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Lista capitoli: Capitolo 1: *** ...of notebooks and new experiences *** Capitolo 2: *** "Behind the sea" *** Capitolo 3: *** "Troublemaker" *** Capitolo 4: *** "Oh my God, I think He'll forgive me!" *** Capitolo 5: *** "Just a kiss... He won't miss." *** Capitolo 6: *** "Ryro? Merry Christmas." *** Capitolo 7: *** "Is a secret...? Maybe.... no more." *** Capitolo 8: *** "It's hard to say.. stop." ***
Capitolo 1 *** ...of notebooks and new experiences ***
rydencap1
Ehm, salve..!
Non so come e nemmeno perché è nata questa
storia, so solo che una persona a me molto cara non faceva altro che ripetermi
di scrivere una Ryden, non una ONE, ma una LONG. Così dopo
un po’ mi sono decisa. La trama è nata quasi per caso, mentre ero a
lezione all’università e il professore parlava della reinvenzione del
teatro nel 500.
Spero vi piaccia.
Ah sì, bel lo sapete Brendon Urie e Ryan
Ross sono di mia proprietà e nemmeno tutti gli altri personaggi citati lo sono
(Sigh..). Ovviamente niente di tutto questo è scritto
a scopo di lucro.
Capitolo
uno
Brendon pov
Quando
qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo
serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.
Quel
qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità,
giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si
imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile. E così, dentro di
me, nasceva la più folle speranza di poter rivivere ogni singolo istante di
quei ricordi, anche quelli più inopportuni e insignificanti.
Sapevo
che stavo prendendo la situazione troppo a cuore, ma non potevo fare altro.
Faticavo anche a dormire la notte, accavallando pensieri su pensieri e desideri
su desideri.
Per
quanto fossi professionalmente appagato della mia situazione, non potevo
fingere o lasciarmi alle spalle quel costante senso di nostalgia e rabbia.
Ne
avevo accennato solo a Spencer, che lo sentivo rigirarsi nella cuccetta sotto
la mia, ma lui non ribatteva mai, standosene zitto.
Ma
il fatto che ci mancasse ciò che ci aveva reso la vita migliore era un dato di
fatto e non provavamo nemmeno a negarne l’evidenza.
Almeno,
non con gli altri.
A
volte ci perdevamo in malinconici sospiri che manco riuscivamo a trattenere.
Non
che i due, come dire, sostituti, non fosse grandiosi, anzi lo erano eccome, ma
quella alchimia, quella armonia e complicità erano del tutto scomparse.
Il
tuor era iniziato da meno di tre giorni e già avevo la più disperata voglia di
andarmene, solo che le insistenti e, ahimè, convincenti moine di Pete mi
avevano fatto promettere di resistere almeno due settimane.
Con
il risultato di trovarmi vicino a una serie di crisi depressive, dove a nessuno
importava del mio stato morale e venivo solamente usato per la mia bella voce,
che aggiungerei modestamente, insostituibile.
Scacciai
le coperte ruvide con le gambe, fino a farle cadere a terra, mentre sbuffavo
preso da una sfilza di vampate di calore.
Non
ci resistevo più in quel posto.
Fra
il russare di Dallon, i monologhi solitari di Ian nella notte e il fetente
odore dei piedi di Spencer, avevo veramente raggiunto un limite.
Strisciai
silenziosamente fuori dalla cuccetta, per rifugiarmi nel cucinotto, dove con
una smorfia tolsi la molletta che avevo strategicamente agganciato al naso.
Avrei
potuto insegnare ad un corso di sopravvivenza, tante erano le mie conoscenze
nel campo. “come sopravvivere, quando i tuoi compagni di viaggio
presentano differenti e fastidiose patologie fisiche.”
Aprii
il frigo per versare in una tazza, un po’ di latte che venne
successivamente riscaldato nel microonde. Mi sedetti
sul piccolo divanetto di pelle nera, appoggiando la tazza bollente sul tavolino
e cercai di pensare a qualcosa di altamente positivo per non ricadere in
depressione, che giorno dopo giorno si stava trasformando in una gigantesca
crisi isterica.
Avevo
l’impressione che quelle due settimane promesse davanti agli occhi
sfarfallanti di Pete sarebbero state molto dure, considerata la mia voglia di
scappare urlante a gambe levate.
Così
cominciai a pensare a possibili modi per fuggire e raggiungere senza troppi
problemi la California. In
primis volevo raggiungere quei due traditori, seguaci di quell’
hippie senza inibizioni di John Lennon e chiedere, educatamente, una
spiegazione a quello che sentivo con un abbandono. La mia mente astuta pensava
a un possibile piano per chiedere chiarimenti e risposte a quelle domande che
mi si arrovellavano nel cervello con trottole impazzite. Inoltre pensavo anche
di simulare una di quelle scenate madri, come quelle che si vedevano nelle
telenovele spagnole.
Ryan-Teddy-Boy-Ross e
Jon-gaurda-come-sono-dimagrito-ora-che-sono-uscito-dai–Panic-Walker ci
dovevano molte spiegazioni.
Era
un diritto sapere perché aveva lasciato così all’improvviso un progetto
che ci rendeva così fieri, no?
“Credo
che i Panic siano al capolinea, io e Jon lasciamo la band”
Frase
detta di punto in bianco, durante le ultime prove a Las Vegas, dove Spencer era
scoppiato a ridere all’improvviso e altrettanto aveva smesso dopo un’occhiata non proprio divertita di Ryan.
Il
mio solido e inespressivo commento, aveva chiuso ancora di più il mio rapporto
che con Ryan andava irrigidendosi sempre di più.
Non
ricordo quando ho iniziato a provare per lui un sentimento differente sia
dall’amicizia che dal sentirsi semplicemente fratelli.
Davvero
per me è difficile ricordare un tempo preciso.
Ma
probabilmente se avessi tenuto per me quell’amore forse lui sarebbe
ancora qui a scrivere testi strani e a ridere di me per ogni cosa.
Mi
piacerebbe sapere come si può tornare indietro nel tempo e cancellare una
dichiarazione d’amore che ha irrimediabilmente rovinato tutto.
Quindi
la colpa dovrebbe essere solo mia?
Sono
stato io a farlo scappare, a fargli desiderare un’altra vita?
Ora
l’unica risposta certa era che, se continuavo a sbattere la testa sul
tavolo, mi sarei presto ritrovato con un trauma cranico e il restante dei miei
due neuroni morti.
Finii
in fretta il resto del latte per poi barcollare verso la mia cuccetta,
stringendo al naso la molletta rossa da bucato che mi ero procurato da casa.
Mi
voltai verso Ian, che occupava quella che era la mia cuccetta, visto che io mi
ero appropriato di quella di Ryan. Il ragazzo stava parlottando, gli occhi
chiusi e con le braccia protese verso l’alto. Mi concessi una risata,
prima di recuperare le mie coperte e salire con agilità sulla cuccetta. Le
lenzuola erano quelle rosse a fiorellini colorati che avevo regalato a Ryan per
il suo compleanno, prendendolo in giro per il suo nuovo look.
Non
le aveva volute.
Anche
se io preferivo pensare che se ne era solo dimenticato
e che prima o poi sarebbe tornato a prenderle.
Ryan pov
Jon
teneva il conto delle mie avventure su un piccolo quaderno con l’immagine
svolazzante di Spiderman, e tutte le volte segnava il giorno e il nome con una
penna fucsia.
Non
per vantarmi, ma le pagine erano quasi tutte piene di nomi femminili.
“Questa settimana è l’ottava. Voglio proprio
chiederti come hai fatto.” Mi disse Jon, accarezzando Hobo sotto le
orecchie.
“Segreto
professionale.” Feci misterioso, arcuando le sopracciglia.
Jon
non insistette nemmeno un po’, tornando ad occuparsi interamente di Hobo
e alla scatola di biscotti che stava finendo.
I
miei preferiti, aggiungerei.
Ci
rimasi male, pensavo ci tenesse a sapere della mia intensa vita per colmare la
sua, che era radicolarmente monotona.
Lui
è la sua vita perfetta, con la stessa donna da anni e quei loro ridicoli
nomignoli che si affibbiavano tutte le volte che ne avevano l’occasione.
Ovvero
sempre.
“Tra
poco dovremmo cambiare stato e cercare altre bionde svampite da farti scopare,
Ross. Quella della California si stanno esaurendo.” Esclamò, con
cattiveria, mentre mi apprestavo a togliergli Hobo dalle braccia e fargli una
linguaccia.
“ Credo che tu ti stia solo auto convincendo del fatto che
non sai gay, che non sei innamorato di Brendon perché non puoi innamorarti di
un uomo se è addirittura moro. “ lo sentii
sproloquiare, mentre mi chiudevo in camera mia.
Brendon.
Perché
doveva sempre tirare fuori il suo nome?
Non
poteva parlare di Pete per esempio?
Lì
si che avrei avuto qualcosa da ridire!
Ora
era in ballo per me una nuova vita, una vita diversa, fuori dai Panic, fuori
dalla Decay e lontano da lui.
Mi
ero ripromesso di odiarlo e di pensare a lui come la causa di tutto il mio
male.
Se
solo fosse rimasto in silenzio quel giorno, invece di cominciare a inventare
cazzate su un amore che probabilmente quella sua testa aveva inventato e che io
certamente non condividevo.
Amare
Brendon?
Tsk.
No,
assolutamente.
Escluso
nel modo più assoluto.
Poi,
vogliano iniziare ad elencare tutti i possibili fallimenti di una mia presunta
storia con Brendon?
Sarebbero
davvero infiniti.
Una
volta mi ero permesso di fare una lista che comprendeva come minimo una
cinquantina di punti negativi ed altrettanti punti in sospeso che comunque non
avevano la benché minima importanza, visto quanto ero deciso
a lasciarmi tutto alle spalle.
Nessuno
sapeva però, che ci avevo pensato davvero a una storia con lui.
Molti,
e Brendon stesso, sostenevano che ero solo un omofobo alquanto confuso.
E
a Jon piaceva giocarci sopra. Sapevo che aspettava con ansia il momento
fatidico dove io sarei scoppiato e avrei urlato al mondo intero la verità.
Mi
avvicinai al letto lentamente, un po’ infastidito. Bunny, o una roba del
genere, non se ne era ancora andata e poltriva della grossa sotto le coperte
del mio letto, dove era visibile solo una massa scompigliata di capelli ricci.
Sbuffai e tornai sui miei passi, raggiungendo Jon in salotto che aveva preso a
rotolarsi a terra insieme a Hobo.
Presi
la sciarpa e mi infilai la giacca, aggiustandomi una ciocca di capelli davanti
allo specchio.
“Io
esco, di a Cindy che un parente è stato male e sono
scappato in ospedale. Decidi tu la gravità dell’incidente.” Spiegai,
lisciando le pieghe della sciarpa con cura.
“Uhm,
che ne dici dell’anziana zia caduta dalle scale e con un femore
rotto?” propose.
“L’hai
già utilizzata la settimana scorsa, manchi di
inventiva.” Ribattei.
Lui
alzò gli occhi al soffitto, cercando di trattenere la miriade di insulti che
aveva voglia di lanciarmi addosso. “ Ryan, non è la
stessa ragazza. Non credo cambi qualcosa e poi è Bunny, Cindy è stata la
preda di ieri.” Aggiunse, controllando il
quaderno.
“Beh,
fai come ti pare. Adios Amigo.”
Detto
questo, coccolai per un attimo Hobo, poi uscii di casa, sospirando.
Jon
a volte mi inquietava.
Tutto
quel suo insistere, quelle sue pressioni psicologiche stavano avendo su di me
un brutto effetto.
Decisi
di rifugiarmi da Nick, il mio tastierista, lui si che avrebbe avuto
comprensione e pietà per i miei pensieri.
Brendon pov
Se
c’era una cosa che non sopportavo era la relazione felicemente e
spensieratamente gay di Gabe e William.
Odiavo
quando si succhiavano la faccia davanti a tutti prima di un concerto ed era
come se stessero urlando: “ Ehi gente, noi siamo schifosamente gay e
siamo schifosamente felici!”
Grazie,
bei amici.
Anche
Pete aveva ammesso che, portarli in tuor con noi non giovava alla mai salute
morale come in realtà avrebbe dovuto.
Ero
assolutamente e irrimediabilmente sconsolato.
“Su, su Bdon, vedrai che tutto si aggiusterà. Non si
naviga nella merda per sempre.” Mi disse Pete un giorno, assumendo
un’aria da uomo vissuto, sorseggiando Red Bull. Fu come una visione
mistica e quasi gli credetti. Ma più i giorni
passavano, più sentivo di sprofondare in un buco nero.
Poi
fu Gabe ad aprirmi gli occhi.
Una
sera, arrivati alla sesta giornata di tour, quando Saporta non era avvinghiato
a Bill, mi si avvicinò e posando una mano sulla spalla mi sorrise, mettendosi
ad osservare la striscia ambrata dell’orizzonte di quella ignota città
della Virginia.
“Dovresti
darci un taglio.” Mi disse, annuendo alle sue stesse parole.
“Come
scusa?”
“Sì,
un taglio…” muovendo la mano destra in una chiara riproduzione di
una forbice. “questa storia del depresso sta stufando,
sul serio, Brendon. Io lo dico per il tuo bene.”
“Oh,
mi dispiace che il mio dolore vi rechi fastidio, la prossima volta mi
assicurerò di farlo in silenzio!” sbottai, sarcastico.
Nonostante
tutto Saporta rise, sistemandosi a lato la visiera del suo capellino a stampa
colorata. “Senti, da amico voglio darti un consiglio.” Aggiunse
poi, avvicinandosi di più a me, fino ad avere il suo sguardo all’altezza
del mio. “Rifatti una vita. Lascia il passato
dov’è e creati un futuro degno di questo nome. Non vivere con il pensiero
fisso di Ross addosso. Così finirai per logorarti e hai tanta gioia da dare e
tanto carattere per essere il migliore dei musicisti.”
Lo disse con un sorriso stampato sulle labbra e con una sincerità che quasi mi
lasciò a bocca aperta.
Non
sapevo nemmeno che dire, tanto era lo stupore.
Le
sue parole mi avevano colpito, centrato in mezzo alla fronte, come una freccia
lanciata da un tiratore dalla mira difettosa.
Gabe
aveva ragione.
Non
c’era nemmeno modo di ribattere o provare a trovare altre ragioni
differenti dalle sue.
Io mi stavo logorando.
Lo
stavo facendo per una persona che mi considerava alla pari di una mosca da
spiaccicare su un muro, o un panino al burro d’arachidi andato a male.
Mi
ritrovai a sorridere, gli occhi pieni di forza nuova.
Gabe era rimasto zitto, fissando con crescente orgoglio le espressioni del mio
viso cambiare e riprendere quell’armonia che avevo deciso di recuperare
prima di tirare la catenella dello sciacquone.
“Gabby,
grazie!” urlai, facendo voltare non poche persone verso di noi.
“Non troverò ma il modo per sdebitarmi!” e gli abbracciai il busto,
baciandolo su entrambe le guance.
“Potresti
iniziare smettendola di chiamarmi Gabby!” provò a dirmi, ma io nemmeno lo
sentii, impegnato com’ero a correre verso la mia band che cazzeggiava
fuori dal tuor bus.
“Fanciulle, tutte riunite per favore! Soundcheck
straordinario! Muovere quelle vostre chiappette flaccide
verso il palco, forza!” ordinai, sollevando Ian di peso e coinvolgendolo
in un abbraccio con giravolta.
Quando
lo mollai, cascò a terra, ma non mi importò più di tanto e cominciai a marciare
verso il palco, dove Pete mi osservava orgoglioso e con gli occhi scuri lucidi
di commozione.
“Fate
largo ragazzi, Brendon Boyd Urie è tornato.”
Quello
che metteva assolutamente il chiaro il mio essere omosessuale era la mia
attrazione fisica verso gli uomini.
O
verso donne molto mascoline.
Non
trans, ma donne. Sia chiaro.
In
quelle due settimane di tuor Pete mi fece conoscere la peggio specie di
omosessuali arrapati di tutta la Virginia. Non che non mi dispiaceva, ma quei
uomini o erano troppo bassi, o eccessivamente muscolosi, o aveva gli occhi
troppo chiari e i capelli troppo scuri.
Ora,
per riuscire a mandare avanti una trama logica ed esclusivamente dedicata alle mie lodi verso l’amore homo, dovrei iniziare a
raccontarvi dell’incontro che mi cambiò la vita, dovrei parlarvi di
quella persona che mi fece capire davvero cos’era l’amore e
puttanate simili.
Beh,
la realtà è che non accadde nulla del genere. Certo, ci fu un’incontro,
ma non riuscì mai a sostituire quell’amore quasi ossessivo che provavo
nei confronti di Ryan.
Era
un lontano parente di Pete, venuto dall’Australia, per una vacanza che si
era presto tramutata in lavori forzati sotto le direttive del grande capo
Wentz.
Non
l’avevo mai visto, o semplicemente non ci avevo mai fatto caso, anche se
Pete mi ripeteva che veniva sempre ad assistere ai Soundcheck.
Mi
accorsi della sua esistenza solo quando gli finii addosso. Andavo veramente di
corsa quella mattina, mi ero preso la libertà di fare un’ora in più di
jogging, riuscendo ad arrivare in ritardo all’appuntamento con Spence e
gli altri nei pressi del palco.
Lui
stava trasportando, con fatica, dell’attrezzatura pesante che gli
toglieva praticamente tutta la visuale. Io non ci feci caso e continuai a
camminare nella sua direzione con la musica sparata nelle orecchie e il viso
rivolto verso Spence, che già stava seduto comodamente dietro la sua batteria.
Poi ci fu un boato enorme e il mio corpo che finiva a terra su quello morbido
di un ragazzetto biondo con grandissimi occhi smeraldi, mentre, quella che
riconobbi come la tastiera di una delle chitarre di Ian, finirmi sulla testa.
Sentii
urla, imprecazioni e persino una risata, poco prima di perdermi in quei occhi
così assurdamente grandi.
Dovevo
avere una di quelle espressioni da pesce fuor d’acqua perché il ragazzo
mi rise in faccia prima di dirmi che il mio braccio gli stava procurando
qualche difficoltà a respirare. Mi alzai immediatamente, rischiando di ricadere
all’indietro per il capogiro improvviso.
Lui
si mise a sedere, massaggiandosi la testa che aveva sbattuto sul pavimento.
Pete
arrivò di corsa, avvicinandosi al ragazzo con
apprensione.
“El,
tutto bene?!Cazzo ho pensato che ti
avesse ucciso!” esclamò aiutando il biondo ad alzarsi.
“Anche
io sto bene, Pete, non preoccuparti.” Borbottai infastidito, controllando
il ginocchio sbucciato che stava perdendo sangue.
“Credo
che ti verrà un bel bernoccolo, man.” Continuò Pete, ignorando le mie,
palesi, richieste d’attenzione, mentre si alzava in punta di piedi per
controllare la nuca del ragazzo.
“Tutto bene cugino. Non sento
dolore!” disse con poca convinzione, facendo una brutta smorfia dolorante
e cominciando a raccogliere gli strumenti che nell’impatto erano caduti a
terra.
“Molla
l’attrezzatura e vai da Zack.” Insistette Pete. “fatti dare un’occhiata
da lui e vedi se ha qualcosa per il mal di testa.” Aggiunse un sorriso,
mentre il cugino camminava a passo lento verso Zack.
“
Per quanto riguarda te, nel bus c’è la cassettina del pronto soccorso,
prendi dei cerotti e cambiati.”
Ordinò,
girando i tacchi e salutando alcuni tecnici del suono che stavano trafficando
lì vicino.
“E
chi raccoglie questa roba?!” urlai, indicando
con la mano la confusione a terra.
Pete
si fermò e regalandomi un largo sorriso sadico disse: “Ovviamente tu,
Bdon.” E poi sparì, saltellando.
Arrivai
sul bus zoppicante e la ferita che bruciava, segno che si stava già infettando.
Andai a recuperare la cassetta del pronto soccorso, rintanata sotto il letto di
Ian assieme a qualche giornalino porno. Mi sedetti sulla mia cuccetta,
imbevendo un batuffolo di cotone con del disinfettante, prima di scartare il
cerotto con l’immagine di Kermit la rana e applicarlo delicatamente sulla
ferita. Mi accorsi di non essere solo quando la porta del bagno si aprì e ne
uscì il cugino di Pete, fischiettante.
“Oh,
scusa amico, ma quel Zack mi ha mandato qui.”
Disse subito, portando le mani avanti. Io non ribattei e scossi le spalle,
chiedendo con un tonfo la cassetta di metallo. “ Ti fa male?”
chiese, sedendosi di fronte a me.
“No
è tutto apposto.” Borbottai, stendendomi poi sulle lenzuola stropicciate
della cuccetta. Ricalcai con un dito i contorni dorati della federa, mentre il
ragazzo continuava a fissarmi.
“Sei
Brendon Urie, giusto?” chiese, sorridendo e mostrandomi una fila perfetta
di denti bianchi. “ammetto di essere un tuo fan!” aggiunse,
incatenando quei occhi smeraldini ai miei.
Mi
sollevai sui gomiti, più interessato alla sua conoscenza dopo la sua ultima
frase.
“Davvero? Il tuo nome?”
chiesi, guardando per intero la sua figura slanciata.
“Ariel
Wilson.” Disse, estendendo ancora di più quel sorriso perfetto. Allungò
la mano verso di me e io la strinsi.
Lui
la trattenne più del dovuto accarezzandone il dorso con un sorriso malizioso
stampato sulle labbra.
“Ariel?”
esclamai, mentre i miei occhi si illuminavano e la mia mente tornava a vecchi
ricordi di bambino, quando, in mezzo alle mie sorelle, guardavamo la
“Sirenetta” tutte le domeniche pomeriggio. “come la Sirenetta!”
Ariel, perse un attimo il sorriso. “No,
Ariel come Ariel. Può sembrare strano ma è anche un nome maschile.” Ribattè infastidito, scostando la mano dalla mia per
passarsela fra i capelli color miele.
“Okay,
scusa.” Mormorai io, tornando a buttare la testa sul letto.
Lo
guardai di traverso e vidi che aveva recuperato in fretta il sorriso, scendendo
dal letto su cui era seduto con un piccolo salto.
“Direi
che è meglio che vada, il lavoro mi chiama.” Annunciò, avvicinando
pericolosamente il viso al mio, soffiandomi quelle parole dritte in faccia. Il
suo profumo mi arrivò sinuosamente alle narici e questo bastò ad eccitarmi.
Ariel si morse le labbra sottili prima di far scorgere i suoi occhi sulle mie.
Sapevo
che ci stava provando, era palese, ma non avrei assolutamente preso io
l’iniziativa. Volevo provocarlo e così allargai di poco le gambe,
piegando le ginocchia.
Alzai
il sopraciglio in un gesto di sfida, che lui accolse allontanandosi da me,
continuando a tenere quel sorrisetto su quelle labbra che avrei volentieri
morso.
“Ci
vediamo in giro, Brendon.”
Poi
uscì dal bus, lasciandomi addosso la voglia di
intraprendere quella sfida che, a quanto avevo capito, aveva le stesse regole
di guardie e ladri.
Ryan pov
Nick
mi dava quel senso di pace che Jon e gli altri non riuscivano a darmi.
Lui
era sempre calmo, pacato in ogni cosa che faceva e sembrava che avesse tutto il
tempo del mondo per arrivare a una meta.
Mi
piaceva perché era così, spontaneo.
Okay,
forse un po’ aiutato dalla quantità industriale di marijuana che teneva
nel comò in salotto, ma per me era un tipo a posto.
Mi
fece accomodare nel suo salotto interamente bianco e mi sedetti sul suo divano
bianco, mentre prendeva dal tavolino, sempre bianco, una caraffa colma di the
freddo per riempire un bicchiere per poi porgermelo con un sorriso.
“Mi
fa piacere questa tua visita.” Mi soffiò, sorridendo. Presi un lungo
sorso di the, prima di voltarmi a ricambiare quel sorriso gentile.
“Avevo
bisogno di un amico, Nick. Jon mi sta esasperando con la storia di Brendon e
delle bionde che mi scopo!”
Il
mio amico annuì comprensivo, posandomi una mano sulla coscia, premendo
lievemente. Era bello che volesse consolarmi.
Avevo
bisogno di un amico come lui per riuscire a schiarirmi le idee e parlare delle
mie preoccupazioni.
“Perché non me ne parli? Sono sicuro che dopo ti
sentirai meglio.” La sua voce carezzevole mi diede ancora più voglia di
confidarmi con lui.
“Jon
sostiene che io sia innamorato di Brendon.” Iniziai, prendendo un altro
sorso di quello che, piuttosto che the, pareva un infuso di erbe strane.
“ io non so cosa provo. E non so cosa pensare.”
“Innanzitutto
devi chiederti se è vero.” Iniziò Nick, carezzando lievemente con le dita
le pieghe del mio pantalone. “se è vero che lo ami.”
“Non
lo so, Nick, è così strano!” sbottai, passandomi la mano fra i capelli,
scompigliandoli tutti. Lui prese a sistemarli, abbandonando la mia coscia per
inserire le sue lunghe dita fra i miei capelli castani.
Io
mi sentivo strano, avevo la testa che girava pesantemente, anche se in modo
piacevole e prima ancora di riuscire ad arrivare a una risposta sensata al mio
malessere interiore, stavo succhiando voracemente le labbra di Nick.
Era
dannatamente piacevole farlo.
La
sua lingua calda sulla mia, mi donava una passione nuova e così intensa che
dovetti aggrapparmi alle sue spalle per non scivolare giù, sulla morbida
moquette color panna. Nick approfittò della cosa, stringendomi i fianchi con le
braccia e spingendomi con forza sdraiato sul divano.
Me
lo ritrovai a cavalcioni, intendo a sbottonare i
bottoni della mia camicia.
Avevo
sempre pensato a Nick come l’essere più calmo e pacato a questo mondo.
Mi
sbagliavo.
Era
una furia.
“Nick?
Nick?!” tentai di chiamarlo, mentre mi lasciava
una scia piacevole di baci lungo il collo, solleticandomi il petto scoperto con
la barba sottile. “cosa hai messo dentro quel the?!”
Lo
sentii mugugnare qualcosa su foglie verdi e giurai di aver sentito parlare di
Valeriana, ma quando le sue mani si infilarono prepotentemente, oltre
l’elastico dei miei boxer, smisi di pensare a qualsiasi cosa che non
fosse quel suo corpo magro e caldo e quei suoi abbracci e baci possessivi.
Mi
risvegliai qualche ora dopo, la sensazione di star intraprendendo la fase del
post sbornia. Mugugnai qualcosa di insensato prima di aprire gli occhi e
osservare la stanza di un bianco quasi accecante.
Pensai
di essere morto.
Ma
quando qualcuno al mio fianco si mosse, mi tornò alla mente tutto.
Ogni
più piccolo dettaglio.
E
in quel momento, in quel preciso momento, desiderai di essere morto sul serio.
Nick
sospirò beatamente, avvicinando di più il suo viso verso di me, per sfiorarlo
nell’incavo del mio collo.
Era
strano il fatto che non ricordassi assolutamente il modo in cui eravamo finiti
a rotolarsi sul quel divano, ma che, nonostante tutto, il sesso con Nick era
ancora vivido nella mia mente.
Arrivai
alla conclusione, superato un primo momento di panico totale, che
quell’esperienza non aveva suscitato in me quel disgusto che credo di
provare.
Mi
era piaciuto, troppo forse, ma questa informazione non avevo intenzione di
rivelarla a nessuno.
In
quel momento dovevo solo fare una cosa, una cosa saggia: sparire, scappare,
evadere, dileguarmi, fuggire, filare, nascondermi, eclissarmi, scomparire dalla
faccia della terra e dal cazzo di Nick.
“Ehi,
tutto bene?” la voce di Nick mi fece sussultare così forte che emisi
anche un singhiozzo e il cuore prese a palpitare. “posso giurare di
averti sentito pensare da qui…” mormorò ancora, allungandosi per
posarmi le labbra dietro all’orecchio e mordere lievemente.
Aveva
il corpo caldo e per quanto avevo giurato di mentire, sul fatto che mi era
piaciuto da matti, non potevo non ammettere quanto era deliziosa la sua
vicinanza.
“Come
ci siamo finiti qui?” chiesi invece, girandomi su un fianco per guardarlo
meglio e questo fece si che la sua gamba si attorcigliasse al mio fianco,
mentre le sue dita mi carezzavano il bacino.
“Non
c’è risposta a tutto, Ry.” Mi rispose, guardandomi intensamente
negli occhi. “ però, penso che l’attrazione fra noi due fosse già,
come dire, arrivata a un livello incontenibile…” continuò,
lasciando scorrere lascivamente una mano lungo il petto. “poi ovviamente
ho dovuto darti una spinta, per farti cedere.”
Mi
illuminai improvvisamente, girando lo sguardo verso il mio bicchiere di
“the” posato malamente sul tavolino.
“Mi
hai drogato?” strillai, alzandomi sui gomiti. “ ma sei fuori di
testa, White?!”
“Era
solo Valeriana!” si giustificò, anche se, ovviamente, non credetti a una
sola parola. Alzai un sopracciglio, cercando di fare una buona pressione sui
suoi nervi. “Okay, forse anche un po’ d’erba, ma non fa
male!” esclamò poi, assumendo un’aria da cucciolo abbandonato.
“non l’ho fatto con cattiveria…”
Sospirai,
passandomi una mano fra i capelli. “Oramai, quel che fatto è fatto.”
Dissi, cercando di sorridergli. Il suo sguardo dispiaciuto mi colpiva al petto
peggio di una lancia. “Non sono arrabbiato.” Aggiunsi,
accarezzandogli lievemente la guancia rossa.
Okay,
era una bugia.
Ero
inferocito peggio di una iena, ma non volevo prendermela con lui.
Infondo
mi aveva aiutato a capire molte cose, forse troppo per
essere assimilate in una volta sola, ma avevo del materiale su cui lavorare.
Dovevo
mettere in chiaro le cose almeno con me stesso.
Poi
il mio pensiero, forse troppo in ritardo, volò verso Brendon.
Mi
sentii un po’ in colpa.
Era
come se l’avessi tradito.
“Non
sei arrabbiato?!” chiese, le labbra spalancate.
Io negai e mi allungai verso di lui per congiungere le sue labbra con le mie.
Ora che non ero sotto nessun effetto di “tisana speciale” , tutto, assumeva un significato diverso.
Volevo
baciarle quelle labbra. Non provai altro che desiderio.
Arrivai
a casa strisciando, il fondoschiena in pezzi e i sensi
appagati. Jon era ancora a casa mia e guardava la televisione con Hobo.
Cominciavo
a pensare che Jon amasse più la mia cagnolina che la sua fidanzata.
Lo
salutai svogliatamente, mentre lui ghignava nella mia direzione.
Avevo
un po’ fame così lasciai Jon in salotto e sgusciai in cucina, per
prepararmi un panino al burro d’arachidi. Il libretto del, cosiddetto, conteggio stava in bella vista sul tavolo,
così presi sfogliarlo, mentre mordevo la mia cena. Contai per un po’ i
nomi, poi finii all’ultima pagina, dove, sotto la data di quel giorno
troneggiava un nome, scritto a caratteri quasi cubitali: Nick White.
Sbiancai.
“JON!”
Fine primo capitolo.
Se siete arrivati fino a qua un commentino me lo lasciate? Grazie^^
Ariel,
anzi El, non era più così tanto invisibile ai miei occhi che non facevano altro
che seguire la sa andatura ipnotizzante per il resto dei giorni che passammo in
Virginia.
Avevo
aspettato con ansia il momento in cui saremmo stati soli ancora una volta,
esattamente come quella volta in bus.
L’occasione
era tornata a farsi presente durante l’ultima mezz’ora di svago
prima di salire sul palco. Ero alla terza Red Bull ( va bene, okay era la
quinta) e mentre facevo dei vocalizzi, passeggiando per il camerino, Spencer
stava poltrendo sul divanetto, con gli occhiali da sole calati sugli occhi e la
bocca spalancata, così decisi di passare il tempo facendogli delle foto che,
dopo il concerto avrei provveduto a mettere sul web.
Ma
sto divulgando.
El
entrò con passo svelto, appoggiando sul tavolo le giacche che aveva appena
ritirato dalla tintoria.
“Oh,
grazie!” dissi, togliendo con cautela la mia giacca nero
perla dall’involucro per poi infilarmela.
Lui
rimase a fissarmi, appoggiando il bacino al tavolo e incrociando le braccia.
“Che c’è?” chiesi, cercando di capire dove voleva andare a
parare con quel suo sguardo, che porca di quella troia, non faceva altro che
annullare le mie inibizioni e accrescere il desiderio. “ho qualcosa fuori
posto?”
Lui
negò, ma allungò una mano per passarmela fra i capelli aggiustando il ciuffo
sulla fronte. C’era una tale carica sessuale che avrei potuto tastarla
con mano. El lasciò però che la sua scivolasse lungo le pieghe della camicia,
fino a introdurre le dita sotto il tessuto morbido della giacca.
Ero
preso da forti vampate di calore che si premunirono di mandare a colorare le
guance di un rosso porpora che El accarezzò con un sorrisetto.
“No,
direi che sei perfetto.” Mi soffiò in viso, allungando il busto verso di
me, fino ad appoggiarmi entrambe le mani sulle spalle. “troppo
perfetto.” Aggiunse.
Io
cominciai a gongolare, adoravo quando la gente mi faceva i complimenti e io
adoravo fingermi modesto, per ottenerne degli altri.
Che
ci potevo fare?
Quella
volta, però non cercai di allargare le vedute del mio ego perché preferii
allungarmi verso il suo viso e sfiorare il suo naso con il mio, per poi far
combaciare le nostre labbra.
Pensai
solo a una cosa, prima di partire e rifugiarmi nei meandri di quella bocca
calda: oh, porca vacca!
Certamente
non avevano contato il fattore Spencer, che si era svegliato dal suo sonno
profondo e aveva spalancato le sue iridi chiare, fino a farle diventare più
grosse di un fondo di bottiglia. Non ci avevano davvero fatto caso, perché
continuavamo a pomiciare come quindicenni in calore, fino a sembrare quasi
osceni e non esisteva altro che la sua bocca sulla mia e le sue braccia attorno
al mio collo.
Probabilmente,
dovevamo pensarci prima, ma in quel momento non brillavamo di intelligenza.
Comunque
sia, capimmo di essere fissati solo quando El si stacco dalle mie labbra,
mentre mugugnavo la mia disapprovazione. “Oh ben svegliato
Spencer!” esclamò El, sorridendo al mio amico che non riusciva a emettere
una sola parola sensata.
Avrei
giurato persino di averlo sentito appellarsi a Dio per svegliarlo da
quell’incubo.
Io
invece, come Ariel d’altronde, me la stavo spassando alla grande,
cominciando a pensare di filmare il momento epico di Spencer che perde
l’uso della parola.
Pete,
come sempre, entrò proprio mentre El si riappropriava delle mie labbra,
coinvolgendomi in un altro bacio, forse più spinto di quello precedente. Pete
però non sembrava ne sorpreso ne disgustato, visto che
aveva un sorriso enorme che gli illuminava tutta la faccia.
“Quanto
mi hai chiesto un consiglio per conquistarlo avrei giurato di averti detto di
parlarci, non di stuprarlo!” esclamò in direzione del cugino, prima di
buttarsi sul divano che era ancora occupato da Spencer. Ariel si staccò per un
attimo dalle mie labbra per sorridere a Pete e ribattere che, saltarmi addosso,
era stata l’idea più brillante che gli fosse mai passata per la testa.
Poi
Zack lo richiamò all’ordine e lui fu costretto ad eseguire. “Ci
becchiamo dopo il concerto!” disse, lanciandomi un altro bacio per poi
sparire.
Sospirai.
Finalmente
le cose stavano prendendo una piega positiva e piuttosto eccitante. Avevo
sofferto abbastanza e come mi aveva detto Gabe era ora di rifarmi una vita e di
provare sul serio a convivere senza la presenza di Ryan.
Forse
Ariel era la persona giusta. Beh, questo non lo potevo sapere. Sapevo solo che
Pete fu molto contento di sapere che i sentimenti di Ariel erano sulla via
giusta per essere ricambiati.
“Sono davvero felice per voi. È bello sapere che
nonostante le differenze tu abbia accettato i sentimenti di El.” Disse, prima di stritolarmi in un abbraccio.
Non
sapevo di che differenze parlava, ma non era importante. Volevo salire sul
palco, cantare al meglio e poi tornare a stare ancora con Ariel. Inoltre
rimaneva il fatto che, nonostante il bellissimo bacio che c’eravamo
scambiati, ancora non avevamo parlato di una possibile relazione.
Non
che ci conoscessimo molto, a dire il vero sapevo solo poche cose di lui e per
questo avrei voluto approfondirle al più presto.
Lo
trovai ad attendermi fuori dal bus che mi porgeva un asciugamano lindo per passarmelo
fra i capelli sudati.
“Bel
concerto, Urie!” esclamò, ricambiando con un sorrisetto malizioso lo
sguardo contrariato che gli stava lanciando Spencer, che borbottava ancora per
la scena vista qualche ora prima.
Lo
ringraziai. “Senti, mi faccio una doccia veloce, poi ti andrebbe di
andare da qualche parte?” lo vidi annuire e rivolgere il suo sorriso
verso di me.
“Ci
ritroviamo qui fra una mezz’oretta?” propose e io acconsentii.
Mi
baciò lievemente sulle labbra prima di sparire nel bus della Crew. Salii nel
mio bus, quasi saltellando incontrando la faccia contrariata di Spencer.
“Non
sono sicuro che sia una buona idea.” Disse. Alzai gli occhi al cielo.
“Papà
Spencer, non ho bisogno del tuo consenso per frequentare qualcuno!”
sbottai, cercando di non perdere le staffe.
Non
mi andava di litigare, non quella sera che tutto stava andando nel verso
giusto.
“Quel
tipo ha qualcosa di sospetto…” mormorò serio, assottigliando gli
occhi e muovendo le mani in modo ambiguo.
Io
gli scoppiai a ridere in faccia. Non avrei voluto farlo, perché sapevo che era
preoccupato, ma fu più forte di me.
Dallon,
dietro di lui, gesticolava come un ossesso, facendo dei gesti di Spencer una
parodia piuttosto esagerata.
Era
uno spasso.
Inutile
dire che Dallon fu preso a calci in culo, finchè non chiese umilmente perdono,
per i suoi atti, in ginocchio.
Così
io avevo approfittato della situazione e dopo afferrato dei vestiti puliti,
corsi alle docce.
Ryan
pov
Jon
cominciava davvero a starmi sulle palle.
Avrei
voluto prendergli la testa e aprirla come si fa con un’anguria, solo con
il doppio della brutalità.
Ma
partiamo dall’inizio.
Eravamo
a una delle solite cene firmate Vene Giovani più consorti e nonostante stessi
veramente per vomitare, notando l’alto livello d’amore
nell’aria, decisi di rimanere lo stesso seduto al mio posto, continuando
a mangiare la mia pizza in silenzio.
Jon
aveva fatto in modo che Nick White si sedesse al mio fianco e lui si era
accomodato di fronte a noi per poter osservare la scena in tutta tranquillità.
Ci guardava con uno sguardo malefico, con le dita intrecciate fra loro e
appoggiate alle labbra. Sembrava una sorta di Montgomery Burns, ma se possibile
ancora più sadico.
“Cosa
c’è Ryan, la pizza non è di tuo gradimento?” esclamò a un certo
punto, facendo si che la vena del mio collo cominciasse a pulsare
fastidiosamente.
“No,
è ottima, è la vista che mi rovina l’appetito.” Ribattei, sentendo
Nick ridacchiare al mio fianco.
“Allora
potrei servirti del the per mandarla giù meglio, ma ho paura che abbia uno
strano effetto su di te.”
Gli
altri componenti della band si girarono ad osservarci, curiosi di sapere per
quanto sarebbe andata avanti quella scenetta. Nick si coprì il viso per evitare
di ridere apertamente e quasi cadde dalla sedia.
“Walker
ho un pezzo di pizza al formaggio in mano e non ho paura di usarlo!”
esclamai, mostrandogli l’arma.
Sapevo
dove voleva parare.
Voleva
che dicessi a tutti che non ero totalmente etero come mi ero sempre descritto e
che mi ero fatto scopare da Nick per un pomeriggio intero.
Ma
si sbagliava se sperava di farmi parlare.
“Non
fa bene tenersi le cose dentro, Ross. È sempre meglio confidarsi con chi ti
vuole bene” rincarò la dose, utilizzando quella stupida voce in falsetto
che mi faceva venire il nervoso.
Cassie,
grande donna, venne in mio soccorso, schiaffeggiando Jon dietro la nuca e
lanciandogli uno sguardo truce.
“Smettila,
saranno fatti suoi se non vuole dire che è andato a letto con White!”
esclamò.
Grande
donna avevo detto?
Potrei
deliziarvi con una lunga lista di insulti, ma perderei solo tempo. “Oh! Scusami, tesoro!”
esclamò, coprendosi la mano con la bocca, seriamente pentita.
O
forse era solo un’ottima attrice.
Nick
intanto aveva smesso di ridere e stava cercando di non morire per soffocamento,
dandosi forti pacche sul petto mentre tossiva peggio di un vecchio rachitico.
Jon
allungò pericolosamente il suo ghigno. Avete presente lo Stregatto?
Ecco.
Peggio.
Cercai
di non ribattere e di far notare agli altri quanto la cosa mi aveva messo a
disagio, così mi avvicinai a Nick, aiutandolo con delle pacche sulle spalle,
porgendogli un bicchiere d’acqua.
“Ho
rischiato la vita…” mormorò, aggrappandosi al tavolo con forza.
“Questo è la tua punizione divina. Invece di stare a
ridere come un deficiente, potevi aiutarmi.”
Ribattei, annuendo alle mie stesse parole, prima di risedermi composto ed
evitando accuratamente lo sguardo di tutti.
L’unico
sguardo che ricambiai fu quello di Andy. La sua faccia era un miscuglio di
espressioni da: “Lo sapevo cazzo che sarebbe successo!”e altre cose che probabilmente gli stavano mandando
in tilt il cervello.
Così
decisi di alzarmi, di prendere il mio cappotto e andarmene con la voce di Jon
che mi diceva di restare.
La
pizzeria fortunatamente non era molto lontana da casa e cominciai a camminare
lentamente, cercando di venire a capo di quella storia.
Trovare
almeno una cosa positiva in tutto quel casino.
Okay,
era vero, grazie al mio incontro piuttosto ravvicinato con Nick avevo scoperto,
anzi capito, quanto una parte di me fosse differente da quella che era sempre
stata, secondo tutti, la versione ufficiale del mio
essere.
Ovviamente
non capivo come mai la gente fosse così interessata alle mie preferenze
sessuali. Era una cosa mia, personale, che dovevo affrontare e accettare da
solo e direi anche che ero sulla buona strada per comprendere entrambe le cose.
L’unica
cosa che non capivo era perché non avevo provato a farlo prima con Brendon?
Perché non ho voluto baciarlo quella volta? Perché l’avevo respinto e non
avevo tentato di capire cos’era quel tuffo al cuore che la sua vicinanza
mi aveva procurato?
Forse
era per il semplice fatto che lui era Brendon. Non
c’erano diverse spiegazioni.
Lui
era il mio Brendon e non volevo che soffrisse.
Ma
alla fine, non era servito a nulla.
“Ehi! Ryan!” Nick mi raggiunse
di corsa, la giacca infilata a metà e le guance rosse per la corsa.
“Cosa
c’è?” chiesi, fermandomi a guardarlo con le braccia conserte.
“Vorrei
parlarti.” Iniziò, rabbrividendo di freddo. “e dirti che ho
costretto Jon a pagarci la cena.”
Io
sbuffai. “E’ assolutamente il minimo che può fare, quel…
quel… coso senza senso!” sbottai, facendolo ridacchiare.
“Camminiamo
per schiarirci le idee, ti va?” propose e quando io annuii mi prese a
braccetto, sorridendo sornione.
Nessuno
parlò per diversi minuti, poi fu lui a rompere il giacchio. “Tanto per
avvertirti, non cerco nulla da te, se no una scopata ogni tanto.” Iniziò.
“non sono qui per chiederti amore eterno o devozione. Anche perché so che
non potresti mai donarmeli.”
“Come
fa ad esserne certo?!” chiesi, girandomi a
guardarlo, notando la sua espressione che aveva un non so che di malinconico.
“Perché
appartengono a Brendon.” Ribattè, sorridendomi.
Io
mi limitai ad abbassare il capo.
E
se è proprio vero il detto: “Chi tace acconsente”, credo proprio
che tutto quello che Nick mi aveva detto corrispondeva alla verità.
“Poi
vorrei scusarmi con te.” aggiunse, grattandosi il capo con fare
imbarazzato. “mi sono comportato malissimo con te. Non avrei dovuto
fare… beh quello che ho fatto.”
Alzai un sopracciglio nella sua direzione e risi. “ Per fatto, intendi
drogarmi con della valeriana spacciandola per del the e approfittarti del mio
sedere?!”
“Ecco,
esatto.” Sbuffò arrossendo e facendomi ridere.
“Tranquillo,
sei autorizzato a replicare. Quando vuoi. Però, evita di
offrirmi da bere.”
Ci
fermammo in una gelateria, a rimpinzarci di gelato nonostante il freddo, poi
tornammo sulla via di casa e lo invitai a salire da me.
Ci
conoscevamo da un po’, ma non era mai entrato in casa mia, così dopo un
veloce giro di stanze, che Nick si fermò ad ammirarle, lo attirai nella mia,
che appositamente avevo lasciato per ultima.
La
regola di Ryan Ross è di non ripetere mai, ma quella sera (e per molte altre
sere dopo) feci un enorme cambiamento alla regola.
Brendon pov
Dopo
una doccia fredda (mancava l’acqua calda) e un veloce cambio d’abiti
ero già pronto e profumato ad aspettare El davanti al tuor bus. Mi tremavano le
mani dall’emozione e non mi sentivo così da quella volta che avevo
chiesto ad Hayley Williams di uscire.
Vi
prego di capirmi, ero piccolo e ingenuo.
E
non tornerò sull’argomento.
Ariel
arrivò con solo due minuti e mezzo di ritardo, i capelli color miele gli
ricadevano morbidi davanti al viso.
“Dov’è
che mi porta, Signor Urie?” mi chiese, con le mani dietro la schiena e
una maliziosa espressione.
Rimasi
in silenzio, pronto a fare un'emerita figura da coglione visto che non avevo
pensato minimamente dove portarlo.
“Ehm,
al mare?” chiesi, sperando vivamente che in Virginia ci fosse il mare.
“Oh che bella idea! C’è una
spiaggia pubblica non lontano da qui!” feci un lungo sospiro di sollievo,
che mascherai con un sorriso.
“Già
è proprio lì che volevo andare!” esclamai e invece di farlo replicare lo
trascinai verso la spiaggia, che veramente era a pochi passi da noi.
Accanto
alla stradina ciottolata stava uno stand dedicato alla vendita di schifezze
unte e straunte. C’era una piccola folla che aveva assediato il chiosco,
tutte che avevano avuto più o meno la stessa idea di farsi una passeggiata in
riva al mare.
Ci
fermammo a prendere qualcosa e a salutare Will e Gabby…Gabe, che
aspettavano il loro turno con le mani intrecciate fra loro.
“Patine
e due Red Bull.” Chiesi, mollando in mano al vecchio una banconota da
cinque dollari.
Pochi
attimi dopo stavamo già passeggiando, in cerca di un posto tranquillo dove
sedersi, fu difficile visto che la spiaggia era veramente piena di gente.
Ci
sedemmo quasi in riva al mare dopo aver costatato che era l’unico posto
dove le voci stonate di alcuni ubriachi non ci distruggevano l’atmosfera
con i loro canti sui marinai.
El
si tolse se Vans e affondò i piedi nella sabbia fresca, prima di passarmi la
busta con le patatine fritte e aprirsi la sua Red Bull. Rimanemmo in silenzio
per un po’ di tempo, guardando l’orizzonte buoi e passandoci di
volta in volta le patatine.
C’era
un silenzio così imbarazzante che avrei preferito alzarmi e unirmi al coro di
matti che aveva appena iniziato a cantare “ ‘O
sole mio” con l’aiuto di un mandolino assolutamente scordato.
“Pete
mi ha raccontato un po’ di cose…” iniziò El, prendendo un
sorso dalla lattina.
“Che
genere di cose?” ribattei, cominciando a disegnare cerchi concentrici
sulla sabbia con un bastoncino umido che avevo trovato li affianco.
Lui
fece spallucce “Di quanto questo periodo sia difficile per te.”
iniziò incerto.
Io
annuii senza la forza di replicare.
Non
volevo pensare al mio malessere, perché ogni volta che ci pensavo tutto veniva
collegato a un solo nome.
Ryan.
“Non
dovevo aprire bocca.” Disse El, rammaricandosi. Così scossi il capo e mi
avvicinai a lui per fargli capire che non avevo assolutamente intenzione di
prendermela con lui.
Lo
baciai, forse ci misi troppo impeto, ma lasciò che lo trascinassi sdraiato
sulla sabbia, mentre rispondeva al bacio.
Non
avevo voglia di pensare a quanto ancora il mio cuore si chiudesse in una morsa
ogni volta che veniva pronunciato il suo nome.
Quella
notte parlammo molto.
Scoprii
di lui un sacco di cose, il fatto che vivesse ad Adelaide e che suonava il
piano da quando aveva sei anni, oppure che gli piacevano i film
dell’orrore e i tacos. Io non dovetti dire nulla perché a quanto pare
sapeva più cose di me di quanto ne sapessi io.
“Ho
un buon informatore.” Si giustificò, riferendosi a Pete che gli passava
ogni informazione possibile.
Quindi
sapeva anche di che colore portavo le mutande?
Non
indagai.
Mi
piaceva stare con El ed era abbastanza fuori di testa per stare dietro alle mie
follie.
Verso
le tre di notte decisi che, nonostante non fosse più
agosto, ma bensì ottobre inoltrato, dovevo assolutamente fare un bagno nel mare
della costa dell’Atlantico.
C’era
rimasta veramente poca gente e la maggior parte stava sonnecchiando o era
troppo occupata a fare altro.
Ariel
mi aveva guardato spogliarmi, ridendo delle mie smorfie di freddo, ma lasciando
scorrere troppo spesso il suo sguardo smeraldo sul mio corpo.
Era
quella la colpa dei miei brividi.
Sapevo
di adorare già quello sguardo, perché veramente non lasciava trasparire nulla.
Insistetti
per un po’ perché mi facesse compagnia in quella follia notturna e presto
entrambi ci trovammo a correre come dei deficienti verso il mare, stranamente
calmo, ma fottutamente freddo.
Fu
veramente una stupidata perché non avevamo nemmeno una coperta con cui coprirci
e scaldarci quando, stanchi di nuotare e di fare capriole, eravamo usciti
dall’acqua.
Tornammo
al tour bus dei Panic in tutta fretta, felici di non avere Spencer tra i piedi.
Dallon
stava guardando un film alla televisione e Ian era già rintanato nella sua
cuccetta a poltrire.
“Bden
se ti vede tuo padre ti uccide.” Esclamò Dall, che ci guardò di traverso appena
mettemmo piede sul bus.
“Impossibile
che mi veda!” ribattei.
“Io
parlavo dell’altro padre…” disse, muovendo la testa,
indicando il tuor bus accanto al nostro.
“Ma
tu non lo dirai a Pete, vero?” chiesi, ammorbidendo il tono della voce,
mentre passavo un accappatoio pulito a El.
Non
avevo assolutamente voglia di sorbirmi la paternale di Pete.
“Dipende.”
Sussurrò Dallon vago, allargando il ghigno.
Sfarfallargli
le ciglia davanti alla faccia non bastò.
Il
suo silenzio mi costò dieci dollari, che lui utilizzò per scommettere, insieme
a Gabe e gli altri su quanto sarebbe durata la mia relazione con El.
Quando
fummo ben asciutti e la salsedine era sparita dai nostri capelli, grazie
all’uso geniale di due bottiglie d’acqua naturale, lasciai che
entrasse nella mia cuccetta e che si sistemasse come meglio voleva.
Ian
stava sproloquiando sulla possibile esistenza degli gnomi e pregai Ariel di non
farci caso.
“E’
sempre così?” chiese ridacchiando e accoccolandosi meglio sotto le
coperte.
“
Questo è nulla, fidati.” Borbottai, coprendomi fino al mento.
Ariel
mi passò un braccio intorno al petto, in modo da poter essere ancora più vicino
a lui, e cominciò a baciarmi le labbra, sospirando rilassato.
Lasciai
che mi appoggiasse una gamba sul fianco che io percorsi con la mano fino ad
arrivare al fondoschiena e lasciare vagare la mano sotto la maglietta.
Questo
fu d’aiuto perché lui si avventò con più decisone su di me, salendomi a cavalcioni con una grinta e una passione che mi fecero
sorridere.
Mi
levò la maglietta passando le sue mani calde sul petto liscio, mentre il suo
sguardo restava incatenato al mio come se fosse ipnotizzato.
Però
accadde una cosa, una cosa che fermò ogni mio proposito: El aveva scosso la
coperta mandandola sul fondo del letto insieme alle lenzuola.
Le
lenzuola di
Ryan.
Mi
irrigidii di colpo, senza togliere gli occhi da quella trama a fiori.
“Brendon?”
la voce di Ariel mi riscosse un attimo, ma era troppo tardi
perché avevo già lasciato che le lacrime mi cadessero dagli occhi.
Mi
passai le mani fra i capelli.
Tutto
parlava di Ryan, le lenzuola, le scritte sul muro, la forma del cuscino e io
non riuscivo a fare una cosa del genere.
“Scusa.”
Borbottai, mentre lui ritornava al mio fianco, tirando su le coperte.
Mi
abbracciò stretto e mi baciò la fronte più volte.
Ma
non disse più una parola.
Ryan pov
Decisi
di dare una lunga svolta alla mia vita, quando, una settimana dopo la scoperta
di essere bisex, avevo deciso di fregarmene completamente di quello che pensava
la gente.
Jon
quasi morì collassato e mia madre ebbe un brutto attacco isterico.
Ma
poco importava.
Io
e Nick portavamo avanti quelle che io chiamavo “una sana relazione di
solo sesso”, ma nonostante avessimo deciso di tenere le sconcezze per
noi, il nostro continuo cercarci era quasi naturale anche davanti agli altri.
Soprattutto
i fotografi.
Non
l’avevo fatto apposta, infondo non è la prima cosa che pensi quando esci
a fare shopping e successivamente ti ritrovi con tre metri di lingua in gola in
mezzo a una strada affollata.
Era
successo così, capitato per caso dopo una sua battuta e io per scherzare mi ero
avvicinato troppo, fino a baciarlo.
All’inizio
fu quasi tremendo per me.
Ricordo
di non aver mai passato attimi così carichi di ansia come le ore successive al
danno.
Tutti
avrebbero scoperto quello che ero, mia madre, Kate, Brendon.
Ecco
forse lui mi preoccupava di più.
Ero
terrorizzato dall’idea che potesse uccidermi, in preda a una rabbia
accecante, ma probabilmente me lo sarei solo meritato.
Insomma
l’avevo rifiutato, dicendogli a chiare lettere che quelli come lui mi
facevano schifo.
“Se
mai lo scoprirà, tu devi essere pronto a dirgli la verità.” Mi diceva
Nick. “che lo ami. Non ti ucciderà, stanne certo. Okay, forse ne uscirai
un po’ ammaccato, ma fidati che è il minimo.”
Nemmeno
lui aveva esattamente approvato il mio comportamento.
Mi
aveva picchiato anche, chiamandomi “essere schifoso, insensibile!”
testuali parole, ma era rimasto lo stesso al mio fianco e forse era quello che
non mi spaventava delle polemiche della gente.
Sta
di fatto che, il giorno successivo al fattaccio, ogni pagina di giornali gossip
erano piene dell’immagine mia e di Nick avviluppati in un lungo bacio.
In
seguito passarono dal web alla televisione e allora potei dire che proprio
tutti avevano avuto l’opportunità di vedere Ryan Ross scaraventato
dall’altra sponda.
Nick
e Jon avevano preso ad amministrare il mio telefono, rispondendo alla quantità
innumerevole di persone che cercavano spiegazione.
Mia
madre e Kate si presentarono direttamente a casa e parlai con loro per ore
intere.
E
quella fu l’unica cosa importante da fare e ne uscii davvero rincuorato,
visto che avevano capito la situazione e parzialmente accettata.
Quella
stessa sera, tornato dopo una lunga sezione di prove, il cellulare tornò a
squillare.
In
un primo momento cercai di evitare lo squillo insistente, poi preso dalla
curiosità lessi il nome sul display dell’Iphone.
Sbiancai
e persi quasi le forze, tanto da dovermi sedere.
Ma
non potevo non rispondere il momento era arrivato.
“Pronto?”
cercai di non balbettare, ma proprio non ce la feci.
“Ross,
porca di quella merda ma che cazzo combini?”
Pete
Wentz stava strillando come un ossesso e sapevo che era molto, molto incazzato.
“Posso
spiegarti…” balbettai.
“Ho
dovuto mobilitare un sacco di gente per non far ricevere giornali a Brendon, ho
fatto tagliare i fili della connessione a internet, ho fatto sparire
televisioni!” urlò. “ti rendi conto di quanto tu stia attentando
alla felicità di quel povero ragazzo?”
A
quel punto, evitai addirittura di rispondere e lo lasciai sfogare.
“ Lo rifiuti, lo mandi in depressione, gli fai credere di
essere una merda totale e di non valere niente e poi, cosa fai? Ti scopi
il tuo tastierista?!Ma dove
l’hai cacciata la coerenza, Ross?” prese un attimo fiato e potei
sentire, in quell’attimo di silenzio, la voce di Saporta insultarmi.
“Giuro
che se ti becco, ti faccio lo scalpo, ti riduco talmente male che per due anni
non potrei dire la parola hippie!”
Alzai
gli occhi al cielo stanco. “Pete arriva al punto.”
“Che
tu sei una merda.” Ribattè. “ e che Bdon verrà a sentire un tuo
concerto la settimana prossima.”
Mi
andò di traverso la saliva e cominciai a tossire follemente.
“Sta
morendo?” chiese Gabe a Pete. “Spero di no, è compito mio
ucciderlo.” Fu la sua risposta.
Per
riprendermi ci volle qualche minuto, ma trovai la forza per parlare, con le
lacrime agli occhi dallo sforzo.
“Ma
oggi è già domenica! E comunque sia perché dovrebbe venire a
sentire un MIO concerto?” chiesi, buttandomi a peso morto sul letto.
“L’ha
promesso al suo nuovo ragazzo!” rispose la voce di Gabe. “ che tra
parentesi è il cugino di Pete.”
Rimasi
per un attimo spiazzato.
Beh,
cosa credevo? Che non aveva avuto la forza di rifarsi una vita perché stava
ancora sognando quella passata?
Egoisticamente
avrei voluto che fosse così.
“Ti
pregerei, anzi no ti ordino di non fare casini. Non peggiorare la situazione,
perché lui ti ama ancora.”
Mi
esplose il cuore, in quel momento e sorrisi. “Togliti quel ghigno dalla
faccia, Ross perché non è una cosa positiva il fatto che sia ancora innamorato
di te.” aggiunse Pete, facendomi sospirare. Come aveva capito che stavo
sorridendo, rimase un grande mistero, ma forse era per il semplice fatto che ero una persona piuttosto prevedibile.
“Va
bene, starò buono.” Acconsentii.
“Ottimo.
Buon proseguimento di sera, coglione.”
E
riattaccò.
Rimasi
solo con i miei pensieri tutta la notte, senza riuscire a dormire.
L’idea
che lui ancora mi amasse mi aveva reso così felice, ma allo stesso modo così
triste che non sapevo che emozione provare prima.
Ero
uno stupido, avrei voluto uccidermi da solo per le cazzate commesse.
E
solo sapere che quel cuore che tanto professava d’amarmi stava diventando
di un altro mi fece rendere conto che, amare Brendon Urie, da quel momento in
poi, sarebbe stata un’impresa dolorosa.
Fine
secondo capitolo
Eccoci
al secondo capitoloooooooooooooooooo
Ringrazio
Annìì, Jee, e Bro(Miky) per aver recensito!!!
Veramente grazie ragazze!
L’altra volta mi sono dimenticata di
fare anche un piccolo ringraziamento a Miky(Heven Elphas) per
avermi suggerito il titolo di questa long <3
Non
ero mai stato imbarazzato come quella mattina quando, del tutto stordito e con
gli occhi gonfi per le lacrime versate, cominciai a svegliarmi.
La
faccia di Ariel capitanava la mia visuale, bella sveglia e con un sorriso
scintillante a contornare quei occhi meravigliosamente… verdi. Come i
prati delle colline irlandesi o le foglie ricoperte di rugiada la mattina.
Rimasi
a fissarli come se davanti a me ci fosse la più nitida riproduzione della
Vergine Maria.
Erano
meglio di qualsiasi risveglio mai avuto.
“Prima
di dirti buon giorno, posso chiederti se si può evitare di menzionare la mia
pessima figura di ieri sera?” Ariel rise alle mie parole e annuì,
lasciando cadere un ciuffo color miele davanti agli occhi che ebbi la premura
di scostarlo dietro il suo orecchio. “Bene, allora buon giorno.”
Continuai, alzando lievemente il viso per incontrare le sue labbra in un bacio
di saluto.
“Posso
chiederti almeno se stai bene?” disse, accarezzandomi il naso con la punta
delle dita.
“Non
lo so.” Ed ero sincero.Non sapevo cosa
provare, cosa pensare né tanto meno cosa esprimere.
Adoravo
El per il semplice fatto che non faceva domande.
Probabilmente
sapeva già per chi era tutto quel dolore (Pete non si era certo risparmiato),
ma evitava anche qualsiasi tipo di argomento che potesse riportare a... lui.
E
non riuscivo nemmeno a dire il suo nome.
Fanculo.
“Senti,
avrei una cosa da chiederti.” Iniziò, mettendosi seduto e incrociando le
gambe.
“Dimmi.”
“Non
è che, ti andrebbe di accompagnarmi a vedere una band?” chiese,
sfarfallando le ciglia in modo accattivante. “suonano
domani in un locale qui vicino. So che oggi è l’ultimo giorno di tuor, ma
potremmo prolungare la cosa di un giorno!”raccontò,
cominciando a gesticolare. “Potremmo prendere una
stanza d’albergo solo per una notte e ripartire il giorno dopo!
Sono sicuro che per Pete non ci siano problemi! Lo so chiedo
troppo, ma loro sono troppo bravi e io non so quando avrò un’altra
opportunità per ascoltarli dal vivo!” riprese fiato per un momento,
guardandomi con timore.
Io
ridacchiai.
Sembrava
proprio un ragazzino, impacciato in quel modo. Non gli feci aggiungere altro
perché accettai la sua proposta, accolta con un urlo e un abbraccio più che
stritolante.
Pomiciammo
per un lungo e felice momento finchè quello stupido del mio cervello decise che
doveva per forza comandare la mia bocca a parlare.
“Di
che band si tratta?” chiesi, quasi senza fiato, accarezzando le guance
porporine di El con i palmi.
“The
Young Veins! Sono eccezionali!”
Brendon
Urie iniziò, così, la sua lunga discesa verso un buco nero dal quale non
avrebbe più fatto ritorno.
In
seguito venni a sapere che El aveva ascoltato le vene giovani per la prima
volta solo pochi giorni prima, dopo che aveva trovato diverse canzoni
dell’Ipod di Spence. ( cosa ci faceva Spencer
con quelle canzoni non lo sapevo. Lui diceva che le aveva scaricate per poter
studiare da vicino il nemico. Tutt’ora faccio finta di credergli.)
Evitai
di raccontare a El che il Leader della sua band preferita era lo stesso che mi
aveva reso la vita un vero schifo, anche se sapevo chi avrebbe provveduto alla
cosa.
Pete
saltellava con un sorriso da conquistatore, precendendo Ariel che era veramente
giù di corda. Wentz saltò sul palco, montato quasi a festa per l’ultimo
concerto, e si avvicinò alla band spargendo sorrisi e incoraggiamenti.
Mi
allontanai un poco per riuscire a sedermi sul bordo, scostando diversi fili
elettrici, aspettando che El si avvicinasse.
“Scusami…”
mi disse accostandosi e posando le mani sulle mie cosce. Aveva
l’espressione affranta e colpevole.
“Non
serve che tu lo dica, non potevi saperlo.” Affrettai a dire, passando una
mano fra i suoi capelli mossi.
“Quando
Pete me l’ha detto avrei voluto… accoltellarmi!” esclamò
serrando i pugni.
“Non
credo che fare Harakiri sia la cosa migliore.” Risi io. El sbuffò e si
lasciò abbracciare.
“Non
ci andiamo al concerto.” Sussurrò poi, annuendo alle sue stesse parole.
“Certo
che ci andiamo. Non devi minimamente preoccuparti. Ho
promesso di accompagnarti e lo farò.”
Oppose
resistenza per cinque minuti buoni, finchè pensai che fosse meglio tappargli la
bocca, prima che lui riuscisse a farmi cambiare idea.
Ci
baciammo per qualche glorioso momento, perdendoci l’uno nel desiderio
dell’altro, finchè la bacchetta di Spencer non mi colpì la nuca.
Avevo
una totale ripulsione per le prove la mattina presto, erano poco salutari e non
erano di certo come le mie corsette mattutine. Mollai El dopo un altro bacio e
corsi dalla mia band che mi proclamava a gran voce per finire quelle prove che
Pete aveva categoricamente imposto.
Era
passata sì e no una mezz’oretta quando sbagliai un paio di accordi di
“New Prospective” impegnato com’ero a guardare la trottola
Pete girare fra tecnici e strumenti come una furia.
Dettava ordini come un generale e aveva un’aria quasi
solenne, da dittatore romano, dicendo a volte: “ Sono Pete Wentz, no?
Io posso fare tutto. Quindi fermate la stampa, la
televisione! sono disposto a sacrificare i miei uomini
pur di salvare mio figlio!”
La
mia mente volò verso quella dolcissima testolina bionda di Bronx che
probabilmente a quell’ora stava fra le braccia di Morfeo assieme alla
mamma.
Scrollai
le spalle e ripresi a cantare.
Con
il trascorrere delle ore non solo Pete diventava strano, ma tutti sembravano
avere lo stesso comportamento anomalo.
Comunque
sia, quel giorno non riuscii a fare nulla. Niente televisione, quindi addio
Oprah, niente giornali, quindi nessun fumetto
satirico.
El
addirittura pretese che tornassimo alla spiaggia e rimanemmo lì a coccolarci
fino a mezz’ora dell’inizio del concerto.
Ora
come ora, se ripenso al perché di quel comportamento, non posso far altro che
ridere a crepapelle.
Ryan pov
La
mia fine era vicina.
La
sentivo incombere su di me come un uragano.
Piuttosto
inquietante a dire la verità, ma non potevo far altro che pensarla così. Avrei
rivisto Brendon da lì a tre ore, dodici minuti e cinque… sei secondi.
Fissavo
l’orologio inquietato, almeno finchè Jon non decise di distrarmi,
giocando all’allegro chirurgo con gli altri della band.
“Potete
spiegarmi chi ha scelto questa data in Virginia?!”
proclamai a un certo punto, mollando il gioco per sedermi sul divanetto accanto
a Nick.
“Tu,
tesoro.” Rispose lui, facendomi grugnire.
Odiavo
profondamente me stesso. “Avrei fatto meglio a tapparmi la bocca allora”
Nick
al mio fianco rise, avvicinandosi per posarmi un bacetto sulla guancia.
“Ti porto una birra, così ti rilassi.” Detto questo sparì dal camerino.
“Sì
sta trasformando in un’amorevole mogliettina, Ross.” Commentò Andy,
ridacchiando.
“E
pensare che non è lui che lo prende!” rincarò la
dose Murray.
Feci
finta di non ascoltarli, sdraiandomi sul divano con poca grazia e appellandomi
alla grazia divina.
“Secondo
me ti stai angosciando per nulla.” Sostenne Andy, ottenendo
l’approvazione di Jon. “con tutta la gente che c’è figurati
se si presenta davanti a te!”
Fui
quasi tentato di credere alle parole di Andy, ma più il tempo passava più
sentivo la sua presenza vicina.
Prima
dell’inizio del concerto ricevetti una visita che, nonostante il mio
umore nero, riuscì a rallegrarmi un poco la serata.
Z
si mostrava sorridente, in un bellissimo vestito nero, tanta da farla sembrare
una bambolina di porcellana. Mi venne incontro abbracciandomi e baciandomi le
labbra sotto lo sguardo sconvolto di Nick.
Mi
stupiva sempre la sua allegria e la sua energia e riuscì per un po’ a
farmi scordare l’arrivo imminente di Brendon.
Passammo
un’eccitante oretta insieme, chiusi
squallidamente dentro il bagno. Nick non approvò la cosa ed evitò di farsi
toccare e addirittura di parlare con me, fino alla fine del concerto.
Non
capivo quel suo comportamento.
Non
mi ricordavo di aver fatto promesse di castità o di monogamia.
Evitai
di scontrarmi con chiunque nel Backstage, anche con le fan che avevano vinto
dei pass speciali che la casa discografica aveva messo a disposizione. Salii
immediatamente sul palco, avvicinandomi al microfono e salutando il pubblico
che era veramente immenso, quella sera.
Puntai
lo sguardo davanti a me, cercando di reprimere l’impulso
d’individuare la sua figura con gli occhi.
Però
non resistetti.
Sapevo
che era lì, perché sentivo la sua presenza. Mi sembrava di sentire il suo
profumo e i suoi occhi scuri puntati su di me.
Brendon
mi stava osservando dal lato destro del palco, appoggiato alle transenne, le braccia conserte e l’espressione dura e quasi
irriconoscibile.
Incatenò
il suo sguardo nel mio per un attimo e fu come perdere ogni energia. Alzai il
braccio in un gesto di saluto, pentendomene subito, almeno finchè Bden non lo
ricambiò con un piccolo ma percettibile movimento del capo.
Persi
qualche parola di “Change”, ma Jon riuscì a salvare la situazione
tornando a cantare il ritornello.
Ero
completamente fottuto.
Lasciai
il suo sguardo per un attimo, giusto il tempo di riprendere fiato e calmare i
battiti veloci del mio cuore.
Solo
all’inizio di “Everyone But You” riposai gli occhi su di lui.
Brendon
non mi guardava più, perché stava abbracciando dolcemente un ragazzo dai
capelli color miele e dalla pelle diafana, che aveva avvicinato il viso a
quello di Brendon per posargli un bacio sulle labbra.
Tremai
di rabbia e strinsi la chitarra talmente forte che le corde graffiarono le mie
mani fino a farle sanguinare. Ricacciai indietro il magone e tornai a seguire
la voce di Jon che cantava e riposare la mia concentrazione su gli accordi da
fare.
Era
tutto un totale schifo.
Pregai
Jon di fare una pausa e io mi rintanai dentro il backstage, buttando giù metà
del contenuto di una bottiglia di Gin.
A
fine concerto, dopo un saluto generale, Nick mi trascinò con forza nel
backstage, portandomi dietro a una delle tende nere per evitare sguardi
indiscreti.
Aveva
un’espressione arrabbiata in viso, e le braccia conserte.
“Come
stai?” chiese, sentivo la sua preoccupazione, anche se la sua faccia
poteva dire solo quanto era incazzato con me.
“Come
se mi fosse passato addosso un camion carico di
letame.” Risposi, appoggiandomi alla parete dietro di noi.
Nick
addolcì leggermente il viso, annuendo e allungando la mano per posarmi una
lieve carezza sulla guancia.
“
E’ qui con il suo ragazzo.” Disse.
“Sì
ed è anche bello.” Sbuffai, lasciandomi abbracciare. “scusa per
prima, Nick… sai io e Z…” lui mi azzittì, dandomi un leggero
cucco sulla testa.
“Non fa nulla. Non mi hai promesso niente e quindi non
posso pretendere nulla.” Sentii una lunga
stretta al cuore, perché la sua voce triste era l’ultima cosa che avrei
voluto sentire.
Si
lasciò baciare e mi afferrò con violenza i fianchi per scontrarli con i suoi
mentre stringeva le sue mani sudate sulla stoffa leggera della mia camicia.
Restammo
lì per lungo tempo, mentre credevo che l’unica soluzione per dimenticare
quell’ora infernale sul palco fosse quella di farmi scopare, contro un
muro e dietro a una sottile tenda nera.
Andy
e Murray distrussero ogni proposito, scostando la tenda proprio mentre Nick mi
fece voltare contro il muro, giocherellando con la cintura dei miei pantaloni.
Quello
però fu il male minore.
La
cosa terribile, fu intravedere lo sguardo attonito di Brendon.
Nessuno
parlò per un tempo quasi infinito, mentre Nick lasciava la presa su di me e si
passava le mani nei capelli per riavviarli.
Murray
aveva la faccia colpevole così come Andy.
Nessuno
se l’era aspettato.
E
io nemmeno a dirla tutta.
Provai
a dire qualche parola, ma gli occhi smeraldi del ragazzo vicino a Brendon
attirarono la mia attenzione.
Probabilmente
aveva una, comprensibile direi, voglia di mettermi le
mani al collo e farmi esalare l’ultimo respiro.
Era
lo stesso ragazzo che Brendon aveva baciato, lo stesso a cui aveva regalato
abbracci e sorrisi per tutta la durata del concerto.
“Bugiardo.”
Solo
questo disse Brendon, prima di scappare e uscire con violenza dalla porta di
servizio.
Bugiardo.
Era vero.
Ero
un gran bugiardo, un codardo.
“Tesoro,
forse è meglio che gli corri dietro.” Suggerì Nick, dandomi una lieve
spintarella con la mano.
Seguii
il suo suggerimento e scattai all’inseguimento, cercando di raggiungere
la furia Urie che era veramente più agile e veloce di me.
Stranamente
non aveva preso a correre furiosamente e si era fermato a qualche metro dalla
porta, guardando con gli occhi lucidi di pianto la striscia scura
dell’oceano. Lo osservai per qualche momento, mentre si asciugava
velocemente le lacrime con il palmo della mano e imprecava sottovoce.
Era
bellissimo.
Egoisticamente
rimasi fermo a fissarlo per interi minuti, godendo della sua presenza così vicina
che mi era mancata per mesi.
“Non
hai fissato abbastanza, Ross?” sussultai al
suono rude della sua voce.
Fremetti
dall’emozione, felice che mi stesse rivolgendo la parola.
Ovviamente
non c’era nulla di cui gioire, ma non potevo farne a meno.
Brendon pov
Mi
stavo letteralmente cagato sotto.
Tutti
i pianeti erano allineati contro di me e i capelli che non volevano restare
fermi ne erano una prova.
Spencer
mi fissava divertito seduto sul mio letto della mia camera d’albergo,
ogni tanto lanciando uno sguardo annoiato alla sua Playstation portatile, per
poi riposarlo su di me.
“Tu
non avevi un aereo da prendere?!” gli urlai
dietro, mentre lottavo con il nodo della cravatta.
“Ho
deciso di restare alla fine, e prendermi un giorno di riposo in questa magnifica,
esilarante città.” Disse con un tono sognante piuttosto irritante.
Gli
ringhiai contro e presi a cercare una cintura dentro il
borsone.
Ovviamente
era sparita.
Mai
che qualcosa vada nel verso giusto per Brendon Urie. Mai.
“Dove
cazzo è quella cazzo di cintura del cazzo!”
sbraitai, inventandomi pose da contorsionista per riuscire a raschiare più a
fondo possibile.
“Mister
finezza è qui.” Disse Ariel sarcastico, indicando la poltrona, dove capitanava
la mia bellissima cintura. “Bden sei sicuro?” disse poi,
giocherellando con le maniche della sua felpa azzurra.
“Sì
El non ti preoccupare, soffre solo di sindone premestruale… AHIA!”
Spencer saltò sul letto trattenendosi il polpaccio che io avevo brutalmente
frustato con la cintura.
Feci
un sorriso a El e gli accarezzai i capelli. “Stai tranquillo,
Okay?” lo rassicurai. “va tutto bene.”
Questa
è autoconvinzione Urie, mi dissi, mentre gli occhi di Ariel rimanevano
ancora insicuri.
Uscire
dalla camera fu quasi come recarsi al fronte e mi stupii di quanto poco ci
mettemmo io e Ariel ad arrivare al locale.
Tenevo
così intensamente stretta la mano di Ariel che quasi non mi accorsi delle sue
proteste, nascoste dietro un sorriso.
“Scusa.”
Borbottai, mentre venivo raggiunto da una mandria di persone che avevo avuto
l’opportunità di conoscere durante le feste organizzate da Pete o hai
concerti.
Ci
venne così riservato un posto “d’onore” vicino alle transenne
alla destra del palco, dove la visuale era perfetta.
Sentivo
Ariel esultare felice e lo fu per tutto il resto del concerto, canticchiando
con voce lievemente stonata le canzoni delle vene giovani.
Quello
stronzo stava evitando il mio sguardo come la peste, ma io volevo che mi
guardasse, che vedesse con chi ero e che crepasse di gelosia.
Morii
una seconda volta quando il suo caldo sguardo nocciola, così stranito e
impaurito, si posò sul mio.
Cercai
con tutte le mie forze di mantenere un’espressione che potesse fargli
capire quando lo ritenevo al di sotto di ogni cosa.
Anche
se non era vero.
Finito
il concerto, Ryan sparì così in fretta dal palco che quasi si dimenticò di
salutare i fan.
Ariel
saltellava felice, aggrappandosi al mio collo e stampandomi diversi e graditi
baci in volto. Mi sorpresi molto quando Andy e Nick Murray ci vennero incontro.
Ci salutammo proprio come vecchi amici, anche se in realtà ero stato in loro
compagnia pochissime volte. Erano simpatici e dei musicisti di talento.
Presentai
El come mio ragazzo, causando diverse reazioni. Quella di Ariel fu la più
piacevole, visto che mi stampò un bacio sulle labbra e mi strinse a sé.
“Che
ne dite se cerchiamo gli altri e andiamo a bere qualcosa tutti
insieme?” propose Murray, sorridendo e scostandosi il ciuffo
sudato dalla fronte.
El
mi guardò per un attimo, preoccupato. “Okay.” Risposi io, fingendo
un entusiasmo che a dirla tutta mi era finito sotto la suola delle scarpe.
Non
ero entusiasta di vedere da vicino quella sua faccia. Che per quanto bella
fosse, riusciva a farmi riesumare ricordi così forti e dolorosi da farmi
piegare in due per l’affanno.
Il
cuore doleva così tanto quel giorno e sembrava non essere minimamente scemato.
Il
peggio forse fu ritrovarlo così vicino e in una posa così assurda che
all’inizio pensai a uno scherzo.
“Mi
fanno schifo le persone come te Urie.” Aveva detto tempo fa. “Non ti avvicinare. Non è normale.”
Mi aveva chiamato anormale quel giorno, buttando all’aria tutto
quell’amore che da anni provavo per lui. Mi aveva guardando come se anche
solo la mia vista gli procurasse nausea.
Bugiardo.
Le
sue labbra che baciavano quelle di un altro uomo.
Bugiardo.
Vedere
la sua passione divampare.
Bugiardo.
Sapere
con quanta naturalezza rispondeva a quelle carezze, mi mandò in bestia.
“Bugiardo.”
Dissi e neanche mi accorsi di averlo fatto finchè la mia voce non mi tornò come
una specie di eco.
Poi
scappai.
Uscii
fuori dal locale come se stessi per soffocare e appena l’aria fredda mi
schiaffeggiò il viso mi fermai. Avevo il fiatone, nonostante non avessi corso
tanto, le fitte al petto erano così intense che mi afferrai la stoffa della
camicia con entrambe le mani, cercando di controllare le lacrime che scendevano
a fiumi.
“Bravo
Urie, sei ancora più patetico così.” Mi rimproverai,
passandomi i palmi delle mani sotto gli occhi in moto di stizza.
Ryan
mi aveva seguito e sentivo la sua presenza e quel suo fottuto profumo che era
troppo dolce e buono.
“Non
hai fissato abbastanza, Ross?” gli dissi, senza voltarmi a guardarlo.
Ryan non parlò e mi si avvicinò lentamente, finche non fu al mio fianco.
“Prova solo a dire che ti dispiace e ti strappo la lingua a morsi,
stronzo” lo anticipai.
Ma
lo disse lo stesso, perché sapevo che era l’unica cosa che poteva dirmi.
“Mi dispiace Bden.”
“Da
quanto va avanti?” chiesi, strizzando le palpebre per evitare di far
scendere altre lacrime. “O meglio, da quanto lo sai?”
“Da
poco. Neanche un mese.” Rispose. “ho fatto una stronzata.”
“Sì.
L’hai fatta. Mi hai fatto sentire una merda per mesi, mi hai fatto
sentire come un’anormale che non ha diritto di vivere!”
Esageravo
certo, ma era fottutamente vero.
“Lo
so, avevo solo paura dei miei veri sentimenti, avevo paura di tutto, anche di
te!” strillò lui, posandomi una mano sul braccio.
Tremai,
ma non ebbi la forza di scacciarla.
“Va
al diavolo Ross.”
Mi
incamminai verso il molo sotto di noi, lasciandolo lì da solo con i suoi
pensieri.
Sperare
di non incontrarlo non era servito a nulla.
Feci
qualche altro passo, con lo sguardo di Ryan fisso sulla mia schiena.
Poi,
gelai sul posto.
“Cazzo,
Ariel!” sbottai, tornando indietro come una furia e superando Ross che mi
seguì dopo un attimo di smarrimento.
Trovai
il mio ragazzo intento a socializzare con Jon e gli altri, ridendo e bevendo
vodka e lime.
“El,
andiamo!” dissi, afferrandogli la mano. Lui guardò prima me e poi Ryan e tornò a fissarmi speranzoso di una
riconciliazione. “non ci resto un secondo di più qui
dentro.”
Ariel
salutò e sparse baci a destra e manca, rifilando una stretta di mano educata a
Ryan.
Lasciammo
il locale e gli abbracciai la spalla con un braccio, cercando calore. El mi
strinse le braccia attorno al petto ed evitò di parlare.
“Non
sentirti in colpa.” Gli mormorai, prima di posargli un bacio fra i
capelli.
Andava
bene così, non potevo pretendere altro.
Ryan pov
Jon
mi assalì appena Brendon e il suo ragazzo lasciarono il locale. Mi scosse le
spalle e mi chiamò idiota per venti volte come minino. Fu Cassie, la sua
fidanzata, a levarmi le sue mani di dosso e mentre mi sistemavo la giacca,
anche Andy decise che era giusto farmi la paternale.
Nick
invece, stava in un angolo,con lo sguardo colpevole
che aveva un non so che di simile al mio.
“Voglio
andare a dormire.” Proclamai, grattandomi la testa.
“Vengo
con te!” disse Nick, mentre Murray si lamentava che la festa non sarebbe
stata la stessa senza di noi.
“Che
dico a Z?” chiese Jon, mentre io scrollavo le spalle.
“Fa
un po’ come vuoi. Dille che avevo un importante
impegno.”
“Come
sempre, eh.” Commentò lanciandomi uno sguardo malizioso che io non ebbi
la forza di ricambiare.
Arrivati
nella nostra stanza d’albergo, prenotata appositamente per quella sera,
mi lascia cadere come un morto sul letto, desideroso di dimenticare quella
serata. Mugugnai parole incomprensibili per un po’, mentre Nick mi
spogliava dolcemente dei miei vestiti. Non aveva nulla di malizioso
quella situazione e provando un ignoto un moto di tenerezza mi sollevai suoi
gomiti giusto per lasciargli una carezza sul viso.
Non
volevo prendere in giro nessuno e tanto meno far finta di nulla. Sapevo che
Nick provava qualcosa di più di un semplice affetto, sapevo che tutti i nostri
gesti avevano un significato diverso per lui e sapevo che gli stavo facendo del
male.
Ma
egoisticamente non volevo privarmi di quello che con tanta devozione mi donava.
C’era amore nei suoi occhi e sapevo cosa provava, quanto dolore aveva nel
cuore, lo sapevo perché era lo stesso dolore che provavo io
guardando gli occhi di Brendon.
Feci
in modo che si stendesse con me, di traverso sul letto, il suo viso appoggiato
sulla mia spalla nuda e la lieve barba che mi solleticava la pelle.
Non
parlammo molto e lui si limitò a baciarmi di tanto in tanto il collo e
accarezzarmi con dolcezza il viso.
“A
che pensi?” chiesi, quando il silenzio mi era divenuto troppo stretto e
il pensiero di quella sera mi mandava in bestia e mi faceva lacrimare gli
occhi.
“Non
farmi domande che hanno una risposta così ovvia!” ribattè lui dandomi un
lieve schiaffetto sul petto.
Feci
una risatina prima di baciargli la testa e lasciando che qualche lacrima si
impregnasse nei suoi capelli morbidi.
“Almeno
condividiamo una cosa.” Esclamò a un certo punto guardando con interesse
una piccola crepa sul soffitto.
“Sarebbe?”
“Essere
al corrente che, per quanto si ami una persona, quella non potrà mai amarci a
comando. Nonostante la desideriamo con ogni fibra del nostro essere.”
Ebbi
un lungo tremito e mi fece scappare qualche singhiozzo e la presa di Nick si
fece più stretta.
“Non
fare il filosofo…” borbottai, mentre ridacchiava e mi obbligava a
infilarmi sotto le coperte.
“E’
la verità, sono obbiettivo.” Ribattè, con il sorriso sulle labbra e le
braccia pronte a accogliermi nuovamente. “ma potresti sempre tentare di
conquistarlo.” Aggiunse.
“Mi
odia.” Dissi.
“Ma
ti ha amato, e non credo che il suo amore sia sparito così in fretta.”
Proclamò. “a volte si odia per nascondere qualcosa che
fa ancora più rabbia dell’odio stesso. Penso che abbia paura di
amarti e non ti odia, non può.”
Rimasi
in silenzio un attimo mentre le parole di Nick erano così dolci da credere,
anche se avevano quel retrogusto amaro che si chiamava realtà.
La
realtà dei fatti era quella che mi si era presentata quella sera.
Il
suo disgusto, il suo ragazzo, le sue lacrime…
“Perché
non potrebbe?”
“Perché
anche con tutta la buona volontà che ci mette nel farlo, tutto si vede tranne
che l’odio nei suoi occhi.” disse dolcemente, come se stesse
parlando a un bambino.
Arrivati
a quel punto non avevo più voglia di pensarci, non avevo più voglia di farmi
domande e avere risposte che non avrebbero mai corrisposto alla verità.
Non
gli risposi e mi limitai a strisciargli dolcemente addosso, fino a trovarmi su
di lui a cavalcioni.
Non
pretese risposta e assecondò i movimenti che da languidi diventavano frenetici.
Mi
svegliai alle prime luci del mattino, grondante di sudore e liberandomi
velocemente dalla presa stretta di Nick, mi alzai per mettermi seduto.
Mi
mancava l’aria, lo stomaco stretto in una morsa e la nausea che mi
pizzicava fastidiosamente la gola.
Avevo
sempre avuto paura dei miei incubi, fin da bambino.
Se
in passato rivedevo nei miei sogni angosciosi le immagini terribili di un me
stesso troppo piccolo e troppo fragile per scappare dalla furia di mio padre,
in quel momento gli occhi pece di Brendon così delusi e schifati, facevano più
paura di qualsiasi cosa.
La
mano fresca di Nick mi si posò sulla pelle bollente, mentre il suo viso ancora
assonnato era intriso di preoccupazione.
“Non
è nulla.” Dissi, mettendolo a tacere ancora prima di fargli aprire bocca.
“vado in bagno.” Borbottai,scostando le
coperte e barcollando nell’altra stanza.
Feci
in tempo ad appoggiarmi al cesso e riversai anche l’anima. Tossii fra i
conati, mentre i passi di Nick mi raggiungevano e di nuovo le sue mani mi
afferrarono la fronte, scostando dolcemente i capelli dal viso e mi
rassicurandomi con parole appena sussurrate.
“Fanculo…”
mormorai, sollevandomi e scacciando Nick per avvicinarmi al lavabo e sciacquare
la bocca e rinfrescare il collo e il viso sudato.
“Ti
aiuto, aspetta.” Borbottò, scostandomi ancora una volta i capelli
all’indietro, fermandosi per qualche momento ad accarezzarli
all’estremità.
Quando
fui abbastanza calmo e la nausea si era attenuata, così come il tremore alle
gambe, strisciai nuovamente sul letto.
“Cos’è
successo, Ryan?” provò a chiedere Nick, sedendosi a gambe incrociate sul
letto, mentre io mi rintanavo sotto le coperte.
“Nulla. Torna a dormire.” Mi voltai, in modo da
non poterlo essere in viso.
“Vorrei
aiutarti a star meglio…” esclamò e sorrisi fra me, immaginando i
pugni stretti e le guance rosse.
“Non puoi. Ora torna a dormire.”
Non
ottenni risposta e ascoltai solo i fruscii di vestiti che venivano infilati
alla svelta e la porta che, con forza, veniva sbattuta.
*****
Eccoci alla fine del terzo capitolo! Oh wow
come sono puntuale xD
Mai dire mai però u.u
Ringrazio infinitamente AnniPrisoner per
aver commentato*-* spero in una reazione positiva ancheper questo capitolo*-*
Uhm e
voi? Un commentino me lo potete pure lasciare? *tintin*
(cerco di compravi con le facce dolci xD)
Capitolo 4 *** "Oh my God, I think He'll forgive me!" ***
capryden4
Capitolo
quattro
Brendon pov
Quando
tornai in albergo mi ubriacai.
Ariel,
per alleviare la tensione, mi aveva trascinato al bar e lì avevo dato il meglio
di me stesso.
Spencer
ancora oggi non fa che ricordarmelo.
Sta
di fatto che, lui e Ariel non si erano di certo risparmiati a passarmi davanti
alla faccia ogni sorta di bicchieri colmi di liquori annacquati, fino a passarea tracannare dalle
bottiglie.
Ero
arrivato quasi alla fine di una bellissima bottiglia di vodka liscia,
sbandierandola per il collo e cantando canzoni dal testo incomprensibile,
quando suonò il cellulare.
“Brenny!”
urlò quello che riconobbi come Pete. “com’è andata?!” aveva il tono isterico e lo notai subito perché la
sua voce era stridula e acuta come quella di mia madre quando mi sgridava.
Insomma
molto sgradevole.
“Papà Pete! Ooh benissimo!” esclamai,
appoggiando un braccio sulla spalle di El per
reggermi. “una serata così non me la scorderò mai, sai?” aggiunsi,
assumendo un’espressione quasi sognante.
“Ti
sei divertito?” chiese Pete, mentre intimava Gabe e Zack di stare in
silenzio.
“Certoooo!
Da morire! E sai la cosa più divertente qual è stata?!”
cominciai a ridere istericamente, mandando giù un altro sorso di vodka.
“è gay! Ryan, gay! Ah!”
Non
sentii la risposta di Pete perché Spencer mi levò di mano il telefono e corse a
parlare nell’atrio.
Quello
che si distinguevano benissimo, però, erano le sue urla.
Ariel
mi passò un braccio intorno alla vita, sorreggendomi con qualche difficoltà,
visto che era nettamente più esile di me.
“Andiamo
in camera, su.” Ordinò.
“Aspetta,
aspetta!” urlai, acchiappando la bottiglia che avevo sistemato sul tavolo
e tracannare il liquido trasparente tutto d’un fiato. “lasciarla
sarebbe stato un peccato.” Mi giustificai, guardando l’espressione
contrariata di El.
Si
era ovviamente pentito di aver scelto, come pretesto per dimenticare,
l’annegamento totale nell’alcool o forse non pensava che mi ci
sarei buttato così a capofitto!
Comunque
vomitai anche un rene e dopo una pastiglia per il mal di testa mi buttai sul
letto e ci rimasi fino al giorno dopo, quando il sole stava già tramontando.
Avevo
finito per essere arrabbiato anche con me stesso, oltre che con Ross. Avrei
certamente preso a pugni quest’ultimo prima di fare lo stesso con me, ma
le cose erano andate diversamente e mi ero ritrovato a frignare come un
poppante.
Dimenticare,
dimenticare, dimenticare.
Volevo
farlo così in fretta tanto da non accorgermi che non sarebbe servito a nulla.
“Oh fottuto cazzo! La mia
testa!” strillai, trattenendomi in capo con entrambe le mani, mentre
cercavo di alzarmi dal letto, cosa che non mi riuscì perché due braccia calde
mi circondarono l’addome e il viso vispo e sorridente di Ariel mi apparve
da sopra la spalla.
“Buon
giorno!” strillò vicino al mio orecchio.
“Oddio ti prego non farlo mai più! La
mia testa è diventata una bomba ad orologeria!” mi lamentai ricacciando
le mani nei capelli. El ridacchiò piano, costringendomi a stendermi
nuovamente.
“Okay,
okay!” esclamò, nascondendo il viso ridente nella sua felpa azzurra.
Ore
prima c’eravamo stesi sul letto senza nemmeno cambiarci e quello che
desideravo ardentemente in quel momento era una doccia calda per sciogliere le
tensioni. “come posso aiutarti?” chiese,
la voce bassa improvvisamente maliziosa.
Girai
il capo verso di lui, sollevando un sopracciglio in modo inquietante, facendolo
ridere ancora di più.
“Uhm.”
Commentai, dimenticandomi improvvisamente della mia emicrania. Credevo fosse
davvero meglio concentrare ogni fibra del mio essere su quel ragazzo che con
abbandono si lasciava baciare e accarezzare la pelle calda e liscia della
schiena.
Non
avevo aspettato l’amore della mia vita per avere un primo rapporto
sessuale.
Sarebbe
stato come attendere in eterno e io non avevo certo voglia di morire senza aver
conosciuto le fondamentali regole del sesso.
Ariel
fece in modo di ribaltarmi sulla schiena mentre lui si accomodava con un
sorrisetto da conquistatore sul mio bacino, dove iniziò a dondolare lentamente,
guardandomi negli occhi e mordendosi il labbro inferiore. Boccheggiai per
interi minuti, deliziato dalla lenta frizione e dai suoi occhi che avevano
assunto una tonalità di verde più scuro.
Sussurrò
il mio nome un paio di volte mischiati a gemiti osceni che mi procurano un
lungo tremore alle gambe. Poi si sfilò la felpa, mostrando il suo petto diafano
e perfetto, eccetto per una piccola voglia di colore più scuro sulla clavicola.
Mi misi a sedere, attirandolo più vicino a me e mi affrettai
a baciare quell’imperfezione, succhiando leggermente per sentirlo
ansimare. Mi piaceva perdermi nelle piccole cose, era una cosa che adoravo.
Raggiunsi
le sue labbra dopo una lunga suzione al suo collo magro e mi aggrappai ad esse
come un’ancora di salvezza, tuffando le mani nei suoi capelli, tirandoli
leggermente per averlo più vicino.
Ribaltai
la situazione, quando lo sentii tremante e accondiscende fra le mie braccia,
così lo feci stendere sotto di me, appoggiandomi su di lui, fra le sue gambe
spalancate. Ripresi a muovermi con più forza simulando ciò che da lì a poco
sarebbe successo.
El
mi sfilò la camicia con foga, facendo saltare qualche bottone, mentre ansimava
parole sconnesse. Si fermò un attimo per accarezzare il petto e lo stomaco,
sussurrando un : “Perfetto…” che mi lusingò
parecchio.
Ero
sempre stato a conoscenza del mio essere così… assurdamente egocentrico e
di come piaceva alla gente la perfezione del mio corpo.
El
sollevò il capo dal cuscino giusto per baciarmi un attimo e iniziare a
trafficare con la fibbia della mia cintura.
Mi
ritrassi quando tentò di sfilarmeli e mi sollevai da lui per mettermi in
ginocchio aprire e disfare, con lentezza disarmante, dei suoi blu jeans.
Rimase
nudo sotto il mio sguardo e dovetti ammettere che era veramente una
meraviglia… il viso arrossato, il petto che si alzava e si abbassava in
preda all’eccitazione, le lunghe gambe piegate e aperte. Era seriamente
una visione che avevo fatto bene a non lasciarmi scappare.
“Brend…”
sussurrò, incitandomi a muovermi. Gli sorrisi, colpevole di essere rimasto
imbambolato a fissarlo. Mi alzai in piedi giusto il tempo di sfilarmi i jeans
assieme ai boxer e tornare in ginocchio sul materasso.
Posai
le mani suoi polpacci di El e lentamente risalii, fino a circondare i suoi
fianchi stretti e tremendamente eccitanti.
El
si allungò un attimo, aprendo con impazienza il cassetto del comodino e
afferrando un preservativo.
Entrare
dentro di lui fu come risalire le montagne russe e riscendere a una velocità
pazzesca. Era stretto e perfetto. Gli baciai un attimo le labbra quando
corrugò la fronte per il fastidio, mormorandogli quanto fottutamente era
meraviglioso. Fu lento all’inizio, così lento che fu quasi straziante,
poi accelerare il ritmo fu una specie di toccasana. Presto mi ritrovai seduto
contro la sponda del letto, El che ansimava sul mio grembo. Gli baciai la
spalla, intrecciando le dita alle sue, in lontananza un cellulare squillò, ma
non me ne curai perché eravamo entrambi catapultati nell’oblio
dell’orgasmo.
Ryan pov
Tornare
a casa mia fu bellissimo. Non mi era mai mancato così tanto il mio appartamento
e mai mi era mancata così tanto Hobo che per quella settimana avevo lasciato a
mia sorella Kate l’incarico di occuparsene. La spupazzai per il resto
della giornata, finchè lei non scappò sotto il tavolo in cucina, infastidita.
Nick
non mi parlava da giorni, rifiutando ogni genere di contatto con me. Non veniva
nemmeno alle prove.
Non
fu difficile trovare qualcuno con qui alleviare le mie voglie e così mi
ritrovai ad uscire con un uomo sulla trentina, occhi azzurro cielo, uomo in
carriera e un pacco ben fornito.
Non
potevo voler di meno, no?
Era
anche gentile e ben disponibile, almeno finchè non cominciò a fantasticare un
po’ troppo. Vivere insieme?
Casa
in campagna d’estate?
Matrimonio?
No
grazie, passo.
Lo
scaricai presto, così come la biondina che lavorava al
bar sotto casa mia e il ragazzo dei giornali. Jon aveva cominciato a dividere
il quaderno in colonne dove annota tutte le scopate etero e homo che avevo la
briga di fare. L’inchiostro della penna fucsia era finito e ora stava
utilizzando una vecchia matita di Hello Kitty fregata a mia sorella.
Da
quella disastrosa sera erano passate la bellezza di due settimane e per la mia
gioia, nessun Pete Wentz inferocito era apparso dal nulla per sbranarmi.
C’era
una cosa però, che nonostante il mio totale menefreghismo non riuscivo ad
accettare era l’assenza di Nick nella mai vita.
Non
potevo dargli quello che voleva, ma lo consideravo il mio migliore amico,
l’unico che aveva saputo capirmi.
Andai
a trovarlo i primi di dicembre, quando la temperatura della California si era
leggermente abbassata e le strade erano già addobbate a festa per il Natale
imminente.
Nick
non mi sbattè la porta in faccia, come pensavo facesse, ma mi invitò ad
entrare, facendomi sedere sul divano del salotto, dove capitanava un bellissimo
albero addobbato di blu e argento. Non era solo, visto che la sua famiglia era
venuto a trovarlo per le festività, ma fortunatamente quel giorno, erano tutti
usciti per fare compre e l’unica rimasta era la nipote lattante di Nick,
secondogenita di non so quale sorella, perché ancora era immersa nel mondo dei
sogni.
Fu
difficile iniziare un discorso, anche perché lui mi guardava in attesa, con
stampato in faccia il più perfido ghigno mai esistito sulla faccia della terra.
“Non
è difficile dirlo, sai.” Esclamò a un certo
punto, quando io avevo fatto fallire l’ennesimo tentativo di chiedergli
scusa.
Era
incredibile come, nelle ultime settimane, la parola che più spesso mi era
uscita dalla bocca era “Scusa.” o “Mi dispiace.”
Sbuffai
e mi portai le mani ai capelli. “Va bene, vado dritto al punto.” Mi
schiarii la voce e gli presi una mano fra le mie, accarezzando il dorso liscio
con i pollici. “sono un coglione. Il più grande
coglione del mondo. Me la sono presa con te, quando volevi solo aiutarmi.” Nick annuii alle mie parole, mentre un sorriso aveva
già preso a fare capolino dalle sue labbra.“è
per questo che non voglio continuare a farti soffrire.” Aggiunsi,
guardandolo negli occhi.
Sapeva
meglio di me che quel momento sarebbe arrivato. “So cosa stai per
dire.” Mi interruppe, continuando a sorridere dolcemente. “hai
ragione, non è giusto portare avanti questa sorta di relazione…”
disse e mi ritrovai ad annuire. “non fa bene a nessuno dei due e poi,
dovrò pure mettermi il cuore in pace, no?”
Mi
allungai verso di lui per abbracciarlo. Sospirò sulla mia spalla e me la baciò
prima di staccarsi.
“Okay,
Ross ora abbiamo un problema.” Disse, alzandosi in piedi
all’improvviso e asciugandosi gli occhi pieni di lacrime con la manica
del maglione.
Gli
sorrisi tristemente. “Sarebbe?”
“Conquistare
Brendon prima di Natale.” Annunciò, portandosi le mani sui fianchi e
assumendo un’espressione subdola sul volto.
“Cosa?!Sei impazzito?” sbraitai e lui mi
intimò di fare silenzio.
“Non urlare! Se si sveglia Sophie, siamo nella
merda!”esclamò, riferendosi alla nipote.
“Non
è colpa mia se dici cazzate!” sbottai, incrociando le braccia al petto.
“Ascoltami,
vuoi vivere tutta la vita sperando che lui cambi idea
all’improvviso? O vuoi almeno provarci a fargli cambiare idea?”mi chiese, prendendo a scuotermi le spalle.
Non
sapevo cosa rispondergli.
Era
ovvio che non volevo impiegare il resto della mia vita
ad aspettare come un coglione il ritorno di Brendon, ma era anche vero che non
avevo assolutamente voglia di provarci per poi sentirmi infelice della sua
risposta negativa.
“Preferisco
sì, piuttosto che fare la figura del coglione!” dissi, mentre Nick mi regalava
uno scappellotto.
“Senti
Ross, io ho perso le speranze con te per un solo e unico motivo.”
Ringhiò. “perché Urie ti ama. Quindi ora aziona
il cervello e pensa a un modo per riconquistarlo, intesi?!”
Nick
mi faceva paura quando perdeva la calma. Proprio perché non gli capitava mai,
quando impazziva era una vera e propria furia.
Cercai
di ribattere che sarebbe stato impossibile riuscire anche solo a parlargli, ma
il pianto acuto della nipote di Nick ci fece zittire.
Lui
corse come una furia fuori dalla stanza e lo sentii vezzeggiare la nipote prima
che entrambi facessero l’ingresso in salotto.
Sophie
era una bambina bellissima di un anno e mezzo, con gli occhi scuri rossi di
sonno e pianto e i capelli neri come la pece.
Grazie
a lei il discorso “conquista Brendon o ti appendo per le palle” , fu messo da parte e passai un’intera serata a
giocare con Sophie.
Tornai
a casa che erano le dieci passate e dopo essere stato presentato a tutti i
membri della famiglia White.
Hobo
mi venne incontro appena misi piede in casa, scodinzolando contenta e
pretendendo un po’ di coccole.
Se
non ci fosse stata lei, la solitudine di quella casa mi avrebbe davvero messo addosso una tale malinconia e sicuramente mi sarei
abbandonato a me stesso.
Mangiai
del cibo precotto, riscaldandolo nel microonde,
davanti a un film datato.
Nick
aveva fottutamente ragione.
Restare
in attesa mi avrebbe portato solamente alla pazzia.
Così,
deciso a provarci afferrai il telefono e cercai in rubrica il numero di
Brendon.
Sperando
in una risposta.
Brendon pov
Stavo
vivendo delle settimane che avevo paragonato a qualcosa di idilliaco. El era
meraviglioso, la mia vita era meravigliosa, anche il callo che avevo
sull’indice era meraviglioso.
Niente
e soprattutto nessuno poteva intralciare la ripresa totale della mia vita.
Nemmeno Ross. Nemmeno il fatto che, solo nominarlo mi si stringeva lo stomaco.
Comunque
sia, ero felice, okay felice era una parola troppo grossa, ma sentivo di essere
molto vicino alla felicità.
Ariel
aveva confessato di amarmi qualche settimana dopo il ritorno in California e se
ancora non riuscivo a ricambiarlo del tutto, sapevo di provare per lui un
grande affetto.
Sapevo
di dover ringraziare Pete fino a riempirlo di regali e favori per aver proposto
a El di venire a fare una vacanza lontano dalla sua bella Australia. La cosa
positiva era che sarebbe rimasto fino alla fine delle vacanze natalizie.
C’erano
ancora molte cose di lui che non sapevo o che ancora non avevo avuto
l’opportunità di chiedere o di ricevere risposta.
Sapevo
che era nato ad aprile, due giorni dopo di me, ma sinceramente l’anno mi
sfuggiva.
La
prima settimana di dicembre stava già volando ed ero uscito per una sessione di
shopping solitario per poter comprare i regali. Me ne tornai a casa, ricolmo di
pacchi e quasi caddi a terra quando Bogart decise di zampettarmi attorno. El mi
aiutò a sistemare i pacchi e le varie buste sotto l’albero che poi avrei
provveduto a distribuire a Natale.
Aveva
lasciato la casa di Pete da qualche giorno, giusto per poter passare più tempo
insieme e cercare di non deprimerci pensando a quanto lontana fosse Adelaide.
Quella
stessa sera, invitai Pete, Ash e gli altri dei Panic per una cena, dove
potevamo stare in compagnia. Adoravo fare questo tipo di cose perché restavamo
ore a parlare di eventi passati o a fare cose stupide da riprendere e mettere
su twitter.
A
metà della serata, quando Spencer era talmente ubriaco che aveva acconsentito a
infilarsi un pastello su per il naso, il cellulare di El squillò.
Guardò
il display con una smorfia e corse nell’altra stanza per avere un
po’ di pace.
“Sarà
l’adorabile Maggie.” Commentò Pete sorseggiando birra e stringendo
teneramente la vita di Ash,che si era appoggiata a lui
per qualche coccola.
“Chi?”
chiesi, prendendo posto al suo fianco.
“Maggie, la madre di Ariel, tua suocera. Mia
cugina.” Disse, agitando una mano per spiegare meglio il concetto.
“Ho
capito, ho capito” risi e poi mi sorse un dubbio. “scusa Petey, ma
lui non è il figlio della sorella di tuo padre?”
“Certo che no! Maggie è la figlia di Zia Carol, lui è
solo il cugino di secondo grado.” Spiegò,
girandosi per cominciare a pomiciare con sua moglie.
Rimasi
un attimo interdetto.
“Quindi
zia Carol è la nonna di Ariel?” chiesi, facendo in modo che Pete si
staccasse da Ashlee.
“Bdon,
vuoi studiarti tutto l’albero genealogico dei Wentz?” chiese un
po’ scazzato.
“Volevo solo sapere come faceva Ariel ad avere ventitré anni!
Forse Maggie è rimasta incinta a quattordici anni o
cosa?” sbottai, arrossendo sulle guance.
“ventitré?
Brendon ma ti droghi?!” strillò Pete,
abbandonando le braccia della sua donna per fissarmi con gli occhi spalancati.
“Ariel ha a mala pena sedici anni!”
Okay,
immaginate di avere un grosso tasto rosso con la scritta “STOP”
alla vostra destra, premetelo e osservate o provate ad immaginare la mia
faccia.
Non
delle migliori, certamente.
Avevo
ricevuto una delle notizie più sconvolgenti delle ultime settimane e quasi,
dico quasi, superava la batosta di scoprire che il ragazzo che avevo sempre
amato, che si fingeva etero convito, in realtà era un maledetto finocchio.
“Sedici?”
chiesi istericamente, mentre la faccia di Pete assumeva una sfumatura
preoccupata.
“Non
lo sapevi?” borbottò e quando vide che scossi il capo, mi porse la sua
birra. “tieni. Ti
servirà.”
Ariel
ritornò da noi dopo dieci minuti, sorridente e assolutamente ignaro.
Bastò
uno sguardo, uno solo per farlo arretrare. “Ehm.” Disse.
Ottimo,
non avevo voglia di rimanere in quella casa un minuto di più. Afferrai cappotto
e il cellulare e uscii di casa, senza degnare di uno sguardo El.
Un
ragazzino.
Un
fottuto ragazzino.
Cazzo,
potevo essere arrestato per pedofilia!
Vagai
per un po’, deluso e molto, molto incazzato.
Avevo
sempre questa fortuna di riuscire a essere preso per il culo da tutti. Da tutti
quelli che amavo, a quelli a cui donavo la mia totale fiducia.
“Fanculo!”
ringhiai, facendo posare su di me lo sguardo scandalizzato di una vecchietta
tutta impellicciata. “cos’ha da guardare, eh?
Lo sa che lei ha ucciso un povero animale comprando quella pelliccia? Eh? Lo sa?!” sbraitai, facendola scappare. Non ero certo in me,
quella sera.
Avevo
una tale voglia di sparire, di scappare e caso mai cambiare identità.
Ne
avevo abbastanza della gente che mi stava intorno, salvo qualche eccezione.
Continuai
a camminare per un po’, guardando le vetrine illuminate, pensando a
quanto la sfortuna amava starmi tra i piedi.
Il
cellulare squillò e notando che era un numero a me sconosciuto risposi, poteva
essere Pete con uno dei suoi vari numeri.
Fu
sgarbato e me ne pentii perché chiunque ci fosse dall’altra parte del
cellulare non aveva colpe.
“Chi
cazzo è che rompe?” sbottai, ficcando una mano dentro il cappotto.
“F-forse non è un buon momento. Provo più
tardi.” Fu la risposta.
Ryan
Ross.
Ah,
lui si che si meritava un’accoglienza del genere.
“Ross?”
chiesi sorpreso, fermandomi per la sorpresa. Tra tutte le chiamate, la sua era
assolutamente inaspettata. Non è certo quello che mi aspettavo, dopo il nostro
ultimo incontro.
“Già,
io.”
“Cos’è,
hai sbagliato numero?”
“No,
no in realtà volevo parlarti.” Iniziò e mi scappò da ridere perché stava
balbettando. Mi ricordava Beckett.
“Oh.”
“Possiamo
vederci?” si meritava un applauso per la spavalderia.
“Non
è serata, Ross. Davvero.” Risposi, in tono quasi lamentoso.
“Ah,
okay.” Disse solo, mentre in sottofondo sentivo gli abbai allegri di
Hobo.
“Okay? Non è niente okay, tu sei un
maledetto finocchio, Ariel è un maledetto ragazzino di sedici anni e io sono un
cretino perché prima mi innamoro di un coglione e poi mi scopo un
minorenne!” sbraitai, ricominciando ad attirare l’attenzione della
gente.
“Sedicenne?!” fu l’unica sua reazione.
Proprio
quello che mi serviva.
“Senti,
non voglio essere compatito, per cui ti lascio andare, così potrai farti una
bella risata alle mie spalle e scriverlo in una canzone!”
“Aspetta
Bden!” strillò, tornando a balbettare subito dopo. “dove
sei?”
“Vicino
ai grandi magazzini.” Risposi, senza un vero e proprio motivo.
“Sto arrivando. Aspettami.” Ci fu un attimo di
silenzio. “per favore.”
Non
feci in tempo a rispondere che cadde la linea.
Sta
di fatto che, rimasi ad aspettarlo, le mani in tasca e
la testa ancora piena di pensieri.
Ryan pov
Correre
non era mai stato il mio forte, alle superiori mi davo sempre per malato
durante le ore di ginnastica, ma quella sera, ero
talmente esagitato che correre era il modo miglior per far scemare un po’
quell’adrenalina che mi era entrata in corpo.
I
grandi magazzini, dove mi aspettava Brendon (vi rendete conto?!),
erano un po’ lontani dal mio appartamento, ma come un demente evitai di
prendere l’auto.
Arrivai
all’angolo tra la caffetteria e i grandi magazzini, fermandomi per
riprendere fiato e riassumere un certo controllo per non sfigurare davanti a
Brendon.
Feci
qualche passo e lo notai.
Stava
fissando con curiosità una grande vetrina natalizia piena di giocattoli per
bambini. Aveva l’espressione corrugata e l’aria triste, così
diversa dalla solita espressione allegra che gli illuminava il viso.
Mi
avvicinai cautamente, richiamando la sua attenzione posandogli una mano sulla
spalla.
“Sei
qui.” Lo disse come se fosse veramente sorpreso della mia presenza.
“Sì.
Voglio parlarti.”
“Sai,
ne hai avuto di tempo per farlo.” Mi rispose, girandosi finalmente a
guardarmi. “dimmi quello che vuoi dirmi e poi sparisci.”
Deglutii
pesantemente, iniziando a giocherellare con le dita. “
Voglio…vorrei… in realtà spero che tu possa perdonarmi un
giorno.”
“Ah. Però questa era divertente.” Borbottò
sarcastico.
“Dimmi
cosa posso fare, dimmi tutto quello che vuoi che faccia e io lo farò.”
“Spariresti dalla mia vita se te lo chiedessi? Lo
faresti per me?”domandò, mentre i suoi
occhi iniziavano a riempirsi di lacrime.
Trattenni
il respiro, per poi mormorare : “Sì, lo
farei.”
Brendon
abbassò un attimo il capo, cominciando a singhiozzare. “Sei già sparito
una volta, non farlo più, ti prego.”
Annuii
e lui singhiozzò più forte, mentre mi permetteva di abbracciarlo. Risentire di nuovo
il suo calore era come andare in paradiso.
Quando
mi era mancato stare fra quelle braccia, accarezzare quei capelli. Fu come
essere catapultati indietro di anni.
“Non
ti ho perdonato.” Bofonchiò fra le lacrime, strofinando il viso sul
cappotto.
Sorrisi,
posandogli un bacio sui capelli. “Lo so.”
“Devi
darti da fare, sia chiaro.” Esclamò, staccandosi da me. “mi hai
fatto passare mesi d’inferno Ross. E la cosa peggiore è che sono ancora
innamorato di te.”
Rimasi
a bocca aperta, letteralmente, mentre Brendon rideva della mia faccia da
imbecille.
“Imbecille.”
Disse.
Ecco
appunto.
“Ma
il tuo ragazzo?” chiesi, cercando di limitare le esaltazioni, almeno
davanti a lui. “non stai più con lui?”
“Ovvio
che ci sto ancora.” Rispose, scuotendo il capo.
“Ma
ha sedici anni.”
“Cosa
vuol dire, scusa? Sai dovresti preoccuparti del fatto
che, nonostante io stia con lui ami ancora te.”
Arrossii,
invidioso della naturalezza con cui diceva di amarmi.
Volevo
poter fare lo stesso, dirgli quando follemente lo amavo e quanto idiota sono
ero stato per non averlo capito prima.
“Uhm.”
Fu tutto ciò che dissi.
“Sono
veramente infuriato con entrambi, vorrei tagliarvi la testa e buttarla nella
discarica.” Esclamò, stringendo i pugni e imitando qualche mossa da
lottatore.
Risi
e lui mi guardò male. “Non essere così rilassato, bello
mio.” Io alzai le mani in segno di scuse. “Ora, offrimi da
bere.” Proclamò, indicando con la testa la caffetteria.
“Questo
fa parte del piano di riconquista?” chiesi lasciandomi trascinare. Brendon
si bloccò, la cosa fu piuttosto preoccupante perché lo fece in mezzo alla
strada.
“Riconquista?”
chiese, spalancando i suoi occhioni scuri.
“Hai
capito bene.” Sorrisi per un attimo, mentre lo trascinai sul marciapiede.
“cosa vuoi da bere?” dissi, mentre entravamo nella caffetteria
quasi deserta.
“Un caffè. Corretto. E una bottiglia
di vodka.” Rispose, continuando a fissare davanti a sé come
imbambolato.
Alla
fine si accontentò di un decaffeinato, mentre lasciava che parlassi di
stronzate.
La
realtà era che non sapevo cosa dire e finii per nominare Nick.
“Stai
insieme a lui?” chiese, rigirando il cucchiaino della tazza.
Io
scossi il capo. “No. Non più.”
Certo
quella mia e di Nick non poteva certo considerarsi una relazione, forse una
specie di... coppia aperta? Dove solo io prendevo la briga di andare con altre
persone?
“Ah,
mi dispiace.” Borbottò appena, afferrando il cellulare per leggere il
messaggio che gli era appena arrivato.“è
Ariel. Mi aspetta a casa.” Annuii e feci per alzarmi, ma lui mi trattenne,
posando la mano destra sulla mia e sorridendo un poco. “
raccontami altro. Voglio sapere quello che hai combinato lontano da me.” Lo disse senza sarcasmo o cattiveria, così mi
risedetti, tornando a parlare di cose prettamente inutili.
Rise
un paio di volte a battute cretine e per un solo attimo mi sembrò di essere
tornato davvero indietro.
C’era
però quella linea sottile che ci divideva e che ci ricordava quanto le cose non
erano cambiate e non sarebbe stato facile incollare nuovamente i pezzi di una
viva passata insieme.
A
mezzanotte passata uscimmo dal locale e mi permise di accompagnarlo a casa.
Questa volta fu lui a parlare, della band, di Pete e di Ariel.
Provava
un grande affetto per lui.
Non
ero geloso però.(Giuro, è vero non ero geloso….!
Okay, va bene forse solo un pochetto, ma nulla di
che!)
Tornando
al racconto, arrivati sotto casa Urie, lui mi salutò con un abbraccio veloce,
prima di vederlo sparire su per le scale.
Inutile
dire che trotterellai fino a casa e nonostante l’ora fosse davvero tarda
chiamai Nick.
“Spiegami
solo il perché….” Disse, con voce assonnata. “perché mi
chiami a quest’ora?”
“Ho
visto Brendon.” Esclamai tutto d’un fiato, saltellando con un
povero deficiente.
Decisi
di prenderla sul serio, di fare di tutto per poter riavere con me Brendon
ancora una volta.
Senza
casini, senza stronzate.
****
Eccoci alla
fine del quarto capitolo! Ringrazio chi ha letto i capitoli precedenti e chi
leggerà questo. Soprattutto a chi mi ha dato una sua opinione con un commentino!
Capitolo 5 *** "Just a kiss... He won't miss." ***
ryden5
Capitolo
cinque
Brendon
pov
Ariel
mi aspettava seduto sul tappeto in salotto, mentre guardava la televisione e
Bogart gli stava accoccolato sulle gambe.
“Ciao.”
Mormorò, abbassando subito lo sguardo, per evitare di incontrare il mio.
“Cosa fai ancora in piedi? I ragazzini come te
dovrebbero essere già a letto.” Dissi
sarcastico. El fece per ribattere, ma si morse il labbro e tornò a fissare lo
schermo del televisore.
Non
sembrava un ragazzino. Il suo corpo era perfetto e slanciato e i suoi pensieri
troppo maturi per pensare a un cazzutissimo sedicenne.
Non
era l’età a stupirmi così tanto. Era il fatto che, ancora una volta ero
stato trattato come un’idiota.
Sospirai
e mi sedetti al suo fianco, togliendo il cappotto e buttandolo con poca grazia
sul divano.
“Cosa
guardi?” chiesi indicando la televisione con il capo.
“Supernatural.”
Rispose, prima di sbuffare. “Brendon, scusa.” Lasciò andare il
telecomando con un moto di stizza e girò il capo per guardarmi. Era mortificato
e quella sua espressione così dolce non mi tenne infuriato per molto.
“In
realtà credo che la colpa sia solo mia.” Dissi. “non faccio altro
che fidarmi troppo delle persone.”
“Non
volevo che cambiassi idea, dopo averlo saputo e così sono rimasto zitto. Perché
Bden tu mi piaci, sul serio.”
Gli
accarezzai i capelli sorridendo. Già era proprio un ragazzino. “Non
l’avrei fatto.”
“Ora
lo so e non sai quanto mi dispiace!” esclamò serrando i pugni e mettendosi
in ginocchio davanti a me.” Farò qualunque cosa per farmi
perdonare!” ridacchiai, spostando la mano sul suo viso che in quel
momento aveva davvero qualcosa di ancora infantile, ma terribilmente bello.
“Non
c’è nulla da fare.” Mormorai, ricalcando le sue labbra con un dito.
“oramai va bene così.”
“Non
mandarmi via.”
“Non
lo sto facendo.” Risposi, avvicinandomi al suo viso per poterlo baciare.
“Non.. non mentivo quando ti ho detto di amarti, lo giuro. Io lo
sono davvero, io…” lo zittii ancora,
baciandolo.
Facemmo
l’amore sul tappeto, mentre sentivo di averlo già perdonato e il mio
sentimento per lui farsi più grande, fino a traboccarmi dal cuore
Ero
forse innamorato di lui?
Avevo
già dimenticato Ryan?
Mi
si strinse l’anima al solo pensiero.
La
serata passata, le sue parole, mi avevano reso così vulnerabile che non sapevo
più cosa pensare.
Ero
innamorato di Ariel, così come lo ero di Ryan?
O
era solo un modo per arginare ferite aperte troppe volte?
Nessuno
dei due dormì quella notte. Troppi pensieri, troppa voglia di contatto e di
risposte.
Solo
alle prime luci dell’alba riuscii ad appisolarmi, svegliato poi
dall’odore delizioso di caffè e muffin al cioccolato.
Sul
tappeto ero rimasto solo, la schiena dolorante e coperto
a malapena da una coperta azzurra di pile. Rabbrividii di freddo e dicesi di
alzarmi, senza prendere la briga di rivestirmi.
Raggiunsi
El in cucina, mentre era alle prese con la moka.
Sorrisi
un attimo per il suo dolce tentativo di farsi perdonare.
“Buon
giorno.” Esclamò, sorridendo e ammiccando per l’assenza di vestiti
sul mio corpo. “avrò pure sedici anni tesoro, ma ho il cuore piuttosto
debole.” Scherzò, pizzicandomi una natica. Lo baciai appassionatamente
per qualche momento, poi decisi di andarmi a infilare qualcosa di comodo.
“Questa, è solo una piccola parte della mia vendetta.” Esclamai,
raggiungendo il salotto.
Pete
ed Ashlee erano appena usciti dalla camera degli ospiti e mi fissarono
allibiti, poi la ragazza distolse lo sguardo arrossendo, mentre Pete si metteva
le mani sui fianchi, pronto a sgridarmi.
“Ti
sembra normale?” chiese. “hai degli ospiti e giri
nudo per casa? Mi pare di avertela insegnata l’educazione!”
“Scusa…”
borbottai, affrettandomi a raccogliere i vestiti da terra.
In
quel momento uscì Spencer dal bagno, la testa fra le mani, come se avesse paura
di perderla. “Ragazzi voi non immaginate che mal di
testa! E non ho ancora vomitato!” esclamò,
strisciando i piedi nudi a terra, barcollando leggermente.
Lo
so cosa state pensando, che appena Spence alzò lo sguardo su di me, ancora
impegnato a raccogliere i miei vestiti, fu invaso da un’emozione tale da
fargli perdere i sensi per la mia imparagonabile bellezza.
Insomma
nemmeno un fottuto Dio greco aveva speranze contro il mio bellissimo e tonico corpo
d’atleta.
Invece
Spencer Smith vomitò.
Nel
mio salotto, sulla mia moquette.
“Bleah…
le ultime parole famose, vero Spence?” commentò Pete, trotterellando
verso la cucina per salutare Ariel, ancora ignaro della situazione.
Dopo
essermi vestito e aver pulito il vomito di Spencer, facemmo colazione tutti insieme in cucina, dove Pete continuò a farmi il
predicozzo.
“E
poi vorrei sapere dove sei stato!” rincarò la dose, mentre Ariel al mio
fianco alzava gli occhi al soffitto per scongiurare la fine. “sei sparito
senza dire nemmeno dove andavi!”
“Ah! Ci mancherebbe solo! Figlio
ingrato!” strillò, dandomi un cucco in testa.
“Pete,
smettila di rompere il cazzo, hai già un figlio tuo!” intervenne El,
sorseggiando lentamente il suo latte e cioccolato.
Pete
rimase veramente male per quell’affermazione e io cercai di rimediare
dicendogli che, era il miglior secondo papà che mi fosse mai capitato.
“Visto,
cugino bastardo? Nemmeno il sesso addolcisce il tuo sarcasmo
d’adolescente?”disse, rifilando uno
schiaffo in testa anche a El che quasi finì con il viso dentro la tazza.
“sì, vi abbiamo sentito. Tutti vi hanno sentito! Sembravate
due procioni in calore!”
El
si ritirò in un silenzio imbarazzato, mentre io sollevavo le sopracciglia in
uno sguardo più inquietante che malizioso. “El doveva farsi perdonare in
qualche modo.” Dissi ammiccando.
Ash
rise di gusto. “Quindi sei uscito per farti una passeggiata solitaria per
Los Angeles?” chiese, tornando al discorso precedente e rigirandosi il
cucchiaino fra le dita curate.
Rimasi
un attimo in silenzio, pensieroso. “Non ero solo.” Dissi alla fine,
senza la voglia di guardare in faccia nessuno. “ero con Ryan.”
Ci
furono varie reazioni, come quella di Pete che si strozzò con il muffin che
aveva appena addentato o quella di Spencer che sembrava essersi congelato sul
posto e pronto per un altro attacco di vomito.
Ariel
rimase immobile per un attimo e vicino a me lo sentii tremare. Gli posai una
mano sulla coscia accarezzando lievemente il tessuto morbido del pigiama, per rassicurarlo.
Non
dissi molto, nemmeno il perché di quell’incontro né cos’era
successo. Non dissi niente nemmeno a Pete, nonostante sapessi stesse
agonizzando dalla curiosità.
Ryan pov
Non
avevo dormito per niente.
Le
ore,(cazzo sì erano ore! ) passate
con Brendon mi avevano donato una specie di energia nuova che sembrava
inesauribile. E dire che di solito ero assolutamente e irrimediabilmente…
apatico. Jon durate le prove, non fece altro che zampettarmi intorno, neanche
fosse Hobo, e a intonare canzoncine sull’amore eterno e sulla
consapevolezza che un buco è per sempre.
Non
chiedetemi di spiegare l’ultima frase, ci vorrebbero giorni e un
linguaggio non etico e poco adatto a una narrazione pulita, o quasi, come
questa.
Dicevamo,
Jon nonostante era in vena di farmi partire un embolo dal nervoso, quella volta
io rimasi in silenzio e sorridente, addirittura accompagnandolo con il suono di
un mandolino in una delle sue creazioni canore.
Chissà
perché Jon smise subito di fare il cretino.
Nick
era entusiasta di quel passo che veramente non credeva fossi stato capace di
fare, mi sorrideva, contento e un po’ triste. Mi sentivo veramente una
merda disumana. Non lo facevo nemmeno apposta, insomma era il mio migliore
amico e al migliore amico si dice tutto! E a volte io faticavo a ricordarmi,
come lui in realtà vedeva me. Lui diceva che era un bene, perché era un modo
per scordarsi in fretta di me e tornare ad essere un semplice amico.
Inoltre
lui era l’unico che sfornava idee come pane. Aveva proposto, anzi direi
imposto un’uscita denominata: “Riaffiorando i vecchi tempi” . Jon aveva replicato con un no e così Nick aveva deciso di
accompagnarmi.
Avrei
rivisto praticamente tutti, ma soprattutto Brendon. Ed era la cosa più
importante.
Avrei
sopportato le battutine di Beckett e Saporta e lo sguardo assassino di Pete,
pur di rivederlo. Senza scordare la presenza di quel… Ariel.
Non
sapevo se l’aveva clamorosamente lasciato o se era ancora al suo fianco a
scodinzolare come un fottuto cagnolino da compagnia. Avete presente? Quelli
piccoli, scheletrici, che assomigliano a topi sotto effetto di acido. Quelli
che si mettono dentro la borsa e abbaiano come se avessero ingoiato una sirena.
“Okay,
ho inviato il messaggio a tutti i Decaydance Boys…” esclamò Nick,
tornando in sala prove con il mio cellulare fra le mani.
Lo
guardai sconcertato. “Non dovevo farlo io?!”
per tutta risposta lui sollevò un sopraciglio.
“Tu?
Andiamo vuoi prendermi in giro? A quest’ora staresti
ancora indeciso su cosa scrivere!” enfatizzò, ridacchiando.
“ah! Ecco una prima risposta!”
Mi
avvicinai a lui per leggere il messaggio appena arrivato e scoprire che Gabe e
signora, va bene William, avevano accettato l’invito.
Presto
arrivò anche quella di Pete, stranamente entusiasta e quella di Travie che non
poteva venire perché era in tour. Pure Spencer accettò di venire, a patto che
Jon non ci fosse. I loro presunti problemi amorosi non li avevo mai capiti.
L’unica
risposta veramente sperata e desiderata, arrivò solo a
tarda sera.
<
Ehi man, per me è okay. A domani sera. >
Piuttosto
crudo e schietto, ma non mi importava molto. Non speravo certo in un suo
messaggio pieno di gioia e amore con tanto di smile.
Andava
bene così, era perfetto così.
La
sera dopo ero intento a scegliere un completo adatto alla serata che Nick
trasformò in un anonimo paio di jeans e un maglione a tinta unita.
Bah.
Ero
talmente agitato che mi feci sistemare anche i capelli. “Dovresti
tagliarteli, comincia a sembrare tua sorella.” Mi fece notare Nick.
“Perché
non guardi i tuoi di capelli?” sbottai innervosito, spettinandomeli un
po’.
Arrivammo
al locale, uno dei più frequentati di Los Angeles, in anticipo e visto che
avevamo pianificato l’intera serata rimanemmo lì a ripercorrere le tappe
da eseguire.
Punto
primo, trovare una conversazione brillante per agganciare Brendon. E lì non
c’erano problemi, ero il re delle conversazioni
brillanti.
Punto
secondo, offrigli da bere. Anche qui, nulla di difficile e poi ero a conoscenza
della passione di Brend per degli alcolici annacquati.
Punto
terzo, tenere alla larga Ariel, il cagnolino. La situazione andava peggiorando,
perché Ariel gli stava appiccicato peggio di una cozza.
Punto
quarto, uscite per una passeggiata, perché si sa le passeggiate portano
pensieri e i pensieri portano le parole e le parole portano... altro insomma.
Punto
quinto, non contraddirlo mai. Neanche se sta dicendo la più cazzata delle
cazzate, bisogna sorridere e annuire.
Non
finimmo la lista perché Gabe arrivò saltellante trascinandosi un apatico Will,
che sorrideva al suo uomo con occhi lucidi e brillanti. Sembrava ancora più una
donna, anche se, a detta sua, ci stava mettendo tutto
l’impegno possibile per essere almeno un po’ virile. Aveva un
accenno di barba in effetti, ma nulla di più.
Gabe
mi saltò letteralmente addosso, urlando che gli era mancato il suo amicone
hippie. Ricambiai il suo abbraccio e risi. Mi era sempre piaciuto Gabriel.
Il
suo essere genuino e schietto era da sempre una sua carta vincente.
Con
Bill era diverso, avevamo passato un piccolo periodo dove eravamo praticamente
inseparabili, poi lui ha avuto un po’ di problemi, quali: la nascita
della figlia e in contemporanea la scoperta di essere, oramai, un finocchio
perduto.
Presentai
Nick ad entrambi e Gabe lo accolse con un nuovo abbraccio e una pacca sulle
spalle. “Vuoi vene siete forti!” esclamò, picchiettando
l’indice sul petto di Nick che rise e ringraziò.
Pete
si fece largo con un sorrisone, accompagnato da Nate e Ryland. “Il mio
amico Ross!” urlò, afferrandomi la mano e stringendola, no rettifico,
stritolandola per bene, con un sorrisetto sadico stampato sulle labbra.
“Che
piacere, Pete, dopo l’ultima volta pensavo di ritrovarmi già nella
tomba!” scherzai e lui assottigliò lo sguardo, salendo in punti di piedi
per potermi fissare bene.
“Sta
attento, ragazzino.” Ringhiò, poi sorrise di nuovo e si rivolse a
Nick.
Deglutii
un attimo per poi essere attirato nell’allegria collettiva che albergava
nel gruppo.
Si
stava davvero bene.
Brendon
arrivò per ultimo, assieme a Spencer che stava ringhiando qualcosa contro
l’uomo degli infradito.
Brend
però non lo ascoltava, sorridendo a tutto spiano e regalando baci e abbracci.
Bellissimo non era nemmeno la parola adatta per descriverlo. Era meraviglioso. I
capelli tagliati di fresco, il cappotto abbottonato male, dove si riusciva a
intravedere una camicia azzurra... Diciamo che lo osservai per bene.
“Ciao
Ryan.” Disse, sorridendomi lentamente, mentre attorno a noi era calato un
silenzio quasi irreale dove le uniche cose distinguibili erano i ringhi di Pete
e il chiacchiericcio intorno a noi.
“Ciao
Bden, ti trovo bene!” esclamai, dopo aver lanciato un’occhiata a
Nick che mi ordinava di prendere in mano la situazione.
Brendon
non riuscì a rispondere perché Gabe si intromise fra noi. “Beh? Il tuo
chico australiano? Dove l’hai messo?”
Solo
in quel momento notai la totale mancanza di Ariel. Aprii la bocca per lo
stupore e il mio tastierista si apprestò a chiudermela.
Si
erano lasciati? Brendon l’aveva scaricato e rispedito a calci in culo in
Australia?
Potevo
mettermi a urlare dalla gioia.
“Ehm,
lui non poteva venire, sapete…” iniziò Brendon, grattandosi la
testa. “è ancora minorenne…”
Ci
fu un attimo di totale silenzio, poi come se ci fosse una bomba, scoppiammo
contemporaneamente a ridere.(io, vorrei precisare, lo
feci molto educatamente, non sguaiatamente come alcuni.) Brendon non ne fu
felice.
Brendon pov
Stavano
ridendo di me.
Tutti,
anche Pete per la miseria! Talmente stava ridendo dovette appoggiarsi a Bill
che essendo già in bilico cadde a terra, trascinandosi dietro Pete, continuando
a ridere e additarmi come se fossi uno stupido animale da circo vestito da
ballerina di danza classica!
Sbuffai
e incrociai le braccia, guardando Ryan che aveva portato la mano alla bocca per
non esagerare con le risate.
“Quando
avete finito di deridere me e il mio ragazzo, che aggiungerei non è qui,
possiamo entrare che ho fottutamente bisogno d’alcol?” chiesi,
accennando un sorrisetto falsamente gentile.
Entrammo
solo pochi minuti dopo, con l’eco di alcune battutine davvero stupide da
parte di Gabe e Bill. “Gli hai rimboccato le coperte prima di
uscire?” o ancora: “ ti sei assicurato che tenesse stretto a sé il
suo orsacchiotto Polly?”
L’orsacchiotto
Polly?
Sperai
solo che non fosse una loro fantasia erotica.
Mi
avvicinai al bancone, aggrappandomi ad esso con disperazione. Volevo affogare
ogni disperazione nell’alcol. Ryan mi si avvicinò, appoggiandosi
lievemente alla mia schiena per richiamare l’attenzione sul barman.
“Un daiquiri alla pesca e un Shirley
Temple!” esclamò, allungando una banconota da dieci, con tanto di
occhiolino. Ottimo, ci stava provando con il ragazzo, che tra l’altro non
era niente male.
Gran
bel modo per ricordarmi che da un po’ preferiva la, come
dire, “corsia apposta”. Non era certo quello che mi ci voleva e
sentivo la gelosia pungermi lo stomaco.
Ryan
mi passò il mio Shirley Temple e cominciai a
fissarlo con insoddisfazione. “Ma non è alcolico.” Borbottai
rigirando la cannuccia decorativa nel liquido rosso.
“Infatti,
ma è meglio se ci vai piano.” Ribattè Ross, sorridendo e sorseggiando il
suo drink.
Aspettai
che andasse da quel Nick, per voltarmi verso il barman e attirare la sua
attenzione con un fischio. “Correggimelo.” Dissi, e lui aprì con un
sorrisetto una bottiglia di vodka, riempiendo il bicchiere fino all’orlo
e facendo diventare il liquido rosso dello Shirley
Temple, un rosa pallido.
Tracannai
metà del contento in un sorso e trotterellai verso gli altri che
chiacchieravano, felici e contenti. Ryan guardò prima me, poi il bicchiere e
scosse il capo,ma non disse nulla e si mise a ridere.
Sembrava una serata normale, come quelle che facevamo prima di divedere le
nostre strade, prima ancora che lui sapesse che mi ero follemente innamorato di
lui.
Parlottò
con Nick per un po’ e mentre cercavo di non guardarli e concentrare la
mia attenzione sull’imitazione del Condor che Gabe stava eseguendo in
piedi su una sedia, vidi il suo tastierista picchiarlo ripetutamente sulla
testa. Assottigliai lo sguardo, curioso e i miei occhi si scontrarono con
quelli di Ryan. I suoi occhi sorridevano. L’avevo capito anche nella
penombra del locale. Fece per avvicinarsi, ma Pete mi sequestrò, portandomi
sulla pista per ballare una canzone anni 80 remixata fino alla nausea.
Rimasi
per una mezz’ora buona, accerchiato da Pete e Gabe, che aveva sentito il
richiamo delle danze. Quello che stavamo facendo sembrava più un ménage à
trois, che un ballo, ma mi stavo divertendo e avevo recuperato il terzo drink
senza neanche chiederlo. Sentivo lo sguardo di Ryan bruciare su di me. Era
strano come mi guardava perché non riuscivo a capire a quel tipo di emozione
appartenesse quell’espressione.
Gabe
venne strappato via dalla pista dalle mani gelose di Bill che sorreggevano un
Bloody Mary, Pete invece fu acciuffato da Ryland e Nate per un trenino
assurdamente fuori luogo.
Rimasi
solo e mi appoggiai a uno dei tavoli liberi che accostavano la pista. Anche se
gli davo le spalle sentivo su di me ancora i suoi occhi.
Cosa
voleva ancora non lo sapevo.
Ma
la sensazione non era più piacevole, perché ero percorso da una certa ansia che
mi faceva tremare le mani.
Spencer
mi si avvicinò, porgendomi una tequila e sorridendomi comprensivo.
“Credi
stiano insieme?” mi chiese, riferendosi a Ryan e Nick, ancora intenti a
confabulare.
“No,
Ryan mi ha detto che si sono lasciati.” Dissi, senza evitare che il mio
cuore si esibisse in una lunga capriola felice.
“E
non ti rode il fatto che l’abbia scoperto con lui la sua
omosessualità?” chiese.
“Vuoi
la verità?” iniziai, finendo la mia Tequila in un sol sorso. “gli
strapperei entrambe le palle.” Ringhiai, stringendo i pugni.
“ma non ce ne farei nulla, non so se capisci il senso.” Spencer mi
guardò malissimo per un attimo, poi sbuffò.
“E’
tutto il pacchetto Ross che ti serve, non solo gli attributi.” Esclamò
ridendo e io annuii. “perché non te lo prendi allora?” chiese,
mentre sgranavo gli occhi.
Lui
parlava come se tutto fosse semplice, a portata di mano, ma
nulla è semplice quando c’è il cuore di mezzo.
“Eh
Bden, che ne dici di un giro qui fuori?” Ryan era arrivato
all’improvviso e quasi non avevo sentito la sua mano posarsi
nell’incavo della mia schiena. Guardai Spencer che con sguardo eloquente
mi diceva di andare e io meccanicamente annuii, seguendolo fuori dal locale.
Prima di uscire guardai Nick, che mi sorrise allegramente dietro il suo drink.
Ryan
si chiuse il cappotto freneticamente, avvolgendosi la sciarpa al collo. Io
avevo caldo, forse per tutti i drink scolati precedentemente e mi lasciai il
soprabito aperto, iniziando a camminare al suo fianco.
Ho
sempre pensato che il silenzio fosse la più alta forma di sincerità in una
conversazione. Non ci sono parole di mezzo, ma solo realtà che si sprigionano
in gesti o che prendono forma dagli occhi. Ci sono solo anime che comunicano
senza bisogno d’altro.
Avevo
un disperato bisogno di abbracciarlo, di sentire quel suo buon profumo e di
ricordare quanto morbidi erano i suoi capelli, ma c’era sempre quella
parte del mio cervello che non faceva altro che ricordarmi tutto il male che
quel cretino mi aveva fatto.
Era
sempre lì che si finiva, no?
Non
riuscivo proprio a dimenticare.
Quando
mi sarei fidato di lui ancora? Non lo sapevo. Non ero certo nemmeno di quello
che facevo o del perché stavamo camminando in silenzio da dieci minuti buoni.
“Ryan?”
lo chiamai e lui si riscosse da chissà quale pensiero, voltando il capo verso
di me.
“Dimmi.”
“Cosa
vuoi da me?” chiesi, fermandomi e ficcando le mani in tasca.
Guardai
la bocca di Ryan aprirsi un paio di volta, prima di cominciare ad essere
martoriata con i denti, infine scrollò le spalle e un’espressione
rassegnata si fece largo sul suo volto.
“Non
lo so…”
Chiusi
gli occhi e sospirai, tornando a camminare. “Allora perché hai
organizzato tutto questo?” chiesi facendo un gesto plateale con la mano.
“Vuoi
che sia sincero?” strillò a un certo punto, le lunghe dita infilate fra
le ciocche dei suoi capelli.
“Sarebbe
la tua prima volta presumo!” insinuai, ma lui non rispose alla
provocazione. Rimase zitto per un minuto che giudicai interminabile, poi si
accostò a me appoggiando la fronte sulla mia e il suo dolce profumo mi invase,
circondandomi. Ne uscii stordito.
“Non
sono bravo con le parole.” Iniziò.
“Sì
che lo sei, scrivi poesie in quei cazzo di testi!”
mi agitai, senza però avere la forza di muovermi di un solo millimetro. Vidi la
sua bocca sottile stendersi in un sorriso.
“Sì
è vero… ahi!” urlò dopo un mio pizzicotto sul braccio.
“E
il premio per la modestia va a Ryan Ross!” borbottai. Ryan incatenò i
suoi occhi hai miei e quasi boccheggiai dall’intensità di quello sguardo.
“Sono
innamorato di te.”
L’emozione
che provai fu come celebrare Natale, capodanno e Pasqua lo stesso giorno. Avrei
voluto pizzicarmi per costatare di essere sveglio e non fare uno dei miei
soliti sogni, ma ero talmente bloccato da non riuscire nemmeno a sbattere le
ciglia. “non so come l’ho capito, ma è così, lo è sempre stato,
davvero non sto mentendo o altro io… lo giuro…” balbettò,
preso dal panico. “ti prego di qualcosa. Qualsiasi cosa, la prima che ti passa per la testa, ma per favore
dilla!” ma io continuai a rimanere zitto. “lo sapevo che non
dovevo fare di testa mia, Nick me l’aveva detto che era troppo
presto!” lo sentii inveire, cominciando a girare in tondo come un
invasato, poi mi afferrò le spalle e tentò un sorriso. “Senti facciamo
finta che nulla di tutto questo è avvenuto, okay?” annuì addirittura alle
sue stesse parole.
“Oh
Cristo…” sussurrai, tornado a sbattere le
ciglia. Mi allontanai da lui di qualche passo, evitando accuratamente di
guardarlo in viso.
Aveva
detto di amarmi?
Ryan
pov
Avevo
appena vinto il premio per il miglior coglione di sempre.
Cosa
mi era saltato in mente? Perché poi? Stava andando tutto bene, la serata,
l’alcol, i vecchi ricordi, la passeggiata, ma no, se Ryan Ross non fa una
troiata non può ritenersi contento.
“Oh
Cristo…” borbottò, allontanandosi da me.
Beh,
almeno aveva ripreso l’uso della parola. Ma sapevo che comunque non era
un buon segno.
Così
scappai.
Sul
serio, lo feci.
Cominciai
a camminare sempre più velocemente, allontanandomi rapidamente dalla faccia
sconcertata di Brendon.
Oh,
che uomo che sei Ross.
Forse
mi riteneva un matto, più di prima probabilmente. Pescai l’
I phone dalla tasca dei Jeans e feci velocemente il numero di Nick.
“Nick,
ho combinato un casino!” praticamente urlai, continuando a correre e a
scontrarmi con la gente.
“Non
dirmi che l’hai violentato?!” strillò lui
di rimando e io sbuffai.
“Non
è l’ora di scherzare, White! Ho
detto quello che non dovevo dirgli!” sbottai “ora torno a casa,
appena puoi, mi raggiungi, per favore?”
Nick
acconsentì e mentre raggiungevo casa, fui grato che Brendon non mi avesse
seguito.
Probabilmente
era ancora lì fermo, sul marciapiede, con la bocca aperta.
Raggiunsi
casa in poco tempo, e appena chiusi la porta alle mie spalle, mi accasciai su
di essa, portandomi le mani ai capelli e rannicchiandomi a terra.
Casini
su casini. Era solo quello che sapevo fare.
Cos’era
poi che mi aveva spinto a dirgli che… quello insomma.
L’atmosfera?
O la mia totale deficienza?
Hobo
si avvicinò a me timorosa, poi fece in modo che potesse accoccolarsi sulle mie
gambe. Mi guardò con quei occhi lucidi e brillanti e le concessi delle carezze
dolci sul muso.
“Se
non ci fossi tu, non saprei che fare…” le sussurrai, baciandole il
pelo morbido. Hobo abbaiò allegra, facendomi ridere.
Avevo
deciso di accamparmi lì, seduto contro la porta a farmi coccolare
dall’unica donna della mia vita, ma il campanello suonò ripetutamente,
facendomi sbuffare e rivedere interamente i miei piani per iniziare una lunga e
travagliata depressione.
Mi
ero quasi dimenticato di Nick, che ero sicuro fosse l’unico capace di
darmi un po’ di conforto. Lasciai andare Hobo che sfrecciò nella sua
cuccia a giocare con qualche animaletto di pezza.
Spalancai
la porta dell’appartamento, dopo aver aperto il portone e strisciai in
camera senza accogliere Nick come un bravo padrone di casa. Mi buttai di peso
sul letto, accennando a qualche mugugno, mentre sentivo la porta chiudersi nell’ingresso.
Aspettai
l’entrata di Nick con la faccia schiacciata sul cuscino, che mi impediva
quasi di respirare. Avevo voglia di urlare fino a perdere la voce.
Avevo
fatto la figura più patetica e meschina di un’intera vita.
I
passi di Nick risuonarono per la stanza e lo sentii sedersi sul bordo del letto
e sospirare.
“Dillo
che sono un cretino, detto da te suona meglio.” Dissi, stringendo le
coperte, fino a sentire le dita intorpidite. Nick non rispose subito e rimasi
nell’attesa di una sua risposta, mentre sentivo gli occhi riempirsi di
lacrime per la frustrazione. “Nick per favore di qualcosa o giuro che mi suicidio come il peggior emo sulla faccia della
terra!” strillai, la voce attutita dal cuscino.
“Sei
un cretino, un grandissimo cretino. Il peggiore a dirla tutta.”
Mi
alzai talmente velocemente che fu una fortuna non prendere uno strappo al collo
o non svenire per il capogiro.
Il
fatto che, seduto sul mio letto non c’era Nick White,
ma Brendon Urie, non giovava certamente al mio stato mentale.
Lui
mi stava fissando con un sorrisetto dolce sulle labbra piene e gli occhi erano
rossi e lucidi, ma troppo sfuggenti per riuscire a catturarli con i miei.
“Che
ci fai qua?” balbettai, cercando un contegno che avevo oramai perso da
troppo tempo.
Brendon
scosse le spalle, guardandosi intorno. “Non avevo mai visto casa
tua…” disse invece, posando gli occhi sulle tende bianche. “è un bel posto.”finì,accennando
un sorriso.
“Grazie,
come sei riuscito a trovarmi?” domandai.
“Il
tuo amico è venuto a cercarmi e mi ha detto che vivi qui.” Rispose,
scrollando nuovamente le spalle.
Nick.
Non
sapevo se ucciderlo o riempirlo di baci. Tutto dipendeva dall’andamento
della serata.
“Capisco.”
Sospirai e osservai Brendon alzarsi in piedi e prendere a falciare la stanza
velocemente.
“Non
stavi mentendo, vero?” sbottò a un certo punto. “ti prego dimmi che
non lo stavi facendo.” Aveva un’espressione quasi disperata e i
suoi modi teatrali di fare non erano cambiati per nulla.
“Non
stavo mentendo.” Risposi, mettendoci tutta la sincerità che possedevo per
provargli quanto quelle parole erano vere.
Brendon
prese un lungo respiro e chiuse gli occhi. “Come faccio a
crederti?”
“Puoi
anche non farlo, è normale non credere alle mie parole dopo tutto
quello che ti ho fatto passare!” esclamai, stupendomi della mai stessa
onestà nel dire quelle cose.
“Già.”
Sbottò, massaggiando le palpebre chiuse con la punta delle dita. “ti… ti credo.” Soffiò poi,
le guance rosse e gli occhi finalmente puntati su di me.
“Quindi…”
iniziai, sedendomi compostamente sul letto, Brendon fermò il mio intento e
scosse il capo.
“C’è
Ariel. Io… gli voglio molto bene.”
“Ma
ami me, no?” Brendon mi gelò con lo sguardo e io mi morsi la lingua per
evitare di parlare ancora.
“Potresti
evitare di essere così schietto?!” strillò prima
di sbuffare a avvicinarsi a me con un paio di passi. Mi puntò il dito contro,
arcuando le sopraciglia in un’espressione contrariata. “devi
smetterla di uccidermi tutte le volte. Ho già rischiato il collasso una volta,
non vorrei ripetere!”
“Scusa…”
borbottai.
Vidi
in un attimo i suoi occhi addolcirsi e la sua mano afferrare la mia per
posarsela sul petto. Il suo cuore batteva così forte, che sembrava stesse per
scoppiare. Alzai lo sguardo per osservarlo meglio, mentre le sue dita accarezzavano
dolcemente il dorso della mia mano. Si chinò solo un po’ per riuscire a
fare incontrare le nostre fronti e restammo in silenzio per un po’, le
sue labbra troppo vicine per essere ignorate.
Le
mordicchiava piano e la voglia di afferrarle era talmente tanta che dovetti
distogliere lo sguardo.
“Cosa
devo fare con te?” sussurrò, allungando la mano, che era ancora posata
sulla mia, per accarezzarmi le gote.
Non
gli risposi perché ero troppo intento a scollegare il cervello e cercare le sue
labbra con le mie.
Brendon
sussultò un attimo, stringendo la presa sul mio viso.
Io
avevo solo socchiuso le palpebre e da lì potevo notare i suoi occhi neri e
lucidi pieni di stupore.
Non
si scostò.
Mi
staccai da lui dopo secondi di paradiso.
Sperai
di non aver fatto una cavolata, sperai di non essere preso a pugni e di non
uscire dalla sua vita.
Il
solo contatto lieve con le sue labbra mi aveva dato l’ennesima certezza
che stare con lui era la sola cosa che desideravo.
Brendon
tornò a mordersi le labbra, passandoci lievemente la lingua per inumidirle e
poi sorrise.
E
lo feci anche io, allungando le mani per infilarle fra i suoi capelli un
po’ secchi a causa del gel.
“Che
c’è?” mormorai, cercando di non mostrare la lieve nota di panico
che aveva preso piega dentro di me.
“Nulla.”
Fu la sua risposta e si allungò quel tanto che bastava per riposare le labbra
sulle mie.
Quella
seconda volta chiuse gli occhi, inclinando il capo per potermi baciare meglio.
Giudicarlo il paradiso era quasi riduttivo. Sentivo già di non riuscire più
fare a meno di quelle emozioni e di tutto quello che Brendon riusciva a
trasmettermi con un solo bacio.
****
Scusate il
tremendo ritardo, spero che queste vacanze siano andate bene e auguro a tutti
un buonissimo inizio dell’anno, anche se in ritardo!
Ringrazio chi
ha letto, ma soprattutto chi ha recensito, Annabellee grazie infinite cara!
E voi che leggete solo? Un commentino me lo
lasciate?
(noticina:
c’è un piccolo pezzo, all’inizio del secondo pov di Brendon che è
in corsivo, si tratta di un pensiero al presente! )
Brendon pov
Non
rividi Ryan fino a Natale, dopo quella volta. Non era successo altro. Solo un
bacio, forse troppo breve, dentro quella stanza, che avevamo deciso di
dimenticare. Era giusto così, perché non c’era nessun futuro da poter
condividere insieme. Poi c’era Ariel che era ancora la persona con cui
dividevo letto e cuore.
Prima
di andarmene da casa sua avevo giurato a me stesso di non cascarci più. Ryan
non aveva obbiettato, limitandosi ad annuire qualche volta e restare ad
ascoltare le mie parole in silenzio.
Aveva
confessato di essere innamorato di me e nonostante gli avessi detto che credevo
alle sue parole, era così difficile provarci.
Avevo
detto di credergli e infatti era così, ma tutto era
strano, nuovo. C’era quella sorta di timida consapevolezza di non essere
più solo a provare un sentimento tanto grande, quanto irrimediabilmente
difficile.
Pensai
addirittura di fargli provare lo stesso dolore che avevo sentito io, le stesse
sensazioni di vuoto e incertezza che mi avevano accompagnato per mesi. Però,
pensandoci non sarebbe stato giusto o abbastanza maturo.
“occhio
per occhio, dente per dente” no? Ma quanto sarebbe servito?
A
nulla perché non era la sua sofferenza che mi avrebbe fatto stare meglio.
Quella
sera, in quella stanza, non c’erano certezze, la ragione aveva preso una
strada differente e il cuore aveva combinato il più dolce dei casini.
Non
scorderò mai più la sensazione della pelle liscia delle sue guance sotto il
tocco delle mie mani o la sua bocca in cerca della mia.
Avevo
perso così tanto tempo a immaginarlo che farlo davvero era assolutamente
un’altra cosa.
Sospirai
per l’ennesima volta guardando con sguardo perso fuori dalla finestra, in
mano una tazza di cioccolata calda, oramai fredda.
Spencer
mi osservava con un cipiglio inarcato dal divano, dov’era seduto insieme
a Bill e alla piccola Genevieve e commentavano il mio attuale stato da morto-che-cammina-e-si-limita-a-sbuffare-come-una-locomotiva.
“E
io mi chiedo come fa Ariel a non accorgersi di nulla!” commentò il mio
batterista, scuotendo la testa e sprofondando nel divano chiaro di William.
“Che
ci vuoi fare, è un ragazzino e i ragazzini sono così ottusi di questi
tempi!” commentò Bill, rigirandosi un boccolo biondo della figlia fra le
dita, mentre questa si assopiva sul petto del papà.
“Smettetela di prenderlo per il culo, Brend sta attraversando
una brutta fase della sua vita! Gli ci vorranno, mesi se non anni per
riprendersi e capire cosa cazzo vuole!”esclamò
Gabe, togliendomi dalla mani la tazza di cioccolata per porgermene
un’altra che iniziai a sorseggiare.
Mugugnai
un grazie, guardando male tutti.
Eravamo
scappati a Chicago per incontrare Pete e avevamo approfittato per andare a
trovare quella coppia di fottuttissimi novelli sposi.
Lì
invidiavo da morire.
Loro
e il loro amore eterno, il loro matrimonio a Las Vegas, la loro carriera ancora
perfettamente intatta e la loro casetta da telefilm americano!
Ringhiai
e Gabe mi picchiettò sulla testa con la mano un paio di volte, prima di mettersi
al pc per trafficare con twitter.
Ringraziai
il cielo per la possibilità di buttarmi totalmente nella musica, nei pochi
giorni che restavano al Natale. Avevamo in programma diversi concerti in
zona e poi sarei ritornato a Los Angeles per passare il Natale con Ariel.
A
casa non potevo tornarci, visto che non ero molto gradito.
O
forse l’avrei passato con Pete e la sua di famiglia, visto che a quanto
pare si era divertito a dire in giro che mi ero fidanzato con Ariel.
In
realtà avrei fatto di tutto pur di non pensare ad Ryan.
“A
proposito di ragazzini, dove si è cacciato Ariel?” chiese Bill, con un
sorrisetto.
“E’
rimasto da Pete, lo raggiungiamo dopo.” Borbottai io, riuscendo a finire
la cioccolata calda prima che si raffreddasse del tutto.
“Lui
non sa nulla vero?” domandò Spencer, alludendo all’incontro
piuttosto ravvicinato avuto con Ryan. Arrossii, mentre alla mente mi ritornava
quel bacio, e mugugnai frustrato. “bene, direi proprio di
no…” aggiunse ridendo della mia espressione.
Nemmeno
Pete lo sapeva.
Solo
loro tre erano venuti a conoscenza di quello che era successo tra me e Ryan una
volta usciti dal locale.
Non
l’avevo detto a Pete solo per non vedere il suo autocontrollo esplodere
come una bomba.
E
poi non sarebbe rimasto zitto nemmeno per tutto l’oro del mondo, di cui
tra l’altro non aveva assolutamente bisogno.
Dovevo
capire e pensare.
Me
lo meritavo no, un po’ di tempo per farlo?
Nonostante
sapessi dei sentimenti di Ryan nei miei confronti, c’erano ancora un
sacco di cose che mi impedivano di correre da lui.
E
non parlo solo di Ariel o della mia paura.
“Non
lo considererei nemmeno un tradimento!” bofonchiò William, coprendo
Genevieve con una coperta di pile.
“Ah no? Tu credi che infilare tre metri di lingua in
gola a qualcuno che non è il tuo compagno non sia tradimento?!”
strillai io, cominciando ad agitarmi.
“Che
c’entra! Io bacio un sacco di gente quando sono sul
palco!” ribattè Beckett. “insomma quando c’è la voglia
perché reprimerla?”
“Ben
detto amore!” commentò Gabe, mandandogli un bacio.
“Peccato
che c’era quel sentimento chiamato amore, in mezzo a tutta quella
faccenda!” strillai, posando la tazza sul tavolino per evitare di
mandarla in frantumi dal nervoso.
“Touchè!”
disse Bill, ridacchiando per un attimo.
Odiavo
il loro essere così placidi e tranquilli, mentre
dentro di me era in atto la terza e la quarta guerra mondiale! Tutte insieme!
Uscii
da quella casa senza nemmeno salutare, con le risate di Bill e di Spencer che
mi perforavano l’orecchio tanto erano fastidiose.
A
Chicago faceva piuttosto freddo e affondai il naso nella sciarpa e
rabbrividendo rumorosamente.
Fanculo
a loro e al mio cervello che pensavo fottutamente troppo.
E
fanculo anche al mio cuore.
Che
aveva bisogno ancora di quel calore e di quella sensazione di pace e di
completezza provata assieme a lui.
Stavo
totalmente impazzando.
Mi
guardai un attimo in torno prima di iniziare a camminare e a trafficare con
cellulare. Le dita mi tramavano , un po’ per il
freddo, un po’ per agitazione. Composi frettolosamente il numero di Ryan,
mentre mi agitavo per richiamare un taxi.
Non
avrei concluso nulla restando lì a rimuginare su quanto accaduto. Dovevo
affrontarlo, tirare fuori le palle per una volta.
“Ryan? Sto arrivando da te. Dobbiamo
parlare.” Esclamai, senza nemmeno accennare a un saluto.
“Bden? Ma, non sei a Chicago?” rispose, lui, la voce impastata di sonno.
“Sì,
prendo il primo volo per Los Angeles.” Affermai, salendo sul taxi.
“Mi
preoccupi, Brendon.” Feci una piccola risata.
“Dovresti conoscermi abbastanza da sapere che sono il Re
delle decisioni prese all’improvviso. A dopo.”
Riagganciai con un sorrisetto sulle labbra mentre il taxi si dirigeva verso
l’aeroporto.
Avrei
messo nei casini un sacco di persone, ma non mi importava, Ryan in quel momento
era tutto ciò che mi interessava.
Ryan pov
Rimasi
a fissare il cellulare per un po’, totalmente attonito.
Brendon
avrebbe preso il primo volo per Los Angeles.
Perché?
Cosa voleva dirmi? Addio e tante belle cose?
Mi
alzai dal letto, pescando a caso i boxer che la sera prima erano finiti a terra
senza tanto riguardo. Tornai a sbuffare, scuotendo le spalle di Sheila, la
ragazza che la sera prima avevo rimorchiato in un bar, per svegliarla.
“Senti
devi andartene.” Le dissi, vestendomi velocemente e buttando a casaccio i
suoi vestiti sul letto.
“Ma
sono solo le sette” mugugno questa,
l’eye-liner tutto sbavato sulla faccia.
“Lo
so, ma ho un impegno importante e quindi devi andartene.” Borbottai, non
trovandola più tanto bella ed elegante.
Lei
si alzò e camminò nuda e senza vergogna verso il bagno dove si sciacquò la
faccia e rimise il vestito succinto della sera prima.
“Hai
fatto? Bene, allora ciao eh!” bofonchiai ritrovandomi
quasi a spingerla fuori dalla porta. Le si sistemò un attimo i lunghi
capelli biondi e mi guardò in viso con la pretesa di un bacio che mai le avrei
dato.
Mi
riservò un’occhiataccia e qualche parola, prima di sparire. Cosa voleva
dire quel: “Sei veramente come dicono tutti!”
Ero
riuscito a crearmi una reputazione da maschera di ghiaccio? Non mi interessava
molto del giudizio della gente. Non mi importava di nulla che non fosse me
stesso e le persone a me care, il resto poteva benissimo fottersi.
Quella
mattina feci tutto con il cuore in gola, cambiai le lenzuola e mi feci una
doccia per togliermi di dosso l’odore di sesso e il profumo dolce di
quella sciacquetta.
Brendon
arrivò solo nel primo pomeriggio e non permise nemmeno che lo andassi a
prendere in aeroporto.
Rimasi
ad aspettarlo, in mano una tazza di caffè che non bevvi affatto.
Ero
talmente agitato che non riuscivo a pensare a nulla di coerente. Hobo mi
guardava incuriosita dal suo angolo, il capo inclinato e la coda scodinzolante.
Avrei
pagato oro per essere calmo almeno quanto lei.
Il
citofono suonò ed ero così in tensione che per lo spavento rovesciai un
po’ di caffè sulla moquette.
Era
arrivata l’ora.
Anche
se detta in quel modo, aveva un non so che di macabro.
Imprecai
sottovoce, leccando alcune gocce di caffè finite sulla mano, mentre mi affrettavo
ad aprire.
Rimasi
fermo davanti alla porta, sentendo i suoi passi salire frettolosamente le
scale.
Appena
me lo ritrovai davanti non feci in tempo a dire o a fare nulla che lui mi
attirò in un abbraccio che mi mozzò il respiro. Rimasi con le braccia lungo i
fianchi per un po’, mentre le sue mi stringevano dietro la schiena e le
sue mani mi afferravano il maglione. Lo sentii sorridere sulla mia spalla,
mentre strofinava il naso sul mio collo.
“Hai
avuto compagnia…” mormorò.
Bofonchiai
qualcosa e lui ridacchiò. “non è certo un problema.” Finì per
precisare, mentre io mi rilassavo nell’abbraccio e le mie mani finirono
ad accarezzare i suoi capelli neri. “è solo troppo dolce…”
mugugnò, prima di baciarmi la base del collo.
Era
così strano stare in quella posizione, dopo tutte le sue parole.
Ma
si sapeva, Brendon era uno che amava parlare senza pensare, certo che non lo
facesse nemmeno apposta.
Ero
anche sicuro che, molto probabilmente, non sapesse ancora cosa fare e cercava
in fretta la risposta.
Ero,
in un certo senso, fortunato. Non perché sapevo già quello che volevo, ma solo
perché non avevo l’impiccio di un altro legame.
Pensai
un attimo a Nick, che continuavo a tralasciare e a mettere in secondo piano.
“Brendon,
siamo sulla porta, possiamo andare di là?” chiesi, mentre lui di tutta
fretta chiudeva la porta il piede, sfilandosi il giaccone e la sciarpa e
appoggiandoli malamente sull’attaccapanni, tanto che caddero poco dopo.
Brendon non ci fece caso e tornò ad abbracciami, come
se non lo facesse da tempo. Ed era vero, il nostro continuo cercarci i quei
anni ci avevano donato una totale dipendenza dei nostri abbracci.
Ancora
mi era impossibile capire come avevo fatto a resistere così tanto, senza il suo
corpo caldo contro il mio.
Brendon
si staccò giusto un poco per poter spostare le sue mani sul mio viso e
sorridere come se fosse incantato.
“Sembri
un maniaco con quella faccia!” commentai, senza evitare di ridere della
sua espressione.
“Tu
sì che sai distruggere questi momenti perfetti, Ryro!” esclamò ridacchiando,
pizzicandomi lievemente una guancia.
Lo
fissai come incantato per un momento che sembrò quasi infinito, rischiando
seriamente di piangere.
Okay
non esattamente, ma mi emozionai.
Fu
bellissimo sentire di nuovo quel nomignolo tutto speciale che prendeva
significato solo se detto dalle sue labbra.
“Che
c’è?” chiese, inclinando lievemente il capo.
“Dillo
ancora.” Ordinai, sorridendo.
“Cosa? Che sei un rovina
momenti perfetti?” ridacchiò e io negai.
“L’atra
cosa.” Borbottai agitando le mani.
Chiusi
lentamente gli occhi, mentre il suo volto si avvicinava al mio fino a che le
sue labbra non furono a un soffio dalle mie.
“Ryro?”
mormorò dolcemente.
Mi
limitai solo a porre fine alla distanza fra le nostre labbra, cercando di
trasmettergli tutto quello che in quel momento stavo sentendo.
Gli
afferrai le spalle quasi con disperazione, avvicinando ancora di più il suo
corpo al mio.
Avevo
paura, una paura matta che potesse cacciarmi e tornare dal suo ragazzo.
Invece
sospirò sulle mie labbra, aprendole docilmente alla mia lingua che aveva preso
a ricalcare la linea morbida e perfetta della sua bocca. Il suo sapore così
nuovo per me, mi inebriò al tal punto che venni
percosso da brividi piacevoli in tutto il corpo.
Fu
così intenso che cercai con tutte le mie forze di non cadere a terra, mentre
lui mi trascinava lentamente verso la mia camera.
Viaggiammo
alla cieca per un po’, finchè Brendon non mi sospinse leggermente contro
lo stipite della porta, staccandosi un attimo per riprendere fiato e infilare
una gamba fra le mie cosce.
“Non
doveva succedere questo…” lo sentii mormorare. “almeno non
subito.”
“Non
lamentarti… va bene così.” Lo rimproverai, dopo un altro bacio.
“ c’è tempo per parlare.”
Affondò
il viso nel mio collo e lo sentii mormorare in assenso, mentre le sue mani
scendevano lungo la mia schiena.
“Okay,
Ryro…”
Brendon pov
Andare
lì e parlare. Era quello che dovevo fare no? E allora perché diamine gli stavo
succhiando la faccia sdraiati sul suo letto, invece che stare seduti, sul
divano per esempio, a discutere civilmente di quello che stava succedendo?
Nulla
però in questo momento sembra più giusto delle sue braccia e delle sue labbra
su intorno a me, su di me. Allora cervello, per favore, disattivati, se vuoi
eclissati, ma smetti di farmi pensare a tutte queste cose negative.
Ho
deciso che pensare porta più guai che benefici.
Era
tanto tempo che non mi rivolgevo a lui con quel nomignolo. Non l’avevo
fatto di proposito, era uscito dalle mie labbra con una spontaneità così
impensabile che rimasi sorpreso anche io. Fu la cosa migliore che feci, perché
Ryro si avventò su di me con una passione tale da lasciarmi totalmente
spaesato.
Non
durò molto e presto mi ritrovai catapultato sul suo letto in un groviglio di
gambe e braccia intrecciate e di bocche che non avevano intenzione di
sciogliersi.
Avevo
mandato il cervello a fare un viaggio e dato al mio cuore le redini del mio
corpo.
Poteva
farci quello che voleva.
Mi
staccai dalle labbra di Ryan solo per seguire la linea della mascella e
affondare la bocca nel collo, mordendo lievemente. Lo sentii sussultare e
infilare una mano nei miei capelli per poterli tirare leggermente e richiamarmi
per un bacio umido e diverso da quelli, quasi insicuri, che c’eravamo
scambiati precedentemente.
Si
mosse leggermente per riuscire a farmi spazio fra le sue gambe che intrecciò
con velocità intorno ai miei fianchi. “Ora, non potrai più
scappare.” Mi soffiò sul viso, sogghignando.
“Non
ho alcuna intenzione di farlo…” gli mormorai, tornando a baciarlo e
a trafficare con la zip del suo maglione dannatamente
hippie.
Glielo
sfilai con lentezza, tastando strati di pelle che mai avrei immaginato di
esplorare. Ricalcai con i polpastrelli la visibile sporgenza delle costole,
togliendogli diversi sospiri. Mi concentrai sul delizioso ombelico che
capitanava sulla sua pancia piatta, fino a lasciare un lieve segno sulle ossa,
dannatamente eccitanti del suo bacino lievemente sollevato. Ne approfittai per cingergli
la vita con le mani e tirarlo a me, mentre lui armeggiava con i bottoni dei
jeans, per arrivare dritto al punto. Ma io non volevo che finisse tutto in
fretta.
Erano
anni che desideravo fare l’amore con lui e non volevo che tutto finisse
in una sveltina per appagare i sensi.
Volevo
fosse diverso.
E
poco importava se sembravano pensieri d’adolescente.
Gli
baciai il centro del petto, riuscendo a distinguere benissimo i battiti
accelerati del suo cuore e il suo respiro rumoroso. Mi concentrai a vezzeggiare
la pelle liscia con la lingua e le labbra, mordendo, succhiando e baciando per
quelli che sembravano solo pochi secondi, finchè Ryro non mi richiamò con voce
supplichevole. Alzai lo sguardo per osservarlo bene in viso, che era lievemente
rosso dall’eccitazione e dall’impazienza.
Era
la perfezione. Avrei voluto vedere il suo viso stravolto e appassionato per
sempre.
Per
quella prima volta, nemmeno una volta Ryro riuscì a
prendere le redini di quel gioco meraviglioso. Lo spogliai lentamente,
tracciando ogni più piccola parte del corpo. Finchè non me lo ritrovai nudo e
splendido, che artigliava i miei abiti per togliermeli. Non mi aprì del tutto
la camicia che mi ritrovai a sfilare e lanciarla chissà dove dietro di noi.
Sentii per lunghi minuti le sue dita sul petto che tastavano eccitate i muscoli
tonici. Guardai Ryro con un sopraciglio sollevato, ghignando maliziosamente.
Quando
fummo entrambi privi di ogni indumento, me lo tirai addosso, ribaltando le
posizioni. Appoggiai la testa sul cuscino, mormorando parole sconnesse sulle
sue labbra, mentre lentamente entravo dentro di lui.
È
difficile da spiegare, perché anche oggi non ho ancora ben chiaro
cosa stava succedendo nella mia anima in quel momento.
Capii
solo che quella sensazione di completezza, di felicità si raggiungeva solo
facendo l’amore.
Osservai
come incantato il viso rilassato di Ryro che diventava sempre più rosso e la
pelle cominciava a ricoprirsi di una leggera patina di sudore, quando le mosse
accelerarono. Tornai a ribaltare la posizione dopo un lento e dolce dondolio
pieno di dolcezza e passione, ritrovandomi ancora una volta incatenato da
quelle gambe e da quelle braccia calde e forti. Cercai la sua mano quasi con
disperazione, intrecciando le sue dita e baciandone il dorso con riverenza
assoluta. Non la lasciai finchè i sensi non ci lasciarono stravolti, soffocando
urla e gemiti in un bacio.
Lo
guardai in viso e lo trovai con gli occhi socchiusi e il sorriso più bello del
mondo solo per me.
“Se
sapevo prima cosa si provava a fare l’amore, non avrei atteso così tanto
per ammettere di amarti.” Sussurrò, abbandonando il capo
all’indietro, mentre io con la mano libera gli scostavo le ciocche umide
di sudore dalla fronte.
“Mannaggia
a te, tutto tempo perso!” scherzai, tornando a rubargli le labbra per un
bacio languido.
Ero
totalmente rilassato, come catapultato in una dimensione parallela che aveva le
sembianze di un letto comodo e del corpo accogliente di Ryro. Mi scostai da lui
e mi misi al suo fianco, tirando su le lenzuola e la coperta pensate,
accarezzandogli con le mani le gambe che erano scosse da un lieve tremore.
Osservai la stampa chiara delle lenzuola e sorrisi.
“Ho
ancora le tue lenzuola.” Mormorai fra i suoi capelli. Lo sentii
irrigidirsi e mordicchiarsi un labbro. “ehi, è tutto okay.”
“Sono
stato un bastardo.” Commentò. Io alzai gli occhi al cielo.
“Oh
no!” dissi. “sei stato molto peggio!” aggiunsi. Lui sbuffò e
si rigirò per abbracciarmi il busto. Mi baciò la mascella per un dolce attimo,
mentre i suoi occhi cioccolato mi osservavano con la più riuscita espressione
da cane bastonato. Dovetti distogliere lo sguardo per non cedere.
“Potrei
mai perdonarmi?” sussurrò, sfarfallando le ciglia in modo esagerato,
facendomi ridere.
“Non c’è nulla da perdonare, Ryro. Abbiamo fatto
degli errori, gli abbiamo commessi insieme.” Lui
annuì e tornò a sospirare.
“Che
facciamo ora?” chiese dopo qualche minuto di beato silenzio.
“Per
favore Ryro non rovinare questo momento.” Sbottai, alzando le braccia e
sventolando le mani. “è troppo presto per tornare alla realtà!”
bofonchiai poi, tornando a rannicchiarmi fra le sue braccia.
Lui
sorrise e mi baciò la testa.
Non
avevo assolutamente voglia di affrontare il mondo fuori da quella stanza.
Ryan pov
George
Ryan Ross III era felice.
Non
in senso relativo certo. Non era come comprare una chitarra nuova o i biglietti
per un concerto desiderato.
Ero
felice nel vero senso della parola. Brendon era al mio fianco, lo volevo da
sempre, lo amavo, lui amava me. Tutto era praticamente perfetto, così perfetto
da far quasi schifo alla gente a dirla tutta. Forse c’era troppa
perfezione dell’aria e capitolammo nella realtà come se fossi stati
scaraventati a terra.
Brendon
si alzò dal letto poche ore dopo, sul viso un’espressione dispiaciuta,
mentre cercava il suo cellulare,che, uscito dalla
tasca dei jeans, era volato sotto il letto. Lo raccattò e ancora nudo si
sedette a gambe incrociate sul letto contando le chiamate perse e i messaggi
ricevuti.
“Tre
chiamate perse da Ariel, una da Spencer e due da Dallon e dieci di Pete.”
Elencò, grattandosi la testa arruffata. “ah! Senza contare i tre messaggi di minaccia di morte!” esclamò.
“senti questo: Brutto figlio di una donna mormone, dove cazzo solo le tue
chiappe? Se ti prendo Bdon ti do fuoco alle palle!”
ridacchiò. “questo era di Pete.”
“L’avevo
in qualche modo intuito!” dissi sarcasticamente, sbuffando e portandomi
le braccia dietro la testa. “cos’hai intenzione di fare ora?”
chiesi occhieggiando il suo corpo nudo stendersi dolcemente su di me. Mi baciò
la spalla scoperta, prima di posarci sopra la testa e strofinare il naso contro
il mio collo.
“Non
vorrei muovermi da qui nemmeno per un momento…” borbottò, cercando
la mia mano per intrecciare le nostre dita. “ma devo andare, Ariel, Pete
e la band mi aspettano.” Disse in un lieve sussurro.
Io
annuii. “però ritorno presto. Appena lascio El e
accontento Pete con i concerti.” Aggiunse,
sollevando la testa per scoccarmi un bacio sulle labbra e successivamente
aprirle in un largo sorriso.
“Vuoi
lasciare Ariel?!” domandai, sgranando gli occhi.
Brendon mi guardò un attimo interdetto, sbattendo le lunghe ciglia.
“Non
dovrei?” mi chiese, un po’ confuso.
“No!”
strillai, alzandomi con i gomiti dal letto.
“Cosa?Ryan
ma ti senti quando parli?” ribattè lui.
“Non
vorrai mica lasciarlo a Natale!” Brendon rimase per un minuto buono a
fissarmi, aprendo la bocca di tanto in tanto per cercare di dire qualcosa.
“Okay, chi sei? Dov’è Ryan
Ross?” borbotto.
Perché
quando cercavo di essere carino e gentile subito le persone si preoccupavano
per la mia salute mentale?
“Non sei per nulla divertente. È
solo un ragazzino cazzo, ne uscirà distrutto!” cercai di spiegare.
“Amore, da quando ti preoccupi di Ariel? E della sua
salute psicologica?”non risposi alla
domanda e mi limitai a scuotere le spalle.
Non
sapevo perché avevo dato quella risposta. Forse mi dispiaceva veramente per
quel ragazzino o forse volevo solo che Brendon pensasse per bene a quello che
stava facendo.
Ovviamente
mi pentii immediatamente di aver costretto Brendon ad aspettare la fine delle
feste per lasciare l’australiano e tornare da me. Ma quella era
un’altra storia.
“Per
favore, vogliamo goderci il tempo rimasto prima che tu parta?” gli
sussurrai sulle labbra.
“Va
bene, ma fammi avvertire Ariel.” Acconsentì e lo sentii scivolare via dal
mio corpo per riprendere il cellulare e telefonare al suo fidanzato.
Odiai
ogni singolo momento di quella telefonata e quel tono troppo dolce che utilizzò
per parlare con Ariel.
Aveva
inventato una scusa patetica, e la sua voce era così incerta che mi fece
sorridere.
Non
sapeva dirle le bugie. E sapevo che Ariel non gli aveva creduto. Ero anche
sicuro che, molto probabilmente, avesse intuito dove fosse scappato così di
corsa il suo adorato Brendon.
Appena
la telefonata terminò, mi sorrise tornò a sedersi sul letto, sporgendosi verso
di me.
“Allora
che facciamo?” chiese. “ti va un film?”
Io
alzai un sopracciglio. “Un film? È così che le chiami adesso, le tue performance?” lui sbuffò e si
lasciò trascinare ancora una volta su di me, per tornare in quel meraviglioso
oblio che erano le sue labbra.
Fui
invaso da una strana sensazione che mi spinse a tenerlo stretto a me per lunghi
minuti, mentre ripetevamo la stessa lenta danza che a ogni gesto diventava
sempre più importante.
Qualcosa
che non avevo mai provato, nemmeno con Keltie. Qualcosa di così immensamente
sconosciuto, ma immensamente bello. Avevo paura di annegare dentro quelle
sensazioni, visto che ero sempre stato una persona piuttosto controllata e
sempre decisa a evitare i coinvolgimenti. Di qualsiasi tipo.
Ma
quando si è innamorati di una persona come Brendon, l’ultima cosa di cui
bisogna preoccuparsi è la coerenza.
Sapevo
già che sarebbe stato difficile, per i nostri caratteri così differenti e le
abitudini che non riuscivano a combaciare, ma perché condannare qualcosa quando
ha appena preso piede, se quello che riesce ad unire è solo e puro amore?
Oh
cazzo, ecco che mi trasformavo in un romanticone da attore di soap opera.
Dannato
Urie.
“Cosa
pensi?” mi chiese lui, lievemente affannato.
“Che
per colpa tua diventerò troppo dolce.” Borbottai, come se fossi schifato.
Lui rise, mordicchiandomi la pelle sotto all’orecchio, facendomi perdere
il respiro.
“Basta
pensare a cose inutili!” mi rimbeccò giocosamente, scendendo
pericolosamente verso il basso.
Smisi
di pensare sul serio.
Rotolammo
fra le coperte per ore. E finalmente riuscii a assaporare ogni singolo
centimetro di quel corpo dannatamente eccitante, senza essere interrotto dalle
sue mani o dalla sua bocca provocante.
Quando
la lancetta del suo orologio da polso segnò la mezzanotte, ogni cosa si fermò.
Restammo abbracciati. La mia schiena appoggiata al suo petto, le gambe
intrecciate. Desideravo così tanto che le lancette di quell’orologio si
fermassero, che quasi pregai Dio. Non sarebbe durato a lungo, lo sapevo io e
anche Brendon, ma cercava lo stesso di diffondermi tutto l’amore
possibile.
“Ryro?”
Brend richiamò la mia attenzione, baciandomi la spalla, mentre voltavo leggermente
la testa verso di lui per poter guardarlo negli occhi.
“Uhm?”
Mi
sorrise, per un attimo, luminosamente, posandomi un piccolo bacio sulle labbra.
“Buon
Natale.” Esclamò, lasciandomi stupito. Lanciai un veloce sguardo al
calendario per notare che era veramente il 25 dicembre.
“Buon
Natale anche a te.” risposi.
Certamente
il miglior Natale di sempre.
Mi
svegliai non so quante ore dopo, per colpa della sveglia bastarda che avevo
scordato di disattivare. Aprii gli occhi di scatto e mi voltai verso la parte
del letto occupata da Brendon.
Miserabilmente
vuota.
Sbuffai,
portandomi le ginocchia al petto.
Solo
in quell’attimo di silenzio capii che non era la sveglia a infastidirmi,
ma il rumore insistente del citofono. Mi vestii in fretta, probabilmente
mettendomi il maglione all’incontrario. Barcollai fino alla porta per
ritrovarmi il viso sorridente di Jon e quello dolce di Cassie.
“Non
ci posso credere!” esclamò appena mi vide. “hai passato la vigilia
di Natale ad ubriacarti?!” domandò, lanciandomi
addosso un pacchetto dalla carta lucida e rossa. Ne lanciò uno anche a Hobo che
prese a scartare freneticamente con le zampine.
“Oh
un felice e gioioso Natale anche a te, Jon caro!” ribattei, mentre
baciavo le guance delle sua fidanzata. “e
comunque non l’ho passato da solo.” Aggiunsi, mentre mi fiondavo in
cucina per preparare del caffè.
“Nick
è stato qui?” chiese, mentre Cassie gli picchiettava il petto per farlo
stare zitto.
“No.”
Risposi seccamente, perdendomi un attimo nei ricordi della sera precedente.
“Amore,
sta sorridendo!” lo sentii borbottare con la sua fidanzata. “altro
che bere, si è fatto di funghi allucinogeni!” alzai gli occhi al cielo,
totalmente esasperato. Non gli avrei dato certo la soddisfazione di dirgli che
avevo passato tutta la vigilia di Natale con Brendon. E sapevo che stava
morendo dalla voglia di saperlo.
“Jon,
per favore, sta zitto e lascialo parlare!” commentò Cassie, aiutando Hobo
a finire di scartare una pallina di gomma colorata.
“E’
inutile perché non gli dirò proprio nulla!” esclamai, portando in salotto
il caffè. Mentre Jon si lamentava di quanto fossi stronzo, i miei occhi caddero
sullo schienale scuro del divano, dove era ancora malamente appoggiata la
sciarpa di Brendon. Era una vecchia sciarpa che portava sempre con sé. Mi
ricordo che gliela regalò sua madre per Natale, tanto tempo fa. Aveva un buco
all’estremità che nonostante fosse stato cucito e ricucito, Brendon lo
riformava sempre quando ci giocava con le mani. Me la portai al viso,
costatando la morbidezza e l’odore dell’ammorbidente mischiato a
quello di Brendon. Sorrisi, prima di avvolgerla intorno al collo.
Aveva
un motivo in più per tornare da me.
****
Ringrazio infinitamenteB_Lady e Annabellee che hanno commentato il
capitolo precedente *-* grazie mille!
Capitolo 7 *** "Is a secret...? Maybe.... no more." ***
ryden7
Capitolo
sette
Brendon pov
Non
sono mai stato bravo con le bugie.
Ho
sempre avuto dei problemi perché la mia faccia riesce a dire la verità più
delle parole.
Così
non avevo ingannato Pete con la patetica scusa di un malore di uno dei miei
fratelli. Avrebbe anche retto se lui non avesse chiamato tutti per sapere chi
precisamente stava male.
Così
sputai tutta la verità.
Che
avevo passato la vigilia da Ryro, che avevamo fatto l’amore e che volevo
lasciare Ariel. Fu più comprensivo di quanto mi aspettassi.
Pensavo
che avrebbe dato di matto perché non avevo trattato Ariel nel migliore dei
modi, ma invece mi abbracciò, contento.
“Non che non voglia bene ad Ariel, ma non ha alcuna
possibilità di competizione. Ryan è sempre stata l’unica persona
in grado di farti felice e di farti star male allo stesso tempo. Non so se mi spiego.” Commentò,
prendendo fra le braccia Bronx.“è il solo che
riesce a renderti così. Non ti ho mai visto così raggiante o così
innamorato di qualcuno che non fosse Ryan. E quando stavi male, beh non eri uno
spettacolo.” Concluse, dandomi
un’occhiata.
Ridacchiai,
prendendo un sorso di birra e guardando la sala addobbata a festa. Era pieno di
gente, parenti e amici di Pete.
Ero
riuscito a prendere il primo volo la mattina presto, lasciando Ryan da solo.
Non avrei voluto farlo per niente al mondo. Mi sentivo così diverso e il peso
leggero di un tradimento che proprio non riusciva proprio a farmi sentire in
colpa.
Ariel
mi si avvicinò sorridendo, scoccandomi un bacio sulla guancia e abbracciandomi.
Non
sapevo come non riusciva a notare quanto ero diverso, quanto ogni parte del mio
corpo era immersa nel profumo di Ryro.
Pete
ci guardò con un sopraciglio inarcato, mentre io mi limitavo a baciargli la
tempia. “Andiamo a consolare Gabe.” Dissi, trascinandolo verso un
Saporta mogio e solo perché il suo adorato Billvy era a Barrington a passare il
Natale con la figlia. Io e Ariel ci sedemmo al suo fianco mentre stava
canticchiando una canzone assolutamente deprimente in spagnolo.
Le
provammo tutte, finchè Pete non gli diede in mano un bicchiere colmo di vodka e
Red Bull.
Lui
si che conosceva bene i suoi pupilli.
A
metà serata, quando la tavola era stata sgombrata dal cibo, ricevetti una
chiamata che mi costrinse a chiudermi fuori in terrazzo e sedermi sullo sdraio
fredda. Sollevai il colletto della camicia per evitare di prendere un mal di
gola che avrebbe messo nei casini la band.
“Ho
la tua sciarpa.” Esclamò Ryro appena risposi.
“Dillo
che l’hai rubata perché vuoi vedermi morire di broncopolmonite!”
ribattei, facendolo ridacchiare.
“Non incolpare me! Sei tu che
sparisci e ti dimentichi le cose!” borbottò lui.
“Hai
letto il biglietto vero?” chiesi, sollevato che non fosse arrabbiato.
“Sì, piuttosto informale direi, e cos’era quel
segnaccio alla fine? Un cuoricino? Urie sei sicuro
di non essere retrocesso di qualche anno?” chiese e lo sentii ghignare.
“Non apprezzi le mie manifestazioni d’amore! Bastardo!” borbottai.
Chiacchierammo
per quelle che mi parvero minuti, ma scoprii essere due ore buone, quando Ariel
venne a ripescarmi. “devo chiudere ora, a presto.”
“E’ arrivato il ragazzino? Salutalo
da parte mia.”
“Stronzo.”
Ribattei.
“Ciao
Brend.” E la telefonata finì lì.
“Chi
era?” mi chiese El, con un sorrisetto gentile sulle labbra.
“Oh,
Shane.” Inventai, evitando di guardarlo negli occhi. Mi chiesi anche da
quanto tempo era lì.
“Sente
la tua mancanza?” scherzò avvicinandosi per sedersi sulle mie gambe.
“sei ghiacciato, perché non entriamo?” domandò, sfregandomi le mani
sulle braccia. “c’è Pete che sta delirando su un tour gigantesco
che vuole organizzare prima della fine dell’anno!”
“Oddio
ma è impazzito?!Ne abbiamo appena
finito uno!” Ariel scrollò le spalle e insieme tornammo in casa, dove
Pete era in piedi sul tavolo e spiegava la sua grande idea.
Voleva
fare un Tour in New Messico e partire il più presto possibile.
Era
un piano praticamente irrealizzabile e tutti assecondammo le sue pazzie,
finendo a giocare alla Wii.
Quella
notte evitare Ariel fu quasi un’impresa, perché venne a dormire nella
camera che Pete mi aveva fatto preparare al piano superiore. Mi baciò
appassionatamente e mi spogliò dai miei vestiti, mentre pregavo che arrivasse
presto la fine.
“Hai
cambiato profumo?” borbottò annusando con dolcezza il collo. Io negai,
poi annuii inventando su due piedi che avevo provato il profumo di Ash, che
c’era nel bagno. Ringraziai il cielo per le luci spente.
Cercai
di rilassarmi, mentre la sua bocca su di me faceva reagire il mio corpo in un
modo così spontaneo che quasi ringhiai dalla frustrazione. Smisi di pensare e
feci Ariel mio con un’arroganza e una freddezza che si spensero solo dopo
pochi minuti dall’orgasmo. “Scusa.” Borbottai, baciandogli la
fronte sudata. Lui sorrise e mi accarezzò i capelli. “Non c’è nulla
di cui scusarsi. È stato meraviglioso.” Sussurrò,
baciandomi le labbra. “Ti amo Brendon.”
Strinsi
gli occhi fino a farmi male, mordendomi le labbra.
Ero
una pessima persona.
Ariel
si addormentò fra le mie braccia senza aspettarsi una risposta e io non riuscii
a chiudere occhio.
Mi
alzai la mattina di Santo Stefano con le occhiaie che mi arrivano ai piedi.
L’unico già sveglio era Pete, ma notando i suoi occhi sbarrati pieni di
sonno mi chiesi se c’era andato a letto. Era al telefono e annotava delle
date e dei luoghi su un taccuino.
“La
ringrazio, a risentirci e buone feste!” posò il suo I phone sul tavolo e
mi riservò un grande sorriso. “buon giorno Brenny!
Pronto a partire per un tuor lungo tutta la costa atlantica? Non è certo il New
Messico come desideravo, ma in una notte non posso fare molto!”esclamò, avvicinandosi per posarmi un braccio sulla
spalla. “oppure possiamo andare in Canada! Non
credi sia bellissimo il Canada? Con le sue montagne, i suoi
laghi!” esclamò prendendo a saltellare e tornando a telefonare gente
sconosciuta.
Ash
mi si avvicinò, con il piccolo Bronx fra le braccia e un biberon colmo di latte
caldo. “Ha di nuovo cambiato idea?” mi chiese posandomi un bacio
sulla guancia.
“
A quanto pare…” mormorai, seguendola in cucina. Mi sedetti sullo
sgabello imbottito e la fissai mentre preparava del caffè.
“Petey
mi ha detto di te e Ryan.” Iniziò, porgendomi Bronx perché lo prendessi.
Giocherellai con lui per un attimo, facendogli delle smorfie. Lui rise e
afferrò i miei occhiali da vista, sporcando la lente.
“Ottimo. Lo sa qualcun’ altro?”chiesi sarcastico.
“Beh
presumo Gabe e quindi di conseguenza William. Poi immagino lo sappia anche
Spencer, quindi anche Dallon e Ian. Ah! Aggiungerei anche la moglie di Dall,
perché a quanto pare era con lui quando Pete gliel’ha detto al telefono,
poi beh Hemingway, ma presumo che di lui tu non ti debba preoccupare. ”
Tornai
in uno stato di completa depressione.
“E
dire che ero sarcastico!” borbottai, mogio.
La
situazione stava prendendo una piega molto diversa da quella che mi ero
prefissato.
Ryan pov
La
saletta delle prove che io e gli altri avevamo a disposizione era piccola ma
confortevole e lì passavamo ore a suonare o a pianificare cazzate.
Avevo
appena finito di provare “Die Tonight”
quando la porta si aprì di colpo e l’immagine bassa e tatuata di Pete
Wentz si presentò davanti alla mia faccia.
Jon
corse ad abbracciarlo, mentre io mi limitai a porgerli la mano che lui afferrò
contento. “Su Ross, fatti abbracciare.” Rimasi un attimo
interdetto, mentre mi stringeva in un abbraccio fraterno. Era un po’
ambiguo il suo continuo cambio d’umore.
Soprattutto
nei miei confronti.
Ma
andava bene così, perché mi dispiaceva sul serio perdere un amico come Pete.
“Come
mai qui?” chiesi sorridendogli, mentre lui armeggiava con il piccolo
albero di Natale che aveva urtato con il piede.
“Grandi,
grandi notizie, Young Veins!” esclamò, la voce
eccitata e i denti in bella vista. Quella volta, straordinariamente, ci
raggiunse anche il nostro produttore, anche lui piuttosto su di giri per la
notizia che Pete stava per darci. “tra due giorni esatti si parte per il
Canada!” strillò, prendendo a saltellare.
Canada?
Perché?
L’unica
cosa sensata che riuscii a formulare fu un: “uh!”
, prima di spalancare in modo poco elegante la bocca.
Noi
in Canada? Perché? Non eravamo più sotto la Decay e non
capivo il motivo per cui dovevamo partire.
Poi
mi si accese una lampadina nel fondo del mio cervello.
“è
un tour che tocca i posti più belli del Canada!” continuò a dire Wentz,
agitandosi tutto.
“Non
saremo soli, vero?” chiesi, scambiando un’occhiata con Nick.
“Certo
che no, ci saranno anche i ragazzi della Decay… beh quelli che non mi
hanno mandato a fanculo per l’idea assurda!” aggiunse
picchiettandosi un dito sulle labbra.Tornò in
un attimo a sorridere, avvicinandosi per prendere il microfono dalle mie mani.
“non è un’idea meravigliosamente eccitante?” domandò,
parlando direttamente nel microfono.
Il
primo a riprendersi fu Andy, che ululò di gioia e Murray gli fece eco con un
giro assordante di batteria.
Non
sapevo se Brendon e gli altri avevano accettato la proposta,
ma visto che ero quasi certo che ci fossero anche loro, mi girai verso
Nick e lui mi picchiettò le costole con il gomito, sorridendo.
“Ottimo, trovatevi un altro chitarrista. Io sarò
malato quel giorno.” Borbottò Jon, mettendosi a braccia conserte.
Pete
mi osservò interrogativo e io alzai lo sguardo al soffitto. “Lui e
Spencer si detestano cordialmente.” Gli spiegai, mettendo a tacere
con un’occhiata ogni possibile protesta da parte di Jon. “ma il
perché è sconosciuto.”
“Oh,
capisco.” Poi si rivolse a Walker con un sorriso che mi mise i brividi.
“non ti devi preoccupare Jonny, Spencer si è rotto un polso giocando a
Squash, non ci sarà.” Assicurò, stringendogli amichevolmente la
spalla con la mano.
Trattenni
una risata, mentre cercavo di immaginare Spencer intento a giocare a Squash.
Piuttosto
improbabile.
Comunque
sia, la cosa venne accettata da tutti, anche se Jon fu restio fino a che Pete
non se lo portò via, sicuramente giocandosi ogni sua carta per convincerlo.
Quella
stessa sera, incontrai nuovamente Brendon. C’eravamo dati
l’appuntamento in una pizzeria in centro. Sentivo il petto sobbalzarmi di
gioia al solo pensiero di essere di nuovo insieme a lui dopo tutto
quello che era successo tra noi il giorno della vigilia.
Lui
era già lì che mi aspettava, stretto nel suo cappotto e lo sguardo perso. Mi
avvicinai lentamente e quando fui davanti al suo viso, gli sorrisi circondando
il suo collo con la sciarpa che fino a un momento prima era legata al mio. Mi
sorrise di rimando e trattenne a sé per un attimo la mia mano, poi la lasciò
andare.
“Entriamo?”
chiese, ammiccando verso la pizzeria. Io annuii e gli feci strada finchè non ci
trovammo seduti a un tavolo appartato.
“Ti
prego dimmi che partecipi anche tu al tuor!” fu la prima cosa che dissi,
mentre lo fissavo sgranocchiare un grissino. Lui rise, buttando il capo
all’indietro.
“Ovvio
che sì, non me lo perdere per nulla al mondo.” Rispose, ammiccando.
“non trovi che sia stato gentile, Pete a
invitare anche la tua band?” chiese poi, afferrando il menù che la
cameriera gli stava porgendo. Io alzai un sopraciglio, scettico.
“Gentile?”
sbottai. “lui ha in mente un piano malefico, ne sono certo.”
Brendon spezzettò un grissino né lo lanciò addosso.
“Io
credo invece che voglia solo farci un piacere!” esclamò.
“per riuscire a stare insieme più tempo possibile.”
A
volte mi stupiva ancora l’ingenuità, per non chiamarla stupidità,
di Brendon. Lui vedeva il buono in tutti.
“Ci
sarà anche Ariel?” chiesi. Brendon annuì e io picchiai una mano sul
tavolo assumendo un’espressione ovvia.
“Vedi? Se voleva tanto farci un
piacere non se lo portava appresso!” ribattei. “altro che
piacere! Ci sta complicando la vita!”
Brendon
rimase zitto, smangiucchiando quel che restava del grissino. Ero sicurissimo
che stesse pensando a una qualsiasi altra scusa per poter affermare le buone
intenzioni di Pete.
“Pete
non è cattivo.” Borbottò.
“Certo
che non lo è, è solo piuttosto vendicativo.” Dissi, allungando la mano
per riuscire a sfiorare la manica della felpa rossa che indossava. Mi sorrise.
Non
toccammo più l’argomento Pete e la serata proseguii senza intoppi. Uscire
di nuovo da soli, come facevamo tempo prima, mi aveva procurato un languido
senso di nostalgia, colmato da quei baci che solo un anno prima non avevo mai
desiderato così intensamente.
Mi
chiesi, cosa pensava Ariel di questa uscita che Brendon l’aveva
giustificata come un recupero dei tempi andati. Smisi subito perché le labbra
di Brendon mi cercarono appena varcammo la porta di casa mia. Era un
bacio così inteso e bisognoso che mi lasciò un attimo senza forza, mentre il
divano accoglieva le nostre membra abbracciate e desiderose di contatto.
All’inizio
l’idea di essere l’amante mi aveva procurato una scossa
d’eccitazione, ma già in quel momento non riuscivo più a sopportare
l’idea di essere lasciato solo, con un bacio e una promessa di rivederci
ancora. Infondo non potevo lamentarmi, no? Gliel’avevo chiesto io di
aspettare.
Brendon
non era completamente mio. C’era ancora qualcosa che lo legava ad Ariel e
non vedevo l’ora che quel qualcosa si spezzasse.
“Senti,
ma come sta Spencer?” chiesi, quando il silenzio rilassato aveva fatto
sorgere in me una domanda.
“Oh, benissimo. Non vede l’ora
di partire per il tour!” esclamò Brendon, abbracciandomi ancora più
stretto.
“Come
pensavo…” mormorai sul suo collo, nascondendo un sorrisetto.
Brendon pov
Il
giorno prima della partenza, un freddissimo 28 dicembre, l’aria era così
agitata che avevo l’ansia che mi corrodeva lo stomaco e Pete non mi
aiutava a tenerla ferma. Si agitava come una trottola impazzita, aveva preso le
sembianze mostruose in un Humpa Lumpa ed era più isterico del solito, tanto che
Ash l’aveva cacciato di casa. Ovviamente aveva bussato alla mia porta,
facendo del mio salotto un ufficio e della mai cucina una mensa da cui
entravano e uscivano persone mai viste.
Collaboratori,
diceva lui.
Ariel
si rifiutava di mettere piede in casa quando Pete era nei paraggi o in
alternativa si chiudeva in camera fingendo di studiare.
Io
d’altro canto fingendo di essere in missione per il capo passato tutto il
mio tempo da Ryro. Ci aspettava un periodo piuttosto difficile e volevamo
sfruttare quel momento di calma, si fa per dire, per stare insieme.
Non
parlavamo nemmeno tanto, Ryro diceva che avevamo speso anni della nostra vita a
raccontarci cose inutili e che per quei giorni l’unica cosa che gli
andava a genio di fare era sesso.
Tanto,
troppo.
“Dobbiamo
rifarci.” Diceva.
La
realtà era sola una, ovvero lui era un fissato col
sesso. Insomma passavamo più tempo svestiti che vestiti, più tempo a succhiarci
la faccia invece che parlare.
Ovviamente
su questo punto non avevo lamentele da fare.
Ci
sarebbe stato comunque il tempo di parlare, almeno pensavo che tutta una vita
potesse bastare per tutte le parole del mondo.
Dicevo, la sera del 28 Ryro mi portò alla sala prove. Era
abbastanza inquietante perché dovunque mi girassi c’erano le facce e gli
occhialini tondi dei Beatles.
Loro,
però l’adoravano.
Suonarono
qualche cover e poi fecero alcune canzoni che avevo espressamente richiesto.
alcuni testi dei Young Veins avevo ritrovato le nostre
sensazioni. Alcune le sentivo mie, altre no, ma era come se Ryro avesse pensato
a noi mentre le scriveva.
Non
osavo chiederlo. Non perché non avessi abbastanza sfacciataggine, quella
certamente non mi mancava, ma perché non avrei mai ottenuto risposta.
Lui
era così, totalmente geloso dei suoi pensieri e delle sue sensazioni, anche
quando questi coincidevano perfettamente con i miei.
“Resti
a dormire sta notte?” mi chiese mentre riponeva la chitarra nella sua
custodia rigida con particolare cura.
Negai,
assumendo un broncio. “Non posso, devo tornare.” Dissi, mentre lui
si irrigidiva un po’, sorridendo.
Conoscevo
i suoi sorrisi come le mie tasche. Quello aveva una pieghetta falsa. “Okay. Allora ci becchiamo sull’aereo.”
Poi si bloccò. “perché tu prendi l’aereo, vero?”
Io
risi, alzandomi dal divanetto per raggiungerlo e stringergli la vita con le
braccia.
“Stesso orario, stesso aeroporto, stesso aereo.
Tranquillo.” Assicurai.
“Sono
contento che Wentz ha escluso il meraviglioso viaggio in Tuor bus per i suoi
pupilli.” Borbottò sarcastico.
“Era
molto combattuto per questo, ma invece di metterci ore ci avremmo messo
giorni.”
Riuscii
a farlo ridere e facendo pressione si rigirò nel mio abbraccio, fino ad avere i
suoi caldi occhi nocciola puntati nei miei.
“Abbi
pazienza.” Mormorai, baciandogli la punta del naso. “Presto glielo
dirò.”
Ryro
mi ricalcò il profilo con un dito e sospirò. “Ti ho detto io di
aspettare, lo so, ma è più dura di quanto credessi.”
Non
gli risposi e mi accoccolai sulla sua spalla, finchè lui non una carezza non mi
richiamò, facendo scontrare piano le nostre labbra, per poi mordicchiarle
dolcemente.
“Che
ne dici di dimezzare i tempi?” domandai, alzando un sopraciglio
malizioso.
“E
cioè?”
“Invece
di tornare a casa, facciamolo qui.” Spiegai e ammiccai al divanetto dove
fui spinto senza nemmeno riuscire a finire la frase.
Ridacchiai
mentre me lo ritrovavo a cavalcioni sul bacino intendo a togliermi la felpa il
più velocemente possibile, accanendosi contro la zip.
Gli morsi la clavicola giocosamente mentre la sua camicia veniva aperta
lentamente, bottone dopo bottone, solo per riuscire a vedere la sua reazione
impaziente. Me lo tirai contro, fasciandogli le natiche coperte dal tessuto
liscio del pantalone scuro, con le mani e... la porta si aprì di scatto.
Lui
bestemmiò, appoggiando per un attimo la fronte sulla mia prima, di girarsi
verso la causa di quella interruzione.
“Cosa
vuoi, Nick?”
L’interpellato
ridacchiò, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Non
ti ho detto d’entrare!” ringhiò, scivolando seduto al mio fianco.
“Mi
hai chiesto cosa volevo e io volevo entrare.” Rispose semplicemente.
“Oh ciao Brendon.” Aggiunse con un sorriso. Io ricambiai,
ripescando la felpa che era caduta a terra e infilandola, mentre Ryro si
abbottonava i pochi bottoni che ero riuscito a sganciare.
“Bene
i convenevoli sono finiti, ora fai quello che devi fare e vattene.”
Disse Ryan, guardandolo malissimo.
“Vorrei
fare due chiacchiere con Brend se non ti dispiace.” Ribattè lui sedendosi
davanti alla sua tastiera.
“Ovvio
che mi dispiace mi stai dicendo di andarmene!” borbottò Ryan.
“Si
tratta solo di pochi minuti.”
Ryro
mi fissò un attimo, come in cerca d’aiuto. “Credo anche io che sia
ora di fare due chiacchiere con Nick.” Commentai, sorridendogli. Lui, per
nulla contento, afferrò il suo cappotto e dopo un “Ti aspetto
fuori.” Uscì.
Nick
si voltò verso di me sorridendomi, riuscendo a mettermi a disagio.
Non
avevo un gran rapporto con lui.
Non
avevamo nemmeno intrapreso una seria conversazione o parlato mai di stupidate.
“Così,
state insieme.” Esclamò, allargando il suo sorriso. Io annuii cominciando
a dondolare sul posto, evitando accuratamente il suo sguardo. “sei
fortunato ad avere il suo amore, lo sai questo?”
Mi
voltai per fissare i suoi occhi, che avevano addosso una malinconia da
straziare il cuore.
“Sì
lo so.” Risposi solamente.
“Certo
non è l’uomo migliore del mondo, ma ha i suoi pregi.” Continuò.
“ma non sono quelli che mi hanno fatto innamorare di lui.” mi
chiesi come faceva a sembrare così sereno, nonostante la delusione. “volevo farti sapere che per me sarà difficile vederlo solo
come amico. Almeno per ora.”
“Non voglio che tu ti sforzi di fare una cosa che è
impossibile da compiere. E non mi da
assolutamente fastidio. ” Ribattei io, cercando di
sorridergli. “solo ecco, non stargli troppo appiccicato come negli
ultimi tempi ecco… lì probabilmente mi darebbe molto
fastidio.” Conclusi e lui rise annuendo.
“Lui
è felice con te.” commentò, sedendosi vicino a me. “
e questo mi basta. Non ti avrei reso la vita facile se lui fosse stato
solo una povera donzella innamorata, ma
infelice.”
E
non so perché, l’immagine di Ryan, vestito di abiti femminili vittoriani,
si focalizzò nel mio cervello.
Dio,
l’avrei preso in giro a vita.
Ryan pov
Aspettai
Brendon e Nick per una mezz’oretta buona, fuori al freddo.
Non
ero preoccupato di quello che il mio tastierista aveva da dirgli, ero solo
dannatamente curioso, tanto che mi prudevano le mani.
Quando
misero piede in strada, erano intenti in una conversazione fitta, fitta. Li
osservai dal mio angolino, sotto al lampione con le braccia incrociate e il
piede che batteva insistentemente sull’asfalto.
“Questione
di pochi minuti?!” feci il verso a Nick, che si
guadagnò la mia peggior occhiata perforante.
“Avevamo
più cose da dirci del previsto!” rispose Brendon, scambiandosi un
fottutissimo sguardo d’intesa con White.
Mi
davano sui nervi.
“Avete
finito di fare le comari?” sbottai accostandomi a Brendon per tirarlo più
vicino, afferrandogli la manica della felpa.
“Donna Ryan si sta infuriando. Mi conviene
scappare.” Esclamò Nick. “Ci si vede
domani!” e salutandoci con un veloce gesto della mano si diresse verso la
sua auto.
Rimasti
soli, lanciai uno sguardo indagatore su Brendon che ancora salutava Nick,
agitando il braccio. “Cosa vi siete detti di così importante?”
domandai, calcando pesantemente sull’ultima parola.
“Nulla
di che, un po’ di questo, un po’ di quello…” borbottò
lui, senza levarsi quel sorrisetto furbo dal viso. “senti posso dire a
Ariel che ritardo, così possiamo parlare con tutta calma a casa tua.” Si
affrettò a cambiare argomento.
Ce
la misi tutta per fargli estorcere mezza parola, ma la verità fu che non mi
lasciò fare alcuna domanda e io mi dimenticai presto di farle.
Mi
trascinò quasi correndo nella mia stanza, ignorando gli abbai insistenti di
Hobo. Mi attirò a sé per un veloce bacio prima di avventarsi sul cappotto e
sfilarlo velocemente, facendo lo stesso con il suo. Mi afferrò il viso,
tornando a premere le sue labbra piene sulla mie e le baciò appassionatamente
finchè non ci staccammo per la mancanza d’aria dei polmoni.
Poi
il suo cellulare squillò e dovette darsi un minimo di contegno prima di
rispondere, ancora lievemente affannato.
“Dimmi
tesoro.” Disse, cosa che mi fece alzare gli
occhi al soffitto dalla frustrazione.
Tesoro?
Sul
serio o stava scherzando?
“Ehm
sai i ragazzi volevano chiacchierare un’altro po’. Sì, tranquillo
torno appena posso. No, non ti preoccupare non sarò stanco. Va
bene, buona notte!”
Agganciò,
spegnendolo successivamente.
“Qual
era la scusa, questa volta?” chiesi, sedendomi al bordo del letto,
togliendomi anche la giacca del completo.
“Vecchi
compagni di scuola.” Mi rispose, levandosi la felpa.
Durante
quei pochi secondi ero davvero deciso a mandarlo via, farlo tornare dal suo
Ariel che sembrava tanto premuroso, quanto vomitevole.
Però
la sola idea di vederlo assieme a lui, in un letto ad accarezzare e bramare il
corpo di Brendon mi diede alla testa.
Avevo
addosso un desiderio di possessione che non mi era mai appartenuto.
Mi
alzai di scatto e lo attirai a me per i passanti dei
Jeans stretti che portava, mentre lui sorrideva tutto contento di quella palese
gelosia e possessione che proprio non riuscivo a nascondere.
Volevo
stupidamente urlare e affermare al mondo intero che era mio, solo mio. Corpo e
anima, solo e unicamente mio.
L’amore
rende così sciocchi?
Ci
spogliammo freneticamente, senza dar peso agli abiti buttati a caso per la
stanza e solo quando fummo senza nulla addosso, Brendon mi spinse verso il
letto, dove caddi disteso.
Sollevai
un sopraciglio, curioso di vedere la sua prossima mossa.
Mi
guardò per quelli che mi sembrarono minuti interi, totalmente ammaliato dal suo sguardo caldo e sfacciato.
Nei
momenti che passavo con lui avevo la capacità di ridurmi a pensare come una
dannata donna. E me ne vergognavo tantissimo.
Sollevai
le ginocchia, aprendo lievemente le cosce, squadrandolo quasi con sfida.
Mi
piaceva provocarlo, mi piaceva guardarlo mentre perdeva ogni controllo,
mordendosi le labbra e lanciando scintille di pure passione da quei occhi color
carbone.
Sì
avvicinò velocemente, facendosi spazio su di me, per afferrarmi il collo e
baciarmi fino a perdere il fiato. Alternava sorrisi a parole sconnesse, e
provocanti baci a fior di labbra che non facevano altro che pretendere di più.
Mi
strinse le braccia attorno al busto, attirandomi più vicino, finchè anche il
minimo spazio tra noi fu coperto ed entrò dentro di me con una lentezza tale da
farmi gemere di frustrazione e desiderio.
Anche
Ariel diventava di burro fra le sue braccia?
Anche
Ariel pregava per aver di più?
Con
lui era così appassionato, così coinvolto come lo era con me?
Ero
arrivato alla folle conclusione che se fosse stato possibile avrei addirittura
ucciso per la gelosia che mi scorreva dentro le vene.
A
volte era talmente forte da superare l’amore che provavo per Brendon e mi
portava a pensare cose che mai mi sarei immaginato di pensare.
Brendon
mi lanciò uno sguardo interrogativo, ansimando lievemente sul mio viso.
“Cosa
c’è?”
Deglutii,
prima di sorridere e negare con il capo. “Nulla.” Gli passai una
mano fra le ciocche sudate, tirando leggermente per far si che continuasse con
i suoi movimenti. Furono lenti, più lenti del solito e i suoi occhi che non
facevano che parlarmi, che confessare l’amore che sentivo che provava per
me.
Era
difficile tenere fra due mura un sentimento tanto forte. E nonostante fossero
cemento erano piene di crepe ed era diventato impossibile sorreggere e
proteggere quello che provavamo io e Brendon, che smaniava, urlava di voler
uscire allo scoperto.
Era
normale, no?
Era
lecito.
Perché
nascondere una cosa tanto bella?
Per
uno stupido ragazzino, per evitare di farlo piangere, farlo star male.
Non
mi rimaneva altro che darmi dello stupido da solo. A volte dimenticavo che la
colpa di tutta quella storia era solo mia.
Cercai
di non pensare più per quella notte e godermi ancora una volta il suo calore e
il suo abbraccio, gemendo e graffiando la pelle di Brendon, urlando per farmi
sentire, baciando le sue labbra schiuse in un lamento di piacere.
Dovevo
pazientare ancora un poco, per essere veramente felice.
*****
Grazie,
davvero, per tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo e soprattutto chi
ha commentato! OvveroB_Lady e Annabellee, oramai siete di casa per
questa fic *_*
Scusate se domenica scorsa non ho aggiornato ma ho
avuto diversi impegni e problemi vari…! Okay ora vi lascio!
Al prossimo capitolo!
E per favore, lasciatemi un pensiero, anche solo per
sapere se vi è piaciuta =) grazie =)
Brendon Pov
Arrivare a spaccare il secondo fu una delle mie grandi
imprese la mattina della partenza.
Dopo del favoloso sesso con Ryro mi ero, prevedibilmente,
addormentato come un salame, con tanto di sinfonia.
Avevo messo piede in casa alle sette meno dieci, con
passo felpato, quasi fossi un ladro.
Ed ero in casa mia!
La porta della camera da letto era aperta e in punta di
piedi, con le scarpe in una mano e la giacca nell’altra controllai lo stato di
Ariel.
Dormiva come un bimbo.
Anche se non esisteva un’esagerata differenza fra lui e
un bambino.
Era inutile, non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere
stato così cieco e sciocco.
Afferrai il suo cellulare per verificare a che ora aveva
appuntato la sveglia.
Le sette.
Avevo a disposizione dieci minuti per lavarmi, simulare
di essere stato tutta la notte al suo fianco e fare colazione.
Mi tolsi i vestiti, gettandoli a terra, diretto in bagno,
nel modo più silenzioso che conoscevo.
Inciampai nelle valige ai piedi del letto che quasi mi
fecero saltare la copertura.
Sollevai di scatto la testa per notare Ariel che si era
lievemente mosso, affondando di più sotto le coperte.
Sospirai di sollievo e sparii velocemente in bagno.
Il suono della sveglia mi sorprese in cucina, mentre
preparavo pancake.
Oh che pessimo modo per farti perdonare Urie.
M’imposi di sorridere, scacciando la stanchezza con un
motivetto allegro che riconobbi come quello di “Take a Vacation”.
Ma che cazzo!
Restai in silenzio, era la cosa più giusta da fare.
Ariel arrivò una decina di minuti dopo, il passo
strascicato e il viso assonnato.
“Non ti ho sentito rientrare sta notte…” borbottò,
agganciando le sue braccai calde intorno alla mia vita e posandomi un bacio sul
collo.
Mantenni il sorriso, voltandomi per ricambiare il bacio,
sulla guancia.
“Era molto tardi…” mi giustificai. “hai finito di
preparare la valigia?”
“Mi manca da infilare i compiti di matematica, ma volevo
che me li controllassi.”
Annuii, mentre versavo il latte nelle tazze. “Valli a
prendere, ci do un’occhiata ora, così riusciamo a essere all’aeroporto a un
orario decente.”
Lui annuì e scappò in camera.
Mi veniva quasi una sincope a pensare che frequentasse
ancora la terza liceo. Qui se mi beccano,
avrò come minimo vent’anni di galera…
Controllai i suoi compiti di matematica, poi dopo aver
mollato i piatti nel lavello, finimmo a vestirci in camera, dove Ariel continuò
a stuzzicarmi, fino a ottenere quello che voleva.
Lo feci sdraiare sul letto e senza nemmeno toglierci
tutti i vestiti entrai in lui, strappandogli un ansito.
Non sapevo cosa c’era di Ariel che mi eccitava.
Riuscivo a riconoscere che, nonostante tutto non era solo
un fatto fisico.
Amavo Ryan, tantissimo.
Ma c’era qualcosa di Ariel che mi teneva legato ancora a
lui.
La mia era solo pena? Perché sapevo che era innamorato di
me e non volevo soffrisse?
Non lo sapevo.
Era come se volessi aggrapparmi a qualcosa di diverso
dalla compassione.
A modo mio, amavo anche Ariel.
Fu la seconda volta che spaccai il secondo quella
mattina.
Eravamo in un ritardo mostruoso e dopo un check in
frettoloso, corremmo come dei matti al gate, dove Pete, che aveva deciso di
partire con noi da Los Angeles, ci aspettava a braccia conserte e un piede che
batteva insistentemente sul pavimento.
Dietro di lui le Vene Giovani chiacchieravano fra loro,
accompagnate dal loro Tour Manager. Dall stava a cavallo, sulla schiena di Ian
pretendendo lo stesso entusiasmo che ci metteva lui per interpretare la parte
del Cowboy. Zack si avvicinò a me per darmi uno scappellotto e afferrando il
mio bagaglio a mano si diresse a passo spedito oltre il gate borbottando.
“E’ stata colpa mia cugino, l’ho distratto.” Ammise
Ariel, tirandomi una leggera gomitata, con indosso uno dei più maliziosi ghigni
mai visti.
Lanciai un’occhiata a Ryro, che indurì i lineamenti
rilassati del viso, serrando le labbra.
Perfetto, si era incazzato. Cosa ti aspettavi?
Che ti sorridesse sapevo che vai a letto anche con lui?
Onestamente? Non sapevo cosa pensare.
Sentii Ariel agitarsi al mio fianco, prendendomi la mano,
con un sorriso eccitato sulle labbra. “Non sono mai stato in Canada, non vedo
l’ora di arrivare a Toronto!” esclamò, avvicinandosi per scoccarmi un bacio
sulla guancia, fu palese l’occhiata di sfida che lanciò a Ryro e io rabbrividii
per un attimo, completamente certo di essere nella merda.
L’aveva capito.
Sapeva che c’era qualcosa o per lo meno lo aveva in parte
intuito.
Dopo quel gesto, Ryan si diresse velocemente verso
l’hostess che accoglieva davanti al gate, le face un sorriso e senza voltarsi,
con quell’aria offesa e spavalda salì sull’aereo.
Sbuffai cercando di mantenere un certo controllo, mentre
Ariel non ne voleva sapere di lasciarmi la mano.
Salimmo sull’aereo per ultimi, accompagnati dal sorriso
allegro dell’hostess.
I nostri posti erano vicini, Ariel non faceva che
esultare per questo, e infondo così attraversammo il corridoio mano nella mano,
attirando gli sguardi degli altri passeggeri.
La situazione mi stava stretta e rischiavo di scoppiare,
inoltre il mio posto non era vicino al finestrino, ma giusto in mezzo.
Quella però non era la cosa peggiore.
Al posto numero trentatré, comodamente seduto, stava Ryan
che guardava sovrappensiero fuori dal finestrino. Cazzo.
Ryan pov
In tutta la mia vita ho avuto lo sfrenato desiderio di
uccidere almeno tre persone.
Oprah Winfrey, topolino e Ariel Wilson.
Su quest’ultimo avrei un intero armamentario d'insulti e
idee per farlo fuori.
In effetti potrei iniziare a scriverci un libro. Stupido ragazzino
arrogante e per giunta oca giuliva.
Erano arrivati come la coppia del secolo, in ritardo e
con quell’espressione tipica da: sì è vero abbiamo fatto sesso sfrenato prima
di venire qua.
La faccia di quel ragazzino era talmente piena di
soddisfazione, che avrei voluto strapparglielo quel sorrisetto che aveva avuto
il coraggio di rivolgermi.
Era una sfida aperta, perché per quanto fosse un
sedicenne con il cervello ampio quanto una noce marcia, ero certo che aveva
capito abbastanza da alzare le sue difese e marchiare costantemente il territorio
attorno a Brendon, quando non sapeva che nemmeno un briciolo di quel corpo, che
si ostinava a toccare e baciare, era suo.
Il peggio non era dovermi sorbire i suoi urletti da
checca isterica e i suoi grandi fastidiosi occhioni verdi sfarfallare davanti a
Brendon, ma avercelo vicino, per tutta la durata del viaggio.
Avrei tanto voluto aprire il finestrino e lanciarmi nel
vuoto esibendomi in un volo dell’angelo impeccabile.
La cosa più ridicola era ritrovarsi seduto, praticamente
spalmato sul sedile con accanto Brendon che a sua volta era seduto vicino a
Wilson.
Un triangolo perfetto, ma troppo perfetto per essere solo
una coincidenza.
Alzai distrattamente lo sguardo per incontrare quel nano
malefico che portava il nome di Pete Wentz che ci guardava con divertimento
negli occhi e un sorriso enorme a incorniciargli la faccia.
Mi fece un cenno di saluto con la mano e si sedette con
un sospiro soddisfatto al suo posto.
Pete aveva sempre avuto un certo talento per vendette,
come quella volta, quando durante i mtv music award, in diretta mondiale, si
era messo una maglietta con su stampato il numero di cellulare di Gabe.
Appoggiai la testa al morbido sedile prima di lasciare
uno sbuffo e chiudere gli occhi per un attimo.
Brendon continuava a guardarmi di nascosto mentre
l’hostess di volo annunciava il decollo. Solo a quota ottenuta mi girai a
guardarlo. Mi fissava apertamente con uno sguardo preoccupato e le sopracciglia
corrugate in un’espressione sofferta.
Inutile.
Non potevo farcela. Cercare di essere arrabbiato con lui
era come dire di no al gatto con gli stivali di Shrek e non si può dire no al
gatto con gli stivali di Shrek.
Gli feci un sorriso, piccolo, piccolo e il suo volto
cambiò immediatamente espressione. Vidi lentamente la rughetta formatasi in
mezzo alla fronte rilassarsi e le sue labbra allargarsi in uno splendido
sorriso, mentre i suoi occhi urlavano “Allora non ce l’ha con me!”
Quel meraviglioso gioco di sguardi fu interrotto da
quello stupido australiano che gli afferrò il braccio e lo fece voltare,
trascinandolo in una conversazione estenuante su DnD. Ottima mossa
bamboccio, attirare la sua attenzione con quel stupido gioco di ruolo.
Afferrai l’I phone e dopo aver aggiornato il mio stato su
Twitter che recitava“il Tour non è ancora iniziato… ma qualcuno
potrebbe già rischiare l’osso del collo.”, presi ad ascoltare i miei amati
Beatles che riuscirono a calmarmi finché la mano di Brendon non mi scosse il
braccio un paio di volte prima che io aprissi gli occhi, quasi immerso nel
dormiveglia per guardarlo male.
“Che c’è?!?”sbottai, sfilandomi con un moto di stizza le
cuffiette dalle orecchie.
Brendon non rispose, mi baciò.
Posò dolcemente le sue labbra sulle mie, mentre la sua
mano era corsa ad abbracciarmi il viso.
Era il paradiso.
Accarezzò con la lingua il mio labbro superiore, in
attesa di essere accolta nella mia bocca.
Glielo concessi quasi subito, afferrandogli la felpa
rossa, mentre le mani tremavano leggermente.
Poi si staccò all’improvviso quando Gabe gridò : “Alarma,
alarma! El chico está de vuelta!”
“Avevo detto che bastava un fischio, o un colpo di tosse!”
sbottò Brend, ricomponendosi e guardando Saporta in ginocchio sul suo sedile
con un sorriso storto.
“è la stessa cosa su…!” borbottò risedendosi, richiamato
all’ordine da quello che avevo scoperto da poco fosse suo marito.
C’ero seriamente rimasto male, né Gabe né Will mi avevano
detto nulla. Anche se sapevo che nemmeno Brendon aveva partecipato alla
cerimonia a Las Vegas.
Comunque sia, ancora intontito dal bacio meraviglioso appena
ricevuto vidi l’australiano spuntare al fianco di Brendon con un sorrisone.
Probabilmente prima era sparito in bagno e Brend ne aveva
approfittato assalendomi.
Se me lo diceva potevo mettere un intero flacone di
lassativo nel suo bicchiere di coca cola e saremmo rimasti tranquilli per ore.
La calma tornò piatta almeno finchè Brendon non tornò a
molestarmi, accarezzandomi la coscia. Lanciai uno sguardo ad Ariel che dormiva
della grossa, con la musica sparata dalle sue cuffiette.
“E se si sveglia?” mormorai, mentre lo sentivo allungarsi
per baciarmi languidamente il collo, facendo scorrere la mano avanti e indietro
sulla mia coscia.
“Non preoccuparti…” mormorò direttamente al mio orecchio,
facendo rizzare i peli dall’eccitazione. Oh Dio benedetto.
“Aspetta… dobbiamo parlare!” borbottai. Lui si staccò
velocemente, passandosi una mano fra i capelli e intrecciando l’altra, che fino
a quel momento era sulla mia coscia, con la mia.
Il mio cuore sussultò, come spaesato da quell’emozione
tanto grande e tanto bella che era l’amore di Brendon.
Lo sentivo, mi scorreva nelle vene come sangue, era
diventato l’essenza della mia anima e non potevo desiderare altro.
“Parliamo allora.” Strusciò il dorso della mia mano,
stretta alla sua, sulla sua guancia, lievemente irsuta.
“Quando glielo dirai?”
“Presto, Ryro.”
“Presto quando?”
“Presto.”
Calò un attimo il silenzio dove i suoi occhi continuavano
a parlarmi d’amore.
“Potremmo fargli conoscere qualcun altro.” Proposi,
scuotendo le spalle.
Brendon però s’incupì.
Non voleva perché era geloso.
Capire che, in qualche modo, amava anche lui non aveva
fatto così male come credevo.
Forse solo perché ne ero consapevole.
Brendon pov
“Potremmo fargli conosce qualcun altro.” Mi disse Ryan.
Non sapevo se era una buona idea e non sapevo nemmeno
cos’era quella specie di nodo allo stomaco che mi si era formato dopo le sue
parole.
Sospirai in modo tragico e il mio sguardo volò per
qualche secondo su gli altri passeggieri. C’era una signora anziana che
praticamente dormiva sulla spalla di Spence che non se ne preoccupava perché
era impegnato in una lotta all’ultimo sguardo di fuoco con Jon.
“Che ne dici di Nick?” buttai lì, tornando a guardare
Ryro.
“Murray?” chiese.
“No, White!” tentennò un attimo, come se stesse cercando
una scusa.
“Ma.. è vecchio! Più di te!”
“L’amore non ha età!”
“Questo lo dici tu!”
Non risposi, non avevo certamente voglia di imbarcarmi in
una stupida litigata quando il nostro rapporto non si era del tutto
consolidato.
Dovevamo ammettere che entrambi avevamo un problema di
gelosia.
Io per Ariel provavo gelosia in quanto ero seriamente
affezionato a lui e non solo per un fatto fisico. E Ryan doveva ammettere che
nonostante fosse tutto finito con Nick ancora provava un pizzico di gelosia nel
sentirlo associato a qualcuno che non fosse lui.
Era normale, era lecito ed io glielo leggevo negli occhi
che era così.
Dopo quelle parole non parlammo più, fino alla fine del
viaggio e mi limitai a stringergli la mano finchè Ariel non si svegliòe pretese giocosamente attenzioni.
Toronto fu una delle tappe più belle visitate. Era
meraviglioso quel paesaggio di fine dicembre che si presentava davanti ai
nostri occhi stanchi dal viaggio.
Bill e Gabe, come da novelli sposi, lasciarono l’incarico
delle loro valigie al povero Carden e insieme s’incamminarono in una,
vomitevole, romantica passeggiata, mano nella mano.
Pete borbottò un “Oooh che carini” mentre si agitava
tutto e gli occhi avevano preso una stupida forma a cuoricino.
Ryan si era distaccato dal gruppo con la sua band, e
stavano parlando fitto fitto con il loro manager.
Ariel invece, al mio fianco, aveva preso a fare foto a
destra e manca. Seriamente era peggio di un giapponese in vacanza.
L’albergo scelto da Pete era quello che più si avvicinava
allo sfarzo più sfrenato, ma oramai eravamo abituati a quel genere di
trattamento anche se non ci faceva certo schifo un normalissimo hotel senza
mille referenze o stelle.
Ariel si catapultò nella nostra enorme stanza come se
fosse un uragano, buttandosi sul letto, facendo cadere a terra un paio di
soffici cuscini color cobalto.
“Il materasso è ad acqua Brend! Vieni a provarlo!”esultò, facendo qualche salto sul giaciglio. Mi buttai su di lui appena riuscii a togliermi
il giaccone di dosso.
Cominciammo a scherzare come due bambini, fino a
lasciarci andare con il fiato corto sulle coperte sfatte.
“Cosa si fa ora?” mi chiese, guardandomi con un sorriso
luminoso, stampato sulle labbra.
“Non so... aspettiamo che Pete ci chiami per il
Soundcheck.” Risposi, scrollando le spalle, mentre con un sussulto strinsi la
tasca dove il cellulare stata vibrando da un po’.
“Intendevo noi due.” Sbuffo El, alzando gli occhi al
soffitto e il suo entusiasmo sfumarsi in un secondo.
Non so di che cosa era convinto, forse di farsi una
vacanza romantica, ma quel viaggio era tutto fuorché di piacere. Era il mio
lavoro cavolo, non potevo star dietro alle sue voglie.
“Ti prometto che domani ti porterò a fare un giro per
Toronto.” Dissi, lasciandogli una breve carezza sui capelli biondi dove
un’assurda ciocca verde capitanava sulle altre.
Mi sorrise grato.
“Dovresti rispondere.” Disse, riferendosi al cellulare
che non aveva smesso di vibrare. “sembra importante.”
Annuii distrattamente mentre lui si alzava dal letto per
rifugiarsi in bagno. Ryro.
“Tra cinque minuti nella Hall.” Borbottò scazzato. Non mi fece dire
nulla perché riagganciò.
Rimasi a fissare l’apparecchio prima di alzarmi di scatto
e sistemarmi i capelli e i vestiti disordinati davanti allo specchio.
Il cuore batteva come impazzito, al solo pensiero di
rivederlo.
Dio, faceva un sacco teenager quindicenne, ma che potevo
farci?
Urlai ad Ariel qualche scusa prima di sparire senza
cercare una sua risposta.
Aspettare l’arrivo dell’ascensore fu infinito così mi
precipitai giù dalle scale.
Lui era già lì, con indosso uno dei suoi orridi completi,
lo amo certo, ma questo non m’impedisce di dire che il suo modo di vestire
lasciava un sacco a desiderare.
Si passava una mano fra i ricci chiari, sfogliando una
rivista abbandonata sul tavolino davanti al divanetto dove sta comodamente
seduto.
“Perché hai il fiatone?” mi chiese appena gli fui
davanti, alzando lievemente lo sguardo dalla rivista, Vogue.
Oddio che cosa assolutamente omosessuale.
Repressi una risatina. “Ho corso.”
“Esistono gli ascensori Brend.” Mi fece notare ed io gli
rivolsi uno sguardo ovvio.
“Lo so, ma volevo fare presto.”
Lui non commentò più e mi rivolse un sorrisetto.“perché mi hai chiamato?” domandai.
“Nulla in particolare, volevo parlarti di una cosa e stare
un po’ con te.”
Gli sorrisi raggiante, con il cuore in gola.
Non era possibile che dopo tutti quegli anni riusciva
ancora a farmi quell’effetto straordinario di totale gioia e stordimento.
Mi sedetti al suo fianco, facendo in modo che i nostri
ginocchi si toccassero. Non sopportavo che fosse troppo lontano.
“Ho pensato a Nick e Wilson e…” prese un sospiro. “siamo
entrambi gelosi di loro, non possiamo negarlo.” Disse tutto d’un fiato.
Arrossì un poco, forse credendo che le sue parole mi
avessero ferito.
Era bello essere così sinceri l’uno con l’altro, senza
prendersi in giro. “Ne sono consapevole, ma che facciamo? Io non voglio più
stare con Ariel per vederlo soffrire e in qualche modo dovrò pur lasciarlo
andare, con o senza gelosia.”
Ryro non fiatò ma annuì, appoggiando la rivista sulle
ginocchia e incrociando le braccia al petto.
“Diglielo questa sera.” Disse convinto.
Mi mordicchiai un labbro.
Quanto era facile parlare, quando agire era la cosa più
complicata del mondo.
“Sì, glielo dirò.” Mi abbandonai a un sospiro, facendo
cadere la testa sulla sua spalla.
Lui si allungò un attimo per regalarmi un bacio sulla
fronte. “Andiamo in camera mia ora?”
Non rifiutai ed entrambi sparimmo per ore nella sua
stanza dal albergo, dove Nick era stato sgarbatamente sfrattato.
Speravo, in quelle settimane, di riuscire a cantare
insieme a lui. Era un desiderio che mi vorticava in testa da quando Pete aveva
programmato il tour.
Avremmo potuto cantare qualsiasi cosa, anche la sigla dei
Muppet o quella dei Teletubbies se ne avevano una, non m’importava.
Era così importante per me riaverlo anche in quel senso.
Giusto per sentirmi completo per davvero.
Rimanemmo insieme in quella stanza per ore, il cellulare
che vibrava insistentemente nella tasca dei miei jeans buttati a casaccio sul
pavimento e i gemiti di Ryan che mi riempivano il cuore di serenità.
Ryan pov
Il primo concerto a Toronto fu spettacolare, così come
quello della sera dopo.
29 dicembre 2010.
C’era un’atmosfera unica eppure così familiare.
Nick e gli altri, non abituati a tale affollamento ancora
facevano fatica a lasciarsi andare, mentre io... beh ero stato
meravigliosamente investito da una serenità che avevo creduto persa.
Mi sembrava strano però ritornare a rifugiarmi con Bill e
la sua band nei parcheggi a bere vodka e a riprendere con una videocamera le
stupidate, era anche strano ritrovare l’abbraccio di Gabe, così amico, ma soprattutto
era strano essere di nuovo noi quattro.
C’eravamo ritrovati in una stanza e avevamo parlato a
lungo, non di cose serie, di cose triste o di dissapori ancora accessi (Spence
e Jon tutt’ora non vogliono dirci il motivo dei loro litigi).
C’era però quella linea sottile che continua a dividerci
e a essere ancora imbarazzati l’uno con l’altro. Brendon era più fiducioso di
quanto potessi sperare, non faceva che sparlare sull’amicizia e di quanto per
noi fosse indissolubile e bla bla bla…
Comunque, lo spazio sotto il palco era pieno zeppo di
gente urlante e di ragazzine svenenti. No ci esibivamo per prima, e poi, in successione,
i Cobra, TAI e i Panic! che avevano riacquistato quel punto esclamativo che con
prepotenza avevo imposto di togliere. Era giusto così, non potevo in alcun modo
lamentarmi.
E non volevo farlo.
I fan ci accolsero con calore e cantarono le canzoni in
scaletta con tale passione e gioia che seriamente avevo pensato di collassare
io stesso dalla felicità.
Finita di Other Girl, e un bis, lasciammo posto a Gabe e
agli altri, mentre noi ci rifugiavamo in un piccolo spazio dietro le quinte per
osservare le altre esibizioni.
Inutile dire quanto fossi in attesa di sentire la sua
voce.
A volte mi mancava così tanto durante i concerti con le
Vene Giovani, che se chiudevo gli occhi potevo sentire la sua voce calda e la
sua mano sulla spalla, m quando li aprivo, era il sorriso di Jon che
incontravo.
Mi passò accanto, facendo bene attenzione a sfiorarmi il
braccio fermo lungo il fianco. Lo guardai e mi sorrise, complice, poi corse
verso il palco, accolto da una lunga ovazione di applausi e urla.
“Sai qual è la differenza fra te e me, Ross?” sussultai
lievemente, quando Wilson mi fu affianco. Abbassai o sguardo per osservarlo nel
suo metro e settanta d’altezza, cercando di mantenere un minimo di controllo,
mentre la sua aria spavalda mi faceva solo venire voglia di riempirlo di pugni
su quel bel faccino.
“Sentiamo, quale sarebbe?” incrociai le braccia, cercando
di essere più sicuro di quanto in realtà fossi.
Non molto a dire il vero.
“Che io, a differenza tua, so per certo che non prova
nulla di piùche amicizia nei tuoi
confronti. Dovresti metterti il cuore in pace.”
Sbuffai una risata. “Come fai a esserne così sicuro,
ragazzino?”
“Ho le mie ragioni per esserlo.” Ribattè, gonfiando le
guance.
“Voglio darti un consiglio…” iniziai facendomi più vicino
e circondandogli le spalle con un braccio. “il fatto che venga a letto con te,
non vuol dire che tu sia l’unico.”Gli
sussurrai, gongolando nella sua reazione esitante.
“Stai dicendo stronzate.” Sbottò scrollandosi il mio
braccio dalle spalle come se fosse quello terribile della morte.
“Oh, tu non conosci per niente Brendon. Non sai di cosa è
capace.” Gli sorrisi, quasi dolcemente.
Quanta pena per un povero ragazzino. “puoi non credermi ovviamente, anche quanto ti
dico che, per lui sei stato un passatempo, qualcosa da fare nell’attesa.”
“Attesa? Quale attesa?”
“Credo che tu abbia capito chi in realtà stava aspettando
Brendon.” Sbottai, stanco di quella conversazione.
La sua tecnica di provocazione non era per niente
efficace e ne stava uscendo perdente, invece che vincitore.
Se c’è una cosa che ho imparato da mio padre, era che,
rispondere alle provocazioni con la violenza non faceva mai male quanto le
parole.
I segni delle botte dopo un po’ spariscono, ma le parole,
rimangono impresse a fuoco sulla pelle e non spariscono mai.
Per questo papà era quello che ne usciva più scottato dei
due.
Sempre.
Ariel dopo quelle parole, che non ricevettero commento,
sparì.
Sapevo di aver dato un bel scossone alla faccenda e che
presto Brendon sarebbe stato solo mio.
Tornai a guardare Brendon, che cantava con intensa
passione “Time to Dance”, ne rimasi
affascinato che quasi non riuscii a sbattere le palpebre e gli occhi
cominciarono a lacrimare.
Quanta invidia provavo per Dal, che otteneva le
attenzioni di Brend.
Le volevo io, tutte per me, ancora una volta.
Erano mie di diritto, anche sul palco.
Nick prese il posto di Ariel e appoggiò il gomito sulla
mia spalla, sorridendomi allegramente.
“Sono bravi.” Disse, ammiccando a Spencer. “sai se è
sulla nostra carreggiata?” chiese.
Io ebbi un brivido.
“Non lo so e non lo voglio sapere, ma credo sia ancora
fidanzato.”
Il suo volto s’illuminò per un attimo. “con una donna.”
Aggiunsi.
“Sarà per quei capelli, o quei gilet così gai che
continua a indossare, ma so che non ce la racconta giusta.”
Alzai gli occhi al soffitto, reprimendo uno sbuffo.
“Che ne dici del biondino invece?” proposi, ammiccando
verso Ariel che se ne stava in un angolo con l’aria imbronciata e in mano una
Red Bull.
“il ragazzo del tuo amante?” esclamò, girandosi a
fissarlo.
“Potresti non urlarlo, per favore?” sbottai, pestandogli
il piede, quando un tecnico del suono si giro ad osservarci.
“ Non è male, ma non voglio esser un pedofilo. Quel ruolo
aspetta a Urie!” disse, sorridendomi candidamente. “Anche se, devo ammettere che il ragazzino è
veramente sexy.”
“Pensavo foste amici ormai.” Commentai, tornando a posare
lo sguardo di Brend che aveva preso ad ancheggiare sensualmente.
“Non esagerare. Non lo detesto, come fa Jon con il
batterista carino, ma sopporto la sua presenza.” Spiegò, sorridendo storto.
“sta tranquillo Ry, non ti lascerà.”
“Questo dovrebbe tranquillizzarmi?” sbottai, in preda a
una crisi. “è più giovane, è più bello e più spavaldo di me e Brendon è pur
sempre un uomo.”
“Quando la smetterai di fare discorsi complessati da
donna?” strillò. “senti, ti ama, te l’ha detto, lo vuole lasciare, cosa
pretendi di più?”
Sbuffai e non risposi, anche perché i Panic avevano
appena finito di esibirsi.
Il primo ad abbandonare il palco fu Spence e Nick ebbe la
premura di lanciargli un’occhiata che non aveva nulla di casto.
Spencer scappò.
Io risi, alla faccia contrariata di Nick e mi avvicinai a
Brend che si passava con energia un asciugamano sui capelli bagnati di sudore.
Si tolse il papillon e lo infilò nella tasca della sua
giacca prima di avvicinarsi. “Come siamo andati?” disse, allungando la mano per
lasciarmi una carezza sul collo.
“Alla grande!” commentai, con il cuore in subbuglio e gli
occhi scintillanti.
“Brendon! Dobbiamo parlare.” Il volto sulle labbra di
Brend sparì, e si girò a guardare Ariel, veramente incazzato.
“Certo, ma dopo il bis, okay?” borbottò, prima di tornare
sul palco.
Stava fuggendo.
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scusate il tremendo ritardo ma gli impegni e la stanchezza sono sempre in agguato!!! ringrazio chi ha letto e chi ha recensito, soprattutto!
e chi ha saputo aspettare senza
staccarmi l'osso del collo xD moglie, è soprattutto per te u.u
<3 <3 <3 <3 <3 okay, grazie a tutti e ricordate che un pensiero è sempre gradito