Nero

di kannuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scene 0 : Preludio ***
Capitolo 2: *** Scene 1 : Profiles ***
Capitolo 3: *** Scene 2 : molto carina... ***
Capitolo 4: *** Scene 3 : Il 3% di niente ***
Capitolo 5: *** Scene 4: LM sgomberi specializzati ***
Capitolo 6: *** Scene 5: L' Uomo dei Sogni ***
Capitolo 7: *** Scene 6 : Delirio Tarantiniano ***
Capitolo 8: *** Scene 7 : occhi azzurri ***
Capitolo 9: *** Scene 8 : Si dice che... ***
Capitolo 10: *** Scene 9: Topi sotto anfetamine ***
Capitolo 11: *** Scene 10: Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. ***
Capitolo 12: *** Scene 11: la Bottega dei Sogni Usati ***
Capitolo 13: *** Scene 12: Blu... di seta ***
Capitolo 14: *** Scene 13: Fra virgolette... ***
Capitolo 15: *** Scene 14 : Sfrigolio di falene. In alto. A sinistra. ***
Capitolo 16: *** Scene 15 : L'odore delle donne... ***
Capitolo 17: *** Scene 16 : Insano ***
Capitolo 18: *** Scene 17 : Mi devi qualcosa... ***
Capitolo 19: *** Scene 18 : Jack Tempesta ***
Capitolo 20: *** Scene 19 : Il Giorno in cui Dio Morì... ***
Capitolo 21: *** Scene 20 : Loro.... ***
Capitolo 22: *** Scene 21 : Domino Kent. ***
Capitolo 23: *** Scene 22 : Un giro di vite sul fulcro dell'anima ***
Capitolo 24: *** Scene 23 : Divinità Malate ***
Capitolo 25: *** Scene 24 : Tempesta arriva con la pioggia ***



Capitolo 1
*** Scene 0 : Preludio ***


Prologo

Scene 0 : Preludio

 

 

"Le tracce si fermano qui."

 

Bronx osservò le tracce delle gomme del maggiolino e tirò un accidenti silenzioso alla pioggia torrenziale che stava cancellato le parti finali delle frenate.

Riparato sotto un malconcio ombrello nero che gli era stato passato da un agente piuttosto sollecito, stette a guardare impotente le scie che svanivano e i ragazzi della scientifica che cercavano in tutti i modi di salvare il salvabile.

Ma cosa volete salvare, non vedete che è tutto inutile?!

Il fango gli sporcava le suole di para e poteva sentire i calzini inzuppati dall’acqua che non accennava a smettere di cadere ma aumentava ad ogni istante.

Fra poco avrebbero dovuto lasciare la zona per non rischiare di restare impantanati con la macchina in qualche pozzanghera alta mezzo metro o poco meno.

Bronx non scherzava poi tanto: quel tratto di zona era soggetto a vere e proprie alluvioni, nei mesi primaverili.

Roba da farti marcire anche l’anima, per l’umidità che vi stagnava perennemente!

 

Se avesse saputo che l’aspettava un probabile pernottamento all’addiaccio, un bagno fuori programma e una dieta forzata, Bronx ci avrebbe pensato due volte prima di lasciare il letto, quella mattina.

Se non si fosse trattato di muoversi per salvare la vita della donna, non si sarebbe spostato di un millimetro e avrebbe continuato a sognare la bella Mira e la loro passione che non riusciva proprio ad esplodere, sebbene provassero entrambi sentimenti molto forti.

 

Il taxi verde sembrava essersi dileguato nel nulla: neanche si fosse aperto un buco nero in mezzo alla strada e l'avesse risucchiato in un universo parallelo!

Ficcò una mano gocciolante in tasca e tirò fuori l’identikit plastificato del tassista.

Lo conoscevano bene: sapevano chi era e cosa poteva fare se fosse stato costretto dalle circostanze.

Psicolabile!

Era uscito da poco ma non si era fatto sfuggire l’occasione di riprendere i vecchi traffici con il “Nero.”

Sarebbe rimasto abbastanza lucido da lasciarla in vita o l'avrebbero ritrovata cadavere in qualche burrone?

Harvey cancellò il pensiero velocemente: sarebbe arrivato prima di lui, che diavolo, lo pagavano apposta per braccare quei bastardi senza Dio fino alla nausea, sarebbe stato più veloce, sarebbe stato...

Cristo santo...

Un sudore gelido e fastidioso gli aggredì la colonna vertebrale e lo fece tremare per un attimo.

Mira...

Ripose il foglio in tasca, dopo averlo piegato in quattro e guardò la vallata aggredita dalla pioggia.

Non sta succedendo davvero, non a lei! Mira non può essere con lui!!

 

***

 

"Sai gemere come quel sassofono? Sai parlare come la tromba e battere come il tamburo?"

 

"No..."

 

"E allora cosa ci fai così lontano da casa, bambina?"

 

"Sto cercando...."

 

"Cosa stai cercando?"

 

"Non lo so. Non lo so più...."

 

***

 

Con chi sta parlando?

Non lo so. Va avanti così da un pò.

Lasciatela stare, allora.

 

***

 

Non è qui che troverai ciò che cerchi”

 

Ma deve esserci…deve! Se non qui, dove? Aiutami, ti prego!”

 

“Io sono l’Uomo dei Sogni, bambina. Devi stare attenta a ciò che chiedi… potresti essere esaudita”

 

***

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Capitolo 2
*** Scene 1 : Profiles ***


Mira Kalliopi Scandros

Mira Kalliopi Scandros

 

Sesso: femmina caucasica

Età: 27 anni

Altezza: 1,69 cm

Capelli: neri

Occhi: azzurri

Professione: Tecnico del Dipartimento di Polizia di New Orleans, specialista fotografa

 

 

Posa le mani sul lavandino, spingendo il busto e il viso contro lo specchio appannato dall’acqua calda della doccia.

Immagine sfuocata.

Struscia il braccio coperto dall’accappatoio rosa contro la superficie, più volte, finchè non è soddisfatta. L’acqua riga il vetro e miriadi di goccioline crivellano la sua immagine spaurita, assonnata, invecchiata.

La lampada alogena illumina il viso ancora profumato di tonico.

Una ruga. Ho 27 anni e una ruga, pensa tormentandosi la fronte, cercando di spianare il solco appena accennato con un dito.

Si rimira ancora un po’, sospira e afferra lo spazzolino da denti con un gesto brusco che fa finire il portaspazzolino in terra.

Uno schianto secco e deciso.

È il terzo in una settimana.

Raccoglie i frammenti stando attenta a non tagliarsi, gettandoli in una piccola pattumiera colorata situata sotto il lavandino.

Dovrei comprarne uno di plastica, pondera sciogliendosi i capelli scuri e muovendoli con le mani, il dentifricio che le colora il sorriso spento di un azzurro pallido.

Mastica le setole lentamente, un giochino stupido che faceva sempre da piccola e che le da un sottile solletico misto a piacere sulle gengive, mentre si acconcia i capelli con le dita.

Non si stupisce neanche un po’ quando dei lunghi fili neri vengono via con facilità.

Succede ogni mattina. Fa una smorfia e li getta nel water con poco rammarico. Stress, sono stressata, pensa continuando a lavarsi i denti, risciacquandosi la bocca con l’acqua gelida. Ma perché in questa città l’acqua è così fredda?!Ho 27 anni e perdo i capelli, ho una ruga e per di più questa stramaledetta acqua è gelida e lo scaldabagno non funziona!

Mira afferra la spazzola e si pettina guardando la sua immagine con occhi vuoti e inespressivi.

Stasera lo vedrà.

Sono trascorsi sette giorni dall’ultima volta che l’ha incontrato.

Un lampo le passa nelle pupille, il braccio si ferma e un sorriso timido le alza i lati della bocca di qualche millimetro.

Riprende a spazzolarsi i capelli con più forza…una settimana. Troppo tempo.

 

Sono le dieci di un mercoledì sera e il suo lavoro sta per cominciare.

 

Non è un lavoro piacevole.

 

****

Marvin

 

Sesso: maschio caucasico (?)

Età: ?

Altezza: ?

Capelli: ?

Occhi: ?

Professione: ?

 

Tric - Tric.

Batte la testa contro il muro, una, due, tre volte, finchè l’ultimo piccolo urto non gli fa dolere il cranio. Smette e resta aggrappato a guardare il nulla che si staglia dietro le palpebre semiaperte.

Tric - Tric.

Un filo di luce entra dalla finestra in alto, sbarrata da quattro semplici cilindri d’acciaio. La luce disegna sagome sul muro e gli scolpisce le guance incavate e i corti capelli castani.

TricTric.

Struscia un dito sulla barba e fa una smorfia muovendo gli occhi verso la luce che trapela esitante.

È quasi l’alba, tra poco lo tireranno giù dal letto ad urla e schiamazzi.

Stende una gamba muovendosi piano, intorpidito dalla lunga posizione. Non è mai stato un tipo da branda di sopra ma il suo compagno ha avuto un “piccolo incidente” nella lavanderia, durante un turno di lavoro.

Cose che capitano, pensa dando un’altra testata leggera al muro.

Perché sta facendo quel giochetto stupido, ancora se lo chiede.

Per passare il tempo, rimugina grattandosi di nuovo un angolo diverso del mento, scendendo sulla gola, annoiato.

Due anni la dentro.

Due anni che stanno per scadere.

Oggi, per la precisione.

No, decisamente non è mi è andata molto bene, nella vita.

Questa è la semplice conclusione a cui è arrivato Marvin dopo mesi e mesi di continui rimuginamenti.

Ha avuto tempo per pensare ed è giunto a delle semplici conclusioni.

Appena fuori di li farà tre cose: una doccia, un pasto decente e si cercherà una donna per trascorrere qualche ora di puro sesso.

Non è una scelta casuale. Marv è un tipo metodico.

 

Alza una palpebra sola verso lo spicchio di sole che illumina il muro e gira la testa verso di esso.

Ha perso la licenza, dovrà fare un salto da quel negro di merda per farne una falsa. Gli chiederà un sacco di soldi….

Massaggia il gomito che ha battuto contro il muro e resta sorpreso della consistenza dell’osso sotto le dita.

Non si era accorto di essere dimagrito così tanto.

Guarda i pantaloni che giacciono in fondo al letto: all’inizio gli stavano stretti, ora ci balla dentro ed è stato costretto a fare un altro buco alla cintura per sorreggerli.

Tutte le sere lo specchio gli rimanda sempre un’immagine poco piacevole. Non avrebbe trovato neanche uncliente’ se non si fosse rimesso un pò in sesto.

Prendere un paio di chili. Forse tre. Guardaroba nuovo, più alla moda. Una nuova identità...magari mi lascerò crescere i capelli.

 

Un clangore metallico. Urla in fondo al corridoio.

Sono arrivati.

Marvin butta giù i piedi dal letto a castello e s’infila la tenuta da carcerato prima che glielo urlino in faccia.

È atterrato sui talloni pesantemente e ora gli fanno male i piedi e le caviglie. Non può neanche chinarsi a massaggiarseli perchè sono già arrivati di fronte a lui.

 

“Datti una mossa, sballato! Da oggi sei fuori!”

“Sissignore” risponde in tono basso, automaticamente, senza aver quasi compreso che è appena stato rimesso in libertà.

 

Recupera i suoi oggetti personali, s’infila i vecchi vestiti che, come previsto, sono due taglie più grandi di lui e segue la guardia in silenzio.

 

Quando è fuori, il pesante portone che si è chiuso alle sue spalle come una condanna a morte appena scampata, sbatte gli occhi alla luce mattutina che brilla sulla sua testa.

Infila le mani nelle tasche e constata con enorme sorpresa che i quattro spiccioli che aveva ci sono ancora.

Accende una sigaretta rotta e sfilacciata con un accendino quasi scarico e respira l’odore del tabacco e della terra che si solleva sotto i suoi piedi quando cammina.

Morde con forza l’interno della bocca e le lacrime gli escono d’un tratto inondandogli le guance scavate.

Non fa neanche il gesto di toglierle, le lascia scendere senza vergogna.

Poi un brillio in fondo agli occhi, una risata gutturale che esplode stridula e gli fa cadere la sigaretta dalle labbra.

 

Coglioni…che gran coglioni! Pensa camminando spedito verso la stazione degli autobus più vicina.

Che vuoi che siano due miglia a piedi? Le fa in un attimo! 

L’aria è tersa e il buonumore di Marv s’impenna: l’avevano lasciato uscire, infine, lo Stato si era stancato di mantenerlo?!

 

Peggio per voi…peggio per voi!

 

****

 

Harvey Philiph Bronx

 

Sesso: maschio caucasico

Età: 38 anni

Altezza: 1,83 cm

Capelli: brizzolati

Occhi: scuri

Professione: ispettore capo del Dipartimento di Polizia di New Orleans, appena promosso.

 

Non è tutta sta bellezza. Proprio no.

Ad Harvey non piace la calca e la confusione e in quel momento ce n’è molta.

Soprattutto quando ha sonno, preferisce non essere disturbato.

 

“Guardi qua, capo! È una bellezza di cadavere: è pieno d’impronte e tessuti. Sarà uno scherzetto per voi beccarlo!” 

 

Vorrebbe tanto entusiasmarsi anche lui come il tecnico della scientifica, ma la verità è che non gliene frega niente. Si limita ad annuire e a spostarsi un po’ di più dalla sagoma segnata in terra.

Non sia mai gli calpesti le prove! Si farebbe venire un infarto!

Non è cambiata poi molto la situazione, dopo la promozione sofferta. Sempre in strada, sempre con lo stomaco annodato, domandandosi chi sarà la prossima vittima.

 

“E’ già arrivata la fotografa?! Ma quanto accidente ci mette?!”

 

Chi sarà la prossima vittima?

Bronx se lo chiede guardandoli a turno.

L’agente Stacey con la sua fissazione per il golf che ama svisceratamente, il tecnico ID appena assunto, il paramedico che attende per infilare il morto nel sacco, la fotogr

 

Harvey s’interrompe posando gli occhi sulla figura snella appena uscita dall’ombra, carica di rullini e macchine fotografiche.

Reflex e Canon digitali.

La donna oltrepassa veloce il nastro giallo e comincia subito a scattare foto su foto, inquadrando il cadavere da tutte le possibili angolature.

Bronx la vede alzare la testa scura, i capelli raccolti per non inquinare ulteriormente le prove già abbondantemente cancellate dai primi soccorsi. Gira sui talloni e si fissa su di lui.

 

Una vampata di calore gli inaridisce la bocca. E’ un attimo e un flash puntato nella sua direzione lo abbaglia. Fa un passetto indietro mentre la donna torna al suo lavoro.

 

E’ un modo carino per dirgli di stare fuori dai piedi mentre si guadagna il sudato pane?

 

Mira Kalliopi Scandroscon un nome così era sicuramente greca. Troppo scura di carnagione, pensa fissandola nuovamente…color del caramello...

Harvey gira sui tacchi e si ritrova a fissare una piccola folla incuriosita…che razza di gusti.

Cammina fino alla macchina e apre lo sportello, quando ci ripensa. Solleva la testa, chiude a chiave l’auto e torna dietro la linea gialla.

 

E che diavolo, poteva sempre chiederglielo!

 

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Capitolo 3
*** Scene 2 : molto carina... ***


“Brutto omicidio”

“Brutto omicidio”

“Già”

 

Mira scatta le foto con destrezza e precisione, rispondendo a monosillabi ai commenti dei colleghi poliziotti. Scatta senza seguire uno schema particolare ma solo il suo istinto. Qualcosa le dice che quella panoramica renderà al meglio lo squarcio dietro il collo del morto.

Che umorismo mortale, ridacchia dentro di se pensando al cibo che sta andando a male nel frigorifero e che deve buttare al più presto.

Almeno prima che prenda vita e mi strangoli nel sonno!

Devono girare il morto e non tocca a lei farlo. Raramente tocca un cadavere. Le basta osservarlo dietro il freddo occhio della digitale.

Lo dice ad un agente che fa un cenno ai paramedici: lo gettando sulla schiena con poca grazia.

Sicuramente non se ne lamenterà, pensa riprendendo il suo lavoro, improvvisamente distratta da uno sguardo insistente.

Si volta di scatto e pigia il tasto della Reflex, abbagliandolo.

L’ispettore Bronx sbatte gli occhi, portandosi una mano alle palpebre e per qualche istante Mira è libera di osservarlo senza impedimenti.

Fascinoso, disarmante… e deve essere tenero da morire, decide tornando subito al lavoro. Non vuole altre distrazioni. Basta quella presenza invadente a monopolizzare la sua attenzione. Gli lancia un’altra occhiata e lo vede camminare lentamente verso la macchina.

Ecco…appunto.

Sospira e riprende il lavoro, togliendo dal marsupio i rullini consumati e sostituendone con altri nuovi. Sette giorni d’attesa per cinque secondi di niente…però adesso aveva una sua foto.

Peccato se ne stia andando…

 

“Quanto dovremo aspettare per averle?”

Mira trattiene a stento un sorriso. È tornato indietro. “Saranno pronte fra due giorni” risponde seria: non le sembra il tipo che da molta confidenza e sicuramente non è l’anima della festa. Il suo animo scherzoso e burlone può riposare, per quella sera: preferisce apparire professionale e responsabile agli occhi dell’ispettore.

 

Il suo annuncio laconico ha sortito l’effetto opposto. Bronx pensa d’averla infastidita e si ritrae, facendo marcia indietro.

La domanda gli muore in gola e preferisce annuire perché non si fida della propria voce.

“Ha finito?”

 

“Quasi” risponde con un attimo d’incertezza “le dispiace spostarsi un po’?”

 

Bronx annuisce nuovamente e fa qualche passo indietro, le mani infilate nelle tasche, dondolando un po’ sui talloni.

 

“Grazie”

Era abbastanza seria e professionale? Doveva calcare di più la mano o parlare in termine tecnico? E se avesse commesso qualche errore rischiando di vedere il suo lavoro sfumato? Poteva saperne più di lei…

Decise di lasciare perdere e serrò le labbra affranta.

Si piega sul cadavere un po’ troppo. Ne può sentire l’odore di sangue rappreso e liquidi corporei che sono fuori usciti al momento della morte; sta per scattare quando un guizzo muscolare post mortem la fa trasalire e urlare per un breve secondo.

Fa un salto all’indietro finendo quasi a terra.

No, la macchina fotografica, pensa allungando le mani per prenderla, ignara d’averla assicurata al collo con il nastro di naylon blu. È un gesto talmente automatico che ormai non lo ricorda più.

 

Resta disorientata quando sente le dita che fino ad un secondo prima hanno annaspato nel vuoto, venire circondate da due mani tiepide a dispetto del freddo che le sta congelando i piedi e il naso.

 

“Un semplice scatto muscolare. Non c’è nulla di cui aver paura”

 

Mura annuisce, guarda Harvey per qualche istante e la Reflex sorretta dalle loro mani. “Lo so. Grazie dell’aiuto. Se si rompe sono dolori.” Annuncia con voce distorta dallo spavento.

Non è la prima volta che succede una cosa del genere durante un turno, ma chissà perchè si è messa paura.

Forse perché non era concentrata sul proprio lavoro. Forse era troppo distratta a cercare di non civettare con quel tipo affascinante e serioso.

 

Bronx la vede sbattere gli occhi più volte, come se dovesse ricacciare qualche lacrima in fondo alle orbite e abbozza un sorriso incoraggiante. “Non le verrà detratta dallo stipendio se si rompe in servizio”

Mira lo guarda come se fosse impazzito “non è per quello!” sbotta strappandogli la macchina fotografica di mano e controllandola, sebbene non le sia successo nulla “ci sono affezionata…” borbotta a voce bassa rendendosi conto di aver fatto la parte della bambina capricciosa.

E gli ho anche risposto male…porca miseria!

 

Harvey lascia ricadere le mani infilandole dopo un secondo nel cappotto pesante. Avrebbe dovuto capirlo dal modo che ha di curare le sue cose…avrebbe dovuto…

 

“Capo! Qua ce n’è un altro!”

 

Gira su se stesso sbuffando esausto. Mira lo segue a qualche passo di distanza, osservando come piega il collo da un lato. Non ce la fa più, è stanco e ha sonno da vendere a Morfeo, pensa in un moto di tenerezza.

Un’immagine maliziosa le attraversa lo sguardo per un secondo, in tempo per vederla sparire, strappata dalla brutalità dell’omicidio che fa arretrare anche Bronx di qualche passo. Istintivamente le sbarra la strada per proteggerla dalla visione.

Adesso vomito sulla scena del crimine così la Scientifica mi metterà ai ceppi!

 

“Mi lasci passare, devo scattare le foto” gli ricorda con voce malferma la donna dietro di se.

 

Si sposta riluttante mentre Mira trattiene il fiato e s’impone di pensare alle ferie che farà ad agosto con le amiche, in qualche gloriosa e caciarona località marittima circondata da bei ragazzi in costume da bagno, coccolata e vezzeggiata tutto il giorno.

 

Si affretta a finire e si allontana di corsa respirando a bocca aperta l’aria fredda. Come si può? Dio, ma come si può ridurre una persona in quel modo?!

 

I capelli che ha legato le tirano inspiegabilmente la pelle delle tempie, facendola innervosire. Li scioglie lasciandoli ricadere sulle spalle e lungo la schiena, chiedendosi come mai tengano così caldo.

Miracolo della cheratina? Si domanda abbozzando un sorriso stupido e sbilenco che si esaurisce presto. Due figuracce in un giorno.

 

Bronx si allontana appena può. Fortuna che aveva mangiato leggero o a quest’ora starebbero guardando da vicino i resti della sua cena.

Alza lo sguardo lucido sulla donna in fondo alla strada che si sta stringendo le braccia contro il petto e resta quasi a bocca aperta.

L’aveva vista solo un giorno, così…

Quel modo che ha di dondolare è sintomo di pianto imminente. Si sposta i capelli istericamente dal volto e trae un fazzoletto dalla tasca, soffiandosi il naso e passandolo sotto gli occhi azzurri, evitando che il mascara coli inesorabile sulle occhiaie coperte dal correttore.

Quando lo vede, Mira si blocca con un dito sotto l’occhio destro. Perché la guarda in quel modo?  Non hai mai visto una donna piangere?! Si chiede arrabbiata inaridendo gli occhi con il solo pensiero.

Harvey ripensa ad una frase che aveva letto tempo fa su una delle tante riviste maschili che giravano fra gli agenti in servizio notturno. È stato una matricola anche lui e i tempi non sono cambiati.

Neanche gli uomini.

 

Incredibile ma vero, le donne sono più disponibili dopo la mezzanotte. Si sentono più fragili e insicure.  

 

Senza volerlo, quasi costretto da quel pensiero estraneo al luogo e alla situazione, sbircia l’orologio e constata che è appena passata la mezzanotte.

Ma quella non è una donna con cui è appena uscito: è una fotografa che ha appena immortalato un cadavere in tutta la sua sconvolgente veridicità;

Vorrebbe consolarla ma non sa cosa dire senza apparire troppo invadente. Neanche la conosce.

Mira gli passa accanto col suo carico di rullini, il marsupio vuoto e le macchine ancora appese al collo.

“Come stabilito le porterò le foto del primo cadavere fra due giorni….e le prossime…”

La voce perde di fermezza e per un lungo istante Harvey pende dalle sue labbra “altri due giorni” sussurra puntando lo sguardo sul lampione arancione. Perché deve guardarla in quel modo?

 

Bronx si sposta di lato per farla passare e Mira respira nuovamente.

 

Per un breve secondo.

 

“Molto carina…” balbetta a bassa voce senza guardarla.

 

Mira avvampa, arrestandosi bruscamente e girando appena la testa verso di lui che guarda fisso davanti a se e sembra imbarazzato.

“Grazie” sussurra riprendendo a camminare, il passo più lungo e veloce. Non era andata così male, poi!

 

**** 

 

Ha voltato la faccia da tutti i lati, stupendosi che non si sia sgretolata sotto le dita, mentre si lavava il viso.

Sono invecchiato di dieci anni, pensa asciugandosi su un telo leggero di spugna bianca e rendendosi conto che fa ancora più schifo di prima.

Quando era entrato in carcere era un grasso figlio di puttana psicopatico con l’alito pesante. Adesso era un magro figlio di puttana psicopatico con l’alito pesante.

“Adesso sì che saresti da sbattere in galera” bisbiglia con voce roca alla propria immagine.

Ha le corde vocali in fiamme, tonsillite in arrivo.

Marv è di salute precaria.

Afferra i vestiti dal pavimento, congratulandosi per aver rispettato un’altra volta la tabella di marcia.

Si era fatto una doccia vera, un paio di cheeseburger gigante - tre per la precisione - e una femmina che parlava un sacco ma a letto era una vera bomba.

Sgusciò via piano, per non svegliarla. Il conto l’avrebbero presentato a lei! Ridacchiò pensandoci e scese le scale antincendio senza fare il minimo rumore.

Gli affari premevano e Marv era in ritardo di due minuti.

 

Cammina quasi saltellando, il corpo spinto in avanti, le mani in tasca per ripararle dal freddo visto che non ha i guanti. Non ha nulla, solo quei vestiti addosso: troppo leggeri per la stagione perché quando l’avevano messo in carcere era maggio e c’era un sole non indifferente.

 

“Sei in ritardo di cinque minuti”

 

Marvin guarda la donna davanti a se, restando quasi a bocca aperta. Quella era una femmina di lusso, non la sciattona che aveva rimorchiato in strada poche ore prima!

“Mi scusi, signora” borbotta guardandosi la punta delle scarpe e le sue a pochi passi di distanza. Ha imparato a dire ‘sissignore e nossignore’ in carcere.

Ha imparato anche a sopravvivere, che non è cosa da poco.  

 

La donna lo fissa da tutte le angolazioni. A tirarlo a lucido qualcosa di decente poteva venire fuori.

Ma lei non era interessata all’uomo, bensì al guadagno che avrebbe potuto ricavare dal suo sfruttamento. 

Sorride annuendo “sei molto educato. Non me l’aspettavo” ribatte facendogli cenno di seguirla.

È da sola? Una bellezza del genere in un posto come questo? Si domanda mentre la sua mente lavora perversamente.

“Questo è il carico. In quel pacco troverai un po’ di vestiti. Non puoi andare in giro conciato in quel modo. Afferma guardandolo con una smorfia mentre Marvin fissa i suoi occhi scuri e la bocca semi imbronciata “il taxi lo troverai nel parcheggio dell’aeroporto. È facile da vedere. E’ verde.”

E come ci arrivo fin laggiù?” domanda con aria seccata. Verde? Quando mai si è visto un taxi verde?

“Non sono affari miei” ribatte velocemente allungando la mano stretta attorno ad un foglio dattiloscritto “La tua destinazione, la cartina stradale. Consegna entro tre giorni, massimo quattro. Continua laconica passandogli accanto “noi non ci conosciamo. Se ti arrestano sono problemi tuoi. Se sveli qualche nome o qualche indirizzo, andiamo a casa tua e ammazziamo i tuoi in qualche maniera orribile.

Marv non dice nulla mentre la donna se ne va a passo tranquillo. La segue finchè non la vede salire su una macchina parcheggiata poco lontano. Un’anonima Peugeut come ce ne sono tante in città.

Inutile imparare la targa a memoria, sarà sicuramente rubata.

Quella minaccia d’ammazzare i suoi non gli va molto a genio. La puttana la pagherà molto presto, pensa stringendo il foglio fra le dita, tanto non è lei a capo dell’organizzazione, è solo un manichino.

D’un tratto un pensiero assurdo si fa strada far i propositi di vedetta.

E la licenza? La patente?

Impreca contro la donna e batte un piede a terra.

Al diavolo, doveva procurarseli da solo!

 

 

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Capitolo 4
*** Scene 3 : Il 3% di niente ***


Rew

Rew

 

Era stata quella carnagione scura e quei capelli neri lunghi quasi fino alla vita, ad attrarre Bronx come una falena che vola verso la luce.

Il padre aveva sposato una donna italiana, una matrona romana dal bel colorito sano che si tingeva ancora più d’estate e lui doveva aver ereditato la passione per le straniere dai geni paterni. Non c’era altra spiegazione, si disse con un groppo in gola quando si presentò di fronte a lui con la sua camminata decisa e la parlantina sciolta, porgendogli la mano fresca e curata.

Si era aspettato una stretta molle come usano molte donne, ma avrebbe dovuto capirlo dall’affilatezza delle sue dita e dalle vene che spuntavano sul dorso che non era la classica femmina svenevole.

Così era stato lui a porgergli un’orata tiepida al posto della classica stretta spezzaossa che usava con gli amici e aveva fatto la figura del finocchio.

 

Lei l’aveva guardato con aria impenetrabile.

 

Una mano invisibile si era divertito a giocare con i suoi intestini, annodandoli come i giocolieri da strada con i palloncini gonfiabili mentre la donna parlava succintamente e lo studiava come fosse un insetto misterioso.

Doveva avere un’espressione idiota sul volto, perché Harvey aveva appena sperimentato il colpo di fulmine più ‘fulminante’ della sua vita e aveva risposto a monosillabi alle sue sintetiche domande.

In effetti non aveva parlato molto neanche lei, pensò quando la vide uscire dall’ufficio ancheggiando leggermente.

Non sculettava, quello no. Muoveva i fianchi quel tanto che bastava per avere un portamento carino ed elegante insieme. Quel tanto che bastava a calamitargli lo sguardo sul fondoschiena.

Con molta fatica e riluttanza si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, il cuore che batteva furiosamente e il respiro assente.

Il sistema endocrino era entrato in sciopero per il troppo lavoro a cui era stato sottoposto in quei pochi minuti e d’un tratto si sentiva stanco e nervoso.

Aprì la porta guardando la manopola che era stata appena toccata dalle mani della donna – Mira, bel nome, sembra spagnolo – e si aspettò di trovarla liquefatta: lui stava letteralmente fondendo!

 

Si aggrappò allo stipite e la vide camminare fino in fondo al lungo corridoio, indecisa su quale diramazione prendere.

Doveva avere uno scarso senso dell’orientamento, visto che era appena venuta da quella parte, pensò appoggiandosi e osservandola chiedere indicazione ad un agente – dio ce ne scampi e liberi, adesso lo pesta – e fare un passo indietro sibilando una parolaccia che fece sorridere il collega accanto.

Skye non se ne perdeva una. Un giorno lo avrebbe trovato in gattabuia a fare compagnia ai veri ladruncoli con una denuncia per molestie sessuali sulla testa.

 

L’occhiataccia inviperita aveva svelato molto del carattere della donna e Bronx aveva deciso già quale comportamento non tenere con lei.

Era tornato nell’ufficio chiudendo la porta alle sue spalle e una volta seduto, aveva aperto il cassetto sinistro della scrivania.

Aveva guardato il pacchetto di sigarette semivuoto e vecchio di molti mesi e l’accendino Bic azzurro accanto.

Mai come in quel momento aveva desiderato fumare per calmarsi i nervi.

 

Aveva preso molte cose dal padre, inglese doc deputato della Camera dei Lord che aveva fatto di tutto per impedirgli di fare carriera nella polizia.

Ereditare un self control indiscutibile e un sangue freddo che sfiorava la glacialità nei momenti di bisogno, l’aveva aiutato non poco nel lavoro.

Ora sentiva il temperamento italiano urlare per essere liberato da quella staticità imbarazzante e il desiderio di gettarsi in strada per fermarla e parlare con lei ancora una volta, lo faceva agitare sulla sedia.

Sfilò una sigaretta con aria drammatica dicendosi che era stupido a ricaderci dopo aver tanto penato per uscire dal catramoso tunnel della nicotina e vide che gli tremavano le mani. 

Le strinse a pugno, le strusciò sulle cosce rivestite da un tessuto piuttosto elegante a dispetto dei colleghi ispettori – se sei ricco puoi permetterti tutto – e le aprì e chiuse più volte, finchè non agguantò la cicca gettata sul tavolo e la infilò fra le labbra.

Non esitò un secondo ad accenderla e quando l’alcaloide gli riempì la bocca e i polmoni, si sentì subito meglio.

Come poteva succedere una cosa del genere? In quel momento, con tutto il lavoro che aveva da fare, il divorzio da Marie e l’appartamento da cercare al più presto?!

 

La cenere cadeva in fiocchi grigiastri sulla scrivania, sfiorandogli la mano destra che teneva abbandonata, la sinistra a sorreggere la testa, le dita infilate fra i corti capelli brizzolati.

Ok, non era vecchio. Aveva solo 38 anni.

Niente andropausa, niente crepuscolo della virilità, decise scartando un’ipotesi.

Cos’era, aveva bisogno di un’altra donna che gli riempisse la vita di casini incommensurabili in una sorta di masochistica punizione? Non gli erano bastate le scenate di Marie, il suo tradimento e la richiesta di divorzio – non avrebbe beccato una sterlina in quel modo – le chiacchiere sulla sua promozione – fanculo, me la sono sudata!e il cane che gli era morto da un giorno all’altro?!

 

Si incupì sempre di più finchè non decise di essere stanco di quel comportamento infantile e dannoso ai muscoli facciali che dolevano per la tensione e accettò la triste verità: quando era ormai sicuro che non sarebbe più accaduto…era accaduto  

 

***

 

Mira aveva fatto uno sforzo non indifferente per sostenere quel colloquio e rimanere lucida e presente a se stessa.

Il suo capo sembrava essere appena uscito da un film degli anni 50: gli mancava solo un cappello di feltro in testa, l’impermeabile a tre ottavi e la sigaretta all’angolo della bocca; una pupa bionda platino al braccio sinistro in atteggiamento adorante e una pistola fumante in mano avrebbero completato il quadretto Casablanca post moderno.

E pensare che a lei neanche piacevano quelli più grandi…soprattutto non così grandi. Al massimo arrivava ad un paio di anni di differenza, tre a volere stare larghi.

Mira non li capiva gli uomini: non capiva i coetanei, figurarsi gli attempati quarantenni!

Quello è semplicemente perfetto!

Cioè…perfetto per lei.

Non era bello nel senso stretto del termine ma emanava fascino e mistero da tutti pori…e doveva essere terribilmente romantico! Quelli così sono sempre romantici…o stronzi fino al midollo, rettificò subito annuendo.

Quella piccola considerazione fu platealmente sospirata dalla donna che camminava spedita nel corridoio.

Era attraente come l’acqua fresca nel caldo torrido del deserto e quando si erano presentati, le dita erano andate inspiegabilmente in autocombustione.

Doveva essere sorpreso, non capita tutti i giorni di conoscere una fotografa di cadaveri. Mira l’aveva capito da come non le aveva stretto la mano…il che era stato peggio perché le aveva scatenato la fantasia spenta dai continui litigi col ragazzo. Nell’ultimo, Abe aveva preso definitivamente il volo, portandosi via il suo livore per la carriera di climber interrotta a causa di un ginocchio fallato e facendola respirare nuovamente.

Se si fosse sbrigato a portare via le sue cose, sarebbe stata molto più larga! Rimuginò acidamente, distraendosi per un secondo dall’immagine mentale di Bronx desnudo sopra di lei.

 

Era una tipa che andava velocemente al dunque, nei sogni!

 

Sorrise, stringendo un bicchiere di carta pieno d’acqua del silos trasparente e temette di vederlo emergere da un momento all’altro dalla porta chiusa.

Riprese il suo percorso quando lo vide comparire dietro la porta a vetri smerigliata e confusa per essere quasi stata beccata a sospirare come una scolaretta, esitò sulla direzione da prendere.

 

Aveva appena ricominciato a respirare l’aria non contaminata da quell’individuo ed eccola in procinto di morire di ipossia. Anche a quella distanza le sembra di sentire l’odore che emanavano i suoi vestiti: si costrinse a trattenere il fiato e a restare in silenzio, costringendo i turbinanti nel naso a creare un muro inodore.

La stava osservando, sentiva i capelli caderle a ciocche dalla nuca che stava trapassando con quello sguardo serio e penetrante che aveva notato subito al colloquio.

 

Si sentiva stordita come se avesse appena bevuto un alcolico molto forte. Per un’astemia come lei, anche un tè al limone era troppo.

 

Ma che c’era in quell’acqua? Si domandò non arrischiando a girarsi per scoprire se era ancora li, se era fermo, se le stava andando incontro….

Fermò il primo agente che le passò accanto e con voce tremula gli chiese dov’era l’uscita.

Il panico le aveva bloccato il cervello.

La risposta non fu di suo gradimento e Mira lo mandò al diavolo, tanta era l’irrequietezza che provava.

Bella prova! Aveva reagito in maniera infantile ed esagerata e molto probabilmente l’avrebbero classificata subito come un’isterica frigida e altezzosa.

Sospirò afflitta una volta fuori: gli uomini chiacchierano, anche peggio delle donne…si era bruciata tutte le chance con il suo bel capo!

 

Play

 

“Quanto ti ci vuole per farmele avere?”

“Dipende da quanto puoi pagarmi” ridacchiò il negro sorridendo e mettendo in mostra tre denti d’oro.

Con tutto quello che guadagna potrebbe farseli cambiare tutti!

Marvin non è per niente felice: la licenza da tassista, la patente di guida e la carta d’identità false gli costeranno un patrimonio e lui ha il conto in banca ancora bloccato dalla polizia.

Deve farle, non può rischiare di viaggiare senza e di essere fermato dalla pula!

“Lo sai che non ho molto al momento. Ti propongo un accordo” sibila appoggiandosi al bancone di legno rovinato, sbirciando la vetrinola antiproiettile piena d’armi sotto le sue braccia smagrite “il tre per cento della prima consegna e il resto al momento della seconda. Ma mi servono subito. Oggi stesso.”

Abasi lo fissa a lungo senza parlare. Il ragionamento non fa una piega ma il tre per cento è troppo poco. “Il 5”

Marvin annuisce di malavoglia, serrando i denti. Non sei furbo, amico. Avresti dovuto accontentarti di quello che ti offrivo. Ora mi costringi a farti molto male.

“Ripassa questa sera verso l’orario di chiusura”

Marv deve fare uno sforzo per non far trapelare la scintilla di soddisfazione che gli brilla negli occhi come un faro del porto.

Si alza dalla vetrinola su cui era appoggiato e individua subito l’arma che gli occorre. “Mettici quella nel conto” ridacchia come un matto indicandola con un dito.

Abasi lo fissa ancora, non ha mai distolto lo sguardo da lui.

“Per difesa personale. Noi tassisti carichiamo sempre un sacco di matti, la notte” afferma con voce sorpresa, alzando le mani. “Sono contro la violenza, lo sai”

 

L’uomo annuisce e posa le braccia lungo i fianchi, il fucile a portata di mano sotto il bancone.

 

Marv lo saluta con un gesto scanzonato e tira su i jeans che sono scivolati ulteriormente, rinunciando dopo un secondo a farli stare a posto.

Stasera. Come no.

 

Molte ore dopo, Abasi lo vede rientrare con passo baldanzoso e la mano già tesa. “Ho un carico in partenza, adesso manchi solo tu” sibila con un sorriso sinistro “le hai preparate?”

L’uomo annuisce e le getta sul bancone velocemente “voglio un acconto entro domani. Il luogo del deposito è sempre lo stesso” borbotta con voce bassa. “Vattene, devo chiudere”

 

Marvin le prende, le gira, osserva la foto e i dati. Perfette, semplicemente perfette. E bravo negraccio!

Sorrise amichevole mentre Abasi si muove dietro il bancone, il fucile posato accanto alla gamba pronto all’uso.

Marv sorride un’altra volta e fa un paio di passi all’indietro. “Solito posto, come no…”

 

L’uomo lo segue, finchè non sparisce dietro il pesante portone e giù in strada. Quando lo vede partire, sospira di sollievo e toglie la mano dal fucile, appoggiandosi con la vita al bancone, la schiena rivolta verso la porta.

È psicopatico, è peggior…

Non fa neanche in tempo a finire il pensiero che qualcosa di molto pesante si abbatte sulla sua testa, facendolo svenire. Marvin lo colpisce più volte finchè non è sicuro di averlo ucciso e solo dopo avergli ridotto il cranio ad una pozza sanguinolenta si dichiara soddisfatto.

“Non lo vuoi il mio tre per cento?! Vaffanculo, allora” sibila trattenendosi dallo sputare sul cadavere.

Fa qualche passo indietro, il ramo dell’albero che ha usato per ucciderlo posato sulla spalla, rischiando di sporcarsi di sangue.   

“Potevi prendertelo quel tre per cento, coglione!”

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Scene 4: LM sgomberi specializzati ***


C’è un palazzo molto alto, in una città di palazzi alti

C’è un palazzo molto alto, in una città di palazzi alti.

In quel palazzo c’è un appartamento sfitto che aspetta solamente che qualcuno ne rivendichi il costoso possesso.

In realtà l’appartamento appartiene ad una persona che in questo momento sta valutando il bilancio patrimoniale dell’anno. In terra, seduto sul pavimento freddo di marmo di Carrara che gli è costato un patrimonio.

Non ha bisogno di controllare il budget, perché lo fa spesso, con un ossessione quasi maniacale.

È in attivo, molto bene. Ma potrebbe andare meglio.

Nell’appartamento c’è solo un telefono in terra, l’uomo è seduto accanto ad esso e sta sfogliando una cartellina piena di numeri telefonici.

I suoi dipendenti sanno sempre quale affare proporgli, sanno sempre cosa può stimolare la sua fantasia.

In quel momento c’è un affare che non può lasciarsi sfuggire.

Il Nero tira sempre parecchio, ne avrebbe bisogno per incrementare le entrate di quel mese.  Si sa, Novembre non è mai un mese dei migliori per fare incassi, c’è la Festa del Ringraziamento e Natale vicino…i suoi clienti hanno bisogno di festeggiare alla grande, non può deluderli.

Solleva la cornetta dopo aver trovato quello che cercava.

 

L*** M*** sgomberi specializzati

Svuotiamo soffitte, appartamenti e cantine. Prezzi modici e convenienti.

Disponibilità immediata. 

 

L’uomo stringe gli occhi sull’ultima frase: quella è la parte che gli piace di più.

 

Disponibilità immediata. 

 

Compone il numero velocemente, girando la vecchia ghiera dai numeri impolverati.

Tre squilli.

“Si?”

 

“Parlo con il signore M***?”

L’uomo sorride al nulla e batte un dito sul dossier. “Avrei uno sgombero urgente da fare, è una cantina piuttosto semplice da ripulire. Si, non penso le impiegherà più di una giornata. Massimo due. Il viaggio potrebbe essere difficoltoso, sono dall’altra parte della città. Potrebbe trovare traffico”  

 

Sta parlando in codice ma il signore M*** sa benissimo a cosa sta riferendosi.

Resta in silenzio finchè non ha finito di parlare. Detta le sue condizioni solo quando è sicuro che la persona dall’altra parte sia sufficientemente seria e determinata.

Guarda la propria agendina scritta in un linguaggio speciale che conosce solo lui continuando a prendere appunti sulla dimensione della ‘vecchia bicicletta da portare alla discarica’. Scribacchia in fretta senza farsi ripetere le cose, posando un’occhiata all’orologio. È quasi fuori tempo limite.

In quel momento il suo cliente lo saluta facendolo sorridere.

Ha letto bene il trafiletto.

Il signor M siede con le gambe incrociate sul letto della propria abitazione, la cornetta ancora incastrata fra il collo e il braccio destro. Muove la testa lasciandola cadere sul letto e continua ascrivere finchè non ha finito. 

Semplice, neanche si sarebbe sporcato le mani. Piena libertà d’azione.

Stacca il cavetto del telefono e guarda fuori della finestra un po’ impolverata.

 

Avrebbe passato un Natale niente male anche quell’anno.

 

***

 

Mira non riusciva a vederlo spesso per via del lavoro. Erano passati i famosi due giorni e con animo baldanzoso si era recata al dipartimento col suo pacchetto giallo ocra sigillato sottobraccio e un sorriso smagliante.

Bronx non c’era e le foto erano state prese in consegna dal diretto subordinato. Con poca grazia Mira gliele aveva quasi tirate in mano, guadagnandosi anche la fama di scontrosa. Non che gliene importasse molto: sospirava come un mantice su quell’unica foto che gli aveva scattato all’improvviso, un tre quarti perfetto che l’aveva fatta illanguidire nella camera oscura e dopo averla ingrandita e lavorata con Photoshop CS, l’immagine di Bronx era diventata il suo desktop preferito.

Un bel cappello e una sigaretta in bocca. Mira non sbagliava poi molto definendolo un diretto discendente di Humprey Bogart. Però più bello. Bellissimo. Irraggiungibile.

La donna scuoteva la testa e si dava della maniaca. Più la guardava e più se ne innamorava.

 

La scadenza per il cadavere numero due era ormai giunta. Mira decise che avrebbe piantonato quell’ufficio finchè non si fosse presentato il suo ispettore preferito in carne ed ossa. Solo allora avrebbe lasciato andare il prezioso pacchetto. 

Afferrò le fotografie e le mise in una busta nuova, lasciandola aperta.

Nella confusione mentale che la prendeva ogni volta che guardava quella foto, non si era accorto di aver inserito la replica più piccola fra quelle dell’omicidio.  

 

*^*^*

 

Appoggiata alla parte del corridoio incriminato, la busta stretta fra le braccia, prende un paio di sospiri prima di bussare.

Le avevano detto che era in sede e la cosa le aveva causato non poco batticuore. Avrebbe dovuto sostenerci una conversazione, non poteva ridursi a balbettare come una demente.

Calma e gesso, s’impose mettendo un piede davanti all’altro. Sollevò la mano destra e picchiò leggermente la porta con l’indice in fuori, la schiena dritta e lo stomaco annodato sotto il maglione celeste che aveva messo apposta, perché secondo Abe le metteva in rialto gli occhi e la carnagione scura. Abe sarà stato anche un idiota frignone, viziato e caotico ma ci azzeccava sempre sulle questioni di vestiario.

 

“Avanti!”

 

Mira si bloccò con la mano sulla maniglia e inghiottì, chiudendo un attimo gli occhi prima di aprire la porta. Tirò indietro una ciocca con la sinistra e rischiò di far cadere la busta a terra.

Ce la puoi fare, si disse immettendosi nell’ufficio e chiudendosi la porta col vetro smerigliato alle spalle. Poteva sentire il cuore batterle in gola mentre l’osservava. Non aveva neanche alzato lo sguardo, concentrato com’era.

In quel momento Bronx le lanciò un’occhiata quasi accusatoria e tornò subito al suo lavoro, fermandosi dopo un istante. Le fissò la vita, salì lentamente fino al seno quasi occultato dalla busta ocra e ci mise un bel po’ ad arrivare agli occhi.

La bocca posata sulla mano destra, stretta attorno ad una penna stilografica si strinse e Harvey battè le palpebre un paio di volte per metterla a fuoco.

Raddrizzò la schiena posando il braccio destro sulla scrivania e la guardò senza parlare.

 

“Le ho portato le foto del secondo omicidio” annunciò con la bocca secca, strappandosi la busta da sotto il braccio.

Mira restò immobile mentre la rovesciava sulla scrivania invasa dagli incartamenti, creando una sorta di macabro quadro iperrealista.

Cominciò ad esaminarle in silenzio, fermandosi quando vide che restava in piedi.

“C’è una sedia di fronte a lei” biascicò con la bocca impastata dalla saliva.

Mira gli tirò ungrazie’ e un bacio silenzioso e si sedette con gran piacere: cominciavano a tremarle le gambe e cadere dai tacchi alti degli stivali non sarebbe stato molto professionale. 

Si guardò in giro per distrarsi dall’osservazione prolungata a cui lo aveva sottoposto e a cui Harvey aveva cercato di non far caso nel timore di uscirsene con qualcosa di poco gentile ed educato.

 

Perché svolgeva lui quel compito? A cosa stavano lavorando? Quegli incartamenti erano vecchi di anni!

Osservò la tazza vuota di caffè, l’alone scuro che si era creato sul fondo e si disse che quella mattina non aveva fatto colazione.

La sigaretta che fumava lentamente nel portacenere era stata appena accesa. Mira se seguì il viaggio fin quasi al soffitto…se avesse aperto quella finestra alle sue spalle, non avrebbe fatto un soldo di danno!

Si rese conto che l’illuminazione in quel posto era scarsa e la scrivania e gli altri mobili mal distribuiti. Non attingeva alla luce naturale e il bagliore del neon alla lunga rischiava di rovinargli la vista.

Come se le avesse letto nel pensiero, Mira lo vide frugare nel cassetto e trarre un paio di occhiali da lettura.

Come fa a permettersi un modello del genere? Si chiese prima di restare trasognata a guardarlo. Lei adorava gli uomini con gli occhiali!

Dovette lottare per non sorridere e si morse le guance e la bocca per non farlo. Non così spudoratamente.

“Sta ridendo di me?” lo sentì borbottare alzando lo sguardo dalle foto e facendola trasalire  internamente. 

“No, no” si affrettò a dire colta in flagrante “mi scusi. Pensavo ai fatti miei” mentì volgendo lo sguardo altrove.

Prima figuraccia, avanti con la seconda! Pensò arrabbiata con se stessa.

Bronx la fissò un’altra volta e tornò a sfogliare le foto lentamente. Quando si concentrò su una in particolare, Mira lo guardò.

“Alcune sono un po’ forti” ammise piegandosi in avanti e riconoscendo in controluce la foto del suo capo che era stata abbellita con il disegnino di un capello ed una sigaretta che penzolava indolente.

Ommerda! Oddio oddio oddio! Pensò con il respiro bloccato in gola e le pupille dilatate. Come c’è finita? Come?!!

Bronx la mise da parte e non commentò. “Perfette, quelli della scientifica si faranno venire un orgasmo di gruppo” ridacchiò imbarazzato, pensando che l’ultima frase era terribilmente fuori luogo visto il suo stato d’animo e l’eccitazione che gli era corsa lungo la schiena quando aveva alzato lo sguardo e l’aveva colta con gli occhi sgranati e la bocca appena aperta per la sorpresa.

 

“E’ uno scherzo. Uno scherzo stupido. Mi scusi” la sentì balbettare in fretta e piuttosto confusa “scusi…”sussurrò guardando la foto colpevole che era rimasta sola a spadroneggiare sulla scrivania.

“So stare agli scherzi, a differenza di quello che dicono le malelingue” la informò per tranquillizzarla.

Come riuscire ad invitarla a cena o a prendere un caffè senza apparire troppo sfacciato?   

“Non so cosa dicono…io non frequento questo posto e non mi lascio influenzare dalle chiacchiere di corridoio” affermò recuperando il sangue freddo, allo stesso tempo attenta a non perdersi in quello sguardo ancora più penetrante del solito. Quell’aria riposata e rilassata che aveva la mandava ancora più nel panico. Fatti uscire una frase, una qualsiasi.

“L’illuminazione di quest’ufficio è un disastro, la disposizione dei mobili tutta sbagliata e quella finestra andrebbe aperta per far circolare l’aria.” Esordì pensando dopo un secondo che era la cosa più sbagliata da dire: se gli avesse chiesto di fare sesso sulla scrivania, forse sarebbe andata meglio!

“Prego?” esclamò senza aver ben capito.

“Certo..” Biascicò alzandosi in piedi “non ho un luxmetro con me, ma posso dirle senza ombra di dubbio che così non riceve abbastanza luce naturale.” Ripetè indicando la stanza “d’inverno va bene. È abbastanza lontano dalla finestra e non si congela la schiena, anche se quel termosifone dovrebbe stare da tutt’altra parte per non disperdere inutilmente il calore, ma d’estate è tutto un altro paio di maniche! Ci credo che è costretto a portare gli occhiali. Quella lampada andrebbe cambiata e…”

Mira tacque d’un tratto perché si accorse che la guardava dubbioso. Mi ha preso per la solita artista sciroccata!

 

“Va bene…allora faccia questi cambiamenti” le disse indicandole la stanza. “E’ tutta sua”

Mira lo fissò aprendosi in un sorriso “davvero? Non sono un architetto d’interni e questa è la stazione della polizia.

“Chi se ne frega, il capo sono io” ribattè con un sorrisetto malizioso che la fece sorridere di più “vuole una tazza di caffè?”

Magari! “Va bene, grazie” bisbigliò girando su se stessa e mettendosi una mano fra i capelli. “Torno subito, recupero due o tre cose dalla camera oscura su di sopra.”

“Il luxmetro?”

Mira rise apertamente “si, quello.”

Bronx la fissò mentre annuiva e si avvicinava alla porta con la camminata non più rigida come le altre volte. Pensò che forse era dovuta all’eccessiva tensione a cui l’aveva sottoposta con la sua analisi microscopica e si concesse un sorriso.

Al caffè c’erano arrivati.

Da qui all’invito a pranzo per ringraziarla, il passo era breve.

 

*^*^*

 

“Vede, la maggior parte dei luxmetri commerciali utilizza come sensore una cella al selenio perchè la sua risposta spettrale assomiglia molto a quella dell'occhio umano.

 

Bronx annuì continuando a fissare il minuscolo apparecchio nero che Mira teneva in mano.

 

“Le celle al selenio presentano tuttavia l'inconveniente del cosiddetto "effetto memoria”: in altre parole, il valore indicato può essere influenzato da misure precedenti. Questo modello è molto buono, è stato utilizzato un sensore al silicio immune a questo inconveniente. Affermò guardandolo con amore. “Quando spendete i soldi, lo fate proprio bene” gli disse regalandogli un altro sorriso.

Harvey la fissò con uan domanda che si arrotolava sulla lingua e che non voleva proprio uscire.

“La sto annoiando. Mi tolgo subito dai piedi, tanto qua ho finito” borbottò un po’ delusa.

“No!” esclamò in fretta facendole alzare la testa sorpresa “no, è interessante…”

 

Mira la guardò con un mezzo sorriso “sta mentendo. So riconoscere i bugiardi”

Anche io. Forse meglio di lei” le disse facendole passare in fuoco gelido nelle membra.

La donna inclinò la testa da una parte dandogli una panoramica niente male del suo collo. “Comunque, ho finito davvero”

“Mira..” Sussurrò facendola voltare “è vegetariana?”

“No”

“Carne o pesce?”

“Carne” mormorò senza capire,

“La donna della mia vita” lo sentì bisbigliare a bassa voce. Lo vide infilare le mani in tasca, raddrizzarsi dalla scrivania alla quale era appoggiato e fissarla serio. “Le perdono la foto se viene a cena con me”

No cena! Pranzo! La cena suona impegnativa, idiota!

Mira annuì contro tutte le sue previsioni, lasciandolo senza parole.

“Va bene. Allora prenoto”

L’aria scettica che aveva assunto lo mise in allarme “ma dove? A che ora? E perché?” balbettò in fretta con eccessiva enfasi.

Alle otto, alPagliaccio Allegro’. Per ringraziarla della sua disponibilità” si affrettò a risponderle.

“Mi risulta difficile cenare con qualcuno a cui do del lei” mormorò ipnotizzata dalla situazione. Non stava succedendo veramente.

“Harvey” annunciò allungando la mano e ripresentandosi nuovamente “Harvey Philiph Bronx. Ha – hai un bellissimo nome…spagnolo?”

“Di mia nonna” affermò avvicinandosi un po’ a lui e continuando a stringergli la mano.

E come fa tua nonna senza, adesso?” scherzò dandosi dell’imbecille per la battuta scarsa.

Mira lo fissò senza averlo sentito. “Mai conosciuta, è morta quand’ero piccola”

 

‘L’altezza ideale di una coppia si stima attorno agli otto centimetri di differenza’

 

“Mi dispiace”

“Non importa. Quanto sei alto?”

“1,83 centimetri”

Troppo alto…ma chi se ne frega! Al diavolo le statistiche! Pensò accorgendosi che ancora si davano la mano. Lo lasciò con delicatezza e alzò l’altra in cenno di saluto, piegando la destra per non far uscire il calore che si era insinuato sotto la pelle. “Ci vediamo stasera”

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Scene 5: L' Uomo dei Sogni ***


Quanto elegante

Quanto elegante? Si domanda davanti all’armadio aperto. Ha effettuato una ricerca mirata e  Google le ha sputato fuori la sorprendente verità: il Pagliaccio Allegro è un ristorante di lusso e ci vogliono mesi per prenotare un tavolo!

Ma come può permetterselo? Si domanda infilandosi un vestito lungo e nero. E poi dicono che i poliziotti fanno la fame! Pensa tirando fuori le scarpe e la borsetta.

Il cervello le è andato in tilt quando ha visto lo sfondo sul computer e ha ricordato tutto d’un tratto con chi stava uscendo. 

 

Di conseguenza ci ha messo un’ora in più per prepararsi.

 

S’infila in macchina e gira le chiavi costatando con orrore che il motore non parte. E no! Non me lo puoi fare, ti prego!!

“Eddai…” bisbiglia alla quinta volta sibilando un “Si!” quando la macchina decide di muoversi.

Devo portarla dal meccanico, altroché! Un giorno mi lascerà a piedi in qualche postaccio e…

 

Il motore borbotta, singhiozza due - tre volte e si spegne in mezzo alla strada, provocando quasi un incidente.

“Porca miseria!” sbotta riprovando più volte a riaccenderlo e dando un pugnetto sul volante. “Tu mi odi, dimmelo che mi odi!”

Non ha neanche il numero di telefono per avvertirlo e non ha pensato di segnarsi quello del ristorante.

Spinge la macchina fino al marciapiede e la lascia lì, decisa a prendere un taxi.

“Taxi, taxi!” Urla alzando la mano per farsi notare. Ma cos’è, invisibile?! Arriverà tardi se la snobbano tutti in quel modo!

Quando scatta il semaforo, Mira vede un taxi verde e vuoto inchiodare allo stop e si precipita dentro come un fulmine.

“Mi porti alla zona commerciale, al numero 30 di East Road. Di corsa, per favore!” esclama mentre Marvin la guarda dallo specchietto retrovisore.

E’ sbarcato un carico di Venusiane in città? Si domanda girandosi e posando il braccio destro sullo schienale del sedile accanto “Non sono in servizio, signora”

“Ha la luce accesa! Ribatte indicando il tetto “la prego, l’uomo dei miei sogni è in un ristorante ad  aspettarmi da dieci minuti buoni, ormai”

Marv la fissa a lungo, mettendola a disagio “L’uomo dei sogni…”ridacchia partendo. “Non sa di cosa sta parlando”

“Lo so invece” afferma sospirando per l’ansia “se mi ci porta in cinque minuti le lascio una buona mancia”

Marvin non commenta e non mette la freccia quando dovrebbe. L’Uomo dei Sogni…lo chiamavano così una volta.

Una volta…tanto tempo fa…

“Ma stiamo uscendo dalla città! La zona commerciale si trova…”

Le parole le muoiono in bocca e Mira impallidisce “dove mi sta portando?” bisbiglia tremando. Ha beccato un pazzo psicopatico la sera in cui non ha neanche lo spray al peperoncino con se?!

 

“Le ho detto che non ero in servizio, ma lei non mi ha voluto ascoltare” cantilena lanciandole qualche sguardo dallo specchietto “la porto a conoscere il vero Uomo dei Sogni”

 

****

 

Harvey batte un dito sulla tavola rendendosi conto che è stato appena bidonato. Un’ora e mezzo di ritardo…non c’è altra spiegazione. 

Il cameriere si avvicina quando lo vede alzarsi con sguardo impetrabile “se ne va, signore?”

Annuisce con la gola stretta e sentendosi un vero idiota. “Si. Il mio appuntamento deve aver avuto un problema” afferma afferrando il cappotto e andandosene di corsa. Figura del cazzo nel suo ristorante preferito! Fortuna che non c’era Paolo a …

 

“Fermo li. Dove vai senza cenare, giovanotto?!”

 

Harvey inchioda alzando gli occhi al cielo “non è serata, sono stato appena bidonato dalla donna della mia vita.”

Il cuoco, appena uscito dalle porte a ventaglio della cucina, lo guarda con il suo grasso sorriso a luna piena “Annabelle?”

“No, un'altra”

“Allora quella giapponese….Isako?”

“Minako. No. Con lei è finita da un pezzo.”

“Julia”

“Ci uscivo al liceo”

“Mhh….Manuelita?”

“Non sono mai usc…te li stai inventando di sana pianta!” sbotta mentre il cuoco ridacchia e lo trascina via “me li ricordo tutti i nomi delle tue conquiste! Non mi hai messo al corrente dell’ultima? Vergognati, fare una cosa del genere a tuo zio!”

“Oddio, ho 38 anni…” borbotta abbassando la testa.

“E allora? Quando tua madre è morta ho promesso di badare a te, con quello straccio di padre che ti ritrovi”

“Non lo vedo da cinque anni, mio padre!” ribatte rendendosi conto che l’ha portato nei suoi ‘appartamenti privati’.

 

Il bagno.

 

“Te le lavi le mani, dopo? Sennò non ci vengo più qui e ti mando i NAS” lo minaccia mentre l’uomo anziano sorride estasiato “non sai che tortura per la mia prostata stare sempre in piedi!”

Ecco, bell’argomento di conversazione, pensa rimirandosi allo specchio e sentendo lo sciacquone partire.

“La tua funziona ancora bene?”

“Sono stato appena bidonato, non ho intenzione di raccontarti di me e della mia prostata! Voglio solo andare a casa a leccarmi la sanguinante ferita all’orgoglio!” ribatte con voce dura, alzando appena la voce.

“Modera il tono, ragazzo! Non è colpa mia se non ci sai fare con le donne: hai preso proprio da tuo padre” afferma chiudendo l’acqua e asciugandosi le mani sotto il getto d’aria calda.

Ecco, buttiamo benzina sul fuoco, dai! “Mio padre si è sposato”gli ricorda indicandosi con entrambe le mani.

“E ha fatto infelice mia sorella”

“Non mi sembra, visto che sono rimasti insieme per 37 anni”

Paolo scuote la testa, raschiandosi la gola “Giulia aveva un amante e tuo padre neanche se n’è accorto”

Harvey lo guarda sorpreso, a bocca aperta “cosa? Mia madre non..”

“Certo! Vuoi saperlo meglio di me?”

 

Bronx è esterrefatto e chiude la bocca in uno scatto secco “io..”

“Tu sei figlio di quell’inglese spocchioso. E cominci ad assomigliargli un po’ troppo” lo rassicura non risparmiandosi di tirare una stoccata al ‘Lord - di - sto - cazzo’

“Come si chiama? La tipetta nuova, come si chiama?” domanda spiccio con le mani sui fianchi e l’aria nervosa.

“Mira”

“Ed è scura di pelle, immagino”

“Già” annuisce afflitto. Si sente cingere da un robusto braccio e immediatamente si piega verso lo zio.

“Andiamo a mangiare. Una bella fetta di dolce e vedrai il mondo sotto un’altra ottica”

 

“Quella del suicidio” borbotta andandogli dietro di malavoglia.

 

***

 

Mira sta viaggiando con Marv in preda al terrore. Continua a scongiurarlo di non farle del male e l’uomo sembra sempre più infastidito.

“Sta zitta o ti sparo” sibila, mostrandole la pistola e facendola schiacciare contro il sedile del passeggero.

L’ha trascinata davanti a forza e lei non ha opposto resistenza, inchiodata dalla paura.

Tace mordendosi le labbra esangui e guarda davanti a se.

“Dove mi sta portando?”

“Zitta. In quale cazzo di lingua te lo devo dire?” sibila scoccandole un’occhiataccia maligna.

Mira registra i particolari in fretta. Occhi scuri, capelli castani, quasi neri. Magrezza eccessiva. Sarà malato? Magari è un pazzo terminale che ha svalvolato perché ha l’Aids! Pensa ritirandosi su se stessa.

“Mi sa che il tuo ‘appuntamento’ se l’è presa” ridacchia indicandole l’orologio. È quasi mezzanotte.

Mira non si fida a distogliere lo sguardo e sente le palpebre sempre più pesanti. Come fa ad avere sonno con tutta l’adrenalina che le scorre in corpo?! “Mi sa di si” ammette con un filo di voce.

“Che lavoro fai?”

Mira è quasi tentata di dirgli la verità, poi preferisce tacere “la cameriera” sussurra osservando la strada. L’interstatale…dove la stava portando?

“E lui?”

“Lavora con me”

Marv ridacchia mettendole i brividi. Quando lo vede allungare la mano verso il vestito, sbianca completamente.

“Un vestito del genere non può permetterselo una semplice cameriera”

“Me l’ha prestato un’amica” mente nuovamente cercando di non urlare.

Il tessuto sale un po’ e rivela le gambe calamitandogli lo sguardo sulle calze che le avvolgono.

Mira lo osserva ad occhi sgranati, strillando quando inchioda e scende dalla macchina in fretta facendo il giro e tirandola fuori per un braccio.

“No, no! Smettila, non mi toccare!” urla cercando di allontanarlo.

“Cristo, quanto sei bella…” sibila terrorizzandola “bellissima”

 

Mira lo sente avvinghiarsi a lei, sente il vestito spostato e il freddo attorno alle gambe “no…ti prego..”

Marv la stringe troppo forte, le labbra incollate sul suo collo, una mano sul seno “da dove sei uscita, da un sogno?” bisbiglia sentendola immobile “abbracciami o ti spezzo un dito dopo l‘altro”

Mira si affretta ad obbedire con gli occhi lucidi “per favore…lasciami andare…”

“Dopo. Forse.” Borbotta mordendola e facendole male “che buon profumo, una cameriera non può permettersi un profumo del genere”.

Le stringe il seno facendole male, l’altra mano che s’insinua sotto il cappotto.

“La fotografa….faccio la fotografa” ammette terrorizzata “mi fai male!!” urla cercando di spingerlo via e rimediando solo di essere sbattuta con violenza contro il fianco dell’automobile

“Non me ne frega un cazzo. Sta buona. Se fai la fotografa, dov’è la tua apparecchiatura?”

“A casa!” Urla sbigottita “sta a casa, stavo andando a cena con l’ uomo dei miei sogni, non a lavoro! Grazie a te non vorrà vedermi mai più!”

“Sono io l’Uomo dei Sogni. Chi è quell’idiota che si spaccia per me?”

Mira lo guarda fra le lacrime. È pazzo?!

“Avanti, chi è? Un tuo amichetto che pensa di potermi fregare il territorio mentre sono via?!”

Mira si accorge che l’ha lasciata, che sta straparlando e la guarda stralunato.

“Non è nessuno. Lui è….uno qualsiasi” bisbiglia con la gola stretta.

 

“Puoi bene dirlo, bella mia” ridacchia facendo qualche passo all’indietro. “Solo io sono l’Uomo dei Sogni: non c’è nessuno oltre a me! Sono unico, sono indispensabile come l’aria che respiri, sono il Re di tutti gli sballati cocainomani che bazzicano nel raggio di mille chilometri. Devono tutto a me! Tutti i loro sogni e i loro incubi…sono io che glieli concedo in cambio di un piccolo compenso per una felicità che dura molte ore.” Afferma girando su se stesso, senza mai staccarle gli occhi di dosso.   

“E quando non ne hanno più, quando il bisogno di sognare ancora e ancora è pressante, è a me che si rivolgono…all’Uomo dei Sogni” bisbiglia inchinandosi e facendo il gesto di togliesi un cappello immaginario dalla testa.

“Le luci si spengono e il sipario cala. Gli applausi a dopo. Il Re non concede repliche stasera”

 

Mira l’ha guardato tutto il tempo a bocca aperta, gli occhi sgranati, senza pensare minimamente a scappare. È …folle…è fuori di testa!

 

Marvin si avvicina col viso cupo e la guarda con un ghigno perverso “il Re ha trovato qualcosa di meglio da fare, questa sera” sussurra sul suo viso afferrandola per la nuca e stampandole un bacio sulla bocca.

Mira lo lascia fare perché ancora non si è ripresa dallo spettacolo shockante. Quando la lascia si accorge di stare sorreggendosi con le mani al cofano tiepido.

 

“Sali in macchina, abbiamo ancora molta strada davanti a noi!” le intima guardandola di traverso, gli occhi che si staccano a fatica dal suo seno.

“Tranquilla, sono una brava persona” la prende in giro soffocando una risatina stridula.

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Capitolo 7
*** Scene 6 : Delirio Tarantiniano ***


“Insomma, lei mi fa : ‘l’illuminazione di questo posto è tutta sbagliata, la lampada da tavolo non fa luce a sufficienza, il t

“Insomma, lei mi fa : ‘l’illuminazione di questo posto è tutta sbagliata, la lampada da tavolo non fa luce a sufficienza, il termosifone è stato montato su una parete a caso..”

 

Paolo sbuffa, mezzo sbracato su tavolo come Harvey “una vera rompipalle”

“Scherzi, mi ha dato modo di farla restare lì più a lungo!” afferma infilandosi in bocca una cucchiaiata di budino al crème caramel “buonissimo, eccellente”

“Ci credo….e poi?”

Harvey ingoia un’altra cucchiaiata e si raddrizza appena “allora le chiedo se le va di venire a cena con me per ringraziarla di avermi spostato quei mobili orrendi e lei dice di si. E poi mi chiede quanto sono alto”

Paolo lo guarda tirando indietro la testa, sorpreso “e perchè?”

Che ne so.”

“Strana ragazza” mugugna afferrando un’altra porzione di crème caramel dal frigo e mettendogliela davanti.

Bronx allunga le mani, rifiutando. “Basta grazie, sono pieno.” Batte i palmi sulla giacca e aggrotta le sopracciglia. Ah già…le aveva lasciate a casa.

Mica ti sarai rimesso a fumare?” lo fulmina lo zio con aria omicida.

“Chi io? Non so di che parli” ridacchia nervoso mentre Paolo si addossa allo schienale della sedia. “L’hai chiamata?”

“No, non vedo perché dovrei farlo” ammette con aria nervosa.

“Dio, che nipote stupido che ho!” sibila alzando gli occhi al cielo “e se li fosse fermata la macchina in mezzo alla strada?”

Harvey alza le spalle seccato “Non penso proprio. Zio, non funziona più come hai tuoi tempi! Le donne ormai sono infide e calcolatrici, tirano colpi bassi quando meno te l’aspetti, giocano con i tuoi sentimenti neanche fossero ad una partita di bowling e ogni scusa è buona per…”

Sono sempre state così, figliolo.” Ridacchia scuotendo la mano: il nipote che si accalora è una vera novità…e meno male, qualcosa da Giulia l’ha preso, allora.E se l’avessero aggredita?”

 

“Ma se ci sono poliziotti a tutti gli ang..” S’interrompe pensando che si, i poliziotti ci sono ma i crimini continuano indisturbati. “Faccio una telefonata” mugugna allontanandosi un po’. Ha solo il suo numero di casa, scovato facilmente dal curriculum depositato in archivio.

La segreteria scatta e Harvey riattacca senza dire una parola. Non c’è. 

Guarda lo zio con aria pensosa “è uscita”

 

****

 

“CADONO TUTTI I RE DEL MONDO, SALTANO IN UN GIROTONDO...PERDONO SOLI CONTRO IL MONDO, RIDONO… IL MATTO, IL VAGABONDO!”

 

Perché urla così?! Mira è terrorizzata e non accenna a staccargli gli occhi di dosso. Marv ha deciso che la canzone della radio gli piace e ha cominciato a cantarla a squarciagola.

Improvvisamente stacca l’audio e la guarda “non sei di compagnia”

“Mi dispiace” sussurra in fretta cercando di non innervosirlo “come ti chiami?”

Lui la guarda per qualche secondo e Mira pensa che la ucciderà seduta stante

“Marvin. O Marv

“Ok…hai sempre fatto il tassista?”

“Ho fatto un sacco di lavori” afferma con un sorriso. “Ma questo mi piace un sacco, mi da la possibilità di conoscere un mucchio di persone. Persone interessanti. Come te” afferma con un ghigno sinistro.

Distogli l’attenzione da te, si urla annuendo ferocemente “si, immagino. Quanti anni hai?”

“Tu quanti ne hai?” continua guidando nel nulla: la notte è scura senza stelle e Mira è stanca e ha un bisogno urgente di andare in bagno. “27…Marv, non ti chiederò dove stiamo andando ma devo…devo andare in bagno” sussurra impicciandosi con le parole.

Immediatamente il taxi inchioda e Mira è costretta a mettere le mani avanti per non sbattere contro il cruscotto.

Le fa cenno di scendere e la donna si affretta ad obbedire.

“Come sua maestà ordina” ridacchia indicandole il nulla assoluto. “Sbrigati!”

 

Mira lo fissa a bocca aperta e si domanda se la controllerà “va bene. Ma sii cavaliere e girati” ridacchia con voce stridula sistemandosi dall’alto lato della macchina. Lo sente ridere a lungo e la paura le blocca la vescica. 

Quando ha finito, si rimette a posto il vestito velocemente, mezza congelata e alza la testa ritrovandoselo di fronte.

Mi ha guardato?! Quando…non l’ho visto muoversi! Pensa allarmata spostandosi di qualche passo.

“Hai delle gambe stupende” sussurra avvicinandosi “fammele vedere”

“Non è carino, siamo solo alla prima uscita” balbetta impaurita abbozzando un sorriso tirato e scostandogli le mani dalla vita e dai fianchi “No. No, Marvin. Smettila!” urla d’un tratto sentendo di nuovo il gelo che le avvolge la pelle.

Un dolore acuto alla mano che le ha afferrato, la fa strillare “smettila? A me? Al tuo Re?” bisbiglia avvicinandosi al volto, il succhiotto che le ha fatto sul collo che le scurisce la pelle. La bacia con forza, facendola divincolare. Le torce un braccio dietro la schiena finchè non si muove più e il petto sussulta per i singhiozzi strozzati.

“Ti sto portando con me, ti ho accontentata quando me l’hai chiesto e tu continui a dirmi di no?”

Mira non si muove, lo sguardo fermamente puntato a terra. I pazzi vanno assecondati.  

Alza la testa e sorride con difficoltà “hai ragione Marv, scusa. Posso darti un bacio per farmi perdonare?”

Lui la guarda a lungo avvicinandosi di tanto in tanto “stai cercando di fottermi?”

“No” replica in fretta accarezzandolo con la mano libera. “Ho voglia di baciarti..Pensa ad altro, pensa ad altro! S’impone mentre gli fa abbassare la testa, pensa che sia Abe…o Harvey…

L’immagine di Bronx non l’aiuta. Per fortuna l’uomo la stacca da se e la guarda arrabbiato, puntandole un dito in faccia. “Tu sei matta, hai qualcosa che non va”

Io, eh? Pensa inviperita sforzandosi di non aprire bocca.

“Sali in macchina. E se tenti di fottermi, ti fotto io per primo” l’avverte spingendola dentro e facendola respirare di nuovo.

“Fortuna che siamo quasi arrivati…sempre a me capitano le sciroccate!”  lo sente bisbigliare mentre mette in moto.

Fanculo! Pensa arrabbiata dicendosi che in quella direzione c’è solo una cittadina sperduta. Avrebbe trovato sicuramente aiuto.

Doveva trovarlo!

 

****

 

La Chrysler blu vagamente impolverata li segue da quando hanno lasciato la città. Il suo occupante ha appena riposto il potente binocolo rubato in un’armeria militare e ha rimesso in moto, sempre tenendo una distanza di sicurezza quando li ha visti ripartire.

Gliel’aveva detto che era psicotico ma non immaginava che avrebbe rapito una donna! Figlio di puttana senza Dio. Vedi che succede a fidarsi degli avanzi di galera come Marv? Ancora non l’aveva violentata e la cosa era molto strana. C’era andato vicino due volte, ma chissà come mai quella donna era sempre riuscita a scamparla.

Sospirò infastidito mentre spingeva la chiamata rapida nel vivavoce del cellulare. “Sono io. Ha rapito una donna.”

Attese la risposta e non si stupì “Vi serve?”

Guardò il telefono e sorrise ampiamente “me ne occupo io”  

Gonfiò le guance e sbuffò un po’ di volte per gioco, aprendo la valigetta sul sedile del passeggero. Dentro si stagliava l’ultimo modello di fucile Sniper Sako TGR, un gioiello costruito apposta per i tiri di precisione a lunga distanza. Lo usavano molti enti governativi…e lo usava lui!

Fece schioccare la lingua e lo rimise a posto. Pistole ad azione singola e un bel coltellino svizzero multiuso che usava per aprirsi la birra, popolavano il cruscotto ermeticamente chiuso.

Decise che avrebbe seguito gli ordini a metà. Se quello era un gran coglione, perché doveva andarci di mezzo quella poveretta?

Lo mando a chiedere l’elemosina all’Inferno se prova a rompermi i coglioni!

 

***


 

“Aiutami a scaricare quella roba!”

Mira annuì in fretta e prese un pacco fra le braccia, domandandosi quanto pesasse. C’era droga dentro. L’aveva capito quando si era presentato in quel macabro balletto.

“Non hai freddo vestita così? Ho dei vestiti pesanti in quella sacca” le disse comparendole davanti all’improvviso.

“No. grazie. Sto bene” mentì con il naso rosso e il pacco che pesava “dove devo metterlo?”

“In terra. Stanno arrivando. Non una parola e se te lo chiedono tu sei la mia amorevole fidanzata” la prese in giro con un ghigno cattivo, accarezzandole il viso. Mira lo lasciò fare domandandosi che sarebbe successo dopo.


L’avrebbe uccisa? Certamente. Violentata come minimo.

Quando vide la macchina comparire in lontananza, Mira pregò tutti i santi che conosceva. Ed erano pochi perché non era mai stata una fervente cattolica e non ci credeva poi molto.

Si torse le mani a lungo, quando vide scendere tre persone dalla Cadillac nera e impolverata che aveva visto giorni migliori. Tre uomini, tutti con brutte facce che la scrutavano sorpresi.

“La mia ragazza ha insistito per accompagnarmi” esordì con un sorriso smagliante “come negli accordi, datemi il denaro”

“Prima controlliamo la merce” affermò quello più grosso, strizzato in un bomber verde militare. Estrasse un temperino dalla cintura e tagliò il nastro dei pacchi marroni, stracciando la carta e rivelando tanti soffici cuscini bianchi.

Mira s’impose di guardare da un’altra parte con aria annoiata.

Il secondo fece un buco minuscolo e intinse il dito nel panetto. Esitò e la guardò. “Prima le signore” affermò porgendolo verso Mira che girò la testa sorpresa.

Marv la fissò con odio e la trascinò davanti al tipo più smilzo.

“No...grazie. Io non uso quella roba, sono ancora ferma alle canne” affermò la donna con aria scherzosa.

“Un momento buono come un altro per cominciare, amore” le sibilò strizzandole il braccio e facendola quasi gemere. I tre uomini si guardarono e quello di fronte a Mira ritirò il pacchetto. “Che storia è questa?” domandò con voce alterata. “Chi cazzo è questa troia?!

“Una puttana che sta facendo un sacco di storie!”

Marvin è fuori di se e non esita a spingerla avanti “avanti, amore”

Mira li fissa a turno tremando, non vorrà mica che assaggi quello schifo? Non si è mai fatta neanche una canna in vita sua, figurarsi se adesso si metteva a sniffare Morte in polvere!

“Piantiamola con questo casino”

La donna gira la testa sul terzo componente della banda che non aveva ancora mai parlato. “Visto che la roba è tua, l’assaggi tu” borbotta rivolto a Marv che accenna un sorrisetto,

“Sai che dispiacere” soffia fra i denti prendendo il pacchetto.

Mira lo osserva senza battere le ciglia. Era pazzo da lucido, ora che gli sarebbe successo?

Magari diventava normale, pensò in un lampo di speranza. O magari ci lasciava la pelle, il che era ancora meglio.

 

Marvin continua a parlare tranquillamente, alternando sprazzi di risate stridule a discorsi bizzarri che non avevano niente a che fare con la situazione.

Sembrava una scena tarantiniana e lei non ne poteva più di starli a sentire cianciare di sport e donne.

 

Si ritirò sempre più verso il taxi, un centimetro alla volta, decisa a rubargli la macchina: le chiavi erano appese dentro e non le ci sarebbe voluto molto a mettere in moto e filarsela. 

Dove stai andando, gattina?”

Accidenti a te! “Da nessuna parte” rispose seccata e con evidente disprezzo. Marv sembrava normale: la droga non aveva fatto effetto?

 

Lo vide salutare i tre che accennarono appena una risposta e si diresse verso di lei con passo malfermo e il volto scuro. Quando se lo ritrovò di fronte, Mira ebbe veramente paura.

“Adesso facciamo un’altra tappa, gattina” borbottò spingendola verso l’interno del taxi, facendola cadere sul sedile del guidatore. Mira si affrettò a tirarsi su perché la situazione non le piaceva per niente

“Spostati, dai” ridacchiò osservando il vestito che si era alzato sulle gambe. Più si muoveva e più si sollevava.

Con un moto di stizza Mira lo tirò giù e lo sfidò con lo sguardo vedendolo rabbuiarsi sempre di più.

Mentre era a metà, con la schiena sulla leva del cambio, lo vide infilarsi dentro a sua volta, costringendola ad aprire le gambe quando ci infilò un ginocchio in mezzo con un sorrisetto scemo che la mandava in bestia.

“Ops, scusa che maldestro” ridacchiò spingendolo più su e appoggiandosi al volante con una mano e al sedile con l’altro.

Le aveva imprigionato la parte inferiore del vestito e ora Mira non poteva più muoversi.

Cristo, cristo, cristo! Imprecò fra i denti senza emettere un fiato e guardandolo svogliatamente.

“Ci facciamo notte?” domandò con lo stesso tono che avrebbe usato per domandare il prezzo di un vestito.

“No, pensavo di fermarmi in un bel posto, per questa notte” le rispose senza smettere di guardarle le gambe “tira su quel vestito”

“Non posso…” ammise sempre più inquieta “Marv togliti, ho la leva del cambio infilata nella colonna vertebrale!” esplose ad alta voce scuotendolo dal suo torpore.

Lui la guardò e non emise un fiato, dandole la possibilità di tornare finalmente al suo posto.

Brutto bastardo te la faccio pagare, te la faccio pagare appena possibile! Si ripromise mentre l’uomo scivolava al volante e metteva in moto.   

 

***

 

Il signor M abbassò il fucile che aveva tenuto premuto per tutto il tempo contro la spalla, l’occhio incollato al mirino e l’indice pronto sul cane.

Non era corso un solo brivido nei muscoli mentre lo teneva sotto tiro, e ora sentiva mille formiche che gli rosicchiavano le braccia e il collo neanche fossero ad una festa privata.

Riadagiò il fucile accanto a se e prese il binocolo seguendo la direzione del taxi.

 

Era quasi buio.

Si dirigeva in città per una nuova consegna.

Avrebbe pernottato da qualche parte trascinando quella poveretta con se.

Tanto meglio per lui. 

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Capitolo 8
*** Scene 7 : occhi azzurri ***


“C’è l’hai

“C’è l’hai?”

“Sono venuto apposta”

E lei?”

“La mia ragazza”

“Bella donna, davvero!”

 

Il Grasso Peri le scoccò un’occhiata d’ammirazione e lascivia insieme e Mira non emise un solo gemito.

Continua a pensare, a ponderare, a cercare modi per liberarsi di quel pazzo furioso. Aveva escogitato un giochetto semplice che le sarebbe equivalsa la libertà o una pallottola in testa: nel momento in cui avrebbe scaricato la merce, si sarebbe infilata in macchina alla velocità della luce e sarebbe scappata.

Semplice, funzionalee secondo la legge di Murphy: se qualcosa può andare storto lo farà, si ricordò con un mezzo sorrisetto sarcastico che Marv non vide, troppo concentrato a trattare col Grasso Peri che non le levava gli occhi di dosso.

E per lei quanto vuoi?”

“Non sono in vendita!!” esplose adirata e indignata “schifoso, grasso maiale, non mi lascerei toccare da te per tutto l’oro del mondo” sbottò guardandolo fisso e trattenendosi dal fare una faccia ancor più disgustata.

“Cristo, finiscila!” borbottò Marv annoiato, come se non l’avesse sentita “ha le sue cose, non farci caso”

“Femmine isteriche…” sibilò lanciandole un’altra occhiata.

Mira era il ritratto dello stupore e quasi scordò il suo piano. Mentre contrattavano sul prezzo, si infilò nel taxi e accese il motore sbuffando gas di scarico su di loro che li fece tossire abbondantemente.

Si chiuse dentro e lanciò un’occhiata allo specchietto posteriore: Marv si stava avvicinando con aria minacciosa, visibilmente seccato dalla presa di potere.

Si aggrappò al finestrino semiaperto nel momento in cui Mira faceva marcia indietro, maledicendo il vicolo stretto e buio in cui si erano infilati e rischiò d’investire il Grasso Peri, cianotico in volto per le esalazioni che aveva respirato troppo a lungo.

Mira lo vide con la coda dell’occhio: preparò una gomitata che andò a piantarsi nel vetro, riducendolo in frammenti e schizzandole in faccia una pioggia trasparente e pericolosa che la costrinse a chiudere gli occhi per non essere ferita.

 

La macchina sbandò e andò a schiantarsi contro il muro. La bassa velocità la salvò dal rompersi il naso contro il volante, ma non le impedì di spaccarsi il labbro contro di esso.

“Che cazzo credevi di fare, eh? Che cazzo credevi?!” Urlò come un pazzo tirandola fuori dal taxi e facendola crollare a terra.

Miriadi di minuscoli taglietti le costellavano il viso e Mira temette di essere rimasta sfregiata, per il gran dolore che sentiva sul mento e la rendeva insensibile e intontita. Il sapore del sangue l’informò che era riuscita a provocarsi un danno consistente.

 

Essere strattonata e rimessa in piedi in quel modo non l’aiutò e neanche il gran ceffone che la mandò a sbattere contro il muro fu utile per riprendersi.

“Adesso sali la dentro e te ne stai buona e zitta! Mi hai capito?!”sibilò o meglio, sputò sul suo viso centrando qualche punto imprecisato della confusione che sentiva in testa.

Annuì o pensò di averlo fatto e Marv la trascinò dentro e le tolse le chiavi con un gesto violento.

 

“Stavamo dicendo?” borbottò al ciccione che aveva osservato tutta la scena ed era rimasto a bocca aperta.

 

***

 

Il signor M si staccò dal muro che lo celava alla loro vista, riponendo sotto la giacca la pistola che aveva tenuto stretta in pugno per tutto il tempo.

L’aveva visto? Quando era passata a quella velocità, l’aveva registrato, anche solo con la coda dell’occhio?

Si allontanò di molti passi e frugò in tasca tirando fuori un piccolissimo trasmettitore. La pulce magnetica che aveva lanciato sul taxi mandava un vago borbottio, all’inizio indistinguibile.

Alzò il volume, attizzò le orecchie e lo guardò come se dovesse rivelargli qualche immensa verità.

 

>>Ti ammazzoti ammazzonon so come, ma lo faccio<<

 

Il signor M si concesse un vago sorriso, quando sentì che la donna non piangeva e non si lamentava.

Brava, aveva fegato.

Gliene sarebbe servito molto.

 

***

 

Il motel è qualcosa di così squallido e malfamato che Mira non può fare a meno di sentirsi male.

Avrebbe aspettato che si fosse addormentato e poi sarebbe scappata, pensò mentre la spingeva verso l’interno e poi su per le scale luride, di legno scheggiato.

Uno scarafaggio corse velocemente in un anfratto e Mira ridacchiò pensando che se l’avesse ritrovato nel letto, sarebbe stata compagnia migliore di Marv; l’uomo non dava cenni di stanchezza e la strattonava con forza.

La lanciò all’interno della stanza e sbattè la porta con violenza. “Spiegami la scenetta isterica, signorina”

Mira recuperò l’equilibrio con difficoltà la testa che le girava ferocemente per il dolore “non mi piace la tua compagnia” mormorò restandogli bene lontano.

Si guardò fugacemente attorno per riuscire ad individuare un oggetto contundente, ma a parte qualche mobile scassato non c’era nulla che potesse servirle.

Sbattè gli occhi guardando il letto e ingoiò il terrore e le lacrime; lo fissò, mentre scuoteva la testa e le spiegava che ‘non poteva comportarsi così durante l’orario di lavoro, che non poteva farlo altrimenti sarebbe stata costretto a farle del male e lei non voleva che le facesse del male, vero?

“Ne farei volentieri a meno” mormorò avvicinandosi alla finestra.

“Mah…secondo me ti piacerebbe. Sei piuttosto strana”

Cadere di sotto e frantumarsi la testa non fa parte dei miei piani, ma sarebbe stato sempre meglio che…

Mira captò la frase con un attimo di ritardo. Troppo ritardo. Si voltò appena, il sangue ghiacciato nelle vene che non scorreva più.

“Cos… lasciami!” urlò d’un tratto facendo allontanare l’auricolare dall’orecchio del signor M.

 

Una pulce gliel’aveva piazzata anche nei vestiti e lei neanche se n’era accorta, pensò arrampicandosi quasi fuori della finestra e mettendosi comodo a spiarli.

Quello che succedeva non erano affari suoi. Lui doveva tenere d’occhio il carico ma quella poveretta non meritava un trattamento simile. 

Chiamò il suo committente velocemente, la prima telefonata da molti giorni a quella parte.

“Sono io. No, non ho ancora sgomberato la cantina” mormorò tenendo d’occhio la lotta che stava svolgendosi nella stanza di fronte alla sua.

“Il vecchio sacco da boxe sta perdendo sabbia e quell’armadio m’intralcia il lavoro. Mi sta infastidendo, posso sbarazzarmene?”

Ascoltò la risposta aggrottando la fronte. Poteva sentire Mira urlare dall’auricolare che aveva appoggiato accanto a se. 

Va bene, lo trascinerò in fondo alla stanza. Per ora.” Sottolineò nervoso.

 

Afferrò la valigetta e uscì dalla stanza.

Cambiò la camera allungando un bel centone al gestore che restò a bocca aperta e gli consegnò le chiavi di una stanza accanto a quella dei due ‘lottatori’; salì rapidamente le scale, sostò nel corridoio per ascoltare i rumori che facevano e s’infilò dentro lanciando la valigetta sul letto, guardando la parete.

Quel tipo lo infastidiva.

Parecchio.

 

Aprì la valigetta e tirò fuori il fucile montandolo lentamente, sempre guardando la parete, stavolta con un ampio sorrisetto stirato.

Afferrò un fonendoscopio e lo appoggiò al muro studiando attentamente le onde sonore. 

Prese il fucile e poi la pistola, soppesandole entrambi. Fece una smorfia, sollevò le spalle e lasciò cadere la seconda nella fondina. Appoggiò la canna nera del fucile alla parete e aspettò.

E sorrise nuovamente.

 

***

 

Marv… ti prego: sta calmo!”

“Sono calmissimo. Sei tu che ti stai agitando” affermò guardandola giacere sul letto, sotto di se.

Metà del suo vestito era andato e una buona parte stava per prendere il volo…e lei non doveva agitarsi?!

“Marvin non farlo... per favore” lo supplicò in seria difficoltà. 

“Non fare cosa? Ma vuoi toglierti questo coso di dosso?” esplose cercando di strapparle via il resto dell’abbigliamento.

Perché non andiamo a mangiare qualcosa e poi... magari quando torniamo…” Mira glielo lesse in faccia che non stava minimamente prendendo in considerazione la cosa.

“No, eh?” balbettò cercando di sgusciare via: era saldamente bloccata sotto di lui, come faceva a scappare?

Ma per favore” ridacchiò facendole volare un altro pezzo e restando a guardarla. “Porca puttana…” sussurrò ipnotizzato toccandola quasi con riverenza.

 

Non toccarmi non toccarmi mi fai schifo lasciami immediatamente!!!

 

Marv… ho un buco allo stomaco, non mangio da giorni. Singhiozzò sentendolo vagare ovunque. Prese coraggio, gli afferrò la testa fra le mani e lo guardò dritto negli occhi “per favore, tesoro. Andiamo a mangiare prima, poi… quando torniamo… lo faremo tutte le volte che vorrai”

La voce si spezzò e incrinò in vari punti, mentre lo supplicava e lui la guardava, ma non era sicuro che la stesse ascoltando. Cristo, le faceva schifo averlo così vicino, ma dove a farlo.

Lui annuì più volte, imbambolato e Mira lo lasciò dopo un po’ sorridendogli e continuando ad ingoiare le lacrime.

“Torno subito…faccio un salto al bagno…a lavarmi la faccia” sussurrò alzandosi e afferrando il cappotto per coprirsi.

 

Il signor M abbassò il fucile ed emise un gemito d’incredulità. Era riuscita a fermarlo anche quella volta. Ma come faceva? E che aveva nel cervello quell’essere?

Si spostò dal muro, tornò all’auricolare e lo infilò. Niente…quando le aveva strappato il vestito, probabilmente era saltata anche la pulce, pensò sempre più seccato posando il trasmettitore.

Poi guardò la finestra e si diede dell’idiota per non aver pensato alla soluzione più semplice.

 

Si issò fuori dopo essersi tolto giacca e scarpe e si avvicinò alla finestra della camera strisciando sul cornicione.

S’inchinò e ascoltò l’acqua scorrere a lungo, sentendola piangere. Chinò leggermente la schiena e la testa, cercando di non cadere e la vide rannicchiata su se stessa, le braccia abbandonate sul lavandino, il viso seppellito nel mezzo.

 

Il signor M guardò il vestito fatto a pezzi che doveva essere stato un gran bel vestito all’inizio, elegante, da serata speciale.

Magari se l’era messo per andare a cena con qualcuno, magari l’aveva messo per il primo appuntamento….

La vide tirarsi su di scatto, ravviarsi i capelli e sciacquarsi per l’ennesima volta le guance, cercando di non piangere in quel modo straziante.

 

Ha gli occhi azzurri, pensò mentre tornava nella stanza e riponeva il fucile nella valigetta dopo averlo smontato in fretta. 

 

Ha gli occhi azzurri, pensò mentre si mascherava velocemente, dopo aver tratto dalla seconda valigetta tutto l’occorrente ed essersi cambiato i vestiti.

 

Ha gli occhi azzurri.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Scene 8 : Si dice che... ***


Dopo quella notte, si raccontano strane cose al Drunken Bulldog

Dopo quella notte, si raccontano strane cose al Drunken Bulldog.

Si dice che la serata non era stata male, un po’ più fredda del solito, ma dopotutto stava entrando l’inverno, che ci si poteva aspettare.
Si dice che Molly, la starlet principale del locale, avesse sbancato le tasche dei clienti con un’esibizione  più hard del solito e che le cameriere non avessero fatto altro che distribuire birra e superalcolici in quantità industriali.

E fin qui tutto regolare.
Ma si racconta anche che c’erano degli strani tipi che si aggiravano la dentro, una donna dall’aria stanca e gli occhi azzurri grandi come laghi invernali, accompagnato da un uomo in evidente stato d’alterazione.

C’è chi dice che la donna fosse terrorizzata dallo stargli accanto, come riferì Jenny la cameriera che li servì tutta la sera.

Si, sembrava impaurita, come se da un momento all’altro avesse dato di matto. Secondo me l’aveva costretto a seguirlo.

Si raccontano cose strane al Drunken Bulldog. Come l'irruzione della polizia, un'azione del tutto inutile e fuori luogo.
Il locale era a posto con la licenza, il personale adeguatamente pagato e in regola.
Più o meno.
Si dice che la polizia mostrò a tutti gli avventori - a quelli meno ubriachi, ad essere precisi - la foto della donna e che tutti annuirono e indicarono un tavolo improvvisamente vuoto.
Si racconta che gli agenti batterono la zona la intorno tutta la notte, sguinzagliando i cani antidroga che dovettero subito essere rimessi a cuccia poichè impazzirono per la presenza eccessiva di marijuana e altre delizie simili nelle tasche dei clienti  e si racconta anche che il Perfido Bluebarry, come lo chiamava la dolce Angeline - questo perché il bastardo le aveva spezzato il cuore - dopo ore di inutili ricerche, si eresse in tutto il suo metro e 78 e grugnì che la donna era ricercata e che chi l'avesse vista doveva riferirlo immediatamente alla polizia. Disse che era stata rapita dal tipo magro e che quelli di New Orleans se la stavano prendendo a cuore per la sparizione della loro collega e 'gli avevano smazzato le palle e che non voleva avere niente a che fare con quella iena di Bronx, se la sua donna tirava le cuoia e che avrebbero fatto bene ad andarsene tutti quanti a casa dalle mogli a riprendersi dalla sbornia, se non avessero voluto alloggiare a spese dello stato nelle prigioni della contea.'

Dopodiché, soddisfatto per essere riuscito a rovinare la festa a tutti, si mise comodo, ordinò un cognac che, ovviamente, non pagò e tormentò nuovamente la povera Angeline che aveva ancora un debole per lui. Due moine e la ragazza finì la serata nel retrobottega in una sessione rovente che non staremo qui a descrive perchè non fa parte della nostra narrazione.
Quello che ci interessa veramente è sapere come andarono i fatti, cosa successe alla povera Mira, se riuscì a scappare e Marv la inseguì, se il signor M attuò il suo lavoro fino in fondo.

Si dice che la vendetta vada attuata a freddo, per gustarla meglio. Si dice che un uomo possa raggiungere livelli tali di crudeltà da far rabbrividire al solo pensiero.
Chi non lo vide e non lo sentì, non  potè capire quale tragedia si consumò sulla via del motel, quando Marv trascinò via la sua preda recalcitrante e in lacrime e il signor M li seguì, silenzioso e letale.
Chi non lo vide, ringrazia ancora di essere stato assente.
Chi lo vide, ha ancora gli incubi.

REW

Mira si sforzò d’ingoiare il cibo, anche se il più delle volte rischiò di strozzarsi. Marv la fissava come un pazzo e continuava ad occhieggiare la scollatura che s’intravedeva dal cappotto.
Il signor M stava cenando poco lontano da loro. Se si poteva chiamare cena uno squallido hamburger freddo in quel postaccio da camionisti dove l’aveva portata!
Uno strip bar.
Il più lurido e misero strip bar nel raggio di chilometri!
Il signor M lo studiava da lontano, occhieggiando la donna che stava sempre più l’idea di stare per crollare. Era al punto di rottura.

“Perché siamo venuti qui?” domandò con voce tremula buttando giù un altro boccone.
“Un cliente. Gestisce sto posto, lo rifornisco da anni” spiegò facendo cenno alla cameriera di portargli un’altra birra.“Eccolo. Resta buona qui, mi sbrigo in un attimo” ridacchiò dandole un bacio sulla guancia che la fece sbiancare.
Questo è pazzo, pazzo! Diosanto, non ce la faccio più! Pensò sforzandosi di sorridere sebbene provasse solo un’enorme tristezza.
“Su con la vita, tesoro. Dopo ci penso io a farti tornare il sorriso” le disse con voce che voleva essere dolce e rassicurante, prima d’andare incontro ad un uomo piuttosto mingherlino e dall’aria nervosa.
E come no?! Pensò cercando di non ridere istericamente. Si prese il viso fra le mani e massaggiò la fronte, notando con la cosa dell’occhio un tipo che l’osservava.
Il signor M restò non sorpreso quando si girò dalla sua parte e lo fissò per qualche istante, tornando a posare gli occhi sul piatto che fu celermente agguantato dalla cameriera in cambio di un boccale di birra.
Una donna carina in un posto del genere non si stupisce se un uomo la guarda, pensò bevendo un sorso della bottiglia di Ceres davanti a se.
La osservò di tanto in tanto, vedendola sollevare la testa di scatto e afferrare un tovagliolo di carta che strinse fra le dita. La vide frugare nella borsetta e cercare qualcosa che non riusciva a trovare. La vide agitarsi, guardarsi attorno e chiedere timidamente ad una cameriera una penna e l’indicazione per il bagno.
Nascose il fazzoletto nella mano e si avviò verso di lui, anche se la toilette si trovava dall’altra parte del locale. Mira finse di perdere l’orientamento, perché Marv non le toglieva gli occhi di dosso e spiava tutte le sue mosse.
Il signor M la vide sorpassarlo, guardarsi attorno indecisa e lasciar cadere il fazzoletto ai suoi piedi, tornando immediatamente indietro e infilandosi dietro una porta dopo averle lanciato un’occhiata che avrebbe spezzato anche una roccia.
Con indolenza ci mise il piede sopra e lo prese, infilandolo in una tasca dei jeans. Pagò la birra e uscì dal locale, leggendolo con un certo divertimento.

Mi aiuti, un uomo mi ha rapito. Guida un taxi verde e trasporta un carico di droga. La prego, trasmetta la targa alla polizia di New Orleans. Chieda dell’ispettore Bronx!
Mira

Lo rinfilò in tasca e si avvicinò al telefono componendo il numero. Ma si... un favore poteva anche farglielo.
Povera occhioni blu!

***
Ecco, mi servirebbe proprio una mano a sgomberare l’appartamento.


Bronx getta il giornale sulla scrivania, sbuffando e tornando a guardare la cartina della città chiedendosi se Mira fosse ancora in città oppure…
Niente oppure, non c’è oppure, decise smettendo di fissarla e sbuffando risentito verso i troppi doveri che non gli permettevano di occuparsi del caso in prima persona.
Sembrava che fosse stata inghiottita nel nulla nessuno l’aveva vista e nessuno ne reclamava la scomparsa perché la donna non aveva più parenti in vita.
Grande zio, sospirò facendo una smorfia e odiando quell’incarico che non gli permetteva di allontanarsi dall’ufficio, un caso di persona scomparsa non meritava la mobilitazione dell’ispettore capo e c’erano già tre persone che si occupavano della sparizione di Mira.
Mezze seghe, matricole che non sanno domandare, non sanno chi contattare e chi…

“Ispettore!! Telefonata anonima!”
L’agente che entrò quasi urlando nel suo ufficio, spezzando bruscamente il filo dei suoi pensieri e facendogli quasi fare un balzo dalla sedia gli sbattè in faccia un foglio con un numero sopra “ha telefonato un tipo voce contraffatta, senza accento particolare. Ha detto che la fotografa è stata rapita da un tipo..”
La voce si affievolì mentre leggeva il foglio “ ‘da un pazzo che guida un taxi verde’. Ecco la targa. Ha detto che trasporta un carico di droga e che proviene da questa città!” finì aspettando ordini.
“Un taxi verde….” Sussurrò cercando di mettere ordine nel marasma di pensieri che lo stavano sommergendo.

“Potrebbe essere un mitomane, ma altre gente ha visto quel taxi girare per le strade della città. Ha chiesto espressamente di lei e il suo nome non è stato divulgato alla stampa”continuò preciso e attento. Sembrava un soldatino di fronte al plotone d’esecuzione.
Bronx annuì imbambolato. “Scopri se esiste una compagnia che usa un colore del genere, ricercate la targa alla Motorizzazione” aggiunse in tutta fretta “e fate parlare qualche informatore” 
L’agente lo guardò con aria finta tonta
“Chiamami Skye” ringhiò cacciandolo fuori e tirandosi su le maniche. Così tante informazioni e nessun luogo in cui cercare…
“Ispettore, dimenticavo la cosa più importante!”
L’agente tornò sui propri passi visibilmente imbarazzato “la città in cui sono fermi in questo momento: Houma”
Bronx chiuse la bocca e lo guardò in cagnesco “mettetemi in contatto con il commissariato di Houma. Subito!” sibilò prima di prenderlo per la collottola e sbatterlo a dirigere il traffico in pieno mezzogiorno al centro della città.

***
La finestra del bagno era sufficientemente piccola da impedirle di passare e Mira la guardò come se la stesse tradendo. La sua unica via di salvezza aveva una superficie pari all’unghia del suo alluce! 
Devo trovare una via di fuga! Adesso! Non posso aspettare, non posso farmi riportare la dentro! Uscì dal bagno con aria tranquilla, anche se dentro ribolliva e scattò verso l’esterno del locale, investendo il signor M che stava rientrando a controllare la situazione. La prese al volo, fermando la sua corsa e sussurrò solo due parole, stringendola contro di se, come se stesse rimettendola in piedi.
“Stai calma”
Lo fissò negli occhi e per un secondo fu tentata di aprire bocca, di chiedergli se aveva telefonato alla polizia, se aveva parlato con Bronx, se… ma lui le sorrise, lasciandola passare.
Mira si voltò a guardarlo, ma l’uomo non diede segni d’interessamento e si chiuse la porticina del locale alle spalle, lasciando che un ubriacone la spalancasse nuovamente per travolgerla.
“Scusa bella” borbottò con voce inesistente prima di scansarla violentemente da una parte e vomitare l’alcool in eccesso.

“Dove cazzo sei?!”

Quella voce l’avrebbe riconosciuta ovunque! Mira si tirò su e riprese la sua corsa prima di fermarsi e rendersi conto che non c’era nessun posto in cui potesse andare. Un’ondata di sconforto la travolse così violentemente che barcollò, abbassando le spalle e voltandosi nella sua direzione il momento in cui Marvin le afferrava un braccio, strattonandola contro di se. “Dove stavi andando, tesoro?”
La donna abbassò la testa e tutte le lacrime che cercava di trattenere da giorni presero a scorrere, sconquassata dai singhiozzi.
“Che cosa c’è, adesso?!” sospirò con aria annoiata e stanca: la trattava come se fosse una ragazzina capricciosa e la cosa la mandava in bestia.
Mira lo spinse via, colpendolo più volte sul petto.
“Lasciami! Non mi toccare, lasciami tornare a casa mia!” Urlò più volte facendo girare i pochi avventori che si avventuravano fuori nel freddo pungente.
Marv l’afferrò saldamente fra le braccia, sentendola scalciare sempre meno. Mira si fermò, stanca, esausta,  con la vista offuscata dalle lacrime e dalla disperazione.
“Adesso torniamo al motel, così ti coccolo un po’ e domattina starai meglio” mormorò nel suo orecchio in quella che voleva essere un intento dolce e che suonò come una condanna a morte con tortura preventiva.
Mira si arrese e annuì. Non m' importa. Dopo mi lascerà stare, pensò sempre più disperata e svuotata. Magari dopo…
Alzò la testa verso l’entrata del locale. 
Il suo ‘aiuto insperato’ li stava guardando con espressione impenetrabile e distaccata. Mira lo fissò finchè potè, finchè Marv non la spinse via, verso il taxi verde.
‘Aiutami’ sillabò ancora una volta nella sua direzione. Il signor M continuò a guardarla in quel modo truce e non diede segno di averla sentita.

***
Appunti Privati
02,15 a.m.

Credete forse che mi divertissi a vederla soffrire in quel modo? Quel tipo mi disturbava, mi disturbava enormemente, per quello decisi di ucciderlo la notte stessa. Me ne fregavo degli ordini ricevuti. Dovevo prendere la droga e uccidere lui, nient’altro.
Ma.
C’è sempre il fottuto ma in mezzo.
La donna.
Mira.
Quella donna stava passando le pene dell’inferno con quel pazzo. Non che la picchiasse, le aveva dato solo uno schiaffo, ma la cosa bastava a disturbarmi.
E io non sono mai disturbato.
La polizia l’ho chiamata, le ho fatto quel piacere, ma quando arriveranno non la troveranno più con lui.
Non troveranno lui, il carico, il taxi.
Puff, svaniti nel nulla.
Evaporati.

Sapete che c’è di bello nel fare il killer, a parte avere un sacco di soldi per un rischio minimo? La bellezza vera è poter disporre di certe meraviglie introvabili sul mercato; basta avere i contatti giusti, gli amici e i debitori giusti.
I debitori sono quelli che mi piacciono di più.
Tutta quella bella attrezzatura che avete visto sparsa in camera mia, è frutto di un piccolo scambio.

Un’ esistenza contro una rifornitura a vita d’armi militari.

Li sto seguendo in macchina, quel coglione non si è accorto che lo pedino da giorni, che abito dall’altro lato della sua parete e che sto per toglierli la vita.
Lo fotterei a sangue se solo lei me lo chiedesse.
Non centra niente la cavalleria, mi stanno sul cazzo gli psicotici. Cani drogati fino agli occhi, carcasse putride da scansare con l’angolo della scarpa per timore di sporcarsi la suola con le loro budella.

Sapete qual è il bello di fare il killer?
Non lo sapete, non lo immaginate…
Il bello è poter fare del male a quelli come lui.
Senza rimorsi.
 

 

 

 

  

 

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Capitolo 10
*** Scene 9: Topi sotto anfetamine ***


Nuova pagina 1

"Dai, ripetilo un'altra volta. Non ti ho sentito"
"Sono un perdente! Sono un perdente!!"
"Bravo, ripetilo più volte vedrai che ti ci entra in testa."

Qualche stralcio di conversazione che è stata udita risuonare nella valle mentre pioveva. Qualcuno dice che un uomo urlò a lungo e implorò più volte pietà, mentre spari ripetuti a cadenza costante laceravano l'aria.
Si dice che ci fu un urlo di donna, una volta sola e che si spense subito, come se fosse stato soffocato da qualcosa. Forse una mano, ma chi l'ha riferito non ne era sicuro.

*°*°*°*
Il signor M li aveva raggiunti velocemente, gli aveva tagliato la strada fangosa, mentre pioveva a dirotto, tanto che i tergicristalli non ce la facevano ad arginare un tale scoppio d'ira celestiale.
Non si era limitato a mandarli fuori strada: aveva sparato alla gomma sinistra posteriore, per assicurarsi che la forza motrice del motore fosse insufficiente a farlo camminare ancora. Quel maggiolino era un modello troppo vecchio, ci sarebbe voluto un trattore per tirarlo fuori di lì.
Lo schizzato era bloccato e alla sua mercé.
Il signor M si concesse un larghissimo sorriso interiore mentre apriva la portiera del taxi e lo scaraventava fuori, sotto il tornado che infuriava violento e il buio della notte si confondeva con l'ombra scura che celava il suo volto.
Guardò appena la donna, rimasta paralizzata sul sedile del passeggero: osservava il suo rapitore rotolare nel fango, macchiato e fradicio, ferito in più punti per il contatto con le pietre aguzze che spuntavano traditrici dal terreno aggredito dalla pioggia.
Marv si riprese come una furia dalla sorpresa, balzò in piedi e fu nuovamente rigettato a terra.

"Chi cazzo sei? Che cazzo vuoi?"
"Sciacquati la bocca quando parli con me, stronzo!" sibilò mollandogli in calcio nel fianco e facendolo piegare da un lato con un lungo gemito.
Mira li osservava esterrefatta cercando di capire chi fosse quel tipo che si accaniva su Marvin: un cliente non soddisfatto, qualcuno che lo odiava?
Senza pensarci un minuto di più, si mise al posto di guida, chiuse lo sportello e cercò di avviare il motore.

L'uomo la guardò e non fece assolutamente nulla, se non piegarsi su Marv e far scattare un coltellino a serramanico a pochi centimetri dai suoi occhi. "Il carico, forza"
"Ma chi cazzo sei, non ti do un bel niente!" urlò di rimando sputandogli addosso e rimediandosi un pugno di rovescio che lo fece gemere e lo mandò un'altra volta con la faccia nel fango.
Il signor M si sedette quasi su di lui, piazzandogli un ginocchio sotto la gola e premendo forte "non te lo ripeterò un'altra volta"
Marv rischiò di soffocare e fece cenni con la testa che il killer interpretò come un si. Figlio di puttana con le donne e vigliacco con chi è più grosso di lui, pensò disgustato, colpendolo un'altra volta.
L'acqua gocciolava dai capelli corti della parrucca che aveva indossato ma il trucco resisteva. Gliel'avevano detto che quel cerone era formidabile, pensò mentre apriva la portiera facendo urlare Mira di spavento, le toglieva le chiavi dall'accensione e andava ad aprire il portabagagli.
"Sei impantanata, sciocca"
Quando le parlò, la sua voce risuonò calma e bassa a dispetto della furia con la quale si era accanito su Marv.
"Prendilo" ordinò all'uomo che giaceva ancora in terra con uno sguardo folle che Mira gli aveva già visto e che la impaurì ancora di più.
Scese dal maggiolino e affondò immediatamente con i tacchi nel fango, rischiando di cadere; si voltò a guardarlo: il signor M la fissò per un breve secondo dritto negli occhi e tolse un pò di acqua che cadeva dal collo nel giubbotto pesante che aveva indosso. "Vattene" mormorò tornando a fissare Marv. "Non è roba per donne, questa"
Mira annuì e cominciò a correre verso la città che avevano appena lasciato.
Il killer alzò metaforicamente le spalle: il carico come prima cosa.

Non fece in tempo a finire il pensiero che fu scaraventato a terra da un furiosissimo Marvin che lo colpì, una granula di colpi lanciati a caso che il più delle volte andarono a vuoto ed ebbero come risultato quello di infastidire ancora di più il signor M che non era tanto contento di giacere a terra zuppo e infangato.
Lui odiava il fango.
In preda a questo pensiero, girò rapidamente su se stesso ed estrasse la pistola che gli ficcò deciso sotto il mento, senza una parola.
Quello bastò a farlo fermare, il sudore freddo che si mescolava al gelo della pioggia e lo faceva tremare.

Fu allora che il signor M si prese la sua vendetta.

Fu allora che Mira si fermò, con la pioggia negli occhi che non le facevano vedere la strada, gelata fin nelle ossa, e guardò più volte dietro di se, spaventata e indecisa. Aveva corso tutto quel tempo chiedendosi quand'è che sarebbe caduta come nei migliori film horror che vedeva da ragazzina con il fidanzato di turno, quand'è che quell'uomo l'avesse raggiunta per ucciderla come aveva fatto con Marv, perchè l'aveva ucciso - certo, lo aveva fatto - quand'è che un TIR l'avesse investita, quand'è che ...
Si fermò togliendosi più volte l'acqua dal viso, gli occhi gonfi di lacrime e il cervello che le gridava di fuggire, di non guardarsi indietro e di scappare il più lontano possibile. Aveva dimenticato la borsetta con tutto il contenuto al suo interno! Come avrebbe fatto senza soldi?! Marv le aveva sequestrato il cellulare, non aveva niente con se, solo quel vestito che cadeva a pezzi. Si stupì della logica con la quale affrontò il problema pratico e si costrinse a tornare sui propri passi, dicendosi che non poteva andare tanto peggio di così.
Poteva solo morire, ormai.
I due uomini erano impegnati in una lotta furiosa e non l'avrebbero degnata di uno sguardo. Sarebbe sgusciata dall'altro lato cercando di non farsi notare e ....

Mira si immobilizzò alla scena e trattenne il fiato, quando vide il signor M sparare senza alcuna indecisione al corpo esanime di Marv che aveva lottato fino all'ultimo ed era stato atterrato da un poderoso colpo d'arti marziali.
I corsi da ragazzo sono serviti a qualcosa, si disse voltandosi verso la propria auto e registrando un dato estraneo seguito da un urlo soffocato.
Che ci faceva di nuovo lì?

Il signor M la guardò con l'aria ancora vagamente incazzata e Mira si ritrovò a fissare due occhi cattivi che le diedero i brividi.
Fu allora che la droga che Marv le aveva gettato nella bevanda mentre era distratta cominciò a fare effetto e Mira vede l'ombra di quell'uomo prendere forma, ingigantirsi e oscurarla, avanzando minacciosa e fredda.
L'ombra arrivò a toccarla e lei sentì il gelo che le ghiacciava il sangue, che risaliva su su, fino al cervelletto, dandole la nausea e sconvolgendo l'equilibrio, rendendola instabile sulle caviglie, perchè i tacchi erano partiti da un bel pò: se li era tolta per correre meglio.
"Non uccidermi..." sussurrò facendo un passò indietro e sentendosi risucchiata in un gorgo nero: non sentiva più nulla, era diventata sorda?!
"Non ci sento più" singhiozzò spaventata portandosi le mani alle orecchie e ricominciando a piangere.

Fu quando il signor M si mosse verso di lei che Mira sentì la terra spalancarsi e inghiottirla di colpo.


*°*°*
 

Quando si riprese, la testa le pulsava ferocemente. Si tirò a sedere e massaggiò la fronte e le tempie con entrambe le mani, tirando indietro i capelli che le si erano ravvogliati sul viso e la nuca. Che caldo che fa! Si tolse il cappotto e restò solo col vestito da sera di seta bianca.
Non era nero? Lei era sicuro di averne indossato uno nero, prima di uscire.

“Ehm…signora? Signora, le dispiacerebbe togliere il piede dalla mia coda? Grazie”squittì lo scoiattolo massaggiandosi la coda pelosa e correndo via.
Sto ancora sognando, si disse incominciando a camminare verso l’entrata della città. Dove erano finiti tutti? E quel matto di Marv?!
S’illuminò pensando che avrebbe potuto chiedere aiuto mentre lui era assente e allungò il passo. Era a piedi nudi.
“Dove stai andando?!”
Mira inchiodò e si voltò a guardare il suo compagno di viaggio fuso di testa.
“C’è stato un bordello. Un mezzo agguato e quei tre sono morti” spiegò togliendosi la polvere di dosso “tu stai bene?”
“Si, ma stavo meglio senza di te” ammise aspettandosi una reazione violenta che non avvenne. Quei tre? E chi sono?
“Sei simpatica, si si. Sai che non so cosa fare adesso?” Le disse con le mani sui fianchi “mi serve un telefono, vieni con me”
La afferrò per un polso e Mira lo seguì di malavoglia; Nel bar, la gente li guardò appena.
Si fanno gli affari loro in quella città, pensò mentre Marv individuava il telefono. La portò con se, dandole la schiena mentre bisbigliava nel ricevitore.

Una ragazzina punk la fissa dal fondo della sala. Mira sillaba un silenzioso ‘aiuto’, sperando che la capisca. La ragazzina aggrotta le sopracciglia, alza le spalle e ticchetta le unghie corte smaltate di nero sulla scatola posata davanti a se. Quando torna a guardarla, Mira ha le lacrime agli occhi. ‘Ti prego’
La vede guardarsi attorno e alzarsi, affidando la scatola alla donna seduta al suo tavolo. Mira non l’aveva vista. La donna, una bella bionda con i capelli lunghi fin oltre le spalle, la osserva e sembra disorientata. Nei suoi occhi verdi trapela indecisione.
Marv attacca il telefono con forza, nervoso e angosciato “dobbiamo aspettare. È un casino, un fottuto casino del cazzo!” sbotta passandole di fronte e domandando la colazione per due.

La ragazzina punk è sparita, la donna bionda anche. Mira cade affranta sulla sedia e si rende conto che è vestita troppo elegantemente per le dieci del mattino.
Come mai nessuno la guarda come fosse un fenomeno da baraccone?! La colazione non arriva e Marvin si spazientisce.
Mira è sicura che la cameriera non l’abbia proprio visto.
“Andiamocene, compreremo qualcosa in un supermarket!” borbotta ad alta voce rimettendola in piedi.
Si alza nuovamente e quando esce al sole, si rende conto che c’è un bosco alla sua destra.
Non ci avevo fatto caso prima, sarà la stanchezza, pensa camminando nella sua direzione, lontano dal suo rapitore che la segue a qualche passo di distanza.
Allunga la mano verso un cespuglio di more e ne raccoglie qualcuna che posa nel palmo. Altro che quelle comprate al supermercato! Ma che fertilizzante gli danno? Si domanda infilandone qualcuna in bocca e ingoiandole con gusto. Sono buonissime.

*°*°*°*
 

Il signor M scese dalla macchina dopo avere frugato un bel pò alla ricerca di uno scotch da pacchi. Quel coglione ha forato un sacchetto e la polvere si è sparsa nel portabagagli. Questo piccolo incidente farà calare il prezzo e il suo superiore non sarà molto contento.
Quando ha finito di rabberciarlo, lo getta nel bagagliaio e con calma comincia a traslocare il carico nella propria macchina.
La droga è ovunque e lui non è avvezzo a respirare quella mondezza, per quello si è infilato una mascherina sterile con i filtri al carbonio, prima di cominciare il lavoro.
Sembra il macabro chirurgo di qualche favola horror, ridacchia pulendosi per bene le mani e guardando Marv a terra. Andato.
“La concorrenza è concorrenza” sospira chinandosi ad esaminare Mira che giace a faccia in giù sul terreno gelido. La pelle sporca di fango viene immediatamente lavata via dalla pioggia “E a te dove ti ha preso? Le domanda guardando il vestito “da una festa, immagino.”
La rivolta sulla schiena e osserva il taxi verde, alzandosi sulle ginocchia e infilandosi sul sedile posteriore. La pioggia è calata d'intensità ma è ancora più fastidiosa di prima.
"Mica ho capito perchè sei tornata. Forse per veder morire quel verme?"le domanda osservandola per bene.
Un secondo dopo vede cosa ha in mano e sorride. Le donne! Apre la borsetta e la scruta con divertimento. Vediamo quanta roba ci tiene in un affare così piccolo.
Rossetto, fazzoletti, chiavi di casa e della macchina.
Prende il portafogli e lo apre: trecento dollari in taglio piccolo, bancomat, patente, carta d’identità.
La apre, ne legge le generalità e la rimette a posto.
Dopo qualche secondo, molla la borsetta nel portabagagli aperto: non sa come far entrare di nuovo tutta quella roba in quello spazio minuscolo!
“Va bene, Mira, adesso vieni con me. Se non sei già morta o in overdose” precisa scrutandola per bene, togliendole l'acqua dal viso con un fazzoletto.
E' svenuta per la paura o c'è dell'altro?
Le ascolta le pulsazioni e sente che sono accelerate. Le solleva una palpebra emettendo un ‘ehii’ di compiacimento.
“Ancora più belli, visti da vicino”. Ha le pupille dilatate. Le tasta la pelle ma la sente fresca. Niente ipertermia, niente convulsioni. E' drogata. Si sta facendo un viaggio nella terra dei Sogni, pensa prendendola in braccio.
“Mhhh…”
Volge lo sguardo su di lei. Si ferma mentre Mira si muove lentamente.
“Ben svegliata”
La donna gira gli occhi intorno, le palpebre pesanti, troppo pesanti per riuscire a mettere a fuoco l’uomo che la tiene in braccio. Cerca di concentrarsi su quel bottone blu che vede affiorare dal giubbotto ma desiste dopo un secondo e crolla addormentata con la testa ciondoloni.
Il signor M la guarda facendo una smorfia “mh. Breve ma intenso, occhioni blu”

Il sedile posteriore della Chrysler è occupato dalla valigetta e dalla sacca dei vestiti: li fa cadere sui tappetini e cerca di sistemarla il più comodamente possibile.
Mira si lamenta e si aggrappa addosso a lui per qualche breve momento.
“Dormi” le dice a bassa voce, togliendosi la mascherina e infilandola in tasca. Gli stringe il giubbotto con forza, come se non volesse lasciare un appiglio sicuro. "Ora non farne un dramma" ridacchia sciogliendo le dita piano "abbiamo tempo per conoscerci."

Lasciami…

^*^*^

“E lasciami in pace, ma che vuoi?!” esplode con i nervi a pezzi diretta contro Marvin che non se la prende più di tanto. “A che ti servo? Fammi tornare a casa, ho un lavoro e gente che mi asp…”

“Buongiorno signora!” esclama il piccolo scoiattolo di prima con una buffa uniforme da fattorino “mi è stato chiesto di lasciarle questo”.
Le allunga una scatolina con scritto sopra Non Aprire e Mira lo guarda esterrefatta. “Non posso darti la mancia, non ho spicci con me” balbetta dicendosi che non è possibile. Uno scoiattolo che parla?
“Non importa signora, buona giornata!” esclama schizzando via.
“Ma che….”
Mira guarda Marvin che lo segue nella sua corsa repentina e scuote la testa “topo sotto anfetamine! Che ti ha lasciato?”
“Ma quello scoiattolo parla!” grida sconvolta lasciando quasi cadere la scatola.
“Certo, lo fanno tutti. Ma dove abiti tu?” ribatte con aria innocente prendendole la scatoletta dalle mani e rigirandola.
“Ma tu sei pazzo! A casa mia gli animali non parlano!”
Lo guarda attentamente e vede che non è più vestito come prima. “E quei vestiti dove li hai presi?” gli domanda improvvisamente calma, rimirando la lunga giacca del frac stracciata e il cilindro che ha in testa.
“Li ho sempre avuti. Come fai nel lavoro se non noti un cazzo di quello che ti circonda?” domanda tirandosi sui pantaloni a scacchi rossi e spolverandosi le ghette bianche sui polpacci.
“Marv..è un gioco? Non mi piace, ti avverto!” borbotta a bassa voce allontanandosi un po’ da lui.

“E stia attenta! Mi rompe tutto il guscio!”

Mira si volta verso quella vocina indignata e non vede nessuno. Abbassa lo sguardo e un’anziana lumachina le scocca un’occhiataccia “queste giovani d’oggi! Pensano di poter essere maleducate quante vogliono!”
“Mi scusi signora, non l’avevo proprio vista” balbetta suo malgrado alla lumaca che riprende il suo movimento lento.
“Scusi, scusi: prima ti rompono la casa e poi ti chiedono scusa! Ah, ma la frittata la fanno! La fanno e chi s’è visto s’è visto!”
No, non è possibile! Sto impazzando, non c’è altra spiegazione! Urla dentro di se portandosi le mani alla testa.
“Mira?”
“Sta zitto Marv, sta zitto. È tutta colpa tua!”

*^*^*

“Allora ti vuoi svegliare?! Cazzo non abbiamo tutto il giorno!”
Uno schiaffo più forte la fa rinvenire con un grido. Mira balza a sedere e si guarda attorno: degli uomini mai visti giacciono a terra morti e Marv si tiene un fianco. “Mi hanno fregato! Quei bastardi figli di puttana, hanno provato a farmi secco, ma ci hanno rimesso la vita.”
“Che è successo?” balbetta toccandosi la faccia e sentendo qualcosa di strano. Ritrae il palmo bianco e vede la droga sparsa a terra. Allucinazione!
Si spolvera la faccia in fretta e gattona via dal pacchetto lacerato.
“Merda, guarda quanto carico sprecato!” lo sente urlare mentre cerca di rimediare al danno.
“Sono morti?”
“Certo che sono morti! Che pensavi, che li avrei lasciati in vita? Hanno cercato di uccidermi e poi avrebbero ammazzato te”
E che differenza c’è? Pensa affranta, tanto mi ammazzi ugualmente alla fine di questa storia.
Con enorme sforzo Mira afferra la pistola che giace a terra. Non importa di chi è basta che sia carica. Lei non è un agente della polizia vera e propria e non è tenuta a portarsi appresso la pistola. Preferisce uno sfollagente o un taser elettrico.

Ma non vuol dire che non sappia usarla.

“Dammi le chiavi della macchina” sussurra sbattendo gli occhi “dammi le chiavi o ti sparo”
Marv si è fermato e girato con aria piuttosto risentita “non mi piace questa presa di potere, cuoricino”
“Non me ne frega un cazzo! Dammi quelle chiavi o ti faccio saltare una rotula!” urla con le lacrime agli occhi “il viaggio di piacere lo concludiamo qui”
Marv la fissa immobile e ridacchia “tanto non sai usarla”
Mira annuisce e struscia una mano sotto il naso, la sensazione che la droga le sia finita nelle narici più forte di prima. “Forse. O forse no. Sai con chi stavo uscendo ieri sera? Con l’ispettore della polizia di New Orleans. Faccio la fotografa e lavoro per la polizia. Ho un sacco di amici la dentro” mente sull’ultima parte, visto che conoscerà si e no tre persone oltre a Bronx.

Marvin la fissa ed è cinereo in volto: il carcere. No, non un’altra volta!
“Non ci finisco in gattabuia per colpa tua!” urla avventandosi su di lei e sollevandole il braccio verso l’alto.
La colluttazione è breve. Uno sparo spezza il silenzio della vallata e Mira lotta per liberarsi dal cadavere che le pesa addosso.
Non pensa neanche di cercare aiuto. S’infila di corsa in macchina e mette in moto. A casa a casa a casa! Si urla nella testa sgommando sulla strada gelata. A casa… poi la polizia. Harvey, lo devo chiamare. Lui sistemerà tutto!

 

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Capitolo 11
*** Scene 10: Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. ***


La macchina si è fermata a metà strada

La macchina si è fermata a metà strada. Ma perché? Le auto mi odiano proprio, allora! Pensa accasciandosi sul volante e togliendosi le lacrime dagli occhi con forza.
Con un sussulto si gira verso la borsetta e fruga dentro. Non ha il numero di Harvey, ma conosce benissimo quello della polizia.
Quando si accorge che non c’è campo, deve fare uno sforzo enorme per non urlare di rabbia.
“Per forza non c’è campo! Sono persa nel nulla! Qua ci sono metri e metri di terreno che non sono mai stati calpestati dall’uomo!!” urla fuori dal taxi prendendolo a calci e facendosi male. “Brava! Brava cretina! Si urla sempre più arrabbiata.
“Spero che tu abbia una tanica di benzina da qualche parte o torno lì a piedi e ti ammazzo un’altra volta” grida in direzione dell’ormai cadavere Marvin.
Apre il portabagagli e come previsto non trova nulla.
Una serie di parolacce che si perdono nel nulla e Mira chiude l’anta metallica di scatto. “E va bene, facciamocela a piedi!” Urla con la gola che le fa male.
 
Dopo qualche ora è stanca e guarda la sacca che si è portata appresso piena di abiti pesanti. Almeno a qualcosa è servito, quello stupido. Andare in giro con le decolleté tacco alto su un terreno ghiacciato non è proprio il massimo!
Si infila i vestiti con una mezza smorfia di disgusto e si guarda: sembra una baraccata senza fissa dimora! Chi se ne frega, o cosi o mi congelo!
Scarpe niente, deve continuare con quelle che ha e che le fanno sempre più male.
 
Quando arriva in prossimità di un centro abitato deve trattenersi dal correre. La città è piccola e semideserta, ma con quel freddo nessuno va in giro. I ragazzini sono a scuola…ma strano che non ce ne sia neanche uno a bighellonare con gli amici.
Signore che fanno la spesa in fretta, gente che passeggia col cane… una ragazza la urta e non le chiede neanche scusa.  
Mira si volta e la guarda a lungo. L’ha già vista quella…
“Beh? Non si chiede scusa?” l’apostrofa con malagrazia, tirandole un’occhiataccia e alzando un sopracciglio pieno d’anelli.
“Mi hai urtato tu” le risponde un po’ seccata.
“Vuoi vedermi anche le tonsille, vecchia?!” scatta ribellandosi sotto il suo esame prolungato.
“Per carità, potresti avere un piercing anche li” ribatte incrociando le braccia. “Io ti ho già vista”
La ragazzina sorride e le mostra la lingua su cui spicca una bella pallina d’acciaio chirurgico “bello, eh?”
“Ma non fa male?”
“Non più.” Afferma con aria altezzosa, muovendosi negli anfibi slacciati neri. Ha le calze viola sotto e sopra un altro paio a rete nera, una gonnellina nera e un giubbotto di pelle in tinta, corto alla vita.
Mira abbozza un sorriso: ha l’aria simpatica. “Sai dove posso trovare la polizia? Devo fare una telefonata”
“E vai alla polizia a telefonare con tutti i telefoni che ci sono in giro?” la prende in giro camminando con una grossa sacca patchwork sottobraccio.
“Mi è successa una cosa…devo avvertire un amico” confessa a voce bassa.
“Ti presto il mio cellulare ma mi paghi la telefonata!” l’avverte tirando fuori un cellulare pieno di ninnoli.
“Ti ricorderò nelle preghiere la sera”
“Sai che m’importa, io sono atea” risponde esplodendo in una risata allegra
“Figurati, mai pregato in vita mia”
 
La ragazzina la guarda e sorride nuovamente. “Mi piaci, sei tosta. Ma vesti da far schifo”
“Non è roba mia” sussurra chiedendosi come mai la voce metallica le dice che il numero è inesistente. Le porge il telefono inquieta... come mai? E dov’è la stazione di polizia in questo posto?
“Ehi vecchia, i miei soldi?”
Mira la guarda esasperata “era una chiamata alla polizia! Non si pagano le chiamate al  911!” ribatte con la voce tremula. “Oddio, come faccio…” sussurra guardandosi attorno, una mano che gratta disperatamente la fronte.
“Che ti succede?”
Mira si accascia su se stessa, le braccia attorno allo stomaco che le fa male. Ha fame, ha sonno, sta morendo di freddo. “Voglio tornare a casa. Non ce la faccio più!” singhiozza piangendo e rimediandosi un’occhiata in tralice dalla ragazzina.
“Come ti chiami?”
La donna sospira, tira su col naso e le chiede se ha un fazzoletto. “No, ce l’ha una mia amica”
Che razza di risposta! “Mira…e tu?”
“Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. Ho 15 anni e il giorno del parto, un nugolo di streghe e diavoli ha danzato attorno al letto di mia madre! Quando sono nata, mi hanno annesso alle loro legioni con tutti i dovuti onori!” cantilena in fretta con un gran sorriso “e tu di chi sei figlia?”
“Di mia madre. Ma hai preso qualche droga allucinogena?”
“No. Perché tu si?” le domanda in tono cospiratore sporgendo il musetto verso di lei.
Mira la guarda bene e nota il rossetto troppo scuro, il trucco pesante che le rovina la faccia. È molto carina. Speriamo si stanchi presto della moda punk.
“Mi sa di si”
“Forte! E com’è?”
Mira è stanca e non ha voglia di rispondere alle sue domande.”Senti…ce l’hai la macchina?”
“Ho 15 anni, non guido” le ricorda a bassa voce “però ce l’ha la mia amica”
“Mi porteresti da lei?”
“Non lo so” sussurra guardando l’orologio da polso, nero e con uno Skeleton Jack che balla al suo interno. “A quest’ora dorme”
“Ha fatto le ore piccole?” domanda svogliatamente andandole dietro e accorgendosi che nessuno le degna di un’occhiata
“No, no. Le ore non si rimpiccioliscono così facilmente: ci vuole tecnica e lei non sa farlo. Harlem sa farlo, ma lui è bravo a fare qualsiasi cosa” ridacchia frugandosi nella borsa “lei esce al tramonto e va a dormire prima dell’alba.”
“E come mai?” L’ha domandato ma non le interessa più di tanto.
“Perché si!” ribatte ironica conducendola verso una casupola dal tetto grigiastro. Ardesia? Pensa stupita, l’ardesia è abbastanza usata nelle case inglesi, non americane.
 
Kimmy infila le chiavi nella porta e gira la maniglia da destra verso sinistra. Strano. O l’hanno montata al contrario o la sua amica è mancina.
La ragazzina si mette un dito sulle labbra e abbassa la voce “fa piano, mi raccomando”
“Ma se devo chiederle della macchina…”
“Shhh, shhh! Malena ha un amico che ce la presterà, devo solo trovare l’oggetto giusto da portargli.”
Mira la guarda e si domanda come diamine sia finita in quel casino assurdo. “E’ simpatica la tua amica?”
“Lei?” domanda voltandosi stupita “lei è una Fata. Non deve essere per forza simpatica” 
 
La donna la fissa a bocca aperta e poi si picchia una mano sulla fronte. Ma tutte a lei, tutte a lei!!
 
****
Ad Harvey era venuto un groppo allo stomaco leggendo il rapporto della polizia di Houma.
Era uscita per raggiungerlo, quindi non lo aveva bidonato. E’ quasi sollevato quando ricorda un fatto piuttosto inquietante: la macchina abbandonata poco lontano da casa. L’hanno esaminata e hanno rivelato un guasto al motore.  
Bronx gira come un’anima inquieta nell’ufficio riarredato dalla fotografa scomparsa e guarda per l’ennesima volta la foto di Mira.  
È scesa dall’auto, era in ritardo…
Sbuffa e si appoggia al muro libero che una volta ospitava lo schedario. Ha preso il taxi e quel tipo l'ha rapita. Stronzo! 
Esce dall’ufficio di corsa, urlando nelle orecchie agli agenti che si occupano del caso di chiamare la società dei taxi e chiedere la lista delle chiamate fra le 19:30 e le 22 di sera.
“Ha preso il primo taxi ce le è passato sotto il naso se aveva la macchina…”
Si vede sventolare un foglio davanti e tace, chiudendo la bocca con uno schiocco.“La lista…”
“…della società dei taxi. Non ha mai chiamato” cantilena l’agente con un sorrisetto.
Adesso lo strangolo! Matricola del cazzo! “Bravo, mi meraviglio della tua efficienza. Allora i soldi che spendono i contribuenti servono a qualcosa”
I due si guardano e fanno un notevole sforzo per non rispondergli per le rime. È per battutine come quelle, che si è guadagnato la fama di ‘stronzo senza via di fuga’
“Adesso vi buttate giù in strada e interrogate i passanti. Qualcuno l’avrà visto in faccia”
“Cosa? Ma è un lavoraccio e la fuori è pieno di pazzi mitomani che…”
Bronx lo fulmina con un’occhiata “lo so, l’ho fatto anche io, sto lavoro merdoso. Molto prima di te. Diramate un avviso, fatela comparire al telegiornale e stampate la sua faccia sui cartoni del latte! Rivoglio quella donna entro tre giorni! E Chiamatemi quel coglione di Bluebarry al telefono, voglio sapere cosa sta facendo invece di cercare Mira!”
 
Gli agenti lo osservano allontanarsi con aria impenetrabile e quando la porta dell’ufficio viene sbattuta con violenza inaudita, si guardano allibiti. “Ma è impazzito? Che cavolo gliene frega a lui?”
Quello più vecchio alza le spalle e guarda il corridoio “l'ha chiamata per nome, se la scoperà?”
“Chi, quell’isterica? Stai scherzando? Sarebbe piuttosto macabro: io non mi farei mai toccare da una che fotografa cadaveri!” sbotta il più giovane con aria disgustosa.  

“Siete ancora lì, voi?!”
Bronx non ha ancora finito di urlare quando si vede sventolare davanti una lista di nomi lunga un chilometro. Skye ha un'espressione nera e poco ci manca che gli venga un colpo. Spinge Harvey oltre la porta e la chiude con un calcio ben angolato. "Siediti e prenditi un calmante, prima di leggere questa" gli consiglia tappandogli ogni protesta sul nascere. Bronx lo fissa incuriosito ma ha una brutta impressione quando legge l'intestazione.

Quella è la lista dei carcerati rilasciati da poco tempo.

"Non girarci troppo attorno" gli consiglia sedendosi con la schiena rigida.
Il vecchio Skye aggrotta al fronte, le sopracciglia cespugliose si avvicinano a formare una linea quasi unica "te lo ricordi l'Uomo Dei Sogni?"
"Chi?!"
Bronx non ha neanche finito di fare la domanda che sgrana gli occhi e lo fissa a bocca aperta "Come no... Marvin Joseph. Farmer, 29 anni, arrestato per possesso di droga, appropriazione illecita, spaccio e associazione a delinquere. Tentata violenza carnale ai danni di una minorenne e un sacco di altri crimini che non voglio ricordare perché ho già la nausea e mi sta salendo un'incazzatura da Guinness" farfuglia in fretta guardandolo negli occhi "è giù uscito?"
Il poliziotto scuote la testa con aria truce "da una settimana, quasi. Penso sia lui il colpevole della sparizione della fotografa. Quello andava sgozzato da piccolo."
Harvey non parla più. Continua a guardarlo mentre le dita si sono contratte attorno al foglio "entra ed esce continuamente dalle galere, ha passato più tempo la dentro lui che tutti i fottuti delinquenti che bazzicano le strade in questo momento" sibila rosso in volto, tormentando un angolo "è lui. Diramate l'identikit e l'avviso di cattura!" gli ordina facendo uno sforzo mortale per non urlare. 
"Pensi che sia ancora via?"

Bronx lo fissa truce come se avesse appena bestemmiato "non t'azzardare a dirlo un'altra volta! Se lei è morta, lo appendo per lo scroto e lo castro, quant'è vero iddio!"
Leonard R. Skye abbozza un sorriso malandrino, passandosi l'indice sotto il labbro inferiore "e da quando in qua credi in Dio?"
L'occhiataccia fulminante di Bronx gli fa stringere le labbra, mortificando la sua risatina "lo so: sto zitto"
 
****
 
La casa è immersa nel silenzio. Kimmy cammina letteralmente in punta di piedi e le fa un cenno di seguirla. Mira sta attenta a non urtare niente perché in quel posto regna una baraonda incredibile.
Sembrava che una bomba fosse scoppiata nel salotto e si fosse propagato anche alle altre stanze.
“Non pestarlo!” sibila la ragazzina indicandole un coniglietto bianco che sniffa l’aria e al loro passaggio fa un balzo verso la gabbietta.
Mira trattiene un grido di stupore e si tappa la bocca con entrambe le mani. Arrosto ti farei, minaccia la bestiola con uno strano collarino a forma di farfallino al collo.
“E’ di Malena. Si arrabbia tantissimo se gli succede qualcosa” le spiega sottovoce cominciando a frugare nei cassetti di un grande armadio che prende quasi tutta la parete accanto alla finestra rossa.
Una finestra rossa? Si domanda stupitissima. Che gusti!
 
Rinuncia a capire e infila le mani in tasca, toccando qualcosa che non sapeva di avere. Sembra una scatolina…è piccolina, come una scatoletta da anelli del gioielliere.
Quando la estrae sembra quasi che s’ingrandisca sotto le sue dita. Cresce quasi a vista d’occhio strappandole un gridolino.
La lascia cadere a terra e quando si rovescia sul fondo, Mira la riconosce.

Non Aprire
 

“Non è possibile”, bisbiglia chinandosi a raccoglierla e rigirandola piano.
“Eccola! Come hai fatto a trovarla?”
 
Guarda la ragazzina che la fissa tutta contenta con un frullatore in mano.
“Ce l’avevo in tasca” ammette porgendogliela. Quando la vede rifiutare un’espressione di perplessità le si dipinge sul volto.
“Devi tenerla tu. Ti ha scelto lei. Probabilmente ti è saltata in tasca quando ti ha vista. Devi esserle piaciuta”
Cosa? Piaciuta? Ad una scatola? “Senti, io non ci sto capendo niente..” Borbotta ad alta voce interrompendosi quando una luce abbagliante scivola da sotto la porta di una stanza e illumina quasi interamente il pavimento.
“Porca miseria, adesso si è svegliata e chi la regge più?”
Kimmy le lancia un’occhiataccia funesta ma Mira è completamente assorbita da ciò che vede. E’ una fata davvero, pensa per una frazione di secondo quando la porta della stanza si spalanca e un violento bagliore illumina la donna creando un bizzarro contrasto di luce fra le pieghe del suo vestito fluttuante. 
 
“Allora, la vogliamo finire con questo casino o no?!”
 

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Capitolo 12
*** Scene 11: la Bottega dei Sogni Usati ***


Nuova pagina 1

E' una fata, pensa per un breve attimo prima che un tifone biondo e pallido come un giglio in camicia da notte, la travolga con la sua furia. La guarda per qualche istante e poi volge l'attenzione sulla ragazzina che la osserva facendo mille smorfie.
"Quante volte ti ho detto di non portarti le tue amiche barbone a casa?"
"Non sono una barbona!" Sbotta togliendo le parole di bocca a Kimmy "l'ospitalità lascia molto a desiderare, in questa casa"
"Se, se" canticchia fissando Kimmy che sta facendosi i fatti propri. "Tu, signorina, ti sei messa nei guai"
"E quanto la fai lunga, Malena!" Sospira allargando le braccia "Mira ha un grosso problema, volevo aiutarla!"
"Aiutala senza fare tutto questo casino!"strilla come una cornacchia voltando la schiena e rinchiudendosi in camera dopo aver sbattuto la porta.
"Mamma mia che caratterino!" sibila la donna raddrizzando la schiena " Mi porti dal tuo amico così sua maestà imperiale dorme... altrimenti stasera avrà le occhiaie fin alle ginocchia e sembrerà dieci anni più vecchia?!" Sbotta alzando la voce e rimediandosi una serie di frettolosi 'shh' 'shh' dalla ragazzina.
Cinque secondi dopo, l'intento di Mira è raggiunto. La donna riapre la porta e si erge in tutto il suo metro e ottanta.
Sembra più alta, pensa mentre si avvicina a lei e la guarda come fosse un'escrescenza schifosa.
"Ripeti un pò quello che hai detto"
"Le leggi le riviste? Otto ore di sonno e la pelle rimane fresca e giovane a lungo. Otto ore" ripete sorridendo.
La donna bionda ricambia il sorrisetto di circostanza e si stringe nella vestaglia che è miracolosamente apparsa indosso. 

"Simpatica la tua amica barbona che avrebbe bisogno di una strigliata come si fa con i cavalli e di un parrucchiere al più presto. Anche di un estetista, a dirla tutta" sibila acidamente spegnendo il sorrisetto di Mira che assume un'espressione minacciosa.
"Senti cosa.."
"Buone, buone. Time out, break!"
Kimmy si infila fra le due donne, le mani alzate in segno di pace "Mira non è una barbona, ha passato una brutta avventura. Ha bisogno di una macchina per tornare a casa e stavamo andando da Harlem"
"Harlem non gliela darà mai se non ha il dono giusto" sbotta fissando Mira negli occhi "potrebbe chiederteli, glieli daresti?" le domanda indicandoli.
Mira la fissa come se fosse impazzita "cosa?"
"I tuoi occhi. Harlem è pazzo e ha un mucchio di hobby strani. Potrebbe chiederti un occhio della testa per la macchina" ridacchia un secondo dopo alla battuta penosa e appoggia le mani sui fianchi. "Non era male, perchè non ridete?"
"Voi siete fuori, io me ne torno in treno a casa! Anzi, ancora meglio: fatemi chiamare la polizia"
"I telefoni non funzionano qui, non c'è rete"
La secca battuta la fa quasi crollare a sedere. Guarda Kimmy e indica la miriade di ciondoletti che penzolano fuori dalla tasca "E perchè tu hai il cellulare?"
"Perchè fa fico!" risponde allegramente facendole portare le mani nei capelli in un gesto disperato
"Dio, voglio tornare a casa!"
"E quante storie! Ci parlo io con Harlem!"
Mira alza la testa guardando la donna che cammina decisa verso la camera da letto da cui proviene ancora una luce accecante. "Ma dopo me ne torno a dormire e non voglio sentire casino!"
Mira e Kimmy annuiscono all'unisono.
La porta sbatte nuovamente e in silenzio le due si guardano "se ci parla lei, abbiamo speranze."
"Grazie, davvero" sussurra affranta e sconsolata. La finestra rossa s'illumina, è quasi il tramonto. Ma quanto tempo avevano passato la dentro? Era mezzogiorno, quando sono entrate!

Un secondo dopo la porta di Malena si riapre e la donna appare... sbocciata, pensa ammirando la sua figura snella e il sorriso scanzonato.
"Andiamo?"

****
Il signor M ha preso alloggio in un alberghetto fin troppo tranquillo dalle parti di Lafayette. Ha guidato a lungo, per allontanarsi il più possibile da Houma. Ha sorpassato gli archi, il lungo tunnel dove l’oscurità è interrotta solo dalla scarsa illuminazione giallastra dei fanali anteriori e si è immerso nell'aria limpida con un senso di pace. La sua ospite dorme ancora e non è di compagnia.
L’uomo l'ha osservata agitarsi di tanto in tanto, mugolare frasi impossibili da capire. Ha percepito 'fata', il più delle volte 'polizia' e un tale che fa fatica a ricordare il nome.
Si era spaventata ed era stanca, conclude continuando a guardarla. Chissà cosa sta sognando.
Ha guidato tutta la notte e buona parte della mattina, finchè nel tardo pomeriggio ha trovato quella delizia nascosta in periferia della città. L'ha fatta passare per la propria ragazza stanca del lungo viaggio e nessuno ha fatto domande. Quel posto gli è piaciuto ancora di più.
La prima cosa che ha fatto, dopo averla adagiata sul letto, è stato telefonare al suo committente per avvertirlo che 'la cantina era stata sgomberata e quel topo che dava noia, stava riposando nel paradiso dei Sorci.'
La seconda telefonata è stata ancora più breve.
"Ti ricordi quel favore? E' arrivato il momento di ricambiare"
L'uomo dall'altro capo del filo ha capito e non ha fatto domande, limitandosi ad appuntare le coordinate dettate dal signor M.
Il taxi sta per svanire nel nulla.
La pioggia aveva ripreso a battere violentemente, quindi le tracce delle gomme sarebbero state lavate via.
Non poteva capitarmi un tempo migliore di questo,
pensa osservando i nuvoloni blu carichi di pioggia e minacciosi. Sente Mira agitarsi nuovamente, si stacca dalla finestra e la guarda con aria pensierosa: avrebbe dovuta ficcarla sotto la doccia e lasciarcela per un mese o due, tanto era sporca, decide togliendole di dosso il vestito a pezzi. Lo getta da un lato e si rende conto che non può lasciarla dormire in quel modo.
Anche perchè in quel letto avrebbe dovuto dormirci lui. Sai che urlo quando si sveglierà? Immagina la scena e istintivamente gli viene da ridere.
Quel suono basso disturba Mira che si raggomitola su se stessa tremando. 
"Si, si, lo so che hai freddo. Adesso bagnetto caldo e poi nanna sotto le coperte" mormora prendendola in braccio. "Resisterti sarà dura, occhioni blu, ma per tua fortuna sono un bravo ragazzo. Tremendamente sexy ma corretto" Ride nuovamente mentre lo stomaco gli si contrae, mezzo eccitato. "Se non mi guadagno il paradiso così, non so che altro fare"
Non è poi così leggera come sembra, pondera giocherellando con l'acqua calda mentre la scarica nella vasca da bagno e la fissa un'altra volta. "E i capelli?" Alza gli occhi al cielo e fa una smorfia scocciata "sarà un inferno".
Ma come fanno le donne con tutti quei capelli?

****

La via è deserta,sembra che non ci sia nessuno in giro. Mira svolta l'angolo preceduta da Malena e seguita da Kimmy che continua a tirarsi le maniche sulle mani e a guardarsi attorno. "Ho il brividi" confessa quando Mira la guarda incuriosita "ho sempre paura di Harlem"
"E volevi portarmi qui lo stesso?"
Kimmy la fissa con aria colpevole "beh si."
La donna abbozza un sorriso mettendole un braccio sulle spalle e indicando la borsa ultracapiente "che hai li dentro?" Falla parlare così si distrae, si dice intenerita dal suo comportamento.
La vede illuminarsi, le sopracciglia nere che s'inarcano e il sorriso che si apre in meno di un secondo. "Ah qui! ti faccio vedere!" Urla quasi frugando nella borsa ed estraendo una scatolina azzurra.
"Ti presento Arya!" Esclama porgendogliela tutta orgogliosa e restando a guardare "la sto addestrando, è un amore!"
Arya? Si domanda incuriosita sollevando il coperchio e lanciando un urlo non indifferente.
"Ma c'è una tarantola la dentro!" Grida allontanandola da se e notando con al coda dell'occhio la fata bionda che si è fermata e le fissa seccata con le mani sui fianchi. "E allora? Kimmy le addestra, sta mettendo su un circo. Certo che t'impressioni con niente."
"Scusate tanto!" Urla col il batticuore e lanciando un'occhiata alla bestia nera e pelosa nella scatola "non conosco nessuno che ha passatempi così strani!"
"A proposto di passatempi strani... siamo arrivati"

La voce di Malena si è fatta grave e profonda. Kimmy si affretta a riporre Arya nella sacca e stringe il giubbotto grande di Mira con le gambe che le tremano.

°°La Bottega Dei Sogni Usati.°°

Sogni di tutte le grandezze, in ottimo stato: provare per credere!

Si prega i gentili avventori di non sciuparli in caso di restituzione.

Sogni usati?! Mira fissa la scritta rossa brillante e la indica con il dito a Kimmy che sta osservando la porta blu decorata "è uno scherzo?"
"No. Harlem compra i sogni usati e li rivende. Potrebbe averne comprato anche uno tuo."
"Io non ho sogni usati!"
"I sogni che hai già fatto" le spiega pazientemente, per nulla stupita della sua sorpresa "Ti capita mai di fare due volte lo stesso sogno?"
"Si. E' successo... qualche volta."
"Questo perchè qualcuno ha comprato il tuo sogno e l'ha utilizzato." Conclude alzando le mani come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mira la fissa, indecisa se portarle una mano alla fronte per scoprire la presenza di un'eventuale febbre in arrivo, quando Malena la strattona verso l'entrata. "Hai il regalo?"
"La scatola?" domanda frugandosi in tasca e tirandola fuori. "Si, andrà bene?"
"Chi può dirlo, Harlem è così incostante" sospira aprendo la porta. Mira sente una musica provenire dall'interno, una ninna nanna che aveva già sentito... da bambina... il carillon che mi aveva regalato mamma, pensa con una stretta al cuore nostalgica.
S'immerge nell'aria blue e celeste e trae un profondo respiro, percependo un forte odore di zucchero caramellato. In un angolo, una bambina sta muovendo la testa al suono della ninna nanna e tiene in mano una pallina trasparente. Mira la fissa attentamente; c'è qualcosa che si agita al suo interno.
"Sta sognando di mangiare lo zucchero filato." Sussurra una voce maschile alle sue spalle. Trasale violentemente, la scatola sta per caderle. No, si aprirà!
"Presa. Non c'è nulla di cui preoccuparsi, Kalliopi"
Mira fissa l'ometto davanti a se e per un momento ha un deja-vu "come sa il mio secondo nome?" sussurra abbassandosi per guardarlo.
Harlem abbozza un sorriso placido e stringe a se la scatola "questo è per me. So cosa vuoi chiedermi. Ti risponderò nei limiti del possibile"
"No, io ho bisogno di una macchina!" Sbotta allarmata "devo tornare a casa, c' è gente che mi aspetta"

Il vecchietto, no, non è vecchio... o forse si? Si chiede osservandolo: potrebbe avere tutte le età. A seconda di come varia la luce, assume connotati quasi piacevoli.
Ma nel buio il suo sorriso è sinistro e pericoloso.

"Non c'è nessuno che ti aspetta, Kalliopi. I tuoi sono morti, Abe ti ha lasciato per un'altra. Harvey è solo il primo di una lunga serie di relazioni destinate a fallire"
"Abe non mi ha lasciato... ma come.." Mira s'immobilizza osservandolo attentamente. La pancera verde che indossa non basta a nascondere il grasso girovita e le scarpe con le ghette bianche sono assurde su quel frac stracciato.
Io l'ho visto...
pensa facendo un passo indietro.
Harlem annuisce accarezzando la scatola che vibra. "Il tuo regalo è impaziente di uscire."
"Come sa queste cose?"
Mentre parla la figura di Harlem cresce a vista d'occhio, i pantaloni scuri che indossa si sciolgono fino ad assumere un colore rossastro. Fa girare il cilindro che ha in testa e per un secondo giocherella con il bastone a cui è appoggiato. Quando lo solleva verso di lei, Mira ha un balzo al cuore.

***
Il signor M lascia quasi cadere il libro che sta leggendo, sorpreso dal suo urlo. Che le prende? Allunga una mano per toccarle la fronte e alza un sopracciglio quando la sente bollente. Ha la febbre. Prende il telefono e chiama la reception. "C'è un medico da queste parti?"
***

Sai gemere come quel sassofono? Sai parlare come la tromba e battere come il tamburo?"

"No..." 

"E allora cosa ci fai così lontano da casa, bambina?"

"Sto cercando...."

"Cosa stai cercando?"

"Non lo so. Non lo so più...."

 ***
"Ha un bel febbrone; le dia questa medicina tre volte al giorno e se non scende mi richiami."
Il signor M annuisce e la guarda farfugliare e agitarsi.
Il medico le ascolta il cuore e controlla la pressione arteriosa e poi lo fissa "ha preso qualcosa?"
Lui annuisce di nuovo, stavolta con aria melodrammatica. "Mi sa che si è impasticcata alla festa. Non mi ascolta mai e se le dico qualcosa, mi fa le scenate." Allarga le braccia le batte sconsolato sulle gambe rimediandosi un'occhiata divertita dall'uomo. "Le donne lo fanno. Ma con chi sta parlando?"
"Non lo so. Va avanti così da un pò."
"Lasciatela stare, allora. Sarà il delirio della febbre"
E chi dice niente? Pensa mentre accompagna il medico alla porta. Basta che non mi muoia nel letto!
****

Non è qui che troverai ciò che cerchi” 

Ma deve esserci…deve! Se non qui, dove? Aiutami, ti prego!”

“Io sono l’Uomo dei Sogni, bambina. Devi stare attenta a ciò che chiedi… potresti essere esaudita”
 

L'Uomo Dei Sogni, sussurra dentro di se tremando. Marv... no, Marv è morto! 
In quel momento Harlem spalanca la scatola e un'ombra nera e cattiva si piega su di lei, inglobandola nel suo abbraccio soffocante. 

No, Marvin non è morto!

***
Il signor M la sta fissando un pò preoccupato. Sta peggiorando o è una sua impressione? "Mira... Mira. Mi senti?" Sussurra piegandosi su di lei e togliendo anche quel minimo bagliore di luce che la illuminava. Le accosta le coperte alle spalle, ma si agita così tanto che non riesce a coprirla. "Stai buona o ti do una botta in testa" la minaccia scherzosamente toccandole la mano che spunta dalla coperta.
"Non è morto non è morto.." singhiozza stringendogli le dita, aggrappandosi ferocemente. Ha un incubo? Si domanda avvicinandosi un altro pò e fissandola. E vabbè, pensa abbracciandola per metà. Sacrifichiamoci! La tira contro di se ma trema così tanto che non riesce a capire.
"Non è morto... no no..."
La perplessità si dipinge sul suo volto. A chi si riferisce, al verme? "Sì che è morto, sta tranquilla. Più morto di così non muore"
Mira si sveglia di scatto, urlando e balzando all'indietro. Sente qualcosa soffocarla. Il signor M la guarda allontanarsi, scivolare via dal letto e rincantucciarsi in un angolo."Non è morto, non è morto!" singhiozza ancora scacciando qualcosa con la mano "stammi lontano, va via. Via!"
"E' morto." Sbotta tutto insieme scendendo dal letto e andandole vicino "è morto, Mira"
"No.."
"Sì, invece" ribatte facendole alzare la testa e ammutolendo alla sua espressione angosciata.
"Hai comprato i miei sogni, per quello sai queste cose?! Ridammi i miei sogni, non ti appartengono!" urla nella sua direzione con quanto fiato ha in gola.
Non sta guardando me, non parla me, sta delirando. E di brutto, anche.
***

"Rivuoi i tuoi sogni? Ti accontento!"
A quel suono cupo Mira si spaventa ancora di più, alza la testa verso l'ombra gigantesca che la sta fissando e urla per il terrore mentre miriadi di scene la investono, lasciandola frastornata. I suoi sogni di adolescente: fare la cantante in un gruppo rock, il sogno di avere una casa propria, piena di bambini, il sogno di vivere con Abe. Vanno in frantumi uno dopo l'altro sommergendola di schegge e deturpandole la pelle nuda.
L'ultimo, il più bello. Harvey le sta dicendo qualcosa che non sente, ma muove le labbra così piano che riesce a capirlo lo stesso.
Anche io... sussurra allungando la mano e toccando il fragile vetro che esplode, trafiggendole la carne.
"Come ti permetti di fare questo ai miei sogni?" urla fra le lacrime voltandosi verso l'Uomo Dei Sogni che sorride e danza, agitando il bastone e inchinandosi alla sua paura.
"Posso fare di meglio, posso ridarti tutti gli incubi che hai scacciato come falene morte."
"No!
"Si, invece!

L'incubo più reale di tutti: il suo rapimento.

Mira urla di terrore all'improvviso facendo accapponare la pelle al signor M che la sta osservando. Porca puttana, mi ha messo una paura del diavolo!
"Mira svegliati, cazzo! Basta dormire!" la sgrida afferrandola e scuotendola "svegliati" sbotta mollandole un ceffone abbastanza pesante "ti faccio rinvenire a forza di schiaffi se non la finisci"
Al secondo, la donna crolla contro il muro e smette di urlare.
O cazzo, avrò esagerato?

Mira vede l'ombra cupa fissarla intensamente, ma non ha più paura di lei: Marv sta rosicchiando l'anima che le ha strappato dal cuore e l'ha lasciata insensibile e immobile sul pavimento nero petrolio. L'ombra assume contorni meno vaghi, più reali. Allunga le dita nere ed evanescenti e lei fa la stessa cosa. 

Merda, mi sa che l'ho colpita forte. Il signor M la prende in braccio e Mira ricade come una bambolina addosso a lui e non da cenni di vita. "Scusa, occhioni belli, ma stavi svegliando tutto l'hotel con quella vocetta acuta" sussurra rinfilandola nel letto e coprendola bene. Resta a guardarla un pò titubante: c'è da farsi sgozzare da una così. Speriamo abbia superato la fase acuta, altrimenti dovrò legarla al letto!

 



 

 


 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Scene 12: Blu... di seta ***


Nella penombra della stanza

Nella penombra della stanza, Mira apre un occhio per un breve secondo, seguito subito dall’altro, appiccicoso di mascara nero raggrumato.
Perché sta dormendo a pancia in giù? Lei non ci dorme mai, dopo le fa sempre male la schiena.
Fa forza sulle braccia che le rispondono a malapena, alza il collo e la testa, ricadendo subito su una spalla e si gira lentamente sul dorso. Resta sdraiata con le braccia aperte come se la stessero crocefiggendo e respira sentendosi pesante, tanto pesante….
Con indolenza struscia il dorso della mano sinistra sotto un occhio, cercando di arginare il disastro del trucco colato. Avrà sporcato il cuscino con il mascara…sai, che casino toglierlo, pensa muovendo le spalle e restando a dormicchiare ancora un po’. Mah, butto tutto in lavatrice…
Sente cinguettare un uccellino. Deve essere il suo amichetto che si ferma a mangiare le briciole che gli lascia tutte le sere.
Il cinguettio si spegne, oppure è lei che si riaddormenta. Quando riapre gli occhi si sente meno stanca, l’appiccicoso dormiveglia è quasi svanito del tutto.

“Ciao, occhioni blu”

Mira spalanca gli occhi nella penombra e raggela. Marvin?! Ancora?!
Scatta a sedere sul letto, arretrando velocemente verso la spalliera, sentendo qualcosa di strano addosso.
China lo sguardo e vede una maglietta non sua, due taglie più grandi. Tocca il seno e sente che non ha il reggiseno. Oddio…
“L’ho tolto per farti dormire meglio”
La donna gira la testa verso il punto da cui ha sentito provenire la voce. “Marv?”

Un rumore strano. Mira capisce che ha lasciato andare qualcosa di pesante sul pavimento, o qualcosa del genere. No, non il pavimento: il rumore sarebbe stato diverso, più pieno. Un tavolo. “Marv…” no, non è lui. La voce è diversa, non ha accenni d’isteria, è più calma. Non è lui. Chi è?
“Quel sacco di merda se lo stanno mangiando i corvi mentre parliamo. Anzi a quest’ora direi che avranno finito di spolparlo.” Ridacchia la voce bassa e sconosciuta che la fa arretrare ancora di più verso il muro. Nella penombra lo può scorgere: una sagoma illuminata appena da un minuscolo faretto da lettura che si applica sui libri.
“Chi…è?”
L’uomo la guarda, toglie i piedi dal tavolo e resta seduto. “E no. Non te lo posso dire chi sono. Segreto di stato, occhioni belli”
Mira è ammutolita dalla paura. Afferra l’abat- jour sul comodino e gliela punta contro. “Non si avvicini” balbetta tremando e tenendola con entrambe le mani “cosa mi ha fatto?!”
Lui la guarda e soffoca una risatina “sei rimasta mezza svenuta per due giorni e mezzo. Se avessi voluto approfittare di te, l’avrei già fatto”
Mira continua a tremare: due giorni? Tutto quel tempo? E cosa…perché…“La droga..”
“Ah, non lo so. Forse non volevi svegliarti per non incontrare la faccia di quel lurido sacco di spazzatura” suggerisce alzandosi in piedi e facendola trasalire. “Mi stai facendo innervosire, sono una persona rispettabile io!” esclama con forza facendole balbettare suo malgrado uno ‘scusi’ che suona quanto mai fuori luogo.
“Ma guarda tu! Uno si prende il disturbo di toglierle dagli impicci e cominciano subito a farsi venire le idee balorde” lo sente borbottare mentre afferra qualcosa da una sedia in fondo alla stanza che risuona come un fruscio di seta.
“La luce…perché non accende la luce?” gli domanda abbassando appena le braccia.
“Perché prima devo bendarti”
“Cosa?!” esplode scendendo in fretta dal letto e rischiando di slogarsi una caviglia “perchè?!” Si appiattisce contro il muro e lo guarda venire verso di lei. “Stia lontano!”
“Senti ragazza, faccio un certo tipo di lavoro e non posso permettere che la mia faccia sia mostrata così in pubblico..” Le spiega con pazienza sedendosi sulla sponda del letto di fronte a lei “Ora. Io ti ho salvato quando potevo ammazzarti insieme a quel fallito, mi segui?”
“Si..” Sussurra ascoltandolo veramente “lei fa il killer”
“E brava occhioni belli! Capisci che non posso lasciarmi vedere da te.”

Mira annuisce, ma quando lo vede alzarsi, con calma e lentamente non può fare a meno di spaventarsi.
“Senti, prima che di farti venire un accidente, te lo dico un’altra volta e spero che sia l’ultima: non voglio violentarti, non ci penso proprio. Ok?”
Mira annuisce, prima lentamente e poi con forza. “Ok..” Sussurra abbassando la lampada e notando solo in quel momento l'assenza della lampadina “non basta prometterle che terrò chiusi gli occhi, vero?”
Lo sente esplodere in una risata divertita che le causa un mezzo infarto per la sorpresa.
“No, non basta! Su, da brava, vieni qui.”
Le gambe non le rispondono e la costringono a rimanere inchiodata contro la parete. Lui sbuffa e si avvicina, sempre quello strano fruscio di seta.
“Cos’è?” domanda timidamente toccando la stoffa…è sagomata…
“Non sono attrezzato per queste emergenze” spiega lasciandogliela scivolare fra le dita in modo che la senta.
È fresca e odora…di …si, di dopobarba! “Una cravatta?”
“Avevo solo questa a portata di mano”
Mira lo sente dal tono della voce che sta sorridendo mentre gliela gira intorno alla testa. Piuttosto delicatamente, a dir il vero. Resta immobile con le mani lungo i fianchi. Se non fosse una situazione così assurda, sarebbe quasi sexy!
Le scappa da ridere e si porta una mano alla bocca per mascherare il sorriso.
“Stai pensando alla stessa cosa che sto pensando io” afferma prendendola per le spalle e mettendola seduta sul letto.
Mira porta istintivamente la mano agli occhi e tocca il tessuto fresco. Liscia, leggermente scabrosa a tratti…righe oblique.
“Di che colore è?” domanda a bassa voce mentre sente le tapparelle aprirsi. Immediatamente la stanza s’illumina e lei si sente strana. Non le piace la situazione che si è creata. Adesso è esposta del tutto al suo 'salvatore'. E' un'altra volta in balia di un uomo. No, stavolta non posso sopportarlo.
“E’ blu”

Blu…di seta…
e lei se ne sta in una stanza con uno sconosciuto che fa il killer, mezza nuda e bendata con una cravatta?!

“Non posso crederci, non posso crederci! Tutte a me capitano! Perché, dio!” esplode saltando in piedi e inciampando sul letto “dovevo andare ad una cena, una semplice cena! Quella fottuta macchina si rompe e io fermo un taxi, un taxi verde! Sapevo che c’era qualcosa di sbagliato in un taxi verde! Ma io no, stupida lo prendo, perché l’uomo dei miei sogni mi ha chiesto di andare a cena con lui e mi sta aspettando nel più costoso locale della città da ben dieci minuti! E poi quel pazzo che mi dice ‘ ti porto a conoscere il vero Uomo dei Sogni ‘ e mi chiude dentro e cerca di violentarmi!!”
“Calma..”
“Calma? Calma un cavolo, come faccio a calmarmi?! Resto sventura tre giorni, chissà cosa mi è successo in tre giorni, mi sveglio mezza nuda in un posto sconosciuto con uno che mi dice che ammazza gente per lavoro e io dovrei stare calma?”
“Abbassa la voce!”
“No, non la abbasso!” urla di nuovo sentendo uno spostamento d’aria e una presa forte che la fa quasi urlare. Urta la schiena contro il muro, trattenendo il respiro per la paura. 
Una mano cala repentinamente sulla sua bocca e la mette a tacere, mentre una voce calma la blandisce.
“Capisco lo sconvolgimento, ma urlare la mia professione non ti aiuterà a stare meglio.” Mormora a pochi centimetri dal suo naso. “Non ti è successo nulla, da quando sei con me. Ti ho raccolto quando sei svenuta, hai viaggiato sul sedile posteriore della mia macchina, dormendo tutto il tempo. Ti sei svegliata a tratti e hai farfugliato il più delle volte. Sei stata male, ho chiamato il medico che ti ha visitata. Adesso stiamo alloggiando in un hotel piuttosto tranquillo dalle parti di Lafayette. Non ti è successo NIENTE. Ok?”

Mira annuisce ma lui la sente tremare, a scatti respirare. Sta per mettersi a piangere e la cosa lo disturba enormemente.
“Vi ho tenuto d’occhio tutto il tempo, lo seguivo per conto di una persona. Se ti avesse voluto far del male, non ci sarebbe riuscito.”
La donna si irrigidisce e per un attimo resta immobile. Subito ricomincia a tremare e a mugolare qualcosa che non capisce.
“Mira, per favore. Tolgo la mano ma tu non urlare e non piangere”
Quando si ritrova libera non riesce a trattenere un singhiozzo “ci seguivi…” sussurra passando al tu senza accorgersene “non potevi…farlo prima?”
“No. Non posso dirti nulla” afferma sentendola tirare su col naso. “Non mantieni le promesse”
“Non te l’ho promesso” singhiozza come una bambina appoggiando una mano sul fianco, dimentica di non avere i jeans e di conseguenza il fazzoletto.
“Non piangere”
“Non ci riesco” singhiozza abbassando la testa e sentendo le lacrime inzuppare la seta “non ci riesco… Non urlo più”
“Brava”
Mira gli crede. Ha la voce tenera e consolatoria. Continua a tirare su e a piagnucolare finchè un fazzoletto non le circonda il naso. “Dai, soffia forte”
“Posso farlo da sola” borbotta togliendoglielo di mano e sfiorandogli le dita che torna a studiare attraverso il tatto.
Lui la lascia fare abbozzando un sorriso: la storia della cravatta era da prendere in considerazione con le future conquiste! La situazione cominciava a piacergli parecchio.
Mira percepisce le mani un po’ ruvide, leggermente segnate e con i classici calli da sollevatore di pesi. Continua la sua esplorazione fino sul braccio e la spalla: fa palestra, ma non è un pompato ipervitaminizzato.
“Se vuoi sentire anche il resto, io non mi oppongo di certo” lo sente ridacchiare strappandole un sorriso.
“Ah…” mormora arrossendo, un pò divertita “no…magari…in seguito, siamo solo alla prima uscita.”
Lo sente ridere e ascolta attentamente i suoi movimenti. Si sposta piano, forse per non spaventarla.
“Hai fame?”
“Sì”
“Posso portarti da mangiare, ma devi restare qui.”
“Va bene”
“E non devi toglierti quell’affare dagli occhi”
Mira si morde un labbro perché ci aveva già pensato.
“Ehh, che pazienza che ci vuole” sospira avvicinandosi “se fai la brava non ti lego. Se la togli sono costretto ad ucciderti, ok?”
Quella frase tranquilla le mette inspiegabilmente i brividi. “Va bene…però non legarmi…”
“Non ti lego. Ma se cerchi di vedermi in volto..”
L’ultima frase resta a metà facendola annuire in fretta.
“Brava ragazza.”

Qualche minuto dopo la serratura scatta. Mi ha chiusa dentro? Si domanda indecisa se togliersi la benda dagli occhi oppure no. Con cautela la alza di un centimetro fino a rivelare di fronte a se una stanza ben ammobiliata ed essenziale.
Una valigetta e una sacca piuttosto capiente.
Vestiti da uomo appoggiati su una sedia.
Un libro.
“ ‘Non buttiamoci giù’ “ recita leggendo la copertina gialla e rossa. “Aggiornato” sorride suo malgrado guardando la cravatta che tiene ancora in mano.
Occhieggia il suo vestito provvisorio, la maglietta bianca che le ha infilato e si tocca istintivamente il corpo, domandandosi se davvero non le ha fatto nulla.
Bagno! Bagno! Bagno!
Un impellente bisogno fisiologico la costringe a catapultarsi dietro un’altra porta, chiudendola con un sospiro. Dieci minuti dopo sta ancora cercando di togliersi il trucco dagli occhi.
Ma non poteva essere una donna? Avrebbe sicuramente avuto tutto il necessario per struccarsi! Pensa aprendo un’anta dell’armadietto di fronte a lei.
Non posso crederci!
Mira afferra un tubetto di latte detergente con aria stupita…e che ci fa lui con questa roba?
Si pone mille interrogativi, mentre la crema profumata le porta via il trucco. Sarà gay?! Si domanda d’un tratto guardando la porta chiusa.
Lavarsi non le è mai sembrato più bello. Ha sudato e quell’odore proprio non lo sopporta. Si guarda attentamente per vedere se ha graffi o qualcosa del genere. No, solo quello schifoso succhiotto che le ha fatto Marv. Sta scomparendo, meno male.
Mira sobbalza, quando sente provenire un rumore. Una porta spalancata e poi richiusa. Resta in silenzio aspettando una sua reazione.
“Mira?”
Sobbalza sentendolo dietro la porta. “Si” sussurra appoggiandocisi contro. “Non entrare”
“Non entro. Ti ho portato da mangiare”
“Grazie… ora esco” balbetta velocemente infilandosi la maglietta e calandola bene oltre le mutandine.
“Ricorda il nostro patto”
Non ha fatto neanche in tempo a dirlo che Mira è comparsa davanti a lui nuovamente bendata. “Mi dai una mano? Ho paura d’inciampare.”
L’uomo la afferra portandola fino al tavolo, facendola sedere. L’odore di cibo, le ricorda che ha fin troppa fame.
“Allunga la mano, ma sta attenta che scotta” la avverte porgendole un hot dog che Mira annusa e riconosce. Un sorriso le compare sul viso attraendo la sua attenzione.
“Ho visto il libro. L’ho letto, è molto..”
“Dimmi come va a finire e ti getto dalla finestra” ribadisce togliendole le parole di bocca. “Mangia piano o ti strozzerai” ridacchia mettendole in mano una boccetta d’acqua fresca.
“Di questi quanti ne hai?” borbotta indicando il residuo di hot dog fagocitato in un lampo.
“Altri due”
Mira allunga la mano e incontra la sua, sfiorandola per tutta la lunghezza “non ti sto facendo una proposta, ti sto studiando”
L’uomo sorride e la guarda, la bocca sporca di ketchup da un lato. “E cosa hai capito?” La osserva mentre toglie lo sbaffo con un dito e lo succhia in silenzio.
“Che sei un ottimo padrone di casa. Che non mi lascerai morire di fame e che posso stare tranquilla” afferma decisa “però devi togliermi una curiosità.
“E quale sarebbe?”
Mira si ferma e mette giù il panino, guardando nella direzione da cui proviene la voce. “Sei gay?”
“No!” esplode ridendo “e quest’idea da dove ti viene? Dal fatto che non abbia cercato di approfittarmi di te?”
“No, dal tubetto di latte detergente in bagno”
“Mi sembrava di riconoscere l’odore..” Sussurra stringendo gli occhi e studiandola attentamente. “Potrei essere solo molto vanitoso”
“No, no. Io abitavo con uno vanitoso. C’erano più creme e cremine sue nel bagno, che in confronto il mio beauty case era più desolato del deserto dei Tartari” spiega velocemente finendo di fagocitare il panino. “Non sei vanitoso, hai solo quell’affare. Ti serve a qualcosa di preciso”
Ad un certo punto ci arriva da sola e tace, ingoiando a stento. “Tu ti mascheri…anche adesso potresti …”
“Sei sveglia, volpina mia” ridacchia alzandosi e girovagando per la stanza “il mio aspetto deve essere alterato quando lavoro, quando mi muovo. Come adesso”

Mira lo ascolta senza più fame. Inspiegabilmente ha paura.

“Tanto per saperlo, l’hai finito tutto?”
“No…”sussurra testando con le mani strette attorno alla bottiglietta, una gamba piegata sotto l’altra che dondola un po’.
L’uomo la osserva attentamente. Ha percepito un cambiamento che non gli è piaciuto. “Ti si vedono le mutandine” l’avverte facendola avvampare e tirare giù la maglietta con forza.
“E tu non guardarle” borbotta rimpicciolendosi sulla sedia. “Vorrei sapere come ti chiami. O come posso chiamarti”
Mira lo sente ridere e schioccare la lingua nella bocca. “Vediamo…ne va bene uno qualsiasi, no? Chiamami…vediamo…è difficile, non ho fantasia con i nomi. Adam, va bene?”
Mira fa una smorfia disgustata suo malgrado, storcendo il collo all’indietro “ti prego! Tentami con la mela, allora!”
“Quanto la fai lunga! Jack e non se ne parla più”
“Jack?!” esclama disgustata “peggio che andar di notte!” Lo sta ascoltando, lo sta facendo parlare perché ha un accento straniero. “Tu non sei americano” sbotta all’improvviso interrompendolo.
L’uomo la guarda con aria seria, mordendosi l’interno della bocca. “E allora?”

 

 



 

 

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Capitolo 14
*** Scene 13: Fra virgolette... ***


Ha toccato un tasto dolente

Ha toccato un tasto dolente. Mira si ritrae un po’ intimidita “no, niente. Vada per Jack, va bene.”
“Non sono americano, sono europeo. Contenta?” borbotta accostandosi a lei.
“Si.”
“La situazione è cambiata, adesso che lo sai?”
“No…” sussurra mordendosi le labbra e alzandosi, posando le mani sul tavolo, perché non sa dove può andare a sbattere e ha paura di farsi male. “Vorrei... tornare a casa”
Jack sospira e le si pone davanti, facendola ritrarre. “Pazienta un paio di giorni e fammi compagnia. Sto aspettando una telefonata.”
Mira non fa domande. Tanto non le risponderebbe. “Senti…prometto di non scappare”
“Per me è uguale, sai? Puoi andartene anche adesso”
Il tono calmo con cui l’ha detto l’ha stupita enormemente. “Davvero?”
“Certo”
Si volta verso di lui e se abbassa gli occhi può scorgere un frammento delle sue scarpe. Impossibile, vederne il viso!
“Allora perchè ti sei preso questo fastidio?”
“Perché mi andava” spiega tranquillo con le braccia dietro il collo. “Perché mi sei sembrata nei guai e non mi andava di lasciarti con quello. La mia ragazza è come te, un concentrato d’impulsività con la tendenza ad incasinarsi ovunque ficchi il naso”
“Sei fidanzato, non lo credevo…e lo sa che lavoro fai?”
“Si”
“E non dice niente? Lei accetta che tu…ammazzi gente…” bisbiglia voltando la faccia verso di lui.
“Si.” Si piega verso di lei e le fa il verso “ma non c’è bisogno che parli così piano, non ti sente nessuno” bisbiglia facendola ridere.
“Oh” sbotta incredula “però, ha nerbo”
“Oh, cosa? Sono un bel ragazzo, io! Mi dispiace che tu non possa godere di questa magnifica visione!”
Jack viene interrotto da un’altra risata di cuore che lo stupisce più di prima.
“Oh, che grave perdita!” Ridacchia come una matta per la prima volta da molti giorni “non ci dormirò la notte!”
Quando lo sente ghignare qualcosa a bassa voce, si muove verso di lui “che hai detto? Ripeti se ne hai il coraggio!”
“Ho detto che è un peccato per me non poter vedere i tuoi occhi. Sono molto belli”
Mira arrossisce inaspettatamente per il complimento, abbassando la testa. “Grazie…sei carino…”
Lui la guarda dicendosi che è una vera disgrazia non poterli ammirare ancora una volta. “Carino…carino si usa per l’amico brutto”
“Io non lo so come sei”
“E’ vero”conviene prendendole la mano. Se la porta al viso e Mira stringe le labbra, non capendo cosa stia succedendo. Le fa scivolare le dita lungo la guancia finchè la donna comprende e non provvede da se a farlo.
“Devi farti la barba… uhh, hai il naso grosso”
“E’ tutto ben proporzionato” ridacchia facendola sorridere.
“Basta con le battute a doppio senso!” gli intima continuando a toccargli la fronte “fronte alta da pensatore…calvizie incipiente?”
“Tuo padre!” Sbotta divertito mentre Mira lo accarezza facendogli un solletico leggero. “Che lavoro fai?”
“La fotografa. Qui hai una cicatrice minuscola” borbotta toccando una tempia “brutto punto, c’è da restarci secchi”
“Na…un graffio da bambino. Quindi sei abituata ad usare molto la vista. Sei una specie di Grande Occhio che vede tutto e non dorme mai”
“No, fotografo i cadaveri. Lavoro per la polizia. Solo la notte”
“Ah!” esclama facendola fermare “la concorrenza”
“Sto per farti un complimento, devi essere molto carino.”
“Bellissimo, stupendo, abusa pure di questi termini quanto vuoi!” la incita facendola ridere nuovamente. “Hai finito di farmi il solletico?”
“Si. Grazie”
“Di cosa?
“Di essere così gentile con me. Grazie.”
“Prego.”
L’uomo la guarda rilassarsi. Già da come piega la schiena, da come si muove, si vede che è più tranquilla. “Quella maglietta non ha mai avuto un aspetto migliore”
Mira abbozza un sorriso “il mio vestito?”
“Quello che c’è rimasto? Nell’armadio, ma penso sia da buttare via.”
Mira annuisce e pensa che non l’avrebbe mai tenuto: le avrebbe ricordato la brutta avventura e lei vuole solo dimenticare. “Vorrei farmi…” abbassa la voce in un mormorio perchè lo sente molto vicino a lei. E’ ancora più a disagio “…una doccia. Non ho fatto in tempo, prima”
L’uomo la guarda per qualche secondo, poi le prende le mani e la dirige verso la porta. Quando le posa sulla maniglia, Mira l’afferra saldamente. “Grazie”
“Basta ringraziare. C’è un asciugamano pulito piuttosto grande e una marea di quegli affarettini minuscoli di plastica pieni di shampoo e tutto il resto. Ma se decidi di lavarti i capelli - e dio solo sa come ci riesci - apri l'armadietto in basso a sinistra, c'è una mezza schifezza che chiamano fon."
“Ok...ma perchè quella frase? Su i miei capelli" domanda con una strana impressione.
Jack la guarda pregustando la faccia che farà e gli accidenti che gli tirerà. "Beh, non potevo lasciarti sporca di fango da capo a piedi. Ti ho infilato sotto la doccia."
Sente provenire un silenzio imbarazzante da lei e sorride "ed è stato un vero piacere, credimi."
Mira sta inghiottendo le ultime parole a stento. Che... ha... fatto? "Di questo non riesco a ringraziarti!" sibila entrando dentro il bagno e chiudendosi la porta alle spalle “non c’è la chiave, quindi non entrare” grida imbarazzata, strappandosi la benda dagli occhi e gettandola in terra "ma cosa lo dico a fare, tanto hai visto tutto quel che c'era da vedere!"
“Non tutto. La chiave non c’era da prima, non l’ho tolta io” le risponde ad alta voce ridendo apertamente. “Sta tranquilla, non entrerò a lavarti la schiena a meno che tu non lo chieda espressamente!”
Mira gli lancia un accidenti dopo l'altro e borbotta parolacce fra i denti: è così tesa che non riuscirà a godersi in santa pace il suo bagno!
Dopo dieci minuti non è più molto convinta e si rilassa talmente tanto da riaddormentarsi.

Mezz’ora dopo, Jack guarda la porta e aggrotta le sopracciglia. È scappata? C’è affogata dentro?
Si alza posando gentilmente il libro sul tavolo, il segnalibro in mezzo e bussa alla porta senza ricevere risposta.
Quando si intrufola furtivamente, si accorge che sta dormendo nella vasca colma d’acqua calda. Il vapore sale in alto, la condensa opacizza la tendina di plastica azzurra della doccia che ricade fuori la vasca.
Resta a guardarla per un po’, mezzo imbambolato, una parte del suo corpo che risponde attivamente alla sollecitazione visiva. Si muove verso di lei senza pensarci, portandosi alle sue spalle.
“Mira…” sussurra nell’orecchio facendola mugolare “se affoghi nella vasca, ti lascio qua e me ne vado” ridacchia mentre la donna si sveglia di colpo e sobbalza voltandosi dalla sua parte.
“Che fai qui, vai..”
Si azzittisce all’istante, lo sciacquio dell’acqua che rompe il silenzio. “Sembra di giocare a mosca cieca”sussurra con la voce incrinata, toccando le mani che le ha messo sugli occhi “toglile, li ho chiusi”
“Non mi fido”
“ "Jack", tu mi stai guardando e sono nuda! Che dovrei dire io?” esclama cercando di scuotere la testa.
L’uomo la tira contro di se, la testa contro il suo collo e le bisbiglia nell’orecchio lentamente. “Smettila di mettere il mio nome fra virgolette. Hai dormito bene?”
“Si”
Le sta facendo il solletico…con la voce…Mira rabbrividisce, la pelle d’oca che le tende…si immerge di più per non farsi vedere, imbarazzata per la propria eccitazione. “Mi dai l’asciugamano?”
“Vediamo…no!”
Mira si agita, il cuore che batte furiosamente, combattendo contro quel piacere sottile sottile che le corre nel corpo. “E dai”
“Sto scherzando!” ribatte ridacchiando e allontanandosi un poco. Un secondo dopo un soffice telo le sfiora la mano. Un sorriso divertito gli si stampa in faccia mentre lei lo prende in fretta e lo tiene appallottolato contro il seno.
“Allora…che facciamo?” mormora cercando di buttarla sul ridere “resti e m’impedisci di uscire dalla vasca o te ne vai?”
“Pensavo di restare, c’è una gran bella visione da qui” ridacchia allungando l’occhio sulla sua figura distorta dall’acqua. “Veramente niente male, occhioni blu”
Mira non muove neanche un muscolo quando toglie le mani. Il primo impulso è quello di aprire gli occhi, di batterli con forza. Si sforza di non farlo.
“Girati”
Cosa?! “Perché?” domanda in un sussurro appena percettibile.
“Va bene, non farlo allora” borbotta piegandole il collo all’indietro, sul bordo della vasca.
Che cosa sta facendo? Non capisco, non riesc…

Trasale quando lo sente baciarla. Un gemito le sfugge involontariamente e subito il bacio di fa più insistente, mentre lei mugola per la sorpresa. Lascia cadere l’asciugamano nell’acqua che si gonfia e le ricade sul corpo, ormai inutilizzabile.
Lo spinge via troppo sorpresa per riuscire a dire qualcosa. La sua spinta, seppur debole, è stata sufficiente a farlo cadere a terra.
Mira si stringe su se stessa, l’asciugamano contro di se, preda di una bizzarra sensazione.
“Scusa. Un impulso” ammette con voce bassa, restando seduto a terra. La vede voltarsi e per un momento suda freddo: ha deciso di rompere il loro patto?
“Stupido imbecille!” sbotta afferrando una manciata di mini - shampoo e tirandoglieli tutti addosso “Non ti vedo, ma ti becco lo stesso!” continua con la voce alterata mentre lui fa il semplice gesto di scansarsi da un lato.
L’ultimo lo coglie giusto in fronte, ma si limita a passarci sopra una mano con una smorfia.
“Lo so che ti ha preso. L’ho sentito, quel rumore attufato”
“Si, mi ha preso” borbotta con un mezzo broncio “chiedimi scusa”
“Non ci penso proprio!” ribatte restando girata dall’altra parte ad osservare le mattonelle “mi hai fatto prendere un colpo!”
“Sei nuda e a certe cose un uomo reagisce”
“E allora vattene di qui!” esplode imbarazzata “non ti è mai passato per la testa che una che è stata rapita e terrorizzata da un pazzo per giorni e giorni, posso sentirsi vagamente, ma dico vagamente nervosa e possa reagire male?”
“Non hai reagito poi così male. Se avessi reagito male, saresti uscita da lì e mi avresti preso a schiaffi.”
“Faccio sempre in tempo, sai?” replicò con la voce tremante, mentre l’uomo se la rideva sotto i baffi.
Jack la vede inclinare la testa, appoggiarla sulle ginocchia che tiene strette contro di se e sospirare e sbuffare imbronciata.
Si avvicina lentamente, dandole modo di sentirlo.
“Lo vuoi, quello schiaffo?” mormora fra i denti con aria minacciosa.
“No, voglio sapere se è stato spiacevole”
Mira sbatte gli occhi più volte, quando recepisce la frase nella sua interezza. Ci sta mettendo troppo a rispondere. “Non lo so. Praticamente non ti ho sentito”
“E allora perché fai tanto l’arrabbiata?”
“Mi fanno arrabbiare quelli che pensano di poter fare quel che vogliono. Non prenderti certe libertà solo perchè sei bravo ad usare la pistola”
“Mica solo quella e a dirla tutta, non l’ho pensato. Ti ho baciato perché pensavo ne avessi bisogno.” E perché mi andava, conclude dentro di se con un sorrisetto.
“Voi uomini pensate sempre di sapere quello che vogliamo. Io voglio solo farmi un bagno in santa pace e andarmene a casa mia. Voglio vedere le mie amiche, i miei colleghi, voglio vedere…”
Mira s’interrompe pensando all’immagine sempre più sfuocata di Bronx
"I tuoi genitori?"
"Sono morti. Incidente d'auto"
“Drammatico. Il tuo ragazzo?”
“No, non ce l’ho. Mi ha lasciata. Per un’altra.”
“E con chi stavi andando a cena?”
“Con un…tipo..” Sussurra sulla difensiva sbirciandolo alle sue spalle.
Jack sorride, portandosi alle sue spalle, le ginocchia a terra, le braccia incrociate sul bordo della vasca "mh... un tipo..."
Quel tono malizioso la fa sorridere "un gran bel tipo. Allora?"
"A lui non avresti tirato lo shampoo addosso"
L'espressione di Mira è eloquente, ma Jack non può vederla. Però la sente ridere e la cosa gli fa piacere.
"No. Penso di no. Ma non si può mai dire"
"Una donna non colpisce un uomo che l'attrae" borbotta dando sfoggio di profonda saggezza da cioccolatino.
Mira abbozza un sorriso ancora più largo "pensi di sapere tutto e invece non sai nulla delle donne"
"Io so solo che il mio... bacio" mormora agitando una mano nel vuoto "se vuoi chiamarlo così, non ti ha infastidito. Ti ha solo colto di sorpresa"
"Sei molto sicuro di te" mormora fissando risolutamente un punto inesistente, imbarazzata dal discorso.
"Abbastanza. E se sbaglio, sbaglio di poco" afferma serio, il sorriso svanito.
"La smettiamo con questo discorso noioso?!"
L'intensità della sua domanda lo fa ammutolire. Si sta agitando, l'ha messa in difficoltà. Non pensava che sarebbe successo.
Ma ci sperava.
"La smettiamo" conferma continuando a guardarla e vedendola stringersi ancora di più nell'acqua. "Non hai freddo?"
“N-no” mormora immergendosi di nuovo e afferrando l’asciugamano “no. Però adesso usciresti? Per favore” balbetta con la voce malferma. Sta succedendo qualcosa…in lei, fra di loro…
“Ti ho spaventata prima?” le domanda alzando una mano per accarezzarla e ripensandoci dopo un secondo.
“Un po’” balbetta arrossendo. Può sentirsi, un liquido più caldo nel calore dell’acqua. Dio… “Te ne vai? Sto sprofondando dalla vergogna!”
“E perché?” si appoggia al marmo con le braccia, respirandole dietro il collo “non c’è bisogno”
Mira non risponde, pensando che dice bene lui, che è vestito e può vederla! "Sei un guardone, lasciatelo dire, caro il mio 'Jack' fra virgolette!"
L'uomo sorride, sinceramente divertito "sono un guardone, lo faccio per lavoro. Studio le mie prede, le viviseziono e le osservo. L'ho fatto con quel lombrico, ma ancora di più con te."

"Che fortuna" sussurra agitata "e ti sei eccitato abbastanza, mentre mi guardavi?"

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Capitolo 15
*** Scene 14 : Sfrigolio di falene. In alto. A sinistra. ***


Il silenzio che segue non le piace

"Guardarti è fonte d'ispirazione, cara Mira senza virgolette. Potrei dirti cosa mi sta passando adesso per la testa, ma non penso reggeresti una tale confessione. Sei nuda, e quello che sto immaginando non rientra nelle normali fantasie di un uomo."
Mira raggelò per il terrore e non riuscì a staccare la lingua dal palato. Le sue mani si chiusero sul tessuto spugnoso che le pesava addosso, ma che non bastava a garantire una protezione adeguata. Il cuore batteva violento, ondeggiando sotto lo sterno. Una nausea fortissima l'aggredì alla bocca dello stomaco e le gambe divennero improvvisamente di piombo.
"La tua fidanzata non sarebbe molto contenta" farfugliò a mezza bocca.

Quando Jack rise, saltò internamente. "Mi sa di no. Colpa di questo lavoro, sono sempre in giro e la vedo poco" spiegò usando un tono tranquillo e pacato che stonava violentemente con l'affermazione di poco prima. "Dovrò prenderle un bel regalo. Consigliami qualcosa tu, guardona. "

Mira staccò le labbra sigillate contro i denti e bisbigliò che 'dei fiori facevano sempre effetto'. Non le venne in mente nient'altro. Il tremore che la scuoteva non voleva proprio smettere di farle venire la pelle d'oca. Il cervello era sotto stress: aveva un attacco di panico in piena regola!
L'acqua della vasca ondeggiava pericolosamente come se fosse in mezzo ad una tempesta; Mira allungò una mano per afferrare il bordo e lo strinse forte, non capendo più nulla di quello che diceva il suo perfido aguzzino che la terrorizzava mentalmente, più di quanto aveva fatto Marv prima di lui.
"Non sono una guardona..."
Cincischiò con le parole come fossero monetine che scivolavano dalle dita, sebbene di sforzasse di tenerle strette nel palmo della mano.
" Fai la fotografa, devi esserlo per forza!"
"Io... non sono... io fotografo morti!" sbotta agguantando meglio l'asciugamano. Basta con questo discorso!
"Anche io osservo i morti. Solo che i miei camminano ancora. Per poco, ma camminano!" sghignazza senza riuscire a trattenersi.
"Jack mi stai facendo paura." Balbetta sinceramente spaventata "finiscila... mi sto sentendo male, smettila! Mi manca il respiro" singhiozzò con gli occhi che le bruciavano di lacrime e l'ossigeno che non voleva entrarle nei polmoni. 
L'uomo la guardò di traverso e poi si spostò di fronte a lei: che le prendeva? Teneva gli occhi stretti, le dita sbiancate per la forza di aggrapparsi al bordo solido e stava sudando copiosamente... e non certo per l'acqua calda!
Restò in silenzio non sapendo cosa dire. Accennò un breve spostamento che la fece schizzare fuori dalla doccia e lo prese di sorpresa, mentre Mira lo colpiva sul petto e lo spingeva lontano da lei.
I piedi bagnati scivolarono sulla maioliche e Mira urlò mentre cadeva a terra, sconvolta dal terrore e dalla paura che stavolta l'avrebbe uccisa o torturata o le avrebbe fatto qualcosa di peggio. Era così atterrita che lo colpì violentemente mentre cercava di agguantarla per le braccia e imprigionarla contro di lui.
"Ma che stai facendo, stupida?!" gridò fra i denti, arrabbiato "smettila, ti stai facendo male da sola!" 
"Lasciami, lasciami" urlò fra le lacrime "non mi toccare, vattene via!"

Il signor M la stringeva impedendole di muoversi e di combinare ulteriori danni mentre lei piangeva a dirotto per il terrore partorito solo dalla sua mente. Sentiva un lento bisbiglio incomprensibile che a poco a poco diradò le nebbie della confusione e la riportò a terra.
Era una terra un pò fredda e un pò calda, perchè l'uomo l'aveva accoccolata contro di se e la stringeva dondolando lentamente. Mira respirò un odore misto di sapone, lana e detersivo per i vestiti mentre si calmava.
Respirò l'odore di mille chilometri passati viaggiando su e giù per il paese, di motel, di letti sconosciuti e respirò la propria  pelle che sapeva di bagnoschiuma a poco prezzo. 
I capelli le tiravano sulla fronte mentre qualcuno li scostava e li accarezzava e taceva, trasmettendole pace.
Che pace... pensò stringendo il maglione bagnato sotto le dita e muovendo la testa di qualche millimetro.
"Stai bene?"
"Si. Penso...." bisbigliò improvvisamente timida. Aveva fatto tutto da sola, si era creata mostri immaginari e li aveva ingigantiti all'inverosimile.
Mira lo sentì muoversi sotto di lei, sentì il suo corpo che si allungava e un tessuto caldo avvolgerle le spalle. "Adesso asciugati o ti riscoppierà l'influenza. Ti ho preso dei vestiti mentre eri ammalata, spero di aver beccato la giusta taglia." Le disse morbidamente, allentando la presa "posso lasciarti da sola o cercherai di ammazzarti un'altra volta?"

Mira annuì restando immobile. Il suo aguzzino è una brava persona, è lei che cerca di demonizzarlo a tutti i costi. Si alzò avvolgendosi immediatamente nell'asciugamano e abbassò la testa vergognandosi di quello che aveva fatto. Quando la porta gli si chiuse dietro, Mira evitò per molto tempo di guardarsi allo specchio.

***

Il signor M la lasciò sola per tutto il giorno, il tempo di farla riprendere. Cosa le fosse preso era un mistero a cui solo la donna poteva rispondere. Probabilmente l'aveva terrorizzata in qualche strano modo che non riusciva a comprendere, sebbene si sforzasse di immaginarlo.
Il carico di Nero 'pesava' nel bagagliaio della Chrysler che controllava regolarmente. Secondo gli accordi, avrebbe dovuto portarlo lui stesso a New Orleans e adesso non vedeva l'ora di disfarsene, di tornare a casa, piazzarsi di fronte al computer a chattare con la sua amica di Washington, bevendo Prosecco ghiacciato in un bicchiere da champagne.
Ognuno ha le sue piccole manie.
Invece tornò all'hotel dopo una passeggiata da se stesso, chiedendosi se non aveva fatto male a prendere quella donna con se.
I suoi occhi...
Per occhi come quelli avrebbe demolito il mondo. Se solo lei gliel'avesse chiesto...
Stronzate da insonnia, concluse rientrando nella sua 'vecchia' pelle e camminando verso la porta che immaginava sbarrata. La fissò perplesso, domandandosi se non faceva bene a lasciarla andare via e poi bussò delicatamente sentendo un 'avanti' gridato da una bocca impastata.
Quando entrò Mira si girò verso la finestra da cui proveniva la pallida fotocopia di un sole sbiadito. "Non ho la benda con me" mormorò tenendo gli occhi risolutamente puntati sulla collinetta che si intravedeva dietro gli scheletri d'alberi invernali.
Il signor M non diede segno d'averla sentita. Restò i piedi all'entrata e le chiese come stava. E se aveva mangiato.  
"Si e no" rispose a bassa voce "i vestiti mi vanno bene, grazie."
"Non hai fame?"
"Si... un pò. Mi andrebbe un pasto vero."
"Allora esci e vai al  ristorante dell'albergo, non è niente male" le disse con voce incolore, tenue, trasparente.
Mira dovette fare uno sforzo notevole per non girarsi. "Davvero? Posso?"
"Non sei mia prigioniera" ridacchiò con una stonatura incrinata "sei mia ospite."
Detto questo, riprese il suo libro e canticchiò a bassa voce un motivetto che Mira aveva sentito più volte per radio. Lo sentì gettarsi di peso sul letto e poi più nulla, segno che la loro conversazione era finita. 
Si alzò lentamente, prese la borsetta adagiata sul tavolo e afferrò il portafogli infilandolo nella tasca posteriore dei jeans.
"Ok... allora vado"
" 'ao" borbottò a mezza bocca, usando quel tono che hanno solo le persone fortemente concentrate.  

Mira uscì rigida dalla camera e solo nel corridoio ricominciò a respirare nuovamente.

Il signor M alzò gli occhi dal libro, guardò la porta e strinse le palpebre impercettibilmente, chiedendosi se aveva fatto bene a farla uscire. Avrebbe potuto chiamare la polizia...
No, non l'avrebbe mai fatto. Era troppo terrorizzata da lui per azzardarsi ad alzare il telefono. E' terrorizzata da me, pensò più volte con i muscoli del volto contratti e un certo sfrigolio di ali di falene nel torace.
In alto.
A sinistra.

***

Mira bussò lievemente e poi con fare deciso. Nell'altra mano stringeva un pacchetto da pasticceria: un offerta di amicizia che serviva più a lei che a lui. Doveva convincersi che non era un mostro e che stava imparanoiandosi da sola.
Entrò nella stanza buia con un certo tremolio alle ginocchia. Perchè non era scappata, perchè non aveva chiamato la polizia? Perchè tornata là dentro?
Perchè lui l'avrebbe uccisa se l'avesse fatto. Conosceva davvero i suoi dati: la carta d'identità e la patente erano al posto sbagliato, le carte di credito infilate tutte insieme in una taschina interna del portafogli. Le mani nel tremarono e fu costretta a stringere il pacchettom facendo scricchiolare la carta mentre la porta si chiudeva dietro di lei e Mira rabbrividiva.
"Bentornata"  mormorò dietro la sua schiena facendola saltare.
"Ti ho portato una cosa" sussurrò allungando un braccio e mostrandogli il pacchetto "è un dolce. Non so però..."
"Non mi piacciono ma ti ringrazio"
Mira restò immobile nell'attesa di sentire quel fruscio di seta che conosceva bene.
Ma non successe nulla.
Il signor M le girò intorno, costringendola a tenere gli occhi fissi a terra e le si pose davanti con un'aria incupita che non potè vedere. "Perchè sei così spaventata da me? Non ti ho fatto nulla" mormorò osservando i capelli che spiovevano sulle spalle e il pacchetto che le tolse di mano e posò sul tavolo. "E' per la mia professione? Hai paura che potrei ucciderti o violentarti?"
Mira avvampò intensamente e immaginò che la penombra fitta della stanza fosse rischiarata dalle sue guance. Annuì appena, tormentandosi le labbra e demonizzando il suo carceriere per la seconda volta.
"Ma per favore!" lo sentì sbuffare con aria annoiata. "Fatti un sonno e non starci a pensare"

Quelle parole allegre, quasi spensierate, la lasciarono esterrefatta "se tu evitassi certi discorsi, io non sarei così agitata!" sbottò d'un tratto facendolo sorridere.
"E quante storie che fai, per un apprezzamento innocente! Lasciami scherzare un pò."
"Non mi piace scherzare in questo modo." Replicò con voce tagliente "e quale apprezzamento innocente?"

Era frustrante non poterlo guardare negli occhi mentre ci litigava. Lui ridacchiava e scuoteva la testa "vatti a fare una dormita, dai"
"Non ho sonno e smettila di ridere di me" ringhiò osservandolo al buio. La sua minaccia di morte non la scalfiva minimamente: in quel momento di rabbia si sentiva piena di energia anche se la paura ricominciava a salire. Jack aveva smesso di ridere e la fissava "hai deciso di rompere il nostro patto? Cerca di vedermi in volto e la tua prossima alba la vedrai dalla tomba" ringhiò facendola arretrare di un passo e continuando a muoversi verso di lei "stabiliamo un punto, donna. Tu non rompermi le palle con le tue fantasie frustrate e io eviterò di mandarti a dormire con i fossili"
Mira continuò ad arretrare fino a trovarsi con le spalle alla porta. "Smettila..."
"Stavolta no, occhioni blu. Sono stato comprensivo ed educato. Ma farmi dare dallo stupratore non rientra nelle miei complimenti preferiti"
"Scusa..."
"Scusa un cazzo. Capisco tutto. Capisco i nervi, capisco la paura, capisco quello che stai provando..." Jack s' interruppe abbassando la voce "capisco che forse dovrei violentarti davvero, così la smetteresti di pensarci."
Mira sussultò e si schiacciò ancora di più contro la porta, il cuore che pulsava frenetico sotto la pelle e che si accentuò quando le toccò la guancia "a che temperatura di fusione sei arrivata, tesoro? Stai quasi per evaporare. Fatti una doccia fredda" la frese in giro battendole la gota scherzosamente "ma mettiti in fila."
Detto questo fece qualche passo all'indietro e la lasciò a boccheggiare per lo spavento e qualcos'altro che non capiva e le attanagliava tutti i muscoli del corpo.
Scivolò a terra, con scatti secchi, forzando le ginocchia a piegarsi contro la propria volontà. Lo sentiva fischiettare sottovoce mentre si toglieva i vestiti.
Spostò lo sguardo su di lui nel momento in cui la luce del bagno le trafisse a metà una gamba.
Spostò lo sguardo nel momento in cui entrava nel locale.
Giusto in tempo per vederlo nudo.

 


  


 

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Capitolo 16
*** Scene 15 : L'odore delle donne... ***


Sente il suo dito che comincia ad accarezzarle la schiena e la fa rabbrividire

"Le tracce si fermano qui."

Bronx osservò le tracce delle gomme del maggiolino e tirò un accidenti silenzioso alla pioggia torrenziale che stava cancellato le parti finali delle frenate.
Riparato sotto un malconcio ombrello nero che gli era stato passato da un agente piuttosto sollecito, stette a guardare impotente le scie che svanivano e i ragazzi della scientifica che cercavano in tutti i modi di salvare il salvabile.
Ma cosa volete salvare, non vedete che è tutto inutile?!
Il fango gli sporcava le suole di para e poteva sentire i calzini inzuppati dall’acqua che non accennava a smettere di cadere ma aumentava ad ogni istante.
Fra poco avrebbero dovuto lasciare la zona per non rischiare di restare impantanati con la macchina in qualche pozzanghera alta mezzo metro o poco meno.
Bronx non scherzava poi tanto: quel tratto di zona era soggetto a vere e proprie alluvioni, nei mesi primaverili. Roba da farti marcire anche l’anima, per l’umidità che vi stagnava perennemente!
Il taxi verde sembrava essersi dileguato nel nulla: neanche si fosse aperto un buco nero in mezzo alla strada e l'avesse risucchiato in un universo parallelo!
Ficcò una mano gocciolante in tasca e tirò fuori l’identikit plastificato del tassista. Psicolabile del cazzo!

Ma non gli bastava mai? Entrava e usciva dalle galere, le aveva visitate quasi tutte entro i 25 anni e ancora insisteva a lavorare con il “Nero.”
Quella droga era una vera e propria congiura contro di lui: gli alcaloidi ti mandavano fuori di testa, ma la roba con cui la tagliavano a lungo andare ti rendevano più dipendente del crack.
Nero... come i viaggi che ti facevi, neri e cupi, impregnati di violenza e degradazione. Ci aveva avuto a che fare anche lui, una volta. Era una matricola, avevano appena sequestrato un carico ad un mercante di morte come Farmer. L'agente più anziano aveva azzardato una proposta seguita subito da tutti gli altri. Si erano sparati una dose quasi invisibile, ma quello era bastato per scatenare una reazione inattesa. Harvey aveva affrontato i suoi peggiori incubi mentre delirava e non si era reso conto di aver aggredito un compagno e che tutta l'unità stava massacrandosi di botte. Li avevano dovuti fermare con i bastoni telescopici e le camicie di forza. Bronx si era svegliato all'ospedale con un braccio rotto, una costola incrinata e venti punti di sutura dietro la schiena, ma ad altri era andata peggio: la milza di Dickinson l'aveva lasciato per sempre e Atkins aveva subito una commozione celebrale a causa degli 'urti ripetuti contro una superficie dura'.
Harvey ricordava vagamente di aver visto Phillys aggredirlo, sbattendolo più volte contro lo spigolo del tavolo degli interrogatori.
Sospensione e punizioni a cascata e radiamento dall'albo per Phillys che aveva avuto la bella idea.
Arrivare al grado d’ispettore capo era stata una gran botta di culo. Quello era uno dei tanti motivi per cui si vociferava che fosse stato raccomandato da 'papino'.
Lord Henry Lloyd Bronson non era stato per niente contento di vedere il proprio figlio giacere ammanettato in un ospedale militare con la sorveglianza stretta fuori la porta. 'Avrebbe preso i giusti provvedimenti'
Lui era mezzo intontito dagli analgesici e dal dolore ma ricordava benissimo quelle parole calme, quasi suadenti, dirette alle guardie che lo tenevano d'occhio.
Bronx si è abbreviato il cognome per cercare di sviare l'attenzione eccessiva e per lasciarsi il potere paterno alle spalle, ma non era bastato.
C'era voluta una brutta incursione in un deposito di merce di contrabbando per far risalire la stima del dipartimento in lui. Beccarsi una pallottola per un collega sembra che faccia sempre molto effetto di fronte alla disciplinare.

Bronx non ci pensava neanche lontanamente a fare da scudo umano a quel gran coglione di Jeremiah. Semplicemente, ci si era trovato in mezzo e la nove millimetri l'aveva centrato giusto giusto sotto il polmone, salvando la vita all'idiota bietolone che tremava come una foglia e mandando lui in ospedale per un altro mese e mezzo.

Si distrasse dai pensieri con una scrollata di capo. Roba vecchia, passata. Morta e sepolta. Ora doveva occuparsi di Mira e di quel pazzo. Sarebbe rimasto abbastanza lucido da lasciarla in vita o l'avrebbero ritrovata cadavere in qualche burrone? Cancellò la brutta immagine velocemente: sarebbe arrivato prima di lui, che diavolo, lo pagavano apposta per braccare quei bastardi senza Dio fino alla nausea, sarebbe stato più veloce, sarebbe stato...
Cristo santo!
Si piegò sulle ginocchia lasciando andare l'ombrello e la pioggia lo inzuppò all'istante. Frugò nel fango e tirò fuori uno specchietto che  aveva già visto. Quello specchietto era identico a quello che le aveva visto in mano quando era rientrato con il caffè e Mira stava sistemandogli l'ufficio: le era andato un granello di polvere nell'occhio e lei stava osservandolo in uno specchietto esattamente di quel colore e modello.

"Che fa, ispettore?! E' senza guanti!" gli urlò un addetto della scientifica saltando come un grillo verso di lui con una bustina di plastica.
"Guanti?! E pensi che servano in un posto come questo?!" gli urlò conto visibilmente incazzato e con le voce che tremava. "Cercaci le impronte sopra!" sbottò lanciandoglielo e girandosi verso la macchina.

Quando fu al riparo della pioggia, trasse la foto stampata di Mira dalla tasca e la osservò con il viso contratto. Un sudore gelido e fastidioso gli aggredì la colonna vertebrale e lo fece tremare. Mira...
Ripose il foglio, dopo averlo piegato in quattro e guardò la vallata aggredita dalla pioggia. Non sta succedendo davvero, non a lei! Mira non può essere con lui!

****

Mira si svegliò di colpo, sentendo allo stesso tempo il 'click' della lucina scattare su off.

"Brutto sogno?"

Sudore, tremiti e palpiti. Un piacere che si propagava nel ventre e nel resto del corpo che fremeva e si muoveva sotto la coperta. Non era un incubo... pensò scuotendo la testa e stringendosi le braccia contro. Poteva sentire i capezzoli inturgiditi sotto la maglietta che indossava. Mugolò un flebile 'no.' No no no no!
Il suo perennemente insonne compagno, la guardava aspettando. "Non fissarmi" sibilò scoprendo con angoscia di essere quasi andata a finire nella metà del suo letto e che ci mancava poco per arrivare fino alle sue labbra.

Non voleva toccarlo.
Non voleva baciarlo.
Non voleva averlo così vicino.
Non vol..

Se sei una che fa sempre tutto il contrario di quel che pensa, ti metti nei guai un sacco di volte. E' quello che rimugina mentre gli si allaccia addosso e lo costringe a baciarla. E' tiepido e ha le labbra asciutte che si ammorbidiscono lentamente.
Il signor M resta immobile per qualche secondo; troppo stupore, troppa sorpresa per poter reagire. Lascia cadere il libro da una parte, le sue mani si muovono lungo la schiena salendo fino al collo e ricambiando il bacio.
Sta andando in automatico, non prova alcun piacere in quel che sta facendo.
Si siede a cavalcioni su di lui e continua ad esplorargli la bocca. Un morso lo costringe a staccarsi per il dolore e Mira resta a guardarlo esterrefatta.
Si scosta velocemente, il cuore non vuole smettere di battere in quel modo. Non sa come giustificarsi.
Lui la toglie dall'imbarazzo riprendendo il suo libro e facendo finta di niente, schiarendosi di tanto in tanto la gola e non vedendo un accidenti della pagina che ha davanti a se, perchè è completamente buio.
Mira striscia fino alla propria sponda e gli da le spalle in silenzio, chiedendosi se non ha proprio esagerato stavolta. 

"Mi piace quando sospiri il mio nome... è l'unica volta in cui non lo metti fra virgolette" ridacchiò gelandole il sangue nelle vene. "Cavolo, se avessi saputo che era così divertente passare il tempo con te, l'avrei ammazzato prima, quel porco!"

La donna inspirò rabbia al posto dell'ossigeno: gli scaraventò il cuscino in faccia per metterlo a tacere. "Non dire stupid.." Mira si interruppe al colpo soffice del proprio cuscino rispedito al mittente. "Infantile!" 
"Hai cominciato tu. E mi hai anche morso"

La lotta fra i due fu breve non solo per la differenza di forza fisica: Mira aveva quasi paura di toccarlo e lui non intendeva affatto toccarla. Si limitò a farle mordere 'il lenzuolo' da vicino per poi ignorarla.
"Il tuo senso dell'umorismo è pari alla temperatura dell'Antartide. Non è vero, non mi stavi 'sospirando' ma dalla tua reazione capisco cosa stavi sognando" borbottò infastidito "se vuoi fare sesso basta chiederlo in carta bollata e triplice copia. Questo continuo prendertela con me, fa capire molte cose. Basta che non mi mordi"
"Non voglio fare..." mormorò divincolandosi "lasciami, per favore."
Il signor M la lasciò all'istante e Mira caracollò via, mettendo il più possibile spazio fra loro. Avrebbe dormito sul pavimento pur di non tornare in quel letto che le appariva schifosamente attraente e lussurioso. Devo andarmene via, adesso! Pensò afferrando i jeans e infilandoseli di corsa. Gettò uno sguardo alla finestra e vide che il temporale infuriava più di prima. Dove sarebbe andata senza un mezzo di trasporto? La polizia! Perchè non l'aveva chiamata?!
Calmati. Basta con le scenate,
si ripetè più e più volte mentre osservava la pioggia, consapevole che lui la guardava e aspettava. La stava studiando, analizzando. Gliel'aveva detto all'inizio. Stava scoprendo i suoi punti deboli, la strana attrazione che provava per lui.
La stava facendo impazzire.
Letteralmente

"Passata la botta di matto?"
"Si."
"Sei strana donna, mi dai un pò di ansia."

A quelle parole, Mira scoppiò a ridere. Una risata di cuore che la fece sentire meglio "senti chi parla... caro 'Jack' fra virgolette" sogghignò rallegrata.
"Cameriere, umorismo al tavolo tre... di corsa!"
"Sei matto... sei... sopra le righe"
Mira lo vide guardarsi attorno più volte "a me sembravano a fiorellini, ste lenzuola"
Di nuovo la risata accorata della donna lo interruppe. La osservò tenersi lo stomaco dalle risate e barcollare fino al letto dove ricadde seduta, molto lontano da lui.
"Mi hai fatto venire sonno, il che è un avvenimento. Non fare casino e non arrovellarti il cervello inutilmente. Tanto non te lo do, sono fidanzato e molto fedele" le disse sentendo le risatine che crescevano di tono.

°°°

Sociopatia:  nella relativa forma completa, la sociopatia si riferisce ad un disordine antisociale di personalità (DSM-IV). E' caratterizzato da una tendenza e capacità di ignorare le leggi e le regole, da difficoltà a relazionarsi all'interno dei rapporti empatici ed intimi, da bassa interiorizzazione dei campioni morali (cioè, una coscienza o un superego più debole) e da un' insensibilità ai bisogni e diritti di altri. La maggior parte della gente in sociopatia ha spesso problemi di aggressività ed è un disturbo psicologico molto presente fra le popolazioni criminali.

Riportiamo la seguenti distinzioni:


Comuni: sono il sottotipo più vasto e hanno una coscienza debole o non elaborata. Non si vergognano delle cose di cui le persone normali si vergognerebbero. Sono come bambini selvatici cresciuti, provano piacere e impulsi gratificanti ad ogni opportunità o tentazione. Amano in particolar modo distorcere o infrangere le regole e ne vanno fieri. Da adolescenti spesso scappano di casa. Da adulti si spostano frequentemente, vivono in rifugi o si approfittano dei servizi sociali. Sono esperti nel rubare nei negozi. Le loro vite sessuali sono abbastanza attive. Hanno di solito intelligenza nella media ma non vanno bene a scuola e sembrano non uscire mai da una serie di lavori poco pagati senza prospettive. Nonostante tutto questo, sembrano sinceramente felici della loro vita, non essendo appesantiti dal fardello di un senso di scarsa autostima o dal fatto che non sono mai stati membri funzionali e contribuenti della società.

Alienati:  costoro non hanno mai sviluppato la capacità di amare, empatizzare o unirsi nella vita reale ad un’altra persona. Dimostreranno più emozioni nei confronti di un animale domestico o di un manufatto personale piuttosto che verso una persona. Oppure possono odiare gli animali e vivere la loro vita emozionale guardando la tv (l’identificazione con i personaggi di una soap opera è un tratto comune). Corteggiamenti e relazioni matrimoniali sono molto aridi e vuoti. Non vanno d’accordo con i vicini di casa. Vivono in un guscio. Hanno un atteggiamento freddo e insensibile nei confronti della sofferenza umana o di qualsiasi problema sociale nella società in cui vivono. Non gliene importa niente perché tutto è fuori dalla portata della loro empatia. Molti di loro ritengono che questi loro atteggiamenti siano giustificati dal fatto di essere stati traditi in qualche modo dalla società stessa, e alcuni saranno più che felici di far fuoco e fiamme su questo argomento su chiunque ascolti. Si lamentano in modo cronico e in fondo tutto quello che vorrebbero è che la società venisse distrutta.

Aggressivi: queste persone ottengono una forte anche se non malvagia gratificazione dal danneggiare gli altri. Amano fare del male, terrorizzare, tiranneggiare, angariare e manipolare. Lo fanno per un senso di potere e controllo e spesso lanciano delle sottili indicazioni riguardo alle loro intenzioni. Ingentiliscono le loro maniere aggressive e dominanti in modo da camuffare ogni senso di intimidazione che gli altri possono provare. Cercano posizioni di potere, come genitore, insegnante, burocrate, supervisore o agente di polizia. Il loro stile è quello di un’aggressione passiva, in quanto sistematicamente tendono a sabotare le idee degli altri per sostituirle con le loro. Nel tempo libero amano cacciare o occasionalmente compiono azione sadiche come fare del male a cani randagi. Di solito riescono bene nell’ottenere ciò che vogliono e sono particolarmente vendicativi se ostacolati o se trovano resistenza. Non seguono la norma sociale della reciprocità come gli altri.

Dissociali: Si identificano e mantengono la fedeltà con una subcultura dissociale, emarginata o predatoria. Ogni subcultura va bene per loro purché contrasti l’autorità stabilita. Sono capaci di intensa devozione e anche di un senso di colpa e vergogna nell’ambito di tali limitati ambienti. Comunque sembrano finire sempre in situazioni sfortunate e con cattive compagnie. Nonostante si lamentino che niente di tutto ciò sia colpa loro, dietro a tutto c’è un genere di meccanismo di ricerca del fallimento nelle scelte sbagliate che compiono.

Il signor M non aveva mai capito in quale gruppo rientrasse. Era solo un sociopatico sull'orlo di una crisi di nervi.
Gli piaceva tanto scherzare su quella cosa, anche se in fondo in fondo se ne preoccupava.

Non fai il killer, se non hai qualcosa che non va.

Teneva la donna lì con una scusa. Non aspettava niente. Gli piaceva stare con lei e tra poco avrebbe ceduto, come l'ultima volta, con la bella Miranda.
Ma lei aveva infranto le regole ed era morta ancora prima che il lobo frontale registrasse l'immagine del suo volto.  
Miranda aveva conosciuto solo Jack, non aveva visto L*** M*** dietro la sua maschera.

Il signor M guizzava sotto la pelle, lo sentiva mentre scherzava e faceva battutine sceme alla dea dagli occhi azzurri e la carnagione di miele fuso.
Il signor M lasciava che Mira si muovesse liberamente nell'hotel, la lasciava libera di andarsene in qualsiasi momento. 

Jack l'avrebbe legata subdolamente a se, e ne avrebbe approfittato senza troppi rimorsi. L'avrebbe fatta innamorare e impazzire e l'avrebbe ammazzata, quando sarebbe stato il momento di togliere le tende.
C'era sempre la torbida inflessione di Jack nei discorsi con la dea: non riusciva a tenerlo a bada, quel piccolo bastardo che sogghignava e insisteva a stuzzicarla per demolire le sue difese.
Non che gliene ponesse molte contro.
Sarebbe bastato un piccolo gesto, una frase detta al momento giusto, una parola che racchiudeva in se tutto quello che lei voleva sentirsi dire.

Jack l'avrebbe detta senza tante paranoie.
Il signor M avrebbe aspettato un suo cenno, uno sguardo, un movimento di labbra prima di parlare.

Il signor M la rassicurava sul pavimento del bagno quando piangeva in preda ad una crisi di nervi, mentre Jack la stuzzicava con i suoi discorsi volutamente erotici.

E mi sa che devo fare qualcosa per questa situazione, pensò dopo essersi svegliato e aver constatato con piacere di aver dormito ben cinque ore filate. Un record da festeggiare!
Sapeva di essere un pò squilibrato, ma non pensava di essersi aggravato. Psicologo neanche a parlarne, Jack l'avrebbe ammazzato alla prima parola negativa.
Permaloso e strafottente, pensò lanciando uno sguardo a Mira che dormiva placidamente... attaccata a lui. Alzò un sopracciglio, con un sorriso ironico e la circondò con un braccio vedendola accucciarsi meglio. Le accarezzò una guancia, tastando una piacevole morbidezza che non aveva avuto più il piacere di gustare da un pò di tempo. Forse anche troppo, considerò eccitato da tutto quel calore e profumo indubbiamente femminile.

L'odore delle donne... fiori, caramelle e mare. Passeggiate nei campi e serate raffinate. Seta rossa e profumo di biscotti.

Strana associazione di idee, riflettè mentre Mira si muoveva e sospirava. Sarebbe stato meglio lasciarla. Si sarebbe svegliata e le sarebbe preso un altro colpo e lui odiava la gente che urlava di prima mattina. 
Ma non riusciva a staccarsi da quel prato odoroso di primavera, così comodo da farlo quasi riappisolare addosso a lei. Non riusciva a muovere un muscolo mentre Mira respirava regolarmente e le dita infilate sotto al cuscino si intrecciavano alle sue. 
'...e poi vi è quella dolcezza che rilassa la mente e scalda il cuore, predisponendoti al passo successivo. La voglia innocente di toccare, baciare e assaporare fino ad arrivare all'eccitazione puramente sessuale. Un attimo prima di sprofondare nel corpo della tua amante che nulla vuole se non tutto te stesso...'
Devo smettere di leggere quella roba, si disse rabbuiandosi e osservando la linea della gota che declinava nella vallata morbida delle sue labbra.
'Riuscire a percepire ogni singolo sussulto e appropriarsene come fosse un'emozione propria.'

Il signor M, a quello, non c'era mai arrivato. Non aveva mai amato davvero. Non sentiva nulla. Qualcosa simile alla pietà, ogni tanto, qualcosa che sembrava affetto ma che si rivelava... nulla. Aveva provato la stessa cosa per Mira, quando era stata in pericolo.

Jack non aveva mai amato nessuna: aveva fatto del buon sesso, in certi casi ottimo, ma non aveva mai ceduto.
E anche in quel momento, mentre il signor M emergeva prepotente, al richiamo di quel fastidioso sfrigolio di falene nel deserto e delle loro ali che bruciavano al sole improvviso, Jack lo ricacciò nel profondo abbandonando quel piacevole e irritante giaciglio.

Prima che lei si svegliasse.

Prima che la uccidesse.

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Capitolo 17
*** Scene 16 : Insano ***


Jack Tempesta esiste veramente

Non c'è. Meno male.
Mira si era svegliata intontita e depressa... e aveva tanto la sensazione che quel tipo le si fosse attaccato addosso, perchè sentiva un odore sul braccio e sulla spalla che non era il suo.
Si vestì senza neanche lavarsi il viso, aprì la porta e si lanciò fuori, frenando immediatamente dopo aver ricordato di prendere la borsetta. Dove sarebbe andata senza soldi? Sgusciò attorno alla cameriera che puliva il corridoio, scese le scale quasi a due a due e uscì dall'alberghetto guardandosi attorno. Dove poteva noleggiare una macchina?

Fermò il primo passante che le indicò un concessionario di poche pretese 'ma non l'assicurava sulla validità della vettura'. Mira strinse le labbra: non poteva rischiare di rimanere di nuovo a piedi, in mezzo al nulla, in balia di qualche pazzo!
Alzò la testa con una strana espressione sul volto.
Poteva sempre rubare quella di 'Jack'. Rubare la macchina di un killer! Che idea malsana, ridacchiò voltando lentamente sui talloni fino ad individuare il parcheggio della clientela dell'albergo.
La vide parcheggiata in mezzo alle altre, la fissò attentamente per qualche secondo e si affrettò a tornare in camera per frugare nei cassetti e cercare le chiavi.
Le trovò subito, stupendosi di quanto fosse stato facile e, mentre usciva, gettò un'occhiata alle valigette che giacevano in un angolo, accuratamente poste contro una parete.
Cosa c'era, là dentro? Armi, i suoi travestimenti... un'arma, decise prendendone una che pesava eccessivamente e facendo scattare le minuscole serrature.
E se ci fosse stata una trappola?
Si domandò sudando abbondantemente e spalancandola di scatto, abbassandosi subito sotto il tavolo!
Che imbecille, si disse ridacchiando e tornando su. Rimase a guardare i pezzi della pistola smontata e alzò un sopracciglio. Lei sapeva sparare ma non sapeva rimetterla a posto. A parte il caricatore, tutto il resto era arabo. Chiuse la valigetta, prese le chiavi e si avviò al parcheggio. Ci avrebbe pensato per strada: si sarebbe fermata in qualche negozio specializzato e avrebbe montato una storiella decente per farla mettere a posto.
La serratura scattò cedevole. Mira guardò l'interno della Chrysler e posò la mano sul sedile del passeggero. Lei era stata lì dentro? Non lo ricordava.
Chiuse gli occhi concentrandosi, ma non le venne in mente nulla. Mise in moto e uscì dal parcheggio facilmente.
Nessuno la seguì per quanto le fu dato vedere.
Coprì molte miglia in direzione New Orleans e mai, neppure per un secondo, le venne in mente di chiamare Bronx per avvisarlo che era viva. Correva come una pazza, tirando la macchina quasi oltre i limiti di velocità e non pensava. Guidava e basta, stando attenta che la spia della benzina non scendesse oltre metà serbatoio e che non si accendessero luci strane nel cruscotto.
Era notte quando giunse nell'ennesimo Motel. Lo guardò come si guarda una spiaggia dopo tanto nuotare e si decise. Scese dalla macchina, valigetta appresso e borsetta a tracolla e domandò una stanza per la notte. Quella specie di trans che lo gestiva, la fissò da capo a piedi e le tirò una chiave dopo essersi fatto/a pagare anticipatamente.
La fotografa entrò nella misera stanza e la osservò sconsolata: almeno Jack aveva avuto un pò più di buongusto nello scegliersi la cuccia per la notte. Si gettò sul letto vestita e si addormentò di colpo.

***

"Hai visto che macchina, là fuori?"
"Si che l'ho vista" gracchiò il gestore con aria lubrica "è della moretta appena arrivata. Deve avere un sacco di soldi con se e quella valigetta aveva un'aria costosissima. Bella, mi piacerebbe una così per il mio compleanno."
L'amico lo osservò con un sorriso sarcastico "amore, lo sai che basta chiedere per ottenere." 

L'uomo sguisciò nelle tenebre e si appropinquò alla Chrysler con passo felpato. Armeggiò con la serratura finchè non riuscì nel suo intento e quando fu dentro si strusciò le mani l'un l'altra. "Che bellezza... ci farò un sacco di soldi con te,  piccolina"
"Non penso proprio, sai?" sibilò una voce dietro di lui.
L'uomo non fece neanche in tempo a voltarsi. Uno schiocco rumoroso e terribile permeò il silenzio dell'abitacolo e il corpo del ladro si afflosciò sul sedile col collo disarticolato, mentre Jack scendeva dal retro e scrocchiava le dita. Adesso gliela faceva pagare, a quella scimunita che cercava di fregarlo!

Il gestore si insinuò nella camera di Mira senza fare il minimo rumore. Era un habitué della truffa, lui. Girò la chiave lentamente, impiegandoci molti minuti e si intrufolò nella stanzetta adocchiando immediatamente la valigetta. La prese e uscì subito, ritrovandosi a guardare un uomo dall'espressione seria.
Restò a fissarlo mentre lo sconosciuto osservava la valigetta e sorrideva.
Sorrideva ancora quando alzò la pistola munita di silenziatore e, dando un colpo veloce alla borsa, la alzò di fronte ai suoi occhi, parando gli schizzi di sangue che si sparsero sulla superficie leggermente scabrosa. 
L'uomo cadde a terra con un gemito lugubre mentre Jack puliva la ventiquattrore sui suoi vestiti con un certo disgusto. Entrò nella stanza della fotografa e la osservò dormire per qualche secondo. Poi lasciò andare di schianto la borsa a terra, svegliandola di soprassalto.
Mira lanciò un gridolino notando subito la mano del gestore che sporgeva dalla porta aperta e uno sconosciuto che la osservava a braccia conserte e non accennava a dire una parola.
"Come mi hai trovato?!" Gridò spaventata cercando un'arma contundente. Smise come vide la pistola con la coda dell'occhio. Si immobilizzò sul letto e restò congelata dalla paura.
"Non ti ho seguito: ero nascosto in macchina e neanche mi hai visto" borbottò restando fermo, la sagoma semi illuminata dalla luce malata che proveniva dal corridoio. "Questa mossa non mi è piaciuta."
"Hai detto che potevo andarmene quando volevo!"
"Si, ma non ti ho detto di rubarmi la macchina, le armi e il carico, stronza" ringhiò avvicinandosi e sventolando l'arma.
"Ok, ok! Ho sbagliato, scusa!" gridò sempre più nervosa "e hai ammazzato quel poveraccio, per questo?"
"Il 'poveraccio' ti stava fregando alla grande. Domattina ti sarebbero rimasti solo i vestiti addosso, visto che il suo compare ti stava - anzi - mi stava fottendo la macchina. Dio, quanto sei ingenua!" urlò afferrandola per un braccio e cercando di portala via.
Dove, non lo sapeva neanche lui.
Mira si ritrasse, opponendo una ferma resistenza che lo irritò ancora di più. "Lasciami andare, non sono tua prigioniera!"

Il signor M la osservò tentare di liberarsi e allo stesso tempo cercare di non guardarlo in faccia, benché fosse mascherato. Era arrabbiato con lei, per qualche motivo che gli sfuggiva: non la accontentò, ma la strinse di più e la tirò contro di se.
"Sarebbe stato meglio lasciarti nel fango!" Ringhiò mentre la donna si divincolava e urtava con una gamba contro l'arma che teneva ancora in mano.
La guardò, fissò Mira immobilizzata per la paura e borbottò dentro di se qualcosa di irripetibile.
Jack alzò la pistola e gliela puntò dritta in fronte "faccio sempre in tempo a rimediare." La vide spalancare gli occhi e trattenere il fiato mentre lui la fissava freddo e immobile. Restarono così per un tempo infinito.
Mira non pensava nulla: aspettava solo la detonazione attufata che le avrebbe tolto la vita.
Il killer non fece nulla. Abbassò il braccio e gettò l'arma sul letto. "Che fai, tremi?" le domandò sentendo il corpo sussultare contro il suo.
"Tu... che dici?" biascicò con la bocca secca e il volto pallido "mi stavi per sparare"
"Uhm.." mugugnò piegando il collo da un lato e la lasciò andare "beh, era uno scherzo."
Mira restò in silenzio per un secondo e un attimo dopo, la sua mano scattò, stampandogli un ceffone sul viso che lo fece barcollare.
"Che cazzo fai?"
"Ma sei idiota?!" urlò con i nervi scossi e la voce tremula "che razza di scherzi fai?!"
"Non darmi dell'idiota, stronzetta!"
Si stava arrabbiando nuovamente.. e lui non si alterava mai. Beh, quasi mai..
"Tu sei pazzo!" gridò indicando il gestore fuori la porta e l'arma "sei peggio di Marv!"
Jack la fissò sfoderando un sorriso che da solo bastava a rinchiuderlo in manicomio. "Certo che sono pazzo. Anzi... comincia a correre. Ti do trenta secondi e poi vengo a cercarti. E se ti trovo, ti ammazzo." sibilò allungando la mano per prendere la pistola.
Mira lo guardò cercando di capire se stesse scherzando oppure no. "Jack.."

"Corri, occhioni blu. E non voltarti indietro." 

Quelle parole ebbero il potere di raggelarla e invece di mettersi a correre, restò ferma sulle gambe, studiandolo mentre controllava il caricatore.
"Beh... ancora qui? Non mi diverto se non scappi" le disse calmo sedendosi sul letto e controllando l'orologio "sono già partiti dieci secondi."
Mira scattò verso la porta mentre Jack sorrideva soddisfatto. Un pò di movimento non fa mai male... e poi si era scocciato di averla tra i piedi.
La sua fronte si aggrottò come ebbe finito di concepire quel pensiero. Beh, non era del tutto vero... gli piaceva stare con lei, ma vuoi mettere il godimento della caccia finalizzata a se? Sapeva che Mira gli avrebbe dato filo da torcere se solo provava a mettere in moto il cervello.
Guardò l'orologio e le concesse ancora dieci secondi per farla nascondere nel motel, vuoto per via della strada poco frequentata e dello squallore del posto. Non li sa scegliere gli alberghi, pensò alzandosi e stirandosi. Si grattò il collo con la canna del silenziatore e poi scoppiò a ridere quando realizzò l'azione appena intrapresa.
Eh si... era matto da legare!

La donna era immobile. Cercava di non respirare anche se la mente lavorava febbrilmente. Memore della lunga lista di film horror che aveva visto, aveva evitato di recarsi sul tetto, ma si era nascosta nell'appartamento squallido del gestore, per la precisione nell'armadio. Non le era venuto in mente nient'altro. Fuori l'avrebbe vista, rubare la sua macchina era escluso a priori.
Quello che aveva trovato nell'armadio, era meglio lasciarlo perdere.
Lo sentiva passeggiare tranquillo al piano superiore e poi più nulla, segno che stava scendendo le scale. Il motel era piccolo, aveva un piano e basta. Lo sentiva fischiettare e mormorare, ma si disse che era solo l'immaginazione che le giocava scherzi di gusto discutibile.
Era impossibile che la scoprisse così facilmente!
Si appiattì contro il fondo dell'armadio, non muovendo un muscolo, cercando di non inghiottire... come se avesse potuto sentirla.
Qualche secondo dopo lo udì uscire e sospirò posando la mano su qualcosa che sembrava... ma c'è una frusta! Si disse abbozzando un sorriso per la tensione e lo stupore. Una frusta... e se toccava bene c'era anche... Mira arrossì e dovette mordersi le labbra per non ridere. Passiamo avanti. Tastò piano tutto quanto.. le sembrava di aver visto un paio di manette luccicare nel buio quando si era infilata la dentro. Non si posso credere è una situazione assurda! Sghignazzò dentro di se mentre le trovava e le prendeva lentamente per non far cigolare la catenina. Ma quelle erano vere! Pensò con molta sorpresa. Bene, meglio! 
Se le mise nella tasca posteriore dei jeans e continuo a grattare con un unghia il manico della frusta. Che ci faceva con quello? Ce lo strozzava?
Un pensiero cattivo le corse nella testa: prima lo frustava e poi lo ammazzava!
Ma ora le serviva un'arma a raggio lungo. Come la storia del fucile di Clint Eastwood: se hai una pistola e incontri uno col fucile, sei un uomo morto. Meditò a lungo e quando si convinse che non c'era pericolo, sgusciò fuori, strappandosi dalla testa i foulard e i vestiti assurdi del 'gestore' e trattenendo un gesto di raccapriccio alla vista delle pantofoline pelose, rosso fuoco con un tacco impossibile.
Gli avrebbe messo abbastanza paura se gli si fosse presentata davanti con quelle? Si domandò ridendo sommessamente e sentendo un cigolio dietro di lei.
La porta che si apriva?
Piegò la testa in avanti e chiuse gli occhi. "Jack... mi da fastidio la pistola alla nuca!" riuscì a dire in tono abbastanza neutro, tanto da stupirlo.
"Tana, occhioni blu. Ma che stai facendo? Giochi alla signora con i vestiti del trans?" Le domandò osservando la roba sparsa sul pavimento con aria divertita.
"Pensavo di spaventarti mettendomi queste" mormorò sollevando una scarpetta rossa dietro la testa e fissando la frusta che aveva posato poco lontano da lei. Bastava un centimetro più in la e sarebbe stata sua.
"Mh... carina, ma penso che l'azzurro ti si addica di più" commentò lanciandola lontano e accucciandosi dietro di lei "Allora? Ti ho trovato. Che si fa adesso?"
"Vuoi spararmi?" domandò avanzando col busto.
"Uhm... no, ancora no" borbottò staccandole la pistola dai capelli "possiamo movimentarla, prima di..."
"E movimentiamola!" gridò agguantando la frusta e girandosi giusto in tempo per dargli un calcio sulla spalla e farlo cadere sulla mano che stringeva la pistola.
Jack sentì l'aria vibrare vicino al viso e restò immobile a guardarla brandire quell'affare che non sembrava tanto un giocattolo. "E quella?"
"Dall'armadio delle meraviglie" sibilò calciandogli via la pistola, ma non spostandosi in tempo: Jack l'avverrò per una caviglia e la tirò violentemente, facendola quasi cadere. Mira si aggrappò alla toletta rovesciando gran parte dei trucchi e dei cosmetici: afferrò la cipria che gli scagliò sul viso, accecandolo.
"Merda! Porca puttana, ma brucia!" urlò lasciandola e barcollando a terra.
"Meglio!" Gridò estraendo le manette dalla tasca e dandogli un calcio nei reni che lo fece guaire terribilmente. "Sta fermo!"
"Ma che cazzo..."
Jack mosse i polsi dietro la schiena con gli occhi che gli lacrimavano "pure le fottute manette?!" urlò agitandosi come una bestia in gabbia.
Mira si accasciò in terra annuendo, stanca morta e spaventata "e sta attento che la dentro c'è anche un vibratore! Se mi fai incazzare lo uso su di te!" lo minacciò strusciandosi il naso e soffiando via la cipria che ancora permeava l'aria.
"Non ci pensare neanche!" gridò allontanandosi da lei "io una cosa del genere non te l'avrei mai fatta."
"Tu mi avresti ammazzato!" urlò con le lacrime agli occhi "tu sei schizzato e hai bisogno di un dottore. Adesso chiamo la polizia."
"Guarda che c'è una bella differenza fra il minacciare una donna con la pistola e un uomo con un vibratore! Cazzo, c'è una grandissima differenza!" affermò con aria drammatica "...e poi era scarica.." mugugnò starnutendo.
Mira la afferrò e, con pochissima convinzione, estrasse il caricatore. Era vuoto davvero.
"Ah.." biascicò incrociando le gambe e osservandolo "cretino."
"Per poco non mi sfregi, con quella roba sadomaso."
Mira abbozzò un sorriso: aveva tutto il tempo che voleva per studiarlo. Si avvicinò un pò e inclinò la testa "sai che non ho le chiavi di quelle manette? Ci metterò un bel pò a cercarle."
Il signor M la fissò fra le lacrime e non proferì parola mentre Mira si avvicinava e lo guardava per bene "tu non sei così. Sei mascherato, vero?
Lui annuì con poca convinzione.
"Bene, vediamo cosa c'è sotto" decretò allungando la mano. Lo vide scansarsi e divincolarsi e allontanarsi da lei in tutti i modi. "Mira, no"
"Ricorda il vibratore" sghignazzò tastandogli una guancia e prendendosi quasi un calcio nello stomaco. "Ehi!"
"Mira, cazzo, ti sventro se ci provi!" la minacciò spostando la faccia da tutti i lati, finchè non lo inchiodò contro il muro. "Mi stai facendo male" biascicò con la guancia deformata dalla pressione.
"Tu stai fermo. Voglio sfogliarti come una cipolla: questo zigomo è finto, si sente sotto le dita" sussurrò con voce eccitata dalla scoperta "forte.."
La pelle veniva via con difficoltà. Sotto, apparve una protesi di plastica che la lasciò senza parole "però!"
"Mi stai facendo male" ripetè facendo guizzare un muscolo sulla guancia "e togli quel ginocchio dal mio inguine."
"Scusa" borbottò spostandolo e sedendogli a cavalcioni addosso, cosa che gli fece girare la faccia verso di lei. Mira gliela rispostò da un lato, rimediandosi un 'mhhh' d insoddisfazione e nervosismo.
"Ma che roba strana... ma è pelle finta come quella che usano nel cinema?"
"Si"
Continuò, staccandone un altro pezzo e tastandolo con un dito. "Questa è vera?"
"Si. Ma la smetti? Non sono un pupazzetto!"
"Fa silenzio o ti picchio con quell'aggeggio!" ridacchiò togliendo un fazzoletto dalla tasca e spolverandogli il naso dalla cipria "Brucia?"
"Si... dovrei togliere le lenti a contatto" mormorò attirando subito la sua attenzione "non pensarci neanche e non toccarmi. E scendi da me!"
Quell'urlaccio le fece tirare indietro la testa. Gli pizzicò con forza lo stomaco rimediandosi un 'ahio' in cambio.
"Mi ucciderai se ti libero?"
"No"
"Vale qualcosa la parola di un killer?" lo stuzzicò sentendolo fremere. Le piantò in faccia due comete fiammeggianti di rabbia che l'ammutolirono "io VIVO sulla parola!"
Mira annuì impercettibilmente "mh. Vedremo. Intanto la pistola la tengo io"

***

"L'hai trovata sta benedetta chiave?"
"Non ancora.." mormorò buttando all'aria i cassetti.
"Se tu cercassi con metodo e rigore, non ci sarebbe questo casino in giro e forse l'avresti trovata." La rintuzzò rimediandosi una linguaccia.
"Che schifo, io là dentro le mani non ce le metto!!" gridò d'un tratto con aria orripilata tirandosi indietro.
"Perchè, che c'è?"
"Guarda da te. Bleagh!"
"Ma che rumori fai?" Ridacchiò mettendosi in piedi e gettando un'occhiata nel cassetto incriminato. "Non farmi vedere sta roba, mi vengono i capelli bianchi!
"Io sono liberale in fatto di giochini erotici, ma a tutto c'è un limite" balbettò arrossendo "se sta lì, scordati di venir liberato da me."
"Rovescialo sul letto e cercala, forza." Mugugnò mezzo arrabbiato "e sbrigati che devo andare al bagno."
Mira lo fissò sconsolata "ti stai divertendo mentre io soffro a sguazzare in questo a questa specie di negozio hard per coppie gay"
"Non mi diverto per niente, invece: sono un uomo e vedere certe cose mi fa accapponare la pelle!" Ripetè scansandosi alla vista di una parrucca.
"Anche tu ti travesti!" Replicò con le mani sui fianchi "quindi non fare tanto il puritano."
"Questo è lavoro! Quando non lavoro, sono sano."
Mira lo fissò incredula" che vuol dire...."
Il signor M ammutolì e guardò altrove, evitando di rispondere.
"Ehi... rispondimi" borbottò avvicinandosi "che vuol dire che quando non lavori sei sano?"
"Niente. Cerca la chiave."
La donna lo fissò irrequieta "Jack.."
"Non mi chiamo Jack. Jack... è il mio nome..." la voce si spense in un sussurro " Mira. Cerca la chiave"
"Che nome? Dimmelo" miagolò accucciandosi di fronte a lui, con le braccia appoggiate sulle sue gambe. "Dai, spiegami e poi cerco la chiave."
"Trova la chiave e poi te lo dico"
"Ho la tua parola, killer?" sorrise dolce attirando la sua piena attenzione.
Il signor M annuì e la fissò un pò troppo a lungo. "Però... non insistere con la storia della maschera"
"Hai la faccia buffa così" replicò cominciando a rovistare in un altro cassetto.
L'uomo la studiò a lungo, studiò le gambe che non stavano mai ferme, i capelli che le svolazzavano sulla schiena e le sue mani che frugavano guardinghe.
Aveva un corpo niente male... Cominciò a fissare il soffitto per distrarsi e alzò le sopracciglia "Non ci posso credere!"
"A che?" domandò la fotografa voltandosi con un sorriso allegro.
Il signor M sorrise sinistramente e le indicò il muro col mento "c'è anche la telecamera per i filmini!"
"Forte!"
 
***

"Adesso me lo dici"
"Non ci penso neanche"
"No e che cavolo! Non puoi rimangiarti la parola, così" urlò diretta al signor M che la fissava e scuoteva la testa con aria divertita "sono un bugiardo, che vuoi farci?" sghignazzò toccandosi i polsi "addio, bella."

Mira lo vide sparire nel bagno e lo sentì esplodere in una risata prolungata. Chissà che ci ha trovato, là dentro! Sospirò sedendosi sul ciglio del letto e giocando con un boa di struzzo. Ma che ci faceva ancora lì con quello? Ma scappa, stupida! Pensò alzandosi e cercando la pistola negli ammassi di tessuti impalpabili che ricoprivano le superficie calpestabili. Inciampò nell'arma e finì a terra dolorante.
"Che rumoraccio!"
Il signor M uscì dal bagno borbottando quelle parole e tenendo in mano una paperella: la strizzava sorridendo al 'peee' che ne usciva. "Che fai in terra? Toh, giocaci." Rise lanciandogliela.
Mira la guardò pensando che era regredito all'infanzia e scosse la testa "cercavo la pistola."
La fissò per un secondo, il volto inespressivo che la mise in allarme. Si lanciò contro l'arma che vide spuntare all'improvviso e finì a terra, braccata dal killer che cercava di arrivarci prima di lei.
La colluttazione fu rapida, stavolta. La fotografa venne schiacciata a terra con poca grazia "smettila, che fai?!"
"Non devi toccare quell'arma!" le urlò elle orecchie strappandogliela quasi dalle mani "non toccarla."
"Va bene!" singhiozzò dolorante e nuovamente impaurita. La teneva a terra ficcandole un ginocchio nella spina dorsale e Mira sentiva tutte le articolazioni fremere "Jack, lasciami. Fai male, smettila!"
La rovesciò su se stessa troneggiando su di lei e la fissò con un'espressione terribile mentre Mira si divincolava "devi fare qualcosa per questi sbalzi di umore!" gridava piagnucolando "deciditi: o fai il pazzo e mi uccidi o ti comporti come una persona normale... e lasciami!" urlò visto che la teneva saldamente contro il pavimento e non la lasciava andare.
La guardava e la stringeva sempre di più. Mira penso che volesse vendicarsi dello smacco e il panico crebbe rendendola violenta. Tirò indietro un ginocchio e lo colpì più volte, smuovendolo dalla sua catalessi.
"Smettila!"
Si portò una mano alla guancia quando gli ficcò le dita dentro, strappandogli un'altro pezzo della maschera. Mira guardò la pelle che si era infilata sotto le unghie con stupore.
"Ma sei scema? Mi hai graffiato!" Urlò fermandole le braccia "sei peggio di una gatta rabbiosa!"
"Jack o come cavolo ti chiami, tu non stai bene!" mormorò impaurita "passi da un eccesso all'altro e mi stai stritolando i..." Restò a bocca aperta osservando il suo viso cambiare.
Come se sapesse da solo, che aveva qualcosa che non andava. La lasciò andare ma non si spostò. Restò a fissarla con aria dispiaciuta e quando allungò una mano per sfiorarle il viso, Mira trattenne il respiro. "Lo so, occhioni blu. Lo so da me." mormorò continuando ad accarezzarle la guancia e sfiorandole la gola. "Scusa, non volevo farti del male."
"Ti... toglieresti... per favore?" Sussurrò ancora spaventata. Lui non la ascoltò o forse non la udì e basta. Continuava ad accarezzarle il viso costringendola a non muoversi.
Sentiva che se si fosse mossa, sarebbe successo qualcosa di inenarrabile. Invece di alzarsi, la tirò su, abbracciandola.
Mira pensò che era impazzito e che andava assecondato. Così lo abbracciò a sua volta, sentendolo cedere contro il suo corpo. Che gli stava succedendo?!
"Mi dispiace" piagnucolò stringendola "è colpa mia..."
"No, non è vero." S'inventò sentendo una stretta al cuore a quella voce depressa e triste. "Non pensarci..." bofonchiò con un sorriso tenero nella voce.
Era piacevole stringerlo in quel modo anche se era un pazzo omicida. Adesso sembrava più un bambino che chiedeva scusa alla mamma. Gli accarezzò i capelli con dolcezza e non riuscì a trattenere un bacio che regalò alla guancia libera dalla maschera. Sembrava un Visitors in quel modo, pensò dandogliene un altro e dondolando su e giù. Strusciava il viso contro la sua spalla e a stringeva... non la stringeva più come prima! Adesso era più...
 

Tu - tum


Lascialo! Si disse allentando la presa. "Va meglio, no? Dai, adesso andiamocene..." Mira rabbrividì sentendo le sue mani che s'infilavano sotto il maglione e le accarezzavano la pelle nuda "Jack... non... no. Non cominciamo a..."
Si zittì quando appoggiò la fronte alla sua e annuì, accarezzandole la guancia "ok. No. Come vuoi tu." Mormorò dandole un bacio a fior di labbra e poi un altro, più pieno e sensuale. 

Tu - tum

"Ok.." sussurrò baciandolo a sua volta in un angolino della bocca "smettiamo.."
"Si."
Lui spostò la testa e Mira lo maledì.

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Capitolo 18
*** Scene 17 : Mi devi qualcosa... ***


La fotografa barcollò fino al bagno cacciando il viso sotto l'acqua fredda, osservandosi con occhio critico allo specchio. Ma perchè quella sera non me ne sono rimasta a casa? Si chiese sconsolata, posando la fronte sulle mani. Ci mancava anche lui, adesso! Era scombinato, a tratti psicotico e la cosa peggiore era che la attraeva, con la sua vena folle e quel sottile masochismo che compariva a tratti.
Mira si studiò: studiò le sue iridi chiare e le occhiaie che le segnavano la pelle. Perchè non sono ancora scappata? Che cosa mi trattiene qui? Potevo andarmene dopo averlo immobilizzato. Stavolta non me lo sarei portata appresso. Guardò un'altra volta la porta un pò timorosa: erano usciti da quell'alcova del peccato transessuale e se n'erano andati ognuno per fatti propri. Poteva andarsene, adesso: prendere l'automobile del gestore o del suo amichetto gay e filarsela tranquilla fino a casa. Lui non l'avrebbe fermata... oppure si? Le palpebre si contrassero per qualche istante e si perse in un pensiero che la lasciò inebetita per qualche secondo. No, perchè avrebbe dovuto? Che aveva di tanto interessante da attrarlo?

Mira era piena di cipria fino ai capelli. Li spazzolò via lentamente, con la mano, rimuginando sulla faccenda e su quel bacio che non riusciva a capire. Anche i killer avranno bisogno di affetto, di tanto in tanto, pensò scrollando la chioma. Si fissò nuovamente e scosse ancora una volta la testa. Si sentiva sporca, dopo essere stata in quella camera assurda: s'infilò nella doccia con tutta l'intenzione di fare una cosetta veloce. Chissà dov'è finito. Alzò le spalle e si immerse nell'acqua bollente con un un'espressione che non prometteva nulla di buono.
E mentre era distesa con gli occhi chiusi, cercando di rilassarsi, il signor M entrò di soppiatto e le si piazzò alle spalle, non senza averle dato un'occhiata lunga.
"Bu!"
Mira urlò per la sorpresa e si raggomitolò come un gattino sotto la pioggia "come sei entrato?!"
"Dalla porta" ridacchiò osservando come si stringeva su se stessa "ormai ho visto tutto, è inutile che ti copri"
"Chi se ne importa! Vattene via, maniaco!"
"Antipatica. Dai, fammi posto" esclamò togliendosi il maglione e gettandolo da una parte. Mira seguì il volo con stupore crescente, l'allarmismo le si leggeva negli occhi. "Mica vorrai..."
"E brava occhioni belli! Su, che muori dalla voglia di vedermi nudo" sghignazzò facendosi un sacco di risate alle sue spalle mentre lei si agitava "cristo, è sempre più divertente prenderti in giro."
Mira s'incupì per la rabbia "era uno scherzo?"
"Si. Divertentissimo. Dovremmo rifarlo" 
"Jack... mentre chiamo l'ambulanza, togli il sangue dal pavimento" sbottò appallottolando l'asciugamano che aveva lasciato vicino al bordo.
"Il sangue di chi?"
"Il tuo!" Gridò girandosi e tirandoglielo in faccia. "Sarai anche un killer onorato, ma  io sono una donna che è stata disturbata due volte mentre fa il bagno. Sono stata rapita e terrorizzata e sto andando fuori di testa!"
"E quindi?" borbottò con la voce attufata dal tessuto.
"La prossima volta che ripiomberai alle spalle in quel modo, la squilibrata qui presente ti affogherà nell'acqua del cesso!"
"Ganzo!" esclamò strappandole un sorriso suo malgrado. "Cazzutissima! Lo vedi che quando ti applichi un pò di umorismo lo tiri fuori? Ma ti è costato molto? C'hai pensato tutta la notte per prepararti queste due frasi?" la stuzzicò con un tono idiota che la faceva quasi ridere.
Avrebbe riso se non fosse stata così preoccupata.
"Impertinente! Adesso vattene via e non farmi più di queste sorprese. Mi saranno venuti altri tre capelli bianchi" esplose girandosi nuovamente.
"I capelli bianchi ti vengono a gruppi di tre? Sei da studiare!"
"Cretino! Puoi toglierti quel coso dalla testa, non ti guardo... anzi no! Tienilo, così smetti di sbirciarmi le tette."
Il signor M continuava a ridacchiare incessante "e lei crede che io le guardi solo le tette..."
"Demente!"
Mira lo sbirciò per un secondo da capo a piedi mentre strappava dalla faccia l'asciugano e lo posava da una parte. Poi ci ripensò e la guardò ironico "adesso me lo porto via."
"Molla l'asciugamano e fila via" borbottò nuovamente allarmata quando sentì il suo dito che cominciava ad accarezzarle la schiena. Rabbrividì, si scostò velocemente e lo scacciò."Fermo lì, Jack!"
La mano interruppe il suo tragitto lungo il braccio e dopo qualche istante, Mira sentì le sue labbra che le sfioravano l'orecchio "Hai tolto le virgolette, quale onore."
"Toglieresti la tua ingombrante presenza dal bagno?" balbettò cercando di non girarsi dalla sua parte, anche se la voglia era forte.
"Stai tartagliando per un motivo particolare? Ti sto innervosendo?" le domandò con un ghigno che non riuscì a trattenere.
"Sei un tormento, Jack!" sbottò arrossendo violentemente "vattene!"
Si allontana da lui e dal respiro caldo che le accarezza il collo, angosciata, eccitata. Non posso crederci... devo avere qualcosa che non va. Ho battuto la testa... sarà stata la droga, pensa velocemente accorgendosi che non si è mosso di un millimetro.
"Mi chiamano anche così" afferma restando a guardarla "brava occhioni bella, sei sveglia."
Che sta dicendo? "Cosa... ma di che parli?"
"Niente, niente" ridacchia mordendosi un dito, la pelle d'oca sulle braccia al solo osservarla. “Me ne vado?”

Lo avverte dalla voce che sta pensando a qualcosa d’indecente. Lo sta facendo anche lei. Le dita che le sfiorano il collo su e giù, la fanno rabbrividire. “Sì.”
Lui si sta già alzando, il fantasma del bacio che le ha dato aleggia pressante sulle labbra. 
“No..” Sussurra fermandolo e girandosi un po’. “Aspetta... dobbiamo parlare di una cosa. Devi promettermi che mi lascerai andare e non mi cercherai più. Prenderò la macchina di quel tipo e me ne tornerò a casa. Non sentirai più parlare di me... ed io non dirò mai nulla di te. Non ci siamo mai conosciuti.” Soffiò tutto d'un fiato mentre il signor M attendeva dietro di lei. Si riaccucciò nella posizione originaria, in silenzio, ponderando la sua offerta. "Si potrebbe anche fare" ammise alzando una mano. "Vuoi andare via ora, vero?"
"Sì. Jack, ti prego.. non ce la faccio più."
La voce si incrinò pericolosamente e nella stanza si udì solo il suo respiro affannoso e il rumore dell'acqua agitata dal suo dito. 
"Va bene. Ma stavolta lascia in pace la mia auto."
Mira annuì più volte, mormorando un flebile 'grazie' che lo fece arrabbiare.
"Grazie un cazzo! Sono in ritardo sulla tabella di marcia a causa tua e delle tue fughe! Non ti avessi mai raccolto, sant'iddio!" gridò mettendole paura. "Lo sapevo che era una cattiva idea, lo sapevo."
Jack girava come una bestia in gabbia, ringhiando fra i denti e costringendola all'immobilità. "Tu mi devi qualcosa, occhioni blu" esclamò fermandosi al suo fianco.
Mira fissò i jeans con la coda dell'occhio e si accostò ancora di più le braccia sul seno "cosa vuoi? Sii ragionevole e non..." tacque ingoiando e non ebbe il coraggio di continuare.
"Non voglio niente!" Sbottò andando avanti e indietro. Sedette sul wc con aria imbronciata e soffiò come un ragazzino sgridato dalla mamma, posando i piedi sulla tavoletta abbassata e restandosene lì a borbottare come un orso innervosito.

Passano istanti lunghissimo, istanti in cui Mira non ha il coraggio di pensare, figuriamoci di parlare. "Jack... usciresti?" Pigola timidamente, sempre più imbarazzata. "Così... poi me ne vado... "
Le risponde un grugnito poco umano e immediatamente la donna lo sente dietro di lei, silenzioso e insinuante... ha paura che possa ucciderla e si lascia scappare un gemito quando le sfiora i capelli.
"Shhh.." sussurra piano, facendole rovesciare la testa all'indietro "ho trovato cosa mi devi. Un bacio, occhioni blu. Puoi farlo? Un bacio solo e siamo pari."
No! No che non posso! Urla dentro di se costringendosi ad annuire. Pari su cosa?!
Jack la tira contro di se. Si avvicina lentamente, sfiorandole la fronte con il dorso delle dita. Il suo respiro la accarezza, sempre più vicino, fino ad annullare le distanze e a chiuderle le labbra con un bacio piuttosto esitante.
Sta facendo un esperimento: applicazione su campo di una teoria che si è formata in quei giorni di vicinanza alla fotografa.
La lascia un po’ alla volta, tornando in ginocchio con lo sguardo perso nel vuoto, imbambolato e con la gola chiusa.

Tu- Tum

Questo l'ha sentito.
E pure forte.
Continua a guardare i capelli neri che spiovono oltre il bordo, le ciglia che fremono per essere aperte e le mani che si muovono verso di lui.
La sente arrampicarsi lungo il collo, facendolo inghiottire a forza, costringendolo a decidere.
Tornare da lei che ha la pelle d’oca, mentre le accarezza il braccio fino al seno teso che si intravede sotto l’asciugamano… Tornare da lei che sta tremando come una foglia nell’acqua bollente…
Oppure andarsene, con le gambe che rabbrividiscono e le ginocchia intorpidite, non dalla lunga posizione, ma per il godimento che si ferma lì e ristagna, una pozza calda di piacere che risale fino allo stomaco, mandandolo sotto vuoto spinto…
Andarsene in preda ad un chiodo che batte su di ‘lui’ e lo fa piegare a metà…

Prende un respiro profondo afferrandole la mano e facendola gemere, tirandola e costringendola a riemergere un poco, prima di calare di nuovo sulle sue labbra, aprendole immediatamente in un bacio lungo e profondo.
Mira lo sente girare dietro di lei, un braccio che s’immerge nell’acqua e le circonda la schiena. La tira contro di se, bagnandosi mentre continuano a baciarsi con trasporto sempre maggiore. Sente le sue dita vagare sul fianco e sulla schiena, sfregando, solleticando e accarezzando, eccitandola a più riprese in un corollario di piccoli sospiri quando le accarezza il seno morbidamente, senza farle male. Gli afferra la mano obbligandolo a scendere, a scendere sempre di più, fino ad incontrare un liquido vischioso, più bollente dell’acqua che non oppone resistenza al suo ingresso.
L'uomo si ferma sentendo una tale disponibilità; lo lascia stordito ma non gli impedisce di continuare quello che sta facendo.
Un gemito troppo forte le fa contrarre la schiena quando la esplora, strappandole gemiti su gemiti che la fanno tendere contro di lui. Insiste, cibandosi avidamente dei suoi mugolii.
“Non smettere, non smettere, non smettere…” lo supplica in fretta, ansimando e aggrappandosi al suo collo.
Baciami toccami baciami non andartene continua mi stai facendo morire non ti fermare continua.
Lo costringe a tirarla fuori della vasca in fretta, gocciolante e nuda, avvinghiandola a se, le gambe attorno alla sua vita.
Le sembra di cadere a terra e lo stringe con più forza, strappandosi dalle sue labbra e aggrappandosi alle spalle. Può sentire il suo corpo interamente, può studiarne i muscoli e la conformazione.
Torna a baciarla, stupito della sua reazione verso quella donna che sembra rimpicciolirsi nel suo abbraccio.

L’ha aggredito lei, l’ha provocato lei! Lui ha fatto solo la stronzata di eccitarla con quella storia della cravatta e tutto il resto. Poteva mascherarsi come al solito e non l’avrebbe mai riconosciuto. Ha fatto la stronzata di baciarla e ora non riesce a smettere perchè quelle labbra sono morbide e si lasciano conquistare troppo facilmente. Doveva per forza fare tutti quei gemiti? Piantala, cazzo, non sono di ferro!

Devo vederlo devo assolutamente vederlo devo vederti. Si ripete freneticamente, soffocata dal suo bacio profondo.
“Devo vederti..”
Lui si ferma per un breve momento, esitante, indeciso. Le schiaccia la testa contro di se e le bisbiglia un ‘no’ a malapena udibile.
Odore di mille chilometri passati a cercare, a cacciare.
Buono, le piace.
Nella sua posizione comincia baciarlo lungo il collo, scostando la maglietta, mordendolo e leccandolo. Vuole sentire il suo sapore, vuole cercare di capire com’è fatto veramente.
Jack pensa due cose velocemente. Uno, che ha scoperto il suo punto più debole neanche a farlo apposta.
La seconda…
Portala a letto!
Lo costringe a muoversi per portarla via di lì, mentre insiste a baciarla, a non farle respirare altro che il suo respiro.
Mira si lascia guidare senza aprire mai gli occhi, continuando a mangiarlo avidamente, smettendo solo quando si sdraiano, quando la spinge lontano da se per berla con lo sguardo. La stanza è in penombra, può capirlo facilmente dal buio in cui sprofondano le palpebre.
“Non è giusto, tu puoi vedermi” sussurra sentendolo immobile.
“Mi piace molto quel che vedo…” ammette chinandosi un po’ “non è più eccitante così?”
Mira non ha neanche bisogno di pensarci su.
“Sì”
Sta per farle una domanda e non sa che effetto provocherà in lei. Il solo pensarla gli ha causato un’erezione marmorea. “Posso bendarti?”
Mira sente un gorgo nero che le risucchia il corpo e la mente e li risputa completamente aggrovigliati su se stessi: è una cosa così eccitante che non può neanche…
“No…” mugola allontanandosi di qualche centimetro ”no... dai…”
Lui la guarda un po’ sorpreso, avvicinandosi “no, non aver paura. Perchè...” Con una voce così… e lei non dovrebbe aver paura?
“Non sono spaventata” mente con la voce alterata “però non farlo!”
Ha paura. Anche io. “Non lo farò. Sta tranquilla”
Mira guarda in direzione della voce, sempre più intimorita “tu non capisci… come mi sento… adesso”

E come cazzo pensi mi senta, io? Pensa con il respiro corto e gli occhi che corrono lungo le gambe e il resto del corpo.
Un silenzio grave abbraccia la stanza, infilandosi dentro di lei con violenza inaudita. Allunga la mano e lo tocca. Perché non parla più?
Jack le afferra le dita, le bacia una dopo l’altra facendole il solletico, leccandole con la punta della lingua il polso che ritrae con un brivido. “Come ti senti, dimmelo”
Mira ingoia più volte: la sua voce è gentile, ma c’è sempre quel tono roco che tiene la sua eccitazione in bilico su un filo.
Presto sarebbe caduta e non c’era la rete di salvataggio, sotto di lei.
“Spaventata.”
Paura ho paura ho paura di farmi male ho paura non voglio che mi uccidi non voglio che mi tocchi così mi piace troppo oddio non so neanche come sei fatto non so che faccia hai!
Si sente circondare da un braccio; si ritrova contro di lui e gli si appoggia addosso di peso, dopo istanti di indecisione. “Confusa” continua a bassa voce, come se stesse confessandosi “non capisco che sta succedendo. Questa cosa mi terrorizza. Mi fai più paura tu di Marv…lui almeno era pazzo.”

Lui era un pazzo arrapato e io solo un arrapato sul punto di impazzire. Non sei capitata molto meglio. “Questa ‘cosa’” ripete accarezzandole il viso e sentendolo caldo “questa cosa non era prevista. C’è perché noi lo vogliamo. Io non volevo che accadesse, non... ” mormora un pò imbarazzato. Da dove gli escono frasi del genere? “Può finire in qualsiasi momento. Vuoi che finisca?”
Mira sente il suo cuore che batte velocemente, tranquillizzandosi un poco: allora anche lui... non è così calmo come pensava.
Lo sente respirare morbidamente, mentre le parla a bassa voce, rassicurante, garbato, inconsapevole dello sforzo mortale che sta facendo.
Può finire quando voglio…
“Vuoi che smetta di baciarti... di toccarti?”
“No” mormora strusciando il viso contro di lui. “Non voglio”
Diosanto…“Non va neanche a me” ammette stringendola un altro po’.
Non mi lasciare, no, pensa tornando a tendersi quando scende ad accarezzarle il seno con le dita, leggero leggero. Leggero e poi… più insistente, più sensuale…
Lo lascia continuare, con gli occhi chiusi e i muscoli del viso contratti, per non gridare, finchè non le chiede nuovamente cosa prova.
Ci prova.
Prova veramente a rispondergli ma le esce solo un mugolio frastornato che lo fa sorridere. O almeno cerca di farlo.
Lo avvinghia con le gambe e lui le accarezza leggero i polpacci e le caviglie, risalendo e strappandole un sospiro.
“Ho freddo…” Sussurra per farlo stendere interamente su di se, per stringerlo ancora una volta. Il desiderio preme feroce nel ventre e fluisce attraverso il corpo, fino alla parte più sensibile.
Lo so che hai freddo, sei bagnata… sei nuda… lo so che hai freddo… adesso… ci penso io. Si, adesso...
Sente qualcosa di morbido che le sfiora il corpo e un calore forte che la aggredisce. Muove la mano e tasta la coperta che li ricopre entrambi. “Dimmi come sei fatto.”
Come sono fatto? Come sono…
Non le risponde, ma le carezze si accentrano fino a raggiungere quel posto vuoto che la fa contorcere e muovere scompostamente, le gambe aperte attorno a lui.
“Dimmelo tu. Toccami”

Per un istante, Mira lo odia. Poi pensa che fa tutto parte di quel gioco erotico e crudele che stanno facendo e comincia a percorrerlo lentamente.
“Alto…più alto di me.”
Scivola sulla schiena e il torace, lungo le braccia sentendo il suo respiro che cambia e si fa più intenso. “Normale…fai palestra per tenerti in forma. Ti serve. Per il lavoro”
Sta gemendo mentre lo dice, fa fatica a concentrarsi perché continua a toccarla e a baciarla. “Corri… hai le gambe muscolose”
“Brava” sussurra con un sorriso forzato. “Continua”
Le sue mani avanzano, risalendo dal viso fino ai capelli che tira leggermente per farlo staccare dal suo seno, perché se avesse continuato a suggerla in quel modo non avrebbe più parlato “i capelli…scuri”
“Sicura?”
“Sì. Sono morbidi, ma sono grossi. Se fossi stato biondo, non sarebbero stati così. Non si asciugano mai, è per quello li porti corti” afferma con certezza passandoci le dita in mezzo e facendolo rabbrividire interamente. Sorride, quando sente lo scatto muscolare che lo trapassa.
“Forse. E i miei occhi?”
“Scuri….si, sono scuri”
L’uomo si ferma per un attimo e Mira capisce di aver centrato il bersaglio.
“E chi te lo dice?” ridacchia abbassandole il viso per baciarla.
“Perchè prendi sempre in giro i miei…” mugola con la voce tenue, prima di ricambiarlo.
Esiste solo la sua bocca, solo il suo corpo nell’oscurità. Si sdraia su di lui lasciandosi stringere e muovendosi sensualmente.
Ti voglio ti voglio perché sei ancora vestito mi piace di più mi piaci da morire ma che hai per farmi quest’effetto continua a parlare la tua voce mi fa impazzire scopami dio scopami!

“Come ti senti adesso?”
“Io...”
“Spaventata?”
“No…eccitata.”

Il potenziale erotico che ti da una voce o il contatto fisico, non è minimamente paragonabile alla semplice visione di un corpo nudo. Parole sussurrate, sfioramenti…lei così abituata a guardare tutto attraverso l’occhio freddo della macchina fotografica…
Sta per morire.
E per una frazione di secondo pensa a Marv. Provava la stessa cosa, quando la voleva?
L’uomo la stringe, sfiorandole il viso e baciandola, osservandola mentre cerca di respirare senza gemere in quel modo stuzzicante. Lasciati andare…
La vede ingoiare, chiudere le labbra per un secondo, tornare a riaprirle, portarsi una mano fra i capelli umidi dell’acqua della doccia, tirandoli indietro, scoprendo la gola e il seno.
Vorrebbe giocare ancora con lei, ma non riesce a parlare, l’eccitazione gli ha appiccicato la lingua al palato. Non ha mai sentito qualcuno così.
“Spogliati” singhiozza afferrando la sua maglietta e cercando di farla passare sopra la testa.
Non se lo ripetere un’altra volta. Dopo un secondo, Mira lo sente nudo contro la sua pelle e trattiene un gemito, quando finisce di svestirsi. È bollente, sembra di abbracciare un termosifone.
E’ nudo e le sta addosso e le sue membra sembrano intorpidite, non riesce ad alzare neanche un dito, non riesce a parlare, non riesce a respirare…
Ora non poteva più tornare indietro. Non voleva tornare indietro.
“Però dopo… non voglio sentire scuse… che non eri in te…” Mormora con voce quasi inesistente accarezzandola fra le gambe e facendola tendere con uno spasimo. E poi un altro. E un altro ancora.
“Per favore..” Singhiozza cercando di raggomitolarsi su se stessa, in preda al piacere che non diminuisce mai e non la lascia andare. Cerca di allontanarlo da se ma lui le afferra le mani, baciandole e portandole dietro il suo collo mentre si muove e la prende all'improvviso.
Uno squittio acuto, la sorpresa nella voce, un grido che sale di tono mentre affonda due - tre volte, fermandosi, infine.
Mira respira appena, cercando di stringerlo con le braccia indebolite e le cosce che stanno tremando violentemente.
Gli piace guardarla, ma quello che più gli piace è sentirla farfugliare fra le labbra abbandonate, mugolii che non capisce ma che lo stimolano e lo portano a spingersi lento e sistematico dentro di lei.
Il mondo gira regolare, non c'è nulla di dissonante o sbagliato in quello che stanno facendo, il momento era giusto, lei era pronta.
Perché ha quest'impressione... d'aver sbagliato qualcosa... un lampo gli attraversa la testa mentre si muove e lei respira penosamente.
“Apri gli occhi, aprili... guardami”

 

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Capitolo 19
*** Scene 18 : Jack Tempesta ***


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Jack Tempesta esiste veramente.

Jack Tempesta è il cattivo ragazzo da non presentare mai alla mamma.
Jack Tempesta è il brutto tipo con cui non vorresti mai avere a che fare.

 

Jack Tempesta ti entra dentro, scava e graffia fino alle ossa e non puoi fare a meno di dire 'ancora'

Incontrarlo vuol dire vivere in un istante di tempo andato a male. 

Jack Tempesta è gravemente insonne.
 

Sente la sua voce risuonare come un eco lontano. Non riesco... aspetta.."Sì" sussurra aprendoli piano, concentrata solamente sul corpo del suo compagno che si è fermato.
C’è solo la minuscola lucetta in fondo alla stanza che proviene dal faretto da lettura, l’indispensabile per darle un’idea dei contorni del suo amante occasionale. Il signor M si solleva da lei, facendo scivolare la coperta dalla schiena e rivelandosi un po’.
Mira lo osserva con la vista offuscata, semi sdraiato sopra di lei, immobile e silenzioso, nell’attesa di qualcosa.
Avrà la sua età, forse qualcosa in più.
Quella visione inattesa scatena un lato di se che non conosceva, una parte che non le piace, cattiva e perversa che la mette a disagio, che la stuzzica ad approfondire, a cercare di capire fino a dove può spingersi con lui.   
Allunga una mano un pò esitante, posandola sul viso e accarezzandolo, facendogli alzare il collo e spingendolo verso la luce.
“No, Mira!” sbotta girando la testa verso la penombra “no”
Lei lo guarda attentamente. Qualcosa riesce a vedere, ma quel corpo che si muove sopra il suo le rende difficile il compito.
Ma poi…chi se ne importa…pensa illanguidita dalla posizione, dalla situazione.
Da lui.
La guarda con un sorriso evanescente che può solo intravedere e gira la testa di scatto, baciandola. “Ho sempre una posizione di vantaggio su di te” sussurra con la voce roca, muovendosi di nuovo e facendola crollare.
Gli piace come muove la schiena, gli piacciono le sue gambe attorno alla vita.
“Perché?”
“Ti vedo benissimo... sei... spettacolare” sussurra tornando a baciarla sulle labbra e affondando di colpo, facendola urlare.
Mira si aggrappa alle sue braccia e getta indietro la testa, non riuscendo a smettere di muoversi incontro al suo amante che ci sa fare, dio se lo sa fare, ma forse è lei,
è lei, si... no..
SI!

Il mondo gira come cristo comanda, va esattamente come deve andare. La sente sussurrare fra un gemito e l'altro, apprezzamenti su di lui che non lo scalfiscono. Che sta dicendo? Non è vero, non si crede mai a quello che le donne ti raccontano nel letto. Credete che dicano la verità, mentre stanno godendo e capiscono solo quello che hanno dentro? Sta zitta, non è vero, smettila!
Si china a baciarla, un bacio che Mira ricambia con passione.
La sente.
La sente con troppa violenza. L'ha intrappolato.
Si lascia sfuggire un gemito roco mentre la sua compagna riempie la stanza di gridolini.
Per una frazione di secondo, il signor M pensa che potrebbe anche farlo, se glielo chiedesse, potrebbe lasciarsi vedere da lei.
Poi Mira grida di nuovo, si dibatte, lo stringe e cerca di spingerlo via, allo stesso tempo e s'immobilizza, lo risucchia dentro di se e lo svuota di tutto il suo essere. Le lascia il polso che ha stretto tutto il tempo; le avrà fatto male, ma ora è tutto ordinato, perfetto. Si lascia scivolare addosso a lei con un lungo sospiro che fugge e si confonde con il respiro corto della sua donna.
Si lascia scivolare sul suo seno e per un secondo solo, pensa che dopo lo farà di nuovo, si.. dopo.

 ***

Il signor M …ci piacerebbe dirvi il vero nome, ma non lo sappiamo neppure noi. Nell'ambiente è conosciuto come Jack Tempesta, ma ha fin troppi nickname per poterli elencare tutti. Lo abbiamo seguito mentre saliva sulla Chrysler blu notte con la sua valigetta marrone bruciato e il suo bel vestito elegante.
Lo abbiamo seguito mentre tornava nella sua casa temporanea e preparava la valigia. Lo abbiamo visto pedinare Marv, facendogli compagnia mentre viaggiava solo sull’interstatale B7.
Noi possiamo dirvelo, com’è realmente.
L’aspetto fisico? Accontentatevi delle descrizioni di Mira che sta prendendo una mezza cotta per lui.
Non intenzionalmente, però: sulla base umana, qualsiasi situazione rischiosa comporta immediata attrazione verso il sesso opposto. È naturale, un meccanismo riproduttivo piuttosto bieco, a dir la verità.
Dopo questo breve excursus naturalistico - comportamentale, riprendiamo la nostra storia.

Il signor M è un bravo ragazzo, laureato con buoni voti e uno stipendiuccio non indifferente. Lavora poco e guadagna molto. Inoltre, non pagando le tasse - perché l’attività ‘L***M*** sgomberi specializzati’ non rilascia fattura - è più ricco di noi e voi messi insieme.
Aveva una ragazza completamente all’oscuro del suo lavoro che l’ha lasciato senza un motivo speciale.

Non ci sei mai.
Non hai un progetto di vita.
Non vogliamo le stesse cose.
Sarebbe meglio non vederci più.

Noi quel giorno c’eravamo e abbiamo assistito alla scena con un certo dispiacere. Ma fregatene, è una stronza. Si chiude una porta e si apre un portone… si dice così, no?
Il signor M ha mentito a fin di bene, dicendole che era fidanzato.
E’ stato carino da parte sua: l’aveva vista così agitata che si era intenerito un bel po’… e quando gli ricapitava di salvare la fanciulla in pericolo?
Questa non l’aveva previsto.
Non aveva previsto un po’ di cose, ma era stato in gamba e se l’era cavata. Ora che la guarda, stesa accanto a lui, non sa come uscirne. Non aveva previsto che ci sarebbe stata, era una donna che aveva subito uno shock dopo l'altro.
Per ultimo lui.
Una pericolosissima ciliegina che si sta arruffando i capelli e rimescolando il viso con una mano. Lei dorme placida e beata e lui non ha un briciolo di sonno. E' troppo sconvolto per riuscire a pensare lucidamente.
Aveva pianificato tutto per bene, e poi....
Si sente... esaurito. Come se gli avesse succhiato via tutte le energie. Svuotato, frastornato. Un fastidioso 'Tu - tum' nelle orecchie
E adesso? Che si fa?
Quello che faccio sempre. Si alzò e aprì la valigetta piena di armi. Quando non hai sonno, non c'è niente di meglio di un lavoretto di precisione.
Prese le armi che aveva usato e che doveva ancora pulire e cominciò a smontarle con attenzione, toccandole come se fosse stato il corpo di Mira.
Mi manca solo di darle un nome, a questa sciccheria, ridacchiò internamente raddrizzando la schiena e orientando meglio la luce.

"Che fai?"
 
Il signor M sobbalza e spenge la luce all'improvviso, lasciando cadere un proiettile che cade a terra e rotola fino ai piedi di Mira, assonnata e con la sua maglietta stretta addosso.
"Niente" borbotta incupito "ma non stavi dormendo?"
"No. Sonnecchiavo. Ho dormito anche troppo, non pensi?" domanda piegandosi e abbracciandogli le spalle, cosa che lo mise in agitazione. Che voleva dire quell'abbraccio?
Mira segue il suo sguardo fino al tavolo dove giacciono le armi smontate e per un secondo si ritrae un pò spaventata.
"Le pulivo" commenta laconico respirando il suo profumo mentre lei posa il proiettile in piedi sul tavolo.
"Posso restare qui?"
Quel tono dolce lo fa quasi voltare verso di lei "se ti va. Vestiti, però, non prendere freddo." 
"Ok. Sta tranquillo, non ti guardo. Puoi accenderla, quella luce."
Lascia che si allontani e riprende il suo lavoro. E' nervoso, non è abituato ad avere una donna che gli gira alle spalle.   

"....I pezzi maggiori di una pistola automatica sono la canna e il carrello. La canna termina da un lato con la
bocca - la volata - e dall’altro con la culatta. All’interno la canna è completamente rigata dalla volata alla camera di cartuccia, che si trova dal lato della culatta. In una sezione detta castello si trovano il percussore e la sua molla antagonista. La canna è alloggiata nel carrello, la cui funzione primaria di sicurezza è quella di chiudere la culatta e sigillare la cartuccia nella camera. Sempre nel carrello trova posto un altro meccanismo di sicurezza: la leva di sicura. Il fusto, detto anche impugnatura..."

"Aspetta aspetta!" Mira ridacchia per un secondo, posandogli le mani sulle spalle " non ci sto capendo niente, vai più piano"

"E sia. Dicevamo....l'impugnatura contiene il cane, il serbatoio delle cartucce con la sua molla e la catena di scatto. Quest’ultima inizia con il grilletto, con il suo ponticello di protezione e attraverso una serie di leveraggi  alla pressione di questo si ha lo sgancio del cane che era stato precedentemente armato o da un precedente arretramento del carrello (manuale o per colpo sparato) oppure dal pollice del tiratore - questo lo fanno nei film con la Colt 45 " precisa facendola sorridere "Nella parte superiore di una pistola ci sono gli organi di mira: tacca e mirino, poi un bottone di svincolo per lo smontaggio, la molla antagonista di recupero e i meccanismi di blocco/sblocco, che consentono parziali movimenti indipendenti dell’insieme canna-carrello. "

"Sparare e via deve essere più semplice "commenta lasciando che i capelli gli scivolino su un braccio "scusa" sussurra togliendoli velocemente.
"Non mi davano fastidio" riprende con voce pacata " Ora... come avviene un ciclo di sparo? Partendo dall’arma scarica ma con il serbatoio riempito e inserito, si arretra manualmente il carrello e lo si rilascia. Questo fa sì che il cane si sposti all’indietro, venga sfilata la prima cartuccia dal serbatoio, messa in camera e bloccata da dietro con l’otturatore. A questo punto una pressione sul grilletto sbloccherà il percussore mentre il cane, la cui molla non è più in pressione, ritornerà alla sua posizione “naturale” sbattendo sulla coda del percussore. Quest’ultimo, spinto violentemente in avanti, andrà a urtare contro l’innesco della cartuccia provocando l’accensione della carica di lancio e l’espulsione violenta della palla. La pressione del gas agirà anche sull’otturatore spingendolo all’indietro, attraverso il fondello del bossolo che verrà espulso per cominciare un nuovo ciclo di sparo" conclude alzando le mani "e adesso ti interrogo."

Mira storce la bocca scoppiando a ridere "non ho capito nulla" afferma giocherellando con la sua cravatta. La guarda maliziosa e gliela fa scivolare vicino ad un orecchio prima di bendarlo all'improvviso "adesso facciamo un gioco."

"Non penso proprio" ribatte duro spostando la testa "Mira, smettila"
"Neanche per sogno. Ti ho fatto giocare con la tua arma per tutto questo tempo, adesso tocca a me" esclama stringendo il nodo con decisione.
"Ahi!"
"Ahi niente, non dirmi che ti ho tirato un capello che è impossibile" mugugna con voce minacciosa "adesso che sei in mio potere non so cosa fare."
"Non ti ho ancora spiegato la balistica interna del proiettile."
La donna lo guarda con un sorrisetto "pensi davvero di avermi insegnato qualcosa? Ho il porto d'armi. So tutto quello che c'è da sapere" ridacchia sedendoglisi in braccio e spegnendo la luce ."Ecco, così non avrai problemi di timidezza."
La voce del suo compagno non è più pacata: sta cominciando ad arrabbiarsi. "Mi stai prendendo in giro?"
"Assolutamente" ridacchia baciandolo sulle labbra e andando a vuoto "ehi!"
"Guarda che io ci vedo anche al buio e bendato" l'avvisa sentendo il suo bacino muoversi contro la propria volontà. E che cazzo! Si solleva in piedi portandola con se e mettendola a sedere sul tavolo, scostandosi dal suo abbraccio caldo "mi sa che ti stai prendendo un pò troppe confidenze"
"Stupido" ringhia allacciando con le gambe e tirandolo verso di se, costringendolo a baciarla. "Dovrei fartela pagare per avermi lasciata da sola in quel letto" mormora senza lasciarlo scappare "non è carino nei miei confronti."
"Non voglio essere carino, tu non mi piaci." Mente liberandosi da lei e allontanandosi di qualche passo."Lasciami stare, non cercare di fare amicizia con me."
Mira lo osserva e si sente inspiegabilmente delusa. "Va bene." Scende dal tavolo, un un certo pizzicore al naso la fa grattare. Che fai, ti metti a piangere perchè ti ha risposto male? Si chiese scivolandogli accanto e lanciandogli un'occhiataccia mentre si toglie la benda dagli occhi e la guarda ciondolare lontano da lui.
Brutto stronzo, borbotta dentro di se grattandosi il naso con forza. Brutta bestiaccia malcresciuta...
"Ehi..."
L'uomo la guarda ignaro del perchè stia piagnucolando. Allunga una mano e le tocca la schiena, rimediandosi un miagolante 'via' come risposta.
Dai, chiediglielo. Chiedile se è colpa tua.
Le labbra sillabano le parole ma la voce non esce. Rinuncia a parlare e la guarda passarsi una mano sotto gli occhi più volte. E' stranito e confuso. "E' colpa mia?" sbotta tutto d'un tratto facendola trasalire.
"No"
"Mi sa di si, invece" insiste voltandola dalla sua parte. "Che c'è?"
"Niente."
"Dimmelo."
Lei lo fissa per un attimo e volta la testa costringendolo ad abbassarsi "ti prendo a schiaffi se provi a dire che mi sono approfittato di te, prima."
Mira lo fissa sorpresa. Non lo vede bene, ma può sentirlo dalla voce che è stanco e che vorrebbe solo sdraiarsi e dormire.
La ruga che le corrugava la fronte scompare all'improvviso, gli occhi si asciugano lasciandolo perplesso.
Lo sente sospirare, e quando parla le fa di nuovo quell'effetto.
"Allora?"
Ha la voce calda e bassa... quanto le piace ascoltarlo, si è quasi innamorata della sua voce.
"Sai le donne come sono" sussurra cercando di liberarsi di lui e finendo solo contro la spalliera del letto.
"Non lo so come solo. L'hai detto tu."
Mira lo guarda cercando di vederne il viso: è sicura che ha i tratti alterati.
Istintivamente allunga una mano e lo sfiora, tirandolo contro di se e baciandolo, facendogli schiudere le labbra per insinuarsi leggera leggera.
Il signor M pensa che sa di sale delle lacrime e del sudore; sa di lui e sta cercando di fregarlo.
Si stacca dalla sua bocca e la guarda, mezzo nervoso, mezzo eccitato. Le prende il polso che aveva stretto per tutto il tempo e la vede fare una smorfietta: allora le ha fatto male davvero. Lo bacia e lo massaggia con le dita, stupendola per la seconda volta.
"Ce l'hai con me perchè ti ho risposto male." Mormora pensando di sbattere la testa al muro per vedere cosa c'è dentro. Un bel niente!
"Si"
La tira contro di se velocemente, facendola gemere di sorpresa e la stringe, crollando disteso, senza emettere un fiato. Dopo qualche secondo la sente rilassarsi, respirare e ammorbidirsi ed è solo allora che glielo chiede di nuovo.
"Davvero piangevi per quello?"
Mira annuisce allungandosi fra le sue braccia. E' così comodo..."Era da tanto che non stavo così bene... e poi hai fatto lo stronzo!"
"Pensa se, in più, non ti fosse piaciuto" sospira sentendola tremare. Sta ridendo sommessamente. E' molto gradevole.
"Ho passato una settimana infernale. Mi ci voleva un pò di calore umano."
Calore umano?! Sta per risponderle quando resta a metà del pensiero. Mira si è girata verso di lui, morbida gattina che si struscia fra le braccia del padrone e ha ricominciato a baciarlo.
"Grazie"
L'uomo non l'ascolta, approfondendo il bacio e sdraiandola sotto di se, un groviglio di eccitazione. "Aspetta a ringraziarmi.."

 

 

 

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Capitolo 20
*** Scene 19 : Il Giorno in cui Dio Morì... ***


Nuova pagina 1

Merda! Dio, merda merda merda!

Jack si trattiene dal battere un pugno contro il materasso e continua a strusciarsi le mani sulla nuca, dandosi dell'idiota. Ha sbagliato, non doveva ricominciare un'altra volta, non doveva proprio toccarla la prima volta, doveva lasciarla stare!
E invece no, gli piaceva la situazione, gli piaceva che fosse in suo potere, che dovesse dipendere da lui in tutto. Non aveva mai provato niente di simile e aveva forzato le circostanze.
Mira dorme ignara della tragedia che si sta verificando nel suo amante. Jack la fissa aggrottando la fronte e odiandola: adesso che cazzo faceva? Dopo aver assaggiato la mela così tante volte, come faceva a rinunciarvi?
E pure lei, ma come fa ad accettare una situazione del genere? Era arrivato il momento di andarsene ognuno per i fatti propri! 32 anni di vita sbagliati dall'inizio alla fine. Ti conosci no? O almeno pensi di conoscerti, lo sai come reagisci a certe cose, lo sai come reagisce quel bastardo ingrato sotto l'ombelico! E no, che cazzo, non lo accetto proprio stavolta!
Con un gesto furioso si getta fuori del letto, afferra i boxer e i jeans continuando a digrignare i denti. Si chiude nel bagno ficcando la testa sotto l'acqua, il profumo di Mira ovunque. Si arrabbia ancora di più e iperventila per cercare di calmarsi.
Adesso la sbatti sul treno, macchina, aereo, quello che cazzo è, e te la togli di torno, ok? Si guarda fisso nello specchio che gli rimanda un'espressione poco gradevole e annuisce, tornando ad afflosciarsi un secondo dopo. Echeccazzo! Ti ha fregato con quella storia delle lacrime e tu, cretino, ci  hai creduto! Non si crede mai ad un cane che zoppica e ad una donna che piange, coglione! Pensavi di svegliati tutte le mattine con le mani sul pacco e una donna pronta a soddisfarti?
Esce dal bagno ancora più arrabbiato e la vede sollevarsi su un gomito e poi a sedere, scostandosi i capelli dalle spalle e guardando nella sua direzione. L'ira svanisce di colpo ma resta a fissarla sulla difensiva.


Tu - tum


Mira sta pensando alla sua avventura occasionale che l’ha stravolta. Sta pensando a quanto è strano fare l’amore con una persona che non è Abe. Sta pensando che non ne ha avuto ancora abbastanza.
"Ancora nervosa?" domanda con un fremito nella voce.
La donna abbozza un sorriso, le guance le vanno a fuoco "no... non più"
“Bene. Vuoi tornare a casa?”
Quella frase, violenta e stonata, la lascia intontita. Come, già la sbatte fuori? Incredibile, da che mondo e mondo che tu sia un idraulico, un commercialista o un killer, il comportamento maschile è universale. “Sì”
La voce le è tremata un po’. Se ne sarà accorto? No, gli uomini non ci capiscono un cavolo.
Il signor M sospira internamente, prendendo un attimo, prima di aprire bocca “posso affittarti una macchina ma poi toccherà a te rispedirla indietro”
A quelle parole Mira smette completamente di pensare. Lui la vede muoversi perplessa, il lenzuolo stretto attorno al seno. “Davvero lo faresti? Perché?”
“Così…” borbotta guardandola in controluce. Perché si coprono tutte in quel modo, dopo? È assurdo, è un controsenso.
“Grazie” mormora muovendosi fino a lui e abbracciandolo.
La stretta tenera lo lascia disorientato e non sa che la donna è nella sua stessa situazione. Le ore trascorse insieme non se le sa spiegare.
“Non mi hanno mai ringraziato così tante volte.” Borbotta accarezzandole la testa suo malgrado “Anzi, di solito non mi ringraziano proprio”
“E la cosa ti sconvolge?”
“’snomma..”
No, mi ha sconvolto l’intera situazione. Tutto questo non era stato ne immaginato ne cercato, pensa con una smorfia.
“Jack ..”
“Lucas” borbotta a bassa voce, voltando la testa verso di lei. “Quello vero è Lucas.”
"E' bello. Mi piace molto di più.”
“Devo uscire, ora” replica in fretta, scostandola da se con un po’ di forza che Mira non capisce. “Vado a cercarti la macchina” afferma chinandosi ad afferrare il resto dei vestiti e infilandoli velocemente. Sente il bisogno urgente di scappare da quella stanza che è pervasa dall’odore della loro pelle.
“Lucas…”
Inchioda, girandosi appena e quando la sente circondarlo con le braccia e baciargli il collo, sospira internamente. Le accarezza le dita che lo avvolgono, il solletico piacevole dei capelli che ricadono da un lato. Si rimette a sedere, lasciando che lo abbracci meglio.
La donna è indecisa, si morde le labbra prima di parlare “Mi è piaciuto molto... davvero”
Lucas alza un sopracciglio e sorride, la voce un po’ maliziosa “bene”
“Ora accenderesti la luce?”
“No!”
“Per favore” lo supplica con voce carina, stringendolo un altro po’, sentendo il suo corpo rigido e tutto d’un tratto distante “Sto impazzendo chiedendomi come sei.”
“Ho detto di no”
Mira lo sente dalla voce che sta cedendo. “Senti: ho appena fatto l’amore con te. Ho il diritto di vederti in faccia!”

Sesso! Perché voi donne…
interrompe il pensiero con un brontolio interno. Oh, fanculo! Allunga la mano verso l’abat - jour e l’accende. “Mira, conosco i tuoi dati anagrafici, so dove abiti. Posso venire a casa tua per ‘una visita’, se lo ritengo necessario” le spiega con voce sempre più grave.
Lei osserva i capelli corti e neri, la linea della schiena. “Voltati e non dire stupidaggini.” Le trema la voce e neanche se n’è accorta. “Mi hai salvato la vita... perchè dovrei denunciarti alla polizia?” Continua trattenendo il fiato.
Lo osserva mentre si siede più comodamente e la guarda dritto negli occhi. Naso dritto un pò aquilino, guance scavate ma non troppo. Fronte spaziosa, da pensatore...  È un tipo normale, non ti gireresti a guardarlo, in strada.
Per i suoi standard è…
“Avevo ragione…” afferma sedendosi sui talloni “sei mascherato, adesso?”
“Te ne saresti accorta, occhioni blu”
Alza una mano per sfiorarle il viso, tirandola un po’ verso di se “quanto volevo rivedere i tuoi occhi…”
Lo sta fissando così intensamente che non riesce a smettere. Per i suoi standard… “Sei davvero così?”
“Sì”
Resta un po’ altro po’ a godere di quella sensazione piacevole e quando si allontana, un freddo inconsueto lo avvolge. “Vado. Preferenze di modelli e colore?”
Mira non da cenni d’aver capito.
Lucas pensa che non le piace, che è rimasta male. Questo non fa per niente bene al mio amor proprio.
“Basta che cammini” sussurra distogliendo lo sguardo da lui e posandolo sul proprio piede.
“Lucas..”
Lo vede fermarsi, voltandosi appena dalla sua parte. Mira lo osserva, mordendosi il labbro inferiore.
Lascia cadere le coperte e scende dal letto, nuda, mandandogli il sangue al cervello e costringendolo a girare nuovamente la chiave nella serratura.
Lo raggiunge, gli toglie di mano la giacca e la butta in terra fissandolo intensamente. “Non sei come immaginavo. Io pensavo che tu fossi...” sussurra posando le mani sulla cintura e tirandolo verso di se, con la testa bassa. Lucas la guarda in silenzio domandandosi che altro vuole da lui.
Ha scombinato una qualsiasi parte razionale, che cosa c'è ? Cosa? Che…Merda, merda, merda!
Mira resta a fissargli la maglietta per un tempo lunghissimo, finchè non lo lascia andare con un sospiro. “Scusa…vai. Vai pure”
Si affretta a tornare presso il letto, per infilarsi nelle coperte perché ha un freddo terribile e sta quasi battendo i denti.
Ha appena chiuso gli occhi, masticando frustrazione e indecisione fra i denti, che si sente afferrare per la vita e stringere in un abbraccio caldo e avvolgente che la fa barcollare all’indietro.
“Non ho fretta di uscire”
“No…” sussurra stringendosi contro di lui.
“No. Sei rimasta qui tre giorni. Puoi rimanere un altro po’?”
“Sì”
“Vestiti, però” bisbiglia nel suo orecchio spostando i capelli e baciandola lentamente. “Fa freddo, sei stata male”
“Davvero?”
Un lento cenno della testa "deliravi per colpa della droga."
Mira stavolta rabbrividisce per la paura. "Mi ricordo qualcosa. Qualcosa di orrendo e contorto..."
"Lascia stare, non giocare a Freud con i tuoi sogni. Certe cose è meglio che restino sepolte" mormora continuando a sbaciucchiarla.
Mira è quasi stupita per tutto quell'affetto, ma per una volta non vuole farsi domande. Un bacio tira l'altro finchè la vestizione appare del tutto inutile per quello che hanno in mente. 

Lo trova sempre a scrutare il soffitto, dopo. Si volta verso di lei e allunga una mano per accarezzarle il viso. Mira lo lascia fare, le piace molto; socchiude gli occhi e muove la guancia conto il palmo caldo, baciandolo un paio di volte. "Ma tu non dormi mai? Sonnecchi, non dormi mai veramente."
"Soffro d'insonnia, occhioni blu" mormora con un buco allo stomaco non indifferente. "Non esci da questa stanza da quattro giorni, non vuoi fare un giro fuori?"
"Verrai con me?" Mira lo fissa intensamente, avvicinandosi un altro pò. "Stai per dirmi di no."
"Sei sveglia, come hai fatto a capirlo?"
La donna sbuffa e si scosta dalla sua presa morbida "mi basta guardarti. Sei asociale e scontroso. Vuoi che me ne vada per farti rifiatare. Non sei abituato a stare troppo in compagnia di una donna. E sei sessualmente frustrato." Conclude scendendo dal letto dopo essersi avvolta con il lenzuolo che gli ha strappato di dosso.
Lucas la sente borbottare fra i denti e alza gli occhi al cielo. Si mette a sedere guardandola tirare su la maglietta bianca con due dita. "Ha parlato quella frustrata, arrapata e indisponente." Mormora ironicamente. "Dovresti ringraziarmi, da quanto tempo non lo facevi?" conclude tornando a sdraiarsi e a chiudere gli occhi.

Mira lo osserva incredula, la lingua che spinge sui denti per mandarlo a quel paese. "Stronzo" sibila solamente afferrando la busta e frugandoci dentro finchè non si ferma con gli occhi inumiditi "spiegami questo comportamento. Se non ti è di troppo disturbo, ovvio."
"Mi disturba" afferma annoiato. "Vatti a fare un giro, prendi una boccata d'aria e non metterti a pensare cose strane."
"Che cose?"
Lucas abbozza un sorriso prima di parlare "abbiamo solo scopato, occhi belli, non metterti strane idee in testa."
Un silenzio astioso proviene dalla donna che non si aspettava un simile comportamento. Stringe i vestiti in una mano e lo fissa per alcuni secondi, ammutolita dal dispiacere. "Ma che avete, voi uomini?!" sbotta tutto d'un tratto aprendo di scatto la porta del bagno e infilandosi dentro.
"Quello che non avete voi, occhioni blu" sussurra fra se e se, girandosi su un fianco "il buonsenso." 

Mira ha girato a vuoto per un pò, osservando la città in cui si sono fermati. Non ha pensato neanche per un minuto a telefonare a Bronx per avvertirlo che sta bene.
Ha cenato in una tavola calda da sola, in un angolo appartato, aprendo bocca solo per infilarci il cibo dentro. Ha passeggiato per un pò finchè la sera non è diventata troppo fredda per restare fuori.
Ha guardato a terra per la maggior parte del tempo e lo sta facendo tutt'ora. Solo che adesso ha gli occhi pieni di lacrime.
"Sei troppo nervosa, occhioni blu. Hai la lacrima facile."

Mira alza gli occhi a quelle parole irriverenti e indurisce lo sguardo. "Ah, sei tu. Che vuoi?"
Lucas solleva le spalle con fare scanzonato, andandole vicino "lo scontroso acido e sessualmente frustrato si annoiava tutto solo e ha deciso di uscire"  
"Bene" sibila scostandosi e sorpassandolo "buona passeggiata. Stronzo!"
Luca la osserva allontanarsi in fretta. Il sorrisetto scolpito scompare e resta solo una smorfia dura.

***

“Questo perchè?”
E’ la prima frase che dice da quando è tornata all’hotel. La macchina la sta aspettando di sotto. Mira sta fissando il denaro che le ha messo in mano con aria quasi offesa.
“Per qualsiasi evenienza” spiega con voce tranquilla.
Mira lo osserva sempre più truce e si costringe a distogliere lo sguardo da lui. “Ho le mie carte di credito, forse lo hai dimenticato."
E’ vero. L’ha scordato. “Certo che no”
Mira lo sta odiando, sembra quasi che l’abbia pagata per la ‘prestazione’. Con un gesto rabbioso li lancia sul tavolo e s’infila il cappotto senza degnarlo di un'occhiata.
"Fermati!"
La donna si arresta voltandosi appena. Lui la costringe a farlo con poca grazia. "Jack. Ricordatelo. La prossima volta che sentirai questo nome o vedrai la mia faccia.. questa" specifica indicandosi "vorrà dire che non sono venuto per una visita di piacere."
Mira lo fissa con gli occhi inumiditi trattenendo il respiro.
"Hai capito?"
La donna annuisce una volta sola, piano come se le costasse una gran fatica. " 'Lucas..'"
"Di nuovo fra virgolette, eh?"
"Vaffanculo! E senza le virgolette!" sbotta con le lacrime agli occhi. Sta piangendo per qualcosa che non capisce e che fa parecchio male.
La guarda allontanarsi con le labbra serrate e un buco in mezzo al corpo. È andata a toccare un pezzo di lui che non credeva esistesse più. Merda! Fanculo a lei e ai suoi occhioni azzurri! Mi ha fregato, cazzo!


***

Nel bell'appartamento al centro della città, l'uomo ha appena concluso una telefonata a dir poco gradevole. Il signor Martène quando lavora ha sempre quella marcia in più, ha sempre trovate a dir poco geniali. Il bilancio si è impennato positivamente e la concorrenza sta rodendosi le mani per la perdita del carico.
Chiude l'agenda concedendosi un grosso sorriso.
Al signor Martène piace giocare al gatto col topo, molto probabilmente se la stava spassando con quella donna. E' giusto, ognuno si diverte come vuole, pensò afferrando il telefono accanto al suo piede e componendo un numero. Il signor Martène si divertirebbe di più se la faccenda si movimentasse un pò.

"Salve. Ho qualcosa da dirle... riguarda il carico di Nero che avete appena perso. Chi sono?" L'uomo sorride al nulla e poi scuote la testa "un amico." 


°°°°

Si dice che il giorno in cui Dio morì, scoppiò una tempesta nella piccola città. 

Si dice che il giorno in cui Dio morì, Lucas era solo un bambino che leggeva i fumetti chiuso nella sua stanza, con la musica a tutto volume per non sentire le urla dei genitori che trapassavano le pareti.

Si dice che il giorno in cui Dio morì, Lucas avesse appena finito di risistemare nel garage, gli attrezzi che aveva usato per manomettere i freni della macchina del padre.

Si dice che il giorno in cui Deus Martène morì, aveva picchiato la moglie per l'ennesima volta.

Si sussurra che sia stato il piccolo Lucas a uccidere il padre.

Si dice che sua madre, Virginia Françoise Martène, andò dal parrucchiere il giorno dopo con la faccia gonfia di lividi, sistemò i capelli color del petrolio in una bella acconciatura moderna e passò dall'estetista per il trucco. Entrò nel negozio più costoso del paese e comprò un abito un pò aderente e un paio di scarpe nere dal tacco alto.
Fece una piroetta davanti allo specchio, sorrise, stendendosi il rossetto scuro che aveva comprato per cercare di coprire il labbro gonfio e si avviò verso casa, con un sorriso allegro che mal si conveniva ad una vedova.
Virginia arrivò a casa, fece una carezza al piccolo Lucas che giocava alla playstation e salì nella sua camera, ticchettando armoniosamente.
Si rimirò ancora una volta allo specchio, gettò la fede matrimoniale nel water e tirò l'acqua che gorgogliò ma non portò via il minuscolo anellino d'oro giallo.
Spense la luce del bagno, si avvicinò alla finestra e si ammazzò, andandosene silenziosamente come aveva vissuto. 

Il piccolo Lucas trovò il corpo tre ore dopo e stette a guardarlo per le successive due ore sotto la pioggia che scrosciava. Poi si alzò da terra, prese il telefono e chiamò la sua amichetta per chiederle se poteva andare a giocare da lei e che la mamma gli aveva dato il permesso.

Lucas aveva 9 anni quando i suoi morirono a distanza di due giorni l'uno dall'altro. Al funerale della donna, teneva stretta nella manina la fede d'oro.  

A Lucas non piaceva Mira. Gli piaceva fisicamente, certo, non era niente male. Non era niente male finchè non ha cominciato a parlare, finchè non ha cominciato a toccarlo con quelle manine abbronzate e morbide e finchè non ha iniziato a volere qualcosa da lui. Mira non l'ha detto ma Lucas l'ha capito la terza volta che hanno fatto l'amore.
Sesso! Cazzo, era solo sesso!
Certo... sesso, come dice lui. Dicevamo... la terza volta che hanno avuto un rapporto - va bene, messa così?- Mira gli si è addormentata fra le braccia e lui ha passato metà del tempo a guardarla e l'altra metà a sonnecchiare sul suo seno. E quando si era svegliato, perchè alla fine di tutta quell'attività l'insonnia l'aveva sconfitta, non si era mai sentito meglio.
E si era spaventato.
Quella donna era una mina vagante, con i suoi occhioni azzurri e il tono dolce e ironico che usava per infilare il suo nome fra le virgolette.
Cristo, mi faceva venire il nervoso, pensò rigirando attorno al pollice la fede della madre.
Virginia aveva gli occhi azzurri e i capelli scuri. Un pò come Mira, ma lei non era pallida come un fiocco di neve.
Doveva comprendere ancora lo strano fenomeno cui andava soggetta la chioma della donna. Da dove erano saltati fuori quei ricci? Quando glieli aveva asciugati, avevano cominciato ad arrotolarsi fra le sue dita lasciandolo stupito.
Virginia lo lasciava sempre giocare con le sue onde morbide, poi lo faceva scendere dalle ginocchia e gli insegnava il corretto uso della spazzola e del fon, neanche fosse stata una femmina.
Lucas sospira annoiato gettando uno sguardo alla stanza vuota. Il suo odore era rimasto sul cuscino. Lo guardò con il viso indurito e si alzò bruscamente dalla sponda del letto, facendo cigolare le molle.  

Afferrò i bagagli ma fu costretto a posarli per rispondere al cellulare che cominciò a ronzare discretamente nella tasca.
"Si?"
Era sorpreso di ricevere quella chiamata ma non lasciò trapelare incertezza dalla voce. Battè le palpebre un paio di volte, abbozzando un sorriso. "E' una specie di regalo?" ridacchiò mettendosi comodo e annuendo. "E la mia parte a quanto ammonterebbe?"
Ascoltò la risposta e si bloccò perchè una tale offerta di denaro andava al di la della sua immaginazione. "La faccenda è rischiosa, immagino. Certo che sono d'accordo, ma deve lasciarmi un pò di tempo per prepararmi"
Aggrottò la fronte quando l'uomo lo avvertì che ne aveva poco ma non ebbe dubbi sul risultato dell'operazione.

Infilò il cellulare nella tasca interna del giubbotto e uscì con un sorriso soddisfatto. Tutto quel movimento sarebbe stato un buon diversivo alla noia che lo coglieva subito dopo aver concluso un lavoro. Avrebbe dimenticato l'insonnia che aveva ricominciato a perseguitarlo, il buon nome di Jack Tempesta sarebbe schizzato in alto nella graduatoria e l'ombra di quella donna piagnucolosa sarebbe scomparsa del tutto.
Lucas uscì all'aperto, prese la macchina e non si guardò mai indietro. Il segnalatore cominciò a suonare, segno che una sua pulce era là vicino.
Lo guardò, lo spense e dopo qualche attimo di silenzio battè una mano sul volante. Merda, merda, merda!     


 


 
 

Con il prossimo si entra nell'azione... meno male, non ne potevo più di sti due! (se non avessi pubblicato già i capitoli, avrei stravolto tutto)  

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Scene 20 : Loro.... ***


Sospira

"Sveglia ragazzo, sei ancora intero."

Marv muove la testa su un cuscino che non conosce. Apre gli occhi e balza a sedere di scatto, gettando un grido al dolore acuto che lo aggredisce. L'uomo di fronte a lui abbozza un sorriso cortese e lo studia come fosse un malato terminale. "Certo che bazzichi brutta gente. Ti ho trovato in aperta campagna ridotto piuttosto male"
Marvin si tasta il petto e le braccia piuttosto sorpreso." Chi... sei?"
"Un veterinario, ma le ferite le so guarire ugualmente. Ti ha detto bene che quella pallottola non ti abbia bucato il cuore."
Marv lo fissa sulla difensiva, ancora sconvolto per la novità. E lui che pensava di essere morto! Si guarda attorno studiando l'ambiente in cui si trova. Il suo veterinario deve essere piuttosto povero. E' una topaia schifosa, pensa scrutando ogni centimetro del suo corpo.
Il telefono che squilla lo fa balzare lontano dal comodino. Il vecchio prende il cellulare e lo guarda stranito. "Squilla da giorni e ogni volta che rispondo mi attaccano in faccia. Sono amici tuoi?"
Marv assentisce e lo prende con due dita. "Si. Anche parecchio incazzati" mormora con la voce roca di paura.
Sarà anche matto... ma questa è gente che non ci mette nulla ad ammazzarti chi hai di più caro al mondo nel più sanguinario dei modi.
Il tono nervoso che proviene dal microfono, azzera ogni dubbio. Non che ne avesse.

Quando la comunicazione viene tolta bruscamente, impreca fra i denti. Ha perso il carico, il taxi e la donna ma stranamente i suoi superiori non se la sono presa più di tanto. Sanno tutto, sanno chi è stato e stanno mandando una squadra di risolutori.
Chi cazzo sono i risolutori, poi... si chiede posando il telefono e tornando a sdraiarsi.
"Vuoi qualcosa da mangiare? Ti vedo magrolino, non avrai qualche malattia strana, vero?" 

Marv gira lentamente la testa verso il veterinario dal volto bonario e innocuo. Un lampo sinistro negli occhi che il vecchio non nota. "No, niente malattia. Però ho molta fame."
 

***

Sospira, sospira…continua a sospirare, vedrai che ti passa. Mira autoironizza da quando ha lasciato l’hotel. Ironizza, altrimenti si metterebbe a piangere.
La prima cosa che ha fatto quando ha lasciato il parcheggio in lacrime, è stato telefonare alla stazione della polizia che l'aveva dirottata in tutta fretta sul cellulare di Bronx. L'uomo le aveva risposto piuttosto trafelato. “Sei viva?!”
“Certo che sono viva!” aveva esclamato con aria incredula. “Sto tornando a casa.”
Bronx si era incupito al suono di quella voce buia e debole. "Stai bene?"
No. Mira assentì e poi si ricordò che non poteva vederla "sto annuendo."
Bronx era rimasto in silenzio ascoltando quella strana risposta. “Conosciamo l’identità del tuo assalitore.”
“Non me ne importa nulla. L’ho ucciso, Harvey…”aveva sussurrato dandogli nuovamente del tu. “L’ho ucciso io.” Mentì scacciando il pensiero di Lucas come una mosca fastidiosa.
“La vedo difficile” l’aveva raggelata piegandosi sulla cornetta “non abbiamo trovato il corpo”
Le era quasi caduto il telefono di mano quando aveva pronunciato l’ultima sillaba.“E' ancora vivo….”
“Come hai fatto a scappare da lui?”
Lucas…
“Si è distratto. Gli ho preso la pistola e gli ho sparato, ma pensavo di averlo colpito!”
“Non abbiamo trovato niente, la pioggia ha lavato via tutto. Ma ho trovato il tuo specchietto. ”
“Buttalo, per favore" sussurrò di nuovo tesa e nervosa. “Marv stava trasportando un carico di droga ma non so dove sia finito.” Mentì mordendosi un labbro: non poteva dire che ce l’aveva Lucas!
“Allora deve esserselo ripreso. Il taxi verde è scomparso e sembra che nessuno l’abbia visto.”
“Cristo, è verde! Verde!!” esplose facendo girare tre avventori del bar “come fanno a non vederlo? Senti, devo lasciarti, mi sto rimettendo in viaggio. Mi dispiace per la cena.”
“Non dirlo neanche per scherzo!”
Mira gli era stata grata di quella voce confortante e rilassante, ma non le era bastato. Aveva bisogno di qualcosa di più che non voleva nominare. Non ci voleva nemmeno pensare.
“Pensa a tornare… poi pensiamo a tutto il resto”
Quale resto? Che resto? Non c'è niente che tu possa fare per me. Stava per dirglielo quando un vecchietto dietro di lei le picchiò la spalla con un dito, visibilmente seccato.
“Signorina è un telefono pubblico”
“Si, mi scusi. Ciao ispettore, ci vediamo presto”

Bronx non aveva fatto neanche in tempo a dire ‘a’ che Mira aveva già riattaccato con aria pensosa.
“E finalmente!”
L’occhiataccia di stizza che aveva lanciato al vecchio, non era minimamente descrivibile. Si era fermata a fare un breve pranzo e aveva mangiato svogliatamente anche se non aveva affatto fame.
E continuava a venirle da piangere.

Il vecchio si era seduto accanto a lei pesantemente, gettandole un’occhiata veloce “è passato tanto tempo dall’ultima volta che sono riuscito a far piangere una bella ragazza” aveva soffiato dal naso grande, da contadino, incrociando le mani di fronte a se.
Macchie epatiche sul dorso, unghie rotte. Fa lavori manuali.
“Non è per lei” aveva sussurrato mandando giù un boccone svogliatamente “cose mie.”

Lui l’aveva guardata attraverso gli occhi acquosi spenti e scoloriti dall’età.
Doveva cinquant’anni, forse sessanta. Portati malissimo, pensò posando il bicchiere e girando la testa “se deve fissarmi a lungo, l' avverto che non è giornata”

Il vecchio aveva sollevato le spalle robuste ma cadenti e si era voltato verso la cameriera facendole un cenno. “Da queste parti non è mai una buona giornata. Questa è una città di transito; siamo talmente piccoli che non compariamo sulle mappe stradali. Vedi quelli laggiù?” borbottò attirando la sua attenzione su due fidanzatini che tubavano e facevano le fusa “quei due sono appena scappati di casa e non hanno molta voglia di essere disturbati” le spiegò facendola sbuffare di noia: lei voleva solo essere lasciata in pace!
Bevve un sorso della bibita e annuì, fingendo comprensione e interesse.
“Quello la è il classico pistolero a tempo perso che spera di beccare una rissa per estrarre il fucile da caccia che ha appena comprato per far vedere quanto è virile” continuò indicandole un tipo piuttosto massiccio dallo sguardo nervoso
“E quella vecchietta laggiù… beh, scommetto che avvelenato il figlio perchè non la andava mai a trovare, l’unica volta che si è presentato a casa sua” ridacchiò battendole una mano grande sulle sue e facendola scattare all’indietro.
“Giù le mani!”
L’uomo assunse un’aria mortificata che la fece subito sentire in colpa. Si ritirò in se stesso, come una tartaruga vecchia e stanca.
“Non volevo... ho avuto una settimana un po’ pesante” ammise posandogli una mano sulla spalla “Brutta gente, brutti incontri. Sto tornando a casa” spiegò con voce più gentile e un po’ rotta. Il vecchio sorrise appena “ti auguro ogni fortuna, ragazza-”
“Grazie.”

Mira pagò il conto ed uscì. È il primo pomeriggio, non pensava che avrebbe perso tutto quel tempo nel ristorantino.
“Signorina!”
Si voltò: il vecchio era dietro di lei con una grande borsa a tracolla. “Potrei…”
Era timoroso e titubante e Mira lo fissò aspettando: stava per chiederle un passaggio?
“Potrei chiederle…lei dove va?”
“A New Orleans”
“Io un po’ più giù. Faccio l’autostop ma sono fermo qui da giorni. Mi darebbe un passaggio fino lì? Dopo mi arrangio da solo”
La donna lo soppesò: non sembrava pericoloso, ma non si poteva mai sapere.”Va bene, ma al primo passo falso, la scarico in corsa dalla macchina!” lo minacciò con un dito puntato e pochissima voglia di scherzare.
Il vecchio annuì, dopo averla guardata piuttosto sorpreso. “Se vuole, eh…non per forza”

E’ esausta, le farà bene un po’ di compagnia. Gli anziani sanno sempre un sacco di aneddoti. E poi parlare l’aiuterà a dimenticare.
“Metta dietro la borsa”

****

Mira sta ridendo da una buona mezz’ora, non si aspettava che il suo compagno di viaggio fosse così simpatico. Ha guidato a lungo, è stanca. Il vecchio Charlie non si è neanche offerto di prenderne il posto, sapeva che non avrebbe mai acconsentito.
“Penso che non lascerò mai più che un uomo prenda il mio posto alla guida” aveva spiegato con aria esausta.
Lui non aveva commentato limitandosi a guardarla. Quando si era fermata in una radura e aveva spento la macchina, fu costretto a celare la sua sorpresa.
“Un attimo solo, ho voglia di guardare un po’ le stelle”

Il cielo era crivellato di puntini luminosi che la rendevano ancora più malinconica. Sarebbe tornata a casa. Sarebbe uscita con Harvey. Stavolta l’avrebbe invitato a casa sua, non si sarebbe neanche arrischiata a mettere un piede fuori.
Sospirò a lungo, il freddo che le congelava il naso e i piedi.
“Si prenderà il raffreddore” l’avvertì dopo un bel po’ che se ne stava la fuori sola. Scese dalla macchina, sbattendo la porta e facendola sussultare.
“Non m’importa molto a dir la verità…”ammise intristita. “Le è mai capitato di…” Mira lo guardò indecisa e tacque.
“Su…continui”
“Niente, niente” sbottò risalendo in macchina “forza, cerchiamo un motel per la notte”

Harvey le aveva dato il suo numero personale. Mira lo rigirava fra le dita: un numero scribacchiato in fretta su un foglietto strappato dalle pagine gialle del telefono pubblico. Aveva voglia di chiamarlo, ma poteva essere impegnato in qualche lavoro notturno e non voleva disturbarlo.

Gira fuori, al freddo. Potrebbe accaderle di tutto un’altra volta, potrebbero aggredirla, rapinarla o sgozzarla.
A Mira non importa. Siede sul cofano della propria auto e guarda le stelle con la gola strozzata. Quando decide che ne ha abbastanza, che ormai si è congelata e compatita a sufficienza, si volta, in tempo per notare la tendina della finestra della camera del vecchio che viene rimessa a posto.
Un altro che non si fa gli affari suoi.

***  

Brutto scherzo, tesoro. Brutto scherzo. Non me lo dovevi fare, piccina.
“Mira… Miraaaa! Ti vengo a prendere, lurida troia che non sei altro!”
Marv si trascina per la casa del veterinario con un tramezzino in mano e l'aria cupa, la mazza da baseball stretta nell'altra. Quel tipo strambo ci ha messo parecchio tempo per togliergli il proiettile dal fianco, gliel'ha detto prima di morire. Non è la prima volta che viene colpito e non è impressionato dalla vistosa cicatrice. Una volta aveva dovuto scavare una ferita con le chiavi della macchina, figurati se si spaventava per un taglietto.
L'ordine è di aspettare la nuova squadra di recupero senza fare troppe domande. A Marv non piace ricevere ordini, ma in galera ha imparato a dire 'sissignore' e ad abbassare la testa.
Il frigorifero del vecchio è pieno di cibo, deve essere uno che non ama uscire molto di casa, pondera guardandosi in giro e cercando eventuali tracce di parentele del veterinario. Neanche una foto. Meglio, non avrebbe dovuto aspettarsi sorprese inattese. Marv piomba sul divano liso e mezzo sfondato e agguanta il telefono con un sorriso. La sua cara vecchietta... chissà come stava!

***

"C'è un cambio di programma. Arriverò con un giorno di ritardo"
"Ne siete certo?"
"Fate la seconda telefonata. Il resto è compito mio"

***

Si dice che il giorno in cui LORO arrivarono, la pioggia smise di cadere e improvvisamente uscì un sole soffocante, che rese il terreno umido ancora più odoroso di erba.
Si dice che il giorno in cui arrivarono, Marv stesse lucidando il fucile da caccia del vecchio e che alla loro vista lasciò partire un colpo che trapassò quasi il soffitto e fece un bel buco nell'intonaco.
Si dice che l'uomo a capo del comando di risolutori aprì bocca per pronunciare una parola sola.

"Andiamo"

Chiacchiere di paese sussurrano che l'organizzazione per cui lavorava Marvin, l' Associated Lyrics, avesse ricevuto una telefonata piuttosto gradevole da 'un amico' che li invitava a recarsi a New Orleans il più presto possibile. Sembra che quest' 'amico' fosse a conoscenza del fatto che un tale Jack Tempesta recava con se il carico di Nero che era stato illegalmente sottratto all'incaricato e che stesse portandolo al committente del lavoro, tale Kenneth Astingson, conosciuto nell'ambiente come Domino Kent, un noto truffatore di Casinò e affini che si dilettava da tempo nella nobile arte del raggiro e della frode ai danni di grandi compagnie come la Associated Lyrics, una società per azioni che investiva parte dei propri guadagni nel brillante mondo delle droghe pesanti. 

Quello che proprio non era andato giù a Marlene Vallone, la socia di maggioranza dell'Associated, era stata la brillante trovata di usare un poveraccio come Marv per trasportare quel grosso carico di merce ai suoi 'amici' di Baton Rouge.
Non solo il carico non era mai arrivato, ma l'idiota se l'era fatto fregare da sotto il naso da un concorrente!
La signorina Vallone non accettava un tale sgarbo, per lo più sotto Natale. Sollevò il telefono e in breve, quattro uomini fecero la loro comparsa, silenziosi, letali e devoti ad oltranza.

Marlene li guardò tutti uno per uno, incrociando le mani dietro la schiena. "Voglio veder rotolare tante teste." Sibilò fra le labbra sottili "voglio il carico, voglio Domino morto!, e voglio Tempesta a brandelli. Pezzi piccoli, molto piccoli. Deve entrare in una scatola da scarpe." Precisò fissandoli negli occhi. "L'idiota uccidetelo, ma dopo. E' l'unico che può riconoscerlo"
"Jack Tempesta?"
Marlene lo guardò di traverso "non so chi sia, ma so che presto morirà"
I quattro si occhieggiarono a vicenda "Tempesta non è facile da prendere. Si traveste, è praticamente irriconoscibile" mormorò un uomo senza mai perdere la calma.
"Sono problemi vostri. Guardatevi le spalle, anche fra di voi!" sbottò congedandoli con un gesto della mano. Marlene Vallone strinse un'altra volta le labbra e si voltò verso la finestra del superattico che dominava la parte Est della città.
Prima Tempesta , poi l'idiota e infine il bel Domino che non la smetteva mai di impicciarsi degli affari degli altri!

***

Mira bussò a lungo alla porta di Charlie, sicura che fosse ancora addormentato. Sollevò le spalle quasi tentata di lasciarlo lì e andarsene e si recò nel settore ristorazione dell'alberghetto con passo cadenzato e lento.
Lo trovò seduto a ingozzarsi di cibo e si sedette al suo stesso tavolo, ordinando un caffè nero e con poco zucchero "pensavo stesse dormendo"
"Noi vecchi dormiamo poco" rumoreggiò fra le briciole di pane tostato che metteva in bocca due alla volta.
"Le andrà di traverso" mormorò in tempo per vederlo tossire e inghiottire il boccone voluminoso con una lunga sorsata di caffelatte. Il vecchio autostoppista ruttò discretamente alzò una mano per scusarsi mentre Mira sollevava un sopracciglio. "Come si dice: meglio fuori che dentro" ridacchiò un pò imbarazzata del comportamento di quell'uomo che non si limitava in niente, sebbene fosse in presenza di una donna.
"Sacrosanta verità!" sghignazzò pulendosi la bocca con il dorso della mano mentre Mira restava a metà aria con un tovagliolino di carta nel palmo.
Un optional, pensò riposandolo sul tavolo come nulla fosse.
"Beh, mia cara ragazza. Le nostre strade si dividono qui" affermò mettendo la mano in tasca e tirando fuori una banconota da dieci tutta stropicciata."Ho trovato un camionista che va dritto a destinazione"
Mira annuì sorseggiando il caffè "se le va bene così..." a me non dispiace, pensò sollevata.
"Ma mi faccia un favore, prima: si compri un'arma" le disse all'improvviso facendola strozzare
"E perchè?"
Il vecchio scosse le spalle con un sorriso bonario "difesa personale, se va in giro da sola non sa mai cosa le può accadere"

Mira convenne che aveva pienamente ragione. Gli promise di farlo e quando se ne andò, restò seduta al tavolo da sola, guardando fuori del finestrone poco pulito del bar. Una pistola. Si, ne aveva bisogno assolutamente!

***

Lucas guidava violentando la strada sotto di se con rabbia crescente. Il segnalatore mandava impulsi sempre più forti, segno che Mira era vicina. Stavano andando tutti e due nella stessa direzione.
Mira tornava a casa, lui aveva da svolgere un compito che gli sarebbe valso una pensione d'oro e non intendeva rinunciarci. Inchiodò sul ciglio della strada, aspettò che il segnalatore smettesse di lampeggiare in quel modo accecante e poi riprese il cammino mentre, molto lontano da lui, un gruppo d'uomini ben equipaggiati e silenziosi procedevano nella stessa direzione. Marv taceva ostinatamente, guardando altrove. L'ostilità era palpabile in quella BMW nera che viaggiava senza intoppi sulla statale, divorando chilometri come fosse una belva feroce e tenuta digiuna da troppo tempo.
Marvin non apprezzava la compagnia più di quanto facessero loro. Essere costretto a seguirli non gli era andata giù, ma la 45 special puntata alla tempia, era stata un ottimo deterrente alle sue proteste.

Mancavano pochi chilometri a New Orleans.
    



 


 

 

 


 


 

 






 

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Capitolo 22
*** Scene 21 : Domino Kent. ***


Nuova pagina 1

Certe volte le donne hanno bisogno di una spalla su cui appoggiarsi, senza piangere. Semplicemente un caldo contatto umano che le rassicuri su cosa stanno facendo, sulla direzione che sta prendendo la loro vita.
Certe notti hanno bisogno di dormire e certe altre di fare l'amore per sentirsi vive.
Certe notti Mira si sente sola e ha solo voglia di alzare il bavero della giacca e uscire fuori, affrontare la notte con tutte le sue paure, ticchettando un morbido tango di irrequietezza sul cemento della propria città.
Certe volte Mira si sente di nuovo bambina e osserva le cose che la circondano con l'occhio ingenuo e veritiero che hanno solo i piccoli.

When you try your best but you don't succeed, when you get what you want but not what you need, when you feel so tired but you can't sleep...

Adesso vorrebbe solo volare via, perchè è già sprofondata.
Troppo in basso per cadere ancora.

E' appena arrivata nella sua città, e per la prima volta le è parso di respirare di nuovo. Ha trattenuto il fiato per tutti quei giorni, si è immersa in oceani che non le appartenevano e ne è uscita fuori boccheggiante, pesta e indolenzita.
Si guarda attorno disorientata, cercando cambiamenti che non ci sono stati, se non dentro di lei. 
Guarda quella coppia come si stringe, non sono carini?
Guarda quella tipa, sta male, ha bevuto troppo.

 
Mira osserva perchè il suo lavoro.

'Sei una guardona' 

E tu sei uno stronzo! Alza la testa verso il cielo, sta cadendo una pioggerellina sottile che le inumidisce appena il viso. Le lacrime le scaldano gli occhi, annegandoli in una pozza celeste.
Guida piano fino alla stazione di polizia. Deve farsi vedere. Devono sapere che è ancora viva.

When the tears come streaming down your face, when you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste, could it be worse?

Attraversa la stazione e nessuno la ferma, nessuno la guarda. E' come se fosse invisibile. Arriva davanti all'ufficio di Bronx e sta per bussare quando se lo ritrova di fronte in procinto di uscire per tornare a casa. 
Mira lo osserva aspettando di nuovo quel colpo allo stomaco che le veniva ogni volta che lo incontrava... ma non sente nulla.
E' anestetizzata.
"Ciao ispettore" mormora mentre lui alza la testa e le spara in faccia due occhi penetranti e sorpresi.
L'impatto visivo la fa vacillare: si, c'è qualcosa... un lieve dolore allo stomaco che le fa salire le lacrime sempre di più fino ad annacquare la figura imponente di fronte a lei.
"Mira! Ma quando sei arrivata?!" sbotta studiandola da capo a piedi "perchè nessuno mi ha avvisato?! "urla nel corridoio facendo affacciare parecchi poliziotti. Mira fissa l'ufficio aperto davanti a se e lo trova esattamente come l'ha lasciato.
"Andava meglio così, vero?" sussurra indicando la stanza senza alzare gli occhi su di lui.
"Si, molto meglio. Ma gli occhiali li porto ancora" mormora facendola accomodare dentro e chiudendo la porta.
"La lasceresti aperta?"
Il tono era affrettato, Bronx la guarda senza capire ma l'accontenta. Mira si muove a disagio: un altro posto che non le appartiene."Beh... sono viva. Sto bene" sussurra torcendosi le mani "vado a casa, adesso" 

Si muove barcollando verso l'uscita quando la voce calma di Harvey la blocca "posso accompagnarti? Fa finta che sia la tua scorta personale"  
Mira annuisce accennando un sorriso e un attimo dopo sente la mano sfiorata.
"Mi fa piacere che tu stia bene. Ero molto preoccupato per te" borbotta abbassando la voce per non farsi sentire dagli agenti che transitano casualmente.
Mira lo guarda con l'occhio pesto: è sempre più difficile tenere a bada le lacrime mentre le accarezza la mano e la stringe nella sua, con quell'espressione impenetrabile che va ammorbidendosi, quando la vede 'gocciolare' all'improvviso.
 
Tears streaming down your face when you lose something you cannot replace

Harvey la stringe delicatamente ma quando Mira gli affonda fra le braccia, disperata. L'avvolge in un abbraccio protettivo che la consola solo in parte. 
Chiude la porta e li isola dal mondo esterno, continuando ad abbracciarla. Non sa confortare la gente, lui. Ma va bene lo stesso se non parla, vero?
"Mira... ti porto a casa io. Va bene?"
Sente la sua testa muoversi e non ha capito se un assenso o sta solo utilizzandolo per asciugarsi le lacrime.
E' disturbata da qualcosa che non riesce a capire, ma in quel momento non si pone domande. Si lascia trascinare fuori restandogli aggrappata e abbassando la testa per non farsi vedere in quelle condizioni. Sente il suo cuore che batte violento sotto l'orecchio e lo stringe con forza, staccandosi solo quando arrivano al parcheggio.
Si guarda attorno mordendosi le labbra e stringendo le braccia attorno al corpo. Ha un freddo tremendo. "Harvey, vado da sola, non disturbarti" sussurra bloccandolo. La guarda incredulo mentre la donna alza una mano e lo saluta correndo via, verso la macchina parcheggiata poco distante.

***

Una donna che ha subito un grosso shock non ha molta voglia di parlare e di socializzare. Non ha voglia di dare spiegazioni e non ha voglia di sentirsi chiedere continuamente 'come stai'.

Per la prima volta in vita sua, ringraziò per essere sola al mondo. Si rintanò nel piccolo appartamento che non le era mai parso più confortevole e pianse così tanto da arrossarsi gli occhi e irritarsi le guance. Fece una doccia, infilò il pigiama più stupido e adolescenziale che aveva e si raggomitolò sotto le coperte, tirandole fin sulla testa.
E pensò a Lucas.
Fu svegliata da un trillare insistente, allungò la mano verso il telefono e maledì la persona dall'altra parte del microfono.
Bronx restò muto per qualche istante e poi si qualificò, facendole aprire gli occhi del tutto. "Ti ho svegliata?"
Mira guardò la parete sulla quale spiccava un quadro marino e non rispose.
"Stai ...bene?"
"Certo" mentì meccanicamente. "Stavo dormendo"
Harvey guardò la pendola nel salotto con aria incupita. Erano le undici di giovedì sera. "Hai mangiato?"
"No" biascicò tirandosi a sedere.
Quelle risposte telegrafiche lo misero in allarme "ti va..."
"No" sbottò in fretta "non penso uscirò di qui per la prossima settimana"
Harvey storse la bocca a quel tono fiacco e depresso "volevo dire... ti va di mangiare qualcosa con me? Sono un bravo cuoco"
"No, grazie."
Restò a guardare la cornetta che mandava il segnale di libero e con molta cautela l'appoggiò sulla forcella. Non è molto incoraggiante....

***

"Kenny, accidenti a te! Tira giù quei piedi dal divano!!"
"Che palle!"
"Guarda che ti ho sentito!"
"E lo ripeto anche: che palle!"
Un violento ceffone arrivò sulla testa dell' uomo facendolo imprecare "la finisci, strega? E 'casa mia e metto i piedi dove mi pare"
"Non quando ci sono io, moccioso"
Kenneth scrutò la figuretta snella e magra di fronte a se e le fece un gestaccio col medio teso "ma non poteva capitarmi una sorellina ammodo come tutti gli altri?"
La ragazza sorrise malignamente e gli diede un altro scappellotto, stavolta leggero. "Non poteva capitarmi un fratello con qualche bell'amico da presentarmi? Ti rendi conto che in 25 anni di vita, non mi hai mai presentato un bel ragazzo? Ma dove li scegli gli amici, dal settore maschi usati e atrocemente fallati?"
Victoria gli tirò scherzosamente la guancia, dimentica dell'atroce mal di denti che lo affliggeva da giorni "oddio, scusa!" sghignazzò ridendo fra i denti quando lo sentì grugnire e lo vide portarsi una mano alla bocca "vuoi uccidermi? Dillo se vuoi la mia morte!" urlò muovendo troppo a mascella e acuendo il dolore.
"Ma è cariato! Devi andare dal dentista a fartelo togliere" strillò nelle orecchie del ragazzo che fece un balzo dalla poltrona sulla quale era comodamente stravaccato con il portatile sulle ginocchia.
"Non ci penso proprio! Non mi faccio strappare via i denti! Oddio... non farmi parlare, oddio quando fa male.." piagnucolò con aria comica.
"Piuttosto, hai trovato un lavoro come si deve?"
Kenneth strinse gli occhi per un momento e abbozzò un sorrisetto isterico "sto cercando.."
La ragazza sbattè le mani sui fianchi e poi le sollevò la cielo "quella povera donna di nostra madre starà rivoltandosi nella tomba! Ma non potevi drogarti come tutti?"
"Costa! E noi non abbiamo un soldo da parte."
Victoria lo fulminò con lo sguardo mentre scavalcava il bracciolo e gli toglieva il portatile dalle gambe prima di travolgerlo con la sua furia "Hai 29 anni, hai gettato la laurea nel cesso e non hai uno straccio di lavoro! Io ho 25 anni e mando avanti la baracca anche per te! Il minimo che potresti fare è fare la spesa di tanto in tanto e presentarmi un amico carino."
Domino sogghignò con dolore "sei troppo cessa per piacere ai miei amici"
La ragazza sospirò forte e ringhiò fra i denti, rimediandosi uno sguardo d'intesa. "Se non alzi quelle chiappe secche e non esci a cercarti un lavoro, ti tolgo le chiavi di casa e ti mando a dormire alla stazione" ruggì facendolo balzare in piedi in fretta, inciampare sul cavo dell'alimentazione del computer e franare rovinosamente a terra.
"E stai attento che non hai più l'età per certe cose!" Lo rimproverò con il naso per aria e le labbra strette 'a culo di gallina' come affermava il fratello.
Domino mugugnò fra i denti e restò seduto in terra a guardare lo schermo del pc che recava il suo suo ultimo record. Uscì dal gioco, dopo averlo preventivamente salvato, e facendosi strada fra la marea di icone che ne affollavano il desktop, aprì una cartella gialla.
Dopodomani ci sarebbe stata un grossa grossa partita giù nei bassifondi. Poteva farci un salto, imbrogliare un pò e portarsi a casa qualche sostanziosa vincita.
A Blackjack non lo batteva nessuno.

***

Chissà perchè quella volta che era tornato a casa, i cani erano scappati. Molto probabilmente era stato il padre a sbarazzarsi di loro. Lucas ci rimuginava ancora su mentre preparava le sue maschere migliori.
L'annuncio era scomparso dal giornale, segno che la 'sgomberi specializzati' era al lavoro e momentaneamente non riceveva altri incarichi.
Si muoveva con destrezza e rapidità, soppesando le armi e le pallottole con le mani, valutando il peso e l'ingombro che potevano dare sotto il giubbotto pesante. Adorava l'inverno solo per quello.
Il segnalatore non pulsava più, ma lui conosceva a memoria la via di Mira. Era un bel quartiere, tranquillo e senza troppe pretese.
Sarebbe stato tranquillo ancora per poco.
Lucas caricò l'ultima arma e la ficcò dietro la cintura dei pantaloni, coprendolo con il giubbotto.

Jack Tempesta uscì dall'appartamento con passo veloce e allo stesso tempo nervoso. C'era sempre quella strana frenesia che lo coglieva ogni volta che si accingeva a compiere un lavoro.
Un certo formicolio nelle gambe e nelle mani che stringevano e rilasciavano il volante dell'auto mentre guidava nervosamente per le viette e s'inoltrava in vialoni larghi e trafficati.

Era la serata giusta per uccidere.
Prima si liberava di lei e prima sarebbe riuscito a sbarazzarsi di quella fastidiosa irrequietezza che aggravava la sua insonnia.
Mi dispiace, occhioni blu, la salute prima di tutto!

 

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Capitolo 23
*** Scene 22 : Un giro di vite sul fulcro dell'anima ***


'Hai mai provato ad arrenderti ad un giorno di pioggia?'

Mira lesse la frase più volte gettando uno sguardo alla pioggia che batteva sui vetri della camera da letto attrezzato a studio personale. Una cornice di legno lavorato con la foto di lei e Abe che si abbracciavano, un tulipano finto che spiccava da un microvasetto di ceramica bianca e azzurra, le casse del computer che mandavano una canzoncina adatta allo stato d'animo.
Tolse la foto dal vetro e la gettò in fondo ad un cassetto, sospirando più e più volte. Prese il suo specchietto da tavolo e si osservò attentamente, facendo una smorfia alle occhiaie e al pallore che le imbiancava la pelle

"Respira quell'attimo di tempo necessario a lanciarti nel vuoto. Il tempo di un giro di vite sul fulcro dell'anima e tutto sembrerà labile e decadente, come una vecchia poesia lasciata giacere su una panchina battuta dalle intemperie" sussurrò alzando un sopracciglio e seguendolo con il dito, fino alla fine dell'arco nero.
"Cazzate" mormorò a voce più alta.
Liquidò la faccenda con un'alzata di spalle e gettò lo specchio nel cassetto in tempo per sentire suonare discretamente alla porta. Chi diamine la disturbava mentre si compativa?! 
Mira sospirò esasperata, si alzò con lentezza infinita e passeggiò stanca fino alla porta che aprì senza domandare l'identità dell' ospite inatteso. 
Aprì la porta in tempo per vedere una pistola sollevarsi verso il proprio viso e l'occhio scuro della canna guardarla minaccioso.
Mira lo fissò per un breve secondo e poi spostò lo sguardo sul possessore dell'arma al viso indurito. I suoi occhi scuri correvano dalle labbra semirigide dallo spavento agli occhi sgranati e velati di paura. Oh merda! Merda merda! Pensò spingendole la pistola contro e facendole fare un passo indietro.

"No.." sussurrò la donna arretrando fino a trovarsi nel bel mezzo del corridoio "no... Lucas..."
"No un cazzo" sibilò con sguardo truce fissandola negli occhi azzurri che si erano già riempiti abbondantemente di lacrime.

Jack Tempesta la fissò valutando la distanza e l'inclinazione dell'angolo che avrebbe preso la pallottola una volta fuoruscita da lei.
Lucas la guardò e rivide gli occhi di sua madre.
Vide la donna che aveva stretto.
Vide la donna che lo aveva fatto...

Sono infinito, sono eterno, sono immortale ora: sono un minuscolo punto colorato nel tuo iride perfetto, in cui finalmente mi ritrovo, mi ricompongo e rinasco.
Attraverso esso mi rivedo, sdraiato sull’erba, mentre il fluire della coscienza rivifica un corpo che avevo ormai dimenticato.
 

La mano gli tremò giusto per un secondo.


No, non posso morire. Non ora. Non oggi. Non mai
.

E poi Jack Tempesta sparò.

***

Si dice che Tempesta arriva sempre con la pioggia. Si scherza col suo nome finchè non si è cadaveri da un momento all'altro.

Si dice che Tempesta non abbia mai amato nessuno.

Lucas camminò fino alla fine della strada, incurante della pioggia che lo sferzava, le mani abbandonate lungo i fianchi, l'indice destro che tormentava l'anello d'oro al pollice. 

NNon vivo di sogni, ma di concreta realtà ... di sensazioni tangibili
non voglio altro che "sentire"
annusare
assaporare
vedere
toccare
ascoltare
e la sento, è concreta
mi scoppia dentro, esplode, tracima
mi brucia nelle mani, negli occhi, nel naso, nelle orecchie, sulla lingua
non voglio essere sicuro, non voglio convincermi
non voglio credere, non voglio bisogni
ma voglio ferirmi
e mi sono ferito tante volte e ho tante cicatrici che mi danno ricordi
piacevoli e spiacevoli ... non ha importanza ... ci sono
e voglio continuare a ferirmi, a sanguinare sensazioni

Si fermò in mezzo alla via, la tempesta infuriava più forte di prima e lo costringeva a chiudere gli occhi. Cadde in ginocchio, un cedimento improvviso che non seppe spiegarsi.

Mi sono ferito tante volte e ho tante cicatrici che mi danno ricordi

Chinò la testa lasciando che la pioggia gocciolasse dai corti capelli sul viso scavato. Sentiva gli occhi stranamente caldi e gonfi... era una sensazione strana che non provava più da tanto tempo.

Voglio continuare a ferirmi, a sanguinare sensazioni.

Lucas Martène aveva smesso di piangere all'età di nove anni.

Jack Tempesta... il killer migliore di tutti non aveva sbagliato neppure questa volta.
Aveva ucciso sua madre.
Di nuovo.
Aveva ucciso....


***

"Ha fatto la sua telefonata?"
"Ha fatto quel che doveva?"
"Sì. Posso dedicarmi completamente a lei"
"Ci sarà un incontro, dopodomani sera. Le darò tutte le coordinate." Scosse la testa ridacchiando "il giorno in cui Domino Kent scomparirà dalla faccia della terra, io sarò l'uomo più felice del mondo."
"A cosa le serve..." Jack Tempesta calcò bene le parole prima di parlare "a cosa le serve liberarsi di quell'omuncolo insignificante?"
"Ha mai sentito parlare di Marlene Vallone?"
"No."
"Quella donna detiene una grossa fetta di mercato azionario. Il resto della torta è tutta di Domino" spiegò giocherellando con la penna su un grafico a torta fatto a mano. "Potere, ragazzo mio. Potere! Scagliarli l'uno contro l'altro, scatenare la guerra e approfittarne quando le parti saranno entrambe indebolite" ridacchiò con gusto. "Ho fatto credere a Vallone che è stato un tirapiedi di Domino a combinarle lo scherzetto. I suoi uomini stanno venendo a New Orleans. Si scanneranno fra loro e noi ne trarremo profitti." Concluse con un ampio sorriso. "La sua parte è semplice: deve assicurarsi che quell'omuncolo insignificante muoia una volta per tutte!" ribattè duro con voce astiosa.
Jack Tempesta si appoggiò al vetro della sua stanza storcendo la bocca alla pioggia che non accennava a smettere. "Farò del mio meglio" mormorò con sguardo vacuo "e la prossima volta..."
"Si?"
"Mi dia del lei"

***

La fotografa è arrivata?"
Harvey sibilò la domanda con aria incupita e depressa: se non la incontrava a lavoro era praticamente impossibile trovarla!
"No, ispettore, l'abbiamo chiamata ma non si è fatta sentire"
Annuì una sola svolta all'agente di servizio e tornò a fissare il marciapiede seguendo le scolature di sangue annacquate con gli occhi.
Bene. Era ora di andarla a prendere a casa, decise girando sui tacchi e sorpassando la striscia gialla che attirava i curiosi.

Quando giunse all'appartamento sostò sul pianerottolo inquieto. C'era qualcosa... una pennellata sbagliata in quel quadretto campestre che non gli piaceva per niente. Sollevò il naso e annusò più volte l'aria. Cordite!
Il pugno di Bronx si abbatté più volte sulla porta finchè non decise di ricorrere a vecchi metodi: cercare di sfondarla con una serie di spallate che gli indebolirono il lato sinistro del corpo e non ottennero nessun effetto.
"Ma di che cazzo è fatta?" sibilò sotto voce posando la mano sul pomello che cedette docile e lo catapultò nella stanza.

L'ombrello gli scivolò di mano quando vide il corpo di Mira steso a terra e il sangue che le macchiava il maglioncino. Atterrito e sconvolto non si mosse per un bel pezzo finchè le gambe non gli cedettero in prossimità della donna che toccò con mano tremante.
Le tastò il collo cercando tracce di un eventuale battito. Era calda, l'odore di cordite era penetrante: era appena successo.

Sotto i polpastrelli la vena pulsava debolmente: quella scoperta gli strappò un gemito. Frugò nella tasca freneticamente, alla ricerca del cellulare che cadde più volte e lo costrinse ad arrampicarsi fino al telefono fisso. Se l'avessero visto in quel momento, così poco padrone di se, forse la sua reputazione sarebbe migliorata un pò.

***

"Come sta?"
"Si è stabilizzata, ci vorrà un pò di tempo prima che si riprenda"
Bronx fissò il medico con sguardo inquisitore. "Come ha fatto a non morire? Le ha sparato a bruciapelo al cuore!"
L'uomo gli fece cenno di seguirlo. S'immersero in una sala dalle luce bassi e tirò fuori una bustina di plastica sigillata "una 22 a carica ridotta. Se fosse stata piena, a quest'ora sarebbe morta. Non volevano ucciderla davvero. Forse intimidirla."
"Chi cazzo farebbe una cosa del genere?!"
Bronx afferrò il bossolo guardandolo con odio "quello psicopatico.." sibilò fra i denti restituendola al medico che lo guardò interrogativo. Uscì dalla sala a passo di carica, lanciando un'altra volta un'occhiata alla fotografa in sala di rianimazione.
Quel pazzo l'avrebbe ammazzata senza troppe storie. Chi era stato a fare una cosa del genere? Un ladruncolo? Non poteva essere, non mancava niente! Chi poteva essere stato? Si chiese per l'ennesima volta maledicendo la pioggia che non accennava a smettere.
 




 


  


 


 

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Capitolo 24
*** Scene 23 : Divinità Malate ***


Nuova pagina 2

"Ho visto qualcosa"

L'uomo di Vallone indicò il fondo del vicolo con uno sguardo d'intesa al compagno. 
"Sarà un gatto" sbuffò tenendo d'occhi Marv che smaniava per andarsene da quel posto. Che centrava lui? Lo avevano tirato in mezzo ad un affare che non lo riguardava. In più era disarmato e i punti lungo il fianco gli tiravano dolorosamente.
"Potrebbe essere Tempesta" sibilò fra i denti agitato.
Il compagno lo fissò per un attimo e tornò a guardare la porta. "Vai a vedere, se hai tanta paura."
L'uomo girò le spalle con disprezzo "testa di cazzo!"

Marv lo vide allontanarsi con passo rigido e fece una smorfia restando accucciato sotto la tettoia. Cominciava ad odiare quella pioggia maledetta che gli si infilava anche nelle mutande e lo costringeva a starnutire. Si era beccato un raffreddore se non un'influenza vera e propria. Magro com'era, non ci avrebbe messo molto a incubare il virus.
"Che centro in questa storia?"domandò per l' ennesima volta, rimediandosi un'occhiataccia al fiele dal terzo uomo che piantonava l'entrata della bisca clandestina mascherata da cantina vinicola di alto livello.
Un passo felpato dietro di lui gli strappò quasi un grido.
Il quarto uomo era tornato e dalla sua espressione sembrava tutto a posto "un gatto che non teme la pioggia" spiegò al compagno che neanche lo guardò: Domino Kent aveva appena fatto la sua apparizione, un ragazzotto come tanti che si incontrano per strada. Niente di particolare, solo un cervellone che andava steso a marcire sotto l'acqua che aveva ripreso a battere con violenza. "Qual è il piano?"
L'uomo a capo dei risolutori lo guardò come se avesse appena bestemmiato "li ammazziamo tutti! Che cazzo di domanda.."
"Mi piace" ammise con un sorrisetto sbarazzino "e dell'idiota che ne facciamo? Ce lo portiamo dentro e lo usiamo come scudo umano?"
I compagni cominciarono a sghignazzare fra i denti muovendosi solo al segnale del capo "mica male come idea. Tienilo d'occhio e buttalo nella mischia se succede qualcosa a uno di noi"

Marv sgranò gli occhi a quella risposta e impuntò i piedi a terra finchè una spinta del quarto uomo non lo fece muovere per forza.
Sarebbe stata una strage e lui non voleva entrarci, proprio no!


°°°°
Gli uomini di Vallone irruppero nella cantina e portarono la morte nella fredda e piovosa notte di Dicembre.

Le Divinità Malate, li chiamavano. Perché niente di quello che facevano insieme era pienamente umano.

Domino Kent non li vide neanche entrare, concentrato com’era sulla partita che aveva già in mano.
Udì solo il rumore della pistola che scattò dietro la nuca e poi più il nulla.

Quello che successo la dentro, non ebbe testimoni.


°°°°

"Me lo vuoi dire chi è stato?"
"Non lo so!"
Bronx dovette trattenersi con molto sforzo: quel muso da impunita non riusciva proprio a capirlo! Si piegò sul letto appoggiando le mani sul materasso e fissandola come faceva con i malviventi, le sputò in faccia tutta al sua rabbia "di, un pò: che ti passa nel cervello, ragazzina? Quello ti spara e tu non vuoi dirmi il suo nome?"
"Esatto. E non darmi della ragazzina, vecchio barbogio!" esplose portandosi subito una mano al seno "e non farmi arrabbiare che mi fa male tutto!" sibilò fra i denti rimettendosi buona "tanto ora crede che sia morta... e non lo conosco, il suo nome!"
"Si che lo sai. Fattelo uscire o te lo faccio sputare a forza di ceffoni!" esplose perdendo tutto il suo self control e facendo affacciare un'infermiera che sollevò le sopracciglia e si affrettò ad andarsene prima di rimediarsi un urlaccio anche lei.
"Ti basti sapere che non è stato Marv" riprese con voce un pò meno dura "non so il suo nome."
"Sapresti riconoscerlo?"
Mira ebbe un violento flashback che la fece arrossire "si.."
"Bene!" Esplose tirando fuori un raccoglitore da ufficio "sfoglia e indica col ditino" le ordinò mettendosi seduto sul comodino e rischiando di far cadere tutto quello che c'era sopra.
Mira lo sfogliò malvolentieri, commentando le singole facce e irritandolo oltre misura. Bronx dondolava istericamente una gamba, digrignando i denti per non darle uno scappellotto che, secondo lui, le avrebbe rimesso a posto il cervello. Quando arrivò alla fine, lo gettò ai piedi del letto con aria assorta "non c'è fra quelli."

Harvey iperventilò prima di alzarsi dallo scomodo mobiletto e sedersi accanto a lei, spingendola in la con il sedere e facendola sorridere. "Ragioniamo" dichiarò con un mezzo sorrisetto scemo che sarebbe presto mutato in una smorfia d'ira. "Non sai il suo nome. Posso anche crederci. Sapresti descriverlo?"
"Penso di si" sussurrò guardando altrove con un'aria così strana che lo fece piegare verso di lei.
"Ehi, bimba, occhi a me" sbottò facendola girare sorpresa "ma da dove esci, da un romanzo degli anni 50?" ridacchiò alzandosi un pò sul letto. "Ehi bimba, occhi a me!" sorrise facendo il vocione mentre Bronx la fissava incupito.
"Ci sei andata a letto con quello che ti sparato?"
Mira rischiò di strozzarsi: impallidì, avvampò e non disse nulla, incrociando le braccia sul petto e lanciando un acuto di dolore.
"Cazzo, scegliteli disarmati!" le urlò contro rimediandosi uno 'shhh' da un'infermiera che transitava nel corridoio.
"Ma che stai dicendo? Io.."
"Tu hai la stessa faccia che aveva Marie quando il tipo della DHL è venuto per la cinquantesima volta a portarci un pacco vuoto" le spiegò innervosito "a sto punto, immagino che tu sappia il suo nome."
"Non calcare in quel modo!" gridò indignata "si, lo so come si chiama... oddio, sembra di dare spiegazioni a mio padre!"

Bronx la guardò sentendosi vecchio. Troppo vecchio per una ragazza di quell'età. "Fai come ti pare: se ti spara di nuovo, sei nel posto giusto" borbottò afferrando il raccoglitore e mettendolo sotto braccio.
"Harvey, aspetta..." sussurrò con aria impaurita "non volevo dire... non intendevo darti.."
"Si, si" mugugnò abbruttito "fatti dare una controllata ai neuroni e cerca di tirare fuori quel nome alla svelta."

Mira lo guardò allontanarsi con aria colpevole. L'uomo dei suoi sogni non era proprio quello che credeva. L'aveva ferito dicendogli quella cosa e l'aveva ferito quando aveva scoperto di Lucas.
Lucas...
Mira si concentrò, cercando di ricordare tutta la scena: lui che entrava nell'appartamento, la pistola che le aveva gelato il sangue nelle membra, lui che le diceva... le aveva detto qualcosa.
Si sforzò il più possibile andando a rimestare fra le pieghe del cervello... che le aveva detto? Qualcosa a bassa voce, ma era troppo spaventata per sentirlo. Le aveva mentito, le aveva detto che l'avrebbe ucciso solo se avesse rivelato il suo nome e il suo volto.
Perchè... allora?
Cominciò a singhiozzare per il dolore, la tristezza e la vergogna di aver fatto qualcosa che non doveva, per aver ferito Bronx che era stato tanto carino con lei, per Abe che l'aveva tradita con un' altra, per quel fottuto pazzo di Marv, per...

"Mi sono dimenticato.."
Bronx restò impalato sulla porta a guardala, mezzo fuori e mezzo dentro, il raccoglitore ancora sotto il braccio, mentre Mira cercava di asciugarsi il viso più in fretta possibile.
"Merda!"
La donna si sentì circondare da un abbraccio caldo e consolatorio e gli franò addosso piagnucolando scuse su scuse che le impastavano la bocca.
"Scusa, sono abituato a fare la voce grossa" lo udì ciancicare fra i suoi capelli con un mezzo tono tenero "non c'è bisogno di piangere così, dai"
Mira gli si strinse contro combattendo contro il dolore che non la faceva respirare "io non volevo... è andato tutto storto! Io volevo uscire con te... poi è successo..."
Harvey guardò fisso davanti a se prima di stringerla un pò di più, e quando parlò, non udì le proprie parole "anche io volevo uscire con te. Una volta fuori di qui... possiamo.."
La sua voce si spense mentre Mira alzava la testa, inghiottendo le lacrime. Bronx la guardò quasi spaventato e cominciò ad accarezzarle il viso e i capelli meccanicamente. "Possiamo anche uscire, no?" Propose con voce inesistente vedendola strusciarsi contro la sua mano.
Le andò incontro imbambolato, sfiorandole le labbra in un bacio delicato. La donna si staccò immediatamente. "Eh... no" mormorò imbarazzata, tenendo lo sguardo fisso verso il fondo della stanza. "Non sono abituata a comportarmi così. Così... debole. Non sono mai stata così piagnucolosa. Devo avere qualcosa che non va" borbottò a bassa voce, imbronciata e imbarazzata facendolo riprendere.
"Non importa, capita" convenne bestemmiando tutti i santi dentro di se.
"Cosa volevi dirmi?"
"Non lo ricordo più. Probabilmente qualche minaccia per farti parlare" ammise demoralizzato. "Ci vediamo"
 

penultimo capitolo. Il prossimo sarà quello conclusivo (e assai più lungo, scusate li ho divisi male)

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Capitolo 25
*** Scene 24 : Tempesta arriva con la pioggia ***


Gli uomini di Vallone irruppero nella cantina e portarono la morte nella fredda e piovosa notte di Dicembre

“Lavoro da professionisti, capo. Guardi che precisione: uno alla testa e uno al cuore. Non uno di più o di meno”
Harvey osservò con occhio lugubre il massacro, stando bene attento a non scivolare sul sangue che imbrattava il pavimento.
Il primo agente che aveva fatto irruzione era ancora in stato di shock e l’avevano dovuto sedare per farlo calmare poichè continuava a farfugliare ‘dio… il sangue… tutto quel sangue’ come un ebete che ha perso la ragione.
Ci avevano messo un po’ a scoprire il posto.
La puzza era arrivata fino in strada.
Un odore di putrefazione che viaggiava basso e persistente.
I topi avevano scorpacciato un bel po’ con le salme.

“E fatemi passare!”

Bronx si girò di scatto al suono di quella vocetta indignata. Mira spostò di peso un poliziotto e gli sbattè in faccia il badge di fotografa.
“Che ci fai qui?” gridò sorpreso della sua apparizione. Ma non doveva essere in ospedale?
“Mi hanno dimesso stamattina. Spostati, devo fare le foto” sibilò nervosa per i fatti suoi. Restò impietrita alla scena e fece un passo indietro prima di cominciare a scattare le foto con le mani che le tremavano. Si fermò, sfregandole sui jeans tanto erano gelate e ricominciò pensando al fatto che era ora di andare a fare shopping.
Bronx la fissò non riuscendo a credere nel suo self control.
“Fatto. Mi ci vorrà un po’. Facciamo tre-quattro giorni” affermò con voce tenue e strozzata. Se la schiarì più volte, mentre Bronx la osservava: se non se ne andava via di lì in fretta, sarebbe caduta a terra in mezzo a quello schifo.
“Vieni con me!”le ordinò tirandola per un braccio e facendola protestare.
“Che cavolo vuoi? La foto ricordo?” esplose facendo sogghignare i poliziotti lì intorno.
“Di un po’, vuoi una scarica di ceffoni? Porta rispetto, stronzetta!” sbottò facendola tacere e rimediandosi una smorfia dalla donna.
“Non so che ti è preso, e non lo voglio sapere. Voglio sapere come stai” continuò un po’ più calmo mettendosi le mani in tasca per resistere alla voglia di prenderle la testa e strizzarla per fare uscire tutta la sua acredine.
“Bene” rispose come da copione “sto bene. In piedi, infreddolita e con il raffreddore.” Concluse un po’ più accondiscendente “vuoi sapere anche cosa ho mangiato per cena? Aspirine. Anzi, devo andare a comprarle, prima che chiuda la farmacia!”
Mira lo scansò da un lato e Bronx la lasciò passare con un ringhio d’avvertimento. ”Sta attenta a quello che fai”
La vide alzare le spalle e camminare spedita fino alla macchina nuova, masticando scoramento e depressione: che cosa era successo fra loro due?

***

“Di un po’, psicotico…stai per creparci qui?”
Marv non apprezzava quelle battutine più di quanto l’uomo apprezzava i suoi deliri continui.
“Che cazzo te ne frega…il vostro piano fa acqua da tutte le parti, non troverete mai Tempesta!” sibilò starnutendo e stringendosi nel giaccone “cosa ti fa pensare che si farà vedere da queste parti?”
La Divinità lo guardò di traverso “non sai che Tempesta arriva sempre con la pioggia?” ridacchiò dandosi di gomito con il secondo che sghignazzò all’interno della macchina.
Indicò l’abitazione davanti a se e sorrise “quella è casa sua. Al suo interno c’è una bella bambina che sta aspettando il ritorno del fratello. Potremmo andare ad infastidirla un pò per farci sputare fuori i nomi dei soci in affari di Kent”
A quelle parole Marv sorrise “una sorellina triste e disperata per la dipartita del coglione? La consolo io”
Il terzo lo guardò di traverso e non risposte mentre il quarto sghignazzò come lui.

“Signori, è ora della benedizione natalizia” decretò scendendo dall’auto e aprendo l’ombrello scuro.

Quella fu l’ultima volta che le Divinità Malate lavorarono insieme.
Quella fu la sera in cui Jack Tempesta li massacrò tutti dal primo all’ultimo.

Mira rallentò in prossimità dell’incrocio, vedendo quella combriccola di preti che attraversavano la strada senza aspettare che scattasse il verde.
Arrabbiata per qualche strano motivo, inchiodò, suonò violentemente il clacson e uscì fuori con tutto l’intenzione di litigarci.
“Guardate che il vostro buon Dio non protegge dai pirati della strada!” gridò facendoli voltare tutti e cinque.
Mira lo fissò con odio e restò impietrita quando il quinto uomo si voltò verso di lei.
“La troia!”
Marv la fissò sorpreso e quasi indispettito, quando un sorriso si aprì sul visto magro. “Tesoro che fine avevi fatto?”

Il mondo cominciò a girare mentre le gambe si abbassavano e la riportavano al sicuro della macchina. Mira si barricò dentro e alzò il finestrino in tutta fretta, cercando di ripartire, quando due spari le fecero saltare i pneumatici.
Le Divinità Malate non lasciavano mai testimoni.

Si sdraiò sui sedili mentre una salva a raffica incrociata si abbatteva sullo sportello della macchina nuova e il fumo del motore saliva sempre di più. Oh cristo! Ma le macchine esplodono davvero come nei film? Quel pensiero la fece quasi ridere, mentre sgusciava sull'altro sedile e le detonazioni svanivano. Hanno finito le munizioni?
Senza pensarci un momento di più, aprì lo sportello illeso e si gettò fuori dall'auto, sotto la pioggia scrosciante che le appiccicò i capelli alla faccia e le lavò via le lacrime già seccate.

"Dove vai, dove vai..."

Marv cantilenava mentre Mira osservava i suoi piedi e il lungo vestito da prete che avevano indossato. Per passare indisturbati, ovvio: le strade erano piene di sacerdoti in visita per la benedizione natalizia.
La tirò su con una mano, puntandole il gomito sotto il collo e costringendola a tirare indietro la schiena. Il dolore al torace eruppe violento e Mira urlò.
"Non giocarci, cazzo. Abbiamo da fare!"
La Divinità lo osservava sbuffando, la mitraglietta poggiata sulla spalle e un sorrisetto di circostanza alle persone che li osservavano pensando ad una recita fuori programma o alla scena di un film "Non vuole convertirsi!" gridò ridendo "Certa gente è proprio peccatrice."

"Perchè non sei morto?! Ti ha ucciso, ti ho visto!" urlò la donna mentre Marv la strattonava e la spingeva verso il gruppo di uomini di Vallone
"Non sono morto, contenta? Non potevo morire senza passare qualche momento piacevole con te... e poi.." Un violento schiaffo le fece girare la testa all'improvviso "dove cazzo ha messo il mio carico? Eh, puttana? Sono stato gentile con te e tu mi hai fottuto il carico!"
"Non ce l'ho!!" gridò tastandosi il viso che le faceva male "ce l'ha Jack, contento? Vallo a cercare, psicopatico!"
"Jack... chi?"
"Non lo so, so solo che si chiama Jack!" ripeté sforzandosi di non urlare. Mira giaceva a terra circondata dalle Divinità Malate che la guardavano fra un misto di noia e irritazione.
"Beh, ammazzala e torniamo a fare quello che stavamo facendo" sbuffò uno, visibilmente scocciato. Mira li guardò a turno, e sgranò gli occhi : valeva meno di niente. La sua vita non era assolutamente importate, soprattutto per quello che la guardava con la sacra voglia di ucciderla.
"Jack... Tempesta?" le domandò sollecitandole la spalla con la mitraglietta.
"Non lo so. Forse." Borbottò "non mi ha detto il suo nome"

L'uomo la fissò arrabbiato "sai, occhioni blu. Si dice che Tempesta arriva sempre con la pioggia... ed è una grande rottura di palle lavorare così!"

Mira lo fissò a bocca aperta, per un istante solo. Il momento dopo, giaceva sull'asfalto proteggendosi la testa e coprendosi le orecchie per il rumore degli spari.

"Dovevo farmi un'altra reputazione! Ho quindici raffreddori l'anno" le gridò ad alta voce mentre sparava una raffica secca al gruppo. "Vuoi mettere la comodità di lavorare alla luce del giorno, sotto il sole? L'inverno mi piace solo per sciare."

Marv strillò quando lo gambizzò senza battere ciglio. Lasciò che si trascinasse per un pò sotto la pioggia scrosciante, mentre le sirene della polizia si facevano sempre più vicine. Ci giocò finchè non decise di esser stufo di vedere tutto quel sangue scorrere e macchiargli le scarpe. Lo afferrò per i capelli, sorridendo simpaticamente e ficcandogli la pistola contro il naso "è quest'insonnia che mi ammazza, occhioni blu. Mi trema la mano, sbaglio...." sussurrò sparandogli e girando il volto per non prendersi in pieno lo spruzzo di sangue che lo imbrattò lo stesso"...e poi qualcuno muore" concluse con voce rabbiosa e cupa, non risparmiandosi di dare un calcio al cadavere.
Lasciò cadere a terra il corpo senza vita e attizzò le orecchie, girando appena la faccia lorda di sangue verso i lampeggianti. 

"Sii..." ridacchiò togliendosi il sangue dalla faccia e rigando il muro in una lunga strisciata "stanno arrivando i tuoi amici."

Mira lo fissò mentre sorrideva e toglieva i caricatori dalle tasche, sempre tenendo d'occhio una Divinità che si muoveva ancora e cercava di raggiungere la propria arma. Lo lasciò fare, non aveva fretta.
Si voltò a guardarla, imbestialito, il volto contratto per l’ira che saliva ad ogni momento di più.
Mira se ne stava rannicchiata dietro la macchina nell’attesa che finisse. Quando udì solo un silenzio pesante, si arrischiò a mettere la testa fuori.
Osservò Lucas fermo in mezzo alla strada, la faccia finta che indossava che la squadrava con odio. Raccolse la pistola di terra con mano tremante e scattosa e gliela puntò contro.
”Abbassa quell’arma!” Sibilò andandole incontro a lunghe falcate che la terrorizzarono ancora di più.
”Lucas…stavolta… “ Mira premette il grilletto e il tamburo scattò a vuoto. No! Erano finite!
La gettò a terra, incespicando sui propri piedi e cercò di correre via. Non riusciva a respirare per il dolore al seno, si fermò e quando lo vide dietro di lei, lanciò un urlo.
“Brutta stronza!” sbottò tirandola su con una mano e scrollandola “tu dovresti essere morta!” urlò puntandole la pistola alla gola e spingendola dolorosamente sotto la mandibola.
Mira rabbrividì di paura ad uno sbocco di tale violenza e riuscì solo a mugolare qualcosa d’incomprensibile che si perse in faccia a Tempesta che continuava a guardarla con odio.
”Perché cazzo non sei morta? Dove ho sbagliato? Ti ho sparato al cuore!”
Mira balbettò, completamente atterrita “la pallottola…era quasi scarica…” singhiozzò fissandolo negli occhi. L’avrebbe ammazzata, stavolta l’avrebbe fatto!
Il killer la fissò combattuto fra l’odio, la repulsione e un altro sentimento che non centrava niente con quella cascata di violenza.
Stava per parlare quando lo vide con la coda dell’occhio. Si appiattì velocemente contro il primo muro a disposizione, tirando a se Mira che non capì e gli si aggrappò addosso quando sentì lo sparo.
”Lo sapevo che quel coglione non era morto, stavo aspettando il momento giusto” sibilò al nulla, con gli occhi al cielo. “Maledetta insonnia, mi fa tremare la mano.”
Mira lo guardò stupida. Il tono cattivo che aveva sentito fino quel momento, aveva lasciato il posto ad una voce quasi dolce
“Lucas...” Sussurrò attirando lo sguardo dell’uomo su di lei.
La guardò come se la vedesse per la prima volta e la stretta su di lei si allentò leggermente per riprendere più forte di prima.
Mira sentì un gamba cederle, l’altra tremare per lo sforzo di tenerla su. L'avevano colpita senza che se ne accorgesse? Si aggrappò ancora di più al killer che la studiava ancora.

O meglio, studiava i suoi occhi.

Abbassò la destra che teneva la pistola e le accarezzò la vita “l'ho fregato io, stavolta. Ho preso la pistola sbagliata di proposito” mormorò allontanando la testa dal muro e sentendo uno nuovo sparo che frantumava l’intonaco. Si abbassò sulle gambe fino a sedersi a terra e ad appoggiarla contro la parete.
“Devi capire che se fai il killer tanto giusto non ci sei, occhioni belli. Non sono Lucas. Non quando lavoro” le spiegò con tono furibondo caricando l’arma e facendo cadere tutti i proiettili.
"E quando stavi con me?"
I proiettili gli caddero di nuovo. "Faccio fatica a sparare se mi distrai a pensare!" Si fermò e sospirò chiudendo un attimo gli occhi "Cristo, mi viene sonno adesso” ridacchiò sbattendo le palpebre e sorridendo “Dovremmo scopare di nuovo, una di queste sere. Dopo, dormivo come un pupetto!” esclamò giusto in tempo per prendersi uno schiaffo violento che gli fece girare la testa e cadere la pistola di mano.
Tempesta la fissò, incredulo che avesse osato tanto, e assistette alla sua trasformazione con stupore crescente.
Mira strinse le labbra e poi gliene diede un altro, sempre dalla stessa parte, cosa che lo fece imbestialire. Afferrò il maglione con odio tirandola verso il proprio viso.
”Come ti permetti..”
Le parole gli morirono in bocca quando vide la sua rabbia scomparire d’un tratto e gli occhi riempirsi di lacrime.
La guancia gli guizzò un secondo.
Mira si liberò della sua presa con un gesto brusco e lo spinse via, la bocca contratta per non mandarlo al diavolo. “Crepa, ‘Jack’” sibilò facendo forza sulla gamba ancora sana e gemendo. Era talmente arrabbiata che non si accorse dell’indebolimento dovuto alla perdita di sangue. "Crepa e lasciami Lucas. Lui era umano! E mi piaceva, mi piaceva un sacco!"
”Dio, quanto le odio le virgolette” lo sentì sbuffare un secondo prima che si scaraventasse in mezzo alla strada, rotolasse su se stesso a terra e sparasse, centrando l'ultima Divinità al petto.
L’uomo lanciò un urlo che Mira ascoltò con gli occhi chiusi e il viso inumidito dalla pioggia e le lacrime, così caldo in confronto al freddo che l’opprimeva.
Una tristezza profonda l’avvolse, mentre zoppicava via, sentendo dei passi pesanti dietro di se.
“Ehi, occhioni blu!”

Mira si voltò per l'ultima volta, sicura che stavolta le avrebbe sparato. La figura del killer era illuminata in pieno da un lampione, il viso in ombra. Tempesta ridacchiò e alzò il braccio armato "è stato un vero piacere conoscerti, tesoro."

Aspettò la detonazione.
Aspettò.
E quando sentì sparare, fu sicura di morire.

***

24 dicembre, Vigilia di Natale.

"No, ti ringrazio. Non voglio disturbare. No Harvey, davvero" Mira sussurrò scuse su scuse al telefono. Era tanto carino con lei, ma Bronx non era più l'uomo dei suoi sogni. Era quello che aveva ammazzato Tempesta.

Quando la pistola aveva sparato, Mira aveva creduto che sarebbe morta. Invece, aveva visto Jack crollare in ginocchio, sorriderle per un istante di tempo andato a male e poi cadere contro l'asfalto, la pistola ancora stretta fra le dita.
Il caricatore era scarico.

Mira si strinse un'altra volta su se stessa. L'albero di Natale non le dava alcuno conforto con le sue lucine lampeggianti annacquate dalle lacrime che le erano salite un'altra volta agli occhi. Pioveva ancora, pioveva tutti i giorni.

Ma Jack Tempesta non sarebbe più tornato.

Non aveva voglia di stare in compagnia, non aveva voglia di cenare. Restava a guardare le lucine rosse e arancioni alternarsi e la musichetta di sottofondo accarezzarle  le orecchie con un motivetto allegro.
Il campanello squillò discretamente. Mira impiegò un pò ad alzarsi e ad andare ad aprire. Erano le otto di sera, chi poteva essere? Qualche poveraccio senza famiglia che cercava un piatto di minestra calda?
L'ombrello che si chiuse quando la donna aprì la porta, fu messo a sgocciolare vicino al tappetino di benvenuto. Il visitatore la guardò con un sorriso tenue, disteso.
"Ciao, occhioni blu"
Mira lo fissò senza parole, senza spostarsi di un centimetro. Il mondo era immobile.
"Mi fai entrare?"
Scosse la testa per schiarirsela: Lucas le sorrideva gentilmente e teneva in mano un pacchetto regalo. "Buon Natale"
Lo prese meccanicamente e fece un passo indietro "sei venuto..."
"Per passare il Natale con te, se vuoi" dichiarò chiudendo la porta e togliendosi il giaccone pesante di dosso.
"Non sei.."
"Morto? No, li ho fregati tutti: avevo un giubbotto antiproiettile con sacchette di sangue incorporate. Se lo sognano, nella polizia. Ho un pò di amici che mi fanno tanti favori."
"La smetti di finirmi le frasi? Come hai fatto... "
"A farglielo credere? Hai visto James Bond? Sono come lui. Solo più fico. Ho aspettato il momento giusto, mi sono tolto la maschera e me ne sono andato con le mie gambe e la mia faccia" affermò girovagando nel salottino "Beh? E le decorazioni? C'è solo l'albero di Natale. Lo festeggi così?" le domandò come fosse la cosa più naturale del mondo presentarsi dopo averle fatto credere di essere morto.
"Vuoi.." Mira si interruppe aspettando che le finisse la frase. Strinse il regalo fra le braccia e lo guardò con gli occhi lucidi.
"Voglio?"
"Uccidermi?"
Lucas scoppiò a ridere tornando da lei e togliendole il regalo "figuriamoci, non ci penso neanche. Tempesta è morto. Adesso ci sono solo io."
Mira restò a guardarlo non credendoci davvero. Allungò la mano, poi l'altra, lo toccò e gli si strinse addosso con una certa frenesia.
Ricambiò la stretta con un discreto piacere. Non pensava che avrebbe provato tutta quella nostalgia senza di lei. Le cercò le labbra mentre la donna gli andava incontro e lo stringeva farfugliando che era un idiota.
Le sue mani scendevano sul corpo, accarezzandolo e strappandole gemiti soffusi e bassi che si confondevano con il respiro improvvisamente pesante.
“Smettila!” singhiozzò staccandosi dalle labbra calde “non puoi fare l’amore con me, spararmi e poi... tornare all'improvviso e provarci nuovamente!” sbraitò intristita, interrompendo la sua carezza lenta.
La guardò mezzo annebbiato ed eccitato, osservando il movimento delle labbra e gli occhi che lo fissavano pieni di lacrime.
“Mi sa… che mi sono innamorato di te”
“Tu sei matto!” esplose con il volto rosso, congestionato dall’imbarazzo e dalla rabbia “ma che stai dicendo? Neanche mi conosci!”
“Neppure tu, eppure a letto con me ci sei venuta!” la gelò togliendole ogni protesta di bocca.
Mira lo fissò per qualche istante, arrossendo intensamente. Voltò la testa da un lato, cincischiò qualcosa e tornò a guardarlo “Davvero?”
Lucas annuì un po’ di volte, inarcando le sopracciglia velocemente “eh…si..” Mugugnò fra i denti muovendo un ginocchio e rivelando tutto il suo nervosismo. “Sennò non ti avrei sparato.”
Mira cade quasi a terra. “Cosa? Ma sei pazzo? E si, devi esserlo!”
”Sono un po’ complicato.”
Lo studia, lo soppesa con stupore e malcelata irritazione e poi sbuffa. ”Lucas, non dire stronzate. Non sei innamorato di me” bisbiglia mettendosi a sedere sul divanetto.
Lo sente avvicinarsi e non muove un muscolo, mentre si sistema accanto a lei, osservandole le mani che tiene poggiate sulle gambe “hai ragione”sbotta stirandosi. “Non è vero. Era solo una scusa per portarti a letto.”
Sente il petto e il cuore svuotarsi dolorosamente mentre afferma di non amarla. Allora era così importante che fosse vero?
“Vedi…pensandoci su” balbetta intristita ”hai capito che non era vero.”
Lucas la guarda, piegandosi sulle ginocchia e costringendola a guardarlo “non è vero. Ti ho detto una bugia”
“Dopo avermi sparato…menti pure” ridacchia asciugandosi il naso che cola un po’.
“Io mento sempre, ho mentito anche adesso. Ti amo... e questo... sentimento... mi fa sentire strano” mormora visibilmente imbarazzato. "Io penso che sia amore... non l'ho mai provato prima"
Mira lo lascia parlare e sorride perchè tutto pensava tranne che fosse capace di arrossire "ti batte il cuore?"
"E si"
"Stomaco da montagne russe?"
"Si.."
La donna si protende verso di lui e lo abbraccia "come se fossi un drogato in astinenza?"
"Mh mh" mugugna tornando a fissarla e ad accarezzarla  "I tuoi occhi, quanto mi mancavano.."
Si struscia contro la sua mano, balzandogli al collo e baciandolo con foga. Dieci minuti dopo, lo lascia andare solo perchè sta chiedendo pietà.
"Che cosa mi hai regalato?" domanda accigliata, ancora seduta su di lui "se non mi piace, corri a cambiarlo"
Mentre lo scarta, Lucas ridacchia e la accarezza, distraendola.
"E io che dovrei farci con questa?!" 
Il tono di stupore nella voce lo fa ridere ancora di più. Mira lascia penzolare la cravatta davanti ai suoi occhi e lo guarda con un cipiglio duro e assolutamente falso.
"Pensavo di rinverdire i vecchi tempi" sghignazza con aria innocente, beccandosi uno schiaffettino finto e una frustata in piena regola.
"Come no? Vieni qui che te la faccio scontare tutta! Ti faccio passare quello che ho passato io!"
"Ganzo! Vedi che quando ti ci metti, hai delle trovate geniali?"


°°°°

"Signor Tempesta?"

"Si?"

"Ho un lavoro urgente..."

"Si."

Jack guardò l'albero di Natale con cipiglio ironico... e bravo Lucas... hai imparato a mentire bene.
Finalmente
.


 

Sta cosa non la faccio mai... ma ora devo: (*)

Un forte abbraccio al sensualissimo Key che mi ha prestato la sua insonnia e un bel pò della sua follia alcolica.

Un sorriso inondato di sole a Donny che dall'alto della sua trentennale esperienza, capisce gli uomini e le donne meglio di me, turbando le mie dita quel tanto che basta per farmi scrivere esattamente quello che voglio.

Se non ci fossero stati loro, il signor M non si sarebbe evoluto.
Forse, sarebbe stato meno pazzo.


*
Mi stanno leggendo, abbiate pazienta ^^'

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