I'm not passing the time, I think love you...

di ElfoMikey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...of notebooks and new experiences ***
Capitolo 2: *** "Behind the sea" ***
Capitolo 3: *** "Troublemaker" ***
Capitolo 4: *** "Oh my God, I think He'll forgive me!" ***
Capitolo 5: *** "Just a kiss... He won't miss." ***
Capitolo 6: *** "Ryro? Merry Christmas." ***
Capitolo 7: *** "Is a secret...? Maybe.... no more." ***
Capitolo 8: *** "It's hard to say.. stop." ***



Capitolo 1
*** ...of notebooks and new experiences ***


rydencap1

 

Ehm, salve..!

Non so come e nemmeno perché è nata questa storia, so solo che una persona a me molto cara non faceva altro che ripetermi di scrivere una Ryden, non una ONE, ma una LONG. Così dopo un po’ mi sono decisa. La trama è nata quasi per caso, mentre ero a lezione all’università e il professore parlava della reinvenzione del teatro nel 500.

Spero vi piaccia.

Ah sì, bel lo sapete Brendon Urie e Ryan Ross sono di mia proprietà e nemmeno tutti gli altri personaggi citati lo sono (Sigh..). Ovviamente niente di tutto questo è scritto a scopo di lucro.

 

 

 

 

Capitolo uno

 

 

 

 

Brendon pov

 

Quando qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.

Quel qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità, giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile. E così, dentro di me, nasceva la più folle speranza di poter rivivere ogni singolo istante di quei ricordi, anche quelli più inopportuni e insignificanti.

Sapevo che stavo prendendo la situazione troppo a cuore, ma non potevo fare altro. Faticavo anche a dormire la notte, accavallando pensieri su pensieri e desideri su desideri.

Per quanto fossi professionalmente appagato della mia situazione, non potevo fingere o lasciarmi alle spalle quel costante senso di nostalgia e rabbia.

Ne avevo accennato solo a Spencer, che lo sentivo rigirarsi nella cuccetta sotto la mia, ma lui non ribatteva mai, standosene zitto.

Ma il fatto che ci mancasse ciò che ci aveva reso la vita migliore era un dato di fatto e non provavamo nemmeno a negarne l’evidenza.

Almeno, non con gli altri.

A volte ci perdevamo in malinconici sospiri che manco riuscivamo a trattenere.

Non che i due, come dire, sostituti, non fosse grandiosi, anzi lo erano eccome, ma quella alchimia, quella armonia e complicità erano del tutto scomparse.

Il tuor era iniziato da meno di tre giorni e già avevo la più disperata voglia di andarmene, solo che le insistenti e, ahimè, convincenti moine di Pete mi avevano fatto promettere di resistere almeno due settimane.

Con il risultato di trovarmi vicino a una serie di crisi depressive, dove a nessuno importava del mio stato morale e venivo solamente usato per la mia bella voce, che aggiungerei modestamente, insostituibile.

Scacciai le coperte ruvide con le gambe, fino a farle cadere a terra, mentre sbuffavo preso da una sfilza di vampate di calore.

Non ci resistevo più in quel posto.

Fra il russare di Dallon, i monologhi solitari di Ian nella notte e il fetente odore dei piedi di Spencer, avevo veramente raggiunto un limite.

Strisciai silenziosamente fuori dalla cuccetta, per rifugiarmi nel cucinotto, dove con una smorfia tolsi la molletta che avevo strategicamente agganciato al naso.

Avrei potuto insegnare ad un corso di sopravvivenza, tante erano le mie conoscenze nel campo. “come sopravvivere, quando i tuoi compagni di viaggio presentano differenti e fastidiose patologie fisiche.”

Aprii il frigo per versare in una tazza, un po’ di latte che venne successivamente riscaldato nel microonde. Mi sedetti sul piccolo divanetto di pelle nera, appoggiando la tazza bollente sul tavolino e cercai di pensare a qualcosa di altamente positivo per non ricadere in depressione, che giorno dopo giorno si stava trasformando in una gigantesca crisi isterica.

Avevo l’impressione che quelle due settimane promesse davanti agli occhi sfarfallanti di Pete sarebbero state molto dure, considerata la mia voglia di scappare urlante a gambe levate.

Così cominciai a pensare a possibili modi per fuggire e raggiungere senza troppi problemi la California. In primis volevo raggiungere quei due traditori, seguaci di quell’  hippie senza inibizioni di John Lennon e chiedere, educatamente, una spiegazione a quello che sentivo con un abbandono. La mia mente astuta pensava a un possibile piano per chiedere chiarimenti e risposte a quelle domande che mi si arrovellavano nel cervello con trottole impazzite. Inoltre pensavo anche di simulare una di quelle scenate madri, come quelle che si vedevano nelle telenovele spagnole.

Ryan-Teddy-Boy-Ross e Jon-gaurda-come-sono-dimagrito-ora-che-sono-uscito-dai–Panic-Walker ci dovevano molte spiegazioni.

Era un diritto sapere perché aveva lasciato così all’improvviso un progetto che ci rendeva così fieri, no?

 “Credo che i Panic siano al capolinea, io e Jon lasciamo la band

Frase detta di punto in bianco, durante le ultime prove a Las Vegas, dove Spencer era scoppiato a ridere all’improvviso e altrettanto aveva smesso dopo un’occhiata non proprio divertita di Ryan.

Il mio solido e inespressivo commento, aveva chiuso ancora di più il mio rapporto che con Ryan andava irrigidendosi sempre di più.

Non ricordo quando ho iniziato a provare per lui un sentimento differente sia dall’amicizia che dal sentirsi semplicemente fratelli.

Davvero per me è difficile ricordare un tempo preciso.

Ma probabilmente se avessi tenuto per me quell’amore forse lui sarebbe ancora qui a scrivere testi strani e a ridere di me per ogni cosa.

Mi piacerebbe sapere come si può tornare indietro nel tempo e cancellare una dichiarazione d’amore che ha irrimediabilmente rovinato tutto.

Quindi la colpa dovrebbe essere solo mia?

Sono stato io a farlo scappare, a fargli desiderare un’altra vita?

Ora l’unica risposta certa era che, se continuavo a sbattere la testa sul tavolo, mi sarei presto ritrovato con un trauma cranico e il restante dei miei due neuroni morti.

Finii in fretta il resto del latte per poi barcollare verso la mia cuccetta, stringendo al naso la molletta rossa da bucato che mi ero procurato da casa.

Mi voltai verso Ian, che occupava quella che era la mia cuccetta, visto che io mi ero appropriato di quella di Ryan. Il ragazzo stava parlottando, gli occhi chiusi e con le braccia protese verso l’alto. Mi concessi una risata, prima di recuperare le mie coperte e salire con agilità sulla cuccetta. Le lenzuola erano quelle rosse a fiorellini colorati che avevo regalato a Ryan per il suo compleanno, prendendolo in giro per il suo nuovo look.

Non le aveva volute.

Anche se io preferivo pensare che se ne era solo dimenticato e che prima o poi sarebbe tornato a prenderle.

 

 

 

 

Ryan pov

 

Jon teneva il conto delle mie avventure su un piccolo quaderno con l’immagine svolazzante di Spiderman, e tutte le volte segnava il giorno e il nome con una penna fucsia.

Non per vantarmi, ma le pagine erano quasi tutte piene di nomi femminili.

“Questa settimana è l’ottava. Voglio proprio chiederti come hai fatto.” Mi disse Jon, accarezzando Hobo sotto le orecchie.

“Segreto professionale.” Feci misterioso, arcuando le sopracciglia.

Jon non insistette nemmeno un po’, tornando ad occuparsi interamente di Hobo e alla scatola di biscotti che stava finendo.

I miei preferiti, aggiungerei.

Ci rimasi male, pensavo ci tenesse a sapere della mia intensa vita per colmare la sua, che era radicolarmente monotona.

Lui è la sua vita perfetta, con la stessa donna da anni e quei loro ridicoli nomignoli che si affibbiavano tutte le volte che ne avevano l’occasione.

Ovvero sempre.

“Tra poco dovremmo cambiare stato e cercare altre bionde svampite da farti scopare, Ross. Quella della California si stanno esaurendo.”  Esclamò, con cattiveria, mentre mi apprestavo a togliergli Hobo dalle braccia e fargli una linguaccia.

“ Credo che tu ti stia solo auto convincendo del fatto che non sai gay, che non sei innamorato di Brendon perché non puoi innamorarti di un uomo se è addirittura moro. “ lo sentii sproloquiare, mentre mi chiudevo in camera mia.

Brendon.

Perché doveva sempre tirare fuori il suo nome?

Non poteva parlare di Pete per esempio?

Lì si che avrei avuto qualcosa da ridire!

Ora era in ballo per me una nuova vita, una vita diversa, fuori dai Panic, fuori dalla Decay e lontano da lui.

Mi ero ripromesso di odiarlo e di pensare a lui come la causa di tutto il mio male.

Se solo fosse rimasto in silenzio quel giorno, invece di cominciare a inventare cazzate su un amore che probabilmente quella sua testa aveva inventato e che io certamente non condividevo.

Amare Brendon?

Tsk.

No, assolutamente.

Escluso nel modo più assoluto.

Poi, vogliano iniziare ad elencare tutti i possibili fallimenti di una mia presunta storia con Brendon?

Sarebbero davvero infiniti.

Una volta mi ero permesso di fare una lista che comprendeva come minimo una cinquantina di punti negativi ed altrettanti punti in sospeso che comunque non avevano la benché minima importanza, visto quanto ero deciso a lasciarmi tutto alle spalle.

Nessuno sapeva però, che ci avevo pensato davvero a una storia con lui.

Molti, e Brendon stesso, sostenevano che ero solo un omofobo alquanto confuso.

E a Jon piaceva giocarci sopra. Sapevo che aspettava con ansia il momento fatidico dove io sarei scoppiato e avrei urlato al mondo intero la verità.

Mi avvicinai al letto lentamente, un po’ infastidito. Bunny, o una roba del genere, non se ne era ancora andata e poltriva della grossa sotto le coperte del mio letto, dove era visibile solo una massa scompigliata di capelli ricci. Sbuffai e tornai sui miei passi, raggiungendo Jon in salotto che aveva preso a rotolarsi a terra insieme a Hobo.

Presi la sciarpa e mi infilai la giacca, aggiustandomi una ciocca di capelli davanti allo specchio.

“Io esco, di a Cindy che un parente è stato male e sono scappato in ospedale. Decidi tu la gravità dell’incidente.” Spiegai, lisciando le pieghe della sciarpa con cura.

“Uhm, che ne dici dell’anziana zia caduta dalle scale e con un femore rotto?” propose.

“L’hai già utilizzata la settimana scorsa, manchi di inventiva.”  Ribattei.

Lui alzò gli occhi al soffitto, cercando di trattenere la miriade di insulti che aveva voglia di lanciarmi addosso. “ Ryan, non è la stessa ragazza. Non credo cambi qualcosa e poi è Bunny, Cindy è stata la preda di ieri. Aggiunse, controllando il quaderno.

“Beh, fai come ti pare. Adios Amigo.”

Detto questo, coccolai per un attimo Hobo, poi uscii di casa, sospirando.

Jon a volte mi inquietava.

Tutto quel suo insistere, quelle sue pressioni psicologiche stavano avendo su di me un brutto effetto.

Decisi di rifugiarmi da Nick, il mio tastierista, lui si che avrebbe avuto comprensione e pietà per i miei pensieri.

 

 

 

Brendon pov

 

Se c’era una cosa che non sopportavo era la relazione felicemente e spensieratamente gay di Gabe e William.

Odiavo quando si succhiavano la faccia davanti a tutti prima di un concerto ed era come se stessero urlando: “ Ehi gente, noi siamo schifosamente gay e siamo schifosamente felici!”

Grazie, bei amici.

Anche Pete aveva ammesso che, portarli in tuor con noi non giovava alla mai salute morale come in realtà avrebbe dovuto.

Ero assolutamente e irrimediabilmente sconsolato.

“Su, su Bdon, vedrai che tutto si aggiusterà. Non si naviga nella merda per sempre.”  Mi disse Pete un giorno, assumendo un’aria da uomo vissuto, sorseggiando Red Bull. Fu come una visione mistica e quasi gli credetti. Ma più i giorni passavano, più sentivo di sprofondare in un buco nero.

Poi fu Gabe ad aprirmi gli occhi.

Una sera, arrivati alla sesta giornata di tour, quando Saporta non era avvinghiato a Bill, mi si avvicinò e posando una mano sulla spalla mi sorrise, mettendosi ad osservare la striscia ambrata dell’orizzonte di quella ignota città della Virginia.

“Dovresti darci un taglio.” Mi disse, annuendo alle sue stesse parole.

“Come scusa?”

“Sì, un taglio…” muovendo la mano destra in una chiara riproduzione di una forbice. “questa storia del depresso sta stufando, sul serio, Brendon. Io lo dico per il tuo bene.”

“Oh, mi dispiace che il mio dolore vi rechi fastidio, la prossima volta mi assicurerò di farlo in silenzio!” sbottai, sarcastico.

Nonostante tutto Saporta rise, sistemandosi a lato la visiera del suo capellino a stampa colorata. “Senti, da amico voglio darti un consiglio.” Aggiunse poi, avvicinandosi di più a me, fino ad avere il suo sguardo all’altezza del mio. “Rifatti una vita. Lascia il passato dov’è e creati un futuro degno di questo nome. Non vivere con il pensiero fisso di Ross addosso. Così finirai per logorarti e hai tanta gioia da dare e tanto carattere per essere il migliore dei musicisti. Lo disse con un sorriso stampato sulle labbra e con una sincerità che quasi mi lasciò a bocca aperta.

Non sapevo nemmeno che dire, tanto era lo stupore.

Le sue parole mi avevano colpito, centrato in mezzo alla fronte, come una freccia lanciata da un tiratore dalla mira difettosa.

Gabe aveva ragione.

Non c’era nemmeno modo di ribattere o provare a trovare altre ragioni differenti dalle sue.

Io mi stavo logorando.

Lo stavo facendo per una persona che mi considerava alla pari di una mosca da spiaccicare su un muro, o un panino al burro d’arachidi andato a male.

Mi ritrovai a sorridere, gli occhi pieni di forza nuova. Gabe era rimasto zitto, fissando con crescente orgoglio le espressioni del mio viso cambiare e riprendere quell’armonia che avevo deciso di recuperare prima di tirare la catenella dello sciacquone.

“Gabby, grazie!” urlai, facendo voltare non poche persone verso di noi. “Non troverò ma il modo per sdebitarmi!” e gli abbracciai il busto, baciandolo su entrambe le guance.

“Potresti iniziare smettendola di chiamarmi Gabby!” provò a dirmi, ma io nemmeno lo sentii, impegnato com’ero a correre verso la mia band che cazzeggiava fuori dal tuor bus.

“Fanciulle, tutte riunite per favore! Soundcheck straordinario! Muovere quelle vostre chiappette flaccide verso il palco, forza!” ordinai, sollevando Ian di peso e coinvolgendolo in un abbraccio con giravolta.

Quando lo mollai, cascò a terra, ma non mi importò più di tanto e cominciai a marciare verso il palco, dove Pete mi osservava orgoglioso e con gli occhi scuri lucidi di commozione.

“Fate largo ragazzi, Brendon Boyd Urie è tornato.”

 

Quello che metteva assolutamente il chiaro il mio essere omosessuale era la mia attrazione fisica verso gli uomini.

O verso donne molto mascoline.

Non trans, ma donne. Sia chiaro.

In quelle due settimane di tuor Pete mi fece conoscere la peggio specie di omosessuali arrapati di tutta la Virginia. Non che non mi dispiaceva, ma quei uomini o erano troppo bassi, o eccessivamente muscolosi, o aveva gli occhi troppo chiari e i capelli troppo scuri.

Ora, per riuscire a mandare avanti una trama logica ed esclusivamente dedicata alle mie lodi verso l’amore homo, dovrei iniziare a raccontarvi dell’incontro che mi cambiò la vita, dovrei parlarvi di quella persona che mi fece capire davvero cos’era l’amore e puttanate simili.

Beh, la realtà è che non accadde nulla del genere. Certo, ci fu un’incontro, ma non riuscì mai a sostituire quell’amore quasi ossessivo che provavo nei confronti di Ryan.

Era un lontano parente di Pete, venuto dall’Australia, per una vacanza che si era presto tramutata in lavori forzati sotto le direttive del grande capo Wentz.

Non l’avevo mai visto, o semplicemente non ci avevo mai fatto caso, anche se Pete mi ripeteva che veniva sempre ad assistere ai Soundcheck.

Mi accorsi della sua esistenza solo quando gli finii addosso. Andavo veramente di corsa quella mattina, mi ero preso la libertà di fare un’ora in più di jogging, riuscendo ad arrivare in ritardo all’appuntamento con Spence e gli altri nei pressi del palco.

Lui stava trasportando, con fatica, dell’attrezzatura pesante che gli toglieva praticamente tutta la visuale. Io non ci feci caso e continuai a camminare nella sua direzione con la musica sparata nelle orecchie e il viso rivolto verso Spence, che già stava seduto comodamente dietro la sua batteria. Poi ci fu un boato enorme e il mio corpo che finiva a terra su quello morbido di un ragazzetto biondo con grandissimi occhi smeraldi, mentre, quella che riconobbi come la tastiera di una delle chitarre di Ian, finirmi sulla testa.

Sentii urla, imprecazioni e persino una risata, poco prima di perdermi in quei occhi così assurdamente grandi.

Dovevo avere una di quelle espressioni da pesce fuor d’acqua perché il ragazzo mi rise in faccia prima di dirmi che il mio braccio gli stava procurando qualche difficoltà a respirare. Mi alzai immediatamente, rischiando di ricadere all’indietro per il capogiro improvviso.

Lui si mise a sedere, massaggiandosi la testa che aveva sbattuto sul pavimento.

Pete arrivò di corsa, avvicinandosi al ragazzo con apprensione.          

“El, tutto bene?! Cazzo ho pensato che ti avesse ucciso!” esclamò aiutando il biondo ad alzarsi.

“Anche io sto bene, Pete, non preoccuparti.” Borbottai infastidito, controllando il ginocchio sbucciato che stava perdendo sangue.

“Credo che ti verrà un bel bernoccolo, man.” Continuò Pete, ignorando le mie, palesi, richieste d’attenzione, mentre si alzava in punta di piedi per controllare la nuca del ragazzo.

“Tutto bene cugino. Non sento dolore!” disse con poca convinzione, facendo una brutta smorfia dolorante e cominciando a raccogliere gli strumenti che nell’impatto erano caduti a terra.

“Molla l’attrezzatura e vai da Zack.” Insistette Pete. “fatti dare un’occhiata da lui e vedi se ha qualcosa per il mal di testa.” Aggiunse un sorriso, mentre il cugino camminava a passo lento verso Zack.

“ Per quanto riguarda te, nel bus c’è la cassettina del pronto soccorso, prendi dei cerotti e cambiati.”

Ordinò, girando i tacchi e salutando alcuni tecnici del suono che stavano trafficando lì vicino.

“E chi raccoglie questa roba?!” urlai, indicando con la mano la confusione a terra.

Pete si fermò e regalandomi un largo sorriso sadico disse: “Ovviamente tu, Bdon.” E poi sparì, saltellando.

 

Arrivai sul bus zoppicante e la ferita che bruciava, segno che si stava già infettando. Andai a recuperare la cassetta del pronto soccorso, rintanata sotto il letto di Ian assieme a qualche giornalino porno. Mi sedetti sulla mia cuccetta, imbevendo un batuffolo di cotone con del disinfettante, prima di scartare il cerotto con l’immagine di Kermit la rana e applicarlo delicatamente sulla ferita. Mi accorsi di non essere solo quando la porta del bagno si aprì e ne uscì il cugino di Pete, fischiettante.

“Oh, scusa amico, ma quel Zack mi ha mandato qui.” Disse subito, portando le mani avanti. Io non ribattei e scossi le spalle, chiedendo con un tonfo la cassetta di metallo.  “ Ti fa male?” chiese, sedendosi di fronte a me.

“No è tutto apposto.” Borbottai, stendendomi poi sulle lenzuola stropicciate della cuccetta. Ricalcai con un dito i contorni dorati della federa, mentre il ragazzo continuava a fissarmi.

“Sei Brendon Urie, giusto?” chiese, sorridendo e mostrandomi una fila perfetta di denti bianchi. “ammetto di essere un tuo fan!” aggiunse, incatenando quei occhi smeraldini ai miei.

Mi sollevai sui gomiti, più interessato alla sua conoscenza dopo la sua ultima frase.

“Davvero? Il tuo nome?” chiesi, guardando per intero la sua figura slanciata.

“Ariel Wilson.” Disse, estendendo ancora di più quel sorriso perfetto. Allungò la mano verso di me e io la strinsi.

Lui la trattenne più del dovuto accarezzandone il dorso con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.

“Ariel?” esclamai, mentre i miei occhi si illuminavano e la mia mente tornava a vecchi ricordi di bambino, quando, in mezzo alle mie sorelle, guardavamo la “Sirenetta” tutte le domeniche pomeriggio. “come la Sirenetta!”

Ariel, perse un attimo il sorriso. “No, Ariel come Ariel. Può sembrare strano ma è anche un nome maschile. Ribattè infastidito, scostando la mano dalla mia per passarsela fra i capelli color miele.

“Okay, scusa.” Mormorai io, tornando a buttare la testa sul letto.

Lo guardai di traverso e vidi che aveva recuperato in fretta il sorriso, scendendo dal letto su cui era seduto con un piccolo salto.

“Direi che è meglio che vada, il lavoro mi chiama.” Annunciò, avvicinando pericolosamente il viso al mio, soffiandomi quelle parole dritte in faccia. Il suo profumo mi arrivò sinuosamente alle narici e questo bastò ad eccitarmi. Ariel si morse le labbra sottili prima di far scorgere i suoi occhi sulle mie.

Sapevo che ci stava provando, era palese, ma non avrei assolutamente preso io l’iniziativa. Volevo provocarlo e così allargai di poco le gambe, piegando le ginocchia.

Alzai il sopraciglio in un gesto di sfida, che lui accolse allontanandosi da me, continuando a tenere quel sorrisetto su quelle labbra che avrei volentieri morso.

“Ci vediamo in giro, Brendon.”

Poi uscì dal bus, lasciandomi addosso la voglia di intraprendere quella sfida che, a quanto avevo capito, aveva le stesse regole di guardie e ladri.

 

 

 

Ryan pov

 

Nick mi dava quel senso di pace che Jon e gli altri non riuscivano a darmi.

Lui era sempre calmo, pacato in ogni cosa che faceva e sembrava che avesse tutto il tempo del mondo per arrivare a una meta.

Mi piaceva perché era così, spontaneo.

Okay, forse un po’ aiutato dalla quantità industriale di marijuana che teneva nel comò in salotto, ma per me era un tipo a posto.

Mi fece accomodare nel suo salotto interamente bianco e mi sedetti sul suo divano bianco, mentre prendeva dal tavolino, sempre bianco, una caraffa colma di the freddo per riempire un bicchiere per poi porgermelo con un sorriso.

“Mi fa piacere questa tua visita.” Mi soffiò, sorridendo. Presi un lungo sorso di the, prima di voltarmi a ricambiare quel sorriso gentile.

“Avevo bisogno di un amico, Nick. Jon mi sta esasperando con la storia di Brendon e delle bionde che mi scopo!

Il mio amico annuì comprensivo, posandomi una mano sulla coscia, premendo lievemente. Era bello che volesse consolarmi.

Avevo bisogno di un amico come lui per riuscire a schiarirmi le idee e parlare delle mie preoccupazioni.

“Perché non me ne parli? Sono sicuro che dopo ti sentirai meglio.” La sua voce carezzevole mi diede ancora più voglia di confidarmi con lui.

“Jon sostiene che io sia innamorato di Brendon.” Iniziai, prendendo un altro sorso di quello che, piuttosto che the, pareva un infuso di erbe strane. “ io non so cosa provo. E non so cosa pensare.”

“Innanzitutto devi chiederti se è vero.” Iniziò Nick, carezzando lievemente con le dita le pieghe del mio pantalone. “se è vero che lo ami.”

“Non lo so, Nick, è così strano!” sbottai, passandomi la mano fra i capelli, scompigliandoli tutti. Lui prese a sistemarli, abbandonando la mia coscia per inserire le sue lunghe dita fra i miei capelli castani.

Io mi sentivo strano, avevo la testa che girava pesantemente, anche se in modo piacevole e prima ancora di riuscire ad arrivare a una risposta sensata al mio malessere interiore, stavo succhiando voracemente le labbra di Nick.

Era dannatamente piacevole farlo.

La sua lingua calda sulla mia, mi donava una passione nuova e così intensa che dovetti aggrapparmi alle sue spalle per non scivolare giù, sulla morbida moquette color panna. Nick approfittò della cosa, stringendomi i fianchi con le braccia e spingendomi con forza sdraiato sul divano.

Me lo ritrovai a cavalcioni, intendo a sbottonare i bottoni della mia camicia.

Avevo sempre pensato a Nick come l’essere più calmo e pacato a questo mondo.

Mi sbagliavo.

Era una furia.

“Nick? Nick?!” tentai di chiamarlo, mentre mi lasciava una scia piacevole di baci lungo il collo, solleticandomi il petto scoperto con la barba sottile. “cosa hai messo dentro quel the?!

Lo sentii mugugnare qualcosa su foglie verdi e giurai di aver sentito parlare di Valeriana, ma quando le sue mani si infilarono prepotentemente, oltre l’elastico dei miei boxer, smisi di pensare a qualsiasi cosa che non fosse quel suo corpo magro e caldo e quei suoi abbracci e baci possessivi.

Mi risvegliai qualche ora dopo, la sensazione di star intraprendendo la fase del post sbornia. Mugugnai qualcosa di insensato prima di aprire gli occhi e osservare la stanza di un bianco quasi accecante.

Pensai di essere morto.

Ma quando qualcuno al mio fianco si mosse, mi tornò alla mente tutto.

Ogni più piccolo dettaglio.

E in quel momento, in quel preciso momento, desiderai di essere morto sul serio.

Nick sospirò beatamente, avvicinando di più il suo viso verso di me, per sfiorarlo nell’incavo del mio collo.

Era strano il fatto che non ricordassi assolutamente il modo in cui eravamo finiti a rotolarsi sul quel divano, ma che, nonostante tutto, il sesso con Nick era ancora vivido nella mia mente.

Arrivai alla conclusione, superato un primo momento di panico totale, che quell’esperienza non aveva suscitato in me quel disgusto che credo di provare.

Mi era piaciuto, troppo forse, ma questa informazione non avevo intenzione di rivelarla a nessuno.

In quel momento dovevo solo fare una cosa, una cosa saggia: sparire, scappare, evadere, dileguarmi, fuggire, filare, nascondermi, eclissarmi, scomparire dalla faccia della terra e dal cazzo di Nick.

“Ehi, tutto bene?” la voce di Nick mi fece sussultare così forte che emisi anche un singhiozzo e il cuore prese a palpitare. “posso giurare di averti sentito pensare da qui…” mormorò ancora, allungandosi per posarmi le labbra dietro all’orecchio e mordere lievemente.

Aveva il corpo caldo e per quanto avevo giurato di mentire, sul fatto che mi era piaciuto da matti, non potevo non ammettere quanto era deliziosa la sua vicinanza.

“Come ci siamo finiti qui?” chiesi invece, girandomi su un fianco per guardarlo meglio e questo fece si che la sua gamba si attorcigliasse al mio fianco, mentre le sue dita mi carezzavano il bacino.

“Non c’è risposta a tutto, Ry.” Mi rispose, guardandomi intensamente negli occhi. “ però, penso che l’attrazione fra noi due fosse già, come dire, arrivata a un livello incontenibile…” continuò, lasciando scorrere lascivamente una mano lungo il petto. “poi ovviamente ho dovuto darti una spinta, per farti cedere.”

Mi illuminai improvvisamente, girando lo sguardo verso il mio bicchiere di “the” posato malamente sul tavolino.

“Mi hai drogato?” strillai, alzandomi sui gomiti. “ ma sei fuori di testa, White?!

“Era solo Valeriana!” si giustificò, anche se, ovviamente, non credetti a una sola parola. Alzai un sopracciglio, cercando di fare una buona pressione sui suoi nervi. “Okay, forse anche un po’ d’erba, ma non fa male!” esclamò poi, assumendo un’aria da cucciolo abbandonato. “non l’ho fatto con cattiveria…”

Sospirai, passandomi una mano fra i capelli. “Oramai, quel che fatto è fatto.” Dissi, cercando di sorridergli. Il suo sguardo dispiaciuto mi colpiva al petto peggio di una lancia. “Non sono arrabbiato.” Aggiunsi, accarezzandogli lievemente la guancia rossa.

Okay, era una bugia.

Ero inferocito peggio di una iena, ma non volevo prendermela con lui.

Infondo mi aveva aiutato a capire molte cose, forse troppo per essere assimilate in una volta sola, ma avevo del materiale su cui lavorare.

Dovevo mettere in chiaro le cose almeno con me stesso.

Poi il mio pensiero, forse troppo in ritardo, volò verso Brendon.

Mi sentii un po’ in colpa.

Era come se l’avessi tradito.

“Non sei arrabbiato?!” chiese, le labbra spalancate. Io negai e mi allungai verso di lui per congiungere le sue labbra con le mie. Ora che non ero sotto nessun effetto di “tisana speciale” , tutto, assumeva un significato diverso.

Volevo baciarle quelle labbra. Non provai altro che desiderio.

Arrivai a casa strisciando, il fondoschiena in pezzi e i sensi appagati. Jon era ancora a casa mia e guardava la televisione con Hobo.

Cominciavo a pensare che Jon amasse più la mia cagnolina che la sua fidanzata.

Lo salutai svogliatamente, mentre lui ghignava nella mia direzione.

Avevo un po’ fame così lasciai Jon in salotto e sgusciai in cucina, per prepararmi un panino al burro d’arachidi. Il libretto del, cosiddetto, conteggio stava in bella vista sul tavolo, così presi sfogliarlo, mentre mordevo la mia cena. Contai per un po’ i nomi, poi finii all’ultima pagina, dove, sotto la data di quel giorno troneggiava un nome, scritto a caratteri quasi cubitali: Nick White.

Sbiancai.

“JON!”

 

 

Fine primo capitolo.

 

 

 

 

 

 

Se siete arrivati fino a qua un commentino me lo lasciate? Grazie^^

 

Grè.

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Capitolo 2
*** "Behind the sea" ***


ca2ryden

 

 

 

 

Capitolo secondo

 

 

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

 

Ariel, anzi El, non era più così tanto invisibile ai miei occhi che non facevano altro che seguire la sa andatura ipnotizzante per il resto dei giorni che passammo in Virginia.

Avevo aspettato con ansia il momento in cui saremmo stati soli ancora una volta, esattamente come quella volta in bus.

L’occasione era tornata a farsi presente durante l’ultima mezz’ora di svago prima di salire sul palco. Ero alla terza Red Bull ( va bene, okay era la quinta) e mentre facevo dei vocalizzi, passeggiando per il camerino, Spencer stava poltrendo sul divanetto, con gli occhiali da sole calati sugli occhi e la bocca spalancata, così decisi di passare il tempo facendogli delle foto che, dopo il concerto avrei provveduto a mettere sul web.

Ma sto divulgando.

El entrò con passo svelto, appoggiando sul tavolo le giacche che aveva appena ritirato dalla tintoria.

“Oh, grazie!” dissi, togliendo con cautela la mia giacca nero perla dall’involucro per poi infilarmela.

Lui rimase a fissarmi, appoggiando il bacino al tavolo e incrociando le braccia. “Che c’è?” chiesi, cercando di capire dove voleva andare a parare con quel suo sguardo, che porca di quella troia, non faceva altro che annullare le mie inibizioni e accrescere il desiderio. “ho qualcosa fuori posto?”

Lui negò, ma allungò una mano per passarmela fra i capelli aggiustando il ciuffo sulla fronte. C’era una tale carica sessuale che avrei potuto tastarla con mano. El lasciò però che la sua scivolasse lungo le pieghe della camicia, fino a introdurre le dita sotto il tessuto morbido della giacca.

Ero preso da forti vampate di calore che si premunirono di mandare a colorare le guance di un rosso porpora che El accarezzò con un sorrisetto.

“No, direi che sei perfetto.” Mi soffiò in viso, allungando il busto verso di me, fino ad appoggiarmi entrambe le mani sulle spalle. “troppo perfetto.” Aggiunse.

Io cominciai a gongolare, adoravo quando la gente mi faceva i complimenti e io adoravo fingermi modesto, per ottenerne degli altri.

Che ci potevo fare?

Quella volta, però non cercai di allargare le vedute del mio ego perché preferii allungarmi verso il suo viso e sfiorare il suo naso con il mio, per poi far combaciare le nostre labbra.

Pensai solo a una cosa, prima di partire e rifugiarmi nei meandri di quella bocca calda: oh, porca vacca!

Certamente non avevano contato il fattore Spencer, che si era svegliato dal suo sonno profondo e aveva spalancato le sue iridi chiare, fino a farle diventare più grosse di un fondo di bottiglia. Non ci avevano davvero fatto caso, perché continuavamo a pomiciare come quindicenni in calore, fino a sembrare quasi osceni e non esisteva altro che la sua bocca sulla mia e le sue braccia attorno al mio collo.

Probabilmente, dovevamo pensarci prima, ma in quel momento non brillavamo di intelligenza.

Comunque sia, capimmo di essere fissati solo quando El si stacco dalle mie labbra, mentre mugugnavo la mia disapprovazione. “Oh ben svegliato Spencer!” esclamò El, sorridendo al mio amico che non riusciva a emettere una sola parola sensata.

Avrei giurato persino di averlo sentito appellarsi a Dio per svegliarlo da quell’incubo.

Io invece, come Ariel d’altronde, me la stavo spassando alla grande, cominciando a pensare di filmare il momento epico di Spencer che perde l’uso della parola.

Pete, come sempre, entrò proprio mentre El si riappropriava delle mie labbra, coinvolgendomi in un altro bacio, forse più spinto di quello precedente. Pete però non sembrava ne sorpreso ne disgustato, visto che aveva un sorriso enorme che gli illuminava tutta la faccia.

“Quanto mi hai chiesto un consiglio per conquistarlo avrei giurato di averti detto di parlarci, non di stuprarlo!” esclamò in direzione del cugino, prima di buttarsi sul divano che era ancora occupato da Spencer. Ariel si staccò per un attimo dalle mie labbra per sorridere a Pete e ribattere che, saltarmi addosso, era stata l’idea più brillante che gli fosse mai passata per la testa.

Poi Zack lo richiamò all’ordine e lui fu costretto ad eseguire. “Ci becchiamo dopo il concerto!” disse, lanciandomi un altro bacio per poi sparire.

Sospirai.

Finalmente le cose stavano prendendo una piega positiva e piuttosto eccitante. Avevo sofferto abbastanza e come mi aveva detto Gabe era ora di rifarmi una vita e di provare sul serio a convivere senza la presenza di Ryan.

Forse Ariel era la persona giusta. Beh, questo non lo potevo sapere. Sapevo solo che Pete fu molto contento di sapere che i sentimenti di Ariel erano sulla via giusta per essere ricambiati.

“Sono davvero felice per voi. È bello sapere che nonostante le differenze tu abbia accettato i sentimenti di El. Disse, prima di stritolarmi in un abbraccio.

Non sapevo di che differenze parlava, ma non era importante. Volevo salire sul palco, cantare al meglio e poi tornare a stare ancora con Ariel. Inoltre rimaneva il fatto che, nonostante il bellissimo bacio che c’eravamo scambiati, ancora non avevamo parlato di una possibile relazione.

Non che ci conoscessimo molto, a dire il vero sapevo solo poche cose di lui e per questo avrei voluto approfondirle al più presto.

Lo trovai ad attendermi fuori dal bus che mi porgeva un asciugamano lindo per passarmelo fra i capelli sudati.

“Bel concerto, Urie!” esclamò, ricambiando con un sorrisetto malizioso lo sguardo contrariato che gli stava lanciando Spencer, che borbottava ancora per la scena vista qualche ora prima.

Lo ringraziai. “Senti, mi faccio una doccia veloce, poi ti andrebbe di andare da qualche parte?” lo vidi annuire e rivolgere il suo sorriso verso di me.

“Ci ritroviamo qui fra una mezz’oretta?” propose e io acconsentii.

Mi baciò lievemente sulle labbra prima di sparire nel bus della Crew. Salii nel mio bus, quasi saltellando incontrando la faccia contrariata di Spencer.

“Non sono sicuro che sia una buona idea.” Disse. Alzai gli occhi al cielo.

“Papà Spencer, non ho bisogno del tuo consenso per frequentare qualcuno!” sbottai, cercando di non perdere le staffe.

Non mi andava di litigare, non quella sera che tutto stava andando nel verso giusto.

“Quel tipo ha qualcosa di sospetto…” mormorò serio, assottigliando gli occhi e muovendo le mani in modo ambiguo.

Io gli scoppiai a ridere in faccia. Non avrei voluto farlo, perché sapevo che era preoccupato, ma fu più forte di me.

Dallon, dietro di lui, gesticolava come un ossesso, facendo dei gesti di Spencer una parodia piuttosto esagerata.

Era uno spasso.

Inutile dire che Dallon fu preso a calci in culo, finchè non chiese umilmente perdono, per i suoi atti, in ginocchio.

Così io avevo approfittato della situazione e dopo afferrato dei vestiti puliti, corsi alle docce.

 

 

 

Ryan pov

 

Jon cominciava davvero a starmi sulle palle.

Avrei voluto prendergli la testa e aprirla come si fa con un’anguria, solo con il doppio della brutalità.

Ma partiamo dall’inizio.

Eravamo a una delle solite cene firmate Vene Giovani più consorti e nonostante stessi veramente per vomitare, notando l’alto livello d’amore nell’aria, decisi di rimanere lo stesso seduto al mio posto, continuando a mangiare la mia pizza in silenzio.

Jon aveva fatto in modo che Nick White si sedesse al mio fianco e lui si era accomodato di fronte a noi per poter osservare la scena in tutta tranquillità. Ci guardava con uno sguardo malefico, con le dita intrecciate fra loro e appoggiate alle labbra. Sembrava una sorta di Montgomery Burns, ma se possibile ancora più sadico.  

 “Cosa c’è Ryan, la pizza non è di tuo gradimento?” esclamò a un certo punto, facendo si che la vena del mio collo cominciasse a pulsare fastidiosamente.

“No, è ottima, è la vista che mi rovina l’appetito.” Ribattei, sentendo Nick ridacchiare al mio fianco.

“Allora potrei servirti del the per mandarla giù meglio, ma ho paura che abbia uno strano effetto su di te.”

Gli altri componenti della band si girarono ad osservarci, curiosi di sapere per quanto sarebbe andata avanti quella scenetta. Nick si coprì il viso per evitare di ridere apertamente e quasi cadde dalla sedia.

“Walker ho un pezzo di pizza al formaggio in mano e non ho paura di usarlo!” esclamai, mostrandogli l’arma.

Sapevo dove voleva parare.

Voleva che dicessi a tutti che non ero totalmente etero come mi ero sempre descritto e che mi ero fatto scopare da Nick per un pomeriggio intero.

Ma si sbagliava se sperava di farmi parlare.

“Non fa bene tenersi le cose dentro, Ross. È sempre meglio confidarsi con chi ti vuole bene” rincarò la dose, utilizzando quella stupida voce in falsetto che mi faceva venire il nervoso.

Cassie, grande donna, venne in mio soccorso, schiaffeggiando Jon dietro la nuca e lanciandogli uno sguardo truce.

“Smettila, saranno fatti suoi se non vuole dire che è andato a letto con White!” esclamò.

Grande donna avevo detto?

Potrei deliziarvi con una lunga lista di insulti, ma perderei solo tempo. “Oh! Scusami, tesoro!” esclamò, coprendosi la mano con la bocca, seriamente pentita.

O forse era solo un’ottima attrice.                                                                                                          

Nick intanto aveva smesso di ridere e stava cercando di non morire per soffocamento, dandosi forti pacche sul petto mentre tossiva peggio di un vecchio rachitico.

Jon allungò pericolosamente il suo ghigno. Avete presente lo Stregatto?

Ecco. Peggio.

Cercai di non ribattere e di far notare agli altri quanto la cosa mi aveva messo a disagio, così mi avvicinai a Nick, aiutandolo con delle pacche sulle spalle, porgendogli un bicchiere d’acqua.

“Ho rischiato la vita…” mormorò, aggrappandosi al tavolo con forza.

“Questo è la tua punizione divina. Invece di stare a ridere come un deficiente, potevi aiutarmi. Ribattei, annuendo alle mie stesse parole, prima di risedermi composto ed evitando accuratamente lo sguardo di tutti.

L’unico sguardo che ricambiai fu quello di Andy. La sua faccia era un miscuglio di espressioni da: “Lo sapevo cazzo che sarebbe successo!”  e altre cose che probabilmente gli stavano mandando in tilt il cervello.

Così decisi di alzarmi, di prendere il mio cappotto e andarmene con la voce di Jon che mi diceva di restare.

La pizzeria fortunatamente non era molto lontana da casa e cominciai a camminare lentamente, cercando di venire a capo di quella storia.

Trovare almeno una cosa positiva in tutto quel casino.

Okay, era vero, grazie al mio incontro piuttosto ravvicinato con Nick avevo scoperto, anzi capito, quanto una parte di me fosse differente da quella che era sempre stata, secondo tutti, la versione ufficiale del mio essere.

Ovviamente non capivo come mai la gente fosse così interessata alle mie preferenze sessuali. Era una cosa mia, personale, che dovevo affrontare e accettare da solo e direi anche che ero sulla buona strada per comprendere entrambe le cose.

L’unica cosa che non capivo era perché non avevo provato a farlo prima con Brendon? Perché non ho voluto baciarlo quella volta? Perché l’avevo respinto e non avevo tentato di capire cos’era quel tuffo al cuore che la sua vicinanza mi aveva procurato?

Forse era per il semplice fatto che lui era Brendon. Non c’erano diverse spiegazioni.

Lui era il mio Brendon e non volevo che soffrisse.

Ma alla fine, non era servito a nulla.

“Ehi! Ryan!” Nick mi raggiunse di corsa, la giacca infilata a metà e le guance rosse per la corsa.

“Cosa c’è?” chiesi, fermandomi a guardarlo con le braccia conserte.

“Vorrei parlarti.” Iniziò, rabbrividendo di freddo. “e dirti che ho costretto Jon a pagarci la cena.”

Io sbuffai. “E’ assolutamente il minimo che può fare, quel… quel… coso senza senso!” sbottai, facendolo ridacchiare.

“Camminiamo per schiarirci le idee, ti va?” propose e quando io annuii mi prese a braccetto, sorridendo sornione.

Nessuno parlò per diversi minuti, poi fu lui a rompere il giacchio. “Tanto per avvertirti, non cerco nulla da te, se no una scopata ogni tanto.” Iniziò. “non sono qui per chiederti amore eterno o devozione. Anche perché so che non potresti mai donarmeli.

“Come fa ad esserne certo?!” chiesi, girandomi a guardarlo, notando la sua espressione che aveva un non so che di malinconico.

“Perché appartengono a Brendon.”  Ribattè, sorridendomi.

Io mi limitai ad abbassare il capo.

E se è proprio vero il detto: “Chi tace acconsente”, credo proprio che tutto quello che Nick mi aveva detto corrispondeva alla verità.

“Poi vorrei scusarmi con te.” aggiunse, grattandosi il capo con fare imbarazzato. “mi sono comportato malissimo con te. Non avrei dovuto fare… beh quello che ho fatto.  Alzai un sopracciglio nella sua direzione e risi. “ Per fatto, intendi drogarmi con della valeriana spacciandola per del the e approfittarti del mio sedere?!

“Ecco, esatto.” Sbuffò arrossendo e facendomi ridere.

“Tranquillo, sei autorizzato a replicare. Quando vuoi. Però, evita di offrirmi da bere.”

Ci fermammo in una gelateria, a rimpinzarci di gelato nonostante il freddo, poi tornammo sulla via di casa e lo invitai a salire da me.

Ci conoscevamo da un po’, ma non era mai entrato in casa mia, così dopo un veloce giro di stanze, che Nick si fermò ad ammirarle, lo attirai nella mia, che appositamente avevo lasciato per ultima.

La regola di Ryan Ross è di non ripetere mai, ma quella sera (e per molte altre sere dopo) feci un enorme cambiamento alla regola.

 

 

 

Brendon pov

 

Dopo una doccia fredda (mancava l’acqua calda) e un veloce cambio d’abiti ero già pronto e profumato ad aspettare El davanti al tuor bus. Mi tremavano le mani dall’emozione e non mi sentivo così da quella volta che avevo chiesto ad Hayley Williams di uscire.

Vi prego di capirmi, ero piccolo e ingenuo.

E non tornerò sull’argomento.

Ariel arrivò con solo due minuti e mezzo di ritardo, i capelli color miele gli ricadevano morbidi davanti al viso.

“Dov’è che mi porta, Signor Urie?” mi chiese, con le mani dietro la schiena e una maliziosa espressione.

Rimasi in silenzio, pronto a fare un'emerita figura da coglione visto che non avevo pensato minimamente dove portarlo.

“Ehm, al mare?” chiesi, sperando vivamente che in Virginia ci fosse il mare.

“Oh che bella idea! C’è una spiaggia pubblica non lontano da qui!” feci un lungo sospiro di sollievo, che mascherai con un sorriso.

“Già è proprio lì che volevo andare!” esclamai e invece di farlo replicare lo trascinai verso la spiaggia, che veramente era a pochi passi da noi.

Accanto alla stradina ciottolata stava uno stand dedicato alla vendita di schifezze unte e straunte. C’era una piccola folla che aveva assediato il chiosco, tutte che avevano avuto più o meno la stessa idea di farsi una passeggiata in riva al mare.

Ci fermammo a prendere qualcosa e a salutare Will e Gabby…Gabe, che aspettavano il loro turno con le mani intrecciate fra loro.

“Patine e due Red Bull.” Chiesi, mollando in mano al vecchio una banconota da cinque dollari.

Pochi attimi dopo stavamo già passeggiando, in cerca di un posto tranquillo dove sedersi, fu difficile visto che la spiaggia era veramente piena di gente.

Ci sedemmo quasi in riva al mare dopo aver costatato che era l’unico posto dove le voci stonate di alcuni ubriachi non ci distruggevano l’atmosfera con i loro canti sui marinai.

El si tolse se Vans e affondò i piedi nella sabbia fresca, prima di passarmi la busta con le patatine fritte e aprirsi la sua Red Bull. Rimanemmo in silenzio per un po’ di tempo, guardando l’orizzonte buoi e passandoci di volta in volta le patatine.

C’era un silenzio così imbarazzante che avrei preferito alzarmi e unirmi al coro di matti che aveva appena iniziato a cantare “O sole mio” con l’aiuto di un mandolino assolutamente scordato.

“Pete mi ha raccontato un po’ di cose…” iniziò El, prendendo un sorso dalla lattina.

“Che genere di cose?” ribattei, cominciando a disegnare cerchi concentrici sulla sabbia con un bastoncino umido che avevo trovato li affianco.

Lui fece spallucce “Di quanto questo periodo sia difficile per te.” iniziò incerto.

Io annuii senza la forza di replicare.

Non volevo pensare al mio malessere, perché ogni volta che ci pensavo tutto veniva collegato a un solo nome.

Ryan.

“Non dovevo aprire bocca.” Disse El, rammaricandosi. Così scossi il capo e mi avvicinai a lui per fargli capire che non avevo assolutamente intenzione di prendermela con lui.

Lo baciai, forse ci misi troppo impeto, ma lasciò che lo trascinassi sdraiato sulla sabbia, mentre rispondeva al bacio.

Non avevo voglia di pensare a quanto ancora il mio cuore si chiudesse in una morsa ogni volta che veniva pronunciato il suo nome.

Quella notte parlammo molto.

Scoprii di lui un sacco di cose, il fatto che vivesse ad Adelaide e che suonava il piano da quando aveva sei anni, oppure che gli piacevano i film dell’orrore e i tacos. Io non dovetti dire nulla perché a quanto pare sapeva più cose di me di quanto ne sapessi io.

“Ho un buon informatore.” Si giustificò, riferendosi a Pete che gli passava ogni informazione possibile.

Quindi sapeva anche di che colore portavo le mutande?

Non indagai.

Mi piaceva stare con El ed era abbastanza fuori di testa per stare dietro alle mie follie.

Verso le tre di notte decisi che, nonostante non fosse più agosto, ma bensì ottobre inoltrato, dovevo assolutamente fare un bagno nel mare della costa dell’Atlantico.

C’era rimasta veramente poca gente e la maggior parte stava sonnecchiando o era troppo occupata a fare altro.

Ariel mi aveva guardato spogliarmi, ridendo delle mie smorfie di freddo, ma lasciando scorrere troppo spesso il suo sguardo smeraldo sul mio corpo.

Era quella la colpa dei miei brividi.

Sapevo di adorare già quello sguardo, perché veramente non lasciava trasparire nulla.

Insistetti per un po’ perché mi facesse compagnia in quella follia notturna e presto entrambi ci trovammo a correre come dei deficienti verso il mare, stranamente calmo, ma fottutamente freddo.

Fu veramente una stupidata perché non avevamo nemmeno una coperta con cui coprirci e scaldarci quando, stanchi di nuotare e di fare capriole, eravamo usciti dall’acqua.

Tornammo al tour bus dei Panic in tutta fretta, felici di non avere Spencer tra i piedi.

Dallon stava guardando un film alla televisione e Ian era già rintanato nella sua cuccetta a poltrire.

 “Bden se ti vede tuo padre ti uccide.” Esclamò Dall, che ci guardò di traverso appena mettemmo piede sul bus.

“Impossibile che mi veda!” ribattei.

“Io parlavo dell’altro padre…” disse, muovendo la testa, indicando il tuor bus accanto al nostro.

“Ma tu non lo dirai a Pete, vero?” chiesi, ammorbidendo il tono della voce, mentre passavo un accappatoio pulito a El.

Non avevo assolutamente voglia di sorbirmi la paternale di Pete.

“Dipende.” Sussurrò Dallon vago, allargando il ghigno.

Sfarfallargli le ciglia davanti alla faccia non bastò.

Il suo silenzio mi costò dieci dollari, che lui utilizzò per scommettere, insieme a Gabe e gli altri su quanto sarebbe durata la mia relazione con El.

Quando fummo ben asciutti e la salsedine era sparita dai nostri capelli, grazie all’uso geniale di due bottiglie d’acqua naturale, lasciai che entrasse nella mia cuccetta e che si sistemasse come meglio voleva.

Ian stava sproloquiando sulla possibile esistenza degli gnomi e pregai Ariel di non farci caso.

“E’ sempre così?” chiese ridacchiando e accoccolandosi meglio sotto le coperte.

“ Questo è nulla, fidati.” Borbottai, coprendomi fino al mento.

Ariel mi passò un braccio intorno al petto, in modo da poter essere ancora più vicino a lui, e cominciò a baciarmi le labbra, sospirando rilassato.

Lasciai che mi appoggiasse una gamba sul fianco che io percorsi con la mano fino ad arrivare al fondoschiena e lasciare vagare la mano sotto la maglietta.

 Questo fu d’aiuto perché lui si avventò con più decisone su di me, salendomi a cavalcioni con una grinta e una passione che mi fecero sorridere.

Mi levò la maglietta passando le sue mani calde sul petto liscio, mentre il suo sguardo restava incatenato al mio come se fosse ipnotizzato.

Però accadde una cosa, una cosa che fermò ogni mio proposito: El aveva scosso la coperta mandandola sul fondo del letto insieme alle lenzuola.

Le lenzuola di Ryan.                                                                                                                   

Mi irrigidii di colpo, senza togliere gli occhi da quella trama a fiori.

“Brendon?” la voce di Ariel mi riscosse un attimo, ma era troppo tardi perché avevo già lasciato che le lacrime mi cadessero dagli occhi.

Mi passai le mani fra i capelli.

Tutto parlava di Ryan, le lenzuola, le scritte sul muro, la forma del cuscino e io non riuscivo a fare una cosa del genere.

“Scusa.” Borbottai, mentre lui ritornava al mio fianco, tirando su le coperte.

Mi abbracciò stretto e mi baciò la fronte più volte.

Ma non disse più una parola.

 

 

 

Ryan pov

 

Decisi di dare una lunga svolta alla mia vita, quando, una settimana dopo la scoperta di essere bisex, avevo deciso di fregarmene completamente di quello che pensava la gente.

Jon quasi morì collassato e mia madre ebbe un brutto attacco isterico.

Ma poco importava.

Io e Nick portavamo avanti quelle che io chiamavo “una sana relazione di solo sesso”, ma nonostante avessimo deciso di tenere le sconcezze per noi, il nostro continuo cercarci era quasi naturale anche davanti agli altri.

Soprattutto i fotografi.

Non l’avevo fatto apposta, infondo non è la prima cosa che pensi quando esci a fare shopping e successivamente ti ritrovi con tre metri di lingua in gola in mezzo a una strada affollata.

Era successo così, capitato per caso dopo una sua battuta e io per scherzare mi ero avvicinato troppo, fino a baciarlo.

All’inizio fu quasi tremendo per me.

Ricordo di non aver mai passato attimi così carichi di ansia come le ore successive al danno.

Tutti avrebbero scoperto quello che ero, mia madre, Kate, Brendon.

Ecco forse lui mi preoccupava di più.

Ero terrorizzato dall’idea che potesse uccidermi, in preda a una rabbia accecante, ma probabilmente me lo sarei solo meritato.

Insomma l’avevo rifiutato, dicendogli a chiare lettere che quelli come lui mi facevano schifo.

“Se mai lo scoprirà, tu devi essere pronto a dirgli la verità.” Mi diceva Nick. “che lo ami. Non ti ucciderà, stanne certo. Okay, forse ne uscirai un po’ ammaccato, ma fidati che è il minimo.

Nemmeno lui aveva esattamente approvato il mio comportamento.

Mi aveva picchiato anche, chiamandomi “essere schifoso, insensibile!” testuali parole, ma era rimasto lo stesso al mio fianco e forse era quello che non mi spaventava delle polemiche della gente.

Sta di fatto che, il giorno successivo al fattaccio, ogni pagina di giornali gossip erano piene dell’immagine mia e di Nick avviluppati in un lungo bacio.

In seguito passarono dal web alla televisione e allora potei dire che proprio tutti avevano avuto l’opportunità di vedere Ryan Ross scaraventato dall’altra sponda.

Nick e Jon avevano preso ad amministrare il mio telefono, rispondendo alla quantità innumerevole di persone che cercavano spiegazione.

Mia madre e Kate si presentarono direttamente a casa e parlai con loro per ore intere.

E quella fu l’unica cosa importante da fare e ne uscii davvero rincuorato, visto che avevano capito la situazione e parzialmente accettata.

Quella stessa sera, tornato dopo una lunga sezione di prove, il cellulare tornò a squillare.

In un primo momento cercai di evitare lo squillo insistente, poi preso dalla curiosità lessi il nome sul display dell’Iphone.

Sbiancai e persi quasi le forze, tanto da dovermi sedere.

Ma non potevo non rispondere il momento era arrivato.

“Pronto?” cercai di non balbettare, ma proprio non ce la feci.

“Ross, porca di quella merda ma che cazzo combini?”

Pete Wentz stava strillando come un ossesso e sapevo che era molto, molto incazzato.

“Posso spiegarti…” balbettai.

“Ho dovuto mobilitare un sacco di gente per non far ricevere giornali a Brendon, ho fatto tagliare i fili della connessione a internet, ho fatto sparire televisioni!” urlò. “ti rendi conto di quanto tu stia attentando alla felicità di quel povero ragazzo?”

A quel punto, evitai addirittura di rispondere e lo lasciai sfogare.

“ Lo rifiuti, lo mandi in depressione, gli fai credere di essere una merda totale e di non valere niente e poi, cosa fai? Ti scopi il tuo tastierista?! Ma dove l’hai cacciata la coerenza, Ross?” prese un attimo fiato e potei sentire, in quell’attimo di silenzio, la voce di Saporta insultarmi.

“Giuro che se ti becco, ti faccio lo scalpo, ti riduco talmente male che per due anni non potrei dire la parola hippie!”

Alzai gli occhi al cielo stanco. “Pete arriva al punto.”

“Che tu sei una merda.” Ribattè. “ e che Bdon verrà a sentire un tuo concerto la settimana prossima.”

Mi andò di traverso la saliva e cominciai a tossire follemente.

“Sta morendo?” chiese Gabe a Pete. “Spero di no, è compito mio ucciderlo.” Fu la sua risposta.

Per riprendermi ci volle qualche minuto, ma trovai la forza per parlare, con le lacrime agli occhi dallo sforzo.

“Ma oggi è già domenica! E comunque sia perché dovrebbe venire a sentire un MIO concerto?” chiesi, buttandomi a peso morto sul letto.

“L’ha promesso al suo nuovo ragazzo!” rispose la voce di Gabe. “ che tra parentesi è il cugino di Pete.”

Rimasi per un attimo spiazzato.

Beh, cosa credevo? Che non aveva avuto la forza di rifarsi una vita perché stava ancora sognando quella passata?

Egoisticamente avrei voluto che fosse così.

“Ti pregerei, anzi no ti ordino di non fare casini. Non peggiorare la situazione, perché lui ti ama ancora.

Mi esplose il cuore, in quel momento e sorrisi. “Togliti quel ghigno dalla faccia, Ross perché non è una cosa positiva il fatto che sia ancora innamorato di te.” aggiunse Pete, facendomi sospirare. Come aveva capito che stavo sorridendo, rimase un grande mistero, ma forse era per il semplice fatto che ero una persona piuttosto prevedibile.

“Va bene, starò buono.”  Acconsentii.

“Ottimo. Buon proseguimento di sera, coglione.”

E riattaccò.

Rimasi solo con i miei pensieri tutta la notte, senza riuscire a dormire.

L’idea che lui ancora mi amasse mi aveva reso così felice, ma allo stesso modo così triste che non sapevo che emozione provare prima.

Ero uno stupido, avrei voluto uccidermi da solo per le cazzate commesse.

E solo sapere che quel cuore che tanto professava d’amarmi stava diventando di un altro mi fece rendere conto che, amare Brendon Urie, da quel momento in poi, sarebbe stata un’impresa dolorosa.

 

 

Fine secondo capitolo

 

 

 

 

 

Eccoci al secondo capitoloooooooooooooooooo

Ringrazio Annìì, Jee, e Bro(Miky) per aver recensito!!! Veramente grazie ragazze!

L’altra volta mi sono dimenticata di fare anche un piccolo ringraziamento a Miky( Heven Elphas) per avermi suggerito il titolo di questa long <3

A domenica prossima con il capitolo tre xD

Grè.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** "Troublemaker" ***


cap3 ryden

 

 

 

 

Capitolo tre

 

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

 

Non ero mai stato imbarazzato come quella mattina quando, del tutto stordito e con gli occhi gonfi per le lacrime versate, cominciai a svegliarmi.

La faccia di Ariel capitanava la mia visuale, bella sveglia e con un sorriso scintillante a contornare quei occhi meravigliosamente… verdi. Come i prati delle colline irlandesi o le foglie ricoperte di rugiada la mattina.

Rimasi a fissarli come se davanti a me ci fosse la più nitida riproduzione della Vergine Maria.

Erano meglio di qualsiasi risveglio mai avuto.

“Prima di dirti buon giorno, posso chiederti se si può evitare di menzionare la mia pessima figura di ieri sera?” Ariel rise alle mie parole e annuì, lasciando cadere un ciuffo color miele davanti agli occhi che ebbi la premura di scostarlo dietro il suo orecchio. “Bene, allora buon giorno.” Continuai, alzando lievemente il viso per incontrare le sue labbra in un bacio di saluto.

“Posso chiederti almeno se stai bene?” disse, accarezzandomi il naso con la punta delle dita.

“Non lo so.” Ed ero sincero.  Non sapevo cosa provare, cosa pensare né tanto meno cosa esprimere.

Adoravo El per il semplice fatto che non faceva domande.

Probabilmente sapeva già per chi era tutto quel dolore (Pete non si era certo risparmiato), ma evitava anche qualsiasi tipo di argomento che potesse riportare a... lui.

E non riuscivo nemmeno a dire il suo nome.

Fanculo.

“Senti, avrei una cosa da chiederti.” Iniziò, mettendosi seduto e incrociando le gambe.

“Dimmi.”

“Non è che, ti andrebbe di accompagnarmi a vedere una band?” chiese, sfarfallando le ciglia in modo accattivante. “suonano domani in un locale qui vicino. So che oggi è l’ultimo giorno di tuor, ma potremmo prolungare la cosa di un giorno!”  raccontò, cominciando a gesticolare. “Potremmo prendere una stanza d’albergo solo per una notte e ripartire il giorno dopo! Sono sicuro che per Pete non ci siano problemi! Lo so chiedo troppo, ma loro sono troppo bravi e io non so quando avrò un’altra opportunità per ascoltarli dal vivo!” riprese fiato per un momento, guardandomi con timore.

Io ridacchiai.

Sembrava proprio un ragazzino, impacciato in quel modo. Non gli feci aggiungere altro perché accettai la sua proposta, accolta con un urlo e un abbraccio più che stritolante.

Pomiciammo per un lungo e felice momento finchè quello stupido del mio cervello decise che doveva per forza comandare la mia bocca a parlare.

“Di che band si tratta?” chiesi, quasi senza fiato, accarezzando le guance porporine di El con i palmi.

“The Young Veins! Sono eccezionali!”

Brendon Urie iniziò, così, la sua lunga discesa verso un buco nero dal quale non avrebbe più fatto ritorno.

In seguito venni a sapere che El aveva ascoltato le vene giovani per la prima volta solo pochi giorni prima, dopo che aveva trovato diverse canzoni dell’Ipod di Spence. ( cosa ci faceva Spencer con quelle canzoni non lo sapevo. Lui diceva che le aveva scaricate per poter studiare da vicino il nemico. Tutt’ora faccio finta di credergli.)

Evitai di raccontare a El che il Leader della sua band preferita era lo stesso che mi aveva reso la vita un vero schifo, anche se sapevo chi avrebbe provveduto alla cosa.

Pete saltellava con un sorriso da conquistatore, precendendo Ariel che era veramente giù di corda. Wentz saltò sul palco, montato quasi a festa per l’ultimo concerto, e si avvicinò alla band spargendo sorrisi e incoraggiamenti.

Mi allontanai un poco per riuscire a sedermi sul bordo, scostando diversi fili elettrici, aspettando che El si avvicinasse.

“Scusami…” mi disse accostandosi e posando le mani sulle mie cosce. Aveva l’espressione affranta e colpevole.

“Non serve che tu lo dica, non potevi saperlo.” Affrettai a dire, passando una mano fra i suoi capelli mossi.

“Quando Pete me l’ha detto avrei voluto… accoltellarmi!” esclamò serrando i pugni.

“Non credo che fare Harakiri sia la cosa migliore.” Risi io. El sbuffò e si lasciò abbracciare.

“Non ci andiamo al concerto.” Sussurrò poi, annuendo alle sue stesse parole.

“Certo che ci andiamo. Non devi minimamente preoccuparti. Ho promesso di accompagnarti e lo farò.”

Oppose resistenza per cinque minuti buoni, finchè pensai che fosse meglio tappargli la bocca, prima che lui riuscisse a farmi cambiare idea.

Ci baciammo per qualche glorioso momento, perdendoci l’uno nel desiderio dell’altro, finchè la bacchetta di Spencer non mi colpì la nuca.

Avevo una totale ripulsione per le prove la mattina presto, erano poco salutari e non erano di certo come le mie corsette mattutine. Mollai El dopo un altro bacio e corsi dalla mia band che mi proclamava a gran voce per finire quelle prove che Pete aveva categoricamente imposto.

Era passata sì e no una mezz’oretta quando sbagliai un paio di accordi di “New Prospective” impegnato com’ero a guardare la trottola Pete girare fra tecnici e strumenti come una furia.

Dettava ordini come un generale e aveva un’aria quasi solenne, da dittatore romano, dicendo a volte: “ Sono Pete Wentz, no? Io posso fare tutto. Quindi fermate la stampa, la televisione! sono disposto a sacrificare i miei uomini pur di salvare mio figlio!”

La mia mente volò verso quella dolcissima testolina bionda di Bronx che probabilmente a quell’ora stava fra le braccia di Morfeo assieme alla mamma.

Scrollai le spalle e ripresi a cantare.

Con il trascorrere delle ore non solo Pete diventava strano, ma tutti sembravano avere lo stesso comportamento anomalo.

Comunque sia, quel giorno non riuscii a fare nulla. Niente televisione, quindi addio Oprah, niente giornali, quindi nessun fumetto satirico.

El addirittura pretese che tornassimo alla spiaggia e rimanemmo lì a coccolarci fino a mezz’ora dell’inizio del concerto.  

Ora come ora, se ripenso al perché di quel comportamento, non posso far altro che ridere a crepapelle.

 

 

 

 

Ryan pov

 

 

La mia fine era vicina.

La sentivo incombere su di me come un uragano.

Piuttosto inquietante a dire la verità, ma non potevo far altro che pensarla così. Avrei rivisto Brendon da lì a tre ore, dodici minuti e cinque… sei secondi.

Fissavo l’orologio inquietato, almeno finchè Jon non decise di distrarmi, giocando all’allegro chirurgo con gli altri della band.

“Potete spiegarmi chi ha scelto questa data in Virginia?!” proclamai a un certo punto, mollando il gioco per sedermi sul divanetto accanto a Nick.

“Tu, tesoro.” Rispose lui, facendomi grugnire.

Odiavo profondamente me stesso. “Avrei fatto meglio a tapparmi la bocca allora

Nick al mio fianco rise, avvicinandosi per posarmi un bacetto sulla guancia. “Ti porto una birra, così ti rilassi.” Detto questo sparì dal camerino.

“Sì sta trasformando in un’amorevole mogliettina, Ross.” Commentò Andy, ridacchiando.

“E pensare che non è lui che lo prende!” rincarò la dose Murray.

Feci finta di non ascoltarli, sdraiandomi sul divano con poca grazia e appellandomi alla grazia divina.

“Secondo me ti stai angosciando per nulla.” Sostenne Andy, ottenendo l’approvazione di Jon. “con tutta la gente che c’è figurati se si presenta davanti a te!”

Fui quasi tentato di credere alle parole di Andy, ma più il tempo passava più sentivo la sua presenza vicina.

Prima dell’inizio del concerto ricevetti una visita che, nonostante il mio umore nero, riuscì a rallegrarmi un poco la serata.

Z si mostrava sorridente, in un bellissimo vestito nero, tanta da farla sembrare una bambolina di porcellana. Mi venne incontro abbracciandomi e baciandomi le labbra sotto lo sguardo sconvolto di Nick.

Mi stupiva sempre la sua allegria e la sua energia e riuscì per un po’ a farmi scordare l’arrivo imminente di Brendon.

Passammo un’eccitante oretta insieme, chiusi squallidamente dentro il bagno. Nick non approvò la cosa ed evitò di farsi toccare e addirittura di parlare con me, fino alla fine del concerto.

Non capivo quel suo comportamento.

Non mi ricordavo di aver fatto promesse di castità o di monogamia.

Evitai di scontrarmi con chiunque nel Backstage, anche con le fan che avevano vinto dei pass speciali che la casa discografica aveva messo a disposizione. Salii immediatamente sul palco, avvicinandomi al microfono e salutando il pubblico che era veramente immenso, quella sera.

Puntai lo sguardo davanti a me, cercando di reprimere l’impulso d’individuare la sua figura con gli occhi.

Però non resistetti.

Sapevo che era lì, perché sentivo la sua presenza. Mi sembrava di sentire il suo profumo e i suoi occhi scuri puntati su di me.

Brendon mi stava osservando dal lato destro del palco, appoggiato alle transenne, le braccia conserte e l’espressione dura e quasi irriconoscibile.

Incatenò il suo sguardo nel mio per un attimo e fu come perdere ogni energia. Alzai il braccio in un gesto di saluto, pentendomene subito, almeno finchè Bden non lo ricambiò con un piccolo ma percettibile movimento del capo.

Persi qualche parola di “Change”, ma Jon riuscì a salvare la situazione tornando a cantare il ritornello.

Ero completamente fottuto.

Lasciai il suo sguardo per un attimo, giusto il tempo di riprendere fiato e calmare i battiti veloci del mio cuore.

Solo all’inizio di “Everyone But You” riposai gli occhi su di lui.

Brendon non mi guardava più, perché stava abbracciando dolcemente un ragazzo dai capelli color miele e dalla pelle diafana, che aveva avvicinato il viso a quello di Brendon per posargli un bacio sulle labbra.

Tremai di rabbia e strinsi la chitarra talmente forte che le corde graffiarono le mie mani fino a farle sanguinare. Ricacciai indietro il magone e tornai a seguire la voce di Jon che cantava e riposare la mia concentrazione su gli accordi da fare.

Era tutto un totale schifo.

Pregai Jon di fare una pausa e io mi rintanai dentro il backstage, buttando giù metà del contenuto di una bottiglia di Gin.

A fine concerto, dopo un saluto generale, Nick mi trascinò con forza nel backstage, portandomi dietro a una delle tende nere per evitare sguardi indiscreti.

Aveva un’espressione arrabbiata in viso, e le braccia conserte.

“Come stai?” chiese, sentivo la sua preoccupazione, anche se la sua faccia poteva dire solo quanto era incazzato con me.

“Come se mi fosse passato addosso un camion carico di letame.” Risposi, appoggiandomi alla parete dietro di noi.

Nick addolcì leggermente il viso, annuendo e allungando la mano per posarmi una lieve carezza sulla guancia.

“ E’ qui con il suo ragazzo.” Disse.

“Sì ed è anche bello.” Sbuffai, lasciandomi abbracciare. “scusa per prima, Nick… sai io e Z…” lui mi azzittì, dandomi un leggero cucco sulla testa.

“Non fa nulla. Non mi hai promesso niente e quindi non posso pretendere nulla. Sentii una lunga stretta al cuore, perché la sua voce triste era l’ultima cosa che avrei voluto sentire.

Si lasciò baciare e mi afferrò con violenza i fianchi per scontrarli con i suoi mentre stringeva le sue mani sudate sulla stoffa leggera della mia camicia.

Restammo lì per lungo tempo, mentre credevo che l’unica soluzione per dimenticare quell’ora infernale sul palco fosse quella di farmi scopare, contro un muro e dietro a una sottile tenda nera.

Andy e Murray distrussero ogni proposito, scostando la tenda proprio mentre Nick mi fece voltare contro il muro, giocherellando con la cintura dei miei pantaloni.

Quello però fu il male minore.

La cosa terribile, fu intravedere lo sguardo attonito di Brendon.

Nessuno parlò per un tempo quasi infinito, mentre Nick lasciava la presa su di me e si passava le mani nei capelli per riavviarli.

Murray aveva la faccia colpevole così come Andy.

Nessuno se l’era aspettato.

E io nemmeno a dirla tutta.

Provai a dire qualche parola, ma gli occhi smeraldi del ragazzo vicino a Brendon attirarono la mia attenzione.

Probabilmente aveva una, comprensibile direi, voglia di mettermi le mani al collo e farmi esalare l’ultimo respiro.

Era lo stesso ragazzo che Brendon aveva baciato, lo stesso a cui aveva regalato abbracci e sorrisi per tutta la durata del concerto.

“Bugiardo.”

Solo questo disse Brendon, prima di scappare e uscire con violenza dalla porta di servizio.

Bugiardo. Era vero.

Ero un gran bugiardo, un codardo.

“Tesoro, forse è meglio che gli corri dietro.” Suggerì Nick, dandomi una lieve spintarella con la mano.

Seguii il suo suggerimento e scattai all’inseguimento, cercando di raggiungere la furia Urie che era veramente più agile e veloce di me.

Stranamente non aveva preso a correre furiosamente e si era fermato a qualche metro dalla porta, guardando con gli occhi lucidi di pianto la striscia scura dell’oceano. Lo osservai per qualche momento, mentre si asciugava velocemente le lacrime con il palmo della mano e imprecava sottovoce.

Era bellissimo.

Egoisticamente rimasi fermo a fissarlo per interi minuti, godendo della sua presenza così vicina che mi era mancata per mesi.

“Non hai fissato abbastanza, Ross?” sussultai al suono rude della sua voce.

Fremetti dall’emozione, felice che mi stesse rivolgendo la parola.

Ovviamente non c’era nulla di cui gioire, ma non potevo farne a meno.

 

 

 

Brendon pov

 

Mi stavo letteralmente cagato sotto.

Tutti i pianeti erano allineati contro di me e i capelli che non volevano restare fermi ne erano una prova.

Spencer mi fissava divertito seduto sul mio letto della mia camera d’albergo, ogni tanto lanciando uno sguardo annoiato alla sua Playstation portatile, per poi riposarlo su di me.

“Tu non avevi un aereo da prendere?!” gli urlai dietro, mentre lottavo con il nodo della cravatta.

“Ho deciso di restare alla fine, e prendermi un giorno di riposo in questa magnifica, esilarante città.” Disse con un tono sognante piuttosto irritante.

Gli ringhiai contro e presi a cercare una cintura dentro il borsone.                                                         

Ovviamente era sparita.

Mai che qualcosa vada nel verso giusto per Brendon Urie. Mai.

“Dove cazzo è quella cazzo di cintura del cazzo!” sbraitai, inventandomi pose da contorsionista per riuscire a raschiare più a fondo possibile.

“Mister finezza è qui.” Disse Ariel sarcastico, indicando la poltrona, dove capitanava la mia bellissima cintura. “Bden sei sicuro?” disse poi, giocherellando con le maniche della sua felpa azzurra.

“Sì El non ti preoccupare, soffre solo di sindone premestruale… AHIA!” Spencer saltò sul letto trattenendosi il polpaccio che io avevo brutalmente frustato con la cintura.

Feci un sorriso a El e gli accarezzai i capelli. “Stai tranquillo, Okay?” lo rassicurai. “va tutto bene.”

Questa è autoconvinzione Urie, mi dissi, mentre gli occhi di Ariel rimanevano ancora insicuri.

Uscire dalla camera fu quasi come recarsi al fronte e mi stupii di quanto poco ci mettemmo io e Ariel ad arrivare al locale.

Tenevo così intensamente stretta la mano di Ariel che quasi non mi accorsi delle sue proteste, nascoste dietro un sorriso.

“Scusa.” Borbottai, mentre venivo raggiunto da una mandria di persone che avevo avuto l’opportunità di conoscere durante le feste organizzate da Pete o hai concerti.

Ci venne così riservato un posto “d’onore” vicino alle transenne alla destra del palco, dove la visuale era perfetta.

Sentivo Ariel esultare felice e lo fu per tutto il resto del concerto, canticchiando con voce lievemente stonata le canzoni delle vene giovani.

Quello stronzo stava evitando il mio sguardo come la peste, ma io volevo che mi guardasse, che vedesse con chi ero e che crepasse di gelosia.

Morii una seconda volta quando il suo caldo sguardo nocciola, così stranito e impaurito, si posò sul mio.

Cercai con tutte le mie forze di mantenere un’espressione che potesse fargli capire quando lo ritenevo al di sotto di ogni cosa.

Anche se non era vero.

Finito il concerto, Ryan sparì così in fretta dal palco che quasi si dimenticò di salutare i fan.

Ariel saltellava felice, aggrappandosi al mio collo e stampandomi diversi e graditi baci in volto. Mi sorpresi molto quando Andy e Nick Murray ci vennero incontro. Ci salutammo proprio come vecchi amici, anche se in realtà ero stato in loro compagnia pochissime volte. Erano simpatici e dei musicisti di talento.

Presentai El come mio ragazzo, causando diverse reazioni. Quella di Ariel fu la più piacevole, visto che mi stampò un bacio sulle labbra e mi strinse a sé.

“Che ne dite se cerchiamo gli altri e andiamo a bere qualcosa tutti insieme?” propose Murray, sorridendo e scostandosi il ciuffo sudato dalla fronte.

El mi guardò per un attimo, preoccupato. “Okay.” Risposi io, fingendo un entusiasmo che a dirla tutta mi era finito sotto la suola delle scarpe.

Non ero entusiasta di vedere da vicino quella sua faccia. Che per quanto bella fosse, riusciva a farmi riesumare ricordi così forti e dolorosi da farmi piegare in due per l’affanno.

Il cuore doleva così tanto quel giorno e sembrava non essere minimamente scemato.

Il peggio forse fu ritrovarlo così vicino e in una posa così assurda che all’inizio pensai a uno scherzo.

“Mi fanno schifo le persone come te Urie.” Aveva detto tempo fa. “Non ti avvicinare. Non è normale.”  Mi aveva chiamato anormale quel giorno, buttando all’aria tutto quell’amore che da anni provavo per lui. Mi aveva guardando come se anche solo la mia vista gli procurasse nausea.

Bugiardo.

Le sue labbra che baciavano quelle di un altro uomo.

Bugiardo.

Vedere la sua passione divampare.

Bugiardo.

Sapere con quanta naturalezza rispondeva a quelle carezze, mi mandò in bestia.

“Bugiardo.” Dissi e neanche mi accorsi di averlo fatto finchè la mia voce non mi tornò come una specie di eco.

Poi scappai.

Uscii fuori dal locale come se stessi per soffocare e appena l’aria fredda mi schiaffeggiò il viso mi fermai. Avevo il fiatone, nonostante non avessi corso tanto, le fitte al petto erano così intense che mi afferrai la stoffa della camicia con entrambe le mani, cercando di controllare le lacrime che scendevano a fiumi.

“Bravo Urie, sei ancora più patetico così.” Mi rimproverai, passandomi i palmi delle mani sotto gli occhi in moto di stizza.

Ryan mi aveva seguito e sentivo la sua presenza e quel suo fottuto profumo che era troppo dolce e buono.

“Non hai fissato abbastanza, Ross?” gli dissi, senza voltarmi a guardarlo. Ryan non parlò e mi si avvicinò lentamente, finche non fu al mio fianco. “Prova solo a dire che ti dispiace e ti strappo la lingua a morsi, stronzo” lo anticipai.

Ma lo disse lo stesso, perché sapevo che era l’unica cosa che poteva dirmi. “Mi dispiace Bden.”

“Da quanto va avanti?” chiesi, strizzando le palpebre per evitare di far scendere altre lacrime. “O meglio, da quanto lo sai?”

“Da poco. Neanche un mese.” Rispose. “ho fatto una stronzata.”

“Sì. L’hai fatta. Mi hai fatto sentire una merda per mesi, mi hai fatto sentire come un’anormale che non ha diritto di vivere!

Esageravo certo, ma era fottutamente vero.

“Lo so, avevo solo paura dei miei veri sentimenti, avevo paura di tutto, anche di te!” strillò lui, posandomi una mano sul braccio.

Tremai, ma non ebbi la forza di scacciarla.

“Va al diavolo Ross.”

Mi incamminai verso il molo sotto di noi, lasciandolo lì da solo con i suoi pensieri.

Sperare di non incontrarlo non era servito a nulla.

Feci qualche altro passo, con lo sguardo di Ryan fisso sulla mia schiena.

Poi, gelai sul posto.

“Cazzo, Ariel!” sbottai, tornando indietro come una furia e superando Ross che mi seguì dopo un attimo di smarrimento.

Trovai il mio ragazzo intento a socializzare con Jon e gli altri, ridendo e bevendo vodka e lime.

“El, andiamo!” dissi, afferrandogli la mano. Lui guardò prima me e poi Ryan e tornò a fissarmi speranzoso di una riconciliazione. “non ci resto un secondo di più qui dentro.”

 Ariel salutò e sparse baci a destra e manca, rifilando una stretta di mano educata a Ryan.

Lasciammo il locale e gli abbracciai la spalla con un braccio, cercando calore. El mi strinse le braccia attorno al petto ed evitò di parlare.

“Non sentirti in colpa.” Gli mormorai, prima di posargli un bacio fra i capelli.

Andava bene così, non potevo pretendere altro.

 

 

 

 

Ryan pov

 

Jon mi assalì appena Brendon e il suo ragazzo lasciarono il locale. Mi scosse le spalle e mi chiamò idiota per venti volte come minino. Fu Cassie, la sua fidanzata, a levarmi le sue mani di dosso e mentre mi sistemavo la giacca, anche Andy decise che era giusto farmi la paternale.

Nick invece, stava in un angolo,con lo sguardo colpevole che aveva un non so che di simile al mio.

“Voglio andare a dormire.” Proclamai, grattandomi la testa.

“Vengo con te!” disse Nick, mentre Murray si lamentava che la festa non sarebbe stata la stessa senza di noi.

“Che dico a Z?” chiese Jon, mentre io scrollavo le spalle.

“Fa un po’ come vuoi. Dille che avevo un importante impegno.”

“Come sempre, eh.” Commentò lanciandomi uno sguardo malizioso che io non ebbi la forza di ricambiare.

Arrivati nella nostra stanza d’albergo, prenotata appositamente per quella sera, mi lascia cadere come un morto sul letto, desideroso di dimenticare quella serata. Mugugnai parole incomprensibili per un po’, mentre Nick mi spogliava dolcemente dei miei vestiti.  Non aveva nulla di malizioso quella situazione e provando un ignoto un moto di tenerezza mi sollevai suoi gomiti giusto per lasciargli una carezza sul viso.

Non volevo prendere in giro nessuno e tanto meno far finta di nulla. Sapevo che Nick provava qualcosa di più di un semplice affetto, sapevo che tutti i nostri gesti avevano un significato diverso per lui e sapevo che gli stavo facendo del male.

Ma egoisticamente non volevo privarmi di quello che con tanta devozione mi donava. C’era amore nei suoi occhi e sapevo cosa provava, quanto dolore aveva nel cuore, lo sapevo perché era lo stesso dolore che provavo io guardando gli occhi di Brendon.

Feci in modo che si stendesse con me, di traverso sul letto, il suo viso appoggiato sulla mia spalla nuda e la lieve barba che mi solleticava la pelle.

Non parlammo molto e lui si limitò a baciarmi di tanto in tanto il collo e accarezzarmi con dolcezza il viso.

“A che pensi?” chiesi, quando il silenzio mi era divenuto troppo stretto e il pensiero di quella sera mi mandava in bestia e mi faceva lacrimare gli occhi.

“Non farmi domande che hanno una risposta così ovvia!” ribattè lui dandomi un lieve schiaffetto sul petto.

Feci una risatina prima di baciargli la testa e lasciando che qualche lacrima si impregnasse nei suoi capelli morbidi.

“Almeno condividiamo una cosa.” Esclamò a un certo punto guardando con interesse una piccola crepa sul soffitto.

“Sarebbe?”

“Essere al corrente che, per quanto si ami una persona, quella non potrà mai amarci a comando. Nonostante la desideriamo con ogni fibra del nostro essere.

Ebbi un lungo tremito e mi fece scappare qualche singhiozzo e la presa di Nick si fece più stretta.

“Non fare il filosofo…” borbottai, mentre ridacchiava e mi obbligava a infilarmi sotto le coperte.

“E’ la verità, sono obbiettivo.” Ribattè, con il sorriso sulle labbra e le braccia pronte a accogliermi nuovamente. “ma potresti sempre tentare di conquistarlo.” Aggiunse.

“Mi odia.” Dissi.

“Ma ti ha amato, e non credo che il suo amore sia sparito così in fretta.” Proclamò. “a volte si odia per nascondere qualcosa che fa ancora più rabbia dell’odio stesso. Penso che abbia paura di amarti e non ti odia, non può.

Rimasi in silenzio un attimo mentre le parole di Nick erano così dolci da credere, anche se avevano quel retrogusto amaro che si chiamava realtà.

La realtà dei fatti era quella che mi si era presentata quella sera.

Il suo disgusto, il suo ragazzo, le sue lacrime…

“Perché non potrebbe?”

“Perché anche con tutta la buona volontà che ci mette nel farlo, tutto si vede tranne che l’odio nei suoi occhi.” disse dolcemente, come se stesse parlando a un bambino.

Arrivati a quel punto non avevo più voglia di pensarci, non avevo più voglia di farmi domande e avere risposte che non avrebbero mai corrisposto alla verità.

Non gli risposi e mi limitai a strisciargli dolcemente addosso, fino a trovarmi su di lui a cavalcioni.

Non pretese risposta e assecondò i movimenti che da languidi diventavano frenetici.

Mi svegliai alle prime luci del mattino, grondante di sudore e liberandomi velocemente dalla presa stretta di Nick, mi alzai per mettermi seduto.

Mi mancava l’aria, lo stomaco stretto in una morsa e la nausea che mi pizzicava fastidiosamente la gola.

Avevo sempre avuto paura dei miei incubi, fin da bambino.

Se in passato rivedevo nei miei sogni angosciosi le immagini terribili di un me stesso troppo piccolo e troppo fragile per scappare dalla furia di mio padre, in quel momento gli occhi pece di Brendon così delusi e schifati, facevano più paura di qualsiasi cosa.

La mano fresca di Nick mi si posò sulla pelle bollente, mentre il suo viso ancora assonnato era intriso di preoccupazione.

“Non è nulla.” Dissi, mettendolo a tacere ancora prima di fargli aprire bocca. “vado in bagno.” Borbottai,scostando le coperte e barcollando nell’altra stanza. 

Feci in tempo ad appoggiarmi al cesso e riversai anche l’anima. Tossii fra i conati, mentre i passi di Nick mi raggiungevano e di nuovo le sue mani mi afferrarono la fronte, scostando dolcemente i capelli dal viso e mi rassicurandomi con parole appena sussurrate.

“Fanculo…” mormorai, sollevandomi e scacciando Nick per avvicinarmi al lavabo e sciacquare la bocca e rinfrescare il collo e il viso sudato.

“Ti aiuto, aspetta.” Borbottò, scostandomi ancora una volta i capelli all’indietro, fermandosi per qualche momento ad accarezzarli all’estremità.

Quando fui abbastanza calmo e la nausea si era attenuata, così come il tremore alle gambe, strisciai nuovamente sul letto.

“Cos’è successo, Ryan?” provò a chiedere Nick, sedendosi a gambe incrociate sul letto, mentre io mi rintanavo sotto le coperte.

“Nulla. Torna a dormire.” Mi voltai, in modo da non poterlo essere in viso.

“Vorrei aiutarti a star meglio…” esclamò e sorrisi fra me, immaginando i pugni stretti e le guance rosse.

“Non puoi. Ora torna a dormire.”

Non ottenni risposta e ascoltai solo i fruscii di vestiti che venivano infilati alla svelta e la porta che, con forza, veniva sbattuta.

 

 

 

 

 

*****

 

 

Eccoci alla fine del terzo capitolo! Oh wow come sono puntuale xD

Mai dire mai però u.u

Ringrazio infinitamente AnniPrisoner per aver commentato*-* spero in una reazione positiva anche  per questo capitolo*-*

Uhm e voi? Un commentino me lo potete pure lasciare? *tintin* (cerco di compravi con le facce dolci xD)

Comunque sia,

a pressstoooooooooooooooooooooooooo!!

 

Grè.

 

 

 

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Capitolo 4
*** "Oh my God, I think He'll forgive me!" ***


capryden4

 

 

 

Capitolo quattro

 

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

Quando tornai in albergo mi ubriacai.

Ariel, per alleviare la tensione, mi aveva trascinato al bar e lì avevo dato il meglio di me stesso.

Spencer ancora oggi non fa che ricordarmelo.

Sta di fatto che, lui e Ariel non si erano di certo risparmiati a passarmi davanti alla faccia ogni sorta di bicchieri colmi di liquori annacquati, fino a passare a tracannare dalle bottiglie.

Ero arrivato quasi alla fine di una bellissima bottiglia di vodka liscia, sbandierandola per il collo e cantando canzoni dal testo incomprensibile, quando suonò il cellulare.

“Brenny!” urlò quello che riconobbi come Pete. “com’è andata?!” aveva il tono isterico e lo notai subito perché la sua voce era stridula e acuta come quella di mia madre quando mi sgridava.

Insomma molto sgradevole.

“Papà Pete! Ooh benissimo!” esclamai, appoggiando un braccio sulla spalle di El per reggermi. “una serata così non me la scorderò mai, sai?” aggiunsi, assumendo un’espressione quasi sognante.

“Ti sei divertito?” chiese Pete, mentre intimava Gabe e Zack di stare in silenzio.

“Certoooo! Da morire! E sai la cosa più divertente qual è stata?!” cominciai a ridere istericamente, mandando giù un altro sorso di vodka. “è gay! Ryan, gay! Ah!”

Non sentii la risposta di Pete perché Spencer mi levò di mano il telefono e corse a parlare nell’atrio.

Quello che si distinguevano benissimo, però, erano le sue urla.

Ariel mi passò un braccio intorno alla vita, sorreggendomi con qualche difficoltà, visto che era nettamente più esile di me.

“Andiamo in camera, su.” Ordinò.

“Aspetta, aspetta!” urlai, acchiappando la bottiglia che avevo sistemato sul tavolo e tracannare il liquido trasparente tutto d’un fiato. “lasciarla sarebbe stato un peccato.” Mi giustificai, guardando l’espressione contrariata di El.

 Si era ovviamente pentito di aver scelto, come pretesto per dimenticare, l’annegamento totale nell’alcool o forse non pensava che mi ci sarei buttato così a capofitto!  

Comunque vomitai anche un rene e dopo una pastiglia per il mal di testa mi buttai sul letto e ci rimasi fino al giorno dopo, quando il sole stava già tramontando.

Avevo finito per essere arrabbiato anche con me stesso, oltre che con Ross. Avrei certamente preso a pugni quest’ultimo prima di fare lo stesso con me, ma le cose erano andate diversamente e mi ero ritrovato a frignare come un poppante.

Dimenticare, dimenticare, dimenticare.

Volevo farlo così in fretta tanto da non accorgermi che non sarebbe servito a nulla.

“Oh fottuto cazzo! La mia testa!” strillai, trattenendomi in capo con entrambe le mani, mentre cercavo di alzarmi dal letto, cosa che non mi riuscì perché due braccia calde mi circondarono l’addome e il viso vispo e sorridente di Ariel mi apparve da sopra la spalla.

“Buon giorno!” strillò vicino al mio orecchio.

“Oddio ti prego non farlo mai più! La mia testa è diventata una bomba ad orologeria!” mi lamentai ricacciando le mani nei capelli. El ridacchiò piano, costringendomi a stendermi nuovamente.

“Okay, okay!” esclamò, nascondendo il viso ridente nella sua felpa azzurra.

Ore prima c’eravamo stesi sul letto senza nemmeno cambiarci e quello che desideravo ardentemente in quel momento era una doccia calda per sciogliere le tensioni. “come posso aiutarti?” chiese, la voce bassa improvvisamente maliziosa.

Girai il capo verso di lui, sollevando un sopracciglio in modo inquietante, facendolo ridere ancora di più.

“Uhm.” Commentai, dimenticandomi improvvisamente della mia emicrania. Credevo fosse davvero meglio concentrare ogni fibra del mio essere su quel ragazzo che con abbandono si lasciava baciare e accarezzare la pelle calda e liscia della schiena.

Non avevo aspettato l’amore della mia vita per avere un primo rapporto sessuale.

Sarebbe stato come attendere in eterno e io non avevo certo voglia di morire senza aver conosciuto le fondamentali regole del sesso.

Ariel fece in modo di ribaltarmi sulla schiena mentre lui si accomodava con un sorrisetto da conquistatore sul mio bacino, dove iniziò a dondolare lentamente, guardandomi negli occhi e mordendosi il labbro inferiore. Boccheggiai per interi minuti, deliziato dalla lenta frizione e dai suoi occhi che avevano assunto una tonalità di verde più scuro.

Sussurrò il mio nome un paio di volte mischiati a gemiti osceni che mi procurano un lungo tremore alle gambe. Poi si sfilò la felpa, mostrando il suo petto diafano e perfetto, eccetto per una piccola voglia di colore più scuro sulla clavicola. Mi misi a sedere, attirandolo più vicino a me e mi affrettai a baciare quell’imperfezione, succhiando leggermente per sentirlo ansimare. Mi piaceva perdermi nelle piccole cose, era una cosa che adoravo.

Raggiunsi le sue labbra dopo una lunga suzione al suo collo magro e mi aggrappai ad esse come un’ancora di salvezza, tuffando le mani nei suoi capelli, tirandoli leggermente per averlo più vicino.

Ribaltai la situazione, quando lo sentii tremante e accondiscende fra le mie braccia, così lo feci stendere sotto di me, appoggiandomi su di lui, fra le sue gambe spalancate. Ripresi a muovermi con più forza simulando ciò che da lì a poco sarebbe successo.

El mi sfilò la camicia con foga, facendo saltare qualche bottone, mentre ansimava parole sconnesse. Si fermò un attimo per accarezzare il petto e lo stomaco, sussurrando un : “Perfetto…” che mi lusingò parecchio.

Ero sempre stato a conoscenza del mio essere così… assurdamente egocentrico e di come piaceva alla gente la perfezione del mio corpo.

El sollevò il capo dal cuscino giusto per baciarmi un attimo e iniziare a trafficare con la fibbia della mia cintura.

Mi ritrassi quando tentò di sfilarmeli e mi sollevai da lui per mettermi in ginocchio aprire e disfare, con lentezza disarmante, dei suoi blu jeans.

Rimase nudo sotto il mio sguardo e dovetti ammettere che era veramente una meraviglia… il viso arrossato, il petto che si alzava e si abbassava in preda all’eccitazione, le lunghe gambe piegate e aperte. Era seriamente una visione che avevo fatto bene a non lasciarmi scappare.

“Brend…” sussurrò, incitandomi a muovermi. Gli sorrisi, colpevole di essere rimasto imbambolato a fissarlo. Mi alzai in piedi giusto il tempo di sfilarmi i jeans assieme ai boxer e tornare in ginocchio sul materasso.

Posai le mani suoi polpacci di El e lentamente risalii, fino a circondare i suoi fianchi stretti e tremendamente eccitanti.

El si allungò un attimo, aprendo con impazienza il cassetto del comodino e afferrando un preservativo.

Entrare dentro di lui fu come risalire le montagne russe e riscendere a una velocità pazzesca. Era stretto e perfetto.  Gli baciai un attimo le labbra quando corrugò la fronte per il fastidio, mormorandogli quanto fottutamente era meraviglioso. Fu lento all’inizio, così lento che fu quasi straziante, poi accelerare il ritmo fu una specie di toccasana. Presto mi ritrovai seduto contro la sponda del letto, El che ansimava sul mio grembo. Gli baciai la spalla, intrecciando le dita alle sue, in lontananza un cellulare squillò, ma non me ne curai perché eravamo entrambi catapultati nell’oblio dell’orgasmo.

 

 

 

Ryan pov

 

Tornare a casa mia fu bellissimo. Non mi era mai mancato così tanto il mio appartamento e mai mi era mancata così tanto Hobo che per quella settimana avevo lasciato a mia sorella Kate l’incarico di occuparsene. La spupazzai per il resto della giornata, finchè lei non scappò sotto il tavolo in cucina, infastidita.

Nick non mi parlava da giorni, rifiutando ogni genere di contatto con me. Non veniva nemmeno alle prove.

Non fu difficile trovare qualcuno con qui alleviare le mie voglie e così mi ritrovai ad uscire con un uomo sulla trentina, occhi azzurro cielo, uomo in carriera e un pacco ben fornito.

Non potevo voler di meno, no?

Era anche gentile e ben disponibile, almeno finchè non cominciò a fantasticare un po’ troppo. Vivere insieme?

Casa in campagna d’estate?

Matrimonio?

No grazie, passo.

Lo scaricai presto, così come la biondina che lavorava al bar sotto casa mia e il ragazzo dei giornali. Jon aveva cominciato a dividere il quaderno in colonne dove annota tutte le scopate etero e homo che avevo la briga di fare. L’inchiostro della penna fucsia era finito e ora stava utilizzando una vecchia matita di Hello Kitty fregata a mia sorella.

Da quella disastrosa sera erano passate la bellezza di due settimane e per la mia gioia, nessun Pete Wentz inferocito era apparso dal nulla per sbranarmi.

C’era una cosa però, che nonostante il mio totale menefreghismo non riuscivo ad accettare era l’assenza di Nick nella mai vita.

Non potevo dargli quello che voleva, ma lo consideravo il mio migliore amico, l’unico che aveva saputo capirmi.

Andai a trovarlo i primi di dicembre, quando la temperatura della California si era leggermente abbassata e le strade erano già addobbate a festa per il Natale imminente.

Nick non mi sbattè la porta in faccia, come pensavo facesse, ma mi invitò ad entrare, facendomi sedere sul divano del salotto, dove capitanava un bellissimo albero addobbato di blu e argento. Non era solo, visto che la sua famiglia era venuto a trovarlo per le festività, ma fortunatamente quel giorno, erano tutti usciti per fare compre e l’unica rimasta era la nipote lattante di Nick, secondogenita di non so quale sorella, perché ancora era immersa nel mondo dei sogni.

Fu difficile iniziare un discorso, anche perché lui mi guardava in attesa, con stampato in faccia il più perfido ghigno mai esistito sulla faccia della terra.

“Non è difficile dirlo, sai.” Esclamò a un certo punto, quando io avevo fatto fallire l’ennesimo tentativo di chiedergli scusa.

Era incredibile come, nelle ultime settimane, la parola che più spesso mi era uscita dalla bocca era “Scusa.” o “Mi dispiace.”

Sbuffai e mi portai le mani ai capelli. “Va bene, vado dritto al punto.” Mi schiarii la voce e gli presi una mano fra le mie, accarezzando il dorso liscio con i pollici. “sono un coglione. Il più grande coglione del mondo. Me la sono presa con te, quando volevi solo aiutarmi. Nick annuii alle mie parole, mentre un sorriso aveva già preso a fare capolino dalle sue labbra.è per questo che non voglio continuare a farti soffrire.” Aggiunsi, guardandolo negli occhi.

Sapeva meglio di me che quel momento sarebbe arrivato. “So cosa stai per dire.” Mi interruppe, continuando a sorridere dolcemente. “hai ragione, non è giusto portare avanti questa sorta di relazione…” disse e mi ritrovai ad annuire. “non fa bene a nessuno dei due e poi, dovrò pure mettermi il cuore in pace, no?”

Mi allungai verso di lui per abbracciarlo. Sospirò sulla mia spalla e me la baciò prima di staccarsi.

“Okay, Ross ora abbiamo un problema.” Disse, alzandosi in piedi all’improvviso e asciugandosi gli occhi pieni di lacrime con la manica del maglione.

Gli sorrisi tristemente. “Sarebbe?”

“Conquistare Brendon prima di Natale.” Annunciò, portandosi le mani sui fianchi e assumendo un’espressione subdola sul volto.

“Cosa?! Sei impazzito?” sbraitai e lui mi intimò di fare silenzio.

“Non urlare! Se si sveglia Sophie, siamo nella merda!”  esclamò, riferendosi alla nipote.

“Non è colpa mia se dici cazzate!” sbottai, incrociando le braccia al petto.

“Ascoltami, vuoi vivere tutta la vita sperando che lui cambi idea all’improvviso? O vuoi almeno provarci a fargli cambiare idea?”  mi chiese, prendendo a scuotermi le spalle.

Non sapevo cosa rispondergli.

Era ovvio che non volevo impiegare il resto della mia vita ad aspettare come un coglione il ritorno di Brendon, ma era anche vero che non avevo assolutamente voglia di provarci per poi sentirmi infelice della sua risposta negativa.

“Preferisco sì, piuttosto che fare la figura del coglione!” dissi, mentre Nick mi regalava uno scappellotto.

“Senti Ross, io ho perso le speranze con te per un solo e unico motivo.” Ringhiò. “perché Urie ti ama. Quindi ora aziona il cervello e pensa a un modo per riconquistarlo, intesi?!

Nick mi faceva paura quando perdeva la calma. Proprio perché non gli capitava mai, quando impazziva era una vera e propria furia.

Cercai di ribattere che sarebbe stato impossibile riuscire anche solo a parlargli, ma il pianto acuto della nipote di Nick ci fece zittire.

Lui corse come una furia fuori dalla stanza e lo sentii vezzeggiare la nipote prima che entrambi facessero l’ingresso in salotto.

Sophie era una bambina bellissima di un anno e mezzo, con gli occhi scuri rossi di sonno e pianto e i capelli neri come la pece.

Grazie a lei il discorso “conquista Brendon o ti appendo per le palle” , fu messo da parte e passai un’intera serata a giocare con Sophie.

Tornai a casa che erano le dieci passate e dopo essere stato presentato a tutti i membri della famiglia White.

Hobo mi venne incontro appena misi piede in casa, scodinzolando contenta e pretendendo un po’ di coccole.

Se non ci fosse stata lei, la solitudine di quella casa mi avrebbe davvero messo addosso una tale malinconia e sicuramente mi sarei abbandonato a me stesso.

Mangiai del cibo precotto, riscaldandolo nel microonde, davanti a un film datato.

Nick aveva fottutamente ragione.

Restare in attesa mi avrebbe portato solamente alla pazzia.

Così, deciso a provarci afferrai il telefono e cercai in rubrica il numero di Brendon.

Sperando in una risposta.

 

 

 

 

Brendon pov

 

Stavo vivendo delle settimane che avevo paragonato a qualcosa di idilliaco. El era meraviglioso, la mia vita era meravigliosa, anche il callo che avevo sull’indice era meraviglioso.

Niente e soprattutto nessuno poteva intralciare la ripresa totale della mia vita. Nemmeno Ross. Nemmeno il fatto che, solo nominarlo mi si stringeva lo stomaco.

Comunque sia, ero felice, okay felice era una parola troppo grossa, ma sentivo di essere molto vicino alla felicità.

Ariel aveva confessato di amarmi qualche settimana dopo il ritorno in California e se ancora non riuscivo a ricambiarlo del tutto, sapevo di provare per lui un grande affetto.

Sapevo di dover ringraziare Pete fino a riempirlo di regali e favori per aver proposto a El di venire a fare una vacanza lontano dalla sua bella Australia. La cosa positiva era che sarebbe rimasto fino alla fine delle vacanze natalizie.

C’erano ancora molte cose di lui che non sapevo o che ancora non avevo avuto l’opportunità di chiedere o di ricevere risposta.

Sapevo che era nato ad aprile, due giorni dopo di me, ma sinceramente l’anno mi sfuggiva.

La prima settimana di dicembre stava già volando ed ero uscito per una sessione di shopping solitario per poter comprare i regali. Me ne tornai a casa, ricolmo di pacchi e quasi caddi a terra quando Bogart decise di zampettarmi attorno. El mi aiutò a sistemare i pacchi e le varie buste sotto l’albero che poi avrei provveduto a distribuire a Natale.

Aveva lasciato la casa di Pete da qualche giorno, giusto per poter passare più tempo insieme e cercare di non deprimerci pensando a quanto lontana fosse Adelaide.

Quella stessa sera, invitai Pete, Ash e gli altri dei Panic per una cena, dove potevamo stare in compagnia. Adoravo fare questo tipo di cose perché restavamo ore a parlare di eventi passati o a fare cose stupide da riprendere e mettere su twitter.

A metà della serata, quando Spencer era talmente ubriaco che aveva acconsentito a infilarsi un pastello su per il naso, il cellulare di El squillò.

Guardò il display con una smorfia e corse nell’altra stanza per avere un po’ di pace.

“Sarà l’adorabile Maggie.” Commentò Pete sorseggiando birra e stringendo teneramente la vita di Ash,che si era appoggiata a lui per qualche coccola.

“Chi?” chiesi, prendendo posto al suo fianco.

“Maggie, la madre di Ariel, tua suocera. Mia cugina.” Disse, agitando una mano per spiegare meglio il concetto.

“Ho capito, ho capito” risi e poi mi sorse un dubbio. “scusa Petey, ma lui non è il figlio della sorella di tuo padre?”

“Certo che no! Maggie è la figlia di Zia Carol, lui è solo il cugino di secondo grado. Spiegò, girandosi per cominciare a pomiciare con sua moglie.

Rimasi un attimo interdetto.

“Quindi zia Carol è la nonna di Ariel?” chiesi, facendo in modo che Pete si staccasse da Ashlee. 

“Bdon, vuoi studiarti tutto l’albero genealogico dei Wentz?” chiese un po’ scazzato.

“Volevo solo sapere come faceva Ariel ad avere ventitré anni! Forse Maggie è rimasta incinta a quattordici anni o cosa?” sbottai, arrossendo sulle guance.

“ventitré? Brendon ma ti droghi?!” strillò Pete, abbandonando le braccia della sua donna per fissarmi con gli occhi spalancati. “Ariel ha a mala pena sedici anni!”

Okay, immaginate di avere un grosso tasto rosso con la scritta “STOP” alla vostra destra, premetelo e osservate o provate ad immaginare la mia faccia.

Non delle migliori, certamente.

Avevo ricevuto una delle notizie più sconvolgenti delle ultime settimane e quasi, dico quasi, superava la batosta di scoprire che il ragazzo che avevo sempre amato, che si fingeva etero convito, in realtà era un maledetto finocchio.

“Sedici?” chiesi istericamente, mentre la faccia di Pete assumeva una sfumatura preoccupata.

“Non lo sapevi?” borbottò e quando vide che scossi il capo, mi porse la sua birra. “tieni. Ti servirà.”

Ariel ritornò da noi dopo dieci minuti, sorridente e assolutamente ignaro.

Bastò uno sguardo, uno solo per farlo arretrare. “Ehm.” Disse.

Ottimo, non avevo voglia di rimanere in quella casa un minuto di più. Afferrai cappotto e il cellulare e uscii di casa, senza degnare di uno sguardo El.

Un ragazzino.

Un fottuto ragazzino.

Cazzo, potevo essere arrestato per pedofilia!

Vagai per un po’, deluso e molto, molto incazzato.

Avevo sempre questa fortuna di riuscire a essere preso per il culo da tutti. Da tutti quelli che amavo, a quelli a cui donavo la mia totale fiducia.

“Fanculo!” ringhiai, facendo posare su di me lo sguardo scandalizzato di una vecchietta tutta impellicciata. “cos’ha da guardare, eh? Lo sa che lei ha ucciso un povero animale comprando quella pelliccia? Eh? Lo sa?!” sbraitai, facendola scappare. Non ero certo in me, quella sera.

Avevo una tale voglia di sparire, di scappare e caso mai cambiare identità.

Ne avevo abbastanza della gente che mi stava intorno, salvo qualche eccezione.

Continuai a camminare per un po’, guardando le vetrine illuminate, pensando a quanto la sfortuna amava starmi tra i piedi.

Il cellulare squillò e notando che era un numero a me sconosciuto risposi, poteva essere Pete con uno dei suoi vari numeri. 

Fu sgarbato e me ne pentii perché chiunque ci fosse dall’altra parte del cellulare non aveva colpe.

“Chi cazzo è che rompe?” sbottai, ficcando una mano dentro il cappotto.

“F-forse non è un buon momento. Provo più tardi.” Fu la risposta.

Ryan Ross.

Ah, lui si che si meritava un’accoglienza del genere.

“Ross?” chiesi sorpreso, fermandomi per la sorpresa. Tra tutte le chiamate, la sua era assolutamente inaspettata. Non è certo quello che mi aspettavo, dopo il nostro ultimo incontro.

“Già, io.”

“Cos’è, hai sbagliato numero?”

“No, no in realtà volevo parlarti.” Iniziò e mi scappò da ridere perché stava balbettando. Mi ricordava Beckett.

“Oh.”

“Possiamo vederci?” si meritava un applauso per la spavalderia.

“Non è serata, Ross. Davvero.” Risposi, in tono quasi lamentoso.

“Ah, okay.” Disse solo, mentre in sottofondo sentivo gli abbai allegri di Hobo.

“Okay? Non è niente okay, tu sei un maledetto finocchio, Ariel è un maledetto ragazzino di sedici anni e io sono un cretino perché prima mi innamoro di un coglione e poi mi scopo un minorenne!” sbraitai, ricominciando ad attirare l’attenzione della gente.

“Sedicenne?!” fu l’unica sua reazione.

Proprio quello che mi serviva.

“Senti, non voglio essere compatito, per cui ti lascio andare, così potrai farti una bella risata alle mie spalle e scriverlo in una canzone!”

“Aspetta Bden!” strillò, tornando a balbettare subito dopo. “dove sei?”

“Vicino ai grandi magazzini.” Risposi, senza un vero e proprio motivo.

“Sto arrivando. Aspettami.” Ci fu un attimo di silenzio. “per favore.”

Non feci in tempo a rispondere che cadde la linea.

Sta di fatto che, rimasi ad aspettarlo, le mani in tasca e la testa ancora piena di pensieri.

 

 

 

Ryan pov

 

Correre non era mai stato il mio forte, alle superiori mi davo sempre per malato durante le ore di ginnastica, ma quella sera, ero talmente esagitato che correre era il modo miglior per far scemare un po’ quell’adrenalina che mi era entrata in corpo.

I grandi magazzini, dove mi aspettava Brendon (vi rendete conto?!), erano un po’ lontani dal mio appartamento, ma come un demente evitai di prendere l’auto.

Arrivai all’angolo tra la caffetteria e i grandi magazzini, fermandomi per riprendere fiato e riassumere un certo controllo per non sfigurare davanti a Brendon.

Feci qualche passo e lo notai.

Stava fissando con curiosità una grande vetrina natalizia piena di giocattoli per bambini. Aveva l’espressione corrugata e l’aria triste, così diversa dalla solita espressione allegra che gli illuminava il viso.

Mi avvicinai cautamente, richiamando la sua attenzione posandogli una mano sulla spalla.

“Sei qui.” Lo disse come se fosse veramente sorpreso della mia presenza.

“Sì. Voglio parlarti.”

“Sai, ne hai avuto di tempo per farlo.” Mi rispose, girandosi finalmente a guardarmi. “dimmi quello che vuoi dirmi e poi sparisci.”

Deglutii pesantemente, iniziando a giocherellare con le dita. “ Voglio…vorrei… in realtà spero che tu possa perdonarmi un giorno.”

“Ah. Però questa era divertente.” Borbottò sarcastico.

“Dimmi cosa posso fare, dimmi tutto quello che vuoi che faccia e io lo farò.”

“Spariresti dalla mia vita se te lo chiedessi? Lo faresti per me?”  domandò, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime.

Trattenni il respiro, per poi mormorare : “Sì, lo farei.”

Brendon abbassò un attimo il capo, cominciando a singhiozzare. “Sei già sparito una volta, non farlo più, ti prego.”

Annuii e lui singhiozzò più forte, mentre mi permetteva di abbracciarlo. Risentire di nuovo il suo calore era come andare in paradiso.

Quando mi era mancato stare fra quelle braccia, accarezzare quei capelli. Fu come essere catapultati indietro di anni.

“Non ti ho perdonato.” Bofonchiò fra le lacrime, strofinando il viso sul cappotto.

Sorrisi, posandogli un bacio sui capelli. “Lo so.”

“Devi darti da fare, sia chiaro.” Esclamò, staccandosi da me. “mi hai fatto passare mesi d’inferno Ross. E la cosa peggiore è che sono ancora innamorato di te.

Rimasi a bocca aperta, letteralmente, mentre Brendon rideva della mia faccia da imbecille.

“Imbecille.” Disse.

Ecco appunto.

“Ma il tuo ragazzo?” chiesi, cercando di limitare le esaltazioni, almeno davanti a lui. “non stai più con lui?”

“Ovvio che ci sto ancora.” Rispose, scuotendo il capo.

“Ma ha sedici anni.”

“Cosa vuol dire, scusa? Sai dovresti preoccuparti del fatto che, nonostante io stia con lui ami ancora te.

Arrossii, invidioso della naturalezza con cui diceva di amarmi.

Volevo poter fare lo stesso, dirgli quando follemente lo amavo e quanto idiota sono ero stato per non averlo capito prima.

“Uhm.”  Fu tutto ciò che dissi.

“Sono veramente infuriato con entrambi, vorrei tagliarvi la testa e buttarla nella discarica.” Esclamò, stringendo i pugni e imitando qualche mossa da lottatore.

Risi e lui mi guardò male. “Non essere così rilassato, bello mio.” Io alzai le mani in segno di scuse. “Ora, offrimi da bere.” Proclamò, indicando con la testa la caffetteria.

“Questo fa parte del piano di riconquista?” chiesi lasciandomi trascinare. Brendon si bloccò, la cosa fu piuttosto preoccupante perché lo fece in mezzo alla strada.

“Riconquista?” chiese, spalancando i suoi occhioni scuri.

“Hai capito bene.” Sorrisi per un attimo, mentre lo trascinai sul marciapiede. “cosa vuoi da bere?” dissi, mentre entravamo nella caffetteria quasi deserta.

“Un caffè. Corretto. E una bottiglia di vodka.” Rispose, continuando a fissare davanti a sé come imbambolato. 

Alla fine si accontentò di un decaffeinato, mentre lasciava che parlassi di stronzate.

La realtà era che non sapevo cosa dire e finii per nominare Nick.

“Stai insieme a lui?” chiese, rigirando il cucchiaino della tazza.

Io scossi il capo. “No. Non più.”

Certo quella mia e di Nick non poteva certo considerarsi una relazione, forse una specie di... coppia aperta? Dove solo io prendevo la briga di andare con altre persone?

“Ah, mi dispiace.” Borbottò appena, afferrando il cellulare per leggere il messaggio che gli era appena arrivato.  “è Ariel. Mi aspetta a casa.” Annuii e feci per alzarmi, ma lui mi trattenne, posando la mano destra sulla mia e sorridendo un poco.  “ raccontami altro. Voglio sapere quello che hai combinato lontano da me. Lo disse senza sarcasmo o cattiveria, così mi risedetti, tornando a parlare di cose prettamente inutili.

Rise un paio di volte a battute cretine e per un solo attimo mi sembrò di essere tornato davvero indietro.

C’era però quella linea sottile che ci divideva e che ci ricordava quanto le cose non erano cambiate e non sarebbe stato facile incollare nuovamente i pezzi di una viva passata insieme.

A mezzanotte passata uscimmo dal locale e mi permise di accompagnarlo a casa. Questa volta fu lui a parlare, della band, di Pete e di Ariel.

Provava un grande affetto per lui.

Non ero geloso però.(Giuro, è vero non ero geloso….! Okay, va bene forse solo un pochetto, ma nulla di che!)

Tornando al racconto, arrivati sotto casa Urie, lui mi salutò con un abbraccio veloce, prima di vederlo sparire su per le scale.

Inutile dire che trotterellai fino a casa e nonostante l’ora fosse davvero tarda chiamai Nick.

“Spiegami solo il perché….” Disse, con voce assonnata. “perché mi chiami a quest’ora?”

“Ho visto Brendon.” Esclamai tutto d’un fiato, saltellando con un povero deficiente.

“Stai scherzando?” strillò Nick, improvvisamente sveglio.

“No! Nick credo voglia perdonarmi!” esultai.

Decisi di prenderla sul serio, di fare di tutto per poter riavere con me Brendon ancora una volta.

Senza casini, senza stronzate.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

Eccoci alla fine del quarto capitolo! Ringrazio chi ha letto i capitoli precedenti e chi leggerà questo. Soprattutto a chi mi ha dato una sua opinione con un commentino!

Grazie a  AnniPrisoner e ChemicalLady  <3

 

Alla prossimaaaaaaaaaaaaaaa!!

 

Grè.

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Capitolo 5
*** "Just a kiss... He won't miss." ***


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Capitolo cinque

 

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

 

Ariel mi aspettava seduto sul tappeto in salotto, mentre guardava la televisione e Bogart gli stava accoccolato sulle gambe.

“Ciao.” Mormorò, abbassando subito lo sguardo, per evitare di incontrare il mio.

“Cosa fai ancora in piedi? I ragazzini come te dovrebbero essere già a letto. Dissi sarcastico. El fece per ribattere, ma si morse il labbro e tornò a fissare lo schermo del televisore.

Non sembrava un ragazzino. Il suo corpo era perfetto e slanciato e i suoi pensieri troppo maturi per pensare a un cazzutissimo sedicenne.

Non era l’età a stupirmi così tanto. Era il fatto che, ancora una volta ero stato trattato come un’idiota.

Sospirai e mi sedetti al suo fianco, togliendo il cappotto e buttandolo con poca grazia sul divano.

“Cosa guardi?” chiesi indicando la televisione con il capo.

“Supernatural.” Rispose, prima di sbuffare. “Brendon, scusa.” Lasciò andare il telecomando con un moto di stizza e girò il capo per guardarmi. Era mortificato e quella sua espressione così dolce non mi tenne infuriato per molto.

“In realtà credo che la colpa sia solo mia.” Dissi. “non faccio altro che fidarmi troppo delle persone.”

“Non volevo che cambiassi idea, dopo averlo saputo e così sono rimasto zitto. Perché Bden tu mi piaci, sul serio.”

Gli accarezzai i capelli sorridendo. Già era proprio un ragazzino. “Non l’avrei fatto.”

“Ora lo so e non sai quanto mi dispiace!” esclamò serrando i pugni e mettendosi in ginocchio davanti a me.” Farò qualunque cosa per farmi perdonare!” ridacchiai, spostando la mano sul suo viso che in quel momento aveva davvero qualcosa di ancora infantile, ma terribilmente bello.

“Non c’è nulla da fare.” Mormorai, ricalcando le sue labbra con un dito. “oramai va bene così.”

“Non mandarmi via.”

“Non lo sto facendo.” Risposi, avvicinandomi al suo viso per poterlo baciare.

“Non.. non mentivo quando ti ho detto di amarti, lo giuro. Io lo sono davvero, io…” lo zittii ancora, baciandolo.

Facemmo l’amore sul tappeto, mentre sentivo di averlo già perdonato e il mio sentimento per lui farsi più grande, fino a traboccarmi dal cuore

Ero forse innamorato di lui?

Avevo già dimenticato Ryan?

Mi si strinse l’anima al solo pensiero.

La serata passata, le sue parole, mi avevano reso così vulnerabile che non sapevo più cosa pensare.

Ero innamorato di Ariel, così come lo ero di Ryan?

O era solo un modo per arginare ferite aperte troppe volte?

Nessuno dei due dormì quella notte. Troppi pensieri, troppa voglia di contatto e di risposte.

Solo alle prime luci dell’alba riuscii ad appisolarmi, svegliato poi dall’odore delizioso di caffè e muffin al cioccolato.

Sul tappeto ero rimasto solo, la schiena dolorante e coperto a malapena da una coperta azzurra di pile. Rabbrividii di freddo e dicesi di alzarmi, senza prendere la briga di rivestirmi.

Raggiunsi El in cucina, mentre era alle prese con la moka.

Sorrisi un attimo per il suo dolce tentativo di farsi perdonare.

“Buon giorno.” Esclamò, sorridendo e ammiccando per l’assenza di vestiti sul mio corpo. “avrò pure sedici anni tesoro, ma ho il cuore piuttosto debole.” Scherzò, pizzicandomi una natica. Lo baciai appassionatamente per qualche momento, poi decisi di andarmi a infilare qualcosa di comodo. “Questa, è solo una piccola parte della mia vendetta.” Esclamai, raggiungendo il salotto.

Pete ed Ashlee erano appena usciti dalla camera degli ospiti e mi fissarono allibiti, poi la ragazza distolse lo sguardo arrossendo, mentre Pete si metteva le mani sui fianchi, pronto a sgridarmi.

“Ti sembra normale?” chiese. “hai degli ospiti e giri nudo per casa? Mi pare di avertela insegnata l’educazione!

“Scusa…” borbottai, affrettandomi a raccogliere i vestiti da terra.

In quel momento uscì Spencer dal bagno, la testa fra le mani, come se avesse paura di perderla. “Ragazzi voi non immaginate che mal di testa! E non ho ancora vomitato!” esclamò, strisciando i piedi nudi a terra, barcollando leggermente.

Lo so cosa state pensando, che appena Spence alzò lo sguardo su di me, ancora impegnato a raccogliere i miei vestiti, fu invaso da un’emozione tale da fargli perdere i sensi per la mia imparagonabile bellezza.

Insomma nemmeno un fottuto Dio greco aveva speranze contro il mio bellissimo e tonico corpo d’atleta.

Invece Spencer Smith vomitò.

Nel mio salotto, sulla mia moquette.

“Bleah… le ultime parole famose, vero Spence?” commentò Pete, trotterellando verso la cucina per salutare Ariel, ancora ignaro della situazione.

Dopo essermi vestito e aver pulito il vomito di Spencer, facemmo colazione tutti insieme in cucina, dove Pete continuò a farmi il predicozzo.

“E poi vorrei sapere dove sei stato!” rincarò la dose, mentre Ariel al mio fianco alzava gli occhi al soffitto per scongiurare la fine. “sei sparito senza dire nemmeno dove andavi!”

“Ah! Ci mancherebbe solo! Figlio ingrato!” strillò, dandomi un cucco in testa.

“Pete, smettila di rompere il cazzo, hai già un figlio tuo!” intervenne El, sorseggiando lentamente il suo latte e cioccolato.

Pete rimase veramente male per quell’affermazione e io cercai di rimediare dicendogli che, era il miglior secondo papà che mi fosse mai capitato.

“Visto, cugino bastardo? Nemmeno il sesso addolcisce il tuo sarcasmo d’adolescente?”  disse, rifilando uno schiaffo in testa anche a El che quasi finì con il viso dentro la tazza. “sì, vi abbiamo sentito. Tutti vi hanno sentito! Sembravate due procioni in calore!”

El si ritirò in un silenzio imbarazzato, mentre io sollevavo le sopracciglia in uno sguardo più inquietante che malizioso. “El doveva farsi perdonare in qualche modo.” Dissi ammiccando.

Ash rise di gusto. “Quindi sei uscito per farti una passeggiata solitaria per Los Angeles?” chiese, tornando al discorso precedente e rigirandosi il cucchiaino fra le dita curate.

Rimasi un attimo in silenzio, pensieroso. “Non ero solo.” Dissi alla fine, senza la voglia di guardare in faccia nessuno. “ero con Ryan.”

Ci furono varie reazioni, come quella di Pete che si strozzò con il muffin che aveva appena addentato o quella di Spencer che sembrava essersi congelato sul posto e pronto per un altro attacco di vomito.

Ariel rimase immobile per un attimo e vicino a me lo sentii tremare. Gli posai una mano sulla coscia accarezzando lievemente il tessuto morbido del pigiama, per rassicurarlo.

Non dissi molto, nemmeno il perché di quell’incontro né cos’era successo. Non dissi niente nemmeno a Pete, nonostante sapessi stesse agonizzando dalla curiosità.

 

 

 

 

Ryan pov

 

Non avevo dormito per niente.

Le ore,(cazzo sì erano ore! ) passate con Brendon mi avevano donato una specie di energia nuova che sembrava inesauribile. E dire che di solito ero assolutamente e irrimediabilmente… apatico. Jon durate le prove, non fece altro che zampettarmi intorno, neanche fosse Hobo, e a intonare canzoncine sull’amore eterno e sulla consapevolezza che un buco è per sempre.

Non chiedetemi di spiegare l’ultima frase, ci vorrebbero giorni e un linguaggio non etico e poco adatto a una narrazione pulita, o quasi, come questa.

Dicevamo, Jon nonostante era in vena di farmi partire un embolo dal nervoso, quella volta io rimasi in silenzio e sorridente, addirittura accompagnandolo con il suono di un mandolino in una delle sue creazioni canore.

Chissà perché Jon smise subito di fare il cretino.

Nick era entusiasta di quel passo che veramente non credeva fossi stato capace di fare, mi sorrideva, contento e un po’ triste. Mi sentivo veramente una merda disumana. Non lo facevo nemmeno apposta, insomma era il mio migliore amico e al migliore amico si dice tutto! E a volte io faticavo a ricordarmi, come lui in realtà vedeva me. Lui diceva che era un bene, perché era un modo per scordarsi in fretta di me e tornare ad essere un semplice amico.

Inoltre lui era l’unico che sfornava idee come pane. Aveva proposto, anzi direi imposto un’uscita denominata: “Riaffiorando i vecchi tempi” . Jon aveva replicato con un no e così Nick aveva deciso di accompagnarmi.

Avrei rivisto praticamente tutti, ma soprattutto Brendon. Ed era la cosa più importante.

Avrei sopportato le battutine di Beckett e Saporta e lo sguardo assassino di Pete, pur di rivederlo. Senza scordare la presenza di quel… Ariel.

Non sapevo se l’aveva clamorosamente lasciato o se era ancora al suo fianco a scodinzolare come un fottuto cagnolino da compagnia. Avete presente? Quelli piccoli, scheletrici, che assomigliano a topi sotto effetto di acido. Quelli che si mettono dentro la borsa e abbaiano come se avessero ingoiato una sirena.

“Okay, ho inviato il messaggio a tutti i Decaydance Boys…” esclamò Nick, tornando in sala prove con il mio cellulare fra le mani.

Lo guardai sconcertato. “Non dovevo farlo io?!” per tutta risposta lui sollevò un sopraciglio.

“Tu? Andiamo vuoi prendermi in giro? A quest’ora staresti ancora indeciso su cosa scrivere!” enfatizzò, ridacchiando. “ah! Ecco una prima risposta!”

Mi avvicinai a lui per leggere il messaggio appena arrivato e scoprire che Gabe e signora, va bene William, avevano accettato l’invito.

Presto arrivò anche quella di Pete, stranamente entusiasta e quella di Travie che non poteva venire perché era in tour. Pure Spencer accettò di venire, a patto che Jon non ci fosse. I loro presunti problemi amorosi non li avevo mai capiti.

L’unica risposta veramente sperata e desiderata, arrivò solo a tarda sera.

< Ehi man, per me è okay. A domani sera. >

Piuttosto crudo e schietto, ma non mi importava molto. Non speravo certo in un suo messaggio pieno di gioia e amore con tanto di smile.

Andava bene così, era perfetto così.

La sera dopo ero intento a scegliere un completo adatto alla serata che Nick trasformò in un anonimo paio di jeans e un maglione a tinta unita.

Bah.

Ero talmente agitato che mi feci sistemare anche i capelli. “Dovresti tagliarteli, comincia a sembrare tua sorella.” Mi fece notare Nick.

“Perché non guardi i tuoi di capelli?” sbottai innervosito, spettinandomeli un po’.

Arrivammo al locale, uno dei più frequentati di Los Angeles, in anticipo e visto che avevamo pianificato l’intera serata rimanemmo lì a ripercorrere le tappe da eseguire.

Punto primo, trovare una conversazione brillante per agganciare Brendon. E lì non c’erano problemi, ero il re delle conversazioni brillanti.

Punto secondo, offrigli da bere. Anche qui, nulla di difficile e poi ero a conoscenza della passione di Brend per degli alcolici annacquati.

Punto terzo, tenere alla larga Ariel, il cagnolino. La situazione andava peggiorando, perché Ariel gli stava appiccicato peggio di una cozza.

Punto quarto, uscite per una passeggiata, perché si sa le passeggiate portano pensieri e i pensieri portano le parole e le parole portano... altro insomma.

Punto quinto, non contraddirlo mai. Neanche se sta dicendo la più cazzata delle cazzate, bisogna sorridere e annuire.

Non finimmo la lista perché Gabe arrivò saltellante trascinandosi un apatico Will, che sorrideva al suo uomo con occhi lucidi e brillanti. Sembrava ancora più una donna, anche se, a detta sua, ci stava mettendo tutto l’impegno possibile per essere almeno un po’ virile. Aveva un accenno di barba in effetti, ma nulla di più.

Gabe mi saltò letteralmente addosso, urlando che gli era mancato il suo amicone hippie. Ricambiai il suo abbraccio e risi. Mi era sempre piaciuto Gabriel.

Il suo essere genuino e schietto era da sempre una sua carta vincente.

Con Bill era diverso, avevamo passato un piccolo periodo dove eravamo praticamente inseparabili, poi lui ha avuto un po’ di problemi, quali: la nascita della figlia e in contemporanea la scoperta di essere, oramai, un finocchio perduto.

Presentai Nick ad entrambi e Gabe lo accolse con un nuovo abbraccio e una pacca sulle spalle. “Vuoi vene siete forti!” esclamò, picchiettando l’indice sul petto di Nick che rise e ringraziò.

Pete si fece largo con un sorrisone, accompagnato da Nate e Ryland. “Il mio amico Ross!” urlò, afferrandomi la mano e stringendola, no rettifico, stritolandola per bene, con un sorrisetto sadico stampato sulle labbra.

“Che piacere, Pete, dopo l’ultima volta pensavo di ritrovarmi già nella tomba!” scherzai e lui assottigliò lo sguardo, salendo in punti di piedi per potermi fissare bene.

“Sta attento, ragazzino.”  Ringhiò, poi sorrise di nuovo e si rivolse a Nick.

Deglutii un attimo per poi essere attirato nell’allegria collettiva che albergava nel gruppo.

Si stava davvero bene.

Brendon arrivò per ultimo, assieme a Spencer che stava ringhiando qualcosa contro l’uomo degli infradito.

Brend però non lo ascoltava, sorridendo a tutto spiano e regalando baci e abbracci. Bellissimo non era nemmeno la parola adatta per descriverlo. Era meraviglioso. I capelli tagliati di fresco, il cappotto abbottonato male, dove si riusciva a intravedere una camicia azzurra... Diciamo che lo osservai per bene.

“Ciao Ryan.” Disse, sorridendomi lentamente, mentre attorno a noi era calato un silenzio quasi irreale dove le uniche cose distinguibili erano i ringhi di Pete e il chiacchiericcio intorno a noi.

“Ciao Bden, ti trovo bene!” esclamai, dopo aver lanciato un’occhiata a Nick che mi ordinava di prendere in mano la situazione.

Brendon non riuscì a rispondere perché Gabe si intromise fra noi. “Beh? Il tuo chico australiano? Dove l’hai messo?”

Solo in quel momento notai la totale mancanza di Ariel. Aprii la bocca per lo stupore e il mio tastierista si apprestò a chiudermela.

Si erano lasciati? Brendon l’aveva scaricato e rispedito a calci in culo in Australia?

Potevo mettermi a urlare dalla gioia.

“Ehm, lui non poteva venire, sapete…” iniziò Brendon, grattandosi la testa.  “è ancora minorenne…”

Ci fu un attimo di totale silenzio, poi come se ci fosse una bomba, scoppiammo contemporaneamente a ridere.(io, vorrei precisare, lo feci molto educatamente, non sguaiatamente come alcuni.) Brendon non ne fu felice.

 

 

 

Brendon pov

 

Stavano ridendo di me.

Tutti, anche Pete per la miseria! Talmente stava ridendo dovette appoggiarsi a Bill che essendo già in bilico cadde a terra, trascinandosi dietro Pete, continuando a ridere e additarmi come se fossi uno stupido animale da circo vestito da ballerina di danza classica!

Sbuffai e incrociai le braccia, guardando Ryan che aveva portato la mano alla bocca per non esagerare con le risate.

“Quando avete finito di deridere me e il mio ragazzo, che aggiungerei non è qui, possiamo entrare che ho fottutamente bisogno d’alcol?” chiesi, accennando un sorrisetto falsamente gentile.

Entrammo solo pochi minuti dopo, con l’eco di alcune battutine davvero stupide da parte di Gabe e Bill. “Gli hai rimboccato le coperte prima di uscire?” o ancora: “ ti sei assicurato che tenesse stretto a sé il suo orsacchiotto Polly?”

L’orsacchiotto Polly?

Sperai solo che non fosse una loro fantasia erotica.

Mi avvicinai al bancone, aggrappandomi ad esso con disperazione. Volevo affogare ogni disperazione nell’alcol. Ryan mi si avvicinò, appoggiandosi lievemente alla mia schiena per richiamare l’attenzione sul barman. “Un daiquiri alla pesca e un Shirley Temple!” esclamò, allungando una banconota da dieci, con tanto di occhiolino. Ottimo, ci stava provando con il ragazzo, che tra l’altro non era niente male.

Gran bel modo per ricordarmi che da un po’ preferiva la, come dire, “corsia apposta”. Non era certo quello che mi ci voleva e sentivo la gelosia pungermi lo stomaco.

Ryan mi passò il mio Shirley Temple e  cominciai a fissarlo con insoddisfazione. “Ma non è alcolico.” Borbottai rigirando la cannuccia decorativa nel liquido rosso.

“Infatti, ma è meglio se ci vai piano.” Ribattè Ross, sorridendo e sorseggiando il suo drink.

Aspettai che andasse da quel Nick, per voltarmi verso il barman e attirare la sua attenzione con un fischio. “Correggimelo.” Dissi, e lui aprì con un sorrisetto una bottiglia di vodka, riempiendo il bicchiere fino all’orlo e facendo diventare il liquido rosso dello Shirley Temple, un rosa pallido.

Tracannai metà del contento in un sorso e trotterellai verso gli altri che chiacchieravano, felici e contenti. Ryan guardò prima me, poi il bicchiere e scosse il capo,ma non disse nulla e si mise a ridere. Sembrava una serata normale, come quelle che facevamo prima di divedere le nostre strade, prima ancora che lui sapesse che mi ero follemente innamorato di lui.

Parlottò con Nick per un po’ e mentre cercavo di non guardarli e concentrare la mia attenzione sull’imitazione del Condor che Gabe stava eseguendo in piedi su una sedia, vidi il suo tastierista picchiarlo ripetutamente sulla testa. Assottigliai lo sguardo, curioso e i miei occhi si scontrarono con quelli di Ryan. I suoi occhi sorridevano. L’avevo capito anche nella penombra del locale. Fece per avvicinarsi, ma Pete mi sequestrò, portandomi sulla pista per ballare una canzone anni 80 remixata fino alla nausea.

Rimasi per una mezz’ora buona, accerchiato da Pete e Gabe, che aveva sentito il richiamo delle danze. Quello che stavamo facendo sembrava più un ménage à trois, che un ballo, ma mi stavo divertendo e avevo recuperato il terzo drink senza neanche chiederlo. Sentivo lo sguardo di Ryan bruciare su di me. Era strano come mi guardava perché non riuscivo a capire a quel tipo di emozione appartenesse quell’espressione.

Gabe venne strappato via dalla pista dalle mani gelose di Bill che sorreggevano un Bloody Mary, Pete invece fu acciuffato da Ryland e Nate per un trenino assurdamente fuori luogo.

Rimasi solo e mi appoggiai a uno dei tavoli liberi che accostavano la pista. Anche se gli davo le spalle sentivo su di me ancora i suoi occhi.

Cosa voleva ancora non lo sapevo.

Ma la sensazione non era più piacevole, perché ero percorso da una certa ansia che mi faceva tremare le mani.

Spencer mi si avvicinò, porgendomi una tequila e sorridendomi comprensivo.

“Credi stiano insieme?” mi chiese, riferendosi a Ryan e Nick, ancora intenti a confabulare.

“No, Ryan mi ha detto che si sono lasciati.” Dissi, senza evitare che il mio cuore si esibisse in una lunga capriola felice.

“E non ti rode il fatto che l’abbia scoperto con lui la sua omosessualità?” chiese.

“Vuoi la verità?” iniziai, finendo la mia Tequila in un sol sorso. “gli strapperei entrambe le palle.”  Ringhiai, stringendo i pugni. “ma non ce ne farei nulla, non so se capisci il senso.” Spencer mi guardò malissimo per un attimo, poi sbuffò.

“E’ tutto il pacchetto Ross che ti serve, non solo gli attributi.” Esclamò ridendo e io annuii. “perché non te lo prendi allora?” chiese, mentre sgranavo gli occhi.

Lui parlava come se tutto fosse semplice, a portata di mano, ma nulla è semplice quando c’è il cuore di mezzo.

“Eh Bden, che ne dici di un giro qui fuori?” Ryan era arrivato all’improvviso e quasi non avevo sentito la sua mano posarsi nell’incavo della mia schiena. Guardai Spencer che con sguardo eloquente mi diceva di andare e io meccanicamente annuii, seguendolo fuori dal locale. Prima di uscire guardai Nick, che mi sorrise allegramente dietro il suo drink.

Ryan si chiuse il cappotto freneticamente, avvolgendosi la sciarpa al collo. Io avevo caldo, forse per tutti i drink scolati precedentemente e mi lasciai il soprabito aperto, iniziando a camminare al suo fianco.

Ho sempre pensato che il silenzio fosse la più alta forma di sincerità in una conversazione. Non ci sono parole di mezzo, ma solo realtà che si sprigionano in gesti o che prendono forma dagli occhi. Ci sono solo anime che comunicano senza bisogno d’altro.

Avevo un disperato bisogno di abbracciarlo, di sentire quel suo buon profumo e di ricordare quanto morbidi erano i suoi capelli, ma c’era sempre quella parte del mio cervello che non faceva altro che ricordarmi tutto il male che quel cretino mi aveva fatto.

Era sempre lì che si finiva, no?

Non riuscivo proprio a dimenticare.

Quando mi sarei fidato di lui ancora? Non lo sapevo. Non ero certo nemmeno di quello che facevo o del perché stavamo camminando in silenzio da dieci minuti buoni.

“Ryan?” lo chiamai e lui si riscosse da chissà quale pensiero, voltando il capo verso di me.

“Dimmi.”

“Cosa vuoi da me?” chiesi, fermandomi e ficcando le mani in tasca.

Guardai la bocca di Ryan aprirsi un paio di volta, prima di cominciare ad essere martoriata con i denti, infine scrollò le spalle e un’espressione rassegnata si fece largo sul suo volto.

“Non lo so…”

Chiusi gli occhi e sospirai, tornando a camminare. “Allora perché hai organizzato tutto questo?” chiesi facendo un gesto plateale con la mano.

“Vuoi che sia sincero?” strillò a un certo punto, le lunghe dita infilate fra le ciocche dei suoi capelli.

“Sarebbe la tua prima volta presumo!” insinuai, ma lui non rispose alla provocazione. Rimase zitto per un minuto che giudicai interminabile, poi si accostò a me appoggiando la fronte sulla mia e il suo dolce profumo mi invase, circondandomi. Ne uscii stordito.

“Non sono bravo con le parole.” Iniziò.

“Sì che lo sei, scrivi poesie in quei cazzo di testi!” mi agitai, senza però avere la forza di muovermi di un solo millimetro. Vidi la sua bocca sottile stendersi in un sorriso.

“Sì è vero… ahi!” urlò dopo un mio pizzicotto sul braccio.

“E il premio per la modestia va a Ryan Ross!” borbottai. Ryan incatenò i suoi occhi hai miei e quasi boccheggiai dall’intensità di quello sguardo.

“Sono innamorato di te.”

L’emozione che provai fu come celebrare Natale, capodanno e Pasqua lo stesso giorno. Avrei voluto pizzicarmi per costatare di essere sveglio e non fare uno dei miei soliti sogni, ma ero talmente bloccato da non riuscire nemmeno a sbattere le ciglia. “non so come l’ho capito, ma è così, lo è sempre stato, davvero non sto mentendo o altro io… lo giuro…” balbettò, preso dal panico. “ti prego di qualcosa. Qualsiasi cosa, la prima che ti passa per la testa, ma per favore dilla!” ma io continuai a rimanere zitto. “lo sapevo che non dovevo fare di testa mia, Nick me l’aveva detto che era troppo presto!” lo sentii inveire, cominciando a girare in tondo come un invasato, poi mi afferrò le spalle e tentò un sorriso. “Senti facciamo finta che nulla di tutto questo è avvenuto, okay?” annuì addirittura alle sue stesse parole.

“Oh Cristo…” sussurrai, tornado a sbattere le ciglia. Mi allontanai da lui di qualche passo, evitando accuratamente di guardarlo in viso.

Aveva detto di amarmi?

 

 

 

Ryan pov

 

Avevo appena vinto il premio per il miglior coglione di sempre.

Cosa mi era saltato in mente? Perché poi?  Stava andando tutto bene, la serata, l’alcol, i vecchi ricordi, la passeggiata, ma no, se Ryan Ross non fa una troiata non può ritenersi contento.

“Oh Cristo…” borbottò, allontanandosi da me.

Beh, almeno aveva ripreso l’uso della parola. Ma sapevo che comunque non era un buon segno.

Così scappai.

Sul serio, lo feci.

Cominciai a camminare sempre più velocemente, allontanandomi rapidamente dalla faccia sconcertata di Brendon.

Oh, che uomo che sei Ross.

Forse mi riteneva un matto, più di prima probabilmente. Pescai l’ I phone dalla tasca dei Jeans e feci velocemente il numero di Nick.

“Nick, ho combinato un casino!” praticamente urlai, continuando a correre e a scontrarmi con la gente.

“Non dirmi che l’hai violentato?!” strillò lui di rimando e io sbuffai.

“Non è l’ora di scherzare, White! Ho detto quello che non dovevo dirgli!” sbottai “ora torno a casa, appena puoi, mi raggiungi, per favore?”

Nick acconsentì e mentre raggiungevo casa, fui grato che Brendon non mi avesse seguito.

Probabilmente era ancora lì fermo, sul marciapiede, con la bocca aperta.

Raggiunsi casa in poco tempo, e appena chiusi la porta alle mie spalle, mi accasciai su di essa, portandomi le mani ai capelli e rannicchiandomi a terra.

Casini su casini. Era solo quello che sapevo fare.

Cos’era poi che mi aveva spinto a dirgli che… quello insomma.

L’atmosfera? O la mia totale deficienza?

Hobo si avvicinò a me timorosa, poi fece in modo che potesse accoccolarsi sulle mie gambe. Mi guardò con quei occhi lucidi e brillanti e le concessi delle carezze dolci sul muso.

“Se non ci fossi tu, non saprei che fare…” le sussurrai, baciandole il pelo morbido. Hobo abbaiò allegra, facendomi ridere.

Avevo deciso di accamparmi lì, seduto contro la porta a farmi coccolare dall’unica donna della mia vita, ma il campanello suonò ripetutamente, facendomi sbuffare e rivedere interamente i miei piani per iniziare una lunga e travagliata depressione.

Mi ero quasi dimenticato di Nick, che ero sicuro fosse l’unico capace di darmi un po’ di conforto. Lasciai andare Hobo che sfrecciò nella sua cuccia a giocare con qualche animaletto di pezza.

Spalancai la porta dell’appartamento, dopo aver aperto il portone e strisciai in camera senza accogliere Nick come un bravo padrone di casa. Mi buttai di peso sul letto, accennando a qualche mugugno, mentre sentivo la porta chiudersi nell’ingresso.

Aspettai l’entrata di Nick con la faccia schiacciata sul cuscino, che mi impediva quasi di respirare. Avevo voglia di urlare fino a perdere la voce.

Avevo fatto la figura più patetica e meschina di un’intera vita.

I passi di Nick risuonarono per la stanza e lo sentii sedersi sul bordo del letto e sospirare.

“Dillo che sono un cretino, detto da te suona meglio.” Dissi, stringendo le coperte, fino a sentire le dita intorpidite. Nick non rispose subito e rimasi nell’attesa di una sua risposta, mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime per la frustrazione. “Nick per favore di qualcosa o giuro che mi suicidio come il peggior emo sulla faccia della terra!” strillai, la voce attutita dal cuscino.

“Sei un cretino, un grandissimo cretino. Il peggiore a dirla tutta.”

Mi alzai talmente velocemente che fu una fortuna non prendere uno strappo al collo o non svenire per il capogiro.

Il fatto che, seduto sul mio letto non c’era Nick White, ma Brendon Urie, non giovava certamente al mio stato mentale.

Lui mi stava fissando con un sorrisetto dolce sulle labbra piene e gli occhi erano rossi e lucidi, ma troppo sfuggenti per riuscire a catturarli con i miei.

“Che ci fai qua?” balbettai, cercando un contegno che avevo oramai perso da troppo tempo.

Brendon scosse le spalle, guardandosi intorno. “Non avevo mai visto casa tua…” disse invece, posando gli occhi sulle tende bianche. “è un bel posto.”finì,  accennando un sorriso.

“Grazie, come sei riuscito a trovarmi?” domandai.

“Il tuo amico è venuto a cercarmi e mi ha detto che vivi qui.” Rispose, scrollando nuovamente le spalle.

Nick.

Non sapevo se ucciderlo o riempirlo di baci. Tutto dipendeva dall’andamento della serata.

“Capisco.” Sospirai e osservai Brendon alzarsi in piedi e prendere a falciare la stanza velocemente.

“Non stavi mentendo, vero?” sbottò a un certo punto. “ti prego dimmi che non lo stavi facendo.” Aveva un’espressione quasi disperata e i suoi modi teatrali di fare non erano cambiati per nulla.

“Non stavo mentendo.” Risposi, mettendoci tutta la sincerità che possedevo per provargli quanto quelle parole erano vere.

Brendon prese un lungo respiro e chiuse gli occhi. “Come faccio a crederti?”

“Puoi anche non farlo, è normale non credere alle mie parole dopo tutto quello che ti ho fatto passare!” esclamai, stupendomi della mai stessa onestà nel dire quelle cose.

“Già.” Sbottò, massaggiando le palpebre chiuse con la punta delle dita. “ti… ti credo.” Soffiò poi, le guance rosse e gli occhi finalmente puntati su di me.

“Quindi…” iniziai, sedendomi compostamente sul letto, Brendon fermò il mio intento e scosse il capo.

“C’è Ariel. Io… gli voglio molto bene.”

“Ma ami me, no?” Brendon mi gelò con lo sguardo e io mi morsi la lingua per evitare di parlare ancora.

“Potresti evitare di essere così schietto?!” strillò prima di sbuffare a avvicinarsi a me con un paio di passi. Mi puntò il dito contro, arcuando le sopraciglia in un’espressione contrariata. “devi smetterla di uccidermi tutte le volte. Ho già rischiato il collasso una volta, non vorrei ripetere!

“Scusa…” borbottai.

Vidi in un attimo i suoi occhi addolcirsi e la sua mano afferrare la mia per posarsela sul petto. Il suo cuore batteva così forte, che sembrava stesse per scoppiare. Alzai lo sguardo per osservarlo meglio, mentre le sue dita accarezzavano dolcemente il dorso della mia mano. Si chinò solo un po’ per riuscire a fare incontrare le nostre fronti e restammo in silenzio per un po’, le sue labbra troppo vicine per essere ignorate.

Le mordicchiava piano e la voglia di afferrarle era talmente tanta che dovetti distogliere lo sguardo.

“Cosa devo fare con te?” sussurrò, allungando la mano, che era ancora posata sulla mia, per accarezzarmi le gote.

Non gli risposi perché ero troppo intento a scollegare il cervello e cercare le sue labbra con le mie.

Brendon sussultò un attimo, stringendo la presa sul mio viso.

Io avevo solo socchiuso le palpebre e da lì potevo notare i suoi occhi neri e lucidi pieni di stupore.

Non si scostò.

Mi staccai da lui dopo secondi di paradiso.

Sperai di non aver fatto una cavolata, sperai di non essere preso a pugni e di non uscire dalla sua vita.

Il solo contatto lieve con le sue labbra mi aveva dato l’ennesima certezza che stare con lui era la sola cosa che desideravo.

Brendon tornò a mordersi le labbra, passandoci lievemente la lingua per inumidirle e poi sorrise.

E lo feci anche io, allungando le mani per infilarle fra i suoi capelli un po’ secchi a causa del gel.

“Che c’è?” mormorai, cercando di non mostrare la lieve nota di panico che aveva preso piega dentro di me.

“Nulla.” Fu la sua risposta e si allungò quel tanto che bastava per riposare le labbra sulle mie.

Quella seconda volta chiuse gli occhi, inclinando il capo per potermi baciare meglio. Giudicarlo il paradiso era quasi riduttivo. Sentivo già di non riuscire più fare a meno di quelle emozioni e di tutto quello che Brendon riusciva a trasmettermi con un solo bacio.

 

 

 

 

 

 

****

 

Scusate il tremendo ritardo, spero che queste vacanze siano andate bene e auguro a tutti un buonissimo inizio dell’anno, anche se in ritardo!

Ringrazio chi ha letto, ma soprattutto chi ha recensito, Annabellee grazie infinite cara!

 

E voi che leggete solo? Un commentino me lo lasciate?

 

Un bacione,

Grè.

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** "Ryro? Merry Christmas." ***


ryden6

 

 

Capitolo sei

 

 

 (noticina: c’è un piccolo pezzo, all’inizio del secondo pov di Brendon che è in corsivo, si tratta di un pensiero al presente! )

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

 

Non rividi Ryan fino a Natale, dopo quella volta. Non era successo altro. Solo un bacio, forse troppo breve, dentro quella stanza, che avevamo deciso di dimenticare. Era giusto così, perché non c’era nessun futuro da poter condividere insieme. Poi c’era Ariel che era ancora la persona con cui dividevo letto e cuore.

Prima di andarmene da casa sua avevo giurato a me stesso di non cascarci più. Ryan non aveva obbiettato, limitandosi ad annuire qualche volta e restare ad ascoltare le mie parole in silenzio.

Aveva confessato di essere innamorato di me e nonostante gli avessi detto che credevo alle sue parole, era così difficile provarci. 

Avevo detto di credergli e infatti era così, ma tutto era strano, nuovo. C’era quella sorta di timida consapevolezza di non essere più solo a provare un sentimento tanto grande, quanto irrimediabilmente difficile.

Pensai addirittura di fargli provare lo stesso dolore che avevo sentito io, le stesse sensazioni di vuoto e incertezza che mi avevano accompagnato per mesi. Però, pensandoci non sarebbe stato giusto o abbastanza maturo.

“occhio per occhio, dente per dente” no?  Ma quanto sarebbe servito?

A nulla perché non era la sua sofferenza che mi avrebbe fatto stare meglio.

Quella sera, in quella stanza, non c’erano certezze, la ragione aveva preso una strada differente e il cuore aveva combinato il più dolce dei casini.

Non scorderò mai più la sensazione della pelle liscia delle sue guance sotto il tocco delle mie mani o la sua bocca in cerca della mia.

Avevo perso così tanto tempo a immaginarlo che farlo davvero era assolutamente un’altra cosa.

Sospirai per l’ennesima volta guardando con sguardo perso fuori dalla finestra, in mano una tazza di cioccolata calda, oramai fredda.

Spencer mi osservava con un cipiglio inarcato dal divano, dov’era seduto insieme a Bill e alla piccola Genevieve e commentavano il mio attuale stato da morto-che-cammina-e-si-limita-a-sbuffare-come-una-locomotiva.

“E io mi chiedo come fa Ariel a non accorgersi di nulla!” commentò il mio batterista, scuotendo la testa e sprofondando nel divano chiaro di William.

“Che ci vuoi fare, è un ragazzino e i ragazzini sono così ottusi di questi tempi!” commentò Bill, rigirandosi un boccolo biondo della figlia fra le dita, mentre questa si assopiva sul petto del papà.

“Smettetela di prenderlo per il culo, Brend sta attraversando una brutta fase della sua vita! Gli ci vorranno, mesi se non anni per riprendersi e capire cosa cazzo vuole!”  esclamò Gabe, togliendomi dalla mani la tazza di cioccolata per porgermene un’altra che iniziai a sorseggiare.

Mugugnai un grazie, guardando male tutti.

Eravamo scappati a Chicago per incontrare Pete e avevamo approfittato per andare a trovare quella coppia di fottuttissimi novelli sposi.

Lì invidiavo da morire.

Loro e il loro amore eterno, il loro matrimonio a Las Vegas, la loro carriera ancora perfettamente intatta e la loro casetta da telefilm americano!

Ringhiai e Gabe mi picchiettò sulla testa con la mano un paio di volte, prima di mettersi al pc per trafficare con twitter.

Ringraziai il cielo per la possibilità di buttarmi totalmente nella musica, nei pochi giorni che restavano al Natale. Avevamo in  programma diversi concerti in zona e poi sarei ritornato a Los Angeles per passare il Natale con Ariel.

A casa non potevo tornarci, visto che non ero molto gradito.

O forse l’avrei passato con Pete e la sua di famiglia, visto che a quanto pare si era divertito a dire in giro che mi ero fidanzato con Ariel.

In realtà avrei fatto di tutto pur di non pensare ad Ryan.

“A proposito di ragazzini, dove si è cacciato Ariel?” chiese Bill, con un sorrisetto.

“E’ rimasto da Pete, lo raggiungiamo dopo.” Borbottai io, riuscendo a finire la cioccolata calda prima che si raffreddasse del tutto.

“Lui non sa nulla vero?” domandò Spencer, alludendo all’incontro piuttosto ravvicinato avuto con Ryan. Arrossii, mentre alla mente mi ritornava quel bacio, e mugugnai frustrato. “bene, direi proprio di no…” aggiunse ridendo della mia espressione.

Nemmeno Pete lo sapeva.

Solo loro tre erano venuti a conoscenza di quello che era successo tra me e Ryan una volta usciti dal locale.

Non l’avevo detto a Pete solo per non vedere il suo autocontrollo esplodere come una bomba.

E poi non sarebbe rimasto zitto nemmeno per tutto l’oro del mondo, di cui tra l’altro non aveva assolutamente bisogno.

Dovevo capire e pensare.

Me lo meritavo no, un po’ di tempo per farlo?

Nonostante sapessi dei sentimenti di Ryan nei miei confronti, c’erano ancora un sacco di cose che mi impedivano di correre da lui.

E non parlo solo di Ariel o della mia paura.

“Non lo considererei nemmeno un tradimento!” bofonchiò William, coprendo Genevieve con una coperta di pile.

“Ah no? Tu credi che infilare tre metri di lingua in gola a qualcuno che non è il tuo compagno non sia tradimento?!” strillai io, cominciando ad agitarmi.

“Che c’entra! Io bacio un sacco di gente quando sono sul palco!” ribattè Beckett. “insomma quando c’è la voglia perché reprimerla?”

“Ben detto amore!” commentò Gabe, mandandogli un bacio.

“Peccato che c’era quel sentimento chiamato amore, in mezzo a tutta quella faccenda!” strillai, posando la tazza sul tavolino per evitare di mandarla in frantumi dal nervoso.

“Touchè!” disse Bill, ridacchiando per un attimo.

Odiavo il loro essere così placidi e tranquilli, mentre dentro di me era in atto la terza e la quarta guerra mondiale! Tutte insieme!

Uscii da quella casa senza nemmeno salutare, con le risate di Bill e di Spencer che mi perforavano l’orecchio tanto erano fastidiose.

A Chicago faceva piuttosto freddo e affondai il naso nella sciarpa e rabbrividendo rumorosamente.

Fanculo a loro e al mio cervello che pensavo fottutamente troppo.

E fanculo anche al mio cuore.

Che aveva bisogno ancora di quel calore e di quella sensazione di pace e di completezza provata assieme a lui.

Stavo totalmente impazzando.

Mi guardai un attimo in torno prima di iniziare a camminare e a trafficare con cellulare. Le dita mi tramavano , un po’ per il freddo, un po’ per agitazione. Composi frettolosamente il numero di Ryan, mentre mi agitavo per richiamare un taxi.

Non avrei concluso nulla restando lì a rimuginare su quanto accaduto. Dovevo affrontarlo, tirare fuori le palle per una volta.

“Ryan? Sto arrivando da te. Dobbiamo parlare.” Esclamai, senza nemmeno accennare a un saluto.

“Bden? Ma, non sei a Chicago?” rispose, lui, la voce impastata di sonno.

“Sì, prendo il primo volo per Los Angeles.” Affermai, salendo sul taxi.

“Mi preoccupi, Brendon.” Feci una piccola risata.

“Dovresti conoscermi abbastanza da sapere che sono il Re delle decisioni prese all’improvviso. A dopo.”  Riagganciai con un sorrisetto sulle labbra mentre il taxi si dirigeva verso l’aeroporto.

Avrei messo nei casini un sacco di persone, ma non mi importava, Ryan in quel momento era tutto ciò che mi interessava.

 

 

 

 

Ryan pov

 

Rimasi a fissare il cellulare per un po’, totalmente attonito.

Brendon avrebbe preso il primo volo per Los Angeles.

Perché? Cosa voleva dirmi? Addio e tante belle cose?

Mi alzai dal letto, pescando a caso i boxer che la sera prima erano finiti a terra senza tanto riguardo. Tornai a sbuffare, scuotendo le spalle di Sheila, la ragazza che la sera prima avevo rimorchiato in un bar, per svegliarla.

“Senti devi andartene.” Le dissi, vestendomi velocemente e buttando a casaccio i suoi vestiti sul letto.

“Ma sono solo le sette” mugugno questa, l’eye-liner tutto sbavato sulla faccia.

“Lo so, ma ho un impegno importante e quindi devi andartene.” Borbottai, non trovandola più tanto bella ed elegante.

Lei si alzò e camminò nuda e senza vergogna verso il bagno dove si sciacquò la faccia e rimise il vestito succinto della sera prima.

“Hai fatto? Bene, allora ciao eh!” bofonchiai ritrovandomi quasi a spingerla fuori dalla porta. Le si sistemò un attimo i lunghi capelli biondi e mi guardò in viso con la pretesa di un bacio che mai le avrei dato.

Mi riservò un’occhiataccia e qualche parola, prima di sparire. Cosa voleva dire quel: “Sei veramente come dicono tutti!”

Ero riuscito a crearmi una reputazione da maschera di ghiaccio? Non mi interessava molto del giudizio della gente. Non mi importava di nulla che non fosse me stesso e le persone a me care, il resto poteva benissimo fottersi.

Quella mattina feci tutto con il cuore in gola, cambiai le lenzuola e mi feci una doccia per togliermi di dosso l’odore di sesso e il profumo dolce di quella sciacquetta.

Brendon arrivò solo nel primo pomeriggio e non permise nemmeno che lo andassi a prendere in aeroporto.

Rimasi ad aspettarlo, in mano una tazza di caffè che non bevvi affatto.

Ero talmente agitato che non riuscivo a pensare a nulla di coerente. Hobo mi guardava incuriosita dal suo angolo, il capo inclinato e la coda scodinzolante.

Avrei pagato oro per essere calmo almeno quanto lei.

Il citofono suonò ed ero così in tensione che per lo spavento rovesciai un po’ di caffè sulla moquette.

Era arrivata l’ora.

Anche se detta in quel modo, aveva un non so che di macabro.

Imprecai sottovoce, leccando alcune gocce di caffè finite sulla mano, mentre mi affrettavo ad aprire.

Rimasi fermo davanti alla porta, sentendo i suoi passi salire frettolosamente le scale.

Appena me lo ritrovai davanti non feci in tempo a dire o a fare nulla che lui mi attirò in un abbraccio che mi mozzò il respiro. Rimasi con le braccia lungo i fianchi per un po’, mentre le sue mi stringevano dietro la schiena e le sue mani mi afferravano il maglione. Lo sentii sorridere sulla mia spalla, mentre strofinava il naso sul mio collo.

“Hai avuto compagnia…” mormorò.

Bofonchiai qualcosa e lui ridacchiò. “non è certo un problema.” Finì per precisare, mentre io mi rilassavo nell’abbraccio e le mie mani finirono ad accarezzare i suoi capelli neri. “è solo troppo dolce…” mugugnò, prima di baciarmi la base del collo.

Era così strano stare in quella posizione, dopo tutte le sue parole.

Ma si sapeva, Brendon era uno che amava parlare senza pensare, certo che non lo facesse nemmeno apposta.

Ero anche sicuro che, molto probabilmente, non sapesse ancora cosa fare e cercava in fretta la risposta.

Ero, in un certo senso, fortunato. Non perché sapevo già quello che volevo, ma solo perché non avevo l’impiccio di un altro legame.

Pensai un attimo a Nick, che continuavo a tralasciare e a mettere in secondo piano.

“Brendon, siamo sulla porta, possiamo andare di là?” chiesi, mentre lui di tutta fretta chiudeva la porta il piede, sfilandosi il giaccone e la sciarpa e appoggiandoli malamente sull’attaccapanni, tanto che caddero poco dopo. Brendon non ci fece caso e tornò ad abbracciami, come se non lo facesse da tempo. Ed era vero, il nostro continuo cercarci i quei anni ci avevano donato una totale dipendenza dei nostri abbracci.

Ancora mi era impossibile capire come avevo fatto a resistere così tanto, senza il suo corpo caldo contro il mio.

Brendon si staccò giusto un poco per poter spostare le sue mani sul mio viso e sorridere come se fosse incantato.

“Sembri un maniaco con quella faccia!” commentai, senza evitare di ridere della sua espressione.

“Tu sì che sai distruggere questi momenti perfetti, Ryro!” esclamò ridacchiando, pizzicandomi lievemente una guancia.

Lo fissai come incantato per un momento che sembrò quasi infinito, rischiando seriamente di piangere.

Okay non esattamente, ma mi emozionai.

Fu bellissimo sentire di nuovo quel nomignolo tutto speciale che prendeva significato solo se detto dalle sue labbra.

“Che c’è?” chiese, inclinando lievemente il capo.

“Dillo ancora.” Ordinai, sorridendo.

“Cosa? Che sei un rovina momenti perfetti?” ridacchiò e io negai.

“L’atra cosa.” Borbottai agitando le mani.

Chiusi lentamente gli occhi, mentre il suo volto si avvicinava al mio fino a che le sue labbra non furono a un soffio dalle mie.

“Ryro?” mormorò dolcemente.

Mi limitai solo a porre fine alla distanza fra le nostre labbra, cercando di trasmettergli tutto quello che in quel momento stavo sentendo.

Gli afferrai le spalle quasi con disperazione, avvicinando ancora di più il suo corpo al mio.

Avevo paura, una paura matta che potesse cacciarmi e tornare dal suo ragazzo.

Invece sospirò sulle mie labbra, aprendole docilmente alla mia lingua che aveva preso a ricalcare la linea morbida e perfetta della sua bocca. Il suo sapore così nuovo per me, mi inebriò al tal punto che venni percosso da brividi piacevoli in tutto il corpo.

Fu così intenso che cercai con tutte le mie forze di non cadere a terra, mentre lui mi trascinava lentamente verso la mia camera.

Viaggiammo alla cieca per un po’, finchè Brendon non mi sospinse leggermente contro lo stipite della porta, staccandosi un attimo per riprendere fiato e infilare una gamba fra le mie cosce.

“Non doveva succedere questo…” lo sentii mormorare. “almeno non subito.”

“Non lamentarti… va bene così.” Lo rimproverai, dopo un altro bacio. “ c’è tempo per parlare.”

Affondò il viso nel mio collo e lo sentii mormorare in assenso, mentre le sue mani scendevano lungo la mia schiena.

“Okay, Ryro…”

 

 

 

Brendon pov

 

Andare lì e parlare. Era quello che dovevo fare no? E allora perché diamine gli stavo succhiando la faccia sdraiati sul suo letto, invece che stare seduti, sul divano per esempio, a discutere civilmente di quello che stava succedendo?

Nulla però in questo momento sembra più giusto delle sue braccia e delle sue labbra su intorno a me, su di me. Allora cervello, per favore, disattivati, se vuoi eclissati, ma smetti di farmi pensare a tutte queste cose negative.

Ho deciso che pensare porta più guai che benefici.

 

Era tanto tempo che non mi rivolgevo a lui con quel nomignolo. Non l’avevo fatto di proposito, era uscito dalle mie labbra con una spontaneità così impensabile che rimasi sorpreso anche io. Fu la cosa migliore che feci, perché Ryro si avventò su di me con una passione tale da lasciarmi totalmente spaesato.

Non durò molto e presto mi ritrovai catapultato sul suo letto in un groviglio di gambe e braccia intrecciate e di bocche che non avevano intenzione di sciogliersi.

Avevo mandato il cervello a fare un viaggio e dato al mio cuore le redini del mio corpo.

Poteva farci quello che voleva.

Mi staccai dalle labbra di Ryan solo per seguire la linea della mascella e affondare la bocca nel collo, mordendo lievemente. Lo sentii sussultare e infilare una mano nei miei capelli per poterli tirare leggermente e richiamarmi per un bacio umido e diverso da quelli, quasi insicuri, che c’eravamo scambiati precedentemente.

Si mosse leggermente per riuscire a farmi spazio fra le sue gambe che intrecciò con velocità intorno ai miei fianchi. “Ora, non potrai più scappare.” Mi soffiò sul viso, sogghignando.

“Non ho alcuna intenzione di farlo…” gli mormorai, tornando a baciarlo e a trafficare con la zip del suo maglione dannatamente hippie.

Glielo sfilai con lentezza, tastando strati di pelle che mai avrei immaginato di esplorare. Ricalcai con i polpastrelli la visibile sporgenza delle costole, togliendogli diversi sospiri.  Mi concentrai sul delizioso ombelico che capitanava sulla sua pancia piatta, fino a lasciare un lieve segno sulle ossa, dannatamente eccitanti del suo bacino lievemente sollevato. Ne approfittai per cingergli la vita con le mani e tirarlo a me, mentre lui armeggiava con i bottoni dei jeans, per arrivare dritto al punto. Ma io non volevo che finisse tutto in fretta.

Erano anni che desideravo fare l’amore con lui e non volevo che tutto finisse in una sveltina per appagare i sensi.

Volevo fosse diverso.

E poco importava se sembravano pensieri d’adolescente.

Gli baciai il centro del petto, riuscendo a distinguere benissimo i battiti accelerati del suo cuore e il suo respiro rumoroso. Mi concentrai a vezzeggiare la pelle liscia con la lingua e le labbra, mordendo, succhiando e baciando per quelli che sembravano solo pochi secondi, finchè Ryro non mi richiamò con voce supplichevole. Alzai lo sguardo per osservarlo bene in viso, che era lievemente rosso dall’eccitazione e dall’impazienza.

Era la perfezione. Avrei voluto vedere il suo viso stravolto e appassionato per sempre.

Per quella prima volta, nemmeno una volta Ryro riuscì a prendere le redini di quel gioco meraviglioso. Lo spogliai lentamente, tracciando ogni più piccola parte del corpo. Finchè non me lo ritrovai nudo e splendido, che artigliava i miei abiti per togliermeli. Non mi aprì del tutto la camicia che mi ritrovai a sfilare e lanciarla chissà dove dietro di noi. Sentii per lunghi minuti le sue dita sul petto che tastavano eccitate i muscoli tonici. Guardai Ryro con un sopraciglio sollevato, ghignando maliziosamente.

Quando fummo entrambi privi di ogni indumento, me lo tirai addosso, ribaltando le posizioni. Appoggiai la testa sul cuscino, mormorando parole sconnesse sulle sue labbra, mentre lentamente entravo dentro di lui.

È difficile da spiegare, perché anche oggi non ho ancora ben chiaro cosa stava succedendo nella mia anima in quel momento.

Capii solo che quella sensazione di completezza, di felicità si raggiungeva solo facendo l’amore.

Osservai come incantato il viso rilassato di Ryro che diventava sempre più rosso e la pelle cominciava a ricoprirsi di una leggera patina di sudore, quando le mosse accelerarono. Tornai a ribaltare la posizione dopo un lento e dolce dondolio pieno di dolcezza e passione, ritrovandomi ancora una volta incatenato da quelle gambe e da quelle braccia calde e forti. Cercai la sua mano quasi con disperazione, intrecciando le sue dita e baciandone il dorso con riverenza assoluta. Non la lasciai finchè i sensi non ci lasciarono stravolti, soffocando urla e gemiti in un bacio.

Lo guardai in viso e lo trovai con gli occhi socchiusi e il sorriso più bello del mondo solo per me.

“Se sapevo prima cosa si provava a fare l’amore, non avrei atteso così tanto per ammettere di amarti.” Sussurrò, abbandonando il capo all’indietro, mentre io con la mano libera gli scostavo le ciocche umide di sudore dalla fronte.

“Mannaggia a te, tutto tempo perso!” scherzai, tornando a rubargli le labbra per un bacio languido.

Ero totalmente rilassato, come catapultato in una dimensione parallela che aveva le sembianze di un letto comodo e del corpo accogliente di Ryro. Mi scostai da lui e mi misi al suo fianco, tirando su le lenzuola e la coperta pensate, accarezzandogli con le mani le gambe che erano scosse da un lieve tremore. Osservai la stampa chiara delle lenzuola e sorrisi.

“Ho ancora le tue lenzuola.” Mormorai fra i suoi capelli. Lo sentii irrigidirsi e mordicchiarsi un labbro. “ehi, è tutto okay.”

“Sono stato un bastardo.” Commentò. Io alzai gli occhi al cielo.

“Oh no!” dissi. “sei stato molto peggio!” aggiunsi. Lui sbuffò e si rigirò per abbracciarmi il busto. Mi baciò la mascella per un dolce attimo, mentre i suoi occhi cioccolato mi osservavano con la più riuscita espressione da cane bastonato. Dovetti distogliere lo sguardo per non cedere.

“Potrei mai perdonarmi?” sussurrò, sfarfallando le ciglia in modo esagerato, facendomi ridere.

“Non c’è nulla da perdonare, Ryro. Abbiamo fatto degli errori, gli abbiamo commessi insieme. Lui annuì e tornò a sospirare.

“Che facciamo ora?” chiese dopo qualche minuto di beato silenzio.

“Per favore Ryro non rovinare questo momento.” Sbottai, alzando le braccia e sventolando le mani. “è troppo presto per tornare alla realtà!” bofonchiai poi, tornando a rannicchiarmi fra le sue braccia.

Lui sorrise e mi baciò la testa.

Non avevo assolutamente voglia di affrontare il mondo fuori da quella stanza.

 

 

 

Ryan pov

 

George Ryan Ross III era felice.

Non in senso relativo certo. Non era come comprare una chitarra nuova o i biglietti per un concerto desiderato.

Ero felice nel vero senso della parola. Brendon era al mio fianco, lo volevo da sempre, lo amavo, lui amava me. Tutto era praticamente perfetto, così perfetto da far quasi schifo alla gente a dirla tutta. Forse c’era troppa perfezione dell’aria e capitolammo nella realtà come se fossi stati scaraventati a terra.

Brendon si alzò dal letto poche ore dopo, sul viso un’espressione dispiaciuta, mentre cercava il suo cellulare,che, uscito dalla tasca dei jeans, era volato sotto il letto. Lo raccattò e ancora nudo si sedette a gambe incrociate sul letto contando le chiamate perse e i messaggi ricevuti.

“Tre chiamate perse da Ariel, una da Spencer e due da Dallon e dieci di Pete.” Elencò, grattandosi la testa arruffata. “ah! Senza contare i tre messaggi di minaccia di morte!” esclamò. “senti questo: Brutto figlio di una donna mormone, dove cazzo solo le tue chiappe? Se ti prendo Bdon ti do fuoco alle palle!” ridacchiò. “questo era di Pete.”

“L’avevo in qualche modo intuito!” dissi sarcasticamente, sbuffando e portandomi le braccia dietro la testa. “cos’hai intenzione di fare ora?” chiesi occhieggiando il suo corpo nudo stendersi dolcemente su di me. Mi baciò la spalla scoperta, prima di posarci sopra la testa e strofinare il naso contro il mio collo.

“Non vorrei muovermi da qui nemmeno per un momento…” borbottò, cercando la mia mano per intrecciare le nostre dita. “ma devo andare, Ariel, Pete e la band mi aspettano.” Disse in un lieve sussurro.

Io annuii. “però ritorno presto. Appena lascio El e accontento Pete con i concerti. Aggiunse, sollevando la testa per scoccarmi un bacio sulle labbra e successivamente aprirle in un largo sorriso.

“Vuoi lasciare Ariel?!” domandai, sgranando gli occhi. Brendon mi guardò un attimo interdetto, sbattendo le lunghe ciglia.

“Non dovrei?” mi chiese, un po’ confuso.

“No!” strillai, alzandomi con i gomiti dal letto.

“Cosa?Ryan ma ti senti quando parli?” ribattè lui.

“Non vorrai mica lasciarlo a Natale!” Brendon rimase per un minuto buono a fissarmi, aprendo la bocca di tanto in tanto per cercare di dire qualcosa.

“Okay, chi sei? Dov’è Ryan Ross?” borbotto.

Perché quando cercavo di essere carino e gentile subito le persone si preoccupavano per la mia salute mentale?

“Non sei per nulla divertente. È solo un ragazzino cazzo, ne uscirà distrutto!” cercai di spiegare.

“Amore, da quando ti preoccupi di Ariel? E della sua salute psicologica?”  non risposi alla domanda e mi limitai a scuotere le spalle.

Non sapevo perché avevo dato quella risposta. Forse mi dispiaceva veramente per quel ragazzino o forse volevo solo che Brendon pensasse per bene a quello che stava facendo.

Ovviamente mi pentii immediatamente di aver costretto Brendon ad aspettare la fine delle feste per lasciare l’australiano e tornare da me. Ma quella era un’altra storia.

“Per favore, vogliamo goderci il tempo rimasto prima che tu parta?” gli sussurrai sulle labbra.

“Va bene, ma fammi avvertire Ariel.” Acconsentì e lo sentii scivolare via dal mio corpo per riprendere il cellulare e telefonare al suo fidanzato.

Odiai ogni singolo momento di quella telefonata e quel tono troppo dolce che utilizzò per parlare con Ariel.

Aveva inventato una scusa patetica, e la sua voce era così incerta che mi fece sorridere.

Non sapeva dirle le bugie. E sapevo che Ariel non gli aveva creduto. Ero anche sicuro che, molto probabilmente, avesse intuito dove fosse scappato così di corsa il suo adorato Brendon.

Appena la telefonata terminò, mi sorrise tornò a sedersi sul letto, sporgendosi verso di me.

“Allora che facciamo?” chiese. “ti va un film?”

Io alzai un sopracciglio. “Un film? È così che le chiami adesso, le tue performance?” lui sbuffò e si lasciò trascinare ancora una volta su di me, per tornare in quel meraviglioso oblio che erano le sue labbra.

Fui invaso da una strana sensazione che mi spinse a tenerlo stretto a me per lunghi minuti, mentre ripetevamo la stessa lenta danza che a ogni gesto diventava sempre più importante.

Qualcosa che non avevo mai provato, nemmeno con Keltie. Qualcosa di così immensamente sconosciuto, ma immensamente bello. Avevo paura di annegare dentro quelle sensazioni, visto che ero sempre stato una persona piuttosto controllata e sempre decisa a evitare i coinvolgimenti. Di qualsiasi tipo.

Ma quando si è innamorati di una persona come Brendon, l’ultima cosa di cui bisogna preoccuparsi è la coerenza.

Sapevo già che sarebbe stato difficile, per i nostri caratteri così differenti e le abitudini che non riuscivano a combaciare, ma perché condannare qualcosa quando ha appena preso piede, se quello che riesce ad unire è solo e puro amore?

Oh cazzo, ecco che mi trasformavo in un romanticone da attore di soap opera.

Dannato Urie.

“Cosa pensi?” mi chiese lui, lievemente affannato.

“Che per colpa tua diventerò troppo dolce.” Borbottai, come se fossi schifato. Lui rise, mordicchiandomi la pelle sotto all’orecchio, facendomi perdere il respiro.

“Basta pensare a cose inutili!” mi rimbeccò giocosamente, scendendo pericolosamente verso il basso.

Smisi di pensare sul serio.

Rotolammo fra le coperte per ore. E finalmente riuscii a assaporare ogni singolo centimetro di quel corpo dannatamente eccitante, senza essere interrotto dalle sue mani o dalla sua bocca provocante.

Quando la lancetta del suo orologio da polso segnò la mezzanotte, ogni cosa si fermò. Restammo abbracciati. La mia schiena appoggiata al suo petto, le gambe intrecciate. Desideravo così tanto che le lancette di quell’orologio si fermassero, che quasi pregai Dio. Non sarebbe durato a lungo, lo sapevo io e anche Brendon, ma cercava lo stesso di diffondermi tutto l’amore possibile.

“Ryro?” Brend richiamò la mia attenzione, baciandomi la spalla, mentre voltavo leggermente la testa verso di lui per poter guardarlo negli occhi.

“Uhm?”

Mi sorrise, per un attimo, luminosamente, posandomi un piccolo bacio sulle labbra.

“Buon Natale.”  Esclamò, lasciandomi stupito. Lanciai un veloce sguardo al calendario per notare che era veramente il 25 dicembre.

“Buon Natale anche a te.” risposi.

Certamente il miglior Natale di sempre.

Mi svegliai non so quante ore dopo, per colpa della sveglia bastarda che avevo scordato di disattivare. Aprii gli occhi di scatto e mi voltai verso la parte del letto occupata da Brendon.

Miserabilmente vuota.

Sbuffai, portandomi le ginocchia al petto.

Solo in quell’attimo di silenzio capii che non era la sveglia a infastidirmi, ma il rumore insistente del citofono. Mi vestii in fretta, probabilmente mettendomi il maglione all’incontrario. Barcollai fino alla porta per ritrovarmi il viso sorridente di Jon e quello dolce di Cassie.

“Non ci posso credere!” esclamò appena mi vide. “hai passato la vigilia di Natale ad ubriacarti?!” domandò, lanciandomi addosso un pacchetto dalla carta lucida e rossa. Ne lanciò uno anche a Hobo che prese a scartare freneticamente con le zampine.

“Oh un felice e gioioso Natale anche a te, Jon caro!” ribattei, mentre baciavo le guance delle sua fidanzata. “e comunque non l’ho passato da solo.” Aggiunsi, mentre mi fiondavo in cucina per preparare del caffè.

“Nick è stato qui?” chiese, mentre Cassie gli picchiettava il petto per farlo stare zitto.

“No.” Risposi seccamente, perdendomi un attimo nei ricordi della sera precedente.

“Amore, sta sorridendo!” lo sentii borbottare con la sua fidanzata. “altro che bere, si è fatto di funghi allucinogeni!” alzai gli occhi al cielo, totalmente esasperato. Non gli avrei dato certo la soddisfazione di dirgli che avevo passato tutta la vigilia di Natale con Brendon. E sapevo che stava morendo dalla voglia di saperlo.

“Jon, per favore, sta zitto e lascialo parlare!” commentò Cassie, aiutando Hobo a finire di scartare una pallina di gomma colorata.

“E’ inutile perché non gli dirò proprio nulla!” esclamai, portando in salotto il caffè. Mentre Jon si lamentava di quanto fossi stronzo, i miei occhi caddero sullo schienale scuro del divano, dove era ancora malamente appoggiata la sciarpa di Brendon. Era una vecchia sciarpa che portava sempre con sé. Mi ricordo che gliela regalò sua madre per Natale, tanto tempo fa. Aveva un buco all’estremità che nonostante fosse stato cucito e ricucito, Brendon lo riformava sempre quando ci giocava con le mani. Me la portai al viso, costatando la morbidezza e l’odore dell’ammorbidente mischiato a quello di Brendon. Sorrisi, prima di avvolgerla intorno al collo.

Aveva un motivo in più per tornare da me.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Ringrazio infinitamente  B_Lady e  Annabellee che hanno commentato il capitolo precedente *-* grazie mille!

E voi? Almeno due paroline me le scrivete?

Al prossimo capitolo !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** "Is a secret...? Maybe.... no more." ***


ryden7

 

 

Capitolo sette

 

 

 

Brendon pov

Non sono mai stato bravo con le bugie. 

Ho sempre avuto dei problemi perché la mia faccia riesce a dire la verità più delle parole.

Così non avevo ingannato Pete con la patetica scusa di un malore di uno dei miei fratelli. Avrebbe anche retto se lui non avesse chiamato tutti per sapere chi precisamente stava male.

Così sputai tutta la verità.

Che avevo passato la vigilia da Ryro, che avevamo fatto l’amore e che volevo lasciare Ariel. Fu più comprensivo di quanto mi aspettassi.

Pensavo che avrebbe dato di matto perché non avevo trattato Ariel nel migliore dei modi, ma invece mi abbracciò, contento.

“Non che non voglia bene ad Ariel, ma non ha alcuna possibilità di competizione. Ryan è sempre stata l’unica persona in grado di farti felice e di farti star male allo stesso tempo. Non so se mi spiego.”  Commentò, prendendo fra le braccia Bronx. “è il solo che riesce a renderti così. Non ti ho mai visto così raggiante o così innamorato di qualcuno che non fosse Ryan. E quando stavi male, beh non eri uno spettacolo. Concluse, dandomi un’occhiata.

Ridacchiai, prendendo un sorso di birra e guardando la sala addobbata a festa. Era pieno di gente, parenti e amici di Pete.

Ero riuscito a prendere il primo volo la mattina presto, lasciando Ryan da solo. Non avrei voluto farlo per niente al mondo. Mi sentivo così diverso e il peso leggero di un tradimento che proprio non riusciva proprio a farmi sentire in colpa.

Ariel mi si avvicinò sorridendo, scoccandomi un bacio sulla guancia e abbracciandomi.

Non sapevo come non riusciva a notare quanto ero diverso, quanto ogni parte del mio corpo era immersa nel profumo di Ryro.

Pete ci guardò con un sopraciglio inarcato, mentre io mi limitavo a baciargli la tempia. “Andiamo a consolare Gabe.” Dissi, trascinandolo verso un Saporta mogio e solo perché il suo adorato Billvy era a Barrington a passare il Natale con la figlia. Io e Ariel ci sedemmo al suo fianco mentre stava canticchiando una canzone assolutamente deprimente in spagnolo.

Le provammo tutte, finchè Pete non gli diede in mano un bicchiere colmo di vodka e Red Bull.

Lui si che conosceva bene i suoi pupilli.

A metà serata, quando la tavola era stata sgombrata dal cibo, ricevetti una chiamata che mi costrinse a chiudermi fuori in terrazzo e sedermi sullo sdraio fredda. Sollevai il colletto della camicia per evitare di prendere un mal di gola che avrebbe messo nei casini la band.

“Ho la tua sciarpa.” Esclamò Ryro appena risposi.

“Dillo che l’hai rubata perché vuoi vedermi morire di broncopolmonite!” ribattei, facendolo ridacchiare.

“Non incolpare me! Sei tu che sparisci e ti dimentichi le cose!” borbottò lui.

“Hai letto il biglietto vero?” chiesi, sollevato che non fosse arrabbiato.

“Sì, piuttosto informale direi, e cos’era quel segnaccio alla fine? Un cuoricino? Urie sei sicuro di non essere retrocesso di qualche anno?” chiese e lo sentii ghignare.

“Non apprezzi le mie manifestazioni d’amore! Bastardo!” borbottai.

Chiacchierammo per quelle che mi parvero minuti, ma scoprii essere due ore buone, quando Ariel venne a ripescarmi. “devo chiudere ora, a presto.”

“E’ arrivato il ragazzino? Salutalo da parte mia.”

“Stronzo.” Ribattei.

“Ciao Brend.” E la telefonata finì lì.

“Chi era?” mi chiese El, con un sorrisetto gentile sulle labbra.

“Oh, Shane.” Inventai, evitando di guardarlo negli occhi. Mi chiesi anche da quanto tempo era lì.

“Sente la tua mancanza?” scherzò avvicinandosi per sedersi sulle mie gambe. “sei ghiacciato, perché non entriamo?” domandò, sfregandomi le mani sulle braccia. “c’è Pete che sta delirando su un tour gigantesco che vuole organizzare prima della fine dell’anno!”

“Oddio ma è impazzito?! Ne abbiamo appena finito uno!” Ariel scrollò le spalle e insieme tornammo in casa, dove Pete era in piedi sul tavolo e spiegava la sua grande idea.

Voleva fare un Tour in New Messico e partire il più presto possibile.

Era un piano praticamente irrealizzabile e tutti assecondammo le sue pazzie, finendo a giocare alla Wii.

Quella notte evitare Ariel fu quasi un’impresa, perché venne a dormire nella camera che Pete mi aveva fatto preparare al piano superiore. Mi baciò appassionatamente e mi spogliò dai miei vestiti, mentre pregavo che arrivasse presto la fine.

“Hai cambiato profumo?” borbottò annusando con dolcezza il collo. Io negai, poi annuii inventando su due piedi che avevo provato il profumo di Ash, che c’era nel bagno. Ringraziai il cielo per le luci spente.

Cercai di rilassarmi, mentre la sua bocca su di me faceva reagire il mio corpo in un modo così spontaneo che quasi ringhiai dalla frustrazione. Smisi di pensare e feci Ariel mio con un’arroganza e una freddezza che si spensero solo dopo pochi minuti dall’orgasmo. “Scusa.” Borbottai, baciandogli la fronte sudata. Lui sorrise e mi accarezzò i capelli. “Non c’è nulla di cui scusarsi. È stato meraviglioso.” Sussurrò, baciandomi le labbra. “Ti amo Brendon.”

Strinsi gli occhi fino a farmi male, mordendomi le labbra.

Ero una pessima persona.

Ariel si addormentò fra le mie braccia senza aspettarsi una risposta e io non riuscii a chiudere occhio.

Mi alzai la mattina di Santo Stefano con le occhiaie che mi arrivano ai piedi. L’unico già sveglio era Pete, ma notando i suoi occhi sbarrati pieni di sonno mi chiesi se c’era andato a letto. Era al telefono e annotava delle date e dei luoghi su un taccuino.

“La ringrazio, a risentirci e buone feste!” posò il suo I phone sul tavolo e mi riservò un grande sorriso. “buon giorno Brenny! Pronto a partire per un tuor lungo tutta la costa atlantica? Non è certo il New Messico come desideravo, ma in una notte non posso fare molto!”  esclamò, avvicinandosi per posarmi un braccio sulla spalla. “oppure possiamo andare in Canada! Non credi sia bellissimo il Canada? Con le sue montagne, i suoi laghi!” esclamò prendendo a saltellare e tornando a telefonare gente sconosciuta.

Ash mi si avvicinò, con il piccolo Bronx fra le braccia e un biberon colmo di latte caldo. “Ha di nuovo cambiato idea?” mi chiese posandomi un bacio sulla guancia.

“ A quanto pare…” mormorai, seguendola in cucina. Mi sedetti sullo sgabello imbottito e la fissai mentre preparava del caffè.

“Petey mi ha detto di te e Ryan.” Iniziò, porgendomi Bronx perché lo prendessi. Giocherellai con lui per un attimo, facendogli delle smorfie. Lui rise e afferrò i miei occhiali da vista, sporcando la lente.

“Ottimo. Lo sa qualcun’ altro?”  chiesi sarcastico.

“Beh presumo Gabe e quindi di conseguenza William. Poi immagino lo sappia anche Spencer, quindi anche Dallon e Ian. Ah! Aggiungerei anche la moglie di Dall, perché a quanto pare era con lui quando Pete gliel’ha detto al telefono, poi beh Hemingway, ma presumo che di lui tu non ti debba preoccupare.

Tornai in uno stato di completa depressione.

“E dire che ero sarcastico!” borbottai, mogio.

La situazione stava prendendo una piega molto diversa da quella che mi ero prefissato.

 

 

 

Ryan pov

La saletta delle prove che io e gli altri avevamo a disposizione era piccola ma confortevole e lì passavamo ore a suonare o a pianificare cazzate.

Avevo appena finito di provare “Die Tonight” quando la porta si aprì di colpo e l’immagine bassa e tatuata di Pete Wentz si presentò davanti alla mia faccia.

Jon corse ad abbracciarlo, mentre io mi limitai a porgerli la mano che lui afferrò contento. “Su Ross, fatti abbracciare.” Rimasi un attimo interdetto, mentre mi stringeva in un abbraccio fraterno. Era un po’ ambiguo il suo continuo cambio d’umore.

Soprattutto nei miei confronti.

Ma andava bene così, perché mi dispiaceva sul serio perdere un amico come Pete.

“Come mai qui?” chiesi sorridendogli, mentre lui armeggiava con il piccolo albero di Natale che aveva urtato con il piede.

“Grandi, grandi notizie, Young Veins!” esclamò, la voce eccitata e i denti in bella vista. Quella volta, straordinariamente, ci raggiunse anche il nostro produttore, anche lui piuttosto su di giri per la notizia che Pete stava per darci. “tra due giorni esatti si parte per il Canada!” strillò, prendendo a saltellare.

Canada?

Perché?

L’unica cosa sensata che riuscii a formulare fu un: “uh!” , prima di spalancare in modo poco elegante la bocca.

Noi in Canada? Perché? Non eravamo più sotto la Decay e non capivo il motivo per cui dovevamo partire.

Poi mi si accese una lampadina nel fondo del mio cervello.

“è un tour che tocca i posti più belli del Canada!” continuò a dire Wentz, agitandosi tutto.

“Non saremo soli, vero?” chiesi, scambiando un’occhiata con Nick.

“Certo che no, ci saranno anche i ragazzi della Decay… beh quelli che non mi hanno mandato a fanculo per l’idea assurda!” aggiunse picchiettandosi un dito sulle labbra.  Tornò in un attimo a sorridere, avvicinandosi per prendere il microfono dalle mie mani. “non è un’idea meravigliosamente eccitante?” domandò, parlando direttamente nel microfono.

Il primo a riprendersi fu Andy, che ululò di gioia e Murray gli fece eco con un giro assordante di batteria.

Non sapevo se Brendon e gli altri avevano accettato la proposta, ma visto che ero quasi certo che ci fossero anche loro, mi girai verso Nick e lui mi picchiettò le costole con il gomito, sorridendo.

“Ottimo, trovatevi un altro chitarrista. Io sarò malato quel giorno.” Borbottò Jon, mettendosi a braccia conserte.

Pete mi osservò interrogativo e io alzai lo sguardo al soffitto. “Lui e Spencer si detestano cordialmente.”  Gli spiegai, mettendo a tacere con un’occhiata ogni possibile protesta da parte di Jon. “ma il perché è sconosciuto.”

“Oh, capisco.” Poi si rivolse a Walker con un sorriso che mi mise i brividi. “non ti devi preoccupare Jonny, Spencer si è rotto un polso giocando a Squash, non ci sarà.”  Assicurò, stringendogli amichevolmente la spalla con la mano.

Trattenni una risata, mentre cercavo di immaginare Spencer intento a giocare a Squash.

Piuttosto improbabile.

Comunque sia, la cosa venne accettata da tutti, anche se Jon fu restio fino a che Pete non se lo portò via, sicuramente giocandosi ogni sua carta per convincerlo.

Quella stessa sera, incontrai nuovamente Brendon. C’eravamo dati l’appuntamento in una pizzeria in centro. Sentivo il petto sobbalzarmi di gioia al solo pensiero di essere di nuovo insieme a lui dopo tutto quello che era successo tra noi il giorno della vigilia.

Lui era già lì che mi aspettava, stretto nel suo cappotto e lo sguardo perso. Mi avvicinai lentamente e quando fui davanti al suo viso, gli sorrisi circondando il suo collo con la sciarpa che fino a un momento prima era legata al mio. Mi sorrise di rimando e trattenne a sé per un attimo la mia mano, poi la lasciò andare.

“Entriamo?” chiese, ammiccando verso la pizzeria. Io annuii e gli feci strada finchè non ci trovammo seduti a un tavolo appartato.

“Ti prego dimmi che partecipi anche tu al tuor!” fu la prima cosa che dissi, mentre lo fissavo sgranocchiare un grissino. Lui rise, buttando il capo all’indietro.

“Ovvio che sì, non me lo perdere per nulla al mondo.” Rispose, ammiccando. “non trovi che sia stato gentile, Pete a invitare anche la tua band?” chiese poi, afferrando il menù che la cameriera gli stava porgendo. Io alzai un sopraciglio, scettico.

“Gentile?” sbottai. “lui ha in mente un piano malefico, ne sono certo.” Brendon spezzettò un grissino né lo lanciò addosso.

“Io credo invece che voglia solo farci un piacere!” esclamò. “per riuscire a stare insieme più tempo possibile.”

A volte mi stupiva ancora l’ingenuità, per non chiamarla stupidità, di Brendon. Lui vedeva il buono in tutti.

“Ci sarà anche Ariel?” chiesi. Brendon annuì e io picchiai una mano sul tavolo assumendo un’espressione ovvia.

“Vedi? Se voleva tanto farci un piacere non se lo portava appresso!” ribattei. “altro che piacere! Ci sta complicando la vita!”

Brendon rimase zitto, smangiucchiando quel che restava del grissino. Ero sicurissimo che stesse pensando a una qualsiasi altra scusa per poter affermare le buone intenzioni di Pete.

“Pete non è cattivo.” Borbottò.

“Certo che non lo è, è solo piuttosto vendicativo.” Dissi, allungando la mano per riuscire a sfiorare la manica della felpa rossa che indossava. Mi sorrise.

Non toccammo più l’argomento Pete e la serata proseguii senza intoppi. Uscire di nuovo da soli, come facevamo tempo prima, mi aveva procurato un languido senso di nostalgia, colmato da quei baci che solo un anno prima non avevo mai desiderato così intensamente.

Mi chiesi, cosa pensava Ariel di questa uscita che Brendon l’aveva giustificata come un recupero dei tempi andati. Smisi subito perché le labbra di Brendon mi cercarono appena varcammo la porta di casa mia.  Era un bacio così inteso e bisognoso che mi lasciò un attimo senza forza, mentre il divano accoglieva le nostre membra abbracciate e desiderose di contatto.

All’inizio l’idea di essere l’amante mi aveva procurato una scossa d’eccitazione, ma già in quel momento non riuscivo più a sopportare l’idea di essere lasciato solo, con un bacio e una promessa di rivederci ancora. Infondo non potevo lamentarmi, no? Gliel’avevo chiesto io di aspettare.

Brendon non era completamente mio. C’era ancora qualcosa che lo legava ad Ariel e non vedevo l’ora che quel qualcosa si spezzasse.

“Senti, ma come sta Spencer?” chiesi, quando il silenzio rilassato aveva fatto sorgere in me una domanda.

“Oh, benissimo. Non vede l’ora di partire per il tour!” esclamò Brendon, abbracciandomi ancora più stretto.

“Come pensavo…” mormorai sul suo collo, nascondendo un sorrisetto.

 

 

 

Brendon pov

Il giorno prima della partenza, un freddissimo 28 dicembre, l’aria era così agitata che avevo l’ansia che mi corrodeva lo stomaco e Pete non mi aiutava a tenerla ferma. Si agitava come una trottola impazzita, aveva preso le sembianze mostruose in un Humpa Lumpa ed era più isterico del solito, tanto che Ash l’aveva cacciato di casa. Ovviamente aveva bussato alla mia porta, facendo del mio salotto un ufficio e della mai cucina una mensa da cui entravano e uscivano persone mai viste.

Collaboratori, diceva lui.

Ariel si rifiutava di mettere piede in casa quando Pete era nei paraggi o in alternativa si chiudeva in camera fingendo di studiare.

Io d’altro canto fingendo di essere in missione per il capo passato tutto il mio tempo da Ryro. Ci aspettava un periodo piuttosto difficile e volevamo sfruttare quel momento di calma, si fa per dire, per stare insieme.

Non parlavamo nemmeno tanto, Ryro diceva che avevamo speso anni della nostra vita a raccontarci cose inutili e che per quei giorni l’unica cosa che gli andava a genio di fare era sesso.

Tanto, troppo.

“Dobbiamo rifarci.” Diceva.

La realtà era sola una, ovvero lui era un fissato col sesso. Insomma passavamo più tempo svestiti che vestiti, più tempo a succhiarci la faccia invece che parlare.

Ovviamente su questo punto non avevo lamentele da fare.

Ci sarebbe stato comunque il tempo di parlare, almeno pensavo che tutta una vita potesse bastare per tutte le parole del mondo.

Dicevo, la sera del 28 Ryro mi portò alla sala prove. Era abbastanza inquietante perché dovunque mi girassi c’erano le facce e gli occhialini tondi dei Beatles.

Loro, però l’adoravano.

Suonarono qualche cover e poi fecero alcune canzoni che avevo espressamente richiesto.

 alcuni testi dei Young Veins avevo ritrovato le nostre sensazioni. Alcune le sentivo mie, altre no, ma era come se Ryro avesse pensato a noi mentre le scriveva.

Non osavo chiederlo. Non perché non avessi abbastanza sfacciataggine, quella certamente non mi mancava, ma perché non avrei mai ottenuto risposta.  

Lui era così, totalmente geloso dei suoi pensieri e delle sue sensazioni, anche quando questi coincidevano perfettamente con i miei.

“Resti a dormire sta notte?” mi chiese mentre riponeva la chitarra nella sua custodia rigida con particolare cura.

Negai, assumendo un broncio. “Non posso, devo tornare.” Dissi, mentre lui si irrigidiva un po’, sorridendo.

Conoscevo i suoi sorrisi come le mie tasche. Quello aveva una pieghetta falsa. “Okay. Allora ci becchiamo sull’aereo.” Poi si bloccò. “perché tu prendi l’aereo, vero?”

Io risi, alzandomi dal divanetto per raggiungerlo e stringergli la vita con le braccia.

“Stesso orario, stesso aeroporto, stesso aereo. Tranquillo.” Assicurai.

“Sono contento che Wentz ha escluso il meraviglioso viaggio in Tuor bus per i suoi pupilli.”  Borbottò sarcastico.

“Era molto combattuto per questo, ma invece di metterci ore ci avremmo messo giorni.”

Riuscii a farlo ridere e facendo pressione si rigirò nel mio abbraccio, fino ad avere i suoi caldi occhi nocciola puntati nei miei.

“Abbi pazienza.” Mormorai, baciandogli la punta del naso. “Presto glielo dirò.”

Ryro mi ricalcò il profilo con un dito e sospirò. “Ti ho detto io di aspettare, lo so, ma è più dura di quanto credessi.”

Non gli risposi e mi accoccolai sulla sua spalla, finchè lui non una carezza non mi richiamò, facendo scontrare piano le nostre labbra, per poi mordicchiarle dolcemente.

“Che ne dici di dimezzare i tempi?” domandai, alzando un sopraciglio malizioso.

“E cioè?”

“Invece di tornare a casa, facciamolo qui.” Spiegai e ammiccai al divanetto dove fui spinto senza nemmeno riuscire a finire la frase.

Ridacchiai mentre me lo ritrovavo a cavalcioni sul bacino intendo a togliermi la felpa il più velocemente possibile, accanendosi contro la zip. Gli morsi la clavicola giocosamente mentre la sua camicia veniva aperta lentamente, bottone dopo bottone, solo per riuscire a vedere la sua reazione impaziente. Me lo tirai contro, fasciandogli le natiche coperte dal tessuto liscio del pantalone scuro, con le mani e... la porta si aprì di scatto.

Lui bestemmiò, appoggiando per un attimo la fronte sulla mia prima, di girarsi verso la causa di quella interruzione.

“Cosa vuoi, Nick?”

L’interpellato ridacchiò, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.

“Non ti ho detto d’entrare!” ringhiò, scivolando seduto al mio fianco.

“Mi hai chiesto cosa volevo e io volevo entrare.” Rispose semplicemente. “Oh ciao Brendon.” Aggiunse con un sorriso. Io ricambiai, ripescando la felpa che era caduta a terra e infilandola, mentre Ryro si abbottonava i pochi bottoni che ero riuscito a sganciare.

“Bene i convenevoli sono finiti, ora fai quello che devi fare e vattene.”  Disse Ryan, guardandolo malissimo.

“Vorrei fare due chiacchiere con Brend se non ti dispiace.” Ribattè lui sedendosi davanti alla sua tastiera.

“Ovvio che mi dispiace mi stai dicendo di andarmene!” borbottò Ryan.

“Si tratta solo di pochi minuti.” 

Ryro mi fissò un attimo, come in cerca d’aiuto. “Credo anche io che sia ora di fare due chiacchiere con Nick.” Commentai, sorridendogli. Lui, per nulla contento, afferrò il suo cappotto e dopo un “Ti aspetto fuori.” Uscì.

Nick si voltò verso di me sorridendomi, riuscendo a mettermi a disagio.

Non avevo un gran rapporto con lui.

Non avevamo nemmeno intrapreso una seria conversazione o parlato mai di stupidate.

“Così, state insieme.” Esclamò, allargando il suo sorriso. Io annuii cominciando a dondolare sul posto, evitando accuratamente il suo sguardo. “sei fortunato ad avere il suo amore, lo sai questo?”

Mi voltai per fissare i suoi occhi, che avevano addosso una malinconia da straziare il cuore.

“Sì lo so.” Risposi solamente.

“Certo non è l’uomo migliore del mondo, ma ha i suoi pregi.” Continuò. “ma non sono quelli che mi hanno fatto innamorare di lui.” mi chiesi come faceva a sembrare così sereno, nonostante la delusione. “volevo farti sapere che per me sarà difficile vederlo solo come amico. Almeno per ora.”

“Non voglio che tu ti sforzi di fare una cosa che è impossibile da compiere. E non mi da assolutamente fastidio. ” Ribattei io, cercando di sorridergli. “solo ecco, non stargli troppo appiccicato come negli ultimi tempi ecco… lì probabilmente mi darebbe molto fastidio.”  Conclusi e lui rise annuendo.

“Lui è felice con te.” commentò, sedendosi vicino a me. “ e questo mi basta. Non ti avrei reso la vita facile se lui fosse stato solo una povera donzella innamorata, ma infelice.”

E non so perché, l’immagine di Ryan, vestito di abiti femminili vittoriani, si focalizzò nel mio cervello.

Dio, l’avrei preso in giro a vita.

 

 

 

Ryan pov

Aspettai Brendon e Nick per una mezz’oretta buona, fuori al freddo.

Non ero preoccupato di quello che il mio tastierista aveva da dirgli, ero solo dannatamente curioso, tanto che mi prudevano le mani.

Quando misero piede in strada, erano intenti in una conversazione fitta, fitta. Li osservai dal mio angolino, sotto al lampione con le braccia incrociate e il piede che batteva insistentemente sull’asfalto.

“Questione di pochi minuti?!” feci il verso a Nick, che si guadagnò la mia peggior occhiata perforante.

“Avevamo più cose da dirci del previsto!” rispose Brendon, scambiandosi un fottutissimo sguardo d’intesa con White.

Mi davano sui nervi.

“Avete finito di fare le comari?” sbottai accostandomi a Brendon per tirarlo più vicino, afferrandogli la manica della felpa.

“Donna Ryan si sta infuriando. Mi conviene scappare.” Esclamò Nick. “Ci si vede domani!” e salutandoci con un veloce gesto della mano si diresse verso la sua auto.

Rimasti soli, lanciai uno sguardo indagatore su Brendon che ancora salutava Nick, agitando il braccio. “Cosa vi siete detti di così importante?” domandai, calcando pesantemente sull’ultima parola.

“Nulla di che, un po’ di questo, un po’ di quello…” borbottò lui, senza levarsi quel sorrisetto furbo dal viso. “senti posso dire a Ariel che ritardo, così possiamo parlare con tutta calma a casa tua.” Si affrettò a cambiare argomento.

Ce la misi tutta per fargli estorcere mezza parola, ma la verità fu che non mi lasciò fare alcuna domanda e io mi dimenticai presto di farle.

Mi trascinò quasi correndo nella mia stanza, ignorando gli abbai insistenti di Hobo. Mi attirò a sé per un veloce bacio prima di avventarsi sul cappotto e sfilarlo velocemente, facendo lo stesso con il suo. Mi afferrò il viso, tornando a premere le sue labbra piene sulla mie e le baciò appassionatamente finchè non ci staccammo per la mancanza d’aria dei polmoni.

Poi il suo cellulare squillò e dovette darsi un minimo di contegno prima di rispondere, ancora lievemente affannato.

“Dimmi tesoro.” Disse, cosa che mi fece alzare gli occhi al soffitto dalla frustrazione.

Tesoro?

Sul serio o stava scherzando?

“Ehm sai i ragazzi volevano chiacchierare un’altro po’. Sì, tranquillo torno appena posso. No, non ti preoccupare non sarò stanco. Va bene, buona notte!”

Agganciò, spegnendolo successivamente.

“Qual era la scusa, questa volta?” chiesi, sedendomi al bordo del letto, togliendomi anche la giacca del completo.

“Vecchi compagni di scuola.” Mi rispose, levandosi la felpa.

Durante quei pochi secondi ero davvero deciso a mandarlo via, farlo tornare dal suo Ariel che sembrava tanto premuroso, quanto vomitevole.

Però la sola idea di vederlo assieme a lui, in un letto ad accarezzare e bramare il corpo di Brendon mi diede alla testa.

Avevo addosso un desiderio di possessione che non mi era mai appartenuto.

Mi alzai di scatto e lo attirai a me per i passanti dei Jeans stretti che portava, mentre lui sorrideva tutto contento di quella palese gelosia e possessione che proprio non riuscivo a nascondere.

Volevo stupidamente urlare e affermare al mondo intero che era mio, solo mio. Corpo e anima, solo e unicamente mio.

L’amore rende così sciocchi?

Ci spogliammo freneticamente, senza dar peso agli abiti buttati a caso per la stanza e solo quando fummo senza nulla addosso, Brendon mi spinse verso il letto, dove caddi disteso.

Sollevai un sopraciglio, curioso di vedere la sua prossima mossa.

Mi guardò per quelli che mi sembrarono minuti interi, totalmente ammaliato dal suo sguardo caldo e sfacciato.

Nei momenti che passavo con lui avevo la capacità di ridurmi a pensare come una dannata donna. E me ne vergognavo tantissimo.

Sollevai le ginocchia, aprendo lievemente le cosce, squadrandolo quasi con sfida.

Mi piaceva provocarlo, mi piaceva guardarlo mentre perdeva ogni controllo, mordendosi le labbra e lanciando scintille di pure passione da quei occhi color carbone.

Sì avvicinò velocemente, facendosi spazio su di me, per afferrarmi il collo e baciarmi fino a perdere il fiato. Alternava sorrisi a parole sconnesse, e provocanti baci a fior di labbra che non facevano altro che pretendere di più.

Mi strinse le braccia attorno al busto, attirandomi più vicino, finchè anche il minimo spazio tra noi fu coperto ed entrò dentro di me con una lentezza tale da farmi gemere di frustrazione e desiderio.

Anche Ariel diventava di burro fra le sue braccia?

Anche Ariel pregava per aver di più?

Con lui era così appassionato, così coinvolto come lo era con me?

Ero arrivato alla folle conclusione che se fosse stato possibile avrei addirittura ucciso per la gelosia che mi scorreva dentro le vene.

A volte era talmente forte da superare l’amore che provavo per Brendon e mi portava a pensare cose che mai mi sarei immaginato di pensare.

Brendon mi lanciò uno sguardo interrogativo, ansimando lievemente sul mio viso.

“Cosa c’è?”

Deglutii, prima di sorridere e negare con il capo. “Nulla.” Gli passai una mano fra le ciocche sudate, tirando leggermente per far si che continuasse con i suoi movimenti. Furono lenti, più lenti del solito e i suoi occhi che non facevano che parlarmi, che confessare l’amore che sentivo che provava per me.

Era difficile tenere fra due mura un sentimento tanto forte. E nonostante fossero cemento erano piene di crepe ed era diventato impossibile sorreggere e proteggere quello che provavamo io e Brendon, che smaniava, urlava di voler uscire allo scoperto.

Era normale, no?

Era lecito.

Perché nascondere una cosa tanto bella?

Per uno stupido ragazzino, per evitare di farlo piangere, farlo star male.

Non mi rimaneva altro che darmi dello stupido da solo. A volte dimenticavo che la colpa di tutta quella storia era solo mia.

Cercai di non pensare più per quella notte e godermi ancora una volta il suo calore e il suo abbraccio, gemendo e graffiando la pelle di Brendon, urlando per farmi sentire, baciando le sue labbra schiuse in un lamento di piacere.

Dovevo pazientare ancora un poco, per essere veramente felice.

 

 

 

 

*****

 

 

Grazie, davvero, per tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo e soprattutto chi ha commentato! Ovvero  B_Lady e  Annabellee, oramai siete di casa per questa fic *_*

Scusate se domenica scorsa non ho aggiornato ma ho avuto diversi impegni e problemi vari…! Okay ora vi lascio!

Al prossimo capitolo!

E per favore, lasciatemi un pensiero, anche solo per sapere se vi è piaciuta =) grazie =)

 

Grè <3

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Capitolo 8
*** "It's hard to say.. stop." ***


ryden8



Capitolo otto
 
 
 
 




Brendon Pov

 
 
Arrivare a spaccare il secondo fu una delle mie grandi imprese la mattina della partenza.
Dopo del favoloso sesso con Ryro mi ero, prevedibilmente, addormentato come un salame, con tanto di sinfonia.
Avevo messo piede in casa alle sette meno dieci, con passo felpato, quasi fossi un ladro.
Ed ero in casa mia!
La porta della camera da letto era aperta e in punta di piedi, con le scarpe in una mano e la giacca nell’altra controllai lo stato di Ariel.
Dormiva come un bimbo.
Anche se non esisteva un’esagerata differenza fra lui e un bambino.
Era inutile, non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere stato così cieco e sciocco.
Afferrai il suo cellulare per verificare a che ora aveva appuntato la sveglia.
Le sette.
Avevo a disposizione dieci minuti per lavarmi, simulare di essere stato tutta la notte al suo fianco e fare colazione.
Mi tolsi i vestiti, gettandoli a terra, diretto in bagno, nel modo più silenzioso che conoscevo.
Inciampai nelle valige ai piedi del letto che quasi mi fecero saltare la copertura.
Sollevai di scatto la testa per notare Ariel che si era lievemente mosso, affondando di più sotto le coperte.
Sospirai di sollievo e sparii velocemente in bagno.
Il suono della sveglia mi sorprese in cucina, mentre preparavo pancake.
Oh che pessimo modo per farti perdonare Urie.
M’imposi di sorridere, scacciando la stanchezza con un motivetto allegro che riconobbi come quello di “Take a Vacation”.
Ma che cazzo!
Restai in silenzio, era la cosa più giusta da fare.
Ariel arrivò una decina di minuti dopo, il passo strascicato e il viso assonnato.
“Non ti ho sentito rientrare sta notte…” borbottò, agganciando le sue braccai calde intorno alla mia vita e posandomi un bacio sul collo.
Mantenni il sorriso, voltandomi per ricambiare il bacio, sulla guancia.
“Era molto tardi…” mi giustificai. “hai finito di preparare la valigia?”
“Mi manca da infilare i compiti di matematica, ma volevo che me li controllassi.”
Annuii, mentre versavo il latte nelle tazze. “Valli a prendere, ci do un’occhiata ora, così riusciamo a essere all’aeroporto a un orario decente.”
Lui annuì e scappò in camera.
Mi veniva quasi una sincope a pensare che frequentasse ancora la terza liceo.
Qui se mi beccano, avrò come minimo vent’anni di galera…
Controllai i suoi compiti di matematica, poi dopo aver mollato i piatti nel lavello, finimmo a vestirci in camera, dove Ariel continuò a stuzzicarmi, fino a ottenere quello che voleva.
Lo feci sdraiare sul letto e senza nemmeno toglierci tutti i vestiti entrai in lui, strappandogli un ansito.
Non sapevo cosa c’era di Ariel che mi eccitava.
Riuscivo a riconoscere che, nonostante tutto non era solo un fatto fisico.
Amavo Ryan, tantissimo.
Ma c’era qualcosa di Ariel che mi teneva legato ancora a lui.
La mia era solo pena? Perché sapevo che era innamorato di me e non volevo soffrisse?
Non lo sapevo.
Era come se volessi aggrapparmi a qualcosa di diverso dalla compassione.
A modo mio, amavo anche Ariel.
Fu la seconda volta che spaccai il secondo quella mattina.
Eravamo in un ritardo mostruoso e dopo un check in frettoloso, corremmo come dei matti al gate, dove Pete, che aveva deciso di partire con noi da Los Angeles, ci aspettava a braccia conserte e un piede che batteva insistentemente sul pavimento.
Dietro di lui le Vene Giovani chiacchieravano fra loro, accompagnate dal loro Tour Manager. Dall stava a cavallo, sulla schiena di Ian pretendendo lo stesso entusiasmo che ci metteva lui per interpretare la parte del Cowboy. Zack si avvicinò a me per darmi uno scappellotto e afferrando il mio bagaglio a mano si diresse a passo spedito oltre il gate borbottando.
“E’ stata colpa mia cugino, l’ho distratto.” Ammise Ariel, tirandomi una leggera gomitata, con indosso uno dei più maliziosi ghigni mai visti.
Lanciai un’occhiata a Ryro, che indurì i lineamenti rilassati del viso, serrando le labbra.
Perfetto, si era incazzato.
Cosa ti aspettavi? Che ti sorridesse sapevo che vai a letto anche con lui?
Onestamente? Non sapevo cosa pensare.
Sentii Ariel agitarsi al mio fianco, prendendomi la mano, con un sorriso eccitato sulle labbra. “Non sono mai stato in Canada, non vedo l’ora di arrivare a Toronto!” esclamò, avvicinandosi per scoccarmi un bacio sulla guancia, fu palese l’occhiata di sfida che lanciò a Ryro e io rabbrividii per un attimo, completamente certo di essere nella merda.
L’aveva capito.
Sapeva che c’era qualcosa o per lo meno lo aveva in parte intuito.
Dopo quel gesto, Ryan si diresse velocemente verso l’hostess che accoglieva davanti al gate, le face un sorriso e senza voltarsi, con quell’aria offesa e spavalda salì sull’aereo.
Sbuffai cercando di mantenere un certo controllo, mentre Ariel non ne voleva sapere di lasciarmi la mano.
Salimmo sull’aereo per ultimi, accompagnati dal sorriso allegro dell’hostess.
I nostri posti erano vicini, Ariel non faceva che esultare per questo, e infondo così attraversammo il corridoio mano nella mano, attirando gli sguardi degli altri passeggeri.
La situazione mi stava stretta e rischiavo di scoppiare, inoltre il mio posto non era vicino al finestrino, ma giusto in mezzo.
Quella però non era la cosa peggiore.
Al posto numero trentatré, comodamente seduto, stava Ryan che guardava sovrappensiero fuori dal finestrino.
Cazzo.
 
 

Ryan pov
 
 
In tutta la mia vita ho avuto lo sfrenato desiderio di uccidere almeno tre persone.
Oprah Winfrey, topolino e Ariel Wilson.
Su quest’ultimo avrei un intero armamentario d'insulti e idee per farlo fuori.
In effetti potrei iniziare a scriverci un libro.
Stupido ragazzino arrogante e per giunta oca giuliva.
Erano arrivati come la coppia del secolo, in ritardo e con quell’espressione tipica da: sì è vero abbiamo fatto sesso sfrenato prima di venire qua.
La faccia di quel ragazzino era talmente piena di soddisfazione, che avrei voluto strapparglielo quel sorrisetto che aveva avuto il coraggio di rivolgermi.
Era una sfida aperta, perché per quanto fosse un sedicenne con il cervello ampio quanto una noce marcia, ero certo che aveva capito abbastanza da alzare le sue difese e marchiare costantemente il territorio attorno a Brendon, quando non sapeva che nemmeno un briciolo di quel corpo, che si ostinava a toccare e baciare, era suo.
Il peggio non era dovermi sorbire i suoi urletti da checca isterica e i suoi grandi fastidiosi occhioni verdi sfarfallare davanti a Brendon, ma avercelo vicino, per tutta la durata del viaggio.
Avrei tanto voluto aprire il finestrino e lanciarmi nel vuoto esibendomi in un volo dell’angelo impeccabile.
La cosa più ridicola era ritrovarsi seduto, praticamente spalmato sul sedile con accanto Brendon che a sua volta era seduto vicino a Wilson.
Un triangolo perfetto, ma troppo perfetto per essere solo una coincidenza.
Alzai distrattamente lo sguardo per incontrare quel nano malefico che portava il nome di Pete Wentz che ci guardava con divertimento negli occhi e un sorriso enorme a incorniciargli la faccia.
Mi fece un cenno di saluto con la mano e si sedette con un sospiro soddisfatto al suo posto.
Pete aveva sempre avuto un certo talento per vendette, come quella volta, quando durante i mtv music award, in diretta mondiale, si era messo una maglietta con su stampato il numero di cellulare di Gabe.
Appoggiai la testa al morbido sedile prima di lasciare uno sbuffo e chiudere gli occhi per un attimo.
Brendon continuava a guardarmi di nascosto mentre l’hostess di volo annunciava il decollo. Solo a quota ottenuta mi girai a guardarlo. Mi fissava apertamente con uno sguardo preoccupato e le sopracciglia corrugate in un’espressione sofferta.
Inutile.
Non potevo farcela. Cercare di essere arrabbiato con lui era come dire di no al gatto con gli stivali di Shrek e non si può dire no al gatto con gli stivali di Shrek.
Gli feci un sorriso, piccolo, piccolo e il suo volto cambiò immediatamente espressione. Vidi lentamente la rughetta formatasi in mezzo alla fronte rilassarsi e le sue labbra allargarsi in uno splendido sorriso, mentre i suoi occhi urlavano “Allora non ce l’ha con me!”
Quel meraviglioso gioco di sguardi fu interrotto da quello stupido australiano che gli afferrò il braccio e lo fece voltare, trascinandolo in una conversazione estenuante su DnD.
Ottima mossa bamboccio, attirare la sua attenzione con quel stupido gioco di ruolo.
Afferrai l’I phone e dopo aver aggiornato il mio stato su Twitter che recitava  “il Tour non è ancora iniziato… ma qualcuno potrebbe già rischiare l’osso del collo.”, presi ad ascoltare i miei amati Beatles che riuscirono a calmarmi finché la mano di Brendon non mi scosse il braccio un paio di volte prima che io aprissi gli occhi, quasi immerso nel dormiveglia per guardarlo male.
“Che c’è?!?”sbottai, sfilandomi con un moto di stizza le cuffiette dalle orecchie.
Brendon non rispose, mi baciò.
Posò dolcemente le sue labbra sulle mie, mentre la sua mano era corsa ad abbracciarmi il viso.
Era il paradiso.
Accarezzò con la lingua il mio labbro superiore, in attesa di essere accolta nella mia bocca.
Glielo concessi quasi subito, afferrandogli la felpa rossa, mentre le mani tremavano leggermente.
Poi si staccò all’improvviso quando Gabe gridò : “Alarma, alarma! El chico está de vuelta!”
“Avevo detto che bastava un fischio, o un colpo di tosse!” sbottò Brend, ricomponendosi e guardando Saporta in ginocchio sul suo sedile con un sorriso storto.
“è la stessa cosa su…!” borbottò risedendosi, richiamato all’ordine da quello che avevo scoperto da poco fosse suo marito.
C’ero seriamente rimasto male, né Gabe né Will mi avevano detto nulla. Anche se sapevo che nemmeno Brendon aveva partecipato alla cerimonia a Las Vegas.
Comunque sia, ancora intontito dal bacio meraviglioso appena ricevuto vidi l’australiano spuntare al fianco di Brendon con un sorrisone.
Probabilmente prima era sparito in bagno e Brend ne aveva approfittato assalendomi.
Se me lo diceva potevo mettere un intero flacone di lassativo nel suo bicchiere di coca cola e saremmo rimasti tranquilli per ore.
La calma tornò piatta almeno finchè Brendon non tornò a molestarmi, accarezzandomi la coscia. Lanciai uno sguardo ad Ariel che dormiva della grossa, con la musica sparata dalle sue cuffiette.
“E se si sveglia?” mormorai, mentre lo sentivo allungarsi per baciarmi languidamente il collo, facendo scorrere la mano avanti e indietro sulla mia coscia.
“Non preoccuparti…” mormorò direttamente al mio orecchio, facendo rizzare i peli dall’eccitazione.
Oh Dio benedetto.
“Aspetta… dobbiamo parlare!” borbottai. Lui si staccò velocemente, passandosi una mano fra i capelli e intrecciando l’altra, che fino a quel momento era sulla mia coscia, con la mia.
Il mio cuore sussultò, come spaesato da quell’emozione tanto grande e tanto bella che era l’amore di Brendon.
Lo sentivo, mi scorreva nelle vene come sangue, era diventato l’essenza della mia anima e non potevo desiderare altro.
“Parliamo allora.” Strusciò il dorso della mia mano, stretta alla sua, sulla sua guancia, lievemente irsuta.
“Quando glielo dirai?”
“Presto, Ryro.”
“Presto quando?”
“Presto.”
Calò un attimo il silenzio dove i suoi occhi continuavano a parlarmi d’amore.
“Potremmo fargli conoscere qualcun altro.” Proposi, scuotendo le spalle.
Brendon però s’incupì.
Non voleva perché era geloso.
Capire che, in qualche modo, amava anche lui non aveva fatto così male come credevo.
Forse solo perché ne ero consapevole.
 

 
Brendon pov

 
 
“Potremmo fargli conosce qualcun altro.” Mi disse Ryan.
Non sapevo se era una buona idea e non sapevo nemmeno cos’era quella specie di nodo allo stomaco che mi si era formato dopo le sue parole.
Sospirai in modo tragico e il mio sguardo volò per qualche secondo su gli altri passeggieri. C’era una signora anziana che praticamente dormiva sulla spalla di Spence che non se ne preoccupava perché era impegnato in una lotta all’ultimo sguardo di fuoco con Jon.
“Che ne dici di Nick?” buttai lì, tornando a guardare Ryro.
“Murray?” chiese.
“No, White!” tentennò un attimo, come se stesse cercando una scusa.
“Ma.. è vecchio! Più di te!”
“L’amore non ha età!”
“Questo lo dici tu!”
Non risposi, non avevo certamente voglia di imbarcarmi in una stupida litigata quando il nostro rapporto non si era del tutto consolidato.
Dovevamo ammettere che entrambi avevamo un problema di gelosia.
Io per Ariel provavo gelosia in quanto ero seriamente affezionato a lui e non solo per un fatto fisico. E Ryan doveva ammettere che nonostante fosse tutto finito con Nick ancora provava un pizzico di gelosia nel sentirlo associato a qualcuno che non fosse lui.
Era normale, era lecito ed io glielo leggevo negli occhi che era così.
Dopo quelle parole non parlammo più, fino alla fine del viaggio e mi limitai a stringergli la mano finchè Ariel non si svegliò  e pretese giocosamente attenzioni.
Toronto fu una delle tappe più belle visitate. Era meraviglioso quel paesaggio di fine dicembre che si presentava davanti ai nostri occhi stanchi dal viaggio.
Bill e Gabe, come da novelli sposi, lasciarono l’incarico delle loro valigie al povero Carden e insieme s’incamminarono in una, vomitevole, romantica passeggiata, mano nella mano.
Pete borbottò un “Oooh che carini” mentre si agitava tutto e gli occhi avevano preso una  stupida forma a cuoricino.
Ryan si era distaccato dal gruppo con la sua band, e stavano parlando fitto fitto con il loro manager.
Ariel invece, al mio fianco, aveva preso a fare foto a destra e manca. Seriamente era peggio di un giapponese in vacanza.
L’albergo scelto da Pete era quello che più si avvicinava allo sfarzo più sfrenato, ma oramai eravamo abituati a quel genere di trattamento anche se non ci faceva certo schifo un normalissimo hotel senza mille referenze o stelle.
Ariel si catapultò nella nostra enorme stanza come se fosse un uragano, buttandosi sul letto, facendo cadere a terra un paio di soffici cuscini color cobalto.
“Il materasso è ad acqua Brend! Vieni a provarlo!”  esultò, facendo qualche salto sul giaciglio.  Mi buttai su di lui appena riuscii a togliermi il giaccone di dosso.
Cominciammo a scherzare come due bambini, fino a lasciarci andare con il fiato corto sulle coperte sfatte.
“Cosa si fa ora?” mi chiese, guardandomi con un sorriso luminoso, stampato sulle labbra.
“Non so... aspettiamo che Pete ci chiami per il Soundcheck.” Risposi, scrollando le spalle, mentre con un sussulto strinsi la tasca dove il cellulare stata vibrando da un po’.
“Intendevo noi due.” Sbuffo El, alzando gli occhi al soffitto e il suo entusiasmo sfumarsi in un secondo.
Non so di che cosa era convinto, forse di farsi una vacanza romantica, ma quel viaggio era tutto fuorché di piacere. Era il mio lavoro cavolo, non potevo star dietro alle sue voglie.
“Ti prometto che domani ti porterò a fare un giro per Toronto.” Dissi, lasciandogli una breve carezza sui capelli biondi dove un’assurda ciocca verde capitanava sulle altre.
Mi sorrise grato.
“Dovresti rispondere.” Disse, riferendosi al cellulare che non aveva smesso di vibrare. “sembra importante.”
Annuii distrattamente mentre lui si alzava dal letto per rifugiarsi in bagno.
Ryro.
“Tra cinque minuti nella Hall.” Borbottò scazzato.
 Non mi fece dire nulla perché riagganciò.
Rimasi a fissare l’apparecchio prima di alzarmi di scatto e sistemarmi i capelli e i vestiti disordinati davanti allo specchio.
Il cuore batteva come impazzito, al solo pensiero di rivederlo.
Dio, faceva un sacco teenager quindicenne, ma che potevo farci?
Urlai ad Ariel qualche scusa prima di sparire senza cercare una sua risposta.
Aspettare l’arrivo dell’ascensore fu infinito così mi precipitai giù dalle scale.
Lui era già lì, con indosso uno dei suoi orridi completi, lo amo certo, ma questo non m’impedisce di dire che il suo modo di vestire lasciava un sacco a desiderare.
Si passava una mano fra i ricci chiari, sfogliando una rivista abbandonata sul tavolino davanti al divanetto dove sta comodamente seduto.
“Perché hai il fiatone?” mi chiese appena gli fui davanti, alzando lievemente lo sguardo dalla rivista, Vogue.
Oddio che cosa assolutamente omosessuale.
Repressi una risatina. “Ho corso.”
“Esistono gli ascensori Brend.” Mi fece notare ed io gli rivolsi uno sguardo ovvio.
“Lo so, ma volevo fare presto.”
Lui non commentò più e mi rivolse un sorrisetto.  “perché mi hai chiamato?” domandai.
“Nulla in particolare, volevo parlarti di una cosa e stare un po’ con te.”
Gli sorrisi raggiante, con il cuore in gola.
Non era possibile che dopo tutti quegli anni riusciva ancora a farmi quell’effetto straordinario di totale gioia e stordimento.
Mi sedetti al suo fianco, facendo in modo che i nostri ginocchi si toccassero. Non sopportavo che fosse troppo lontano.
“Ho pensato a Nick e Wilson e…” prese un sospiro. “siamo entrambi gelosi di loro, non possiamo negarlo.” Disse tutto d’un fiato.
Arrossì un poco, forse credendo che le sue parole mi avessero ferito.
Era bello essere così sinceri l’uno con l’altro, senza prendersi in giro. “Ne sono consapevole, ma che facciamo? Io non voglio più stare con Ariel per vederlo soffrire e in qualche modo dovrò pur lasciarlo andare, con o senza gelosia.”
Ryro non fiatò ma annuì, appoggiando la rivista sulle ginocchia e incrociando le braccia al petto.
“Diglielo questa sera.” Disse convinto.
Mi mordicchiai un labbro.
Quanto era facile parlare, quando agire era la cosa più complicata del mondo.
“Sì, glielo dirò.” Mi abbandonai a un sospiro, facendo cadere la testa sulla sua spalla.
Lui si allungò un attimo per regalarmi un bacio sulla fronte. “Andiamo in camera mia ora?”
Non rifiutai ed entrambi sparimmo per ore nella sua stanza dal albergo, dove Nick era stato sgarbatamente sfrattato.
Speravo, in quelle settimane, di riuscire a cantare insieme a lui. Era un desiderio che mi vorticava in testa da quando Pete aveva programmato il tour.
Avremmo potuto cantare qualsiasi cosa, anche la sigla dei Muppet o quella dei Teletubbies se ne avevano una, non m’importava.
Era così importante per me riaverlo anche in quel senso.
Giusto per sentirmi completo per davvero.
Rimanemmo insieme in quella stanza per ore, il cellulare che vibrava insistentemente nella tasca dei miei jeans buttati a casaccio sul pavimento e i gemiti di Ryan che mi riempivano il cuore di serenità.
 

 
Ryan pov
 

Il primo concerto a Toronto fu spettacolare, così come quello della sera dopo.
29 dicembre 2010.
C’era un’atmosfera unica eppure così familiare.
Nick e gli altri, non abituati a tale affollamento ancora facevano fatica a lasciarsi andare, mentre io... beh ero stato meravigliosamente investito da una serenità che avevo creduto persa.
Mi sembrava strano però ritornare a rifugiarmi con Bill e la sua band nei parcheggi a bere vodka e a riprendere con una videocamera le stupidate, era anche strano ritrovare l’abbraccio di Gabe, così amico, ma soprattutto era strano essere di nuovo noi quattro.
C’eravamo ritrovati in una stanza e avevamo parlato a lungo, non di cose serie, di cose triste o di dissapori ancora accessi (Spence e Jon tutt’ora non vogliono dirci il motivo dei loro litigi).
C’era però quella linea sottile che continua a dividerci e a essere ancora imbarazzati l’uno con l’altro. Brendon era più fiducioso di quanto potessi sperare, non faceva che sparlare sull’amicizia e di quanto per noi fosse indissolubile e bla bla bla…
Comunque, lo spazio sotto il palco era pieno zeppo di gente urlante e di ragazzine svenenti. No ci esibivamo per prima, e poi, in successione, i Cobra, TAI e i Panic! che avevano riacquistato quel punto esclamativo che con prepotenza avevo imposto di togliere. Era giusto così, non potevo in alcun modo lamentarmi.
E non volevo farlo.
I fan ci accolsero con calore e cantarono le canzoni in scaletta con tale passione e gioia che seriamente avevo pensato di collassare io stesso dalla felicità.
Finita di Other Girl, e un bis, lasciammo posto a Gabe e agli altri, mentre noi ci rifugiavamo in un piccolo spazio dietro le quinte per osservare le altre esibizioni.
Inutile dire quanto fossi in attesa di sentire la sua voce.
A volte mi mancava così tanto durante i concerti con le Vene Giovani, che se chiudevo gli occhi potevo sentire la sua voce calda e la sua mano sulla spalla, m quando li aprivo, era il sorriso di Jon che incontravo.
Mi passò accanto, facendo bene attenzione a sfiorarmi il braccio fermo lungo il fianco. Lo guardai e mi sorrise, complice, poi corse verso il palco, accolto da una lunga ovazione di applausi e urla.
“Sai qual è la differenza fra te e me, Ross?” sussultai lievemente, quando Wilson mi fu affianco. Abbassai o sguardo per osservarlo nel suo metro e settanta d’altezza, cercando di mantenere un minimo di controllo, mentre la sua aria spavalda mi faceva solo venire voglia di riempirlo di pugni su quel bel faccino.
“Sentiamo, quale sarebbe?” incrociai le braccia, cercando di essere più sicuro di quanto in realtà fossi.
Non molto a dire il vero.
“Che io, a differenza tua, so per certo che non prova nulla di più  che amicizia nei tuoi confronti. Dovresti metterti il cuore in pace.”
Sbuffai una risata. “Come fai a esserne così sicuro, ragazzino?”
“Ho le mie ragioni per esserlo.” Ribattè, gonfiando le guance.
“Voglio darti un consiglio…” iniziai facendomi più vicino e circondandogli le spalle con un braccio. “il fatto che venga a letto con te, non vuol dire che tu sia l’unico.”  Gli sussurrai, gongolando nella sua reazione esitante.
“Stai dicendo stronzate.” Sbottò scrollandosi il mio braccio dalle spalle come se fosse quello terribile della morte.
“Oh, tu non conosci per niente Brendon. Non sai di cosa è capace.” Gli sorrisi, quasi dolcemente.
Quanta pena per un povero ragazzino.  “puoi non credermi ovviamente, anche quanto ti dico che, per lui sei stato un passatempo, qualcosa da fare nell’attesa.”
“Attesa? Quale attesa?”
“Credo che tu abbia capito chi in realtà stava aspettando Brendon.” Sbottai, stanco di quella conversazione.
La sua tecnica di provocazione non era per niente efficace e ne stava uscendo perdente, invece che vincitore.
Se c’è una cosa che ho imparato da mio padre, era che, rispondere alle provocazioni con la violenza non faceva mai male quanto le parole.
I segni delle botte dopo un po’ spariscono, ma le parole, rimangono impresse a fuoco sulla pelle e non spariscono mai.
Per questo papà era quello che ne usciva più scottato dei due.
Sempre.
Ariel dopo quelle parole, che non ricevettero commento, sparì.
Sapevo di aver dato un bel scossone alla faccenda e che presto Brendon sarebbe stato solo mio.
Tornai a guardare Brendon, che cantava con intensa passione “Time to Dance”, ne rimasi affascinato che quasi non riuscii a sbattere le palpebre e gli occhi cominciarono a lacrimare.
Quanta invidia provavo per Dal, che otteneva le attenzioni di Brend.
Le volevo io, tutte per me, ancora una volta.
Erano mie di diritto, anche sul palco.
Nick prese il posto di Ariel e appoggiò il gomito sulla mia spalla, sorridendomi allegramente.
“Sono bravi.” Disse, ammiccando a Spencer. “sai se è sulla nostra carreggiata?” chiese.
Io ebbi un brivido.
“Non lo so e non lo voglio sapere, ma credo sia ancora fidanzato.”
Il suo volto s’illuminò per un attimo. “con una donna.” Aggiunsi.
“Sarà per quei capelli, o quei gilet così gai che continua a indossare, ma so che non ce la racconta giusta.”
Alzai gli occhi al soffitto, reprimendo uno sbuffo.
“Che ne dici del biondino invece?” proposi, ammiccando verso Ariel che se ne stava in un angolo con l’aria imbronciata e in mano una Red Bull.
“il ragazzo del tuo amante?” esclamò, girandosi a fissarlo.
“Potresti non urlarlo, per favore?” sbottai, pestandogli il piede, quando un tecnico del suono si giro ad osservarci.
“ Non è male, ma non voglio esser un pedofilo. Quel ruolo aspetta a Urie!” disse, sorridendomi candidamente.  “Anche se, devo ammettere che il ragazzino è veramente sexy.”
“Pensavo foste amici ormai.” Commentai, tornando a posare lo sguardo di Brend che aveva preso ad ancheggiare sensualmente.
“Non esagerare. Non lo detesto, come fa Jon con il batterista carino, ma sopporto la sua presenza.” Spiegò, sorridendo storto. “sta tranquillo Ry, non ti lascerà.”
“Questo dovrebbe tranquillizzarmi?” sbottai, in preda a una crisi. “è più giovane, è più bello e più spavaldo di me e Brendon è pur sempre un uomo.”
“Quando la smetterai di fare discorsi complessati da donna?” strillò. “senti, ti ama, te l’ha detto, lo vuole lasciare, cosa pretendi di più?”
Sbuffai e non risposi, anche perché i Panic avevano appena finito di esibirsi.
Il primo ad abbandonare il palco fu Spence e Nick ebbe la premura di lanciargli un’occhiata che non aveva nulla di casto.
Spencer scappò.
Io risi, alla faccia contrariata di Nick e mi avvicinai a Brend che si passava con energia un asciugamano sui capelli bagnati di sudore.
Si tolse il papillon e lo infilò nella tasca della sua giacca prima di avvicinarsi. “Come siamo andati?” disse, allungando la mano per lasciarmi una carezza sul collo.
“Alla grande!” commentai, con il cuore in subbuglio e gli occhi scintillanti.
“Brendon! Dobbiamo parlare.” Il volto sulle labbra di Brend sparì, e si girò a guardare Ariel, veramente incazzato.
“Certo, ma dopo il bis, okay?” borbottò, prima di tornare sul palco.
Stava fuggendo.








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scusate il tremendo ritardo ma gli impegni  e la stanchezza sono sempre in agguato!!!
ringrazio chi ha letto e chi ha recensito, soprattutto!

e chi ha saputo aspettare senza staccarmi l'osso del collo xD moglie, è soprattutto per te u.u <3 <3 <3 <3 <3
okay, grazie a tutti e ricordate che un pensiero è sempre gradito

Grè

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