi spalancati e la bocca ancora contorta in un grido di dolore e di paura. Aveva sognato. Aveva sognato una voce, quella voce, quella stessa voce che aveva udito quel giorno  - ieri? Possibile che fosse soltanto ieri? – in Russia, quando aveva preso la pietra. Era il Guardiano, o meglio la Guardiana, dato che la voce era femminile. Era un sogno premonitore, quello? Un modo per distoglierlo dalla sua ricerca? Era un avvertimento? Di lasciar perdere tutto e concentrarsi solo sulla sua semplice vita, sulla vita che avrebbe soddisfatto molti altri, ma non lui. Quello che stava inseguendo era importante, tanto importante da mettere l’Amore e il Destino in secondo piano.

Anche Teti aveva avvertito Achille – in un antico mito babbano che sua nonna apprezzava molto, quand’era ancora in vita – di non partire alla volta di Troia, dato che se fosse partito la Morte l’avrebbe preso, se fosse rimasto avrebbe trovato la Pace, in amore e in famiglia. Ma lui era partito. La voglia di restare immortale nei secoli, di vivere nell’eternità erano risultati superiori a qualsiasi bene terreno. Così anche lui, adesso, guardava al suo futuro e vedeva una famiglia, una donna e una vita felici; ma non gli bastava, voleva di più. E, per quel tanto, era disposto al sacrificio di qualsiasi scenetta familiare.

Sospirò, affannato, ricadendo sui cuscini e chiudendo stancamente gli occhi. No, non si poteva andare avanti così. Quella maledetta ricerca andava terminata il prima possibile. Il giorno dopo avrebbe chiamato la Granger: era l’ora di trovare il secondo pezzo del puzzle, di trovare la seconda ampolla.

E con quella – pensò spaventato –perdere un’altra parte della mia anima.






Note dell'autrice ù.u

Salve miei cari: vi ho fatto aspettare troppo? Non credo.. anzi, stavolta sono stata più che precisa nel postare, ma vi avverto, onde evitare malintesi. La scuola mi sta prendendo troppo e non sono proprio sicurissima di riuscire a postare sabato prossimo, al massimo cercherò di postare metà settimana successiva, così avrete due settimane spaccate da due capitoli soltanto e non da tre, perchè poi l'aggiornamento successivo slitterebbe comunque a sabato. Per parlare di numeri: dopo questo capitolo pubblicherò tra il 2/3 e poi direttamente il 12. Si, lo so, perdonatemi ma c'est la vie. Poi ovviamente potrei sorprendervi, quindi dipende tutto dalla scuola e da quete maledette interrogazioni.

Ebbene, introduzione della storia di Blaise e Ginny, che ovviamente hanno una storia: mi piaceva molto l'idea di un triangolo e di una Ginny, una volta, tanto, antagonista, visto che ormai nelle ff dramione è sempre l'angelo cutode volevo cambiare. Quindi questo triangolo in cui Ginny ama Draco, Blaise ama Ginny e lei non lo si fila nemmeno di striscio.. mi piace! xD

Poi Draco che finalmente comincia a interessarsi, anche se in modo molto ambiguo, della situazione di Herm, e quindi il contratto e tutta la faccenda con Armando, che non sarà particolarmente importante nella vicenda ma mi piace molto come personaggio, quella sorta di zio buono che controbilanciava il padre.. insomma, una figura che ci voleva, secondo me, nella visione del Draco che ho creato.. almeno caratterialmente parlando.

Ginevra e Herm.. non ho bisogno di aggiungere altro, scoppieranno scintille, e presto anche! XD

Per il resto vorrei tantissimo rignraziare tutti quelli che hanno commentato il capitolo precedente, quelli che hanno aggiunto la storia alla preferite, alle seguite e alle da ricordare. Vi adoro tutti, ad uno ad uno!

Ancora una volta un grazie particolare a Gio, perchè oggi mi ha aiutato a stabilire la trama fino al capitolo 13.. non vi dico altro, ma vi piacerà =)

Un bacio a tutti, con affetto, K

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** the second one: Luran ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo IV:

the second one: Luran
 

«No, perché sei tu, tu tu e ancora e soltanto tu la colpa di tutto! Non lo vedi come mi tratti? Un’offesa dopo un’altra, un fraintendimento dopo l’altro. Non sono altro che il tuo giocattolino, oramai, buono tra le lenzuola e praticamente inutile fuori dal letto. Che cosa direbbe il tuo caro amico Harry? Non passi forse più tempo con lui che a casa? Cosa dovrei pensare, che la sua compagnia ti è più gradita della mia? La tua fidanzata, Ronald! Sono la tua stramaledettissima fidanzata, vuoi ficcartelo in quel cervello? O ti si è ristretto alla grandezza di un boccino e non riesci più a pensare? Per Merlino, cosa diamine.. »

«Sei fuori di testa.. non sei in grado di ragionare.. calmati e ne riparleremo quando sarai a mente fresca..»

«Non osare! Tu, maledetto Troll! Non osare!!!»

Ma era tardi. Il rosso si era già smaterializzato con un sonoro ‘pop’, lasciandola da sola. La mora si accasciò per terra, il volto rosso dal pianto fra le mani, e lasciò che le lacrime scivolassero piano lungo le sue guance, come un fiume in piena nel bel mezzo del disgelo, irrefrenabili e interminabili. Ancora, gli aveva permesso ancora una volta di ridurla in quello stato. E poi, come se non bastasse, non era riuscita a risolvere la situazione, permettendogli per l’ennesima volta di scappare e nascondersi dall’amico, ancora. Maledetto il giorno in cui aveva deciso di trasferirsi a vivere con Ronald Weasley, maledetto il giorno in cui aveva acconsentito a fidanzarsi con lui e gli aveva promesso di sposarlo. Non si era neppure resa conto, all’inizio, di quale terribile errore avesse commesso, con quel piccolo ed insignificante monosillabo. Gli uomini sono confetti, quando devono corteggiare una ragazza ma, una volta che l’hanno conquistata e ci hanno attaccato sopra un cartello con su scritto ‘proprietà privata’, tutto inevitabilmente cambia: le carezze, i sorrisi, le gioie, i piccoli piaceri insignificanti del giorno e della notte diventano abitudini o, peggio, ricordi.

Erano mesi ormai che non poteva sentirsi appagata, nella sua relazione, erano mesi che sentiva un macigno all’altezza del petto, che l’opprimeva e non la lasciava respirare quasi per niente. Non che Ron avesse qualcosa di sbagliato – lungi da lei dall’accusarlo di una qualche colpa! – ma era la situazione a non andare: ormai pretendevano cose diverse, volevano cose diverse e vivevano situazioni diverse. Non erano più i ragazzini che avevano sfidato e sconfitto l’Oscuro, non erano più adolescenti con sogni e speranze da realizzare, erano cresciuti, erano diventati adulti e, con la maggiore età, avevano messo da parte le illusioni e i desideri in un cassetto. Il magico Trio era diventato leggenda e, con quest’ultima, erano diventati anche leggendari i tempi in cui ancora potevano capirsi con uno sguardo o con un sorriso. Lei, se chiudeva gli occhi, vedeva ancora con estrema precisione quella notte, in cui aveva fiorato le labbra di Ron per la prima volta, in cui aveva sentito il calore del suo corpo e la ferrea stretta del suo abbraccio, poteva ancora dire cosa aveva provato e come quella corrente elettrica le avesse percorso la schiena, in un’unica e fulminea scossa di adrenalina e passione pura. Ma, adesso, dov’erano quei sentimenti, dov’era la passione, l’ardore, l’adrenalina? Dov’era il loro amore? Non c’era più, era diventato leggenda esattamente come loro. Lei era l’eroina del Mondo Magico – sfrattata dal Ministero e certamente parecchio danneggiata, ma restava pur sempre un’icona e un’eroina a tutti gli effetti; e malgrado questo, si sentiva incompleta, vuota: quei volti  e quel mondo che un tempo avevano significato tutto per lei stavano pian piano sfuocandosi sempre di più, mentre i confini di quel mondo divenivano sempre meno nitidi e più grigi. Non era dovuto alla Legge Magica in vigore, al Ministero o alla quotidianità: quel senso di disagio era dettato da un unico fattore, l’unico su cui la società e il pubblico non potessero influire, la sua vita privata – ergo, Ronald.

Quella notte, per la trilionesima volta, si era alzato dal letto dopo che avevano fatto l’amore. Era stato bello, certo, ma come sempre quel momento di intimità  che li legava si era concluso troppo in fretta e lui, senza nemmeno aspettare di riprendere fiato, si era alzato, rimettendosi i boxer e i pantaloni, per poi andare in cucina. A fare cosa? Se vuoi bere, mangiare o cagare puoi benissimo farlo nudo  e tornare dalla tua fidanzata a letto, puoi benissimo dormire stringendola accanto a te, non allontanarti e sparire. Perché comportarsi così, perché? Lei aveva gridato, piangendo, supplicando una spiegazione, lui come sempre non gliel’aveva data, l’aveva anzi guardata con pietà – come a dire che di lei non gliene poteva importare di meno, o almeno non in quel momento – e da vigliacco qual’era, aveva fatto l’unica mossa che poteva fare: si era smaterializzato, per andare o da Harry o da Molly. Povera Molly, anche per lei non doveva poi essere tanto facile gestire quella situazione che – come Ginny le aveva confidato un tempo, prima che il gelo scendesse anche nel loro rapporto – non sapeva spiegarsi, temendo sempre di perdere una nuora così gradita e vedere il figlio invecchiare alcolizzato sul divano.

Fosse per me, non ci arriverebbe vivo su quel maledettissimo divano – con tutto il rispetto per la Tana!!

Già, Ginny. Non aveva avuto il cuore o la voglia di raccontare quello che aveva visto a Malfoy Manor né a Harry né a Ron: al primo perché le si spezzava il cuore a rivelare al suo migliore amico che sua moglie lo stava tradendo, al secondo perché non solo non gliene importava ma anche perché non si sentiva abbastanza disposta a parlagli di cose così intime. Come poteva essere mai possibile? E lei, Ginevra Molly Weasley, come aveva potuto tradire suo marito, il suo amato marito, Harry, per un serpeverde privo di spina dorsale – bello come un dio, senza dubbio, ma comunque un pesce lesso e un cretino, proprio come tutti quelli che sfoggiavano i colori verde argento!
Rimase in quella posizione raggomitolata per un bel pezzo, sperando in una sequenza di cose che, una volta non avverata, la fece sentire soltanto peggio: primo, Ron non era tornato per consolarla; secondo, Ginevra non aveva chiamato per spiegarle nulla; terzo, il sonno non le era venuto in soccorso ed era rimasta a piangere sul tappeto, raggomitolata in posizione fetale e tremendamente patetica.
L’arrivo di un messaggio le accese una speranza, quasi come se fosse l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi per non cadere nel baratro del dolore; lei lo afferrò, sperando che, chiunque fosse, avesse il potere di risollevarle il morale: Ron, Ginevra, persino sua madre con le sue continue prediche e raccomandazioni sarebbe stata particolarmente gradita. Ma non era nessuno di loro. Era un numero sconosciuto, per aveva già avuto la sfortuna di vedere e, altrettanto facilmente riconoscere dal testo: Io chiamo, tu arrivi. Ah, non poteva cambiare slogan! Stava diventando talmente stressante! E poi erano esattamente le sei di mattina – se l’orologio sul caminetto segnava l’ora giusta, non era propriamente un orario decente a cui chiamare la gente, aveva una vita privata, lei! Oddio, appesa alla punta della Bacchetta, ma ce l’aveva per la miseria! Non era mica una di quelle sciacquette che lui poteva permettersi di chiamare, giorno e notte, per il suo desiderio personale. Erano rapporti di lavoro, i loro!

Troppo furiosa per ricordare di darsi una ripulita o una sistematina, Hermione si infilò un paio di jeans e un maglioncino scuro, stivali e un cappotto – le prime cose che era riuscita a trovata in giro per casa. Il cellulare in tasca, la bacchetta nell’altra, girò su se stessa, pensando a Malfoy e alla prima domanda che gli avrebbe fatto, una volta che l’avrebbe avuto a portata di tiro: come diavolo faceva a conoscere il suo numero di cellulare? E, meglio ancora, come diavolo sapeva usarlo un cellulare?

***

Il giovane Malfoy stava ancora sistemando gli ultimi affari con Armando, quando le sue dita affusolate scrissero veloci poche e significative parole con quell’apparecchio babbano che chiamavano “cellulare”. Una volta Armando aveva cercato di spiegargliene il funzionamento, con tanto di “fili elettrici” “connettività” e robaccia simile, ma l’unica cosa che aveva capito era anche l’unica a essergli poi realmente servita: digiti le parole, il numero, mandi invia, e dall’altra parte – qualcun altro con un apparecchio simile – riceve la tua comunicazione. I maghi non usavano simili mezzi da quattro soldi – e, anche se lo facevano, non tendevano certo a sbandierarlo ai quattro venti, diversamente da lui invece, che aveva acconsentito ad un simili sistema per potersi mettere in contatto con Armando ogni qualvolta ce ne fosse bisogno: perché – altra magia – con quel coso si poteva anche comunicare a distanza, parlare insomma, quindi in breve si poteva risparmiare una materializzazione. Adesso poi, con la ricerca e la Granger e il resto, quel coso gli era parso come mai utilissimo: anche la mora ne possedeva uno e, in questo modo, poteva comandarla a bacchetta anche a distanza. Era una cosa grandiosa!

Armando gli mostrò gli ultimi documenti, che necessitavano soltanto la firma del giovane Slytherin. «Una volta firmati, saranno in piena regola e potrete stare tranquillo. Ho svolto tutto nel massimo della riservatezza ma anche della legalità: nessun Ispettore, babbano o mago, potrà trovare nulla di strano.»

«E anche se così fosse.. – aggiunse distratto il giovane, sfogliando il fascicolo con aria interessata - ..potremo sempre ricorrere al vecchio sistema: un Oblivion piazzato come si deve. E, mi raccomando: la Granger non dovrà mai scoprire chi è lei. Non voglio che creda che intrattengo rapporti con..»

Si schiarì la voce, aggiustandosi il colletto e chiudendo il fascicolo con uno scatto, per poi firmarlo con una piuma apparsa dal nulla. Firmò con la sua calligrafia sinuosa e consegnò i fogli all’uomo, guardandolo dritto negli occhi. Chiunque altro avrebbe considerato quella un’offesa bella e buona, ma Pellwan non aveva dato segno di avervi colto un riferimento implicito o un insulto: malgrado non fosse altro che un dipendente, aveva visto Draco crescere, diventare un uomo. Aveva visto, con il tempo, qual’era la sua vera indole e l’aveva compresa, fino in fondo, comprendendo con questo anche il peso che lui attribuiva all’immagine di “Draco” e, dall’altra parte, in pubblico, quella di “Malfoy”. Per lui era inevitabile continuare ad essere impeccabile, perfetto, davanti ai maghi, come ogni Black e ogni Malfoy era stato prima di lui, valoroso, coraggioso e perfetto. Ma lui non era come loro, era infinitamente migliore, sia come uomo che come mago, ed era per questo che sapeva altrettanto bene che quelle parole non erano dettate dal disprezzo ma dal vano tentativo di proteggere entrambi. Perdendo visibilità Draco avrebbe perso potere, perdendo potere avrebbe perduto anche il suo denaro e con quello qualsiasi influenza, cosa che non poteva assolutamente verificarsi.

L’uomo sorrise, con un ceno del capo per salutarlo. Proprio mentre si stava congedando, con un piccolo rumore, apparve sulla soglia una ragazza: non doveva avere più degli anni che lo stesso Draco dimostrava, era di media altezza e con una chioma castano chiaro, in perfetta armonia con gli occhi. L’uomo rivolse al suo superiore uno sguardo di scuse – capendo perfettamente che quella ragazza era la ragazza, e non avrebbe dovuto vederlo – e si smaterializzò.

Il biondo si ricompose in un attimo, senza lasciar trapelare il lieve fastidio che aveva provato nel vedere la ragazza comparirgli in casa, senza avviso: i suoi affari privati con Pellwan non erano un qualcosa che la dovesse riguardare. Dal canto suo, la ragazza, aveva fiutato fin da subito qualcosa che non andava, in quella stanza: il modo in cui quell’uomo l’aveva guardata, quasi come se la conoscesse, il modo in cui si era smaterializzato, in fretta e furia, e lo sguardo dello Slytherin, indecifrabile eppure così freddo. Maledizione, poteva finirla con quelle scenate?

«Chi diamine era quell’uomo?» «Come diamine hai fatto ad arrivare così velocemente, Granger?»

Le frasi si sovrapposero e i due rimasero a guardarsi in cagnesco, a qualche metro di distanza.

«Chi era quell’uomo non era affare tuo, mezzosangue. E, comunque, non ti aspettavo tanto presto. Pensavo che dormissi e che avresti letto il mio appunto solo una volta..»

«Sono sveglia, ok! – si alterò lei per un nonnulla, avanzando verso di lui – Che diamine volevi?»

Malfoy inquadrò subito l’aria sconvolta della ragazza, dotato com’era di un’acutissima arguzia ma, anche se questa non fosse stata tra i suoi pregi, non ci voleva un genio per capirlo: i capelli in disordine, gli occhi e il naso rossi di pianto, gli abiti indossati senza cura e in maniera grottesca. Era ovvio che ci fosse qualcosa che non andava. E, azzardando un’ipotesi, dato che erano le sei di mattina, non poteva che trattarsi di Lenticchia. Probabilmente avevano litigato o qualcosa di simile, visto che poche erano le cose che potevano mandare in bestia una ragazza, la mattina all’alba. E non c’era da sorprendersi: per le poche volte che aveva avuto dei contatti con il Rosso, gli era sempre sembrato un debole e un buono a nulla, utile soltanto in quanto “migliore amico dell’Eroe”, come se quel titolo potesse conferire un qualche magico potere o qualche abilità. Era sempre stato bravo soltanto perché Potter glielo aveva lasciato fare, era stato al centro dell’attenzione perché Potter gliene aveva dato modo. Potter, Potter e ancora Potter. La Granger si era imposta come figura forte fin dal loro Primo Anno, non ci voleva un elenco dettagliato per capire il come e il perché delle sue innumerevoli azioni e dei suoi meriti, lei era troppo per lui, lei era troppo per chiunque.

Anche per te, giovane Slytherin? Davvero credi che non potresti averla? No, certo che tu potresti.. potresti e puoisempre tutto, ma non ci proverai neppure, dico bene? Lei è una Mezzosangue, non potrà mai essere all’altezza della tua Persona proprio come tu non sarai mai all’altezza del suo Cervello.

«Se gridi tanto rischi di svegliarmi l’intera Manor, ragazzina, e poi perché mi appari in casa? Non si usa bussare?»

«Tu chiami, io arrivo.. – cantilenò lei, ironica e disgustata – Eri stato tu a dirlo, e nessuna clausola mi impedisce di evitare minuti fuori a congelarmi.
Quindi, Malferret, che diamine vuoi da me, alle sei di mattina?»

Il biondo roteò gli occhi, sentendo di nuovo quell’odioso soprannome: era la prima volta che la ragazza lo usava, probabilmente perché aveva cercato di trattenersi le volte precedenti mentre ora, infuriata com’era, il suo autocontrollo era decisamente inferiore di qualche grado. Decise di dirle tutto e lasciarla andare velocemente: conciata in quello stato non gli sarebbe stata utile, doveva avere il tempo di riprendersi e rimettersi in forze, se quella sera stessa dovevano di nuovo uscire.

«Volevo soltanto in formarti che oggi usciamo, di nuovo, io e te. Fatti trovare qui alle sette.»

La Gryffindor alzò un sopracciglio. «Tutto qui? Una settimana che non ci sentiamo, dopo che ti ho salvato il collo, e questo è tutto quello che mi sai dire?»

«Non ho intenzione di sedermi sul divano e raccontarti i miei segreti! Granger, lavoro, solo lavoro, ricordi?»

Sorrise, angelico, eppure maligno quanto una serpe e infido come il Demonio. «Ci vediamo alle sette. Stavolta niente abito da sera. Anzi, cerca di essere in più babbana possibile, ci servirà. Non dovrebbe essere un problema, per te

La salutò con un movimento veloce della testa, prima di scomparire in qualche corridoio secondario. Maledetta mezzosangue, lei e la sua interminabile curiosità: sapere non le avrebbe dato più conoscenza, come lei sperava e agognava, le avrebbe semplicemente dato una ragione in più per odiarlo, un motivo in più per ucciderlo addirittura. Era legata a lui, ma quanto sottile era l’anello che stringeva le sue catene? L’aveva costretta a fidarsi di lui, ad accettare di aiutarlo nell’ignoranza, costretta a mentire ai suoi amici, alla sua famiglia, a Lenticchia – quella sotto specie di fidanzato; e lei, senza battere ciglio, l’aveva seguito e aveva riposto la sua fiducia in lui, nelle sue parole, nelle sue promesse; promesse di una serpe, di un ingannatore, di un Malfoy. Dirle quello che cercava realmente avrebbe portato ad una reazione a catena, un evento peggiore dell’altro all’infinito, e ancora oltre, nei secoli dei secoli. Benchè sembrasse romanzata, quella frase non aveva proprio nulla a che vedere con i finali smielati e sdolcinati delle favole o delle fiabe, era un’implicita minaccia di un futuro catastrofico di sventure e morte, disgrazie e morte, morte e morte. Lei, malgrado alzasse il mento e guardasse tutti con uno sguardo fiero, mostrandosi come una donna forte e determinata, orgogliosa e indomabile, in realtà era ancora così pura, così fragile: l’aver affrontato il Signore Oscuro era stata una sfida difficile, senza dubbio, ma non l’aveva scalfita neppure di un centimetro. Era rimasta la stessa ragazzina che aveva fatto piangere, tanti anni prima, in giardino, con il terribile nomignolo di Mezzosangue.

Era strano il moto di compassione che cominciava a provare nei suoi riguardi, e non gli piaceva affatto. Aveva imparato a rilegare i sentimentalismi in una parte talmente nascosta del suo intimo che non emergeva più nemmeno a Natale o per Pasqua. La corazza di ghiaccio poteva resistere a tutto, soprattutto se quel “tutto” comprendeva il potere e i mezzi per raggiungerlo, ma non ai ricordi vecchi quanto il mondo, in suo mondo, quello che suo padre aveva creato per lui e quello che il Signore Oscuro si era preso la briga di distruggere. No, nessuno più avrebbe interferito con i suoi piani, nemmeno una piccolo moretta dagli occhi scuri: lui avrebbe raggiunto la meta che si era prefissato, l’avrebbe raggiunta e avrebbe ottenuto quello che molti avevano avuto modo soltanto di sognare.

***

La ragazza rimase ferma sulla soglia del salone, indecisa se muoversi e inseguire il padrone di casa per picchiarlo o, molto più semplicemente, schiantarlo e ritornare a casa a dormire, per poi aspettare Ron e schiantare anche lui. Aveva una strana smania omicida del sangue, quella mattina, e c’era il serio rischio che ci scappasse un morto ancor prima del sorgere del sole. Certo, il comportamento di Malfoy – tanto banale da essere prevedibile – non aiutava affatto: il solito arrogante, il solito prepotente e il solito barone di buone maniere. Sembrava non capire, non ancora, che il loro accordo non prevedeva che lui la comandasse a bacchetta, dicendole cosa fare, come quando e perché. Affari, lavoro, certo, ma non schiavismo dispotico, quello non era più in discussione dai tempi della segregazione razziale, ultima forma legalizzata di schiavitù, abolita e fermata per sempre. Lei non era una schiava, lui non era il suo padrone e non lo sarebbe diventato mai.

Abiti babbani. Stavolta niente festa? Ci aveva quasi preso gusto, a dire la verità: mettere un vestito elegante e un paio di tacchi era il sogno di ogni donna e lei, prima che formidabile strega, era anche e soprattutto una donna. Con Ron era fuori discussione uscire o andare a qualche gala e, nelle rare occasioni in cui aveva accompagnato Harry a qualche ricevimento, si era sentita a disagio, additata come la povera sfigata che accompagnava il migliore amico, visto che il fidanzato di accompagnarla non ci pensava proprio. Indignazione, vergogna. Con il tempo aveva smesso di agghindarsi e di andare a quelle serate. Poi, circa una settimana prima, indossare quella sottile stoffa, quella seta morbida e flessuosa, era stato magico, in tutti i sensi: era stato riscoprire la sua femminilità, il suo essere donna e il suo lato bello, che aveva dimenticato di avere. E, tutto questo, grazie e Malfoy. Maledetta e viscida serpe!!!

Eppure adesso le aveva detto che non sarebbero andati ad un ricevimento ma addirittura nel mondo babbano. La ragazza si squadrò, ricordandosi che non doveva avere l’aspetto migliore di questo mondo. No, non stava malissimo, ma un colpo di bacchetta sistemò la maglia stropicciata e la rese nuovamente candida e stirata, un altro colpo le lisciò le chiome ribelli, che lei raccolse in una cosa. La mancanza di borse o occhiaie le risparmiò la fatica di nasconderle, quindi capì che – a copertura – lei stava benissimo. Una semplice babbana in piena regola. Dato che era ormai sistemata, optò per la comoda poltrona vicino al fuoco, nella quale poter aspettare il giovane mentre si cambiava a sua volta: ritornare a casa non sarebbe stato utile o necessario, quindi meglio sonnecchiare in attesa di partire di nuovo.

Malgrado la stanchezza e la spossatezza per il recente (doppio) litigio, la giovane non chiuse occhio, rimanendo invece a fissare le fiamme danzanti del camino, in attesa che Malfoy si decidesse a scendere. L’aveva chiamato Malferret, come non si permetteva ormai dai tempi della scuola: all’epoca era stato facile trattarlo così, soprattutto se era per difendere Ron o spalleggiare Harry, ma lontano dalle antiche mura di Hogwarts quel soprannome, sfuggitole per l’eccesso di ira, era qualcosa che suonava fin troppo offensivo per ripeterlo. Malfoy poteva aver fatto un miliardo di errori, poteva essere anche una maledettissima serpe, eppure era anche lui un essere umano, a modo suo e con i suoi limiti ovviamente. Sto difendendo Malfoy? Ah, Ronald e i suoi litigi mi scombussolano il cervello, è fin troppo evidente! Riprenditi donna! Alzati e cammina, anzi no.. aspetta quell’altro imbecille e poi fai fori qualche nemico e sventa l’ennesimo attacco alla vita del furetto. Si, così va meglio.

Stranamente le piaceva molto quel suo ruolo, quasi di una guardia del corpo, l’esperienza più vicina che si possa provare per essere un Auror. La carriera, di per sé, non l’aveva mai attirata, dato che aveva deciso, una volta finita la Guerra, di aver visto troppe stragi e di aver combattuto fin troppe battaglie per continuare quella vita spericolata  ed avventurosa: come lo stesso Harry aveva scherzato, una volta a cena, anche lei riteneva di aver avuto abbastanza guai per una vita intera. E ora, eccola: di nuovo nella mischia, di nuovo in missioni pericolose senza capo ne coda e costretta a difendere il suo nemico giurato. Meglio di così..

«Beh, malandato come stile ma, suppongo, per dove andremo non ci sarà bisogno di costosi abiti firmati.»

Il biondo si era cambiato. Ora che lo vedeva, Hermione si rese conto di non averlo mai visto indossare abiti da babbano e, peggio, fu ancora più strano rendersi conto di quanto bene gli stessero quei vestiti addosso. Un paio di jeans scuri, scarpe di pelle nera, un maglioncino a rombi con da sopra una giacca sportiva, una sciarpa a proteggere la pelle bianca del collo e un cappotto lungo dall’aria calda e molto, molto costosa, anche per gli standard babbani. Era evidente che non era nato per abiti del genere, ma gli stavano bene, senza contare che lo stile – che non mirava certamente ad essere legante – riusciva comunque a dargli quell’aria aristocratica, anche se non si riusciva bene a distinguere se la cosa fosse dovuta solo al suo portamento, al suo sangue blu o soltanto all’aspetto generale. E, come ultima ma non certo come osservazione meno importante, la giovane finì con il pensare l’impensabile: era bello. Il fascino di Draco Malfoy non era mai stato messo in discussione, da nessuno; fin dai tempi della scuola era risaputo che le ragazzine gli sbavavano dietro come se fosse una divinità. Lei, tuttavia, non era mai finita nella sua rete di conquiste, non solo perché lo considerava indegno della sua attenzione ma anche perché non si era mai materialmente soffermata a guardarlo come un uomo. E lo era diventato, invece.

«Avevi detto che l’eleganza non sarebbe servita. – commentò piatta lei, alzandosi e raggiungendolo con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate sul petto – O mi sbaglio?»

«Non sono vestito elegante, Granger. – la corresse il giovane – Io sono l’eleganza, e di certo questi stracci babbani non mi rendono giustizia.»

Il tono vanitoso della sua voce la fece sorridere. «Stracci? Potresti sfamare un paese intero del terzo mondo con quello che sono costati!»

Il giovane roteò gli occhi al cielo, evidentemente annoiato dalle solite accuse e dalle battute ormai antiquate, e quindi si limitò ad alzare il braccio ad angolo retto, in attesa che la ragazza si avvicinasse e lo afferrasse, era evidente. Ancora una volta, era troppo circospetto e non intendeva rivelarle il posto in cui erano diretti. Era un posto babbano, questo era chiaro, ma il mondo è grande, i pericoli troppi per poterli affrontare tutti nell’ignoranza. La mora sbuffò, afferrando fin troppo bruscamente la manica del suo soprabito per reggersi, e quindi arricciò le labbra evidentemente alterata. L’altro non parve farci troppo caso eppure, nello smaterializzarsi, un sorriso increspò le sue labbra.

***

La prima cosa che Hermione pensò, vedendo il posto in cui si erano materializzati, fu irlandese. Stranamente, il solo aspetto dell’edificio che si trovava proprio davanti a lei le dava l’idea dei folletti, della birra e i Kenmare Kestrels, di cui ovviamente aveva sentito parlare di sfuggita ma con dovizia di particolari nelle discussioni estenuanti fra Ron e Harry sul Quiddich. E poi dicevano che ad essere noiose erano loro ragazze, con discorsi futili come capelli o trucco o vestiti! Loro erano molto peggio, visto che i loro discorsi si riducevano sempre ai paragoni fra le persone della loro vita e le mosse dei giocatori nelle partite. Frankley era un cacciatore molto veloce, molto astuto e piuttosto robusto, quindi non appena vedevano un uomo con le stesse caratteristiche sbuffavano, a metà fra l’invidia e l’ammirazione “Ooh, guarda! Quel tipo è proprio come Frankley.. te lo ricordi in quella partita del 1976 contro…” Si, esatto. E via così per ore intere. Oppure Bangs, un battitore che era riuscito a ricacciare un bolide al mittente talmente forte che il povero avversario era stato ricoverato al San Mungo per tre mesi, mentre cercavano di fargli ricordare chi fosse e come fosse finito lì dentro. Lui era un paragone più divertente ad esempio, ma egualmente monotono.

Quiddich, Quiddich e ancora Quiddich. Non c’era da sorprendersi quindi che il primo paragone a cui potesse pensare, che includesse qualcosa di irlandese, fosse proprio una squadra di Quiddich. Il locale davanti al quale si trovavano era un pub, come si intuiva dalle risate allegre provenienti dall’interno, costruito per lo più in legno e con un grosso camino di pietra che diffondeva raffiche di fumo puzzolente nell’aria fresca. Era sera.. perché era sera? Ricordava benissimo che aveva litigato con Ron quando il sole non era ancora sorto e che non era rimasta da Malfoy più di una mezz’ora.

L’unica spiegazione possibile era che non si trovavano più in Inghilterra ma in qualche altro paese, con ogni probabilità l’America, se i suoi calcoli erano esatti. E così era lì che avrebbero cercato il nuovo “pezzo del puzzle”: in assenza di ulteriori informazioni, la giovane strega aveva preferito definire quella sorta di ricerca come un grande puzzle e, ogni missione, un nuovo tassello utile per completarlo. Prima finivano i tasselli, prima lei sarebbe stata libera di andarsene da Malfoy e di ritornare nel mondo Magico al posto che le spetta. Ah, che immagine deliziosa!

«Bene, ora tu entri nel pub e mi aspetti.»

I suoi sogni a dieci metri d’altezza vennero bruscamente interrotti, scaraventandola a terra, costretta dalle catene dell’ignoranza e dello stupore.

«Prego?» La sua voce suonò tanto indignata quanto sorpresa: che motivo c’era per portarsela dietro, se la lasciava in un pub e andava per i fatti suoi chissà dove. Il suo compito non era in fondo quello di aiutarlo, di assisterlo in quelle missini suicide? Se non per questo, quale altra ragione poteva avere lui per trascinarla da una parte all’altra del mondo. La confusione crebbe mentre il suo livello di sopportazione si abbassò di parecchi punti.

«Spiegami bene.. – continuò, gli occhi ridotti a due fessure – Mi stai dicendo di avermi portata qui per starmene rinchiusa in pub? Mi hai fatto alzare dal mio letto, venire da te, solo per portarmi in un pub americano mentre tu vai a sperderti chissà dove? E’ uno scherzo? No, perché odio essere presa in giro Malfoy, non osare trattarmi come una sempliciotta. C’è un motivo per cui sono qui.. sono con te perché..»

«Perché..- l’interruppe bruscamente il biondo, afferrandole un polso e tenendola ferma davanti a lui – Io ti pago. Perché io ti ho tolto da quella bettola dove maiali puzzolenti e grassi sbavavano addosso alle tue cosce e ad tuo petto nudo, dove la tua bacchetta non era altro che un pezzo di legno e le tue abilità di strega erano sepolte sotto cumuli di vergogna e umiliazione. Io ti ho tolto da lì e ho posto le mie condizioni perché potessi pagarti con i miei soldi e potessi usarti per i miei scopi.»

La sua voce era tagliente come una lama, la sua faccia esaltata dal discorso e corrugata in una smorfia di rabbia. Perché si stava alterando tanto? Cosa pretendeva, una serva self-service, 24 ore su 24? C’erano molte cose che una donna pagata potesse fare per il proprio superiore, ma non una come Hermione Granger. C’era una linea così precisa nella sua persona, una linea tanto sottile da essere invisibili, e proprio per questo così tagliente, che impediva qualsiasi sua azione se bloccata dal senso di dovere o, peggio, di orgoglio. Quel discorsetto non poteva avere nessun altro potere su di lei, se non alterarla più di quanto già non fosse. Aprì la bocca per replicare ma la stretta sul suo polso si fece tanto ferrea da toglierle il respiro e lasciarle sfuggire un sibilo di dolore.

«Tu sei qui perché io ti voglio qui, ma allo stesso tempo non posso lasciare che questa maledetta cosa mi distragga a tal punto da farmi salvare da una Mezzosangue come te. Hai capito? Quindi vai in quel bar e mi aspetti.. Hermione.»

Entrambi sussultarono, come colti da una scarica elettrica: lui che non capiva come il nome della ragazza avesse potuto sfiorargli le labbra, lei incredula che l’avesse chiamata per nome dopo più di dieci anni che si conoscevano. La presa sul suo polso allentò. Vide le iridi di Malfoy osservarla con tanta intensità da imporle di abbassare lo sguardo, non lo fece. Era incuriosita da quella specie di intimità che il suo nome sulle sue labbra sembrava aver creato. Il giovane era così vicino,così stranamente vicino. Fu lui il primo a sottrarsi, pochi centimetri lontano dal volto di lei, voltarsi bruscamente e sparire nel bosco. Maledizione! Aveva appena rischiato di baciare Draco Malfoy?!?! Ok, il pub capitava proprio a pennello: aveva bisogno di un paio di drink.

Entrò, notando fin da subito che aveva fatto bene a non cambiarsi, poiché qualsiasi abito diverso d quello che aveva indosso l’avrebbe resa un lampeggiante luminoso con la scritta “guardatemi”. Invece passò inosservata, si sedette davanti al bancone di legno e venne subito investita dal forte odore di malto e di alcol, intenso e inebriante.

«Dolcezza! – la salutò un allegro barman dai capelli rossicci – Cosa vuoi da bere? O hai fame?»

«Qualcosa di.. forte. – ammise lei, dopo un attimo di incertezza – Non è stata esattamente una mattina.. ehm, serata piacevole. Però nulla che mi stenda al tappeto, o mi faccia dimenticare.. anzi, no, voglio dimenticare però..»

Sorrise, passandosi la mano sulla fronte e guardando imbarazzata il ragazzo, che sorrise a sua volta. «Si, ho capito. Fidati di me: quello che ti verso, tu bevilo. Faremo molto prima..»

«Non è che poi mi droghi e ti approfitti di me?»

Il giovane alzò un sopracciglio malizioso, per poi avvicinarsi a lei e sussurrarle piano, tanto che la giovane potè udirlo a fatica. «Credo che tu saresti quella perfetta per il ruolo di serial killer. Io al massimo potrò difenderti dagli altri cani che ci sono qui dentro. Dai, tutto d’un fiato!»

La giovane strega guardò dubbiosa il bicchierino con il liquido trasparente. Ah, al diavolo: il suo fidanzato era un troll, il suo socio era un idiota e lei era una strega caduta in disgrazia, se c’era un motivo per ubriacarsi era decisamente quello. Prese il vetro fra le dita tremanti e quindi vuotò il contenuto il un solo sorso, scagliando con forza la testa all’indietro, in maniera fin troppo teatrale forte. Quando il liquido le bruciò in gola non si trattenne dal tossire, rendendosi conto che non aveva mai assaggiato nulla di tanto forte in vita sua. Sorrise, una mano davanti alla bocca, mentre percepiva la prima ondata di calore invaderle la carne. Il barman battè una mano sul bancone. «Grande! Se non sei svenuta dopo questo, direi che stanotte ci sarà da divertirsi! Billy, portami un whisky di quelli che piacciono a me. La signorina è una che regge!»

Si sentì un “wohoooo” prolungato da parte di un paio di altri clienti, tutti uomini e tutti già mezzo andati. Hermione non se ne curò affatto. «Si, Billy, porta quel whisky. Stasera si balla!»

***

Aveva fatto un percorso eccellente, era stato più che bravo nell’arrivare fino a quel punto, ma dubitava di poterla passare liscia anche stavolta. Sentì le ginocchia cedergli e le orecchie bruciare come se si trovasse in una fornace. Avrebbe voluto urlare ma le sferzate di vento che gli colpivano la faccia come lame gli impedirono anche quello: se urlò, nessuno lo udì mai. Strinse l’ampolla di pozione ancora più forte nella propria mano, cercando di aprire gli occhi contro il vento e osservare il proprio assassino e carnefice. Ah, com’era bello poter morire se la morte giungeva dalle mani di un angelo. Un angelo terribile potente quanto il Signore Oscuro eppure bello quanto il Paradiso. Sorrise, temendo di impazzire per quel misto di agonia e gioia che stava provando: non tutte le sfide erano fatte per essere vinte, non tutte le vittorie erano necessariamente la fine di una battaglia.

Proprio come la sua ricerca gli aveva indicato, il tempio era situato in un piccolo boschetto, impetrato di magia e invisibile ad occhio babbano, talmente antico da meravigliare per la modernità delle linee del piccolo palazzo di pietra, completamente bianco e con le vetrate trasparenti come finestre. Niente porte, nessun ingresso, nessun incantesimo che potesse essere utile allo scopo di penetrare quella fortezza. La smorfia sul volto del mago, quando aveva dovuto tagliarsi la mano, era stata quasi impercettibile. Il punto in cui lo schizzo scarlatto aveva toccato il vetro, un bagliore improvviso lo aveva accecato, rivelando un ingresso inesistente fino a qualche istante prima. L’aveva varcato, la bacchetta tesa nella mano sanguinante e il legno pronto sotto le dita pulsanti di adrenalina: era vicino, la stanchezza che cominciava a percepire doveva essere soltanto un riflesso. Poi il buio e la voce, tanto simile a quella udita in Russia eppure completamente diversa, che mielosa gli sussurrava all’orecchio. Ricordi, emozioni, sua madre che gli accarezzava i capelli, il padre che lo picchiava sulla mano con il bastone per la sua maldestra esecuzione di un incantesimo. Il fuoco ardente nella Stanza delle Necessità, il dolore per la perdita di un amico. Il calore tra le lenzuola, Pansy e le sue cure amorevoli, le scappatelle con Daphne, le confidenze con lei, sua amica eppure null’altro che una conoscente. E poi, ancora, il forte bruciore all’altezza dell’ombelico, fino ad arrivare al bacino, alla visione della Mezzosangue a pochi centimetri dal suo volto. No, non le stava evocando lui quelle immagini, erano una mossa astuta di qualcuno che voleva distrarlo, che voleva abbatterlo. Si concentrò, usando tutte le forze che gli restavano per Occultare la sua mente, e pian piano i contorni della stanza riaffiorarono, i colori andarono al loro posto e le voci nella sua testa si spensero. Aveva vinto la prima sfida.

Ma era ancora ben lontano dal traguardo, lo capì non appena vide ala figura incappucciata avanzare verso di lui. Era molto più alta di quella che vedeva nei propri sogni, più forte, più maestosa; il suo incedere era più simile ad una barca che scivola sull’acqua, le sue vesti sembravano smeraldo fuso. Ma non era un colore chiaro, quello del suo mantello, era un verde scuro, quasi nero, forte e lucente, che faceva ricadere nel buio la stanza stranamente luminosa. Era come se assorbisse luce, invece di emetterla. Era logico, dopotutto, il suo compito era quello.

«Non mi avrai, maledetta! – urlò con una smorfia, facendo qualche passo indietro – Io sono Draco Malfoy, mi spetta questo potere.»

La figura non parve averlo sentito. Continuò ad avanzare, mentre una nuova folata di vento si sollevava da un posto non ben definito e cominciava ad avvolgere nuovamente lo Slytherin, trafiggendolo con perforanti coltelli invisibili. Ma non c’erano ferite sulla sua pelle candida, quel dolore proveniva dall’interno, come si rese conto anche lui con sgomento. Così come la voce, di nuovo quella voce che risuonò chiara e forte nella sua testa, tanto da costringerlo a cadere in ginocchio, la testa fra le mani e l’ampolla ancora miracolosamente stretta nel suo palmo.

«Non metto in dubbio quanto questo potere ti spetti, Draco Malfoy, ma è meglio per te rinunciarvi. L’anima non è qualcosa che puoi prendere e cedere a tuo piacimento, una volta perduta non potrai riaverla più. Devi renderti conto di quanto uscirai sconfitto da questa ricerca. Arrenditi. Voltati e non tornare.»

«Al diavolo! Vattene, non lascerò andare questo metallo, vai al diavolo!!»

Una risata seducente, mielosa. «Oh, ci sono stata all’Inferno, non temere. Non è un posto che temo e neppure ho paura di tornarvi, anche se non c’è gusto nel vedere al sofferenza di chi ormai è senza speranza. Ma tu.. quello è soltanto un pezzo in più sulla tua strada verso la dannazione. Potrei ucciderti, so che sai quanto vorrei farlo, ma è mio dovere darti un’alternativa. Arrenditi, ora. Rinuncia.»

«Mai! Mi hai sentito, mai! Ardemonio ignis! – urlò, con le sue ultime forze, la bacchetta rivolta alla figura solitaria, per poi puntarla contro la finestra e urlare ancora più forte – Confringo!!!»

Con le lacrime agli occhi, un po’ per il vento ancora fortissimo e un po’ per la felicità, Draco si rese conto che l’incantesimo che aveva sigillato le vetrate era valido soltanto dall’esterno. Il vetro esplose in mille pezzi, mentre il vento si disperse in un attimo. Senza accertarsi se la figura ci fosse ancora o fosse scomparsa, evitando con abilità il fuoco maledetto, per il quale sarebbe anche morto, se il suo incantesimo contro la vetrata non avesse funzionato, saltò fuori dal tempio, rotolando per terra, prima di alzarsi con velocità e gettare un ultima occhiata all’edificio bianco. Non era più bianco. Era avvolto da una nube nera, mentre le fiamme sembravano implodere al suo interno, nessuna figura che lo fissasse o tentasse di attaccarlo. Decise di non sfidare ulteriormente la buona sorte, quindi si mise a correre a perdifiato nel bosco, la seconda boccetta al sicuro sotto il cappotto. Fu nella corsa che capì, ansimando di dolore e stanchezza, di non essere uscito del tutto illeso da quello scontro: non solo era provato psicologicamente, ma sul suo braccio spiccava una bruciatura molto marcata.

Crollò per terra, inciampando in una radice, emettendo un gemito sommesso. Cavolo, non si poteva curare una cosa del genere con semplici incantesimi di guarigione, anche se era più che certo che sarebbero stati utili quanto meno a rallentare l’effetto. Il fuoco che aveva evocato non era uno scherzo, lo sapeva bene: quell’incantesimo era costato la vita a Goyle, quel giorno in cui l’Oscuro era caduto. Era morto proprio li davanti ai suoi occhi, ennesima prova di quanto potessero essere pericolosi alcuni incantesimi, se maneggiati da gente inesperta e impreparata. Ma lui non era nessuna delle due: aveva capito al volo quanto la sua situazione fosse critica e si era comportato di conseguenza, ecco tutto. I Guardiani non erano certo una cosa da nulla, i sogni da cui era tormentato da ormai una settimana ne erano la prova. Quello che cercava di ottenere era molto più forte e Oscuro di qualsiasi altra cosa, chiunque, avesse mai fatto. Era logico che ne avrebbe dovuto dare in pegno qualcosa, come la sua anima, unica merce di scambio sufficiente.

Mormorò un paio di incantesimi di guarigione, per poi fasciarsi da ferita e stringerla forte con un pezzo della sua camicia. Sospirò, rimettendosi in piedi, gli occhi ancora lucidi e l’aspetto decisamente peggiore di quello con cui aveva lasciato casa sua. Doveva sbrigarsi a rientrare. Quasi si dimenticò della Granger seduta al pub, ma il forte desiderio che le immagini evocate pochi minuti prima nella sua testa gli avevano causato non erano tanto insignificanti. L’aveva vista, aveva visto lei e se stesso, loro, insieme, in un’utopia talmente lontana da far male. Possibile che fosse davvero un suo desiderio, quello? La Granger? Poteva benissimo capire i ricordi dei proprio genitori, di sua madre, che avrebbe voluto rivedere più di ogni altra cosa a questo mondo, ma non lei, non i suoi capelli e il suo corpo: poteva averne migliaia di Hermione Granger, poteva avere chiunque lui desiderasse in qualsiasi momento. Possibile che quel desiderio nascosto fosse proprio lei? Possibile che il desiderio che aveva avuto, quella mattina, di asciugarle le lacrime e uccidere Weasley per avergliele fatte versare, non fosse un riflesso di galanteria ma semplice preoccupazione e forse addirittura interesse? No, non poteva materialmente essere. L’aveva detto anche lui, quella mattina. Era lavoro, puro e semplice lavoro. E, come sua dipendente, non poteva lasciare quella Griffyndor in mano a pazzi irlandesi ubriachi.

Raggiunto il bar sperò di non trovarla troppo annoiata: dopotutto era un pub, e Hermione Granger non era certo tipo da bar e whisky e boccali di birra. Anche se, avendo per quasi-cognata Ginevra, non l’avrebbe sorpreso di certo il contrario. E, come volevasi dimostrare…

«E poi.. si, certo che è vero! ..poi quel bastardo mi ha detto che non gli piacciono le coccole.. si, esatto! ..che non gli piacciono perché lui.. poveri.. hic! ..non ci sa fare! – una risata generale invase la sala – No, ma capite? Hic hic! Io sono nuda, completamente nuda e sexy davanti a lui e lui mi dice che.. c’è.. una partita di quiddich! I maschi e quello stramaledetto Quiddich!»

Malfoy si pietrificò, udendo parole magiche uscire dalla bocca della Granger, ma fu l’unico: la gente intorno a lei stava ridendo e annuiva ad ogni sua parola, continuando a brindare e ridere chiassosamente e senza ritegno. Ma non era la cosa peggiore: il peggio erano le guance arrossate della Granger, i suoi singhiozzi ripetuti e i bicchierini vuoti davanti a lei. Era ubriaca. Ok, adesso si che poteva dire di aver visto tutto in vita sua.

«E come se non bastasse, adesso lavoro per questo tipo..hic ..un idiota che odio fin dai tempi della scuola, e lui è gentile, capisci? – gracchiò rivolta al barman con un cenno del capo – E non mi piace che sia gentile perché quell’aria non gli si.. addice. Mi confonde, ecco. Quasi come se.. mi piacesse?»

Rise forte, provocando altri eccessi di risate intorno a lei. «A me, piacere lui? Ah, devo essere proprio fatta, sono fatta Jimmy?»

Un uomo robusto sulla cinquantina annuì rassegnato, dandole una pacca sulla spalla da dietro il bancone. «No, mia cara, in fondo non ti sei scolata poi molto. O si?» - quando vide Malfoy avvicinarsi gli fece un cenno con il dito «La conosci questa qui? Immaginavo.. portatela, prima che si scoli qualcos’altro e mi svenga qui sul tavolo. Ma devo ammettere che è un’ottima compagnia, tornate quando vi pare.»

«Certo, contaci…» - annuì il biondo scettico, passandosi un braccio della mora intorno alle spalle e reggendola con la mano non fasciata, trascinandola verso l’uscita e maledicendosi per averla lasciata in quel posto.

«Draco! Dracuccio Malfoy! – si entusiasmò lei, riconoscendolo, con un forte odore di whisky preveniente dalla bocca – Ma lo sai che mi sei mancato? Ho parlato a questi gentili signori di te.. e Ronald.. e penso di aver detto che tu mi piaccia, ad un certo punto…» rise, afflosciandosi ancora contro di lui -

«.. ma io non posso, capisci?!?! Sto con Ron.. e lui mi ama..a e.. tu mi ami vero?»

Il biondo imprecò sotto voce, trascinandola nel bosco per potersi finalmente smaterializzare. «Si, certo.» Aveva imparato che, in certi casi, era meglio annuire con fare serio e reggere il gioco, soprattutto se il tuo interlocutore è bronzo, depresso e porta di nome Hermione Granger. «Ora però muoviamoci.»

Lei rise ancora più forte. «Non voglio tornare a casa! – tirò fuori l’aria da bambina birichina, con le labbra arricciate – Non da quel Troll. Posso dormire con te?»

«Si, certo.» Roteò gli occhi al cielo, sistemandosela meglio sulla spalla, prima di tirar fuori la bacchetta da sotto il mantello, non senza qualche difficoltà, e smaterializzarsi, ritrovandosi nel caldo tepore di casa sua, nel salotto con il camino acceso.

«Che bello! – esclamò la ragazza ubriaca, gettandogli le braccia al collo, dopo aver ritrovato tutta la forza nelle sue gambe e, pareva, tutta la sua grinta insopportabile – Sesso davanti al fuoco! Che romantico! Pensi che se lo scoprisse.. io e te..hic ..Ronald sarebbe geloso? Io dico di si..»

«Non faremo sesso Granger.. – mormorò l’altro imbarazzato, spingendola via – ora tu ti fai una dormita e ne riparliamo domani, vuoi?»

«No! No, no, no! Non puoi lasciarmi qui maledetto!» Quindi, con la stessa velocità di un boccino che cambia traiettoria, si afflosciò sul pavimento, la testa posata sul divano, le lacrime a rigarle le guance e il petto mosso dai singhiozzi. «TU.. non.. mi.. vuoooooooooi! Prima quel Troll, ora tu.. non mi vuole nessuno..»

La guardò, cercando di capire se stesse recitando o stesse facendo sul serio: non l’aveva mai vista in queste condizioni, sembrava tanto fragile e bisognosa di affetto che quasi non riuscì a trattenere l’impulso di abbracciarla, come si fa con un cucciolo randagio sotto la pioggia. Quasi. Ubriaca o no, era la Granger. Il giorno dopo, probabilmente, l’avrebbe sfidato a duello accusandolo di averla fatta ubriacare per approfittare di lei, nella migliore delle ipotesi, e l’avrebbe perseguitato con le maledizioni senza perdono per tutta la casa, nella peggiore. No, non era decisamente il caso di consolarla, date le imprevedibili conseguenze il giorno dopo. Rassegnato, la sollevò di peso, avviandosi sulle scale verso le stanze degli ospiti, che di certo non mancavano.

«Ehi, ci siamo divertiti stasera eh Draco?» – ironizzò Blaise, che stava uscendo dal bagno con addosso soltanto un pantalone nero e un bicchiere di liquido trasparente che difficilmente poteva essere acqua. Riconosciuta la Granger, la sua espressione mutò in un attimo «Ma che diavol..?»

«Torna a dormire Blaise, non è come sembra.»

«Ho la Weasley, in camera, non credo che tornerò a dormire. Come nemmeno tu, del resto.» Sparì in camera sua dopo un occhiolino malizioso. Quel ragazzo sapeva essere un vero idiota, quando ci si metteva, perché ancora lo lasciasse vivere lì non se lo ricordava. Doveva essere un buon motivo, davvero buono, per sopportarlo. Aprì una porta a casaccio con un calcio, rendendosi conto solo allora che la ragazza si era addormentata. La posò sulle soffici coperte blu notte, togliendole soltanto le scarpe e il cappotto, per paura che potesse davvero ucciderlo se si azzardava a toccarle qualcos’altro. La coprì con una trapunta appellata dall’armadio e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: era così delicata, nel sonno, così tranquilla, nulla a che vedere con la furia che era entrata in casa sua quella mattina. Anzi, un attimo. Il sole era ancora alto nel cielo, non dovevano essere passate nemmeno le dieci. Chiuse le tende con un colpo di bacchetta, facendo fiondare la camera nel buio più totale, quindi uscì, lasciando la Granger ai suoi sogni erotici e al suo riposo.

La seconda fiala finì al sicuro, esattamente dove era conservata la seconda. Un posto sicuro. Sistemata anche quell’incombenza, finalmente, il giovane si decise a curare la sua scottatura: se n’era quasi dimenticato, in verità, non l’aveva minimamente disturbato mentre tentava di riportare la Granger a casa, sana e salva. Beh, quando la mente è annebbiata da altre preoccupazioni è logico perdere di vista anche i dolori fisici. Aprì l’essenza di Dittamo, ripensando a quella sera, e in particolar modo alle parole pronunciate dalla ragazza quella sera.

E non mi piace che sia gentile perché quell’aria non gli si.. addice. Mi confonde, ecco. Quasi come se.. mi piacesse? A me, piacere lui? Ah, devo essere proprio fatta, sono fatta Jimmy?

Sesso davanti al fuoco! Che romantico!

Com’era quell’espressione babbana, in vino veritas? Davvero la mente della Granger era stata sfiorata, anche solo per un attimo, dal pensiero di loro due, insieme, davanti al fuoco? Davvero aveva pensato che lui le piacesse? Sesso con lui, poi, che stupidaggine..

Si, come se tu non volessi lo stesso. Vero, peccato che lui, invece, non aveva bevuto, prima di pensarlo.





Spazio autrice ù.u

Ma bene bene bene. Salve, miei carissmi, come state? Spero che l'attesa non vi abbia distrutto, ma perdonerete la mia mancanza di tempo a causa di forze superiori, non so come dirvela meglio!! xD la scuola mi sta uccidendo, e io sto uccidendo me stessa per le cose dietro cui non so stare.. dietro xD bene, lo sclero delle 22:17, scusatemi!!

Beh herm ubriaca.. Cris lo sapeva, perchè aveva insistito per i miei spoiler, ma non so se è venuta esattamente come la volevo. Ebbene Draco voleva herm perchè lei doveva aiutarlo, no? Però, soprattutto dopo la villa e Kostja e il bordello in Russia si sta pian piano rendendo conto di quanto abbia fatto affidamento sulle capacità di Herm, mentre lui era troppo preso dalla ricerca e quindi dalla possibilità di trovare quello che stava, appunto, cercando. Quindi vuole dimostrare qualcosa a se stesso, giustamente, perchè altrimenti si sente impotente, ma non temete: rimane comunque un uomo e, come tale, scientificamente inferiore, cosa che farà subentrare Herm nei prossimi capitoli per salvargli il suo bel culetto da Serpe.

Nel frattempo la cara Grifa se la fa in una locanda americana... beh, andiamo! E' adulta e vaccinata, va tutto male, cosa fareste voi nella sua posizione, circondati da bottiglie di liquori e con un ambiente tipico alla USA??!! Si, dai che fareste lo stesso, ve lo si legge in faccia.. che io non vedo, che sicocca!!! Poi lei che ci prova con Draco.. è ubriaca, ricordatelo, prima di dire che sto andando fuori trama perchp i due si odiano. Continuano ad odiarsi, anche se è già una sfumatura più chiara rispetto al nero iniziale, però sta cambiando qualcosa, anche se in modo ancora impercettibile..

Blaise, ovviamente, la mette sul ridere, della serie hai capito chi si porta a letto Draco! Strano ma vero, tuttavia, è proprio Draco ad andare in bianco, mentre Blaise se la spassa con la rossa, che ovviamente è tornata fra le lenzuola dell'altro inquilino di Malfoy Manor.. qualcuno ne dubitava, forse?? xD Io no di certo.

Ah, e dato che siamo in tema Weasley, sarete contenti di sapere che Ron sta per andare a farsi benedire! No, non sarà battezzato, semplicemente, come avrete intuito, Herm si è proprio rotta di lui e sta capendo diverse cosette, tant'è vero che come dicono molti "in vino veritas". Ma, questo è un altro capitolo..

Piccola nota: vorrei farvi notare che Draco chiama la "pozione", quando il guardiano tenta di togliergliela, "metallo". Quindi.. a vostra libera interpretazione, visto che ancora non sapete di preciso cosa sia il contenuto di quelle fiale, sbizzarritevi con la fantasia e buona fortuna.. forse capirete cosa sta tramando il bel biondino, ma ne dubito!!!

Infine, come potrei non ringraziare le 5 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 5 che l'hanno inserita fra le da ricordare.. my god!!! O.o le 42 fra le seguite!!! Vi adoroa d 1 ad 1, e risponderò alle recensioni lasciate in sospeso al più presto.

grazie mille, sempre vostra, K



 

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Capitolo 6
*** when everything changes ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo V:

when everything changes
 

Non riuscì a chiudere occhio, quel giorno: non solo gli incubi di figure incappucciate gli apparivano davanti di continuo, voci lo tormentavano con promesse di morte e dannazione eterna, ma soprattutto una voce in particolare lo assidiava, lasciandolo quanto mai perplesso sul motivo per cui gli faceva un tale effetto. La Granger. Quanto poteva essere irritante una strega ubriaca? Ne aveva viste a bizeffe, partendo da Pansy e Millicent fino ad arrivare a Daphne, quella con la quale probabilmente si era divertito di più in quelle occasioni. E non solo in quel senso. La maggiore delle figlie Greengrass – e anche la meno scocciante e appiccicosa – era la cosa più vicina ad un’amica che il giovane Slytherin avesse mai avuto. Non era la solita serpe con la puzza sotto il naso e gli abiti firmati, anche se di quelli ne aveva in abbondanza, a distinguerla era sempre stato il suo senso critico e profondamente razionale con cui giudicava le cose. Non era affrettata, non era maniacale, era fredda e calcolatrice. In un primo momento, doveva ammetterlo, l’idea di coinvolgerla nella sua ricerca l’aveva sfiorato eccome ma, dopo aver saputo in che condizioni si trovasse, aveva preferito lasciar perdere. D’altro canto, lei non era tanto sprovveduta: lo conosceva da anni, avrebbe capito nel giro di pochi giorni a cosa davano la caccia e il suo istinto, con ogni probabilità, ne avrebbe fatto più una rivale che un’alleata. E poi, non poteva portarsi dietro una donna incinta, rischiando di far infuriare suo padre e sua sorella, più di quanto già non fossero. Una famiglia di matti, la loro! Peggio dei Malfoy nei loro momenti migliori!

Si strofinò gli occhi con le dita, mediante piccoli movimenti circolari. Erano circa le dieci di sera. Ah, non poteva restare sveglio anche tutta la notte, non sarebbe stato per niente riposante! Sai che occhiaie, poi! Sbuffò, alzandosi dalla sua poltrona preferita e chiudendo con un gesto secco la porta della sua stanza, lasciata aperta per chissà quale subdola ragione. Si tuffò nel mare di soffici cuscini e coperte calde che era il suo letto, quasi con un impeto di rabbia, chiudendo gli occhi come un bambino dispettoso davanti ad una pozione amara. Dopo altri venti minuti si costrinse a uno di quei metodi che, doveva ammetterlo, gli erano serviti soltanto due volte in tutta la sua vita: una prima volta quando era morto il suo cane, a otto anni, e suo padre aveva detto che era meglio così, per lui e i suoi esercizi magici, e una seconda, quando ad andarsene era stata sua madre. Per suo padre no. Aveva brindato a Lucius tutta la sera, augurandogli ogni bene dovunque si trovasse, dato che quel posto era lontano anni luce da lui e dalla sua, finalmente lieta, esistenza.

La pozione soporifera non tardò a fare effetto. I pensieri sembrarono dissolversi in mille e mille volute di fumo grigio, annebbiandogli i sensi e la vista e lasciandolo preda di un qualche piacevole sogno, dove danzatrici del ventre sventolavano le loro gonne davanti a lui, un pascià seduto su cuscini di seta. Una di quelle assomiglia stranamente alla Gryffindor che stava dormendo nella camera dall’altra parte del corridoio. Nah, doveva essere una semplice somiglianza. Una coincidenza. Soltanto una..

Riaprire gli occhi fu una meraviglia, soprattutto se i flashback dei suoi sogni continuavano a ronzarti in testa con una frequenza allarmante. Hermione – che era apparsa in ogni angolazione e ogni sua forma, in particolar modo con questo nome esatto, sostituito al ben più noto “Granger” o “Mezzosangue” – l’aveva rincorso in un prato, gli aveva sventolato davanti una bottiglia di gin e aveva riso come un’ebete, ricordandogli che solo da ubriaca sarebbe andata a letto con lui, quindi avrebbe dovuto infilzarla con bevande non meglio identificate, che erano posizionate tutte in fila davanti ad un bosco – apparso da chissà dove. E poi, come se non bastasse, la lunga e atroce agonia era continuata, ancora e ancora, tanto che aveva cominciato a rimpiangere i sogni erotici che la bacchetta di Pansy, una volta, gli aveva rifilato al quinto anno, con lei nuda con addosso piume di pavone che ringhiava il suo nome in maniera provocante. Aveva vomitato per tutto il giorno, da quello che poteva ricordare.

Stavolta non era andata meglio: il brusco risveglio, seguito da un altrettanto veloce discesa dal letto, gli miseo lo stomaco in subbuglio, tanto che fu costretto ad aggrapparsi ad una delle travi del baldacchino, gli occhi chiusi e respiri profondi dalla bocca, nel tentativo di riprendersi. Non ne aveva avuto tempo, però.

«Malfoy, gradirei sapere perché ero distesa in quel letto, come ci sono arrivata e soprattutto perché non ho dormito, a casa mia e nel mio letto.»

Riaprì gli occhi, capendo al volo che riprendersi sarebbe stato molto più facile, se avesse impiegato tutte le sue energie nel litigare con la mora che aveva davanti. Si era cambiata: indossava un pigiama nero, appartenuto a qualche fanciulla che aveva dormito lì prima di lei, probabilmente, e sopra portava una vestaglia verde. La seta dei pantaloni larghi e il cotone del top che indossava aderivano perfettamente alla sua figura snella, notò subito il biondo, e di sicuro stava meglio così che con un paio di calze a rete. Ah, maledetti sogni! In mano portava una tazza di qualcosa di caldo, caffè a dedurre dall’odore, sul volto non c’era più traccia di rossore e neppure gli occhi erano maliziosi e la bocca arrossata. No, era di nuovo se stessa, infuriata come una Furia – non c’era espressione migliore per definirla, in quel momento! – e talmente infuriata a tal punto che, probabilmente, se avesse voluto, avrebbe fatto fuori chiunque con una saetta lanciata con lo sguardo. Notò subito come gli occhi di Draco si fossero posati sul suo abbigliamento e interpretò male i suoi pensieri a riguardo.

«Dovevo pur cambiarmi.. – si giustificò, passandosi una mano nei capelli disordinati - ..e ci ho messo tutta una doccia molto lunga per rendermi conto di non essere a casa mia. Ho dovuto improvvisare. Questi li ho trovati nella stanza dove ho dormito, non potevo certo rimettermi i miei abiti! Puzzavano di sporco.. e alcool.. iehu! Non avrò bevuto ieri sera?!?! Che schifo!»

Probabilmente si aspettava delle risposte, certo, ma lei era in piedi da almeno un’ora, reduce da una doccia rilassante, vestita, profumata e con una tazza di caffè in mano. Malfoy era distrutto, con due borse sotto agli occhi che avrebbero potuto toccare l’Australia e non era per niente pronto ad una conversazione che sarebbe finita con lui minacciato di morte o, peggio torturato e ucciso. Si, non la vedeva lontana come ipotesi. «Caffè…» Mugugnò, barcollando ad occhi chiusi fuori dalla stanza, una mano a stringersi la vestaglia e l’altra sulla fronte. Ignorò la ragazza, oltrepassandola e scendendo in cucina, dove trovò la colazione già pronta e il caffè fatto. Alzò un sopracciglio: ma la Granger non sfruttava tutte le sue forze per la difesa degli elfi domestici? Non era una sorta di animalista, da quel punto di vista? Uguali diritti e bla bla bla? La ragazza, che l’aveva seguito con un’aria terribilmente infastidita, parve notare la sua stizza.

«Guarda che ho chiesto a Perky soltanto di indicarmi dove fossero gli ingredienti. Quando ha capito che volevo cucinare io, da sola, si è quasi fatto venire un infarto e ha cercato di tritarsi le dita con il tritacarne. Ho pensato che sarebbe stato meglio se avesse conservato tutte le dita, quindi gli ho permesso di aiutarmi.. – si sedette di fronte all’uomo, che finalmente stava riprendendo colore grazie alla bevanda che aveva in mano – E non ho avvelenato niente, prima che tu lo chieda.»

«Te l’hanno mai detto.. – proferì finalmente lui, quando capì di aver, almeno in parte, recuperato le proprie facoltà mentali, degne quindi delle sue battute sagaci – Che la mattina parli troppo? Sarà per quello che Lenticchia avrà deciso di litigare, ieri..»

La ragazza parve colpita da quella affermazione, tanto che scattò su come una molla, quasi colpita da un incantesimo refrigerante. «I miei affari privati non sono certo qualcosa di cui devi preoccuparti tu. E poi, io sto ancora aspettando una spiegazione sul perché non ero a casa mia ie..»

«Non te lo ricordi?» La sua domanda gli salì spontanea alle labbra. Si era aspettato di tutto: dai discorsi imbarazzanti su quanto era successo davanti al fuoco, alle sue scuse perfino, giustificate dal fatto che, magari, non reggeva l’alcool e quindi non ci capiva niente una volta che aveva superato i tre bicchieri. Tutto, ma non la perdita di memoria. Lui ricordava fin troppo bene quello che era successo, il fatto che si sentisse come uno appena colpito da un Reducto, ridotto prima in cenere e poi rinsaldato con la colla babbana era proprio dovuto al fatto che ricordava fin troppo bene. E mentre lui aveva piena coscienza di quanto era accaduto lei.. Oh, maledizione! Si passò la mano tra i capelli, esibendo per un attimo la fasciatura sul braccio.

«Come te la sei fatto? – domandò preoccupata l’altra, notandola – Non eri ferito quando sono venuta stamattina..»

«Ieri mattina, prima di tutto. Era ieri mattina. Hai dormito un giorno intero e una notte intera qui. Eri ubriaca, dio… te l’hanno mai detto che sei uno spasso quando ci vai giù pesante con il whisky? I tuoi amici irlandesi mi hanno supplicato di ritornare a trovarli, una volta che ti fossi ripresa, s’intende.»

La mora lo fissò con occhi glaciali. «Vedo che ti sei ripreso, finalmente.»

Già, era la verità, si sentiva decisamente meglio, dopo un buon caffè e un paio di pasticcini alla zucca e allo zucchero con cannella che Perky gli preparava da quando era bambino: erano una delle cose che preferisse mangiare in assoluto. Stando meglio, inoltre, le sue abilità di “serpe stronzo” erano salite decisamente di livello, permettendogli di ritornare a fare quelle battute tanto odiose che erano il suo marchio di fabbrica. Quella della casata dei Black, ovviamente. Da piccolo, per quanto potesse ricordare, aveva sempre trovato spassose le cose che zia Bella diceva, anche se per lo più includevano assassini e omicidi e gente squartata, ma non era il contenuto a contare, era la forma. E lui ci teneva a quel particolare aspetto. «Per quanto riguarda la fasciatura, non è niente. Un incidente di percorso ieri sera. Sai, mentre tu stavi brindando io mi davo da fare a recuperare..»

«L’hai preso? – s’incuriosì lei – Il secondo pezzo, la fiala, la pozione?»

Pezzo di che? E, oltretutto, non si trattava neppure di una pozione. «Si, è al sicuro.» Alzò gli occhi un attimo su di lei, prima di riabbassarli sui suoi pasticcini. «E comunque non ti ho Obliviata, che è questo che stai pensando. Sei.. ehm, hai bevuto ieri sera.. un po’ troppo.. e quando siamo tornati non mi è parso saggio farti andare in queste condizioni.. già, a casa. Hai dormito in una delle mie stanze degli ospiti e..»

«Bevuto?» Solo allora lo Slytherin alzò lo sguardo, rendendosi con meraviglia conto che lei non aveva sentito nemmeno una parola di quello che le aveva detto. No, si era fermata alla prima parola, ovvero quella in cui le diceva che si era ubriacata, tanto da non ricordare nulla. «TU MI STAI DICENDO CHE IO HO BEVUTO?!?!?» Urlò tanto da fargli andare il caffè di traverso, costringendolo ad afferrare uno straccio per togliersene un po’ dalla maglietta bianca che stava indossando in quel momento. Certo, c’era da immaginarselo che sarebbe diventata isterica: lei non beve, lei è Hermione la perfettina Granger. E ora era entrata in modalità pazza on, per spegnerla gli ci sarebbero voluti l’azione combinata di un incantesimo FreddaFiamma e un Petrificus Totalus di esterma potenza. Anche un Incarceramus, già che c’era, poteva fare al caso suo. La guardò, leggermente meravigliato e decisamente scioccato, mentre poteva vedere quasi le nuvolette di fumo che le uscivano dai capelli. «Io non bevo! Cosa diamine hai fatto per farmi bere, Malferret!»

Ecco, ci risiamo con quel maledetto soprannome. «Nulla! – si giustificò lui con un’alzata menefreghista delle spalle – Ero andato dove dovevo andare, ti ho lasciato in un pub dicendoti di aspettarmi e, quando sono tornato, non solo non ti reggevi in piedi ma sembravi pronta a violentarmi! Scusa se la mia massima preoccupazione è stata quella di riportarti sana e salva in Inghilterra!!!»

Oops, questo non avrebbe dovuto dirlo. La ragazza sembrò gonfiarsi ancora di più, prima di scaraventare la tazza contro il muro, che finì in mille pezzi lasciando soltanto una macchia marrone sulla tappezzeria: l’avrebbe fatta pulire più tardi.

«Lo sapevo, lo sapevo, LO SAPEVO che non avrei dovuto accettare, un ricatto! Un maledettissimo e sporco ricatto! Ah, fidarsi di un Malfoy, me l’aveva detto Harry di lasciar perdere!»

«Aspetta, hai detto a Potter del nostro accordo? Granger, ti avevo detto chiaramente che..» Ma lei parve non sentirlo e lanciò un urlo ancora più grande, con le mani sopra la testa. «Per Merlino! Come ho potuto essere così stupida! Avrei fatto meglio a restare appiccicata ad un palo, se l’alternativa è finire ubriaca in qualche squallido pub in qualche parte non bene definitiva del pianeta o, ancora, dormire nella camera degli ospiti di Malfoy Manor o, ultima ma non importante, la genialata di aiutarlo nella sua missione decisamente pericolosa e niente affatto legale o pulita.» Gli puntò un dito contro, gli occhi fuori dalle orbite. «Non credere che non sappia cosa stai facendo, brutto bastardo! Non credere di potermi fregare solo perché non faccio domande. Io sono Hermione Jean Granger, io ho combattuto contro il tuo Signore Oscuro e l’ho sconfitto, io ho ottenuto più premi dal Ministero di quanti i tuoi antenati abbiano potuto posare sulle mensole di questo Maniero. Io..»

«Sei finita a ballare nuda in un locale babbano per una Legge che te l’ha ordinato, si lo sappiamo.. – concluse con una risata tetra l’altro, adesso decisamente alterato a sua volta – E non mi pare che tutte le tue medaglie abbiano potuto salvarti da questa sorte, non mi pare che il Ministro se ne sia fregato più di tanto, non mi pare che le tue incredibili gesta ti abbiano riservato un trattamento tanto diverso dagli altri Mezzonsague!»

La Gryffindor, ormai abituata a tutti gli insulti che uno come Malfoy potesse farle, abituata alle accuse e alla sua lingua tagliente, si limitò ad assorbire come una spugna, senza retrocedere di un solo passo. «Che cos’è che stai cercando Malfoy? – chiese infine, le braccia unite sul petto, l’espressione decisa – E non rifilarmi stupidaggini! Non è qualcosa di legale, anzi è molto peggio che illegale, è qualcosa di Oscuro. Quando ho accettato non sapevo a cosa andavo incontro, ora che lo so ti rimango vicino non per i soldi ma perché, se dovrò e sarò costretta, ti fermerò con le mie stesse mani. Non ci sarà nessun altro Signore Oscuro e non ci sarò nessun altra guerra. Io sarò anche una Mezzosangue ma, ricordatelo, che so come si lancia una Maledizione Senza Perdono.. e non temo di non saperlo fare.. ho tutte le motivazioni di questo mondo.. Malfoy

I due si scrutavano, ognuno arrabbiato a modo suo: Hermione, le mani strette in due pugni, che torreggiava come una dea vendicatrice sul proprio interlocutore, gli occhi folli di pazza rabbia omicida e il petto affannato dal troppo urlare. Non le capitava spesso di perdere il controllo, semplicemente non ci era abituata, ma era così che doveva andare, era una discussione a cui aveva pensato per lungo tempo, nella settimana in cui non si era vista con il suo nuovo datore di lavoro. Non c’erano misteri senza motivi, non c’erano azioni senza conseguenze. La conseguenza delle sue azioni, più di quelle di chiunque altro, poteva essere completamente devastante e totalmente terribile. Draco Malfoy non era tipo da includere lei in un progetto tanto segreto senza un motivo, e le ragioni erano semplici e evidenti quanto il sole: era qualcosa di pericoloso, qualcosa che non poteva fare da solo, qualcosa che temeva di rivelarle ma per cui la voleva disperatamente. Si, perché, parlandoci chiaro, se davvero fosse stata una cosa da poco conto, la prima cosa che avrebbe fatto Malfoy sarebbe stata rivelare la sua doppia identità a Harry e Ron, umiliarla e spezzarla dalle radici. Non l’aveva fatto, si era privato di quel divertimento sadico a cui certamente un Malfoy non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, se non per qualcosa di veramente importante e di veramente delicato. La sua missione era entrambe. E non solo era qualcosa di cui non desiderava parlare affatto, magari fosse stato solo quello, era qualcosa che lo perseguitava giorno e notte. Lui poteva credere quello che gli pareva, ma lei era stata davanti alla sua camera abbastanza da intuire quanto i suoi incubi fossero peggiorati, dopo il secondo Elemento. Si, le voci, le stesse voci che aveva udito la prima notte, circa una settimana prima, quando quella figura incappucciata li aveva colti di sorpresa, e aveva tentato di ucciderli. Ricordava alla perfezione il fastidio e il dolore che aveva provato, con quelle voci in testa. E non era solo un dolore astratto: prima di ritrovarsi in quella casa ammuffita con Malfoy, era sicura di aver visto un paio di immagini non del tutto piacevoli del suo passato. Come suo solito, aveva intuito che il compito di quelle figure era proprio indebolire le persone, renderle più deboli e malferme, impedendogli così di prendere.. qualsiasi cosa stessero custodendo. Ah, giusto: non sapeva nemmeno questo. Cosa custodissero, il perché lo facessero, a cosa fossero utili quelle pozioni in piccole boccette di vetro – se erano davvero pozioni.. domande, troppe domande e neppure una risposta da quell’esserino ossigenato ed egocentrico che le stava seduto davanti.

D’altro canto, il giovane aveva cominciato a intuire che, dopotutto, non avrebbe potuto tenerla all’oscuro ancora per molto: più si serviva di lei, più chiedeva il suo aiuto, più lei sarebbe stata vicina a capire tutto quello che lui stava cercando, tutto quello che stava effettivamente facendo. Dopo qualche istante di silenzio, le concesse qualche parola, forse necessaria a placarla, per ora.

«Non sono uno stupido, non farei mai nulla di Oscuro sotto il naso della tirapiedi del caro Potteruccio.. E poi non sono un megalomane come lo era.. Voldemort.. già, una volta mi hai detto che è la paura di un nome ad accrescere la paura della cosa stessa ricordi?» Lo sguardo ammirato della ragazza perché si ricordava un fatto accaduto quando entrambi avevano circa dodici anni lo lusingò, imponendogli di proseguire. « E quindi non intendo scatenare nessuna guerra e nessuna rivoluzione. Sono una Serpe, sono un egoista bastardo che discende da una stirpe di codardi e di pazzi. Ci sono solo cose tremendamente egoistiche sulla mia lista, fidati di me.»

La mora sbuffò, cominciando a camminare avanti e indietro per la cucina, fissando le proprie pantofole, anche quelle nere e pelose. «Si, beh. Egoista, chiaro? Mi serve il tuo aiuto perché non è qualcosa che ti insegnano ad Hogwarts e trovare quello che voglio non è una passeggiata.. Avrai visto quel Guardiano, la prima volta. Anche ieri ce n’era uno. Credo il loro compito sia proprio quello di vigilare su queste.. fiale.»

Guardiani, registrò mentalmente la Gryffindor. «Quanti sono? – chiese impertinente, infervorata dall’improvvisa disponibilità di Draco a parlare – Cosa c’è in quelle fiale.»

«Sono otto in tutto, adesso ne mancano sei. Molto potenti, molto furbi, non si fermeranno davanti a nulla per proteggere quei.. metalli.» L’ultima parola fu quasi un sussurro, e subito dopo gli occhi ghiaccio del ragazzo si fissarono in quelli indagatori della mora, che capì come quell’informazione fosse stata un azzardo. No, non aveva intenzione di dirglielo, gli era sfuggita.

Quell’informazione era importante. E così si trattava di metalli. Perché dei metalli potevano essere contenuti in boccette così piccole? A cosa potevano servire? Perché ce n’erano esattamente otto? Perché erano così ben protetti? Perché i Guardiani evocavano i brutti ricordi? Ah, di nuovo domande e ancora domande. Ma, stavolta, avevano un punto di partenza, quei quesiti: avrebbe fatto delle ricerche, avrebbe trovato un modo per collegare quelle informazioni e scoprire qualcosa. Aprì la bocca per chiedere altro, ma un leggero pop annunciò l’arrivo di Perky, che fece una profonda riverenza al padrone, prima di parlare con Hermione.

«Signorina, come ha chiesto le ho lavato e profumato i vestiti. Sono sul letto nella stanza in cui ha dormito.» Sembrava orgoglioso di aver portato a termine quel compito in così breve tempo, Draco ne dedusse quindi che ignorasse l’origine di quella che aveva appena onorato con un inchino. Lo congedò con un gesto della mano, alzando un sopracciglio alla volta della diretta interessata: e così, CREPA – si chiamava così quella sua stupida campagna, no? – o non CREPA, sfruttava i suoi elfi a suo piacimento. Prima ubriaca, poi maniaca del sesso – cosa che le avrebbe fatto presente in un momento adatto, tra l’altro – e ora anche sfruttatrice di quelli per i diritti dei quali si stava battendo. Di bene in meglio, miss perfettina, di bene in meglio.

«Ed è inutile che fai quella faccia.. non potevo tornare a casa sporca e puzzolente, e nemmeno in un pigiama verde e nero! Ah, per Merlino! Credo che Ron potrebbe bruciarmi questi vestiti addosso, senza aspettare che me li tolga.»

«Perverso il ragazzo.. hai capito Lenticchia!» Ecco il solito Malfoy.

«Al diavolo! Vado a cambiarmi e a casa, non voglio sapere niente di ieri sera, non voglio sapere di cosa ho fatto.. o non fatto. Meglio così. E tu.. se lo dici a qualcuno..» Sembrava terribilmente Molly, quando faceva così. La stretta vicinanza con i Weasley doveva averla irrimediabilmente incisa dentro. «..io ti..»

«Si, mi fai evanescere gli attributi. E con questa sono due. A presto Granger, ti farò sapere con un messaggio..»

«A proposito di messaggi: com’è che hai il mio numero tu?»

«.. messaggio – continuò lui, allontanandosi, facendo finta di non averla sentita – quando dovrai venire da me. E, se prima, vorrai venire per qualche attività extracurriculare, giusto per far ingelosire il Rosso.. sai dove trovarmi. Adieu!»

La mora boccheggiò un paio di volte, totalmente spiazzata e ora convinta più che mai di aver detto qualcosa di profondamente imbarazzante, la sera prima. Ah, lei non poteva reggere l’alcool così male, era tutta colpa di suo padre, sua e del suo fegato inesistente! Le era successo soltanto un’altra volta, e per fortuna in quell’occasione aveva avuto Ginny a spalleggiarla e a impedirle di fare qualcosa di stupido. Non stavolta. Anzi, con ogni probabilità Ginny c’era, il che era anche peggio, dato che quella non era casa sua e il letto in cui stava dormendo non era quello di suo marito. Il suo stomaco si rigirò un paio di volte, tanto per ricordarle che aveva un’altra questione da risolvere. Non era giusto mentire così ad Harry, visto che lui l’aveva difesa così alacremente quando lei ne aveva avuto bisogno. Doveva dirglielo e l’avrebbe fatto. Giusto per galanteria fece sparire la macchia di caffè dalla parete, sicura che Malfoy non l’avrebbe neppure notato, e si smaterializzò, diretta a casa.

***

«Ron? – chiamò, togliendosi il cappotto, profumato e lavato come Perky aveva promesso – Sono a casa.»

Non udì alcuna risposta, piuttosto voci che continuavano a parlare in cucina. Avevano ospiti? Harry? Oh, lui sarebbe stato perfetto, dato che aveva intenzione di parlargli della faccenda di..

«Ginny?» Fu sorpresa come non mai nel ritrovarsi davanti l’altro membro della famiglia Potter. La rossa era comodamente seduta su una delle sedie accanto al bancone della cucina, una tazza di thè caldo in mano e un pacchetto di fazzoletti nell’altra. Stava piangendo? Sicuramente gli occhi rossi non erano un effetto ottico, era totalmente sconvolta. Certo che era strano vederla in questo stato; ok, il primo fatto strano era che stesse piangendo davanti a suo fratello che, era risaputo, aveva la sfera sentimentale grande quanto una biglia di vetro. Si facevano delle confidenze? Da quando? C’era decisamente qualcosa che non andava. «Tutto bene?»

Fu una domanda decisamente stupida ma, dopotutto, non era particolarmente ben disposta verso la minore delle sorelle Weasley, dato che l’aveva sorpresa a Malfoy Manor con Zabini.

I due parvero come congelati, dal suo arrivo, il che era ancora più strano. «Si, benissimo. – mentì la ragazza, alzandosi velocemente e raccogliendo le sue cose – Grazie del thè Ron, mi è stato davvero d’aiuto. Ci sentiamo presto. Hermione..»

Nell’uscire, quest’ultima avrebbe giurato di aver visto la cognata sorridere. Ehm..
Tornò a guardare Ron, cercando di decifrare cosa di avessero discusso, ricordandosi solo allora, come una sciocca, che Ginny poteva essere stata la prima a rivelare al suo fidanzato chi frequentasse la Manor. L’aveva rovinata! Adesso Ron l’avrebbe lasciata e avrebbe mandato a monte la serie infinita di progetti che avevano fatto sul loro futuro, sulla loro vita, sui loro figli.. Ma forse non era ancora tutto perduto, forse avevano parlato di altro. Ma, in quel caso, il viso rilassato, troppo rilassato, di Ron non avrebbe avuto una spiegazione. «Cos’aveva Ginny?»

Il rosso parve valutare quelle parole, come in cerca della cosa giusta da dire. «Era venuta a confidarsi con me..  disse infine, alzandosi, in maniera più possibile teatrale - ..vedi, dato che a sua amica passa le giornate a Malfoy Manor.. ha ritenuto che io fossi la persona migliore che potesse capirla.»

Maledizione! Lo sapeva! Sapeva che stava lavorando con Malfoy.. e perché Ginny gliel’avrebbe detto? Non era minimamente nei suoi interessi. Lei andava lì per lavorare, lei per divertirsi con Zabini. Aveva detto anche questo a Ron, rischiando così che lui rivelasse tutto a Harry; perché, più di tutto, il fatto risaputo era quello che i due ragazzi si raccontavano praticamente tutto, incluse le volte che andavano in bagno. L’aveva sempre trovata fin troppo irritante come cosa ma, con il tempo, come anche a gran parte dei difetti, impari a farci l’abitudine. Si guardò intorno, in cerca di qualcosa da dire, una mano dietro la nuca, l’espressione imbarazzata. Non sapeva letteralmente cosa dire: come poteva confessare di stare lavorando con il loro peggiore nemico dai tempi di Hogwarts? E questo avrebbe significato anche raccontagli il perché quella collaborazione si era resa necessaria, e lo strip club e tutto il resto. Ah, maledetta Ginny e la sua lingua lunga! Come poteva essere diventata così cattiva!?!? Ma, più di tutto, a sorprenderla fu, ancora una volta, l’espressione rilassata di Ron, che le si stava avvicinando con le braccia larghe e un sorriso bonario sul volto. Un attimo, non era arrabbiato?

«Ron, esattamente.. cosa ti ha detto Ginny.. riguardo a me e a Malfoy Manor?» La sua voce era decisamente più tremula di quanto si aspettasse. Era ferita, doppiamente tradita, doppiamente nei guai e totalmente impreparata ad una situazione come quella. Lui doveva capire che, qualsiasi cosa lei avesse fatto, era stato per il loro bene, unicamente per il loro futuro, e se gli aveva taciuto determinati aspetti era solo perchè voleva proteggerlo.

«Non c’era bisogno che mi dicesse nulla. Capisco.» Che vuol dire che capisce? Come fa a capire? «Insomma, tutti possiamo avere dei momenti difficili, tutti possiamo avere bisogno di un momento di.. distacco. Il fatto che tu abbia cercato quel momento con Malfoy, oddio, mi sorprende ma.. miseriaccia, è Malfoy! Ma mi ero ripromesso di non arrabbiarmi.. non importa, abbiamo superato tutto e supereremo anche questo..»

Ok, come volevasi dimostrare, non aveva capito un’emerita cacca di drago! Peggio, credeva che lei l’avesse tradito con Malfoy! Quale diavoleria!? Ancora una volta, però, la sua razionalità ebbe la meglio sui sentimenti, cosa che le riusciva decisamente più facile quando Ron non stava gridando o non se ne stava andando. «E Ginny ti ha detto il perché lei  si trovava da Malfoy’ Forse Harry..»

«No! – la fermò il ragazzo, afferrando per le spalle – Lei si fida di me, perché sa che io posso capirla.. sotto questo punto di vista. Harry è fedele come un rametto di Platano Picchiatore, si schianterebbe piuttosto che guardare un’altra. Ma io potevo capirla, e ora è tutto sistemato.. possiamo andare avanti, non ne parleremo mai più..»

L’espressione della giovane strega finalmente fu attraversata da un lampo di comprensione: Ginny era lì perché sapeva di poterla mettere nei guai, era lì perché sapeva benissimo che Ron l’avrebbe capita, era lì perché sapeva che Ron l’aveva tradita. Si, Ronald Weasley aveva ufficialmente tradito Hermione Granger, sua fidanzata storica. Sentì il respiro mancarle, ma non fu come accadeva di solito, per una scarica forte di adrenalina, fu perché il dolore le aveva mozzato il fiato, mentre migliaia di lame si conficcavano nel suo petto, pericolosamente vicini al cuore, o forse direttamente al centro del suo cuore stesso, soltanto tanto fredde e tanto taglienti da non sentirle nemmeno. Come aveva anche solo potuto tradirla? Adesso tutta quell’espressione ebete, quella faccia da puffola pigmea erano chiari! Adesso che pensava di essere stato tradito a sua volta, pensava che tutto sarebbe ritornato alla normalità. No! Litigavano a volte, a volte si lanciavano alcune maledizioni piuttosto pericolose in giro per casa, a volte andavano a dormire dai rispettivi amici, ma mai, mai e poi mai, lei si era sognata di tradirlo, nemmeno in uno dei meandri più lontani del suo cervello. Lei lo amava, tanto. Lui era tutto per lei, o, almeno, lo era stato. Adesso che lo guardava e l’immagine prepotente di un’altra fra le sue braccia si faceva larga nella sua fervida immaginazione, sentiva di non poterlo più riconoscere, sentiva che l’uomo davanti a lei non era quello con cui era cresciuta, non era affatto il suo amico, il suo confidente, il suo amante. No. Era uno sconosciuto. Un uomo crudele, troppo lontano dall’immagine di quello che aveva amato e che avrebbe mai potuto amare. E quel maledetto sorriso sulla sua faccia.. glielo avrebbe strappato a morsi, brutto maiale!

«Tu mi hai tradita.. – sussurrò, rassegnata, la voce tremante – tu.. tu.. tu mi hai tradita.. TU! Brutto figlio.. anzi, povera Molly.. tu, grandissimo bastardo! Stronzo che non sei altro! Come hai potuto pensare??!? Io non ti tradirei mai..»

«Ma sei stata da Malfoy, Ginny ti ha visto.. » - mormorò lui confuso. Eh, giustamente era impossibile per lui elaborare un’altra teoria plausibile. Non aveva avuto tempo per rifletterci, oltretutto!

«Da Malfoy! Si, da Malfoy per lavoro! In modo da potermi guadagnare degnamente da vivere, in modo di non dovermi più strusciare su di un lurido palo di uno strip club.. oh, si! – confermò con rabbia, rispondendo allo sguardo ancora più confuso del rosso davanti a lei, che aveva lasciato cadere le braccia inermi lungo il corpo – L’unico lavoro che una strega sotto copertura può trovare in questo mondo è quello di una spogliarellista, capito? Una spogliarellista! E Malfoy mi ha offerto del denaro per lavorare per lui, dandomi una copertura sanitaria e tutti i documenti in regola che, entro un anno, mi permetteranno di ritornare al Ministero. Tu lo sapevi questo? No. Te ne fregava di questo? Ancora no! L’unica cosa che volevi era una donna bella e disponibile nel tuo letto, se lavorava come una lurida maganò senza bacchetta chissene frega!!! Tanto se non c’ero io c’era qualcun altro a scaldare queste lenzuola..»

Ron sussultò a quell’affermazione, rendendosi conto di quanto l’avesse ferita. Ma non si sentiva in colpa, sarebbe stato troppo emotivo come sentimento da poterlo provare, piuttosto era deluso dal fatto che lei non l’avesse tradito. Anche lui si era programmato in mente una bella riconciliazione, un perfetto finale con loro due in lacrime che si promettevano di non rifare mai più una cosa simile, per poi finire la conversazione a letto, tra dolci baci e dolci carezze. Ma era andato tutto male, lei si era rivelata una santa, come al solito, mentre lui era passato dalla parte del torto e in una posizione irrimediabile. Hermione gli aveva sempre detto che non l’avrebbe mai perdonato, se lui l’avesse tradita. Per questo non le aveva detto niente, per questo non aveva cercato di spiegarsi o di chiarire. Aveva aspettato l’occasione giusta: e quale migliore situazione di una in cui tua sorella ti rivela di aver visto Hermione a casa di Malfoy? Era stato tutto perfetto, tutto! Il doppio tradimento, la rivelazione, la confessione e il perdono. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, se solo ci fosse stato l’effettivo tradimento cosa di cui lui non si era preoccupato. «Ma io credevo..»

Il ceffone risuonò come una saetta nel silenzio della stanza. «Non me ne può fregar di meno, quello che tu credevi! Mi hai tradito, mentre in verità io ho sacrificato tutto per poter stare con te, tutto! – la sua voce era spezzata dai singhiozzi, le lacrime continuavano a scendere copiose lungo le guance – Me ne vado e, quando torno, ti voglio fuori di qui.»

Non lo degnò nemmeno di un’occhiata, salì direttamente in camera, afferrando alla bell’e meglio i suoi vestiti, la biancheria, un paio di scarpe e tutto quello che poteva entrare nella valigia, allargata magicamente e quindi perfettamente capiente. Per ultimo notò il cellulare sul comodino e si rese conto solo allora che non sapeva dove andare: tutti i suoi amici erano anche amici di Ron, andare da Harry era fuori questione, soprattutto perché vi avrebbe incontrato Ginny e, attualmente, aveva già abbastanza problemi con la propria vita, per preoccuparsi anche di quella degli altri, della sua in particolare. Ma doveva far sapere all’amico che se ne stava andando, almeno a lui. Digitò il suo numero, ancora scossa e in lacrime.

«Hermione? Ehi!»

«Ehi, Harry. No, volevo.. soltanto dirti che io.. me ne vado. Da Ron. L’ho lasciato.» Silenzio dall’altra parte. «Si, insomma. E’ stato con un’altra, non potevo crederci, e lui ha pensato che lo tradissi con Malfoy.. dio, Malfoy! Come si può essere più troll di così?»

«No, Herm, calma. Che vuol dire che pensava l’avessi tradito con Malfoy, come l’ha scoperto? Gli hai detto tutto?»

Ah, giusto. «No.. non gli ho detto niente. E’ una storia lunga..» E tua moglie è una grandissima puttana!!! «Magari ne parliamo dopo. Ora devo andare, prima di avadakedavrizzare il tuo migliore amico, perché giuro che ne sarei capace..»

«Dove vuoi andare? Guarda che puoi venire da noi..»

No, grazie. «Non voglio disturbare.. e poi, sai, potrebbe facilmente rintracciarmi e rompermi le scatole, e non lo sopporterei. Ti chiamo non appena sto meglio, ho bisogno.. di stare da sola. Ti voglio bene, Harry, grazie davvero di tutto.» Attaccò prima che l’altro potesse replicare, non voleva litigare anche con lui. Ma ora il problema più grosso era dove andare. Harry era fuori gioco, i loro amici anche. Uno squallido motel non era proprio il caso.. e poi, mentre la conversazione prima con Ron e poi con Harry le aleggiava in testa, l’idea più assurda che le potesse mai venire in mente la catturò. Malfoy. Insomma, se doveva essere arrabbiata, tanto meglio che ci fosse una buona ragione per cui lo fossero anche gli altri, Ron in primis. Afferrò la borsa, maledicendosi già per quella mossa stupida e insensata, e si smaterializzò. Destinazione: Malfoy Manor.

Quando i suoi piedi toccarono terra, non fu sorpresa di ritrovarsi nella ben illuminata cucina, l’ultimo luogo che aveva visto circa un’ora prima. La vera sorpresa fu, invece, la visione di Draco e Zabini che mangiavano allegramente un gelato, che si bloccarono con i cucchiaini a mezz’aria e le bocche aperte dallo stupore, nel vederla. Doveva essere parecchio strana, tutta in lacrime e scompigliata, con una grossa valigia in mano. Zabini scivolò dalla sedia, tanto che per un pelo non finì per terra, ma riuscì a riprendersi grazie ai suoi riflessi, balzando in piedi. Malfoy, invece, continuò a scrutarla paralizzato, indeciso se parlare o ridere o urlarle contro perché era, ancora una volta, entrata a casa sua senza il suo permesso, ma non gli parve il caso. Dopotutto, c’era sempre quel briciolo di cavalleria nel suo sangue che, mezzosangue o non, gli imponeva un certo atteggiamento nei confronti delle “donzelle in difficoltà”. Si schiarì la voce, osservando scettico Zabini e la sua manovra sedia-pavimento, quindi si alzò a sua volta.

«Granger, scusa. Non credevo di averti chiamato.. mi.. ehm, mi sono perso qualcosa?» Notò che la mora manteneva un ostinato silenzio, gli occhi fissi su Zabini. Ah, giusto.. «Blaise, potresti..» Indicò la porta con un cenno eloquente del capo. Il ragazzo, senza farselo dire due volte, alzò le braccia davanti a se in segno di resa e, con aria spavalda, si diresse verso la sua stanza, salutando con un movimento birichino delle dita la nuova arrivata. Malfoy – parve notarlo solo allora – era vestito, o meglio non-vestito, con un pantalone del pigiama di seta nera, e una vestaglia lunga dello stesso colore, il petto completamente nudo e i piedi scalzi sul pavimento di marmo. Ah, che fisico che aveva quell’uomo. Ne aveva avuto un assaggio quella notte in cui avevano dormito accoccolati, nella sua Villa ammuffita, ma vederlo era tutta un’altra storia.

Smettila, tu e i tuoi sogni perversi! Stai parlando così colo perchè vuoi vendicarti di Ron! Andresti a letto anche con Stan Picchetto, pur di vendicarti!!! Maledetta coscienza! Aveva sempre stramaledettamente ragione! Porca.. «Ehm, scusa se mi presento in questo.. modo. La verità è che.. non sapevo.. dove andare..»

Il biondo inarcò un sopracciglio. «Nel senso che volevi visitare un museo e non hai trovato nessun albergo? O nel senso che casa mia è un museo e hai deciso di visitarla? Non mi farebbe che piacere istruire una babbana su tutti gli artefatti e le meraviglie magiche ivi contenute..» Ridacchiò, appoggiandosi con disinvoltura al ripiano della cucina e prendendo il cucchiaio con il gelato e continuando a gustarselo. «E, anche in quel caso, non gestisco un bed&breakfast, dolcezza.»

«Ginny dorme qui quando le pare e piace.. – notò la mora, velenosa – Non penso di poterti dare più fastidi di lei.»

«Mmm.. – annuì l’altro, annoiato – Come ho già detto, non gestisco un albergo. Dammi una buona ragione per lasciarti restare a casa mia, Granger.»

«Perché ho litigato con Ronald, perché lui mi ha tradito e pensava che io lo stessi tradendo con te! Perché la cara Ginny gli è andata a spifferare tutto e lui, convinto che così l’avrei perdonato, mi ha confessato la sua storiella. Solo che io non l’ho tradito, e per lui questo non era concepibile. Quindi, il succo della storia è che.. la mia futura cognata.. ex-futura cognata, in effetti, è una grandissima troia, il mio fidanzato mi ha tradito e io e il mio migliore amico siamo due cornuti!!! Ah, Merlino! Detta così sembra una di quelle telenovelas babbane!!!»

Il giovane, nel frattempo, ascoltava divertito. «Te l’hanno mai detto, Granger, che sei adorabile quando ti incazzi.. No sul serio – continuò, notando la sua faccia perplessa – Sono serio. Secondo me dovresti arrabbiarti più spesso, fai uscire quel lato da Ungaro Spinato che è in te. E’ molto..» Sexy? «..ehm.. si, insomma, ti si addice.»

La ragazza parve considerarlo un pazzo sclerato. Sbuffò, emettendo fumo dalle narici proprio come un drago inferocito. «Ti ho appena detto che.. sono qui per chiederti.. aiuto. E tu.. tu, viscida serpe! Avrei dovuto saperlo che mi avresti solo presa in giro! Ah, ma come mi è venuto in mente..» Alzò la bacchetta.

«NO! – urlò, forse con un po’ troppo impeto il giovane – Insomma, mi servi, te l’ho già detto. E, come si dice.. un tuo problema è un mio problema.. no, forse non era così. Il succo è, mia cara, che ho una casa grande abbastanza per un esercito. E così sarà anche più facile chiamarti, quando avrò bisogno di te.» Sembrò soddisfatto della propria giustificazione, anche se non stava in piedi nemmeno un po’ . Lui voleva, semplicemente, che lei restasse. In verità, il solo vederla in quelle condizioni, praticamente distrutta dalla disperazione e in lacrime, senza contare che non aveva realmente  un posto in cui andare, dato che era venuta a chiedere asilo al peggiore dei suoi nemici. E, poi, non poteva certo togliere a Blaise il suo divertimento preferito, quello di fare delle assurde e del tutto infondate supposizioni sbagliate sulla sua ipotetica relazione con la Mezzosangue. Si, quella convivenza forzata si sarebbe rivelata proprio un vero spasso, senza contare che… «E, se vuoi saperlo.. – aggiunse con un sussurro – gli alcolici sono nel salotto nero, nel cassettone di mogano. Buona notte eh!»

«Io non sono un’alcolista, maledizione! E poi è pieno giorno!»

«Io vado a infilarmi nel letto e a trascorrere una piacevole mattinata guardando Vampire Diaries. Tu, fa pure quello che ti pare!»

Aspetta: cosa? «Scusa.. – chiese lei, convinta di aver sentito male – Vai a vederti che?»

«Si! – le spiegò lui, su di giri – Ieri mi sono perso l’episodio in cui il fratello cerca di azzuffarsi con il vampiro millenario e salvare la ragazza di suo fratello e così via. Sai, mi sto appassionando. Ah.. – tornò a prendersi in gelato, con un cenno eloquente – fai come se fossi a.. no, aspetta. Come non detto!»

Ridacchiò divertito e scomparve, mentre la mora rimase immobile a fissare il punto in cui si trovava il gelato. Ok, quello era decisamente un film ai confini della realtà, era un sogno, un incubo! Lei aveva litigato con Ron, e fin qui è più o meno plausibile la cosa, ma poi? Aveva chiesto asilo a Malfoy, Zabini aveva insinuato con le sue occhiatine qualcosa che non le era piaciuta affatto – la stessa che, del resto, aveva insinuato anche la sua amante, Ginny, nonché sorella del suo fidanza.. ex, ex fidanzato, si impose di ricordarselo. Poi? Ah, si. Poi Malfoy aveva detto di avere una televisione e di star seguendo il nuovo show televisivo della rete americana CW, Vampire Diaries. Ehm.. pronto? Hermione chiama universo!!! Ma dove diamine era finita? E poi, ciliegina sulla torta, in quest’universo, come se il resto non fosse abbastanza, aveva avuto una fantasia tutt’altro che casta sugli addominali del suo ospite, quei freschi e ben scolpiti addominali, eh già. Contegno, Granger, maledizione, contegno!!! Si, si.

«Ho portato la valigia nella stanza dove ha dormito oggi, signorina.» Notò che Perky, l’elfo domestico, si trovava proprio di fronte a lei, le mani congiunte davanti e le orecchie basse. «Volete che vi prepari qualcosa da mangiare o avete altri ordini..»

«No, caro, grazie! – lo ringraziò con una pacca sulla spalla, dalla quale l’elfo si sottrasse più per lo stupore che per effettivo disgusto – Soltanto vado a farmi un bagno.. se poss.. posso, vero, Perky?»

«Il padroncino ha detto che potete fare quello che volete e che devo portarvi tutti gli alcolici che desiderate..» Brutta canaglia! Doveva finirla, lui e gli alcolici. «E di servirvi in qualsiasi vostra disposizione, un’ospite del padroncino è anche un’ospite di questa casa. E Perky serve con piacere chiunque vi abiti.» Sembrava decisamente orgoglioso della propria posizione, tanto che a Hermione fece quasi tenerezza. Gli disse semplicemente di non volere altro, congedandolo con un sorriso e la raccomandazione di riposarsi un po’ e mangiare qual cosina. Dopotutto, se proprio doveva vivere lì, poteva prendersela comoda, con qualche vantaggio. Certo, era sempre una grifa nel covo delle serpi ma aveva una bacchetta e tutta la preparazione magica necessaria per poterla usare.
Aveva a disposizione la garanzia di Malfoy e, con un po’ di fortuna extra, avrebbe incontrato Ginny e gliel’avrebbe fatta pagare. In fondo, era soprattutto colpa sua se era successo quel casino, anche se non era stata lei quella che non aveva saputo tenersi chiusi i pantaloni. Ma era colpevole, punto e basta.

Giorno1, casa.. ehm, Malfoy Manor. Tasso alcolico nel sangue: 0, per fortuna. Autostima: 0, per adesso. Piani di vendetta e torture varie: informazione non disponibile. Oh si, vendetta!








Spazio autrice ù.u

Ciao a tutti. Vi sono mancata? Lo spero davvero, perchè a me è mancato pubblicare la storia e premurarmi di darvi la soddisfazione di leggerla.

Ma, dato che ho appena preso la patente e sono felice, quindi, come una pasqua, non potevo non pubblicare questo capitolo. Insomma, non è che succeda qualcosa di particolarmente entusiasmante, non dal punto di vista della ricerca comunque. Herm, finalmente, spero ne sarete contenti, ha mollato definitivamente Ron. Cosa voleva ottenere Ginny con la sua sparata al fratello? Esattamente quello che è successo, è evidente ù.u
E' appurato ormai che sta con Blaise solo per avere vicino Draco ed è quindi comprensibile che abbia voluto allontanare Herm il più possibile dal suo uomo, anche a costo di mettere in mezzo suo fratello. Certo, a questo non voleva che seguisse un trasferimento definitivo della sua nemica a Malfoy Manor, nemmeno per idea. Sperava che il tutto si risolvesse nel migliore dei modi per lei. Alias, il suo piano le si è rivoltato contro.
Muahuahuaauh io me la rido davvero tanto. xD

Come avrete capito, poi Herm non ricorda assolutamente nulla della sua notte "irlandese" e Draco non se l'è sentita di rivelarle le sue mire sessuali nei suoi confronti. Beh, direi che tra poco non servirà più a nulla nascondersi dietro l'alcool, ma questo è un altro capitolo.

P.s. Draco che guarda TVD? xD lo so, è una pazzia, ma non posso fare a meno di vedere alcune analogie fra lui e Damon e mi è venuto praticametne spontaneo inserirlo. Certo, vorrei precisare che Draco e Damon fanno parte di monid e realtà totalmente opposte, ma non per questo dico che sono uguali, soltanto affini.. ù.u E poi Draco che guarda le faccende dei Salvatore.. mi intriga!!! xD

Per il resto.. inizia così la permanenza di Herm a Malfoy Manor.. se ne vedranno delle belle, vedrete!! xD
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto. Certo, ogni commento, positivo o negativo che sia, sarà graditissimo.
Ringrazio molto chiunque abbia aggiunto la storia ai preferiti, seguiti o da ricordare.. siete unici, tutti!!!

Un bacio grande grande =) K.


 

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Capitolo 7
*** ;;normal, Slytherin life ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo VI:

normal, Slytherin life
 

Forse non era la sua dolce casetta – quella di Ron, si corresse mentalmente, ma era un dettaglio insignificante – ma di certo non aveva avuto modo di lamentarsi della sua permanenza a Malfoy Manor. Malgrado non mancasse occasione di rinfacciarle che il suo fidanzato era una donnola spelacchiata e che non era stata in grado di scegliersene uno migliore di lui, Draco si era dimostrato nel complesso un ospite eccezionale: Perky era a sua completa disposizione per ogni cosa, anche se il più delle volte preferiva ordinargli un’ora di riposo piuttosto che di lavarle la sua biancheria; l’elfo domestico e il suo padrone non vedevano la cosa di buon occhio ma, grazie a Merlino, non dicevano assolutamente nulla a riguardo. Certo, a quello ci pensava Zabini.
Il ragazzo, più grande di lei di qualche mese, si aggirava per casa, pavoneggiandosi come se ne fosse il proprietario, e rimbeccandola per questo o per quello, tanto che gli aveva fatto notare, non molto gentilmente, di non essere Cenerentola, prima di ricordarsi che lui non sapeva neppure chi fosse. Del resto era quasi come essere ritornata a scuola: serpi a destra e a manca, corridoi di cui non sapevi neppure l’esistenza in cui ti perdi mentre cerchi la tua stanza, elfi domestici che fanno al tuo posto tutte le pulizie. Insomma, una cosa divina.

Aveva fatto delle scoperte alquanto interessanti, oltretutto. Prima fra tutte, il che era stato più uno shock che una vera sorpresa: il biondo purosangue, completamente dedico alla causa contro i babbani, aveva la tv satellitare, con tanto di canali extra; possedeva un telefono cellulare, e qui spiegato come facesse a chiamarla, anche se ancora non si era del tutto chiarito come fosse entrato in possesso del suo numero e, botta finale, una vasca idromassaggio. Un’estate, prima di Hogwarts, era andata con i suoi genitori in vacanza in Francia, e lì la loro stanza era fornita di una comodissima e grandissima Jacuzzi, che lei non aveva tardato ad utilizzare. Le era sempre mancato il ricordo di quelle bollicine e di quel piacevole solletico che provocano, per cui era stata soltanto la ciliegina il potersi di nuovo crogiolare per ore e ore in quel lusso.

«Mezzosangue, benché ci siano più di tredici stanze degli ospiti fornite di bagno, in questa casa, potrei capire perché scegli di occupare l’unico bagno della casa con la Jacuzzi? Insomma, più provo a rilassarmi e più mi stai fra i piedi. Hai finito? O devo schiantarti e portarti fuori da quella vasca di peso?»

Appunto.Il vero problema era che anche Zabini adorava quella vasca. Draco gli aveva detto che la mora sarebbe rimasta con loro per un po’ – ed era avvenuto circa una settimana e mezzo prima – e gli aveva, gentilmente, chiesto di trovare un compromesso, visto che era evidente che i due non si potevano sopportare più di un molliccio e della Piovra Gigante. Blaise, da buon diplomatico qual’era, aveva assicurato all’amico che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ed infatti il suo atteggiamento nei riguardi della nuova ospite, mentre il biondo era presente, era impeccabile. Bastava, tuttavia, che Draco si allontanasse di pochi metri, e quello riprendeva a trattarla nel peggior modo possibile. Certo, il fatto che lui adorasse crogiolarsi nella Jacuzzi e quello, ugualmente, fosse diventato il passatempo preferito della ragazza, non aiutava. Malfoy se n’era tirato fuori fin dall’inizio, dicendo che non era un portiere e che dovevano vedersela loro. Hermione, quindi, non si sorprese di sentire quella voce odiosa fuori dalla porta del bagno, mentre una mano altrettanto insistente batteva contro la porta.

«Vai a farti Cruciare, Zabini! E se provi ad aprire quella porta il piacere sarà tutto mio!»

Sentì qualche imprecazione e dei passi che si allontanavano. Decise di restare lì soltanto qualche altro minuto, giusto per far andare fuori di testa Zabini, e quindi uscì dalla vasca, si asciugò i capelli, se li arricciò per benino con qualche colpo ben assestato di bacchetta – anche se il risultato non fu dei migliori – e uscì dal bagno, indossando soltanto un paio di pantaloni da tuta, una t-shirt bianca e una felpa. Non fece in tempo a mettere il piede fuori dal bagno che si scontrò contro un corpo dalla pelle decisamente più chiara di quella dello scocciatore che se n’era appena andato: cos’è, aveva fatto la spia alla mammina? Leggermente colpevole, alzò lo sguardo da cerbiatta verso Malfoy, osservando attentamente la sua reazione: non sembrava adirato, meglio così. Lui la squadrò da capo a piedi, tendendole un paio di buste sigillate. Lettere.

«Le ha appena portate un gufo, piuttosto imbranato e piuttosto rumoroso, e credo che soltanto un branco di idioti possa avere un uccello simile, quindi presumo provenga dal tuo fidanzato..»

«Ex, fidanzato. E poi è lui l’idiota, non la sua famiglia. Ti sarei grata se non li insultassi.»

«E io, Granger.. – ribatta pacato lui – Ti sarei grato se la smettessi di far impazzire Blaise: è al limite della sopportazione e, fin’ora, non ti ha ancora schiantato solo perché gli ho gentilmente chiesto di non farlo. Ma, se proprio vuoi continuare a sfidare la pazienza che non ha.. io non rispondo più di lui. Dopotutto so da che parte stare..»

Gli occhi della mora divennero due fessure. «Si, questo si era capito, Malfoy..» Con un gesto che lo sorprese, tirò con forza  una delle maniche della sua camicia, quella sinistra, rivelando una parte del marchio di colore nero impresso sulla sua pelle diafana. Lui ritrasse il braccio, punto nell’orgoglio ma anche in qualche modo imbarazzato, tanto da quel modo sfrontato di comportarsi tanto dal suo modo di toccarlo. La squadrò in cagnesco. «Non intendevo questo. Volevo solo dire che Blaise è mio amico e vive con me da molto tempo. Tu, qui, sei un’ospite e, malgrado mi faccia comodo averti qui, se si arrivasse all’inevitabile, non sarebbe lui quello costretto ad andarsene.»

«Mi stai minacciando?»

«No, soltanto ti sto ricordando perché sei qui e chiedendo di non abusare troppo della mia ospitalità.»

Non era una richiesta e neppure una minaccia, come inizialmente aveva creduto. Dopotutto, Draco le aveva offerto un posto dove stare, scacciando in un attimo i pregiudizi di tutta una vita, l’aveva protetta da Ron quando nemmeno lei aveva capito di voler essere protetta, era stato in poche parole essenziale. Eppure, ogni tanto, quando lo beccava con lo sguardo che indugiava su di lei, si sentiva stranamente esposta, senza capire neppure bene a cosa di preciso. Era come se si sentisse a disagio, come se a guardarla con fosse Draco Malfoy ma.. no, figuriamoci! Sarebbe gelato prima un Ungaro Spinato!!! Rise di se stessa, mentre il giovane alzava un sopracciglio, certamente incapace di viaggiare alla stessa velocità dei pensieri di lei. «Si, scusami. Vedrò di ricordarmelo.. e queste.. bruciale, non voglio leggerle.»

«Dovresti. – le disse il giovane, camminando con lei, lungo il corridoio – Insomma, forse vuole scusarsi. E poi.. beh, daresti un motivo in meno a Potter di irrompere in casa mia e arrestarmi con il pretesto di averti uccisa.»

Ah, giusto. Harry, riguardo a quella faccenda, era diventato leggermente.. come dire? Isterico. Si, non c’era miglior modo di definirlo. Insomma,  lui e Draco non si erano mai sopportati, nemmeno alla fine di Hogwarts, quando il Ministero era diventato il loro nuovo campo di battaglia. Lui era un Auror, il capo del Dipartimento per l’esattezza, non gli ci sarebbe voluto molto per ottenere gli uomini e i permessi necessari per fare un’irruzione. Non che ce ne fosse bisogno, e di questo doveva convincerlo ogni sera: il suo migliore amico le aveva imposto un regime di telefonate ferreo, in cui se lei mancava di farsi sentire ogni 24 ore, lui andava di matto. La sera prima ne avevano appunto parlato e, probabilmente, Malfoy doveva aver colto qualcosa dal vivavoce. «Non diceva sul serio.. – scherzò lei - ..almeno, non finché sa che sto bene.» Di certo non era proprio il massimo, come rassicurazione.

«Comunque.. a quando il prossimo.. viaggio? La missione.. insomma, è da un po’ che non ne parliamo.»

Il giovane si fece all’improvviso particolarmente nervoso, come se fosse un argomento di cui non desiderava parlare affatto. Non era da lui. «No.. insomma.. ti farò sapere io. Sì. A dopo.» Prima che la mora potesse controbattere, si era già infilato nella sua stanza ed era scomparso. Lei rimase a fissare la porta chiusa, leggermente titubante, ma preferì non indugiare oltre e proseguì fino alla sua, di camera.

***

«Così.. proprio.. non va.»

«Cosa ci fai qui, Blaise?»

Il contrasto della pelle ambrata del suo migliore amico spiccava come non mai sulle lenzuola color ocra che, probabilmente, secondo il parere di Perky, erano particolarmente adatte quella settimana. Che scelta orribile: era un colore troppo scuro, troppo caldo per i suoi gusti, che preferiva decisamente il colore nero o verde, per le sue lenzuola, rigorosamente di seta. Senza chiedergli di scostarsi, si buttò di peso vicino all’amico, immergendosi nelle lenzuola come in un mare di onde, e prese a fare zapping con il telecomando, ignorando il commento borbottato dell’altro «Stupide scatole babbane…». A differenza sua, Blaise non aveva mai colto l’importanza o la bellezza di quel marchingegno babbano: era bello potersi isolare nelle vicende di quei babbani, così stupidi eppure così ingegnosi, in continua lotta con i loro sentimenti e con la loro fervida fantasia. Per esempio l’ultimo telefilm che stava seguendo..

«Smettila di ignorarmi e rispondi, Draco. Voglio sapere che diamine ci fa qui la Granger e perché le permetti di restare. Mi sta facendo saltare i nervi.»

«Si. – ammise l’altro, con un sorriso – questo si era capito. E poi non ho bisogno di spiegarti nulla: voglio che lei stia qui e quindi la lascio stare qui, punto.»

«E quindi mi stai dicendo che vuoi ospitare la migliore amica di Weasley e di Potter giusto per il gusto del tuo animo caritatevole? Ma ti senti quanto sei ipocrita? Ammetti che c’è una ragione molto diversa e molto più importante e facciamola finita..»

Maledizione a quel ragazzo e alle sue predizioni: malgrado non fosse mai stato un asso nello studio, malgrado non avesse mai avuto un fascino particolare o particolari abilità, il capire l’animo umano era sempre stato qualcosa che gli veniva naturale. Certo, se volevi qualcuno che ti spiegasse la psicologia femminile o che ti aiutasse a capirne un comportamento, era perfetto; ma se, come in quel caso, si trattava di sentirsi dire per filo e per segno qualcosa di profondamente veritiero ma altrettanto scomodo, non se ne parlava proprio. Solo per non sentirlo, era pronto a cacciarlo di casa. Alzò gli occhi al cielo, togliendosi la fatica e l’impiccio di rispondere.

«Si, se non lo dici tu, lo dico io: provi qualcosa per la..»

«Non.. – lo interruppe il biondo, alzando la voce – provare.. a dirlo..» Il suo ringhio era molto simile a quello di un serpente, piuttosto terrificante in effetti.

Insomma, ma cosa diavolo pretendeva Blaise da lui, una confessione? Sembrava proprio uno di quegli strizza cervelli babbani, che ascoltano quello che pensi e ne traggono delle conclusioni apocalittiche e del tutto irrealistiche. Lui non aveva proprio intenzione di fare una seduta di terapia, non gli interessava raccontare quello che provava in quel momento a nessuno, menche meno al perspicace e acuto ragazzo che lo stava ancora fissando sorridente. Si, forse era anche vero: il vedere quella ragazza gironzolare per casa, con quelle canotte leggermente scollate e quell’aria da maestrina, con gli occhiali leggermente calati sul naso, i capelli crespi indomabili e le pantofoline piccine, gli aveva provocato qualche reazione, ma non era nulla di seriamente rilevante.. non ancora almeno. Hermione Granger, dopotutto, non era propriamente il sogno erotico di ogni uomo: era mingherlina, era vero, piccolina e talmente dolce, certe volte, da far venire voglia di cioccolato, ma era e restava pur sempre una Mezzosangue, amica di Potter ed ex di Lenticchia. L’ammirava per le sue incredibili doti di strega, potente e certamente con una conoscenza di incantesimi ben lontana da qualsiasi altra sua coetanea, ma la sua abilità si fermava lì e basta: dubitava che tra le coperte potesse farlo divertire come, a suo tempo, ci era riuscita Daphne o, anche se in modo molto meno piacevole, Pansy. E quello era, dopotutto, il desiderio di ogni uomo sano di mente. Si, sano di mente: quelli che andavano in cerca dell’amore perpetuo ed eterno ed indistruttibile, o erano dotati come un passero solitario o avevano subito un trauma infantile.

Zabini, con uno scatto repentino, saltò giù dal letto, pavoneggiandosi come suo solito e mettendo in mostra i pettorali scolpiti: ah, maledetta la sua vanità e il momento in cui aveva visto per la prima volta il suo stesso riflesso. Rispetto al corpo dello Slytherin biondo, il moro aveva una muscolatura molto più marcata e definita, sviluppata chissà quando e chissà come ma, decisamente, appariscente; certo, il suo ruolo di cacciatore in una delle squadre di Quiddich più importanti del paese doveva aver contribuito, ma solo fino ad un certo punto. Lui, Draco, aveva dato peso a questi dettagli solo quando giocava, anche lui, nel ruolo di cercatore: ma, una volta che la sua scopa era finita insieme alla divisa nell’armadio, lì si erano impolverati anche tutti i suoi attrezzi. Perdita di tempo e di energie.

«Fa come vuoi, amico. Sappi soltanto che, se occupa la Jacuzzi di nuovo come oggi, per più di un’ora.. io..» Mimò il gesto di spezzare qualcosa, prima di scoppiare in una risata prorompente e uscire dalla stanza, commentando qualcosa a bassa voce, tra se e se. Malfoy lo guardò decisamente sconvolto, le braccia comodamente poggiate sotto la testa, gli occhi sgranati: si, la carenza di bollicine doveva proprio avergli fritto più di un neurone nel cervello. E poi non aveva bisogno di lui, che gli ricordava ogni due e tre quello che lui provava o quello che sentiva: lo sapeva già benissimo da se. E poi quella maledetta domanda, a cui aveva avuto la debolezza di non rispondere: si, Draco, perché non stai andando in missione? Sai perfettamente che il terzo tempio apparirà alle due di notte, di questa notte e, se perdi l’occasione, potresti rimpiangerla per tutta la vita?

Ma la verità, quella che non voleva ammettere neppure con se stesso, era proprio quella: lui non voleva andare in missione perché, in un certo qual senso, aveva paura per lei, aveva paura che venisse anche lei. L’aveva ingaggiata proprio per quello scopo, la pagava e la stava ospitando in quella casa soltanto per la ricerca che stava svolgendo, soltanto per quello che lei era capace di fare, per i modi in cui poteva aiutarlo. Ma, adesso, con Zabini e le sue supposizioni, nemmeno lui era più tanto sicuro delle sue decisioni e delle sue posizioni: temeva per lei come per un’alleata, la cui perdita avrebbe rappresentato un deficit per la sua ricerca? O, peggio, temeva per lei in quanto lei stessa e quindi il perderla, in questo caso, avrebbe rappresentato qualcosa di infinitamente più grave? No, non poteva essere. Non esistevano sentimenti come quelli che provava – o credeva di provare – in un Malfoy, non potevano esistere. Il sentimento è passione, la passione è emozione, l’emozione è amore e l’amore è debolezza: non era nemmeno una regola di suo padre, questa, era la più pura e crudele realtà che lui, in quanto Malfoy, non poteva avere il lusso di permettersi. Soprattutto con la Granger.

Quando capì che lo zapping non era d’aiuto spense la tv e notò la lettera poggiata accanto al letto, con sopra inciso lo stemma dei Greengrass: ah, la lettere settimanale di Astoria! Stavolta Blaise non gli aveva risparmiato la fatica di leggerla, maledizione! Si vedeva che aveva bisogno di qualche incentivo, come la Jacuzzi nel suo bagno, per esempio.

Caro Draco.

Non ci sentiamo da molto eppure, benché sia impossibile pensarlo, sono successe tantissime cose, alcune migliori altre, purtroppo, un po’ meno. Prima di tutto vorrai sapere che mia sorella ha partorito: due gemelli, con gli stessi capelli biondi della mamma e gli occhi verdi scuro di papà, anche se lui avrebbe preferito non averci nulla a che fare. Daphne li ha chiamati Louis e Lucius, la femminuccia fra i due è quella più irrequieta, il maschietto è tranquillo e dorme sempre. Mia sorella, invece, non si sente per nulla bene: il parto l’ha stancata molto e, infatti, il Medimago dice che la sua stanchezza non è un valore medico e non sa che fare. Sono preoccupata per lei. Suo marito ha chiesto di vederla ma, finchè è in queste condizioni, papà è quello che ha il controllo e prende le decisioni e l’ha sbattuto fuori di casa. Mi è simpatico, sai? Se non fosse babbano e non avesse messo incinta mia sorella per disonorare il nome della nostra famiglia.. potrebbe quasi andarmi a genio. E poi mia sorella chiede tanto di te: quando passerai a trovarci? Spero che quel giorno arriverà al più presto, mi manchi..
O
ra corro, scusa per la lettera breve, ma i gemelli hanno bisogno di me. Infinitamente tua, Astoria.


Senza indugi, gettò la lettera nel caminetto vicino al letto, osservando le fiamme che divoravano lente la carta e l’inchiostro con cui le parole erano incise su di essa: povera Daphne. Conosceva la rigidità di suo padre, la conosceva bene, e non poteva che immaginare lontanamente quelle che erano le torture che probabilmente adesso doveva sopportare. Con due bambini – mezzosangue – a carico, oltretutto. Le avrebbe certamente scritto al più presto, si ripromise, e le avrebbe offerto asilo, dandole modo di restare in una casa più tranquilla e meno oppressiva.

E mentre la situazione di Daphne gravava anche sui suoi pensieri, prese la decisione, un’unica e sicura decisione, quella di compiere quella sera stessa la missione. Si, non avrebbe dovuto rimandare di un solo istante, soprattutto se la meta era così vicina. Quando aveva iniziato, si era ripromesso di portare quella ricerca, quella missione, quella sfida al suo termine, senza indugi o esitazioni, fino alla fine, e un Malfoy mantiene sempre la parola data, esattamente come avrebbe fatto anche lui. Si infilò qualcosa che fosse leggermente più presentabile di un pigiama, mettendosi un maglione e un paio di pantaloni grigi, con sopra un giubbotto dello stesso colore. La sciarpa, che indossò sentendo il vento sbattere contro le finestre, era invece di un acceso colore vinaccia. Senza ulteriori orpelli – era si un amante del gusto, ma non di certo ai livelli di Zabini, capace di contemplarsi allo specchio per delle ore - raggiunse la stanza della Granger, bussando un paio di volte e aspettando una sua risposta.

La mora, com’era prevedibile, aprì leggermente contrariata, con il pigiama e un libro in mano. «Che diavolo c’è’?» Poi, rendendosi conto che il ragazzo era vestito di tutto punto, fece un passo di lato, lasciandolo passare e chiudendo lentamente la porta. «Stasera? Ma se ti ho chiesto informazioni sulla nostra missione solo un paio di minuti fa e non mi hai detto nulla?»

«Ho cambiato idea.. – si giustificò lui, con un sorriso sbruffone – Ma se non vuoi venire..»

«No! – disse lei, decisamente entusiasta, forse anche troppo su di giri – Mi sono preparata come non mai in questi giorni, sono pronta eccome! Però dovrei cambiarmi..» Gli lanciò uno sguardo eloquente in direzione della porta, anche se il ragazzo non fece una piega. Si girò di spalle, ignorando la sua richiesta di uscire: stava forse scherzando? «Malfoy.. io devo..»

«Non c’è tempo per queste cose infantili. Non abbiamo tempo da perdere. Vestiti.. non sbircio. E nemmeno stavolta niente di elegante, mi dispiace.»

Quindi, come se niente fosse prese a fischiettare distratto, giocherellando con la bacchetta fra le dita. Draco Malfoy, dopotutto, era un gentiluomo. Anche se, e questo purtroppo era vero, era un uomo. Senza che se ne accorgesse, lo sguardo gli cadde sullo specchio che aveva di fronte, dove il riflesso della giovane strega, vestita soltanto della sua biancheria intima, gli apparve in tutto il suo splendore. Mentre il pudore gli imponeva di abbassare lo sguardo, il desiderio e la curiosità invece incollarono i suoi occhi su quel riflesso. La strega ondeggiò risoluta fino all’armadio, indossando un paio di pantaloni marroncini, poi un golfino aderente rosa scuro, poi un maglioncino marrone da sopra. Finì con un paio di scarpe comode, davvero strane per i suoi soliti gusti eleganti, che infilò con estrema cura. Fu per una combinazione fortunata che il giovane capì che stava per voltarsi e distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi sulla bacchetta: cosa diamine gli aveva preso?

«Sono pronta.. – la ragazza gli si avvicinò, fiduciosa, posando il braccio nell’incavo del suo gomito – Andiamo.»

Senza indugi, il biondo si smaterializzò, portandola con se. La loro destinazione, stavolta, era una foresta nei pressi del confine canadese con gli stati uniti, nella parte ovest per la precisione. Quando vi comparirono, il sole stava tramontando ma era ancora troppo alto, nel cielo. Il tempio a cui erano diretti, stavolta, poteva essere individuato soltanto con il chiarore lunare. C’era da aspettare, va bene, ma dovevano trovare la caverna prima di tutto.

«Credo sia da questa parte.» La voce della ragazza lo colse di sorpresa, quando lei mosse velocemente la bacchetta e una linea azzurrognola serpeggiò fra le foglie, formando una sorta di sentiero. «Anche se, dato che siamo in pieno giorno, avremmo potuto aspettare qualche altra ora, non trovi? Avresti dato modo a me di vestirmi e tu avresti riposato. Non hai un bell’aspetto sai? Ma, facendo un calcolo veloce.. mancano.. si, esattamente cinque ore. Che si fa?»

Lo guardò, raggiante, e decisamente soddisfatta di se, a giudicare dal volto terrificato dello Slytherin. Sapeva. Non esattamente tutto, perché era fin troppo tranquilla, ma lei sapeva più di quanto avrebbe dovuto, più di quanto lui le aveva detto, più di quanto avrebbe voluto dirle mai. Dove diamine aveva scoperto quelle cose? La giovane parve intuire i suoi dubbi, mentre procedeva con spasso spedito davanti a lui. «E’ inutile che fai quella faccia. Davvero pensavi che non avrei trovato quei volumi nella tua libreria personale?» Diamine!!! «Oh, si. Ho trovato quei libri, li ho consultati, e ho trovato quello che cercavo. Beh, una buona parte. So dove siamo andando, per esempio, e.. a occhio e croce ci metteremo almeno un’ora. Il posto è ben protetto anche dalle Materializzazioni, dico bene? Quindi possiamo raggiungerlo soltanto alla babbana, quindi faremo trekking. » Ed eco spiegato il motivo delle scarpe comode, anche se doveva capire il perché si erano rese necessarie. Come aveva fatto a scoprire tutto quello soltanto con un paio di libri? L’aveva decisamente sottovalutata, senza contare che era riuscita a fare tutto quel trambusto proprio sotto il suo naso, a casa sua. Sospirò, costringendosi a seguirla.

«E così sei riuscita a capire tutto.. – scherzò lui, con un sorriso – Complimenti.»

«Non prendermi in giro, Draco.. – si affrettò a controbattere lei, con tono troppo serio - ..sai bene che non so tutto, altrimenti non saresti così tranquillo. So dove cercare quello a cui dai la caccia ma non so a cosa dai la caccia.. ancora. Quindi, per qualche altra settimana, puoi ritenerti salvo da Azkaban.»

«E’ una minaccia?» «No, solo una constatazione. Ti ho già detto cosa farò se mai dovessi scoprire che quello che cerchi va ben oltre la semplice ricerca curiosa di un collezionista, dico bene? Quindi non puoi dire che ti avrò pugnalato alle spalle, quello è il tuo stile, non il mio..»

Ouch! Colpito e affondato!«Certo, anche se dovessi mandare ad Azkaban il tuo padrone di casa?»

Benchè fosse una frecciatina, anche leggere, la ragazza parve rifletterci per più tempo del previsto: non era difficile immaginare il perché di quella reazione. Come aveva affermato poco prima, non era nel suo stile pugnalare le persone alle spalle, eppure era come andare contro una persona che, con tutti i suoi difetti e le sue azioni sbagliate, era stata l’unica ad aiutarla in una situazione complicata, difficile. L’aveva ospitata, le aveva dato un tetto, l’aveva difesa dalla bacchetta facile di Zabini. Lui era una persona “per bene” o era ancora il Mangiamorte che aveva puntato la bacchetta contro Silente, quella notte, nella torre di Astronomia? Non c’era modo di saperlo, non finchè lui si ostinava ad erigere quella barriera di ghiaccio tra se e il resto del mondo. Era un po’ Harry, in questo senso, anche se il suo amico si era reso conto, con il passare del tempo, che fare tutto da soli è in realtà non fare nulla poiché non si può arrivare poi tanto lontano.

«Forse potrei sopportare Zabini, dopotutto.. – si riprese lei, tornando al suo tono leggero e scorrevole - ..anche se farei apparire una Jacuzzi in più, si capisce.»

Il biondo sorrise ma non rispose: perché ci aveva messo così tanto, per parlare? Cosa aveva pensato nel frattempo? Quella ragazza diventava indecifrabile sempre di più, ogni minuto che passava: in certi momenti, come dei barlumi, gli pareva di coglierne anche solo un frammento, mentre in altre occasioni diventava totalmente oscura, come se venisse risucchiata, corpo e mente, in un buco nero, doveva non si vedeva e non si capiva davvero nulla. Gli faceva paura, in quelle occasioni.

«Hai poi parlato con Lenticchia? Non sento più la tua suoneria a tutto volume, la notte. Non posso che chiedermi il perché. O forse Potter ha fatto finalmente una cosa buona nella sua vita e l’ha affatturato?»

«Non credo.. – rispose lei, fermandosi indecisa fra due alberi, per poi optare per il sentiero di sinistra e imboccarlo - .. in realtà gli ho parlato quando sono andata a trovare Harry.»

«Ma mi hai chiesto di bruciare le lettere oggi.. – le ricordò lui, leggermente confuso – Non ti seguo Mezzosangue, sul serio. Non capisco.»

La mora sbuffò in modo teatrale, sedendosi su di un tronco e accendendo un fuoco su un piccolo drappello di rami che aveva lasciato cadere e che, dedusse il giovane, aveva raccolto lungo il tragitto, senza che lui se ne accorgesse. Voleva fare una pausa? Ma si, dopotutto avevano ancora tanto tempo da perdere, prima che la luna spuntasse. L’ambiente cominciava già a farsi grigio, il sole non aveva lasciato altro che deboli chiarori, chiazze di luce che irrompevano nella boscaglia qua e là, attraverso il fitto fogliame degli alberi. Si sedette a sua volta, a pochi centimetri dalla strega e tirò fuori dal suo zaino – oh si, se n’era portato uno – due whisky incendiari ai frutti rossi, tanto che la strega alzò un sopracciglio nel vederle, scatenando subito la reazione ilare del suo compagno. «Non fare la bambina, Granger: non sono poi tanto pesanti, come bevande. Non come quelle che hai bevuto dalla mia cantina mentre pensavi che io non lo sapessi per esempio..»

Le guance della mora si tinsero di un leggero colore rosato, segno evidente del suo imbarazzo: quando era stata sul punto di crollare, uno dei primi giorni della sua permanenza a Malfoy Manor, si era lasciata leggermente andare ed aveva chiesto a Perky degli alcolici non tanto leggeri, per soffocare il pianto e alleggerirsi l’animo. Aveva funzionato, anche se non si poteva dire altrettanto del suo tentativo di non farlo sapere ai suoi coinquilini. «Grazie. – bofonchiò, accettando la bottiglia e bevendone un sorso – E comunque ti ho chiesto di bruciare le lettere perché ho detto a Ron tutto quello che dovevo dirgli: è un bastardo, mi ha tradita, può marcire all’inferno con Salazar, per quanto mi riguarda. Non voglio più rivederlo, così come non voglio più avere a che fare con sua sorella. Povero Harry..»

«Già, Potter non sa proprio nulla delle scappatelle della sua bella mogliettina, vero? Mi dispiace per lui, davvero. Anche perché, con uno come Blaise, si capisce subito cosa gli manchi.. e comunque, non sono affari miei. Quindi.. – si schiarì la voce, cercando di risultare il più distaccato possibile – con Lenticchia è tutto finito?»

«Non potrebbe essere altrimenti. Gli vorrò sempre bene, anche se è uno stronzo di prima categoria, ma non posso dire di amarlo, non più. Quando gli ho parlato ha continuato a ribadire che non lo sapeva, che aveva sbagliato e le solite cretinate.. gli ho mollato un ceffone e me ne sono andata prima di dover tirare fuori la bacchetta.»

Il biondo annuì, sorseggiando a sua volta la propria bibita: non poteva dire di capirla, visto che una relazione seria e con la prerogativa della fedeltà non era mai stata fra le sue occupazioni, eppure in un certo senso gli dispiaceva per lei. Lei meritava di meglio, di certo meglio di un idiota di prima categoria, con una sorella decisamente troia.

«Tu invece? – la domanda lo lasciò decisamente spiazzato, tanto che rischiò di affogarsi con la propria bevanda – Avevo sentito qualcosa fra le e Daphne prima e tra te e Astoria poi. Insomma, si vede che hai un debole per le Greengrass, anche se non so a cosa credere oramai.. soprattutto visto che abito con te da una settimana e non ho visto nessuna delle due.»

Come cavolo siamo finiti a parlare di questa roba da gay? Ah, lasciamo perdere, che è meglio.  Insomma, era la verità. Che diritto aveva quella ragazza di intrufolarsi così nella sua intimità, nella privacy delle sue cose? No, non avrebbe risposto, era fuori questione! Anche se, per qualche strano e fortunato caso – o forse soltanto i frutti di bosco che cominciavano ad entrare in circolo – se la sentì di rispondere. Lo fece. «C’è sempre uno sfondo di realtà nei pettegolezzi, Granger. Io e Daphne siamo stati.. insieme, se così si può dire, per un po’ di tempo ad Hogwarts: mi faceva stare bene, non lo nego, ma non era nient’altro che sesso. Quando abbiamo parlato, quanto abbiamo imparato a conoscerci, ci siamo resi conto che.. come amici funzionavamo molto meglio. E’ la mia migliore amica da allora. Astoria.. beh, quando mio padre ha capito che con Daphne non era andata pensava di potersi ancora prendere qualche libertà con il patrimonio dei Greengrass, e se non era con la primogenita poteva essere con la seconda. Poco importa che questa fosse quasi una bambina, all’epoca.»

Lo Slytherin si passò una mano sul volto, più stanco che mai nel rievocare quei ricordi. «La fece innamorare di me, del sogno di me, del desiderio di me. Io, già più maturo di quanto molti miei coetanei erano o sarebbero mai diventati, ero pronto per il mondo mentre lei.. ancora in fasce, era pronta per me. All’inizio non volevo deluderla, non volevo deludere mio padre, ma non provavo per lei nemmeno l’affetto che nutrivo verso la sorella. E mentre io la respingevo, lei mi voleva sempre di più.. è stata una cosa crudele.»

La ragazza cercò di figurarsi la situazione e, per quanto le immagini della sua mente non fossero ben delineate, la verità che le si figurò in mente risultò essere davvero spiacevole: povera Astoria, povero Draco.. «E poi?» - chiese, permettendosi questo lusso, con un filo di voce.

«Poi.. – continuò il biondo, fissando apatico il fuoco – Astoria ha continuato a crescere e si è portata il sogno di me nella sua giovinezza, come se fossi il suo idolo o il cantante di qualche band famosa. Mi manda una lettera ogni settimana, raccontandomi delle sue giornate, dei suoi sogni, della sua vita.
Non le leggo mai, lascio che sia Blaise a farlo e risponderle.. non è cattiveria, capisci? E’ che lei non merita questo, lei deve avere la libertà di..»

«..scegliere chi amare. – concluse la mora per lui, guadagnandosi un’occhiata significativa di Draco e sorridendogli di risposta – Hai ragione, devi lasciarla libera, se lo merita.»

Sorpreso di come il sorriso della ragazza fosse stato capace di illuminarle il volto, tornò a fissare le fiamme, leggermente stordito. «Daphne invece? Non interviene in questa situazione, non è forse dalla tua parte?»

«Daphne è e sarà sempre dalla mia parte.. – citò lui, ricordandosi le parole della diretta interessata – Ma no, non interviene, ha i suoi casini a cui pensare. Attualmente ha avuto due gemelli da un babbano e il padre la sta schiavizzando. Penso che se la situazione non migliora le proporrò di venire a stare da me, a costo di sfidare il padre e la sua nobile casata. Glielo devo.. e poi, una ragazza in più in giro per casa che cosa cambia?»
Hermione si concesse una risata. «E guarderai tu i gemelli? Sbaglio o hai detto che ne ha avuti due?  E poi, sei sicuro che potresti frenare lei come stai facendo con Zabini? Forse lei non sarebbe felice di vivere sotto lo stesso tetto con me.»

«Non conosci Daphne..» Quelle parole lasciarono la mente di Hermione in un universo di fantasia. Da come ne parlava Draco, Daphne sembrava essere una ragazza eccezionale, una persona davvero degna di essere conosciuta. Non immaginava neppure un rapporto così stretto, soprattutto se c’erano di mezzo due Slytherin come loro: si era sempre figurata il loro come un mondo egoista e personale, mai come una comunità così altruista. Per Merlino, si trattava di loro due soltanto, eppure erano già una bella eccezione. Le sarebbe piaciuto davvero conoscerla, un giorno.

«Forse un giorno la conoscerò.. – tradusse i propri pensieri in parole – Comunque..  dato che siamo in vena di confessioni.. a cosa diamo la caccia, Malfoy? Cosa c’è in quelle fiale?»

Ecco cosa succede a dare troppa confidenza alla gente: gli dai una mano e quelli vogliono anche la bacchetta. «Ora non esagerare, Granger. Non siamo qui per farci confidenze.. anzi, forse dovremmo riprendere il viaggio..»

«Lo sai che se non me lo dici lo scoprirò comunque? Anche se ci metterò molto più tempo. Ne verrò a capo.»

«Mi divertirò a vederti provare.. – ridacchiò lui, alzandosi e spegnendo il fuoco con un Aguamenti – Ah, e… Granger?»

«Si? – gli chiese lei, voltandosi a sua volta a guardarlo – Dimmi.»

«Se tu non fossi una Gryffindor e se il tuo migliore amico con fosse il mio peggior nemico, forse.. forse, potresti andarmi quasi a genio. Non come Daphne, ma potresti andarci vicino. Mi è piaciuto.. parlare.» Poi, resosi conto di quello che stava effettivamente dicendo, si affrettò a sorpassarla e a camminare con passo svelto, mentre la mora lo osservò da dove si trovava, pietrificata dalla dichiarazione.

«Anche tu.. – gli urlò dietro, quando l’ebbe quasi raggiunto - ..mi andresti a genio, se solo non fossi un maledettissimo Slytherin con un migliore amico bastardo e rompi palle!»

Entrambi sorrisero, ognuno per conto suo, eppure insieme. Avevano ragione: era stato strano parlare così, come non avevano mai fatto, ma era stato piacevole, quasi naturale. Procedettero per qualche altro chilometro, stavolta in rigoroso silenzio, tranne qualche altra frecciatina ben mirata, che aveva aiutato ad alleggerire la situazione per entrambi.

Hermione fu la prima a notare la caverna, che aveva già visto raffigurata sulla pagina di un vecchio libro della biblioteca della sua nuova dimora – definirla casa non era proprio necessario in effetti. «Eccola..» - mormorò, avvicinandosi di qualche passo, prima che una stretta ferrea la afferrasse e la trattenesse. Si voltò verso Malfoy, nello sguardo una confusione immotivata, poi capì. Non era prudente avvicinarsi, non ancora, visto che il passaggio si sarebbe aperto soltanto nel momento esatto e nell’esatta posizione in cui i raggi lunari avrebbero sfiorato la pietra. Mancavano ancora dieci minuti.
Sembrava poco, eppure avevano impiegato più del previsto per raggiungere quel posto, chissà se per colpa del loro senso di orientamento o se a causa di qualche incantesimo che li aveva portati fuori strada.

Non dovettero aspettare molto: quando la luna toccò la pietra, questa sembrò schiudersi, rivelando “come per magia” un passaggio stretto e angusto, probabilmente l’entrata. Ma c’era qualcosa di sbagliato, stavolta fu Malfoy ad accorgersene. Non era tranquillo, mancava un elemento che non capì.. gli incantesimi difensivi, ma certo! Non li aveva ancora rimossi. E di certo la Granger non ne sapeva nulla, ed infatti era già vicinissima all’entrata, davvero troppo vicina. «No, ferma! Granger, fermati!»

La ragazza reagì troppo tardi, quando oltrepassò la barriera invisibile che separava il tempio dal mondo umano, l’intero ingresso della grotta vibrò, lasciando pesanti massi cadere sulla ragazza e sul biondo, che l’aveva nel frattempo raggiunta di corsa. Fu per un colpo di fortuna che riuscì a scansarla, buttandosi su di lei e impedendo che un grosso masso la schiacciasse. Rimase a farle scudo con il suo corpo per quello che gli sembrò un decennio, finchè l’ambiente in cui si trovavano con divenne buio e il tremolio tutt’intorno cessò. Provò ad accendere la propria bacchetta, capendo all’istante di non poterla utilizzare, Tentò di nuovo e la consapevolezza di una realtà quanto mai spaventosa gli piombò addosso: era privo di magia, non poteva difendersi. Sotto di lui, svenuta fino a qualche istante prima, la ragazza si divincolò e gridò come una forsennata. «Granger.. aspetta.. aspetta..» 

La rassicurò lui, spostandosi con attenzione nell’oscurità più totale. Come poteva far luce se.. l’accendino. Santi mezzi babbani: pregando Merlino che funzionasse, fece scattare il meccanismo del suo accendino metallico e illuminò l’ambiente in cui si trovavano. Le rocce erano dappertutto e la polvere non si era ancora depositata del tutto: trovò una torcia e l’accese, scatenando un meccanismo che illuminò tante altre torce, tutte le portavano verso l’interno della grotta. Quando l’oscurità non fu più un problema, decise di tornare dalla Mezzosangue, e lo spettacolo che vide lo gelò.

Era stesa su quello che avrebbe potuto sembrare un letto di pietre, diverse ferite sanguinanti e uno dei piedi risvoltato in una posizione tutt’altro che naturale, la caviglia. Le si avvicinò inginocchiandosi e sollevandole la testa, ma lei lo scansò, mettendosi velocemente a sedere e reprimendo un gemito di dolore: si, la caviglia era andata. «Granger.. – cominciò lui – la magia.. la bacchetta non funziona..»

«LO SO! – urlò lei, spaventandolo, visto che non l’aveva mai vista perdere così la calma – Devi rimettermela a posto tu. Un gesto seccò e tornerà a posto.»

«Cosa? - si scaldò il biondo – sei impazzita? Non ho intenzione di fare nulla di babbano.. rimani qui e io tornerò..»

«Scordatelo, tu senza di me da qui non ti muovi, scordatelo di lasciarmi qui.. ora prendi quella maledetta caviglia e ruotala. Sbrigati!» Faceva davvero paura, constatò Draco, che abbandonò il proposito di convincerla di restare lì e prese delicatamente il suo piede fra le mani, togliendole la scarpa nel modo più delicato possibile. «Ok.. – mormorò lei, controllandosi a fatica – adesso un movimento deciso, dovresti sentire un crak, e tornerà a post..si, sa destra  sinistra… e non fare la femminuccia..»

Il biondo la guardò dubbioso, incapace di controbattere ma tutt’altro che desideroso di curarla, per poi magari peggiorare la situazione. «Uno.. due..» Ah, al diavolo! Con un gesto secco ruotò al caviglia, mentre la Gryffindor lanciava un urlo agonizzante e ribaltava la testa all’indietro, nello spasimo di dolore.
Lui le si avvicinò, non sapendo dove mettere le mani per consolarla, mentre lei rimase più controllata. «La mia.. il mio.. zaino. C’è l’essenza di dittamo, dovrebbe.. il dolore.. dovrebbe alleviarlo. Sbrigati.» Lui non se lo fece ripetere e trovò quello che lei gli aveva indicato, anche se con estrema lentezza, poichè incapace di usare la magia. Lei, nel mentre, aveva strappato dei bordi della sua canotta, con la quale era rimasta dopo essersi tolta il maglione, e aveva bendato le ferite superficiali che la pozione non avrebbe potuto guarire facilmente. «Perfetto.. – mormorò, vedendo la boccetta – Grazie.» Versò un po’ di pozione sulle zone più disastrose e infine sulla ferita, che divenne più violacea e meno rosa, anche se Draco non era certo di poter dire che fosse un effettivo miglioramento. Quindi le diede una mano a rialzarsi, maledicendosi per non averla avvisata delle barriere: avrebbe potuto evitare che cadessero nella trappola e invece..

«Beh? – chiese lei, appoggiata al muro – Che fai, mi lasci qui? Non posso camminare, mi sembra evidente..»

Il giovane alzò un sopracciglio. «E da me cosa pretendi? No no no.. io non ti porto in braccio.. scordatelo.»

«Allora restiamo qui e aspettiamo che la pozione venga da noi, vuoi? Non fare il ragazzino, Slytherin, non sono così pesante, davvero.»

Malfoy valutò la figura mingherlina della sua interlocutrice e anche lui capì, non ci voleva mica un genio!, che la ragazza non era poi questo grande peso; però restava di fatto che portarla dietro con se.. no, non era una grande idea: gli sapeva tanto di contatto, di intimità.. no, categorico. Ma la ragazza non era dello stesso avviso: senza aspettare un invito, si era avvicinata a lui, facendosi forza sul muro, aveva preso il suo zaino e se l’era infilato sulla schiena. Poi, sotto lo sguardo sempre più confuso di lui, gli aveva poggiato le mani sul collo. Aveva un tocco leggero, caldo, dolce. «Sulla schiena, avanti, un ultimo sforzo e possiamo andare.»

Obbedendo all’istante, il giovane si abbassò per permetterle di salire a cavalcioni sulla sua schiena e, afferratele entrambe le cosce con le mani – e rendendosi in fretta conto che non pesava davvero più di un elfo domestico – sospirò e prese a camminare, dirigendosi verso i meandri della caverna in cui erano capitati.
 

 


 
Spazio autrice ù.u

Ma bene =) so che ho un giorno di ritardo, e mi dispiace tantissimo per questo, ma il mio pc – anzi la mia connessione internet – ieri faceva brutti scherzi, tanto che ho rischiato di buttare tutto all’aria, monitor compreso. Ma, come si dice, meglio tardi che mai? Esatto, quello. Ma ora basta scusarmi, direi che vi meritate qualche spiegazione in merito a questo capitolo. Allora come vedere è cominciata, proprio come dice il titolo del capitolo stesso, “la vita da Serpe” della nostra Herm. Draco, e non potrebbe essere altrimenti, si sta dimostrando un ospite eccellente, a differenza di Zabini, che sta rischiando di far saltare i nervi alla Grifa. Ora, soffermatevi un attimo su Blaise: lui va da Draco, dicendogli che deve confessare che la Granger rimane lì non perché tra i due ci sia un accordo di lavoro o per la sua carità d’animo, bensì per la ragione più semplice del mondo, poiché prova qualcosa per lei. Lo Slytherin, ora, non zittisce l’amico perché ha paura che le parole, una volta pronunciate, rendano reale la cosa, ma perché ancora non si rende davvero conto neppure lui cosa gli sta succedendo, ed è ancora fatalmente ancorato all’idea dell’odio reciproco e dei soliti clichè che non starò qui ad elencare. Indubbiamente però sta provando qualcosa.. cosa? Non si sa. O, meglio, noi lo sappiamo e lui ancora non se n’è reso del tutto conto, quindi bisognerà vedere l’evolversi degli eventi per vederlo prendere finalmente coscienza di quello che prova e quello che è.

Poi, altro punto importante, Herm e Draco che parlano liberamente di Ron, quasi come se fossero amici da sempre, senza poi contare la scenetta simpatica di lui che acconsente – non senza una “spintarella” – a prenderla in braccio e portarla nella Caverna misteriosa. Insomma, è quanto mai evidente che si sta smuovendo qualcosa ma, notate bene, loro due ne sono ancora inconsapevoli: ci sono stati moltissimi segnali per far capire ad entrambi che qualcosa sta nascendo ma, da buoni nemici mortali, hanno preferito ignorarli. Quindi, nel momento in cui sono più “Intimi” del solito.. semplicemente attribuiscono la cosa ad un cameratismo tra colleghi, non di certo un sentimento più forte.
E
cco introdotta, per la prima volta, l’importanza di Daphne. Beh, come dire, è forse uno dei punti cardine di tutta la storia, anche se fin’ora non se ne sa molto, a parte il fatto che il padre è un dispotico tiranno, la sorella è una fan sfegatata di Draco e suo marito è un babbano, il che rende automaticamente i figli mezzosangue. Che allegria! Non vi dirò molto di lei, tranne il fatto che ben presto emergerà non solo come carattere ma anche come personaggio, quindi aspettate e vedrete.

Per il resto, vi do una brutta notizia -.- non ci sarò a casa sabato prossimo, quindi l’aggiornamento, come è successo la volta scorsa, slitterà a mercoledì e poi a sabato ancora dopo (e livello di date parliamo di mercoledì 2 e sabato 12, quindi ci rivedremo direttamente a marzo!). Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e recensito la storia – se rispondo tardi, dovete scusarmi, ma cerco sempre di non lasciare nessuna recensione in sospeso.

P.S. Quasi dimenticavo: questa settimana niente faccine sorridenti di Herm e Draco, stavolta vi propongo le prime due guardiane, che
ovviamente avete incontrato nei capitoli precedenti, senza l’incombenza del mantello – anche se, in teoria, ne indossano uno che copre loro il volto. Eccovi Kreyia e Luran “senza veli” xD Naturalmente la fiale sono state disegnate da me – cosa non si fa per perdersi le spiegazioni di filosofia! – e per questo vi chiedo scusa se vedete i quadratini sotto i disegni ma non avevo un foglio bianco a portata di mano. Cosa ve ne pare?

Un bacio grande grande a tutti voi, K

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Capitolo 8
*** Daphne Greengrass ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo VII:

Daphne Greengrass
 

A differenza dell’entrata, decisamente instabile e tutt’altro che sicura, la grotta sembrava essere un luogo sicuro, quasi confortante, tanto rassicurante era il suo dolce percorso scosceso e i lumi ai lati delle pareti, alimentati dalle fiaccole che si erano accese in contemporanea con la prima. Il luogo era impetrato di magia: la si sentiva nell’aria, fin dentro le ossa e lungo ogni singolo nervo, eppure, inspiegabilmente, le bacchette erano inutilizzabili, totalmente inutili e null’altro che due semplici pezzi di legno finemente intagliate. Non si erano certamente rotte – il lavoro di Olivender offriva parecchie garanzie, in merito – e quindi il problema di base doveva essere il luogo in cui si trovavano.

La roccia delle pareti era un tipo particolarmente strano di materiale, che né Draco né Hermione avevano mai visto prima d’ora: si trattava di pietruzze piccole quanto un pollice, ammassate l’una sull’altra in lunghezza, quasi a creare piccole torri lungo le pareti. Ma non erano separate, e questo era la stranezza, ma erano blocchi di pietra unici. Il loro colore variava dal bluastro al verde al rosato, fino al rosso più intenso, tanto che in alcuni punti si poteva benissimo credere di trovarsi fra montagne di pietre preziose, tanto era l’effetto provocato dagli scherzi di luci e di ombre. Ma, malgrado la bellezza di quel luogo, restava pur sempre un luogo sinistro, quasi come se quella bellezza fosse un canto delle sirene, ammaliante quanto micidiale. Infatti i muri, le rocce, sembravano avere vita propria, sembravano spiarli passo passo e inseguirli, benché non si muovessero di un solo millimetro dalla loro posizione. Cosa di cui, di sicuro, il giovane Malfoy era piuttosto felice: aveva già un peso sulle spalle, letteralmente, di cui preoccuparsi, una bacchetta inutilizzabile che lo rendeva incapace di difendersi, e una fiala da recuperare, senza poi avere una via di fuga, delle pietre che si muovevano non erano sicuramente tra le migliori cose ma nemmeno fra le più importanti di cui preoccuparsi al momento.

Rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto, non tanto perché non avessero nulla da dirsi ma perché, stranamente, il salvataggio e il successivo “medicamento” alla babbana li aveva leggermente scossi: si erano ritrovati a comportarsi come due amici in cerca di avventura, legati come non mai, che si aiutavano e supportavano a vicenda. Per Draco era una cosa non cui non si era mai scontrato, l’amicizia sincera e la fiducia completa non erano mai stati i grandi ideali dei suoi rapporti ultra familiari. Ne era spaventato, soprattutto perché era riuscito a raggiungere quel legame con una Mezzosangue che non aveva mai sopportato. Hermione, dal canto suo, sentiva di essere ritornata alle mille avventure in cui i suoi due compagni d’infanzia avevano a forza trascinato: solo che, stavolta, non stava aiutando Harry o salvando Ron, per i quali era disposta, a grandi linee, a dare la vita, ma una Serpe che le aveva reso la vita impossibile. Già aveva riflettuto su tutto quello che stava accadendo, già aveva preso le sue decisioni e lei, in questo campo, era molto brava; era sempre stata, inoltre, molto brava nel mantenere le sue decisioni, anche se stavolta si stava rivelando più difficile del previsto. Aveva scelto di aiutare Draco ma non di fidarsi di lui: e se il suo corpo, la sua mente, la sua stessa anima le dicessero il contrario? In quel caso rispettare una decisione presa di teoria sarebbe stato giusto anche sul piano pratico? Non lo sapeva e, più proseguivano, più quella decisione la confondeva e la imbarazzava. E per proseguivano non intendeva solo il loro cammino nella grotta, intendeva l’interno percorso delle loro giornate, che erano a quando pare terminate con lei sulla schiena di Malfoy e con una caviglia dolorante. Avrebbe potuto camminare, questo si, ma non voleva rallentarlo e non voleva essere lasciata indietro: anche lui, alla fine, aveva convenuto che quella non solo era la soluzione migliore, ma era anche l’unica possibile.

«Credo che sia quella.. la sala.. vedi il simbolo sulla porta?» Il giovane annuì, dopo un primo momento di smarrimento, dettato probabilmente dalla ritrovata voce della mora, rimasta in silenzio per troppo tempo, secondo i suoi standard. «E’ un simbolo che ho già trovato su uno di quei libri.. non è nulla di che ma crea una sorta di sigillo intorno alla sua ubicazione: le cause per cui può essere adoperato sono varie, fra cui malattie mortali, strani sortilegi o..»

«Assenza totale di magia, come nel nostro caso. Un sigillo, ovvio.» La ragazza, il biondo lo capiva solo ora, era molto più utile se era istruita su quanto dovevano fare e dove dovessero farlo. Lasciarla all’oscuro, ed era evidente, non era né utile né propizio e quindi, dalla prossima missione – se fossero usciti vivi da questa – le avrebbe dato i dettagli, meno l’unico davvero importante, che le avrebbe celato fino alla tortura e, con un po’ di buona volontà, anche dopo quella.

«Si, e come faremo noi senza magia? Posso ricordarti che..»

«Se apri la bocca solo per darle fiato, Granger, è meglio che torni a stare zitta come hai fatto per l’ultima mezz’ora.» La giovane tacque ma lui, contemporaneamente, si rese conto di essere stato fin troppo brusco e si affrettò ad aggiungere «Intendo dire.. che so benissimo che siamo senza bacchetta, ma cosa vuoi che faccia? Che sposti i massi all’entrata e me ne vada? Sono qui per prendere la terza.. pozione. Se hai paura ti lascio qui e, per Merlino, me la caverò.»

«Certo, solo quando risorgerà Morgana tu non avrai bisogno del mio aiuto. – gli disse acida l’altra, decisamente offesa per il modo in cui l’aveva precedentemente zittita – Comunque non intendo restare qui, quindi muoviti, prendiamo quello che ti serve e via di qui..»

Tentato di controbattere, il giovane preferì tacere e proseguire. Non gli ci volle molto per rendersi conto che si stavano addentrando in un ambiente decisamente poco favorevole e particolarmente ostile. Sembrava di essere usciti dalla realtà e entrati in uno di quegli stramaledetti quadri di Escher, un pittore di origine babbana ma con sangue mago nelle vene per un sedicesimo, da quello che ne sapeva. Era  una stanza, totalmente capovolta dai limiti del possibile e della gravità, con scale e porte che erano situati su qualsiasi superficie piana, verticale o orizzontale. Notò una sorta di fontana, attaccata alla parete accanto ad una porta di legno, una pianta sul soffitto, accanto ad una rampa di scale che girava su se stessa e si immergeva in un canale di cui non vedeva l’uscita, pur provando a torcere il collo. Davanti a lui vide due rampe, una che saliva capovolta verso l’alto, l’altra che scendeva verso il lato sinistro del muro, con una porta rovesciata per metà. Non c’era un modo di andare dritto e, da’altro canto, dubitava che sarebbe stato tanto facile, pur volendo. Conosceva i labirinti, li aveva studiati, persino i più difficili, ma una cosa del genere era ben lontana anche dalle sue possibilità.

«Prendi la scala a sinistra.. – gli suggerì la voce della mora, che aveva mantenuto il sangue freddo anche davanti ad uno spettacolo tanto disarmante - .. segna la porta con un pezzo di stoffa: se ritorniamo allo stesso punto, sapremo di esserci già passati. Almeno, in assenza di bacchette, è tutto quello che mi viene in mente..»

Il giovane annuì, lacerando la sua sciarpa color vinaccia, e facendola a brandelli, per poi legare uno di questi alla porta direttamente alla sua destra – che dubitava si fosse trovata nello stesso punto, quand’erano appena entrati. Sospirò, seguendo il consiglio della sua compagna, e cominciò a salire le scale, percependo immediatamente come ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato in quello che stavano facendo. Non era un dolore fisico e neppure una ferita, era una sorta di malessere emotivo, una sorta di avvertimento del suo sistema, o almeno così pensava all’inizio.

«Ho sempre ammirato questi quadri, però finire in uno di essi è lì esperienza più bizzarra che abbia mai affrontato.»

«Ma non mi dire! – la schernì il giovane, continuando a camminare – Mi stai dicendo che le avventure che stai vivendo con me non sono all’altezza di quelle che hai dovuto sopportare con Lenticchia e lo Sfregiato? Mi lusinghi, Mezzosangue. Anche se, devo ammetterlo, vorrei che tutto questo fosse molto più facile, mi risparmierebbe un bel po’ di fatica extra.. non credi? Granger?»

Hermione, tuttavia, aveva smesso di parlare, battendo il suo dito delicato sul collo di lui, come a chiamarlo, tanto che il giovane si vide costretto a voltarsi e vedere cosa voleva da lui: rimase di stucco. La ragazza che aveva portato sulle spalle fino a pochi istanti fa non era più lei: o, meglio, era lei, ma non nell’età in cui ce l’aveva caricata. Aveva un volto più scavato, delle rughe ben visibili sotto agli occhi e  dei capelli molto più spenti e addirittura, in alcune ciocche, bianchi. Era vecchia, si stupì di constatare, e si rese conto che probabilmente lo era anche lui, dato che la ragazza/donna continuava a fissargli i capelli e il volto: erano invecchiati. Ricollegò all’istante il malessere di poco prima, intuendo che non era stato affatto un presentimento, ma un cambiamento materiale dei suoi tessuti, che si erano man mano ristretti e invecchiati. «Ma che..?» Fece per far scendere Hermione dalle sue spalle, ma lei lo bloccò.

«E’ una Galleria Temporale, se ci fermiamo rischiamo di non poterne uscire mai più. – il ragazzo/uomo la fissò sconcertato, tanto che lei si sentì in dovere di spiegargli quello che, naturalmente, non aveva capito. – Una Galleria Temporale è una sorta di spazio interdimensionale, lo stesso che utilizziamo per smaterializzarci, in cui la distinzione tra passato/presente e futuro non ha limiti definiti e in cui tutto è relativo. Le scale rappresentano tanto i percorsi quanto le nostre scelte, qualsiasi decisione prendiamo possiamo ritrovarci più vecchio o più giovani, e ogni strada incrementa la velocità di questo cambiamento o lo dimezza.. non ci è dato sapere come ma è così.»

«Quindi.. mi stai dicendo che..»

Lei annuì. «Se ci fermiamo in un luogo dove il tempo va troppo veloce, potremmo morire prima di potercene accorgere. Dobbiamo proseguire, e sperare di arrivare.. dovunque si trovi la pozione. Non sarà facile.» Annuì tra se, continuando a ragionare, mentre ricominciarono a muoversi di nuovo: aveva studiato quella particolare magia ma mai in modo approfondito o minuzioso; sapeva bene che era una magia complessa, una dimensione molto difficile, ma allo stesso tempo si rendeva altrettanto bene conto che era impossibile affrontare quella difficoltà senza la magia, di cui guarda caso loro due erano sprovvisti. Non voleva neppure pensare a cosa sarebbe capitato loro se, per sbaglio, avessero scelto una stanza in cui uno dei due sarebbe scomparso per sempre, perché c’era il rischio che accadesse anche questo. Nelle Gallerie del Tempo, come quasi tutto del resto, la vita e la morte sono qualcosa di estremamente relativo e fallace: non esiste un modo per impedire che il proprio corpo si trasformi – a meno di non possedere grande abilità magica e immensi poteri, nonché formule potenti. Dato che, per ovvie ragioni, non era il loro caso, dovevano accontentarsi di quello che avevano ancora in mano, loro stessi, e sperare che la sorte non girasse troppo lontano dalla loro uscita.

Senza dirsi un’altra parola, i due continuarono a camminare, o meglio Draco continuò a farlo, mentre la ragazza esplorava curiosa con lo sguardo il luogo bizzarro in cui si trovavano, cercando inutilmente una soluzione: non era di certo abituata a fallire nelle sue speculazioni, non la faceva sentire per niente bene come cosa! Finirono in altre quattro stanze. Nella prima si trasformarono in ragazzini di tredici anni, tanto che Hermione si sorprese di scoprire che Draco stava ancora mantenendo il suo peso sulle proprie spalle: non avrebbe mai scommesso che il giovane Slytherin fosse tanto forte a quell’età. Ricordava ancora con un pizzico di gloria quel pugno che gli aveva gonfiato la faccia, poco prima che Fierobecco venisse (non)decapitato. Era stata una sensazione piacevo,e, in cui, una volta tanto, aveva dimostrato il proprio valore in quanto donna e non in quanto strega o studentessa modello.

Si era sentita piuttosto appagata, ecco tutto. Poi passarono per uno strano porte, particolare per via della sua forma allungata, e si videro proiettati una trentina d’anni avanti. Erano vecchi, ma non abbastanza da perdere le forze o la lucidità, capì Hermione: Draco la stava ancora portando sulle proprie spalle e lei riusciva ancora a ragionare chiaramente e con una certa lucidità, il che non era poco.
«Credi che arriveremo a quest’età?»
Passarono nell’ennesima stanza, in cui i loro anni parvero aumentare ancora di più, ma – ancora una volta – non abbastanza da ucciderli. Hermione vide il corpo di Draco afflosciarsi come un albero vecchio, ricurvo sotto di lei, tanto che l’avrebbe pregato di fermarsi, se solo non avesse avuto più paura di morire lì dentro, piuttosto che costringerlo a sopportare il suo peso più del necessario. Capì che, quella conversazione improvvisata, non era tanto un modo per aprirsi con lei ma quanto più un modo per tenersi occupato e distrarsi, impedendo a lei di parlare della loro condizione pietosa – in cui, per inciso, li aveva ficcati lui – e magari di sgridarlo o, peggio, chiedergli di lasciarla stare. Non l’avrebbe fatto non solo per la sua innata galanteria ma anche perché, anche se non l’avrebbe mai ammesso neppure sotto tortura, ormai si stava quasi affezionando a quella moretta dagli occhi indagatori e dalla mente brillante. Era una ragazza davvero fuori dall’ordinario, una che si impone con tanta forza da impedirti di escluderla, a meno che non lo voglia lei stessa e non lo permetta di sua iniziativa. Capiva solo ora il perché lo Sfregiato avesse tanto apprezzato la sua compagnia, capiva solo adesso perché Hermione Granger fosse diventata il punto focale di tutte le sue imprese megalomani e fondamentalmente inutili. Solo adesso.. meglio tardi che mai, dopotutto.

«Non lo so - rispose la fanciulla/vecchia, mentre superavano l’ennesima porta, in cui capì che quella sarebbe stata  l’ultima parte della sua vita – Io spero di si. I miei sogni, da bambina, erano di avere una grande famiglia con tanti nipotini, con cui giocare. Adesso penso che insegnerò loro la magia ma, in sostanza, non cambia nulla.»

«Il tempo è una cosa misteriosa. Non appena pensi di averlo afferrato, fugge via. Io mi concentrerei sul presente.»

«Si.. lo so.. il problema è che io non sono te, Draco. So cosa voglio, so come ottenerlo e mi batto per farlo. Non c’è nulla di sbagliato o di egoista in questo mio ragionamento. Mi merito un po’ di felicità..»

«E se fossi io a dartela?»

La domanda di lui la lasciò spiazzata, mentre la sua mente di ragazza nel corpo di vecchia ragionava sulle parole appena uscite dalla sua bocca: le aveva davvero chiesto quello che aveva appena sentito? Lui? Renderla felice? Da quando il giovane Malfoy si abbassava a parlare di sentimenti con i propri dipendenti, da quando proponeva i propri affetti ad una Mezzosangue come lei? Anzi, meglio ancora: da quando lei gli piaceva? Si era fermata al discorso dipendente-capo, in cui l’unica loro interazione era quella lavorativa e in cui non c’era modo di oltrepassare determinati limiti. Forse era a causa della Galleria Temporale.. forse gli aveva confuso le idee, o forse no. «Allora, non rispondi? Se fossi io a renderti felice, se ti offrissi di stare con me.. accetteresti?»

La giovane boccheggiò. Se prima si era trattato di semplice allusione, ora le stava facendo una richiesta in grande stile, senza possibilità di fraintendimento. Come era possibile? Non era preparata ad una domanda simile, un concetto surreale come quello non le aveva neppure sfiorato la mente, fino a pochi istanti prima. Come si permetteva lui, oltretutto, di farle simili domande? Non esisteva più la decenza del corteggiamento, magari di una base di amicizia e di un rapporto che cresce piano piano? Lei e Ronald ci avevano messo la bellezza di sette anni per baciarsi, e lui voleva tutto e subito, quando avevano cominciato a parlare civilmente soltanto un mese prima, in seguito ad un incontro tutt’altro che positivo in uno strip-club? Ma che..? «Io.. insomma.. NO!»

«Quindi non vuoi stare con me. » Il suo tono di voce la sorprese: non era stupito, neppure deluso, era semplice e razionalmente freddo, come se stesse calcolando quel discorso in seguito ad un qualche esame o a qualche verifica. Poteva essere più bastardo di così? La stanza in cui camminavano si avvolgeva su se stessa, erano sul punto di uscirne. «Peccato. Sarebbe stato particolarmente interessante. Non ne parleremo mai più..»
Uscirono dalla stanza, ritrovandosi in una sorta di giardino, dove le scale inverse, capovolte e storte erano tutte circondate da fiori e dal verde, più una fontana che era appesa al soffitto ma scorreva perfettamente, come se si trovasse sulla terra e fosse semplicemente soggetta alla forza di gravità; così, invece, l’acqua finiva con lo scorrere all’incontrario, creando un effetto particolarmente in quietante. Notò di aver riacquistato la pelle liscia, tanto che ringraziò il cielo di essere di nuovo una ragazza poco più che vent’enne e con tutta la vita davanti. Altro che vecchiaia!

«Allora, Granger? – la voce di Draco era stranamente tornata cordiale – Vuoi dirmi se pensi che arriveremo a.. quell’età. Beh, per fortuna siamo di nuovo noi stessi.. io credo che sarebbe interessante.»

Un attimo, c’era qualcosa che non andava. «Non capisco.. ti ho appena risposto..»
Il giovane la depositò accanto ad una pianta, estraendo dalla borsa una bottiglia d’acqua e bevendone un sorso, prima di passargliela. «Credo di dovermi riposare qualche minuto. E comunque, no. Non mi hai risposto. Ti ho chiesto se credevi che saremmo arrivati all’età.. quella. Poi siamo entrati in questa stanza e tu non mi hai risposto.» La guardò, leggermente ironico, come a prendersi gioco di lei, mentre un lampo di paura attraversò il volto della ragazza, che provò a mettersi in piedi con uno scatto, prima di ricordarsi di avere una caviglia fuori uso e ricadere di nuovo per terra con un gemito.

Tornò a provarci, prima che le mani sicure del biondo la afferrassero e la costringessero a stare seduta: nel suo sguardo c’era una nota di preoccupazione. «Stai bene?»

«No! – urlò lei – Perché io ti ho risposto, abbiamo parlato per dieci minuti.. siamo passati in una stanza dove.. eravamo ancora più vecchi e tu.. tu hai cominciato a fare domande strane.. e.. abbiamo parlato.. – s’interruppe, vedendo il volto di lui ancora più confuso – Io non ho parlato con te.. non eri tu. Che diamine sta succedendo?»

Malfoy le sorrise rassicurante, mentre squadrava la stanza con sguardo attento. «Ovviamente il dolore alla gamba deve.. averti confusa. Non c’è nessun altro qui, tranne me e te.. calmati..»

«No che non mi calmo! Io ho parlato con te per dei minuti interi.. e quello che mi stava portando sulle spalle eri tu.. o almeno aveva il tuo aspetto.. anche se ora è evidente che non eri tu.. argh!!!»

«E’ meglio riprendere la marcia.. credo che non ti faccia bene questa stanza..»

«E siamo anche senza magia.. ma che stai facendo.. mettimi giù! Dobbiamo risolvere questa cosa, adesso!!! – urlò scalciando, mentre Draco se l’era di nuovo caricata in spalla, senza aspettare il suo consenso – METTIMI GIU’!!!»

Malgrado ci fosse, effettivamente, qualcosa di terribilmente sbagliato in quello che stava dicendo la mora, non c’era tempo per soffermarsi sui vagheggiamenti provocati, probabilmente, da qualche illusione dovuta al dolore della gamba. Certo, non che fosse moribonda o ferita gravemente, ma comunque c’era una remota possibilità che il dolore della gamba le avesse annebbiato anche la mente: era una strega formidabile, su questo ormai non c’erano dubbi, ma restava comunque un’umana, una semplice ragazza fatta di carne ed ossa.. più ossa che carne, in effetti. La stava portando in giro da ore e non si accorgeva neppure del peso del suo corpo, segno di quanto fosse insignificante.

Dopo i primi tentativi di accecarlo/picchiarlo/ucciderlo, la Gryffindor si era decisa a mettere il broncio e continuare il silenzio la loro avanzata. Era terribilmente seccata dal fatto che lui non le credesse, come se fosse una pazza qualsiasi. Chi si credeva di essere? Vide un bivio, a cui Draco si stava avvicinando, in cui una scala girava sottosopra fino al muro di sinistra, l’altra faceva una manovra strana, ma verso il basso a destra: il ragazzo sembrava essere ben disposto verso la prima opzione ma la ragazza lo bloccò. «Prendi la scala a destra..»

«Perché? – chiese lui bloccandosi e contemplando il percorso – Non credo ci sia molta differenza, a finale..»

«Fallo e basta. So che è la strada giusta..»

Lui non si trattenne dal roteare gli occhi al cielo. «Cos’è, te l’ha detto un uccellino che assomigliava alla Cooman, mentre parlavi con l’altro me?»

«Prendi in giro, Malfoy, fallo pure, quando avremo raggiunto la stanza con la fiala voglio proprio vedere chi farà lo spavaldo.. o la spavalda, meglio ancora.»

Sinceramente non gli andava di darle ragione ma, dopotutto, una scala valeva l’altra, visto che non aveva la più pallida idea di dove stesse andando, quindi semplicemente acconsentì alla sua richiesta, senza girarci troppo intorno: le donne, per quanto fossero difficili da comprendere, erano facili da accontentare con pochi e semplici gesti. Fare ciò che vogliono e far credere loro che lo stai facendo perché sei un ignorante, per esempio, era tra queste. Stranamente, non appena si rese conto di trovarsi ancora in piedi, e non capovolto lungo un soffitto, ringraziò mentalmente la ragazza che adesso ghignava sulle sue spalle, quindi continuò a camminare, vedendo pian piano un corridoio, invisibile se non da pochi metri di distanza, che sembrava condurre verso una meta, tanto per cambiare. Era ancora in stile “strano”, ovviamente, ma il senso di oppressione di un mondo sconosciuto era scomparso, sostituito adesso da una sorta di.. preoccupazione. Possibile?

Draco continuò a camminare, rimpiangendo una volta di più di non potersi rassicurare nella stretta salda della sua bacchetta, che giaceva inutilizzata nella tasca. L’agonia dell’attesa finì presto. Arrivarono in un salone, grande e spazioso, con delle scale, tanto per cambiare; queste, tuttavia, erano diverse, erano normali. Conducevano verso un piedistallo centrale, sul quale già era posizionata un’ambigua figura, una fiaschetta posata su una colonna accanto a lui. Si, perché stavolta non c’erano dubbi: si trattava di un uomo, coperto da un mantello nero, che lasciava però scoperte le braccia muscolose e il volto, una stranezza questa. Portava una maschera però, come potè notare quando l’uomo si voltò verso di loro. Stranamente si rese conto di quanto l’uomo fosse adatto al luogo in cui si trovava, in quel luogo particolare di tempo, luoghi e spazio, in cui tutto era relativo, la stessa esistenza umana. Era spaventoso.

«Benvenuti. Gonos. – si presentò lui, con una voce gutturale eppure ammaliante – Siete stati sciocchi. Venire qui, per un futile desiderio.. signorina Hermione. Noi già ci conosciamo, dico bene? E’ una femme fatale, una rubacuori. Mi dispiace di non essermi mostrato con il mio normale aspetto, durante la nostra conversazione..»

La ragazza s’irrigidì, capendo all’istante a cosa alludesse l’uomo, e involontariamente strinse più forte la presa, facendo quasi male al suo accompagnatore, che realizzò al contempo quanto fossero veritiere le parole della ragazza, a cui si era tanto ostinato di non dare ascolto. Rabbrividì al solo pensiero di cosa quei due avessero potuto dire, mentre lui era.. beh, si, tecnicamente era morto. Era una logica contorta, ma era l’unica che potesse avere un senso: il Guardiano aveva preso il suo posto in un luogo dove Hermione era vecchia, molto vecchia, e lui lì non esisteva perché non sarebbe arrivato mai ad una simile età.

L’uomo sorrise, vedendo la paura e lo sconcerto nei loro occhi. «Non abbiate paura. Era una prova, l’avete superata. Adesso meritate un premio. Avvicinati, Draco. Il premio è tuo.» Gli indicò la boccetta di vetro con un gesto della mano, un invito.

«Non pensarci neanche. Tu li non ci vai.» La voce di Hermione, un sussurro, raggiunse le sue orecchie. Aveva ragione lei, era troppo pericoloso. «Ma che..?» Prima che lei potesse protestare, l’aveva fatta scendere dalle sue spalle, poggiandola contro una parete, stranamente priva di sporgenze o tavolini o altre scale. Lei parve sul punto di gonfiarsi e urlargli contro ma lui, da abile serpe che era, non gliene concesse l’occasione, e scese a due a due i gradini che portavano alla piattaforma. No, non era uno stupido: non era uno sciocco, un illuso, nemmeno un codardo se era per questo, ma sapeva che senza magia le possibilità di recuperare quello di cui aveva bisogno si riducevano se era lontano, aumentavano con la vicinanza. Poteva morire da un momento all’altro. Confortante.

Scrutò la figura dell’uomo che aveva davanti, chiedendosi quale inganno e quale trucco si fosse. Non ne vide. Fece un altro passo, arrischiando troppo stavolta, perché l’uomo sorrise. «Non un altro passo, giovane Slytherin. Dimmi che abbandonerai la ricerca delle mie sorelle e dei miei fratelli e io.. non ti ucciderò.»

«Mai. – rispose Draco, quasi senza pensarci – Ho bisogno di quello che tu proteggi. Ne ho assolutamente bisogno.»

«E’ un rifiuto dunque? Non ti offrirò altre scelte. O rinunci, o dovrò costringerti a farlo.»

«Provaci.» Un tono di sfida. Un tono di battaglia. Un tono da Draco Malfoy.

Senza che l’occhio umano potesse coglierne la traiettoria, prima che il grido del giovane squarciasse il silenzio della stanza, una spada doppia, di metallo chiaro e piuttosto spessa, aveva vibrato nell’aria, andandosi a conficcare esattamente all’altezza della spalla sinistra di Malfoy. Il dolore lo colse alla sprovvista: non era abituato a ferite simili, non era abituato a ferite inattese. Suo padre l’aveva picchiato più di una volta da bambino, ma la sofferenza per quella violenza era diventata tale da renderla un’abitudine, un qualcosa di usuale e ormai inefficace, un qualcosa che i piccoli grifondoro potevano paragonare alla carezza materna prima della buona notte, forse. Ma lui non aveva mai avuto un genitore tanto affettuoso: l’educazione a Malfoy Manor era impartita con una frusta, ogni trasgressione punita, ogni disobbedienza estirpata. Non c’era modo di sfuggire ad un simile regime, e neppure c’era modo di dimenticarsene, come un brutto ricordo d’infanzia: ci sono cose che rimangono indelebili non solo sulla pelle ma anche nel cuore. Lucius Malfoy era stato un esperto, in quel campo.

Caddè in ginocchio, reggendosi la spalla ferita e sentendo il caldo del sangue scendergli lungo la mano sana, inzuppargli i vestiti e cadere con goccioline pesanti sul pavimento. Gemette ancora, tentando di afferrare il corpo estraneo per estrarlo, rendendosi conto solo allora che la lama era tagliente, molto, e che ogni tentativo di toccarla corrispondeva ad un ennesimo dolore.

«Rinuncia, rinuncia e farò cessare tutto.» «No.»

L’ennesimo sorriso sul volto del suo carnefice, l’ennesimo sibilo, solo che stavolta, la spada gemella si conficcò esattamente in parallelo, nella coscia sinistra, provocando l’ennesima ondata di dolore e un altro grido disumano. Faceva ancora più male. Era come se migliaia di torture tutte insieme avessero cominciato a prenderlo nei punti in cui le spade avevano toccato la sua pelle, era come se milioni e milioni di incantesimi Crucio fossero stati lanciati e lanciati e lanciati ancora, fino a creare un Incanto più potente, talmente crudele da rendere la tortura un semplice scherzetto. Imprecò, tentando di aprire gli occhi, l’ostinazione e la determinazione vive più che mai nel suo sguardo. Gonos rideva, dall’alto della sua pozione, mentre osservava la sua preda contorcersi nel dolore dell’impotenza, nella sofferenza dell’agonia. Era un divertimento, per lui. Un qualcosa di cui vantarsi.

«Rinuncia. – ripetè, con un sorriso di scherno – Rinuncia e farò cessare tutto. La tua parola, non voglio altro.» «Mai.»

Ancora non si era reso conto che, da quando era apparsa la prima lama, Hermione era rimasta in silenzio: non un grido, non un lamento, aveva temuto che la sua tortura le fosse stata risparmiata ma solo per una fine peggiore. Si accorse di essere in errore quando la spada numero tre si conficcò in linea con le altre due, stavolta all’altezza dello stomaco. Tossì sangue,  non riuscendo a distinguere più molto bene i confini nitidi di quello che gli stava intorno.

Il sangue che gocciolava continuava a cadere, unito e mischiato alle lacrime, copiose, che avevano iniziato a scendere senza un ordine. Hermione gridò, e gli lacerò il petto sentire quell’urlo, più doloroso di quanto  non fossero tre spade conficcate nel suo corpo in quel preciso momento.

«Basta! Lo stai uccidendo non  vedi? Fermati!» Provò ad alzarsi ma, ancora troppo debole, il peso del suo corpo piegò la sua caviglia e la fece ripiombare a terra con un tonfo. Alzò lo sguardo, fiera come una leonessa, e Draco fu certo che, se l’avesse vista in quello stato altrove, lontano da quella missione suicida, ne sarebbe stato ammirato, innamorato persino. Ma erano lì, e non c’era nulla di romantico.

«Quando mi dirà di si, mi fermerò.» «Vai al diavolo.»
Un insulto spontaneo, partito senza nemmeno essere programmato. Un'altra spada, nella spalla destra stavolta, mentre un’altra già era pronta e mirava alla seconda della sua gambe. Non riusciva più a capire nulla. Le grida disperate che udiva non sapeva dire con esattezza se appartenessero e lui o alla Granger, se fosse lui quello che gridava o se fosse la sua pelle o se fosse la ragazza alle sue spalle. Non c’era nulla da capire, al di fuori del dolore e del mondo senza di esso. Non riusciva a ricordare di essersi mai trovato altrove, in un posto dove la sua carne non veniva dilaniata da mille e mille mastini infernali, dove il suo sangue non scorreva come fiumi di miele e le sue lacrime non sostituivano le nuvole di pioggia. Ora c’era il dolore e lui era lì. E la ragione, il senso dei suoi stessi pensieri, nulla era più normale, non esisteva più.

«O mi prometti, mi dai la tua parola.. che smetterai di cercare, Draco, o posso andar avanti.. per molto, molto tempo ancora. Non ho fretta. E’ il tempo che comanda qui, quindi io. Non credi di dover cedere ormai?»

«Lascialo! Lascialo, per favore!» Fin dal momento in cui Draco era stato colpito dal primo colpo, la mora era rimasta paralizzata: era stata la sua reazione, non la più logica e neppure la più saggia, ma l’unica che fosse riuscita ad avere. Era abituata ad agire, lei, ad essere la soluzione di ogni problema e di ogni impiccio, la mente migliore per ogni indovinello e la più accorta in ogni pericolo. Adesso, invece, si sentiva inutile e, al posto di reagire, il suo cervello aveva elaborato già tutte le possibili teorie nello stesso istante in cui Draco si era accasciato: i dati erano pochi, facilmente comprensibili.

Era senza bacchetta, non poteva muoversi. Il Guardiano aveva parlato con lei, aveva scoperto di lei quel che gli bastava per atterrarla con una sola parola. L’aveva manipolata nella sua gabbia di inganni e l’aveva usata, come si fa con una pedina inutile in una partita di scacchi molto importante: una volta che sai di vincere, sacrifichi quel che vuoi, pur di avere la vittoria in tasca.
La razionalità le aveva anche mostrato come la situazione fosse gravemente insuperabile e, quindi, piuttosto che reagire, la sua paura e la sua angoscia si erano attorcigliate in lei come un involucro, in cui a gridare era la sua mente, non la sua bocca. Ma nessuna barriera è eterna. Era crollata dopo un po’. Aveva finito con il reagire alla eraltà, riprendendo possesso di se stessa e delle sue percezioni.

Pensa, Hermione, pensa a qualcosa..Ma non c’era nulla a cui potesse aggrapparsi, non lì, non in quello stato, non in quel mondo di terrore e di impotenza in cui la sua mano senza bacchetta non era nemmeno in grado di alzarsi, in confronto alle lame e al potere che adesso il Guardiano stava utilizzando. Il potere dà potere, non c’è altra possibile via di scampo, e lei non aveva né il modo di difendersi e neppure di attaccare. Era inerme. E Draco, figuriamoci! La sua ostinazione e il suo orgoglio l’avrebbero portato alla morte, piuttosto, non si sarebbe mai piegato alle richieste di Gonos, e l’aveva capito fin da quando il barlume di sfida si era acceso nei suoi occhi: non avrebbe mollato, né ora né tra altre 10 spade conficcate nella sua carne.
Peggio ancora, si scoprì ad essere preoccupata per lui. Non solo era impossibilitata dalla sua caviglia, non solo non aveva con sé la magia, ma oltretutto non era neppure di svolgere degnamente il lavoro affidatole. Perché, questo sì, era vero, lei si trovava lì per un incarico preciso, lo stesso per cui Malfoy l’aveva tolta dal sudicio posto in cui si trovava, attorcigliata su di un palo e mezza nuda. Le aveva chiesto di proteggerlo, di aiutarlo, mentre in cambio le avrebbe offerto tutto il denaro necessario per riavere la sua posizione, nel mondo magico e nella sua vita. Lei aveva accettato, spinta dallo spirito di autoconservazione, dal folle desiderio di avere una vita normale con Ron e di riavere la propria posizione privilegiata al Ministero. Beh, Ron era caduto proprio in basso, quindi quel lavoro adesso era un tentativo di riconquistare quanto ancora le restasse della sua vita, quanto ancora potesse goderne. Senza contare, poi, che la Manor era un luogo confortevole in cui vivere, anche se sapeva con certezza di doverlo lasciare, un giorno. E poi, come se tutto questo ancora non bastasse, ora, guardando il giovane biondo contorcersi per terra, inspiegabilmente, sentiva un fortissimo desiderio di proteggerlo. Un desiderio che tuttavia non nasceva da essere umano, come se fosse il suo spirito caritatevole a spingerla a quei pensieri, ma nasceva all’altezza dello stomaco e pericolosamente vicina al petto. Stava soffrendo con Draco, nel vederlo in agonia, perché si preoccupava seriamente per lui. Non era sicuramente un qualcosa di cui si era mai resa conto ma, adesso, lo sentiva bene quanto non mai. Ci teneva a lui, e non capiva nemmeno come fosse riuscita ad arrivare ad una simile conclusione.

Strinse i pugni, serrandoli e cercando di trattenere le lacrime, mentre ancora una voltasi sforzava alla ricerca di una soluzione. E poi, quando la sesta spada gli si conficcò nel torace e il suo corpo si afflosciò per terra, tanto da dargli il pallore di un morto, la ragazza non si trattenne più.

«Lo farò io! – urlò disperata – Lascialo e ti prometto che non cercherà più nulla. Fermati!»
La figura, con uno scatto fulmineo, si voltò verso di lei, osservandola da dietro la maschera con intensità e particolare attenzione. La raggiunse, con passi lenti e misurati e si chinò alla sua altezza, trovandosi talmente vicino a lei e incutendole tanto di quel terrore da farla subito pentire di aver parlato. La ragazza ammutolì.

«Le promesse vanno mantenute, signorina. Se hai promesso oggi, non puoi mancare alla tua parola domani. Sta a te trattenere il giovane Draco dalla sua folle ricerca insensata.. oppure a pagare per le sue colpe sarai tu. Sta a te ora. – si alzò, voltandosi, per poi schioccare le dita – Ecco, adesso la magia che vi imprigionava in questo luogo non c’è più. Puoi riprendere la tua bacchetta.. anche se, ti avverto, non tentare.. nulla.. di stupidamente inutile. Non puoi ferirmi e non tentare di provarci.. altrimenti.. non sarò più tanto clemente.»

La ragazza ammutolì, sentendo quella sorta di imposizione, quella sorta di sigillo di promessa che gravava su di lei: non esistevano pegni che non andassero pagati, un giorno, e lei aveva la terribile sensazione di essersene appena addossato uno. Fece scivolare la mano nella tasca, senza staccare gli occhi di dosso alla figura, ancora di spalle, e fece una mossa decisa con la bacchetta, sorprendendosi nello scoprire che Gonos aveva detto la verità: Draco si sollevò a qualche centimetro da terra, fluttuando verso di lei. Le spade erano miracolosamente scomparse, senza che lei avesse avuto il tempo di accorgersene, ma le ferite erano ancora vivide e sanguinanti, tutt’altro che rimarginate. Il suo corpo atterrò accanto a lei, il tempo necessario di esaminare il suo corpo e rendersi conto che doveva portarlo subito via di lì, prima che fosse troppo tardi.. Se già non è tardi.. è ridotto troppo male per farcela. Stupido Draco!

Guardò con odio la figura che non la stava guardando, immobile nel suo ghigno di trionfo, e la traiettoria del suo sguardo notò la boccetta che Draco non era riuscito a prendere, prima di essere trafitto e torturato. Invano, erano venuti lì invano. Se avesse tentato di prenderla adesso il Guardiano l’avrebbe bloccata, uccisa e con lei sarebbe morta anche l’unica possibilità di Malfoy di.. Malfoy, ma certo! Quella bastarda di sua zia, molti anni prima, aveva ucciso il povero Dobby lanciando nel vortice della loro materializzazione congiunta un coltello. Era questione di attimi, poteva ancora averla vinta, poteva ancora prendere quello per cui erano venuti. Draco non poteva aver sofferto invano, non poteva tornare a mani vuote.

Pregando che funzionasse, cominciò a vorticare su se stessa, un braccio arrotolato al gomito del biondo sanguinante, l’altro che faceva roteare alla velocità della luce la bacchetta, mentre la fiala saettava dal piedistallo verso di lei. Ebbe soltanto uno scorcio della mascherata di odio puro e di terrore che le indirizzò Gonos, probabilmente stupito dal fatto che le sue minacce non avessero avuto effetto.

«Tu non sai in che guaio ti sei messa, Hermione Granger!!! La mia sarà soltanto la prima delle promesse che infrangerai. Morirai per le tue mancanze..»

La terribile voce risuonò nella sua mente, ne fu sicura, perché quando aprì gli occhi si rese conto di trovarsi a Malfoy Manor, esattamente dove avrebbe desiderato essere. Chiamò con un grido Zabini, sperando che non fosse uscito o non si fosse rintanato in camera con Ginny, che sarebbe stata decisamente la meno adatta a trovare Draco in quelle condizioni. Per fortuna – o forse no – Zabini era in casa, in compagnia di un’altra donna stavolta.

Accorse in corridoio, restando orripilato alla vista dell’amico, squarciato e ricoperto di sangue. «Ma che..?»

«Non.. c’è.. tempo.. – ansimò Hermione, scossa da brividi e da singhiozzi – Devi.. deve.. sta morendo!!!»
Senza ulteriori indugi, come se quell’unica frase potesse bastare a cancellare qualsiasi dubbio e a rimandare le domande ad un altro momento, in giovane scuro prese il corpo dell’amico, guardando in modo interrogativo la ragazza che aveva accanto. La bionda, che solo allora Hermione si accorse essere bellissima, assomigliava molto ad una ragazza che aveva conosciuto un tempo, ma non riusciva a ricollegare quei lineamenti bellissimi a nessun nome preciso. Chi era costei?

«Di sopra, in camera sua. Posso prendere quello che mi serve dal mio kit.. porto sempre qualcosa con me, in caso di necessità.. potrei fermare l’emorragia e forse.. salvargli la vita. Forza, sbrigati. – quindi rivolse lo sguardo verso Hermione, ancora appollaiata per terra – Se devo curarlo, devo sapere cosa l’ha ferito.» La sua voce non era né gentile e neppure amichevole, ma non era al contempo neanche ostile. Era una voce professionale, controllata, da Medimago, capì la Gryffindor, che doveva essere proprio quello che era.

«Spade.. sei spade l’hanno trafitto. Era.. era un luogo.. senza magia.. non ha potuto difendersi e.. e..»

«Perfetto. – annuì lei, prendendola per le spalle – Quanto tempo è passato dalla prima ferita. Concentrati, Hermione, è importante.»

Come diamine faceva a conoscerla? Allora non si era sbagliata, nel pensare di conoscerla a sua volta. «Mezz’ora al massimo. Non di più. Appena ho potuto.. l’ho portato qui.»
La bionda annuì. Alzandosi subito in piedi, per poi appellare con un cenno della bacchetta la sua borsa dal salotto e correre veloce per le scale verso il piano di sopra. Hermione non ebbe il coraggio di alzarsi, e in verità non ne ebbe neppure la forza, rimanendo semplicemente lì, ancora sporca di sangue non suo e con in mano una bacchetta e una fiala che, nella confusione, si era addirittura dimenticata di avere. La posò all’interno della tasca del pantalone, sperando di poterla riporre al sicuro una volta che Draco le avesse detto dove.. certo, sempre se si fosse svegliato.

«Ok, ora Granger mi dici che è successo.» – asserì brusco Zabini, tirandola in piedi per le spalle e poi mollando la presa. Incapace di reggersi, la mora fece una buffa mossa nel futile tentativo di non cadere prima che Blaise, resosi conto del fatto che doveva avere una qualche ferita anche lei, la bloccasse di nuovo e la tenesse in piedi. «Nemmeno tu stai bene come credevo.. almeno non sei stata aperta in due. Allora che è successo? Perché è ridotto in quello stato?»
La fece accomodare su uno degli sgabelli in cucina, evocando un bicchier d’acqua: da dove quest’improvvisa gentilezza? La ragazza ne bevve un sorso, prima di tossire forte perché il liquido le era andato di traverso e quindi rinunciò a berne altro. «Draco sta.. bene?» Fu la domanda più ingenua che potesse fare ma era l’unica della quale, al momento, le premesse sapere la risposta.

La scrollata di spalle e la maschella rigida furono una risposta eloquente. «Dimmelo tu. Ritorni con Draco grondante di sangue, con ferite che sembrano grandi quando bolidi e vuoi sapere se starà bene? Che stavate facendo, Granger? Dimmelo!»

«Non intendo dirti cose che, se l’avesse voluto, Draco ti avrebbe riferito.»

Lo sguardo nel suo interlocutore si assottigliò. «Non mi inganni. So che dev’esserci un motivo se ti ha permesso di stare qui, un motivo se bisbigliate quando crediate che non vi senta. C’è sotto qualcosa e scoprirò cos’è.»

«Fallo. – sputò lei, alzando a propria volta lo sguardo – Voglio proprio vedere cosa farà Malfoy scoprendoti a ficcare il naso nei suoi affari. Affari che non ti riguardano, Zabini.» Le ultime parole furono davvero minacciose, tanto che il petto del ragazzo si era gonfiato a tal punto da rischiare di scatenare una lite, se solo la ragazza bionda non fosse intervenuta, entrando in cucina.

Era coperta di sangue, i capelli biondi, perfettamente sistemati fino a qualche minuto prima, erano decisamente meno ordinati. Li squadrò, indecisa se intervenire nella discussione o semplicemente andarsene. Optò per l’analisi della situazione di Draco, che sicuramente avrebbe sortito l’effetto desiderato: quello di farli stare zitti e, per ora, incolumi. «Aveva sei ferite profonde, che l’avevano passato da parte a parte. Gli ho rimarginato le ferite e l’emorragia si sta pian piano fermando. Gli ho anche somministrato il Rimpolpasangue, in modo che il suo pallore da Inferus diminuisse almeno un po’.. per farlo tornare al pallore Malfoy, che è decisamente meglio.»

«Starà bene?» - le voci dei due si contrapposero.

«Non lo so. Comunque, Blaise, meglio se vai a dargli un’occhiata. Io mi occupo di lei, dato che sicuramente non è in condizioni migliori.»

«Se succede qualcosa a Draco ce la riduco io, questa mezzosangue, a condizioni peggiori.» Borbottando fra sé, insulti e imprecazioni varie, Blaise salì le scale e scomparve nella stanza di Draco, intenzionato a prendersi cura dell’amico e ad aiutarlo in ogni modo possibile.

«Ho notato che non ti sei alzata.. Problemi alla caviglia?» «Nulla di grave.»

La verità era che, se fosse stata in una condizione psicologica leggermente diversa, sarebbe stata perfettamente in grado di guarirsi da sola, perfino di guarire Draco, per sommi capi. Ma non così, non in quello stato. La bionda si limitò a sorridere con un’alzata di spalle, preferendo lasciare l’orgoglio della Gryffindor lontano dalla propria competenza. Si voltò per tornare dall’amico, quando la voce della strega seduta la bloccò.

«Perché tu ti ricordi di me? Io non mi ricordo di conoscerti, o meglio non so.. chi sei?»

La bionda si voltò con un sorriso più furbo e malizioso, stavolta. «Daphne Greengrass.»
 


Note dell’autrice ù.u

Scommetto che siete tutti qui con i forconi puntati contro di me ma, vi giuro, non è stata colpa mia. O, meglio, lo è stata, ma a tratti. L’ultimo anno delle superiori è un po’ un suicidio e sto cercando davvero di non morire prima di aver completato gli studi, sapete? Così ho preso una decisione.. decisiva xD Si, so che suona strano, ma credo che ingannarvi e dire che posterò ogni settimana è inutile, perché sarebbe ingannarvi, quindi l’appuntamento sarà ogni due settimane e, nel caso in cui ci riesca, un po’ prima, ma almeno mai dopo. Così io sto più tranquilla e anche voi non dovrete dirmi che vi ho raggirati con false promesse.

Detto questo, passiamo al capitolo. Daphne *-* ah io la adoro e, anche se è appena arrivata, sono certa che l’adorerete anche voi. E’ bella è giovane, forte e indipendente, è qualcosa di particolarmente vicino ad una migliore amica per Draco ma, per certi versi, anche diversa perché rappresenta per lui di più, molto di più. Lei è sostanzialmente una purosangue, è vero, ma nei suoi atteggiamenti non c’è quell’altezzosità tipica delle Serpi o delle famiglia aristocratiche del Mondo Magico. Forse un tempo, ma non più. E’ una medimaga, professione che credo le si addica, anche se ancora devo decidere se farle fare la crocerossina con Draco o lasciare ad Herm quest’incombenza.. è comunque sicuro che sarà quel genere di personaggio che difficilmente non si può non amare *-* io infatti già la adoro. Quello che però mi preoccupa è che, di solito, questi personaggi fanno tutti una brutta fine -.- spero che il mio cervello non partorisca nulla che implichi una sua prematura scomparsa, anche se.. oddio, no! Mi rifiuto di pensarci xD

Draco ed Hermione diciamo che non stanno facendo passi avanti. O, meglio, stanno andando avanti ma snza smuoversi da dove sono sempre stati, come se l’avvicinarsi rappresentasse allontanarsi da quello che sono. Certo, Hermione paralizzata dal dolore, che ci mette trent’anni prima di cominciare a urlare, è significativo: l’avete mai vista talmente paralizzata per qualcosa, in una situazione di pericolo, se non per la spaccatura di Ron nel settimo libro? Beh, è più o meno la stessa cosa, solo che ancora lei non lo sa! E certamente, quando affronta poi Zabini, riesce a riprendersi in fretta, ritornando sulla difensiva e sulle sue posizioni. Da notare, però, che pian piano sta cominciando a difendere Draco e la sua missione non più solo per i soldi o perché ne fa parte, ma perché lo fa per difendere lui, in primis. E questo ci piace <3

Con ciò, scusandomi infinitamente delle recensioni a cui provvederò a rispondere oggi stesso, un abbraccio enorme.

Grazie mille a tutti voi, e buon Carnevale e festa della Donna ^^

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Capitolo 9
*** a Way of not Return ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo VIII:

a Way of not Return
 

Se la convivenza con Zabini si era rivelata impossibile, quella con Daphne fu insopportabile. Poco prima di finire trafitto da lame d’acciaio incantate, come Daphne le aveva spiegato in uno delle rare occasioni in cui le aveva rivolto la parola, Draco le aveva parlato di una ragazza dolce, gentile, la sua migliore amica, con una situazione familiare difficile e un amore impossibile per cui lottare; malgrado non si fossero mai particolarmente sopportate, Daphne non era mai stata al centro dell’azione delle Serpi: era sempre stata riservata, poco attiva, decisamente poco incline all’azione, e da qui era anche chiaro il perché non fosse riuscita a riconoscerla fin dall’inizio. Ma non spiegava il resto. Quando la bionda non le rivolgeva la parola, la squadrava con occhi indagatori, senza ostilità ma con quel non so chè di intimidatorio, che le faceva venire la pelle d’oca e la voglia improvvisa di evadere dalla stanza in cui entrambe si trovavano. Senza contare poi, ovviamente, la terribile bellezza con cui doveva reggere il confronto.

Da quando erano tornati dalla caverna, più della preoccupazione per lo stato di salute del giovane Malfoy, un’altra preoccupazione era diventata assillante e riguardava propriamente i suoi sentimenti verso il diretto interessato. Non era mai stata brava in quelle questioni. Era brava a gestire le relazioni, brava a mantenere alto il reciproco rispetto e l’affetto, brava anche a letto – da quel poco che ovviamente era riuscita a capire da Ron – ma quello in cui era una frana era proprio l’inizio di un rapporto: per mettersi con Ron le ci erano voluti qualcosa come sette anni, mese più mese meno, ed era stata la storia più duratura di tutta la sua vita. Era innamorata di lui da almeno due anni, all’epoca, eppure non aveva mai detto niente. Paura? Confusione? Era tutto un insieme di fattori che, alla fine, le aveva impedito di fare un qualsiasi passo. Non voleva nemmeno pensare ad aspettare due anni, nemmeno due mesi, stavolta, quindi figuriamoci! Era cresciuta e con la maturità della mente aveva capito anche quanto fossero inutili certi romanticismi. Se si desidera una cosa bisogna prendersela, senza indugi e senza troppi giri di parole, altrimenti si finisce con il dimenticare il vero motivo del desiderio e ad esaurirlo del tutto ancor prima di averne goduto. E quindi, proprio per questo, la bellezza estasiante della bionda le dava sui nervi. Era alta, poco più di lei ma comunque più alta di lei. Aveva una pelle candida, bianca, liscia e priva di qualsivoglia imperfezione. Gli occhi erano di una particolare tonalità azzurra che sfumava nel grigio, occhi magnetici e determinati. La bocca era perfetta, con delle labbra rosee e delicate. A ciò, come se non bastasse, si aggiungeva il fatto che lei e Blaise erano pappa e ciccia: chiacchieravano, ridevano, sembravano proprio contenti di essersi ritrovati. Però, a differenza del moro e antipatico Zabini, lei non le gettava occhiate disgustate o faceva battutine squallide e, certe volte, proprio cattive. Si limitava ad ignorarla e, quel silenzio, lo sapeva bene, valeva più di mille parole.

Poi, come se nulla fosse, la ragazza era semplicemente andata via, salutandola con cortesia e senza perdersi in mille spiegazioni. «Draco sta semplicemente meglio.. – le aveva spiegato Zabini, ridendo della sua faccia sorpresa – E lei.. come dire.. tornerà presto, almeno spero. Sai che noia io e te qui.. da soli?»

«Devo ricordarti che questa casa ha un proprietario? – ribattè con freddezza eppure con una nota evidente di sarcasmo la ragazza, le braccia incrociate sul petto – E se sta meglio ritornerà presto alle sue occupazioni abituali, tra cui girovagare per casa, lasciando a me e te pochissimo tempo per.. come si dice? Avadakedavrizzarci?»

«Certo, Granger.. come ti pare.» Aveva finito di ridere e si era allontanato, senza tante cerimonie. Si, perché restava di fatto che, in tutta la lunga convalescenza che era durata tre giorni buoni, lei non aveva visto Draco nemmeno per un attimo. All’inizio perché Daphne insisteva che il giovane necessitava di assoluta calma per guarire, poi aveva avuto bisogno di dormire e riprendersi e infine, quando sembrava stare meglio, non aveva chiesto di lei. Più semplicemente: non voleva vederla.

Aveva fatto finta di non pensarci troppo, usando la Jacuzzi più del necessario e facendo salire i nervi a fior di pelle a Blaise, che addirittura aveva fatto saltare la porta del bagno con un Bombarda, tanto l’aveva fatto incavolare. In tutta risposta lei l’aveva schiantato e aveva rafforzato la porta perché una cosa simile non potesse succedere mai più. Sembrava un campo di battaglia, quella casa, senza Draco a fare da paciere, e dato che ancora non sapeva quali fossero le sue condizioni, non poteva nemmeno prevedere quando sarebbe finito tutto quel trambusto.

Poi, un giorno, mentre era a mollo nell’acqua calda della vasca, Zabini venne nuovamente ad importunarla, stavolta guardandosi bene dal bussare prima di buttare giù la porta.

«Granger esci, subito.»

Lei rise, battendo forte le mani e facendo schizzare la spuma dappertutto. «Smettila di farmi ridere. Zabini. Lo sai che non uscirò di qui per un bel pezzo, e poi tu stai bene come stai, pulito e profumato.»

«Esci, ho detto.»

«Non ci si comporta così con una signora.. non te l’ha insegnato la mamma? Devi darmi la precedenza. Quando avrò finito io, il bagno sarà tutto tuo.»

«Non me ne frega proprio niente del bagno, ragazzina. – disse lui, evidentemente già alterato di suo – Volevo solo dirti che Draco ha chiesto di te. Quindi sbrigati.. e magari la sorte mi assisterà a deciderà di cacciarti di casa per aver tentato di ucciderlo..»

«Come osi! – s’indignò lei, balzando fuori dalla vasca e cominciando energicamente a strofinare l’asciugamano pulito sul proprio corpo, bagnato e pieno di schiuma – Io non ho tentato di ucciderlo! Come ti salta in mente!»

Ma il ragazzo se n’era già andato, probabilmente contento già dal solo aver provocato una reazione vicina alla rabbia in quel corpo insensibile che apparteneva alla Gryffindor. Si divertiva a litigare con lei, era un osso duro. E poi, anche se non l’avrebbe mai ammesso in presenza di alcun essere vivente o non-vivente, ormai si era abituato ad averla per casa, sempre così attiva e piena di vita, sempre pronta a raccogliere qualsiasi guanto di sfida lui le lanciasse. Con questo non intendeva dire che gli fosse simpatica, per carità! Lui e la Granger sarebbero diventati amici quando fosse stato distrutto l’ultima pietra fondante di Hogwarts, il che ovviamente prevedeva una scadenza a lungo termine. Però stava diventando una bella alternativa alle giornate in cui non aveva allenamento e in cui Ginny non era disponibile ad alleviare la sua noia.

Però le condizioni di Draco e il fatto che la Granger, rispetto a lui, non avesse avuto altro che una slogatura alla caviglia, guarita con maestria da Daphne in un colpo di bacchetta, l’aveva seriamente preoccupato. Draco non era il tipo che si fa prendere alla sprovvista, non è un idiota, ci sa fare, sia di bacchetta che di cervello, e il fatto che si fosse trovato ad un passo dalla morte rendeva evidente che, qualsiasi cosa stesse facendo, era pericolosa, mortalmente pericolosa. Se poi si aggiungeva il fatto che l’unica che fosse con lui era proprio lei, una Gryffindor amica di Potter e di Weasley, non era difficile immaginare la dinamica dei fatti. Daphne gli aveva assicurato, tuttavia, che le spade che aveva ferito l’amico erano intinse di Magia Oscura, potente, molto pericolosa. Potty e quell’altro suo amico Rosso non erano certo adatti a simili magie, andava contro la loro etica e la loro morale. Ecco perché erano stati sempre così deboli mentre il Signore Oscuro era stato potente: un pazzo, ovvio, che poteva ottenere tutto quel che voleva con decisamente meno scalpore e quindi non lasciarsi uccidere come un cretino da un ragazzino diciassettenne, ma comunque potente.
E quindi il dilemma restava intatto: cosa facevano quei due, da soli, in una situazione mortalmente pericolosa? Qual’era questa situazione? E perché Draco aveva deciso di portarsi dietro la Granger, senza coinvolgere lui, il suo migliore amico? Non aveva risposto a nessuna delle sue domande, quando aveva tentato di scoprire qualcosa, in quei giorni, e neppure aveva voluto dire nulla a Daphne. Aveva liquidato il tutto con il suo solito “..dovete fidarvi di me.”, stile Malfoy Senior. Più cresceva e più fisicamente finiva con l’assomigliare al padre, anche se di carattere non reggeva paragoni con nessun Malfoy: aveva un cuore Black nelle vene, quello di sua madre, anche di sua zia a tratti, anche se senza la sadica persecuzione e l’amore per la tortura, che erano esclusi dal pacchetto.

Hermione si vestì in tutta fretta, mettendosi addosso la solita tuta che portava per casa, con una canottiera aderente bianca da sotto,a  ricoprire il busto snello e la pancia priva di qualsiasi imperfezione. I capelli, ancora bagnati sulle spalle: non era una serata galante, si trattava di scoprire perché Draco stesse male. Doveva chiedergli parecchie cose, tanto che era arrivata a prepararsi un discorso mentale quando e se ci fosse stata occasione di parlare con lui a quattrocchi. Indugiò davanti alla porta della sua stanza, prima di bussare piano e sentire la sua voce, solida e forte, nulla a che vedere con i flebili lamenti dell’ultima volta che l’aveva visto. «Entra.»

Non era mai stata nella camera di Draco. Era uno stanzone molto ampio, con due finestre lunghe chiuse da pesanti tendaggi grigi e neri, con venature blu e argento all’interno. Il letto era posizionato distante dalla parete, con un baldacchino a farvi da cornice e due comodini ai lati. Dietro il letto c’era una grossa libreria, ricolma di libri più o meno vecchi, fra i quali scorse addirittura qualche titolo babbano. Il televisore a schermo piatto si trovava appeso ad una parete, accanto a tanti quadri, più o meno piccoli, che la guardavano con sospetto, persino astio. Notò, fra tutti, una donna particolarmente bella, con un volto delicato e tenue. Narcissa Malfoy non aveva il marito vicino a lei, e senza quella presenza intimidatoria accanto, sembrava quasi un angelo, con quei lisci capelli biondi, sciolti sulle spalle, e un abito da strega del secolo passato. Di certo, fosse stata babbana, molti pittori rinascimentali avrebbero fatto a gara per dipingerla.

«Non è mia madre.» La voce del giovane la costrinse a smettere di osservare la stanza con curiosità e puntare gli occhi sul suo proprietario, seduto a letto, con i cuscini dietro la nuca e una tazza di caffè fumante in mano, probabilmente portatogli da un elfo domestico. Non aveva il volto pallido e anche i bendaggi non sembravano tanto stretti, da quel che riusciva a vedere: era a torso nudo, con le bende ancora leggermente macchiate di cremisi a fasciargli le spalle e il petto. Le sorrise, continuando la spiegazione e ignorando lo sguardo sorpreso della giovane strega. «Era un’antenata di mia madre, Callista Black. Quel quadro glielo fece un suo amante italiano, credo, si chiamasse Raffaello. La mia antenata aveva avuto un matrimonio facoltoso ma infelice e si concedeva, di tanto in tanto, quando il marito giaceva a letto rigorosamente addormentato, a piccole gioie. Era così bella che nessuno restava indenne al suo fascino..»

Si soffermò, non intendendo continuare, ma Hermione era rimasta troppo curiosa.«Cosa accadde.. poi?» - chiese avida di informazioni, avvicinandosi al letto. Il giovane fu sorpreso da quella domanda, forse perché nessuno gliel’aveva mai posta prima o forse perché, semplicemente, non riteneva la storia dei suoi vecchi antenati così importante. Però la accontentò.

«Ebbe tre figli dal suo legittimo marito e, benché non lo amasse, il fatto che fosse bella e desiderata da tutti la stancò. Preferì restare con la sua famiglia, occupandosi dei figli e dividendo una vita felice con un uomo che, in verità, non ha mai amato. Ma non ne soffrì, Callista.. il suo diario..»
«Hai un diario? Un suo diario?» Il solito atteggiamento da maestrina e piccola studentessa avida d’informazioni venne fuori, non appena l’argomento la interessò al punto da superare il proprio orgoglio e chiederlo. Poi, rendendosi conto di essere sta inopportuna tacque, mordendosi il labbro. «Scusami, io..»

Ma il giovane mago fece soltanto in tempo a muovere la bacchetta, appellando un libro da uno degli scaffali sopra la sua testa, cosichè il libro si posò sulle mani di Hermione, che nel frattempo le aveva aperte per un riflesso involontario. Era un libro di pelle rossa, quasi marrone ormai, molto vecchio e molto bello, con un odore di vecchio che si mischiava a quello di pergamena e inchiostro antichi. Sorrise, sentendone la ruvidezza sotto le dita e alzò lo sguardo per ringraziare il giovane, trovandolo incredibilmente serio. «Il quadro è qui non soltanto perché era molto caro a mia madre ma anche per ricordarmi che, malgrado quelli che sono i nostri sogni, spesso dobbiamo scegliere quello che è giusto fare a discapito dei nostri desideri.»

Stava parlando sul serio, capì la mora, e si permise di sedersi su uno dei bordi del letto, né troppo vicina né troppo lontana dal biondo, che ora la stava squadrando, con quel terribile modo indagatore con cui era solita guardarla Daphne, che la mise subito a disagio. Si spostò leggermente più lontano, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ti sarai chiesta, immagino, perché non ho voluto vederti in questi giorni.. Daphne ha detto che le sei parsa preoccupata. Ma avevo le mie ragioni..»

«Certo – ribattè lei, pronta finalmente a dire quello che aveva taciuto per quasi una settimana – Quelle stesse ragioni che ti hanno portato quasi fino in braccio alla morte. Sei quasi morto, Malfoy..»

«Draco. – la corresse lui, quasi con stizza, per una cosa che non gli aveva mai dato fastidio, l’essere chiamato con il proprio cognome – Chiamami, Draco, per favore. E comunque si, anche per quello c’è una ragione. E per giorni ho dubitato che fosse la ragione sbagliata per questo non volevo vederti, non volevo che le tue parole influenzassero in alcun modo la mia decisione. Ed ho deciso.. – la guardò di sottecchi - ..non intendo smettere di cercare le fiale, intendo trovarle tutte e portare a termine il fine che mi sono prefissato.»

Certo che avrebbe portato a termine il suo obbiettivo, lui era un Malfoy, non guardava in faccia a niente e a nessuno. Cosa poteva farle credere che, soltanto perché a rischiare la vita era lei, gliene potesse fregare qualcosa di salvargliela? E poi perché si alterava tanto se, per tutta la sua vita, non l’aveva mai chiamato per nome? Il dolore doveva avergli fulminato qualche neurone o, più probabilmente, gli aveva dato una nuova visuale sulle cose. Si, ma quale delle due?

«E, ora che ho deciso, vorrei sapere cos’è accaduto dopo che sono svenuto.. o meglio, dopo che ho perso il ricordo di quello che mi stava accadendo intorno e ho cominciato ad essere più morto che vivo.»

La mora alzò lo sguardo, fissato su una piega del lenzuolo per tutta la durata delle parole dello Slytherin. «Come? – chiese quasi ingenuamente – Che vuoi dire? Cosa, di preciso, non ricordi?»

«Ricordo.. le spade.. ricordo le prime.. tre, credo, spade. Ricordo che prima c’era stato un silenzio spezzato solo dalle mie urla e dalla risata di Gonos, finchè anche tu non hai cominciato ad urlare..» Hermione inspirò l’aria, bruscamente, prima che il giovane proseguisse. «Poi è tutto confuso, non ricordo né come è finita la tortura né il perché e non so nemmeno.. la fiala, l’ho presa? Come siamo scappati da lì senza magia? Blaise e Daphne erano tanto curiosi di sapere quando io stesso, in fondo non sapevo nulla.. e per saperlo dovevo vedere te.. ma dovevo anche decidere, quindi.. eccoci. Voglio sapere tutto.»

 La ragazza, che tutto si era aspettata tranne quello, lo fissò indecisa. Il discorso che si era preparata non reggeva il confronto con quello che Draco, ora, le stava chiedendo. La sua titubanza, quindi era stata dettata dal voler prendere una decisione, che fosse affine con l’esperienza vicino alla morte appena vissuta. Voleva decidere cosa fare e il miglior modo di farlo, lei non c’entrava nulla. Lei, che si era illusa che la sua riflessione la riguardasse in prima persona. Lei, che si era illusa si trattasse del peso che aveva preso sul proprio capo, decidendo di affidare la propria parola al giuramento di Gonos. Ci aveva pensato lei, eccome. Era la sua vita quella che, se ne rendeva conto, adesso era più in pericolo che mai, e aveva deciso di mettercela per qualcuno che, circa due mesi prima, non avrebbe degnato neanche di una parola gentile. Certo, certe esperienze finiscono con l’avvicinare le persone, ma non le esperienze mezzo ignote con persone mezzo odiate e per cose mezzo conosciute. Metà e metà e metà di un intero il cui complesso, ancora, non le era chiaro. Aveva affidato la sua vita alla morte, per Draco, perché? L’aveva protetto, aveva sentito di volerlo fare, perché? Aveva deciso di prendere la fiala, pur avendo milioni di ragioni per non farlo, perché? Perché, perché e ancora perché?

«Beh.. – cominciare dall’inizio era probabilmente la scelta migliore - ..Gonos continuava a colpirti, le spade fendevano l’aria con sibili minacciosi..»

«Non devi raccontarmi un poema epico.. Hermione.. – anche per lui, questa, era la prima volta che pronunciava il nome della Mezzosangue ad alta voce, e lei se ne accorse, perché si morse un labbro sorpresa, reazione che voleva limitare con ogni probabilità un gridolino di sorpresa o altro – Voglio soltanto sapere cos’è successo, ok?»

Lei mosse la testa in un segno affermativo, decisa a non mostrarsi debole dopo che il suo nome era stato pronunciato dalle sue labbra, facendolo stranamente sembrare come una carezza rivolta ad un amante, e continuò. «Insomma, le spade ti colpivano ad una ad una e Gonos continuava a chiedere sempre la stessa cosa. Voleva che gli promettessi di non cercare più le fiale, che gli promettessi di non continuare. Tu non eri intenzionato a dargli la tua parola, saresti morto piuttosto che accontentarlo e piegarti davanti a lui, non è così?» Era una domanda retorica, ma vide comunque il giovane inclinare il capo in avanti, in segno affermativo «Beh, la magia non ce l’avevo e la mia gamba non mi permetteva di muovermi. Ho fatto l’unica cosa che potesse salvarti..»

«Ovvero?»

«Gli.. gli ho detto che ti avrei impedito io di cercare le fiale restanti, e lui ti ha risparmiato la vita proprio per questo motivo. Subito dopo la magia.. puff, è ricomparsa e ho potuto riportarci qui. Ecco, è tutto.»

Aveva cercato di non gonfiare troppo il suo gesto, anche se capiva che Draco non si sarebbe lasciato giocare dalla sua prosa perfetta, avrebbe intuito in fretta che qualcosa non andava, o forse l’aveva già intuito e stava valutando la situazione. Un freddo e calcolatore Slytherin, cosa ci si poteva aspettare altro da lui? Hermione rimase comunque in silenzio, accarezzando la copertina del diario di Callista, appuntandosi mentalmente di iniziare a leggerlo non appena tornata in camera. Il giovane si sistemò meglio sui cuscini, tornando a guardarla.

«Tu.. hai promesso la tua vita in cambio della mia, l’ho capito, ma voglio che tu sappia che questo.. non.. cambia le cose.» Sapeva che lui l’avrebbe detto, era solo questione di tempo. Si era aspettata come minimo delle scuse, un ringraziamento magari, mentre lui adesso la stava osservando con distacco e le stava dicendo, tra le righe, che la ricerca aveva la priorità anche sulla sua vita, la sua vita. Una lieve speranza di riscatto, che aveva voluto vedere in Malfoy il giovane gentile e migliore, scomparve, si affievolì del tutto e si spense con un leggero schianto. No, non c’erano sentimenti che potessero legare il biondo ad una persona, a meno che non si trattasse di legami fisici o di interesse. Lei, per il momento, non costituiva nessuna delle due categorie, quindi era esclusa da qualsivoglia classifica, Non si era aspettata che potesse fare tanto male, eppure fu proprio così.

«Io.. non posso permettermi di indugiare, dove sono adesso. Voglio però.. voglio che tu però continui ad aiutarmi. Gestiremo Gonos in qualche modo, non gli permetterò di toccarti..»

La risata amara le sfuggì, anche se avrebbe preferito trattenerla e non dover dare così la spiegazione che, naturalmente, il giovane richiese. «Non puoi fermare qualcuno più potente di te, non puoi nemmeno separare di batterlo. Se io rimango al tuo fianco.. se.. ti aiuto.. finirei stecchita, per cosa? Un futuro con un ragazzo che ho lasciato? Del denaro con cui non saprei cosa fare?»

«Per la conoscenza.. perché quello che cerco potrebbe renderti..»

«Non rifilarmi cavolate! – sì’infervorò la mora, alzando si e avvicinandosi al giovane, per sovrastarlo dall’alto – Tu mi vuoi perché sono brava a salvarti le chiappe! Se si tratta della mia, di vita, non ci penseresti due volte a lasciarmi in pasto a qualsivoglia Guardiano per filare con la tua preziosa boccetta. E io non sono pronta a correre questo rischio per una persona.. per uno come.. per te!!! Insomma, Malfoy.. parliamoci chiaro.. sono qui per i soldi..»

«E’ davvero per questo che sei qui?» La domanda gli sfuggì spontanea, tanto che maledisse Daphne per avergli ficcato quel maledetto pensiero in testa. La bionda era sempre stata perspicace, in certe questioni, e da quando l’aveva curato gli aveva fatto numerose domande sulla Gryffindor, fino ad arrivare a formulare la sua ipotesi, quella secondo la quale tra lei e lui c’era una qualche sottospecie di connessione, contatto, che andava oltre il livello di conoscenti e amici, ma non a livello di amicizia o intesa, ad un livello che ancora nemmeno lei era riuscita a decifrare. E, peggio ancora, tanto per rassicurarlo, gli aveva detto chiaramente che la sua sfera mostrava lui e la Granger a letto nel giro di un mese. Maledetta Daphne e maledetta la divinazione!!! Lui era uno Slytherin. Lui era uno dei discendenti della nobilissima casata dei Black e primo erede purosangue di Lucius Malfoy, ultimo erede di una linea di sangue pura e nobile. Lui era Draco Malfoy, non erano per lui certe debolezze. Si affrettò a correggere l’erronea.. confessione, schiarendosi la voce.

«Perdonami, è la febbre a parlare. Comunque.. devo sapere alcune cose, potremo riparlare delle missioni quando mi sarò rimesso del tutto.. come vedi sono ancora in via di.. guarigione.. – non aspettò che lei gli facesse un cenno, semplicemente seguitò a parlare – Beh, Blaise e Daph mi hanno chiesto molto, sul come mi sono ferito e sul perché tu ti trovassi con me. Io ho saputo mentire, sono miei amici, so come gestirli. Ho bisogno di sapere cosa gli hai detto tu.»

Era un chiaro invito a smascherare la sua poca dedizione al suo incarico o solo una prova per testare la sua lealtà? «Non ho detto nulla a nessuno dei due. – riferì prontamente la giovane, senza però dimenticarsi della frase che lui si era lasciato scappare e che, di sicuro, gli avrebbe rinfacciato un giorno di questi – Con la tua Daphne perché non ce n’è stato bisogno: da come me l’avevi descritta mi era sembrata un angelo ma l’ho trovata.. come dire? Deludente..»

Gelosa, Granger? Si, Malfoy, ti piacerebbe…

«Per Blaise non c’è da preoccuparsi: mi è bastato minare di quel poco la sua autostima e la sua fede nella fiducia incondizionata che hai di lui che.. ha ceduto. Non ci sono stati problemi, come vedi..»

Il biondo annuì con un rigido cenno d’assenso, era evidente che ci fosse qualcos’altro che desiderava sapere, qualcosa a cui non riusciva a rispondere da solo e che lo opprimeva. Poche erano domande simili, per una Malfoy.

«E comunque.. la fiala. Posso sapere se.. l’hai.. insomma.»

La ragazza sbuffò. «Certo, l’unica cosa di cui può importanti è quella fiala, dovevo pur immaginarlo. Si, l’ho presa. E’ al sicuro in camera mia e, quando ti sarai ripreso, potrai prendertela. Ma, sappi questo: non intendo rischiare la mia vita più del necessario.»
«Vuoi dire che.. sciogli il patto?»

«No. – lo corresse lei, senza battere ciglio – Tu chiami, io arrivo. I patti sono e restano questi. Però sappi che non metterò a repentaglio la mia, di vita, per salvare quella di qualcuno che non sa apprezzare quello che ha, cercando quello che non possiede. Finirai stecchito, e io non muoverò un dito per salvarti.»

Le ultime parole le pronunciò con una freddezza e una cattiveria micidiali, tanto che si percepì l’elettricità nell’aria quando gli sguardi dei due finirono con l’incrociarsi, quello incredulo di lui e quello furibondo di lei. Fece per alzarsi, ma la mano del giovane la trattenne. Come poteva avere tanta forza, se non si era ancora ripreso del tutto? «Non ho finito. Volevo solo dirti che.. Daphne.. l’ho invitata a stare da me. E’.. era rimasta alla Manor solo perché ero moribondo e non intendevo andare in ospedale, ha voluto starmi vicino come amica. Ma lei ha già troppi problemi di per sé.. te l’ho raccontato. Comunque, lei suo marito e i gemelli verranno qui.. e resteranno finchè vorranno.»

«Come hai precisato tu, il nostro è un legame puramente lavorativo. La gentilezza che mi fai di farmi restare qui è davvero ben gradita ma non devi rendermi conto della lista di tutti i tuoi ospiti, a meno che abbiano i capelli rossi e “Weasley” per cognome..»

«Difficilmente accadrà una cosa simile.. – mormorò il giovane, per nulla convinto, prima di proseguire – Te lo dico perché so quanto tu e Blaise continuiate a non sopportarvi e con Daphne.. non vorrei che succedesse lo stesso.»

«Non so di che ti preoccupi. Me l’avevi descritta come una persona degna di essere conosciuta, non mi ha praticamente rivolto la parola se non per chiedermi se avevo dolori alla caviglia, ecco tutto. Blaise almeno mi diverte, è una buona alternativa alla monotona vita qui dentro. Sai, non è che possa andarmene in giro ora che un’entità potente e sconosciuta vuole ammazzarmi, non trovi?»

«Non era.. a questo che mi riferivo. – la corresse il giovane, guardandola di sottecchi, prima di abbassare lo sguardo sul polso della giovane che aveva intrappolato con la forza del proprio palmo – Daph.. non è cattiva, semplicemente non riesce a concedere facilmente la propria fiducia, soprattutto ad una Gryffindor come te, capisci vero? E’ gentilissima e suo marito.. è un babbano, sono certo che troverete molti argomenti comuni di cui parlare.»

«Un po’ ipocrita, non trovi? – chiese altezzosa la mora, con il naso all’insù e l’aria da saputella – Un marito babbano e ha ancora dei pregiudizi nei miei confronti..»

«Ti ho già spiegato che non ce l’ha con te e non è nemmeno il fatto che sei babbana, si tratta di fiducia. La fiducia è qualcosa che ti devi guadagnare, non puoi concederla semplicemente, come se nulla fosse.»

«E una volta persa, la fiducia è difficile da essere riguadagnata, non trovi?» Era una frecciatina, molto crudele fra l’altro, ma Draco incassò il colpo senza flettersi e rimase a guardarla. Non riusciva a starle dietro e la cosa, più che spaventarlo, lo irritava: non era abituato ad un’indole tanto indomita e combattiva, talmente vogliosa e allo stesso tempo irrequieta. A spaventarlo non era il carattere della giovane erano i sentimenti che tale comportamento provocava in lui, e cominciava a capire con estrema chiarezza quali fossero.

«Perché mi hai salvato la vita? – chiese, aspettandosi una risposta. – Non eri costretta a farlo.»

«Perché pensi che rimanga qui, se non è per i soldi? – chiese a sua volta lei, per nulla desiderosa di lasciargli spazio e prendersi la rivincita – Non sono mica costretta a farlo.»

I due si guardarono in cagnesco, due generali in un campo di battaglia con tanta forza e determinazione da essere impossibile chiarire con certezza a chi andrà la vittoria. Ma, fra i due, era Draco il gentiluomo, fu lui il primo a lasciarle la mano, massaggiandosi le tempie con le lunghe dita affusolate e bianche. «Perché pensavo.. speravo, anzi.. che restassi qui.. che mi avessi salvato la vita.. perché.. visto che con il rosso è finita.. provassi qualcosa.. per.. me.»

Non si pentì di averlo detto, anche se era ridicolo come quelle parole suonassero terribilmente sbagliate, in quella stanza, in quella casa, con quella precisa ragazza davanti a lui. Non si sarebbe mai immaginato di poter parlare così liberamente dei suoi sentimenti – e dubitava che la febbre e le cure mediche che aveva ancora in circolo non avessero nulla a che fare con tutto questo – ma non si poteva tornare indietro: una volta pronunciate, le parole non possono essere cancellate, rimangono indelebili. Fu certo che non le avrebbe mai scordate così come capì che non avrebbe mai scordato lo sguardo di Hermione in quell’istante. Era sconvolta, anzi non rendeva bene l’idea: era terrificata dalla sua quasi-dichiarazione, lo guardava come se si aspettasse la fine del mondo da un momento all’altro, o la Terza Guerra magica, anche se erano praticamente la stessa cosa. Perché lo fissava con quegli occhi spalancati? Era davvero tanto incredibile pensare che Draco Malfoy potesse avere dei sentimenti per lei?

Oh, giusto. Lei era una Grifondoro, si era dimenticato di questo insignificante particolare che, dopotutto, insignificante non lo era affatto. Erano sentimentali, tutte loro, così sentimentali da far venire il diabete. Ogni parola, ogni singola parola di ammirazione corrispondeva per loro a una dichiarazione d’amore in piena regola, ogni apprezzamento era un contratto a vita e ogni bacio.. un matrimonio. Ma lui non le stava parlando da Gryffindor, non era il suo amichetto rosso e nemmeno Potty il fesso, lui era uno Slytherin, lui non aveva il romanticismo smielato nelle vene proprio come sua zia non aveva avuto pietà nelle sue. E forse, nella condizione in cui si trovava, era meglio chiarire il concetto.

«Ora non farti film, Granger – il ritorno al cognome fu un chiaro tentativo di stabilire i limiti e il concetto che cercava di spiegarle – Quando dico che speravo volessi restare per me.. intendo che potremmo entrambi trarre dei vantaggi dalla tua permanenza qui, non so se mi spiego.. solo se tu lo vuoi certo, nulla di.. indesiderato o di forzato, sei mia ospite, non mi permetterei mai di offenderti..»

Il giovane che pensava di aver scoperto, di aver conosciuto, scomparve sotto il sorriso beffardo di quell’individuo. No, non aveva mai scoperto nulla, lui era rimasto sempre lo stesso, mentre la manipolava con le sue arti da abile seduttore, mentre le raccontava storielle su quanto fossero stretti i legami con i suoi amici e quanto fossero romantici i quadri dei suoi antenati e le sue storie. E, in un barlume di folle rabbia e comprensione, desiderò scomparire: scomparire per la sua stupidaggine, per la sua folle fantasia; scomparire per l’essersi illusa che lui potesse essere una persona migliore, un uomo migliore.. uomo, lui non arrivava nemmeno al livello di ragazzino, figuriamoci quello di un uomo. Gli uomini, adulti e maturi, hanno un tratto – anche più di uno – che li caratterizza, ma non era il suo caso. Lui era e sarebbe sempre rimasto quel viscido verme che era, che era sempre stato e che sarebbe stato sempre.

Cercò di andarsene, tanta l’indignazione e la vergogna stavano per sopraffarla anche dal punto di vista fisico, ma la sua voce la richiamò. «Non negare di provare qualcosa anche tu, non sono uno sciocco. Mi hai salvato perché volevi farlo.. perché ci tenevi a me, perché non vorresti anche quello che voglio io? Non sono il tuo fidanzatino, Granger, Weasley non sarà che un ricordo lontano quando ti avrò mostrato..»

«Zitto, finiscila! Sei un verme!»

No, non era un verme. Era un viscido codardo. Guardarla, così sconvolta da una proposta che, nel momento esatto in cui l’aveva pronunciata, gli aveva rivoltato lo stomaco, costringendolo a mantenersi saldo per non vomitare. Come gli era saltato in mente di chiedere una simile assurdità, a lei dopotutto? Quale vigliaccheria l’aveva spinto a ritornare sui propri passi, proprio mentre cercava un approccio umano con l’unica persona alla quale, in quel momento, tenesse particolarmente. Sua madre gli aveva insegnato tanto, ma non era stato sufficiente: cattivo sangue non mente. Sarebbe sempre stato comunque identico a quel bastardo di suo padre: per quanto tentasse di dimenticarlo, per quanto tentasse di allontanare la sua presenza, il riflesso dello specchio sarebbe sempre stato quello di un Lucius più giovane, insensibile al destino degli altri e interessato soltanto al proprio appagamento e alla propria felicità. Felicità! Quale gioia poteva esserci dal trattare così miseramente gli altri? Quale divertimenti si poteva trarre dalle lacrime che l’orgoglio della ragazza stava trattenendo ma che, inevitabilmente, stavano per cominciare a cadere.
E, malgrado il suo animo gli gridasse con tutte le sue forze di smetterla, il suo corpo era come impazzito, la sua mente lavorava frenetica davanti alla brama di continuare quella stramaledetta messinscena. Perché lo spettacolo deve continuare, non ci sono dubbi.

«Baciami, Granger – proferì diabolico – Se davvero non provi nulla, baciami e dimostrami che non c’è assolutamente nulla in ballo tra noi. Ma non lo farai.. – assottigliò lo sguardo, mentre inorridiva dentro per il suo comportamento e gioiva fuori per la corazza della mora, che finalmente stava cedendo – perché hai paura di quello che potresti provare, di quello che io potrei farti provare. Perché non lo ammetti e basta.»

«Sei una maiale. E io non ho assolutamente paura di te o di quello che potrei provare perché scientificamente provato che io non potrò mai provare nulla per un mostro come te!»

«Dimostralo. – mormorò lievemente lui, sporgendosi nella sua direzione – altrimenti io continuerò a credere che mi stai mentendo e tu a dubitare di te stessa.»

Ah, in fatto di psicologia era bravo, ma non era ancora sufficiente a convincerla. «Non ne ho la minima intenzione, Malfoy, fatti slinguazzare da una di quelle oche che ti stanno dietro, io non rientro nella lista.» Senza aspettare risposta, fece per andarsene, quando la voce del giovane la bloccò per l’ennesima volta.

«Non volevo arrivare a tanto, Granger, ma mi costringi. Te lo Ordino

Lei si voltò incredula. «Prego?»

«Hai capito benissimo. Ti ordino di tornare qui e baciarmi. Altrimenti.. beh, come hai detto tu c’è un pazzo Guardiano che ti da la caccia, il tuo fidanzato non è più il tuo fidanzato e l’unica tua fonte di reddito è il lavoro che io ti ho procurato nella mia azienda grazie al mio direttore. Potresti licenziarti ma.. auch! Vivi in casa mia, e dovresti andartene. Niente lavoro fisso, niente ritorno glorioso al ministero. Dovresti andare a lavorare, di nuovo, in un posto squallido, forse addirittura peggiore di quello in cui ti ho trovata l’ultima volta..»

La stava minacciando? Fra le tante cose che lo credeva capace di fare, le minacce non erano certamente fra queste soprattutto per una questione futile come un bacio. Mio dio, a che limite poteva arrivare la sua depravazione!

«.. e troveresti una casa pidocchiosa, forse nemmeno quella, e dovresti trovare un posto. Ma i tuoi amici sono anche amici di Lenticchia, quindi non ti resta che Potty, ma.. auch di nuovo! Lui vive con Ginevra, e la tua cara ex-cognatina non è proprio quello che useresti definire tua amica, dico bene? Quindi..»

Si sporse verso di lei, gli occhi luccicanti di desiderio. «Non chiedo altro. Un bacio e puoi andare.»

La ragazza lo fissò con disprezzo, mentre il suo spirito ribelle cominciava a fare capolino in lei: ora, la soluzione migliore le sembrava baciare Draco, piuttosto che non farlo. Era stata sempre disposta a dimostrare agli altri di essere capace di fare qualsiasi cosa, anche e soprattutto le cose che gli altri non la ritenevano capaci di fare. Perché di questo si trattava, lui voleva dimostrare la sua prepotenza, ovvio, ma voleva anche provarle di conoscerla fin troppo bene, e lei questo non poteva permetterlo, né a lui né agli altri.
Senza indugiare, sapendo che se ne sarebbe pentita un secondo dopo averlo fatto, si avvicinò al giovane e, seduta sul bordo del letto con le mani sul suo volto, lo baciò. All’inizio la sua sorpresa fu evidente – come gran parte dei provocatori, non si aspettava che le sue parole avessero quell’effetto – ma poi parve riprendersi, prendendo a sua volta il controllo della situazione e circondando la vita della fanciulla con una delle sue braccia, mente l’altra mano s’infiltrava dietro la sua nuca. Scoprì che gli anni trascorsi con Weasley non erano stati del tutto inutili, e che l’esperienza delle sue labbra e del suo delicato tocco era estasiante, persino per lui. Si scoprì vorace, sopra la sua bocca, con la lingua che esplorava frenetica il suo sapore e i denti che mordicchiavano, insaziabili, il suo labbro inferiore. Si sentì morire al sapore delle sue labbra, alla dolcezza della sua lingua, al calore delle sue mani sulla sua faccia. E, mentre si era illuso che anche lei partecipasse con lo stesso desiderio, aprì gli occhi quasi confuso, nel vedendo allontanarsi bruscamente, gli occhi nocciola saettanti di sfida.

«Ecco – proferì, alzandosi, senza il minimo sconvolgimento, riprendendo il diario di Callista – Ti ho baciato, e non ho provato nulla, proprio nulla

«Hai perfettamente ragione – concordò lui, passandosi la mano candida sulle labbra – ho provato di meglio. Ma ho ottenuto quello che volevo, come sempre.»

In quella frase, in quella piccola e insignificante frase, cadde tutto il rimorso e la consapevolezza dell’appena ricevuta delusione di Hermione. Aveva creduto, anche se solo per qualche attimo, che lui fosse cambiato, che il vivere con lei quelle esperienze ai limiti del reale, ai limiti del cancelli della morte, l’avesse reso differente dal bambino prepotente e insensibile che era ai tempi della scuola. Il suo ennesimo, enorme errore. Non c’era mai nulla di quello che aveva pensato potesse esserci: non c’era sentimento, non c’era affetto, non c’era nemmeno reciproca stima, che fino a prova contraria è alla base di qualsiasi collaborazione, anche se forzata. Lui voleva, lui prendeva. Era il codice genetico di un Malfoy, e lei era stata la stupida ad averlo dimenticato. Ad aver dimenticato le parole velenose che lui le aveva sputato in faccia per tanti anni; a dimenticare i duelli a colpi di bacchetta in cui aveva desiderato con tutta se stessa di ucciderlo; a dimenticare le innumerevoli volte in cui Harry si era trovato nei guai, per causa sua; a dimenticare che, al di là del tempo e dei suoi pensieri, lui sarebbe sempre rimasto quell’insensibile ragazzo che aveva guardato la zia torturarla sul pavimento di quella stessa casa. Lui era il padrone di Malfoy Manor, lo sarebbe sempre stato. E con quella casa aveva ereditato anche tutta la crudeltà del suo sangue. Era un Black – e Sirius era stata la prova più concreta che la discendenza non dipende dalla tua famiglia ma dalle tue scelte – ma evidentemente questo non bastava. Evidentemente non tutti erano Sirius Black, evidentemente non tutti erano all’altezza della sua gloriosa e riscattata vita di un Black rosso-oro.

Sentì tutta l’indignazione piombarle addosso, tutta la vergogna e il risentimento, mentre le labbra ancora bruciavano di un bacio proibito che non avrebbe mai dovuto concedere. Perché, lo sapeva bene ormai, se cedi al diavolo una volta, lo fai per sempre. E lei, in quella frazione di rabbia e caparbietà, aveva appena ceduto ad un diavolo ben peggiore: la consapevolezza. Perché, per quanto orrendo potesse essere stato Draco e per quanto velenosa potesse essere stata lei, le era piaciuto quel bacio, si era sentita bene nel calore delle sue labbra e nella frenesia delle sue mani, più forti di quello che si sarebbe mai aspettata da una figura esile quanto quella del giovane. Ed era un tradimento, ai suoi amici e a se stessa, al suo essere Mezzosangue e al suo retaggio. Era un tradimento, il tradimento che non ammette perdono e sceglie di restare indelebile sulla sua carne. Esattamente come le cicatrici lasciate dalla lama di Bellatrix. Quella casa, inspiegabilmente, finiva con il marchiarla, sia dentro che fuori, ed era pericoloso restarvi. Benchè desiderasse colpirlo e togliergli quel sorriso altezzoso dal volto, preferì trattenersi, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta alle spalle, prima di pulirsi le labbra ancora umide con la manica. Decise di andarsi a rinchiudere nella sua stanza ma, prima che potesse arrivarci, una chioma rossa le sbarrò la strada, e la giornata – in tutta la sua perfezione – fu completa. Ginny la osservava timorosa, quasi circospetta, con quell’aria che raramente potevi vedere sul volto di una Weasley.

Se possibile, la sua espressione si raffreddò ancora di più e, nell’attimo in cui capì che Ginny era alla Manor, decise dove andare. Raggiunse in un attimo il punto in cui la materializzazione era concessa – che cambiava un ogni tot di tempo, per sicurezza – e, ancora prima che il suo corpo vorticasse su se stesso, vide con gli occh luccicanti il salotto di Grimmuld Place n.12. Harry, con una cioccolata calda in mano e delle buffe pantofole ai piedi, era seduto sul divano e osservava con interesse le figure sullo schermo piatto davanti a lui. La stanza era poco illuminata, probabilmente per le tende tirate davanti alle lunghe vetrate, ma era calda e afosa, a causa del fuoco che scoppiettava leggero nel caminetto. Dopo anni condivisi, giorno dopo giorno, fianco a fianco, ad Harry bastò un’occhiata prima di capire che c’era qualcosa di molto grave per cui la sua amica era sconvolta.

«Cos’è successo?» - domandò, quasi ironico, posando la tazza e allargando le braccia, in attesa che lei gli si fiondasse addosso e cominciasse a sfogarsi, piangere e raccontare. E lei lo fece.

«Oh, Harry!»
 


 



Spazio autrice ù.u

Bene, bene, bene. Si, eccomi, sono tornata. Quale sorpresa e quanta gioia mi ha dato scoprire ch la mia storia è stata inserita, niente poco di meno che, tra le storie scelte. No, sul serio, che vi è passato per la testa quando avete datto una cosa simile? Beh, non posso che darvi un abbraccio enorme e ringraziarvi tutti, ad uno ad uno. Anzi, stavolta lo farò all’inizio, così non vi scoccerete di leggere fino in fondo: alle 21 persone che hanno inserito la storia fra le preferite, agli 11 che l’hanno messa nelle ricordate e – non posso ancora crederci!!! – alle 81 persone che l’hanno inserita fra le seguite. Gente, siete proprio fantastici. Ah, e piccolo appunto: Smemo92 mi ha fatto notare alcuni errori grammaticali, la volta scorsa, quindi stavolta mi sono impegnata nel rivedere il capitolo almeno due volte e assicurarmi che non ci fosse nulla fuori posto. Premetto che non ho mai dato né darò mai l’italiano per scontato – da studentessa del classico sarebbe un azione meritevole dell’ultimo girone dell’Inferno! xD – ma la verità è che spesso non ho tempo di rivedere i capitoli quindi.. liberissimi di contestare qualsiasi gaf o orrore ortografico che trovate, mi farete soltanto un grandissimo favore! =)

Bene, adesso spendiamo qualche parola doverosa sui piccioncini. Primo bacio: impressioni? Si, in fondo non ha nulla di smielato o romantico, ha soltanto il compito di dare ad entrambi la consapevolezza del loro sentimento: hanno provato qualcosa, indubbiamente, ma non è una certezza nemmeno adesso. Sono ancora entrambi troppo orgogliosi, troppo testardi per potersi avvicinare, provano qualcosa ma non vogliono ammetterlo per il solito gioco di ruoli e di etichette che, almeno credo, non dovrebbe essere facile da gestire! Ovviamente entrare nella loro testa è sempre più difficile e mi sforzo di farlo nel modo più lineare e coerente possibile – anche se, almeno questi due, di coerente hanno ben poco, e lo vedrete presto.
Draco. Allora, vorrei farvi notare che prende la fatidica decisione – che, per altro, dura non più di qualche minuto – di chiamare Hermione con il suo nome e non con il suo cognome prima che lei gli dica di essersi esposta per lui, quindi è qualcosa che non prende in seguito alle azioni della ragazza ma quando ancora ne è all’oscuro. Daphne ha ovviamente fatto un po’ da cupido, ma solo perché è perspicace e sa come va il mondo: capisce perfettamente che, con la negazione dei loro sentimenti, sia Draco che Herm finiranno col farsi del male e, da buona amica, vuole evitarlo. E la adoro per questo ,non so voi *-* Con Herm non ha ancora avuto nessun rapporto diretto, ma come avete visto ha già avuto su di lei un impatto negativo: gelosia, Granger? Beh, può anche darsi.. chi lo sa.. io no di certo!!! xD E quindi, non appena lui le confessa quello che prova e vuole sentire cosa ne pensa lei, si tira subito indietro. Non è un idiota che cambia idea ogni due tre, ma semplicemente è freddo, calcolatore, gli occhi sconvolti della ragazza lo spaventano a morte, anche se non lo ammetterà mai, quindi preferisce rimangiarsi quello che ha detto e nascondersi di nuovo dietro la maschera dello stronzo egoista che, bisogna ammetterlo, gli calza a pennello.

Hermione. No, è troppo complessa anche per me ma proverò a spiegarvi. I suoi sentimenti sono.. come dire, immaginate una partita di pin-pong. Ecco, esatto. Appena pensa di provare qualcosa, il sentimento torna indietro per una parola di lui, ma poi la speranza ritorna ma una sua parola la rimanda di nuovo sulla posizione di diffidenza, e ancora.. e via all’infinito. Hermione non è meno spaventata di lui ma i suoi continui sbalzi, quelli di Draco, per lei sono troppo da gestire e non sa come farlo. Sa soltanto che sta succedendo qualcosa che non sa come gestire, e le fa paura. Ma nemmeno lei gli è indifferente, anche se gli sguardi glaciali sono la sua specialità. L’interesse per Callista: non fatevi film, non avrà questo ruolo extra rilevante, era solo una sorta di digressione – ekfrasis, se volete, e qui Teocrito o Apollonio non me ne vogliano! – che ravviva, a mio modesto parere, la storia: altrimenti poi diventa ricerca-guardiano-ritorno a casa. Che storia sarebbe?

Blaise fa l’amico preoccupato, Ginny la troia che dorme nelle case altrui e Harry.. vi lamentavate perché era marginale? Beh, non più. Lui non è il protagonista, non potevo sviluppare le psicologie di troppi personaggi per volta e, inevitabilmente, ho dovuto fare una selezione: lui non è sempre presente, è vero, ma agisce comunque nelle retrovie e c’è e quindi se qualcuno, tipo Herm, ha bisogno di lui, è pronto ad aiutarlo. Non voglio sminuire
Harry e il fatto che alcuni di voi l’abbiano pensato mi ha spinto a dargli un po’ più di spazio.

Che altro? Ah, giusto: la mia Sister! Non la conoscete ma, vi assicuro, se qualcuno ha avuto una beta al suo fianco migliore di lei.. non era di questo pianeta! La storyline passa prima per il suo e il mio cervello, non solo per il mio quindi, e arriva dalla mia penna fino a voi. E’ complesso quasi quanto il processo per fabbricare la carta igienica.. ok, paragone infelice -.- scusate, colpa dell’ora.

Beh, ho scritto anche troppo. Forse, dico forse, aggiornerò un po’ prima stavolta, non sono sicura al 100%, ma potrei sorprendervi! Grazie mille mille mille mille mille a tuuuuuuuuuuuuuuuuuuttii voi!!
Alla prossima, K <3

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Capitolo 10
*** ;;the Rise and the Fall ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo IX:

the Rise and the Fall
 

Parlare con Harry fu un ritrovato piacere, che aveva perduto da molti giorni e che le era davvero mancato. Fin da quando erano piccoli e le loro questioni riguardavano bavosi cani a tre teste o platani picchiatori o dissennatori pronti a baciarti e toglierti l’anima – sciocchezze, insomma! – avevano scoperto di poter contare l’uno sull’altro. Ron non era stato inutile, questo sarebbe stato ingiusto dirlo, ma loro erano particolarmente affiatati, lo erano sempre stati: lui perché tutti quei problemi derivavano, sostanzialmente, a causa sua e lei, d’altra parte, perché aveva il cervello per risolverli. Quando erano cresciuti le loro conversazioni, inevitabilmente, avevano finito con lo slittare su argomenti più “intimi”: ed ecco le prime storie d’amore, lei con Krum e lui con Cho, e poi Lumacorno e Cormac, lui Ginny e la gelosia di suo fratello, quel maledetto fratello fidanzato con Lavanda, verso la quale l’avversione della mora era stata quasi del tutto spontanea. E poi i loro diciassette anni, la Guerra, gli amici che se ne andavano, i morti, i dolori, e l’unico modo di andare avanti era ritrovarsi l’uno nel conforto dell’altro. Lei c’era stata, lì, con lui, davanti alla tomba dei suoi genitori a Godric’s Hollow; lei c’era stata quando lui credeva di non farcela, non l’aveva lasciato; lui, a sua volta, non aveva abbandonato lei quando Ron se n’era andato. Si erano fatti forza a vicenda e, alla fine, quello si era dimostrato il modo migliore di stringere un legame indissolubile, che si era protratto negli anni a venire.

Oggi, anche dopo molto tempo, lui era stato la sola persona a cui lei avesse deciso di confessare il suo sporco lavoro babbano, sapendo di poter riporre in lui una fiducia smisurata e incondizionata. Era un modo per stare meglio con se stessi, quello: contare su qualcuno e sapere che ci sarebbe sempre stato. Gli raccontò di quanto terribile fosse lo stato di Draco una volta che erano tornati – omettendo abilmente da dove,di quanto fossero stati pesanti gli sguardi di Daphne, un esame continuo sotto una lente d’ingrandimento. Gli raccontò di Blaise e delle continue lotte che doveva combattere contro di lui – omettendo, ancora una volta, che gran parte dell’odio reciproco proveniva dal fatto che lui si faceva Ginny; gli parlò del dolore, del disagio, dell’umiliazione che quel singolo bacio, preso a tradimento, aveva scatenato in lei. Harry, nel frattempo, ascoltava e la confortava, stringendola forte e dandole delle comprensive pacche sulle spalle, mentre le lacrime dell’amica gli bagnavano la maglietta grigia e parte della vestaglia.

«E il peggio è che stare lì è un modo per tenerlo d’occhio, non posso andarmene e non voglio nemmeno pensare a cosa succederà quando quell’oca di Daphne si trasferirà lì anche lei, un incubo!! – concluse con fare teatrale e con l’ennesimo singhiozzo – Non voglio pensarci.»

«Tra le tante cose a cui non posso porre rimedio.. – si affrettò a dire lui – certamente non compare questa. Lascia stare Malfoy e la copertura, vieni da me. Lo sai che Ginny ne sarebbe lieta, e sai che non permetterei a Ron di infastidirti. Ti ho sempre detto Herm, fidanzata a o no, tu rimani amica mia. Non permetterei mai che tu soffrissi.»

Oh, giusto. In tutto questo Harry ancora viveva nell’idilliaca convinzione che la sua permanenza a Malfoy Manor fosse dettata dal desiderio di vendetta contro il proprietario. Non sospettava minimamente che, ora come ora, era la curiosità a spingerla. Curiosità di scoprire quali erano i suoi loschi piani riguardo quelle maledette boccette di vetro, il cui utilizzo le era ancora, parzialmente, sconosciuto. Curiosità di scoprire se Ginny avrebbe continuato quei loschi sotterfugi, ingannando il suo migliore amico, al quale era stata sul punto, più di una volta, di rivelare tutto. E, infine, curiosa quanto mai di scoprire se davvero tra lei e Malfoy c’era qualcosa più del reciproco contratto di lavoro, attorno al quale sembrava ruotare tutto. Non era da lei lasciare le cose a metà, sospese nell’indefinito. Avrebbe scoperto la verità a tutti i costi, anche se Daphne fosse stata lì a guardarla dall’alto dei suoi tacchi e da dietro le ciglia lunghe e i capelli biondi.

«E comunque, per quanto riguarda Daphne.. – continuò l’amico, quasi leggendole nel pensiero – Non so davvero perché si sia comportata così male, con te. Ho collaborato con il suo reparto al San Mungo più di una volta: ferite gravi per Magia Oscura o quasi, sai.. beh, è sempre stata disponibile, quasi  gentile oserei dire, il che mi ha sorpreso. Era stata comunque una Serpe a scuola ma, dopotutto, se Piton è servito a qualcosa è stato proprio darci una prova che gli stereotipi non sempre sono da prendere alla lettera..»

La voce della mora si riempì di indignazione, capace di farla scattare a sedere. «Da che parte stai?»

«Dalla tua, Herm, non agitarti!! – chiarì subito lui – Però, sai, le avevo parlato proprio ultimamente riguardo alla sua questione. Il padre è un tiranno, dovresti conoscere quell’uomo, mi ricorda tanto i racconti di Sirius sul suo, di padre. Un mostro. Se ne avesse avuto il permesso, avrebbe già eliminato dalla faccia della terra sia la figlia sia il marito babbano. I figli però.. da quello che mi dici Daph dovrebbe portarli con se alla Manor? Beh, sarà difficile, almeno in sostanza. Spero che l’edificio sia protetto..»

«Si, lo è – assicurò l’altra, che aveva visto con i propri occhi quanto protetta fosse la casa – poco ma sicuro.»

«..Beh, il signor Greengrass non perderà tempo di venire a reclamarli. Poi, contando anche che sta organizzando il matrimonio per la piccola Astoria. Dio, quanto mi dispiace per quella piccola! E’ la copia della madre, nell’aspetto, ma di carattere è totalmente uguale a Caius; l’esatto opposto di Daphne, del resto, che è identica al padre nell’aspetto e alla madre nello spirito. E’ per questo che lo prende come un tradimento, Caius..»
«Sembri legato fin troppo a quella famiglia, sbaglio? Anzi, ne sai fin troppo..» Lo spirito di osservazione era qualcosa che non le era mai mancata, anche nei momenti di estrema debolezza. Conosci il tuo nemico era una frase logica, certo, ma non tanto da fare dei paragoni con i genitori di una ragazza che, appena due minuti prima, lei aveva affermato di odiare per la sua superiorità di presenza. Perché Harry sapeva tanto dei Greengrass? Anzi, se proprio bisognava dirla tutta, ne sapeva fin troppo. Appunto. «Harry?»

Lui parve a disagio, sbirciandola da sotto gli occhiali rotondi, mentre gli occhi nocciola della strega lo fissavano con intensità e non ammettevano repliche. «Oh, e va bene! Ma poi non dirmi che dovrei prendere il mio lavoro più sul serio, sei tu che mi fai confessare certe cose! – si accomodò meglio sui cuscini, guardando le sue mani che giocherellavano con il bordo della vestaglia – Beh, Daphne, come ti ho detto, ho avuto modo di conoscerla bene per lavoro. Qualche settimana fa, poco dopo la nascita dei gemelli, è venuta da me e mi ha chiesto aiuto..»

«Aiuto per cosa?»

«Beh, mi ha raccontato un po’ la sua storia. Capirai, sentire una serpe aperta al dialogo e decisamente ben disposta a svelare le proprie più minime paure davanti ad un “nemico” mi è sembrato un comportamento.. incauto, anche se non rende bene l’idea. E allora, dato che vedeva la mia titubanza, mi ha spiegato che il marito l’ha totalmente cambiata e che adesso vuole più che mai togliere i propri figli da quella desolante situazione creatasi in casa.»

«E..?»

«E.. mi ha chiesto un supporto di Auror per domani per trasferire lei e la sua famiglia, marito e i gemelli, verso un posto più sicuro. Una specie di scorta, capisci? Ha chiesto i migliori ed ha pagato, certo, per i migliori. Da questo si deduce che il padre è disposto a tutto pur di non lasciare che i nipoti lascino la casa, mi segui? E allora.. adesso che mi dici che andrà da Malfoy tutto torna. Lui le offrirà aiuto e sostegno, io la proteggerò con i miei Auror e il padre non potrà fare molto.»

E così, prima Draco e ora anche Harry le stavano dimostrando quanto fosse in realtà gentile l’indole di questa ragazza che, per giorni, non aveva fatto altro che fissarla. Era buona, era questo il messaggio che chiunque sembrava voler dare di lei, e da qui nasceva un dubbio più che spontaneo: e se fosse stata proprio lei, Hermione, a fare qualcosa di tanto grave da impedirle di essere sua amica? E se il solo fatto di aver riportato Draco a casa, ferito e in fin di vita, avesse rappresentato un divario insormontabile che la bionda non voleva e non era disposta a superare? E così, forse, quella che in realtà non quadrava non era Daphne Greengrass, l’angelo gentile e caritatevole, era lei. Ed era una consapevolezza talmente imbarazzante da accettare che preferì non farlo, tornando a concentrarsi su altro.

«Quindi direi che possiamo focalizzarci di nuovo su di me.. – gongolò con un pizzico di stizza, con quella nota di burloso egoismo che non usava quasi mai e con nessuno – Grazie.»

Harry si limitò ad una scrollata di spalle. «Io ancora non capisco perché non vuoi venire da me ma.. sorvoliamo, ho imparato ad accettare le tue scelte, nel bene e nel male, Adesso non ti resta che focalizzarti sul tuo futuro. So che non mi dirai a cosa lavora Draco per una ragione di sicurezza, e lo rispetto, ma devi pensare che quei soldi ti daranno modo di ricostruirti una vita. La Corte e il Ministero non potranno nulla, se avrai “riguadagnato” il tuo posto nella Società Magica, e il posto di Malfoy nella sua azienda è perfetto. Non devi far altro che resistere. Una volta incastrato, non potrà farti nulla di male. Riguardo ai tuoi istinti..»

Le gettò un’occhiata divertita, che la fece sentire subito troppo esposta. Abbassò gli occhi, arrossendo di botto. Le mani di Harry la strinsero e sentì il peso caldo del suo corpo mentre lui l’abbracciava. «Non pensare troppo, amica mia. Siamo uomini, persone, fatte di carne e istinti. Cedervi o non cedervi non fa di noi dei criminali. Anche se, mi perdonerai, preferirei davvero che non ci andassi a letto..»

«Harry! – lei lo scostò imbarazzata – Ma scherzi? Non andrei a letto con quella serpe nemmeno per tutto l’oro incriminante della Grincott! Lo smaschero, lo butto ad Azkaban e torno alla mia vita felice. Punto.»

«Punto. – concordò il Ragazzo che è sopravvissuto, con un occhiolino – E vienimi a trovare più spesso, sai che lo apprezzerei. E se c’è un minimo dettaglio che non va, uno squillo di telefono e invado quel Castello con tutti i miei Auror. »

Lo sapeva. Harry avrebbe bruciato tutto il mondo, per salvarla, per riprendersela, ed era una cosa per la quale gli sarebbe stata sempre grata. E lui era sempre così gentile, così affettuoso, che l’immagine di Ginny avvinghiata a Blaise le bruciò la mente, scottando quell’affetto che l’amico si meritava e che gli era dovuto. Aprì bocca, sul punto di parlare, decisa di rivelare una volta per tutte quelle parole che avrebbero distrutto l’ennesimo legame del Trio con la famiglia Weasley, ma un forte crac indicò che qualcuno si era appena smaterializzato, ed infatti la rossa più giovane della famiglia sopracitata fece il suo ingresso, sorridente e decisamente troppo tranquilla.

«Hermione! – sorrise, sorpresa, mentre trasparivano tutte le sue doti di buona attrice – Non vieni quasi mai, da quando hai rotto con Ron..»
Per causa tua, brutta stronza, bugiarda a traditrice!!

Si sedette in braccio al marito – posto da poco lasciato vacante da Hermione stessa, baciandolo a stampo sulla bocca. «Harry mi ha detto della missione che porti avanti a casa di quel viscido di Malfoy. Io non riesco ad immaginare neppure come debba essere brutto stargli vicino, figuriamoci viverci.. dormirci..»

Ah, sgualdrina! Tu ne sai qualcosa del dormire a Malfoy Manor, solo che le lenzuola sotto le quali ti rotoli nuda non sono di Draco, sono di quell’altro idiota di Blaise.. anche se la colpa non è mica sua! Non è sposato, lui!!!

«..ma ti siamo vicini, cara. Quando vuoi, siamo qui.»

Oh, quella falsità era insopportabile. Ricambiò le parole di quella maledetta stronza con un sorriso forzato, prima di rivolgere un cenno affettuoso e riconoscente ad Harry, promettendo di pensare alla sua proposta – solo una volta che Ginny marcirà all’inferno – e di chiamarlo presto.
«Buona giornata.. o serata, non so che ora si è fatta.»

«Lo sarà, cara..»

Evitando di guardare per un secondo di più quella stronza, uscì dalla stanza e si materializzò di nuovo nella casa da cui tanto aveva voluto fuggire ma nella quale non vedeva l’ora di tornare. Malfoy Manor, la sola ed unica.

***

Si era lasciato andare. Una volta di troppo, si era dimenticato chi fosse e per cosa lottasse. Per quale ragione, poi? Un misero ed insignificante bacio? Un capriccio, un desiderio di poco e irrilevante conto? Come aveva potuto commettere una piccolezza simile, con lei, oltretutto? Lasciarsi andare come un ragazzino, un bambino, ai sentimenti della carne e subordinare la sua mente e la sua razionalità al puro e selvaggio desiderio? Certo, se doveva ammettere di averla ardentemente desiderata.. no, nemmeno quello. Poteva dire soltanto di “averci fatto un pensierino” ma, per i suoi canoni, quello era sufficiente per rivendicarne il possesso: lui era ciò che era, ciò che desiderava semplicemente lo vedeva e se lo prendeva. Non era stato altrettanto facile con lei, lei che del suo fascino non subiva nemmeno un’eco, lei che non aveva le ginocchia molli al suo passaggi o gli occhi a stellina alla vista dei suoi addominali. Ah, cara vecchia Hogwarts! All’epoca ogni donna che potesse desiderare cadeva ai suoi piedi. Adesso, per lo più, nulla era cambiato da quegli antichi tepori, ad eccezione di una ragazza in particolare: Hermione Jean Granger, la Mezzosangue amica di Potter, ex fidanzata di Weasley e quasi-cognata dell’amante di Blaise. Oh, maledetti intrecci familiari! Aveva fatto tanto per sbarazzarsi dell’ascendente di suo padre ed ora eccolo, di nuovo, tra mille problemi di una famiglia non sua per una ragazza non sua  e per sentimenti non propriamente suoi.

Ah, maledette medicine e maledetta Daphne, oltretutto!! Hermione, grazie al cielo, non aveva interpretato nel modo giusto le sue occhiate indagatrici e i suoi occhi profondi, che la studiavano e prendevano in considerazione le sue più piccole mosse: non era per astio nei suoi confronti, era istinto di auto protezione. Protezione dei suoi cari, dei suoi amici, di lui. L’aveva notato lei, la perspicace Daph, che qualcosa non andava: nel modo in cui le aveva accennato di Hermione, nel modo in cui aveva solo pronunciato le due sillabe del suo cognome, in una frazione di attimi tutto le era apparso talmente chiaro quando, in verità, nemmeno lui ancora si era reso conto di nulla. E lei aveva indagato, aveva osservato entrambi e, prima di andarsene, gli aveva versato del veritaserum nella medicina – come avrebbe scoperto dopo l’uscita di scena, teatrale per altro, di Hermione dalla sua stanza – che non solo gli aveva fatto dire cose che, altrimenti, non sarebbero mai uscite dalla sua bocca, ma più grave ancora gli aveva fatto fare cose che, altrimenti, non avrebbe mai fatto. Maledetta intelligenza femminile unita all’arguzia di una serpe!!!

E così ora Hermione lo riteneva un brutto bastardo egocentrico, un idiota di prima categoria, per nulla degno di vantarsi del suo titolo di gentiluomo. Lui non era così, non aveva mai voluto essere così: certe maschere, nella vita, le indossiamo per talmente tanto tempo che finiscono con l’impadronirsi di noi, ecco tutto. Lui aveva lottato per tutta la vita contro gli stereotipi di una famiglia che non aveva mai voluto, di un’educazione prestigiosa che non aveva mai chiesto, di una ricchezza la cui mancanza non gli sarebbe nemmeno pesata se non fosse stato istruito al contrario, in ogni minuzia ed ogni particolare della sua vita. Era strato cresciuto in modo da essere ciò che era, da appartenere alla classe sociale a cui apparteneva e, malgrado volesse riscattarsi, ogni tentativo di ribellione era domato con la frusta, e spesso non soltanto nel senso metaforico del termine. Lucius non ci era mai andato troppo leggero, con i suoi rimproveri, e lui aveva imparato a sfruttarli a suo vantaggio, come dei modi per incrementare quel senso di dovere e quella forza che avevano sempre contraddistinto il suo carattere.

Ma ora lei, con quel suo essere spontaneo e con quel modo quasi imprevisto era finita con il piombare nella sua vita, conquistarlo, stregarlo, quando mai nessuna era riuscita in tale impossibile impresa. Come aveva fatto un mese o poco più a cambiare anni di odio? Da parte sua, certo. La consapevolezza dei sentimenti che stavano maturando in lui, ne era sicuro, erano univoci e lo sarebbero rimasti, per molto e moltissimo tempo ancora, Soprattutto perché si trattava di lei. Soprattutto dopo le parole crudeli con cui l’aveva respinta. Parole dettate dall’imposizione della sua persona, dal suo nome, dalla sua posizione sociale. Dettate dall’inutilità di essere Draco e dalla maledizione di essere Malfoy. L’aveva respinta con le parole, con i gesti, con le mani, quando la sua mente e il suo cuore bramavano quelle labbra come qualcosa di alieno, di ultraterreno, di impossibile. Lei era l’ambrosia della sua divina essenza, l’unico modo che aveva per appagare il suo desiderio era possederla. Ma non come le aveva lasciato intendere, senza una cognizione di causa e con la bramosia della carne, no. Voleva possederla – e chissà perché lo capiva solo adesso! – con la mente, con l’anima, con il suo spirito. Se, certo, di anima e spirito gliene restavano ancora un po’.

Il prezzo che pagava, che stava ancora pagando, per la sua ricerca erano incubi e maledizioni, che lo tormentavano di giorno e non gli facevano chiudere gli occhi di notte. Daphne, dall’alto della sua bontà, gli aveva dato un tonico BloccaSogni – del quale non aveva mai saputo neppure l’esistenza – che non era propriamente legale ma era efficace, a detta dell’amica. Ma non tutti i sogni è possibile bloccarli con una pozione, non tutti sono tanto facili da scacciare, non tutti ti logorano l’anima e ti fanno desiderare di non essere mai nato. Non tutti, ma i suoi si.

Sperando di avere ancora abbastanza forze da seguirla, pochi istanti dopo che la porta sbattè con violenza, si mise in piedi, reprimendo un gemito dovuto ad un dolore intenso al fianco: una delle ferite, più delle altre, faceva ancora molto male, era difficile gestirla quando l’effetto dei vari medicinali svaniva. Arrivò tardi, come prevedibile; lei non c’era più quando sbirciò fuori dal corridoio, pronto a richiamarla per cognome, stavolta – la sua debolezza non sarebbe apparsa evidente più di una volta, quel giorno – ma al suo posto vide la giovane Weasley, probabilmente in visita di cortesia al suo amico. La ragazza gli sorrise, con uno di quei sorrisi smaglianti da copertina di gossip babbani, ma lui non potè ricambiare, anzi: quella falsità, l’intrigo della vita di quella donna lo disgustava; sopportava la sua presenza perché Blaise voleva che lui la sopportasse, non c’era e non ci sarebbe mai stato alcun legame fra loro nel quale Blaise non fosse direttamente coinvolto. La superò con un ringhio, dato che l’incontro non fece altro che rattristarlo e infervorarlo di più: tradire il marito con un altro uomo, senza amarlo, ma solo per poter stare vicina al suo amico di cui sei innamorata, con cui hai condiviso poco meno che una notte di passione.. schifoso, senza parole! Nemmeno una serpe poteva essere tanto viscida, figuriamoci una come lei. Viscida e anche puttana, oltretutto. Una grandissima puttana.

Si sedette accanto al tavolo della cucina, il bicchiere con un po’ di succo di zucca in mano: ubriacarsi non era né consigliabile e né tantomeno permesso, visto che le sue cure sarebbero state tutte annullate. Di solito non seguiva regole come quella ma, nella condizione in cui si trovava, il minimo allontanamento dallo stato di “strafatto di pozioni” rappresentava dolori allucinanti e insopportabili. Non era da tutti vivere una simile agonia e uscirne indenne, sia fisicamente che mentalmente, quindi preferiva non sfidare la sorte, non ancora. Lasciò che il liquido freddo gli scendesse in gola, donandogli l’agognato distendersi dei sensi e dei muscoli, prima di sentire il crac di una materializzazione. Era lei. No, non lo era.

Davanti a lui c’era Daphne, con in mano un fagotto che doveva essere uno dei suoi gemelli; mano nella mano con lei quello che doveva essere il marito, con l’altro dei loro pargoli. Ai loro fianchi, quattro Auror vestiti di nero e con le bacchette pronte, lo sguardo vigile. La ragazza gli si mosse incontro, abbracciandolo velocemente. Era integra, decisamente più di quanto si aspettasse, visto che era dovuta fuggire di casa sotto gli occhi del padre e delle sue, di guardie. «Draco ti presento mio marito, Julian. Questa è Louis e questo è Lucius, i nostri due bambini.»

Il marito gli strinse brevemente la mano. Era poco più alto della moglie, con capelli riccioletti castani che arrivavano leggermente più in basso di quanto un taglio normale dovesse essere. Aveva due occhi verdi e un viso stranamente abbattuto, con due occhiaie segnate sotto gli occhi. Malgrado l’aspetto, tuttavia, potè notare in lui una serenità e un pudore che, senza ombra di dubbio, dovevano aver colpito anche l’amica. I figli, invece, troppo piccoli per poterli osservare meglio, erano svegli. La bambina aveva gli occhi della madre, il bimbo quelli del padre, mentre i capelli biondi erano un marchio di fabbrica di entrambi. Sorrise, vedendo come quelle lenti chiare scrutassero la sua persona: doveva essere strano il mondo, visto attraverso gli occhi di un bambino, che ancora non conosce il male e che ancora non ha sperimentato sulla propria pelle il senso di disagio o di felicità che una società Magica, come la loro, può comportare. Ma Daphne li avrebbe protetti, era poco ma sicuro: se c’era qualcosa che potesse fare meglio di curare la gente, era proprio il ruolo di mamma. Come Narcissa era stata una buona mamma per lui, lei lo sarebbe stata senza dubbio per Louis e Lucius. Un nome babbano e uno da stirpe purosangue, magico: che bizzarro compromesso.

«Siete arrivati senza problemi? – accennò con lo sguardo agli Auror ancora fermi all’entrata – Vi aspettavo più tardi.»

«In verità Astoria ha creato un diversivo plausibile e ci ha dato tutto il tempo di uscire dai confini anti-materializzazione e svignarcela con la scorta che mi ha dato Harry..»

«Potter? – indagò il biondo, il sopracciglio alzato, nota di profondo scetticismo – Ti sei fatta aiutare da lui per arrivare qui, da me? Potevi chiedere. Avrei fornito a te e alla tua famiglia ogni protezio..»

«Vogliamo smetterla, Draco? – gli chiese lei, senza rancore ma con una nota evidente di rimprovero – Io sto scappando da Caius per salvare mio marito babbano e i miei figli Mezzosangue. Offrendomi rifugio non vai forse contro quegli stupidi pregiudizi che hanno condizionato la nostra infanzia? Harry fa parte di quei pregiudizi, quindi togliti dalla testa altri riferimenti scettici a riguardo. E poi gli Auror erano una precauzione, mi fidavo assolutamente di mia sorella e mi fido di te.»

Lui le sorrise, non potendo fare a meno di andare orgoglioso del coraggio e della forza d’animo della sua amica. «Non ho pregiudizi, non mi permetterei mai, altrimenti non saresti qui. Ho fatto preparare due stanze, una collegata all’altra dove potrete stare con i bambini senza problemi. Avete tutto a vostra disposizione, elfi domestici compresi.»

«Io.. non so davvero come. Ringraziarla, signor Malfoy.» Era stato Julian a parlare, con la sua vocina profonda eppure stranamente gentile e docile. Era proprio un uomo che valeva la pena di avere come conoscente, aveva ragione sua moglie. Doveva amarlo proprio tanto, per rischiare tutto per lui. Ecco un amore vero, era romantico il solo pensiero.

«Non dirlo nemmeno per scherzo. Sei il marito di Daphne, ora. Sei parte della.. famiglia?» Rise della propria incertezza, prima di rivolgersi con tono decisamente più autorevole ai quattro uomini all’ingresso. «Signori, gradirei che riferiste al signor Potter che la signora Greengrass, suo marito e i suoi figli sono giunti sani e salvi a Malfoy Manor e lo ringraziano della sua disponibilità a scortarli. Non avremo più bisogno di voi.»

I quattro uomini fecero un unico, simultaneo, gesto di saluto e scomparvero. Quindi i suoi ospiti salirono in camera e vi si chiusero dentro, ancora ringraziandolo per l’opportunità di allontanarsi dal clima di odio e pericolo nel quale tanto avevano vissuto. Nessuno gli aveva mai insegnato quanto potesse far sentire bene il solo aiutare le persone, il solo saperle al sicuro. In quel preciso istante, sapere che la famiglia della sua migliore amica era in salvo dalle prepotenze di un vecchio bisbetico e ipocrita, senza un minimo di cervello o di progresso nelle sue cellule purosangue rinsecchite, rendeva il suo animo più leggero, tanto leggero da fargli dimenticare il peso che gravava sempre di più su quella parte che ne rimaneva. La sua anima, lacerata, frantumata, spezzata: c’erano prezzi troppo alti, certe volte, che determinati desideri richiedono, nella nostra esistenza. Quando lui aveva deciso, per la prima volta, di prendere in mano il freddo vetro della boccetta di Kreyia, aveva detto addio per sempre alla calma di una vita lieta e senza preoccupazioni, ad una vita normale e senza intercessioni della Magia Oscura. Non l’aveva fatto per egoismo o per desiderio di vendetta, non c’entravano né il Signore Oscuro e neppure suo padre, in quel suo folle e disperato progetto. Il passato, come gli aveva insegnato qualcuno, era qualcosa che non può nuocerci, finchè non glielo permettiamo; finchè i nostri desideri e le nostre ambizioni sono focalizzate sul futuro, qualsiasi cosa passata non è che un ricordo.
Si sedette di nuovo, versandosi altro liquido nel bicchiere e assaporandone il sapore fresco scendergli in gola. Era proprio contento. Non per l’essere stato più di un paio di giorni a letto con delle ferite mortali, no di certo, e neppure per via delle sfuriata della Granger, di cui lui era il diretto responsabile, era contento che, in qualche modo particolare e contorto, tutti i pezzi della sua vita stessero tornando finalmente a posto. Certo, la sua anima e il suo spirito si laceravano sempre di più, era vero, eppure sentiva che la giustizia del far stare Daphne alla Manor, l’avervi accolto prima anche la sua nemica, Hermione, era in qualche modo un tentativo per fare ammenda. E se pensava, poi, che con la seconda c’era in ballo molto più che soltanto la sua anima, rabbrividiva. E, parli del diavolo..

Apparve, più bella che mai, esattamente come se n’era andata, null’altro che una semplice tuta da casa e i capelli arruffati. Non aveva più l’aria sconvolta, in compenso, e gli occhi tinti di rosso sull’orlo delle lacrime erano, adesso, perfettamente normali. Probabilmente si era sfogata, dove e con chi restava tuttavia ancora un mistero. Forse Potter, era probabile che fosse andata lì, dato che la Rossa attualmente era con Blaise. La squadrò con fare tranquillo, non manifestando minimamente il suo stato d’animo, colpevole e pentito. Era stato lui che, non appena si era sentito troppo coinvolto, non appena aveva percepito il velo della sua indifferenza cadere, aveva subito fatto marcia indietro, aveva subito ritirato qualsiasi gentilezza nella sua roccaforte di odio e crudeltà, costringendola a credere che qualsiasi gentilezza nei suoi confronti, qualsiasi gesto, tutto era stato dettato da null’altro che un calcolo freddo e distaccato del bisogno primario di ogni uomo: il sesso. Era stata una farsa necessaria, almeno per lui, ma questo non voleva dire che i sentimenti che, in un impeto di Veritaserum e convalescenza, l’avevano spinto a cercarla, a pensarla, non fossero ancora lì, benché abilmente nascosti. Lui era un attore, un bravissimo attore, ma non sempre ci si può accontentare di vivere una menzogna; prima o poi si finisce col farsi male o, peggio ancora, con il fare del male a chi ci sta intorno, anche a sua insaputa.

Senza mostrarsi minimamente turbata dal loro precedente colloquio, la ragazza avanzò di qualche passo, sedendosi davanti a lui e guardandolo a sua volta. «Faremo finta che non sia mai successo nulla.. – dichiarò infine, incrociando le dita delle mani e posando le braccia stese sul tavolo – Non ho intenzione di farmi raggirare dai tuoi sporchi giochetti..»

«Granger, io..»

«No.. – l’interruppe lei, prima che potesse proseguire – Niente scuse, andiamo avanti come sempre abbiamo fatto e come faremo sempre. Noi ci odiamo, tu mi fai vivere qui perché ti sono utile, missione, fiala, ritorno a casa. Alla fine avrò il mio denaro e me ne andrò. Niente di più semplice o più pulito, ecco tutto. E.. non vorrei che.. tu, insomma, avessi altri ripensamenti riguardo alla mia persona. Nemmeno se mi dicessi che mi ami, adesso e qui, verrei a letto con te. Tu rappresenti tutto quello che, nella società, io non sopporto e potrai avere un grande cuore e quello che ti pare ma, per me, rimani il ragazzino che ho conosciuto a scuola e quello che, al secondo anno, mi ha portato all’orlo delle lacrime per uno stupido pregiudizio.»
Non gli diede modo di replicare, girando i tacchi pronta ad andarsene, tanto che lui aveva cercato goffamente di inseguirla, bloccato tuttavia da una fitta improvvisa al torace, segno evidente del fatto che le medicine stavano terminando il loro effetto. Si costrinse di nuovo sulla sedia, meditando e maledicendo il giorno in cui era nato sotto il nome di Draco Malfoy. Nulla, nel suo mondo era mai risultato semplice, nulla lo sarebbe mai stato, neppure un sentimento banale e dozzinale come l’amore; che, del resto, lui era sicuro di non riuscire mai a provare.

Malgrado fosse già pronta a rintanarsi nella sua stanza e bersi una cioccolata calda, s’imbattè nella figura alta e bionda di Daphne, che era  di nuovo in quella casa ed era  di nuovo un ostacolo alla sua calma e tetra pazienza. Chiuse la bocca dallo stupore, decidendo di ricordarsi che, dopotutto, Harry le aveva assicurato che la ragazza fosse una apposto e che, almeno lei, doveva concederle una possibilità. E lei, ovviamente, era ciò che era, la bontà verso amici di amici di amici era una qualità innata che non solo al sua Casa le aveva inculcato ma che, già prima, la sua indole aveva personalmente coltivato.

«Daphne.. – le sorrise, disponibile – Harry mi ha detto che ti saresti spostata oggi, mi fa molto piacere che siate riusciti ad arrivare qui sani e salvi.» Non aggiunse altro, superandola e sperando di essere stata abbastanza gentile, almeno stavolta. Probabilmente lo fu perché, mentre saliva le scale, la voce della bionda la raggiunse, pregandola di fermarsi.

«Hermione.. io.. beh, saprai già che rimarrò qui per un po’ e vorrei… sapessi una cosa.»

La mora si fermò voltandosi a guardare la ragazza. Era sempre la stessa, pochi giorni non avevano scalfito la pelle liscia, lo sguardo fiero e i capelli di un biondo tanto intenso da superare perfino quello del grano a mezzogiorno. Era bella, molto, nemmeno la fatica della fuga era riuscita ad abbatterla, lasciandola solare e splendente. Cosa voleva ora, da lei? La ragazza sembrò intuire il suo sconcerto, per questo sorrise imbarazzata, ma non troppo.

«So che non ti ho fatto una buona impressione, la prima volta che ci siamo trovate sotto lo stesso tetto, ma non vorrei che tu prendessi il mio comportamento per un atteggiamento ipocrita o omofoba. Io amo mio marito, lo sai, anche se è un babbano; i miei figli sono Mezzosangue, adesso, e la mia condizione non è migliore rispetto a tanti figli di babbani con in mano la bacchetta.. almeno, questo pensa la mia famiglia. Adesso che so di avere persone su cui poter contare, tra cui Draco, considero loro la mia famiglia..» Si fermò guardandola intensamente, gli occhi di ghiaccio che trafiggevano quelli nocciola della Gryffindor. «Ogni animale è portato, per istinto, a proteggere i suoi simili. Io considero Draco al pari di un fratello.. non permetterò che qualcosa gli faccia del male.»

Le ultime parole furono rasoi, violente e affilate, taglienti, sanguinose. Non era una minaccia come tante, lanciata a vuoto e con l’unico scopo di spaventare, Daphne stava parlando sul serio. Non voleva che nessuno della sua famiglia si facesse del male, Draco incluso. Perché lei, Hermione, avrebbe dovuto fare del male a Draco? Era colui che la stava ospitando, che le stava dando – anche se con parecchi problemi – un posto sicuro dove rifugiarsi dal suo ex fidanzato e dalla sua vita opprimente. Perché avrebbe dovuto anche solo pensare di alzare un dito contro di lui?

«Forse.. mi sono spiegata male.. meglio chiarirmi.. – si affrettò ad aggiungere con un sorriso la strega, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio e avvicinandosi ancora di più, tanto che la mora poteva sentirne il respiro davanti al suo volto - ..se provi anche solo ad incastrare Draco, qualsiasi cosa lui stia facendo, ti faccio fuori. Se di nuovo torna a casa quasi morto, farai la sua stessa fine. Qualsiasi sia la faccenda di cui vi state occupando, della quale non vuole dirmi nulla, non voglio che tu ti dimentichi, nemmeno per un istante, che tu potrai anche essere Hermione Granger, la guerriera paladina della II Guerra Magica.. ma io sono Daphne Greengrass..» - e nel pronunciare il suo nome si sentì tutto l’orgoglio per la sua stirpe di appartenenza - «I miei bisnonni, i miei avi, ogni singolo Greengrass nel corso della storia si è distinto per la propria lealtà e per la propria forza di spirito. Io voglio che tu capisca, a fondo, che io non verrò mai meno al giuramento del mio sangue.. difenderò la mia famiglia, ergo Draco, anche se dovessi ucciderti..»

Si, decisamente lo stress può fare brutti scherzi. L’aveva appena minacciata di morte, e questo ci poteva anche stare, ma da qui ad arrivare alla storia di tutta la sua famiglia e di giuramenti di sangue? Insomma, faceva molto Bellatrix Lestrange, pensò pacata, ormai era una moda superata da almeno un paio di anni. E poi minacce come quella le aveva sopportate per tanto di quel tempo da aver sviluppato una sorta di corazza che la rendeva immune a qualsiasi commento del genere.. E poi, cosa le aveva fatto venire in mente quest’ipotesi infondata? Draco doveva averle spiegato, anche con dovizia di particolari, che non era stata la Gryffindor a ridurlo così, anzi, era stata lei quella che l’aveva tirato fuori dai guai e l’aveva riportato a casa vivo a malappena. Adesso era lei la carnefice?

«Anche se.. – continuò la bionda, con un ulteriore chiarimento – Questo, vorrei che lo sapessi, non vuole assolutamente dire che ti odio, anzi. Harry mi ha parlato tanto bene di te, sono sicura che sei una persona ottima.. volevo soltanto fare questa piccola precisazione, onde evitare equivoci futuri.»

Ecco, adesso si che poteva dirsi confusa oltre ogni dire. Amica o nemica? Nemica o amica? Si o no o forse?? C’erano talmente tante sfaccettature nella personalità di quella ragazza che, al solo pensiero che oltre a se doveva occuparsi anche dei figli e del marito veniva da mettersi le mani nei capelli. Un attimo prima era una furia che cercava di difendere chiunque le fosse caro, anche con le grinfie e con i denti, un secondo dopo era la docile creatura che aveva intenerito il cuore del Capo Auror e del Principe delle Serpi. Chi era, in realtà, Daphne Greengrass? Al momento, probabilmente, nessuno su questa terra poteva dare una risposta cerca a questa domanda, nessuno che lei conoscesse per lo meno. Tentò di sostenere il suo sguardo, per trovarvi un minimo di incertezza o di esitazione, ma non ne vide, tanto che fu costretta ad abbassare gli occhi per non fissare quell’ardore e quel coraggio, dipinti a tinte chiare nelle sue iridi azzurre. Del resto, non poteva minacciarla e poi sorridere come se nulla fosse. Non era solo strano, era assurdo.

«Lo so che potrai pensare che sono pazza.. – continuò, senza esitazione, mentre erano arrivati davanti alla sua stanza – Ma volevo chiarire che non devi temermi, perché non sono qui per lottare o per ribadire una lotta millenaria. Sono qui per difendere quelli che amo. Draco, purtroppo, rientra in questa categoria e non vorrei per nulla al mondo che gli succedesse nulla.»

«Io nemmeno.. – tagliò corto l’altra, incrociando le braccia sul petto – Mi paga, sai com’è. Ho bisogno di riprendermi il posto che mi spetta e lui e la sua azienda, pare, siano gli unici modi per arrivare dove desidero.»

«Mezzo e scopo. Non ti biasimo. Conosco la legge e so quanto duramente siano stati colpiti alcuni nati-babbani per le loro origini.. anche se si trattava di eroine del mondo magico.» Sorrisero entrambe, incapaci di trattenersi, con una sincerità che quasi stonava nell’ambiente di incertezza e sul terreno fangoso in cui si trovavano, metaforicamente parlando. «Io vado a dormire, se permetti. Mio marito credo non ce la faccia da solo con i gemelli.. vorrei presentartelo, domani. Mi piacerebbe.»

Hermione non rispose, annuendo soltanto con un cenno affermativo del capo, prima di congedarsi a sua volta e tornare in camera. Aveva troppe cose su cui riflettere, tutta la notte per farlo – almeno così credeva. Non c’era modo di superare una situazione simile, non senza un’analisi scrupolosa e senza una strategia d’azione. C’erano così tante cose che, se avesse potuto, avrebbe semplicemente escluso dalla mente per non rivederle più ma che, proprio per questo, le balenavano in mente come una sequenza di film horror: il bacio di Draco, anzi il suo ordine di baciarlo, le minacce di Daphne e la sua offerta di pace, quella smorfiosa di Ginevra sulle braccia di Harry, il povero ingenuo che in quella storia c’entrava meno di tutto ma che si trovava avvinghiato a quella realtà più di chiunque altro. Come uscirne? Con Draco, e quella era forse la decisione più semplice, avrebbe continuato a mantenere una strada dritta, pulita, non avrebbe fatto altro che assecondare le sue richieste, come sempre, e tenersi lontana dalle sue labbra, ovviamente. Con Daphne, ancora più semplice, avrebbe tenuto un profilo basso, fino a capire del tutto quali erano le sue intenzioni e qual’era la sua vera faccia, se quella da demone o quella angelica. Ginny.. al momento, e le dispiaceva per Harry, era l’ultimo dei suoi problemi.


 




Spazio autrice ù.u

Tadan!!! Eccomi, in perfetto orario tra l’altro, né troppo presto e neppure troppo tardi, perché possiate leggere il capitoletto prima di scendere stasera o prima di andare a coricarvi. Oh, so quanto se ne possa avere bisogno. Proprio l’altro ieri ho dormito dalle tre del pomeriggio alle otto di mattina, il tutto dovuto alla carenza di sonno in gita. Oh, si! La sottoscritta si è immersa per quattro fantastici giorni nei meandri di una città senza tempo, tra castelli trecenteschi, nomi stranissimi e privi di vocali e ponti sospesi come per magia sul fiume. Si, inutile ch vi racconti di Praga, sono certa che non ve ne frega assolutamente nulla xD Beh, però del capitolo vi frega, almeno lo spero. Cominciamo.

Per quelli che dicevano che Harry era fortemente sottovalutato: lo credete anche adesso? Harry, fin dal principio, non era un personaggio principale, non era qualcuno che doveva muovere le redini della vicenda e neppure doveva costituire un fulcro centrare intorno al quale la storia dovesse ruotare. No. Lui doveva essere quell’amico, appunto, sempre pronto nelle retrovie, disposto ad offrire un abbraccio nel caso in cui qualcuno – appunto Hermione – ne avesse bisogno. E non è critico o diretto, è imparziale e, se avete notato, spogliato del tutto dei vecchi pregiudizi. Questo, per esempio, è un punto che inizialmente non volevo approfondire ma, nel corso della storia, mi sembra ormai inevitabile tralasciarlo.

Tutti i personaggi, chi in maniera più veloce e chi invece più lenta, sta finendo con l’abolire tutti i vecchi pregiudizi, avete notato? Insomma per cominciare Daphne e Harry, per dirne solo una; Blaise, anche se sta sempre in giro per la Manor a litigare con Hermione, non lo fa perché la odia ma quasi perché, come mi sembra di aver già accennato, lo diverte averla per casa. Insomma, è un gioco il loro. Così anche Daphne e Hermione finiscono con l’avere, ed era ora!, il loro momento magico.

Din don. Momento magico Daphne-Hermione, spendiamo qualche minuto di riflessione. So che, almeno all’inizio, Daphne tutto può sembrare che la persona potente e decisa che era parsa all’inizio, anzi. Al momento molti di voi credono che sia una pazza, afflitta da un qualche disturbo per chissà quale strana e insensata ragione. Non è così, ovviamente. La verità è che Daphne ha molto da dare, molti concetti ancora da esprimere e, prima di tutto, vuole disperatamente far capire ad Hermione la sua posizione, sia come donna sia come amica di Draco. Purtroppo non sempre la cosa le riesce in maniera gentile e quindi ecco questa sorta di “minaccia”. Ma non è cattiva, lo ribadisco. Forse solo un tantino. xD

Momento Draco Hermione. Ammetto che non è uscito proprio come lo desideravo, sul serio. Volevo che il suo dolore trasparisse un po’ di più, che lei, quantomento, si rendesse conto che lui era dispiaciuto. Non è stato così. Draco non ha avuto neppure la forza di controbattere, come avete visto, perché già prima di rimettere piede nella Manor Hermione era certa di quello che voleva o non voleva fare. Però, ripensandoci adesso, forse è anche meglio così. Del resto sarà più chiaro quello che accadrà più avanti. Insomma, una scelta sbagliata ma che non è dopotutto tanto sbagliata, alla fine.

Grazie un milione a quelli che hanno recensito – sto rispondendo alle ultime recensioni, chiedo perdono xD – e a tutti quelli che hanno aggiunto la storia fra le preferite, le seguite e le da ricordare ( facciamo come i numeri del lotto xD 25, 15, 104).

Vi aspetto con ansia per il prossimo capitolo. Un bacio =)

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Capitolo 11
*** all together passionately ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo X:

All together Passionately
 

C’era decisamente di peggio.

Si, insomma, a pensarci bene era proprio così: milioni di bambini, nel mondo, soffrivano la fame, la sete, erano costretti ad impugnare delle armi e a combattere per una guerra non loro e per adulti, quelli che avrebbero dovuto solo amarli, che non avevano a cuore altro che la propria stabilità politica o monetaria. Era crudele, ancora, pensare alle migliaia di profughi, di rifugiati politici, di persone senza un tetto insomma che, per l’appunto, erano costrette a vivere sotto il cielo stellato, il che di romantico aveva poco o niente, dato che non offriva loro alcuna protezione in caso di pioggia o neve, in limiti estremi. E questo volendo solo considerare il mondo babbano. Figuriamoci, poi, andare a scavare anche in quello magico, dove di certo le condizioni non erano diverse. E, con una tale ecatombe nel mondo, proprio lei doveva lamentarsi del luogo in cui viveva. Si, perché nessuno l’aveva costretta. Nessuno le aveva puntato una bacchetta alla gola e l’aveva trasferita a forza, di peso, nella seconda camera a sinistra del lungo corridoio laterale, destro, dopo la scala centrale di Malfoy Manor. Lei, consenziente e di sua spontanea volontà, aveva deciso di fare quel passo, riaffermando la propria indipendenza, il proprio status di strega matura e responsabile – una strega “senza casa”, matura e responsabile. E adesso, dopo circa un mese e mezzo di convivenza più che appagante – oh, perché il lusso di certo non mancava – voleva fare un po’ di scena e di storie sui nuovi arrivi? Insomma, cosa poteva essere mai! Una serpe più, una meno, tanto..

Blaise, ormai, era il problema minore, in quel putiferio, anche se non è che fosse l’apoteosi della simpatia. Accanto a lui, in seconda posizione per un climax ascendente, veniva Daphne, la regina della casa, come le piaceva soprannominarla tra sé e sé. Non era il modo in cui si comportava o particolari cose che faceva, era un fattore di personalità, e la sua era una personalità talmente predominante che la casa stessa sembrava volerla come padrona. Non che Draco potesse o volesse impedirglielo: voleva bene a quella ragazza oltre ogni dire, tant’è vero che non l’aveva mai visto comportarsi così con un babbano come si stava comportando con il marito di lei. Certo, trattava bene anche la sua Granger, c’era da riconoscerglielo, ma il loro era – come ormai avevano stabilito – un rapporto di lavoro, trattarla male sarebbe andato contro i suoi interessi. E poi, in prima posizione, posto che si era guadagnata senza troppi problemi, lei. La stronza. Quella grandissima stronza figlia di.. povera Molly, stronza insomma! Che di nome faceva Ginevra Molly Weasley e che aveva nel sangue la stessa infida indole del fratello. Da un lato ringraziava il cielo che, finalmente, la cecità di Harry fosse diventata un miracolo e gli avesse rivelato i sotterfugi della moglie; dall’altro, ovviamente, non c’era nulla di peggio, visto che tornare alla Tana avrebbe rappresentato un modo di dimostrare il proprio fallimento – non sia mai! – e quindi l’unico posto in cui aveva potuto rifugiarsi era stato.. esatto. Tutti insieme appassionatamente a Malfoy Manor!

Tanto, a finale, non c’era nulla di cui preoccuparsi! Ginny stava con Blaise, anche se le piaceva Draco, ed entrambi gli uomini ne erano a conoscenza ma preferivano, per reciproco rispetto, non parlarne; Daphne viveva in una camera doppia con suo marito, babbano, Julian, e i suoi gemelli, che stranamente erano particolarmente silenziosi per la loro età ( o più semplicemente la camera era insonorizzata da qualche incantesimo, più plausibile); la stessa Daphne che, un tempo, era stata una sorta di amante di Draco, ad Hogwarts, e al quale era ancora profondamente legata; Draco, poi, che aveva ordinato ad Hermione di baciarlo, mentre lei non si era sottratta e aveva ricambiato il bacio, restandone profondamente turbata. La stessa Hermione che stava per diventare cognata di Ginevra, poiché moglie di Harry, la quale era anche sorella del suo attualmente ex-fidanzato, migliore amico di suo marito, anche suo migliore amico, al quale non aveva detto nulla della relazione della moglie per paura di ferirlo. Lo stesso che, pochi giorni prima, aveva aiutato Daphne e l’allegra brigata a scappare dal padre di lei, dispotico tiranno, al quale non piaceva Julian. Il quale, a sua volta, era diventato così cognato della sorellina piccola di Daphne, Astoria, nonché promessa sposa di Draco, o almeno follemente innamorata di lui, a detta del diretto interessato. E, in sostanza, era tutto. Semplice, no?

L’unica cosa che, purtroppo, era tutt’altro che semplice e restava irrisolta, era il padrone di casa. O, meglio, quello che voleva il padrone di casa. Non erano più tornati sull’argomento, era vero, ma era sicura che qualcosa, dentro di lui, proprio come dentro di lei, si stesse ancora rivoltando e si stesse scervellando per capire, per comprendere l’attimo che avevano condiviso. Perché sì, l’avevano condiviso quell’attimo. Era inutile negare che c’era, anche se sepolta sotto anni di odio e indifferenza, una scintilla di sentimento.

Lasciò entrare in bagno un agitatissimo Blaise, che aveva una faccia verdastra, forse per qualcosa che aveva mangiato. O forse, più semplicemente, aveva capito che la rossa con cui condivideva il letto era un grandissima troia egoista e gli si era rivoltato lo stomaco al pensiero di lei. Avrebbe avuto tutto il suo appoggio, in quel caso. Per sua sfortuna, tuttavia, la persona che adesso aveva davanti, non era né tanto malaticcia né tanto di basso livello, in fatto di gusti sentimentali. Anzi, la rapidità con cui quel furetto si stava riprendendo era sorprendente. Certo, le cure di Daphne erano un contributo non indifferente, ma restava comunque di fatto una guarigione estremamente rapida, se non miracolosa, viste le ferite di magia Oscura che aveva riportato. Lui si fermò davanti al bagno, voltando lentamente verso di lei, in maniera teatrale.

«Stasera usciamo.»

La mora alzò un sopracciglio, prima di afferrarlo per un braccio e costringerlo a fermarsi, dato che, dopo il clamoroso annuncio, cogliendo l’effetto sorpresa, stava per darsela a gambe levate. Ringraziò mentalmente la pozione di Daphne che, in men che non si dica, aveva guarito la sua caviglia come se nulla fosse: se fosse stato altrimenti col cavolo che avrebbe potuto riprendere Draco a quel modo, fulmineo e istintivo. Aprì la bocca un paio di volte, cercando di formulare la domanda giusta, ma non ci riuscì, costringendosi quindi a inspirare profondamente e calmarsi: come osava darle degli ordini? Credeva di aver messo in chiaro determinati punti eppure sembrava proprio che non fosse così: era ancora, dopotutto, il solito arrogante che non voleva altro se non comandarla a bacchetta e farla schiava dei suoi ordini e dei suoi maledetti ricatti.

«Magari qualche dettaglio in più sarebbe gradito. – puntualizzò lei, scrupolosa – Un’altra missione?»

La sua aria spavalda e quasi ironica la sorprese. «Mi credi così dedito al dovere, Granger? Abiti a Malfoy Manor da abbastanza per sapere che un Malfoy non vive di soli doveri, c’e anche il piacere e, certe volte, prende il sopravvento. Come stasera, per esempio.»

«Che vuoi dire?»

«Voglio dire che stasera, Hermione, impersonerai di nuovo la mia carissima cugina purosangue perché andiamo ad un ricevimento. Sono stato invitato da un conte giapponese che è uno dei maggiori finanziatori delle mie industrie babbane: non è un mago, ma sua moglie lo è e le loro feste sono uno degli eventi a cui preferisco non mancare. Oserei anzi dire che, dopotutto, le preferisco anche a festività più tradizionali.. Natale.. Pasqua.. »

La strega, malgrado avesse capito da tempo ormai quanto il divertimento contasse per un Malfoy, non era ancora pienamente convinta che l’invito risultasse del tutto innocuo; dopotutto, era stato proprio un invito innocuo a portarla a casa di un magnate russo dove lame affilate avevano rischiato di farla a fettine sottili sottili. Il concetto di innocuo, soprattutto in quella casa, soprattutto per Malfoy, era un concetto estremamente relativo. E lei, benché avesse una capacità più che elevata di adattarsi a qualsiasi situazione improvvisa, non ci teneva proprio ad andare in un’altra tana del lupo senza essere preparata.

Aveva fatto le dovute ricerche. Quello che, ancora, dopo tanto tempo, le mancava di sapere delle misteriose fiale di Malfoy e di quei maledettissimi Guardiani era oltre modo certa di non poterlo scoprire, non sui libri della Biblioteca quanto meno. Ogni mistero del mondo è custodito sulle pagine ingiallite di qualche vecchio volume, questo è risaputo, ma se non si conosce l’ubicazione di quel volume è inutile anche solo sperare di poter venire a capo del mistero – o misteri – in esso celati. Il giovane Slytherin aveva fatto bene a rimuovere dagli scaffali polverosi, tutti ordinati e con i tomi in bella vista, qualsiasi cosa che potesse condurla alla verità. Certo, non era riuscito a ripulire proprio tutto e aveva leggermente sottovalutato la sua capacità di trovare informazioni, soprattutto in una biblioteca stimolante come quella, ma non era stato per nulla uno sprovveduto: le notizie principali, il nocciolo della situazione restava ancora un mistero per lei. Si era ripromessa di trovare quello che cercava al più presto – magari anche intrufolandosi della stanza del biondo, in sua assenza, per indagare – ma la presenza degli “inquilini” aveva resto qualsiasi suo tentativo un fallimento.

«Va bene. Diciamo che questa festa non abbia pericoli o fini nascosti. Perché dovrei venire? Non è una missione, a cosa ti servo?»

«Ah, Granger. Come si vede che Lenticchia è stato il tuo unico ragazzo..»

«Come osi..? – s’indignò lei, punta sul vivo, soprattutto al sentir nominare Ron – Io non..»

«Tranquilla, non intendevo quello. Semplicemente facevo notare che le Regole della Seduzione ti sono praticamente estranee. Saresti sorpresa di scoprire quanto due belle donne al mio fianco, ben vestite e seducenti, possano essere utili ad una serata come questa..»

Non si soffermò a valutare parole come “ben vestita” o “seducente”, la colpì piuttosto il plurale dell’affermazione, in cui al suo fianco c’erano due donne. Voleva forse dire che..? «Si, - confermò lui con un cenno del capo – Daphne viene. Anche lei è stata invitata ma, per motivi burocratici, suo marito non si è meritato un invito. Per questo devi essere un’impeccabile purosangue. Sono certo che farai un buon lavoro come quando siamo stati da Kostja..»

«Non puoi obbligarmi.. – lo contraddisse lei – Io sono qui per aiutarti in una e una sola questione, quella riguardante i tuoi maledettissimi metalli. Quando avremo finito me ne andrò. Come ti piace ripetere, si tratta di lavoro. Non c’erano clausole che mi imponessero di accompagnarti a serate mondane fingendomi qualche cugina purosangue che ti sbava dietro..»

«Non ho mai pretesto che dovessi farlo, sbavarmi dietro intendo. Ma dimentichi un fatto.. – si avvicinò al suo volto, guardandola dritto negli occhi, i loro nasi a pochi centimetri l’uno dall’altro – non ci sono clausole, nel nostro accordo. Proprio come all’inizio: io chiamo, tu arrivi. Io chiedo, tu esegui.»

«Non. Sono. La. Tua. Schiava.» La forza con cui pronunciò quelle parole, la fece vacillare, tanto che per un attimo sentì l’equilibrio del corpo abbandonarla e le braccia di Malfoy afferrarla per impedirle di cadere. Se possibile, ancor più scioccata – non tanto dal contatto, quanto dalla scossa che aveva attraversato tutto il suo corpo nel momento in cui si erano toccati – si divincolò e fece un passo indietro, squadrandolo con rabbia. Perché tanta rabbia? Non le aveva fatto nulla, fin’ora! Era sempre la solita serpe viscida ma, fino a prova contraria, sapeva gestire la cosa, l’aveva sempre fatto e avrebbe potuto continuare a rispondere alle sue battute sagaci con altrettanta sagacità e arroganza. No, la rabbia non derivava dall’incapacità di gestire Malfoy, la rabbia derivava dall’incapacità di gestire se stessa in sua presenza. Era terrificante sapere di non avere controllo sul proprio corpo, come trovarsi sotto una maledizione Imperius.

Si squadrarono, senza muovere un muscolo, almeno finchè Blaise non uscì dal bagno con un’espressione ebete, interrompendo quel momento imbarazzante. «Amico mio, appena sei di buon umore ricordami di spiegarti i benefici di una certa pozione..»

«Grazie, Blaise. Ne farò a meno.. – poi, senza perdere un istante la sua maschera di perfetta tranquillità, rivolto alla strega – Sii pronta per le nove, non voglio sentire storie. E se non sarai pronta, ti farò entrare in quel vestito a forza..»

La Gryffindor, indecisa se dargli uno schiaffo o andare in camera sua a fare le valigie e trasferirsi sotto un ponte, alzò il mento emanando orgoglio e fierezza, prima di girare i tacchi e andarsene, sbattendo la porta della sua stanza dietro di sé.
Malfoy non mosse un muscolo vedendola andarsene e chiudersi dietro la porta, infuriata e ferita nel profondo. Ma non poteva fare altrimenti, c’era troppo in ballo. La sua malattia, il rischio della morte, aveva messo in evidenza tanti di quei punti mancanti della sua esistenza da rendergli difficile pensare come, una vita simile, potesse essere una vita felice e appagante. Era un uomo ricco, certo; era bello, senza ombra di dubbio, aveva soldi e potere, tutto quello che ancora non possedeva poteva ottenerlo più che facilmente. Cosa gli mancava allora? Gliel’aveva mostrato Daphne.

Quando era arrivata, per la prima volta, alla Manor con in braccio due gemelli e suo marito, aveva visto una famiglia, finalmente al sicuro, ma nulla di più. Poi, con il tempo, quando aveva avuto la possibilità di osservarli, di vedere quanto amore ci fosse fra loro, quanto il solo stare insieme fosse tutto quello di cui avevano bisogno, si era reso conto che l’amore era forse l’unica cosa che gli mancava. Non ne aveva mai sentito la necessità, fino a quel momento almeno: avventure occasionali, oche senza un grammo di cervello o modelle famose erano sempre state sufficienti. Perché non più? Perché adesso non gli bastava?

Perché, si era reso conto, adesso non era più un ragazzino, il semplice divertimento aveva lasciato spazio ad una maturità a cui non aveva mai aspirato, una maturità che aveva messo in chiara luce quello che ancora non possedeva, quello che ardentemente desiderava, quello che non sarebbe mai stato suo. Non tanto l’amore quanto la persona che, con ogni probabilità, glielo stava ispirando. Poteva negarlo con Blaise, poteva far credere a Daphne che si trattava di pura infatuazione, ma negare qualcosa di così evidente perfino a se stesso sarebbe stato ipocrita. A lui, Draco Lucius Malfoy, piaceva Hermione Jean Granger, mezzosangue amica di Potty e Lenticchia. Geniale, Draco!

E poi non era mica colpa sua! Era di tutto quel maledetto casino. E Blaise, e Daphne e i metalli. Tutto in un momento, tutto troppo in fretta. La verità non era che l’invito di Yamagashi era di vitale importanza, la verità era che aveva bisogno di svagarsi e se, in quello svago, era prevista una spalla come Daphne e una Granger un po’ più brilla del solito.. perché no?

«Stai giocando con il fuoco, Draco.»

Si sporse leggermente dalla sua comoda posizione sul divano di pelle nera, in salotto, vedendo Daphne scendere elegantemente le scale, con addosso un pigiama di seta blu notte e una vestaglia grigia. Gli sorrise, sedendoglisi accanto a prendendo un sorso dalla sua tazza: il chiedere non era mai stato il suo forte. Lui le lasciò fare, osservandola divertito, curioso di vedere fin dove voleva arrivare, ma rimase deluso: dopo aver assaggiato la sua cioccolata, gliela porse di nuovo, incrociando i piedi davanti a sé, in posizione yoga, e intrecciando le lunghe dita bianche.

Non proseguì, rimase semplicemente in silenzio, scrutandolo da dietro le lunghe ciglia, esaminandolo con i suoi occhi indagatori. Come sempre, lei ne sapeva una più del diavolo. «Vuoi stare lì a non dire nulla tutto il giorno? – proferì infine lui, posando la tazza vuota sul tavolino che aveva davanti – O vuoi sputare il rospo e andarti a preparare per la festa?»
Lei semplicemente sorrise, aggiustandosi i capelli biondi su una spalla. «Non ti irritare, Malfoy, te l’avrò ripetuto cento volte che non sei affatto sexy quando ti alteri. E comunque non ero qui per te: i gemelli dormono, Julian anche, e io mi stavo annoiando. Quindi ho pensato bene di venire qui..»

«.. e rompere le scatole al diretto interessato. Si, grandioso. Non incominciare con i tuoi soliti discorsi da moralista, Daph, non mi servono e non ne ho proprio voglia oggi.. – liquidò l’argomento con un’unica frase, sperando che lei gli concedesse quel favore – Quindi torna da tuo marito e lasciami in pace.» Ma era troppo pretendere che Daphne lasciasse in sospeso un argomento, soprattutto uno che riguardava affari di cuore, soprattutto se riguardava affari di cuore più Draco Malfoy ed Hermione Granger nella stessa frase.

«Non voglio tormentarti, davvero! Sono qui semplicemente per.. capire. Come hai fatto a ridurti così?»

«Così come? – ribattè lui stancamente, capendo che era inutile evitare il discorso – Sto benissimo!»

«Certo, quanto una Piovra Gigante e un Platano picchiatore su una torre di astronomia.. » Certo che non ha ancora perso gusto per queste orribili metafore senza senso, bah! «E comunque non c’entra, sta di fatto che sei ridotto malissimo a causa di una ragazza che, è evidente, non ha mai causato nessuna reazione chimica in te.. fino ad ora. L’hai baciata?»

Ecco le domande imbarazzanti. Non rispondere, non rispondere o sarai morto, non rispond..«Si, l’ho baciata.»
Gli occhi della strega di accesero come due fuochi d’artificio. «Ci sei andato a letto?» «Augh! Daph, ti prego! Sto cercando in tutti i modi di farti capire che è una cosa che mi sta facendo impazzire, e non in senso buono, e tu la prendi a ridere?»

«Non sto ridendo.. – gli fece notare tranquilla lei – Sto semplicemente dicendo che, se proprio vuoi conquistarla, il sesso aiuta di sicuro. Se ricordo bene, in quello non hai mai avuto problemi.» Già, anche quel suo modo totalmente sciolto di parlare delle volte in cui erano andati a letto insieme.. era proprio sfacciata certe volte! Ma era Daph, nulla in lei poteva renderla meno amabile ai suoi occhi: le voleva un bene dell’anima, qualsiasi cosa irritante o inopportuna potesse dire o fare. «Già, a proposito di te e me che facciamo sesso: stasera non tirarla fuori come storiella per ricordare i vecchi tempi, non penso lei gradirebbe.»

La risata cristallina della bionda riempì l’aria del salone, contagiando lo stesso Draco, che si concesse di sorridere con lei: erano poche, davvero poche, le persone con cui poter essere se stesso, felice, con cui poter ridere e con cui poter dire tutto senza problemi, Daph era proprio una di queste. Chissà cosa avrebbe fatto senza di lei. La vide continuare a ridere anche mentre si alzava, come se niente fosse, lasciandolo lì basito e sconcertato: avevano davvero finito così quella chiacchierata? Con lei che se ne andava senza una delle sue solite frasi moraliste?

«Daph? – la chiamò piano, alzandosi a sua volta – Stai bene?»

«Benissimo. Anzi, tanto bene che vado a prepararmi per quella stupida festa a cui.. giusto, sono stata invitata. Se devo farti da spalla allora è meglio che sia impeccabile.» Oh sì, certo che lo sarebbe stata.

***

Verso le dieci di sera era tutto pronto: Perky gli aveva stirato lo smoking nero e la camicia bianca, lucidato le scarpe di vernice e i gemelli per le maniche e infine, come atto di estrema devozione, gli aveva anche colto un fiore fresco da mettere all’occhiello. Passando le mani sul tessuto costoso, Draco ne assaporò il tatto, così seducente, e il profumo, che gli riportava alla mente tante e tante memorie. Si vestì con estrema lentezza, dando particolare attenzione ai dettagli, finchè il riflesso dello specchio non lo soddisfece a pieno. Quindi prese il mantello e si decise a scendere per aspettare di sotto le due signore.

La prima a scendere su Daphne, ovviamente. La sua bellezza nel corso degli anni, malgrado le continue fatiche e lotte contro il padre, non era appassita nemmeno di un grammo: dovunque andasse, ad una festa o ad un semplice incontro al Ministero, tutti si voltavano a guardarla, restando ammaliati per qualche istante dal suo incedere sicuro e sinuoso, mentre il rumore dei tacchi scandiva il ritmo dei loro pensieri. Poi, non appena la sua figura scompariva dietro un angolo, si riscuotevano dal loro momentaneo tepore, confusi e frastornati, come se fossero stati appena Confusi da un incantesimo. Eh si, anche adesso faceva quello stesso effetto.

Per l’occasione aveva raccolto i capelli dietro la nuca in uno chignon elegante, impreziosito da una coroncina, posizionata a mò di spilla sotto l’elaborata scultura bionda. Il collo, bianco, latteo, era impreziosito da un piccolo ciondolo, un puntino di luce minuscolo, probabilmente un diamante, che si abbinava all’elaborato bracciale di diamanti che portava sul braccio, sopra uno dei due guanti, disposto in due file di pietre allungate e ottagonali, impreziosite da qualche punto di perle nell’intermezzo. Ma quello che, di certo, non poteva sfuggire all’attenzione, era il vestito. Senza spalline, con un taglio orizzontale sul seno, avvolgeva il busto come un corpetto, discendendo in morbide pieghe e svolazzi verso il basso e lasciandosi uno strascico dietro. Il colore era un rosa antico, non del tutto visibile se non che per la parte del seno: subito al di sotto di esso, infatti, un nastro di raso nero separava il vestito a caduta libera, ricoperto da ricchi ricami di pizzo nero, che scendevano sul suo corpo con altrettanta grazia e particolarità, fino ad arrivare nello strascico e addirittura sovrastare in lunghezza il materiale rosa, sottostante. I guanti si abbinavano al rosa del vestito mentre le scarpe, che aveva notato solo grazie alla discesa dalle scale, altrimenti del tutto nascoste, erano nere, vertiginosamente alte e nere.

Analizzò ogni minimo dettaglio con i suoi occhi indagatori, prima di offrirle la mano e baciare la sua, una volta che era arrivata al termine della lunga scalinata. «Sono senza parole.»

«Lo prenderò come un complimento.. – sorrise lei, prendendolo a braccetto e sorridendo a sua volta – Anche se saresti sorpreso di scoprire quanto odio tutti questi ghirigori: ci vuole un eternità per prendere la bacchetta..»

«Beh.. nel frattempo puoi sempre azzuffare il tuo aggressore con uno dei tuoi tacchi, credo sarebbe in egual modo efficace..»

«Certo, almeno finchè non comincia a lanciarmi contro Maledizioni Senza Perdono, allora voglio vedere come ti difenderai con un semplice tacco.. oh..per.. Merlino..»

Il sorriso della bionda aveva lasciato spazio allo stupore, tanto che il giovane fu costretto a voltarsi a sua volta per seguire la traiettoria del suo sguardo e, allo stesso modo, restare pietrificato. L’aveva vista già diverse volte in abito da sera, non per ultima la volta in cui erano andati in Russia, ma quella sera Hermione Granger aveva un aspetto totalmente idilliaco, splendente, tanto che gli sembrò di non aver mai visto tanta bellezza racchiusa in un’unica persona, Daph esclusa ovviamente. Probabilmente era stata proprio la competizione con quest’ultima a convincere la mora a spingersi tanto oltre nel prepararsi: ah, rivalità femminile!

I suoi capelli, ricci e ben definiti, scendevano sulle spalle, stranamente più lunghi del solito, decorati in alcune ciocche raccolte in cima da piccoli fiori di gemme dorate e nere. Il suo abito aveva due spalline fermate da due fibbie nere, alla moda delle antiche matrone romane, che scendevano sul busto lasciando un ampio solco sulla scollatura – e, anche se ancora non poteva vederlo, il medesimo scollo le impreziosiva la schiena. La stoffa non era visibile, ricoperta com’era da mille e mille paillet dorate, almeno fino all’altezza dell’ombelico, dove le preziose paillet diminuivano progressivamente, lasciando spazio ad un materiale leggero e trasparente, che di velo in velo, uno sopra l’altro, cambiava il proprio colore nelle tonalità di ocra più svariate, intervallate dal nero.

La gonna finiva così con l’essere un po’ più rigonfiata del normale, ma giusto quel poco in più che bastava a toglierla dalla lista delle donne eleganti e metterla invece in quella delle donne “preziose”. Sembrava un gioiello, dalla testa ai piedi, racchiusi in eleganti sandali neri dai laccetti dorati tempestati di altrettante piccole gemme, molto simili a quelle dei capelli.

La mora, a differenza di Daph, non era abituata ad avere su di sé tutta quell’attenzione, tanto che nello scendere, piuttosto che pavoneggiarsi in tutto il suo splendore, sembrava sul punto di voler profondare sotto terra perché nessuno la fissasse più. Così, passo dopo passo, le guance sempre più rosse, arrivò ai piedi della scala, dove le due serpi la stavano aspettando.

Draco ci mise un po’ a ricordarsi le sue buone maniere, quindi Daphne lo precedette, salutando la strega e dandole due rapidi baci sulle guance a mò di saluto. «Per Merlino, Hermione, stavo dicendo a Draco proprio in questo momento che sei straordinaria.. Ginevra Weasley non sarebbe stata proprio a suo agio fra due bellezze del genere, non credi Draco? Pessima idea volerla invitare..»

«Aspetta, cosa? – Hermione rimase interdetta da un dettaglio che, se non fosse stato per Daphne, non avrebbe mai conosciuto – Ginny doveva venire con noi?»

Prima di rispondere, Draco lanciò un’occhiata irritata a Daphne, che tuttavia non se ne lasciò intimidire. «Non esattamente. Non volevo portarla ma, chissà perché, Blaise aveva insistito tanto perché venisse anche lei. Dato che non sono una balia e ho una reputazione da mantenere, ho detto al mio amico che se vuole portare la sua amante ad una festa, dovrà farlo personalmente e non con me come tramite. Non intendo irritare Potter più del necessario..»

«Ah, gli uomini e la loro reputazione! Non temere Hermione, stasera non ci infastidirà nella nostra serata.» Stranamente, Daphne era particolarmente affabile quella sera.. più del solito, si capisce. Abituata com’era a vederla come una perfetta donna di casa,
Hermione aveva dimenticato quanto in realtà la strega quadrasse bene anche nella società mondana, un mondo che sentiva più suo che proprio. «Ah, dimenticavo..Elizabeth. Draco ha detto che non ti dispiaceva fingere di essere di nuovo una sua cugina, mia cugina quindi.. ah, sarà uno spasso..»

«Oh, di sicuro.. – borbottò l’altra, acconsentendo a lasciarsi trascinare dalla bionda fino a uno dei pochi punti della casa dove ci si poteva smaterializzare – Andiamo, allora.»

***

«Ti stai divertendo, Elizabeth

La mora si voltò trovandosi la faccia sorridente di Draco Malfoy proprio davanti a se. Ah, perché doveva continuare a torturarla, non poteva starsene con Daphne e lasciarla ai suoi pensieri? «Dov’è Daphne?»

Lo Slytherin non rispose, ammiccando con la testa alla sue sinistra, dove Hermione intravide Daphne circondata da almeno dieci uomini che la stavano supplicando di ballare e ai quali, con molto garbo, lei sembrava dire di no. Aveva un qualcosa di magnetico, quella donna, non c’era che dire: c’era da stupirsi che suo marito la lasciasse andare in giro da sola, soprattutto in un vestito come quello.

«Se davvero fossi in Julian, non la lascerei mai venire ad un ricevimento, neppure se di alta qualità come questo, senza di me. Ma so anche perché lo fa, quindi non mi permetto di dire nulla.»

«Chi? – chiese ingenuamente la mora – Julian o Daphne? Mi sono persa..»

«Oh, non mi dire... Sei al terzo bicchiere o giù di lì.. – le prese il calice dalle mani e lo svuotò tutto d’un fiato, posandolo sul bancone – Comunque mi riferivo al marito, capisco perché la lasci andare. Non conosco nessuno, strega o babbano, tanto fedele alle promesse e ai sentimenti di quanto lo sia lei. Non tradirebbe il marito neppure se ne dipendesse il destino del Mondo Magico. E’ troppo moralista, per i miei gusti, ma devo ammettere che.. è perfetta, anche in questa sua bolla egoistica, è semplicemente perfetta.»

Hermione posò entrambi i gomiti sul bancone dietro di se, uno degli avambracci che toccava la giacca del mago. «Forse dovresti saperlo: non si fanno troppi complimenti ad una donna se quella stessa donna non è quella che ti sta accanto. Potresti non arrivare vivo alla fine della serata.» I loro occhi si incrociarono, prima che entrambi si perdessero in una sonora e divertita risata. Si, forse quei bicchierini non erano proprio la stessa cosa successa in America ma, ormai, era risaputo che Herm reggeva l’alcool come un astemio a capodanno! Draco, poi, si era fatto un bicchierino prima di uscire di casa e, di sicuro, nemmeno la sua mente era poi tanto lucida. «Oh, Malfoy, con te finirò in una fossa!»

«Oh, andiamo! Siamo ad una festa, Elizabeth, non ci sono fosse qui e nessuno che attenti alla tua vita.»

«Per ora.. – aggiunse scettica lei, prima di soffermarsi per qualche istante su una coppia che ballava al centro della sala – Balliamo!» Una proposta presa d’impulso, totalmente non da lei, e proprio per questo l’unica cosa che potesse risollevarle il morale. Lei era sempre stata la perfettina, la precisina, la ragazza perfetta, era tempo di cambiare questo stato di cose. Se voleva ballare con Draco Malfoy, l’avrebbe fatto, punto.

Il mago provò a replicare, tentando in tutti i modi di fermarla prima che raggiungesse la pista, ma fu troppo tardi: si ritrovò a ballare con un braccio sulla sua vita e l’altro stretto sulla sua fragile mano. Oh, no, di nuovo! Come poteva interessargli della fragilità delle mani di una donna come lei? Non aveva mai provato nulla per nessuno che sfiorasse quel livello di confusione e incertezza, non fino a pochi mesi prima. Quando lei, senza chiederlo, si era catapultata nella sua vita, era stato tutto capovolto, tutto era cambiato in un modo in cui lui non avrebbe mai potuto immaginare. Aveva cominciato ad avere paura per lei, ad essere preoccupato per lei, a temere per la sua vita. Perché? Aveva tentato di convincersi che fosse soltanto infatuazione ma nulla, mai, l’aveva coinvolto a tal punto, mai. Adesso invece la testa gli girava in modo inaudito per una ragazza, una Gryffindor, per giunta, e per giunta anche mezzosangue. Come poteva essere successo? Cos’aveva lei che le altre non avevano? Cosa gli aveva dato che, prima, nessun altra era riuscita a dargli?

E la spaventosa consapevolezza si fece strada nel suo petto, rivelandogli una realtà che da tempo Blaise e Daphne avevano cercato di mostrargli, senza successo, messi a tacere dalle sue violente proteste: era innamorato di lei. E capirlo, arrendersi a quell’eventualità, ammetterlo, anche se solo con se stesso, fu un passo avanti che non avrebbe mai pensato di poter fare. Tutto improvvisamente divenne dannatamente giusto: le loro mani unite, i loro volti vicini, quel valzer lento e melodioso, tutto. E vide gli occhi di lei, leggermente spauriti, quasi rendersi conto di quella consapevolezza, a sua volta, incrociando le iridi chiare del giovane. Non c’era davvero nulla in comune, fra loro, così come le loro iridi non potevano essere più diverse, così anche i loro caratteri e le loro vite erano separate da strati e strati di differenze e odio reciproco. Ma non adesso, non più. Era cambiato tutto in quelle poche settimane, ogni loro certezza, ogni loro realtà.

Senza capire realmente se anche lei stesse facendo lo stesso o se fosse soltanto una sua fantasia, il giovane avvicinò il volto ancora di più al suo, cercando con le proprie labbra le sue e sorprendendosi di trovarle. La prima volta che aveva assaggiato quelle labbra era stato per una scommessa, una sfida, contro se stesso e contro i propri sentimenti, ma adesso era diverso: stavolta lui non le aveva ordinato quel gesto, era nato spontaneo in lei così come in lui. Rabbrividì in quel contatto. La musica, gli invitati, la festa, tutto sembrò rallentare al ritmo dei loro movimenti e all’unione delle loro labbra. Avrebbe potuto assaporarle ancora e ancora, in eterno, tanto che si accorse di aver perso quel contatto soltanto quando ritrovò gli occhi grandi di lei che lo fissavano, quasi impauriti.

«Non avresti dovuto farlo..»

Era lui ad essere confuso o qualcosa non quadrava? L’aveva baciata, era vero, ma lei non era rimasta inerte, non aveva finito con l’allontanarlo o respingerlo, l’aveva baciato, c’era una differenza. Prima che lei potesse scappare, come era evidente volesse fare, la afferrò per un braccio, tentando di non dare troppo spettacolo nella folla di coppie danzanti dove loro soli stavano fermi sul posto, squadrandosi a vicenda, occhi negli occhi.

«Che vuole dire, Granger? Sbaglio o non mi sembravi tanto restia qualche istante fa.»

Lei si divincolò dalla presa. «Tu non giochi lealmente. Io non volevo baciarti.. ma la tua presenza.. la. No, che sto dicendo?!?!» Si divincolò ancora, rendendosi conto che la stretta sul suo braccio era troppo forte. Sbuffò, fissandolo di nuovo, rassegnata.

«Lasciami, adesso!»

Lui, in tutta risposta, sorrise angelico e la trascinò dietro di se, continuando a salutare educatamente chiunque gli capitasse davanti, come se nulla fosse, come se non stesse trascinando una ragazza dietro di se chissà dove. Ma lui era un gentiluomo, nessuno mai avrebbe pensato che lei lo stesse seguendo contro la sua volontà, avrebbero finito con l’affidare quella circostanza al suo regale fascino e al suo sorriso magnetico. Nessuna donna, mai, era riuscita a resistere a Malfoy, perché questa Elizabeth Black avrebbe dovuto fare differenza?

Hermione chiuse gli occhi, trascinandosi quasi rassegnata dietro di lui, tanto che sentì la stretta ferrea cedere. Fu tentata di fuggire ma preferì evitarlo, sicura che sarebbe stato uno spreco di energie inutile e privo di significato. Si maledisse una volta di più per aver indossato quel vestito, per aver intrapreso quella sorta di sfida con Daphne, per aver provocato quella Serpe che sarebbe stato meglio non provocare. Sempre lei, sempre gli stessi errori. Sentì la porta della stanza in cui si trovavano chiudersi ma non osò voltarsi: cosa voleva fare? Cosa voleva sentirsi dire? Lei non avrebbe detto o fatto un bel niente! Un bacio non provava nulla, non significava nulla finchè lei non decideva altrimenti, non gli dava alcun diritto su di lei: si era preso già troppo per poter pretendere ancora di più.. Come era riuscita a ficcarsi in una simile situazione? Come aveva potuto lasciare che accadesse?

Attese ma non accadde nulla, tanto che fu costretta a sbirciare dietro la sua spalla per assicurarsi di non essere sola: il giovane era elegantemente poggiato sullo schienale di un divano antico, le mani in tasca e l’espressione beffarda sul volto. Cosa pensava di aver conquistato, lei? No, poteva essersi preso tutto della sua vita ma non quello! «Stai gongolando per essere riuscito a baciarmi? – lo criticò ironica lei, voltandosi – Gioisci quanto ti pare, tanto non cambia nulla.»

L’espressione del giovane non mutò, costringendo la strega a continuare. «Mi hai sentito? O insieme all’educazione hai perso anche la lingua?» Solo quando si rese conto dell’implicito doppio senso di quell’espressione si morse il labbro, arrossendo lievemente e dandogli l’ennesima soddisfazione. «Sbaglio o ti vanti di essere un galantuomo? Se davvero lo fossi.. beh, dimenticheresti l’accaduto di stasera e non ne faresti cenno mai più.»

«E’ questo che desideri? – chiese lui, parlando per la prima volta da quando erano entrati – Vuoi che mi dimentichi di averti baciato qui, adesso, e ricordarmi invece del bacio nella mia camera da letto?»

Ah, giusto, anche quello. «In camera tua non ero vestita in questo modo e neppure reduce da tre bicchieri stracolmi di alcolici, credo che si sia una bella differenza. E poi lì era semplicemente un ordine, un tuo ordine, che stavo eseguendo ricordi? Mi hai ordinato di baciarti..»

Benchè fosse la verità, lui non parve particolarmente turbato da quell’affermazione, cosa che la ferì sinceramente. «Un ordine che hai eseguito con piacere se ricordo bene..»

«Ma sempre e comunque un ordine.. – gli occhi di lei si ridussero a due fessure – Non devo essere io a ricordarti i nostri patti. I tuoi ordini sono ordini, non si discutono, non scambiare la diligenza con un sentimento, sarebbe da stupidi.»

«E tu non negare la mancanza di un sentimento, mascherandola da lavoro. Sarebbe ipocrita.»

Erano troppo desiderosi di imporsi con le proprie opinioni, ciascuno incapace di ascoltare l’altro e rendersi conto della veridicità dell’uno o dell’altro discorso. Alla fine, prima che potessero farsi seriamente del male, fisicamente e metaforicamente, intelligenza prevalse su tutto. «Credo che sia meglio tornare a casa. Non ho intenzione di prolungare oltre la mia presenza qui, né come Elizabeth Black e neppure come Hermione Granger.» Prima che lui potesse controbattere, uscì, diretta verso la folla che circondava la bionda che sarebbe stata il suo lasciapassare per tornare illesa fino a casa: Draco non avrebbe osato dire o fare nulla mentre c’era lei, non era ancora tanto sfrontato.

***

Tornare a casa fu insieme un sollievo e un supplizio: dopo aver staccato Daphne dai suoi ammiratori, e non senza una certa fatica, si erano smaterializzati tutti e tre fuori dai cancelli della Manor, a causa degli incantesimi anti-materializzazione che Draco imponeva alla casa ogni volta che la lasciava, per cosi dire, senza difese. Fin dal primo istante, tuttavia, tutti percepirono come ci fosse qualcosa che non andasse. Herm strinse la mano sulla bacchetta, mentre anche i suoi compagni dovevano aver fatto altrettanto. Circospetti, reduci da una guerra che non ti lasciava la possibilità di non notare un pericolo imminente, arrivarono fino al portone, che Draco aprì con un colpo lento della bacchetta, spalancandolo. Indugiarono per un istante, uno solo, prima di entrare uno dopo l’altro, Draco per ultimo. Avevano ragione, terribilmente ragione.

Prima che il portone potesse chiudersi, si sentì un incantesimo urlato nell’oscurità e una luce scaraventò Draco e Hermione, i più vicini alla porta, a terra, mentre il legno saltava in mille pezzi e sollevava una folata di polvere, dalla quale emersero tre uomini vestiti completamente di nero, con lunghi mantelli di pelle, e uno vestito in modo elegante e ordinato che subito la mora capì di aver già visto: era Kostja, il magnate russo a cui Draco aveva soffiato la prima fiala da sotto il naso. Probabilmente l’aveva visti alla festa e aveva chiamato rinforzi. Per vendicarsi. Per ucciderli.

Daphne, l’unica rimasta in piedi, scattò subito in attacco, respingendo anche due incantesimi alla volta e lottando da sola contro due di quei bestioni. Draco saltò in piedi, trascinandosi dietro anche la strega, più impacciata di lui a causa del vestito lungo e scollato e delle scarpe. Lei, tossendo, non si oppose, assicurandosi tuttavia di prendere anche la bacchetta, caduta a terra nel loto volo.

«Ah, caro Druaco. Mi dispiace tanto di non essere passuato prima a salutare. Sono stato davvero davvero tanto sgradbuato. Ma, adesso, ho portato Misha e Nikolaj a rimediare… sai, tuo padre diceva sempre a me come duovevo gestire i ribelli, quelli che si mettevano cuontro di mi e mia familia. – si chinò leggermente in avanti, con un sorriso sulle labbra che fece accappottare la pelle di entrambi – Nuon c’è. La muorte è l’unico vero muodo di ristabilire l’ordine.»

«Tu non ti sporcheresti le mani in questo modo, Kostja, non è nel tuo stile.. – lo avvertì Malfoy, spingendo con la mano Hermione dietro di lui e trovandola salda e per nulla desiderosa di nascondersi, e fu quindi costretto a rinunciare – Non mi uccideresti, non..»

«Per chi mi hai prueso, giovane Màlfoy? Io non mi spuorco mani con tuo sangue spuorco e con tue puttanelle.. i miei ragazzi ci penseranno per me. Dima!»

E mentre il vecchio voltava le spalle e usciva, come se nulla fosse, come se stesse uscendo a fare una passeggiata, anche il terzo uomo con il mantello sfoderò la bacchetta e cominciò ad attaccarli. Era forte, molto più di quanto ci si potesse aspettare. «Stupeficium!» «Avada Kedavra!»

La mora e il biondo si guardarono per un istante con occhi di rimprovero, decisamente poco propensi a seguire la tattica offensiva dell’altro: lui non era abituato ai mezzi termini, per lui o c’era la vita o la morte, in particolar modo per chiunque tentasse di ucciderlo, quest’ultima era l’unica soluzione. Per lei no. Non c’era mai una via d’uscita drastica, c’era sempre un modo per risparmiare una vita, anche a costo di mettere a repentaglio al propria. Il colosso continuò con i suoi attacchi offensivi, alcuni più prevedibili di altri, formulati invece in russo e quindi più difficili da respingere.

Daphne, dall’altra parte della stanza, se la cavava egregiamente: uno dei sue uomini era a terra, con un rivolo di sangue che gli scendeva dall’orecchio e dalla bocca, mentre l’altro era in evidente difficoltà. «Serpensortia!» L’incantesimo della bionda fece apparire un serpente, che si arrovigliò intorno al collo del malcapitato, che cominciò a soffocare. Ma non era abbastanza. Senza pronunciare che qualche sillaba, il serpente scomparve e l’attacco continuò, più brutale e veloce di quello precedente. Come faceva Daphne a conservare quella grazia e quel portamento anche in battaglia? Se avesse avuto più tempo per rifletterci, di sicuro, Hermione l’avrebbe fatto ma, al momento, Draco era in evidente difficoltà e non poteva lasciare a lui tutto il lavoro: dopotutto, anche la sua di vita era in pericolo e metà della colpa di quell’imboscata era anche la sua.

«Bombarda Maxima!» Urlò la strega, lanciando l’uomo a qualche metro di distanza, pericolosamente vicino a Draco. Solo quando poi si rese conto di aver fatto un errore tentò di intervenire, gridando un «No!» disperato, ma fu troppo tardi, perché la luce verde investì l’uomo a terra e lo lasciò privo di vita. Senza un minimo di rimorso, Draco sollevò lo sguardo su di lei: non erano occhi crudeli, non erano occhi da assassino ma nemmeno avevano quella pietà e quel perdono che, nel tempo, lei era riuscita ad acquisire, perfino per un nemico, perfino per un nemico che aveva tentato di ucciderla. Scosse lievemente la testa, più delusa che realmente dispiaciuta: di nuovo, Draco aveva deluso le sue aspettative.

«Adesso potrei capire perché Kostja Salvatilovich ha appena mandato degli scagnozzi ad ucciderci?»

Daphne si avvicinò, interrompendo la loro occhiata carica di significato e tenendo le braccia appoggiate ai fianchi, il petto ancora un po’ ansante per la battaglia appena conclusa. In effetti la meritava una spiegazione dopotutto, senza contare che aveva affrontato due di quei bestioni tutta da sola e ne era uscita, grosso modo, illesa, ad eccezion fatta di una ferita leggermente spaventosa sull’avambraccio e un taglio sulla guancia.

«Ecco.. sarebbe una lunga storia..» Hermione e Draco ebbero soltanto un attimo per voltarsi l’uno verso l’altra e, come se tutto quello che fosse successo nelle ore precedenti non fosse altro che un brutto ricordo, sorridersi l’un l’altro, sinceramente consapevoli che quello che avevano passato meritava molto più di un’espressione tanto semplice e sintetica. Ma come potevano spiegare quello che era successo se, alla fine dei conti, neppure loro ne erano pienamente consapevoli? Avevano finito col perdersi in una bugia che era diventata un mondo, era difficile tornare indietro alla realtà, soprattutto perché in quella realtà avrebbero finito con il perdere praticamente tutto quello che avevano, se stessi.

Ma non erano loro. Non era per loro. Adesso, nell’attimo in cui i loro occhi avevano finito con l’incrociarsi, l’unica cosa che aveva valore era la ragazza davanti a loro. Daphne. Lei e la bacchetta dell’uomo, apparentemente morto, che le stava alle spalle, quello che credeva di aver ucciso. Non aveva misurato bene le distanze, non aveva misurato appieno le potenzialità del suo attacco, benché eccellente. Aveva tralasciato un dettaglio, un dettaglio che aveva finito con il rimettere in mano al carnefice la sua bacchetta e puntarla contro la sua schiena indifesa, pronunciando l’incantesimo mortale, l’unico. Come a rallentatore Daphne – la bella forte, allegra, formidabile Daphne – aprì la bocca, aspirando l’ultimo respiro della sua vita. Le braccia le caddero lungo i fianchi, così come il legno della bacchetta toccò con un suono sordo in legno del pavimento, rotolando e rimbombando nel silenzio della lotta. Era irreale, era assurdo. Nessuno poteva superare la morte come lei, nessuno.

Draco la afferrò poco prima che toccasse terra, poggiandola con infinita dolcezza sulla sua ginocchia, totalmente ignaro di qualsiasi cosa lo circondasse. I suoi occhi, riempiti dall’orrore di comprendere quello che era appena accaduto, si stavano riempiendo di lacrime, di salate e amare lacrime, piene di sconforto ma anche dolore, incapacità di comprendere, di capire. Non poteva essere accaduto. Non doveva essere accaduto. Lei era venuta lì, da lui, nel tentativo di trovare un rifugio, un rifugio dalla vita pietosa a cui suo padre la costringeva, alle etichette che la sua famiglia le imponeva. Era venuta lì per proteggere quel poco di felicità che le restava, la sua famiglia. L’aveva vista sorridere, in quei giorni, talmente radiosa e brillante come non lo era mai stata. L’aveva vista ridere, felice, di un mondo che finalmente era completo, nel quale finalmente aveva trovato un proprio posto. Non poteva essere vero. Non poteva essere vero. Ansimò, senza ancora rendersi conto di piangere.

Nella frazione di secondo in cui tutti questi pensieri gli attraversarono la mente, Hermione rimase intrappolata sul suo posto, davanti alle figure di Daphne e Draco, per terra, la bacchetta assassina ancora in mano al suo proprietario. Non seppe in quell’istante perché la sua morale, la sua ferrea morale, la abbandonò, né seppe mai perché la mano si alzò impugnando il caldo legno della bacchetta. L’unica cosa che riuscì a ricordare su il vibrare del legno sotto le sue dita, il calore del legno a contatto con la sua mano e l’incantesimo, urlato con forza nella sua mente e fermamente silenzioso nella morte della stanza. Lo zampillo di luce verde colpì con forza l’uomo, lasciando la bacchetta rotolare per qualche metro da lui, fino alla scarpa del suo piede. La fissò, cercando di comprendere come un oggetto tanto piccolo avesse potuto distruggere una persona così grande. Con il suo tacco, con la brutalità del suo dolore, la spaccò in due.

Solo allora i suoi occhi si posarono sulla disperazione di Draco e sul corpo esanime di Daphne fra le sue braccia. Si inginocchiò accanto a lei, prendendole una mano fra le sue, coperta ancora dal guanto di raso, futile orpello di una bellezza completa già di suo. Non si era mai resa conto di quanto in realtà aveva apprezzato Daphne come persona, almeno fino al momento in cui l’aveva vista morire. Ci sono cose talmente profonde, in noi, che non sempre siamo pienamente in grado di comprenderle. Il trasporto, l’affetto che provava per Daphne Greengrass era fra quelle. Non l’aveva conosciuta neppure per un briciolo nel tempo in cui era rimasta alla Manor eppure, paradossalmente, sentiva di conoscere la sua indole da una vita. Solo ora le risultava chiaro perché Draco e Blaise l’adorassero tanto. Era una persona che, volente o nolente, eri destinato ad amare, se ti restava accanto il tempo necessario per comprenderlo.

Si ridestò dal suo torpore soltanto quando due braccia salde la sollevarono. Scoprì con stupore che si trattava di Harry. Lo guardò, confusa, senza realmente vederlo, mormorando le parole più inutili e scontate per una situazione come quella. «E’ morta..»

L’amico la strinse a sì, senza dire nulla, comprendendo che non c’era nulla da dire. Hermione vide Julian inginocchiato accanto alla moglie, Blaise – solo, senza la rossa al suo fianco - che stringeva una spalla di Draco. Tante erano state le persone che aveva perso, tanti i dolori che aveva sopportato, ma era difficile realizzare che non era finita qui. Di nuovo, sentì che la guerra, una nuova guerra, era appena cominciata. Lei, stavolta, era una delle responsabili.







Note dell’autrice ù.u

Mi dispiace tantissimo non aver e il tempo di dilungarmi con il commento, questa volta, ma devo prepararmi e sono in terribile ritardo, anche se volevo a tutti i costi aggiornare. Risponderò a tutti coloro che avranno la pazienza di recensire. Vi voglio bene, ad uno ad uno, e vi sono infinitamente grata per il sostegno che mi date ogni volta.
ancora non conoscete Nukter, ma lo conoscerete presto ;)

Un bacio, K =)

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Capitolo 12
*** some Friends never leave us ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XI:

some Friends never leave us

 

«Herm, io vado.. se avessi bisogno di me..»

«E’ tutto apposto, Harry, grazie mille.»

Erano le sei del pomeriggio. Malfoy Manor si era svuotata con la stessa rapidità con cui si era riempita. Quello che era successo in seguito alla morte di Daphne era ancora piuttosto confuso, nella sua memoria, ma era certa di poter dire con assoluta certezza cosa fosse accaduto, anche se era presente soltanto in parte. Harry e la sua squadra di Auror erano arrivati, chiamati da Blaise – e qui Ginny era stranamente evaporata – e avevano trovato il corpo di Daphne fra le braccia di un Malfoy piuttosto sconvolto e devastato, e non soltanto fisicamente. Il marito, che aveva trovato la moglie senza vita, ancora avvolta nel suo vestito da sera, aveva reagito con uno strano contegno alla vista del suo corpo morto ed esanime, quasi come se aspettasse un evento simile da tempo. All’inizio non l’aveva compreso, non era riuscita a figurarsi quale pensiero mai avrebbe potuto convincere un marito ad accettare e rassegnarsi davanti alla morte della propria moglie. Poi, con un barlume di comprensione improvviso e fulmineo, aveva capito: era esattamente come, all’inizio, era stato per i suoi genitori, che non capivano come un mondo fatto di magie e incantesimi potesse offrire sicurezza. Si erano sempre preoccupati, dentro di loro, che un mondo simile, in cui l’unica difesa proviene da bacchette di legno estremamente potenti ma, al contempo, anche inutili, potesse nuocere alla vita della loro unica figlia. Non avevano torto. Allo stesso modo, Julian si era da tempo rassegnato all’amore incondizionato verso una donna che tutto era fuorchè normale e passiva alla sua condizione di strega; senza dimenticare il padre dispotico che, con tutte le probabilità, gli aveva mostrato quanto potesse essere crudele il pregiudizio e l’orgoglio delle persone, di alcune più che di altre.

Julian si era rassegnato, totalmente, proprio come sua moglie non l’aveva fatto: ogni sua fibra, ogni cellula del suo corpo, ogni guizzo di magia che le scorreva nelle vene, l’aveva sempre spinta a vivere, a combattere, prima per se stessa e poi anche per la sua famiglia, per i suoi due figli. Non si era mai arresa, nemmeno quando le sue membra si erano accasciate fra le braccia di Draco e la sua bacchetta aveva abbandonato una volta per tutte le mani della propria proprietaria. Era morta come un’eroina. Ma perché? Perché proprio il suo sacrificio si era reso necessario, per cosa poi? Una battaglia contro un magnate russo in cui non c’entrava assolutamente nulla? Era così ingiusto..

E, peggio di tutto, si sentiva in colpa. E non era l’unica.

Alla veglia, che era stata organizzata a Malfoy Manor, sotto il desiderio esplicito di Julian, Draco era stato la stoicità in persona, fiero e posato, mentre faceva gli onori di casa e stringeva le mani di conoscenti, amici, familiari: ironia della sorte, Hermione ebbe anche modo di vedere la sua nemesi, la famigerata Elizabeth Black, che si scoprì essere amica d’infanzia di Daphne, che tuttavia non eguagliava la strega né in bellezza né in intelligenza, a notare dall’aspetto e dal suo modo sospetto di esaminare i bicchieri sotto lo sguardo dubbioso del marito. I familiari più stretti invece, Astoria esclusa, non fecero la loro comparsa. Avevano si ripudiato la figlia ma nessuno, Draco incluso, si era aspettato che rifiutassero di venire al funerale della propria bambina, del loro angelo più bello. Che razza di genitori non desiderano dare l’ultimo addio alla propria figlia? Che razza di mostri rifiutano di baciarle le guance esanimi per un’ultima volta?

Astoria, che invece Hermione non vedeva da tempo, ebbe il buon senso di limitare al massimo i suoi contatti con Draco, non solo perché riteneva giustamente inopportuno farsi avanti in certi atteggiamenti al funerale della sorella ma anche perché lui era troppo impegnato assieme a Julian per poterle prestare qualche attenzione. Harry, invece, aveva avuto più fortuna, da questo punto di vista: subito prima della cerimonia aveva interrogato sia Draco che Hermione, domandando il perché tre scagnozzi di un magnate russo erano morti stecchiti sul pavimento della Villa. Draco, da abile mentitore che era, aveva inventato una storia plausibile che non aveva vacillato nemmeno per un dettaglio: solo settimane dopo avrebbe rivelato ad Hermione che, in verità, non era una storia inventata sul momento ma un piano che, ormai da tempo, teneva in cantiere nel caso lei fosse morta e avesse dovuto spiegarlo ad Harry. Se le avesse rivelato quel dettaglio quel giorno stesso, di sicuro la strega avrebbe lasciato la Manor senza farvi più ritorno, ma non accadde. La verità, tuttavia, fu riservata per rispetto a Julian, al quale vennero riferite le circostanze della morte della moglie dallo stesso Malfoy, che si aspettava una sorta di biasimo o desiderio di vendetta. Non accadde nessuna delle due cose: la maturità di alcuni uomini deriva da dove non ci aspettiamo neppure, così anche un babbano può capire quando la colpa sta nell’uomo e quando nelle circostanze. Malfoy, per lui, non era colpevole.

Per Malfoy, invece, Malfoy era colpevole eccome.

Una volta che tutti se ne furono andati e Daphne venne portata nel mausoleo di famiglia – quest’onore, almeno, avevano deciso di concederglielo, almeno per rispetto all’etichetta – la casa sembrò stranamente vuota, terrificante e grande come non mai. Julian, che aveva già fatto i bagagli, era stato smaterializzato da Blaise con i gemelli a casa dei suoi genitori, alla quale era stato posto uno speciale incantesimo, molto vicino al Fidelius ma modificato, in quanto il Custode era un babbano: non ci sarebbe rimasto a lungo, tuttavia. Certi nemici è meglio combatterli prevenendo le loro mosse e di certo Caius avrebbe rivoluto indietro i bambini: con l’aiuto di Draco, economicamente parlando, Julian e i ragazzini sarebbero spariti chissà dove, viaggiando senza una meta, almeno per qualche anno, prima di decidere dove stabilirsi. Era un piano movimentato, azzardato, ma aveva trovato tutti concordi, quindi sarebbe stato messo in pratica. Una volta tornato, Blaise non aveva rivolto la parola all’amico. Hermione non si era mai resa pienamente conto di quanto Blaise tenesse a Daphne ma ormai, dopo tanti volti sconvolti e tante lacrime, aveva realizzato anche lei come quella ragazza fosse riuscita a farsi volere bene da chiunque, persino da un albero sotto il quale, magari, aveva passato un ipotetico pomeriggio a leggere. Era un magnete, che adesso non rispondeva più alle leggi fisiche della terra, era altrove ormai. Dopo aver preso una bottiglia dallo scaffale dei liquori e aver gettato un’occhiata carica d’odio a Draco, era scomparso nella sua stanza: dal silenzio si poteva dedurre che Ginevra Weasley non era con lui.

Draco, nel frattempo, si era gettato sul divano, vestito di tutto punto, eccezion fatta per la giacca, gettata su una poltrona, e la cravatta allentata. In mano aveva un bicchiere, vuoto, così com’era vuota una delle due bottiglie ai suoi piedi, proprio come stava per diventarlo anche l’altra. Hermione, indecisa ancora su cosa fare, sul come comportarsi, si sedette dall’altra parte del divano. In tutta quella storia, fin da quando Daphne era morta, aveva lasciato che fosse Draco a parlare, a spiegare, a chiarire agli altri in che circostanze fosse morta la sua amica, ma mai aveva accennato al fatto che metà della colpa di quello che era successo apparteneva alla mora. Era stata lei ad aiutarlo, a casa di Kostja, era colpevole quanto e forse più di lui. Il biondo non la guardò ma si accorse della sua presenza.

«Quando avevo sette anni.. – cominciò a parlare rivolto al fuoco, come se fosse da solo, dopo giorni di silenzio - ..io e Daphne eravamo a giocare al lago. Mio padre e il suo dovevano discutere di affari e avevano spedito le rispettive mogli lontano da casa con la prole. Astoria era una bambina piccola, stava con Lucretia, mentre io e Daphne giocavamo con alcune piante.. ricordo che non riuscivo a trasfigurare un fiorellino e regalarglielo.. mi ero dispiaciuto talmente tanto.. così lei prese un rametto e, senza nessuno sforzo, lo trasformò in un bastoncino di zucchero. Non voglio il fiorellino, voglio che smetti di piangere Draco. Siamo amici, io e te. Sai?.. Poi, come se nulla fosse, mi aveva sorriso.. ricordo quel sorriso così bene.. era così.. innocente.. era.. era..»

C’erano molto altro che avrebbe voluto o potuto dire, ma la voce si spense. La verità era che trovava difficile non solo parlare ma addirittura il solo pensare a quanto tempo avesse passato con Daphne, a tutto quello che avevano affrontato insieme, a tutto quello che avevano condiviso. Una sola volta in vita sua si era sentito così debole, così impotente, ed era stato al funerale di sua madre. Ed ecco di nuovo, la stessa storia, soltanto con un background diverso: una persona che lui amava, a cui voleva un bene smisurato, andata, morta, svanita per sempre.

Hermione fu tentata di consolarlo, di fargli sapere che non era l’unico a sentirsi tanto male e tanto colpevole. Ma non ne ebbe la forza né tantomeno l’approvazione: appena stese una mano per prendere quella di Draco, lui la spostò con un movimento brusco. Non voleva essere aiutato, non da lei comunque.

«Non sei responsabile di quello che le è successo.. – tentò di dire la mora, anche se credeva ancor meno di lui in quelle parole - ..è stato un incidente.. non è..»

«Non è stato un incidente. E’ stato un omicidio, soltanto che il lampo verde che l’ha uccisa era diretto a me, dovevo essere io. Sempre. Dovevo essere io quello morto, adesso, non lei. Ha dei bambini.. un marito che la ama..»
«Lei non vorrebbe che tu..»

«NON PROVARE NEMMENO A DIRE COSA VOLEVA LEI! – l’urlo la lasciò spiazzata, così come la figura di Draco che la sovrastava, dato che era saltato in piedi – Tu non conoscevi Daphne! Tu hai la presunzione di dire cosa avrebbe voluto ma cinque ani fa l’avresti uccisa se ne avessi avuto l’occasione! Si, perché tu sei l’amica di Potter e della sua combriccola! Il bene, sempre e soprattutto! Non te n’è mai importato di gente come me.. delle famiglie, di gente come me! NON AVERE NEMMENO LA PRESUNZIONE DI DIRE CHE COSA AVREBBE VOLUTO!»

«Non l’avrei mai uccisa.. non avrei mai..» Anche la voce di Hermione si spense, persa nelle lacrime. Non ebbe la forza di alzare lo sguardo sullo Slytherin semplicemente si alzò, a sua volta, e si avviò lentamente verso la sua stanza, senza dire una parola. Non era tempo, quello, per le parole, ma per infiniti silenzi e profondissima quiete. Strinse la braccia al petto, sprofondando nei cuscini del suo morbido letto. Poi, mentre le lacrime ancora le rigavano le guance, si addormentò.

Draco, nel frattempo, dopo aver accompagnato con sguardo ancora furente la figura della mora che svaniva nei piani superiori, si rese conto di essere stato brutale, brusco addirittura, ma non ebbe né lo spirito né la forza di rincorrerla: certi dolori impediscono anche il gesto più semplice, certe volte. Semplicemente si sedette a terra, senza ritegno, la schiena poggiata contro il divano e lo sguardo nel fuoco. Recuperò la bottiglia e ne bevve ancora qualche sorso, un altro ancora. Prima di mezzanotte, quando ormai le sue palpebre si chiusero per la stanchezza, tre bottiglie e mezzo erano vuote.

Si svegliò che il sole non era ancora alto nel cielo, anzi non era nemmeno sorto. Un’occhiata all’orologio sopra il caminetto gli chiarì che erano le quattro di mattina appena passate. La casa era totalmente silenziosa, inquietante. Tentò di sollevarsi e scoprì che era molto più facile del previsto. Rimessosi in piedi gli bastarono pochi passi per arrivare in cucina e sciacquarsi la faccia con un po’ d’acqua: non ricordava molto di quello che era successo la sera prima, anzi il giorno prima. I ricordi cominciavano a diventare confusi subito dopo che Julian aveva lasciato la casa con i gemelli, promettendo i scrivere ogni qualvolta ne avesse avuta l’occasione. Non l’avrebbe fatto ma era gentile da parte sua almeno premurarsi di averci pensato. Erano poche le persone come quel babbano, anzi era più corretto dire che pochi babbani erano persone gentili come lui. Daphne aveva fatto bene la sua scelta, i suoi figli avrebbero avuto in eredità la conseguenza delle azioni della madre, tra cui figurava non soltanto una camera blindata alla Grincott stracolma di galeoni ma anche un padre e una famiglia premurosi, che avrebbero saputo prendersi cura di loro; poi, una volta cresciuti, sarebbero andati entrambi ad Hogwarts, dove sarebbero stati smistati l’uno a Serpeverde e l’altro a Corvonero, astuzia e intelligenza, entrambe doti della madre.

Prima di morire, quasi senza dar peso o urgenza a quelle parole, la bionda gli aveva accennato al battesimo dei due gemelli: avrebbe voluto che la madrina fosse Astoria, che il padrino invece fosse lui. Non avevano avuto il tempo di pensarci seriamente sopra ma, e questo lo sapeva di sicuro, padrino o no avrebbe cercato in tutti i modi possibili di non lasciare quei bambini in balìa di Caius e delle sue egemoniche tradizioni. Non aveva mai avuto lo spirito paterno, Lucius era sempre stato un fiasco da quel punto di vista e pensava di aver ereditato quel tratto in particolare da lui, ma avrebbe potuto essere un bravo zio, proprio come Bellatrix, nel suo modo perfido e malsano, lo era stata per lui.

«Il padroncino vuole che lo accompagni nella sua stanza? Perky ha preparato il letto e la borsa calda, signore. Perky ha anche messo una bottiglia del liquore del signorino Blaise vicino al letto..»

Draco sorrise, sentendo la premurosa voce dell’elfo. «No, Perky, non dormo, ho dormito a sufficienza sul pavimento. Blaise è in camera sua?» Gli occhi pieni di rabbia e d’accusa dell’amico si figurarono con terrificante precisione nella sua memoria.

«No, è andato via presto, dopo padron Draco si è addormentato. Prima però ha cacciato via la Weasley, hanno urlato un po’. Ma la signorina Granger non si è svegliata e nemmeno il padroncino.»

La Granger, giusto. «Grazie Perky, adesso vai a farmi un po’ di uova e quelle.. si, quelle cose che sai fare bene tu per un viaggio. Parto stamattina, vorrei.. mangiare..» L’elfo sorrise entusiasta e scomparve con un leggero pop: se c’era una cosa che adorava fare era proprio cucinare. Almeno lui era contento.

Era crudele da parte sua, perfino meschino, togliere la Granger dal tepore del sonno e trascinarla in un viaggio che si preannunciava peggiore dei precedenti, ma sentiva di averne bisogno e, se anche non l’avesse ammesso direttamente, sapeva benissimo che ne aveva bisogno anche lei. Distrarsi, non pensare, scatenare l’adrenalina e la forza della natura in sé e contro di sé: si, poteva funzionare. Si fece una doccia, giusto per avere qualcosa da fare, quindi si mise addosso un paio di vestiti, senza nemmeno rendersi conto quali fossero. Infine infilò un cappotto e una sciarpa e bussò alla porta della mora.

Lei non si fece attendere. Non aveva avuto la forza di lavarsi, a differenza sua, quindi era ancora vestita come per il funerale, con un pantalone nero e una giacca dello stesso colore, corta, con sotto un top semplice, grigio, lungo. L’unico dettaglio differente erano gli stivali neri sostituiti alle scarpe alte del giorno prima e un piumino lungo, nero, con una sciarpa e un capello verdi e beje. Aprì la porta nell’esatto attimo in cui Draco bussò. Si fissarono per qualche attimo, leggermente spossati da quell’incontro voluto ma inconsapevole.

«Voglio andare..» «Credo dovremmo andare..»

Si bloccarono entrambi, squadrandosi, prima che Hermione completasse la frase per entrambi. «Andiamo.»

Era sbagliato, era insano continuare a imporsi quella ricerca, soprattutto perché Daphne aveva finito con il morirne pur non facendone parte. Ma non era quello il punto. Non andavano in missione perché volevano disperatamente concluderla, non ci andavano perché il loro dovere etico lo imponeva, ci andavano perché, segretamente, nel loro intimo, speravano di potersi lanciare nel vuoto, speravano di incontrare un ostacolo che non poteva essere superato, un potere che non poteva essere sconfitto. Entrambi si sentivano in colpa e l’unico modo per sopprimerlo era lanciarsi, inconsciamente e stupidamente, verso un cammino di morte, un suicidio. L’avevano capito non appena avevano aperto gli occhi, entrambi. Per motivi e per strade differenti, entrambi erano giunti allo stesso punto: un punto di non ritorno. Chiunque avesse capito il loro piano avrebbe provato di certo a fermarli, ma non c’era nessuno al di fuori di loro lì, in quel momento. C’erano loro, i loro sensi di colpa e l’unico modo per metterli a tacere. Qualcuno di più razionale – magari un’Hermione non sconvolta – avrebbe suggerito di distruggere le ampolle già recuperate e finirla con tutta quella storia. Ma sarebbe stato troppo facile, troppo veloce, rapido. E loro non avevano bisogno di rapidità, di semplicità, di futilità. Avevano entrambi bisogno di altro.

Perky apparve con uno zainetto da viaggio, il viso radioso e sorridente. «Ho preparato tutto, signore. I panini con le uova, e quell’insalatina italiana che piace tanto al padroncino. E quelle speciali frittelle salate della signora Cissy, con un po’ di maionese. E..»

«Grazie Perky. – l’interruppe Draco – Adesso noi andiamo. Appena torna Blaise, togli qualsiasi incantesimo e imponi i soliti Incantesimi protettivi alla Manor, anche al giardino, e non toglierli per nessuna ragione. Se qualcuno cerca me, Blaise incluso, dì loro che non sai dove io sia andato né quando ho intenzione di tornare..»

«Si, padroncino..»

«..e riposati, Perky.. – aggiunse Hermione, che neppure in un momento come quello dimenticava il suo impegno per CREPA e per gli elfi domestici maltrattati – Almeno finchè non torniamo..» L’elfo sembrò un po’ riluttante ma acconsentì con un cenno del capo, prima di smaterializzarsi.

Draco e Hermione si avviarono in silenzio verso l’uscita, prima di scendere nella veranda e avvicinarsi al cancello laterale del Giardino, l’unico punto della Manor dove fosse concessa la smaterializzazione, quella settimana: una misura precauzionale di Draco, cambiare punto ogni sette giorni perché fosse più difficile individuarlo per chiunque a cui lui non l’avesse direttamente riferito. La mora posò un braccio sul suo e si lasciò guidare in una Smaterializzazione congiunta. Quello era il Guardiano numero quattro.

Sbucarono in un posto leggermente anomalo, il che era dire poco, visto che non aveva il pavimento. Prima che si potessero rendere conto di essere in caduta libera e prima di poter afferrare qualsiasi cosa, si trovarono catapultati all’ingiù. Urlarono ma non fu utile per niente, dato che caddero dopo pochi istanti in acqua, riemergendo in superficie bagnati fradici e senza fiato.
«Maledizione! Non potevi calcolare un po’ meglio la traiettoria?!?!?»

«L’ho calcolata una meraviglia, la traiettoria – ribattè pronto lui – Siamo esattamente dove dovremmo essere!»

«Siamo in un pozzo! – urlò lei, battendo le mani sul pelo dell’acqua, come una bambina, e schizzandolo tutto – In acqua!! Sono bagnata fino alla punta della bacchetta per colpa tua! Questa discesa potevano farla anche con un Levicorpus, in tutta calma, senza necessariamente bagnarci come pesci!!!»

«Se sapessi dov’è l’entrata sarebbe anche possibile ma, dato che non ne ho idea, o così o niente.»

La mora non fu affatto soddisfatta dalla spiegazione ma preferì lasciar perdere, concentrandosi sul posto in cui si trovavano. Era un pozzo, tranne per il fatto che non si vedeva il sole, in alto, né tantomeno una fessura da cui era possibile calarsi. O risalire.. – pensò con sconforto lei. E adesso? Non vedendo assolutamente nulla si propose di accendere la bacchetta ma Draco la precedette, accendendo la sua. Pietra, soltanto nuda e fredda pietra intorno a loro. Non si toccava neppure il fondo, quindi doveva galleggiare come un’alga in un’acqua putrida e maleodorante. Adesso che ci pensava bene, quell’odore le era familiare.. era «Zolfo. Siamo in un vulcano per caso?»

Draco annuì. «Uno quiescente. E’ stato allagato da un particolare fenomeno che adesso mi sfugge, ma comunque erutta acqua.»
«Non esistono vulcani che eruttano acqua, Draco! – spiegò logica lei, alzando gli occhi al cielo – E’ fisicamente..»

«Impossibile, sì. Ma nel mondo che consociamo. Qui.. direi che non so di preciso dove ci troviamo. Meglio, in che mondo ci troviamo.. E non dare di matto, usciremo da qui..»

«Si, certo! Adesso mi dici che siamo in un vulcano che erutta acqua, che potrebbe eruttare da un momento all’altro, e non sappiamo neppure dove siamo di preciso. Oh, si, certo che non darò di matto. Semplicemente stavolta sarò io a infilzarti con qualche spada, risparmiando a qualcun altro la fatica di farlo..»

«Non ci sarà Gonos qui, genio.»

«Magari ci fosse! Sarei felice di dargli una mano.. oh, no, aspetta! Non posso! Perché appena mi vedrà mi ucciderà per un giuramento che ho infranto per colpa tua.. Dove diavolo stai.. nuotando, adesso?»

«Non so tu, ma voglio tornare di nuovo asciutto, quindi nuoto verso la corrente e vedo dove arrivo.»

«Brillante! Adesso non sappiamo neppure dove andare! Se avessi lasciato a me le indagini invece di nascondermi tutto adesso saremmo già arrivati, e saremmo asciutti e non avremmo bisogno di nuotare chissà dove!!! Malfoy, mi senti? Maledizione, dove sei andato!?!?»

Con un paio di bracciate raggiunse lo stesso luogo in cui aveva visto sparire la luce della bacchetta del biondo: pessima idea. Appena arrivò nel punto dove la luce era scomparsa la corrente la trascinò, impedendole di fermarsi o rallentare. Ingoiò più volte qualche sorso d’acqua, sputando e tossendo rumorosamente e continuando a tenersi a galla. Ah, se non fosse morto lui l’avrebbe ucciso lei, con le sue stesse mani! Se non fosse che, a quel pensiero, sentì l’acqua mancarle sotto i piedi, uno sguardo in basso e urlò come non mai, dato che si era ritrovata a cadere in una cascata vertiginosamente alta che, dopo un po’, sembrò essere infinita e che rese il suo contatto con l’acqua doloroso e inaspettato: se non si era rotta niente, stavolta, avrebbe ringraziato tutti i Maghi del Primo Wizegamot, una volta tornata a casa.

«Per Merlino.. Granger.. stai bene?»

Quando aprì gli occhi, finalmente, si rese conto che la corrente non era più tanto forte e che i suoi piedi stavano toccando terra: una terra viscida, piena di muschio, ma comunque terra. E aveva perso uno degli stivali nella caduta.. perfetto! Per par conditio si tolse anche l’altro restando con i piedi nudi sulla fredda e bagnata roccia. La cascata li aveva catapultati in una grotta ottagonale, con le pareti particolarmente irregolari e taglienti, che avevano la particolare capacità di riflettere i bagliori dell’acqua. Poi, con stupore sempre crescente, si rese conto che non era l’acqua a luccicare ma i flutti di lava vicino alle pareti, che gettavano ovunque un’ombra rossastra e diffondevano un calore soffocante: Hermione si tolse la giacca, restando soltanto con il top grigio, mentre Draco ne seguì l’esempio, sbarazzandosi di qualsiasi capo che ricoprisse il suo torace, eccezion fatta per la camicia, sbottonata anch’essa. I due si guardarono, più per chiedersi cosa fare adesso che per uno scambio reciproco di occhiate, finchè – santa intelligenza! – Hermione non individuò, a qualche paio di metri da loro, data la vastità della sala, una sorta di piedistallo.
«Questo connubio tra fuoco e acqua non mi sta simpatico nemmeno un po’.. – proferì, cominciando a camminare – ..cerchiamo di stare attenti e non facciamoci uccidere, o meglio bruciare e affogare in contemporanea.»

«Rassicurante.. comunque.. – evocò una bolla trasparente, lasciando che la figura di Hermione ne fosse circondata - .. questo dovrebbe proteggerci per qualche istante da attacchi improvvisi, o lapilli o guizzi di lava.. non si sa mai. Avremo il tempo di capire comprendere il pericolo e renderci conto di come affrontarlo..»

«Allora anche tu ne hai uno..»

«Eh?»

«..di cervello, Malfoy. Anche tu hai un cervello!»

Il giovane si limitò a sbuffare e ad osservare attentamente la sala nel suo incedere verso il piedistallo, che raggiunsero in breve tempo. Quello che, tuttavia, vi trovarono, non fu affatto rassicurante. Al centro di un piedistallo, ottagonale anch’esso, al quale si accedeva mediante scale che emergevano come inferi dall’acqua, c’era un fascio di luce, lungo e potentissimo, nel quale aleggiava disinvolto il loro Guardiano. Entrambi scattarono in posizione di difesa ma, apparentemente, non ce n’era bisogno.

«Uff.. siete proprio noiosi.. sapete quanto avete fatto incavolare Gonos? Sa essere tanto noioso quando ci si mette con le sue storie.. – fece una capriola e, con un gesto lesto, atterrò davanti a loro, aleggiando sull’acqua - ..e la salvezza del mondo di qui.. e l’Universo di là.. dico io.. se qualche pazzoide vuole eliminare l’intera specie, che c’entriamo noi? E lui si rimette nelle orecchie e bla.. bla.. bla..»

Hermione puntò i suoi occhi, stretti a due fessure, sulla nuca di Malfoy, che tuttavia, benché resosi conto di essere stato in parte smascherato, fece finta di nulla, continuando a guardare il Guardiano, che adesso aleggiava sull’acqua, faceva piroette e agitava le braccia: sembrava un ballerino, se solo i suoi vestiti e il suo volto, più adatto ad un modello o ad una divinità che ad un uomo in calzamaglia, non fossero stati tanto impeccabili.

«Se sai perché siamo qui.. dacci il metallo e ce ne andremo..»

Lui sbuffò, in maniera teatrale, atterrando davanti a Draco, che sussultò per la sorpresa, steso in aria davanti a lui, con le gambe incrociate dietro, come se fosse steso su un divano o un letto. «Vorrei tantissimo, giovanotto, non sai nemmeno quanto!!! Ma, vedi, poi Syfil chi lo sente! Mi ucciderebbe soltanto per aver lasciato te e la tua amiche.. Wow!»

Gli occhi del giovane si erano spostati su Hermione ed erano rimasti incantati, adesso accesi come due stelle a mezzanotte. La ragazza, visibilmente a disagio, si sposto impercettibilmente indietro, tendendo ancora di più la bacchetta contro di lui. «Chi è Syfil? Chi sei tu?»

Lui, senza staccare un attimo gli occhi da lei, sorrise, assumendo un’espressione decisamente ebete sul volto, e parlando come un bambino piccolo davanti ad una vetrina di Mielandia. «Io sono Nukter, tutto tuo dolcezza. Prendi di me ciò che vuoi!»

Draco, scandalizzato, finalmente si decise a guardare la Gryffindor, che ricambiò dubbiosa la sua occhiata, senza tuttavia abbassare la guardia. «Ehm.. Nukter.. noi dovremmo prendere la pozione.. ehm, intendo metallo..»

«Oh, dolcezza! Se mi chiedessi la luna te la darei in un istante ma.. il metallo.. mi ucciderebbero.. e Liliat mi spaccherebbe la testa! Oh si, ne sarebbe capace eccome, quella svitata.. ma.. parliamo di te!»

La mora indietreggiò ancora di qualche passo: questo Guardiano era decisamente diverso da qualsiasi altro avessero incontrato fino ad allora. In primo luogo non stava tentando di ucciderli, il che era un enorme passo in avanti. Secondo sembrava più un clown vestito con abiti eleganti che un vero “essere umano serio e razionale” e quel suo fare, a metà fra il buffo e lo sbadato, gli conferiva un’aria da sempliciotto che, unita al potere che certamente aveva ma che, per ragioni sconosciute, non aveva ancora deciso di mostrare, lo rendeva un potenziale pericolo, un pericoloso davvero grave oltretutto. Del resto, quale ragione avrebbe avuto, a comportarsi a quel modo? Dei tre Guardiani precedenti nessuno si era messo a fare giochetti, non in modo tanto esplicito comunque, e più che altro avevano esposto in modo diverso sempre lo stesso preciso concetto: proteggere il Metallo, uccidere lei e Draco nel caso avessero tentato di prenderlo, giurare vendetta sulla scia della loro fuga – che, per altro, almeno per adesso, non aveva alcuna ripercussione né sulla sua incolumità né su quella del biondo che le stava accanto.

Decise quindi di agire d’istinto, visto che il suo raramente faceva cilecca: se il Guardiano voleva lei, donna adulta e vaccinata, Draco avrebbe avuto tutto il tempo di prendere la boccetta e svignarsela. Il guaio era, purtroppo, fargli capire il suo piano senza farne parola: un Guardiano è pur sempre tale, anche se ti fa gli occhi dolci e sbatte le ciglia in maniera tanto veloce da irritarti. A conferma del fatto che anche lui aveva un cervello, Malfoy fece un passo piccolo verso il piedistallo, tenendo gli occhi fissi sulla figura del biondo che aleggiava in aria: bingo!

«Co.. cosa vuoi sapere, di me?»

«Oh! Tutto! Sai.. essere un Guardiano non è mica una pacchia! Si finisce a diventare fuori di testa.. l’hai conosciuto Gonos, no?»
«Intendi.. – ironizzò la mora, sorridendo in modo forzato, senza abbassare la guardia, la bacchetta ancora salda nella mano - ..quello che ha giurato di uccidermi perché avevo ingannato lui e il giuramento che gli avevo fatto?»

«Oh, bazzecole! Vedrai che risolviamo tutto.. in verità, finge di essere un duro ma è tutta scena.. – si mise finalmente in piedi, avvicinandosi di qualche passo alla mora, perché solo lei potesse udirlo - ..in verità è in astinenza da più di qualche secolo, ormai. E, sai, su di un uomo la cosa influisce.. eccome..» A conferma della sua affermazione, Nukter passò i suoi occhi bramosi sul corpo minuto dello strega, visibile solo dalla vita in su, poiché il resto era immerso nell’acqua, e coperto da un top leggero e decisamente molto provocante. Se non avesse dovuto reggere il gioco, a quest’ora, l’avrebbe spedito dall’altra parte della caverna e l’avrebbe Schiantato per bene. Ma lei doveva continuare la recita, Draco era sempre più vicino al piedistallo di luce: se la fiala non era lì, sarebbero stati perduti..

«Quindi.. tu sei rimasto.. solo come.. Gotu. Gonos, giusto?»

Il biondo parve apprezzare l’interessamento della ragazza, totalmente preso da lei e dai suoi modi da ignorare completamente il suo accompagnatore, già quasi in cima al piedistallo di pietra, pronto a prendere la fiala e andarsene alla svelta. Hermione, esibendo una civetteria e un bonismo che non aveva mai compreso realmente di avere, sorrise civettuola, sbattendo le ciglia come tante e tante volte Pansy Parkinson aveva fatto a scuola, nei corridoi: quanto poteva mai essere difficile.. apparentemente troppo per lei. Il biondo assunse al volo un’aria preoccupata, inarcando le sopracciglia. «Cos’hai? Ti è andato qualcosa nell’occhio?»
Imbecille che non sei altro, Hermione Granger! Applicati! «No.. no, è solo.. dicevi?»

Lui, come se nulla fosse, recuperato lo sguardo sognante e luccicante, continuò a parlare. «Beh si, dicevamo di Gonos. Solitudine.. no, ecco, sai.. non tutti sono proprio all’antica come lo è lui.. diciamo che ogni tanto io e Liliat ce la spassiamo un po’, ecco.. ma solo qualche volta..»

«E’ la tua ragazza?» - chiese ingenuamente Hermione, ricevendo tuttavia in risposta un paio di guance rosse e uno sguardo un po’ ferito - «Scusa, forse non avrei dovuto..»

«No, è solo che potrebbe sembrare strano, per le tue orecchie umane..» Umane? Scusami, eh! Quelle da elfo domestico erano finite tutte! Per la prima volta si rese conto di quanto il suo aspetto e la sua parlantina infantile avessero suscitato in lei quell’ironia e quello spirito divertente spento da tempo, ormai. Ah, cosa non si fa per un po’ di denaro, per l’avventura e per Draco Malfoy. No, aspetta, l’ultima forse non.. «E’ mia sorella!»

La ragazza cercò di capacitarsi del fatto che i sue fossero fratelli, e fin qui ci poteva anche stare, ma tenersi compagnia in quel senso. Eug! Che schifo! La storia non registrava simili sciocchezze dai tempi del Regno d’Egitto, ma lì era sempre stato normale, quasi una tradizione. Ma ora no! Notò che anche Draco aveva storto la bocca a una simile rivelazione: stava esaminando la boccetta di vetro racchiusa in una sorta di cascata impossibile, che scorreva infinita a formare un recipiente cubico, probabilmente l’unica difesa di cui la boccetta godeva. Purtroppo per lei, stavolta, il suo sguardo venne prontamente intercettato da Nukter, il quale – ed era quasi ora! – si accorse del fatto che non c’era solo la ragazza nella stanza ma anche il suo compagno, che stava per eliminare la complicata scatola di acqua con un colpo di bacchetta. «TU! Allontanati dal Metallo, brutto.. mi avete ingannato! Natura ignis

Prima che Hermione potesse rimediare, riportando l’attenzione del Guardiano su di se, prima che Draco potesse fermarlo, prima che qualsiasi pensiero razionale potesse attraversare la mente di chiunque presente in quella stanza, ondate di fuoco si levarono, come onde incandescenti, dai lati delle pareti, dove scorrevano lievi, e si riversarono tutte in un unico punto: il piedistallo dove si trovava Draco. Hermione ebbe appena il tempo di urlare, perché stavolta le sue reazioni erano decisamente più rapide e meno intorpidite, in assenza di una caviglia rotta o di un percorso temporale contorto. Provò a raggiungerlo ma Nukter, con la forza di mille uomini, le afferrò un braccio, impassibile, trattenendola accanto a se, sul volto nessuna espressione.

«Non c’è nulla da fare per il tuo amico. Purtroppo è andata così.. quando sarà morto potremo di nuovo tornare a parlare, anche se mi si spezza il cuore sapendo che avevi visto quell’infame prendere il mio Tesoro e non mi hai avvertito.. come posso fidarmi di te?»
«Non puoi.. – mormorò con un ringhio basso Hermione, ringraziando il cielo che le avesse preso solo il braccio e non la mano: con un movimento rapido lanciò la bacchetta dalla mano destra alla sinistra, urlando in contemporanea l’incantesimo – Iussum ignis!» Ok, forse non era proprio il momento giusto per sperimentare un nuovo incantesimo, decisamente potente e dai risvolti di certo poco prevedibili, ma non vedeva null’altro che potesse fare, in quel momento, ancora intrappolata dalla stretta di Nukter. Era un incantesimo che aveva trovato su uno dei libri di Draco, mentre cercava notizie circa i Metalli e i Guardiani: era un Comando, uno veramente potente, che riusciva a controllare un particolare elemento, o meglio oggetto, in moto o fermo, che sfruttava la capacità del mago e faceva sì che quell’elemento, circoscritto ad un luogo ed ad un tempo, gli obbedisse. In sostanza, se aveva forza magica sufficiente e se l’aveva studiato a fondo, quell’incanto le avrebbe permesso di fermare il fuoco che stava sovrastando Draco.

Inspiegabilmente, funzionò. Il fuoco della lava si fermò, come se avesse ricevuto un ordine divino, continuando tuttavia a scorrere in mille risvolti e sbuffi e quant’altro. Hermione pregò che ne fosse valsa la pena e, con un altro cenno della bacchetta, prima che Nukter potesse strappargliela di mano, disperse il magma caldo e ribollente: Draco era al centro del vulcano che si era appena scatenato. Era illeso, salvo qualche bruciatura, forse nemmeno tanto lieve, ma per il resto era vivo. E, ancora più importante, stringeva fra le mani qualcosa di piccolo e luccicante: l’aveva presa.

Hermione gioì, dimenticandosi per un attimo di non essere nella posizione di fare alcun che, ancora stretta nella presa dell’uomo che la sovrastava, apparentemente, in statura e il forza.

«Lasciala andare. – gli intimò Draco, un po’ affannato, probabilmente per il caldo – Lasciala e ti darò il metallo.»

«Oh, sarò anche ammaliato dalla sua bellezza ma non sono stupido, Malfoy! – gli urlò quello di rimando – Che ne dici, invece, di.. tu mi dai la fiala e io farò in modo che la tua morte sia il meno dolorosa possibile?»

«E lei? - chiese Draco, con non curanza – Riserverai anche a lei lo stesso trattamento?»

«Non dire sciocchezze! Lei rimarrà qui a farmi compagnia.. in eterno!»

L’occhiata che si scambiarono i due giovani, praticamente ai lati opposti della sala, non fu di paura ma d’intesa: stranamente, in quella particolare occasione, era come se si leggessero nel pensiero, come se la mossa dell’uno fosse automaticamente pensata nella mente dell’altro e viceversa. Nessuno dei due si era mai accorto di tale legame, nessuno dei due aveva mai realmente compreso di quanto, in quelle settimane, le loro vite si fossero unite, legate persino. La mora annuì con un cenno del capo, preparandosi alla botta. Draco, invece, aspettò prima di colpire, scrutando l’acqua con attenzione e assicurandosi di individuare il verso della corrente: lo trovò. Il deflusso dell’acqua avveniva nell’angolo opposto dell’ottagono rispetto alla cascata, con ogni probabilità era molto piccolo ma non per questo non abbastanza grande da concedere loro di passarvi dentro.  Era quella la loro via di fuga, prima che potessero provare di smaterializzarsi.

Anche stavolta, tuttavia, Nukter capì al volo: quando non era accecato dalla bellezza di qualche donzella era abbastanza perspicace, il tipetto. Sorrise, neutrale, quasi macabro, a modo suo. «Se proprio ci tieni.. non uscirete vivi da qui! E, se anche lo farete, ci rivedremo..» Senza dire altro, senza nemmeno tentare di recuperare la fiala, la sua preziosa gemma, il suo tesoro, scomparve in un leggero puff!

Hermione fu costretta a rigirarsi più volte intorno prima di realizzare che si, era davvero andato. Si concesse perfino un sorriso, rivolto al suo compagno, che lui si premurò di ricambiare. Ma, come sempre accade, come sempre era accaduto, avevano finito col valutare la vittoria in modo troppo affrettato. Le pareti della caverna ottagonale presero a vibrare. La lava, rimessasi al suo posto lungo le pareti, adesso, cominciava ad arrampicarsi su di esse, come la crescita accellerata di un’edera infuocata e letale. La cascata aumentò di gettò e, se fossero stati certi di trovarsi sulla Terra, avrebbero definito quel fenomeno apocalisse. Ma loro non erano a casa, non erano nemmeno in un luogo conosciuto dall’uomo, e lì l’unica legge fisica a prevalere era quella della Natura. Una Natura furiosa e ribelle, quella stessa particolare natura che costringeva un vulcano ad eruttare acqua..

«Via! – Draco urlò con tutto il fiato che aveva in gola, scendendo in fretta gli scalini del piedistallo di pietra, afferrando una delle mani di Hermione – Dobbiamo assolutamente andarcene!»

«Smaterializziamoci! – propose razionale lei, mentre procedeva a fatica a causa della resistenza dell’acqua, che le arrivava ancora alla vita – Non ci vuole niente, lo farò io!»

«Non provarci! – la fermò lui, stringendole la mano tanto forte da farle male – Se non siamo sicuri di potercene andare, potremmo anche restare intrappolati delle pareti e, ti assicuro non sarebbe piacevole.. l’acqua defluisce verso quella parte, dovremmo seguire il corso e sperare che ci conduca fuori..»

«Sperare? – chiese, adesso più lucida e infuriata Hermione – Dovremmo sperare?» Ok, ritirava quello che aveva detto: Draco Malfoy non era intelligente e non aveva un cervello, era stata una svista. Come aveva fatto, anche solo per un attimo, a paragonare la sua capacità di elaborazione e di strategia con le sue mosse improvvisate e per nulla strategiche e intelligenti? Mai fidarsi di un Malfoy, mai..

«Ok, non mi lasci altra scelta..» Prima che lei potesse protestare, prima che potesse accorgersi di essere arrivata, nel seguirlo, molto vicina al punto in cui la corrente diventava più forte, sentì la terra mancarle sotto i piedi e il flusso trascinarla via. L’acqua, per qualche istante, le invase la bocca, tanto che, una volta riemersa dall’acqua che l’aveva inghiottita, sputò e tossì più volte per assicurarsi di poter ancora respirare. Tentò di nuotare ma, con una simile corrente, era inutile. Su una cosa, almeno, Malfoy aveva avuto ragione: quella era decisamente una via d’uscita.

Malgrado non lo vedesse dietro di se o davanti, anche se non aveva una visuale concreta neppure di se stessa, era certa che il giovane fosse con lei, anche se decisamente più padrone della situazione: nessuno l’aveva gettato, lui, nella corrente impazzita di un canale di scolo senza preavviso. Proprio come, senza preavviso, arrivò l’impatto con la pietra. Sentì la pelle della guancia evaporare, sostituita da un quasi improvviso dolore acuto, probabilmente connesso al fatto che stava sanguinando. Lo suppose, tuttavia, visto che la visibilità non era delle migliori, nel buoi totale in cui si trovavano. Imprecò contro il maledetto mago che l’aveva portata fino a quel punto e pregò Merlino che lui fosse ridotto peggio, almeno avrebbe imparato la prossima volta a comportarsi così!

E poi, tra l’altro, perché si stava comportando così? Le ricordava molto i tempi di Hogwarts, quando lei e Ron bisticciavano per un non nulla, si mandavano solite frecciatine. Tutto, alla fine, si era dimostrato soltanto il preludio di un amore a lungo represso e taciuto ma, una volta consumato, bello come non mai. Con Draco, perché si rifiutava di crederlo, non poteva essere la stessa cosa. Certo, quei due baci che si erano scambiati l’avevano turbata parecchio, non c’era che dire, e l’impulso di salvarlo, proteggerlo quand’era in pericolo era sempre molto forte, ma oltre a questo? Cosa potevano loro avere, anche in un ipotetico coinvolgimento, di tanto forte da unirli?

Sei bagnata fradicia, senza scarpe, nel buio totale e con la faccia scorticata.. per lui. Ti servono altre prove?

Eppure restava comunque tanto assurdo. Si impose, vigliacca com’era, di ripensarci una volta a casa, magari con qualcosa di più asciutto addosso, e magari con la mente lucida. Lucidità che, in parte, evaporò quando sentì la stretta di Draco sulla propria mano, intuendo che era vivo e incolume, e lo strappo all’ombelico le suggerì anche che si erano appena smaterializzati. Sentì qualcosa di duro e asciutto sotto di sé e pregò vivamente che si trattasse del cancello di Malfoy Manor.

«Ma che diavolo..» Ok, non era di certo una cosa da dire alla vista della propria casa, ti pare Malfoy? Che c’era poi da lamentarsi? Aprì a sua volta gli occhi, cercando di respirare con calma e riprendere il fiato che le era mancato nella nuotata finale, in parte per non morire e in parte per uccidere il biondo. Tuttavia, vedendo quello che aveva davanti, decise che quella questione poteva aspettare. Perché erano si sfuggiti alle grinfie di un vulcano in eruzione ma, e questo era poco ma sicuro, non erano decisamente a Malfoy Manor.
 


 

Spazio autrice ù.u

Eccomi!!! *-* Sisi, sono proprio io, con un nuovo capitoletto fresco fresco – mica tanto, ma sorvoliamo. Allora, dov’eravamo rimasti? Ah, giusto, con la carissima Daphne che passa a miglior vita. L’avrò detto un centinaio di volte e ve lo ripeto, giusto per ribadire il concetto: lei era forse uno dei personaggi che più amavo e continuo ad amare nella storia, non volevo che morisse, eppure è andata così. Era necessario per lei morire, proprio come era necessario che Draco la vedesse morta, mi seguite? Lui doveva vederla cadere e non per una ragione qualsiasi, ma per la stessa ragione che lo sta divorando dall’interno, la stessa che lo sta incatenando ad una ricerca tanto insensata quanto sbagliata. Non se ne sarebbe mai reso conto, altrimenti. Mentre ora, vedendo una delle persone a lui più care esanime, fra le sue braccia, è logico che un minimo di razionalità lo attraversi, o no?

Ma era solo un appunto, giusto perché non avevo commentato la volta scorsa e ho lasciato questo dettaglio alla vostra immaginazione, come non era invece giusto. Per quanto invece riguarda questo capitolo, partiamo con Julian e il funerale: ho spiegato perché non ritiene Draco responsabile, ma temevo fosse un azzardo. E’ comunque suo marito, ovvio, ma proprio perché è il suo ruolo credo che debba capire, meglio di chiunque altro, quanto la vita di una strega possa essere pericolosa, a Malfoy Manor o altrove. Del resto era già entrato a contatto con Cacius, credo che ormai poco fosse lasciato all’immaginazione. Comunque di Julian ne sentiremo ancora parlare, statene certi.

La decisione di Herm e Draco di andare in missione subito dopo la veglia. Anche questo è stato un azzardo, ma decisamente convinto. Considerate che il tempo per le lacrime ci è stato, visto che la veglia si verifica almeno un paio di giorni dopo la morte della bionda. A questo aggiungete due come Herm e Malfoy, rinchiusi in una grande casa vuota, ciascuno con i propri rimorsi, con i propri pensieri, con tutto quello che potrebbe farli credere che la responsabilità sia la loro. In parte è vero, in parte.. è vero. xD Insomma, Daphne non c’entrava nulla, eppure rimane di fatto che per certi versi non sono stati loro a volere quello che è successo. Ma come non pensarci? Come reprimere il senso di colpa? Beh, una missione suicida è l’ideale, non credete? Beh, loro lo credono, quindi pensano e sperano di trovare dal quarto guardiano una morte rapida ma dolorosa, in modo tale da potersi finalmente redimere e purificarsi per le colpe commesse. E invece.. no!

Con l’adrenalina, la battaglia e tutto il resto, partendo dalla fatica di dover camminare nell’acqua e l’essere continuamente costretti – più lei che Draco, in questo caso – a essere sballottati a destra e a manca, cambia tutto, il primis il loro desiderio di morte: ripartono, paradossalmente, con gli stessi errori che desideravano correggere quando hanno lasciato Malfoy Manor, partono con il desiderio di concludere la faccenda, mentre è proprio l’abitudine e la loro forza di volontà a continuare a tenerla aperta. Ancora un guardiano, ancora un metallo. Nukter – immaginatelo con il volto di Jensen Ackles come sto facendo ora io *_* - non è il solito guardiano, l’avrete sicuramente notato. Beh, tanto per cominciare con è il solito assassino che vuole ucciderli: vive la sua missione passivamente, quasi come se non lo interessasse, ed infatti è esemplare il modo in cui si burla del povero Gonos. Naturalmente svela anche qualcosa degli altri guardiani: la sorella-amante Liliat, e Syfil, che posso dirvi soltanto che è il Guardiano numero otto. Eh si, è il Capo dei Capi. Per ora di lui si sa solo questo. L’atteggiamento di Nukter, invece, sempre se non siete troppo curiosi e non mi obbligate a parlarvene nelle risposte alle recensioni, preferirei spiegarvelo in abbinamento con quello di Liliat, visto che la loro struttura chiasmica mi impedisce di dirvi tutto senza spoiler. Sappiate soltanto che non è il solito genere di Guardiano, e neppure sua sorella lo è.

L’intesa di Draco ed Hermione: lascio a voi la parola. Stanno cominciando a reagire emotivamente e fisicamente ad un legame che, lo ammetteranno presto, non può più essere evitato o ignorato. Oh si, il matrimonio di Will e Kate mi ha proprio ispirato in questa vena di romanticismo *_* voi no?

Beh, per il resto vi ringrazio ancora infinitamente per le vostre recensioni, per – ecco i numeri del lotto xD – le 41 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 20 che l’hanno inserita fra le da ricordare e le 135 che l’hanno aggiunta alle seguite. Siete mitici, davvero!
Con questo vi ringrazio ancora una volta, augurandovi un piacevole sabato – visto che il mio sarà all’insegna delle nuvole e della pioggia.

Un bacione, Katia =)

 

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Capitolo 13
*** ;;Nukter & Liliat ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XII:

Nukter & Liliat

 

Per l’ennesima volta, si trovava dove non voleva essere, dove non avrebbe dovuto essere. Non erano di certo in un posto conosciuto, Malfoy Manor non aveva segrete – a meno che Draco non avesse un perverso senso dell’umorismo – da quando la Guerra era finita, e se proprio ne avesse avute, di certo non sarebbero state illuminate da fiaccole medievali. Quello fu il suo primo pensiero, il secondo lo riservò alla boccetta che il biondo stringeva ancora in una mano: ce l’avevano fatta. Come, tuttavia, era ancora da vedere: non era logico o pensabile che un Guardiano, per quanto strano e facile a innamorarsi della prima bella ragazza di passaggio, potesse lasciare una fiala tanto importante nelle loro mani. C’era qualcosa sotto ma, al momento, non riusciva davvero a capire cosa.

Infine, poco prima di ricordarsi di avere la faccia fatta a brandelli dalla pietra ruvida, si ricordò di Daphne. Per tutto il tempo in cui aveva focalizzato la sua attenzione sul metallo, sul nuovo metallo, la morte della ragazza non l’aveva sfiorata ma adesso che era tutto – relativamente – finito, quel pensiero tornò a colpirla con forza al petto. Inspirò forte, ricordandosi del corpo della giovane accasciato con grazia eterna sul pavimento. Spaventata dalla sua stessa reazione, guardò Draco, sperando che non se ne fosse accorto: ma lui se n’era accorto e come, i suoi occhi tradivano lo stesso pensiero, ma era più bravo di lei a dissimulare indifferenza. Gli bastò un battito di ciglia per ritornare alla normalità: era stato vulnerabile, la sera precedente, davanti a quel fuoco, e quella delicatezza di spirito lo faceva sentire a disagio, tanto da impedirgli di ripetere presto una simile scena.

Notò la faccia della Gryffindor e si affrettò ad esaminarla con sguardo indagatore. «Come hai fatto a ridurti così?»

La strega si limitò a sbuffare, una volta sedutasi in posizione eretta, e quindi estrarre un piccolo kit di pronto soccorso, rimpicciolito da un incantesimo ovviamente, che per ogni evenienza aveva infilato nella tasca del pantalone prima di lasciare la Manor: ancora una volta la sua previdenza era stata giustificata. «Se qualche idiota non mi avesse spinto in un corso d’acqua impetuoso, che terminava con un muro di roccia.. beh, forse, adesso, non sarei in queste condizioni, non credi?»
«Non volevi muoverti e dovevamo fare in fretta.. non posso portarti sempre in giro come un mulo da soma, Granger! – allargò le braccia esasperato – Siamo vivi, non ti basta?»

«Lascia perdere.. – lo liquidò lei, tornando ad occuparsi, senza molto successo, della sua guancia – Pensa ad uscire da qui piuttosto..»

Non ricevendo risposta, alzò lo sguardo sul biondo per vedere un’espressione ilare illuminare il suo volto: la stava prendendo in giro? Con un cenno del capo il biondo le indicò un corridoio, proprio davanti a dove era seduti adesso. Voleva prenderla per stupida, adesso? Alzò gli occhi al cielo, tentando di nuovo di pulirsi la ferita, senza successo.. Vide Draco agitare la bacchetta, come un bambino che ancora non sa usare la magia, quindi voltarsi confuso intorno, verificando qualcosa. La agitò di nuovo, spegnendo una delle torce con un getto d’acqua.

«La luce ci serve.. – gli fece notare lei – Potresti evitarmi la seccatura di accendere quelle fiaccole, spegnendole senza motivo?»

«Nulla di quello che faccio è “senza motivo”, Granger. – proclamò stoico lui, avvinandosi alla mora e prendendo il kit in mano, mentre aveva già provveduto a sbarazzarsi della camicia bagnata, restando soltanto in canotta – Ho provato ad evocare delle bende, ma non ci sono riuscito. Pensavo che, come per Gonos, non potessimo usare la magia ma, come hai visto, ho potuto spegnere la fiamma. Possiamo usare la magia qui dentro ma non per comunicare con l’esterno o andarcene.. lascia, faccio io..»

L’aveva vista fare troppi futili tentativi di curarsi la guancia e, finalmente, aveva deciso di non poterne più di sentirla sbuffare d’impazienza davanti ai suoi mancati tentativi. Le strappò il flacone e il tampone di mano, cominciando a premere con cura sulla parte lesionata: si era proprio ridotta uno straccio, ma nulla che una pozione Cicatrizzante non potesse guarire in quattro e quattr’otto. La mora, dopo essersi sottratta ad un primo contatto, suo malgrado, fu costretta ad ammettere di non avere molta di scelta, conciata com’era, e lasciò che le dita di Draco le pulissero la ferita sul volto. Lo vide ficcare la mano nella borsetta e estrarne, quindi, un flacone di Pozione Cicatrizzante: ci sapeva fare, dopotutto. Il pizzicore sulla guancia e la fronte fu momentaneo ma fastidioso, tanto che dovette storcere la bocca come una bambina per non emettere neppure un verso. Draco, mentre lei non poteva vederlo, sorrise di quel suo broncio.

«Bene, adesso stai decisamente meglio. La ferita non è ancora scomparsa, hai ancora dei graffi ma, per ora, non dovrebbero sanguinare. Altrimenti ci fermeremo e potrò medicartela di nuovo..»

«..gr..grazie.. – mormorò a stento lei, per niente convinta di volerlo dire, prima di riprendere con la sua solita voce imperiosa e decisa – Adesso andiamo a prenderci quest’altro metallo e torniamo a casa.»

Quando era arrivata a chiamare la Manor “casa sua”? Non riusciva neppure a ricordarlo, quell’istante. Era tutto cambiato così velocemente e così radicalmente, negli ultimi mesi, da lasciarla ancora stordita qualche volta nel vedere, accanto a sé, Draco Malfoy o Blaise Zabini, certe volte muniti solo di pantalone e vestaglia – per il moro nemmeno quello, dato che per mettere in mostra il suo fisico da palestrato, spesso, girava per caso con null’altro che boxer e pantofole. Il biondo l’aiutò ad alzarsi, quindi si mise lo zaino in spalla, pronto a proseguire.

«Dove l’hai presto quello? – chiese confusa lei – Non mi pare di avertelo visto, dopo che abbia lasciato la Manor.»

Ecco una cosa che, reduce da tante catastrofi e da un incontro per niente simpatico con un Guardiano/Draco, aveva imparato bene: mai fidarsi delle apparenze, dubitare di qualsivoglia minimo particolare e indagare, senza paura e pudore, fino ad avere scoperto per intero la verità. «In verità l’ho sempre avuto con me.. – le fece notare il biondo, spiazzato dalla domanda – Solo che quando ci siamo materializzati in acqua mi era parso scomodo portarmelo in spalla e me lo sono messo in tasca, rimpicciolito con Reduco. Insomma.. perché ti interessa tanto?»

«Perché..- chiarì lei, gli occhi stretti a due fessure – l’ultima volta che non mi sono soffermata sui dettagli, ho passato una simpatica mezz’ora in compagnia di te/Gonos, e se fossi stato al mio posto sono certa che non vorresti ripetere l’esperienza!»

«Già.. non mi hai ancora detto cosa è successo in quella mezz’ora..»

«E non ho intenzione di farlo! – balbettò lei, arrossendo lievemente – Comunque credo che sia giusto stabilire un modo per riconoscerci, perché non voglio altri scherzetti del genere.. idee?»

Il biondo parve pensarci intensamente, prima di esclamare, con un sorriso divertito sulla faccia «Puffo!»

Lei lo guardò scandalizzata, credendo di aver capito male «Come, scusa? Puffo?»

«Esatto, Granger, puffo! Nessuno penserebbe che abbiamo stabilito una parola d’ordine tanto stupida il che, in pratica, la rende impossibile da indovinare o copiare.. e poi è blu.»

«E cosa c’entra il blu? – chiese l’altra, che aveva seguito annuendo il resto del discorso, colpita di nuovo dalla capacità del giovane di trovare simili stratagemmi – E come fai tu, purosangue incallito, a conoscere cos’è un puffo?»

«Oh, mi piace guardare, qualche volta, anche i cartoni babbani. Sono talmente futili che riescono a distrarmi.»

La strega, sempre più sconvolta, decise di non indagare oltre: certe volte si sorprendeva di scoprire verità talmente strane sul giovane Slytherin che, fino al giorno prima, le sarebbero apparse assurde se non inverosimili. Eppure le piaceva, e odiava ammetterlo, questa sorta di molteplicità del carattere del mago che aveva accanto, imprevedibile e mai lo stesso, sempre diverso e mai uguale, non solo con lei ma innanzitutto, con se stesso. Non si era mai soffermata ad osservarne il carattere, l’aveva liquidato superficialmente fin dai primi anni di Hogwarts e, prima di qualche settimana fa, non aveva avuto né voglia né occasione di rimettere in discussione quel che già conosceva. Ma ora era diverso. Stare con una persona più vicino di chiunque altro, affrontare sfide e prove durissime, combattere per la propria vita, preoccuparsi per lui oltre che per se stessa, non erano solo dettagli, erano fattori significanti, eccome. E adesso che vedeva quel ragazzo, quell’uomo, con occhi diversi, occhi nuovi e per nulla velati dai segreti di casate diverse o pregiudizi di sangue, lo vedeva per la prima volta. Come poteva essere che riuscisse a cogliere in Draco Malfoy un briciolo quell’umanità e quella delicatezza della cui mancanza l’aveva sempre accusato? Era mai possibile?

Le sfuggì un sorriso, anche nell’attimo in cui capì che lo stesso discorso avrebbe potuto applicarlo alla perfezione anche a Daphne. Certo, lei l’aveva conosciuta per un tempo esiguo e affatto sufficiente a farsi un’idea precisa di com’era in realtà, ma quel poco che aveva visto di lei le aveva già mostrato, in parte, che certi giudizi, con tempo, finiscono con il mutare irrimediabilmente. Non ci sono cose incise nella pietra, nessun odio o amore, per quanto profondo e immutabile, potrà durare in eterno. Alcun giudizio, negativo o positivo, può condizionare la vita di qualcuno per sempre. Così lei, dall’alto del suo piedistallo di cristallo, quella vetta irraggiungibile, dove nessuno mai era riuscito a raggiungerla, si era spogliata di tutto il suo orgoglio e si era abbassata a comprendere la natura mutevole di Malfoy, la sua natura e il suo spirito.

E anche il suo corpo, in verità. Due erano state le volte che il tatto fra di loro era diventato sinonimo di passione e desiderio e, in entrambi i casi, lei era riuscita a frenare quel non so che, quella scintilla che la spingeva verso le mani del diavolo tentatore, verso le sue mani. Per quanto tempo avrebbe ancora negato, davanti a lui e a se stessa, che c’era qualcosa di più di semplice collaborazione, che proteggerlo non stava diventando un compito ma quasi un dovere, verso la sua morale e il suo benessere. In certi sentimenti ci sentiamo sempre di essere egoisti, pretendiamo di avere il controllo di una situazione e di non ferire in primo luogo noi stessi, in seconda posizione, se il nostro egoismo può salvare gli altri dal crollare a picco, bene, altrimenti andiamo avanti spediti, senza curarcene. Eppure lei non riusciva ad essere egoista, non riusciva a convincersi che stare senza di lui, respingerlo, potesse essere la scelta migliore, la più giusta.

Non essere sciocca, Hermione. Tu, respingerlo? Fino a prova contraria è lui che non ti vorrà.. ma ti sei vista?

Già. Nessuno mai si era premurato di esprimerle un qualche apprezzamento, una qualche parola dolce era si stata spesa per il suo aspetto, ma sempre limitata a qualche serata mondana o altro. Per Ron era sempre stata quella dai capelli crespi e dai denti da castoro, per Harry l’amica gentile, in cui l’aspetto non solo non era rilevante come fattore ma non era addirittura considerato, mentre per Ginny – ai tempi in cui non desideravano staccarsi la testa a vicenda – il suo aspetto era sempre stato “graziato” dalle parole di un’amica. Per il resto, come nessuno si era premurato di smentire, restava un’inetta. Lui, a differenza sua, era bello. Non quel genere di bellezza statuaria greca o romana, neppure un angelo del Rinascimento italiano, era piuttosto quel genere di fascino che, una volta osservato, difficilmente si riesce a dimenticare. Non aveva un fisico muscoloso, non che la sua forza già sufficiente lo richiedesse, ma in compenso era dotato di larghe spalle, e bicipiti ferrei, anche se non pompati. Il torace, che si intravedeva soltanto grazie alla canotta bianca bagnata, era scolpito di muscoli appena visibili, mentre un po’ di peluria bionda si intravedeva dallo scollo superiore. Non c’era bisogno, infine, di fare commenti su quello che aveva al di sotto della cintura: non aveva mai visto personalmente la “mercanzia” ma dopo aver passato tanti anni alla mercè di Ron “pistolino-ino” Weasley.. insomma, tutto era una valida alternativa, al confronto. E non lo diceva in quanto maniaca ma in quanto donna, fisica e fatta di carne, con suoi bisogni e sue necessità.

Per questo si era rifiutata di ricambiare il bacio, per questo l’aveva fatto una volta ancora, perché finchè Malfoy si fosse ostinato a guardarla come un oggetto da possedere, da monopolizzare ed utilizzare, non gli avrebbe mai permesso di sfiorarla. Non aveva di certo abbandonato una prigione per finirne in una peggiore! Solo quando e se si fosse, finalmente, deciso a vederla per quello che era, forse solo in quel caso si sarebbe risolta a rivelargli i suoi veri.. sentimenti? Possibile che si trattasse di questo?

«Stai bene? – le chiese il biondo, vedendola assorta, scuotendola per un braccio – Dobbiamo muoverci.»

Quel movimento aveva messo in luce il suo braccio nudo. «Sei ferito.. – esclamò lei, afferrandolo prima che potesse sottrarsi – Aspetta, non possiamo andare avanti così.. dobbiamo fasciarla..»

«Sto bene, Granger – protestò lui, tentando di sottrarsi a quel tocco – Non c’è tempo..»

«Di morire però lo trovi, il tempo..» - replicò lei, tornando ad aprire il kit, che stava già per riporre in tasca. Lui, mansueto, decise di non contestare. Semplicemente rimase seduto, le gambe stese davanti a sé, lo sguardo fisso sul volto di lei mentre, concentrata, gli curava la ferita. I capelli erano tutti bagnati, reduci da una lunga nuotata, le rughe d’espressione, altrimenti invisibili, erano tese per la tensione e la concentrazione, mentre i denti mordevano il labbro inferiore. Si scoprì di capire che, in quella posizione, in quella piccola occupazione, era bella. Non bella come lo era.. stata Daphne, non un genere di bellezza provocante e certe volte sconveniente come quello si Ginny, ma molto vicino a quello di Narcissa, prima che la Guerra e il dolore del male le avesse avvelenato l’esistenza.

Si pentì di non essersene mai accorto. E, come in una sorta di illuminazione, capì il perché lei l’avesse respinto, in quella sala da ballo, perché il suo orgoglio fosse riuscito a prevalere sul fascino impareggiabile di lui: lei voleva qualcuno di diverso da un mero seduttore, lei voleva qualcuno che potesse capire lei per com’era e non per come appariva agli altri. Forse questo passaggio, molto spesso, gli era sfuggito, doveva ammetterlo, ma adesso capiva alla perfezione ogni sua parola, ogni suo gesto. Non era un secchiona acida, era semplicemente insicura di un mondo che non sapeva se poteva o voleva accettarla. E quell’insicurezza che, per la prima volta, vedeva in lei, gli fece pena. Quasi senza rendersene conto, senza che i suoi muscoli potessero controllarsi, mentre i suoi occhi di ghiaccio erano fissi sulla sua figura, con la punta delle dita scostò una ciocca di capelli dal suo volto, accarezzandolo appena.

Quel piccolo pezzettino di pelle, così caldo, al suo tocco arrossì, mentre la ragazza sussultò, alzando di scatto gli occhi verso di lui. Il calore dei suoi occhi caramello si fuse al freddo del ghiaccio dei suoi. Tutto parve bloccarsi, anche i loro stessi respiri..
Lui si avvicinò per primo, ormai incapace di gestire le proprie mosse ma, al contempo, frenato dalla paura di un suo rifiuto: da quando un Malfoy aveva paura? Da quando una ragazzina, che fino a due mesi prima non faceva parte della sua vita, adesso poteva spingerlo a limiti così lontani? Cosa aveva nel corpo, lei? Un demonio o un angelo?

Hermione, d’altra parte, non osò muoversi, non si avvicinò a lui ma neppure si scostò, in quel misto di trepidazione e desiderio ma al contempo timore e dubbio: cosa avrebbe fatto, stavolta? L’avrebbe respinto o avrebbe lasciato che il desiderio si impadronisse di lei. Il braccio del giovane era poggiato sul suo, mentre la mano di lei gli sfiorava la gamba: lo stava medicando, non pensava che quella posa avrebbe potuto essere così compromettente eppure, lo fu.

Chiuse gli occhi, dicendo a se stessa che era per paura ma, in verità, per non guardare Draco e scoprire nel suo sguardo qualcosa che non desiderava vedere, qualcosa che non desiderava conoscere: la sua morale – la sua altissima morale – andò al diavolo. Le labbra del giovane, che aveva assaporato già due volte, erano però diverse da come le ricordava. La prima volta aveva oppresso con la mente quella che era la realtà, nel secondo caso l’alcool le aveva annebbiato la mente più del necessario. Adesso, invece, non c’era alcuna barriera in quella connessione, solo loro due. Il suo corpo si inarcò, per una reazione involontaria, stringendosi a lui, mentre le sue mani forti – pur ferite – la intrappolavano nella gabbia di un delicato abbraccio. Percepì il suo respiro caldo, suadente, rassicurante invaderle le membra e quando, ormai prima di timore, dischiuse le sue labbra ancora di più, permettendogli di entrare, capì di essere perduta per sempre.

La sua lingua si impadronì di quella di lei, i suoi capelli che gli sfioravano le mani e le braccia, il suo corpo che si inarcava alla sua stretta, al suo tocco, e quel sapore così ammaliante, quasi come una droga. La baciò con ancora più ardore, senza temere di poterla spaventare o di invadere troppo quel limite che sentiva, ancora, di non poter varcare: la teneva così stretta che nemmeno volendo lei avrebbe potuto liberarsi. E lui, di sicuro, non glielo avrebbe concesso. Solo nello stringerla a se si era reso conto di quanto l’avesse voluto, di quanto quel doppio rifiuto fosse stato quasi un incentivo a provare, a non demordere e a perseguire quell’obbiettivo. Sentì le mani della giovane sul proprio volto e, quasi senza pensarci, porto le proprie a quello di lei, sentendola gemere e sottrarsi alla sua stretta, quasi di riflesso.

Aveva completamente dimenticato che fosse ferita, anzi non l’aveva proprio vista “ferita”, aveva altro per la mente. Si sentì sciocco, anche perché adesso fronteggiava sicuro lo sguardo della strega, che lo fissava con occhi increduli ma anche impauriti. «Cosa c’è? – chiese infatti, quasi come un bambino – Non vorrai dirmi che..»

«No! – si affrettò a borbottare lei, intuendo al volo la sua insinuazione – Non mi hai costretto.. non direi mai.. no, insomma.. però.. io e te.. non.. non..»

«Non cosa, Granger? – mugulò piano, avvicinandosi ancora, stavolta le mani che la tiravano per i fianchi – Stai correndo il rischio per una volta e ti freni? Perché?»

«Perché.. perché..» Le sue proteste diventavano più lievi ad ogni centimetro diminuiva la distanza fra i loro volti, finchè con un gemito non decise di lasciar stare le scuse e fu lei ad avventarsi sul volto del biondo, prendendo il suo viso fra le mani. Si, aveva ragione lui, del resto. Nel momento esatto in cui le loro labbra si erano sfiorate aveva sentito che qualsiasi dubbio o preoccupazione, tutto quello che l’aveva assillata fino a qualche istante prima, era svanito nel nulla, sostituito dalla certezza di avere, per una volta, una colonna solida a cui appoggiare il tetto della propria casa, una catena ferrea con cui legare la nave al porto. Si era sentita apprezzata, addirittura amata, anche se era ben consapevole che un sentimento come l’amore andava ben oltre i limiti del possibile, in quella situazione e in una simile circostanza. Ma lui l’aveva baciata, e finalmente l’aveva guardata con quegli occhi, esattamente quegli occhi che lei bramava, quegli occhi di accettazione e comprensione che non avrebbe mai pensato di cogliere nel suo sguardo. Lo sguardo di un Malfoy.

Se anche avesse voluto bloccare l’istintivo calore che le stava crescendo nel petto, non lo fece, ma neppure ci sarebbe riuscita altrimenti. Non aveva mai provato nulla di così travolgente, così passionale nello stare vicina ad un uomo. Con Ron era stato bello, certo, innegabilmente bello, eppure era stata qualcosa di strano, dettato dalla conoscenza dell’altro oltre i limiti, dagli undici anni di età, in cui ai giochi e ai cani a tre teste si erano, mano mano, sostituiti giochi tra adulti e cose più intime e private. Non sempre però questo passaggio risulta indolore come lo si descrive. Essere la fidanzata del tuo migliore amico, dopo 7 anni di litigi e battibecchi, non è qualcosa che passa inosservato.

La mano di Draco corse rapida fino alla sua coscia, stringendola, quasi in un impeto involontario, che ancora le fece emettere un mugolio e lanciare la testa all’indietro: ad essere scorticata potrà essere stata anche solo la sua faccia ma, nel complesso, di lividi ne aveva un po’ dappertutto. Eppure non si scostò, lasciando che le labbra esperte del giovane scorressero sulla sua guancia, fino ad arrivare al suo collo e all’incavo del suo seno. Solo lì, quando quel tocco così piacevole divenne anche incredibilmente intimo, si rese conto di non essere pronta, non tanto fisicamente quanto moralmente. Fece pressione con le mani, tentando di allontanarlo, ma lui non parve accorgersene, almeno non finchè lei, ormai del tutto passiva, non lo chiamò per nome. Con rammarico, il giovane alzò gli occhi su di lei, alzando in contemporanea le mani e liberandola, in segno di resa.

Lei, ancora rossa tentò di sistemare il top grigio e il pantalone, sgualciti e bagnati, e quindi lo guardò di sottecchi, ansante dal recente contatto. Lui ne parve quasi divertito: non solo capiva il perché lo avesse respinto ma addirittura gli veniva spontaneo sorridere di quella motivazione. Lo stava respingendo perché lo desideravaardentemente. Oh, mente contorta di una giovane Hermione Granger, Gryffindor fino al midollo! Non avrebbe venduto neppure un briciolo della sua morale!!

«Dobbiamo.. ehm, dobbiamo proseguire – tentò lei, con voce bassa – Altrimenti..»

«Si. Certo.. – mormorò scettico lui – Dobbiamo andare, capito.» Alzatosi le tese la mano, aiutandola ad alzarsi a sua volta, senza smettere mai di guardarla. Quando la vide rendersi conto di quello sguardo indagatore e arrossirne, si concesse un ultimo sorriso: era sua. Avrebbe avuto migliaia di ragioni per trattenerla, per impedirle di alzarsi ma, come un galantuomo, si decise a non usarne nessuna: non che non potesse o non volesse, semplicemente il pensiero della sua confusione e del lungo tempo che avrebbero avuto per stare soli, a casa, una volta tornati, lo raddolcì nel non insistere.

La ragazza, dal canto suo, preferì non indagare e fingere come se niente fosse, come se non fosse successo nulla: comodo, anche utile alla concentrazione, per certi versi. Draco fece qualche passo avanti, deciso a vedere cosa ci fosse dietro l’angolo, dato che la sola uscita dalla sottospecie di stanza in cui si trovavano era quella. Avrebbe voluto, sì, ma nel preciso istante in cui tentò di guardare oltre, una barriera lo respinse all’indietro, mandandogli una sorta di scossa elettrica, nemmeno tanto potente ma decisamente fastidiosa. Imprecò, guardando corrugato la barriera, fino a poco prima invisibile, che diventava azzurrina, quindi veniva percorsa da piccole scariche giallognole e bianche e, di nuovo, scompariva come se nulla fosse. Era una trappola. Il guaio era che, come aveva dimostrato già prima, non potevano usare la magia per andarsene e quella era l’unica via di fuga. Hermione osservò basita Draco saltare all’indietro e quindi imprecare contro la barriera azzurrina che, dopo qualche istante, scomparve di nuovo senza lasciare traccia. Ecco, ci voleva proprio questo: un nuovo mistero da risolvere che le tenesse la mente occupata e le impedisse di pensare.. no, non adesso. Ok, barriera. Come si distrugge una barriera di energia?

«Bombarda!» Gridò, utilizzando l’incantesimo più logico che le venisse in mente. Non accadde nulla, anche se potevano esserne sicuri soltanto in un modo: la mora avrebbe voluto sporgersi e protrarre la mano nel vuoto, verificando così se il suo incantesimo avesse avuto effetto, ma il biondo la precedette, ricevendo una scarica non dissimile da quella precedente. La guardò, quasi con sguardo spazientito: non sapeva fare di meglio?

«Stupeficium! Abruptum ostaculum! Destruo!» Offesa nell’orgoglio, quasi ferita dallo sguardo che il giovane le aveva rivolto, si era insuperbita nel lanciare incantesimi a raffica, uno più potente dell’altro, uno più micidiale dell’altro. Conosceva tanti tipi di barriera, alcune anche segnate da un Elemento naturale, fuoco o aria per esempio, ma l’elettricità non rispondeva esattamente alla categoria elementi e, stranamente, non era tanto facile da abbattere. Era qualcosa che, suo malgrado, non aveva mai affrontato, e peggio ancora non sapeva come affrontare nemmeno ora. Con il petto che si alzava irregolare, il fiato corto, alzò di nuovo la bacchetta, ma una mano tanto candida quanto forte la bloccò, mentre la figura di Draco le si parò davanti.

«Ok, adesso basta. Sferrando incantesimi senza senso non riuscirai a risolvere il problema. Calma, adesso ci sediamo e ne parliamo.. vuoi?»

«NO! – gridò lei, divincolandosi e scansandolo di lato -  Consumptum planum! Destruo

La barriera, quasi a divertirsi di quegli sforzi inutili, brillò ancora una volta della sua luce azzurrina e, come se niente fosse, scomparve. La voce infuriata della Gryffindor risuonò in tutta la caverna. Era proprio testarda, dovette ammettere il giovane che, nel frattempo, dimostrando molto più buon senso e autocontrollo, si era seduto per terra, giocherellando con la bacchetta. La mora, suo malgrado, si costrinse a seguire il suo esempio, incrociando furiosa le gambe e le braccia al petto, lo sguardo fisso davanti a sé.

«Non è colpa tua.. prima o poi troveremo il modo di..»

«Non.. – lo interruppe lei, prendendo un sassolino e scaraventandolo contro l’invisibile barriera – dirmi che troveremo un modo di farcela. Se i miei incantesimi non funzionano ci sono soltanto due ragioni. Uno: questo incantesimo è tanto potente da non aver mai visto un contro-incantesimo. Due: le mie conoscenze non arrivano a superare questa magia.»

Allora era di questo che si trattava? Capì di essere stato superficiale nel valutare la sua reazione: non era semplicemente arrabbiata per non essere riuscita a superare quel confine, era arrabbiata molto di più con se stessa perché pensava di non esserne all’altezza. Con molta delicatezza tentò di posarle una mano sulla spalla, consolandola: da quando aveva questi istinti protettivi, poi? Fu, comunque, un tentativo vano, dato che la giovane si sottrasse a quel tocco come ad un calderone bollente e si rifugio dall’altra parte della stanza, contro il muro opposto. Lui sospirò, seguendo il suo esempio e prendendo a sua volta a lanciare sassolini contro il nulla. Si era esaltato tanto nel rendersi conto che la ragazza provava nei suoi confronti lo stesso desiderio e lo stesso sentimento che anche lui percepiva, ma la portata di quel sentimento e di tutto quello che implicava ancora, doveva ammetterlo, non l’aveva valutata.

Certo, la Granger restava di fatto una ragazza molto bella, era innegabile, con un corpo magro e asciutto, un volto da incorniciare e una pelle vellutata. Ma poteva gestire anche quello che quel corpo nascondeva? Poteva farcela a sopportare e a gestire la vera Hermione Granger? Il silenzio che dopo un po’ era l’unico rumore rimasto in quell’angusto buco cominciò a deprimerlo, così come le pietruzze rimandate indietro dalla barriera, che illuminava per qualche attimo col suo bagliore azzurrognolo l’anticamera. Si decise che, dopotutto, dire qualcosa non sarebbe poi stato tanto grave.

«Ascolta. Forse..» «Silenzio, Malfoy, sto pensando..»

«E non potrei essere reso partecipe di quello che stai pensando? – chiese spazientito lui – O adesso non mi dirai nulla a causa di quello che è successo?»

«Quello che è successo – sibilò lei, tanto da fare quasi paura – adesso c’entra meno di niente.. ma grazie per avermelo ricordato, dico davvero. Adesso si che posso pensare a mente lucida!»

Si decise a lasciar cadere il discorso, dato che era evidente che non sarebbe arrivato a farle dire nulla e lui, a sua volta, non avrebbe proferito parola che non rischiasse di farla scattare come una molla. Continuò a lanciare sassi, lo sguardo perso nel vuoto, finchè non la sentì esclamare qualcosa e saltare in piedi come una Puffola Pigmea. «Come hai fatto?»

«Fatto.. fatto cosa? – chiese, stordito – Di che cosa stai parlando?»

Lei, un sorriso a trentadue denti a illuminarle il volto, tese la mano nel vuoto, contro la barriera, prima che lui potesse bloccarla. Non accadde nulla. Con lo stesso sorriso, la mora fece un passo avanti e toccò il muro che avevano di fronte, lo stesso che fino a qualche istante prima sembrava irraggiungibile. Incredulo, la seguì.. non accadde nulla nemmeno a lui, tanto che per sicurezza si toccò il torace e la faccia, giusto per assicurarsi di non essere un fantasma o di non stare sognando. «Come hai…?»
«Le pietre.. mentre tu non te ne sei accorto hanno smesso di rimbalzare e hanno cominciato ad attraversare lo spazio come se fosse vuoto. La barriera è come.. come se fosse sparita..»

«E non ti pare strano – indagò circospetto lui, guardando il corridoio che adesso avevano davanti, illuminato da altrettante torce – che sia scomparsa all’improvviso?»

«Non essere ridicolo. Non può essere scomparsa tutto d’un tratto! Il Guardiano ha semplicemente deciso di toglierla..»

«..e perché..?»

«Oh, tu e le tue domande! Parla di meno e cammina di più. Bacchetta alla mano e seguimi.»

Senza perdersi in ulteriori chiacchiere, la mora assunse il ruolo di “lucciola guida”. Scattando in avanti, mossa in parte dall’impazienza e in parte dall’adrenalina. Certo, non era merito suo se la barriera era scomparsa, come per magia – anche se non era propriamente l’espressione giusta da usare – ma era come se lo fosse eDraco, dal canto suo, pensò bene di non contraddirla in questo minimo particolare, dato che da quando si erano baciati si stava dimostrando più irascibile del solito. Come c’era da aspettarsi, nemmeno stavolta il percorso fu facile e privo di ostacoli: seguendo Hermione, che incedeva a passo di marcia, di trovarono ben presto ad un bivio.

«Sinistra.» - esclamò convinta lei, girando all’istante.

«Perché scusa? – intervenne lui, indicando il cammino che si snodava dritto – Non sarebbe più facile andare avanti?»

Lei lo guardò per qualche istante, l’espressione corrugata, quindi fece semplicemente spallucce e proseguì sul cammino che aveva deciso. Naturalmente era una decisione che non ammetteva repliche: se lui voleva dissentire, lei non l’avrebbe di certo fermato, questo no, ma nemmeno avrebbe seguito il suo stesso percorso. Del resto, era inevitabile che dovesse dimostrare di avere ragione, in un modo o in un altro. Se lui si ostinava ad opporsi, buon per lui, non solo avrebbe dovuto seguire il cammino da solo ma senza neanche la sua protezione, che in più di un’occasione gli aveva salvato la vita. Sospirò, arrendendosi. Non era da lui arrendersi, certo, anche perché difficilmente dava spazio a qualcuno di mettergli i piedi in testa, ma non era quello il caso. Adesso, da abile calcolatore che era, riteneva che il modo migliore per rimanere vivo non era solo seguire Hermione Granger ma, ancora più importante, evitare di contraddirla: due bolidi con una mazza, come si suol dire.

Non fu tuttavia il primo ostacolo: dopo un paio di creaturine non particolarmente amichevoli, che non aveva per altro mai visto, neutralizzate prontamente da un incantesimo non verbale di Hermione, si trovarono ad un nuovo bivio, dove ancora una volta la decisione spettò alla ragazza – come avrebbe potuto essere altrimenti – e quindi imboccarono la strada di destra: era una sorta di curva infinita, tutta in salita, stretta e per questo terribilmente afosa. Dopo un paio di minuti, che diventarono ore, si chiese se avrebbe mai avuto fine. Si fermarono per qualche istante e per tutta la sosta la mora rimase seduta rigida contro il muro, la bacchetta in mano e l’espressione dura sul volto. Certo che, se l’avesse previsto, avrebbe evitato di baciarla prima di tornare a casa. Ma ormai era fatta.

Una volta raggiunta l’uscita di quel corridoio lunghissimo, non c’era nulla di sorprendente nel ritrovare l’ennesimo bivio. La mora ci pensò un po’ di più, questa volta, mentre le sue sopracciglia assumevano un’angolazione piuttosto buffa; ma anche questa volta, niente di più niente di meno, prese la scelta a modo suo: Draco o la sua opinione erano irrilevanti. Certo, anche la sua di sopportazione era al limite, ma riteneva molto più saggio non iniziare discussioni che, almeno nelle attuali circostanze, non sarebbe stato in grado di portare a termine in maniera civile. La Granger, in fondo, era una donna e anche se quel genere di donna lui non era abituato a trattarlo, si stava dimostrando una sfida molto più divertente e difficile del previsto: stranamente, invece di scoraggiarlo, come una scopa montata male e bizzarra, che si abbandona dopo la prima cavalcata, tale sfida lo eccitava e lo spronava ad andare avanti; del resto una buona scopa sarà sempre ottima, ma una domata sarà impareggiabile.

«Vicolo cielo, dovevamo andare a sinistra.»

I suoi pensieri l’avevano distratto tanto che non si era reso neppure conto del vicolo cieco. Incrociò le braccia sul petto, guardando la strega. Lei, in tutta risposta, ostinatamente chiusa nel suo silenzio, lo ignorò, passando oltre, o per lo meno provandoci: il corpo del giovane, per quanto poco muscoloso e non eccezionalmente massiccio, in quell’angusto spazio era sufficientemente grande da bloccare il passaggio. La strega inarcò un sopracciglio. «Dobbiamo restare qui?»

«No, solo se ti scusi per il modo.. pazzo in cui ti stai comportando e mi prometti di consultarmi prima di prendere una decisione.»

«Mi stai ricattando? Ti ricordo che..»

Se voleva proprio metterla in questi termini: era galantuomo e quant’altro ma anche la sua, di pazienza, arrivava fino ad un certo limite, ed adesso l’aveva oltrepassato. Doveva capire che solo perché pensava di avere un qualche potere su di lui per quello che era successo non necessariamente lo aveva, doveva capire che erano in due, come in quella missione così in un’ipotetica relazione. Con questo non intendeva porre le “grate da troll iniziali”, come le chiamava sua madre, quelle che bloccavano una relazione nell’eterna subalternità di un individuo rispetto all’altro, soltanto riteneva giusto chiarire quel punto. «..e io, Granger, ti ricordo che qui ci siamo io e te, Hermione Granger e Draco Malfoy. Si, proprio io. Puoi impazzire quanto ti pare e fare la svitata, non me la bevo, e non intendo andare oltre e tollerare questo comportamento se non ti calmi e mi prometti di lasciare i sentimenti fuori da questo.. posto! Sei sempre stata la prima a ribadire che questo era un lavoro, e com’è che si dice? Tenere separata la vita privata da quella professionale? Bene. Adesso siamo nell’ambito di quest’ultima e io, tanto per cambiare, sono il tuo capo, non un burattino che può e deve seguirti dovunque tu voglia. Non pensare di avere un qualche diritto su di me, Hermione. Non ti si addice e sbaglieresti in partenza. Chiaro?»

La ragazza, il mento alto e gli occhi luccicanti di lacrime di rabbia, annuì con un cenno brusco del capo, quindi gli indicò la strada con gli occhi e lui, facendo un passo indietro, le diede modo di passare. Si, va bene, aveva ragione lui, ma non l’aveva fatto deliberatamente! Insomma si sa che l’orgoglio di una donna è l’ultima cosa che va ferita e lei, oltre all’orgoglio, aveva anche un forte senso della morale e della distinzione tra giusto e sbagliato: adesso non ce l’aveva con lui per quello che era successo, era con sé stessa ad avercela. Come aveva potuto cedere così facilmente? Per Merlino! Tutte le sue inibizioni erano saltate in aria, ogni buon senso era andato a farsi benedire mentre il calore del tocco di Malfoy la accendeva come una pietra focaia? Non ce l’aveva con lui e si rendeva solo adesso conto che lui, da uomo qual’era, non era arrivato a capirlo: lei ce l’aveva solo ed unicamente con se stessa, per non essersi fermata e per aver ceduto ad un istinto irragionevole e ingannevole, oh lo era eccome! Ogni sua mossa, sempre, era stata calcolata sulla base di prove precise, era sempre stata progettata o almeno valutata, ma con lui no. Il pensiero dei due baci precedenti era stato talmente difficile da gestire che aveva deciso semplicemente di non pensarci, sperando di non ricapitare più in una simile situazione. La prima volta era stato lui a volerlo, la seconda anche lei ci aveva messo del proprio, ma stavolta.. oh, stavolta avevano fatto le cose in grande! Due su due, entrambi con le loro mani e le loro bocce e la lingua.. ah, doveva smetterla di pensarci. Come aveva tentato di fare, senza che Draco ovviamente arrivasse a capirlo, doveva concentrarsi sulla missione e su null’altro, focalizzare la meta davanti a sé ed inseguirla, lasciando che la preoccupazione e al contempo il ragionamento le invadessero la mente.

In men che non si dica tornarono all’ultimo bivio e svoltarono nella strada precedentemente scartata. Era più larga, stavolta, e decisamente più comoda, tanto da poterci camminare in due, l’uno al fianco dell’altra, come stavano facendo anche loro.

«Perché pensi che Nukter sia scomparso a quel modo? – chiese il ragazzo, interrompendo il silenzio, quando era evidente che la strada non sarebbe stata meno breve di quella precedente – Insomma.. è strano..»

«Ci ho pensato, e parecchio anche..» Non avevo dubbi che l’avresti fatto. «..e sono giunta ad una conclusione. TI ricordi quando la barriera non svaniva sotto alcun incantesimo e poi è semplicemente evaporata, senza un motivo? Ti sei chiesto il perché?»

«L’hai detto tu.. – ricordò confuso lui - ..era stato il Guardiano a volerlo.»

«Esatto. E non ti sei chiesto come mai ci siamo materializzati qui? Insomma, sono certa che quando ci hai portati via di lì non pensavi a questa caverna..»

Non le aveva detto questo dettaglio, aveva preferito ignorarlo e poi non ne aveva avuto nemmeno il tempo, dato che le spiegazioni erano state soffocate dai loro baci. Però era vero: quando l’aveva portata via da Nukter e dalla sua dimora non pensava ad un’altra caverna, pensava a casa e il non arrivarci l’aveva parecchio disorientato, all’inizio. Il suo sguardo sorpreso fu per Hermione una conferma che la spronò a proseguire.

«Beh, quindi in sostanza ci siamo materializzati qui perché.. ho due teorie a riguardo. Sai, mi piace avere un’alternativa. Così, o Nukter sapeva che saremmo finiti qui, e ci ha indirizzati lui a questo posto, o più semplicemente c’è una sorta di passaggio obbligatorio da lì a qui. Mi ha accennato ad una sorella… mezza svitata? E se questo fosse il loro giochetto? Una promozione speciale.. prendi due paghi uno..»

«Non ti seguo..» «Sono collegati! E’ così evidente! Ci ha lasciati andare perché sapeva che l’avremmo rincontrato proprio qui, in questo luogo. Altrimenti non sarebbe stato tanto sprovveduto.. no?»

Non faceva una piega. «Dici?»

«Si, Malfoy, dico, quindi andiamo avanti e finiamola con le chiacchiere.» Il fatto che avesse preso coscienza del fatto che doveva essere meno aggressiva nei suoi confronti non significava di certo che dovevano rammollirsi, nel frattempo: la produttività e la velocità erano ancora il requisito essenziale per la buona riuscita di una missione, quindi dovevano fare tutto tranne che fermarsi o perdere tempo.

Procedettero avanti ancora per qualche ora, ormai stanchi e sempre meno convinti della speranza che quel percorso potesse portare, effettivamente, da qualche parte. Ma dovevano andar avanti, glielo imponeva il senso di colpa da una parte e la voglia di ritornare a casa dall’altro: a pensarci bene, dopotutto, erano concetti antitetici, ma inevitabilmente l’uno presupponeva l’altro. Dovevano trovare il metallo per uscire fuori di lì, ed era vero, ma una volta tornati il pensiero di Daphne li avrebbe oppressi, di nuovo, senza una missione suicida e pericolosa a fare da salvagente. Che situazione schifosa era quella, dopotutto.

Tra la gioia e il rammarico fu proprio così che trovarono l’uscita di quella lunga e tortuosa galleria. Arrivarono in una sorta di stanza irregolare, con pareti più piccole e più grandi, ma non scolpite naturalmente ma modellate dall’uomo – o da qualcos’altro – in forme piane, conferendo alla stanza quel vago sentore di sospetto ma anche affascinante. Il luogo in cui dovevano arrivare, tuttavia, non era quello. Il centro della stanza, infatti, si trovava molto più in basso rispetto a loro: le pareti, dal livello dei loro piedi fino a qualche metro più in basso, erano costituite da scale scoscese che, presumibilmente, dovevano essere percorse per arrivare fino alla “botola”, anche se era riduttivo chiamarla così. Il piedistallo al centro esatto di quella complessa struttura, ravvivata dalle medesime fiaccole che avevano accompagnato il loro intero cammino, era a forma di stella, con al centro un forziere non dissimile da quello da cui Draco aveva sottratto il metallo sotto il naso di Nukter. Solo che, stavolta, non era acqua quella che lo avvolgeva, si trattava di fuoco, a prima vista: ok, primo punto da considerare per non perdere l’uso di una mano, ricordare la differenza nitida tra acqua e fuoco, tanto per cominciare.

Non notarono subito di essere in compagnia, anche perché Liliat emerse con calma glaciale dai loro piedi, o meglio dalla parete ai loro piedi. Si trovarono davanti una fanciulla, bellissima, quasi una dea per l’aspetto, con un sorriso talmente gentile e premuroso da far dimenticare per una frazione di secondo il suo ruolo lì. Era vestita con un vestito semplice, fatto di strati e strati di tulle, lilla e nero, con perline sparse qua e là e un lungo pendente al collo – che Hermione notò subito per una familiarità impressionante con uno dei suoi gioielli, rinchiusi al sicuro in un cofanetto di Malfoy Manor. I capelli, ondulati e castali, erano posati con gentilezza sulle spalle, mentre le mani erano incrociate ad angolo retto dietro la schiena.

Non guardava loro, tuttavia, ma una figura che emerse a poco a poco dall’ombra alla loro sinistra: Hermione scattò subito in difesa e Draco fece altrettanto, si trattava di Nukter. Non avevano sbagliato a giudicare sospetta la facilità con cui erano fuggiti dalla precedente caverna, visto soprattutto che adesso dovevano affrontare non più uno ma ben due Guardiani, tutti e due in una volta. Il fratellino si era dimostrato un grandissimo idiota e particolarmente sensibile al fascino di Hermione ma, a meno che anche Liliat non avesse inclinazioni verso il suo stesso sesso, non c’era speranza nel confidare in un comportamento simile. I due si prepararono a combattere.

«Ma insomma, fratellino! Mi avevi fatto capire che sarebbero arrivati due guerrieri forti e valorosi e tu mi chiami valorosi questi? Non ho nemmeno bisogno di posare il mio sguardo su di loro per rendermi conto della loro inferiorità.. e non mi dire che la bellezza della strega giustifica la tua infatuazione.. mi hai tradito! Ma avremo tempo per discuterne..»

Da quelle poche parole era già evidente chi fra i due teneva le redini, in quel rapporto.

«Forse però, sorella, dovresti guardarli. Altrimenti come valuterai..»

«Oh, va bene, va bene!» Puntò i suoi occhi verdi su di loro, lasciando che il suo sorriso si illuminasse di più, e il calore della stanza parve aumentare a dismisura.
 





Spazio autrice ù.u

Ma salve. Vedo di avervi mandato in tilt con il finale del capitolo precedente – almeno suppongo sia così per via delle email minatorie/disperate che alcuni di voi mi hanno mandato. Beh, ne sono lusingata, vedo di aver toccato la vostra fantasia, e mi fa davvero piacere. Questo capitolo, a differenza del prossimo, è davvero il mio orgoglio: mi piace come è strutturato, com’è scritto e, soprattutto, quello che vi succede, suppongo capiate a cosa mi riferisco.

Naturalmente la scena di Draco e Hermione che, dopo essersi fatti da crocerossina a vicenda, finalmente, direi io, capiscono che se vanno avanti così si faranno saltare i nervi a vicenda, quindi finiscono con il concedersi quel meritato momento che, suppongo, tutti voi steste aspettando. Come mi pare già di aver detto, non c’è due senza tre: naturalmente c’è un chiaro ed evidente paragone con quei due baci precedenti, suppongo non sia difficile da vedere e capire. Entrambi lo vogliono, lo desiderano ardentemente. E finalmente si concedono anche il lusso di dimostrare all’altro ciò che provano davvero. Non è fantastico?
Vi avevo promesso, e lo ricordo bene, una spiegazione su Liliat e Nukter, naturalmente è giusto darvela. Come avete potuto notare dalle brevissime battute della giovane, è lei quella che comanda, è lei che è quella che tiene le redini del rapporto. Ancora, dite voi, non è chiaro quale sia il loro “modo di essere”, dato che risulta essere pressoché ambiguo, ma tenterò di spiegarvi. Questi due guardiani non sono come gli altri: sono fratelli, si amano fra di loro, in modo ambiguo e sinistro, e quasi nulla al di fuori di loro può interessarli. Un’eccezione è costituita dalle infatuazioni, come è già accaduto e come accadrà anche con Draco, ma non è altro che una spinta per il loro rapporto, in modo da potersi punire, giocando così al gatto e al topo, e ritornare al solito stato di cose. Naturalmente sorprende subito che non siano assassini e pronti a dare la vita per i Metalli: è vero, a loro non interessa praticamente nulla dei metalli. A differenza di Gonos, e ancor più di Syfil, vedono il loro ruolo come un peso, un qualcosa da cui evadere, motivo per il quale hanno intrapreso questa incestuosa relazione. E’ inoltre evidente che non costituiscono “materialmente” una minaccia, ma anche questo è vero solo in parte: potranno non voler uccidere i due compagni in maniera brusca e diretta, ma possono comunque ostacolarli. Inoltre, punto che vi lascio su cui riflettere, decisamente sono succubi di Gonos, nel senso che è una sorta di loro “capo” o meglio supervisore: al posto di Syfil io non lascerei due tizi del genere a fare la guardia per conto loro, voi si?

E so anche che adesso mi starete lanciando maledizioni per via del finale brusco e interrotto: non potete perdonarmi per la scena Draco/Herm? No? Beh, vi rassicuro su un punto, anche se potreste non capire le mie parole, adesso: non vi dico quello che succede dopo perché, per i protagonisti, effettivamente, non succede. So che non state capendo, ma potete presupporre sempre qualcosa.. provateci ;)
Per il resto grazie ancora a chiunque segua la mia storia, a tutti coloro che trovano il tempo di recensire – perché fa davvero piacere leggere i vostri suggerimenti/commenti/apprezzamenti – e vi lascio al vostro sabato, sperando che sarà migliore del mio.
Un bacio a tutti, K =)

 

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Capitolo 14
*** her name is Hermione Granger ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XIII:

her name is Hermione Granger
 


Riaprire gli occhi fu un duro colpo, soprattutto perché non ricordava di averli mai chiusi. Percepì in un attimo che c’era qualcosa che non andava: si rese conto non solo di non avere la più pallida idea di cosa fosse successo – premesso che fosse realmente successo qualcosa – ma neppure di ricordare un benché minimo particolare. Sbattute le palpebre un paio di volte, focalizzò l’attenzione su dove fosse. Era ancora nella caverna. Davanti a lui c’era la gracile figura di Liliat, che volteggiava con i suoi mille strati di tulle a qualche centimetro da terra, le mani raccolte sul grembo e il volto raggiante di gioia. Cos’aveva da ridere tanto, lei? Di nuovo, la terribile sensazione che aveva provato ebbe il sopravvento e il suo stomaco fece un balzo. Non solo.
Il contatto con il pavimento, percepito attraverso le membra di una gamba scoperta, probabilmente ferita, gli rivelò che la sua non era una posizione eretta ma che, invece, si trovava seduto per terra, la schiena poggiata contro la parete di una delle tanti pareti della stanza. La ricordava, era una delle poche cose che ancora lo collegavano alla realtà. Tentò di capire altro, ma invano. L’unica certezza era il ricordo e il suo ultimo ricordo riguardava quella medesima stanza, la sorellina sadica del precedente Guardiano, Nukter, e Hermione al suo fianco. Hermione.

Un dolore allucinante gli colpì le tempie, tanto che si piegò in avanti dal dolore, perso nell’urlo che senza dubbio la sua bocca aveva lanciato. Pregò che la smettesse, ma non accadde.

«Sai che lo farò, però devi rispettare il patto.. abbiamo un accordo.»

Non era in grado di fare nulla. Era intrappolato, proprio come un mazzetto di erba Polverina in una delle bancarelle del Mercato di Spezie, che aveva visitato da piccolo in India. Non era in grado di fare null’altro che osservare inerme. La mano di Nukter lo bloccava per il collo, la sua schiena era graffiata e schiacciata contro la parete, probabilmente responsabile del liquido che sentiva scorrere sulle sue carni. Sangue.

Si divincolò, ma invano, prima di tornare ad osservare le due figure davanti a sé. Hermione fronteggiava Liliat, con la sua postura fiera e rilucente di orgoglio, i capelli ancora per metà bagnati e leggermente crespi. I vestiti fradici, sporchi e strappati in più di un punto. Anche così ridotta aveva l’aspetto di un’amazzone, pronta a qualsiasi battaglia e già insignita della vittoria. Avrebbe voluto credere che avrebbe vinto anche questa ma, chissà quale assurda ragione, gli imponeva di credere il contrario: una sua strana percezione, una sensazione più che altro, gli suggeriva che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che né lei e né la sua abilità di grande strega avrebbero saputo affrontare.

«Oh, non temere, mia piccola umana. Sbarazzarmi di te sarà un piacere.. soprattutto perché hai osato sedurre Nukter, e il mio fratellino non si tocca..»

Il mento di Hermione scattò in alto, il barlume di sfida negli occhi evidente. «Forse non è colpa mia se non sai tenere un cagnolino al guinzaglio..»

Lo schiaffo risuonò nel freddo della stanza, prima che la voce di Liliat invocasse a pieni polmoni un nome temibile quanto il sudore stesso della paura. «Gonos!»

Sentì di nuovo la consistenza della realtà sotto le proprie ginocchia e si rese conto che ciò che aveva appena visto era un ricordo, o meglio un frammento di esso. Si trattava di qualcosa che il suo cervello non aveva potuto o non aveva voluto rimuovere, tanto che adesso il solo rivivere nel suo inconscio quell’evento gli aveva provocato un dolore allucinante. Liliat aveva invocato Gonos, perché? Perché Hermione parlava di un qualche patto, che aveva combinato di nuovo quella ragazza, lei e i suoi giuramenti? Avrebbe voluto muovere una mano per afferrare la testa, nel vano tentativo di bloccare il dolore che continuava a bombardarlo, ma non lo fece. O, meglio, non ci riuscì. Gli bastò abbassare lo sguardo per vedere che ambedue le mani stringevano una figura di donna, accasciata immobile fra le sue braccia.

Hermione era incredibilmente pallida, non ricordava di aver mai visto la sua carnagione diventare tanto chiara tutta d’un botto. Non c’erano ferite, nessuna che potesse vedere comunque, e i capelli le ricoprivano disordinati il volto. Liberò una mano e ne spostò alcune ciocche, sfruttando così quell’occasione per accarezzarle la guancia: era gelida. Non si accorse neppure della lacrima che gli aveva già bagnato la guancia, piena della preoccupante consapevolezza, dell’unica: la ragazza fra le sue braccia stava morendo.
Come aveva potuto lasciare che accadesse? Oh, giusto, non lo ricordava! E capì che non era un fattore dovuto a lui ma alle sue figure che lo scrutavano, l’una con occhi dubbiosi e l’altra con sguardo lascivo: decise che quest’ultima era la più propensa a cui chiedere spiegazioni, sempre che avesse deciso di concedergliele di sua volontà.

«Cosa diamine è successo?»

«Oh, piccolino, non se lo ricorda!» La vocina fastidiosa di Nukter, piena di ironia, ancora una volta, tornò ad assillare le sue orecchie. Avrebbe voluto Schiantarlo se non addirittura ucciderlo ma si rese conto di non avere la bacchetta a portata di mano né, tantomeno, di avere libertà di movimento. Era inutile cercare di combatterli, del resto: erano in due contro di lui, intrappolato da Hermione e dalla sua gamba, che notò appunto essere insanguinata. Non tentò di muoverla e fu un errore, dato che non era suo quel sangue. Tornò ad alzare lo sguardo, rabbioso e pieno di odio, su Liliat stavolta, che nel frattempo gli si era avvicinata ed aveva posato una delle sue delicate mani sulla sua guancia: il biondo si scostò con ribrezzo ma lei, con perseveranza, lo ignorò tornando ad accarezzargli la pelle liscia. Era evidente, anche se bisognava ammettere che non era del tutto logico: proprio come Nukter aveva dimostrato una sorta di interesse per Hermione, così sembrava che Liliat avesse una qualche infatuazione per lui. Come potevano questi due Guardiani essere così dissimili da tutti quelli che aveva incontrato in precedenza? Gonos, così come Kreyia e Luran, tutti si erano dimostrati delle divinità, furiose ed implacabili, e tutti, con metodi naturalmente diversi, si erano adoperati per proteggere i metalli dei quali custodivano il Nome. Come potevano questi due essere così sprovveduti? Come potevano prendere tanto alla leggera il loro compito e, allo stesso tempo, disporre così facilmente della vita delle persone.

E poi, tra tutto il resto, perché non stava pensando con lucidità? In quel momento doveva scoprire il perché non ricordasse nulla e il come potesse andarsene da lì, non fantasticare su speculazioni astratte e inutili. Percepì un calore, un calore improvviso dal tocco di Liliat e capì, con chissà quale lucidità, che era il tocco a bloccare la sua razionalità e a indurlo a temporeggiare: lei voleva che lui restasse, lei voleva che Hermione morisse.

Con un movimento più brusco del precedente si scostò dalla violetta galleggiante, mentre uno schiocco evidente delle labbra di Nukter risuonava nella stanza. «La finiamo? Lily, la smetti di provarci così spudoratamente con lui? Già è tanto che gli hai solo occultato i ricordi e non glieli hai cancellati del tutto, sai che Gonos si arrabbierà!»

La ragazza sbuffò, abbandonando il suo proposito di accarezzare Draco, evidentemente seccata dalle parole del fratello: come potevano quei due essere tanto gelosi l’uno dell’altra quando in realtà non si sopportavano? Riuscivano a malapena a restare nella stessa stanza senza lanciarsi fulmine e saette addosso, come potevano essere amanti?

Quella parola, amanti, gli ricordò Hermione, che tornò ad accarezzare, posando i polpastrelli sporchi di terra sul suo volto. Non era solo esangue, era soltanto una delle caratteristiche migliori della sua condizione. Ricordò improvvisamente Daphne, il modo in cui il suo corpo si era elegantemente adagiato fra le sue braccia, avvolto nell’elegante abito da sera; gli era parsa un angelo sceso in terra. La ragazza che, invece, adesso stringeva fra le braccia, aveva un aspetto completamente diverso. Non c’era segno di divinità né nel suo corpo né nel suo aspetto: era coperta di vari lividi, sporca di terra e sangue rappreso in più punti; i vestiti, solo bagnati quando erano arrivati, adesso riportavano segni evidenti di bruciature e tagli. Non era soltanto conciata male, si ritrovò a pensare, qualcuno ce l’aveva ridotta di proposito. Ma chi? Né la ragazzina e né il suo fratello da circo erano capaci di una tale maestria, ma allora.. Ma certo.

«.. Gonos non mi ha mica ordinato di eliminare i suoi ricordi, mi ha solo chiesto che non ricordasse nulla ed è così..»

«Esclusi ovviamente i flash che potrebbe avere..»

«Quanto sei maledettamente fatalista, Nukter! Non rompere le scatole, sai quanto me che quel processo può mandare una persona anche in coma! Mica potevo rischiare di rovinare questo bel pezzo di..»

«Con lei l’hai fatto, però! Ad Hermione li hai cancellati quei ricordi, a rischio di ucciderla!»

La voce di Liliat, così come la sua espressione rimasero inflessibili alle accuse del fratello. «Mio piccolo, sciocco Nukter! Certo che le ho cancellato i ricordi! Questa mocciosa non solo ha osato prendersi il diritto di corteggiarti, ma ha anche un posto speciale nel cuore di questo bel giovanotto qui. Ma tralasciando questo, ha fatto un giuramento a Gonos e non l’ha rispettato: aveva promesso di far interrompere le ricerche dei Metalli al suo amico, ma non l’ha fatto. Il nostro caro Gonos l’ha punita e io.. diciamo che ho semplicemente aggiunto un tocco di classe alla sua opera..»

E così Hermione aveva perso la memoria, registrò mentalmente Draco. Non solo. Qualcosa nelle parole di Liliat gli suggeriva che lui non aveva avuto lo stesso trattamento. Era strano, forse addirittura assurdo, credere che due soggetti come questi due potessero vantare il titolo di Guardiani, lo stesso che possedeva anche Gonos d’altra parte, e al contempo non avessero alcuna caratteristica che potesse confermarlo: erano svogliati, burloni, pettegoli, maliziosi, probabilmente – nel caso la loro parentela fosse reale – anche colpevoli d’incesto. Liliat era la solita ragazzina presuntuosa, che sapeva fare e strafare, che riusciva ad ottenere quello che desiderava e come lo desiderava per le sue incredibili abilità, qualsiasi esse fossero: ne conosceva due e già quelle bastavano a spaventarlo, cancellare la memoria e sviare i pensieri secondo il proprio desiderio. In quel momento non era concentrata su di lui, quindi quest’ultima non poteva metterla in atto. Ma era furba, soprattutto maliziosa, non le ci sarebbe voluto molto prima di tornare al suo passatempo preferito. Nukter, d’altra parte, gli era parso, prima con il suo stesso metallo ed adesso ai comandi della sorella, come un inetto, senza capacità di controllo e senza spina dorsale. Non era capace di imporsi, era ironico e sbruffone soltanto con i più deboli, inutile e timoroso davanti ai più potenti, tra i quali apparentemente rientrava la sorella. Sembravano portare avanti, non senza un certo divertimento per entrambi, una sorta di gioco, in cui la loro vita sentimentale ed affettiva era la posta in gioco. Erano un universo a parte, totalmente lontano dalla difficoltà che si presupponeva due Guardiani come loro dovessero rappresentare. Ma non c’era da sottovalutarli, perché si sa che le menti più contorte sono anche le più pericolose.
Fece scorrere lo sguardo sulla sala, assicurandosi che Gonos non fosse più nei paraggi, quindi tentò di individuare una qualche via di fuga: inutile. Le pareti di roccia si innalzavano come tappeti verso il cielo, di cui non si vedeva che uno spiraglio, ammesso che quella luce fosse la luce del sole e quel bianco la delicatezza delle nuvole. Il piedistallo, che ricordava essere quello vicino al quale la sua mente aveva proiettato il ricordo di Hermione e Liliat, era vuoto, segno che il metallo non era più nelle mani della piccola Violetta. Ma allora dov’era?

La risposta gli venne rivelata non appena vide che un cinturino di pelle era legato al pantalone della mora che giaceva esanime fra le sue braccia. Non gli era necessario aprirlo per scoprire cosa contenesse, lo intuiva benissimo da sé. Ma il dilemma restava: perché Hermione possedeva il metallo? Come aveva fatto ad entrarne in possesso? E, soprattutto, come avrebbero fatto ad uscire di li? Si inginocchiò, senza abbandonare per un attimo la presa sulla ragazza: se fosse stato necessario, avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per andarsene.

Per salvarla.

«Oh, ma cosa stai facendo?» La voce annoiata di Nukter bloccò qualsiasi sua mossa, costringendolo a guardare i due fratelli, che lo fronteggiavano dissoluti. Ecco, l’ideale sarebbe stato estrarre la bacchetta e tentare di toglierli di mezzo, per raggiungere se non l’uscita quantomeno l’entrata, il passaggio da cui erano arrivati. La verità era che si sentiva come un topolino in gabbia, senza possibilità di fuga, che lotta disperatamente per salvarsi la vita. Malgrado la razionalità non l’avesse ancora abbandonato, si sentiva privo di speranza e percepiva la gravità della situazione; Hermione, d’altro canto, era fuori gioco, lui non poteva nemmeno sognare di far fuori quei due pazzi tutto da solo. La tukè volle, tuttavia, che non gli toccasse farlo.

«Vuoi andartene? Oh, ma Draco! Perché vuoi abbandonarmi tanto presto! Insomma, pensavo che almeno..»

«Oca! – la sgridò il fratello, che sembrò aver ripreso un po’ di virilità al desiderio del biondo di andarsene – Mandalo alla sua Manor e non trasgredire agli ordini di Gonos, che onori tanto. Non vogliamo guai, dico bene?»

«…ma forse lui..»

Nukter roteò gli occhi, prendendola per la vita e abbracciandola da dietro, posandole il mento su una spalla e cominciando a canticchiare con la sua vocetta stridula. «Piccola piccola, piccola Liliat, sorellina bella dalla nostra culla, non giocare con me, tuo fratellino, dammi l’amore, nostro bambino.. piccola piccola, piccola Liliat, ti amo fratello, tuo per sempre.. Non giocare con me, tuo fratellino, dammi l’amore, nostro bambino..»

Se avesse potuto descrivere l’orrore e il ribrezzo di fronte ad un simile teatro, di certo l’ultimo erede della casata Black l’avrebbe fatto, ma preferì trattenere i conati di vomito, dato che al momento non sarebbero parsi il miglior lasciapassare. Si limitò ad aprire la bocca per la sorpresa, stringendo la consistenza del corpo di Hermione, sempre più freddo, fra le proprie braccia. Finita la canzoncina, i due si dondolarono sul posto, come bambini, mentre l’espressione di entrambi parve rasserenarsi e tornare mite. Si guardarono, beati, e si sfiorarono il naso con delicatezza, sorridendo ancora.

«Mi dispiace, mio fratellino. Non ti ferirò mai più. Rimandiamoli da dove provengono, non abbiamo bisogno di altro finchè ci siamo noi.»

«Oh, Liliat cara. E, vedrai, te lo prometto, le nostre gemme più care, i Metalli che questi profanatori portano via per intercessione di Gonos, saranno presto nostri. Te lo prometto amor mio.»

La cosa sembrava dilungarsi per le lunghe, tanto che Draco fu sul punto di intervenire e chiedere quando quella schifosa pagliacciata avrebbe avuto fine, ma non lo fece, e a ragione, dato che in un attimo le voci, la stanza, le fiaccole, il piedistallo, tutto venne avvolto da un vortice di colori e ombre, vento e formule magiche sconosciute. Si ritrovò, come ardentemente aveva sperato e pregato che accadesse, nel salotto di casa sua, nel punto esatto dove avrebbe dovuto materializzarsi. Sbattè le palpebre, ancora, mentre lasciava che la confusione facesse spazio alla consapevolezza: era a casa, era salvo, aveva conquistato due metalli. Era solo l’inizio, certo, poiché restavano ancora moltissime domande senza risposta, ma per quelle ci sarebbe stato tempo. C’erano cose più urgenti a cui pensare e quesiti più impellenti a cui rispondere: Hermione, tanto per cominciare.

Non si era di certo scordato il suo aspetto o la sua pelle bianca, quasi cadaverica, il freddo delle sue mani o l’immobilità delle sue ciglia. Andare via da quel posto – anche se ancora non ricordava per quanto tempo ci era rimasto e cosa vi avesse combinato – aveva assunto la priorità rispetto a tutto, anche rispetto a lei. Si era odiato per averci anche solo pensato, rendendosi conto che era una sorta di bestemmia il pregiudicare la vita di lei alla salvezza della ricerca e della vita di lui, ma si era detto anche che sacrificarsi come martiri non sarebbe servito a nessuno dei due. La razionalità, benché molti finiscono con il confonderla con freddezza e indifferenza, molto spesso non è altro che il modo migliore per cavarsela: lui l’aveva capito e, ne era certo, se la mora non fosse stata priva di sensi, gli avrebbe detto esattamente la stessa identica cosa. Ma adesso non erano in pericolo di vita e non c’erano Guardiani che gli alitavano sul collo, erano in una Manor sicura e protetta da chissà quanti incantesimi. Erano al sicuro, sì, ma non ancora salvi.

Esaminò il volto della ragazza, accarezzando con le dita il suo lieve profilo e scoprendo d’un tratto che era bagnato. Il suo volto era rigato di amare lacrime, mentre lui non se n’era neppure accorto: tante che avevano finito col bagnare anche il pallore e il gelo di lei. Avrebbe potuto, avrebbe dovuto imporsi di alzarsi da quel pavimento e reagire, guarirla, tentare di salvarla. Ma come? Come poteva distogliere lo sguardo quando avrebbe potuto essere l’ultima volta che la vedeva?

«Hermione.. – chiamò piano, sperando che il suo nome, pronunciato dalle sue labbra, potesse sortire una qualche sorta di effetto – Svegliati, Hermione.. Hermione.. Hermione..»

«Draco! Maledizione, che succede? Che ha.. o Merlino! Ma è pallidissima!»

Nella bolla di dolore e inevitabile fatalità in cui si era rinchiuso, aveva totalmente dimenticato di essere ancora in un posto chiamato mondo, con persone. Persone capaci di aiutarlo, forse. Di aiutarla.

«Blaise.. – mormorò, abbandonandola con una mano e afferrando il colletto della camicia dell’amico con quella stessa mano – Devo salvarla, devo salvarla.. portami al San Mungo, adesso!»

«Non pensarci neanche amico.. sei pazzo?»

Draco lo fissò frastornato, senza capire: certo, lui e Hermione non è che fossero propriamente amici, ma da qui a lasciarla morire. Che razza di persona poteva essere Blaise, per trattare così un essere umano..?

«..essere umano, totalmente inutile e totalmente impotente davanti a ciò che sono e che sono sempre stato. Te ne rendi conto, piccola ragazzina? Tu mi guardi con occhi di sfida, ma sai quanti occhi ho visto io, nel corso dei secoli? Tu cerchi qualcosa la cui portata non sei nemmeno capace di immaginare.. tu aiuti un uomo, un ragazzino, che fingi e pretendi di conoscere. Quanto sai del suo destino, Hermione Granger? Quanto sai del tuo

Era nella caverna di Liliat, non era più trattenuto a forza da Nukter contro la parete ma era invece accasciato per terra, in una posizione stranamente scomoda ma che, per chissà quale ragione, preferiva non cambiare. Liliat era scomparsa, o almeno lui non riusciva a vederla, mentre invece riusciva a scorgere con estrema chiarezza la figura di Hermione e quella di Gonos, che la sovrastava. Un odio incontrollabile cominciò a ribollirgli nel petto, mentre il ricordo di quell’essere e delle lame che lo trafiggevano tornava prepotente a farsi largo nella sua memoria. Quello non era di certo un umano, e neppure un Guardiano dopotutto. Tra tutti, era stato l’unico davvero capace di smuoverlo dal suo proposito, l’unico in grado di farlo vacillare su una sua decisione. C’erano poteri e c’era il potere, e soprattutto quelli capaci o incapaci di usarlo. Nukter e Liliat erano la prova concreta di quest’ultimo caso, Gonos invece no. E adesso, quel viscido verme stava proprio davanti ad una Gryffindor totalmente inerme, indifesa, stupidamente senza una bacchetta in mano. Perché non si difendeva? Pensava di non esserne in grado?
No, più semplicemente non si difendeva perché non volevafarlo.

«Veniamo a noi. Sei incredibilmente stupida o particolarmente coraggiosa per cercare un così diretto scontro con me, ragazzina. Ti ricordo che devi ancora pagare per il tuo giuramento infranto, e un mio Giuramento non si perdona facilmente..»

«Lo farò. Ma prima parliamo del.. accordo..»

I suoi occhi color nocciola guizzarono verso Draco, incrociandoli per un istante che parve lunghissimo. Draco non riuscì a cogliere tutto, ma qualcosa si. Paura, incertezza, ma anche decisione e rassegnazione frammista e coraggio. Stava per fare qualcosa di incredibilmente stupido ma, al contempo, straordinariamente coraggioso, e lo faceva per lui.

Un altro flash. Si sentì la testa andare in pezzi ma realizzò che non c’era tempo, almeno al momento, per soffermarsi su quello che era successo: le cause non avrebbero di certo aiutato la strega a stare meglio e, di sicuro, ci sarebbe stato tempo per indagare. Mascherò il dolore allucinante con un gemito, mentre Blaise continuava a parlare, probabilmente avendo interpretato la pausa dell’amico come un invito a continuare.

«Amico, ragiona! Se ti presenti al San Mungo con in braccio la Granger mezza morta.. cosa potrebbero mai pensare? Ricordati che nessuno, gli abitanti di questa casa esclusi, sanno che non siete nemici giurati. Cosa penserebbero tutti se portassi in ospedale la ragazza mezza morta? Senza contare il fatto che è anche inserita nel progetto dell’Integrazione Babbana, la Corte finirebbe con lo scuoiarti vivo per questo.»

«Devo salvarla. – sibilò a denti stretti il biondo – se non vuoi aiutarmi, sparisci.»

«Non ho detto che non voglio, ti ho solo detto che forse non è l’ideale portarla in ospedale. Conosco un metodo molto più veloce.. se solo mi permetti.. Dai, portiamola di sopra..»

Prima che Draco stesso potesse sollevarla, Blaise, con un gesto del tutto inaspettato, prese il corpo della strega fra le braccia, portandola con rapidi passi verso il piano superiore. Il biondo, che sembrò quasi vuoto senza quel peso fra le braccia, non potè far altro che seguirlo, limitandosi a guardare fisso davanti a sé. Quando però l’amico oltrepassò la sua stanza, una strana sensazione lo assalì.

«Blaise, mettila in camera mia. E’… più vicina alla scala, in caso di pericolo.» Aveva detto la prima sciocchezza che gli era saltata in mente, senza riuscire a ingannare nemmeno il moro, che l’aveva squadrato con occhi scettici e sopracciglia inarcate, ma non aveva fatto commenti, eseguendo all’istante e entrando nella camera più ampia dello Slytherin. Non capiva cosa ci fosse di così particolare nel volerla sul suo letto, in camera sua, ma era come se l’idea della morte e di lei, associate, in un unico posto, fossero il connubio perfetto con l’ambiente della sua camera da letto. Non che questo ragionamento avesse una logica tutta sua, perché in effetti non ce l’aveva, ma sentiva che era la cosa giusta da fare. Quando la vide stesa, tuttavia, non se la sentì di avvicinarsi, tanto che mentre Blaise usciva di corsa per andare a cercare il miracoloso aiuto, lui si appoggiò semplicemente al muro, accasciandosi sul pavimento dopo pochi istanti e prendendo la testa fra le mani: che cosa aveva fatto?

«Ma cosa.. non penso che sia una buona idea, Blaise, dico sul serio..»

«Non possiamo lasciarla morire, era praticamente tua cognata.. avanti, fallo per me!»

Blaise rientrò nella stanza, dietro di lui la persona la cui voce aveva ben riconosciuto: Ginevra. Malfoy scattò in piedi, poco prima che le braccia muscolose di Blaise lo afferrassero e gli impedissero di scaraventarsi sulla rossa. «Che cavolo ci fa lei qui? Non la voglio qui!»

«Smettila, amico! – lo bloccò il moro, resistendo ai suoi tentativi di scavalcarlo – Se ragioni un attimo ti rendi conto che lei è la medimaga più vicina in circolazione, è la cosa migliore da fare. Se non ti fidi di lei, fidati di me. Puoi farlo?»

Non seppe mai perché quelle parole avessero avuto un effetto talmente calmante, su di lui. In meno di un istante smise di cercare di aggredire la più giovane della casata dei Weasley e focalizzò la sua attenzione sull’amico: si fidava di Blaise? Ai tempi di Hogwarts era stato un compagno leale e fedele quasi alla pari con Tiger e Goyle. Non l’aveva mai realmente degnato, si capisce, della sua assoluta fiducia, fra le mura di Hogwarts, ma con la fine della scuola e la perdita di sua madre, molte delle vecchie prospettive erano mutate, alcune in meglio altre, purtroppo, in peggio. Blaise apparteneva alla prima categoria: erano diventati qualcosa che, nel linguaggio più basso e comune possibile, viene definito come “amici di sangue”; si erano protetti a vicenda, si erano sostenuti senza bisogno di toccarsi, si erano voluti bene senza doverlo necessariamente esprimere a parole.

Quindi la risposta era sì: si fidava di Blaise. Ma non era in mano sua che stava per mettere la vita della Grager, magari fosse stato così! Stava per affidarla alle mani di una ragazza che, più di una volta, aveva dimostrato quanto disprezzasse Hermione e quanto desiderasse farla fuori, quanto la sua presenza accanto a lui fosse un motivo di continua rabbia e gelosia. Ginevra lo amava, questo era risaputo, e anche Blaise lo sapeva, pur scegliendo di ignorarlo, e si sa che l’amore può far fare tutto ad una donna, soprattutto se non ha nulla da perdere. Ginevra se ne stava dietro il suo amante di turno, gli occhi verdi puntati in quelli infuocati di lui, con quell’espressione da vittima sacrificale.

«Non preoccuparti, Draco, non le farò del male. Ho solo bisogno di controllare come sta.. così potrò..»

«POTRAI COSA?!?!?»

La rossa rimase a fissarlo senza battere ciglio. «Salvarla, naturalmente.»

Voleva salvarla? Davvero in quella ragazza poteva esserci un sentimento tanto caritatevole, tanto pietoso da salvare la vita di un essere umano, anche se quest’ultimo è il tuo primo ostacolo alla felicità? Tra l’altro, si ricordò il biondo, Ginevra non sapeva che Hermione adesso era legata a lui sentimentalmente – anche se questa, in sostanza, era una questione ancora da discutere con la diretta interessata, una volta che avesse ripreso un po’ di colorito – e quindi l’odio verso di lei poteva essere limitato alla sua presenza in quella casa e al fatto che avesse abbandonato il fratello, non ad altro. No, non poteva farle del male, e nel caso contrario poteva sempre torturarla ed ucciderla. Volse lo sguardo verso la figura della mora stesa sul letto, con il petto che si alzava appena, poi tornò a guardare negli occhi Blaise, che si limitò ad un cenno di assenso. Non si sarebbe mai fidato di Ginevra Weasley, ma si sarebbe sempre fidato di Blaise.

«..ma sia chiaro, rossa: un capello.. torcile un solo misero capello e sei morta

La ragazza non sembrò particolarmente colpita dalla minaccia, semplicemente si limitò a raccoglier ei capelli in una coda e ad avvicinarsi al letto, estraendo la bacchetta e sedendosi al fianco di Hermione. All’inizio mormorò qualcosa di incomprensibile, lasciando che una nebbiolina bianca scaturisse dalla sua bacchetta e avvolgesse il corpo della strega; quindi le toccò il polso, le tempie, la pancia all’altezza dello stomaco e le caviglie. Non contenta, le alzò di un poco la maglietta, lasciando la pancia scoperta, quindi mormorò ancora qualcosa. Draco avrebbe preferito non vedere: se avesse saputo prima che strazio gli avrebbe provocato la vista del corpo di Hermione dilaniato da mille lividi e ferite, non avrebbe voluto guardare.

«Un incanto di Disillusione: chi le ha fatto questo non voleva che si sapesse quanto sta male. Ma non ci sono ferite sanguinanti, le emorragie si sono fermate tutte, il che spiega perché è tanto pallida. Non ha quasi sangue, nel corpo, il cuore pompa a fatica quello che le è rimasto. – si voltò verso i due uomini, che ascoltavano le sue parole con attenzione – Ho alcuni ingredienti nella mia borsa ma, per ferite simili, ho bisogno di un posto dove preparare i composti per curarla: è magia talmente oscura da richiedere più delle mie capacità, a meno che non intendiate portarla al San Mungo..»

«No. – il rifiuto di Draco fu perentorio – Lei rimane qui. Avrai ciò che ti serve, potrai usare il mio armadio, entro venti minuti sarà libero di ogni vestito e vi sarà qualsiasi ingrediente che riterrai necessario. Fai una lista e dalla a.. Pods!»

Un piccolo elfo, quello che di solito Draco spediva per le commissioni esterne o, più semplicemente, per le sue compere, apparve nella stanza: non era diverso da tanti altri, tranne per il fatto che aveva un vestito un po’ più pulito degli altri elfi presenti nella stanza, fatto probabilmente legato al suo compito. «Il padroncino ha chiamato?»

«Solo per stavolta, obbedirai a quanto ti dirà la Weasley.. – non era un mistero che la sua presenza non fosse gradita, anche agli elfi era concesso non rispettarne l’autorità - ..e le darai tutto quello che ti chiederà, mettendo tutto quello che ha bisogno nel mio armadio, dopo averlo svuotato dei miei vestiti. Sarà una sorta di laboratorio, quindi procurati il necessario per preparare pozioni e.. il resto. E fai in fretta..»

L’elfo gettò una rapida occhiata alla stanza del padroncino, molto più affollata del solito, ma obbedì all’istante, svanendo con un crac. Nel frattempo Ginny, che aveva prestato una minima attenzione all’elfo, aveva evocato la sua borsa e stava trafficando con una piccola fiala sul corpo di Hermione, mentre un fumo bluastro stava ricoprendo tutti i suoi ematomi, formando una bizzarra combinazione di meteorologia, scienza e medicina – anche se non era il termine propriamente esatto. Passarono parecchi minuti, eppure la ragazza continuò i movimenti, ora di qualche fiala ora della sua bacchetta, mentre i due ragazzi rimanevano immobili, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso sulla sua figura.

«Come sta? – s’interessò Blaise, dato che si rendeva conto di quanta difficoltà avesse il biondo a parlare, per una ragione o un’altra – Progressi?»

Ginevra sbuffò. «Progressi, Blaise? Tu li chiami progressi questi? Se in fin di vita è un progresso sei proprio ironico! Dovresti sfruttare questa tua dote per distrarre gli altri giocatori, almeno colpiresti qualche anello invece di svolazzare per il campo con le braccia appese lungo i fianchi o sventolanti peggio del mantello. – quindi si volto verso il suo amante/neo-fidanzato, lo sguardo più tagliente di una lama – E se non si fosse capito la risposta è: ovviamente no, non sto facendo progressi.»

Se in una situazione normale, anche se il concetto di normalità era ormai relativo in quella casa, avesse assistito ad una scena del genere, non ci avrebbe pensato due volte nel prendere quella schifosa rossa per il collo, gettarla fuori dalla porta e poi cruciarla, ricordandole che Blaise era un essere umano quanto lei e meritava un briciolo di rispetto. Ma non era una situazione normale e, nell’attimo in cui l’amico l’aveva implorato di fidarsi di lui, aveva deciso di porre come priorità la salute della strega mora distesa sul letto, ponendo al secondo posto qualsiasi cosa o persona presenti nella sua vita, purtroppo Zabini compreso. Con ciò non intendeva fargliela passare liscia: ci vuole ben altro per scalfire uno Slytherin, naturalmente, ma fino a dove può arrivare la sopportazione di un uomo, anche se verde-argento, verso la propria innamorata? Perché, benché a lei il concetto ancora sfuggisse – o invece lo comprendesse fin troppo bene, lei trattava lui come se fosse un servitore, ai limiti di un elfo domestico addirittura, mentre lui taceva e si lasciava bastonare, dalle sue parole o dalle sue mani. Era cieco, ma di una cecità sofferta e fin troppo concreta per essere ignorata: la amava ed era disposto a lasciar correre qualsiasi offesa o qualsivoglia dolore lei gli procurasse, ed era disposto a farlo in eterno. Era un inetto, ma solo quando si trattava di Ginevra Weasley, con gli altri sapeva tirarla fuori le palle.
Tipico di Blaise, comportamento giusto, luogo e situazione sbagliati. «E’ lo stress per il non riuscire a salvare Hermione, credo.. non che non riuscirà a salvarla.. – stava bisbigliando adesso, in un evidente tentativo di accantonare l’accaduto - ..solo che si sta sforzando molto, credo.. si, insomma..» Preferì tacere, abbandonando l’argomento.

Oh, si! Quella grandissima bastarda l’avrebbe pagata. Ogni offesa, ogni cattiva parola, ogni tocco che non fosse una carezza che rivolgeva a Blaise le sarebbero costati molto più di quanto, col senno di adesso, riuscisse ad immaginare. Certo, al momento non c’era altro sentimento che lo opprimesse che non fosse il dolore e la colpa per Hermione, ma questo non significava che tra qualche tempo avrebbe avuto tutta la possibilità di organizzare una vendetta con i controfiocchi: era un Malfoy, dopotutto. Poche erano le cose sacre, per lui: una fra queste, l’amicizia.

Dopo che si era reso conto di non essere più in grado di reggersi in piedi, aveva abbandonato il peso del suo corpo su uno dei lati del letto, l’opposto rispetto a quello su cui si era adagiata Ginevra, adesso affiancata alle sue spalle dall’amico. Non aveva ancora modo di vedere Hermione da vicino, da quando l’incantesimo di Disillusione era stato tolto, e capì perché sarebbe stato meglio desistere. Non era sé stessa.

La pelle, candida e liscia, era diventata di un terribile colore bluastro, quasi verde, in cui le vene pulsavano con lentezza interminabile, visibili quasi tutte come piccoli ruscelli al di sotto del candore della pelle, ormai trasparente. Gli occhi erano velati da due occhiaie molto profonde, violacee, che gli ricordavano i lillà che una volta – o era la sua immaginazione che gli giocava brutti scherzi? – Hermione aveva detto di amare. Si diede dello sciocco, poi, ricordandosi che l’ultimo Guardiano era proprio vestito con il colore viola e che gli era impossibile ricordare qualsivoglia cosa lei gli avesse detto, nelle precedenti ore – ne erano passate tante, da quando la sua memoria era stata offuscata dal potere di Lilat? O forse il riferimento ai fiori era precedente? Forse era stato uno dei sussurri che la sua bocca, adesso secca e praticamente spenta, gli aveva sussurrato mentre le loro mani si intrecciavano nella danza della passione e le loro lingue si scambiavano senza parole reciproche promesse? Dov’erano, adesso, quelle promesse? Dov’era il suo piano di stringerla e sé nel proprio letto, in cui ora giaceva quasi morta? Dov’era la giustizia della ricompensa, da una vita di sacrificio?

Ma tu hai fatto un sacrificio, Draco. Hai scelto di sacrificare lei al posto della tua Ricerca, hai preferito continuare piuttosto che salvarla… quando sapevi bene che Gonos non si sarebbe dato per vinto, quando sapevi che.. rischiava, lei più di te, una morte lenta e dolorosa. Dovevi aspettare solo oggi per scoprire di tenere a lei?

Era questo che, quindi, era successo? Aveva scoperto di tenere a lei, di tenere a Hermione? Era questo il fardello di cui il suo petto non riusciva a liberarsi del tutto, il fardello della colpa? Come poteva lui vivere con la consapevolezza che, per colpa sua, lei non avrebbe rivisto un altro mattino? Era strano, si rese conto, provare un sentimento tanto significativo, dopo tanto tempo: non sentiva una preoccupazione così grande dai tempi in cui sua madre era viva. Ed adesso, proprio come mia madre, proprio come Daphne, sto rischiando di perdere anche lei…

«Tutto pronto, padroncino. Ci ho messo un po’ più di tempo per trovare alcuni ingredienti che la signorina.. Weasley.. mi ha detto di procurare.. – quando Ginevra aveva avuto il tempo di farlo? Non lo ricordava. – Quindi adesso è tutto pronto. I vostri vestiti sono nella stanza al terzo piano, quella sopra alla stanza del padroncino Blaise.. era l’unica abbastanza grande per farvi entrare tutto.. Posso fare altro, per voi?»

Draco annuì distratto alle parole dell’elfo e, senza rispondergli, lo liquidò con un cenno. Ginevra era ancora china su Hermione – probabilmente, mentre lui era focalizzato sulla mora, aveva avuto il tempo di allontanarsi e dire a Pods gli ingredienti di cui aveva bisogno, magari riposandosi anche. Certo, prendiamoci una pausa e facciamo uno spuntino: tanto Hermione potrebbe morire da un momento all’altro.

«Maledizione, Granger, non farmi questo.. – mormorò, impercettibile, mentre accarezzava la sua mano fredda, che teneva con la propria da qualche minuto ormai - ..non puoi..»

«Vedrai che andrà bene.. – Blaise era riapparso alle sue spalle – La salverà. Ti fidi di lei, non è così? So che è difficile, però, in tutta verità..»

Gli occhi di Malfoy guizzarono sul volto della rossa, mentre la sua voce lapidaria proferiva parole taglienti. «Non mi fido di lei. Mi fido del fatto che, se le farà del male, la ucciderò. E non eviterò ad alzare la bacchetta anche su di te, se dovessi cercare di fermarmi..»

«Ti ha proprio sconvolto la Mezzosangue, eh?»

«Granger.. – mormorò, più a se stesso che per correggere Blaise – Il suo nome è Hermione Granger.»

 




 
 
Spazio autrice ù.u

Salve gente! Vi scrivo dal mio nuovissimo pc, portatile stavolta, del quale vado follemente fiera. Naturalmente è l’unica frivolezza che posso riservarvi: sono di corsa e non posso soffermarmi sui soliti convenevoli, né tantomeno sulle varie spiegazioni, anche se vorrei davvero darvi almeno un indizio. Come sempre vi invito a lasciare un commento, se ne avete voglia, ma se invece volete una spiegazione o una critica.. anche qui i commenti sono il modo migliore, davvero!!! Due punti, giusto perchè i miei amici ancora non sono arrivati: la canzoncina di Nukter (so che è orribile, ma non avevo ispirazione per le rime quando l'ho scritta, siate clementi) e la fiducia che Draco ripone in Ginevra? Come credete che andrà a finire? xD A voi la parola.

Ringrazio davvero tanto barbarak, anche perché è colpa mia e so che.. sarebbe stata una beta eccezionale!! Ringrazio i 50 utenti delle preferite, i 29 delle da ricordare e le 174 delle seguite, che mi fanno sorridere ogni volta come una cretina al vedere queste cifre: mi fa davvero davvero tanto piacere che la mia storia possa piacere almeno a qualcuno! Vi adoro!!!

Grazie mille a tutti voi, un bacio e alla prossima =)

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Capitolo 15
*** fool me Once ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XIV:

fool me Once
 

Malgrado fossero passati dei giorni, le cose non erano cambiate poi molto, non in meglio comunque. Aveva trascorso molte ore al capezzale di Hermione, passando dal dormiveglia al sonno e poi di nuovo ad uno stato più vicino ad un Inferus piuttosto che ad un essere umano. Blaise, che più volte l’aveva raggiunto e gli era rimasto accanto, non diceva nulla, preferendo rimandare o semplicemente ritenendo inutile sottolineare qualcosa che, già così, era evidente quanto lo era la lucentezza del sole: certi sentimenti non sfuggono, ad un occhio più attento, altri invece sono visibili a tutti, senza distinzione di ingegno o perspicacia. Per lui valeva quest’ultima categoria, anche se avrebbe preferito che così non fosse. Per lui era sempre stato semplice vivere come viveva, senza vincoli permanenti e senza costrizioni, senza una famiglia che gli potesse essere strappata e senza che il suo cuore, affidato a mani poco esperte, potesse rischiare di cadere sul pavimento ed infrangersi in mille schegge, senza possibilità di essere di nuovo riunito. E’ semplice vivere, quando non hai assolutamente nulla da perdere, ed è conveniente oltretutto. E se gli altri vedevano in lui freddezza, perfino egoismo - aveva imparato bene ormai - chiudeva gli occhi e glielo lasciava credere, preferendo godere nell’interiorità di un calore che, all’esterno, la sua corazza mascherava. Non che il piacere gli fosse sconosciuto, anzi: i sensi sono qualcosa che vanno alimentato a prescindere, con o senza un coinvolgimento emotivo, e del resto lui era un Malfoy... forse non brillava negli studi, ma in quell’altro campo nessuno aveva mai avuto nulla da ridire o di cui lamentarsi.

Cos’era cambiato? Apparentemente nulla: mangiava ancora lo stesso cibo, beveva le stesse bevande, osservava lo stesso cielo, anche i suoi vestiti erano gli stessi, ad esclusione dei più recenti, acquistati la settimana prima di uno dei negozi più alla moda di New York, babbani. Le sue abitudini continuavano a scorrere con la solita monotona armonia, prive di qualsivoglia sconvolgimento che non riguardasse i Metalli o la Granger. Due fattori erano in grado di cambiare un mondo intero? E, oltretutto, una ricerca e una mezzosangue? Cosa c’era di speciale in due semplici variabili della sua quotidianità? Nulla, almeno se considerati separatamente, ma insieme… uff! Erano inarrestabili, più potenti e più efficaci di mille incantesimi lanciati dai migliori Auror del Ministero, tanto efficaci quanto micidiali.

E mentre osservava il profilo di Hermione, i suoi lineamenti delicati e le sue palpebre serrate, lo assalì un opressivo sentimento di colpevolezza. Come sempre suo padre gli aveva ripetuto, inculcandogli questa lezione fin dall’infanzia, era sempre e soltanto colpa sua: era colpa sua delle malattie perenni di sua madre, colpa sua dei loro problemi finanziari, colpa sua se lui, suo padre, veniva subordinato a qualche altro servo del Signore Oscuro, colpa sua sua e, ancora una volta, sua. Non aveva mai fatto nulla in vita sua di tanto grave – fino a quel momento – che gli avesse attribuito una simile considerazione ma, come un tempo sua madre gli ricordava spesso, suo padre lo faceva per temprargli il carattere, renderlo un uomo forte e incapace di cadere davanti alle minacce e ingiurie altrui: un Malfoy è, prima di tutto, un vessillo di controllata compostezza e decenza, un modello da seguire e da imitare, un leader tra i pari della sua casta. E non solo il nome Malfoy, già abbastanza pesante, gli gravava sulle spalle, c’era anche quello dei Black a opprimerlo, altrettanto gravoso.

Qualche volta, quando era particolarmente indeciso, soprattutto negli ultimi tempi, aveva cominciato a pensare che il sentimento che l’aveva spinto, fin dall’inizio, in quella ricerca non fosse altro che il desiderio di essere abbastanza e la paura di non essere all’altezza. Sua madre, morta per una malattia da cui non aveva potuto salvarla, era la prima prova di quei sentimenti che, da sempre, si agitavano dentro di lui. E adesso che anche la seconda donna più importante della sua vita era morta, si era scoperto così vicino e così lontano, al tempo stesso, da quell’ultima fragile creatura, stesa fra le coperte, con il volto pallido e la pelle quasi trasparente, con le vene ancora visibili e bluastre, coperte soltanto da uno strano sottile di pelle, tanto che si sarebbe detto pronto a fare, per lei, qualsiasi cosa. Come aveva fatto a ridursi così? Come aveva potuto luipermettere che le accadesse quello? Non lo ricordava, e si odiava per questo: ogni volta che il suo cervello si sforzava, tentando di riportare alla memoria qualcosa di quella terribile caverna, il nero lo avvolgeva e gli precludeva qualsiasi entrata ai suoi ricordi.

Era stata Liliat, lo sapeva, a ridurlo così, ma aveva anche capito che – a differenza di Hermione – la sua amnesia non era permanente, gli restava ancora qualche speranza di recuperare i pezzo di memoria mancanti, ma come questo potesse accadere e quando, non gli era dato saperlo. Del resto, non sapeva ancora che cosa avesse potuto provocare i flash che aveva visto, ricordandosi poco o niente di quell’intervallo di tempo, ma sapeva che era solo questione di tempo perché ne apparissero degli altri. Era curioso, era evidente, ma non aveva materialmente tempo per ricordare e non poteva concedersi il lusso di indagare o fare ricerche in un momento come quello: Hermione rischiava di non svegliarsi più, solo questo contava e aveva valore, per lui.

Accarezzò la guancia della strega, spostandole una ciocca di capelli ribelle, sfuggita alla treccia che era poggiata morbida sul cuscino, futile tentativo di darle quella compostezza e quel decoro che, ne era certo, se fosse stata cosciente, avrebbe desiderato avere. Naturalmente, non era da Hermione Granger starsene a letto senza fare nulla, quindi non sapeva esattamente cosa avrebbe detto, sdraiata a letto a quel modo. Non era da lei neppure restare molto tempo senza agire, fare piani, senza fare ricerche nella sua amatissima biblioteca o chiamare Potter. Il ragazzo-che-era-sopravvissuto non era venuto a trovarla, anche se metà della colpa di tale dettaglio era sua, in effetti: forse aveva sbagliato a chiedere a Blaise quel favore ma, senza Ginevra che potesse spifferare tutto, era meglio per Potter non sapere che la sua migliore amica era in fin di vita. Ginevra non gliel’avrebbe di certo detto – restare a meno di cento metri dal suo ex-marito, infatti, significava beccarsi un Reducto in pieno petto, senza preavviso – e neppure nessun altro abitante della casa… non ancora, almeno.

«Voglio che spedisci una lettere Blaise, per me.»

Erano passati pochi giorni, forse solo un paio, da quando erano tornati a casa da quel terribile incidente, e Hermione – malgrado le cure della Rossa – non sembrava stare meglio. L’unica nota positiva restava il fatto che lei fosse ancora in vita. Ma per quanto ancora sarebbe riuscita a resistere?

«Che lettera? – aveva indagato Blaise, mentre si avvicinava al letto su cui la mora era stesa e vicino al quale era seduto Malfoy, su una poltrona di pelle, comoda e larga – A chi?»

«A Potter, devi spedirla a lui... – prima che l’amico potesse controbattere per lo stupore, si affrettò a chiarirgli le proprie intenzioni – La sua migliore amica non gli scrive né gli fa avere proprie notizie da giorni, ormai, quindi non è escluso che entro un paio di ore potrebbe fare irruzione qui dentro e scoprire... che, in effetti, lei non sta poi tanto bene...»

L’idea gli era venuta mentre, osservando il volto della ragazza, si era ricordato il Ballo del Ceppo dei TreMaghi, a cui era andata con Krum. All’epoca non doveva averla neppure notata, avvolta nel suo abito turchese e svolazzante ma, adesso, il solo pensiero gli faceva venire la pelle d’oca dall’emozione. Poteva mai essere? Una ragazza che, ai tempi della scuola, non era nulla per lui, adesso era una donna che, invece, significava tutto? Questo, ovviamente, gli aveva riportato alla memoria anche Weasley e Potter, con i quali gli pareva che la mora avesse litigato, quella sera stessa: aveva bevuto, se lo ricordava bene, ma era certo di poter affermare di aver visto il Trio meno affiatato del solito, quella sera. E, al pensiero del Trio... era qui che entrava in gioco Potter. Sapeva fin troppo bene quanto i due fossero legati e di quanto, sia lei che lui, avrebbero potuto sacrificare per l’altro: non avvertire Potter avrebbe significato un suicidio, avvertirlo, invece, un abile scacco matto.

La sua strategia poteva far cilecca, qualche volta, ma non nella tranquillità di una stanza silenziosa, in cui pensare è il miglior modo di passare il tempo, tenendosi impegnato dalla preoccupazione: era una distrazione momentanea e di brevissima durata, ma era inevitabile…

«Quindi dovrai inviargli un gufo oggi stesso, il più presto possibile, imitando perfettamente la grafia di Hermione e la sua firma. Puoi copiarla dal documento che ha firmato quando l’ho assunta nell’azienda. Spediscila e... vediamo se Potter abboccherà o meno.»

«Vuoi seriamente ingannare il Capo Auror e colui che ha sconfitto il Signore Oscuro? E pensi che io sia all’altezza di imitare grafia e firma? Non sono un contrabbandiere, Draco, non ne ho mai fatte di queste cavola...»

«...Cavolate? Sbaglio o eri tu a firmarti i permessi, quando tuo padre era troppo ubriaco per alzarsi dal divano e venirti a prendere, ai tempi di Hogwarts? Cos’è cambiato?»

La mascella di Blaise si irrigidì, al sentire nominare il padre. «Era diverso. – sibilò a denti stretti – Non è la stessa cosa, era molto tempo fa...»

«Si, l’unica differenza è che all’epoca lo facevi per te stesso e adesso ti chiedo di farlo per un amico. – Draco lo guardò, con i suoi occhi di ghiaccio penetranti ed impassibili – Non ti sto obbligando a fare nulla, amico mio. Te lo sto chiedendo, e se vorrai farlo, ti sarò debitore... ma non posso rischiare di... non rivederla... perché è questo che accadrebbe, se Potter la vedesse in questo stato...»

Il moro conosceva fin troppo bene Draco, sapeva quali erano i suoi punti deboli e sapeva intuire, a pelle, quando stava mentendo e quando invece no: in quel momento, nei suoi occhi non c’era altro spazio se non per l’autocommiserazione e la colpa che, platonicamente, faceva ricadere su di sé. Ah, maledetto amore! Maledette donne! Sarebbero state la rovina di quella Manor, con tutti i loro orpelli e i loro sentimenti e le loro malattie! Lui amava Ginevra – la Stronza – Weasley, e pur sapendo benissimo che era innamorata di Draco e usava lui soltanto come ponte per arrivare al suo amico, la lasciava stare lì, con lui, sotto il medesimo tetto, offrendole il suo letto e la sua protezione. Non era uno sciocco, no di certo, ma era vincolato dal sentimento per lei a tal punto da non essere in grado di convincersi della totale mancanza di coinvolgimento da parte sua. Quando vedeva quegli occhi verdi, fissi nei propri, quando stringeva la sua pelle calda e velata di sudore, quando sentiva il mento solleticato dalle onde rosse dei suoi capelli... non gli importava di nulla e di nessuno, solo di loro.

E adesso, malgrado il solo pensiero fosse di difficile formulazione, doveva accettare il fatto che Draco aveva dei sentimenti per la Granger: non quelli che, all’inizio, aveva ipotizzato, ma di quelli profondi, che obbligano un uomo a cedere il passo, che obbligano uomini come Malfoy a lasciar da parte freddezza e orgoglio. Draco l’aveva aiutato, aveva accolto Ginevra, si era fidato di lui quando aveva garantito per lei e le sue doti mediche: davvero poteva negargli questo favore?  «Lo farò. – asserì semplicemente.. – Ti farò sapere se ci sarà risposta…»

***

Tre giri a sinistra, due a destra, altri dieci a sinistra. Aggiungi foglie di Loto, per l’odore, quindi mescola di nuovo in senso orario per cinque minuti, aggiungi estratto di Callipta e Polvere di veleno di Rana. Innocua. Una pozione del genere non era null’altro che un potente medicamento, uno dei più difficili da preparare ma forse anche uno dei più efficaci, almeno all’apparenza. La sottile arte delle pozioni, quando sei un Medimago, è qualcosa che bisogna conoscere fino all’ultimo ingrediente, da cima a fondo, per non rischiare di uccidere o far morire nessuno: una pozione come quella, tanto difficile, tanto Oscura per certi versi, era sì potente, ma era anche estremamente pericolosa. Bastava un grammo in più di quella polvere di Rana per trasformare il rimedio in un veleno. Non uno istantaneo, che agisce all’istante, ma uno più subdolo, che impiega tempo per consolidare la propria azione. Ma, nemmeno in quel caso è micidiale: solo se si aggiunge una pietra di Saliva di Acromantula, allora si che diventa mortale: gli organi interni si deteriorano, la linfa vitale scorre piano lontano dal corpo e, arrivati ad un certo punto, non c’è più nulla da fare.

Senza esitare, la rossa aggiunse l’ingrediente finale, senza battere ciglio, mescolando ancora perché la Saliva si sciogliesse: ogni ingrediente, in una pozione, può essere tanto nocivo quanto benefico, dipende dagli abbinamenti e dalla cottura. Da quando aveva cominciato a curare Hermione, aveva aggiunto una dose sempre maggiore della Saliva di Acromantula, in modo tale che gli effetti non fossero istantanei ma rallentati nel tempo, impercettibili. Prima che chiunque potesse accorgersi del suo operato, la cara secchiona sarebbe morta, suo fratello avrebbe avuto vendetta – anche se ancora non lo sapeva – e Draco... lui, invece, sarebbe stato finalmente tutto suo. Sorrise, versando il contenuto in un ampolla ed uscendo dallo studio-armadio.

***

Ginevra, con addosso una vestaglia di seta viola e un completo di cotone da sotto, probabilmente il pigiama, entrò nella stanza, scostando con grazia la porta dell’armadio-studio, che Malfoy aveva fatto collegare direttamente con la stanza di Blaise, in modo tale che potesse raggiungere Hermione più velocemente in caso di bisogno. Non si fidava di lei, non era uno stupido, e più volte aveva tentato di trovare una soluzione a quella ridicola sceneggiata, ma, finchè Hermione era in vita, si convinceva che stava facendo di tutto per proteggerla, di tutto per salvarla… Mentre Ginevra le somministrava a cura, era tenuta sotto stretta osservazione da Pods e, anche mentre bisticciava, da sola, chiusa nel suo nuovo studio, era tenuta sotto controllo, giusto per sicurezza, perché la sua mano non facesse casualmente scivolare nel composto un qualcosa di pericoloso. Ma erano folli convinzioni di uno stupido: che ne potevano sapere gli Elfi di medicinali e pozioni? E, ovviamente, quanto stupida poteva essere Ginevra per non capire di essere sotto osservazione continua?

«Draco, mi sembri stanco. Ne avrò per almeno un’oretta e mezza… perché non vai a riposare?» Ah, non ne poteva più di sopportare il modo mieloso con cui si rivolgeva a lui, indistintamente che Blaise fosse o meno nella stanza. Come poteva vivere in un simile modo e stare a posto con la propria coscienza? Una grandissima troia, come lo era lei, non meritava nemmeno un briciolo di quello che possedeva: per la prima – e sarebbe stata anche l’ultima – volta nella sua vita, compatì Potter e la donna che si era scelto, pagandone poi le conseguenze. L’ultima cosa che desiderava era lasciare Hermione sola con una come lei.

«Non temere, amico. – la mano di Blaise si posò sulla sua spalla, mentre un’occhiataccia di Ginevra lo fulminava – Rimango io, vai a riposarti e, magari, anche una doccia non ti farebbe male.» Valutando le alternative, era una proposta dolorosa ma ragionevole. Acconsentì con un cenno deciso del capo, convincendosi che non poteva essere più utile lì che altrove, dato che un imminente risveglio non era previsto. Lanciò un’occhiata a Pods, fermo in un angolino della parete, e – senza guardare il volto della mora per un istante di più, sicuro che sarebbe basato a trattenerlo – uscì.

Camera sua, che adesso si trovava esattamente sopra quella di Blaise, non era che una delle tante camere degli ospiti, di certo la più grande ma nulla a che vedere con la camera in cui riposava la mora, al piano di sotto. Sul letto, con calorosa cura, i suoi elfi avevano disposto un cambio di abiti puliti, composto da un pantalone di cotone nero e una maglietta e mezze maniche, bianca, con una camicia blu chiaro dalle maniche arrotolate, come piaceva a lui. Una doccia, insomma, era il suggerimento che l’intera Manor sembrava volergli dare. Si, in effetti il suo odore, al momento, non era dissimile da quello di Mundungus Fletcher, che aveva avuto modo di conoscere in seguito alle sue visite da Sinister. Gettò i vestiti in una pila, vicino al letto, ed entrò nella doccia, accendendo il fiotto d’acqua bollente e lasciandolo scorrere sui propri muscoli tesi. Ruotò la testa un paio di volte, scroccando le ossa, quindi si massaggiò la parte inferiore del collo con un mano, mentre – come per magia – tutte le sue preoccupazioni si scioglievano al calore e al vapore di quel momento, di quel preciso istante. Non che adesso non ci fossero problemi, non che fossero scomparsi o evaporati, ma semplicemente erano chiusi all’esterno da quel piccolo spazio, dal suo spazio, in cui – per qualche istante – poteva sentirsi realmente leggero…

«Lo sai che non c’entra nulla, non importa cosa tu faccia o dica... non sfuggirò. Ti ho chiamato io, lo sai che non farei mai nulla che…»

«Silenzio! Ho già sentito abbastanza!» Il grido di Hermione, mentre il suo corpo si accasciava per terra, le mani nei capelli e le membra scosse da tremolii e spasimi. Sembrava posseduta, anche se dubitava potesse essere quella la causa, si trattava piuttosto di un dolore acuto, l’unico che potesse far sorridere tanto Gonos, l’unico che potesse farlo gioire tanto. E poi, proprio come era tutto iniziato, finì. Tentò di raggiungere la mora ma, ancora una volta, un Guardiano gli bloccò la strada, svolazzando con i suoi volant viola, stavolta: lo afferrò per un braccio, tenendolo con forza sovrumana, costringendolo a guardare e impedendogli di muoversi. Ecco, un’altra sadica all’appello dei Guardiani, si vedeva che era un tratto genetico…
«Non si tratta di accordi, piccola sciocca umana. Tu hai fatto un Patto, un Giuramento di Sangue, non puoi pretendere che non accada nulla... e l’hai fatto essendo pienamente cosciente di cosa sarebbe accaduto se l’avessi infranto, senza contare la pessima figura che mi hai fatto fare rubandomi la fiala da sotto il naso.»

Ancora urla, unite alle risate di Gonos, alle urla di supplica di Draco e ai sospiri di Liliat. Nukter era evaporato, non lo si vedeva più. «Smettila, ti scongiuro! E’ per me che è qui! E’ venuta con me! Punisci me, lasciala in pace!»

«Oh, non voglio te, giovane Malfoy. Tu sconterai la tua pena anche senza che debba infliggertela io… - puntò i suoi occhi, liberi dal cappuccio poggiato sulle spalle, nei grigi del ragazzo - …sai a cosa mi riferisco. La tua anima è già lacerata, manca poco perché cose strane comincino a verificarsi, manca poco che tu perda te stesso inte stesso. Godrò nel vederti fallire, Draco Malfoy. E in quanto a lei…»

Hermione teneva gli occhi aperti, il sangue che colava dalle ferite svaniva all’istante, mentre le ferite si rimarginavano quasi istantaneamente, probabilmente perché restasse cosciente: era un modo, l’ennesimo, di torturarla più efficacemente e più a lungo. Respirava a fatica, con le mani abbandonate sul pavimento di fredda roccia, le lacrime che scorrevano sulle guance e le labbra che mormoravano parole incomprensbili... Fra le tante, Draco riuscì a distinguerne solo due:” mi dispiace”. Quando la mano di Gonos si posò sul volto di Hermione, facendola sussultare di paura, Draco tentò di raggiungerlo, spinto da un’ira accecante e implacabil: come osavaquell’essere immondo toccarla? Fu vano anche questo tentativo. «Lasciala verme! Parassita che non sei altro, troverò il modo di fartela pagare! NON ANDRA’ A FINIRE COSI’!»

E mentre la risata di Gonos continuava a dilagare nella sala, riuscì ad udire una voce flebile, tanto flebile da fargli bloccare il cuore per qualche istante. «…Draco...»

Sentì l’impatto delle ginocchia con la rigidezza del marmo sotto i propri piedi, ma il dolore non arrivò mai: era troppo immerso nel ricordo per prestare attenzione alla realtà che lo circondava. Era così che, quindi, si era procurata quelle ferite, era stato Gonos a infliggergliele per punirla di quello che aveva fatto, aiutandolo. No, non aiutandolo: eseguendo il suo desiderio di continuare la ricerca, sottomettendosi al suo volere e trascurando la propria personale incolumità. Era andata incontro alla morte, senza preoccuparsi di se stessa e lasciando che fosse lui a guidare il gioco. E, ed era la consapevolezza peggiore, non sembrava minimamente intenzionata a ribellarsi alle torture di Gonos: era chiaro, evidente, che si trovava sotto tiro delle sue sadiche torture perché vi si era arresa, accettando... cosa? Accettando che lui avesse salva la vita e che potesse andare via con le fiale, indisturbato? No, era impossibile, improbabile: i Guardiani non hanno bisogno di compromessi per prendere ciò che vogliono, hanno sufficiente potere per ottenerlo senza giochetti. Si era arresa... perché? Perché l’aveva fatto?

Avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa domandarglielo, ma non poteva. Forse, non avrebbe mai potuto.

Si alzò, imprecando, quindi si asciugò velocemente e si vestì con altrettanta velocità, prima di buttarsi sul letto, pancia in su, e afferrare le lettere sul comodino: l’ultima cosa a cui aveva potuto pensare, negli ultimi giorni, erano stati gli affari, naturalmente. Ma, tra quelle lettere, poteva anche esserci una risposta di Potter, e in quel caso non rispondere sarebbe stato incauto. La prima lettera era del suo direttore, Armando Pellwan. Non gli diede che un’occhiata visto che, come c’era da immaginarselo, non c’erano domande o richieste di consigli, soltanto un resoconto dettagliato di cosa si era perso in quei giorni nelle sue proprietà e le speranza che ritornasse presto a lavoro: ecco perché stimava profondamente quell’uomo, pochi sarebbero stati capaci di mantenere un simile pugno di ferro e fare a meno di lui. Armando, invece, ancora una volta, aveva saputo agire con non chalance e aveva risolto quanto era necessario anche con l’assenza del capo, ovvero lui.

La seconda era invece di Astoria che, soprattutto dopo il funerale di Daphne, aveva iniziato a scrivergli più raramente e soprattutto con più stranezza del solito: sospettava che il responsabile fosse Caius, con il suo dispotismo e i suoi maledetti pregiudizi, ma non voleva saltare a conclusioni affrettate – anche se erano quanto mai giuste, in questo caso. Del resto, cosa poteva la piccola sedicenne Astoria in una vasca di Inferi come quella? Ora che lui non era più il partito ideale, responsabile di aver lasciato morire sua sorella e di aver ospitato la fuggiasca con suo marito e i suoi ragazzini mezzosangue, probabilmente il padre la stava invogliando a sposare qualcun altro e questo, per una bambina come lei, doveva essere drammatico: era sempre stata spinta ad amare lui, apprezzare lui, considerarlo il salvatore della sua esistenza. Non importava quanto la ignorasse o quanto poco le desse attenzioni, per lei restava sempre l’ideale; adesso, invece, doveva rivalutare tutto il suo essere, lui in primis, e adattarsi alle esigenze della propria famiglia con un altro matrimonio vantaggioso, con un uomo che, però, non sarebbe stato né altrettanto gentile né altrettanto ben disposto a tollerare una ragazza come lei, assecondando le sue esigenze. Gli dispiaceva per lei, ma ancora non abbastanza da rispondere alle sue lettere, che ormai erano per Blaise un divertimento troppo ghiotto per poterglielo negare.

Caro Draco,

non ci sentiamo da molto, e me ne dispiaccio moltissimo: non vieni, non mi scrivi che poche notizie e non posso gestire tutto da me. Mio padre ha superato la morte di Daphne con incredibile compostezza, anche se adesso non se ne parla quasi mai a casa mia. Mamma invece è diventata apatica, devo costringerla a mangiare per assicurarmi che non muoia. Certo che adesso è diverso, dal momento che Philip sta venendo quasi tutti i giorni da noi, per il thè delle cinque o per cena: sembra che piaccia molto a mio padre, anche se non so perché insiste tanto a propormi un partito quanto ho già te. Ma ne parleremo quando avremo modo di vederci. Quando avrò modo di vederti? Del resto Philip è una compagnia noiosa, molto più di quanto si possa immaginare. Sai, credo che il fatto che appartenga ai Black deve avergli dato un po’ alla testa, anche se non è nemmeno diretto nella linea di sangue, ma ha un quarto di sangue babbano nelle vene. Credo che sua nonna fosse babbana di nascita, ma i suoi genitori erano entrambi maghi, quindi... papà evita di parlarne. E poi sai, sua cognata, insomma sua sorella Georgina si è sposata da poco, beh sembra che…

Non terminò la lettera, presagendo già interminabili gossip che non aveva né la voglia di leggere né di conoscere, lasciando a Blaise questo immenso piacere. C’era poi un’ultima lettera, su cui era scritto il suo nome con una grafia particolarmente disordinata, quasi... babbbana. Ma certo! Era di Julian: dal funerale di Daphne avevano stabilito di non comunicarsi mai direttamente il luogo in cui si trovava, in modo tale da evitare che le lettere intercettate, magari cadute in cattive mani, mettessero in pericolo lui o i gemelli. Avevano invece stabilito che un Elfo domestico avrebbe portato le sue lettere, da lui e poi di nuovo al mittente, in modo tale che l’intercettazione fosse più difficile, se non impossibile. Sembrava solo ieri che l’aveva salutato, alla veglia di Daphne.
Amico mio, come stai?

Mi hai detto di non rivelare mai il posto dove mi sto nascondendo, perché non possano estorcerti quest’informazione con l’inganno, e non lo farò. E’ un posto magnifico, a Daph sarebbe piaciuto, anche se dubito che tutta la salsedine le avrebbe fatto bene alla pelle: si, c’è l’Oceano, e i bimbi non si stancano mai di giocare con le onde. La casa è piccola, ma ben protetta: non so praticare la magia ma, con quelle poche formule che mi hai buttato sul foglio, unite alle pozioni, non ho avuto bisogno di una bacchetta, Wimpy ha fatto il resto. Louis è davvero bellissima, crescendo sono sicuro che avrà la bellezza della madre, nonché la sua intelligenza e spiccata eleganza. Ma vedo anche qualcosa di me in lei, non so ancora cosa però: la guardo e mi sembra che, dietro quegli oceani che sono i suoi occhi, lei mi stia parlando, stia capendo cosa succede e mi stia dicendo di non temere, di non preoccuparmi. E’ davvero eccezionale.

Lucius, invece, a modo suo, sta imparando a cantare: non per davvero, ma ogni tanto sento che canticchia sotto voce, con i tipici versi di un bambino piccolo, ma sono melodie talmente lievi che mi commuovono, ogni volta, potrei ascoltarlo per delle ore. Ma lei ci manca: a me, forse, di più, perché loro ancora sono troppo piccoli per soffrire dell’immensa portata di questa perdita, ma cresceranno. Mi assicurerò che sappiano che donna sia stata, la loro mamma, che incredibile strega e moglie e amica. Non andrà mai dimenticata, la mia Daphne.

Per il resto non c’è molto altro da aggiungere, ma ti prometto di aggiornarti presto – come d’accordo. Forse andrò a trovare i miei genitori, prima della fine del mese, anche se non sono sicuro sia una buona idea, prima che si calmino le acque. Vedremo. Di sicuro farò di tutto perché Caius non tocchi i miei figli. Astoria mi scrive, ma non le rispondo: ho paura che le lettere vengano intercettate dal padre, quindi le lascio a casa mia e basta.

A presto, Draco

«Già... che donna sia stata, la loro mamma, che incredibile strega e moglie e amica... è la verità... lei è stata tutto, ma anche di più...» Sospirò, posando la lettera nel primo cassetto del comodino, asciugandosi una lacrima che, sola, era sfuggita al suo ferreo autocontrollo e all’impeccabile disciplina. No, non sarebbe stata dimenticata, mai.

Non c’era alcuna lettera di Potter, fra le altre, quindi sperò che, magari, le bugie di Blaise fossero state tanto convincenti da non necessitare risposta: avrebbe dovuto ringraziare Blaise come si deve, più tardi. Adesso doveva tornare nell’unico posto in cui desiderasse davvero essere.

***

Entrato nella stanza non vi trovò nessuno, eccetto Wimpy: il piccolo elfo stava bagnando con una garza la fronte della strega, immergendola in un miscuglio bluastro, dall’odore terrificante.

«Che... che cos’è? – chiese Malfoy disgustato, sedendosi sulla sua poltrona e prendendo la mano di Hermione, ormai un gesto tanto abituale da essere diventato involontario – Te l’ha dato la Rossa?»

«Non so che cos’è, padroncino. Wimpy non sa che terribili cose fa la signorina Weasley nell’armadio, signor Malfoy, signore. E non voglio... non voglio dire nulla, perché se la signorina Granger sta meglio, il padroncino sta meglio, e Wimpy è felice signore...»
Continuò a bagnare la fonte della ragazza. Era fin troppo agitato, non era da lui. «Wimpy, che succede?»

L’elfo scosse la testa, facendo dondolare le lunghe orecchie appuntite e borbottando sottovoce. Non solo c’era qualcosa che non andava, ma lui aveva anche paura di dirla: tra tutti gli elfi della casa, Wimpy era sempre stato quello più spensierato e allegro, ignaro di cosa significassero paura o punizione per via del suo servizio, eccellente ed esemplare. Cosa poteva spaventare a tal punto una creaturina del genere? Malfoy lo prese per una spalla, stringendola appena, costringendolo a voltarsi malgrado il suo sussulto, quindi tentò di guardarlo negli occhi: il piccolo elfo faceva di tutto pur di sfuggire il suo sguardo. Ah, così però la sua pazienza sarebbe finita presto, fin troppo presto.

«D’accordo, Wimpy, l’hai voluto tu: ti ordino di dirmi che succede, immediatamente.»

Wimpy finì di agitarsi, costretto all’obbedienza dall’imposizione del padrone, quindi unì le mani davanti a sé, fissando finalmente gli occhi in quelli del biondo. «E’ per una cosa che Wimpy ha sentito, signore. Una cosa molto brutta.»

«Sentita? – indagò Draco, stringendo appena la mano della Granger, senza volerlo – Che vuoi dire?»

L’elfo prese di nuovo a tremare da capo a piedi, ma non si fermò, continuando a parlare. «Quando il padroncino è andato a fare la doccia, prima, anche il padroncino Blaise è andato via, perché doveva fare una cosa urgente, ha detto. Quindi la Rossa Weasley era qui, signore, da sola con la signorina Granger... a Wimpy la Rossa non è mai piaciuta, signore, Wimpy è un elfo obbediente e fedele...»

Un pregio degli elfi, che aveva avuto modo di verificare nel corso degli anni, soprattutto dopo che suo padre era morto e lui era diventato il Primo in comando in quella casa, era che udivano tutto, anche quando pensavi non ci fossero, loro erano lì. Così piccoli, così invisibili eppure così utili. Wimpy, poi, era il più piccolo e il più discreto, non c’era da sorprendersi che avesse udito qualcosa che non doveva, anche se ancora faticava a capire cosa avesse potuto spaventarlo tanto.

«…e mentre stava preparando la fiala di pozione per la Granger, la Rossa ha detto qualcosa riguardo ad un ingrediente. Ha borbottato. Wimpy era lì per togliere dei residui, perché il nuovo laboratorio nell’armadio fosse pulito. Ed ha sentito... – annuì con la testa, con lentezza teatrale, gli occhi spalancati – La Rossa ha detto che ben presto non avrebbe dovuto preoccuparsi della mora Granger, che la Saliva di-non-so-cosa l’avrebbe fatta peggiorare... e ha detto che avrebbe fatto le cose per bene... che avrebbe fatto piano, perché la pazienza... oh, per le mie orecchie! Wimpy ha sentito che ha detto che la pazienza è la virtù dei forti e lei... lei avrebbe avuto la forza di aspettare la fine della signorina Granger!!!»

Scattò in piedi, afferrando Wimpy in maniera poco garbata per il colletto del fazzoletto che aveva avvolto intorno al corpo, sudicio e sporco. Lo portò di peso nel laboratorio, buttandolo per terra, ceco dalla rabbia, mentre la creaturina squittiva di paura. «Non ti farò del male, Wimpy. Mostrami dove si trova questa polvere o Saliva o quello che era! Mostramela! ORA!»

L’elfo, guardando il padrone con occhi colmi di terrore, si alzò, reggendosi sulle gambette molli, quindi indicò una porticina dello scaffale, appeso sopra un tavolo pieno di ingredienti e fiale. Era chiuso. Draco tirò fuori la bacchetta e gli bastò un semplice «Alohomora!» per aprirlo: probabilmente Ginevra – che Merlino la salvasse da quello che le avrebbe fatto! – non si aspettava che qualcuno la scoprisse o venisse a ficcanasare. Dentro c’era una scodella piena di una polvere puzzolente, a prima vista Saliva in polvere di un qualche animale-non-bene-identificato. Quindi era così che sperava di farcela? Avvelenare Hermione un passo alla volta, giorno dopo giorno? Non solo non la stava aiutando, la stava uccidendo! Era stato un folle, un idiota a fidarsi di lei. Come gli era saltato in mente? Imprecò, voltandosi verso Wimpy. «Ascoltami bene. Adesso vai a trovare Blaise e lo porti qui: digli che ho scoperto che la sua puttana stava avvelenando Hermione e che, se solo prova a farla sparire, lo uccido. Digli di guardare Hermione mentre non ci sono.»

«Il... padroncino va da qualche parte?»

«Si, Wimpy. Vado dalla persona che avrei dovuto chiamare fin dall’inizio. Questa faccenda deve finire.» Senza aggiungere altro, si precipitò di nuovo nella sua camera da letto, prendendo la mano di Hermione e posandole un bacio delicato sulla fronte. Povera, innocente Hermione: non era colpa sua, nulla di tutto quel casino era colpa sua. Era lui, lui il responsabile di tutto. E, a costo di perderla, di non vederla più, l’avrebbe salvata. Senza trattenersi oltre, perché era certo che guardarla gli avrebbe tolto la forza di fare quello che andava fatto, se ne andò. Era la scelta giusta, lo sapeva: non c’era modo di salvarla, se non quello. Ci voleva un aiuto che lui, da solo, al momento, non le poteva fornire. Scese gli scalini a due a due, precipitandosi nel punto in cui poteva smaterializzarsi: non badò neppure al fatto di essere vestito come un babbano, lei aveva la precedenza su tutto, anche sul suo aspetto in società – non che stesse andando chissà dove!

Ruotò su se stesso, ritrovandosi davanti al portone nero di una casa vecchia, in un quartiere babbano. Non c’era nessuno, a parte qualche bambino che stava pedalando sulla propria bicicletta, con ogni probabilità nuova di zecca. Lui non ne aveva mai avuta una: troppo babbana per suo padre, troppo ignobile per uno del suo rango, non un bambino ma un purosangue, anche quando non era ancora  in grado di allacciarsi le scarpe da solo. Sospirò, bussando con vigore, in attesa che gli aprissero. Nessuna risposta. Continuò, imperterrito, bussando con ancora più energia, spinto dalla forza di disperazione. Cosa diamine stava facendo? Quanto ci voleva per aprire la porta? Era mezzogiorno, dopotutto! Alla fine, dopo qualche istante e qualche imprecazione da ambedue le parti del legno della porta, l’uscio del numero 12 di Grimmud Place si spalancò.

Harry dovette deglutire un paio di volte, senza contare che dovette anche dubitare di aver messo gli occhiati, trovandosi davanti casa Malfoy, in carne ed ossa, vestito in una maniera quasi “umana”, senza i suoi soliti abiti firmati e ingessati. «Potter, so che avrei dovuto dirti tutto dall’inizio... ma adesso non c’è più tempo. La Granger... sta morendo.»

***

«E’ tutto ok, Harry. Non ti preoccupare. Ho rimosso qualsiasi traccia di veleno, anche se è un miracolo che non abbia infettato nessun organo in maniera permanente: si trattava di una dose talmente calcolata e misurata... perfino io non avrei saputo fare di meglio.»

«Ti prego, Astrid, dimmi che si riprenderà.»

«Oh, puoi contarci! – annuì la bionda, scuotendo divertita i ricci – Se c’è una con la pelle dura è proprio Hermione! Le ho medicato qualcosa come dieci ferite, da quando vi conosco: non ha mai mollato, cosa ti fa credere che lo farà adesso?» Quindi si rivolse al padrone di casa, che era rimasto in disparte, appoggiato al muro, con le braccia incrociate e lo sguardo cupo. «Spero davvero, signor Malfoy, che lei riesca a convincere Harry delle sue buone intenzioni... non farò rapporto agli Auror solo perché... beh, il capo Auror si trova qui, direi che il silenzio è d’obbligo. Ma sono qui solo per lui... e sappiamo entrambi perché, giusto Draco

Il biondo avrebbe potuto controbattere, il condizioni normali e in uno scenario diverso, ma preferì tacere, lasciando che l’orgoglio ferito di Astrid potesse vendicarsi, anche se solo con qualche battuta crudele.

«Quando potrò portarla a casa? – chiese accorato Harry, mentre il cuore di Draco faceva un balzo – Presto?»

«E’ quasi morta, Harry. Muoverla significa mettere e a rischio la sua ripresa. Malgrado la cosa faccia paura anche a me, dovrà restare qui.»

«Mi avete preso per un assassino? – intervenne Draco, stanco di essere ignorato quasi come se non fosse presente – Per quanto apprezzi il tuo aiuto, Astrid, sei in casa mia, posso ricordartelo?»

«E come ci è finita in casa tua Hermione? – chiese l’altra, gli occhi ridotti a due fessure – Non vorrai farmi credere che è entrata in questa casa ed è stata avvelenata... per puro caso? Non siamo ridicoli!»

Il biondo non rispose, semplicemente alzò lo sguardo verso Potter, che in quel preciso istante lo stava fissando: non avevano nulla in comune, loro due, tranne la ragazza che stava giacendo in quel letto. Entrambi sapevano bene che dire ad Astrid che Hermione vivesse lì non era l’ideale. Hermione stessa, se fosse stata sveglia, non l’avrebbe voluto, avrebbe preferito inventare una scusa piuttosto che sbandierare la propria vita privata ai quattro venti. La conoscevano fin troppo bene, entrambi, per ignorare un suo desiderio. «Non temere, Astrid, me la vedo io... da qui in poi. Puoi tornare al San Mungo, ti ringrazio molto.»

La bionda, decisamente contrariata, preferì tuttavia non controbattere, semplicemente baciò Harry sulla guancia – in un gesto forse fin troppo intimo – ed uscì dalla stanza, gettando un ultima occhiata di disprezzo al padrone di casa. Adesso nella stanza restavano soltanto loro tre, ed Hermione era ancora priva di sensi. Era arrivato il momento.

«Voglio sapere cosa diamine le è successo, Draco. – sibilò il moro, senza guardare il proprio interlocutore. – Non mentirmi, saprò se l’hai fatto. La mia migliore amica sta rischiando la vita, merito la verità.»

Ci aveva pensato fin dal momento in cui aveva deciso di andarlo a chiamare, perché sapeva bene che Potter non si sarebbe accontentato di un sorriso o una pacca sulla spalla, avrebbe voluto ogni dettaglio. Fino a qui tutto bene, ma sul da farsi c’era ancora qualche sfumatura da decidere, e a Draco la cosa migliore era risultata l’omissione, un’arte in cui modestamente eccelleva. Sospirò, staccandosi dal muro e andando a sedersi accanto ad Hermione, prendendole la mano – sotto gli occhi sbalorditi del moro – in un gesto che voleva essere sia una conferma di possesso sia una richiesta di appoggio. Se fosse stata sveglia, la ragazza avrebbe capito.

«Quando si sveglierà – se ne avrà voglia – la Granger potrà dirti come si è ridotta in quello stato che mi ha costretto ad accettare l’aiuto di tua moglie. Esatto, è stata Ginevra a somministrarle il veleno con il composto di Saliva di Acromantula...»

«Menzogne! – intervenne Harry, scaldandosi subito – Non dire sciocchezze!!!»

«...Acromantula, - continuò il biondo, come se non fosse stato interrotto – dal momento che, da quando vive in questa casa, ha sempre visto Hermione come una minaccia. Non le importava chi doveva togliere di mezzo pur di arrivare a... me.»

Se il fatto che Ginny potesse avvelenare Hermione gli era parsa un’idiozia, il fatto che sua moglie – a breve ex-moglie – fosse innamorata dell’uomo con l’amico del quale l’aveva tradito... beh, era ai confini della realtà.

«Come prego? – chiese infatti, incerto di aver capito a pieno – Puoi ripetere?»

«Senti... – tagliò corto il biondo, tutt’altro che in vena di discussioni, stanco com’era e anche parecchio arrabbiato – Puoi credermi o no, ma sta di fatto che tu conosci tua moglie molto meglio di me. Davvero... davvero credi che non ne sia capace? Abita sotto il mio tetto, dorme con il mio migliore amico sfruttando a suo vantaggio il fatto che è innamorato di lei solo per avvicinarsi a me. E pensi che stia mentendo? Hermione... – si tradì, pronunciando il nome della ragazza, ma continuò come se nulla fosse - ...ti avrà di certo raccontato quanto basta, almeno sulla sua permanenza qui: credi che sarebbe rimasta se avesse sospettato anche solo per un attimo che potessi farle del male? Non è una sciocca, Potter, lo sappiamo entrambi. Se c’è una strega in grado di cavarsela da sola, quella è lei. Non ora, non in questo stato, ma se le darai modo di spiegarti la situazione una volta sveglia... capirai da te.»

Il petto si alzava e si abbassava, affannato: forse aveva gridato più del necessario, accorato dalle proprie parole e dalla voglia di sembrare convincente. Forse, però, il suo tentativo non era stato del tutto vano: il moro sembrò, anche se solo per un attimo, prendere in considerazione la possibilità che il suo nemico mortale stesse dicendo, in effetti, la verità. Ma fu un attimo, perché – anche se avesse voluto credergli – non l’avrebbe mai dato a vedere: erano più simili di quanto potessero pensare, loro due. «Io... io devo andare. Astrid ha lasciato una fiala di pozione che basterà per qualche giorno. Io tornerò non appena avrò modo di liberarmi dall’ufficio. E non pensare, non pensare nemmeno per un momento, Malfoy, che sia finita qui!»

Senza aspettare una risposta e senza dire altro, uscì dalla stanza. Era stato troppo per lui. Avrebbe preferito morire piuttosto che credere alle parole di Malfoy. Ma quanto poteva mentire se, quando avevano parlato l’ultima volta, Hermione gli aveva rivelato quasi le medesime cose, ad esclusione della morbosa passione di Ginevra per quel viscido di Malfoy? Non che si fidasse di lui, era ovvio, ma tra il rischiare la vita della sua migliore amica pur di portarla via da lì e il lasciarla nelle mani di qualcuno di cui lei si fidava, preferiva decisamente la seconda. Senza contare che, dopo aver sentito le parole del biondo, tutto desiderava fuorchè restare in quella casa, oppresso da immagini sempre più inquietanti e sinistre, lascive e particolarmente rivoltanti. Dovunque voltasse lo sguardo, vedeva l’errore della sua vita prendere consistenza, vedeva il volto di Ginny nell’estasi nell’amplesso, ma non lo raggiungeva fra le sue braccia. Quelle di Blaise Zabini si sostituivano a quelle di Malfoy, entrambi con facce sorridenti, che godevano, che si burlavano di lui. Non poteva sopportare oltre quell’oppressione, nemmeno per il sentimento che lo legava all’amica: rischiava la propria sanità mentale, lì dentro. Si precipitò fuori dalla porta – ancora indeciso se credere o meno alle parole del biondo ma, nonostante tutto, desideroso comunque di indagare – e si smaterializzò: lontano dalla Manor, lontano dalle immagini di Ginny con altri uomini, lontano da Draco Malfoy.

Quest’ultimo, nel frattempo, aveva osservato il-ragazzo-che-era-sopravvissuto correre fuori dalla propria casa, senza preoccuparsi di verificare le informazioni che gli aveva fornito o senza picchiarlo, cosa che sarebbe stata quantomeno ragionevole, nella situazione attuale: lui, almeno, l’avrebbe fatto. Ma dal momento che ogni stress lo si accoglie in modo diverso, si vedeva che l’immagine di Ginevra ancora più  troia di quanto già non fosse, era troppo per il suo povero maritino. L’aveva sempre saputo che Potter era uno senza palle ma, almeno nelle circostanze attuali, era contento che non avesse reagito, dato che picchiarlo gli avrebbe dato una soddisfazione momentanea e un rimorso successivo. Sospirò, ringraziando il cielo per aver saputo gestire anche questa. Hermione, almeno per adesso, era salva, e prima o tardi si sarebbe svegliata.

«Wimpy. – l’elfo apparve con un leggero rumore dietro la porta del suo armadio-laboratorio, quindi entrò – Voglio che mi rintracci Zabini e la Weasley, e voglio sapere dove sono. Adesso.» L’elfo annuì, senza battere ciglio, quindi scomparve: avrebbe portato a termine il proprio incarico, ne era certo. Lui, nel frattempo, poteva dedicarsi ad accudire la strega, ancora convalescente.

«...Draco?» Spalancò gli occhi, voltandosi di scatto: trovò gli occhi color nocciola della strega che lo guardavano, aperti, ma impauriti e perplessi. «...Che cosa ...che è successo?»




Spazio autrice ù.u

Ma ciao! Si, sono io, in perfetto orario. Come qualcuno l’ha definito, questo è un capitolo di passaggio. La verità? Purtroppo gli esami mi stanno togliendo un sacco di tempo e scrivere è l’ultimo dei miei pensieri. Cosa comporta tutto ciò? Comporta il fatto che pubblicherò sicuramente il capitolo 15 tra due settimane ma non vi assicuro il 16, dal momento che devo ancora completarlo. Mi dispiace da morire! Ma purtroppo non posso fare altrimenti, almeno fino a che gli esami non saranno finiti. Dopo di che vedrò non solo di aggiornare ma di portare avanti la storia e concluderla nella maniera più decente possibile: i nodi verranno al pettine, tutti quanti.

Beh cosa dire? Finalmente la cara Ginevra va a… ok, non voglio essere volgare, ma diciamo soltanto che non andrà a finire benissimo, ecco tutto, ma questo è il prossimo capitolo e vi sto anticipando troppo. =)

Per il resto non credo ci siano punti troppo difficili da capire, quindi naturalmente come sempre vi invito a chiedere, se c’è qualcosa che non capite. Del resto, tutti i commenti - positivi e negativi - saranno molto graditi! Ringrazio molto le 60 persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, le 30 alle seguite e… woho! Le 186 alle ricordate! Siete dei geni!!! Vi adoro. Ù.u

Buon sabato e buona domenica, ci vediamo tra due settimane =)

Baci, K ^^

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Capitolo 16
*** ;;delitto e Castigo, parte prima ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XV:

delitto e Castigo, parte prima

«Sei sveglia..»

Lo stupore e il sollievo erano ben chiari nella sua voce, né lui si premurò di nasconderli. Si sedette sul letto, gli occhi ancora ricolmi di infinita gioia malcelata, quindi prese la mano della mora, mentre con l’altra le raffreddava la fronte che, per giorni, era stata più calda delle fiamme dell’inferno. La ragazza sbattè gli occhi un paio di volte, tentando di capire dove si trovasse e di mettere a fuoco cosa fosse successo: alla prima domanda poteva rispondere, a grandi linee, dato che quella stanza le risultava familiare, alla seconda... un po’ meno. Non ricordava nulla, eccetto il volto ridente di Liliat. Poi, il nulla. Cosa fosse successo dopo era un immenso buco nero, dettato probabilmente da una ferita: si, era la spiegazione più logica alla sua amnesia, nonché la più razionale. Cos’altro avrebbe potuto farle perdere i ricordi, se non una potente fattura o un micidiale incantesimo?

«Cos’è successo?» La domanda più stupida, la più ovvia, eppure la più difficile.

«Cosa... – la voce di Draco era incerta, deglutì - …cosa ti ricordi?»

Lei strizzò gli occhi, assumendo quell’espressione imbronciata e al contempo divertente che, di solito, aveva quando si concentrava: solo che, al momento, tutto era fuorchè divertente. «Ricordo la caverna... e Liliat, si, c’era lei... con Nukter... poi... – spalancò di nuovo gli occhi – Il nulla!» Con uno sforzo incredibile tentò di sedersi, nell’esatto momento in cui la forza del biondo la trattenne contro il cuscino, ammonendola con uno sguardo severo. Lei ricambiò lo sguardo, seccata, un sopracciglio alzato: cos’erano questi atteggiamenti da mamma premurosa, adesso?

«Sei impazzita? – domandò lui, trattenendola – Sei stata priva di sensi per più di una settimana. Hai rischiato di morire, non so se significa qualcosa ma… gli sforzi sono decisamente l’ultima cosa che ti serve.»

La strega, per nulla convinta, registrò quell’informazione all’istante: era stata fuori gioco per più di una settimana, il che – poteva capirlo anche un bambino – voleva di certo dire che la sua amnesia non era dovuta ad una ferita qualsiasi, dato che non conosceva alcun incantesimo che potesse mettere fuori gioco un mago o una strega dotati quanto lo era lei per tanto tempo. C’era ancora qualche pezzo mancante, in quella spiegazione, e lei era intenzionata ad andare in fondo a quella faccenda, altrimenti che non si chiamasse più Hermione Granger. Malgrado desiderasse alzarsi, la sua sete di informazioni, nonché la sua curiosità, superavano di gran lunga il suo istinto di indipendenza, quindi decise di sottomettersi momentaneamente alle condizioni di Draco, senza smettere di fissarlo con astio, si intende.

«Beh, se devo stare rilegata qui... una spiegazione sarebbe gradita.»

Lui parve ignorarla completamente, continuando a scrutarla con occhi incerti. «Stai davvero bene?  Nessun dolore, nessun giramento di testa, sei sicura? Pensaci, ti prego...»

Lei, più per noia che per istinto di autoconservazione, chiuse gli occhi e esaminò il proprio corpo: mosse le dita delle mani e dei piedi, assicurandosi di averle tutte e 20 al loro posto, quindi si stiracchiò, rendendosi conto che lo scricchiolio delle ossa era dovuto al lungo tempo trascorso nel letto, più che a qualche frattura o ferita. Torse anche il collo, ruotandolo leggermente, quindi si massaggiò le tempie, tastando anche il proprio volto in cerca di qualche cicatrice o bendaggio: non ce n’erano. Ad una prima, superficiale analisi, stava benissimo, eccetto il buco nero della sua memoria, anche se non poteva definirlo propriamente “problema fisico”. Aprì gli occhi, stampandosi in volto un sorriso smagliante. «Sto benissimo. Posso alzarmi, adesso?» Fece di nuovo per muoversi ma, esattamente come la volta precedente, le mani del biondo la trattennero, proprio come i suoi occhi magnetici. Senza parlare, si limitò a scrutarla, con tanta attenzione e profondità da metterla a disagio, costringendola a distogliere per prima lo sguardo.

Da quando era oggetto di simili premure? Si, certo, adesso avevano in ballo qualcosina in più dei soldi, una cosetta che si chiamava “sentimenti”, eppure non le sembrava fosse successo questo gran che. Almeno, da quel che riusciva a ricordare, prima che i suoi ricordi diventassero bui, si erano scambiati solo qualche bacio e qualche carezza, nulla che autorizzasse una simile cura da parte sua. Non era mica in fin di vita! E, anche se lo fosse stata… ah, l’aveva detto lui che non doveva sforzarsi e restare distesa, perché allora opprimersi con pensieri tanto stancanti? Del resto, se c’era una cosa a cui non voleva pensare, al momento, era proprio la sua quasi-relazione con Draco Malfoy! E il solo pensarci le faceva venire la pelle d’oca! C’era quasi da ringraziare qualsiasi ragione l’avesse costretta a rimanere a letto tanto a lungo, visto che le aveva evitato una discussione spiacevole, per sommi capi. O forse intendeva piacevole?

Dal canto suo, Malfoy non era certo di come stesse realmente la ragazza: erano ancora tante, troppe le cose che non sapeva per poter comprendere la sua apprensione, prima sulla lista il tentato avvelenamento da parte di Ginevra – che si era ripromesso di trovare non appena Hermione fosse stata meglio; c’era, poi, la vendetta brutale di Liliat, che le aveva eliminato la memoria, mettendola in pericolo a sua volta, senza contare quel maledetto patto con Gonos di cui, purtroppo, né lui né lei avrebbero mai saputo molto. Aveva fatto qualche supposizione, ovvio, basandosi sui flash della propria mente, ma nulla che potesse anche solo lontanamente avvicinarsi alla realtà: cos’era accaduto o non era accaduto, sarebbe stato solo il futuro a svelarglielo, nella migliore delle ipotesi. Ma, almeno per il momento, dovevano concentrarsi su cose ben più importanti, non per ultima la sua salute... e il modo di preservarla.

Notò un guizzo rosso fuori dalla porta. Una chioma rossiccia. « Rimani qui. Blaise! – chiamò l’amico che si trovava nel laboratorio, intento a leggere il bigliettino che la medimaga, quella serissima medimaga, gli aveva rifilato uscendo – Fammi un favore, guarda la Granger. C’è una cosa che devo fare.»
Il moro, senza fare commenti, uscì, sedendosi accanto alla ragazza, ormai sul punto di scoppiare per via di quelle attenzioni che tutti le stavano dando, morbose e  apparentemente immotivate. Sospettava che fosse il padrone della Manor il responsabile, quindi decise di intervenire prima che la sua indipendenza fosse limitata ad aprire la bocca per mangiare, ma un altro paio di braccia la fermarono contro il letto, costringendola ancora una volta a restare immobile, al suo terzo tentativo di alzarsi. Non aveva mai notato gli occhi di Blaise, o meglio non si era mai soffermata ad osservarli, dato che preferiva guardare il fumo che gli usciva dalle orecchie per la rabbia, di solito, causato da qualche sua parola o gesto. Aveva degli occhi grigi, stranamente dissimili da quelli dell’amico biondo, perché tendenti al marroncino, in perfetta armonia con il resto dei suoi colori, sia dei capelli che della pelle.

«Lasciami andare, Zabini. Da quand’è che mi fai da balia?» - spuntò velenosa, in un vano tentativo di corromperlo con i suoi giochetti di psicologia.

«Da quando... – sospiro lui, per nulla turbato - ...Draco preferisce che tu non assista a certi spettacoli.» A conferma delle sue parole, prima che la strega potesse elaborarle, sentì un urlo di donna provenire dal corridoio. Il suo istinto la spingeva a correre ed aiutarla, ma il moro continuò a trattenerla. «Come ho detto poco fa... è meglio che tu non assista a certi spettacoli.» La vacuità dello sguardo del ragazzo non lasciava alternative: quella lì fuori, che stava urlando, la stessa persona che Draco voleva a tutti i costi che lei non avesse la possibilità di aiutare, era Ginny. Avrebbe voluto domandare a Blaise perché non intervenisse, perché restasse lì quando la donna che, almeno in apparenza, attirava tutta la sua attenzione e tutto il suo amore da ormai qualche mese, stava urlando a pieni polmoni, invocando aiuto. Ma si rese conto, con una stretta dolorosa al petto, che Blaise non era insensibile, semplicemente non poteva aiutare Ginevra, perché non c’era più modo di poterlo fare, perché erano arrivati ad un limite – che lei, da malata rilegata a letto, ancora non conosceva – in cui nemmeno le sue parole avrebbero potuto nulla contro la furia del biondo. Cosa aveva fatto, Ginevra, di tanto grave? Come era riuscita a smuovere la calma marmorea di Draco?  Cosa aveva fatto di tanto grave?

***

«Perky, apri il cancello delle segrete... il cancello ovest.»

Gli occhi del piccolo elfo si sgranarono, spostandosi spauriti dalla ragazza che il padroncino aveva trascinato dietro di se dalla cima delle scale, per i capelli, e lo sguardo duro e al contempo furioso del padroncino, che raramente perdeva la calma, anche da solo, figuriamoci davanti a qualcuno che non rientrasse nella servitù della Manor. Indugiò.

«Non mi hai sentito, piccolo idiota? Sbrigati! O ci finirai anche tu, lì dentro!»

Bastò per smuovere la piccola creaturina, che si smaterializzò al volo, impaurita, lasciando Draco solo con Ginevra, che non la smetteva di urlare e strepitare. Senza farsi intenerire, senza neppure guardarla, il biondo scese un’altra rampa di scale, quella che conduceva alle segrete. Come ogni antica Manor che si rispetti, anche quella sei Malfoy aveva un piano sottostante, al quale si accedeva per altro di rado. La zona est e nord era per lo più adibita a ripostiglio: gli elfi vi buttavano le cianfrusaglie che ritenevano, prima o poi, avrebbero potuto tornargli utili; c’erano armadi stracolmi di vestiti della stagione passata, quella invernale, con interi cassettoni e ante straripanti. Al contempo vi erano anche oggetti “preziosi” o, quantomeno, quelli che preferiva dei visitatori indesiderati non potessero scoprire facilmente. Anche la roba di sua madre, che aveva temuto di buttare – in parte per il suo ricordo e in parte per il desiderio di possedere qualcosa di suo nei paraggi – si trovava lì sotto, insieme a qualche bastone di suo padre e a qualche quadro poco gradito o vecchio oltre misura, indegno di insozzare le pareti perfette della casa: i loro occupanti, quelli sfortunati che non avevano un altro quadro in cui trasferirsi, non gli risparmiavano prediche e insulti, nelle rare occasioni in cui scendeva li sotto.

Anche la stanza in cui teneva i Metalli si trovava lì: protetta quanto e più della stessa Manor, era null’altro che una piccola cassaforte, allargata a sufficienza dall’interno per poter accogliere tutte le fiale, almeno fin quando non ne avesse avuto bisogno. Il numero era salito rapidamente, soprattutto dopo gli ultimi eventi, era a meno due dalla meta finale: avrebbe avuto il coraggio di farcela? Avrebbe portato a termine il suo piano? Certe volte pensava che nulla avrebbe potuto impedirglielo, altre invece che una sola parola, di una singola persona, avrebbe potuto cambiare tutto. Si, ma fino a che punto? Aveva intrapreso una strada difficile da interrompere, una strada che ancora lo tormentava di notte, con incubi e sogni mostruosi. Non l’avrebbe mai ammesso, ma anche a livello fisico stava cominciando a risentirne gli effetti: il fiato gli si mozzava all’improvviso, i piedi e le mani cominciavano a diventare freddi, il cuore accelerava i battiti, tanto da fargli temere e presagire una sua morte imminente. Poi, proprio quando il dolore diventava insopportabilmente acuto, cessava tutto. Per quanto avrebbe potuto sopportarlo?

«Brutto figlio di puttana! – l’urlo della rossa lo riportò alla realtà – Lasciami andare! Sai quante leggi magiche stai infrangendo? Stronzo! Mollami!»
Senza nemmeno risponderle, superò i cancelletti delle varie stanze della cantina fino ad arrivare a quello che Perky aveva aperto appositamente per lui. Il cancelletto di ferro era arrugginito, così come al catena che l’aveva tenuto magicamente chiuso da almeno un centinaio di anni: ai tempi del Signore Oscuro, con ogni probabilità, non c’era bisogno di nascondere le torture, potevano essere facilmente eseguite nel salotto. Peccato che lui avesse in mente qualcosa di leggermente più sottile della tortura, che in sè e per sé non era una delle sue occupazioni preferite.

Nel vedere il posto in cui era stata condotta, cessando per qualche istante di urlare e dimenarsi, la rossa si rese finalmente conto di dove l’avesse portata: gli strumenti di tortura, ben visibili e riconoscibili su un tavolo di legno lungo, addossato ad una parete, fecero tutta la loro terrificante figura. Inconsciamente e sicuramente senza volerlo, si strinse a Draco, timorosa e tremante di paura, con gli occhi sgranati. Forse, per la prima volta, prendeva coscienza di quanto lontano avesse osato spingersi per perseguire i propri scopi: ne era valsa la pena?

La gettò sul pavimento, vicino alla parete di pietra, nello squarcio di oscurità poco lontano dall’unico fascio di luce che illuminava la stanza, proveniente da una piccolissima feritoia incastonata in alto nella parete. Mormorò un incantesimo, impassibile, e robuste catene si strinsero sui polsi della ragazza, incatenandola al muro. La rossa, mentre il fiato le si bloccava in gola, alzò lo sguardo, pieno di preghiera e supplica, verso di lui. Le sue labbra tremavano, il corpo era rannicchiato in una posizione quasi fetale, eccezion fatta per la postura, dato che era ancora seduta: non c’era neppure una traccia della donna che, spavalda, si atteggiava a signora, camminando in vestaglie di seta per i tappeti della Manor, la stessa che aveva finito con il soggiogare Blaise al suo amore, la stessa che aveva quasi avvelenato Hermione. Non esisteva più nulla di lei, tranne l’involucro vuoto e impaurito, incatenato al muro.

«Cosa… – tentò di parlare, con voce fioca, ma ancora resistente - …cosa hai intenzione di farmi? I crucio non funzionano su di me dopo la Seconda Guerra Magica, lo sai bene.»

Draco si concesse un sorriso, dall’alto della posizione da cui la guardava, sovrastandola. «Piccola sciocca, che gusto avrei io nel torturare una come te? – le si avvicino, abbastanza da poterla guardare negli occhi ma non a sufficienza perché lei potesse toccarlo – Tu hai fatto l’unica cosa che non avresti dovuto, hai commesso un passo falso di troppo, ma non ho intenzione di punirti con la magia: e perché? Sprecare tempo ed energie? No, non sono un uomomeschino, la crudeltà che ti riserverò sarà più fine, più... adatta a te... del resto ti piacciono di intrighi, non è vero, Ginevra?»

Senza aspettare una risposta, mormorò qualche altra parola, e due fiaccole si accesero sulle pareti opposte, illuminando la stanza con luce fioca e asfissiante, troppo calda e troppo intensa per quei mesi, ormai tendenti alla bella stagione. «Io non farò assolutamente nulla... – continuò, vedendola rabbrividire – Rimarrai qui a riflettere, a pensare quanto male tu abbia fatto a Blaise, quanto tu ne abbia fatto a me, quanto tu ne stessi per fare a Hermione. E, se sarai fortunata, forse, un giorno, uscirai da qui come una persona migliore.»

«Non puoi... non puoi parlare sul serio...»

«Oh si che parlo sul serio, a differenza tua io mantengo le mie promesse. Forse, se proprio sarò caritatevole, deciderò di mandarti del cibo... altrimenti temo che i tuoi sfarzosi pasti non saranno che a base di pane ed acqua.»

Non la stava minacciando, ed era questo il bello: le stava semplicemente esponendo la sua sorte, tanto inevitabile e cruenta da essere del tutto inevitabile e scontata per lui. Non c’erano altri metodi, altre soluzioni per risolvere quella faccenda: doveva pagare e l’avrebbe fatto nel modo da lui stabilito. Il suo primo errore era stato tornare nella Manor – né il perché né il per come lo interessavano, in verità – ma l’errore più grande di tutti era stato tentare di uccidere Hermione: ci sono cose talmente gravi, nella vita, che neppure un incantesimo o il tempo può far perdonare, e questa rientrava propriamente in quella categoria.

«Non la passerai franca... – lo avvertì lei, in un estremo e futile tentativo di salvarsi - …i miei genitori, Ron... Harry...»

«Tuo marito già sa che sei una troia, figuriamoci scoprire che hai tentato di avvelenare la sua migliore amica, praticamente una sorella per lui… credi che non mi darebbe ragione? Questo naturalmente non toglie che io non sia tanto stupido da rivelargli che sei qui: a ogni demenza c’è un limite, mia cara. Per i tuoi genitori e il ministero non temere: non ci vorrà  nulla per imitare la tua firma e dire al Ministero che sei chissà dove a migliorare il mondo con le tue conoscenze mediche... trovare cure per malattie mortali, aiutare bambini indifesi... roba così...»

«E credi davvero che se la berranno? – la poca arroganza e spavalderia che le erano rimaste si riversarono in quelle poche parole, sputate con cattiveria – Io che vado a salvare dei bambini nel Terzo Mondo

«Non importa cosa tu sia o cosa tu faccia, hai creato una facciata di te troppo perfetta perché qualcuno possa dubitare della tua bontà, mia cara. Se ci crederanno? Per Merlino, puoi scommetterci

Aveva pensato a tutto: prima ancora di afferrarla e strapparle quei quattro peli della sua chioma rossastra, aveva già deciso tutto. Non aveva modo di farla franca, questa volta, nulla l’avrebbe salvata, nulla l’avrebbe aiutata ad uscire da quel casino. Certo, aveva inizialmente temuto in un intervento di Blaise, ma anche lui si era rivelato più ragionevole del previsto: era un uomo innamorato, ma era pur sempre una serpe, il calcolo logistico per la propria sopravvivenza aveva la meglio su tutto, anche sull’amore. Aveva razionalmente convenuto che, se oggi Ginny aveva tentato di avvelenare Hermione solo perché sua rivale in amore, cosa sarebbe potuto accadere un domani per una questione più grave? Si era arreso e, con gli occhi spenti di chi ha appena perso il cuore, aveva acconsentito.

Fece per andarsene, il volto increspato da un lieve sorriso spavaldo, ma la voce di lei lo richiamò. «Non puoi fare sul serio! NON PUOI LASCIARMI QUI!»

«Oh, è qui che ti sbagli cara Weasley: io non solo posso lasciarti qui, ma lo farò.» E, con queste ultime parole, uscì dal sotterraneo, chiudendosi il cancelletto di ferro alle spalle. Non c’era modo di tornare indietro, e non era neppure certo di averne voglia: sapeva soltanto a cosa era andato incontro con quel gesto e le conseguenze non lo preoccupavano, perché era la cosa giusta da fare, la punizione giusta per quello che aveva fatto, per il peccato che aveva commesso. Ora, però, gli toccava la parte più difficile: doveva spiegare tutto ad Hermione in modo tale che lei capisse, ma doveva spiegarle anche cosa fosse successo prima che cadesse in coma, prima che la sua memoria andasse a finire chissà dove, proprio come i ricordi di lui. Dovevano parlare. Di tante cose, ma doveva assolutamente parlare..

***

Non appena salì i primi gradini dei piani superiori, un leggero pop lo costrinse a voltarsi: davanti a lui, vestito nel suo impeccabile completo grigio scuro, c’era Armando Pellwan. Era un sollievo vederlo, finalmente, dato che gli aveva mandato un gufo non appena Hermione si era svegliata, senza tuttavia ricevere una risposta: tanti potevano essere i motivi che avevano trattenuto l’uomo, sulle cui spalle posava l’intero peso dell’azienda di Malfoy nel mondo Babbano, per fortuna nessuno che gli impedisse di venire di persona per risolvere qualche problema, con quell’impeccabile diligenza che l’aveva sempre caratterizzato e distinto. Il biondo si aggiustò i capelli, temendo che fossero stati sballottati dalle proteste della rossa chiusa di sotto, quindi si avvicinò all’uomo, stringendogli la mano e abbracciandolo velocemente, in maniera piuttosto formale.

«Signor Malfoy, sono stato sorpreso di ricevere il vostro Gufo. – spiegò l’uomo, dirigendosi con disinvoltura in salotto, per poggiare un fascicolo sul tavolino di legno scuro, adorno soltanto di una scatoletta di rame battuto, impreziosita da perle laccate – La verità è che ero impegnato a risolvere un problema di sicurezza interna. Nulla di cui preoccuparsi, ma bisognava occuparsene in fretta e in maniera pulita e discreta, non potevo sbagliare.»

Certe cose, aveva imparato Draco, era meglio lasciarle all’esperienza di Armando, il cui giudizio era sempre stato saggio e diligente. «Spero sia andato tutto bene, ma non ne dubito. – l’uomo chinò leggermente il capo, in segno di ringraziamento per il complimento ricevuto – E queste devono essere le carte che ti ho chiesto.»

«Si, signore. – l’uomo si concesse un’occhiata dubbiosa, quasi sospettosa, che non era affatto nel suo stile – Io... io non mi sono mai intromesso quando si tratta dei tuoi affari... Draco, che stai combinando?»

Il brusco passaggio al nome di battesimo non segnava un insulto, ma era un fattore rilevante e preoccupante al tempo stesso: poche volte Armando si concedeva quel lusso, di parlare al suo capo come un padre fa con il proprio figlio, chiamandolo per nome, e in ciascuna di quelle rare occasioni lo trattava come un proprio pari, soprattutto se poteva servire ad evitare qualche stupidaggine o azione non del tutto priva di rischi del ragazzo. Il biondo s’irrigidì al sentirlo parlare così, ma non rispose subito, concedendosi tutto il tempo di sedersi e riflettere per qualche istante, soppesando le parole nella propria mente e scegliendo quali utilizzare al posto di altre: l’uomo imitò il suo esempio, sedendosi a sua volta.

Aveva piena fiducia in Armando, questo lo sapeva bene, non c’era nulla che potesse nascondergli per mancanza di fiducia, ma certe cose... Non temeva la sua lealtà, era quello il punto, temeva piuttosto il suo giudizio, temeva di vedere quegli occhi, tanto rassicuranti e profondi, fissarlo con odio o disprezzo. Non c’era cosa che temesse di più che perdere l’appoggio e il supporto affettivo di quell’uomo. Un supporto che, per certi versi, suo padre non gli aveva mai neppure concesso. Ma non c’era tempo di spiegare, non in quelle circostanze.

Lo sguardo di Draco indugiò sul fascicolo di carte, prima di prenderlo in mano. «Per una volta, ho bisogno che ti fidi me... – asserì tranquillo, cercando di sembrare deciso delle proprie stesse menzogne – C’è tutto? Manca solo la firma?»

L’uomo, probabilmente, non si era aspettato una risposta diversa, quindi semplicemente continuò a parlare, come se nulla fosse. «Si, c’è tutto: il modulo di richiesta di lavoro all’estero, le copie dei documenti, le motivazioni e una… eccellente lettera di presentazione. – indugiò, prima di continuare – E ora, signore, glielo chiedo come suo Direttore: posso sapere perché la nostra azienda babbana ha dovuto ricattare due industrie da quattro soldi per poter fare in modo di ottenere questi documenti da una delle più importanti compagnie magiche di marketing internazionale?»

Una domanda lecita. Ma fino a che punto avrebbe potuto parlargli, senza svelare inevitabilmente anche ciò che desiderava tenergli nascosto? «Perché... – decise di chiarire, infine – Ho bisogno di fare in modo che il Ministero creda che Ginevra Weasley sia all’estero e ci rimarrà per molto tempo. Dal momento che abbiamo preso contatti con l’azienda magica mediante due aziende babbane, che non potrebbero essere neanche lontanamente collegate a noi, nessuno saprà per quale motivo lei si trovi lì: ai maghi non è vietato prendere impegni con il mondo babbano, soprattutto dopo quello che è successo con i nati-babbani. Nessuno rimarrebbe sorpreso da una decisione simile...»

«E il movente?»

«A me, personalmente, non importerebbe. Del resto, non credo che al Ministero abbiano la facoltà di interessarsi approfonditamente delle faccende private dei medi maghi del San Mungo. Potrebbe essere andata a trovare un vaccino contro una malattia incurabile, per quanto ne sanno loro!»

«..e se facessero domande?»

«Non accadrà. – s’impuntò Draco, alzando leggermente il tono di voce – I documenti sono in regola, nessuno può mettersi in mezzo, né il San Mungo né il Ministero.» Si sentiva sotto esame, come uno spaurito quindicenne ai suoi GUFO. Nessuno avrebbe fatto domande perché non c’era nulla che non andasse: le carte che aveva in mano necessitavano di una firma – che lui avrebbe facilmente falsificato con la bacchetta di Ginevra, sottrattale mentre usciva dal sotterraneo, perché non tentasse di liberarsi – e poi avrebbero confermato quanto basta perché nessuno sospettasse che la più giovane dei Weasley fosse rinchiusa nei suoi sotterranei. All’inizio il suo stesso progetto l’aveva spaventato, addirittura atterrito, ma poi il ricordo della pelle pallida di Hermione e di quanto fosse stata vicina a morire l’avevano rinvigorito, ricordandogli che nessuno poteva passarla liscia, quando si trattava delle persone a lui care.

Nei giorni precedenti, nei brevi intervalli di tempo in cui aveva affidato Hermione alle caritatevoli mani di Ginevra, si era dato da fare per ritrovare Kostja e eliminarlo: aveva soldi, aveva prestigio ma, soprattutto, aveva avuto a cuore Daphne più di qualsiasi altro familiare che gli fosse ancora rimasto in vita. Erano motivi più che sufficienti, quelli, per trovare un bastardo del genere e ucciderlo. Armando non era stato impiegato, stavolta, per questo genere di affare, ma solo perché non desiderava coinvolgerlo nella questione dei metalli né, tantomeno, dimostrare più interesse del dovuto per la morte di un’amica: la storia ufficiale restava quella di un furto mal riuscito, di un’imboscata di probabili ex seguaci del Signore Oscuro ancora in libertà e altre simili fandonie. La stampa, quanto succedevano cose del genere, era davvero lieta di poter dare sfogo alla propria fantasia, con le ipotesi più assurde e inconsuete: Rita Skeeter, che era il baluardo del giornalismo meta-reale, aveva dedicato un’intera rubrica a questa storia, arricchendola con un’ipotetica tresca tra Malfoy e Daphne, con ex fidanzati gelosi e con un Harry Potter, la cui partecipazione alla vicenda era risultata tanto eroica quanto irreale. Ma Rita era Rita, nessuno si sarebbe mai sognato di leggere nulla di diverso da lei.

Malgrado i suoi sforzi, non era ancora riuscito a raggiungere Kostja e, con lui, la sua vendetta.

«Mi sembra tutto. – tagliò corto, desiderando ardentemente parlare con la strega d sopra, appena riportata al mondo della coscienza – Grazie mille, Armando. Aspetto come sempre i tuoi rapporti regolari sugli affari interni dell’azienda e sulle Pubbliche relazioni. A presto.» Si alzò, dandogli la mano.

L’uomo, forse per l’inaspettato e brusco congedo, sbattè le palpebre ma poi, con la sua solita compostezza ed eleganza, ricambiò il saluto, avviandosi all’uscita.

«Signor Malfoy.» Draco fu quasi tentato di richiamarlo, di dirgli che gli dispiaceva per il modo in cui l’aveva trattato nel loro breve incontro, ma desistette da quel meritevole proposito, intenzionato com’era a condurre una discussione di tutt’altro genere che, almeno sperava, avrebbe avuto un esito e un tema più lievi.

La stanza in cui si trovava Hermione, la sua stanza, era immersa nel silenzio più totale, il che era strano dal momento che Blaise e la mora non avevano mai passato più di due minuti senza litigare, in vita loro – o, almeno, da quando vivevano entrambi sotto lo stesso tetto. Sbirciò dentro, timoroso, trovandosi davanti la più strana delle scene. Blaise stava facendo ondeggiare una delle lenzuola di seta del suo letto, mentre la mano di Hermione le accarezzava distratte, fra le mani un libro dalla copertina antica, che riconobbe essere il diario che le aveva dato quando invece lui era stato quello bisognoso di cure, quello appartenente alla sua antenata Callista. Stranamente, trovare Hermione con un libro in mano lo rincuorò, anche se di poco: se era tornata alle sue solite abitudine, che includevano lo studio diligente e la passione dei libri, non poteva poi stare tanto male. Avanzò un poco, attirando con il rumore dei passi l’attenzione di entrambi. Il moro si alzò subito, lasciando cadere il lenzuolo che aveva levitato fino a qualche istante prima e, nel passargli accanto, gli diede una pacca sulla spalla: un segno di comprensione, forse? O di rassicurazione? Di compassione? Sospirò, sentendo le porte chiudersi e il silenzio piombare nella stanza. Il libro di pelle marroncina scivolò sul lenzuolo, mentre il gracile corpicino di Hermione si sistemava meglio sui cuscini di piuma: non riuscì a vederla per paura di incontrare il suo sguardo, ma percepì il movimento.

«E così… hai ucciso Ginny?» - domandò, stranamente calma. Tanto calma da costringerlo a guardarla.

«Mi ritieni davvero un essere tanto meschino ma poter uccidere qualcuno a sangue freddo?» L’immotivata paura di incontrare i suoi occhi, tuttavia, non si concretizzò: le iridi della strega stavano esplorando, persi nel vuoto, la parete dietro di lui. Era dovuto al fatto che ancora non si era ripresa del tutto o, peggio, era perché non desiderava vederlo? L’avrebbe capito, in quel caso, le avrebbe concesso anche quello, se lei gliel’avesse chiesto.

«No... – negò prontamente lei, con un sorriso stavolta – Ma volevo vedere come avresti giustificato quelle urla… del resto non mi dirai la verità, non è così?» I suoi occhi, rassegnati ma vivi e più splendenti che mai, si posarono finalmente sul suo volto, rivelando una dolcezza e un calore che lui, per ore che erano state più lunghe e taglienti di mille lame, aveva temuto di non rivedere mai più. Non avrebbe dovuto essere arrabbiata? Non era da lei quella calma neutrale, a meno che non stesse conservando la sfuriata, per poi lasciarla uscire come un fiume in piena una volta che lui avesse abbassato le proprie difese: era decisamente più probabile che sperare che Hermione Granger avesse perso il proprio impulso polemico e combattivo. Senza, non sarebbe più stata se stessa. Si concesse di avvicinarla di qualche passo, distogliendo gli occhi, a disagio, da quelli folgoranti di lei, prima di sedersi sul letto.

«Non... non ti mentirei mai, Hermione.»

La risposta la sorprese. C’erano poche, pochissime cose che non riuscisse ad imparare ad una prima lettura, ogni persona diventava trasparente, bastava una sola occhiata. Pensava di aver capito, anche se solo un briciolo, di Draco Malfoy durante la sua permanenza lì, ma adesso capiva di non conoscerlo affatto. Era semplice: o il Draco seduto lì, adesso, davanti a lei, non era lo stesso di sempre, oppure era cambiato, sostituito da una qualche figura non bene identificata. Ciò avrebbe spiegato moltissime cose ma, sicuramente, non sarebbe stato tanto logico quanto considerare, invece, un suo reale mutamento. Del resto, ad ognuno di noi viene concessa una seconda possibilità, non è così? Quante volte perdoniamo chi ci è accanto, pur sapendo bene quanto grave sia la colpa dalla quale decidiamo di redimerlo? Quante volte diamo la mano a coloro che, in passato, ce l’avevano sottratta? Quante volte porgiamo l’altra guancia a chi ci punta la bacchetta contro... ok, forse non era il paragone migliore: per lei, chiunque le puntasse una bacchetta alla gola era un potenziale nemico, ma non era esattamente quello il concetto di cui avrebbe voluto convincersi. Le bastava domandarsi poco: poteva o non poteva Draco Malfoy cambiare?

«Ah no? – indagò curiosa lei, accarezzando una piega delle lenzuola grigie, di seta, che profumavano di pulite, da poco cambiate da Perky – Quindi se io ti chiedessi di dirmi tutto, tutto sui motivi che mi hanno portato in questo letto, mi diresti la verità? Anche riguardo a Ginny? Anche riguardo al mio... buco di memoria?» Con un gesto che lui, mai, avrebbe aspettato nascere tanto spontaneo in lei, gli prese una mano, circondandola con ambedue le proprie e fissandolo con occhi di supplica «Te ne prego...»

Era una creatura pericolosa, quella strega. Avvincini, draghi, qualsiasi bestia del mondo magico scompariva davanti a lei e alla sua abilità innata di costringere chiunque – anche lui – a fare qualsiasi cosa. Avrebbe voluto ancora negarlo, almeno davanti a se stesso, rinnegando una volta per tutte che lei non aveva il controllo su di lui, che lui non era preoccupato per lei, che non avrebbe significato nulla perderla. Ma di quante negazioni poteva essere fatta una menzogna? Un’illusione di passato quando il futuro era ancora roseo e inesplorato, carico di aspettative e speranza. Non c’era modo di negare nulla, ormai, dove si trovava, malgrado sapesse bene che liberare il suo cuore dalle catene dell’affetto e dell’amore che, sentiva, lo legavano sempre di più a lei, gli avrebbe reso la vita incredibilmente più facile.

E, anche in tal caso, non sarebbe stato meglio proteggerla? Nasconderle tutto ed evitare di farla soffrire? No, dubitava che lei gliel’avrebbe permesso, dubitava che avrebbe mai potuto permettergli qualsiasi cosa che non le stesse a genio. Avrebbe dovuto farci l’abitudine, con ogni probabilità. Prese fiato, iniziando a raccontare.

«Ti dirò quel che so. Potrà stupirti ma, in alcuni punti, la mia memoria con aiuta più della tua. – la guardò di sottecchi, sorprendendosi di trovarla rilassata e per nulla contrariata, quindi continuò – Hai detto di ricordarti solo di Liliat e Nukter. Esattamente. Quello è anche il mio ultimo ricordo. So soltanto che... beh, so quello che mi sono ricordato nel tempo…»

«Potrei farlo anch’io allora... – aggiunse logica lei, interrompendolo – Se tu hai ricordato qualcosa, anch’io potrei...»

«Non... non credo accadrà. – la contraddisse lui, senza darle in tempo di controbattere – La verità è che mi sono ricordato le parole di Liliat. Lei ha soltanto sopito la mia memoria, in modo tale che non ricordassi nulla. Non l’ha mai cancellata, non mi ha mai messo in pericolo. Non ha fatto lo stesso con te. Lei... ha seguito gli ordini... gli ordini di Gonos. Non ricordo cosa ci facesse lì, ma so che... avete parlato, tu... tu gli hai parlato di noi, dei Metalli. Hai detto qualcosa... insomma, so soltanto questo. Poi Liliat ha ricevuto l’ordine di cancellare la tua memoria: so che l’ha fatto perché Nukter gliel’ha rimproverato, accusandola di averti messa in pericolo di morte e di non aver fatto lo stesso con me. Insomma, non so se questo te lo ricordi ma... erano parecchio strani quei due, più di Gonos e Luran e Kreyia messi insieme.»

Aveva parlato tutto d’un fiato, con piccole pause nei momenti in cui la sua memoria era zoppicante, prima di concludere con una risata nervosa. La verità era che non voleva parlare di quello, non era quello che lo interessava. Prima di arrivare lì, dopo la discussione con Armando, aveva perfettamente capito di poter raccontarle tutto del suo avvelenamento e del ruolo che Ginevra aveva avuto in esso, ma riguardo al motivo per cui era così preoccupato per lei... anche quello avrebbe dovuto confessarglielo? Si, aveva deciso infine, non c’era nessun motivo, non più ormai, per nascondere qualcosa che provava. Significava andare contro tutto quello in cui aveva sempre creduto, contro i principi della sua famiglia, contro la sua stessa esistenza condotta fra le mura di Hogwarts, in cui l’aveva odiata in quanto mezzosangue e in quanto amichetta di Potter. Ma non era più quella persona, e nemmeno lei era la stessa: lei era lì, malgrado avesse rischiato di morire più volte, malgrado avesse avuto più di un’occasione per lasciarlo e per salvarsi la vita, malgrado avesse mille e più ragioni per non fidarsi di lui... lei era rimasta, proprio mentre gran parte delle persone della sua vita non avevano fatto altro che andarsene, lei era rimasta. E quindi si, aveva deciso di non nascondere più nulla, di ammettere, per una volta, quello che l’avrebbe fatto stare bene e non quello che l’avrebbe mantenuto un degno Malfoy. Provava qualcosa per lei, e lei aveva il diritto di saperlo.

«Quindi... – tentò di riassumere lei - …io non potrò mai ricordare, mentre tu invece si. Come? Quando?»

«Non ne ho idea, i ricordi appaiono come flash, involontari, non so controllarli.»

«Cosa hai già visto? – domandò avida lei – C’è dell’altro?»

«…no.» A parte il tuo patto con Gonos. Ma sei già sotto una pressione terribile, finchè non ne saprò di più perché preoccuparti inutilment?. «Prima devi aver...sentito, non è così?»

«Molti desiderano far fuori Ginny Weasley, io per prima, ma non mi spiego il perché del tuo... gesto. – ridacchiò, nervosa – Sei sempre così controllato, stoico nella tua capacità di controllare la rabbia, nascondere l’irritazione. Mi chiedo semplicemente cosa possa essere successo di tanto grave da farti perdere l’autrocontrollo.»

Draco abbassò gli occhi, incerto su come avrebbe reagito. «Perché ha tentato di ucciderti...» Malgrado fosse brava a dissimulare lo stupore, Hermione non riuscì a nasconderlo del tutto dietro la sua maschera di passiva bontà, eppure non disse nulla, costringendolo a continuare. «Ha... quando siamo tornati da Liliat eri in fin di vita, non sapevo che fare. Chiamare Potter era un suicidio, insomma non è che potessi spiegargli esattamente tutto. Alla fine si è rivelato utile, a modo suo, ma solo dopo che avevo compreso il mio errore. Ti ha avvelenato... sotto il mio naso... – la sua voce esprimeva tutta la sua indignazione e colpevolezza - …le ho lasciato portarti ad un passo dalla morte, l’ho lasciata... fare. Eppure dubitavo di lei, avrei potuto fermarla... io… adesso, malgrado non sia morta, ha quel che si merita... perché chiunque tocchi una persona a cui tengo non può passarla liscia.»

Sobbalzò nel sentire la pelle calda della mano di Hermione posarsi sulla sua guancia. Alzò lo sguardo, luccicante di rabbia, trovando quello di lei incredibilmente gentile a guardarlo. Un sorriso increspò il volto marmoreo della strega. «E io sono una persona a cui tieni, non è così? – interruppe il contatto fra i loro corpi, ma non quello fra i loro sguardi – Ho pensato tanto a cosa dire, a come comportarmi, e non sono riuscita a trovare una soluzione: cosa dovrei fare, mi chiedevo? Stare qui a dire che tutto va bene, che possiamo comportarci come se nulla fosse? Ammettiamolo: siamo pessimi quando si parla di sentimenti! Non siamo capaci di esternarli, per niente. Ho anche pensato di lasciar correre tutto, di... dimenticare. – lui sobbalzò leggermente, ma non lo diede a vedere - Ma poi, quando ho capito... quando tu mi hai fatto capire... non posso.» Gli si avvicinò di qualche centimetro, sperando che non la bloccasse di nuovo con la sua forza per impedirle di muoversi, come prima. «Non posso negare quello che voglio, quello che sento, quello che provo… e quando ho sentito il modo in cui parlavi di quello che è successo, di quello che hai fatto a Ginny perché aveva tentato di fare del male a qualcuno che amavi...»

«Non ho mai detto nulla del genere.» La durezza della sua voce non la sorprese: del resto, far pronunciare a Draco la parola “amore” andava anche al di là delle sue possibilità, al momento. Certo, aveva fatto dei passi da gigante, ma era lei quella che non sapeva nascondere nulla: dicendo quella frase – dubitava che lui l’avesse realmente capito – voleva fargli capire quanto in realtà fosse lei ad amarlo, non il contrario. Ma, come è tipico di un Malfoy, all’udire parole che significavano “pericoloso” o “legame”, si era chiuso a riccio. Non gliel’avrebbe lasciato fare.

Lei si avvicinò ancora, facendo scivolare la mano sul lenzuolo di seta e sfiorando le dita diafane della pelle di lui, ormai vicinissima al suo volto, tanto da poter leggere ogni cambiamento nei suoi occhi. «No... e non lo dirai mai, non è così?»

L’aveva capito. Senza neppure dargli la possibilità di nascondersi, di difendersi, aveva capito tutto di lui, forse arrivando a conoscerlo più di quanto lui conosceva se stesso. Si sarebbe aspettato tutto, tutto ma non quello... non quel genere di reazione, di accettazione. Si era preparato mille discorsi, mille modi per farle accettare la realtà, senza realmente considerare che, forse, quello che doveva ancora accettarla era lui stesso. Non aveva messo in conto quanto avrebbe potuto essere lei, rispetto a lui, più matura e pronta ad accettare il cambiamento. Aveva pensato che sarebbe stata impaurita, pronta a fuggire, mentre adesso, lì, quello che aveva paura era lui, quello che tentava di scappare eralui. Come era riuscita a fare tanto con così poco? Come era riuscita a far breccia nel suo cuore impenetrabile? Come una ragazza che, solo poco prima, non avrebbe mai lasciato avvicinare, adesso lo stava manipolando con il proprio tocco e il proprio respiro, che caldo gli accarezzava le labbra. Oh, come avrebbe voluto quelle labbra... quegli occhi, quel viso, avrebbe voluto tutto di lei, se solo lei gliel’avesse concesso.

Probabilmente anche lei doveva pensarla allo stesso modo, tanto che gli accarezzò la guancia con il tocco delicato delle proprie dita, facendole scorrere dalla tempia, allo zigomo leggermente evidente, fino al mento, coperto da un leggero strato di barba, quasi invisibile, in realtà pungente sotto le dita. Sorrise per non aver mai notato quel particolare di lui. Al contempo, con la mano con cui aveva trattenuto la sua mano, prese a salire lungo la sua coscia, sfiorandogli il fianco e la pelle nuda sotto la camicia, sentendo i pettorali scolpiti e la nervatura di un fisico asciutto che, qualche volta, aveva già avuto il privilegio di osservare.

«Sei sicura? – domandò scioccamente lui – Ti sei appena svegliata... avrai bisogno di riprenderti...» Ma che sto dicendo? Sono forse impazzito per rifiutarla?

«L’unica cosa di cui ho bisogno, Draco, sei tu.»

 


Note dell’autrice ù.u

Ok, dico pochissimo perché greco mi aspetta. Come avrete capitolo, il prossimo capitolo è IL capitolo… e direi che fosse quasi ora. Draco è titubante, ovviamente, perché crede che sarà lei a respingerlo, lei è titubante… per niente! Finalmente un’Hermione che prende in mano la situazione che ve ne pare? Comunque la punizione per Ginevra vi sembra adeguata? Non è finita qui, ovviamente, ma come incipit può andare, non credete? E vogliamo parlare dell’atteggiamento di Blaise, che sembra finalmente aver averto gli occhi? Armando lo adoro e continuerò ad adorarlo, quindi non è l’ultima volta che sentirete parlare di lui.

Il titolo – il prossimo capitolo sarà la “parte seconda”, credo si capisca – è ovviamente un celebre romanzo di Dostojevskij, che consiglio vivamente di leggere, anche se non è la solita “storiella sdolcinata”, perché io l’ho davvero apprezzato moltissimo. Così come, dato che siamo in tema di autori russi, vi consiglio di leggere Anna Karenina di Tolstoj: mi sembra una Jane Austen alla russa, dico davvero, eccezion fatta per la lunghezza, decisamente sopra le righe. Ovviamente esprimo solo un’opinione, potrete essere o meno d’accordo con me, non me la prendo mica!

Ringrazio infinitamente tutti quelli che seguono e recensiscono la storia – non finirò mai di ringraziarvi, e risponderò alle recensioni in arretrato non appena potrò. Grazie di cuore =)

Come ho già detto, non so di preciso quando finirò il capitolo numero 16, aspettatevi comunque una pubblicazione per fine giugno/inizio luglio massimo. Mi dispiace davvero per il contrattempo ma non posso fare altrimenti.

Baci, Katia ^^

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Capitolo 17
*** delitto e Castigo, parte seconda ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XVI:

delitto e Castigo, parte seconda

Non si era mai pienamente reso conto di quanto in realtà la desiderasse, quanto desiderasse quel contatto, quel calore, quel corpo. Di quanto desiderasse lei. In ogni singolo aspetto, ogni particolare, ogni più insignificante dettaglio, tutto di lei lo attraeva, tutto lo faceva andare in ebollizione e scatenava nel suo stomaco una bufera di trepidante attesa e desiderio, puro e semplice desiderio. Come aveva fatto ad insinuarsi tanto nella sua carne, nella sua mente e nel suo cuore? Per natura, nessuno era stato capace di avvicinarsi tanto a lui, a meno che lui stesso non gliel’avesse permesso direttamente. A lei, ne era certo, non aveva concesso un bel niente: il solo averla per casa era stato, all’inizio, strano, ben lontano da desideri focosi e bramosia, che adesso gli accendevano le membra. Ne aveva apprezzato l’aspetto, il carattere, la motivazione e la caparbietà ma nulla che, nei precedenti anni ad Hogwarts o al Ministero, non avesse già sperimentato: la leggendaria Hermione Granger, l’inaffondabile e l’imbattibile Hermione Granger. Neppure quando l’aveva trovata in quel locale, ormai quasi tre mesi prima – era passato davvero così tanto tempo? – aveva visto per un attimo la forza e la determinazione abbandonare quegli occhi da cerbiatta, né quando Weasley l’aveva delusa con i suoi comportamenti, né quando qualche frase o gesto di Zabini, particolarmente crudele anche se involontariamente letale, l’aveva costretta a chiudersi nel bagno della Jacuzzi e singhiozzare della propria condizione, tutt’altro che facile. L’aveva vista, si, maturare in una condizione avversa, accettando – prima per gli altri e poi anche per se stessa – la sua offerta maledetta, accettando di vivere in casa del nemico, di fidarsi di lui, dormendo sotto il suo stesso tetto, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Non che questa fosse stata mai realmente in pericolo fra quelle quattro mura, ma di certo questo pensiero doveva aver sfiorato la sua mente più di una volta, se non sempre, prima di chiudere gli occhi la sera.

E in tutto questo, gradualmente, con lentezza straziante, era scomparsa la Hermione Granger dei libri, l’amica di Potter, la fidanzata storica di Weasley. Era scomparsa la ragazza mezza nuda dello strip club, quella stessa che, pur di restare fedele alle leggi per le quali aveva così duramente combattuto, si era ridotta a poco più di una puttana ed era andata avanti nella sua missione di paladina solitaria. Era scomparsa anche la saputella, l’egoista, l’altezzosa ragazza che non l’avrebbe mai, neppure nei suoi incubi, aiutato a recuperare delle fiale sconosciute, potenzialmente pericolose, per il mondo magico e non. Tutto questo era evaporato da lei, lasciando soltanto una strega potente e bellissima, la stessa che adesso era stesa nel suo letto, appena scampata ad una morte ingiusta e codarda, che solo una bastarda come Ginevra Weasley avrebbe potuto progettare. E tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, pensare, vedere di lei, non riusciva a formulare altro che un'unica parola: bellissima, era bellissima.

Mentre le labbra erano incollate alle sue, sorridendo ironicamente contro le sua bocca, accennò un movimento veloce con la bacchetta, chiudendo la porta: Blaise aveva visto giusto quando gli aveva dato una pacca sulla spalla, andandosene, avrebbero decisamente avuto bisogno della stanza, da soli. Facendo leggera pressione sulle braccia, si distese su di lei, permettendole a sua volta di mettersi a proprio agio, timoroso di poterle nuocere in qualche modo, toccare una ferita non del tutto risanata, premere troppo su qualche livido: non aveva mai prestato tanto attenzione al prima, il che lo fece riflettere, anche se poca era la concentrazione in un simile momento. Ormai i suoi ormoni stavano per impazzire, l’unica cosa a dividerlo dal corpo di lei non erano altro che un lenzuolo di seta e qualche strato di vestiti. Cosa potevano essere mai?

Anche lei, dedusse, doveva pensarla allo stesso modo, dato che non perse tempo nel percorrere con le sue minuscole dita il profilo del suo torace, prima di abbassargli, con morbida gentilezza, la camicia sulle spalle. I suoi polpastrelli erano tanto piccoli e la sua pelle tanto soffice da fargli addirittura il solletico: una sensazione piacevole, rilassante, eccitante. Era come se migliaia di petali l’avessero sfiorato e, al contempo, altrettante spine l’avessero punto: un dolore talmente peccaminoso da inebriarlo e rischiare di condurlo alla follia. Era un angelo, quella donna, o un diavolo? Nessuno dei due. Entrambi.

Mentre la sua bocca, vorace e ormai inarrestabile, assaggiava ogni pezzettino scoperto del suo volto, del suo collo, delle sue spalle, ben presto quel poco divenne estremamente insufficiente, tanto che, con una mossa da maestro, riuscì ad abbassare in lenzuolo con un piede, spostandolo di qualche centimetro, lo spazio necessario per poterla liberare a sua volta della t-shirt per portava. La sua pelle, tuttavia, non era nuda quanto avrebbe sperato, coperta com’era da numerosi bendaggi e alcune creme cicatrizzanti. La vide arrossire lievemente per quell’inconveniente, quasi sottrarsi al suo tocco, ma le braccia di lui, forti quanto basta, riuscirono a trattenerla, impedendole di scappare.

«Non fare la stupida... – borbottò contro la sua bocca, baciandola ancora, mentre una mano le scorreva bramosa sulla coscia - …sei bellissima.»
«Non definirei questo corpo pieno di ferite e lividi... bellissimo. – mugolò lei, con tono di disapprovazione – Io...»

«Tu... devi... smetterla... sei… perfetta.» E, a conferma di ogni parola, le aveva depositato un bacio in una parte diversa del volto, prima di accarezzarlo con entrambe le mani e soffermarsi qualche istante e fissarlo, estasiato, perdendosi nelle sue iridi color cioccolato. Ancora una volta, a quello sguardo tanto penetrante e intenso, lei arrossì, sorridendo appena, quindi si avvicinò a lui, baciandolo sulle labbra, forse in maniera troppo casta, mentre le mani – e giustamente! – corsero rapide ai suoi pantaloni, slacciandoglieli e lasciando che se li sfilasse. A differenza della sua, la pelle di Draco era decisamente più curata, che fosse o meno un’apparenza: il candore della sua pelle, dei muscoli evidenti e scolpiti ma non eccessivi, le vene leggermente visibili sulle lunghe braccia, tutto di lui emanava quel misto di perfezione e classicità che, un tempo, erano state il punto il partenza di innumerevoli scultori romantici e classici. Da dove veniva tutta quella bellezza? Perché lei non l’aveva mai notata prima e, ancora più importante, come aveva fatto a meritarsela? Aveva da tempo ormai rinunciato a far breccia nel cuore di Draco Malfoy, aveva da tempo compreso quanto fosse inutile tentare di scalfire quella sua corazza impenetrabile e dura, temprata da anni di maltrattamenti e sofferenze. Aveva pensato che, ormai, nulla avrebbe più potuto sorprenderla, eppure lui l’aveva fatto. Nell’esatto momento in cui aveva colto quel luccichio, nei suoi occhi, quella scintilla nuova e brillante, aveva capito che qualcosa, anche se piccola e insulsa, forse, doveva provarla anche lui. Ma si era negata quella felicità, incapace di vedersi in un futuro prossimo accanto al ragazzo-uomo che aveva perseguitato la sua infanzia e poi adolescenza, l’uomo che l’aveva messa in seno al pericolo, incurante della sua salute o della sua salvezza. Poteva lei, donna forte e intelligente, pensare ad un uomo del genere come un potenziale amante ed alleato? Si, aveva finito con il rispondersi, dopo molto tempo. Dopo molto, moltissimo tempo.

Non c’erano ostacoli reali a separarli: quello che li aveva frenati, fin dal primo momento in cui un barlume di sentimento aveva sfiorato i loro cuori come una brezza primaverile, erano stati i pregiudizi, gli anni trascorsi ad Hogwarts, gli amici, le famiglie. Come avrebbero potuto, si erano singolarmente chiesti, andare al di là di tutto con un solo gesto? Era sufficiente quel sentimento ad abbattere tutto? No, si, forse, no. Tutto era stato negato, tutto nuovamente affermato, fino al momento in cui non c’era più stato nulla da fare: le fiamme della passione potevano divampare più in fretta di qualsiasi altra fiammella, che fosse odio o di vendetta. E se c’era la passione, c’era solo da chiedersi, avrebbe potuto esserci anche l’amore?

Ma, cosa ancora più importante, avrebbe potuto nascere tra persone così radicalmente diverse? Le dita di lei sfiorarono, senza volerlo, in rigonfiamento leggero del suo avanbraccio sinistro, mentre gli occhi, incapaci di trattenersi, individuarono la macchia rossa che aveva bruciato la sua carne e la sua anima, marchiando entrambe per l’eternità. Solo qualche mese prima avrebbe reagito d’istinto, respingendolo da sé. L’avrebbe respinto e con lui ogni vicinanza con tutto quello che aveva animato i suoi sogni di bambina, i suoi incubi di adolescente e le sue giornate di ragazza. Perché il fatto che quel Marchio splendesse nell’oscurità della stanza come una luce non era una coincidenza. Si trattava di una prova, una delle tante, che dimostrava di come il perdono possa cambiare le persone. Lei era ormai certa di quanto il suo perdono  avesse cambiato lui e per lei questo era sufficiente. Non importava cosa fossero stati negli anni passati, adesso erano lì, insieme, come uomo e donna, lontani dal mondo Magico e dal mondo in generale. Erano lontani dalle etichette che li volevano nemici, lontani da tutto ciò che erano stati e lontani da se stessi. Ma quanto poteva importare, in quel momento?

Anche i pantaloni di lei raggiunsero quelli del giovane sul pavimento, lasciando le gambe snelle avvinghiate a quelle distese di lui. I baci lasciavano scie roventi sul corpo di entrambi, limitati notevolmente nei movimenti più dalla prudenza di lui che dalla mancanza di iniziativa di lei. Stranamente il parlare non era mai stato il loro forte ma, in quei baci, c’erano tante di quelle cose non dette e a lungo taciute da riuscire a rimediare alla precedente mancanza di dialogo. Le dita del mago scorrevano piano sul suo torace, ora soffermandosi ad accarezzare i fianchi, ora i seni morbidi come boccioli di rosa, altrettanto freschi. Ogni tanto percepiva il corpo di lei irrigidirsi, come una corda di violino tesa troppo, e sapeva che era per via di un livido o una ferita che aveva avuto la malagrazia di sfiorare. Aveva tentato anche, un paio di volte, di allontanarsi, spinto dal suo fulmineo buonsenso, per lasciarle il tempo di riprendersi, ma la gabbia delle sue gambe e il mugolio della sua bocca erano come il Canto della Sirena, a cui era incapace resistere.

E rimase. Rimasero entrambi, sul letto, lì, quando anche la biancheria raggiunse il suo debito posto, sul pavimento, ad abbracciarsi e sospingersi nel reciproco piacere, a vicenda, tra il dolore dei copri feriti e la passione, il piacere, del ritmo dei loro cuori che, se avessero avuto sufficiente concentrazione di ascoltare, avrebbero udito battere all’unisono. Si amarono a lungo, confondendo parole e promesse con gemiti disperati di agognate attenzioni e piaceri a lungo repressi, si sospinsero l’un l’altro, si confusero in un’unica entità e poi se ne distaccarono. Una melodia fluente, armoniosa, sinuosa come un serpente. E, quando ormai entrambi furono al limite, l’uno aspettò le ultime battute dell’altra, come in una melodia sinfonica, finchè la musica non si confuse con un urlo di acerrima lussuria.
Fu in quell’attimo, in quel preciso attimo che Draco si sentì appagato e felice, come non si era sentito da tempo. Era per ottenere quella felicità che aveva sacrificato parte della propria anima, nella ricerca dei metalli e ora, paradossalmente, riusciva ad ottenerla anche senza di essi. Ma ciò che si fa, in tutto o in parte, ha sempre delle conseguenze, e la Sorte viene sempre a riscuotere quanto dovuto. Mentre il piacere gli sfiorava le viscere, costringendolo a trattenere un gemito, gli occhi chiusi e i muscoli tesi, sentì un dolore, allucinante, straziante, nascergli nel petto. Perse l’equilibrio delle braccia, cadendo senza riguardo sul corpo fragile di Hermione che, provata dall’amplesso a sua volta, non ebbe né modo nè tempo di sottrarsi: udì soltanto un urlo, ben diverso da quello di piacere, provenire dalla bocca che fino a pochi istanti prima aveva ricoperto la propria.

«Draco! – si divincolò, tentando di sottrarsi al suo non indifferente peso e, alla fine riuscendoci – Che diamine...?» Si tirò una coperta addosso, coprendosi il petto nudo, e tentò di scuoterlo con la mano libera: non ce ne fu bisogno. Il giovane, con una tranquillità disarmante, voltò la testa, immersa nel cuscino, con un sorriso ironico sul volto. Era stato uno scherzo? La mora gli assestò uno schiaffone sulla spalla nuda, lasciandovi un’impronta rossa delle sue cinque dita. «Sei pazzo? Mi hai quasi schiacciato...» Nel dirlo, tentò di alzarsi, del tutto disinteressata alla sua debole condizione. Ma Draco la riafferrò, riuscendo ad intrappolarla in un abbraccio, prima di baciarle i capelli: la mora avrebbe potuto tentare di scacciarlo ma non lo fece, preferendo restare in quel contatto, comodo e intimo, con un sorriso appagato sulle labbra. Certo, nel cadere le aveva letteralmente ucciso un paio di lividi, ma cosa importava? Avevano appena fatto l’amore, nulla avrebbe potuto eclissare quell’evento, neppure una delle solite burle alla Malfoy.

«Scusa... – mugolò lui, un braccio ad abbracciarla e l’altro ad accarezzarle il braccio – Non so davvero come ho fatto.» Bugiardo, lo sai eccome: avevi promesso di non mentirle, sei o non sei un uomo di parola?

«Non importa… – ribattè lei, voltandosi a guardarlo a sua volta - ...ti sei fatto già perdonare.» Nel dirlo si protese quel poco che bastava per avvicinarsi a lui, permettendogli così di colmare la restante distanza e baciarla. Fu un bacio diverso, stavolta, qualcosa che, più di tutto il resto, testimoniava come qualcosa fra di loro fosse irrimediabilmente cambiato, e stavolta in meglio. Ne assaporò il sapore – un misto di menta e cioccolato – disegnando con la lingua i contorni delle sue labbra, esplorandone la profondità e la delicata morbidezza: poteva una lingua di serpe celare tanta purezza e delicatezza? Sufficienti, almeno, a tentarla, a farle desiderare di più. Non ricordava di essersi mai sentita tanto bene, neppure fra le braccia di Ron. Anzi, il solo fatto che lei non fosse stata la sua prima ragazza era sempre stato motivo di... confronto. Alla sua prima volta, ragazzina incerta ed immatura, si era ritrovata fra le braccia di un amico, un compagno, un fidanzato, ma non erano state braccia insicure, delicate a toccarla ma mani forti e decise: si era trovata in soggezione, aveva persino avuto paura di quel momento. Anche quando la barriera della sua verginità era stata infranta, per la prima volta, aveva sentito un dolore estraneo toccarla, come se tutto, a partire dal luogo, al momento, alla persona fossero stati sbagliati. All’epoca, naturalmente, non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno per idea: era rimasta sveglia, con gli occhi aperti nell’oscurità, persi nel vuoto, a tentare di convincersi quanto Ron fosse stato delicato e amorevole, rispettoso di lei e del suo corpo mai profanato, ma anche lei si era resa conto della menzogna. Adesso, con il senno di poi, fra le braccia di un altro, fra le quali non avrebbe mai neppure sognato di poter giacere, sentiva quanto invece potesse essere giusto un momento, un ambiente, una persona. Draco era tutto, in quel momento e, anche se avrebbe potuto pentirsi di quel gesto, non lo fece. Se ne compiacque, invece, sorridendo contro il suo torace.

«Sono felice... – borbottò contro la sua pelle, dopo aver interrotto il bacio ed essersi di nuovo adagiata su di lui – Di te, di noi, di questo momento. La normalità mi imporrebbe di preoccuparmi di quello che non ricordo, dei miei lividi, della mia morte incombente, ma... non ci riesco. So soltanto che sono qui e spero di non dimenticare anche questo.»

«Non accadrà. – le assicurò lui – Qui ci siamo solo io e te... e Zabini, che a quest’ora sarà andato a vendere la nostra relazione alla Gazzetta del Profeta...»
«Ricordami di affogarlo nella Jacuzzi, allora, quando torna. Anzi, a proposito della Jacuzzi… mi concedi un momento?»

«Se sicura di poterti alzare? – intervenne prontamente lui, sorreggendola per un braccio – Ce la fai?»

«Hai un bagno in questa stanza, ricordi? Vado e torno... non muoio mica!» Lo baciò di nuovo, velocemente, e si allontanò, avvolta nel lenzuolo, chiudendosi alle spalle la porta adiacente a quella che aveva ospitato il laboratorio di Ginevra e che, adesso, era tornato ad essere un guardaroba. Ne intravide il passo incerto, condizionato dal dolore di qualche ferita o qualche livido, e pregò che il peso del suo corpo non avesse peggiorato il tutto.

Lo sapeva bene a cosa era stato dovuto quel dolore ma, almeno per il momento, non sarebbe stato saggio parlarne ad Hermione: non avrebbe capito. Quando aveva deciso di raccogliere le fiale, all’inizio, tutto e tutti erano sacrificabili, lei compresa. Ma, più del resto, il vero prezzo consisteva in un pagamento involontario, invisibile ad occhio umano: la sua anima. Fiala dopo fiala, metallo dopo metallo, Guardiano dopo Guardiano, un pezzo della sua anima veniva strappato, lacerandolo e costringendolo ad una condizione di perenne agonia e infelicità. Non ne aveva sempre la percezione, non da sveglio almeno, ma di notte i suoi incubi ossessivi tornavano puntualmente a ricordargli quel malsano prezzo e, adesso che era felice, i Metalli non gli avrebbero concesso un attimo di pace. L’infelicità aveva tenuto a bada il loro potere, dato che se non c’è nulla non c’è neppure nulla da prendere, ma adesso qualcosa c’era, e quel qualcosa era Hermione: sapeva bene che quella deviazione non programmata gli sarebbe costata molto più di qualche fitta al torace. Pezzo dopo pezzo, ogni frammento della sua felicità gli sarebbe stato sottratto, costringendolo a patire e soffrire, senza mai potersi redimere. Ma Hermione, questo, non avrebbe mai dovuto saperlo, mai. Adesso era lei quella da proteggere, da tenere al sicuro, almeno finchè non avesse scoperto del patto che aveva stretto con Gonos: altro dettaglio che aveva tralasciato di dirle.E con questa siamo a due bugie di troppo, Malfoy, sicuro di voler continuare?
Hermione si lasciò cullare dal calore dell’acqua calda, che le scivolava in mille piccole gocce sulla pelle... beh, non più tanto diafana. Aveva lividi dovunque: alcuni erano soltanto il ricordo di qualche botta presa, chissà come e chissà dove, non particolarmente marcati o, nella migliore delle ipotesi, in via di guarigione; altri erano quasi rossastri, segno che non solo si era procurata un ematoma ma, con esso, anche una ferita, ormai guarita e invisibile, tranne che per il suo contorno; infine i lividi peggiori, quelli particolarmente bluastri, violacei, la cui grandezza era maggiore rispetto agli altri e, al solo toccarli, percepiva un leggero fastidio, sintomo della vicinanza del dolore. Sfortunatamente era proprio su uno di quei lividi che si era piombato Malfoy, con tutto il suo peso. Toccò cauta la macchia scura sulla parte sinistra dell’addome, stringendo forte i denti per non emettere nemmeno un gemito, anche se non ce ne fu bisogno: il dolore era stranamente sopportabile.

Ai lividi, naturalmente, si aggiungevano le ferite vere e proprie, alcune ricoperte da una sorta di pomata invisibile, altre fasciate da bendaggi auto-riscaldanti, che servivano probabilmente a guarirle, e impermeabili, segno che c’era un alto pericolo di infezione. Conosceva qualcosa di anatomia, doveva ammetterlo, e neppure gli incantesimi curativi le erano del tutto estranei: prima, quando Voldemort era ancora una minaccia e gli Horcrux costituivano la sua polizza sulla vita, aveva dovuto imparare in fretta tutto quello che poteva su quel genere di magia, dal momento che era preparata al fatto che il viaggio con Ron ed Harry non sarebbe stato di certo una passeggiata. Gli incantesimi le si erano rivelati utili, certo, ma non aveva mai appreso nulla di tanto potente da potersi definire un’esperta in materia: conosceva la teoria, però, frutto della sua curiosità illimitata, e grazie a quella si rendeva conto che le sue condizioni non erano particolarmente rosee.

Uscita dalla vasca di marmo, si asciugò velocemente con un asciugamano, infilandosi una canotta e degli slip puliti, apparsi “per magia” sullo sgabello, probabilmente portati lì da Perky o da Pods, oltre ad un pantalone del pigiama che neppure ricordava di possedere. Fortunatamente, proprio come aveva sperato, la doccia era riuscita a calmarla, sia dai bollori del letto che aveva lasciato, sia, contemporaneamente, dalle ansie che, da quando aveva riaperto gli occhi, non più di qualche ora quindi, la stavano assillando. L’aver finalmente appagato un proprio “desiderio nascosto”, naturalmente, l’aveva non poco ravvivata, ma non del tutto e non abbastanza: restavano ancora macchie scure che non riteneva sarebbero state altrettanto facili da eliminare, quindi aveva bisogno di capire come farlo. L’ultimo ricordo che aveva della caverna era Liliat, lei e il suo vestitino di tulle, lei e il suo fratellino alle sue spalle, così spavaldo e sicuro di sé, reso arrogante dalla presenza della sorella. Poi il vuoto... come aveva fatto a dimenticare? Perché aveva dimenticato?

Rientrò nella stanza, trovando Draco esattamente dove l’aveva lasciato. Quando la vide, sorrise: quel sorriso spavaldo, da vincitore, da conquistatore, quello stesso sorriso che aveva tanto disprezzato e odiato negli anni di Hogwarts, perché adesso era diverso? Era mai possibile che tutte le sue azioni, tutto quello che aveva vissuto, l’avessero portata ? Non avrebbe voluto crederci, ma era reale, quello che stava vivendo, e benché fosse quantomeno assurdo, non poteva far altro che accettarlo, accettando al contempo di vedere dove questo cammino l’avrebbe condotta. Sorrise a sua volta, avvicinandosi e colmando la distanza del letto che ancora li separava, poggiandosi tranquillamente sulla sua spalla e intrappolando una delle sue gambe con la propria.

«Allora, principe delle Serpi, cosa farai ora che hai conquistato Hermione Granger? – borbottò, con un tono molto vicino alle fusa – Dev’essere una conquista non da poco…»

«Importa qualcosa? – commentò divertito lui – E poi sei andata a letto con Draco, non con un Malfoy o con uno Slytherin o con...» Lei interruppe il vortice delle parole che gli uscivano dalla bocca, tappandola per un istante con la propria, quindi ritornò al proprio posto, sistemandosi meglio sul suo petto, attenta a non toccare eccessivamente nessuna parte del corpo gonfia o indolenzita. Avrebbe potuto restare così, stesa su di lui, per sempre. Ma sapeva, e purtroppo lo sapeva fin troppo bene, che niente era fatto per durare in eterno, i momenti felici come quello meno di tutti. Ciò che stava vivendo con Draco, quello che finalmente si stava concedendo di provare, era andato fin troppo oltre perfino le sue aspettative. Era lì, accanto a lui, nella nudità della sua anima che neppure i vestiti sul suo corpo sapevano e potevano celare. Si era lasciata andare e ora, nell’ironia delle sue parole, percepiva di quanto avesse paura di quell’intimità e di quel legame.

«Beh, direi che così va molto meglio. – confermò la strega, sdraiandosi comodamente sul cuscino – Ma adesso? »

«Fai troppe domande dopo aver fatto sesso, Granger. – sbottò infastidito lui, agitandosi nella sua posizione semidistesa – Te l’hanno mai detto?»

«Potrebbe darsi. E a te hanno mai detto che sei bravo a sviarle, le domande?»

Entrambi sorrisero mestamente, senza guardarsi, finchè la strega non decise di porre una tregua, allacciando le sue dita alle proprie. «Siamo così sciocchi, Malfoy. Siamo qui dentro, ricoperti di lividi e graffi, a cercare qualcosa che non solo è altamente pericoloso ma profondamente insensato, oltretutto. Aggiungi che avere una relazione, in questo momento, è davvero l’ultimo dei nostri pensieri. E poi, che relazione sarebbe? Tu magnate di compagnie miliardarie, babbane e non, con un cognome che, malgrado sia da ex-Mangiamorte, rimane uno dei pilastri dell’aristocrazia magica; io, ex paladina della giustizia, migliore amica del bambino-che-è-sopravvissuto, una delle streghe migliori della mia generazione eppure rilegata nel mondo babbano che, lo ammetto senza problemi, non disprezzo affatto ma che, è evidente, non mi appartiene. Che futuro abbiamo, così male assortiti? Vorrei che potessimo semplicemente andarcene, da tutto e da tutti.»

«Andiamocene, allora.»

La mora si volse a guardarlo, muovendo i riccioli leggermente umidi. «Tu lasceresti tutto quanto? – domandò incredula – La Manor? L’azienda?»

Lui, ancora una volta, non si trattenne dal sorridere della serietà con cui la ragazza pronunciava quelle parole. «E tu verresti con me, Granger?»

Rispondere ad una domanda con una domanda, tipico di Malfoy: preferì non dargli la soddisfazione di una conferma, quindi rimase in silenzio, senza fiatare e con gli occhi fissi sulla parete, precisamente sul quadro di Callista, che la fissava gentilmente. Era strano come fossero cambiate così tante cose da quando aveva visto quello stesso quadro: allora c’era Draco in quello stesso letto, ferito e affidato alle amorevoli cure di Daphne. Adesso era lei quella ridotta peggio e, purtroppo, nessuna bionda affettuosa si sarebbe presa cura di lei. Il che le ricordò qualcun altro che, malgrado lei non se ne fosse minimamente accorta, si era preso cura di lei: la rossa Weasley. L’aveva sentita gridare, Draco le aveva confessato che aveva tentato di avvelenarla, eppure ancora non sapeva che cosa le avesse fatto di preciso. Se non era morta, allora…?

«Dov’è Ginevra, Draco? – domandò a bruciapelo, senza guardarlo – Che fine le hai fatto fare?» La terminologia era precisa per quanto fosse letale: non gli aveva chiesto che fine avesse fatto ma, invece, che fine le avesse fatto fare lui, c’era una differenza notevole. Anche Draco lo capì, dal momento che non rispose subito, concedendosi del tempo per valutare con cura le parole da usare per risponderle.

«E’ ancora viva, se è di questo che ti preoccupi. Ma sta avendo quanto si merita, stanne certa. L’avevo avvertita, il giorno stesso in cui ti riportai a casa mezza morta, l’avevo avvertita di non torcerti neppure un capello, altrimenti…» La sua voce, sempre controllata e misurata, tradiva tutto il dolore e la rabbia che stava provando in quell’istante. Se n’era accorta già prima, quando era rientrato nella stanza, quando aveva posato il suo sguardo su di lei, nei suoi occhi aveva scorto delle emozioni che non avrebbe mai pensato fosse in grado di provare. In quel preciso istante si era resa conto, con una nota di sofferto piacere, che qualcosa in lui era cambiato, mutato irrimediabilmente. All’inizio non aveva capito se si trattasse di una cosa positiva o meno, ma poi… aveva udito la sua voce sussurrare le poche sillabe del suo nome, aveva percepito le sue mani sfiorare la sua pelle nuda, accarezzarle i capelli, le sue labbra posarsi in un bacio sulle proprie, ed aveva capito… aveva capito che in quel cambiamento non poteva esserci altro che bene, per lei e per entrambi.

Il mago la strinse a sé con forze, posando una mano sulla sua guancia e accarezzandola. «Non permetterò mai, a nessuno, di ferirti. Finchè sarai con me, sarai al sicuro… da tutto.»

«Da tutto? – domandò lei, con una strana inclinazione nella voce – Anche da te?»

Le parole lo colpirono come un secchio d’acqua fredda. «Che intendi? – domandò con freddezza – Spiegati.»

Lei valutò con calma le parole da scegliere: aveva deciso di affrontare un argomento che, anche se lui ancora non lo sapeva, le frullava in mente fin da quando aveva aperto gli occhi. Era felice, per la prima volta dopo tantissimo tempo, era finalmente di nuovo felice, tanto felice come non si sentiva dai tempi di Hogwarts, con le sue gonne a quadri e i suoi libri sotto braccio, contenta di correre da un’aula all’altra, passando da un passaggio segreto ad una rampa di scale, nei corridoi in cui si era sentita sempre una regina: non di moda come Pansy, non di bellezza come Ginevra, ma di intelligenza, che – almeno all’epoca – per lei aveva costituito molto più di tutto il resto. Ed ora era fra le braccia di una persona che, pensava, potesse renderla felice. Non avrebbe permesso a nessuno di guastare questa sua bolla di sapone, a nulla e a nessuno.

La Ricerca, fin dal suo arrivo alla Manor, non aveva costituito altro che un compromesso. Prima era stato per i soldi, poi per la vita, adesso per l’amore. Ma, e questo Harry gliel’aveva insegnato molto bene, non potevano esserci compromessi in amore, soprattutto se c’era un modo per poterli eliminare. Non le era ancora chiaro, non del tutto comunque, a cosa servissero quei Metalli a Draco: sapeva che erano importanti, sapeva che li desiderava ardentemente, sapeva che erano altamente pericolosi e soprannaturali, ma a cosa servissero e quale fosse il loro preciso utilizzo, questo non lo sapeva. Non aveva mai desiderato chiedere neppure al biondo circa tale curiosità: non temeva un suo silenzio, temeva quello che avrebbe detto. Era certa, sicura al cento per cento, che – per Merlino! – qualsiasi cosa sarebbe stata troppo grande o gravosa da gestire, qualsiasi parola di Draco l’avrebbe spinta a odiarlo, condizionata da quella volontà e da quei valori che avevano impostato la propria vita, fin dall’infanzia. E lei non voleva odiarlo, preferiva non conoscere tutti i dettagli, ignorare, andare contro la propria saccenteria e la propria irrefrenabile passione per la conoscenza, piuttosto che allontanarsi da lui, da quello che avevano insieme.

«Io… mi riferisco ai Metalli, Draco. – girò la testa, perché i loro sguardi si incrociassero – Lascia perdere.»

Lui scosse la testa, sconfortato. «Qualsiasi cosa, chiedimi ciò che vuoi… ma nonquesto

La strega si staccò da lui, puntellandosi sui gomiti e facendosi forza con le ginocchia per alzarsi: i lividi dolevano e anche le ferite pizzicavano un poco, ma il dolore era sopportabile, le medicine ancora reggevano. «Perché? Non ti sto chiedendo nulla di impossibile, lo sai. Vuoi davvero dirmi che quelle stramaledette boccette sono indispensabili per la tua esistenza? Sono più indispensabili di me

Sarebbe stato facile, per lui, rispondere… qualche mese prima, ma ora non più. Come poteva scegliere tra ciò che aveva sempre desiderato e ciò che desiderava in quell’istante? Hermione, nei pochi attimi in cui l’aveva stretta fra le braccia, nei mesi precedenti, in cui l’aveva vista per casa e aveva imparato a distinguere la sua fragile figura di giovane donna, era arrivata a rappresentare quella sicurezza e quel conforto che non era riuscito a trovare negli ultimi anni; con lei aveva trovato quella casa che gli era mancata da quando sua madre se n’era andata, la stessa che sentiva di aver perso una seconda volta, lì nell’ingresso, alla morte di Daphne, quando aveva stretto il suo fragile corpicino fra le braccia. Come avrebbe reagito nel perdere anche lei? Cosa avrebbe significato perdere anche lei? Così fragile, così indifesa e insicura, scossa fra le sue mille ragioni morali e i suoi compromessi, non solo quelli della sua anima da Gryffindor ma anche di donna, adesso sconvolta anche dai sentimenti che lui suscitava in lei.

No, si disse, non avrebbe mai potuto lasciare che qualcosa la turbasse, che qualcosa la ferisse… ma, al contempo, non avrebbe potuto abbandonare la Ricerca nemmeno volendo: stava già pagando il prezzo per quell’impresa, non poteva lasciare tutto a metà, non poteva permetterselo. Ma come poter conciliare questi due elementi? Il vecchio Malfoy non ci avrebbe pensato due volte, avrebbe mentito e si sarebbe goduto una doppia vittoria, anima e corpo. Ma lui… no, non era il vecchio Malfoy, o si?

Per un attimo, per pochissimi istanti, l’orgoglio del suo sangue si impadronì di lui, ricordandogli chi fosse e cosa comportasse il suo ruolo. Non si era sentito così da anni, pensava di aver superato quella fase della sua vita, ma a quanto pare non era così… non si era mai chiesto, non per davvero comunque, che cosa rendesse il suo carattere di purosangue tanto importante e significativo, come agli occhi della sua famiglia così a quelli dell’intero mondo magico. Poi, però, aveva capito: non era il tuo sangue a renderti speciale, erano le tue azioni, i tuoi comportamenti, le tue scelte. E, purtroppo, per quanto potesse essere cambiato, per quanto lei avesse potuto cambiarlo, era e sarebbe sempre rimasto un Malfoy, che pensa non solo agli altri ma anche a se stesso, anche se per scopi utopisti ed egoistici allo stesso tempo. Sospirò, posandole un bacio sui capelli.

«E va bene, se devo lasciare la ricerca dei metalli per essere felice, lo farò.»

Gli occhi di lei si accesero di felicità e gioia, mentre le sue labbra intrappolavano la bocca di lui in un bacio. «Oh, Malfoy… chissà cosa succederà, a noi due, nel futuro. Ma, almeno di questo posso essere certa: posso fidarmi di te.»

«Si, e a proposito di fiducia… - si alzò dal letto, infilandosi una vestaglia leggera – Armando mi avrà spedito delle indicazioni riguardo una riunione molto importante e, purtroppo per noi, dobbiamo anche pensare al Mondo Magico, oltre a quello babbano. Il Ministro ha un colloquio con me…»
«…quando?»

«Quando lo decido io. – rispose lui disinvolto – Anche adesso, se ne ho voglia. Stai meglio… non benissimo, ma bene. Devo pensare anche ai miei affari… - vide il volto di lei rabbuiarsi, quindi si affrettò  specificare - …nei quali rientri anche tu. E’ arrivata l’ora di farti tornare al posto che ti spetta, nel Mondo Magico. Nel Ministero, come con il tuo caro Potter così con... me. Ah, e faresti bene a chiamarlo il tuo amichetto, avrete  molto di cui parlare, ne sono certo.»

La strega gli sorrise riconoscente, senza pronunciare neppure una parola, convinta che non ce ne fosse bisogno. Prese il telefono, componendo il numero di Harry. L’amico era piuttosto agitato, sconvolto perfino… balbettava, urlava, intervallando parole di Draco ad azioni di Ginevra a… una Astrid? Chi era costei? Quanto si era persa nella sua incoscienza? Sorrise divertita, salutando con la mano e un bacio in aria il biondo che chiudeva la porta, uscendo.

«Si, Harry… calmati, sto benissimo ora. Se vuoi possiamo vederci… un’ora? Certo…»

Con questa, Draco, siamo arrivati a tre bugie. Le prime potrà anche perdonartele, ma sei certo che la passerai liscia anche su quest’ultima cosa? I Metalli non sono un giochetto da nulla, lo sai bene.

Represse le fastidiose manifestazioni della sua coscienza, scendendo i gradini delle scale, diretto in biblioteca. Nella velocità si scontrò con Zabini, intento a salire i gradini, invece, probabilmente di ritorno dalle segrete. Il volto di Draco si rabbuiò, la sua mascella si irrigidì e gli occhi di ghiaccio si posarono sul migliore amico: era già pronto a inveire contro di lui, ma l’aria afflitta e appesantita dell’altro lo convinsero a desistere dal suo proposito. «Blaise?»

«Non chiedermi di più Draco! – la forza delle sue parole, se possibile, lo sconvolse più del suo aspetto – E’ imprigionata lì sotto, legata come una bestia, e io… non ho fatto nulla per impedirlo. La amo, eppure ho messo te davanti a lei perché so che ha sbagliato, so che quello che ha fatto per ferire… la Granger, era disumano. Non avrebbe dovuto. Ma il cibo non si nega neppure ai condannati a morte, non chiedermi di farla morire di fame!»

«Non avevo intenzione di farlo, amico mio. Per me, lei non esiste. Ogni sua trama, ogni tela che fino ad ora ha tessuto nell’ombra della sua perfidia, non me ne frega più nulla. Non può fare del male a nessuno, e finchè è lì sotto, è tutta tua.» Il moro annuì con un gesto brusco del capo, quindi continuò sulla sua strada, salendo i gradini. No, non avrebbe liberato Ginevra, Draco ne era certo, ma continuava a tenere a lei: se non fosse stato certo della lealtà di Blaise o del suo onore, l’avrebbe cacciato dalla Manor ormai molti anni prima. Ma lui era sempre stato e continuava ad essere il suo migliore e fedele amico, come poteva pensare di allontanarlo? Erano così tante le persone che aveva perso nel corso degli anni, nei modi più diversi e di certo non per proprio desiderio, se cominciava ad agire in maniera sconsiderata verso i pochi cari che gli rimanevano… sarebbe rimasto solo. Voleva questo? No, nel modo più assoluto e categorico. Eppure non si comportava di conseguenza, agiva come uno stupido, un egoista, un purosangue beota ed egocentrico. Oh, suo padre sarebbe stato fiero di una simile prole, anzi più che fiero. Ma lui non viveva più per soddisfare suo padre, le regole di suo padre giacevano in fondo alla Cripta di famiglia, Lucius con esse.

La biblioteca non era un luogo che frequentava di recente. Hermione vi si era piazzata spesso, dopo il suo arrivo, per studiare, per fare ricerche, per riflettere – almeno così affermava lei. Cosa ci trovasse in un posto simile, Draco ancora doveva capirlo: vecchi tomi polverosi, grandi e puzzolenti, alcuni addirittura letali al solo tocco, tanto erano stati mantenuti in custodia alla sua famiglia. Quale sano di mente avrebbe lasciato il letto, ancora caldo, con una bellissima Gryffindor riccia al suo interno, per venire in… biblioteca? Un bugiardo – si rispose il ragazzo, aprendo una delle ante di un piccolo armadietto di legno scuro, con incisioni e rilievi medievali, raffiguranti due stemmi, probabilmente di qualche cavaliere dal ramo di sua madre – Narcissa e Bellatrix discendevano da un’antica stirpe di mercenari e cavalieri, famosi già nell’anno 1000, non c’era da sorprendersi che una delle due avesse ereditato tutto lo spirito battagliero e sanguinolento dei propri avi. Prese il volume che lo interessava, un noiosissimo tomo di botanica marina dell’800, né uno dei più illustri né tantomeno uno dei più approfonditi, sufficientemente anonimo da non entrare nel radar della Granger. Lo aprì, con un colpo di bacchetta, mormorando un incantesimo di Rivelazione, lasciando così che le pagine, che prima parlavano di piante e animali, si riempissero di fitti appunti, immagini, annotazioni e fogli vari, raccolti con zelo nel corso dell’anno precedente. C’era tutto quello che potesse riguardare la Ricerca, i Metalli, i Guardiani e così via. Il segnalibro – una striscia di cuoio rosso, tessuta con arabeschi floreali in oro – era poggiato alla pagina di Nukter: non si aspettava di incontrare la sua perversa sorellina tanto presto, non così presto comunque. Forse per questo, più che per altre ragioni, si era trovato in difficoltà davanti a quel bocciolo viola svolazzante: era preparato per i poteri e gli stratagemmi di suo fratello, non per i suoi. Ma ora non avrebbe corso rischi.
Sfogliò le pagine con attenzione, soffermandosi sulle figure dei due Guardiani successivi. Il primo era Chunchiulos, un uomo, l’altra Zira, il cui aspetto gli ricordava stranamente Luran – che fossero sorelle anche loro? Oh, era un pensiero infantile ma… se si davano da fare almeno la metà di Liliat e Nukter, ci sarebbe stato da divertirsi. Ma non era il momento per pensare a certe cose. Considerò attentamene le caratteristiche del Guardiano incappucciato, prima di passare oltre. Su Zira, stranamente, c’era molto più che sugli altri Guardiani. Primo punto, si conoscevano con esattezza le fattezze del suo volto: degli altri i libri gli avevano fornito degli schizzi, piccole bozze, ma i loro volti reali li aveva visti solo nel momento in cui aveva impugnato una bacchetta per combattersi. Di Zira si scriveva che aveva molti nomi – megalomane! – e, oltre a ciò, che avesse abitato diversi anni sulla terra, aiutando gli uomini nei modi più banali o essenziali, guadagnandosi titoli e riconoscimenti in molti paesi del mondo, in molte culture e religioni, per non parlare di altri Mondi e Universi.

Questo, tuttavia, non lo aiutava: restava un problema fondamentale che, né libri né appunti, avrebbero potuto risolvere. Chiuse gli occhi, passandosi stancamente una mano sul volto, prima di prendere una piuma e un vecchio diario di pelle nera, cucito sulla copertina con un antico stemma rinascimentale, un dono di Andromeda per la sorella Narcissa. Sua madre non l’aveva mai usato, per timore di offendere Lucius – era evidente che lo stemma fosse di manifattura babbana, antica e pregiata, ma pur sempre babbana – ma non aveva voluto buttarlo per l’affetto che, anche se in un luogo remoto del suo cuore, nutriva per la sorella diseredata. Cosa c’entrava quel piccolo oggetto con lui? Da quando aveva intrapreso la sua ricerca, aveva ritenuto opportuno tenere una sorta di diario di quelle sue spedizioni: non erano le sue ricerche, per quelle bastavano i fitti appunti, ma le sue considerazioni, i suoi pensieri, tutto quello che passava per la testa di Draco Malfoy insomma.

Poggiò la punta della piuma sulla pergamena ingiallita della pagina, graffiando prima poche e stentate parole, quindi proseguendo.

…Gonos e Liliat hanno fatto un buon lavoro, né io né lei riusciamo a ricordare nulla di quello che è accaduto. Ma è stato un frammento, quello che ho visto, che non mi fa perdere le speranze: un flash, un’immagine, dove Liliat mormorava qualcosa circa la nostra memoria. Hermione l’ha perduta per sempre, ma io no, posso recuperarla, e conto di farlo al più presto. Domani stesso passerò da Sinister, magari ha una pozione particolare che possa aiutarmi a ricordare – anche se dubito abbia avuto nulla a che fare con una cosa del genere, prima d’ora. Se poi non ho fortuna, c’è sempre Bathilius, sempre che non sia affogato nel suo vomito. Armando è da escludere, è una faccenda troppo losca per coinvolgerlo.

A lei non ho detto nulla, non so se potrò mai farlo… insomma, parliamo di Hermione Granger, se lo scoprisse le verrebbero dei complessi al solo pensiero. Mi ossessionerebbe con la mia memoria e i modi per riaverla. Ha fatto un patto con Gonos, ancora non so bene quale ma l’ha fatto: e se fosse qualcosa che non è pronta a sapere? No, non posso metterla in pericolo, non dopo l’ultima volta. Ginevra è al sicuro, di sotto, purtroppo questa casa non è abbastanza forte per proteggerci per sempre contro i Guardiani, non so fino a che punto posso fidarmi di queste mura…
No, è deciso. Devo recuperare il sesto metallo da solo. Chunchiulos non mi pare questo grande problema, e anche se lo fosse, saprò cavarmela. Ma lei non deve assolutamente saperlo. Le ho promesso di non mentirle, ma questo… sono i Metalli, non posso lasciarli andare dopo che sono così vicino a riunirli… ora c’è anche Daphne, in ballo, non posso lasciar perdere tutto così… non lo farò.

Chiuse il piccolo libricino, poggiandolo sulla pila di appunti e libri accumulati sul tavolino di legno, sprofondando nella comoda poltrona di velluto e addormentandosi: Hermione era al sicuro, era salva, e lui poteva chiudere tranquillamene gli occhi, senza il timore di vederla uccisa o avvelenata… per adesso. Ma, per adesso, nulla poteva nuocerle all’infuori di se stessa, ma lui non avrebbe mai permesso che ciò accadesse. D’altra parte, finchè restava all’oscuro, cosa poteva fare di pericoloso? Incontrarsi Potter? Oh, quello si che avrebbe potuto metterla in pericolo… anzi, metterlo in pericolo, dato che era di Potty che si stava parlando.

Sbuffò divertito al pensiero di un loro duello per la protezione della giovane strega, bacchette sguainate e sguardi saettanti… come al loro secondo anno, anche se un paio di cosette erano leggermente cambiate da allora.

Leggermente.
 

Note dell’autrice ù.u

Allora, pasticcini miei, vi sono mancata? So di avere una settimana di ritardo ma, ehi! Ho appena finito la maturità e la prima cosa a cui ho pensato è stata proprio quella di rivedere il capitolo e pubblicarlo. So di avere ancora delle recensioni in sospeso e provvederò a rispondere al più presto: forse preferivate che rispondessi prima e postassi la settimana prossima direttamente? XD Non credo, e comunque spero che il contenuto del capitolo vi piaccia, abbastanza da perdonarmi almeno! =)

Ok, come sempre rivolgo la vostra attenzione ad alcuni particolari, poi scappo: Hermione che nota il Marchio e non se ne sottrae, si o no? Draco che concede per il momento a Blaise di nutrice Ginevra? Draco di nuovo bugiardo, anche se da pochissimo, in questo capitolo, si era convertito al club “belli dentro e fuori”? Dai dai, voglio sapere cosa ne pensate! Prometto che nella prossima pubblicazione sarò puntualissima! Ringrazio infinitamente tutti coloro che seguono, ricordano e preferiscono la storia – siete grandiosi! – e tutti coloro che, con pazienza, recensiscono.

Un abbraccio, alla prossima, K ^^

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Capitolo 18
*** when you say Nothing at All ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XVII:

when you say Nothing at All

«E’ un asso di cuori, Blaise. Come pensi di batterlo con una Regina?»

Il moro si accigliò ancora di più, prendendo indietro la carta. Ci pensò un po’, quindi assunse l’espressione di uno che ha appena trovato l’ingrediente segreto della Pozione Anti-lupo e gettò un’altra carta: un 3 di quadri. Hermione lo fissò perplessa, quindi semplicemente raccolse le carte e le depositò nel proprio mazzetto, voltandole.

«Ehi! – protestò lui, lasciando accidentalmente cadere alcune delle carte che aveva in mano – Stai barando!»

«Vincere seguendo le regole, non è barare, Zabini, si chiama strategia. Ripeti con me… stra-te-gi-a.»

«Draco, la Granger imbroglia! – soffiò lui all’amico, corrugando la fronte – Dammi una mano!»

La strega si volse a guardare divertita il padrone di casa, comodamente seduto su di un divanetto davanti al fuoco, in mano un sigaro e nell’altra un giornale babbano di finanza: a quanto pare, anche la sua azienda doveva preoccuparsi del Mercato Azionario. Da quando lei si era ripresa, aveva passato molto tempo a dedicarsi agli affari delle sue società, giustificando la cosa con il lungo periodo di disattenzione, causato sia dalla Ricerca che poi, in seguito, dalla sua convalescenza, il periodo in cui l’aveva accudita giorno e notte, senza staccarsi per un attimo dal suo capezzale. In fondo, dovevano essere cose che influenzano il tuo rendimento, se hai aziende magiche e/o babbane, da migliaia di galeoni e/o sterline. Ma gli piaceva che si stesse impegnando in quel settore: era più organizzato, più rilassato, quasi un’altra persona. Ma solo se si trattava di affari.

Posò il sigaro nel posacenere e piegò in due il giornale, avvicinandosi all’amico, gli occhi grigi che accarezzavano silenziosi quelli di Hermione, sensuali. Esaminò le carte del moro, quindi buttò un asso di fiori: la strega non aveva a disposizione più carte del seme di cuori, non poteva battere un asso. Sbuffando, posò le carte sul tavolo. «Se dobbiamo giocare così, signor Malfoy, posso anche arrendermi, non vi pare? Con voi non c’è alcun gusto!»

«Solo perché contro di me non puoi vincere, mia cara.» Le fece l’occhiolino, quindi la sorpassò, diretto in cucina.

«Ok, ne ho abbastanza di carte per stasera. Domani vuoi la rivincita, Zabini?»

«Domani giochiamo a scacchi magici… - borbottò lui, con fare infantile – Ne ho abbastanza di farmi ridurre come un bolide da una mazza a questi giochi… babbani. Bleah.» Senza aggiungere altro che un’espressione di profondo disgusto, si alzò dal tavolo, portandosi dietro il suo bicchiere di idromele, e si diresse verso le camere del piano di sopra: una terribile farsa. Appena fosse stato certo che Draco non stesse guardando, avrebbe portato da mangiare a Ginny, rinchiusa di sotto. Lei l’aveva scoperto un paio di volte – data la sua abitudine di sgranchirsi le gambe, di tanto in tanto, alle tre del mattino – ma a Draco non aveva detto nulla, guadagnandosi così la fiducia e la simpatia dell’altro inquilino della Manor. Sospettava, tuttavia, che Draco stesso fosse già a conoscenza di tutto ma non osasse intervenire. Gli aveva più volte chiesto di ripensarci – perché, teoricamente parlando, non era un comportamento molto umano quello di tenere Ginevra incatenata di sotto – ma lui aveva risposto in maniera perentoria e, dal suo sguardo, era evidente che chiunque avesse tentato di farla evadere, sarebbe morto.

Del resto, se non si fosse trattato della donna che aveva cercato di ucciderla, mentre era in fin di vita, Hermione non ci avrebbe pensato due volte a intervenire, ma le circostanze erano diverse: lei non poteva perdere la fiducia di Draco in questo modo e, d’altra parte, finchè proteggeva Blaise con il proprio silenzio, era certa di non causare la morte di nessuno, soltanto la sua sofferenza. Oh, si, molto più umano da parte tua, Hermione.

Raggiunse il biondo in cucina, notando con una smorfia il bicchiere di whisky che aveva in mano: quando metteva mano alla bottiglia, a quell’ora di notte, non era mai un buon segno. Distrarlo, ecco il segreto.

«Allora… - cominciò, sedendosi su una delle sedie alte che circondavano il ripiano di marmo e legno - …toglimi una curiosità. La prima volta che ci siamo incontrati…» Lui quasi si strozzò, al ricordo, ma la lasciò proseguire, guardandola curioso. «…beh, quella volta mi hai chiamato “mezzosangue”, ricordi?»

Lui osservò perso il vassoio ricolmo di frutta, prima di annuire lentamente, guardandola: oh, certo che se lo ricordava! Ogni dettaglio di quella sera era rimasto impresso alla perfezione nella sua memoria, anche fin troppo bene. Prima la sorpresa di trovarsi davanti la salvatrice del Mondo Magico, l’amichetta per eccellenza di Potty e Lenticchia in abitini di pizzo e volant, poi l’idea folle di coinvolgerla nella sua ricerca – che, almeno per quel che ne sapeva lei, era ormai conclusa. Da quel giorno la sua vita era irreparabilmente cambiata, anche se lui se n’era reso conto soltanto molto tempo dopo: Hermione, quel giorno, era entrata nella sua vita. L’aveva cambiato, l’aveva reso migliore… o forse solo in parte, eppure aveva sconvolto ogni equilibrio, ogni certezza, ogni realtà. Se avesse potuto guardarsi qualche mese in avanti, quel giorno, mesi prima, non solo non si sarebbe riconosciuto ma, addirittura, avrebbe riso di se stesso, ridotto a quello stato. Del resto era un Malfoy, almeno di titolo, ma cosa si celava davvero nel suo cuore? Quello, di sicuro, neppure un nome poteva svelarlo, né a lui, né a lei, e neanche al mondo intero.

«Beh, da quella sera non mi hai più chiamata così. Granger, ed in fondo è il mio cognome quindi non c’è nulla di strano, qualche volta, altre degli appellativi poco gentili o scherzosi, ma mai, mai più mi hai chiamato a quel modo… anche prima… si, insomma…»

«Prima che cominciassimo ad andare a letto insieme? – concluse lui, divertito, vedendo il suo imbarazzo – Non è mica un crimine, puoi dirlo!»

«Non era quello il punto. – si difese lei, arrossendo – E non mi hai risposto.»

«Che vuoi che ti dica? – rispose lui, con una scrollata di spalle – Quella sera non ho visto te, ho visto la ragazza che avevo preso in giro nei miei giorni ad Hogwarts, ho visto la fanciulla povera e indifesa, amica dei due sfigati che odiavo di più su questa terra; ho visto un punto di riferimento, una montagna del Mondo Magico abbassata al livello delle babbane più… peggiori, ed ho gioito. Nel modo più infantile e stupido possibile, ho gioito di come fosse stato giusto il mondo. Senza contare che mi è bastato davvero poco per rendermi conto che avrei potuto sfruttare la situazione a mio vantaggio.»

Le stava dicendo la verità, parola per parola, ogni singola cosa che gli era balzata in mente nel momento esatto in cui l’aveva vista in quel Night Club. Non era certo che effetto avrebbe avuto quella confessione su di lei. Erano passate due settimane, due lunghe settimane dal momento in cui aveva lasciato che Hermione Granger lo rapisse, anima e corpo, ma fino a che punto poteva arrivare a capirli, lei, quei sentimenti che l’avevano così profondamente mutato? Ai suoi occhi restava pur sempre un Malfoy, con le sue mire e le sue ambizioni, e poteva lui darle torto?

«Ma mi hai anche colto alla sprovvista, quella notte. – la vide alzare lo sguardo, sorpresa – Si, esatto. Vederti li, il modo in cui avevi accettato tutto l’enorme putiferio del Ministero e della Corte, la vita lontana dal mondo a cui appartieni, il modo in cui eri stata disposta ad abbassarti a quel livello, accettando perfino il mio ricatto – si, non negarlo, perché è stato un ricatto, bello e buono – e sottomettendoti all’ignoto delle mie richieste, fidandoti di me e dei miei sporchi sotterfugi… oh, quando mi sono reso conto di quanto valessero quei gesti, per te, anche se all’epoca non l’avrei mai ammesso, ho smesso di considerarti una mezzosangue e ho deciso di concederti il privilegio di essere alla mia altezza, capisci? E’ come se, per dimostrarti il mio rispetto, avessi deciso di mettere da parte nomignoli e insulti.»

Lei annuì, con serietà, ma ancora non disse nulla. «A tal proposito… - le si avvicinò, prendendole il mento fra le dita e costringendola a guardarlo - …quel ricatto, quello a cui ti ho costretta quella notte… è stato davvero vile, con quel ricatto, per certi versi, ho determinato la tua rovina – le accarezzò un livido con la mano libera – e vorrei che tu sapessi che… che io, si… insomma…»

«Troppe cose tutte in una volta, Malfoy. – ghignò lei, con un sussurro contro le sue labbra – Se ora mi chiedi scusa, potrei svenire per la sorpresa. Si, è vero che il tuo ricatto è stato la mia rovina, ma non tutti i mali vengono per nuocere.»

Senza smettere di sorridere, avvinghiò le gambe alla sua vita, mentre le dita indugiavano sul suo torace, coperto soltanto dalla canotta bianca. Accarezzò i suoi pettorali, coperti dal sottile strato di stoffa, non eccessivamente pompati e neppure sporgenti, come alcuni campioni di Body-Building babbani, sfiorandogli con dolcezza ogni centimetro del suo corpo che potesse raggiungere da quella posizione: lei era seduta, certo, e lui era in piedi davanti a lei, eppure non era difficile capire chi avesse il controllo in quel momento e chi, invece, lo stesse perdendo. Il mago comprese fin da subito le sue intenzioni ma la lasciò fare, senza intervenire, limitandosi ad accarezzarle la nuca scoperta, con i capelli racconti in una coda disordinata, il bicchiere colmo di liquido ambrato che giaceva dimenticato sul ripiano: aveva una pelle calda, un profumo inebriante e uno sguardo talmente seducente da rischiare di farlo ubriacarlo anche senza alcool. Trattenne in fiato, sentendo le sue dita indugiare sui laccetti dei suoi pantaloni, prima di sciogliere il fiocco che li imprigionava. Chiuse gli occhi, aspettandosi l’estasi, e invece non percepì null’altro che le sue labbra, così delicate e dolci, che si posavano sul punto esatto in cui il suo cuore stava battendo all’impazzata.

Senza indugiare oltre, la sollevo di peso, poggiandola sul ripiano della cucina, quindi prese a baciarla, lasciando le mani libere di vagare sulla sua pelle, molto più scoperta della sua, vista la leggera camicia di cotone che indossava al di sotto della vestaglia: la slacciò senza difficoltà, abbassandogliela fino ai gomiti e scendendo a segnare la carne appena scoperta con il marchio rovente delle sue labbra, giù fino al gomito e di nuovo su, al collo e al caldo rifugio delle sue labbra.

«Forse, dovremmo… - tentò lei, il mento poggiato contro la sua guancia bollente e gli occhi serrati - …camera… da…»

«Tu non ti muovi da qui finchè non sei mia.» Perché lei lo era, era sua in ogni aspetto, in ogni dettaglio, in qualsiasi cosa lui le chiedesse, era sua, soltanto sua, infinitamente e eternamente sua. Lasciò le sue dita scivolarle sul corpo, liberandola degli strati di stoffa che ancora la imprigionavano, lasciandola soltanto in biancheria: niente pizzo o orpelli, solo un completo di cotone blu scuro, decorato da piccole stelle argentee alla giuntura delle bretelle. La scia rovente delle sue labbra percorse prima l’incavo del suo seno, quindi la pancia, fino ad arrivare all’addome, dove tuttavia si bloccarono, tornando a ritroso.
Lei capì che non c’era più modo di aspettare – l’eccitazione che stava premendo contro il proprio bacino ne era una prova concreta – ma farlo così, su un tavolo da cucina, la impensierì: da quando era diventata così assatanata? Per Merlino, con Ron aveva avuto paura persino di accendere la luce, in alcuni momenti, nell’intimità della loro camera da letto, mentre adesso si lasciava possedere addirittura così?

«Ti prego… - gli sussurrò contro l’orecchio, graffiandogli leggermente la schiena - …non qui

Lui protestò con un grugnito ma l’accontentò, afferrandola di peso e portandola sulla superficie morbida più vicina: il divanetto che si trovava nel passaggio dalla cucina alla sala da pranzo per gli ospiti – per giunta quasi mai utilizzata – che era coperto non solo dal tavolo ma anche dalla parete dei fornelli e dal frigo. Blaise, anche se fosse sceso, non li avrebbe visti di certo, pensò divertita Hermione, quindi avvampò di calore, sentendo il peso di Draco che gravava su di lei, coprendola. Lo spogliò a sua volta, completamente, ed accarezzò quelle parti del suo corpo che le erano state, fino a pochi attimi prima, nascoste. Senza volerlo, sbattè con il gomito contro uno spigolo e imprecò, assestandogli un pugno sulla spalla, al sentirlo ridere. «E’ possibile mai che ti fai sempre male? Non puoi lasciare guarire i lividi che già hai, prima di procurartene degli altri?»

«Ah, è così?» – fece per alzarsi, ma le mani di lui la intrappolarono prima che si allontanasse. Ecco, così di certo non avrebbe potuto farsi male, realizzò lui, sedendosi e adagiandola sulle proprie ginocchia, petto contro petto, labbra contro labbra, bacino contro bacino. Lei era ancora in parte vestita, constatò con disappunto, quindi le tolse quel poco che ancora lo privava di lei e la riadagiò sulle proprie gambe, e non solo su quelle. Come potevano due esseri così diversi quadrare alla perfezione? Era uno di quei fatti inspiegabili che, forse, prima o poi, la natura avrebbe deciso di rivelare ma, fino ad allora, a loro andava benissimo anche così.

Hermione si sentì protetta fra quelle braccia, Draco si sentì al sicuro, entrambi percepirono nell’altro la mancanza di loro stessi, la parte che ancora era priva della loro conoscenza. La strega raggiunse il limite del piacere con un gemito, stringendosi convulsamente alle sue spalle, prima di trovare le sue mani a darle appoggio e sostenerla, la testa poggiata nell’incavo nella sua spalla; lui sentì il calore divampare poco dopo, abbandonandosi contro lo schienale del divano e percependo con immensa gioia il profumo della sua pelle sudata gravare contro il lui.

Aspettò che il respiro si regolarizzasse, prima di prenderle il volto fra le mani e baciarla, con lentezza, con trasporto, con profondità. «Ecco, ora puoi tornare a farti male da sola. – sussurrò divertito lui, prima di sdraiarsi nudo e trascinarla giù con se – Ma preferirei davvero che non lo facessi.»

«Non posso farmi male, non più – cantilenò lei, afferrando al volo la propria vestaglia da terra e coprendo entrambi – Niente più Ricerca, niente più Metalli, niente di niente, ricordi? Adesso nulla può farci del male.»

Lui annuì, baciandole i capelli, gli occhi grigi fissi sul muro, lontani. Si, nulla poteva nuocerle, non l’avrebbe permesso… e prima avesse completato la ricerca, prima quell’affermazione avrebbe avuto valore anche per lui.

Si assicurò che lei dormisse, prima di liberarsi dalla sua stretta e alzarsi, coprendola con una coperta, appellata dalla sua camera, insieme ad una pila di vestiti. Fu pronto in un attimo. Non si voltò a guardarla, certo che la vista della sua figura scomposta, con un braccio abbandonato nel vuoto e uno sotto la guancia, le labbra storte in un smorfietta e i capelli arruffati, non avrebbe mai avuto la forza di andarsene. Ma doveva farlo. Sospirò, dirigendosi verso la porta. L’aprì, quindi alzò gli occhi alla notte, senza emettere un solo suono. Dietro di lui solo amore, davanti solo morte. Si tolse un foglio di pergamena dalla tasca, srotolando il piccolo foglietto e recitando sottovoce le parole che vi erano scritte, confuse al fruscio delle foglie e al rumore del vento.

Abish-talùk samiyr bradà, kadul satè emhprà

Welfuius arìk acjhal, semqueyl ashisz fihocjhal

Byop-dasyl markel defel, oktuyn markel defel

Abish-talùk samiyr bradà, kadul sate emphrà.

Le parole, imparate con minuziosa cura e grande diligenza, ripetute in biblioteca, nella sua mente, migliaia e migliaia di volte, fluirono come un fiume dalle sue labbra. Una parola dopo l’altra, sillaba dopo sillaba, vocaboli di un’antica e ormai dimenticata lingua, la lingua dei Guardiani, dei Metalli, una lingua che forse la sua bocca non era degna di pronunciare, eppure lo stava facendo. Nell’esatto momento in cui pronunciò le prime lettere, una scossa elettrica attraversò le sue membra, sfiorando le parti più profonde ed intime della sua essenza. Non arrivò il dolore, come si sarebbe aspettato, come spesso era accaduto in quei giorni,  ma soltanto una scossa elettrica, che si mescolò all’usuale strappo sotto l’ombelico che lo catapultò altrove.

Non c’era nulla intorno a lui, null’altro che fitta, grigia nebbia. Dov’era finito? Chunchiulos era nelle vicinanze o era solo una trappola? Sospirò, girandosi intorno, alla cieca, cercando un punto di riferimento: aveva letto che il Guardiano in questione era un “Custode della Nebbia” ma, all’inizio, aveva pensato si trattasse di un epiteto, di un titolo mitologico o altro. Del resto, quanto credito si poteva prestare alle parole di racconti leggendari e, per quel che ne sapeva lui, inesistenti? Certo, i poteri di Gonos e Liliat erano stati sufficienti per fargli cambiare idea, ma fino a che punto la sua razionalità poteva affidarsi all’incoscienza?

«Draco… mio dolce Draco…» Si voltò di scatto, gli occhi sgranati per la sorpresa. La percepì, ancora prima di vederla, ed ebbe paura di cadere, le ginocchia molli, il cuore in tumulto. Aprì la bocca, cercando di parlare, ma nessun rumore uscì dalla sua bocca. La sua mente gli suggeriva che si trattasse solo di un fantasma, una creazione e un subdolo giochetto del Guardiano ma il cuore… il suo cuore non voleva saperne.

Vedeva i suoi capelli biondi, il suo viso dolce e sottile, gli zigomi leggermente evidenti, la pelle pallida, quasi trasparente. Le labbra curvate in quel sorriso dolce e accondiscendente che aveva amato tanto di lei e che tanto gli era mancato, terribilmente mancato. Come un bambino incredulo, allungò la mano vuota, la bacchetta abbassata, verso di lei, senza aspettarsi altro che vederla scomparire, come la nebbia nella quale era avvolta. Ma non accadde. Percepì il calore che emanava il suo corpo, come uno spirito benigno, ma prima di toccarlo allontanò bruscamente la mano, incapace di accertarsi se fosse veramente lei o se non avesse altra consistenza al di là della nebbia. «Va tutto bene Draco, non avere paura.»

Quella voce, la sua voce. Tremò, ancora una volta, senza fare un passo indietro al vederla avvicinarsi, gli occhi ancora sgranati. E poi lo toccò: ne percepì la carezza, il modo gentile in cui le sue dita gli sfiorarono la guancia e il mento, poi su fino alla tempia e ai capelli. Quando sentì le sue  labbra premere contro la propria fronte fu certo di essere al limite della pazzia. «Mamma…» «Sono qui, piccolo mio, sono qui.»

Senza più importarsi di nulla, l’abbracciò di slancio, con impeto, stringendo la sua consistente essenza fra le mani, il suo busto al proprio petto: era più alto di lei, realizzò sfiorandole i capelli, e sorrise rendendosi conto di quel particolare. Era passato tanto, troppo tempo. Avrebbe voluto dirle tutto, dirle qualsiasi cosa, raccontarle ogni singolo evento della sua vita di cui non era stata partecipe, ma non ne ebbe né il coraggio né la forza.

Rimasero così abbracciati per giorni interi, o forse fu il suo amore a farglieli percepire tali, quando allontanò il volto dai suoi capelli la vide triste e subito un macigno gli calò sul cuore, sprofondando fino allo stomaco. «Mamma, cos’hai? Stai… stai male?»

La donna lo guardò con gli occhi coli di tristezza, allontanandosi di un passo ma senza lasciargli la mano. «Sono amareggiata, figlio mio. Perché lo stai facendo?»

Non ebbe bisogno di chiedere a cosa alludesse, semplicemente calò gli occhi, incapace di risponderle. «Hai una vita davanti a te, lunga e piena di salute. Sei forte, figlio mio, sei stato capace di sopportare il mio trapasso, quello di tuo padre, Daphne… perché continui a torturarti in questo modo? Cosa speri di ottenere? Nulla sarà mai come prima, anche se continuerai a provarci con tutte le tue forze. Ti supplico, rinuncia.» Lui scosse la testa: stava negando perché non voleva ascoltarla o perché sapeva quanto maledettamente avesse ragione? «Hai Hermione, hai qualcosa per cui valga la pena lottare, perché vuoi arrenderti? E’ questo che ti ho insegnato? Figlio mio… non esiste un modo facile di superare quello che tu hai superato, non esiste e non esisterà mai.
Porti un marchio per ricordarti ogni istante della tua vita cosa accade a chi prova ad andare dove non ci è consentito, non fare i suoi stessi errori.»

«Ma io non sono lui, madre, non pensate neanche a simili cose. Io… è solo che…» Delle lacrime gli bagnarono gli occhi, si affrettò ad asciugarle ma, non appena ebbe riaperto le palpebre, la donna era scomparsa. Si girò intorno a se, cercando la sua figura, ma era scomparsa. No, non poteva essere. «Mamma? – chiamò disperato – Madre, dove siete?»

Il silenzio fu l’unica risposta. Si era reso conto fin da subito che non potesse trattarsi di altro che di un trucco, un modo per ingannarlo, provarlo a livello emotivo ma… come poteva non abbandonarsi all’incoscienza e alla sua dolce presenza, fingendo che fosse vera? Era stato tanto sbagliato? Si morse il labbro, maledicendosi per le proprie debolezze.

«Draco… un Malfoy che piange non è un bello spettacolo. Perderesti la reputazione.»

«Non è possibile…» Si voltò, alla ricerca della fonte di quella voce, che sapeva perfettamente poter appartenere soltanto ad una donna. Si girò una, due, più
volte, finchè non la vide emergere dalla nebbia. Indossava un semplice abito di cotone, bianco con una fantasia floreale. Era bella, anche senza l’abito da sera che le aveva visto indosso l’ultima volta che l’aveva stretta fra le braccia. «Daphne.»

La fanciulla rise, senza aspettare che fosse lui a darsi una mossa, abbracciandolo d’impulso, gettandosi al suo collo e girando in tondo sul posto con lui, come due bambini. Stavolta, a differenza della vista di sua madre, rimase stranamente lucido, con la mente serena: dubitava si trattasse di una differenza dovuta al luogo o alla sua personalità, era certo che fosse Daphne a fargli quell’effetto. Erano qualcosa di inspiegabile, loro due, lo erano sempre stati, almeno finchè…

«Daphne, mi dispiace così tanto. Sei morta per causa mia. – mormorò le parole che avrebbe voluto dirle e alle quali aveva così a lungo pensato in quei giorni, al capezzale di Hermione – Tuo marito, tuo figlio, sei separata da loro per causa mia. Io… avrei dovuto morire al tuo posto.»

Lei non smise di sorridere. «Adesso anche i sensi di colpa? Ah, amico mio, se non sapessi che si tratta di te ti avrei già ucciso per paura che fossi qualcun altro… te la ricordi la nostra Polisucco? Oh, che darei per tornare a quei tempi. Ma, se non sbaglio, non sei qui per me e… mi deludi, Malfoy, dico seriamente.» La sua espressione divenne severa, faceva davvero paura, non c’era dubbio sul fatto che non stesse scherzando. «Hermione è viva, a casa tua, sul tuo divano, e tu le menti  e l’abbandoni per venire qui? Malfoy, dimmi che è uno scherzo.»

«Tu non capisci… - tentò lui – Io…» «Ah, io non capisco! – lo interruppe lei – Ho perso mio marito e i miei figli, sono morta quando avrei potuto invecchiare insieme ai miei nipotini. Oh, non osare dirmi che non capisco Malfoy.» Riprese fiato abbassando il dito che gli aveva puntato contro, quindi sorrise nuovamente. «Non sono un fantasma, Draco, so che lo pensi, ma non è così. Io sono… io, solo che sono un contatto diretto tra la tua mente e… questo posto. So cosa ti è successo perché lo sai tu ma, al contempo, non sono un frutto della tua immaginazione.»

Il mago tentò di capire ma non arrivò ad alcuna conclusione logica, tanto che anche il solo pensiero che quella non fosse Daphne a tutti gli effetti lo destabilizzava. Era lei, parlava come lei, si muoveva come lei. Poi, con un sorriso più dolce dei precedenti, gli si avvicinò, baciandogli una guancia. «Non sei il responsabile della mia morte, né ti incolpo per essa. Abbandona il tuo proposito Draco, non porterà da nessuna parte né te né nessun altro.» Con un soffio, un leggero spostamento di aria, scomparve. Il biondo riaprì gli occhi, cercandola, ma non la vide, accorgendosi che, probabilmente, anche lei era scomparsa come sua madre.

Le parole delle due donne l’avevano colto alla sprovvista eppure, gli doleva ammetterlo, non l’avevano smosso dai suoi propositi. Era proprio l’averle riviste, l’averle avute nuovamente acanto che gli aveva dato la forza e la convinzione di andare avanti, che la sua Ricerca fosse più che mai giusta. Non lo stava facendo per se, non lo stava facendo solo per se.

«Oh, Draco, debole come sempre. Non solo non sei capace di far nascere in te un briciolo di egoismo come ti avevo insegnato, addirittura poni altri davanti alla tua felicità.»

Se le prime due voci erano soavità e squisitezza allo stato puro, tanto lievi e brillanti da accecare chiunque le ascoltasse, questa era una voce diversa, fredda, dura, glaciale, il cui suono avrebbe preferito ignorare per il resto della sua esistenza, cacciando nel profondo della sua anima qualsiasi accenno o ricordo a cui la sua memoria lo guidasse. Quante notti insonni aveva trascorso, ancora bambino, con le orecchie rimbombanti di parole profuse da quella stessa voce, irosa e graffiante? Più della voce gentile di sua madre, di quella ilare di sua zia e di quella graziosa di Daphne, quella voce era l’incubo peggiore della sua infanzia. Si voltò lentamente, sapendo già chi sarebbe emerso dalla nebbia, i suoi capelli biondi, i suoi occhi truci e i lineamenti affilati. «Lucius.» - asserì tetro, guardandolo con odio.

La figura di suo padre non aveva perso neppure un briciolo della sua maestosa presenza, in tutti quegli anni, e intuì, ricordando le parole di Daphne, che la sua consistenza era tanto reale perché il ricordo che ne conservava la sua mente era il medesimo. Si odiò profondamente, rendendosi conto di non essere riuscito a scacciare il ricordo dell’anziano genitore in tutti quegli anni. Un freddo brivido gli scese lungo la schiena. Paura. Possibile che, dopo così tanti anni, fosse ancora capace di spaventarlo come un bambino spaurito? Si odiò ancora di più.
Prima che potesse anche sfoderare la bacchetta per difendersi, notò un movimento fluido del braccio di suo padre, che disegnò un arco, fendendo l’aria e lasciando che quel movimento disegnasse un arco molto simile sul suo braccio, scarlatto e dolorante. Si lasciò sfuggire un lamento e strinse la mano sulla ferita, nel vano tentativo di arginare il flusso di sangue: non era profonda ma dolorosa. Sguainò la bacchetta, senza pronunciare nemmeno una parola, rispondendo all’attacco, in fretta ma non abbastanza per Lucius. Lo disarmò con una facilità allarmante, prima di lasciare un segno molto simile al precedente sulla sua coscia. Ghignando, si avvicinò di qualche passo, puntando la bacchetta alla gola del figlio e costringendolo ad alzarsi si nuovo dalla posizione accasciata a cui il dolore l’aveva ridotto, un ginocchio per terra.

«Piccolo, insulso essere umano. E’ a questo che ti ho educato? – a conferma di ciò, la pressione della bacchetta sulla sua gola aumentò – Sacrificarti in questo modo per gli altri? Guardati. Piccolo sciocco e stupido egoista, che pensa alla sua favoletta con una Mezzosangue da bordello.» Il ragazzo strinse la mascella ma non reagì, stringendo al contempo i pugni e continuando a fissare suo padre negli occhi, ribollente di odio. «Si, si, proprio così mi piace: rabbia, odio, vendetta. E’ questo che vuoi non così? Vendicarti su di me per tutto quello che ti ho fatto passare. Fallo allora. Fallo

Con un gesto istintivo richiamò la bacchetta caduta per terra, rimettendola a forza nella mano destra del mago e allontanandosi di qualche passo, il volto deformato da un ghigno di trionfo. Si, era puro giubilo quello che gli si leggeva in volto. Era felice di quello che sempre aveva fatto provare a suo figlio, era felice di ogni minuto di agonia che gli aveva fatto patire, era felice dell’odio che adesso animava il suo spirito lacerato e non perdeva tempo a nasconderlo.
Quanto aveva odiato suo padre? Quanto tempo aveva passato a tremare di paura per le sue percosse, le sue occhiate truci, le sue grida? Quanta infanzia aveva gettato al vento per andare dietro ai suoi sogni megalomani, gli stessi che l’avevano reso quanto più lontano possibile dalla persona che avrebbe voluto diventare? Troppo tempo era rimasto oppresso dalle sue parole, dalla sua presenza. Alla sua morte, inspiegabilmente, aveva sentito un velo cadere sulla parte della sua anima con l’insegna “amore paterno” e con quel velo era scomparsa per sempre la speranza di riceverne. Era stato fortunato, certo, aveva ricevuto tanto amore immeritato da Hermione, da Daphne e da sua madre, ma nessuno mai gli avrebbe dato quello che altri ragazzini avevano avuto, quello che lui aveva sempre sognato di possedere.

«No.» - rispose semplicemente, senza, abbassare lo sguardo, notando con soddisfazione la maschera di perfetta felicità vacillare sul volto del mago.

Allontanò con un gesto brusco la bacchetta e si rimise eretto, raddrizzando le spalle e alzando il mento in alto, con una postura fiera. Si rese conto, nell’esatto attimo in cui compì quel gesto, che non gli ci era voluto molto, dopotutto, a ribellarsi a suo padre. Perché? Perché erano passati mesi, anni dall’ultima volta che gli aveva permesso di controllare la sua vita, di imporsi come autorità in questioni che non lo riguardavano. E mentre la paura di suo padre, dentro di lui, aveva continuato a sedimentarsi, fuori lui era cresciuto, era cambiato, era maturato. La maturità aveva portato con se la consapevolezza degli errori del passato, la consapevolezza della propria forza e, al contempo, della totale mancanza di forza del ricordo di suo padre. Perché si, non c’era altro che un fantasma, nebbia bianca e grigia che aleggiavano taglienti nella sua mente, inesistenti e passeggere, come un raffreddore di marzo. Suo padre e la sua tirannia erano scomparsi, eliminati dallo scorrere lento del tempo.

Fino a che non l’aveva rivisto lì, in carne ed ossa, davanti a lui, non si era mai reso conto di quanto la sua stretta ferrea si fosse allentata e, con ogni probabilità, neppure suo padre l’aveva mai capito, a giudicare dallo sguardo meravigliato che gli stava indirizzando in quell’istante.

«No, padre, non voglio vendicarmi su di voi, non voglio avere più nulla a che fare con voi. Nell’esatto attimo in cui siete morto avete smesso di costituire il pilastro pieno di aculei velenosi che sosteneva la mia esistenza. Siete diventato un’ombra, un ricordo, un semplice cadavere morto, appartenente al mio passato con alcuna rivendicazione sul mio futuro. – sogghignò, scuotendo la testa – Quanto dovevo essere sciocco, piccolo bambino impaurito, a guardarvi con timore e implorare il vostro perdono o la vostra approvazione, chiamarvi con il voi… ah, Lucius, non sei altro che passato per me, non esisti, non esisterai mai. Non mi fai più paura.»

Nell’esatto attimo in cui pronunciò quelle parole, un vento gelido lo avvolse, lasciando che la nebbia oscurasse qualsiasi barlume di visibilità che aveva avuto a disposizione fino a quel momento. Cercò di tenere gli occhi aperti ma era pressappoco impossibile, in quelle condizioni.

«Ah, Draco, chi l’avrebbe detto? Tu che non temi tuo padre… ho fallito il mio compito, Syfil sarà furioso con me… e Gonos si divertirà a provocarmi, il solito maleducato, pomposo e… oh, ma che scortese.»

Prima ancora che il rimbombo di quelle parole si spegnesse nella sua testa, tutto intorno tornò ad essere calmo, la nebbia si distese come un are ai suoi piedi, disegnando arabeschi e volteggiando leggera a qualche passo da terra, mentre il vento si disperse in un ultimo e acuto sibilo, svanendo nel nulla. Davanti a lui, nel posto esatto in cui si trovava la figura di suo padre, si ergeva un uomo: alto, le braccia nude e muscolose, di una carnagione chiara ma non lattea, con indosso una casacca lunga, di pesante stoffa scura. Doveva essere un Guardiano, registrò il biondo. Prima che potesse formulare un altro pensiero coerente, l’uomo si calò il cappuccio, rivelando una chioma bionda appena accennata e dei tratti spigolosi che, con lentezza estenuante, mutarono. I capelli si accorciarono, divenendo castani, gli occhi si allargarono leggermente, mentre il mento si addolcì un poco, ricoprendosi con uno strato sottile di peluria. Non aveva mai parlato con suo padre: la figura che aveva avuto davanti era sempre stato il Guardiano. Maledisse se stesso per la poca attenzione che aveva prestato a quel dettaglio, lasciandosi giocare come un pivello.

«Anche Daphne e mia… madre, eri sempre tu, non è così?»

La domanda più ovvia, eppure non scontata. «Credici o meno, no, non ero io. Tuo padre non era parte di te in quanto non l’hai mai accolto nel tuo cuore, non poteva proiettarsi a te come invece hanno potuto fare le due donne. Entrambe fanno parte di te e entrambe sono reali… nella tua mente. Oh, sto parlando troppo. Chunchiulos, ma il mio nome già lo conosci, non è così forse? Sei stato molto attento a non tralasciare nessun dettaglio mentre venivi qui. Nukter e Liliat ti hanno giocato per benino eh?»

«Hai intenzione di uccidermi?»

Era stato più diretto di quanto intendesse essere ma non si pentì delle sue parole, restando a fissare l’uomo davanti a sé a mento alto. A sua volta, il giovane ricambiò il suo sguardo con un sopracciglio alzato. «Chi, io? – ghignò divertito – Per la misericordia, nemmeno per idea! Mi sono lasciato trascinare nei panni di Lucius ma sono più pacifico del vostro Ghandi!»

Sorvolando sul fatto che non aveva la minima idea di come un Guardiano potesse conoscere uno dei maggiori pacifisti terrestri e babbani, continuava a non fidarsi della sua falsa simpatia e disponibilità, c’erano troppi fattori che giocavano contro di lui. Primo, era un guardiano e già questo poteva essere sufficiente. Secondo, l’aveva ripetutamente ferito e non senza un pizzico di sadico divertimento. Terzo, essere pacifici e proteggere un Metallo era come mettere insieme idromele e acqua santa. Ma anche solo la prima motivazione poteva essere sufficiente: era un Guardiano, punto. Aveva avuto la fortuna di scampare la morte solo poche settimane prima e, adesso, non avrebbe permesso all’ennesimo futile errore di rovinarlo ancora una volta, sarebbe stato da irresponsabili. Era lì per il Metallo, si sarebbe battuto per esso.

«Il metallo… dimmi dove si trova, poi potrai provare a fermarmi se…»

«Chunchiulos? Giusto, è per quello che sei qui.- Draco fu quasi certo di poter vedere una lampadina accendersi sulla sua testa in quel preciso istante – Ma bastava chiedere!» Come se nulla fosse, il suo braccio snello e muscoloso si agitò in aria, disegnando un arco tanto simile a quello compiuto prima per ferirlo che il biondo non si trattenne dal sussultare leggermente. La fiala apparve davanti a lui, perfetta e trasparente, con una consistenza tanto simile alla nebbia da impressionare anche lui. Senza staccare gli occhi dal Guardiano neppure per un attimo, fece qualche passo incerto verso l’ampolla che levitava a pochi metri da lui. Con ancora maggiore circospezione, tese la mano verso di essa, afferrandola. Chunchiulos proruppe in una fragorosa risata.
«Quanto siete buffi voi umani. Credi davvero che potrei ucciderti dopo averti rivelato dov’è la fiala? Buona questa…»

«Perché l’hai fatto? – domandò il mago, ingenuamente, abbassando per un istante la guardia – Dov’è il trucco?»

«Trucco? Non ce n’è alcuno, mio giovane amico. Ogni Guardiano decide cosa fare del proprio Metallo, ognuno vede nel proprio avversario quello che preferisce, decidendo se ne sia degno o meno. Tu hai affrontato la paura di tuo padre con un coraggio che ho apprezzato, anche se mi hai sorpreso, lo confesso. E il trasporto verso le due donne bionde di prima… una delle due era tua madre, dico bene? Non posso che leggere quello che la nebbia mi rivela, mio giovane amico. Mi dispiace molto per le ferite, ti aiuterei ma non è il mio potere: la nebbia può certamente celare ma non curare. Torna a casa…»

«E mi lasci andare così?»

Ancora una volta, il Guardiano sorrise dell’ingenuità del giovane mago. «Si, esatto. Perché ci sono cose che ho sentito stanotte, cose che ho visto in te, cose che neppure la nebbia avrebbe potuto nascondere. Tu vuoi finire la tua Ricerca ma sai che non vorresti perché finiresti con l’ottenere ciò che desideri e perdere ciò che vuoi.» Come poteva aver centrato il punto con frasi tanto auliche e metaforiche? «Addio, giovane mago.»

***

Si sedette sulla poltrona di pelle scura, accomodandosi con le ginocchia al petto e accarezzando la copertina con le dita. Un libro antico, uno che non avrebbe mai preso in mano se non fosse rimasta da sola, nuda sul divano della cucina, con Draco scomparso chissà dove, senza darle alcuna spiegazione o lasciarle alcun biglietto. Avrebbe dovuto darle delle spiegazioni, appena tornato, anche se al momento la compagnia dei libri le sarebbe stata sufficiente. Del resto un libro non avrebbe mai potuto essere infedele, tradirla o abbandonarla, come molti avevano fatto nella sua breve esistenza. I muri della biblioteca, che si trattasse di quella di Hogwarts o della casa in cui viveva con Ron o della Manor, avevano da sempre costituito un rifugio e un luogo sicuro, in cui ogni preoccupazione o ansia svanivano, sciogliendosi fra le righe di un tomo di Storia o di un romanzo o di…

«Un tomo di biologia…» Mormorò il titolo sottovoce, aprendo il libro ad una pagina qualsiasi. Non era uno dei volumi migliori della biblioteca, nemmeno il più dettagliato tomo di botanica dello scaffale, un libro che si certo, in una condizione normale e con la lucidità del caffè, non avrebbe mai preso in mano.
Sfogliò distrattamente le pagine, rendendosi conto fin da subito che quello non era un libro normale: le parole erano casuali, le immagini sbiadite, come se qualcuno… Incredula, speranzosa addirittura, prese la bacchetta dalla tasca della vestaglia, dove l’aveva riposta per puro caso, dal momento che non c’era nulla da temere nelle mura della Manor, e mormorò l’incantesimo di disillusione. Le parole sbiadirono, le immagini di dissolsero e le pagine si riempirono di fitte note, vergate da una mano delicata con una calligrafia perfetta, che lei conosceva bene.

Nell’attimo esatto in cui comprese di cosa avesse fra le mani, la ragione e il suo istinto le consigliarono di mettere da parte quel tomo e non leggere neppure una riga di quanto c’era scritto: pensieri, sentimenti, riflessioni, qualsiasi cosa avesse potuto sfiorare e sfiorasse tutt’ora la mente del suo biondo amante. Come poteva tradire la sua fiducia a quel modo, si chiese. Ma come poteva resistere alla sua curiosità, si domandò in contemporanea? Se Draco l’aveva nascosto con tanta attenzione doveva sicuramente esserci una ragione, e lei era troppo Hermione Granger per ignorarlo. Sperando che lui non lo venisse mai a sapere lesse l’ultima pagina del libretto, indicata da un segnalibro.

Il suo volto cambiò colore, potè percepire addirittura il fumo che le usciva dalle orecchie. Chiuse il libro con un gesto brusco, buttandolo sulla poltrona nella quale era seduta poco prima, senza minimamente preoccuparsi di ripetere l’incantesimo che, inizialmente, le aveva celato il reale contenuto dello stesso. In testa, le ultime parole le rimbombavano come mandragore impazzite, costringendola a tapparsi le orecchie nell’inutile tentativo di placare quelle rivelazioni.

Le ho promesso di non mentirle, ma questo… sono i Metalli, non posso lasciarli andare dopo che sono così vicino a riunirli… ora c’è anche Daphne, in ballo, non posso lasciar perdere tutto così… non lo farò.

Le aveva mentito. Le aveva promesso che non l’avrebbe fatto, eppure lui le aveva mentito.
 








 
Spazio autrice ù.u

Salve giovani cavallette, come vi va la vita? Da me piove, il che vuol dire che la mia giornata a mare è saltata e il mio morale è a terra. Che rompi -.-
Ma almeno riesco a far felici voi con questo capitoletto fresco fresco – che, vorrei sottolineare, mi ha tenuta occupata per molto, troppo tempo, anche a causa degli esami. Naturalmente la cosa non potrebbe essere più futile come giustificazione ma vi prego di capirmi *_* La cara barbarak aveva ragione, Herm non solo scopre il diario ma lo legge anche: è troppo Hermione Granger per non farlo. Draco ha ottenuto la fiala numero sei e ora viene il bello. Insomma, facendo una previsione su cosa succederà nel prossimo capitolo, cosa farà ma la bella mora contro il bugiardo biondo? Ah, potrei sorprendervi! xD

Ora vado… a salvare in parte la mia serata, che si preannuncia un completo disastro. E giuro che risponderò alle recensioni, datemi tempo ^^ E naturalmente aggiungo anche il volto dell’odiatissima Liliat e del carissimo Chunchiulos – soprattutto dal momento che ha il volto di Ian *-*

Un bacione, K 

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Capitolo 19
*** ;;Betrayments, lies and love ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XVIII:

Betrayments, lies and love

Rimase ferma, seduta davanti al fuoco, in mano null’altro che un cuscino di velluto scuro, beige e marrone, con un fermaglio a forma di serpente intrecciato. I giochi di luce provenienti dall’unica fonte di calore e di luce, il camino, risplendevano nel buio dell’enorme salone, raggiungendo a tratti, quando la fiamma si alzava più alta, il corridoio, la scalinata centrale e la cucina. Le finestre erano rigorosamente chiuse. Il vento, quella notte, era  impetuoso, furioso e indomabile, tanto da scardinare qualsiasi cosa al suo passaggio: rami, pietruzze, foglie. Soltanto i sentimenti di un cuore infranto erano al sicuro, rinchiusi nel grande Manor di pietra. Anche il suo proprietario aveva un cuore di pietra. E lei, ormai se ne stava rendendo conto, per quanto tentasse e pregasse, non avrebbe potuto mai fare nulla per infrangere quell’involucro di diffidenza e circospezione, menzogne e bugie che lui aveva deciso di erigere intorno a se. Non solo non era in grado ma, probabilmente, non lo sarebbe mai stata: era sciocco illudersi che lui si sarebbe aperto a lei completamente, era stupido tentare di convincersi della sua buona fede, era ridicolo anche solo immaginare che lui tenesse a lei più di quanto lei tenesse a lui. Dopo tutto quello che aveva passato, dopo i tradimenti di cui era stata vittima, com’era riuscita a non vedere al di là del velo della sua menzogna, delle sue bugie e di tutti i peccati che lui le aveva riversato addosso? Com’era riuscita a sentirsi protetta e al sicuro fra quelle mani, che le tappavano la bocca e coprivano gli occhi, impedendole di protestare o di vedere le sue lame di bugie e inganni? Come aveva potuto lui tradirla e lei, a sua volta, lasciarsi tradire? E perché, malgrado tutto, ora al posto del suo cuore c’era una voragine che non voleva saperne di rimarginarsi?

Lui non le aveva mai promesso nulla di materiale, nulla di reale, si rese conto a malincuore, ripensando a quello che era successo quella sera. Avevano condiviso missioni, numerose lotte, campi di battaglia e nemici spietati, si erano spalleggiati per i reciproci desideri e ciascuno con un proprio proposito in mente: lei voleva indietro la sua vita, lui voleva i Metalli, né il perché né altro le era stato dato sapere. Stranamente, constatò, anche questa era colpa sua: non aveva mai preteso di sapere il perché gli servissero quelle fiale e neppure aveva mai accennato a chiederglielo, sicura di un suo ostinato silenzio. Naturalmente lei gli aveva aperto il suo cuore, la sua anima, tutta se stessa, non c’era parte di lei, ormai, che gli fosse sconosciuta o nascosta: e più lei si denudava a lui, più lui si nascondeva a lei, maledetta e infima serpe. Come era riuscito a cancellare anni di ostinata diffidenza con qualche sorriso smagliante e qualche avventura?

Quello che, adesso, era anche peggio dell’essersi lasciata abbindolare dalle sue parole e dell’aver creduto alle sue menzogne – perché, per quanto poteva saperne, quella non era l’unica bugia che le aveva rifilato -  era l’essere costretta ad affrontarlo e fare i conti con i suoi occhi, la sua espressione e il suo volto, visti pochi attimi prima nel culmine dell’estasi. Tirò su col naso, asciugandosi con il dorso della mano altre lacrime amare dalle guance. Era mai possibile che fosse fuggita da una relazione orribile per finire in qualcosa di peggiore? Come spesso suo padre amava ripetere, dalla padella alla brace, uno dei suoi detti babbani preferiti, perfetto in una situazione come quella. Lei, Hermione Granger, di nuovo nei panni della stupida. Avrebbe evocato un pacco di fazzoletti dal ripiano della cucina, se ne avesse avuto la forza, ma anche il solo pensiero di allungare la mano ed afferrare la bacchetta le appariva come uno sforzo sovrumano. Era così anche il dolore che stava sopportando? Sovrumano? Chi poteva dirlo.

Generazioni di donne, fanciulle, perfino bambine, avevano visto i propri sogni spazzati via da uomini dalle forme più svariate e dai caratteri più vari: perché lei doveva costituire un’eccezione? Cos’aveva lei di diverso dall’amore impossibile di Giulietta, di Isotta, di Desdemona o di Cathy? Poteva davvero definire la propria condizione superiore a qualcuno che aveva sofferto la maledizione del sangue della propria stirpe, essendo poi costretta ad uccidere i propri figli? Superiore a qualcuno che aveva accettato di rinunciare al proprio amore a causa delle sventure di sua sorella, come punizione per l’uomo che gliele aveva inflitte? Superiore addirittura a qualcuno che aveva lasciato capitolare la propria condizione sociale e il proprio amore per il figlio a vantaggio di una vita di amore e, poi dopo, anche di morte?(1)  Quante eroine della letteratura babbana aveva immaginato nelle loro vesti di amanti bellissime e sventurate? Quante aveva compatito, ammirato e infine amato, mentre gli occhi accarezzavano avidi le parole sulla carta ruvida, nella lettura? Alla luce di simili realtà, impossibilitata dal paragonarsi ad un’eroina sulla carta, poteva davvero sperare di vivere qualcosa di peggiore della loro sorte?

L’istinto iniziale era stato quello di scappare, andarsene, le valigie pronte nella camera a fianco ne erano una prova concreta, eppure non avrebbe agito come una vigliacca, si era detta, lasciandolo senza una spiegazione o senza alcun merito. Lui l’aveva aiutata in molti modi, negarlo sarebbe stato ipocrita, ma le sue colpe superavano di gran lunga i suoi meriti e di questo doveva essere messo a corrente. Così, dal momento che la vigliaccheria non le era appartenuta né le sarebbe appartenuta mai, era rimasta seduta sul divano, davanti al fuoco, nel caldo accogliente di un posto gelato dalla menzogna e dalla colpa. Ancora lacrime, ancora pianti, ancora sofferenza, solo pura sofferenza per Hermione Granger.

Non capì realmente che la porta si fosse aperta fino al momento in cui una folata d’aria fredda la investì, lasciando che un brivido freddo le scorresse lungo la schiena, facendo tremare gli infissi delle finestre sigillate, che protestarono con un sibilo basso all’intrusione di una simile forza: non era un tempo normale, per l’inizio dell’estate. Una tempesta era in arrivo e lei era nel centro esatto del ciclone, si disse. Provò a muovere qualche arto, giusto per rimettersi in piedi, scoprendo a malincuore di avere i piedi formicolanti per via della posizione immobile a cui si era costretta per tanto tempo. Si lisciò i jeans, in piedi per miracolo, quindi la camicetta bianca, larga, leggermente lunga e trasparente, forse fin troppo scollata per lasciarlo una volta per tutte. Non ci aveva pensato quando l’aveva indossata, la rabbia e la cecità delle lacrime avevano scelto per lei. Mosse le dita dei piedi, rivolta verso il grande arco nel muro che separava l’ingresso dal salone, accertandosi di averle ancora tutte e dieci funzionanti: era intorpidite ma tutte al loro posto. Lasciò uscire l’aria dalla bocca, inspirando la freschezza della notte che il vento aveva portato con sé, quindi asciugò con decisione le ultime lacrime: che senso aveva quella sceneggiata? Se ne sarebbe accorto nel giro di mezzo secondo che aveva pianto, il rossore intorno agli occhi non era certo dovuto all’ombretto!

Il biondo non si accorse di lei fino all’attimo esatto in cui indugiò con lo sguardo sul camino, dove l’ombra di Hermione si stagliava con estrema precisione contro la luce delle fiamme. Si bloccò. La bacchetta che aveva in mano quasi gli sfuggì dalle dita. Cosa provò, in quell’istante, Draco Malfoy? Non era uno stupido, certe cose non possono essere semplicemente casuali e banali perché le si vuole considerare tali. Hermione non era in piedi per l’insonnia, non era lì perché aveva freddo ed aveva deciso di scaldarsi davanti al fuoco, non era lì vestita perché aveva deciso che il pudore di un pantalone lungo e una camicetta potessero cancellare da lei il peccato dei gemiti esalati fra le sue braccia. No. Lei era lì perché sapeva che lui se n’era andato nel cuore della notte, perché sapeva che l’aveva lasciata nel cuore della notte, perché sapeva che… Lo sguardo gli cadde – e fu un miracolo che un dettaglio così piccolo gli saltasse subito agli occhi, nella semioscurità della stanza, dettato probabilmente dalla conoscenza quasi maniacale che aveva d tutto il proprio mobilio – su un libricino posato sul tavolino accanto al divano, solitamente vuoto. Non gli ci volle molto a capire perché quel libro gli sembrasse familiare: l’aveva tenuto in mano poche ore prima di congedarsi dalla biblioteca e raggiungere Blaise ed Hermione del salotto, intenti a giocare a carte. Il suo diario.
Cominciare un discorso sulla privacy sarebbe stato talmente ridicolo che, al confronto, anche negare l’esistenza sul suo braccio sinistro di un Marchio Nero avrebbe potuto passare per una conversazione più stimolante. Anzi, cominciare una discussione, nelle attuali circostanze, era quasi come auto-proclamare la propria morte o, peggio, la morte della loro relazione. Perché era questo che lei gli avrebbe detto. Lo sapeva, lo sapeva bene. Sapeva altrettanto bene che lei lo stava osservando, in quel momento, anche se il suo volto gli era nascosto per via della semioscurità della stanza, condizionata dal fuoco alle sue spalle. Muoversi era come dare il via a quello scontro non verbale, lasciando che ai gesti si sostituissero le parole, ma lui non era pronto.

Si misurarono in silenzio, fermi come statue, l’uno davanti all’altra, pochi metri a separarli, finchè a malincuore lui non mosse la bacchetta, accendendo la luce del salone. Il suo sangue gelò.

Il volto di Hermione era sconvolto dalle lacrime. Non era bagnato – il suo orgoglio e la sua stoicità, probabilmente, l’avevano indotta ad asciugare qualsiasi residuo di umidaa amarezza dal suo volto prima che lui arrivasse – ma era leggermente gonfio, il labro superiore sporgente e gli occhi scavati in due solchi rossi. Non aveva soltanto pianto, aveva pianto l’anima. Aprì la bocca, tentando di dire qualcosa, qualsiasi cosa che le sue labbra e la sua lingua riuscissero ad articolare, ma non ne uscì nulla. Tentò con un gesto allora, alzando leggermente la mano nella sua direzione e facendo un passo incerto: lei, a sua volta, arretrò di un passo da lui. Draco si fermò, abbandonando le braccia lungo i fianchi, decidendosi finalmente a guardarla negli occhi.

Hermione non aveva mai staccato gli occhi da lui. L’aveva visto tentare di parlare, di reagire con un gesto, eppure lei non aveva sentito la necessità di regalargli nessuna di quelle concessioni. Notò che una delle sue tasche era rigonfia di un contenuto rotondo, probabilmente vitreo. Le venne da sorridere, non riuscì a trattenersi: un sorriso amaro, deluso, triste. «Ne è valsa la pena, non è così?»

Lui intercettò la direzione del suo sguardo, estraendo la piccola fiala dalla tasca, posandola sul ripiano di legno più vicino. Ancora taceva. Sapeva che toccava a lui parlare, spiegare, tentare di convincerla della sua buona fede, forse addirittura condividere con lei il segreto che avvolgeva quelle fiale, ma ancora gli mancava il coraggio. La sua bocca si aprì almeno un altro paio di volte, speranzosa, ma non ne uscì alcun verso. Lo sapeva ancora prima di parlare. Cosa poteva fare lui per convincerla a restare? Cosa poteva dirle che le facesse cambiare idea sul suo conto? La fiducia di Hermione Granger, una volta persa, era persa per sempre. Lui l’aveva persa. Si tolse la giacca che aveva indossato prima di uscire, lasciandola cadere su una sedia, quindi tornò a guardarla, poco prima di abbassare gli occhi: il suo sguardo era una lama di sconforto e dolore che non era in grado, non ancora, di sopportare. Forse non lo sarebbe stato mai, penso amaramente.

La strega lo squadrò la capo a piedi, notando con una fitta al cuore che i suoi vestiti non erano immacolati: accanto all’usuale sporco che, inevitabilmente, accompagnava i loro abiti al ritorno da una missione, c’erano anche grumi più scuri, leggermente rossastri. Era sangue. L’istinto di correre a verificare se stesse ancora sanguinando o se le sue ferite fossero gravi lo trattenne a fatica, stringendo i pugni e tentando di conservare, fnchè possibile, il proprio intento: parlare e arrivare fino in fondo. Prima che lui tornasse era certa, sicura di riuscire in quel proposito senza troppi problemi, almeno finchè non aveva visto le sue effettive condizioni. Era giusto provare pietà, si chiese, per qualcuno che l’aveva trattata con così poco riguardo, gettando il suo cuore in pasto agli Ippogrifi? Era giusto desiderare di abbracciarlo, stringerlo forte e curarlo come già aveva fatto tante volte? Come poteva – maledizione! – essere giusto tenere a cuore una Ricerca che non era propria soltanto perché era a lui che stava a cuore? Oh Godric! Che cosa aveva fatto di tanto sciagurato da meritare una storia così controversa?

Eppure, proprio come era arrivato, il momento di comprensione scivolò via, sostituito dalla consapevolezza: erano state proprio le ferite che gli vedeva addosso la causa della sua sofferenza, come poteva soffrire di e per esse? Scosse la testa, rassegnata, con estrema e misurata lentezza, senza staccare i suoi occhi da quelli di lui. Non era certa che fosse il momento giusto per parlare, non sapeva nemmeno se ce ne sarebbe mai stato uno, eppure il silenzio era decisamente la scelta meno saggia. Dovevano parlare o, quantomeno, dovevano dirsi addio. Per quello che c’era stato tra di loro – almeno, per lei – sentiva di essere quasi obbligata a farlo. Indicò il diario con un cenno del capo.

«So che dovrei dirti che mi dispiace averlo letto ma non lo farò. Non sapevo fosse il tuo diario finchè non ho scoperto l’incantesimo e l’ho rimosso. Ho letto soltanto le ultime pagine, purtroppo sono state sufficienti. – fece una pausa, tirando su con il naso, gli occhi di nuovo lucidi, quindi proseguì – Io… non mi ero mai resa conto di quanto sfuocati fossero i confini della nostra relazione finchè non ci ho pensato su…»

Draco aprì la bocca. Sei pericolosa quanto pensi, Granger. Eppure non ebbe il coraggio di dirlo, sicuro che lei si sarebbe alterata ancora di più. Abbassò lo sguardo, in attesa che lei proseguisse.

«…e ho capito – continuò lei, come se niente fosse, dopo che il lampo di speranza nei suoi occhi si era spento – che la colpa è mia. Tu non mi hai fatto nessuna promessa, non hai preso alcun impegno. Quello che ci è stato per te non ha rappresentato nulla, e mi sta bene. Quello che invece non mi sta bene, Draco, è che tu mi abbia mentito. Si, insomma, è stata una menzogna bella grossa, non sono nemmeno certa che fosse la prima che tu mi abbia detto. Mi sono fidata di te, mi sono fidata di ogni tua parola, di ogni tuo gesto, di qualsiasi cosa ci fosse tra di noi. Mi sono fidata del modo in cui mi guardavi, del modo in cui mi parlavi, di come mi toccavi e per un attimo mi sono fidata di quello che avrebbe potuto esserci se solo mi fossi affidata a te. E l’ho fatto. Però poi, il tuo tradimento… non puoi capire cosa ha rappresentato per me il tuo tradimento, Draco. Io… io…»

Non riuscendo più a trattenere le lacrime, si portò la mano alla bocca, soffocando un gemito, quindi gli volse le spalle, incapace di mostrarsi tanto debole davanti a lui: aveva avuto già tante vittorie, non gli avrebbe concesso di avere anche questo.

«Hermione io… lo so che ho mentito, so benissimo che nulla mi può giustificare, eppure io…»

«Eppure tu – concluse lei, volandosi nuovamente, rinvigorita da nuova forza – vuoi comunque tentare, non è forse così? L’illudermi che tu fossi cambiato, che io  ti avessi cambiato non è stato altro che un sogno. Tu non hai mai voluto cambiare, fin dai tempi di Hogwarts sei riuscito sempre e solo a capire due parole: scopo e mezzo. Adesso il tuo scopo sono i metalli, io sono il mezzo più veloce per raggiungerlo. Ma hai la più pallida idea di cosa ho fatto perché tu fossi al sicuro? Di cosa ho dovuto dire ad Harry per non farti scoprire?»

«Certo, adesso è anche colpa mia di cosa succede tra te e Potterino vero?» Lo disse d’istinto, spinto da quel senso di ribellione frammisto ad orgoglio che neppure il dispiacere di vederla piangere e disperarsi avrebbe potuto cancellare. Se ne pentì un istante dopo aver pronunciato quelle poche parole, troppo tardi. Lei sgranò gli occhi, incredula, e prima che lui potesse anche solo tentare di scusarsi, riprese più agguerrita di prima.

«Se è colpa tua…? Certo che lo è! Non sarei nemmeno coinvolta in questa faccenda se non fosse per te. Non avrei rischiato di morire, se non fosse per te.

Non avrei mentito al mio migliore amico per proteggere quello a cui tieni, se non fosse per te. Non mi mancherebbe nemmeno un pezzo della memoria se non ti avessi accompagnato, lo sai benissimo! Hai rinchiuso Ginevra nei sotterrai del Manor perché aveva tentato di avvelenarmi quando in verità non ne avrebbe mai avuto modo se non fosse stata costretta a curarmi.»

«Mi stai dicendo che avresti preferito che ti lasciassi morire piuttosto che affidarti alle cure del Medimago più vicino?» Ancora una volta fu l’istinto a guidarlo, ancora una volta non riuscì a trattenersi, anche se stavolta se ne pentì meno. Stavano discutendo niente di meno come una normale coppia, anche se l’oggetto di discussione era ben oltre la definizione di “normale”, così come la loro stessa relazione. La fissò dritto negli occhi: solo l’immobilità a cui era costretto gli ricordò alcune delle ferite che suo padre, o meglio Chunchiulos, gli aveva inflitto. Storse leggermente la bocca, mascherando abilmente la cosa per un ghigno, consapevole solo in parte della reazione che avrebbe avuto Hermione.

«No, stupido idiota! Se non fossi venuta con te in quella stramaledettissima caverna non avrei proprio avuto bisogno di cure, né quelle di Ginny né di nessun altro. Possibile che non te ne renda conto? O vuoi dirmi che il tuo ego sangue blu è talmente smisurato da mascherare perfino questo dettaglio? E’ stata colpa tua, tua e soltanto tua se quello che mi è successo mi ha portato vicino alla morte.»

«Sicuro! – replicò lui, appoggiandosi al tavolino vicino per non cadere, il dolore alla gamba che l’aveva colto alla sprovvista – E’ sempre colpa mia, dimenticavo! Maledizione, Granger, ma ti senti quando parli? Possibile che quell’aria saccente non ti abbandoni mai, neppure fuori da scuola? Ti sei mai soffermata a domandarti le ragioni per cui ci tengo tanto a queste fiale? A cosa servono?»

«Non sono tanto ingenua da ritenere possibile un’occasione in cui tu possa confessarmelo. Non l’hai fatto in questi mesi, cosa ci sarebbe di diverso ora? Mi basta sapere quello che so per capire che non porteranno a nulla di buono… perché credi avessi chiesto ad Harry di indagare, con alcuni membri della Sezione Misteri? Se non fosse stato per il mio coinvolgimento sentimentale, figuriamoci se staresti ancora qui a divertirti! Ho tradito il mio Ministero pur di salvarti le chiappe, maledizione!» Gelò. Non avrebbe voluto dirlo, lui non avrebbe mai dovuto saperlo. La faccenda riguardava un piano iniziale di Harry a cui lei, a malincuore, aveva partecipato, ai suoi primi giorni al Manor. Il suo migliore amico le aveva chiesto di non prendere troppo sul serio le promesse di Malfoy e, se possibile, indagare su possibili diavolerie presenti del castello. In cambio avrebbe ottenuto il reintegro nella Società Magica. All’epoca lo stesso Malfoy le aveva offerto più o meno lo stesso accordo ma, date le circostanze, aveva preferito dar ragione ad Harry. Non aveva mai rapportato nulla al suo migliore amico che non riguardasse la ricchezza dell’argenteria o l’insopportabile presenza di Blaise, soprattutto perché il coinvolgimento era diventato troppo forte e aveva preferito lasciar perdere. Draco, di tutto questo, non aveva mai saputo nulla.

Il volto di Malfoy divenne ancora più bianco, tanto che si costrinse a restare lucido e non capitolare per terra: perché le ferite stavano dolendo tanto proprio adesso? Era una conseguenza del fatto che stesse discutendo con Hermione o, semplicemente, prima non vi aveva prestato abbastanza attenzione da accorgersene? «Mi stai dicendo che tu, in casa mia, mi stavi spiando?» Percepì l’ira che gli fluiva nelle vene come lava ribollente di amarezza e dolore, tradimento, menzogna. E poi era lui il traditore?

«Non ci senti? – sbottò lei, le lacrime ormai scomparse completamente – Mi sono rifiutata di dire qualsiasi cosa per te, per proteggere te e i tuoi stupidi Metalli e la tua maledetta Ricerca. Sai quanto mi è costato restare qui, al tuo fianco, mentre avrei potuto semplicemente dare al Ministero quanto necessario per mandarti ad Azkaban? Mi avrebbero permesso di tornare nel Mondo Magico, al mio posto, al mondo che mi appartiene.»

La maschera di indifferenza che si abbassò sul viso di Draco le ricordò i loro primi approcci, quando ancora non erano altro che estranei l’uno per l’altra. «Allora perché diavolo sei rimasta qui, per Salazar! Volevi tornare nel mondo Magico e ai tuoi amichetti, bene! Perché hai continuato a restare nel Manor e a oziarti con la mia presenza? Avevi il mezzo per tornare al posto che ti spetta, io avrei colto l’occasione al volo.» Sempre che tu fossi rimasta comunque con me. Quel pensiero passeggero lo destabilizzò ma non abbastanza da abbassare la guardia. Com’erano finiti a parlare del loro rapporto in termini di Azkaban e spionaggio e Ministero? Non si trattava di loro due? Non era tra di loro che dovevano sistemare le cose? Sembrava invece che, nella loro relazione, c’entrasse l’intero Mondo Magico – non si sarebbe sorpreso di scoprire anche il Mondo Babbano immischiato più del dovuto.

«Ed è questo che, grazie al cielo, mi rende diversa da te, Draco! Io a te ci tenevo, mi fidavo di te, abbastanza da credere in te più che nei miei amici e nel mio orgoglio. Cosa credi abbia comportato per me stare qui, lontana da tutto e tutti? Avevo te, ma come potevo avere la certezza che, una volta finita la ricerca, una volta che non ti fossi servita più o che… ti fossi stancato di me, non sarei tornata nel locale dove mi avevi pescata? Credi sia stato facile?»

«Non osare neppure mettere in dubbio le promesse che ti ho fatto, Granger. Non stai parlando del tuo Lenticchia ma di Draco Malfoy.» Sventolò la bacchetta in aria, appellando un fascicolo dalla libreria che aveva alle spalle, nel corridoio; lo aprì con un gesto brusco, tirando fuori un foglio di carta e quindi gettandolo nella direzione di Hermione. Il foglio cadde a terra e lei non si premurò di raccoglierlo, concentrata a seguire la sua messinscena ancora per qualche istante. «Quello è il contratto che ho fatto firmare ad Armando ieri. Con quello non solo puoi tornare nel Mondo Magico, ma puoi perfino riavere la tua vecchia vita migliore di quanto non fosse prima. Avevo intenzione di dartelo domani ma…» Fece un geto eloquente con la mano, senza proseguire.

La strega rimase ancora qualche istante in esitazione, evitando di distogliere gli occhi dal suo viso, e infine capì semplicemente di non avere scelta: raccolse il foglio e gli diede un’occhiata sbrigativa. Non c’era altro che una veloce presentazione piena di credenziali e meriti – totalmente immeritati, per altro, visto che non aveva mai lavorato in quell’azienda in vita sua! – che recavano sotto il suo nome. C’erano abbastanza ore di lavoro e contributi “intellettuali” da permetterle di tornare a casa, la sua vera casa, il suo mondo. E così aveva mantenuto la parola: la Ricerca per la sua vita. «Perché me lo dai adesso? – domando, più acida di quanto avrebbe desiderato – L’accordo prevedeva che tu mi dessi questo solo a Ricerca completata. Era il mio prezzo, no? Che senso avrebbe avuto darmelo domani?»

Il biondo non fece neppure una piega, fissandola con insistenza. Alla fine, troppo stanco per mantenersi in piedi, si piegò come un ramoscello al vento, sedendosi sulla sedia più vicina. Quel segno di debolezza non sfuggì alla ragazza che, tuttavia, non intervenne in alcun modo. Perché avrebbe dovuto?

«Avrebbe avuto un senso, Hermione… - borbottò lui, senza guardarla - …dal momento che non mi importa più né della Ricerca né di altro, del Mondo Magico, del Mondo Babbano. Chi se frega? Devo portare a termine la Ricerca perché è qualcosa che, ormai, non dipende più da me e va al di là di ciò che posso o non posso condividere con te. Ti ho mentito, lo so, ma speravo che, in questo modo, ti avrei protetta, prima e soprattutto da te stessa. La tua curiosità non riesce a tenerti al sicuro nemmeno fra le mura di un Manor, figuriamoci altrove. E quel pezzo di carta te l’avrei dato domani… perché so che ci tenevi. Perché so che ti avrebbe fatto piacere e so che, se fossi stata felice almeno la metà di quanto sei triste adesso, avresti sorriso. Con quel sorriso magico, incantevole che riesce a bloccare tutto. Un sorriso tutto per me, un sorriso di gioia, un sorriso che sarei stato io a regalarti.»

Solo quando ebbe finito di parlare alzò lo sguardo. Hermione era crollata a sua volta, appoggiandosi ad uno dei braccioli della poltrona che aveva alle sue spalle. Le lacrime avevano ripreso a scendere, constatò, senza essere certo se gioirne o arrabbiarsi. Optò per l’indifferenza, ancora una volta, sperando che sarebbe stata lei a fare il prossimo passo. Attese, in un modo tanto paziente da non essergli affatto affine. Attese lei.

«Rimane comunque il fatto che mi hai mentito…» Il suo fu un borbottio, di una tonalità tanto bassa da essere udibile a malapena, confuso con il danzare delle fiamme nel camino. Stava forse cedendo?

«Non sono perfetto, sarebbe una pretesa troppo grande anche per me. Però io… io…»

«Tu?»

«Oh, va bene! Si, io ti amo. »

Se prima l’aria della stanza era stata pesante, perfino difficile da respirare per la tensione e la rabbia di cui era stracolma, quelle parole parvero avere un effetto istantaneo su tutto quello che circondava Hermione e Draco in quel preciso istante. La strega, che già aveva caricato il colpo per una nuova accusa, sgonfiò il petto, abbassando la mano sul petto, dove il cuore sembrò accellerare oltre ogni limite del possibile: non le aveva mai detto di amarla. Certo, alcuni gesti avrebbero potuto risultare chiari quanto le sue parole, eppure sentire quelle poche sillabe su quelle labbra, sulle sue labbra, fu un’emozione che non pensava avrebbe mai provato. Il ricordo del motivo per cui i suoi occhi erano arrossati, perché stesse piangendo o stesse urlando scomparvero, rintanati in un piccolo angolo del suo pensiero. Era giusto, si chiese, abbandonare tutto in un modo tanto futile? Cosa potevano mai cambiare poche sillabe? Non cambiavano di certo il fatto che le avesse mentito, il fatto che l’avesse esposta ad un rischio doppiamente più grave, visti i precedenti con i Guardiani, il fatto che la sua fiducia in lui fosse irrimediabilmente compromessa: in sostanza, dal punto di vista puramente pratico, non cambiava nulla. Ma quanto cambiava dal punto di vista sentimentale, c’era da chiedersi? Quanto quelle parole potevano influire, negativamente o positivamente, sul cuore frantumato di una giovane strega, responsabile in parte della salvezza del mondo magico? Potevano lacerarlo definitivamente, questo era sicuro, ma c’era un’altra, sostanziale dose di possibilità che, forse, avrebbe permesso a quelle stesse parole di cambiare tutto, di sistemare quella storia con un risvolto inaspettato ed imprevisto, per entrambi.

Il biondo si concesse un’occhiata agli occhi della giovane strega, che ora lo fissava con uno sguardo enigmatico e per nulla iroso: era sul punto di scoppiare un’altra volta? O era una scintilla di perdono quella che scorgeva in fondo alle sue iridi color cioccolato? Tacque, trattenendo un gemito e stringendo ulteriormente la mano contro la ferita sul braccio. Stava ancora sanguinando o il senso di nausea era dettato unicamente dal tema delicato della conversazione?

Facendo qualche coraggioso, timido ed incerto passo in avanti, la strega riuscì a raggiungerlo. Senza dire una parola, senza staccare gli occhi da quelli grigi di lui neppure per un istante. Si inginocchiò accanto alla sua figura abbandonata sulla sedia, sventolando la bacchetta, quasi con un gesto annoiato, facendo così apparire delle bende. Spostò gli occhi dalla sua ferita sul braccio, quella in apparenza più grave, a quella sulla gamba. Gli occhi del mago la seguirono attenti quasi impauriti: cos’aveva in mente? Poteva benissimo decidere di strangolarlo con quelle bende, visto che era alquanto improbabile che avesse deciso di curarlo. In fondo era Hermione Granger, sorprenderlo per lei era come uno di quei passatempi estremi: non ti ci stanchi praticamente mai! Sorprendendolo ancora una volta, infatti, la mora semplicemente gli fasciò la ferita, forse stringendo con eccessiva foga e godendo nello strappargli un gemito di dolore, ma non attentò in alcun modo alla sua vita.

Terminata l’operazione sul braccio, gli fasciò anche la gamba, sfiorandogli pericolosamente punti troppo vicini all’inguine perché la sua voglia di lei potesse essere frenata da qualche parolina troppo accesa di poco prima. Hermione alzò un sopracciglio ma non diede segno di avere notato nulla, continuando semplicemente a maneggiare le bende. Una volta che ebbe finito, mentre era sul punto di rialzarsi, pronta ad andarsene probabilmente, Draco si animò di coraggio, afferrandola per un braccio, bloccandola, costringendola a fissarlo negli occhi. «Non andartene.» - implorò. La strega continuò a reggere il suo sguardo ancora per qualche istante, prima di distogliere gli occhi «Non puoi chiedermelo, lo sai bene che non posso rimanere.»

«Sbagliato, Granger. – sussurrò malizioso lui, attirandola contro le sue gambe senza troppi complimenti, bloccando le sue ribellioni e imprigionandole i polsi con le mani – Non solo posso chiedertelo, ma tu puoi dire si. Tu vuoi dire si.»

«Non possiamo sistemare tutto con il sesso… per chi mi hai presa? Ho detto no… ah!» Difficile continuare ad insistere su qualcosa di cui lei stessa era men che mai convinta, proprio mentre le labbra di Draco si soffermavano sulla curva docile del suo collo scoperto e mordicchiavano avide uno dei suoi punti più sensibili. Doveva ancora negare per molto che, quello che in quel momento sentiva, non era ben diverso da quello che sentiva anche lui? Lui la voleva e lei, benchè desiderasse follemente ucciderlo per tutto quello che le aveva fatto passare quella notte, non poteva che desiderare a sua volta di stringere il suo corpo nudo al proprio. Capitolò. Sentì le labbra del mago indugiare ancora un attimo sul suo collo e poi salire, fino al suo visto, cercando le labbra di lei: le trovò, più mansuete e arrendevoli di quanto avrebbe sperato. Non che dovesse passarla necessariamente liscia, sottolineò la mora dandogli un morso non troppo leggero sul labbro inferiore, strappandogli così un gemito di protesta; il bacio continuò, aumentando di intensità e profondità, crescendo piano come i rami di un albero, che prima di allungano verso il sole e poi, una vola maturi, gli offrono il verde delle proprie foglie e il rosa dei propri fiori.

Scivolò nel baratro di peccato e piacere che lui le stava offrendo su un piatto d’argento, senza resistere più alle costrizioni della sua coscienza o della sua morale. Voleva Draco Malfoy, poteva avere Draco Malfoy, aveva Draco Malfoy.

***

Fu la prima ad aprire gli occhi. Erano ancora nel salone, il fuoco si era spento ormai da un pezzo, soltanto un leggero fumo saliva verso l’alto, ultimo residuo di una notte ormai quasi finita. Il sole era sorto da poco, picchiava ancora pigro contro i vetri delle finestre, protette da lunghi e pesanti tendaggi. Sentì Blaise che scendeva rumorosamente le scale: doveva aver sentito qualche urlo di troppo, la notte precedente, non che si fossero preoccupati di abbassare il tono per via degli altri inquilini del Manor – cioè soltanto Blaise. Forse, del resto, il moro aveva anche intuito il modo in cui il litigio doveva essersi concluso e, in tal caso, il rumore era una sorta di precauzione nel caso i due fossero meno presentabili del normale. Hermione si accorse, ovviamente, di non avere addosso nulla che non fossero una gamba e un braccio di Draco, che provvide a rimuovere delicatamente, infilandosi la camicia di lui, poggiata contro lo schienale di una sedia, insieme alla biancheria, miracolosamente alla sua portata. Evitando a Blaise l’imbarazzo di vedere il suo migliore amico nudo ed addormentato sul divano – anche se dubitava che i due, in tanti anni di convivenza, non si fossero conosciuti tanto bene da vedersi nudi a vicenda –decise di uscire nel corridoio, non prima di aver nascosto la fiala numero sei dietro uno dei piatti di porcellana: lasciarlo in giro era un’imprudenza a cui, la sera prima, avevano avuto poco tempo per pensare. Incrociò il moro nell’attimo esatto in cui quello toccava l’ultimo gradino della scalinata con una delle sue pantofole nere. Si limitò a squadrarla da capo a piedi, quindi le sorrise malizioso, indicandole di precederlo in cucina: la strega, trattenendo un sorrisino, obbedì.

«Allora, cos’ha la stanza di Draco che non va? Ha le termiti nel letto per caso? O avete semplicemente deciso che farlo lì era diventato fin troppo… ordinario? Da lui posso aspettarmi di tutto ma tu, piccola sporcacciona, chi l’avrebbe detto…»

«Blaise. – lo fermò la mora, incapace di ascoltare una parola di più del suo vomito di imbarazzanti allusioni alla sua relazione con il padrone di casa – Non è andata come pensi tu. Ieri sera abbiamo litigato…»

«Si, hai proprio l’aspetto di una che ha… - colpì con la bacchetta la macchinetta del caffè, perché facesse uscire il liquido scuro più in fretta - …litigato.» Non c’erano gli elfi domestici per quello? Da quando sua signoria si abbassava a farsi il caffè da sol? Preferì non indagare.
Si limitò a roteare gli occhi. «Si, ok, credi a quello che vuoi. Draco mi ha… diciamo che ha commesso un errore imperdonabile e, sinceramente, non so davvero se l’ho perdonato… - sbirciò la faccia allusiva di Blaise, tornando a roteare gli occhi al cielo – Oh, Merlino, la finisci? Ti dico che è grave… ci sono cose  a cui non riesce a dare la priorità… altre che invece dovrebbe tralasciare per il suo bene e che…»

«E tu, ovviamente, sai qual è. Il suo bene, intendo: sei certa che quello che pensi sia un bene per lui, effettivamente, lo sia? Scusa se te lo dico, Granger, ma la tua concezione di benessere e bene è molto diversa dalla sua. Avete due modi di pensare diversi, due modi di rapportarvi al mondo differenti: tu sei… beh, tu, libri imparati a memoria e puzza sotto al naso che non sparisce nemmeno in una banalissima partita a scacchi o carte, mentre lui è lui, e non devo aggiungere altro. Forse… - si schiarì la voce, versando il caffè in due tazze, una blu e l’altra nera - …e giuro che sarà l’ultima volta che ti darò consigli circa la vostra relazione, forse dovresti provare a capire cos’è bene per lui e, magari, se puoi, tentare di aiutarlo a sentirsi appagato da quel punto di vista. Lo conosci da troppo poco per saperlo, me ne rendo conto, ma lui tende spesso ad abbandonare le sue passioni con una certa facilità...»

«Questa, più che una passione, è un’ossessione. Non si darà per vinto anche se lo porterà alla morte…»

«Uh, parole pesanti. Allora vedi di tenerlo in vita il più a lungo possibile, ok tesoro?» Il moro le fece un occhiolino, serio quanto un muro di biscotti, quindi tornò alle sue stanze patronali con la tazza di caffè in mano senza aggiungere altro. Fantastico, adesso si faceva dare consigli amorosi da niente che poco di meno Blaise Zabini: cosa sarebbe successo dopo? Sarebbe salita su un manico di scopa di sua spontanea volontà? Benchè fosse impensabile dare ascolto ad un giocatore di Quiddich per argomenti che non riguardassero schemi e tattiche, realizzò tuttavia che, nella sua assurda e distorta visione della realtà, forse Blaise aveva centrato il punto, dopotutto: se Draco fosse riuscito ad essere felice lo sarebbe stata anche lei. E come poteva renderlo felice? I Metalli, ovvio.

Un’idea malsana, una pazzia le attraversò la mente come un lampo a ciel sereno, quando l’intero cielo coperto di nuvole s’illumina nella notte. Poteva lei, da sola, rendere felice Draco? O, meglio ancora, poteva finire da sola la Ricerca? Poteva andare contro i propri principi, il proprio benessere e tutto quello che aveva sempre cercato di isolare dalla sua vita, per rendere felice un uomo che amava? Riflettere era scontato, conosceva già la risposta.

Senza far rumore, tornò in salotto, dove Draco dormiva ancora profondamente, e semplicemente afferrò il diario dei suoi appunti, sperando che quanto le fosse necessario per raggiungere il Guardiano numero sette fosse scritto lì. In quella situazione, ovviamente, non le sfuggiva un pizzico di contraddizione, la sua contraddizione: stava facendo quello per cui, la notte precedente, aveva versato valli di lacrime; stava aiutando l’uomo che l’aveva ingannata e le aveva mentito. Ma lui era l’uomo che lei amava, si corresse, e senza quella Ricerca non avrebbe avuto più né modo né motivo per mentirle. Del resto, cosa poteva mai essere di tanto grave? Avrebbe avuto quanto desiderava, avrebbe terminato la sua ricerca, tutto sarebbe andato per il meglio; senza segreti, senza bugie e senza menzogne: era questo che desiderava davvero? Era questo che desiderava anche lui? Si, si rispose, era esattamente questo che lui desiderava e che lei poteva dargli. Sfogliò velocemente le pagine del libricino di pelle, cercando qualche riferimento al prossimo Guardiano. Trovò soltanto un accenno ma che, grazie a Godric, le fu sufficiente. Aveva una destinazione: la Cina. Smaterializzarsi lì era fuori questione ma aveva in mente un’idea. Appellò il cellulare dalla sua camera, componendo velocemente il numero del suo migliore amico.

«Harry? Si, scusami, so che è prestissimo ma ho bisogno di un favore. Devi allestire una Passaporta per la Cina entro venti minuti... Si, so che ci vogliono le autorizzazioni ma entrambi sappiamo che il Capo Auror le può ottenere in meno di un battito di ciglia. Harry, ne va della mia felicità, ti prego

La voce assonnata del Salvatore del Mondo Magico rimase in silenzio per un po’, prima che Harry riuscisse ad articolare poche roche parole. «Certo, Herm. Ci vediamo a Grimmuld Place tra un quarto d’ora… e mi devi un favore.»

La ragazza chiuse la chiamata e posò il telefono insieme al Diario sul tavolino del corridoio accanto all’ingresso. Gettò un’ultima occhiata a Draco addormentato, coperto da una leggera trapunta che aveva evocato dall’armadio più vicino. Era un suicidio, era una follia, ma era l’unica follia che le avrebbe permesso di vivere felice con lui, ne era certa. Senza ripensamenti, senza voltarsi indietro, aprì la porta e uscì sul pianerottolo, prima di smaterializzarsi a Grimmuld Place, dove Harry l’avrebbe raggiunta.
 
 

Note:
 (1): Si tratta di alcune eroine tragiche che ad Hermione vengono in mente. Come le conosce? Considerate che la sua convalescenza non è stata breve, parliamo di 2 settimane, e forse qualche libro può averlo trovato nella biblioteca di Draco; altra ipotesi è che, durante i brevi periodi trascorsi a casa dei genitori, durante le vacanze, si sia interessata a qualche libro della libreria di casa; inoltre è possibile che, dopo essere stata rilegata alla vita del mondo babbano dal Ministero e dalla Corte, abbia preferito dedicarsi alla lettura di qualche libro che avesse meno a che fare con la magia, in linea di massima almeno. Tutte sono ipotesi plausibili, a voi la scelta. Ora, le eroine che ho citato naturalmente sono tutte molto famose: Giulietta dell’opera teatrale di Shakespeare, Romeo e Giulietta; Isotta, dal mito medievale di cui è protagonista insieme a Tristano e la cui prima stesura scritta risale al XII sec.ad opera di Chrétien de Troyes, anche se oggi è perduta; Desdemona è un’altra protagonista di un’opera di Shakespeare: parliamo dell’Otello; infine Cathy, una delle protagoniste di Cime Tempestose, scritto da Emily Bronte.

Ci sono poi alcune figure descritte ma non nominate. Si tratta di Medea – quella a cui mi riferisco io è naturalmente la Medea euripidea, dal momento che quella di Apollonio viene raffigurata solo in età giovanile; Elizabeth Bennett di Orgoglio e Pregiudizio, anche se soltanto in un primo momento – ricorderete il suo rifiuto iniziale a Mr. Darcy; fino ad arrivare alla intramontabile Anna Karenina di Tolstoj. Se non avete letto questi libri, nemmeno alcuni, vi consiglio vivamente di farlo mie care ;)

Non mi soffermo molto, scusandomi soltanto molto per il ritardo nel pubblicare il capitolo.
Grazie mille a tutti quelli che seguono la storia e che continuano a trovare il tempo per recensire.

Baci, K ^^

 

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Capitolo 20
*** The path of Blood and the path for Life ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XIX:

The path of Blood and the path for Life

«Herm, per la milionesima volta, vuoi dirmi perché diavolo vuoi andare in Cina?»

La mora alzò gli occhi al cielo, prima di tornare a guardare la vecchia teiera arrugginita posata sul tavolo: la sua passaporta per la Cina. Si trovavano in cucina, la lunga tavolata che, un tempo, era stata il luogo di Riunione dei membri dell’Ordine ancora al suo posto, il legno scuro reso ancora più logoro e bruno dal tempo. Aveva trascorso un periodo fantastico in quel posto, quando ancora la sua visione del mondo era semplice e priva di preoccupazioni che non fossero Voldemort o l’ingordigia di Ronald. Era stato un bel periodo, per sommi capi, l’anno in cui aveva scoperto l’Ordine della Fenice ed era entrata a farne parte: ricordava ancora il modo in cui aveva gioito, il modo in cui si era sentita importante e, per la prima volta, in prima linea in una battaglia che la toccava in prima persona, bacchetta sguainata e la voglia di difendere le persone a lei care. Aveva quindici anni, all’epoca.

Adesso ne aveva ventitrè, e stava per prendere una passaporta che l’avrebbe portata in Cina. Non sapeva dove di preciso ma contava sul fatto che, una volta arrivata, il luogo descritto dalla calligrafia ordinata di Draco sarebbe stato più vicino, alias avrebbe potuto raggiungerlo con la materializzazione. Non aveva ancora un piano, non uno ben definito, eppure sperava che le poche informazioni del diario le avrebbero fornito quanto necessario per farcela o, come minimo, sopravvivere. La Guardiana del Metallo numero sette si chiamava Zira, sapeva che era una donna ma non quale fosse il suo potere. Con un po’ di fortuna non sarebbe stato un arsenale come quello di Gonos o una sorella-amante pazza come nel caso di Nukter: qualsiasi altra cosa sarebbe stata sopportabile.

«Allora Herm! – sbottò il moro ancora una volta, tamburellando con le dita sulla sua spalla – Parli o no?»

«Perché sarebbe affar tuo, Salvatore del mondo Magico?»

Toccò a Harry alzare gli occhi al cielo. «Finiscila con i nomignoli, migliore amica del Salvatore del mondo Magico! – le fece la linguaccia, quindi si aggiustò gli occhiali – E tornando sull’argomento, forse potresti dirmi perché ho infranto una decina di leggi magiche e ministeriali per questo tuto viaggetto di piacere…»

«Non ho mai detto che si trattasse di un viaggio di… - lo sguardò di Harry la costrinse ad interrompere le sue scusanti, prima di abbassare gli occhi con fare colpevole – E va bene. Devo andarci per… per via di alcuni affari dell’azienda di Draco.» Lo sguardo perplesso di Harry la costrinse a continuare e aggiungere altri dettagli perché la bugia sembrasse più credibile. «Beh, lo sai che sto lavorando per la sua azienda e che… beh, in pratica devo farlo per essere reintegrata dalla Corte nella Società Magica. Ci sono alcuni affari che devo svolgere per l’Azienda che non sempre possono essere inseriti negli archivi… mi segui?» Mosse la testa avanti e indietro, gli occhi leggermente sgranati, con fare allusivo. Il mago parve rifletterci qualche istante più del necessario, l’espressione corrugata.

«Cioè mi stai dicendo che Draco ti manda a fare le sue commissioni illegali? Oh, io lo ammazzo Malfoy.»

«Non è che mi mandi lui… diciamo che cerco di essere disponibile ad…» Non aveva più scuse e non sapeva come far quadrare ad Harry il proprio coinvolgimento in una faccenda immaginaria senza mettere in mezzo anche la sua relazione con il suo peggior nemico nonché il proprio capo. Lo guardò di sottecchi, torcendosi le mani, notando con soddisfazione l’ara concentrata dell’amico che, quanto meno, stava cercando di leggere tra le righe.

«Quindi… - esordì infine - …se ho capito bene, stai svolgendo questa mansione illegale all’insaputa del tuo datore di lavoro, perché pensi di aiutarlo. Se posso sorvolare sul fatto in sé, mia giovane amica, non puoi negare che chiederti perché sarebbe scontato quanto la risposta sarebbe evidente. Hai una relazione con Malfoy, non è così?»

Ringraziando Merlino, nell’esatto momento in cui Harry formulò quella domanda, un bagliore lieve circondò la teiera posata sul tavolo, segno che entro tre secondi sarebbe scomparsa. Hermione la afferrò grata, rivolgendo ad Harry uno sguardo carico di dispiacere ma anche sollevato e, prima che anche lui potesse dire qualsiasi altra cosa, scomparve. Non amava particolarmente le Passaporte, in vita sua doveva averle utilizzate al massimo un paio di volte, una delle quali a quattordici anni per andare insieme a Harry e Ron alla finale di Quiddich. Ricordava bene quel viaggio, benchè una distanza di ormai quasi dieci anni la separasse da quei ricordi. Un’altra volta era stata costretta ad usarla con Ron per una vacanza in un villaggio magico in Nuova Zelanda, dove avevano deciso di festeggiare il loro anniversario: era uno dei pochi ricordi completamente felici che era riuscita a serbare della sua relazione con lui, uno dei pochi che non fosse stato contaminato da qualche comportamento inadeguato di lui o da qualche minuziosa e assolutamente inappropriata mania di lei. Un’altra volta ancora, l’ultima, l’aveva presa per via di un incarico al Ministero, anche se al momento non riusciva proprio a ricordare di cosa si fosse trattato. Qualcosa legato alla Corte, comunque.

Riaprì gli occhi in una radura. Intorno a lei c’era solo verde: riusciva a sentire il rumore di un torrente, nelle vicinanze, nascosto dal profilo degli alberi, alti e vaporosi di foglie giovani e fresche. Avrebbe dato qualsiasi cosa per restarsene, proprio come loro, attaccata ad un albero per tutto il giorno, in attesa della brezza del vento che l’avrebbe sollevata in aria, facendole provare il brivido della caduta nel vuoto. Purtroppo, avere il tempo per un simile svago era un sogno ancora più assurdo dello svago in sé, doveva concentrarsi sulla sua missione: non poteva aver fatto allestire ad Harry una Passaporta per niente! Se i suoi calcoli erano esatti – e, normalmente, lo erano sempre – doveva trovarsi nei pressi di Taipei, dovevano essere circa le tre del pomeriggio o giù di lì, visto che aveva lasciato l’Inghilterra che il sole non era ancora alto. Il modo in cui le varie parti del globo avevano vari orari l’aveva sempre affascinata, anche se non si era mai soffermata a studiarle in maniera approfondita. Doveva materializzarsi nei pressi di un piccolo gazebo abbandonato nel verde dei boschi, vicino ad una cascata e alla caverna mineraria dove avrebbe trovato Zira. Chissà come doveva essere bello, si ritrovò semplicemente a fantasticare, vivere vicino ad una cascata. Chiuse gli occhi, corrugando leggermente la fronte, quindi si concentrò sul posto dove avrebbe dovuto andare: normalmente non ci si poteva materializzare in un posto sconosciuto ma, come ormai da tempo si era rassegnata a pensare, con i Guardiani e i loro Metalli non si poteva mai sapere: l’impossibile diventava possibile e viceversa.

Sentì il familiare strappo all’altezza dell’ombelico, quindi soltanto un vortice di colori e rumori, per un tempo molto più lungo di quanto avrebbe richiesto una normale materializzazione, fin quando tutto finì proprio com’era cominciato. Un po’ timorosa, aprì prima un occhio e poi un altro, mettendo a fuoco il posto in cui si trovava – sperando vivamente di trovarsi in un dove e non in un nulla. La cascata, leggermente più bassa e meno imponente di quanto l’avesse immaginata, era posizionata sul lato sinistro del suo campo visivo, alimentazione di un piccolo laghetto circondato da pietre, di colore e dimensioni differenti. Il laghetto era attraversato da un ponticello, in legno e con le travi colorate in rosso, al centro del quale si trovava un gazebo tipicamente cinese: avrebbe voluto trovare un aggettivo più adatto per descriverlo ma, al momento, la sua mente riusciva a pensare a quell’unica e futile qualità di quel così particolare edificio. Sotto il triplo tetto di mattonelle rosse, chiare e scure, una base ottagonale di legno costituiva il pavimento dell’intera struttura, fatta di un materiale molto più chiaro rispetto a quello utilizzato per costruire il ponte e le travi di sostegno. Alcuni fiori violetti e bianchi, arrivati chissà come, da qualche pianta lontana, intrappolati nelle tegole del tetto, lasciavano che i loro petali fossero scossi dal vento: il loro profumo era inebriante.

Ruotò la testa ancora, il bosco dietro di lei e davanti una parete di roccia. Era imprigionata in una sorta di radura rocciosa, con vie d’uscita inesistenti, a meno che non desiderasse esplorare il boschetto, e decisamente non ne aveva alcuna voglia. Non poteva credere di essere arrivata fino a quel punto – di aver fatto allestire ad Harry una passaporta illegale – e di essere con in mano null’altro che una cascata e un gazebo abbandonato. Rotolò la bacchetta fra le dita un paio di volte, pensierosa, poi la puntò decisa contro la parete di roccia. «Incantum Revelio.»

Per qualche istante non accadde assolutamente nulla: l’acqua non si mosse, il vento non smise di soffiare leggero, i fiori non smisero di diffondere il loro dolce profumo. Poi tutto parve bloccarsi per qualche istante, in cui Hermione temette di aver sbagliato incantesimo – un Protego, al momento, le sembrava la cosa più sicura del mondo. Non ebbe tuttavia il tempo di scagliarlo che la parete di roccia prese a muoversi, sgretolandosi pietra dopo pietra davanti ai suoi occhi, proprio mentre un rumore assordante e spaccatimpani riempiva l’aria. La strega premette forte le mani sulle orecchie, sperando di isolarsi da quel rumore, ma fu inutile: il rumore sembrava essere non solo tanto assordante ma perfino più forte di lei, sembrava avere la forza pura che gli scorreva dentro, che la schiacciava come un masso. Si accasciò su se stessa, un ginocchio posato per terra, gli occhi ancora miracolosamente aperti e puntati sul punto dove, fino a poco prima si trovava la parete di roccia. Dietro di essa, riuscì a distinguere, si trovava una caverna: le sue pareti erano ricoperte di wulfenite, un minerale che aveva avuto modo di studiare in uno dei grossi tomi della Biblioteca di Hogwarts.

I riflessi del sole pomeridiano illuminarono le pareti di roccia ricoperti da minerali arancioni, lanciando curiosi riflessi sull’acqua e sulle foglie degli alberi circostanti. Il colore delle rocce era molto vivace, ne sarebbe rimasta affascinata se ne avesse avuto il tempo. Il suo sguardo e la sua attenzione, invece, si concentrarono sulla figura all’interno della caverna. Era una donna, con lunghi capelli neri, seduta di spalle su una sorta di sgabello fatto della stessa roccia della parete appena sgretolatasi; era seduta davanti ad una sorta di bacile, fatto con gli stessi minerali delle pareti. Non vide cosa vi fosse contenuto – era già tanto che, con quel rumore assordante e gli occhi semichiusi, fosse riuscita a distinguere qualcosa – ma vide la figura della giovane donna alzarsi, guardarla con uno sguardo sognante e quindi, come se si fosse ricordata all’improvviso qualcosa di importante, scuotere la testa e schioccare le dita: il rumore assordante cessò all’istante. Hermione tolse le mani dalle orecchie, guardandosi intorno, all’erta, sicura che il rumore avrebbe potuto tornare proprio come era arrivato, quindi scrutò la donna che si era appena alzata. Indossava una lunga vestaglia, arancione proprio come quella che, dedusse, doveva essere la sua casa; sulle spalle portava uno scialle di lana, grigio e nero, in netto contrasto con la temperatura primaverile e la brezza calda che soffiava intorno a lei. Gli occhi erano grandi e azzurri, incorniciati da lunghe e folte ciglia nere. Il suo sguardo, tuttavia, era sperduto, quasi vuoto, insolito per una Guardiana; era abbastanza astuta, tuttavia, da non sottovalutarla. Alzò la bacchetta davanti a sé, il braccio teso e lo sguardo vigile. La ragazza – perché non aveva più di diciassette anni, molto più giovane di qualsiasi altro Guardino incontrato finora, almeno nell’aspetto fisico – spostò gli occhi dal volto della strega alla sua bacchetta, mettendo a fuoco quello che aveva davanti solo per pochi secondi, quindi parve di nuovo svegliarsi da un sogno.

«Granger, Hermione Granger, ventitrè anni. Ex studentessa di Hogwarts, Gryffindor, migliore amica del Salvatore del Mondo Magico, Harry Potter, ex fidanzata di Ronald Weasley. Amante di Draco Malf…»

«Ehi! – protestò la mora, senza abbassare la guardia e notando con piacere che lo sguardo della ragazza si focalizzava su di lei – So bene chi sono, ti ringrazio, possiamo… smetterla?» Non aveva istinti suicidi, questo non ancora, non desiderava di certo che alle parole la Guardiana sostituisse i fatti, eppure la metteva a disagio il modo di parlare della ragazza. Era un tono calmo, mansueto, come se la solitudine e l’isolamento di tanto tempo ne avessero fatto un agnellino spaurito, piuttosto che un lupo violento e sanguinario, cosa che di certo era. Ne aveva abbastanza di gente che sapeva tutto di lei, forse anche più di quanto lei sapesse di se stessa. La ragazza la scrutò con fare apatico, anche piuttosto incuriosita, con gli occhi leggermente sgranati che le ricordavano molto quelli della professoressa Cooman, come aveva potuto notare nelle rare occasioni in cui l’aveva avuta davanti. Stranamente, il comportamento della Guardiana, invece di rassicurarla, parve metterle ancor più in ansia, facendole quasi rimpiangere i modi poco mansueti di Gonos o le piroette di Nukter.

Se fosse uscita viva di lì – e questo era poco ma sicuro - avrebbe per prima cosa messo le mani addosso a Malfoy e l’avrebbe ucciso. Non era un piano avventato, se ci si pensava bene: in alcuni paesi la legge dell’occhio per occhio era ancora in vigore. Lui le aveva spezzato il cuore, lei gli avrebbe spezzato il collo, le sembrava uno scambio equo. Era questa, tra l’altro, una delle doti che più preferiva di Malfoy: avrebbe voluto ucciderlo per la metà del tempo in cui si trovavano insieme, peccato che, per l’altra metà, avrebbe voluto uccidere chiunque avesse provato a fargli del male. Era arrivata perfino a rinunciare ai suoi stessi principi, per colpa sua, seguendo uno di quei maledetti metalli. Non era forse un’azione meritevole di una punizione esemplare, quella?

«Perdonami.» La voce della ragazza parve riecheggiare nel silenzio di un posto rumoroso, disturbato dal fruscio delle foglie e dallo scorrere dell’acqua, il rumore della cascata che si infrangeva sulla superficie stranamente piatta del piccolo laghetto sotto il gazebo. Perfino le travi della vecchia struttura, benchè immobili, sembravano sussurrare, raccontando dei secoli e delle ere che avevano avuto la fortuna di vedere. «Non parlo molto, ritengo che i suoni siano troppo restrittivi nell’esprimere quello che abbiamo dentro. Ogni anima è un vortice indistinto di sentimento, pensieri, progetti. Come si può includere tutto questo in una sola, misera, semplice…parola?» Terminò la frase con una nota di fastidio, se non addirittura di disgusto, quindi distese le labbra in un affettuoso sorriso: come quelli che un serial-killer ti rivolge prima di tirar fuori la motosega da dietro la schiena. Hermione alzò ancora di più la bacchetta.
«Ma tu non sei qui per parlare, vero, mi giovane strega? Sei qui perché vuoi Zira. O, meglio ancora, non vuoi Zira ma vuoi che lui la ottenga in modo da poter vivere felice… - la scrutò, compatendola - …non serve che io ti dimostri di quanto illusoria e vana sia la tua speranza, non è così?»

La mora, ancora prima di lasciare Malfoy da solo, nudo sul divano del salotto del Manor, sapeva che la sua impresa era folle: non perché temesse di non riuscirci, aveva una quasi totale fiducia nelle proprie abilità, ma perché piuttosto non era sicura di come sarebbero riuscite a sistemarsi le cose tra di loro. Sarebbe mai tornato tutto come prima? Lui le aveva mentito, era un fatto innegabile. Lei era Hermione Granger, poche erano le cose per cui non concedeva una seconda possibilità, ma la fiducia era proprio una di quelle. «Facciamola finita… - sbottò, seccata – Dov’è il Metallo?»

Zira la fissò leggermente confusa, quindi volse semplicemente lo sguardo al bacile di pietra che aveva fissato fino a pochi minuti prima. «E’ lì, bastava chiedermelo. Eppure mi sorprende che tu voglia un tassello del suo futuro quando, in verità, finirebbe con il compromettere il tuo. Tu non conosci neppure la ragione per cui hai perso davvero Malfoy, non conosci la ragione che lo spinge a cercare i Metalli e neppure a cosa essi servano. Sei davvero certa di volere questo?»

«Sono certa del fatto che la fine di questa ricerca sarà anche la fine dei miei problemi con Malfoy.»

«La fiducia non è qualcosa che cedi con facilmente, Hermione Jean Granger, soprattutto se scopri che il tuo giovane mago ti ha nascosto l’ennesimo tassello della verità.» Era una profezia?

«Che intendi dire?» Ridusse gli occhi a due fessure e continuò a tendere la bacchetta davanti a sé. Zira sorrise, di un sorriso radioso e sincero stavolta.

«Liliat è stata così gentile da cancellare qualsiasi ricordo riguardante il tuo patto con Gonos, lo so bene. Devi sapere che la memoria degli essere umani è molto fragile, vulnerabile, passeggera. Nessun ricordo, nessun’immagine rimane impressa nella vostra mente tanto a lungo, lo so bene. Cancellate quello che non vi serve, le persone a cui non tenete più, le parole che non significano nulla per voi. Ora, sei disposta a sacrificare quello che hai per la verità?»
La verità. Una parola, tanti sottintesi. «Conosci i termini del mio patto con Gonos?» La sua voce tradiva tutta la sua incredulità e un pizzico di impazienza. La Guardiana sorrise.

«Conosci già la risposta. Non solo la conosco ma posso… mostrartela.» Stese un braccio, acquistando uno dei pochi attimi di lucidità, con gli occhi incredibilmente attenti, indicando il bacile di pietra su cui era chinata poco prima. Non vi aveva prestato troppa attenzione, all’inizio, si rese conto: si trattava di un Pensatoio, simile a quello che Harry le aveva descritto quando l’aveva utilizzato nello studio di Silente. Anche lei aveva avuto modo di vederlo, qualche volta, nelle poche occasioni in cui aveva posato i propri piedi sui tappeti soffici dell’ufficio del vecchio Preside.

Circospetta, si avvicinò di qualche passo al bacile. «Cosa mi dice che non mi stai ingannando?» - chiese, senza staccare gli occhi dalla superficie liscia dell’acqua. Il dubbio si sovrapponeva alla curiosità. Inspirò lentamente, posando le mani sulla fredda pietra grigia, scolpita con rune antiche di cui non conosceva il significato: erano più antiche della sua stessa nascita, più antiche forse della stessa creazione del mondo. Erano fortemente perturbanti.(1) Peccato che, al momento, non potesse dedicarsi al suo passatempo da maestrina e Griffyndor so-tutto-io. Aveva deciso di venire in quel posto per una determinata ragione, tradendo gran parte delle sue convinzioni e dei suoi stessi principi, ma tutto avrebbe potuto aspettarsi fuorchè quello. Qualcosa, dentro di se, la spingeva a fidarsi di quella donna, di quella Guardiana, di guardare nel bacile di pietra e finalmente scoprire tutta la verità che le era stata preclusa. Eppure non poteva semplicemente affidarsi al suo solo istinto, no? Era sicuramente un istinto che l’aveva tradita pochissime volte, era vero, ma esisteva sempre l’eccezione che confermava la regola: in quell’occasione, quella eccezione avrebbe potuto costarle la vita.

Percepì la presenza della Guardiana accanto e a sé e non riuscì a trattenersi dal guardarla: aveva lo sguardo nuovamente perso nel vuoto e le mani toccavano gentili, quasi sensuali, alcuni simboli lungo la parete del recipiente di pietra. Sembrava bisbigliare qualcosa, anche se di certo incomprensibile. Distratta, sfiorò con le dita la superficie dell’acqua: non ebbe scelta, non fu una decisione che prese e, con ogni probabilità, non era destino che la prendesse. Ma era certamente destino che vedesse e sapesse. Gli occhi si chiusero istantaneamente, il corpo, benchè fosse inchiodato in quella caverna dimenticata da Dio e dagli uomini, sembrò sprofondare in un abisso di confusione e vortici di quelli che, si rese conto, essere ricordi. Ma non erano inconsistenti, come quelli di un essere umano: erano duri, freddi, alquanto pungenti, forse resi tali dal tempo e dalla parte meno umana del loro proprietario, Zira. Ebbe tuttavia poco tempo per pensarci, visto che la caduta, scomoda e per nulla piacevole, la portò in un luogo familiare, in cui non ebbe timore di aprire gli occhi. Sapeva dove si trovava eppure osservava la scena dall’esterno: i suoi capelli erano sempre stati… così orrendi?

La caverna, dimora di Liliat, aveva un aspetto tetro, inquietante, con l’acqua che circondava i bordi delle pareti. Era esattamente come la ricordava. O non ricordava. Malfoy era accanto a lei, la bacchetta alla mano e lo sguardo vigile. Liliat svolazzava divertita prima a destra e poi a sinistra, gli occhi ridenti e a tratti maliziosi, in particolar modo quando si posavano su Draco. La cosa parve innervosire Hermione, che fece un passo verso di lui: Liliat se ne accorse, così fece anche Nukter, emerso da qualche parte non bene illuminata dell’immenso spazio di pietra. «Ah, sorellina, ti avevo detto che erano interessanti… non trovi anche tu?»

La strega fulminò il Guardiano con lo sguardo. «La storiella del corteggiamento sta diventando monotona, imbecille. Lasciami in pace.»

Draco increspò le labbra in un sorriso mesto, divertito. Liliat non parve dello stesso avviso, anzi trovò le parole di Hermione tutt’altro che divertenti. «Che intende dire, Nukter? Hai tentato di sedurla? Come diavolo…?»

«Ehi, ma che dici! – le fu accanto in un attimo, posandole la mano sul collo e guardandola con carezzevole affetto – Non potrei mai guardare nessun altra che non sia tu. E’ stata lei a sedurmi…» Il “ma andiamo!”, imprecato a mezza voce da Hermione, non parve turbare né la violetta e neppure il ragazzino blu notte - si, definirlo in qualsiasi altro modo sarebbe stato un complimento – ma andò semplicemente a vuoto. Nukter, ignorandola, continuò ad accarezzare la sorella, che pendeva dalle sue labbra. «…e io sono tanto, tanto debole quando tu non sei nei paraggi… puoi perdonarmi?» I suoi occhi divennero peggiori di quelli da cucciolo ferito che Ron aveva tanto amato tirar fuori durante i loro litigi. Vomitevole. Fu ancora più vomitevole il bacio a fior di labbra che diede al suo fratello-amante: Herm non si trattenne dallo storcere la bocca per il disgusto, Draco la imitò.

Alla violetta non sfuggì quel gesto, tanto che rivolse a Hermione un’occhiata risentita e a Draco un occhiolino, subito dopo essersi “liberata” dalle labbra di Nukter. «Non temere, biondino, arriverò anche a te. – poi si rivolse, in maniera decisamente meno amichevole a Hermione – A te invece, bastarda di una strega, non credere che mancherò di vendicarmi per Nukter.» Non aveva una voce spaventosa, incutere terrore era sufficiente anche solo con lo sguardo o con i suoi gesti, così misurati e flessuosi da ricordare un figura sott’acqua. Il suo vestito violetto, fatto di pizzi e volant, aleggiava intorno a lei, quasi fosse dotato di vita propria, disegnando figure circolari e variegate intorno al corpo minuto della proprietaria.

Lo stesso Malfoy, dopo aver osservato divertito – giustamente, il trovarsi ad un passo dalla morte suscitava la sua ilarità! – la scena e gli scambi di sguardi fra le due donne, si schiarì la voce, facendo un passo avanti e afferrando la mano della ragazza al suo fianco, improvvisamente scuro in volto.

«Smettila, qualsiasi sia il tuo stupido giochetto. Smettila. Dov’è il Metallo?» Lo sguardo di Liliat di spostò, accusatore, su Nukter. «Non dirmi che sei stato tanto idiota da lasciare loro il tuo Nukter pur di scappare e venirti a nascondere dietro le mie gonne? – non ebbe bisogno di una risposta, semplicemente roteò gli occhi al cielo – Divinità celesti! Sei proprio tonto allora!»


Il mago, rigirandosi la bacchetta fra le dita, si rese conto che quel battibecco non sarebbe finito nemmeno con lo scoppio di una nuova Guerra Magica, quindi preferì stroncarla sul nascere, anche se non esattamente con tutta la finezza e il buon gusto di cui era dotato. «E tu sei tonta quanto lui, se proprio vuoi continuare con questa pagliacciata.» Fu un grosso errore rivolgere quell’insulto ad un peperoncino focoso come lo era la Guardiana: con un guizzo di ira negli occhi, scosse rabbiosa la mano. Un taglio profondo apparve sulla coscia del mago, penetrandogli nella carne e costringendolo a lasciarsi scappare un gemito di dolore. Hermione si mosse quasi istantaneamente nella sua direzione. «Draco…» Liliat, tuttavia, fu più scaltra di lei, focalizzando la sua attenzione su di lei e scaraventandola – con un potere sconosciuto o semplicemente con un movimento fulmineo della mano – contro il bordo del piedistallo di pietra, al centro esatto del vortice di scalini da cui era formato l’intero spazio in cui si trovavano. Hermione percepì un duro colpo alla spalla, che produsse un rumore piuttosto sospetto, e all’intero braccio. Gemette.

Il biondo tentò di avvicinarsi al bordo del precipizio, dove iniziavano i ripidi scalini, ma la mano salda di Nukter lo trattenne, intrappolandolo contro il muro, il braccio a bloccargli la gola. «Non troppo stretto, mio caro. – cantilenò sua sorella, avvicinandosi alla ragazza distesa di fianco – Non vorrai sciupare un così bel visino.» In tutta risposta, il fratello si limitò a sbuffare, mormorando sotto voce una risposta sagace, che la sorella non udì – o, più semplicemente, fece finta di non udire. Era troppo impegnata a raggiungere Hermione, tra uno svolazzo e l’altro, che nel frattempo si era rimessa in piedi, anche se con l’aiuto del piedistallo, che le serviva da appoggio: non le era sfuggito che era proprio lì che si trovava la fiala, in quella posizione era più vicina che mai al Metallo. Liliat sorrise, diabolica.

«Pensi di avere qualche chance… prenderlo dopo avermi raggirato con uno dei trucchi magari?»

La strega si lasciò sfuggire un sorriso. «Non mi pare che abbia avuto problemi, l’ultima volta. – la fissò negli occhi, il viola di un fiore delicato che si scontrava con la forza e la potenza della terra marrone – Ho ingannato Gonos con facilità, cosa ti fa credere che non potrei fare lo stesso anche con te?»

Quelle parole, pronunciate quasi con leggerezza e mosse dalla rabbia, parvero avere un effetto immediato: Liliat si scostò bruscamente da Hermione, allontanandosi di qualche metro, per poi tornare ad aleggiare vicino a lei. «Come osi? Come osi, sciocca e piccola umana? Hai osato stringere un patto di sangue, con Gonos, e poi l’hai tradito. Non ti perdonerà facilmente… e pensare che era rimasto tanto affascinato da te, all’inizio.» La parola “affascinato” colpì al volo la mente astuta e strettamente logica di Hermione: perché Gonos avrebbe dovuto trovarla affascinante? Quell’informazione la penetrò più di quanto si aspettasse, quasi come se fosse stato l’istinto a suggerirglielo, e il suo istinto non l’aveva mai tradita. Beh, Ron escluso.

«Non mi pare che Gonos mi trovasse affascinante… non come Nukter, per lo meno.» Il sorriso di sfida sulla faccia della strega scomparve quasi subito, lo schiaffo risuonò forte e deciso nella caverna: il volto di Liliat era furioso, gli occhi fuori dalle orbite. Era strano che un Guardiano come lei – il cui corpo e la cui mente, almeno in teoria, avevano vissuto e osservato le ere di quell’Universo – si lasciasse andare a simili sentimenti, per certi versi così umani. Del resto, poco di quei due, bizzarri personaggi ricordava che si trattasse di esseri millenari e non di semplicissimi umani, con le loro debolezze e i loro sentimenti.

«Lurida puttana! Nukter è soltanto… - il suo sguardo guizzò involontariamente al fratello, per poi tornare alla sua interlocutrice - …debole carnalmente, anche una pietra che abbia un minimo di curve ha un suo fascino per lui. Gonos era interessato alle tue qualità di strega e di intellettuale, non di certo per la tua seconda di regg…»

«E’ terza in effetti. – la bloccò la mora, sorridendo appena – La mia taglia di reggiseno è una terza…» Un altro schiaffo risuonò deciso nel silenzio della stanza, anche se stavolta il sorriso di Herm non si spense. «Beh, mi sembra proprio che Gonos abbia molto più cervello di voi due messi insieme. Perché non lo chiami e non vediamo che ne pensa lui, di questa vostra patetica sceneggiata?» Per la prima volta il terrore attraversò il volto di Liliat: ovvio, Gonos non ne sapeva assolutamente nulla. Gonos, Gonos e sempre e solo Gonos. Cominciava a pensare che fosse un’autorità, tra i Guardiani, non solo per la sua spasmodica ferocia e la sua brama di sangue ma anche, e soprattutto, per via di quel timore reverenziale che tutti sembravano avere nei suoi confronti. E se risolvere la situazione con loro due fosse più semplice di quanto non pensasse? Se liberare lei e Draco fosse stato più semplice del previsto? Liliat aveva detto – in realtà si era lasciata sfuggire– che Gonos la trovava affascinante per via delle sue doti, intellettuali e non fisiche: e se saperne di più l’avesse aiutata? Ingannare Gonos era stato facile una volta, cosa le impediva di farlo di nuovo? L’idea malsana si impossessò della sua bocca prima ancora di arrivare al cervello.

«Portami qui Gonos. Fallo e io non gli rivelerò mai nulla circa la vostra… affettuosarelazione.»

«Hermione, sei impazzita! – le urlò dietro Draco, ancora intrappolato contro la parete – Gonos?!»

La strega non lo guardò, certa che avrebbe perso la forza di fare qualsiasi cosa avesse in mente se solo avesse intravisto i suoi occhi. Liliat, stranamente, trovò la proposta affascinante: l’aveva già accettata, anche senza esserne ancora cosciente. «Se chiamo Gonos, tu non gli dirai nulla? Ma così firmi la tua condanna a morte… Rispetterai davvero la tua promessa?»

«Sai che lo farò, però devi rispettare il patto.. abbiamo un accordo.»

«Oh, non temere, mia piccola umana. Sbarazzarmi di te sarà un piacere... soprattutto perché hai osato sedurre Nukter, e il mio fratellino non si tocca...»

Il mento di Hermione scattò in alto, il barlume di sfida negli occhi evidente. «Forse non è colpa mia se non sai tenere un cagnolino al guinzaglio…»
Lo schiaffo risuonò nel freddo della stanza una terza volta, prima che la voce di Liliat invocasse a pieni polmoni un nome temibile quanto il sudore stesso della paura. «Gonos!»

L’acqua, che fino a quel momento aveva prodotto un rumore continuo e regolare, parve gelarsi per qualche istante. Un vento inaudito, stranamente leggero e profumato, circondò la strega, costringendola a chiudere gli occhi, quasi per un riflesso involontario. Lui apparve, proprio come lo ricordava, al fianco di Liliat, con la differenza che poggiava i piedi per terra e aveva un’aria tutt’altro che divertita sul volto. «Bene, bene. Chi abbiamo qui? La traditrice…»

«Ciao Gonos, se avessi saputo che sarebbe stato tanto facile farti accorrere, non avrei esitato a chiamare.» La mano, possente e estremamente rigida del moro si chiuse come una morsa sul collo della ragazza, lasciandola priva d’aria e con la bocca aperta alla ricerca della linfa vitale. Fu un attimo, eppure sufficiente a ricordarle che con lui non avrebbe potuto usare i giochetti di cui aveva largamente fatto sfoggio con Nukter e Liliat: non era un gioco da cui sarebbe uscita vincitrice.

«Anche il giovane Malfoy, ma bene… con voi avete Gonos?»

«Meglio. Hai me.» Il Guardiano si voltò lentamente verso di lei – distogliendo lo sguardo dal “giovane Malfoy”, al quale aveva rivolto il suo personale saluto – e la scrutò con curiosità. «Hai capito benissimo. Mi trovi affascinante, no? E deduco che un simile apprezzamento da un tipo millenariocome te non sia una leggerezza, sbaglio forse? Se hai trovato qualcosa in me… qualcosa che ti serve, che puoi usare… parliamone. Tu vuoi qualcosa, io voglio qualcos’altro… sono certa che potremmo arrivare ad un accordo.»

«Perché dovrei stringere un patto con te, piccola umana? Ho molto più potere di quanto tu possa immaginare, nelle mie vene non scorre sangue ma la Linfa Vitale del Mondo che io ho visto crearsi e distruggersi centinaia di volte prima della tua nascita! Prima ancora che la tua specie si fosse evoluta abbastanza da capire il funzionamento della Magia. Ho visto ere succedersi, imperi cadere e rinascere dalle ceneri, progressi tecnologici che il vostro mondo è ancora ben lungi dal conoscere. Ho osservato – spesso con un crudele divertimento – i vostri condottieri farsi guerre inutili per conquistare le cose più banali, alcuni addirittura perire per l’amore di una singola donna, come se la sua bellezza avesse mai potuto valere quanto dieci anni di combattimenti sanguinolenti. E quell’amore, che tanti, ancor prima di quest’era, hanno rivendicato come la loro unica ragione di vita? – scosse la testa in modo teatrale, spostando lo sguardo da Hermione a Draco, che irrigidì la mascella - Cosa ti fa credere che potrei essere interessato a quello che hai da offrirmi?»

Non faceva una piega. «Non saresti venuto, altrimenti.» Non stava giocando, si rendeva conto di non essere esattamente nella posizione adatta per fare certi giochetti, però si rendeva anche conto che uscire viva da quella caverna era compito della sua sottile intelligenza: se il cervello non le mancava e un Guardiano non aveva mancato di notarlo, voleva pur dire qualcosa. Sfruttare le poche cose di cui disponeva, in quella circostanza, le sembrava la mossa più astuta ed intelligente. Forse chiamare quel particolare  Guardiano non era stata una delle sue idee più brillanti, doveva ammetterlo, ma la situazione era estrema quanto basta da costringerla ad una scelta altrettanto estrema: lei faccia a faccia con Liliat, ferita, e Draco bloccato da Nukter senza possibilità di reagire. Sapeva benissimo quando bisognava prendere in mano una situazione e quella era esattamente la situazione adatta.

«Cosa mi dice che, una volta che ti avrò rivelato i miei progetti, non scapperai via? Dopotutto, tu lo ami.»

Draco si divincolò dalla presa di Nukter, riuscendo a sfuggirgli per pochi attimi: tentò di raggiungere la mora ma la mano, o meglio il braccio, del Guardiano lo riacciuffò, costringendolo nuovamente ad una posizione scomoda e fortemente dolorosa. Gettò uno sguardo supplichevole alla strega, che fece guizzare gli occhi verso di lui solo per un istante: troppo poco per poter notare le lacrime che luccicavano nei suoi occhi, eccessivi per non notare il bagliore disperato che le colorava le iridi.

«Lo sai che non c’entra nulla, non importa cosa tu faccia o dica... non sfuggirò. Ti ho chiamato io, lo sai che non farei mai nulla che…»

«Silenzio! Ho già sentito abbastanza!» Il grido di Hermione, mentre il suo corpo si accasciava per terra, le mani nei capelli e le membra scosse da tremolii e spasimi. Sembrava posseduta, anche se dubitava potesse essere quella la causa: si trattava piuttosto di un dolore acuto, l’unico che potesse far sorridere tanto Gonos, l’unico che potesse farlo gioire tanto. Stava guardando la scena dall’esterno, si rese conto, ma il dolore che percepiva era reale quasi quanto l’irrealtà del suo duplice corpo. E poi, proprio come era tutto iniziato, finì.

Draco si divincolò ancora una volta, tentando di raggiungere la mora ma, di nuovo, un Guardiano gli bloccò la strada, svolazzando con i suoi volant viola, stavolta: lo afferrò per un braccio, tenendolo con forza sovrumana, costringendolo a guardare e impedendogli di muoversi. Certo che il sadismo era un tratto caratteristico dei Guardiani, forse doveva trattarsi di un qualche gene che avevano in comune… Lo sguardo di biasimo e odio trafisse Liliat, che in cambio sorrise angelica, accarezzando una guancia di Draco, che si scostò bruscamente.

«Non si tratta di accordi, piccola sciocca umana. Tu hai fatto un Patto, un Giuramento di Sangue, non puoi pretendere che non accada nulla... e l’hai fatto essendo pienamente cosciente di cosa sarebbe accaduto se l’avessi infranto, senza contare la pessima figura che mi hai fatto fare rubandomi la fiala da sotto il naso.»

Ancora urla, unite alle risate di Gonos, alle urla di supplica di Draco e ai sospiri di Liliat. Nukter era evaporato, non lo si vedeva più: la sorella aveva sotto controllo la situazione con il mago, forse aveva preferito non assistere ad ulteriori piagnistei e torture. «Smettila, ti scongiuro! E’ per me che è qui! E’ venuta con me! Punisci me, lasciala in pace!»

Gonos, che cessò per un attimo il suo gioco, lo fissò estasiato. «Oh, non voglio te, giovane Malfoy. Tu sconterai la tua pena anche senza che debba infliggertela io… - puntò i suoi occhi, liberi dal cappuccio poggiato sulle spalle, nei grigi del ragazzo - …sai a cosa mi riferisco. La tua anima è già lacerata, manca poco perché cose strane comincino a verificarsi, manca poco perchè tu perda te stesso inte stesso. Godrò nel vederti fallire, Draco Malfoy. E in quanto a lei…»

La tortura di Gonos – come ancora una volta volevasi dimostrare – fu lenta e terribile: qualsiasi ferita, istantaneamente, si rimarginava, lasciando che la sofferenza fosse sostituita dalla confusione e dalla debolezza, causate dalle emorragie. Più perdeva sangue, più le sue urla si facevano acute e le ferite si rimarginavano più velocemente. Il suo intero corpo era scosso da spasimi, il tremolio la percorreva da capo a piedi, mentre mormorava parole confuse e quasi tutte prive di senso. «perdono… mi dispiace… le colpe del padre… mi dispiace… le menzogne, i muri della relazione… le menzogne…»  
Quando la mano di Gonos si posò sul polso della strega, facendola sussultare ed emettere un gemito di paura, Draco tentò ancora una volta di raggiungerla. Fu inutile. «Lasciala verme! Parassita che non sei altro, troverò il modo di fartela pagare! NON ANDRA’ A FINIRE COSI’!»

E mentre la risata di Gonos continuava a dilagare nella sala, riuscì ad udire una voce flebile, tanto flebile da fargli bloccare il cuore per qualche istante. «…Draco...» Gli occhi di Hermione, non più luccicanti di lacrime ma ormai ricchi di copiose gocce salate, che scendevano lungo le sue guance, si rivolsero a Gonos: poteva mai essere stata tanto sciocca da pensare di potergli essere utile o, anche peggio, di avere la meglio su di lui? «Ti prego… lascialo andare, dimmi cosa vuoi e lascialo andare.»

Il moro fece un cenno con il capo a Liliat che, ubbidiente, toccò la fronte di Draco prima che lui potesse ribellarsi, quindi cominciò a cantare una strana litania. In pochi istanti, prima di rendersi conto di cosa stesse accadendo, il corpo del mago si accasciò a terra, privo di sensi. «E’ solo addormentato, non gli ha fatto nulla. – spiegò sbrigativo Gonos, sorridendo in maniera poco rassicurante verso la sua interlocutrice. – Non volevo interruzioni. E’ semplice: io ti darò la possibilità di concludere la Ricerca, in un modo o in un altro, ti assicurerò il possesso degli altri due Metalli, quello di Liliat e quello di Zira. Il terzo sarà il giovane Malfoy a recuperarlo, anche se non so fino a che punto potrà perdonare, se stesso e il suo passato. Per Syfil non posso né farò nulla: è il nostro Supremo, andare contro il suo possesso sarebbe per me motivo di morte prematura e io, piccola umana, vivo da troppo tempo per rischiare di morire in questo modo… umano.» Fece una pausa, assicurandosi che fosse ancora sveglia e attenta: i suoi occhi la guardavano. «Non mentivo, tuttavia, quando rivelai a Liliat di trovarti affascinante: apprezzo molte delle tue capacità e sono ancora convinto che saresti un’ottima Adepta, una volta completata questa pagliacciata dei Metalli con Malfoy.» Tacque, valutando la reazione di Hermione, che non tardò ad arrivare: la ragazza sgranò gli occhi, boccheggiando, quindi aggrappandosi ad una delle ferite particolarmente dolorose e reprimendo un gemito.

«Non fraintendermi – proseguì il Guardiano – non puoi né potrai mai essere considerata una Guardiana a tutti gli effetti, siamo Sette più Syfil, questo è un dato che non varierà mai nel corso dei millenni. Ma, con il tempo, alcuni ritengono che i loro compiti siano troppo… noiosi, per essere affrontati da soli e pienamente. Alcuni decidono di prendere sotto la propria ala un Umano – o un essere dotato di intelligenza pari a quella umana, non importa la specie – e istruirlo circa la nostra missione.  Non sempre è facile, soprattutto perché le vostre emozioni sono molto più legate al Mondo a cui appartenete di quanto le nostre potranno mai esserlo, eppure questa rara e piacevole usanza è una delle nostre tradizioni.» Si fermò per qualche istante, lasciandole il tempo di assorbire quelle informazioni, prima del colpo finale. «I tuoi sentimenti, benchè forse troppo freschi, giovane umana, non sono nascosti come credi: aiuti quell’uomo nella sua ricerca e non sai cosa questo comporti per lui, non sai i motivi che lo spingono ad andare avanti. La sua anima si lacera ad ogni metallo che conquista, ogni fiala che tocca la sua carne gli sottrae energie e vita per anime morte…»
«Anime morte? – soffiò la ragazza, incredula – Sta raccogliendo i Metalli… la sua anima? Che vuol dire che la sua anima è lacerata? Come per… gli Horcrux?»

«Rare sono le magie che lacerano l’anima per un fine “benevolo” e, in questo caso, si parla di una di queste. Ma l’anima del giovane Malfoy non è eterna e neppure il suo corpo lo è. Non resisterà fino alla fine temo… non senza di te.» E questo cosa diamine voleva dire?«Intendo dire che il tuo aiuto è stato prezioso se non addirittura indispensabile per le vittorie che avete ottenuto, no?»

Quasi come se la nebbia avesse, fino a quel momento, avvolto la sua strada, sentì le nuvole diventare più rade e il suo percorso divenire chiaro e definito davanti a lei: era questo che era destinata a fare? Sacrificarsi per il suo amore e per le persone a cui teneva? Non aveva mai compreso pienamente Harry o le sue infantili crociate eppure ora, in quel momento e in quella circostanza, non riusciva a non essere vicina all’amico, a non condividere le sue decisioni e conseguenti sofferenze: le vedeva sotto una nuova luce, ora. Abbassò gli occhi verso terra. «Se dico si, non voglio ricordare nulla di tutto questo, è chiaro? Voglio che tu mi faccia dimenticare ciò che ti ho promesso e ciò che tu mi hai rivelato. Se dico si, Draco avrà i suoi Metalli, fino all’ultimo… Syfil escluso, di quello ci occuperemo noi. E devi promettermi che non gli accadrà nulla, né a lui né alla sua anima…»

«Non dipende da me, se la sua anima è lacerata… non posso farci…»

«Siete… seiun essere millenario. Non venirmi a raccontare che non puoi far nulla per la sua anima. Puoi farlo e, a ricerca terminata, lo farai. Accetto. – il respirò le mancò per qualche secondo, un freddo gelo la punse all’altezza del cuore, lasciandola palpitante, le pulsazioni in aumento – Sarò tua Adepta. Una volta che avrò preso l’ultimo Metallo…»

«Quasi dimenticavo… - s’intromise Gonos – Diventare uno di noi significa dire addio alla tua vita mortale. Dovrai morire per rinascere, ne sei consapevole?» La risposta di Hermione fu un brusco cenno del capo: non voleva morire ma, ormai, non era la cosa peggiore che dovesse valutare.
«Allora siamo d’accordo. Liliat…»


«Ho già provveduto a Malfoy. Ora tocca e lei… farò un lavoretto con i fiocchi.»

«E non andarci troppo leggera… - mormorò Gonos, mentre Hermione perdeva conoscenza – Non dimenticarti che ha pur sempre finito con l’umiliarci…»

«Sarà definitiva la tua decisione? Non vuoi proprio che ricordi?» Ormai non sentiva più il suo corpo, non sapeva se attorno a lei c’era luce o buio, se era seduta o distesa.

«Chi lo sa. Lei ha detto di voler dimenticare ma ha trascurato per quanto tempo. Tu elimina i suoi ricordi, se lo riterrò opportuno saprò trovare il modo di farla rientrare in possesso di quello che le manca…» La risata dei due proruppe nella caverna, sovrastando ogni cellula del corpo della strega, prima del buio.

Riemerse dai ricordi, trovando Zira che la guardava, quasi divertita, stranamente vigile e focalizzata su di lei. Senza dirle altro le tese la fiala. «E’ come se la stessi dando ad uno di noi. Non sei ancora parte del nostro mondo ma accadrà presto, Hermione Granger.»

Avrebbe preferito non ricordare.

Avrebbe preferito non stringere quel patto.

Avrebbe preferito amare Ron per il resto della sua vita e non restare immischiata nelle luride faccende di Draco Malfoy.

Era stata disposta a vendere la sua stessa vita per lui? Come le era saltato in mente? Cosa aveva potuto darle quell’orgoglio e quell’arroganza tali da ritenersi capace e in diritto di decidere della propria vita? Non c’era solo lei. Chi avrebbe pensato ai suoi genitori, e ad Harry, e ai Weasley – meno i più piccoli della cucciolata di Molly? Erano tutte persone – e soltanto un gruppo esiguo, tra l’altro – che contavano su di lei, che facevano affidamento su di lei. Cosa avrebbe giustificato l’abbandonarle a quel modo, Draco? Lo conosceva da qualche mese e allora? Poteva sacrificare tutta la sua vita per un uomo che…

…amava? Si, poteva.

«Oh, e Hermione… - la richiamò Zira, gli occhi persi nel vuoto ancora una volta – Prima di affidarti ciecamente al sentimento d’amore nei confronti di Malfoy, ricorda che Liliat ha cancellato la tua memoria ma ha soltanto sopito la sua: lui ha ricordato, anche se a spezzoni, ciò che tu oggi hai visto. Sapeva, anche se soltanto in linee generali, del tuo patto con Gonos… o comunque, era a conoscenza del fatto che ne avessi stretto uno con lui. Stai attenta a chi doni il tuo cuore, Hermione Granger, anche se tra poco non importerà più. Zira è l’ultimo Metallo. Syfil ti attende e, con lui, anche il tuo dovere verso Gonos.»
Non si era mai sentita più impotente in tutta la sua vita: desiderava soltanto urlare. Ma a cosa avrebbe giovato?

***

Si svegliò di soprassalto, sudato e… nudo. Si rese conto di trovarsi ancora sul divano, la luce che filtrava dalle tende chiuse. Tirò le coperte un po’ più su fino a coprire le sue nudità, quindi si sedette con i piedi per terra, scompigliandosi i capelli nel vano tentativo di dargli un aspetto meno disordinato. Tra le tante cose di cui notò l’assenza, in quella stanza – biancheria, luce, la sua colazione – una in particolare catturò la sua attenzione e, in contemporanea, il suo disappunto: Hermione. Dov’era finita? Forse si era rifugiata in biblioteca, o forse era tornata sulle sue ed era nell’altra stanza a fare le valige.

Si massaggiò le tempie, rendendosi conto improvvisamente di aver sognato. Ma non era stato soltanto un sogno. Si trattava di qualcos’altro, anche se non poteva averne la certezza: ricordava quello che c’era da sapere circa Liliat e il suo buco di memoria. Possibile che la sua mente avesse ricreato tutto? Possibile si fosse trattato soltanto di un trucco? O, dopotutto, forse la sua mente si era ribellata ed aveva ricordato… ma perché? Cerco di scavare un po’ più a fondo, notando dettagli che, fino a quando aveva aperto gli occhi, non aveva registrato: Hermione che guardava quella stessa scena, china su un bacile di pietra, un Pensatoio. Accanto a lei una donna che mormorava qualcosa: non la conosceva. Chi era? La fiala che aveva in mano gli svelò la sua identità, anche se rimaneva una cosa assurda… come poteva trattarsi di qualcosa di reale? Hermione non poteva aver incontrato la settima Guardiana, così come era del tutto assurdo pensare che avesse stretto un patto con Gonos e…

«Granger!» La chiamò a pieni polmoni, ripetendo il suo nome ancora e ancora: se era in casa le sue paure si sarebbero dissipate, sarebbero sfumate e avrebbe sorriso al vedere il suo sorriso. Ma non arrivò alcuna risposta, tranne un borbottio di Blaise che lo informava che la sua dolce metà era uscita.

Non era stato un sogno.




 
Note dell'autrice:


(1)     – Per capire a pieno il significato di questo termine, vi invito a leggere un libricino che mi ha colpito tantissimo: uno scritto di Freud, pubblicato nel 1919, che si chiama propriamente “Perturbante”. Non ha più di una sessantina di pagine e spiega propriamente quella sensazione che spesso si avverte in determinate circostanze, nei confronti di oggetti o persone, verso cui proviamo in contemporanea un senso di attrazione e repulsione – proprio come accade ad Herm, in questo caso.




Scusate il disastroso ritardo e mi dispiace da morire. Eccovi finalmente svelato cos’era successo nell’intervallo di tempo eliminato da Liliat dalla mente dei due piccioncini: sorpresi, turbati? Non è un qualcosa che avevate preso in considerazione, non è vero? Del resto Gonos stesso afferma che, nel caso lo avesse ritenuto necessario, avrebbe trovato un modo per far tornare i ricordi a Herm. Il suo sadismo poi… ci sto prendendo veramente gusto, lo ammetto. Insomma, prima tortura Draco e adesso Hermione, prima di parlare dolcemente a quest’ultima e proporle di diventare la sua adepta. Hermione accetta. So che al momento può risultare strano ma, come dice la strega stessa, il suo istinto non l’ha mai tradita: che questa sorta di “sacrificio” possa aiutare Draco più della conoscenza millenaria di Gonos e compagnia bella.

Inoltre si svela anche un altro punto cruciale, come avrete potuto notare: Syfil, l’ultimo guardiano è anche l’unico su cui Gonos non ha alcun controllo. Sarà più sadico del Guardiano numero tre o ci sorprenderà? Manca poco, credetemi, ormai sappiamo che manca un solo Metallo – anche se Hermione non ha consegnato il suo a Draco, badate bene, Zira è ancora nelle sue mani – e un solo Guardiano: il conto alla rovescia è iniziato! xD

Spero davvero di non avervi deluso – anche se devo rispondere a trilioni di recensioni e lo farò, giuro! – e ci rivediamo al prossimo capitolo. Ringrazio infinitamente quelli che recensiscono, preferiscono, ricordano e seguono la storia: siete sempre più numerosi e sempre più gentili, anche se non lo merito >.<

E, poiché siamo quasi alla fine, sento il bisogno di ringraziare la mia Sister, anche se non arriverà mai a leggere fino a questo punto, perché “Downfall” era nella sua mente come nella mia ancora prima che voi la poteste anche solo sognare. E le voglio bene per questo =)

Beh, ho esaurito le cose da dire, quindi vi lascio alla vostra estate. Baci, Katia.

 

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Capitolo 21
*** Things we want and Things we can't get ***


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Your blackmail, My downfall. Vol 1
***
 Capitolo XX:

Things we want and Things we can't get


Bussò ancora una volta, il pugno che sbatteva violento contro la porta di legno, una casa che aveva visto nell’ultimo mese più volte di quante avrebbe voluto vederla in tutta la propria esistenza. «Potter, maledizione! Giuro che sfondo la porta se non apri all’istante. Auror un corno, ti uccido!» Fece scontrare il pugno ancora una volta con il legno, prima di soffocare un gemito e posare la fronte contro lo stipite della porta: maledetto Potter, lui e il suo moralismo!
Quando ormai non ci sperava più – non sapeva se fossero passati solo pochi minuti o ore intere – il chiavistello girò dall’altra parte, mentre il Sopravvissuto comparve davanti a lui. Era decisamente in ottima forma, per uno che ha perso la moglie e ha rischiato di perdere la sua migliore amica. Anzi, per il suo criterio di giudizio per nulla affrettato, stava fin troppo bene. Era una sua impressione o cercava di tenere la porta aperta giusto il necessario per guardarlo in faccia? Era in vestaglia? Fare due più due, per uno come lui, non era una novità, soprattutto in questioni come quelle: hai capito Potter. Peccato che l’occasione fosse tutt’altro che adatta per scherzare, al momento non voleva ridere se non davanti al sorriso di Hermione. Sperava con tutto il cuore che almeno Potter potesse dargli più informazioni, almeno una notizia in più di chiunque altro avesse incrociato sul suo cammino in quei giorni: incapaci e privi di informazioni utili, tutti loro.

Non sentiva la ragazza da una settimana. Da quando si era svegliato da solo sul suo divano, non aveva avuto più notizie di lei. L’unico “contatto” era stato un bigliettino che gli aveva materializzato sul letto, accanto al pacchetto di una fiala – che capì al volo essere il Metallo numero sette – e nel quale gli aveva scritto poche parole, che avevano avuto tanto l’aspetto di un addio: Ti amo troppo, tu non mi ami abbastanza. So di Gonos. Hermione. Quelle parole, quelle poche ed insignificanti parole avevano finito con l’ossessionarlo fino all’inverosimile: come poteva aver saputo che lui sapeva? Era stata la Guardiana a rivelarglielo? E se invece no, cos’era stato altrimenti? Intuito? Non poteva essere intuitiva fino a quel punto, anche se era Hermione Granger. Si era squarciato l’anima nella speranza di poter rivolgere direttamente a lei le domande che lo assillavano, senza trovarla. Si era scagliato contro Blaise, contro i suoi elfi domestici, contro il mondo e l’universo conosciuti ma nulla, lei non era arrivata e, con lei, non era arrivata alcuna risposta alle sue domande.

«Hai esattamente trenta secondi per spiegarmi perché il tuo pugno è inchiodato alla mia porta da almeno dieci minuti e perché non dovrei spedirti ad Azkaban, Malfoy.» Riversò tutto l’astio e l’odio di cui era capace in quelle ultime sillabe.

«Dov’è? – domandò furioso l’altro, ignorando le domande del moro – Dov’è Hermione? Non c’è in nessuno dei posti che frequenta o dove ha abitato, con te si sente al sicuro quindi… è qui. Lasciamela vedere.» In risposta ricevette soltanto un alzata di spalle e degli occhi roteati al cielo. Sbattè un pugno contro lo stipite della porta, facendo pericolosamente oscillare il numero 12, quindi imprecò. Harry strabuzzò semplicemente gli occhi e lo fissò indignato.

«Se non ti fosse ancora chiaro, Malfoy, o te ne vai di tua spontanea volontà o ti faccio portare via io, e sai che posso farlo e lo farò. Non so dove sia Hermione e, anche se lo sapessi, non metterei mai in dubbio una sua decisione. E, se vuoi proprio tutta la verità, a parer mio non ha mai fatto scelta più saggia che allontanarsi da te e dal tuo Manor. Ora, se vuoi scusarmi.» La porta gli si chiuse lentamente davanti, sentì la chiave girare due volte e il catenaccio issarsi nella sicura. No, Potter, le bugie non le sai proprio dire. Sorrise amareggiato, scendendo gli scalini e trovando un posto sicuro per materializzarsi: anche se aveva la quasi totale certezza che la Granger si trovasse a Grimmuld Place, in quel preciso istante, sfondare la porta del Capo degli Auror non era una mossa saggia, specialmente per uno che aveva ancora il Marchio Nero sul braccio. Malgrado volesse – e lo voleva davvero tanto – parlare con lei e spiegarle, capire almeno un briciolo di quello che ancora non gli era chiaro, non poteva vederla, non adesso e non lì. Scomparve con un leggero pop, lasciando il vicolo vuoto e maleodorante per le mura più sicure ed accoglienti del Manor, anche se erano intinse di ricordi che non voleva riportare alla mente.

Hermione Granger lo guardò svanire, spiando al di là della tendina appesa sulla finestra, in cucina.

Harry la raggiunse, poggiandole una mano sulla spalla per avvertirla della sua presenza. «Herm, è andato via. Stai… stai bene?» La ragazza annuì con un cenno del capo, asciugando con il dorso della mano la guancia bagnata: certo che stava bene, era ovvio.

«Herm, ti prego parla con me. Riuscivamo a parlare, una volta… prima del casino di Ginny, prima della tua rottura con Ron, parlavamo, non è così? – la mora annuì senza voltarsi – Allora possiamo farlo ancora, ti prego. La normalità è stata qualcosa di talmente bello che me ne sono lasciato prendere a tal punto da… da non vedere il resto.» La ragazza lo guardò, notando che si era seduto su una delle sedie di legno che circondavano il tavolo della cucina. Lo raggiunse, in silenzio, dandogli una fiducia che – doveva ammetterlo – gli aveva negato negli ultimi tempi, anche se non sempre a ragione. Si era fidata di quello che era il suo istinto, di quello che il suo cuore le suggeriva, contro le grida e le prediche della sua ragione: come aveva fatto a lasciarsi trasportare a tal punto? L’amore era cieco, c’erano cose che nemmeno la magia poteva o avrebbe potuto spiegare di esso, ma c’erano anche dei limiti che era consigliabile non superare… stringere un patto di eternità sulla non-morte con un Guardiano vecchio millenni era, per esempio, ma giusto uno a caso, tra quelli. Aveva ricordato tutto, la memoria le era tornata come un sogno che, scritto su un foglio di carta, risulta impossibile da dimenticare. Eppure come poteva convivere con il peso delle sue scelte? Come poteva capacitarsi di un sentimento tanto forte da costringerla addirittura a sacrificare se stessa? Nei lunghi anni passati con Harry e Ron aveva scoperto una cosetta o due sul sacrificio ma nulla, nulla al mondo poteva essere paragonato ad una simile decisione. Lei, adepta di Gonos?

Il patto che aveva stretto non vincolava soltanto la sua vita alla Ricerca, vincolava lei. Appena morta – di morte prematura, violenta o naturale – sarebbe diventata un burattino nelle mani di un essere spietato e per nulla piacevole: se doveva trascorrere con lui i prossimi secoli avrebbe almeno preferito fosse dotato di una qualche parlantina eccellente o di un beffardo umorismo ma… non era da lui. Non era da lei. Le piacevano quelli che la facevano ridere proprio perché lei era incapace di far ridere se stessa. Malfoy l’aveva fatta, incredibilmente, ridere. Era stato quello il momento in cui aveva deciso di non poter fare a meno di lui, si domandò rassegnata? Era stato quel momento che aveva segnato la sua vita? Forse.

«Allora… - la voce di Harry la riscosse dai suoi pensieri - …burrobirra?» Senza aspettare una sua risposta, ne appellò un paio che si depositarono davanti a loro: lui bevve, lei la fece girare tra le mani, fissandola semplicemente, certa che avrebbe vomitato all’istante qualsiasi cosa si fosse depositato nel suo stomaco. Aveva la nausea.

«Non sono certa di riuscire a parlarti proprio di tutto… non credo di poterlo fare con chiunque, sia ben chiaro, non dipende assolutamente da te. Beh, sorvolando il mio arrivo al Manor – di cui hai tutti i dettagli, tra cui anche la mia scabrosa professione – diciamo solo che sono rimasta stregata dal suo proprietario… e non nel senso che mi abbia lanciato un Imperius, sia chiaro.» Preferì chiarire la cosa, visto che aveva notato uno sguardo allarmato attraversare le iridi di Harry e aveva intuito al volo i suoi pensieri: pensava sempre al peggio, quel ragazzo, era la sua pecca! Fin da quando erano piccoli riusciva a vedere il potenziale positivo solo dopo che tutte le alternative negative si erano esaurite. In una normale circostanza avrebbe anche potuto sorridere a quel ricordo ma adesso, in quella particolare circostanza, le sue labbra non si sarebbero piegate nemmeno sotto incantesimo. Si massaggiò nervosamente le nocche, prima di proseguire. «Beh, ti risparmio tutti i dettagli…»

«No, Herm, io voglio proprio i dettagli! Vogliamo parlare di quante stranezze ci sono capitate da quando vivi sotto il tetto di quel farabutto? E’ un Mangiamorte, dopotutto.»

«Ex Mangiamorte – sottolineò petulante l’altra, senza riuscire a nascondere del tutto il fastidio a quelle parole – era una persona diversa, all’epoca. Le persone, tuttavia, cambiano, dovresti saperlo molto meglio di me questo, Harry.» Il moro non osò contraddirla, come da manuale, quindi lei si sentì libera di proseguire, anche se ancora non riusciva a capire bene fino a dove avrebbe potuto spingersi nella sua confessione: aprì la bocca e la richiuse, ci provò ancora ma senza ottenere migliori risultati. Guardò Harry desolata, che ricambiò il suo sguardo con un’occhiata confusa. Herm scosse la testa, stavolta forzandosi a sorridere. Non riusciva a parlare.

«Beh, mi dicevi di come il proprietario del Manor ti avesse… stregato.» Non c’erano né giudizio né disapprovazione in quelle parole, solo neutrale constatazione. Lo notarono entrambi e, a quella frase, scese un fitto silenzio teso, pieno di sottintesi. Fu di nuovo Harry a parlare. «Herm, mi dispiace, dico davvero, questa situazione pesa ad entrambi, non credere che non me ne renda conto ma… che pretendi? Entri nella casa di un Mangia… ok, Ex Mangiamorte e, nemmeno due settimane dopo, consegni le carte di dimissione dall’Ufficio Ministeriale delle indagini degli Auror. Ok, posso capire che sei una persona onesta e ingannare chiunque, inclusi o esclusi quelli come lui, possa essere difficile da affrontare… ma il dopo? Mi ha supplicato di salvarti quando eri in fin di vita, Herm… tu non ti rendi conto di quanto avrei desiderato ucciderlo, si. Un secondo esatto dopo aver visto le tue condizioni, dopo aver visto il tuo corpo ricoperto di quei lividi anormali e di quelle ferite e… Merlino, non sai… quanto è stato difficile… sopportarlo.» Protetta dal velo dell’incoscienza lei non si era mai preoccupata di quel dettaglio, all’epoca, e neppure dopo si era premurata di chiedere informazioni al diretto interessato. Ciò, naturalmente, non cambiava il fatto che il suo migliore amico, per tutto quel tempo, aveva tenuto nascosti, dentro di se, sentimenti ed emozioni forti quasi quanto dolorose: il luccichio delle lacrime, nei suoi occhi, gliene fornì la concreta prova. «La verità è che tu hai smesso di parlare con me, di chiedermi consiglio o addirittura di fidarti di me.»

«Non è vero. Io… - cercò le parole adatte, rendendosi al contempo conto che non ve n’erano – La verità è che ormai ci ho fatto quasi l’abitudine. Non fraintendermi: con te e Ron ho imparato a tenere la bocca chiusa, se e quando un’occasione lo richiedeva, ma mai avrei pensato di rivelare a voi qualche segreto di altri… a meno che questo non potesse direttamente nuocere a tale persona o potesse essere fondamentale contro Voldemort. Tu mi conosci come una persona onesta, Harry, ma quell’onestà non è tale solo se la circoscrivo a due individui su tutta la terra! Non è così che funziona, come potrebbe? L’onestà è un valore assoluto che io rispetto e ho sempre rispettato, così come continuerò a fare…»

«E’ quest’onestà che ti spinge a nascondermi le cose? A dirmi bugie? – Harry alzò lo sguardo, incrociando gli occhi dell’amica – Non credere che io sia uno stupido. Passaporte per la Cina? Documenti assolutamente improponibili per una donna come te… chiedi che non mi sia fatto domande a riguardo, credi che non abbia… temuto, ogni istante della tua permanenza al Manor, per la tua vita?»

Quella frase spiazzò la ragazza, anche se riuscì a ricomporsi in poco tempo, sbattendo confusa gli occhi e richiudendo la bocca, le labbra di nuovo sigillate. «Non c’era motivo di temere tanto per…»

«Non c’era motivo? Eri in fin di vita, Hermione, praticamente morta. Che avrei dovuto pensare? Che devo pensare anche adesso, mentre sei seduta qui davanti a me e continui a mentirmi o rifilarmi mezze verità… non sei autolesionista, ti conosco, se fai qualcosa per qualcuno lo fai solo se ci tieni. Ti prego, non tradire la fiducia di chi rispetti ma almeno dimmi la verità: hai una relazione con Malfoy? Insomma… tu e… lui…»

«Non chiedere cose di cui conosci la risposta, Harry. – ribattè lei, forse fin troppo brusca del solito e del dovuto – Ci sono andata a letto? Si. Lo amo? Si, anche. Ma proprio come non posso sopportare di tradire la sua fiducia non posso sopportare che io tradisca la sua e lui, in parte, la mia. Ho bisogno di stare lontana da lui per un po’, chiarirmi le idee.»

Harry assorbì la notizia forse fin troppo bene, o forse semplicemente non diede a vedere di quanto in realtà l’avesse turbato: in ambedue i casi, gli fu grata. «Voglio che tu sia felice, Herm, dico davvero. Voglio che tu sia felice, voglio vederti sorridere e vederti tornare raggiante come quando riuscivi a battermi in Pozioni al Sesto Anno… avveniva raramente per via del Principe ma, sai che intendo… - sorrisero entrambi, stavolta, incapaci di trattenersi – Voglio soltanto che mi permetti di proteggerti per quel che posso. Se posso garantirti quella felicità – con o senza Malfoy, a te la scelta – lascia che lo faccia. Lascia che lo faccia per te

La ragazza diede un bacio sulla guancia al suo migliore amico, quindi l’abbracciò stretto, nascondendo il viso ancora bagnato nell’incavo della sua spalla e sospirando. «Non devi sempre salvare tutti, Harry Potter. Adesso, l’unica cosa di cui ho bisogno, è che tu ti fidi di me. Il resto si sistemerà a tempo debito.»

***

«Picccola mia, non ti aspettavo! Pensavo fossi da qualche parte in Australia a fare ricerche per il tuo… Ministero, o come si chiama!»

«Si, scusa mamma. – la ragazza abbracciò velocemente la donna, entrando in casa – Avrei dovuto avvisarvi che tornavo, è solo che…»

«Oh, ma per l’amor del cielo! Mia figlia non ha bisogno di scuse per tornarsene a casa quando le pare! Piccola, non dare ascolto a tua madre… è il reverendo della parrocchia che le sta dando dei problemi con… non importa. Oh, quanto mi sei mancata.» Dopo uno sguardo intenso – durante il quale, fu certa, il padre comprese tutto senza bisogno di spiegazioni – l’uomo l’abbracciò, stringendola forte al petto. Si era sempre sentita al sicuro fra le braccia del suo papà, fin da piccola: il suo abbraccio, forte tanto da sgretolarti le ossa, era capace di eliminare i problemi come il vento spazzava via i granelli di sabbia nel deserto. Gli fu grata per quell’accoglienza.

«Allora, è andata bene in Australia?»

«Oh si, papà, una meraviglia… però ora vorrei riposare un po’. Sai il fuso, il viaggio…»

«Ma voi non vi spostate velocemente da un posto all’altro con la Metallirzazione?» Sua madre era sempre stata così arguta da notare le sue bugie anche in campo magico? Aveva ereditato il suo cervello, senza dubbi.

«Materializzazione, mamma. E no, non può essere usata sempre, non con distanze troppo estese ma… Comunque mi devo riposare… mi chiamate per la cena?» Il padre le diede un bacio sulla fronte, annuendo. Oh, il suo papà: qualsiasi cosa fosse successa al mondo lui sarebbe rimasto un punto fermo della sua esistenza. Fin da piccola l’aveva sempre visto come il suo angelo custode – il che era anche normale per una bambina di cinque anni con problemi circa tazze volanti o forchette piegate in due – e questo non era cambiato nemmeno con il passare degli anni. Come avrebbe fatto a fare a meno di lui, se e quando fosse diventata l’Adepta di Gonos? Il cuore le si strinse in una morsa dolorosa, tale che fu costretta ad appoggiarsi alla porta della sua camera per qualche istante, prima di entrare: cosa avrebbe comportato il divenire una Guardiana a sua volta? Aveva pensato soltanto all’aspetto teorico, ora scopriva che a terrorizzarla era quello pratico. Scivolò dentro la sua stanza, chiudendo la porta a chiave: fotografie, libri, ricordi di una vita che non le apparteneva più e alla quale cercava disperatamente di restare aggrappata. Si lasciò cadere sul letto, vestita e con le scarpe ai piedi, il viso sprofondato nel cuscino, la mente che vagava lontana chilometri da li, in un Manor di pietra.

E se non ricordassi più nulla di ciò che ero, di ciò che sono stata? E se mi dimenticassi dei miei, di Harry… di Malfoy?

La fitta al cuore, stavolta, fu ancor più dolorosa. Senza una precisa ragione, con il puro istinto a guidarla, estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni, appellando un libro da una delle due valigie posate accanto all’armadio: il piccolo libricino rivestito in pelle le si depositò tra le mani. Il diario di Callista. Da quando aveva ottenuto quel diario – non l’aveva rubato, fosse chiaro, ma solo preso in prestito – aveva trovato la sua lettura affascinante se non paradisiaca: più che un resoconto della sua vita, Callista vi aveva annotato pensieri, frasi dei suoi libri preferiti, riflessioni generali legate ed eventi speciali della sua esistenza – che, giusto per mantenersi in tono di mistero, non aveva sempre sentito il bisogno di annotare chiaramente. Le sarebbe piaciuto avere un qualcosa di simile ma suo. Era certa che, dovunque si fosse trovata, chiunque fosse stata, di certo le parole che racchiudevano i suoi sentimenti sarebbero state capaci di riportarla indietro con la mente, far riaffiorare i ricordi anche cancellati. Tolto il segnalibro di cuoio, riprese da dove aveva terminato la lettura la volta precedente.

«…L’infelicità serve a farci comprendere e a farci apprezzare ciò che possediamo e che, forse con troppa leggerezza ed infinita stupidità, consideriamo insufficiente. Non esiste una vita vuota, una vita priva di emozioni e, al contempo, non esiste una vita perfetta: la perfezione, per Merlino, è degli dei, se mai ve ne siano da qualche parte, non compete agli Uomini. Essi stessi, nella loro natura, sono così infinitamente fallaci e ingiusti, con se stessi e con gli altri, da rendere improbabile che la parola perfezione possa essere a loro riferita.

Eppure la felicità, quella pura e semplice ma non quella “perfetta”, esiste laddove noi decidiamo di cercarla. E se qualche volta ci dimentichiamo di ciò che siamo o di chi siamo stati, di cosa ci ha portato ad essere felici, con noi stessi prima e con gli altri poi, basta prendere in mano un ricordo della nostra esistenza e pensare… pensare a tutto e al nulla e rendersi conto della propria fortuna. Io so che sono fortunata, so che qualcuno mi ha concesso più di quanto sperassi di ottenere dalla Vita e so che, se mai potrò dimenticarlo, queste pagine mi riporteranno indietro e mi ridaranno la forza di Credere al possibile della fortuna di ogni giorno e della felicità…»

Non completò la pagina – di solito poche righe erano già alquanto sufficienti per rendere l’idea di quello che Callista voleva esprimere. Ammirava quella donna, anche se non l’aveva mai conosciuta o non aveva mai sentito parlare di lei prima del momento in cui quel diario le era stato affidato: ammirava il suo modo di essere e di vedere le cose e, paradossalmente, la sua capacità di darle consigli anche a distanza di secoli. Non era forse una cosa giusta, quella che aveva detto? La felicità è qualcosa che spesso sottovalutiamo ma, quando troviamo sotto mano un ricordo della nostra vita, per quanto misera possa essere stata, finiamo con renderci conto di quanto l’abbiamo sottovalutata in quel momento e di quanto adesso, invece, quel momento medesimo sia importante? Sorrise, mettendo il diario da parte, ancora aperto. Accese la lampada e prese uno dei fogli di pergamena che teneva nel cassetto della scrivania, insieme all’inchiostro ed alla penna d’oca.

Sospirò, posando la penna sul foglio e cominciando a scrivere.

***

Il vento soffiava impetuoso. La primavera, ricca di promesse, non sembrava affatto ricca come gli anni precedenti, portatrice di calore e bel tempo. Le nuvole preannunciavano  pioggia, la giacca di Hermione confermava il freddo. Il ragazzo moro si materializzò dietro un cespuglio, sicuro che almeno li nessuno l’avrebbe visto, anche se l’orario era perfetto per passare inosservati. Si trovavano in un parco giochi, le altalene cigolanti e la girella che ruotava su se stessa con sordi ed acuti rumori. Un posto inquietante, non ricordava fosse stato così quand’era bambina.

Il ragazzo non ci mise molto a vederla, avvicinandosi a lei con passi lenti e cauti, gli occhi che scrutavano il posto circospetti: i maghi erano pessimi attori, tentare di dissimulare la propria natura nel mondo babbano era sempre stato un loro punto debole. La raggiunse e si fermò a qualche passo dall’altalena su cui era seduta, fissandola. Non gli piaceva essere li, lo vedeva dal suo sguardo, ma non aveva trovato altre soluzioni al di fuori di quella per fare ciò che doveva, per riparare almeno ad una delle parti della sua sconnessa vita. Distese le labbra in un sorriso forzato. «Ciao.»

Lui non fu altrettanto gentile: continuò a guardarsi intorno, come se aspettasse di veder saltare fuori da dietro gli alberi Dissennatori o Troll. «E’ tutto apposto. – tentò di tranquillizzarlo – Questo posto è poco frequentato di giorno, figuriamoci di notte. Nessuno ti ha visto e nessuno ci vedrà… rilassati, dico sul serio.»

«Possiamo sbrigarci? Ho una partita di allenamento dopo, sai che qualcuno deve lavorare a questo mondo a differenza del tuo boyfriend. Ok, mi ero ripromesso di fare il meno battute possibile ma… non è stato facile nascondergli che stavo venendo da te. E’ fuori di testa, Granger, finirà ad Azkaban di questo passo… o al San Mungo, chissà: dipende principalmente da cosa farà effetto prima, le minacce al Capo degli Auror o la bottiglia di whisky.» Si era aspettata anche questo, naturalmente. Blaise era un amico di Draco, il suo migliore amico, e lo stato in cui adesso era ridotto non era colpa di altri se non di lei, lo sapevano entrambi: lei l’aveva lasciato, lei se n’era andata e ora lui era alla disperata ricerca del motivo per cui l’aveva fatto. Blaise era imbarazzato quasi quanto lei era confusa, in quel preciso momento. Poteva rispondergli, adesso, anche se non nel modo in cui lui avrebbe voluto, era almeno un passo avanti, lo stesso per cui aveva acconsentito a venire.

«Grazie di essere qui, comunque, so che lo stai facendo per lui… contavo proprio su questo.» Con un gesto lento, quasi teatrale, estrasse il diario di Callista dalla borsa che portava a tracolla. «E’ il diario di una sua antenata, me l’aveva prestato perché potessi leggerlo ed è tempo di restituirlo. Dentro c’è una lettera per lui. Deve leggerla, voglio che la legga. C’è scritto tutto quello che ho bisogno lui sappia.» Il moro, senza dire una parola, prese il libro tra le mani e annuì con un cenno del capo. Se doveva riconoscere qualcosa a quel ragazzo, con il quale aveva passato ore e ore a litigare, Jacuzzi o non, era il suo spirito di fedeltà e di amicizia, che lo legava soprattutto alle persone care, tra cui c’era anche il suo migliore amico, Draco Malfoy. Rimasero in silenzio per qualche istante e Hermione decise che non avrebbero trovato molto altro di cui parlare, quindi semplicemente pensò di andarsene.

«La casa dei tuoi… - la voce di Bliase la raggiunse all’improvviso - non l’ha trovata, quando è venuto a cercarti qui. E’ protetta dal Fidelius, non è vero?» La strega lo guardò con interesse e curiosità e si limitò ad annuire. Blaise registrò quell’informazione e apprestandosi ad andarsene. «Blaise… un’ultima cosa. Voglio che lui sappia, voglio che tu gli dica, di non cercarmi più. E’ meglio per entrambi.»

L’altro sorrise. «Non si arrenderà mai, lo sai bene quanto me… ma riferirò.» Non disse altro, scomparve proprio come era apparso. Il vento tornò a far cigolare le giostre di metallo. Hermione Granger ritornò alla casa dei suoi genitori, in silenzio.

***

Dalla finestra filtrava un filo sottile di luce, l’unico che il mattino fosse disposto a concedere a quell’ora a lui e a tutti quelli che, come lui, abitavano al Manor. Aveva sentito Blaise sgattaiolare verso le quattro giù delle cantine, probabilmente per dar da mangiare a Ginny, la povera streghetta psicopatica che ancora viveva nel Manor, almeno in via teorica. Forse gli costava più adesso di quanto gli costasse in precedenza: forse era ancora in tempo per farla fuori, dopotutto, ci avrebbe solo guadagnato. Blaise poteva anche farsene una ragione… non subito, con il tempo. Il tempo poneva rimedio a tutto, prima o poi.
Accarezzò, ancora una volta, la pelle consumata della copertina del diario di Callista, le lunghe dita che scorrevano soffici sul materiale ruvido. La lettera era posata sul tavolino accanto a lui, le lacrime che l’avevano bagnata non ancora asciutte, sue e quelle di lei insieme: lei aveva pianto perché aveva trovato il coraggio di scrivere quella lettera, lui aveva pianto perché non aveva retto la verità delle parole che essa conteneva. Un compromesso inesistente, insomma: per la prima volta, lui e la Granger non erano in grado di arrivare ad un accordo che potesse giovare ad entrambi. Era strana quella sensazione, quella di sentire il proprio cuore spezzato, non credeva di poterlo provare in tutta la sua esistenza. Certo, aveva avuto il cuore infranto per mille ragioni differenti fin dai tempi della sua infanzia, non era un mistero, Narcissa e soprattutto Lucius avevano contribuito notevolmente a quell’aspetto: dai giocattoli negati al Marchio Nero, non poteva dire che fosse stato esattamente un padre esemplare. La madre, invece, era sempre stata una vittima, quanto e più di lui stesso, dei giochetti di potere del padre, anche quando questi non erano andati a buon fine – cioè praticamente sempre.

«Amico, sto andando al campo… l’allentamento notturno non ha dato i frutti sperati, siamo mille Pluffe lontani dall’obbiettivo quindi allentamenti forzati. Ci vediamo dopo?»

Il biondo parve non udire nemmeno quelle parole. «Era bella? – domandò, quasi supplichevole – Quando l’hai vista, era bella come…»

«Era la Granger, non sono uno che giudica quel tipo di bellezza, sai? Ma era lei, insomma, soliti capelli castani e il fisico asciutto da maestrina. Ora che le tue fantasie hanno nuovo materiale su cui piangere, posso andare?»

Stavolta Draco non rispose e Blaise interpretò la cosa come un si, uscendo velocemente dopo un cenno di saluto. Il mago, a differenza sua, rimase sprofondato nella sua poltrona per molte ore a venire, pensieri su pensieri che gli scivolavano davanti come semplici nuvole, prima di svanire da qualche parte nel suo cervello. Ebbe un forte crampo al petto e l’aria parve mancargli per pochi secondi, prima che il battito riprendesse regolarmente e il suo respiro tornasse normale. Pranzò con un panino più piccolo del suo anello di famiglia e un bicchiere di vino: almeno l’aclool era ancora li a consolarlo, a differenza di qualcun altro. Al bicchiere di vino ne seguirono altri, molti, tanti… troppi. La realtà si annebbio in fretta, non abbastanza tuttavia da lasciarlo libero dai pensieri che l’opprimevano, dubitava che sarebbe stato così facile. Si alzò barcollando, ordinando a Wimpy l’ennesima bottiglia di vino. Incapace di fare le scale a piedi, si materializzò direttamente in camera, mancando di un paio di metri il letto e atterrando dolorosamente sul pavimento, dove rimase disteso per un po’.

«Il padroncino sta bene? Wimpy ha portato la bottiglia di vino, signore. Ora la aiuto…» Senza ordini precisi, trasportò il mago sul letto con uno semplice schiocco di dita, quindi gli versò il vino in un bicchiere e se ne andò com’era arrivato, con un debole pop. Draco contemplò il proprio baldacchino nonché il soffitto della propria camera per più tempo del necessario, quindi prese una decisione drastica. Bevve il bicchiere in un sol sorso, prendendo coraggio, e strappò la busta che racchiudeva la lettera di Hermione. La lesse, sorprendendosi di essere ancora capace di piangere. Quindi la ripiegò con cura, riponendola nella custodia e nascondendola fra le pagine ingiallite del diario. Prendendo un profondo respiro e, con tutte le forze che ancora aveva, si costrinse ad alzarsi: gli occhi non lo aiutavano, la vista annebbiata era una conseguenza che avrebbe dovuto aspettarsi. «Wimpy, deve esserci della Pozione contro la Sbornia, in dispensa! – urlò, anche se sarebbe stato più che sufficiente chiamare l’elfo e dirglielo di persona – Portamene un bicchiere pieno, ora

Tornò a fissare la libreria che si trovava dietro il suo letto. Le mensole erano ricolme di libri che avevano influenzato i suoi studi, il suo pensiero, la sua mente e le sue decisioni; libri che l’avevano reso un ottimo pozionista, un più che discreto duellante e un eccentrico Guaritore self-service. Libri che semplicemente si era dilettato a leggere – e poi rileggere più volte, appartenuti ad antichi membri della casata dei Black e dei Malfoy. Libri, tanti libri. Alcuni erano fermi perché incollati l’uno all’altro, stretti nello spazio laterale di ogni mensola, altri erano infilati nelle fessure superiori. Alcuni erano tenuti fermi da qualche buffa statuina, metallica o in legno, da qualche oggetto non ben identificato o da una foto. Lui e sua madre sorridevano felici al suo ottavo compleanno: suo padre, quel giorno, non si fece vedere.

Decise che nessun posto migliore avrebbe potuto custodire quel libro. Non finchè ne avrò bisogno, perché ne avrò bisogno. Decisamente e assolutamente, non finirà così. Non posso permetterlo, non voglio farlo: non lo farò.

«Padroncino, la pozione… però Wimpy raccomanda di andare subito a letto dopo, l’effetto sarà migliore.» Il biondo ignorò la creaturina proprio come le sue parole. Dopo che l’elfo se ne fu andato, bevve la pozione, sentendo il familiare sapore di sale, pesce e polvere di ali di fata scendergli in gola: orribile al gusto ma, nel complesso, efficace. Chiuse gli occhi, la testa posata sul cuscino, una mano dietro la nuca e l’altra intenta a massaggiarsi le tempie. «Oh, Hermione.» Nell’esatto attimo in cui pronunciò quelle parole, il pendono della sua stanza annunciò le undici. Una luce bianca riempì la stanza.

***

«Papà era tutto ottimo, sul serio, le patate erano deliziose. Mamma ti aiuto a sparecchiare…»

«No, cara, stai tranquilla, tu… stai qui.» Le diede una pacca convincente sulla spalla, alzandosi con i piatti sporchi in una mano e i bicchieri vuoti nell’altra. Hermione abbassò gli occhi, delusa, le labbra curvate di disappunto: non le piaceva essere trattata come un’ospite in casa sua, non era un comportamento normale. Era stata via per molto tempo, certo, Hogwarts prima e la vita poi l’avevano costretta a delle scelte che, purtroppo, non includevano tornare a casa ogni singolo weekend. Non che avesse dimenticato i suoi o le sue origini: le feste le trascorreva quasi tutte con loro – o loro erano invitati a casa Weasley, all’epoca in cui lei e Ron erano ancora i piccioncini di turno, non mancava di passare quando aveva del tempo libero o quando poteva staccare dal lavoro. Aveva preferito tenerli ad una certa distanza quando le cose erano andate male con la Corte ma solo perché non se l’era sentita di guardarli in faccia e mentire, come avrebbe di certo fatto, circa la sua professione. Ed ora, come se non si sentisse abbastanza in colpa, avevano deciso di comportarsi come nulla fosse e volerle bene più di prima, come se fosse lontanamente possibile!

«Papà… sai che non dovete fare questa scena, vero? Sono sempre io, non… non è cambiato nulla.»

Il padre era un uomo disposto a perdonare e a sorridere a chiunque ne avesse bisogno ma, lo poteva vedere benissimo, era troppo stanco quella sera, cercare di farlo ragionare o convincerlo significava soltanto sfinirlo ulteriormente: preferì non farlo. «Anzi, sai che c’è? Lasciamo stare… ho un sonno pazzesco e credo che andrò a letto. – si alzò velocemente e gli diede un bacio sulla guancia, mentre sua madre faceva capolino dalla cucina – Notte mà. A domani.» «Sogni d’oro tesoro, buona notte.» Fu quasi certa di sentire suo padre dire qualcosa alla madre ma preferì non indagare. Era a disagio.

Si gettò sul letto senza preoccuparsi minimamente della sua solita routine pre-notte: niente luci spente – per quello c’era un tocco magico e una bacchetta, niente denti e spazzolino, niente doccia, niente pigiama, niente di niente. A chi importava, dopotutto? Nessuno sarebbe venuto a rimboccarle le coperte e nessuno – al solo pensiero sentì gli occhi farsi lucidi e le guance già bagnate – l’avrebbe abbracciata coricandosi con lei. Oh, come aveva potuto finire tutto così? C’erano ancora tante di quelle cose non dette, non precisate, c’erano ancora tante cose che non potevano essere semplicemente lasciate in sospeso, aspettando che uno dei due morisse o si decidesse a diventare un fuorilegge e rapire l’altro. Quando si era decisa a scrivere quella lettera a Draco si era resa conto che era davvero l’ultima cosa che poteva fare per lui, forse l’ultima che poteva realmente dargli. Ormai non riusciva più nemmeno a fare in tempo ad asciugare gli occhi, le lacrime scorrevano come fiumi in piena. Perché tutto era andato per il verso sbagliato? Perché tutto era andato così?

Si schiacciò il cuscino in faccia, per pochi istanti, per reprimere qualche gemito troppo forte che magari poteva mettere in agitazione i suoi più del necessario. Non era giusto dar loro altri motivi per essere preoccupati. Quando un pensiero malsano le attraversò la mente, gettò via il cuscino quasi ripugnata: se l’avesse premuto un po’ più forte avrebbe smesso di soffrire per sempre… ma questo voleva dire abbracciare Gonos di sua spontanea volontà, non poteva davvero credere di volerlo fare. Non lei, mai. Vide l’orologio elettrico segnare le undici di notte, con quei numeri rossi e luminosi che tanto l’avevano appassionata da bambina. «Oh, Draco… perché ci è successo questo?» Non ebbe il tempo di comprendere quello che accadde dopo. La luce bianca, uscita chissà come da chissà dove, invase la sua stanza, che scomparve non solo alla sua vista ma anche sotto i suoi piedi. Per istinto, chiuse gli occhi.

***

«Avrei voluto che fosse accaduto in un momento più… lieto. Adoro la felicità, adoro l’amore e i legami, anche se sono solo umani. Ah, ovviamente vi starete chiedendo chi io sia… non potete ancora vedermi – riprendersi da quel bagliore accecante è leggermente complicato, me ne rendo conto – ma posso dirvi il mio nome, se la cosa vi aggrada. Draco, Hermione, il mio nome è Syfil.»

«Cosa? Hermione sei qui?» Una risata fin troppo familiare seguì le sue parole, prima ancora che Hermione potesse articolare una risposta. «Sciocco ragazzino, capisci che intendevo?»

«Gonos, ti prego. Non capisco ancora che diamine ci fai qui… vattene, avanti. Non mi servi.» Si sentì un’imprecazione e un boato. Un’altra risatina risuonò nell’aria: Draco riusciva a distinguere già i contorni delle sagome, che restavano tuttavia ancora molto sfuocate. Hermione cercava di mettere a fuoco ma le figure restavano sciolte e prive di definizione. «E’ sempre un piacere vedere qualcuno mettere in riga Gonos. Giuro, è qualcosa di estremamente gratificante…»

«Sappiamo tutti cosa sia gratificante per te, Liliat: se non fosse stato per Gonos il tuo Metallo sarebbe caduto in mano loro molto prima. Ma ormai è fatta… non c’è più nulla da recriminare, siamo alla fine.» Le figure stavano diventando man mano più nitide e, in breve tempo, entrambi riuscirono a distinguere coloro che avevano davanti e l’ambiente in cui si trovavano. Dopo caverne, tunnel, cascate e muri infiniti, si ritrovavano in un ambiente spazioso e luminoso, che ricordava vagamente un ambiente vittoriano inglese. Le pareti erano formate da uno strano susseguirsi di materiali diversi: una striscia di pietre grandi come un pugno, un’altra di carta da parati color pesca, un’altra ancora verde acido con un quadro decisamente all’avanguardia appeso per un angolo e così via. L’intero ambiente, i cui confini erano impossibili da definirsi per via dell’immensità stessa della sala, era suddiviso in tre grandi navate, delimitate da lunghe e alte colonne, di cui ancora una volta non si riuscì a vedere la fine. Lei e Draco, notò posando gli occhi su di lui per pochi istanti prima di distoglierli imbarazzata, erano tenuti fermi a due altari di pietra grandi a sufficienza per potercisi sedere ma non abbastanza alti da arrivare al livello di un normale tavolo da pranzo. Le mani erano legate dietro la schiena con delle catene, i piedi rannicchiati al petto: non si era accorta di essere seduta, non prima di aver notato quel particolare. Draco sembrava aver avuto la stessa brillante idea di osservare quello che lo circondava e, conoscendolo, cercare una qualche via di fuga. Syfil, malgrado l’avesse notato, non disse nulla, lasciando loro il tempo di abituarsi.

«So che le catene possono sembrare un po’ eccessive, mi dispiace… non c’era altro modo di assicurarmi che tutto procedesse secondo i piani. E intendo anche rassicurarvi che non vi verrà fatto del male… fisicamente, ve ne andrete da qui come ci siete arrivati.» Sorrideva gentilmente, le braccia conserte sul petto, vestito come un uomo qualunque, senza mantelli o fronzoli inutili: un semplice pantalone nero, scarpe dello stesso colore e una maglietta grigia, sulla quale spiccava una chiave metallica non eccessivamente grande. A guardarlo così non si sarebbe mai detto che si trattava di un pericoloso Guardiano. Herm evitò semplicemente di incrociare gli occhi di Draco, lui non staccò invece lo sguardo da lei.

«Beh, dato che ci siamo tutti, direi che è ora di cominciare, l’attesa è così snervante, non trovate? – senza smettere per un attimo di sorridere si avvicinò a Draco, abbassandosi alla sua altezza per poi porgli una domanda, l’unica e la letale – Se dovessi scegliere, giovane Malfoy, tra la ragazza che ami e i Metalli che riporterebbero in vita le ragazze che hai amato, cosa sceglieresti?»

 
 
 
 


Note dell’autrice ù.u

Si, non solo sono una grandissima bastarda per aver postato in ritardissimo ma ora mi odiate anche per il finale: ma che volevate? xD Io, l’ho detto anche rispondendo a qualche recensione, non sono un tipo da Avvisi, non ne ho mai messi e non intendo nemmeno farlo in futuro, se non ho aggiornato c’era un buon motivo (causa trasloco, sono 800 km da dove ho pubblicato l’ultimo capitolo, giusto per chi sia curioso) ma ora ecco il capitolo. E’ il penultimo – manca il grande finale e l’epilogo – e ormai è finita. Si, esatto: eccovi il grandissimo e temutissimo Syfil.

Come avrete notato i due si ritrovano presso l’ultimo Guardiano pronunciando il nome l’uno dell’altra nello stesso istante. Bello, no? xD Blaise in questo capitolo è adorabile, spero lo amiate quanto me. Harry è un idiota ma mi serviva un posto dove far nascondere Herm… peccato che la deduzione di Draco non sia corretta, Harry tanto è in bianco da quando Ginny non c’è, altro che donne! Herm a parte, ovviamente. Poi sottolineo anche i genitori che accolgono amorevolmente la figlia – la loro casa è protetta dal Fidelius, ovviamente, che è una precauzione di Herm presa dopo la seconda Guerra, suppongo, non per difendere se stessa da Draco… sarebbe stato egoistico.

E so che vi state chiedendo cosa lei abbia scritto nella lettera, lo so ma… non ancora. Lo scoprirete, così come scoprirete come finisce… tra quanto? Spero tra due settimane esatte, cercherò di essere precisa, ma mi scuserete qualche ritardo dovuto per lavori in corso… siate comprensivi!

Alla prossima – come sempre con un ringraziamento enorme a chi mi segue e a chi recensisce sempre. Baci K

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Capitolo 22
*** ;;I'll try to fix you ***



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Your blackmail, My do wnfall. Vol 1
***

Capitolo XXI:

I'll try to fix you

 

When you try your best but you don't succeed 
When you get what you want but not what you need 
When you feel so tired but you can't sleep 
Stuck in reverse.


 

«Come, prego

Il Guardiano alzò gli occhi al cielo. «E va bene, fammi essere più preciso: se lasci i Metalli e il tuo proposito, lei rimane sana e salva… mentalmente e fisicamente. Se scegli i Metalli, Liliat qui cancellerà la sua memoria… e non è detto che un umano sopravviva e tale processo, anche se le è andata bene già una volta… te lo chiederò ancora: cosa scegli, giovane mago, la strega o i Metalli?»

Draco boccheggiò davanti a quella domanda tanto assurda, fissando Syfil confuso: cosa gli stava proponendo? Da quando Hermione e la sua ricerca avevano assunto il medesimo valore nella sua esistenza? Da mai, gli venne spontaneo rispondersi, gettando una rapida occhiata ad Hermione, che fino a quel momento aveva continuato ad evitare il suo sguardo. Adesso invece lo fissava, con la profondità dei suoi occhi nocciola che lo penetravano come pugnali, come gli occhi di una tigre che è appena uscita a caccia ed ha avvistato una prelibatissima preda. Sarebbe stato facile rispondere, da solo e senza i suoi occhi a fissarlo, ma adesso tutto sembrava assumere un connotato diverso e macabro, come se quella scelta lo rendesse un assassino o, peggio, un traditore. Qualcosa nello sguardo si Syfil lo informò che il Guardiano aveva studiato con cura quella domanda e che aveva capito bene quali punti colpire per distruggerlo definitivamente. «Bastardo, sapevi che significava farmi questa domanda! – sibilò, ringhiando a sporgendosi contro di lui, malgrado i polsi fossero ancora imprigionati da saldo metallo – Non c’entra assolutamente nulla cosa farei o non farei, Hermione non c’entra in questa faccenda più di quanto i Metalli c’entrino con lei e…» Una fitta gli mozzò il fiato, costringendolo a rannicchiarsi su se stesso e trattenere un gemito di dolore. Ricordava bene l’ultima fitta, al Manor, ma non ricordava l’intensità del dolore, non ricordava l’aria mancargli dai polmoni o piccole scosse elettriche attraversargli il sistema circolatorio. Sentì il suo nome esclamato in lontananza, con la vana speranza si fosse trattato della sua voce, e prima che se ne rendese conto il dolore cessò, lasciandolo spossato e indebolito.

Alzò lo sguardo, aprendo piano gli occhi e fissando il Guardiano che aveva davanti, che sventolava con fare teatrale l’ultima fiala, il suo Metallo, davanti alla sua faccia. In una maniera del tutto amorfa e incomprensibile, parlando per ipotesi, la sua ricerca era finalmente conclusa. L’ultimo metallo, l’ultima fiala, era proprio lì, a portata di mano: era per questo che il dolore era stato così acuto? Perché l’ultimo dei Metalli era così vicino? «Ho pensato avresti gradito averli con te, in questa ardua decisione.» Quasi a leggergli nel pensiero, Syfil stese un braccio verso l’altare di pietra alle sue spalle, sulla destra – la cui presenza non aveva notato che fino a quel momento – e vi apparvero le fiale, tutte quelle che era riuscito ad ottenere fino ad allora, con enormi sforzi e sacrifici: avesse saputo di quel misero trucchetto non avrebbe poi fatto tanta fatica! Digrignò i denti. Notò che Hermione tratteneva il fiato, indugiando ora sull’altare ora sul suo volto: perché piangeva?

«Ti prego… non c’entra nulla, lei non ha nulla a che fare con tutto questo… lasciala andare. Lasciala andare.» La fissò, disperato, rendendosi conto che in quel momento che gli occhi nocciola che l’avevano evitato fino a pochi secondi prima ora lo stavano fissando. Impassibili, freddi, vitrei. Scosse la testa confuso, mentre lei abbassò lo sguardo e si morse un labbro, lasciandosi sfuggire un gemito. Un metallo per la sua vita? Poteva arrivare a quel compromesso?

«Lascia che ti illumini, genio… - rise perfida Liliat – Una donna vuole sempre sentirsi dire di essere l’unica nella vita di un uomo, mi segui? Tu hai evitato la domanda di Syfil e ora stai temporeggiando… sai cosa dice questo? Che non solo non sai cosa scegliere ma che, inoltre, lei non è l’unica donna della tua vita anche se, ammettiamolo, essere in competizione con la migliore amica e la madre morte è difficile…»

Syfil scosse sconsolato la testa, massaggiandosi gli occhi e imprecando sotto voce. «Liliat, dolcezza, già è tanto se non ti vaporizzo per la tua totale mancanza di spina dorsale e la più completa stupidità di questo universo… almeno, potresti rendermi più facile il compito di sopportarti e… tapparti quella bocca? – la guardò in cagnesco, zittendola all’istante, prima di tornare a parlare amabilmente ai suoi ospiti, un sorriso a trentadue denti – Perdonatela, si lascia trasportare troppo qualche volta. Comunque, Draco, mi dispiace deluderti ma non posso esaudire la tua richiesta… lei non c’entrava con questa faccenda, ora ci è dentro fino al collo, esattamente quanto te. Ricordi, sei stato tu a coinvolgerla.» Si alzò con un movimento elegante, raggiungendo Hermione stavolta, abbassandosi alla sua altezza, sollevando il suo mento con due dita e fissando i suoi occhi arrossati. «Oh, povera piccola… - le asciugò le gocce salate con il pollice – Quanto mi dispiace fare questo… è doloroso, non è così? Ma posso offrirti una soluzione… non è colpa tua se ti trovi qui, lo sai tu lo so io…»

Hermione lo fissò impassibile: non le piacevano i modi studiati di quell’essere, aveva imparato sulla sua stessa pelle quanto pericolosi potessero essere quei mostri, con le loro moine e le loro false lusinghe. Adesso aveva una Spada di Damocle sulla propria testa, di passi falsi ne aveva commessi a sufficienza, non poteva permettersi di farne altri. Aveva sperato, aveva pregato, di non doversi più ritrovare in una simile situazione, la sua vita in pericolo. Il patto di Gonos era qualcosa da cui era impossibile fuggire, non c’erano scuse, non c’erano scappatoie o altre soluzioni. La morte l’avrebbe consegnata nelle mani della sua condanna… l’unica cosa che avrebbe potuto fare, l’unica cosa che avrebbe potuto ancora concedersi, era del tempo con le persone a lei care, facendo si che la morte la raggiungesse il più tardi possibile, così come la sua stessa maledizione. Non aveva di certo l’illusione di poter vivere in eterno ma, nel frattempo, aveva messo da parte la speranza. La lettera scritta a Draco era stata l’ultima scintilla di bontà e amore che aveva deciso di lasciare su quella Terra, per se stessa e per qualcun altro, se mai ne avesse avuto bisogno. Ma come sapeva che non c’era più nulla da fare per se stessa, allo stesso modo capiva bene che un futuro con l’uomo di cui era innamorata era ancor più lontano dell’illusione di una vita felice con lui. Aveva sentito dire qualcuno, una volta, che non contava il prezzo da pagare, non bisognava mai voltare le spalle all’amore. Lei si era rassegnata a farlo e non ne era pentita. Ma rivederlo, ancora lì, ancora in quelle circostanze, le spezzava il cuore, tanto da morirne.

«…risparmiami la parte in cui mi offri qualcosa che entrambi sappiamo non mi darai mai. Sai bene che diventerò proprietà di Gonos, una volta che il mio cuore avrà smesso di battere, potresti almeno concedermi il lusso di decidere da me quando porre fine alla mia libera autonomia, non credi?» Era stata brusca, forse fin troppo, ma il silenzio di Draco l’aveva colpita come uno schiaffo e necessitava riversare quell’amara delusione su qualcuno, anche se non si trattava del diretto interessato. Lei aveva sacrificato molto, tutto per lui mentre lui stesso non riusciva a scegliere tra la ragazza che diceva di amare – ancora lì, ancora viva – e le donne che aveva perduto. Ormai c’era poco da domandarsi circa le fiale e i Metalli: il loro utilizzo appariva tanto chiaro da rendere assurdo il fatto che non ci avesse pensato fino ad allora…

«Oh, cara, io sono molto più in alto di Gonos: se tu diventi sua proprietà, diventi anche mia. Posso decidere di liberarti, ora, se ne ho voglia. Vuoi andartene? Vuoi essere libera dalla tua promessa, dal patto di sangue che hai infranto e da tutto quello a cui sei stata costretta contro la tua volontà? Bene. Non devi fare altro che scegliere la tua vita e sacrificare quella del giovane Malfoy… la tua vita per la sua. Non è forse equo come scambio?» La strega scosse disgustata la testa: chi si credevano di essere quegli esseri, delle divinità, per poter disporre così delle vite altrui? Ma non c’era solo indignazione, dovette percepirlo e ammetterlo, c’era un altro sentimento, più diverso e spigoloso, che aveva sbattuto contro il suo petto non appena aveva sentito quella proposta: desiderio di vivere, desiderio di sopravvivere e di essere libera. Avrebbe sacrificato Draco, per questo? Beh, lui di certo sacrificherebbe te per le sue stramaledettissime fiale. «Le fiale. – domandò, ormai esasperata, un po’ per temporeggiare e un po’ perché sapeva di poter risolvere un dubbio che la ossessionava da mesi, gli occhi fissi in quelli di Draco – Prima che ti dia una risposta, dimmi a cosa servono. Se devo disporre della mia o della sua vita voglio almeno sapere per cosa lo sto facendo.»

Mentre Liliat sembrò trovare la risposta alquanto divertente, tanto che non si trattenne dal ridere divertita, Syfil si fece serio, quasi scontroso, guardandola con curiosità: trovava forse strano che ancora non sapesse con precisione cosa fossero quelle fiale e come dovessero essere usate? Sapeva che servivano a Draco, probabilmente per qualcosa di losco o di pericoloso, il resto era immerso nella più assoluta nebbia. Per quanto potesse sembrare strano, Syfil trovò interessante la sua domanda e alquanto interessante la risposta da darle. «Kreyia, Luran, Gonos, Nukter, Liliat, Chiunchulos, Zira e Syfil: otto metalli con lo stesso nome dei Guardiani che li custodiscono, chi con più e chi con meno ardore. Da soli sono inutili ma insieme, con un adeguato sacrificio, il loro potere è immenso: hanno la forza di sradicare la storia, distruggere Universi e, persino, volendo, riportare in vita i morti… ma c’è un prezzo da pagare… il giovane Malfoy lo sa bene, non è così?» Hermione fissò il biondo sconcertata, non ricevendo altro che uno sguardo ostinato da parte sua, quindi tornò a prestare attenzione alle parole di Syfil. «Chi impiega tutto se stesso nella Ricerca e nello scopo che essa persegue, chi vi riversa parte della propria anima, finisce con il perderla: il giovane che pensi di amare ha un’anima lacerata, ora, che potrebbe svanire per sempre se non lascerà che l’amore lo salvi. E, insieme all’anima lacerata, quasi dimenticavo, riportare in vita Daphne e Narcissa gli costerà anche cento anime innocenti… non, insomma… non te l’aveva accennato?» C’era un sadico divertimento nelle sue parole, ma non riuscì a odiarlo per la verità che le aveva appena confessato.

Hermione aprì la bocca sconcertata, fissando Draco, implorandolo in una smentita. Lui si limitò a scuotere la testa piano. «Per tutto questo tempo… mi hai usata per riportare in vita tua madre? Poi quando è morta Daphne hai solo pensato “Ma si, due boccini con una scopa!” non è così? E io che ti ho aiutato… come puoi farlo?»

«Tu non capisci! – la voce del biondo era forte, decisa, sicura di una determinazione che gli era per lungo tempo mancata – Mia madre, Daphne… entrambe mi sono state strappate così all’improvviso, così ingiustamente… non puoi farmi sentire in colpa per una cosa del genere. » Lei non capiva, nessuno avrebbe mai potuto capire.

«Vite umane, idiota! Poveri innocenti che non hanno mai fatto nulla… non credo che l’espressione “cento anime” si riferisca a una sorta di entità platonica! Eri pronto a sacrificarli per te stesso? Non posso neanche crederci io… non  so chi sei, non ti conosco… non sei mai esistito per me, in questo modo… credevo di conoscere Draco Malfoy…»

«Draco Malfoy è esistito prima di te, Hermione- la perfettina –Granger! Non credere che la mia vita ruoti intorno a te solo perché abbiamo condiviso quello che c’è stato… anzi! Sai cosa ti dico? Syfil, voglio le fiale. Rivoglio Daphne e mia madre nella mia vita…» Era furioso, accecato dal dolore e dalla rabbia. Come faceva lei a non capire? Le aveva dato il suo cuore, tutto se stesso, possibile che non potesse capire quello che l’aveva spinto a cercare di riportare le due donne nella sua vita? Certo, all’inizio si era semplicemente trattato di sua madre ma poi, con Daphne che gli moriva tra le braccia, era diventato imperativo. Suo marito, i suoi figli, Louis e Lucius, lasciati alla crudeltà del mondo senza una figura materna a proteggerli: davvero poteva restarsene in disparte, sapendo di avere in mano le carte giuste per aiutarli? Cento persone sconosciute, da qualche parte, sarebbero morte… e allora? Non era forse un sacrificio accettabile per ridare la vita alle persone che per lui significavano così tanto? E non solo per lui, ovvio… «Dimmi cosa devo fare e lo farò.» Fissava la mora davanti a se con gli occhi di sfida, non gli importava nulla… nemmeno di sapere che diavolo le sarebbe capitato. La lettera che gli aveva scritto aleggiava nella sua mente, un macigno di pietra nella sua mente di sogni di libertà e felicità. L’amore che provava per lei rendeva tutto più difficile, doveva ammetterlo, ma nulla gli impediva di farle cambiare idea, una volta che avesse concluso quella faccenda.

Il Guardiano fece scioccare le dita e le catene intorno ai suoi polsi si allentarono, permettendogli di mettersi in piedi, togliendo la polvere dal pantalone con bruschi movimenti delle mani, per poi fissare la ragazza, ancora per terra, Syfil accanto a lei, lo sguardo quasi divertito, con una scintilla che ancora non riusciva a decifrare. «Non vuoi sapere cosa le accadrà? Forse lei sarà una delle cento anime che dovrai sacrificare…»

«Non tentare di prendermi in giro, so tutto del rituale, non sarei mai arrivato fino in fondo senza averne preso atto, parola per parola: nessuno di quelli che conosco oppure ho conosciuto potrà mai morire. Lei non è nella lista.»

Mentre faceva un cenno a Liliat, Syfil gli si avvicinò. «Ma dimentichi che la scelta non era tra la vita di Hermione e le fiale, giovane mago. Ti ho offerto di scegliere tra lei e loro, ma non pagherà con la vita. Le è stata cancellata la memoria una volta, farlo di nuovo sarà per Liliat un piacere immenso…»

Draco stava per intervenire ma non fece in tempo a precedere le parole acute della mora. «Prego? Lui ha avuto la scelta e io non posso? Se anche io avevo un’alternativa anche io posso scegliere di salvarmi… no?» Il Guardiano fece un gesto noncurante con le spalle. «La tua scelta è molto più semplice: se ti libero da quelle catene, con esse andranno via tutti i tuoi tradimenti, il patto con Gonos incluso, e sarai libera di andare. In cambio, Malfoy pagherà con la vita. Solo la sua vita, nessun altro innocente morirà al posto suo e tu avrai la tua personale vendetta.» Era una proposta tanto ragionevole da sembrare scontata, pensò al volo il giovane mago, tanto che se si fosse trovato al posto della strega forse avrebbe accettato al volo. Ma non gli importava, al momento: le fiale riunite, lì sull’altare, sembravano avere un richiamo tanto forte quanto il canto di una sirena, tutte le sue emozioni e i sentimenti che sentiva e sapeva di provare per la strega erano come assopiti, nascosti nell’intimo del suo cuore, incapaci di uscire. Sentendo che la strega non replicava, quasi con una furia omicida, si voltò nella sua direzione. «Perché stai zitta? Non è il tuo sogno salvare degli innocenti e ricevere l’ennesima medaglia come Strega dell’anno? Perché non dici si? In fondo così…»

«Perché non sono un’assassina, Malfoy!» Le parole uscirono dalla sua bocca con un gemito: si accorse che stava piangendo, versava lacrime copiose e amare, che le scivolavano sulla pelle, fattasi improvvisamente molto bianca e pallida. Si accorse che il petto si alzava e si abbassava frenetico, l’aria doveva mancarle. Provò il forte impulso di correre ed abbracciarla – le fiale persero la loro attrattiva per un nanosecondo – ma poi le sue parole tornarono a colpirlo. «Non sono come te, non posso sacrificare ciò che mi pare solo perché ne ho voglia. Non gioco a fare dio con la mia vita e quella degli altri… lo lascio fare a te, ci riesci benissimo

Sapeva che aveva ragione, aveva maledettissimamente e assolutamente ragione. Eppure, più sentiva che le sue parole erano veritiere, più l’impulso di ignorarle si impadroniva di lui: che ne poteva sapere lei, Mezzosangue amata e venerata in tutto il mondo magico, delle disgrazie di un povero ragazzino, cresciuto senza l’affetto e l’amore di cui aveva avuto bisogno? E che poteva capire, di nuovo, di quello che lui aveva provato nel vedersi sottratte le uniche persone che quell’amore gliel’avevano fornito? Nulla, non poteva e non avrebbe mai capito assolutamente nulla. Mentre quei pensieri gli attraversavano la mente, una fitta gli percorse il braccio, all’altezza del Marchio Nero, come a sottolineare fisicamente quei pensieri, e un’altra lo colse all’altezza del petto, quasi a mettergli fretta. Guardò con desiderio le fiale: Syfil era lì, brillante, insieme alle altre… non l’aveva conquistata, non ancora almeno, e questo lo metteva nella posizione di domanda a Syfil cosa dovesse ancora fare, benchè l’idea non lo entusiasmasse minimamente. «L’ultimo Metallo… non è ancora mio, cosa devo fare per averlo?»

«Syfil non si cede tanto facilmente come hanno fatto i suoi fratelli e sorelle, che vedono nella forza bruta e nell’inganno i propri legittimi proprietari. Se fossi venuto qui a rubarmelo, non sarebbe venuto via con te ma avrebbe trovato un modo per rimanere. L’unico modo di conquistarlo è il sacrificio. – sorrise, diabolico, lisciandosi un po’ della barba sul mento – Cominci a comprendere perché la tua amata Mezzosangue sia qui? Il sacrificio di lei, dei suoi ricordi… forse della sua stessa vita, ti darà la possibilità di ottenere l’ultimo tassello del quadro generale. Non vedi com’è semplice? La strada è tracciata…»

A vederla in questo modo, dopotutto, non aveva torto: il cammino si stendeva dritto davanti a lui, così semplice e così lineare da portarlo esattamente dove avrebbe voluto arrivare, così vicino a quel suo desiderio da renderlo quasi materiale, tanto da poterlo sfiorare con la punta delle dita. Nel pensarlo, notò una sorta di arco delinearsi al di là dell’altare di pietra su cui erano depositate le fiale, senza nessuna porta o alcun limite materiale, solo nebbia che si intravedeva attraverso un passaggio verso un’altra dimensione. Fece un passo avanti, il primo passo verso la sua speranza e il suo sogno e l’ultimo della vita che aveva finora vissuto. Percepì una voce, la voce di colei che amava, farsi strada nella sua testa, anche se poteva benissimo trattarsi della realtà, ma non le prestò ascolto, non voleva farlo, era troppo vicino per mollare. Mentre si avvicinava all’arco immaginario, le sostanze delle fiale presero a brillare, emettendo una luce fioca ma ipnotica. Ad una ad una, le fiale si alzarono in aria, liberando il proprio contenuto. I Metalli, ciascuno con la propria particolare tonalità di colore e sfumatura, non gli erano mai parsi tanto belli, tanto graziosi ed eleganti come in quel momento: danzavano, come piccole lucciole nella notte o farfalle delicate nel sole del mezzogiorno. Sapeva che c’era solo una cosa da fare, quasi come se fosse nato per farla. Senza nemmeno staccare gli occhi da quella visione – quasi gli dispiaceva porvi fine, era uno spettacolo che avrebbe potuto osservare per il resto dei suoi giorni – fece scivolare la bacchetta in un complicato movimento di tre cerchi e due battute. La sua bocca emise qualche verso di una formula imparata a memoria in un’altra lingua, non pensava neppure di riuscire a ricordarla. Ma forse non era nemmeno la sua bocca a parlare, forse non era lui quello che stava agendo in quel momento… gli sembrava di essere un tramite davanti a tanta bellezza. Quando recitò le ultime sillabe, la luce dei Metalli parve aumentare d’intensità: le sostanze, nell’ordine in cui le aveva conquistate, si fusero insieme, formando prima una sfera di piccole dimensioni e poi, quando la luce risplendette per un ultimo istante prima di scomparire definitivamente, in una chiave. Una semplice chiave, forse con un’impugnatura leggermente più lavorata di qualsiasi altro manufatto di ottime e perfette condizioni. Ne sentì il peso sul palmo della mano che aveva steso inconsciamente per prenderla. Quindi era lì, dopo tanto cercare, la chiave che gli sarebbe servita per cancellare per sempre la propria solitudine e il proprio dolore.

Sorrise, non rendendosi neppure conto del fatto che era immerso in una sorta di bolla invisibile, impenetrabile a qualsiasi rumore o emozione che non fossero la voce della sua coscienza che lo spingeva a continuare e conquistare ciò per cui tanto aveva lottato. Lo fece. Al contatto con la nebbia percepì i muscoli distendersi, rilassarsi come sotto il getto caldo dell’acqua, e il suo stesso peso parve scomparire, tanto che la gravità risultò più una parola indistinta della sua memoria piuttosto che la concreta quotidianità fino ad allora vissuta. Si sentiva leggero, libero, e non solo in senso concreto del tempo: era come se, fino a quel momento e per tutti i momenti a venire, la libertà e la leggerezza costituissero, avessero costituito e sempre avrebbero costituito la sua realtà. Poteva mai aver provato qualcosa di diverso?

 

And the tears come streaming down your face 
When you lose something you can't replace 
When you love someone but it goes to waste 
could it be worse? 

 
«Draco…» La voce di un angelo lo scaraventò, quasi controvoglia, con i piedi per terra, lasciando che il ricordo di quello che avrebbe dovuto fare si impadronisse di lui. Era lì per sua madre e per Daphne… era lì per proteggerle e per portarle via… ma perché andarsene? Ora che si trovava lì – qualsiasi posto quello fosse – non era certo di volersene andare a sua volta. Era un luogo tanto pacifico e delicato da dargli l’impressione di… «Draco…»

Una voce diversa, una voce nuova ma sempre sua. La voce, la sua voce. Costringendo la propria mente a restare concentrata, malgrado non fosse affatto facile, si voltò, vedendo due figure emergere dalla nebbia e osservarlo, pacate. La prima aveva una delicata treccia stesa sulla spalla, l’abito bianco che aderiva morbido al corpo, una cintura dello stesso materiale in vita e uno scialle giallo ocra sulle spalle. Sua madre. Daphne, invece, indossava un abito bianco ricoperto da migliaia di piccoli fiori verdi ricamati, uno scialle verde a coprirle le spalle e i capelli sciolti dietro la schiena, intrecciati a una sorta di erbetta che gli sembrava di aver incontrato, qualche volta, sui disegni di qualche libro di erbologia. Erano una visione, entrambe, più belle di qualsiasi ricordo avesse serbato di loro, constatò con amarezza, di cui nemmeno uno riusciva a render loro giustizia. Aveva passato così tanto tempo a immaginarle e ora se le ritrovava entrambe davanti. Si aprì in un sorriso sincero, incapace di trattenersi, facendo un passo verso di loro. Si stupì di non vederle altrettanto contente, Daphne in particolar modo, che fu la prima a parlare, costringendolo a fermarsi.

«Che diavolo stai facendo, Draco? – la voce dell’amica era dura, tagliente più di un pugnale affilato – Che cosa pensi di fare con questa messa in scena?» Si bloccò, il sorriso si spense sul suo volto, lasciando spazio ad un’espressione confusa e dubbiosa: perché non era felice di vederlo? Scosse la testa, confuso, abbassando la mano che aveva steso nella sua direzione. Le aveva viste da Chunchiulos, malgrado fossero soltanto incerte circa i suoi propositi, non gli erano sembrate affatto aggressive… come adesso. Con un battito di ciglia, Daphne sorrise. «Non credere di non sapere la verità: pensi che quelle che hai visto dal Guardiano fossimo davvero noi? Quelle erano proiezioni della tua mente, della tua memoria… dicevano e pensavano solo quello che tu stesso dicevi e pensavi… i dubbi di quelle donne erano anche i tuoi. Ma qui è diverso. Qui siamo noi a parlare, non le nostre futili proiezioni. E sai cosa ti dico? Che stai commettendo lo sbaglio più grande della tua esistenza.»

Quelle poche parole furono una pugnalata al cuore. Non solo non sapeva come comportarsi ma non si era neppure preparato ad una cosa del genere: mesi spesi a cercare mappe, Guardiani e metodi possibili per liberare dalla morte persone a lui care e adesso, giunto al traguardo, scopriva che tutto era stato inutile, che nessuno dei suoi gesti era benchè minimamente desiderato o atteso. Avrebbe voluto chiedere perché, avrebbe voluto capire, dato che non ci riusciva. La sensazione di leggerezza e tranquillità con cui aveva lottato fino a pochi istanti prima scivolò via come ghiaccio scioltosi sotto il sole nel deserto, lasciando un vuoto al centro esatto del suo stomaco e del suo cuore. Non poteva essere reale, non stava realmente succedendo. «Non devi pensare che io o Daphne ti vogliamo meno di prima, Draco, non è assolutamente vero. – la voce di sua madre lo costrinse a sollevare gli occhi, lasciando scoperto il viso rigato da lacrime che non si era neppure accorto di versare – Ma stai andando incontro alla distruzione, una guerra interiore che non ti vedrà vincitore. Valiamo questo, per te? La vita di un centinaio di innocenti? Come puoi credere che siamo tanto importanti? Siamo morte…»

«Voi valete tutto per me. – articolò lui, a fatica, sperando che il tono cupo della sua voce fosse un riflesso incondizionato delle lacrime – Io non so vivere senza di voi, non posso pensare di poter andare avanti senza…»

«Stai mentendo. Non solo puoi vivere senza di noi ma l’hai già fatto… Noi siamo morte, amico mio, non potremmo tornare nemmeno volendo perché sappiamo che non è giusto. Non credi che rivorrei indietro Julian o i miei figli? Non credi che vorrei vederli crescere e abbracciarli ogni istante della mia esistenza? Disperatamente, non sai quanto disperatamente lo vorrei. Ma non è così che deve andare… non è questo il mio destino.»

«Non può essere questo il modo giusto di vedere le cose. Non può andare a finire così…»

«Non solo può ma deve.» La mano di sua madre gli accarezzò la guancia e ne sentì il calore sulla pelle, il profumo dei suoi capelli lo invase fino al midollo, ricordandogli gli ultimi giorni trascorsi insieme prima della sua morte. «Hermione è viva e può ancora far parte della tua vita. Devi solo lasciar andare il tuo proposito, lasciar andare tutto quello che è stato e sperare che la tua vita possa essere migliore di quanto tu stesso abbia mai sperato.»

«Ma io non voglio perdervi.» Si rendeva conto da se di quanto suonasse infantile da sua voce, eppure era la verità.

«Non l’hai mai fatto, saremo sempre qui per te, anche se non potrai vederci. Lascia andare, tesoro… lasciaci andare.»

Non lo decise, almeno non percepì quell’idea delinearsi nella sua testa. Le vide semplicemente scomparire, serene, beate come avrebbero dovuto essere. Capì nell’esatto istante in cui la nebbia intorno a lui parve dilatarsi che le aveva perdute. Non fu, tuttavia, una sensazione di abbandono, non un coltello che gli attraversava il torace da parte a parte, com’era accaduto quando aveva stretto Daphne tra le braccia per un’ultima volta. Era diverso. Stavolta sentiva di lasciarle andare per il loro e il proprio bene ed era un’angolazione tutta nuova da cui vedere da faccenda, era un’angolazione che non solo rimescolava le carte in tavola ma cambiava drasticamente tutte le sue prospettive. Gli parve di udire un eco farsi sempre più lieve, più rado come la nebbia che stava scomparendo: sii felice, diceva, sii felice. Avrebbe trovato il coraggio di essere felice? Strinse il pugno della mano, con decisione, rispondendosi si, l’avrebbe trovato eccome.

 

High up above or down below 
when you're too in love to let it go 
but If you never try you'll never know 
Just what your worth.


Vide Draco svanire al di là di una fitta nebbia, grande a malapena per coprirlo da capo a piedi in tutta la sua figura. Le sembrò di vedere un arco delinearsi nella nebbia ma fu quasi certa di fosse trattato di un’allucinazione. Non fu un’allucinazione, tuttavia, il singhiozzo che si lasciò scappare. Aveva scelto e lei non era stata la sua decisione, l’aveva messa da parte. E ora si sentiva spezzata, dentro, non solo ferita nell’orgoglio e nella dignità ma lacerata nel profondo, in quella parte che doveva essere la sua anima. Aveva avuto il cuore spezzato più di una volta, certo, ma questo andava al di là di qualsiasi immaginazione, al di là della sua stessa esistenza. «Bene bene, a quanto pare sarò utile, dopotutto.» Mosse a fatica la testa, alzando il volto rigato di pianto e fissando sconvolta Liliat: poteva pretendere che non le importasse ma le importava eccome, non era fatta di pietra dopotutto. E se la fierezza e l’orgoglio avevano parlato per lei alla presenza di Draco, il dolore e la sincerità parlavano per lei durante la sua momentanea assenza.

«Si, sembra di si. – commentò annoiato Syfil, gettando uno sguardo spazientito all’arco di nebbia e storcendo le labbra per il disappunto – Naturalmente dovremo aspettare il giovanotto lì per sacrificare gli umani, lingi da me agire alle sue spalle! Ma lei non rientra più nelle sue competenze… fa quello che devi.»

Non ricordava l’ultima volta che si era ridotta a implorare qualcuno per la propria incolumità – doveva essere stato durante la sua permanenza a Malfoy Manor con Bellatrix che le puntava un coltello alla gola, o anche prima, quando Gonos aveva deciso di usare Draco come uno scolapasta con le sue spade. Ora si ritrovò di nuovo in condizione di implorare per se stessa: la prospettiva di sacrificare Draco, adesso, era davvero più accettabile piuttosto che perdere i propri ricordi, dal primo all’ultimo. Come aveva potuto, di nuovo, essere così sciocca da mettere la sua morale al primo posto? Non aveva imparato che non se ne ricava mai nulla di buono? L’altruismo non paga mai quanto l’egoismo, era una lezione che avrebbe dovuto imparare, anche a costo di sacrificare i suoi stramaledetti principi. Le parole che uscirono dalla sua bocca le parvero così lontane, tanti suoni senza una precisa connessione: sapeva solo che non voleva perdere i suoi ricordi, perderli significava perdere se stessa, significava morire, anche se non nel senso materiale del termine. Nel vedere Liliat farsi più vicina, passo dopo passo, fluttuante da terra nel suo vestito fioletto di pizzo, la sua vita le passò davanti. La lettera da Hogwarts, la sua prima bacchetta da Olivander, Harry e Ron sul treno, l’Ordine della Fenice, i suoi incantesimi, perfetti sempre di più e sempre con minor sforzo, il ballo del Ceppo con Viktor – che non sentiva da secoli e non avrebbe mai più potuto sentire, la McGranitt, Silente, Voldemort e quanto avevano impiegato per sconfiggerlo. E Ron, il bello e il brutto dell’averlo avuto nella sua vita, e tutti i ricordi legati alla Corte, alle nuove decisioni per i Nati Babbani, lei inclusa, e la sua esperienza di menzogne e bugie. Il dolce, caro Harry, i suoi genitori. Avrebbe voluto estrometterlo dal quadro importante della sua esistenza, eppure il suo volto fece breccia quasi a forza nella sua coscienza, il sorriso appena accennato su quel volto imperturbabile di pietra, sempre così freddo, astuto e calcolatore, con qualche piano da organizzare e qualcosa da pianificare: Draco.

«Non temere, piccina, non te ne accorgerai neppure…»

Urlò, con quanto fiato avesse il gola, ma non fu sufficiente: la mano di Liliat si posò delicata sul suo volto, lasciando che il nero dell’incoscienza di impadronisse di lei. Quindi semplicemente prese a recitare una formula, una lenta e ipnotica litania che poche volte nella sua esistenza le era capitato di intonare. Era melodiosa, lenta, letale quasi quanto era bella. Un processo lungo e lento, tuttavia. Man mano che i ricordi scivolavano via dalla mente di Hermione Granger, Liliat poteva vederli davanti agli occhi: a partire dai pochi istanti precedenti, andando a ritroso nella sua insulsa vita umana, dai genitori, alle amicizie discutibili con individui di dubbia igiene personale… Doveva essere stata una vita soddisfacente, quella di una ragazza come lei, si scoprì a pensare la mora, forse con troppa umanità per i suoi standard, decisamente una degna di essere ricordata, anche se lei non se ne sarebbe resa neppure conto, una volta che avrebbe terminato con lei. Sempre se fosse sopravvissuta.

«Ora basta. Stupeficium.» Sentì una forza violenta infrangersi contro di lei, prima che potesse reagire, fluttuando dietro la forza violenta del getto magico che l’aveva investita, sbattendo contro il muro e toccando il suolo per la prima volta in chissà quanti decenni. Sbuffò rabbiosa, tornando a librarsi in aria e fissando furibonda la mano del mago che aveva osato tanto. Draco Malfoy era fermo davanti al tavolo dove le fiale, ormai vuote, giacevano. Senza staccare il volto da quello di Syfil – che sembrava divertirsi molto più di quanto uno nella sua posizione avrebbe dovuto, date le circostanze – gettò con disprezzo la chiave sul tavolo, lasciando che brillasse sotto la luce artificialmente bianca della stanza. «Non la voglio, non intendo andare fino in fondo. Scelgo lei

«Ma che… ma come osi alzare la bacchetta contro di me, lurido umano insignificante! Sai cosa potrei farti?»

«Forse non più di quello che potrei farti io, carina, se non le ridai la memoria all’istante.»

La mora si limitò a sbuffare. Con un’occhiata affrettata, Draco constatò che Hermione era svenuta, i capelli sparsi disordinati sulle spalle e la testa poggiata di lato, il corpo abbandonato sul pavimento. Era arrivato troppo tardi? Poteva mai aver commesso un simile errore senza poter rimediare, adesso? Guardò furioso Syfil. «I patti erano che potevo scegliere tra lei e i Metalli: scelgo lei. Ti prego, lasciaci andare via... non intendo più rifare l’errore che ho commesso: non posso pensare alla morte se possiedo la vita.»

«Sagge e argute parole, per un giovane e inesperto umano. – fece un cenno con il capo e le catene di Hermione si sciolsero, lasciandola scivolare sul pavimento – C’è un motivo per cui indosso abiti umani, Draco Malfoy: sono molto curioso verso la vostra razza, a differenza dei miei fratelli e sorelle, ritengo che abbiate del potenziale e tu ora me lo stai dimostrando. Questo tuttavia non cambia i fatti… e i fatti sono questi.» Mimò il gesto di stringere qualcosa con un pugno e il petto di Draco si strinse in una morsa tale da togliergli il fiato, il cuore che pulsava a mille e la forza delle ginocchia che veniva meno. Senza riuscire a restare in piedi, fu costretto a inginocchiarsi, stringendo una mano sulla gola e faticando a ritrovare l’aria. Syfil distese la mano e il dolore scomparve. «Hai messo a repentaglio la tua anima per salvare qualcosa che non era in natura concedere ai tuoi desideri. Non posso ridarti l’anima, non lo farò.» Malgrado non riuscisse ad immaginare una vita con un simile fardello, come già Hermione aveva fatto con Gonos quando avevano preso il metallo numero cinque da Liliat, fece l’unica cosa ragionevole che gli si potesse presentare al momento: con un brusco cenno del capo, diede il proprio consenso. Il Guardiano parve apprezzare la cosa, tanto che liquidò con un gesto annoiato la nascente protesta di Liliat, che era già sul punto di intervenire. La mora parve particolarmente offesa e, senza aspettare ulteriori ordini, gettando un’occhiata di puro odio a Hermione, scomparve. Draco fu sul punto di richiamarla – se andava via, chi avrebbe ridato la memoria a Hermione?

«Non può riavere indietro i suoi ricordi. – pronunciò perentorio il moro, guardando duramente il ragazzo che aveva davanti – Ciò che le è stato tolto non può essere riportato indietro, nemmeno se riunisci nuovamente i Metalli… Oh!» Non si trattenne dal ridere, dato che la sua stessa battuta parve divertirlo non poco. Certo, agli occhi di un immortale la sua ricerca e i suoi propositi dovevano essere parsi tanto futili già una volta, figuriamoci ripetere l’errore. Si riprese dopo pochi secondi, tornando a fissare l’umano che aveva davanti. «E nemmeno con te posso fare molto. Vedi, hai deciso di fermarti a metà strada… non è ancora morto nessuno di quelli che sarebbero stati sacrificati eppure tu hai fuso i Metalli per aprire i Cancelli della morte. Sai che cosa vuol dire? La tua anima resterà lacerata per sempre. Non potrai mai più ritenerti libero da questa maledizione, anche se potrai alleviarla…» Indicò Hermione con un gesto della mano, indifferente, avvicinandosi alle fiale vuote e cominciando a recitare una strana litania per far si che la chiave si disintegrasse e i Metalli si dividessero, tornando al loro posto. Senza poter credere alla sua fortuna – era di questo che si trattava, dopotutto, no? – il mago si avvicinò a Hermione sollevandole la testa e controllando che il battito ci fosse ancora: era viva. Ma cosa era rimasto della Hermione Granger che ricordava?

«Quanta memoria le ha tolto Liliat? – domandò sottovoce, sicuro che Syfil potesse udirlo – Cosa ricorderà?»

«Oh, ad esserti sincero non ne ho la più pallida idea: la memoria non è il mio campo di competenza. Io sono più bravo con la roba manuale, tipo questa. Ma suppongo un bel pezzo di memoria… non so quanto grande o consistente… ringrazia che sia viva, almeno.» Sorrise tra sé, tornando ad occuparsi dei Metalli. Draco si guardò intorno, cercando una via d’uscita: anche se erano vivi, non voleva di certo dire che erano fuori pericolo. Erano ancora alla mercè di Syfil, anche se sembrava abbastanza lunatico come tipo, doveva riconoscerglielo. Almeno non si è ancora deciso a trafiggermi con qualche spada, sono progressi questi… Quasi a intuire quello che passava per la mente del ragazzo, anche se non era da escludersi che potesse davvero leggere i suoi pensieri, il
Guardiano parlò di nuovo, senza voltarsi stavolta. «E’ inutile che rimani lì. Puoi anche materializzarti a casa tua.. non ti sto mica trattenendo. Sei stato un così divertente esserino in questi mesi! Hai tolto la monotonia dalle mie giornate e, te l’assicuro, la monotonia è qualcosa con cui impari a convivere, dopo tanti millenni. Vai, vattene ora.»

Anche se era certo che se ne sarebbe pentito, non riuscì a trattenersi dal chiedere un’ultima cosa. «Mi lasci andare così? Non merito nessuna punizione per… quello che ho fatto o ho cercato di fare? E Hermione è… libera?»

«Punizione? – la parola incuriosì il moro, che assunse un’aria pensierosa – Hai un’anima lacerata con cui convivere per tutta la vita e la tua ragazza, sempre se si ricorderà di te, forse non ti amerà mai più come prima. Direi che il sacrificio è una punizione adeguata, giovane Malfoy. Per quanto la riguarda… non ricorda nulla di ciò che ha fatto e, quando Liliat ha iniziato il processo per portarle via i ricordi è come se… si fosse portata via anche il resto. Capisci?» Draco lo fissò sconcertato: no non capiva. Hermione sarebbe ancora diventata adepta di Gonos? Syfil sbuffò spazientito.

«Oh, maledizione, lascia perdere! Dimentico sempre che la tua mente umana è troppo limitata per capire certi processi… ti basti sapere che no, non diventerà più adepta né di Gonos né di nessun altro. Quando morirà, diventerà niente di più e niente di meno che un’anima, come quelle delle due donne che hai appena incontrato. E ora vattene, dico sul serio, altrimenti potrei farmi venire la sadica curiosità di usarti come bersaglio a freccette… Gonos mi ha detto che è stato divertente…» Senza aver bisogno di indugiare ulteriormente o di sfidare in qualche altro modo la sua buona sorte, prese la bacchetta e roteò su se stesso, Hermione in braccio, lasciando che il familiare strappo all’ombelico lo riportasse a casa. L’ultima visione che ebbe della stanza bianca fu Syfil chino sulle fiale e una di esse riempita del suo originario contenuto: forse, in un futuro lontano, qualcuno avrebbe di nuovo tentato di mettere insieme le fiale per i propri scopi, ma non lui, non più. Aveva capito, finalmente, cosa fosse realmente importante e non aveva intenzione di dimenticarlo per il resto della sua esistenza.

 

Tears streaming down your face 
I promise you I will learn from my mistakes 
Tears stream down your face and I...

 

Si materializzò in salotto, la luce della luna ancora alta che filtrava delicata dalle tende appena dischiuse. Wimpy stava spolverando e nel vedere il padroncino apparire così all’improvviso gettò un urlo acuto e lasciò cadere una scatoletta di argento per terra, urlando ancora di più nel notare che se l’era lasciata sfuggire. Draco sarebbe stato divertito dalla scena se non avesse temuto più per la vita di Hermione. «Smettila di strillare, inutile elfo. Porta uno dei pigiami che la Granger usava quando viveva qui in camera mia… devono essercene rimasti un paio di seta, neri o verdi, fa un po’ tu. Ma fa in fretta.» L’elfo annuì convinto, posò la scatoletta al suo posto, nella teca di vetro, e scomparve con un leggero pop. Draco si rese conto che nel tempo in cui era stata lontana da lui, la strega doveva essere leggermente ingrassata, anche se non l’avrebbe mai notato guardandola dall’esterno: era comunque secca come un grissino e ancora sufficientemente leggera, per i suoi gusti. Senza troppe difficoltà, salì le scale e entrò nella propria stanza, depositandola con delicatezza sul letto. Le spostò una ciocca dietro l’orecchio, con un’abitudine quasi inconscia, che gli era terribilmente mancata. Gli era mancato anche guardarla dormire, gli occhi chiusi e la fronte rilassata, come in quel momento. Chissà se sarebbe riuscita a svegliarsi e, una volta aperti gli occhi, chissà sa si sarebbe ricordata di lui. Era un pensiero terribile e, ancor più grave, era dover aspettare una risposta senza sapere quanto sarebbe arrivata.

L’elfo portò il pigiama richiesto – uno dai pantaloni di seta nera una canotta nera di cotone – e Draco glielo infilò con delicatezza, dopo aver gettato sul pavimento gli abiti che indossava. La coprì con il lenzuolo e ordinò all’elfo di vegliare su di lei finchè non si fosse svegliata: non voleva allontanarsi da lei ma, al contempo, non voleva starle troppo addosso e rischiare di spaventarla, una volta sveglia, se non si fosse ricordata di lui. Gli si spezzava il cuore al solo pensiero eppure sapeva di dover fare i conti anche con quell’eventualità, neppure tanto remota. Con un’ultima occhiata alla sua figura distesa nel letto, uscì dalla stanza e si diresse in bagno: per una volta avrebbe usato lui la sua Jacuzzi, sempre se Hermione non si fosse svegliata prima e avesse ingaggiato battaglia con Blaise per quel diritto. Il bagno fu meno rilassante di quanto avrebbe voluto ma, nel complesso, ottenne l’effetto sperato di rimuovere i pensieri più cupi, almeno in parte: una fitta all’altezza dello stomaco gli ricordò che non tutte le cicatrici di quello che aveva fatto sarebbero scomparse, mai del tutto. Ebbe anche l’impressione di essersi appisolato ma non ne fu certissimo, almeno finchè non notò i primi raggi filtrare dalla finestra.

Trovò Blaise seduto in cucina, a sorseggiare un succo di frutta e a leggere la Gazzetta, probabilmente aperta come sempre alla sua preziosissima pagina sportiva. Il moro non alzò gli occhi dal giornale che per un secondo, tornando poi a fissare con interesse l’articolo che stava leggendo, almeno in apparenza.

«Ho notato che una fanciulla di tua conoscenza è comodamente raggomitolata tra le coperte del tuo letto: devo dedurre che è tutto sistemato?» Draco sorrise con amarezza: quanto avrebbe voluto che tutto fosse così semplice. Ma non era così, non lo sarebbe stato mai probabilmente. Scosse la testa e si prese una tazza di caffè. Stranamente, tornare alla normalità, qualsiasi essa potesse essere, era molto più confortante di qualsiasi altra cosa: non aveva la certezza che tutto si sarebbe sistemato ma, stranamente, aveva una vaga positività che gli faceva vedere il bicchiere “mezzo pieno” invece che il solito “mezzo vuoto”. Non solo sperava che Hermione si sarebbe ripresa ma, addirittura, era quasi certo fosse fuori pericolo. Non sapeva nemmeno cosa gli desse quella certezza né il perché si sentisse così tranquillo. Forse era perché finalmente non aveva più un segreto così grande da portare avanti, forse era perché la Ricerca era finita, e non solo quella dei metalli. In un modo malsano e contorto, tutto era andato al proprio posto.

«Allora, quell’allenamento? E’ andato tutto per il meglio? – domandò con naturalezza, sedendosi su una delle sedie della cucina e sorseggiando il caffè – Spero siate pronti perché la prossima partita è…» Si bloccò, notando lo sguardo scioccato di Blaise che fissava qualcosa alle sue spalle, terrorizzato e a bocca aperta. Non ebbe neanche bisogno di chiedere…

«Malfoy, ora tu mi spieghi perché diavolo sono vestita in questo modo, nel tuo Manor, e perché mi sono svegliata nel tuo letto. E già che ci sei perché non dici a Zabini di chiudere quella bocca, rischia di perdere quel poco fascino che gli rimane con quell’espressione da Magonò.» Si voltò con lentezza, trovandola in piedi accanto all’entrata della cucina, le braccia incrociate sul petto e un’espressione furente sul volto. Senza neanche rispondere, si voltò verso l’amico.

«Blaise, che dici, un altro po’ di succo?»

Non si ricordava di lui ma stava bene, sarebbe andato tutto bene.

 

Lights will guide you home 
and ignite your bones 
And I will try to fix you







 
Note dell’autrice ù.u

Ok, sto morendo. Non nel senso che sto male ma nel senso che sto piangendo come una fontana: eccoci, è la fine. Naturalmente manca ancora l’epilogo, che dovrà farvi un po’ di chiarezza (se possibile) su come andranno le cose con gli altri personaggi e anche, perché no, con i due protagonisti. No, davvero, sono così commossa in questo momento che non potete neanche crederci – sono le 15.21 del primo di ottobre, anno 2011 (questo è il momento in cui ho finito il capitolo, così giusto per ricordarmelo xD) – e guardo con orgoglio "l’ultimo capitolo della storia".

Le scelte circa il finale: potete fare ciò che volete, potete pensare che siano discutibili, essere pienamente d’accordo con il finale o completamente in disaccordo con la fine… me ne rendo conto: ognuno sogna con una storia, quando la legge, e non si può sapere mai fino alla fine come andrà a finire. Io stessa, quante volte ho odiato autori e autrici che non concludevano la vicenda come dicevo io? Tantissime, ma è così che va purtroppo. Draco fa la sua grande scelta, anche se in ritardo naturalmente. Hermione, anche lei, comprende tardi cosa il suo altruismo comporti, anche se nemmeno per un secondo si smuove da quella che è la linea diretta della sua morale. Syfil non è buono quindi toglietevelo dalla testa: insomma, da a Draco e Herm una scelta non indifferente, mi pare, ed esiste la violenza psicologica, sapete? Lui stesso dice che si divertirebbe un sacco a lanciare spade addosso a Draco (e potrebbe farlo!) ma non è il suo stile e quindi non è da lui. Daphne e Cissy un po’ diverse da come lo erano state quando erano apparse nella nebbia di Chunchiulos: li erano proiezioni dei ricordi di Draco, qui sono invece le entità concrete delle due donne. Naturale che vogliano il suo bene, naturale che gliene dicano quattro… e quindi la decisione dell’ultimo minuto.

Cosa ha cancellato Liliat a Hermione? Tutto, potrei dire, ma non sarebbe esatto: lei non ricorda nulla di quello che è accaduto con Draco, né la Ricerca, né i Metalli né il fatto che si è innamorata di lui durante quell’arco di tempo. Non lo ricorda e, come dire Syfil, non può farle ricordare nulla: già una volta è sopravvissuta a quel processo ma non è detto che accada. Vi chiederete giustamente perché si riprenda così velocemente rispetto alla prima volta: è come un virus, mettiamola così, dopo che l’ha preso una volta è come se il suo corpo (in questo caso la sua mente) abbia imparato a combatterlo. La volta scorsa, inoltre, non c’era solo lo sforzo mentale della cancellazione dei ricordi di Liliat ma anche la brusca violenza di Gonos. Perché non diventerà sua adepta? Non lo so O.O no, giuro, non sono riuscita a capirmi nemmeno io quando ho scritto quella parte: diciamo solo che – se così si può dire – la punizione di Liliat della memoria si è sovrapposta al giuramento fatto in precedenza e, non ricordandolo, lei non può adempirlo. Aggiungeteci che forse anche Syfil ci mette lo zampino… boh! xD

La canzone? Fix you – Coldplay. E’ stata davvero la mia ispirazione durante l’intero capitolo, vi consiglio di ascoltarla… se non durante la lettura almeno all’inizio o alla fine, è qualcosa di unico come le parole di questa si adeguino alla perfezione alla storia. Dico davvero.
Lascio i ringraziamenti all’epilogo, fino ad allora mi auguro di non avervi troppo delusi. Ci vediamo tra due settimane. =)

P.S. Grazie come sempre ai mitici recensori e a colore che seguono, preferiscono e ricordano la storia: sono certa che loro resteranno nel mio cuore quanto la stessa storia in se.

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Capitolo 23
*** Epilogo - Your blackmail, My downfall, Our happiness ***



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Your blackmail, My do wnfall. Vol 1
***

Epilogo:

Your blackmail, My downfall, Our happiness


 

Sentì un fastidioso rumore disturbarlo dalla sua Gazzetta, quella mattina, un rumore inusuale eppure familiare al tempo stesso. Al terzo suono consecutivo si ricordò che quelle note acute tanto fastidiose erano collegate al campanello della porta d’ingresso: nessuno dei suoi conoscenti bussava per entrare, la materializzazione rendeva tutto più semplice, mentre i suoi nemici non si sarebbero mai azzardati a presentarsi senza invito… figuriamoci suonare il campanello. Quando il rumore lo raggiunse una quinta volta, decise che era inutile aspettare che semplicemente quello scocciatore andasse a farsi un giro, quindi si risolse ad alzarsi e aprire. Il ragazzo che aveva davanti indossava un paio di bermuda color cachi e una polo bianca, con il bordo del colletto blu elettrico, lo stesso del suo consunto cappellino, schiacciato sopra l’indomabile montagna di ricci biondi. La domanda che gli salì, spontanea ma impudente, alle labbra fu la più ovvia. «Scusa, chi saresti tu

Il ragazzo – aveva sedici anni al massimo, forse diciassette – non ebbe il tempo di rispondere, visto che una voce di donna lo precedette, seguita da un rumore di tacchi che scendevano velocemente le scale. «Si, Thomas, tranquillo, dai pure a me le buste. – una volta davanti alla porta, sorrise cordiale, prendendo la posta, quindi lo ringraziò con un cenno – Ci vediamo domani, grazie.» Chiuse la porta, tornando a sorridere al mago biondo, rimasto senza parole, impalato davanti alla porta di casa sua, quindi si diresse e sedette in cucina, esaminando le lettere appena ricevute, prendendo grata la tazza di caffè che un elfo glielo porgeva. «Oh, non posso crederci: dopo tutto questo tempo la Corte non riesce ancora a lasciar perdere? Dici che se li umiliassimo nuovamente con il Wizegamot lascerebbero perdere, una buona volta?» Una delle cose che avevano reso famosa Hermione Granger, in quegli anni, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, era stata la battaglia legale e sociale contro il decreto di legge che aveva imposto ai nati babbani di stabilire contatti con il loro mondo natio, lavorando e creandosi una vita parallela in un mondo privo di magia. Consapevole della sofferenza che l’aveva spinta a ballare in un locale di spogliarelliste pur di non disobbedire alla Corte e al Ministero, di cui era stata da sempre una fedele alleata e sostenitrice, la strega aveva movimentato l’opinione del mondo magico, scoprendo che il suo non solo non era un caso isolato ma addirittura una regola quasi fissa. I familiari dei Nati Babbani – mogli, figli, parenti maghi – e una fetta consistente del Mondo Magico – amici e conoscenti, ovviamente – avevano appoggiato in pieno le ragioni che lei aveva professato e le avevano concesso piena libertà di presentarsi davanti al Wizegamot con quanto necessario per abolire la Legge e mettere a tacere la Corte per sempre. Loro, naturalmente, non avevano mai smesso di continuare nel loro proposito, tanto da chiedere a Hermione di collaborare con loro: se non viveva come dicevano loro, poteva almeno aiutarli a far vivere gli altri come dicevano loro. Poveri illusi, non si erano resi che Hermione Granger non fosse molto più che difficile da piegare, lei e i suoi moralissimi principi. Aveva rifiutato la loro offerta – già sei volte – ma sembrava stesse per farlo di nuovo.
«Hermione, un postino. Sul serio?»

Lei non parve ritenere l’argomento abbastanza serio per guardarlo negli occhi: continuò a guardare le lettere, parlando in contemporanea. «Non farmi la predica. Il tuo gufo è tanto vecchio da perdere le lettere per strada e mi sono stufata di ricevere Strilettere varie da parenti e amici dai quali non mi sono presentata per cena… dai, abbiamo saltato perfino il matrimonio di Pansy e Greyson!»

Draco tossì rumorosamente: in effetti quella lettera non era andata persa, era stata abilmente gettata nel fuoco mentre Hermione era indaffarata a telefono con Harry. Si, beh, non gli piaceva l’idea di dover andare a quel matrimonio e se n’era sbarazzato, che male c’era? Hermione gli lanciò un’occhiataccia. «Thomas è simpatico e gentile e si è offerto di portare la nostra posta fino a qui, il che è carino, visto che il tuo Manor è peggio di un monastero tibetano! E poi…» Draco si perse le ultime lamentele che la strega elencò in rapida sequenza: di solito, quando metteva il turbo, aveva imparato a isolarsi nella sua mente, spegnendo il volume e lasciando che i suoi occhi vagassero sulla sua figura, sempre così dannatamente attraente. Aveva una gonna nera stretta, una camicetta bianca con una collana di Swarovski e un pendente a zaffiro – regalo del loro anniversario – che si intravedeva appena dietro una soffice sciarpetta grigiastra. Tacchi altissimi, neri, e collant color carne, senza contare lo chignon che raccoglieva i suoi ricci ribelli in una deliziosa crocchia ordinata, da cui sfuggivano uno o due ciuffi appena. Il suo muovere le labbra, la fronte aggrottata dalla rabbia e dall’impazienza, lo facevano letteralmente andare fuori di testa. Decidendo di troncare una conversazione inutile sul nascere, le afferrò la vita e la baciò con trasporto. La sentì protestare dalla sorpresa con un debole “Non credere di poter risolvere tutto così!” ma poi dovette cedere… alla fine cedeva sempre, lo sapeva lui e lo sapeva lei. Sorrise contro le sue labbra, notando che lei faceva altrettanto, quindi si concesse di sfiorarla con un casto bacio, prima di prendere definitivamente possesso della sua bocca: percepì il sapore del caffè che aveva appena sorseggiato sulla lingua, quindi quell’aroma delicato della cannella che lei adorava nelle bevande, un sapore che lo inebriava e rendeva inoffensivo allo stesso tempo. Lei ricambiò il bacio, lasciando le mani vagare nei suoi capelli e il suo collo, attenta a non stropicciargli il colletto della camicia, dal momento che sapeva che ci teneva ad essere sempre impeccabile e le dispiaceva costringerlo a cambiarsi di nuovo. Strinse le gambe alla sua vita, per riuscire ad avvicinarlo ancora di più, percependo il familiare calore invaderla dal ventre al petto, il cuore che batteva forte. Esplorò la sua bocca, così familiare eppure così sconosciuta, sentendolo vicino come sempre e come se fosse la prima volta, come era sempre e sempre sarebbe stato.

«Si, continuate pure… tanto io posso mangiare, con un porno dal vivo.»

Hermione sciolse le gambe, imbarazzata, lasciando indugiare la bocca per qualche altro secondo sulle labbra di Draco, che aveva alzato gli occhi al cielo esasperato, quindi si volse verso Blaise, salutandolo con un sorriso: il moro era comodamente poggiato contro il bancone della cucina, una tazza di caffè fumante in mano e la camicia nera sbottonata molto casual, così come il jeans: indumenti che raramente gli vedeva indosso. «Buongiorno, Zabini. – salutò educata, ricomponendosi – Andiamo ad una partita di calcio o hai deciso che i jeans sono la tua nuova vocazione?» Draco si sedette accanto a lei, passandole un braccio sulla vita e baciandole il collo: funzionava sempre, delle sue prediche non c’era più traccia.

«Ah-ha! – ironizzò lui, per nulla divertito - No, Granger, ma grazie di averlo notato. Del resto sono uno schianto anche così, giusto?» In effetti non era un look che gli stava male, poteva benissimo passare per uno di quei bellocci delle serie televisive babbane, anche se non pensava fosse saggio farglielo notare, dato che si stava pavoneggiando a sufficienza anche senza essere a conoscenza di questo dettaglio. «In pratica Jessica, la strega americana con cui sto uscendo, ha una sorella, che è sposata con un babbano e allora abbiamo questa cena in questo pub…»

«Insomma vi andate a bere una birra?»

«Suona molto meglio come l’ho detta io… - fece notare lui, contrariato – Comunque, per via del fuso devo andarci di mattina, così… Beh, la mia passaporta mi aspetta, Cissy dorme ancora? Volevo darle un bacio prima di andare…»

«Quella bambina diventerà un caso perso, se la vizierai ancora un altro po’. Vattene, vai.»

Lui semplicemente sorrise, salutandoli con un “A dopo!” e scomparve, smaterializzandosi. Lui e Jessica si erano conosciuti durante una delle partite amichevoli tra le nazionali di Quiddich inglese e americana: lui un giocatore, lei una giornalista. Una cosa tira l’altra, la loro relazione era divenuta più seria di quanto entrambi avrebbero inizialmente desiderato, tanto che Blaise si era già fatto scappare la parola “matrimonio” con Draco, anche se aveva pregato di non dire nulla ad Hermione, che sapeva l’avrebbe preso in giro fino al giorno del fatidico “si”. Lei era venuta comunque a saperlo, in un modo o in un altro, ma non aveva detto nulla. Era strano come lei e Blaise avessero finito con il rafforzare il loro rapporto, in quegli anni, lasciando che l’indifferenza e il fastidio iniziali cedessero il passo all’accettazione e quindi alla tolleranza, fino a sfociare in un vero e proprio legame, un’ammicizia. Quando lei e Draco avevano deciso di rendere ufficiale la loro convivenza, lui aveva insistito per andarsene, loro avevano insistito perché restasse. Non era stato solo senso di solidarietà per un amico che non sapeva dove andare ma anche una sorta di nostalgia a spingerli: non riuscivano ad immaginarsi un Manor senza di lui e, dopotutto, si dicevano continuamente, avrebbe avuto tutto il tempo di mettere su casa con Jessica, quando l’avrebbe sposata.

«Cissy è da mia madre e io sto andando da Armando: voleva un resoconto sugli stipendi del settore ricerca e sviluppo e ho promesso di consegnarglielo prima di andare da Harry. Ti ricordi che oggi siamo a cena da Molly, non è così?»

«Come dimenticarlo? Scommetto che ci saranno anche la Stronza e la Donnola…»

La strega roteò gli occhi al cielo, prima di alzarsi con un agile salto e appellare la sua borsa, che aveva lasciato sul letto. «Ginevra  e Ronald sono stati invitati anche loro per il compleanno di Molly, loro madre, si, Draco, grazie di aver sottolineato l’ovvio. Passerò a prendere Cissy alle sette e ci vediamo lì alle sette e un quarto, il tempo di darmi una ripulita. Ti amo.» Senza lasciargli il tempo di protestare, gli diede un veloce bacio e gli accarezzò la guancia, scomparendo con un leggero pop senza lasciare traccia.

Era incredibile come la sua vita fosse cambiata in quegli ultimi due anni. Di solito, davanti a cambiamenti drastici e radicali, si è in grado di riconoscere i principali passaggi che hanno portato a quel cambiamento mentre lui, guardandosi alle spalle, riusciva solo a ricordare Hermione. Forse era cambiato tutto quando aveva preso in mano il diario di Callista, gli occhi scettici e la bacchetta a portata di mano, in cui si era sorpresa di trovare la propria lettera, ignara perfino di averla scritta… quello si che era un momento che ricordava alla perfezione…

«E’ la mia calligrafia. Ed è una lettera indirizzata a te.»

«Non è tutto, guarda la data.» La mora obbedì, spalancando gli occhi: i suoi ricordi erano fermi ad almeno tre mesi prima della data indicata sulla busta. «Che vuol dire questo? Non capisco…»

«Leggi. L’hai scritta proprio perché potessi leggerla, perché potesse rispondere alle mie domande se mai me ne fossi posto qualcuna. Adesso potrà rispondere a te, è quasi come se fosse stata scritta apposta.»

La strega gli concesse uno sguardo dubbioso, quindi prese a leggere. Le frasi che le scorrevano davanti agli occhi parlavano della sua vita, di tutti quei piccoli e minuziosi momenti che l’avevano fatta sorridere, piangere, gioire, urlare, dimenarsi, entusiasmarsi come un fuoco d’artificio e spegnersi come un falò all’alba, su una spiaggia immensa. Li ricordava, ricordava ciascuno dei suoi anni di Hogwarts, le avventure vissute con Harry e Ron, le battaglie più dure e Voldemort a seguirli come un’ombra, invisibile e infinita. Anche Malfoy vi compariva, di tanto in tanto, e in quei momenti non si tratteneva dal lanciargli delle occhiate bieche, ricambiate da lui da un sereno e quasi ironico sorriso: come si permetteva di essere così sfrontato? E, soprattutto, domanda ancora più interessante, come faceva ad avere una cosa sua cosi personale? Non riusciva a capirlo…

Poi però le frasi cominciarono a scivolare verso un mare nero e buio, a lei sconosciuto, di eventi che non ricordava, di sentimenti che non credeva sarebbe mai stata capace di provare, di realtà che si allontanavano talmente tanto da lei da risultare più fiabesche che concrete. Si stupì, tuttavia, di percepire un fondo di veridicità tra quelle parole, parole che non solo le suonavano familiari ma addirittura sue. Naturalmente non poteva trattarsi di una verità, si contraddisse logica: Ron non l’avrebbe mai tradita, lei non avrebbe mai sacrificato la sua vita per quella di Malfoy né tantomeno avrebbe potuto essere… No, non poteva essere vero, non dovevaessere vero. Lei era una strega, nata babbana e per questo condannata dalla Corte ad una vita tra i suoi simili: che c’entravano Armando e un resoconto per cui avrebbe dovuto ringraziarlo? Non conosceva quell’uomo. Eppure si concesse di leggere quelle frasi fino alla fine, le lunghe pagine della sua vita, vergate di suo pugno in un momento imprecisato di un passato che non era mai esistito.

“…e se mai dovessi dimenticare, perché le scelte che ho fatto potrebbero portare anche a questo, leggi queste parole e ricordati di me. Ricordati di come ti ho amato, di come abbia cercato di darti tutto quello di cui fossi capace, anche se spesso non te lo meritavi affatto; ricorda quello che c’è stato e quello che ci sarà perché se so una cosa, certa quanto incerto è il mio futuro, è che nulla è  impossibile se dedichi tutto te stesso a crederci. Credici, Draco, e io ci sarò per credere con te, perché il tuo ricatto sarà stato anche la miarovina, ma è stato la Nostrafelicità.

Con tutto il mio amore, Hermione”

La lettera non aveva accennato né a Ginevra né al suo tentativo di ucciderla: probabilmente Hermione aveva ritenuto giusto dimenticare, se mai fosse stato possibile, quel capitolo della sua vita. Lui non poteva di certo fare altrettanto, tranne il dimostrare tutta la sua antipatia nei confronti della più giovane Weasley, dato che gli unici a conoscenza dei suoi delitti non erano che lei, lui e Blaise. Hermione non aveva mai compreso perché lui ce l’avesse a morte con Ginny, anche se non aveva mancato di chiederglielo, molte volte, ricevendo sempre il solito sorriso sghembo e un’alzata di spalle. Draco sapeva, del resto, che era stata una decisione di Hermione, quella di non ricordare, non poteva disubbidire a quel muto ordine che lei gli aveva dato.

Aveva liberato Ginevra pochi giorni dopo che Hermione aveva letto la lettera e l’aveva spedita da Molly, assicurandosi che la madre controllasse la sua “figlia drogata, alcolizzata e dalle cattive compagnie”, o almeno fu ciò che le scrisse in un biglietto. Molly – per quanta fiducia potesse riporre in Malfoy – non prese alla leggera quella rivelazione e tenne la figlia sott’occhio, una punizione alquanto equilibrata, almeno così parve pensarla Draco. Si era sentimentalmente legata ad un ricco banchiere babbano, molto sotto i suoi standard ma decisamente l’unico partito che avrebbe mai potuto avere. Il fratello, invece, non aveva avuto altrettanta fortuna: da quando Hermione gli aveva parlato, una seconda volta, non era più riuscito a trovare nessuna disposta ad amarlo. Certo, l’idea brillante di raccontare alla propria fidanzata circa il proprio tradimento, con tanto di particolari, non doveva essere stata una mossa astuta. Hermione era fuggita da Malfoy Manor ancora sconvolta, incapace di credere alla lettera che aveva avuto tra le mani, ma le parole del suo ragazzo le dimostrarono chiaramente che c’era più verità che invenzione in quello a cui si era rifiutata di credere. Era fuggita a casa dei genitori, consolata da Harry e corteggiata da Malfoy, finchè non aveva ceduto. Un mese dopo quell’evento, si era trasferita definitivamente a Malfoy Manor, incinta di Cissy. Ovviamente le analisi provarono subito era incinta da circa sei settimane, dimostrandole una volta per tutte che quello a cui non voleva credere era invece una realtà.

Da allora in percorso era stato pressappoco tutto in discesa: era nata Narcissa, Hermione aveva sconfitto la Corte davanti al Wizegamot, Harry si era risposato con Astrid – e chi l’avrebbe detto che avrebbe conquistato una medimaga bella come lei! – e Armando… aveva scoperto che la nuova compagna del proprio capo aveva molto più fiuto per gli affari babbani di quanti ne avesse avuti mai lui. Senza la minima offesa, lui si era fatto da parte e Hermione Granger, reintegrata in pieno diritto nella Comunità Magica, era divenuta anche la Direttrice del suo impero economico babbano.

Un gufo planò nella sua cucina – grazie al cielo esisteva ancora qualcosa di normale in quella casa! Come il farsi consegnare la posta da un gufo, per esempio! – e vide che era un disegno, accompagnato da un bigliettino “Cissy l’ha fatto ieri sera, pensavo ti sarebbe piaciuto vederlo. H.”. Cos’è, nessun postino, adesso? Il piccolo foglio di carta, molto vivace nelle tonalità di blu e verde con cui era colorato, raffigurava due persone, mamma e papà: lui e Hermione erano più carini colorati da una bambina di un anno e mezzo che nel riflesso di uno specchio, almeno ai suoi occhi. Amava sua figlia quanto e più della sua stessa vita, non credeva di essere capace di donare così tanto amore dopo la morte di Daphne. Aveva scoperto il contrario: se avesse lasciato che Hermione perdesse la memoria e sua madre tornasse in vita, non avrebbe mai visto quegli occhioni castani e quei boccoli biondi, l’espressione curiosa e i gridolini divertiti. Cissy gli aveva ridato tanto, tanto che la sua vecchia vita non sarebbe mai riuscita a colmare, neanche se fosse arrivato fino in fondo: lei e Hermione erano tutto per lui, adesso, e non avrebbe mai voluto che fosse altrimenti. Posò il foglio sulla superficie di marmo del bancone della cucina e lo accarezzò con le dita, sentendo la ruvidezza del colore sotto i polpastrelli, in colpa perché doveva scappare invece di star li ad ammirare quel capolavoro.

Non c’è una cosa, nella nostra vita, di cui non dobbiamo essere grati. Tutto ha in se un piano, anche se non sempre riusciamo a coglierlo, a guardare al di là del freddo mondo materiale, spingendo la nostra immaginazione al di là dell’apparenza: non è così semplice, non è affatto scontato. Ci sono persone che passano la vita a camminare a testa basta, accontentandosi di quello che hanno, giudicando quello che gli viene detto di giudicare e amando ciò che viene loro detto di amare. Quelle persone non saranno mai felici. Eppure alcune, nonostante ogni statistica e previsione, riescono a fuoriuscire da quel circolo vizioso, ad alzare gli occhi e vivere, scacciando una monotona tirannia e diventando sovrani dei loro pensieri e della loro esistenza. Per anni lui era stato il proprio tiranno, cieco davanti alle possibilità di una vita che amava e che lo ricambiava, a sua volta.

Non era stato indulgente con la vita ma lei lo era stata con lui, in tanti e tanti modi ancora.

Solo tre anni prima sarebbe inorridito al pensiero di avere una mezzosangue con compagna, di cenare alla Tana dei Weasley come abitudine, e di guardare la foto di sua madre con null’altro che nostalgici sorrisi: adesso invece era questa la sua vita e gli andava bene.

Non era stato indulgente, con la vita, ma lei lo era stata con lui…
 




Note dell’autrice T.T

Ok, eccoci. Prima di iniziare correggo il clamoroso errore dello scorso capitolo: Fix You è dei Coldplay, non è dei The Fray – che restano un gruppo che adoro ma che purtroppo non avranno il merito di avermi ispirata… stavolta e in questa particolare occasione. Ringrazio  
gypsy_rose90 a riguardo: è anche grazie a voi che colgo questi errori che, mi rendo conto, non sono affatto piacevoli.

Ringrazio la prima, l’unica persona che ha creduto in questa storia ancor prima che posassi le dita sulla tastiera: l’ha odiata, disprezzata, rifiutata fin dall’inizio, finendo con il cedere alla fine davanti alla mia persuasione e ne è diventata la “beta mentale”, dicendomi quando ero troppo smielata, quando potevo essere più riassuntiva, se potevo lasciarmi andare un po’ di più e quando. E’ stato merito suo, dico davvero, se Draco e Hermione ce l’hanno fatta. Dark rose per voi, la mia Gio. Grazie.

Grazie a quelli che hanno commentato, con pazienza, capitolo dopo capitolo, i miei mega disastri e tutte le volte che, invece, ero soddisfatta del capitolo. Grazie, Grazie, Grazie. Ognuno di voi ha reso questa storia unica e lo scriverla ancora più unico, le vostre 225 recensioni mi hanno portato il sorriso anche nelle occasioni più difficili.

Grazie alle 161 persone che hanno preferito la storia, alle 64 che l’hanno inserita tra le ricordate e i 365 che l’hanno messa tra le seguite… cavoli, quando siete grandi?

Poi, poi… ringrazierei il signor Zabini, voi che dite? Del resto i cari Draco ed Herm non sarebbero stati così se non avessero avuto Blaise a supportarli/non supportarli. Ah, adoro quel ragazzo, mi mancherà da morire. Così come Daphne – a cui ho dato forse meno spazio di quanto meritasse ma il cui ego è enorme. Cissy? Entrambe xD La piccola Cissy Granger-Malfoy e la cara Cissy Black-Malfoy. Harry lo nomino giusto per educazione <.<

Poi che altro? Beh, nulla. Semplicemente sono contentissima di aver potuto condividere tutto questo con voi e vi sono grata di essere stati dei lettori fantastici. Alla prossima – si spera :P
 






 

The End

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