Wait for Me di MiseryandValerieVolturi (/viewuser.php?uid=102675)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brillare ***
Capitolo 2: *** Ridere ***
Capitolo 3: *** Senza Sapere ***
Capitolo 4: *** Ricordi ***
Capitolo 5: *** Romeo and Juliet ***
Capitolo 6: *** Cuori e Neve ***
Capitolo 7: *** Incubi ***
Capitolo 8: *** Claire de Lune ***
Capitolo 9: *** Paura della Realtà ***
Capitolo 10: *** Incubi in grigio, nero e bianco. ***
Capitolo 11: *** Scelte ***
Capitolo 12: *** Butterflies ***
Capitolo 13: *** Speranza ***
Capitolo 14: *** Vampiri -Parte 1- ***
Capitolo 1 *** Brillare ***
Nota: in questa
storia Bella è umana. Questi personaggi non ci appartengono,
e non scriviamo a scopo di lucro.
Capitolo
I
Ero beatamente
distesa sul letto, stordita dalla testa ai piedi, senza
sentire più la mia povera schiena e, nonostante avessi solo
diciannove anni, la
cosa mi preoccupava leggermente. Faceva molto freddo a Forks, il giorno
precedente avevamo raggiunto i due gradi, così, insonnolita
mi ero addormentata tra le braccia di Edward. La sua pelle, seppur
più fredda della mia, degli esseri umani, mi faceva sentire
quasi al caldo, protetta. Nessun altro luogo al mondo poteva essere
più sicuro per me.
Rimasi con gli
occhi chiusi a contemplare il silenzio, ormai sveglia. Sentivo
l’odore di mio
marito nella stanza, l’ inconfutabile dolce odore del suo
corpo. Probabilmente non si era accorto che ero tornata dal mondo dei
sogni, altrimenti si sarebbe accostato verso di me e mi avrebbe
sussurrato un debole
“Buongiorno”all’orecchio. Posai
la mia mano sulla parte opposta del letto, nella speranza di incontrare
la sua. Mossi le dita, ma trovai solamente le fresche lenzuola al mio
tocco. Mi girai su un fianco e aprendo gli occhi sussurrai
“Edward?”.
Niente, la
stanza era vuota, completamente vuota. Edward non era al mio fianco e
non avevo la minima idea di dove fosse andato. L’ unica
ipotesi che galleggiava nella mia testa, ancora un po’
addormentata, era quella che fosse andato a caccia, come
ogni quindici giorni dall’arrivo di Renesmee. Mi
sedetti a gambe incrociate nel letto e mi volsi a guardare il panorama
fuori dalla finestra: aveva nevicato quella notte, il paesaggio era
completamente coperto di una coltre bianca.
Decisi di
alzarmi a dare un’occhiata alla mia piccola Nessie,
probabilmente ancora addormentata nella sua stanza, ma appena distolsi
lo sguardo da quel panorama mozzafiato mi accorsi di un foglio bianco
perfettamente piegato sopra il cuscino di Edward, e accanto una rosa
blu.
Era una sua
lettera? Osservai la precisione con cui il fiore era stato adagiato.
Probabile. Ma per quale motivo avrebbe deciso di scrivermi? Sapevo
ormai che quando non lo trovavo al mio fianco durante il risveglio, era
perché andava a cacciare, me l’aveva ripetuto
decine di volte, e dopo le prime mattine, quando ancora davo di matto
se non ero certa della sua precisa posizione, aveva perso il vizio di
ricordarmelo nuovamente con un biglietto scritto. Mi
allungai verso il foglio, non badando alla rosa, e riuscii ad
afferrarlo. Lo aprii, piano. La sorpresa mi immobilizzò sul
posto.
“Devo
andare, devo farlo per te, per voi. Non cercarmi, ti prego. Resterai
sempre nel mio cuore, lì dove brilla il sole. Ti
amo e ti amerò per sempre.
Edward
Ps:
brilla anche senza di me …”
Dovetti
rileggere.
Il battito del
mio cuore iniziò a correre, la testa girava forte, troppo
forte. I contorni della stanza non erano ben delineati, non sentivo
più le gambe. Non era possibile, stavo sognando... Lui non
poteva avermi abbandonato, di nuovo. Non poteva, me lo aveva promesso,
aveva detto “Non ti abbandonerò mai
più, te lo giuro”…
Non era riuscito
a mantenere la parola, stupide bugie. Sentivo il sudore colare dalla
fronte, non riuscivo a capire dove fossi e cosa stessi facendo.
La mia mente era
andata in trance, non riusciva più a coordinare il mio corpo
e le mie orecchie continuarono a ronzare con quelle parole: non ti
abbandonerò mai più, non ti
abbandonerò mai più, non ti
abbandonerò mai più … Piano, registrai
ogni parola, come se fossero quelle di uno sconosciuto.
Edward mi aveva
deluso, nuovamente. Si era allontanato dalla mia vita, dalla nostra
vita, quella mia e di nostra figlia. Come poteva stare lontano da lei?
Come poteva perdersi la crescita della sua bambina e i bei momenti che
ci avrebbe regalato? Possibile che non avesse pensato a questo, che se
ne fosse andato così, come era successo circa un anno prima?
Ora era un padre, non riuscivo a credere che avesse abbandonato tutto,
che ci avesse abbandonato.
Senza di lui,
senza il mio unico punto d’appoggio … La neve si
tingeva di rosso, mentre sentivo le gambe cedere. Non volevo soffrire
ancora.
Ce lo eravamo
promesso davanti all’altare, per
l’eternità. Non ero abbastanza per lui? O
probabilmente eravamo troppo, entrambe …
Edward
perché mi abbandoni di nuovo? Perché vuoi farmi
del male?
Non
ti è bastato vedermi soffrire una volta?
Credevo avessi
imparato la lezione, vedermi in quello stato non deve essere stato
facile, me lo avevi confermato tu stesso. Possibile che non hai pensato
alla mia sofferenza, alla tua? Io sono un essere umano Edward, non
posso sopportare tutto ciò, non ce la posso fare, non
riuscirò a sopportare di nuovo quel devastante dolore.
Cosa
ho di sbagliato, cosa non va in me?
Possibile che
deva andare a finire di nuovo in quel modo? Non volevo più
soffrire, non volevo ripassare il periodo dell’ultima volta,
quel vuoto incolmabile.
Mi
lasciasti lì, sola nella foresta in preda ad uno stato
confusionale, e adesso in questo modo, forse ancora peggio.
Immagini
sofferenti inondarono la mia mente: il suo viso, il suo sguardo, la sua
voce … Perché
se ne era andato?
Perché
te ne sei andato di nuovo Edward?
Le
mani iniziarono a tremare e il foglio a stropicciarsi sotto le mie
mani. Il mio sguardo era fisso sulla parete di fronte. Iniziai a urlare
di rabbia, urlare di dolore, confusione. No, Edward, non puoi, ritorna
da me ti prego.
Qualunque
cosa sia successa, ritorna da noi.
Ritorna dalla
tua famiglia, alla tua normalità. Forse è questo
il problema, Edward? Abbiamo distrutto la tua
“normalità”? Non ci vuoi più
vero? Avevo immaginato che probabilmente sarebbe arrivato questo
momento, quando ti saresti stancato di me, della mia ingombrante
presenza.
Scusa
se ho sconvolto la tua vita, è per questo che te ne vai
giusto?
Gli occhi
iniziarono a bruciare. No, non volevo credere a quello che la mia mente
scriveva a grandi lettere, non volevo immaginare che le cose che,
dentro di me, sapevo essere vere. Non avrebbe mai fatto una cosa del
genere. Cercava sempre il mio bene, anche l’ultimo abbandono
era avvenuto per questo motivo.
Per
me.
Era impossibile
che se ne fosse andato così, di punto in bianco per la
seconda volta. Edward
non avrebbe mai voluto vedermi soffrire, lo sapevo bene.
Non
riesco a capire
la tua scelta, così lontana da quei giorni felici.
Non avevo notato
nulla di strano ultimamente. Mi facevi sentire come una regina, con il
tuo incondizionato amore. Avevo toccato l’apice della
felicità ultimamente, avevo tutto, avevo una famiglia, una
figlia. Avevo te. Stavamo così bene …
Perché
non mi hai confessato tutto? Qual è stata la cosa che ti ha
costretto ad allontanarti? Avresti dovuto sapere che avrei accettato
qualsiasi cosa se tu l’avessi ritenuta una cosa giusta.
Avresti dovuto rivelarmi tutto, cos’è che ti ha
turbato così tanto da dovermi abbandonare?
La confusione
cresceva sempre più velocemente, più forte e
più lancinante. Decisi di riaprire il biglietto e di
iniziare a leggere meno frettolosamente di prima. Me la ripetei
più volte, ma non riuscivo a capire quella frase finale
“Brilla anche
senza di me..” Ero
sicura che ci fosse qualcosa di più sotto, probabilmente
voleva farmi capire alcune cose … Lessi e rilessi la
lettera. La parola “brilla” iniziava a suonarmi
strana, persino sbagliata, come una rosa rossa fra milioni di rose
gialle.
Riuscì
a portarmi nella direzione giusta.
Quante
volte l’avevo visto brillare al sole? Non molte, ma la
maggior parte delle volte erano state nella radura, e probabilmente era
lì che Edward voleva farmi arrivare. Mi asciugai la lacrima
che era scesa delicata sulla mia guancia e ripiegai il biglietto in
tasca. Qualunque cosa mi fosse saltata in mente, volevo verificare. Mi
alzai dal letto e mi avviai frettolosamente verso la camera di mia
figlia, cercando di assumere un aspetto normale perché non
capisse nulla.. Aprii la porta e la trovai sveglia mentre si
stropicciava gli occhi. “Tesoro, ben svegliata” le
sussurrai lasciandole un leggero bacio sulla guancia.
“Buongiorno
mamma” rispose Nessie allungando le braccia al mio collo. Lei
non doveva soffrire, non l’avrei permesso. Dovevo rimanere
più lucida possibile, e un minimo contatto, anche il
più banale con lei riusciva a farmi sentire anche se di
poco, meglio. Avrebbe cercato Edward, lo sapevo, e dopo poco mi chiese:
“Papà dov’è?.”
Mi
si fermò il cuore in gola, ma con molta delicatezza sciolsi
l’abbraccio e iniziai ad accarezzarle la testa e a parlare
con calma.
“Ehm
… papà è andato a caccia!”
Mi
guardò convinta con i suoi occhi castani e mi sorrise.
“Però ora…” continuai
“mamma avrebbe una cosa da fare … ti va se ti
porto un po’ da Jacob?” le domandai più
rilassata che potevo.
Annuì
sorridendo con un “Certo che mi va!” e mi
abbracciò di nuovo stretta. Le accarezzai la schiena e
inspirai il suo odore, dolce, che avrei amato per sempre, e che in un
certo senso mi ricordava Edward.
La
aiutai velocemente a vestirsi e, uscimmo di casa, dalla nostra casa.
Percorremmo il vialetto di fronte e arrivammo alla macchina. Andai
più veloce del solito: non ero abituata a correre, ma se mi
fossi fermata avrei iniziato a piangere a dirotto, e non mi sembrava
proprio il caso. Durante il viaggio osservai Nessie rimanere in
silenzio per tutto il tempo a guardare fuori il finestrino …
aveva avvertito qualcosa di strano?
Scesi
dalla macchina e mi girai per aprire lo sportello posteriore e prendere
in braccio mia figlia che nel frattempo si era riaddormentata. La
guardai prima di sollevarla, mi sembrava di rivedere Edward nel suo
viso così somigliante. Chiusi lo sportello con una mano e
mia avviai verso la porta. La tensione cresceva sempre più,
mi sentivo abbandonata, come se fossi il primo essere umano sulla luna.
Avevo voglia di piangere, di sfogarmi. Jacob aprì la porta
in meno di cinque secondi, e appena vide Nessie tra le mie braccia, si
avvicinò per prenderla e chiuse la porta alle sue spalle.
Non
ce la feci, una lacrima iniziò a cadere dai miei occhi, ma
la ricacciai indietro. Avrei dovuto dire tutto a Jacob,
l’unico che avevo al mio fianco in quel momento. Tenevo lo
sguardo basso. “Bella?” disse Jake mentre cercava
il mio sguardo “cos’è
successo?”.
Alzai
la testa e lo guardai dritto negli occhi; non avrei crollato, dovevo
essere forte.
Jacob
capì che qualcosa non andava e allargò il braccio
libero. Non sapevo esattamente cosa mi fosse preso, probabilmente ero
troppo codarda per non ammetterlo, ma avevo bisogno di qualcuno, avevo
bisogno di affetto.
Mi
avviai velocemente tra le sue braccia accoglienti e iniziai a piangere;
avrei voluto trattenermi, ma non ce la feci, era troppo forte quella
voglia di scappare, di fuggire… la confusione si faceva
spazio nella mia testa. Avevo iniziato a singhiozzare e non riuscivo a
fermarmi, la ferita si stava allargando sempre di più.
“Edward…” tirai su con il naso.
Mi
accarezzava i capelli e mi abbracciava stretta “...se
n’è andato” terminai.
Sentii
il suo respiro fermarsi per qualche secondo e poi continuare.
Probabilmente
sbagliai a dire quella frase, perché ricominciai a versare
lacrime dopo lacrime, e i singhiozzi mi rendevano difficile respirare.
“Mi ha la-lasciato s-sola di nuovo …”
affermai, affondando la testa nella sua spalla.
Piansi
per parecchio,
ma non me ne resi conto. “Shh, shh
Bella…” sussurrò Jacob al mio orecchio.
Era lì, che mi abbracciava e cercava di farmi sfogare.
Piansi, piansi veramente molto. Quando finalmente mi fui calmata, Jacob
ricominciò a parlare “Bella, ora ci sono io, stai
tranquilla. Non voglio vederti così …”
alzai lo sguardo e vidi la sua faccia seriamente preoccupata.
Mi
prese per mano e mi portò fino al piccolo salotto dove mi
fece accomodare. Solo allora mi ricordai che aveva in braccio Nessie e
che per cinque minuti buoni dovette reggerla nella speranza che mi
calmassi. La sistemò al suo fianco, distesa, e le
appoggiò un a coperta leggera accarezzandole una mano.
Si
voltò piano verso di me e mi guardò fisso negli
occhi. “E’ vero quello che hai detto? Se ne
è andato sul serio?” domandò.
Mi
limitai ad annuire, ma gli occhi bruciavano ancora. Probabilmente
avrebbero bruciato per molto, troppo tempo. Mi sentii chiudere lo
stomaco, non sapevo cosa dire, cosa fare, e la testa iniziava a farmi
male. Torturai le mie mani mentre cercavo di calmarmi e di parlare, ma
le parole non volevano uscire fuori.
Si
accostò verso di me e mi abbracciò di nuovo,
avevo bisogno di tutto il suo affetto in quel momento, non volevo
sentirmi abbandonata anche da parte sua. Chiusi gli occhi, nella
speranza che il mal di testa si decidesse a diminuire. Si, dovevo tener
duro e parlare, raccontare e liberarmi di tutto. Sapevo che Jacob non
si sarebbe azzardato a chiedermi nulla per non turbarmi, ma gli avevo
sempre detto tutto, anche se questa volta non sapevo proprio cosa dire.
Non ero sicura neanche io di cosa fosse successo, sapevo solo che
Edward si era allontanato da me, e che probabilmente avrei iniziato a
dare di matto di punto in bianco.
Le
parole mi uscirono di bocca improvvisamente, con la voglia di liberarmi
di quel macigno enorme. “Non so il motivo. Mi ha lasciato
questa lettera..” dissi estraendo dalla tasca il biglietto e
glielo porsi.
Impiegò
poco a leggere e mentre ripiegava la lettera scosse la testa.
“Sai che per me Edward è praticamente come un
fratello, ma lo odio ora” mi guardò dispiaciuto
“Per qualsiasi motivo l’abbia fatto, non riesco a
capirlo. Se ne va così, senza avvertire, senza un motivo o
una spiegazione logica; a me non sembra normale”.
Chi
più di me poteva capire le sue parole? La mia testa
scoppiava nella speranza di poter capire quale fosse questo motivo.
“Non so niente, Jacob. Vorrei saperlo e non sai
quanto..” pronunciai quelle parole mentre gli ultimi
singhiozzi si calmavano poco a poco.
Spuntò
un piccolo sorriso sulle sue labbra per poi scomparire
“L’unica cosa di cui io sono sicuro è
che ti ama, non potrebbe essersene andato senza alcun motivo. Ne ha di
difetti, ma questo non gli appartiene, te lo assicuro”
affermò accarezzandomi un braccio.
“Spero
sia così e credo che quel biglietto contenga qualche
informazione utile. Voglio andare alla radura, voglio vedere cosa cerca
di dirmi, devo farlo” lo informai alzandomi dal divano.
“Alla
radura? Vuoi che ti accompagno?” chiese disponibile.
“Non
ti preoccupare, vado da sola. Troverò qualcosa,
spero”risposi lanciando un’occhiata a Renesmee che
dormiva beatamente sul divano “Puoi tenere d’occhio
Nessie per qualche ora?” domandai.
“E
me lo chiedi anche? Ma certo, vai. Fammi sapere.” rispose
accompagnandomi mentre mi dirigevo all’uscita.
“Ti
voglio bene” sussurrai mentre mi allontanavo verso la
macchina. Mi fece un sorriso spento “Anche io Bella, anche
io” disse sussurrando alla porta.
Superai
i centocinquanta con la macchina supersportiva che mi aveva regalato
Edward e che io non sentivo la necessità di possedere, ma
fui costretta ad accontentarlo . La strada aveva poche curve, e riuscii
a guidare molto velocemente senza grandi sforzi.
Senza
rendermene conto appoggiai la mano libera sul sedile al mio fianco, fu
un’azione involontaria: ogni volta che ero io a guidare, lui
si sedeva al mio fianco, e per tutto il tragitto manteneva un
sorrisetto fastidioso. Avevo imparato ad ignorarlo per non dargliela
vinta, ma lui si divertiva a prendermi in giro sulla mia guida poco
veloce. Volevo
sentirlo vicino, e qualunque cosa lo ricordava, ogni minima cosa.
Finalmente arrivai a destinazione e parcheggiai la macchina non molto
lontano.
Camminavo
velocemente, volevo arrivare dritta alla radura, senza soffermarmi
troppo. Se Edward mi avesse voluto lasciare qualche indizio,
l’avrebbe reso più facile, per cui il luogo doveva
essere la radura, la nostra radura; ne ero quasi convinta.
Attraversai
il bosco fitto di cespugli, felci bagnate e muschi, oltre agli enormi
alberi che mi circondavano. La luce filtrava alternamente dalle chiome
degli alberi e respiravo a fondo per mantenere la calma. Mi inoltrai
sempre di più e finalmente arrivai nella nostra radura. Era
proprio come me la ricordavo, in un certo senso fiabesca. Eravamo
ritornati qualche settimana prima, e non era cambiato assolutamente
niente, ovvio.
Arrivai
alla distesa di erba e le mie gambe iniziarono a tremare,
così mi accasciai seduta a terra. Vari flashback percorsero
la mia mente. Fu qui, la prima volta dove lo osservai brillare al sole.
Proprio qui riuscii a capire cosa fosse davvero, quale fosse la sua
natura. Qui
ci eravamo scambiati il primo bacio e mi confidò che per lui
ero una droga, un’attrazione irresistibile. Sorrisi,
ricordavo ancora chiaramente quei momenti, ogni singola frase, ogni
gesto. Era il posto dove avevamo iniziato a conoscerci, a sperimentare
e a capire cosa fossimo sul serio.
Posai
una mano sull’erba umida e chiusi gli occhi. Chiacchierammo
molto quel giorno insieme. Scoprimmo cose l’uno
dell’altro e avemmo molte sicurezze da entrambi. Mi
sussurrasti che eri una persona troppo pericolosa per me, che avrei
dovuto aver paura. Non lo ero mai stata invece, non ne vedevo il
motivo: non avevo paura. Ti volevo al mio fianco Edward, ti ricordi? Mi
importava solo questo, solo che non mi abbandonassi. Ed ora
è strano stare qua a pensare a tutto questo e te sei lontano.
Aprii
gli occhi inspirando l’aria fredda e umida. Mi guardai
attorno cercando di ricordare il luogo esatto di dove mi feci scoprire
la tua natura, Edward, dove mi mostrasti la tua pelle brillare. Mi
alzai in piedi, girai un paio di volte sul mio posto e quando fui
sicura della strada da prendere iniziai a camminare. Mi appoggiavo al
tronco degli alberi e, come al solito, ebbi un po’ di
difficoltà ad attraversare il piccolo sentiero, pieno di
buche e sassi. Era poco illuminato e gli alberi erano troppo fitti per
poter filtrare qualche spiraglio di luce.
La
fine del sentiero era chiaramente visibile per i miei occhi. Dopo pochi
passi trovai davanti il posto che cercavo: era illuminato dai delicati
raggi di sole di una giornata nuvolosa. Mi parve di tornare indietro
nel tempo, e per qualche istante vidi Edward al mio fianco, per poi
scomparire. Da una parte ero contenta, non volevo dimenticarlo, avevo
il terrore di questo. Sentivo una sua presenza immaginaria che
però mi teneva sollevata e sicura.
Guardai
intorno, come se fosse la prima volta, nella speranza di poter trovare
quello che stavo cercando. Era un prato, non molto grande, coperto di
erba e piccoli fiori bianchi. Ai lati, era circondato da alberi di
diverse grandezze e alcune rocce. Camminavo attentamente e seguivo
albero dopo albero, girando intorno alla distesa d’erba. Con
calma attraversai il prato illuminato dalla luce fioca del sole,
attenta a non schiacciare nessun fiore. Lo attraversai molte volte, ma
nessun segno o nessun indizio su quello che mi aspettavo di trovare.
Stremata
da tanta angoscia mi sedetti di nuovo a terra, nello stesso punto dove
Edward si era fatto vedere brillare. Era stato un errore tornare qui,
il posto forse più importante per me, o uno dei
più importanti. Forse Edward non aveva pensato a tanto,
voleva rendermi tutto più facile; oltretutto che cosa mi
aspettavo? Mi aveva lasciato una lettera con le informazioni
necessarie, e non c’era alcun motivo per cui dovesse portarmi
qua nella radura. Fui io che mi feci prendere da tanto entusiasmo da
ritornare nella radura, nella speranza di poterlo rivedere, di poterlo
sentire, o capire dove fosse e perché se ne fosse andato.
Non
potevo però essere matta: la lettera aveva qualcosa che non
andava, sentivo che voleva farmi capire qualcosa, voleva farmi arrivare
in questo posto. Forse per potermi ricordare di lui, di noi. Per farmi
ricordare de nostri momenti passati insieme. Non c’era
bisogno che me lo ricordasse così. Sapeva esattamente che
non me ne sarei mai dimenticata, ed ogni singolo ricordo mi provocava
un dolore lancinante.
Mentre
pensavo raccoglievo i piccoli fiori bianchi, talmente folti e fitti da
coprire parte del mio corpo, come se mi stessero inglobando. Lasciai
scoperta di fiori la parte al mio fianco: li avevo raccolti in una
mano, con l’altra continuavo a staccarli con forza dalla
terra. Provavo rabbia per essere così confusa, per non
riuscire a capire cosa stesse accadendo, così iniziai a
prendermela con quei poveri fiori biancastri. Raccoglievo manciate di
fiori senza tregua, mi rendevano più calma e staccandoli con
forza riuscivo a frenare la mia rabbia e ad evitare di perdere la
testa. Divenne tutto così involontario.
Per
qualche minuto lasciai fisso lo sguardo sui fiori, ma poi iniziai a
guardarmi intorno, come se mi fossi appena svegliata. Un piccolo punto
blu a pochi centimetri di distanza catturò la mia
attenzione. Non riuscivo a capire bene cosa fosse, ma riusciva a farsi
notare e a farsi distinguere dal resto dei fiori bianchi, come se
dicesse: guarda me, guarda me!
Mi
spostai di poco senza alzarmi da terra e finalmente raggiunto quel
piccolo punto blu capii cosa fosse: una rosa, uguale alla rosa blu che
Edward mi aveva lasciato accanto alla lettera.
La
raccolsi delicatamente da terra e la guardai con attenzione,
accorgendomi che al suo gambo era legato un piccolo biglietto. Ispirai
con forza, sollevata: ero riuscita a trovarlo, non avevo poi
così torto. Le mani tremavano, speravo che quel foglietto
non contenesse qualcosa di ancora più distruttivo per me,
qualcosa che non avrei voluto sapere.
Questa
volta non era una vera e propria lettera, ma una parola, una semplice
parola tracciata in modo estremamente delicato: “
Ascoltami”.
Ok,
voleva farmi impazzire. Più andavo avanti, più
passavano i minuti, e più avevo la convinzione che se ne
fosse andato non per sua spontanea volontà; per il semplice
fatto che se fosse stato così non avrebbe lasciato tutti
questi pensieri: se ne sarebbe andato, cercando di rendermi facile
dimenticarlo. Questa volta non era così, si stava
comportando diversamente dalla prima volta in cui mi aveva abbandonato.
L’unica cosa che mi veniva in mente era questa: non ci voleva
abbandonare. Decisi di arrivare fino in fondo e di accertare le mie
ipotesi. Questa volta aveva reso tutto più facile, quella
parola sul biglietto mi fece capire subito dove voleva arrivare.
L’avevo
sentito troppe volte suonare per me, per nostra figlia; ed ero sicura
che volesse farmi arrivare dove stavo pensando. Gli era bastata una
sola parola per farmi capire.
Corsi
più veloce di prima, rischiando di inciampare un paio di
volte. Misi in moto e mi affrettai ad arrivare a casa Cullen, nella
casa della nostra famiglia.
Parcheggiai
la mia macchina proprio di fronte all’ingresso, e
precipitosamente mi avvicinai alla porta. Bussai energicamente, ma non
sentivo nessuna voce o rumore provenire dalla casa. Contrariamente vidi
Alice aprirmi la porta ed osservarmi dispiaciuta “Mi
dispiace” disse. Scossi
la testa “Sai tutto?” domandai.
Alice
annuì aggiungendo “..ma non so più di
tanto. Non ha voluto dircelo, non ne ho la minima idea”
concluse.
Parlai
.“A me ha lasciato questo. Le parole sembravano volessero
farmi capire qualcosa e sono andata alla radura, ‘dove
brilla’..” mi fermai qualche secondo mentre leggeva
la lettera “e lì ho trovato una rosa e un
biglietto con scritto ‘Ascoltami’… ed ho
pensato che avesse a che fare con il pianoforte. Edward ci tiene molto,
lo sai..” cercai di farmi capire.
Alice
annuì subito e mi disse: “Quindi, secondo te ha
voluto lasciarti qualcosa?” mi guardò negli occhi.
“Non
so se sia qualcosa, ma si, credo. L’ultima volta, quando ve
ne siete andati …” deglutii
nella speranza che il ricordo non mi tradisse “si
è comportato diversamente. Ora, invece, è come se
mi volesse guidare da qualche parte. Più passa il tempo e
più mi confondo..” mi guardò annuendo.
Dopo
qualche secondo parlò. “Vuoi che ti aiuti? Provo a
suonare qualcosa se vuoi..” poi aggiunse “in casa
non c’è nessuno, sono tutti a caccia..”
si offrì.
“Sanno
tutto anche loro?” chiesi ad Alice.
“Si,
li ho avvertiti poco fa. Si stanno precipitando a tornare. Non dovevo
farlo?” domandò preoccupata.
“Hai
fatto bene …” dissi con poca energia. Comparve un
piccolo sorriso sulla mia faccia “Grazie di tutto
Alice” sussurrai.
Ricambiò
il sorriso, il suo un po’ più preoccupato e
strano, mi prese per mano e mi fece sedere nello sgabello al suo fianco
mentre lei si metteva in posa con le mani sui tasti.
“Proviamo
con questa? Se ti ha reso facile tutto, di certo avrà
pensato anche a questo” disse indicando lo spartito davanti a
sé. Era
proprio ‘Claire de lune.. quante volte l’avevo
sentito suonarla …
Scrollai
le spalle; a questo punto non sapevo veramente più niente.
“Prova” la incoraggiai.
Iniziò
a suonare, e per i primi cinque minuti la tristezza inondò
la casa e il mio corpo. Non c’era niente di particolare,
forse avevo sbagliato, non era quello ciò che intendeva.
Prima di darmi per sconfitta decisi di continuare a sentire e non solo
io mi accorsi che qualcosa non andava. Non ero una grande intenditrice
di musica o cose simili, ma avevo sentito molte, troppe volte quella
canzone per non poter notare la differenza.
All’inizio
la note si posavano lievi, delicatamente, come fiori che di colpo
sbocciano in tutta la loro bellezza. E poi continuava, a tratti veloce,
poi rallentando, grave e poi ancora e ancora. E poi, quel suono. Una
nota estremamente in disaccordo con le altre. Troppo.
“C’è
qualcosa che non va. Non mi convince questa nota
…” mi informò Alice continuando a
spingere un tasto senza risultati.
“Ho
notato..” risposi alzandomi dallo sgabello nel suo stesso
istante.
Alice si
avvicinò verso la parte posteriore del pianoforte e
sollevò la tavola. La vidi osservare per pochi istanti i
vari tasti internamente al pianoforte e poi scomparire tra la meccanica
dello strumento. La vidi ricomparire dopo poco con un sacchettino in
mano. Guardavo fissa la faccia di Alice, non avevo il coraggio di
vedere cosa avesse in mano: avevo paura di quello che avrei trovato.
Si
avvicinò e iniziò a parlare “Sembra sia
un altro biglietto … e due regali” mi porse il
pacchetto. Istintivamente indietreggiai di un passo e tolsi la mano
prima che potessi toccare la confezione “Puoi leggere te
Alice?” chiesi.
Annui
con la testa e sciolse il sacchettino dai vari nodi dei nastri e
iniziò a leggere “So quello che pensi Bella, ma non
è così: non vi ho abbandonate, e non ho
intenzione di farlo per nessuna ragione
al mondo …”
si fermò quando si accorse che le lacrime iniziarono a
cadermi leggere sulle guance e sospirò
“… ho
dovuto farlo, perdonami. Voglio che vi prendiate cura di voi,
continuando a fare quello che avreste fatto con me al vostro fianco;
senza fare stupidaggini Bella, promettimelo questa volta.
Tornerò prima o poi, ve lo giuro. Vi lascio questi due
cuori, nella speranza che vi possano aiutare a ricordarmi, vi amo. Edward”.
Chiusi
gli occhi. Sentivo il cuore accelerare a dismisura. Questa era la prova
decisiva che Edward non se ne era andato, non ci aveva abbandonato.
L’avevo sempre saputo, tranne in quei momenti dove mi ero
fatta prendere dal panico. Conoscevo Edward ormai troppo bene, e sapevo
che non commetteva mai un errore due volte. Dove si era cacciato? Che
cosa era successo? Sapevo che non l’avrei saputo molto
facilmente, ma la mia paura, per noi, ma soprattutto per lui cresceva
ogni istante. Speravo con tutto il cuore che stesse bene ed ero
fiduciosa: volevo credere in lui, questa volta volevo fidarmi sul serio.
‘Te
lo prometto’ sussurrai tra me e me come risposta ad Edward.
Questa volta non sarei rimasta a piangermi addosso, anche se
probabilmente non ci sarei riuscita ugualmente. Dovevamo prenderci cura
di noi stesse, e io di mia figlia. Dovevo farlo per lei: andare avanti.
Non sarei riuscita a rimanere un secondo di più a Forks,
tutto mi ricordava Edward. Se fossi rimasta sarebbe stato solo peggio;
dovevo andarmene lontano almeno per qualche mese.
“Alice,
devo andare via da Forks” dissi di scatto aprendo gli occhi.
La vidi sbattere più volte le palpebre e rispondere
“Cosa?”
“Me
ne vado” sussurrai decisa; mentre un’altra lacrima
solcava le mie guance.
Misery
e Valerie, ancora. BellaXEdward, ovvio. Speriamo solo che piaccia =)
Il
capitolo è stato scritto da Vale u.u
Baci =)
|
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Capitolo 2 *** Ridere ***
<<
Ridere, ridere, ridere ancora,
Ora
la guerra paura non fa >>
Milioni
di domande si agitavano confuse dentro di me, veloci, senza che io
volessi o potessi dar loro una voce. Poche risposte, adagiate sul
tavolo di mogano, lasciavano una scia di paura e disperazione.
Continuavo a ticchettare con le dita sulla superficie lignea,
mordendomi il labbro.
Non
è vero.
Sì,
è vero.
Edward
non se ne è andato.
Ma
lo ha fatto.
Il
cuore batteva all'impazzata, esclamando a gran voce la sua rabbia e il
suo amore perduto. E poi c'era qualcosa, qualcosa che mi stringeva,
come un uccellino in gabbia. Cosa c'era dentro il sacchetto?
Cosa
Edward voleva che trovassi? Mi avrebbe fatto soffrire?
E
se ci fosse stato qualcosa, qualunque cosa, che mi avrebbe detto, a
chiare lettere, che Edward non sarebbe tornato?
"Bella
..." la voce cristallina di Alice era spezzata, triste, roca. Aveva il
sapore delle lacrime.
Mi
volsi a guardarla, ma senza vederla davvero. I capelli scuri erano
scompigliati, gli occhi di quell'oro innaturale e spento. Continuava a
girarsi verso il salotto, probabilmente nell'attesa di vedere uno dei
Cullen entrare. Nella mia mente, si disegnò la stupida
immagine di un Emmett ridente che entrava gridando a gran
voce: "Era tutto uno
scherzo!" o "Ve
l'abbiamo fatta!". Chiusi gli occhi più volte
per ricacciare indietro le lacrime.
"Bella"
ripeté "Bella, forse dovresti ... Aprirlo" mi
sussurrò piano. Scossi la testa.
Le
domande aumentarono, vagando frenetiche. Portai una mano sul volto, nel
vano tentativo di asciugare le lacrime.
"Tu
... Tu non dovresti andare a ... Ecco ... Accordare il pianoforte?"
mormorai tutto d'un fiato, quasi tremando.
Lei
mi fissò, addolcita, ma non rispose subito. Si
portò una mano trai capelli, poi di nuovo lungo il fianco.
Un'altra volta per vedere se i Cullen erano arrivati, poi si rivolse
verso di me. Mi morsi il labbro, nervosa.
"Il
pianoforte era di Edward" spiegò alla fine, a fatica. I suoi
occhi rasentavano la disperazione.
"E
allora?!" proruppi con rabbia, alzando una mano al cielo "Non dirmi che
tu non sai accordare un ..." e poi, vidi di nuovo quegli occhi.
Non
c'era solo disperazione, no. Paura, rabbia, abbandono. E poi una sola
parola. Fine.
Edward
non c'era e non ci sarebbe più stato. I suoi occhi di
veggente non lo trovavano, no.
E
mio marito se ne era andato. Per sempre.
Il
pianoforte sarebbe rimasto lì, senza che qualcuno potesse
suonarlo come avrebbe fatto il vecchio proprietario.
Tremavo
davvero, ora. Alice guizzò accanto a me e mi strinse in una
abbraccio.
Poi,
piano, la sua mano candida si mosse verso il sacchetto, stringendolo
appena.
"Aprilo"
mi disse.
Annuii
e lei sorrise impercettibilmente. Le lanciai uno sguardo indagatore e
lei alzò le spalle. "Hai deciso di aprirlo, quindi ora posso
vedere cosa c'è dentro" spiegò con un sorriso
triste "Mi sono sbagliata, comunque".
"Su
cosa?" mormorai, con le guance bagnate, sciogliendo i nastri. Lei, in
risposta, indicò con un cenno della testa l'oggetto che era
appena caduto sul tavolo, causa la mia scarsa coordinazione, con un
tintinnio dolce quanto quello di un cuore che si spezza.
E
persi un battito, mentre lo osservavo.
Era
un cuore. Puro diamante, opaco, incorniciato dall'oro del bracciale a
maglie larghe. Ne seguii la forma delicata, sospirando. Era
un cuore, come quello che portavo io al polso.
Mossi
la mano verso il braccio per sfiorarlo, ma accarezzai solo la pelle
nuda.
Alice
mi vide e mi strinse a sè. "Avevi lasciato il tuo bracciale
con il cuore e il lupo in casa, così l'ho preso e l'ho messo
in un cofanetto, assieme ai regali di matrimonio, in caso volessi
portarli via con te. E’ posato sul letto" spiegò,
con un guizzo degli occhi chiari che la diceva lunga. "Perdonami"
aggiunse, per paura di aver toccato la mia privacy.
"Ti
ringrazio, invece" sorrisi, poi la guardai ancora. "Di tutto".
Lei
annuì, per poi voltarsi verso il salotto. Un solo secondo, e
tutta la famiglia Cullen era lì fuori. Sospirai e raccolsi
il bracciale, stringendolo piano fra le dita.
Un
piccolo biglietto si trovava ancora sul fondo del sacchetto. Non c'era
un secondo dono, come aveva detto Alice. Si doveva essere sbagliata.
Afferrai
il biglietto, nello stesso momento in cui i Cullen entravano in casa.
"A
mia figlia ..." lessi in un sussurro, mentre la voce di Esme mi
raggiungeva fioca.
"Bella,
tutto bene?"
Osservavo,
quasi con timore, il pavimento di casa Cullen. E loro, i Cullen, mi
osservavano, l’unica umana tra quelle statue di marmo e
ghiaccio. Ogni espressione era indecifrabile, leggermente tesa.
Rosalie
era l’unica ad aver proferito parola.
“Dov’è
Renesmee?” mi aveva chiesto, rabbiosa.
E
io ero rimasta in silenzio, ancora scossa dai singhiozzi di poco prima,
stretta dalla morsa che mi impediva di respirare, assopita in quella
realtà troppo veloce per me. Alice mi stringeva ancora, con
un braccio sulle spalle, e mi ritrovai a pensare, con una nuova morsa
di dolore, che la sua pelle ricordava quella di Edward.
E
dentro di me volevo ridere, ridere e ridere ancora. Ferire con la mia
voce quelle maschere di pietra che non mi rivolgevano parola, uccidere
quell’angoscia. E volevo anche urlare.
In
primo luogo, contro la vampira bionda che mi sedeva davanti.
“
E’ con Jacob” mormorai a fatica. Lei strinse i
denti in un ghigno adirato.
“La
terremo noi” mormorò alla fine
“Tranquilla, vivrà benissimo qui e
…”
Non
volevo ascoltarla. Renesmee sarebbe rimasta lì,
sì, ma tra gli umani. O, almeno, tra i più vicini
ad essere umani. La volevo con Jacob, con il branco, al
sicuro. Al sicuro da quella realtà fuori dal
normale che mi aveva quasi ucciso.
Lontana
da me. E lontana da lui.
Mi
morsi il labbro e non risposi, mentre lei continuava a fissarmi con
quel suo sguardo dorato che un tempo le avevo tanto invidiato. Ora,
stretta nella morsa dei ricordi, le invidiavo solo il tempo e gli anni
che aveva passato con il fratello adottivo.
Era
ieri che mi salvava da un auto che rischiava di investirmi.
Era ieri che mi rivelava
la sua natura.
Era ieri che mi
abbandonava.
Era ieri che tornava da
Volterra per me.
Eppure,
non potevo vedere un domani con lui, come anche Alice.
Non
mi avrebbe più amato. Mai più.
E
allora lo feci davvero. Risi, piano, lasciandomi andare a quel suono
fatto di felicità e dolcezza.
E
le immagini di Edward e di me nella radura, e la sua risata.
Mi
sentii cadere e pregai di non riaprire mai più gli occhi.
Le
pareti bianche e le vetrate mi accolsero quando mi svegliai, alzandomi
piano. La testa era pesante, troppo. La vista appannata. E
l’udito … Quello sì che doveva essere
davvero danneggiato.
Altrimenti
perché sentivo la voce di Seth?
Le
gambe erano così intorpidite da far male, come un milione di
spilli pronti a trafiggermi. Provai a muovermi, ma la schiena mi
obbligò a non tentare oltre. Quando ero svenuta?
“L’ho
già detto a Jacob … Lei …”
Questa
era Alice. La sua voce cristallina mi risuono in testa, mille
campanelli dall’allarme tintinnarono come mossi da un vento
gelido. “L’ho già detto a Jacob
…”
Cosa
gli aveva detto?
Di
nuovo, provai ad alzarmi, ma non ci riuscii. Tutto divenne bianco e mi
ritrovai nuovamente distesa sul divano. Sbuffai, distrutta dal dolore
lancinante che mi bloccava i muscoli.
“Sì,
è a casa di Billy con Nessie, mi ha detto tutto …
E’ vero?”
Era
di nuovo Seth, con quella sua voce dolce e infantile che mi
cullò per un attimo, mentre mi riferiva indirettamente che
Renesmee era al sicuro a casa di Billy. Eppure …
Jacob.
Perché parlavano di lui?
Mi
passai delicatamente una mano sugli occhi e cercai di concentrarmi
sulla voce di Alice.
“Si,
vuole andarsene”
Chi?!
Chi voleva andarsene?
Questa
volta riuscii a tirarmi su, senza far rumore. I due sulla soglia
– la vampira e il licantropo- mi ignorarono, con un veloce
sguardo che diceva qualcosa di più di quello che riuscivo ad
afferrare.
Respirai
profondamente. Uno, due, tre …
“Chi
se ne va?” mormorai piano, osservandoli. Tacquero.
“Chi?”
ripetei, ancora, piano. Altri sguardi, poi Seth mi si
avvicinò, con quel suo passo leggero di bambino e quella sua
sicurezza di adulto. “Bella” mi sorrise,
prendendomi le mani “tranquilla, va tutto bene”.
Il
suo calore mi fece quasi sussultare, quando mi abbracciò
amichevolmente con un solo braccio, cingendomi le spalle.
“Tranquilla” ripeté “Jacob mi
ha detto di salutarti”. Mentiva.
Scossi
la testa. “No” sussurrai “gli avete
… Cosa … Cosa gli avete detto?”
Sentii
Alice sospirare.
“Bella”
e si avvicinò “Bella, Jacob mi ha chiesto cosa
volevi fare e …” la sua voce si infranse.
“No
…” gemetti disperata. Aveva parlato con
Jacob? No, non poteva essere. No, Jacob non sapeva nulla.
Jacob
non sapeva che volevo andarmene.
Ma,
per quanto cercassi di crederci, stavo perdendo via via la speranza.
Dovevo parlargli, dovevo dirgli tutto, dovevo …
Mi
alzai di colpo, confusa, ma decisa. Sfuggii dalla morsa di Seth,
stringendomi al bordo del divano per non cadere, e allo stesso tempo
cercai di riordinare le idee. La Push. Sì, da Jacob.
Alice
riuscì a bloccarmi con la sua morsa di acciaio e ghiaccio,
mentre io rovinavo a terra come una sciocca. E, ancor più
sciocca, vedendo la porta aprirsi, tentai di scattare verso
quell’unica via di fuga. Un secondo e mi ritrovai a faccia a
faccia con un Jacob serio e incredibilmente composto.
E,
come era inevitabile, la gravità fece il resto.
“Bells”
lo sentii muoversi e aiutarmi ad alzarmi, senza altre parole. La voce
era così contenuta da farmi male. Strinsi i denti e mi
rimisi da sola in piedi, anche se traballante. Lui si
allontanò piano, osservandomi mentre ritrovavo
l’equilibrio e si lasciò sfuggire un sorriso
triste. Che scomparve subito.
“Dobbiamo
parlare” mi annunciò, con tono che sapeva di sfida
e frustrazione. Mi morsi il labbro.
“Jake
io …”
Lui
mi afferrò per la spalla con gentilezza e mi condusse in
cima alle scale, fino a quello che sapeva essere il bagno. Quando si
fermò, le mie guance erano già bagnate.
Tentai
di fermarlo, inutilmente. E le mie resistenze non servivano a niente.
“Non
puoi andartene” cominciò in un sussurro, ma con
forza.
Lo
fissai negli occhi. “Jacob … Io devo.
Quaggiù non posso rimanere” spiegai, lentamente.
La mia voce era spenta e roca, i suoi occhi neri mi seguivano e io non
potei resistere. Abbassai i miei.
Alla
fine mi strinse la spalla e mi costrinse a guardarlo. I singhiozzi
continuavano.
“Cosa
pensi di dire a Charlie? A Renee? Come ti allontanerai da
loro?”
“Io
…”
“Quando
tua figlia si renderà conto di essere diversa, quando non
potrai più scappare?!”
Scossi
la testa.
“Ormai
fai parte di questo mondo, Bella”
Mi
voltai e corsi via avvertendo il suo sguardo fisso su di me dal primo
all’ultimo istante.
Risi
pianissimo, e la mia risata nervosa si mescolò al suono
delle lacrime sul pavimento di legno.
Caddi
di nuovo, la debolezza si impadronì di nuovo di me. Qualcuno
mi aiutò ad alzarmi.
E,
spostando lo sguardo, mi ritrovai davanti due occhi così
dorati da farmi male.
“Bella”
sussurrò Esme, vedendomi a terra. Si mosse velocemente e in
un attimo era accanto a me, preoccupata. “Ti sei fatta
male?”
Scossi
piano la testa. “Sono solo stanca …”
mentii. Non ero solo quello. Ero distrutta, morta, finita, uccisa
dall’interno come se un ombra nera si agitasse dentro di me.
Sospirai.
Esme
mi sorrise comprensiva, poi mi accarezzò lentamente i
capelli.
“Sai,
non sono abituata ad avere figli umani” sussurrò
“Ho l’eterna paura che tu o Nessie vi facciate
male”. Rise piano.
Annuii.
“E
poi, l’unica cosa vicina a un adolescente con cui ho mai
convissuto è stato … Edward”.
A
quel nome le gambe quasi mi cedettero. Le voci, mille e mille voci che
mi avevano accompagnato per tutto quel tempo, si fecero di nuovo
sentire.
“Edward” pensai.
Ma perché lui? Perché non qualunque altro?
Perché mi ero innamorata?
“Parlami
di lui” mormorai, gli occhi spalancati e le voci sempre
più forti.
La
vidi sorridere piano e quel sorriso illuminò il suo volto
perfetto per diversi attimi. Poi si spense.
“E
tu dimmi quale problema c’è con Jacob”
replicò.
E
rimanemmo lì, sedute sul suo splendido pavimento mentre le
raccontavo delle mie paure, di mia figlia e del mio migliore amico. Mi
ascoltò mentre confessavo tutto il dolore e tutta la forza,
mentre le spiegavo che non volevo ripetere ciò che era
successo prima di Volterra.
E
lei mi raccontò con voce di madre di quel vampiro gentile e
ribelle, di quel suo amore per la musica e per gli altri e di quei suoi
occhi, a volte rossi, a volte dorati, dietro ai quali si intravedeva
sempre quell’ombra di verde acqua che li aveva caratterizzati
in vita.
E
di cui mi ero perdutamente innamorata.
Note delle Autrici:
Ehmm...
Salve! Scusate infinitamente il ritardo u.u Sempre colpa mia (Missy xD)
che scrivo lentamente. Questo capitolo è mio, sisi u.u Non
so se vi piacerà, ma vorremmo comunque ringraziare tutti
quelli che:
-hanno letto
-preferito
-seguito
-ricordato
-recensito
Ci piacerebbe sapere la
vostra opinione sulla nostra storia, quindi cliccate subito e recensite
u.u
Peeeer favooore **
Come vedete, questo capitolo
è un po' particolare... ho voluto dare spazio ai Cullen
(Alice, Rosalie, Esme) e a un paio di lupetti (Jacob, Seth) ... Per
quanto riguarda Bella e Jake, la situazione non è chiara u.u
Ognuno è nervoso per un motivo e sono entrambi molto umani e
incerti, abbiate fede u.u
La citazione all'inizio e nel
testo viene dalla canzone "Samarcanda" di Vecchioni, che per quanto
triste mi sembrava molto adatta ^^
|
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Capitolo 3 *** Senza Sapere ***
Capitolo
III
Senza Sapere
Era passato solo un giorno dal secondo abbandono di Edward, ma non mi
ero ancora ripresa da tutto; non riuscivo a rendermene conto.
Edward
se ne era andato e anche una parte della mia anima con lui. Ero vuota,
fredda, e mi risultava difficile provare qualsiasi tipo di emozione.
Tutta l’energia che avevo acquistato negli ultimi tempi era
svanita. Solo una cosa riusciva a farmi ottenere quelle poche forze per
permettermi di andare avanti, di continuare a vivere: Renesmee.
La
osservavo dormire tra le mie braccia, in quel petto caldo che
probabilmente sarebbe bastato a tenerla al sicuro, o forse no. Non
avevo chiuso occhio quella notte, pensando e ripensando a cosa avrei
dovuto fare. La cosa più difficile era capire cosa dovessi
fare con Renesmee. Il mio istinto mi suggeriva che me ne sarei dovuta
andare lontano da Forks da sola e lasciare mia figlia con qualcuno che
potesse proteggerla, con la famiglia di Edward o con Jacob, ma la parte
del mio cuore optava per l’opzione opposta. Avrei dovuto
portare Renesmee con me, e in qualche modo l’avrei tenuta al
sicuro.
La vidi stropicciarsi gli occhi per poi richiuderli e
abbracciarmi forte.
“Buongiorno
dormigliona” le dissi baciandole i capelli e stringendola
ancora più forte.
“Buongiorno”
biascicò ancora insonnolita.
Spalancò
definitivamente gli occhi e mi guardò in modo strano.
“Mamma, hai dormito con i vestiti?”
indicò i jeans e la maglia che indossavo.
Per
la prima volta dopo ventiquattro ore si formò un sorriso
sulle mie labbra, fino a poco tempo prima sigillate dal dolore.
Mi
guardai come una stupida. “Sono proprio sbadata
vero?” le risposi dandogli corda. Renesmee annuì
ridendo e le scompigliai i capelli. Facevo un enorme fatica a
nascondere il mio dolore, ma per lei dovevo farlo, dovevo trovare la
volontà.
Feci
un enorme sospiro e cercai di togliermi il peso che mi sentivo dentro.
“La tua mamma sbadata dovrebbe dirti una cosa..” la
guardai negli occhi. Si avvicinò ancora di più e
mi salì in braccio facendo segno di continuare. Speravo che
la prendesse bene, lo speravo sul serio, volevo vederla felice.
“Ti
dispiacerebbe lasciare Forks?” aggiunsi “rispondi
sinceramente”.
Renesmee
mi guardò confusa e rispose:
“Si..perchè?”
“La
mamma ha pensato che forse sarebbe meglio..” deglutii
“trasferirsi” tagliai corto quella frase che fino
alla fine mai pensai di poter riuscire a dire.
“Perché?”
sulla sua faccia comparve un misto di curiosità e di
confusione.
Cosa
le avrei raccontato? Come sarei riuscita a confessargli tutto? Cosa mi
sarei inventata? Per quanto Renesmee fosse una bambina prima o poi
avrebbe capito tutto, era una bambina intelligente. Ma non potevo di
certo raccontargli tutta la verità, non ci sarei riuscita.
Avrei trovato una scusa. Non sapevo neanche io quale fosse il motivo
della mia decisione: Edward se ne era andato, e neanche di quello
sapevo il perchè.
Cercai
di parlare tranquillamente e di mantenere la calma. “Sai,
amore, qui sta diventando difficile. Forks è un piccolo
paese e non è il posto migliore per noi. Non che si stia
male, ma … sarebbe meglio per entrambe se ci trasferiamo. Ci
farà bene allontanarci, avere una vita un po’
più normale, non credi?”. Rimase in silenzio e
annuì non molto convinta. Il motivo non era quello,
ovviamente. Mi ero sempre trovata bene a Forks, ma con la lontananza di
Edward non avrei resistito più di tanto in un paese pieno di
ricordi.
Continuai.
“Ritorneremo qua spesso, te lo prometto. Ogni volta che
potremo prenderemo l’aereo e veniamo a trovarli. Sicuramente
verranno a trovarci anche loro … e anche a me mancheranno
tutti, ma ritorneremo talmente spesso che non farai neanche caso alla
nostra lontananza” cercai di spiegare in modo convincente.
“Gli
zii e i nonni non vengono con noi? E Jacob?“ mi chiese con
occhi dolci.
Jacob,
già. Come sarebbe riuscito a stare lontano da lei? E
Renesmee ne avrebbe sentito sicuramente la mancanza; ma io stavo
facendo tutto questo per noi, volevo una vita migliore per lei, e non
sofferente come era diventata la mia soltanto il giorno precedente.
Mi
sentii totalmente in colpa per la situazione in cui stavo mettendo mia
figlia e ricominciai a parlare con fatica. “Tesoro, loro non
possono venire con noi. Lo sai, sono sempre stati qua, e per noi si
tratta solo di un periodo … Non è definitivo. Ci
trasferiamo per un po’ e poi ritorniamo, che ne dici? Solo un
po’ di tempo …” le accarezzai la guancia
e vidi i suoi occhi inumidirsi e il suo sguardo triste.
“Renesmee,
non voglio costringerti … se vuoi puoi rimanere qua, se
questo ti rende felice. Verrei a trovarti il più spesso
possibile, e te rimarresti con gli zii e con i nonni. Tutto pur di
farti felice, tutto quello che vuoi” risposi.
Scosse
la testa decisa. “Voglio stare con te, con la mia
mamma” e mi abbracciò talmente forte da non
riuscire a respirare “Ti voglio bene”
sussurrò.
A
quelle parole non riuscii a trattenermi e una lacrima, di gioia questa
volta, bagnò la mia guancia.
Lei
ci sarebbe sempre stata, mi avrebbe permesso di andare avanti. Di farlo
anche per lei. Era come se mi fosse crollato il mondo addosso, e lei,
l’unica che riuscisse a risollevarlo.
Le
baciai una guancia. “Anche io ti voglio bene, e non immagini
quanto” sussurrai asciugandomi il volto bagnato.
Sorrise
per poi continuare a parlare. “Ma …
papà viene con noi, vero?”.
Sentii
il cuore in gola. Era l’unica domanda che non avrei mai
voluto sentirmi dire, l’unica domanda a cui non sapevo cosa
rispondere. Edward non mi aveva detto niente e mi stava rendendo sempre
tutto più difficile. Non sapevo niente del perché
se ne fosse andato, ne se fosse ritornato un giorno.
Da
quello che mi aveva fatto capire c’era stata una motivazione
del suo allontanamento, nonostante tutto mi fidavo ancora di lui e
volevo veramente sperare che non fosse stata una sua decisione
personale. Come il suo solito non ha voluto dirmi niente, la sua mania
di protezione era troppo forte, voleva in qualsiasi modo tenermi
lontana dal suo mondo e dai pericoli che potevano portare.
L’avevo
pregato per giorni di trasformarmi, anche dopo la nascita di Renesmee,
ed ero finalmente riuscita a convincerlo. Ma ora eccomi,ancora umana,
alle prese con le difficoltà di una vita, non poi
così normale.
“Ora
papà non è con noi ...” aggiunsi non
sapendo cosa dire “è dovuto andare via per un
po’... vedrai, ci raggiungerà presto…"
'Lo
spero ' pensai tra me stessa. Era come se cercassi di convincermi che
prima o poi sarebbe tornato, ma non potevo saperlo.
Renesmee
sentiva che c'era qualcosa che non andava, non faceva altro che
chiedermi di Edward. Cercavo di rispondere nel modo migliore, ma sul
serio non sapevo cosa inventarmi, perché non sapevo davvero
niente.
Non
chiedeva più di tanto, e speravo che questa lontananza di
Edward potesse non turbarla, ma immaginavo avesse capito più
o meno cosa era successo.
Dopo
la mia risposta non parlò più, si
ammutolì abbracciandomi stretta.
Decisi
di prendere la parola e di spezzare il silenzio cupo che si era creato.
"Sai, ho trovato una bella casetta per noi due, la casa dove ci
trasferiremo … la
tua camera è più grande della mia" risi "mi
aiuterai a sistemarla vero?" domandai scherzando.
"Davvero?"
sorrise "posso portare anche qualche cosa che è ora nella
mia camera? La coperta che mi ha regalato papà e i vestiti
di zia Alice?"
"Puoi
portare tutto quello che vuoi tesoro" la vidi sorridere "e naturalmente
i vestiti di zia Alice sarai costretta a portarli ... altrimenti chi la
sente?” scherzai cercando di essere più tranquilla
possibile. “Partiamo domani allora? Affare fatto?”
le domandai.
“Va
bene” rispose eccitata e mi prese per mano.
“Andiamo
a salutare il nonno Charlie, che ne dici?” dissi e non feci
in tempo a concludere la frase che Renesmee scese velocemente dal letto
e mi trascinò fino alla macchina parcheggiata davanti il
portone di casa Cullen.
.-.
“Papà?
Sei in casa?” quasi urlai mentre suonavo per
l’ennesima volta il citofono della mia ex casa.
Dopo
pochi secondi mio padre aprì la porta. “Ehi Bells!
Scusa tesoro..ero di sopra a sistemare la nuova attrezzatura da pesca e
non ho proprio sentito suonare” si giustificò
sorridendo a Renesmee per poi prenderla in braccio.
“Ciao
piccola, come stai?” disse baciandole la fronte.
“Bene”
rispose ricambiando il bacio “Nonno, posso andare di sopra a
vedere i tuoi attrezzi da pesca?” chiese Renesmee.
“Ma
certo, tesoro. Attenta a non romperli però, ok?”
rispose mio padre chiudendo la porta di casa.
Nessie
si precipitò verso le scale e in meno di un secondo
arrivò al piano superiore. Di solito si comportava come
tutte le altre bambine, ma lei era diversa, non era come tutte le
altre. Quando nessuno la vedeva si lasciava andare alla sua vera natura
e iniziava a correre talmente veloce, come un vampiro può
fare, da perderla anche di vista.
Questa
era una delle cose che mi preoccupavano di più.
Sarei
stata in grado di aiutarla? Ero
ancora un’umana a tutti gli effetti, mentre lei …
non proprio.
Fino
a quel momento me l’ero cavata, ma con l’aiuto di
Edward e della sua famiglia, e anche di Jake, ma non sapevo proprio
come comportarmi senza il loro aiuto. Avrei continuato anche senza di
loro, dovevo.
“Bella, come va? Edward non è
venuto?”. Avevo messo in conto che avrei dovuto dare una
risposta a questa domanda. Ogni volta che qualcuno pronunciava il suo
nome, iniziava a mancarmi l’aria e precipitavo nel panico.
Non avrei potuto raccontare niente neanche a lui, era impossibile
farlo. Dovevo tenerlo lontano da quel mondo.
“No, papà. Io in realtà ...
sono venuta a parlarti proprio di questo” risposi iniziando
ad agitarmi. Decisi di sedermi accanto al tavolino della cucina. Mio
padre assunse uno sguardo preoccupato e mi seguì.
“Bella,
devo preoccuparmi? Cosa è successo?”. No, non
è successo niente papà. Edward se ne è
solo andato, ed io non so ne il perché, ne se
tornerà. Ero alla ricerca delle parole giuste, di certo non
potevo esprimere quello che avevo appena pensato.
“Niente,
niente di grave” mentii “Abbiamo deciso di
trasferirci” mi liberai da quel peso. Mi dispiaceva vedere
mio padre triste, e sicuramente questa notizia non l’avrebbe
reso particolarmente felice.
Spalancò
gli occhi .“Ve ne andate?”. Lo sapevo, non
l’aveva presa bene.
“Si,
papà. Abbiamo avuto dei problemi e ... beh, dobbiamo
trasferirci per qualche mese. Ritorneremo presto, non rimarremo per
molto tempo. Solo ... solo il tempo necessario per rimettere tutto
apposto”.
Il
tempo necessario per non impazzire.
“Spero
non sia successo nulla di grave..” sussurrò debole
mio padre.
“No
... solo un problema con Edward e con la sua famigl..” non
feci in tempo a terminare che la voce di mio padre sovrastò
la mia .“Ok, Bella..non ti preoccupare, ho capito.”
Mio padre non si era mai interessato a quei tipi di
problemi. Da quando era nata Nessie aveva capito che c’era
qualcosa di diverso nella famiglia di Edward, rispetto a tutte le altre
famiglie. Da quando Jacob si era trasformato davanti ai suoi occhi non
ne aveva più voluto sapere. A lui bastava che gli fossimo
vicino, e non era mai stato un uomo che si intrometteva troppo, non era
da lui. Sarebbe rimasto senza di me qualche mese, saremmo tornate a
trovarlo, ovviamente. Sapevo che non era solo, però. Aveva
Sue. Sembrava che ultimamente le cose si stessero facendo
più serie, e non c’era da meravigliarsi se al mio
ritorno mi fossi trovata Seth e Leah come fratellastri. Non era da
escludere questa possibilità. Lasciavo mio padre nelle mani
di quella santa donna.
Continuò
a parlare dopo qualche secondo di silenzio. “Dove vi
trasferite? Lontano immagino..” vidi il suo sguardo assente.
Mi
sentivo in colpa, in colpa per tutto. “In Alaska, ad
Anchorage. Ho trovato una buona università per quei mesi.
Non so se potrò terminarla lì, non credo. Spero
di poter tornare prima”.
Mio
padre annuì. “Almeno siamo nello stesso
continente. Mi aspettavo peggio. Verrete spesso a trovarmi
vero?”.
“Si,
papà. Te lo prometto. Non sarà per
molto”. Questo davvero non potevo saperlo, ma lo speravo.
Sentii
Renesmee scendere di corsa dalle scale e mio padre le rivolse uno
sguardo dolce per poi dirmi: “Prenditi cura di lei,
ok?”
“Certo,
papà”. A quelle parole cercò di
nascondere una lacrima dagli occhi, e la ricacciò dentro.
“Quando
partite?” domandò.
“Domani..”
Renesmee ormai ci aveva raggiunto ed era salita in braccio a Charlie.
“Se
la mamma dovesse scordarsi, ricordale di tornare a trovarmi, ok
tesoro?” si rivolse a Renesmee che annuì
abbracciandolo stretto. Rimanemmo a chiacchierare per altri dieci
minuti.
Mi
alzai dalla sedia. Avevo ancora molte cose da sistemare, e il giorno
seguente saremmo partite. Mancava davvero poco.
Renesmee
salutò per l’ennesima volta Charlie e corse verso
la macchina.
“Grazie
papà, grazie di tutto. Ci vediamo presto”.
Sussurrai mentre mio padre mi abbracciava stretta davanti
all’ingresso.
Scesi
le scale. “Ti voglio bene, Bells” parlò
ad alta voce mentre raggiungevo la macchina.
“Anche
io te ne voglio, papà”. Dallo specchietto vedevo
in lontananza mio padre agitare una mano in segno di saluto.
--
Stavo
sistemando le ultime cose da mettere in valigia. Mancavano poche ore
ormai, il cielo si stava oscurando e la notte iniziava a farsi sentire.
Ero
nella mia camera, vuota, senza di lui. Non sarei riuscita a stare in
questa casa, ne ero convinta. Ogni piccola cosa mi ricordava lui. Mi
muovevo per casa e sentivo la sua voce e vedevo la sua faccia nella mia
mente. Sarei impazzita qua, dovevo andare via, si.
Renesmee
era agitata, quasi contenta. Da ore era chiusa nella sua camera a
piegare e a sistemare le sue cose nella valigia. Mi rendeva felice
vederla in quel modo. L’aveva presa piuttosto bene, ed era
una bambina forte. Però, più passavano i minuti,
più mi rendevo conto che avesse capito tutto. Cercava di non
farmelo notare, ma io la conoscevo troppo bene, e stava sicuramente
facendo di tutto per nascondere la sua tristezza.
“Bella..”
sentii una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto.
“Jacob,
mi hai spaventato!”
“Scusa”
mormorò triste guardando le valigie sopra il letto
“Sei proprio decisa allora?”
Annuii
con la testa e abbassai lo sguardo “Devo, Jake. Non posso
rimanere qua, non ce la posso fare. Sto impazzendo, e non posso
permetterlo.”
“Se
è questo che pensi io ... io mi scuso Bella. Sono stato uno
stupido ieri ... non dovevo attaccarti in quel modo” mi
voltai e alzai lo sguardo.
“Jake,
non ti devi scusare. Hai ragione. Probabilmente sono solo un egoista e
codarda, lo ammetto. Ma non ce la faccio a rimanere, capisci? Mi sento
uno schifo per quello che sto facendo. Renesmee è di
là che a stento trattiene le lacrime ed ... io ... oh Jake,
sono una pessima madre ...” le lacrime iniziarono a sgorgare
dai miei occhi e Jacob fu subito al mio fianco.
“Bella,
ma cosa stai dicendo? Non farti venire in mente queste cose, ti prego.
Renesmee ha bisogno di te ... e se te sei felice lo è anche
lei. Stai facendo la cosa giusta” mi confortò Jake.
Continuai
a parlare nonostante le lacrime. “Lo spero. Non voglio
turbarla, non voglio farlo. Da quando Edward se ne andato io non mi
riconosco più, non sono più la stessa Jake. Non
posso sapere se sarò in grado di ... di farla stare bene, se
lei starà bene con me. Perché diavolo se ne
è andato via? Ho bisogno di lui ... ho bisogno di Edward,
Jake ...” asciugai le lacrime con il palmo della mano.
“Vengo
con voi” disse deciso.
“Cosa?”
risposi sorpresa.
“Mi
devo prendere cura di voi. Farò quello che Edward avrebbe
voluto vedere ... non posso lasciarvi andare da sole ...”
“Sul
serio, Jake?” risposi sbalordita.
Annuì.
“Mai stato più serio di così. Non posso
lasciarvi sole … io non posso”. Già,
non saremmo state sole. Ci sarebbe stato per la seconda volta. Per la
seconda volta avrebbe preso il posto che spettava a Edward. Sarebbe
stato il nostro punto di forza, sarebbe stato il nostro unico appoggio.
Mi addormentai tra le sue braccia, stanca, sfinita dal dolore.
--
Poche
ore dopo ci alzammo e uscimmo da quella casa che un tempo avevo
desiderato fosse mia per l’eternità. Tutti e tre,
ognuno diviso da ciò che amava.
I
Cullen ci aspettavano. Li abbracciai a uno a uno, con le lacrime agli
occhi.
“Ti
servirà” mi sussurrò Carlisle
lasciandomi tra le mani un cellulare precaricato. Annuii, confusa.
|
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Capitolo 4 *** Ricordi ***
Dedichiamo
questo capitolo a chi ci segue, a chi legge, preferisce e ricorda.
E
in particolare a Giselle S,
che ha recensito tutti i capitoli, con commenti lunghi e dettagliati
che ci fanno andare sempre avanti, per migliorare ogni giorno di
più!
Capitolo IV
Ricordi
(I
did it for love
L’ho fatto per
amore
No signs for me
Nessun segno per me
I
saw your game but yet
Ho visto il tuo gioco,
ma ancora
and
still you got me
e ancora tu hai me)
BoA, I did it for Love
Sangue.
Sangue. Sangue.
Troppo.
Troppo. Troppo …
Liquido
scarlatto che mi scivola tra le mani.
E
la cosa che fa più male.
Tum.
E’
che questo sangue.
Tum.
E’
il suo sangue.
Tum.
E
questo.
Tum.
E’
il suo cuore.
Tum.
Che
sta smettendo.
Tum.
Di
battere.
“Edward!
Edward, la bambina!”. La voce di Carlisle è
così, dannatamente, lontana. Non ce la posso fare.
Non
con il suo profumo in testa. Non con la sua voce ancora nelle orecchie.
Non con gli occhi di questa bambina, così simili ai suoi,
che mi guardano. Che mi implorano.
Non
posso.
Jacob
parla, accanto a me. Anche lui mi implora. E’ il momento.
Non
ci sarà più sangue. Mai più dolore.
Solo vita.
Tum.
Lei
vivrà.
Tum.
Afferro
l’ago con il mio veleno. Ora. Devo.
La
sento calmarsi, piano. Forza, Edward, forza.
Ma
la amo troppo. Troppo.
La
amo come non ho mai amato nessuno. Come potrò guardare
ancora i suoi occhi, se questi diverranno scarlatti? Mi fermo. Attimi.
Secondi. Battiti di cuore. Persi.
“Fermati”
mi sussurra Carlisle. Poi, si volta verso Bella.
Attimi
di sangue. Grida.
Anni,
secoli, minuti dopo, la sua mano fredda sulla mia spalla mi risveglia.
Secondi.
Sguardi.
“Sta
bene. Starà bene” mormora Carlisle.
E
dentro di me, sto giurando che la proteggerò. Lei e Renesmee. Sempre.
Il
cielo era nuvoloso. Leggere nubi di pioggia volteggiavano dinanzi al
sole, distraendolo dalla terra, dove, ne ero certa, stava per cadere la
pioggia. Tanta pioggia.
Cercavo
di non pensare. Dimenticare tutto. Abbandonarmi al silenzio.
Inciampai
per l’ennesima volta in quella giornata, mentre Jacob mi
riafferrava per evitare che fossi inghiottita dalla folla. Come se
fosse possibile! L’aeroporto era pienissimo, la gente si
spintonava, si urtava, si scontrava. Il mio mondo sembrava di colpo
piccolissimo, e desideravo solo andare avanti e dimenticare i problemi.
Ma quali problemi?
Mio
marito se ne era andato, mia figlia non sapeva nulla e il mio migliore
amico era deciso a sostituirlo per un po’. La mia famiglia
era dispersa –l’avevo mai avuta una famiglia vera?
Una madre e un padre, insieme?- e il mio mondo si stava spezzettando
pian piano, senza Edward.
“Bells?!”
. No, forse non ero più Bella Swan in Cullen. Ero andata.
Ero un guscio vuoto.
“Sì?”
“Stai
bene? Sai, mancano un paio d’ore, possiamo fermarci
…” era davvero preoccupato.
Scossi
la testa. “Sto bene” lo rassicurai.
E
nei suoi occhi, vidi, chiaro e leggibile, che non mi credeva.
Abbassai
lo sguardo, sotto la forza del suo, fisso su di me. Mi chiesi se sarei
riuscita ad andare avanti. Non ebbi risposta. Volevo solo piangere.
“Come
sta?”
“Non
lo so”
“Edward
…”
“Non
lo so ti ho detto! Dimmelo tu!”
Gli
occhi di Alice fissi nei miei. Paura.
“Non
lo so” ammette. Annuisco piano.
“Dobbiamo
solo …” provo.
“Aspettare?”
mormora lei, accarezzando la guancia pallida di Bella.
Annuisco.
“Un
giorno i Volturi arriveranno”.
Altri
sguardi, altra paura. Mi sorride.
‘Ce
la faremo?’
“Non
lo so” rispondo al suo silenzioso pensiero. E poi, di nuovo
silenzio.
Ottenere
i biglietti fu piuttosto facile.
Jacob
era arrivato a passo veloce, portandosi dietro il trolley di marca che
mi aveva regalato Alice, e Nessie con lui, mentre io li
seguivo a ruota. Aveva ammiccato alla donna al banco, chiaramente
divertito, e non aveva neanche perso l’occasione di indossare
un paio di occhiali scuri, che lo facevano assomigliare alla guardia
del corpo di chissà quale Vip. Dietro,
Renesmee rideva estremamente allegra , e, quando anche Jacob lo
notò, vidi il volto del licantropo aprirsi in un sorriso.
Incrociai
i suoi occhi e li percepii brillare di qualcosa di chiaramente vicino
alla felicità, finché non si rese conto di essere
osservato e si voltò nuovamente per prendere le valigie.
Sembrava
imbarazzato.
Mi
stupii di quella reazione, ma non lo diedi a vedere. Lasciai andare il
giacchetto, che cadde pesantemente sul mio trolley, per abbassarmi e
sorridere a Renesmee, che ricambiò.
Le
passai il passaporto e la vidi posare gli occhi su di esso. Poi
annuì, impercettibilmente.
Mi
sentii male.
Era
una bugia: io non ero lì per andare
all’università, Jake neanche. Non si chiamavano
Vanessa e Jacob Wolf, non erano parenti. Eravamo uno strano gruppo di
persone incontratasi per caso, un buon amico, una ragazza egoista e una
splendida bambina. Sorrisi
dolorosamente a Nessie e ripresi la valigia, che Jacob
afferrò velocemente e posò sul rullo
trasportatore.
Sospirai,
acciuffai la borsa con le poche cose preziose del matrimonio che avevo
voluto portare con me –pesanti, ma sempre meno pesanti del
buco che avevo al posto del cuore- e seguii il mio migliore amico alla
dogana.
Gli
uomini in divisa ci spinsero in avanti e sorrisi cortese quando,
cadendo nuovamente, rischiai di farne capitolare uno. Dentro di me
c’era silenzio, solo silenzio, oltre a uno strano ronzio e al
battito incessante del mio cuore. Mi sentivo vuota, senza una meta, ne
uno scopo.
Sospirai,
mentre depositavo giaccone e borsa sul nastro trasportatore, e Renesmee
mi precedeva, quasi danzando, davanti alle guardie. Anche se si fosse
portata dietro un ordigno esplosivo, l’avrebbero guardata con
la stessa aria incantata.
La
seguii, e la differenza tra il mio portamento goffo e il suo fu
estremamente evidente. Una donna dietro di me mi sorrise e poi mi
sussurrò: “Che bella bambina … Ha i
suoi occhi! Però non assomiglia molto al padre
…” e lasciò cadere la frase.
Sorvolando
sul fatto che il loro passaporto li definiva padre e figlia, mentre il
mio aveva tutt’altro cognome, annuii vaga e con lo sguardo
scivolai sulla figura di Jacob, che con un braccio cingeva le spalle di
mia figlia e con l’altro si portava dietro la borsa di pelle
che era il suo bagaglio a mano. Gli andai incontro, sorridendo a Nessie
che era corsa verso di me.
‘Hanno
controllato i biglietti. Credono davvero che sia Vanessa
Wolf’ mi fece sapere, posandomi una mano sulla guancia.
Annuii, più sollevata, finche non avvertii un tocco rude
sulla spalla.
Un
uomo in uniforme mi guardava dall’alto, le sopracciglia
corrucciate, gli occhi fissi nei miei. Raddrizzai le spalle e lo fissai
a mia volta, preoccupata. Si erano accorti che i passaporti erano falsi?
Li
aveva fatti fare Emmett tempo fa da un uomo di sua conoscenza,
perché Nessie e Jake potessero fuggire se le cose si fossero
messe male, durante la visita dei Volturi. Io volevo rimanere con
Edward, e il mio essere testarda e una minaccia di suicidio era
riuscita a convincerli. Ora, però, non ero tanto sicura che
quei documenti fossero abbastanza realistici.
Bastava
una data, un numero fuori posto e addio.
Mi
morsi il labbro.
“Qualcosa
che non va, agente?” chiesi.
“C’è
qualcosa che non va nel suo bagaglio a mano” mi rispose, con
un breve sorriso, quindi mi fece cenno di seguirlo. Eseguii, con un'
ultima occhiata a Jacob.
L’uomo
mi riconsegnò la mia borsa, una tracolla di stoffa
regalatami da Renee.
“C’è
qualcosa di strano, sembra un …” indagò
nel mio sguardo “… coltello”
finì.
Mi
trattenni appena dallo scoppiare a ridere.
“Probabilmente
un regalo di matrimonio” cercai di spiegarmi, goffa
“sa, mi sono sposata da circa sei mesi, ero qui per passare
un po’ di tempo con il mio migliore amico e sua figlia
…” feci un cenno verso Jake e Nessie. Lui mi
fissò, le sopracciglia alzate, scettico.
“
… Ma non le interessa” finii, aprendo di scatto la
borsa e frugandoci dentro. L’unica cosa sospetta era il
cofanetto di Alice, dove conservavo le poche cose del matrimonio che
non mi fidavo a lasciare in valigia e che avevo infilato trai
bagagli senza neanche sapere a cosa mi potessero servire.
Lo
aprii velocemente, scostai un paio di collane e ne estrassi un
coltellino d’argento.
“Questo?”
chiesi innocentemente. L’agente lo esaminò,
lentamente, quindi me lo tolse di mano.
“E’
questo” confermò. Sorrisi, vittoriosa.
“Vuole
imbarcarlo?” iniziò un collega del primo. Scossi
la testa, secca.
“No,
potete buttarlo” replicai, e loro mi fissarono sbalorditi.
Mi
voltai, leggermente imbarazzata, e presi in mano il cofanetto, con
l’intenzione di chiuderlo. Prendendolo in mano,
però, un gioiello cozzò con gli altri e
rischiò di cadere.
Lo
presi al volo e, con un il cuore che batteva più forte e il
sangue che pulsava nelle orecchie, mi resi conto che era il bracciale
di Edward, con il cuore di cristallo e il lupo in legno.
Una
mano fredda sembrò passarmi attraverso la pelle e fermarsi
sul cuore, mentre mi rendevo conto di un terzo ciondolo. Lo osservai:
lo stemma dei Cullen.
Con
mano tremante, lo girai, e la testa rischiò di scoppiare.
Incisa nell’argento, c’era una frase.
‘I
promise the lamb will be a lion’.
Prometto
che l'agnello diverrà un leone.
E
sentii la forza dei ricordi, che mi uccideva.
C’eravamo
io e la mia famiglia, di fronte ai Volturi.
Sapevo
che Bella era al sicuro.
Sapevo
che Renesmee lo sarebbe stata.
Ma
avevo comunque paura, paura di fallire.
Soprattutto
ora che mi nei desideri di quegli esseri senza cuore.
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Capitolo 5 *** Romeo and Juliet ***
Wait me
V - Romeo and Juliet
Lo sguardo ormai era
fisso da più di qualche
minuto sul piccolo schermo del mio cellulare. Ormai anche il rumore
dell’aereo e
il parlottare dei passeggeri era lontano, come se tutto fosse in
silenzio.
Nessun rumore o suono, la mia mente vagava altrove. Ero seduta accanto
a mia
figlia, dalla parte del finestrino. Mi rassicurava l’idea di
poter vedere in
basso, di vedere tutto dall’alto. Mi era sempre piaciuto, fin
da piccola.
Cercai di capire
come funzionasse il telefono
che mi aveva dato Carlisle, non riuscivo a capire il perché
di quei tre numeri
già presenti nella rubrica. ‘Ti
serviranno’ aveva mormorato Carlisle poco prima
che lasciassi casa Cullen. Cosa me ne facevo di questi tre numeri, e
soprattutto, a cosa mi sarebbero serviti? Era inutile, totalmente
inutile.
Erano numeri che non avrei mai chiamato, lo sapevo. Riposi velocemente
il
cellulare in tasca, liberando la mia testa dal caos di idee e pensieri
che
ormai presiedevano in essa. Basta pensare, basta tutto. La testa mi
scoppiava e
avevo bisogno di una pausa, avevo bisogno di non pensare.
Appoggiai la testa
sullo schienale della mia
comoda poltrona e abbandonai i mille pensieri. Osservavo
incostantemente lo
schienale del passeggero davanti. Solo dopo poco tempo mi accorsi dello
sguardo
fisso di Jake su di
me. Mi osservava, ma
quando voltai lo sguardo e incontrai i suoi occhi mi sorrise.
“Immagino
tu sia un po’ assente con la testa,
sbaglio?” chiese quasi ridendo.
“Mmh, no,
non sbagli” annuì alzando le spalle
“ E’la verità. Sono assente
perennemente, ormai dovresti saperlo” ridacchiai.
Si unì
alla mia breve e nervosa risata e
abbassò lo sguardo per poi continuare a parlare
“Stai bene Bella? Dico sul
serio ...” domandò preoccupato Jacob.
Se stavo bene? No,
non potevo stare bene. Non
stavo bene. O forse dovrei dire di stare meglio, di essere riuscita a
riprendere una piccola parte del mio controllo, ma non stavo affatto
bene.
“Si, Jake,
tutto bene. Solo ... forse sarà
solo ... il fuso orario, ecco”.
Sentii Jake ridere
di gran gusto e scuotere
la testa.
“Cosa ...
cosa ridi?” lo guardai con la coda
dell’occhio, per non essere contagiata dalla sua risata.
“Sei ...
sei
completamente pazza, Bella” affondò
la testa sul cuscinetto del sedile.
Pazza?
Già, lo ero. Si, ero pazza, aveva
ragione. Come dargli torto? Una pazza ero stata. Una pazza ad
abbandonare la
mia vecchia vita alla ricerca di una migliore, che probabilmente non
sarebbe
stata poi tanto migliore. Ero stata una pazza su tutto, avevo preso
delle
decisioni troppo affrettate, ma ancora adesso credevo fossero le scelte
più
giuste. Probabilmente agli occhi estranei
era in questo modo che apparivo.
“Bella, lo
sai che ad Anchorage c’è solo
un’ora di fuso orario da Forks? Non sei brava a dire le
bugie, proprio non ci
riesci” disse guardando dritto e scuotendo la testa.
Ora? Ora non ero
solo pazza, ma anche una
stupida bugiarda. Perfetto!
--------------------------------------------------
Era passata
solamente una settimana
dall’arrivo dei Volturi, ma la tranquillità era
presente. Ero distesa sul letto
della casa in cui da poco tempo abitavamo. Non era molto lontano da
casa
Cullen, bastava solo attraversare il fiume e pochi passi dopo era
situata la
nostra. Ai miei occhi non era poi così vicina ai Cullen, ma
quasi sempre
percorrevo quella strada tra le braccia di Edward, e la distanza
sembrava
essere piccolissima. Sentivo la voce di Edward nell’altra
stanza. Stava
cantando per Renesmee, lo faceva tutte le sere, prima che lei si
addormentasse
tra le sue braccia. Io, di nascosto rileggevo per l’ennesima
volta “Romeo e
Giulietta”. Sapevo che non avrei mai perso la voglia di
rileggerlo, non potevo
farne a meno, ne ero così affascinata..
Avevo promesso ad
Edward, in viaggio di
nozze, che avrei messo da parte quel libro e che me ne sarei comprata
uno
nuovo. Edward non era mai riuscito a capire perché mi
ostinassi a rileggerlo
ogni volta, benché lo sapessi già a memoria.
Sentii aprire la porta della
camera improvvisamente e cercai velocemente di nascondere il libro,
cercando di
non cadere dal letto.
Edward si
avvicinò lentamente salendo sul
letto, e io mi infilai sotto le coperte con aria vaga.
“Mmh, cosa
stavi facendo?” sussurrò
avvicinandosi.
“Io?
Niente, mi sto coprendo, fa freddo
oggi a Forks..” era un mio vizio, se così si
può chiamare. Non riuscivo a dire
le bugie e a guardare negli occhi contemporaneamente. Era una cosa che
non
riuscivo proprio a fare, e riusciva sempre a scoprirmi.
Sollevò
il lenzuolo e si accostò a me,
circondandomi con un braccio.
“Se vuoi
posso andare ad accendere i
termosif..”
Lo bloccai prima che
potesse continuare
“No, no. Sto bene”.
Continuò
a parlare gesticolando “Posso
portarti qualcosa di caldo? Ci metto un minuto..”
“No,
grazie” risposi declinando gentilmente.
Guardò in
alto “Oppure..mhh..fammi
pensare...Alice avrà messo pure da qualche parte una coperta
pesante..” fece
per alzarsi dal letto, ma lo bloccai “Sai..ora che ci penso
non è poi così
freddo..” dissi scoprendo leggermente il viso dalla coperta.
Mi guardò
per poi poggiare lo sguardo per
terra sorridendo “Beh, magari..come fai a sapere se Romeo e
Giulietta per terra
non hanno freddo? Non è cortese … dovresti
chiedere prima di prendere
decisioni, non pensi?”.
Allontanai lo
sguardo dal suo viso. Mi
aveva scoperto un’altra volta, era inevitabile. Sorrisi.
“Oh,
Edward … lo so, lo so. Continuo a
rileggerlo, è più forte di me! Saranno, beh..non
vorrei esagerare, ma saranno
almeno venti volte che lo rileggo, è così
affascinante, realistico..”
Mi guardò
negli occhi mentre cercava di
trattenere una risata, mi sentivo una stupida. Perché
riusciva sempre a
scoprirmi? “Uff, ok, sono una pessima bugiarda. Una stupida
bugiarda, lo
ammetto, va bene?”
“No, non
sei una stupida bugiarda. Non lo
sei affatto, perché non sei brava a mentire. Non puoi
ritenerti una bugiarda”
sussurrò al mio orecchio.
“Oh,
grazie tante! Dovrebbe essere un
complimento?” alzai gli occhi al cielo, prima di sentire le
sue labbra posarsi
delicatamente sulle mie.
---------------------------------------
Le mani iniziarono a
tremare al ricordo. Oh,
Dio quanto mi mancava. Quanto mi mancava poterlo vedere al mio fianco,
un
minimo contatto. Sembrava un’eternità
dall’ultima volta che lo vidi, ma erano
passati solo tre giorni, tre giorni che a me sembravano interminabili e
lunghissimi.
Strinsi forte la
mano al bracciolo del
sedile. Volevo averlo al mio fianco, lo volevo qua con me, con noi. Mi
mancava
in un modo incredibile. Come avrei resistito senza di lui? Ce
l’avrei fatta?
Oh, Edward, mi manchi lo sai? Mi manchi, mi manchi troppo. Una lacrima
solcò di
nuovo il mio viso, ma questa volta era accompagnata da un sorriso. Quel
momento
mi faceva sorridere ogni volta. I ricordi erano l’unica cosa
che mi restava. Il
suo ricordo.
Probabilmente Jacob
non si era accorto che
stavo pensando ad altro, continuava a guardare di fronte a
sé in attesa di una
mia risposta.
“In
realtà so perfettamente del fuso orario
di Anchorage” provai a spiegare “solo che ... beh,
anche un’ora può
scombussolare un po’ no?” mi bloccai quando
ricominciò a guardarmi negli occhi,
quasi seriamente.
Nessuna risposta da
parte sua. Ok, era
inutile. Riuscivano a vincere sempre, sia lui che Edward. Erano
incredibili.
“Ok, ammetto nuovamente di non saper dire le bugie”
alzai le mani in alto.
“Non ero
riuscito a capirlo ...” mi sorrise
beffeggiandomi Jake.
Feci una linguaccia,
per poi voltarmi a
guardare dal finestrino.
“Manca
poco, credo” mi informò Jacob.
Annuii con la testa.
“Sai
già dove andare? Hai detto di aver
trovato una casa ...” continuò Jake.
“Si, in
realtà l’ha trovata Alice. Mi ha dato
l’indirizzo ... dovrebbe essere questo” cercai tra
le tasche dei miei jeans e
ne tirai fuori un biglietto stropicciato. Glielo porsi.
Annuì. “Bene” disse
ripiegandolo in modo perfetto.
“Non
l’ho ancora vista però. Sicuramente
Alice avrà esagerato come il suo solito. Ho paura di
scoprire cosa ci aspetta”
ridacchiai guardandomi intorno.
“Devo
essere sincero? Anche io ...” rise “ma
tanto pagano i Cullen no? Facciano pure..”
ridacchiò più forte.
Alzai un
sopracciglio. “Beh, no. Lo sai Jake,
odio quando qualcuno mi fa dei regali, quando mi sento in debito con
qualcuno ...
e beh, non voglio che si preoccupino più di tanto”
guardai al mio fianco, e
solo allora mi accorsi che Renesmee stava leggendo il mio libro,
“Romeo e
Giulietta”. Non potevo crederci, l’avevo
contagiata! Le accarezzai una guancia.
Sembrava totalmente persa nel leggere quel libro, stava in silenzio da
parecchio tempo.
“Per
qualunque cosa, te dovrai accettare il
mio aiuto. Sarò anche io con voi e pretendo di pagare almeno
la metà delle
spese che ci aspettano, sia chiaro” rispose Jake.
Negai con la testa.
“Non credo ce ne sarà
bisogno. Ho preso qualcosa in prestito da Edward, basteranno per un
po’ di
tempo” dissi alzando la testa.
Alla parola
‘Edward’ si ammutolì.
Probabilmente non voleva continuare il discorso per non farmi stare
male, ed
era meglio così d’altronde.
Per almeno qualche
ora non volevo pensarci,
anche se era alquanto impossibile.
Scostai una ciocca
di capelli dorati di
Renesmee e la portai dietro il suo orecchio.
Non si mosse al mio
contatto, era fissa sul
libro. Chissà da dove l’aveva preso. Lo tenevo
sempre chiuso nel cassetto, o
forse no, probabilmente avevo dimenticato di rimetterlo al suo posto.
“Amore
… non sei stanca di leggere?”
domandai.
Non rispose. Scosse
solamente la testa e mi
guardò sorridendo, per poi tornare a leggere.
“Sei
proprio uguale a tua madre, sai? Non
riesco più a capire chi delle due è la vera
Bella. Io alla tua età leggevo ... si
e no un libro ogni due mesi ... e te ... Fammi vedere..” Jake
si avvicinò a
Renesmee e prese il libro in mano per poi restituirglielo.
“Già al settimo
capitolo?” la guardò storto.
Continuò:
“Io ti consiglierei di chiudere e
mettere via il libro, non vorrei diventassi come tua madre!
Pff..” scosse la
testa.
Lo guardai
sbalordita “Oggi è il giorno degli
sfottoni?” dissi ridendo.
“No, sul
serio Bells. Ma cos’è questa mania
dei grandi classici? Non vi capisco proprio” chiese retorico.
Renesmee mi
guardò scuotendo la testa “Jake,
dovresti leggerlo anche tu. E’ bello. Più bello
delle poesie che mi racconta la
sera la mamma..”. Mentre Renesmee parlava, Jake mi mandava
delle occhiatacce e
io non potei far a meno di ridere.
“No,
spiegami una cosa Bells. Te racconti
delle poesie invece delle favole ad una bambina?” mi
guardò sorpreso.
“Beh..”
dissi, quando Nessie prese a parlare
al mio posto “Ma Jake, a me non piacciono le
favole!”
Jacob
alzò un sopracciglio meravigliato
“Nessie, tua madre ti ha mai raccontato che nelle favole
esistono i principi
azzurri? A voi ragazze piacciono tanto..” domandò
sorpreso.
No, non era vero.
Ognuno di noi era destinato
al proprio principe azzurro, non solo nelle favole. Siamo tutte
principesse
alla ricerca del principe azzurro ... o forse ha ragione? Forse
esistono solo
nelle favole, ma la mia lo era. Io avevo trovato il mio, Edward.
Sarebbe stato
sempre il mio principe azzurro.
Renesmee scosse la
testa imbarazzata. “No,
non molto. Paride è molto meglio di un qualsiasi principe
azzurro!”
Jacob
alzò gli occhi al cielo. “Sai, devo
averlo già letto. Si, probabilmente l’ho letto
qualche anno fa per un compito
scolastico ... e questo Paride, beh, non mi piaceva proprio!”
disse indicando
il libro.
Questo argomento non
avrei voluto sentirlo.
Da quando Edward se ne era andato non avevo più aperto quel
libro, mi rifiutavo
di farlo. Era così realistico, così simile alla
mia storia … alle nostre storie.
Ero sempre stata
neutrale, non mi piaceva
schierarmi da una parte, piuttosto che dall’altra.
E questo ci
rappresentava molto.
Era così
strano ... sentivo ora più che mai
che fossero i nostri personaggi, che la storia fosse la nostra.
All’amore
non si comanda. Tante volte mi sono
chiesta come sarebbe stato ... beh, come sarebbe stato se anche io
avessi
scelto il mio Paride ... come sarebbe stato se non avessi seguito il
mio cuore.
Sarebbe stata una
scelta sbagliata. Forse
sarebbe stata la scelta più appropriata e più
reale, ma non sarebbe stata la
giusta scelta. Non per me.
Mi persi ad
osservare i ciondoli che
pendevano dal mio braccialetto. Due oggetti completamente diversi. Il freddo e il caldo, il
mare e il cielo, il
fuoco e il ghiaccio ... era questo in realtà.
I due personaggi
erano così differenti, così
particolari e interessanti nei loro difetti..
“Non sono
d’accordo ...” sentii la voce di
Renesmee “Paride è così diverso da
Romeo ... è ...”
Si, totalmente
diverso. Romeo era la scelta
giusta, non proprio semplice.
Viaggiavo di nuovo
tra i miei pensieri, e
ogni tanto tornavo alla realtà.
“Ma Paride
è così egoista! Romeo, beh ... è
passionale, romantico ... un ragazzo per bene. Il ragazzo perfetto per
una
ragazza come lei” rispose convinto Jacob.
Ero ormai fuori dal
discorso, ma mi piaceva
starli a sentire. Forse non se ne rendevano conto, ma stavano parlando
di loro.
Mi imbarazzai all’istante. Se solo Jacob avesse capito
ciò che veramente stava dicendo,
avrebbe ritirato tutto.
Oh, quanto ero
soddisfatta di quello che
avevo portato a termine. Ognuno di noi stava avendo un lieto fine, il
più
adatto. Non era forse il mio caso, ma il loro si.
In questo momento
non mi interessava molto di
me stessa, ero veramente felice per loro. Non avrei desiderato cosa
migliore
della loro felicità.
In un certo senso
era veramente imbarazzante,
però.
Il mio Paride stava
avendo ciò che meritava
da sempre. Aveva trovato la sua principessa, quella vera.
Era tutto
più umano da parte loro. Tutto
molto più reale, una favola nella realtà.
Sentii una voce
chiara e decisa annunciare
che stavamo atterrando.
“Bells,
siamo arrivati” mi informò Jake
agitando una mano davanti alla mia faccia.
Ritornai alla
realtà e cercai di sfoggiare un
sorriso, forse troppo esagerato.
Ero agitata, ora.
Per la prima volta in tutta
la mia vita avevo paura del futuro.
Quale sarebbe stato
il mio destino? Di sicuro
l’avrei scoperto molto presto.
Spaesata.
L’aggettivo che più mi rappresentava.
Jacob ci prese per
mano e uscimmo a gran
passi dall’aeroporto.
Al primo impatto con
la città sentii una
grande leggerezza. L’aria che respiravo era così
fresca e piacevole che sarei
potuta rimanere in quel modo per ore. Il mio cuore batteva forte, ma la
tranquillità si stava facendo spazio.
Era primo
pomeriggio, il sole alto nel cielo
con i suoi raggi delicati di una giornata di fine Gennaio.
L’aria era
fresca, proprio come a Forks. Vidi
Renesmee sorridere alla vista della città, era contenta.
Così almeno sembrava.
Jacob sembrava
soddisfatto “Eccoci,
finalmente. Che ne dite?”
“E’
bellissimo. Davvero bello” non c’era
niente altro da dire. Sentivo che questa città mi avrebbe
ridato un po’ della
felicità persa, lo speravo tanto.
“Ho
chiamato un taxi. Dovrebbe essere qui a
momenti” mi informò Jake.
Non riuscivo a
togliere gli occhi da quel
paesaggio mozzafiato. Era un posto fantastico, tranquillo. I rilievi
circondavano la città ed erano uno spettacolo naturale.
“Uhm,
eccolo” ci avvertì Jacob. Tolsi lo
sguardo dalla città e lo puntai sulla macchina che si era
avvicinata.
Caricammo i bagagli
e salimmo in
macchina.
“Salve.
Dove vi porto?” chiese l’uomo baffuto
alla guida. Assomigliava molto a mio padre. O forse non molto, li
accomunano
solo quei scuri baffi sotto il naso.
“Ehm, ecco
… dovrebbe essere questo
l’indirizzo” disse Jacob porgendogli il foglietto
che mi aveva dato Alice.
Guardò per qualche secondo il biglietto e poi
annuì mettendo in moto.
“Perfetto,
andiamo subito” la macchina iniziò
a sfilare tra le strade della città. Eravamo tutti e tre
fissi ad osservare dal
finestrino. Era tutto così meraviglioso …
“Allora
... siete di qua?” domandò l’autista.
Rimasi per un attimo
scossa dalla domanda.
“No..veramente veniamo da Forks. Seattle” risposi.
Mi guardò
sorpreso dallo specchietto.“Sul
serio? Io sono nato a Seattle. Ah, quanto vorrei ritornare..”
“Qua non
si trova bene?” risposi con una
domanda forse un po’ troppo privata, ma d’altronde
sembrava essere una
conversazione abbastanza personale.
“No, certo
che si. Anchorage è così ... come
posso dire ... ospitale. Si, ecco, proprio così. Solo che
... beh, mi manca la
mia famiglia, mi manca la mia città” guardava
fisso la strada.
“Mi
dispiace …” mormorai “ è solo
qua?”
Scosse la testa
“No, ho la mia famiglia qua.
Una moglie e tre figli” sorrise “ma mi mancano
molto i miei genitori, i miei
fratelli … sono sempre stato molto legato a loro”.
Vidi dallo specchietto i
suoi occhi lucidi.
Iniziava a farmi un
po’ pena quell’uomo. Era
così.. triste, ma allo stesso tempo cercava di nasconderlo.
Forse quella città
non era poi così perfetta. Era come tutte le altre.
Nascondeva anche qualcosa
di non proprio positivo.
Sarebbe stato
così anche per me? Probabilmente
dopo qualche giorno avrei sentito una forte mancanza da abbandonare i
miei
progetti e ritornare indietro, ritornare alla mia vita. Ma non sarebbe
stato
giusto. Avrei sentito così tanto la mancanza della mia
famiglia? Probabilmente,
e le parole dell’uomo non mi tranquillizzavano affatto.
Stavo per iniziare a
parlare quando l’uomo
sbuffò per poi aggiungere “Oh, scusatemi
… solo che … mi mancano davvero
tanto”.
Lo guardai
sorridendo “Non si preoccupi,
davvero. La capisco …”
“Basta
parlare di me” si asciugò la lacrima
con il polso della mano “Lei invece? Siete una bella
coppia”.
Sentii le guance
calde, ora si, ero completamente
in imbarazzo. Non era la prima persona ad averci scambiato per una
coppia. Ma
infondo era normale ... due ragazzi con una bambina ... cosa altro
dovevano
essere se non una famiglia?
Jacob
si girò di scatto sorridendo “Veramente, no. Non
stiamo insieme. Siamo … “
“Siamo
buoni amici, ecco. Amici da tantissimi
anni” continuai e Jacob mi fece un occhiolino.
L’uomo si
portò una mano in fronte “Oh, che
figuraccia! Oggi non ne combino una giusta..”
ridacchiò.
Ci unimmo alla sua
risata. Anche Renesmee
rise e la sua risata si distingueva tra le nostre.
“Oh, ehi
piccolina! Non mi ero accorto di te ...
quanti anni hai?” chiese.
Renesmee mi
guardò per un istante. “Cinque”
rispose sorridendo all’uomo.
“Che
carina! Sai, quanto mi sarebbe piaciuto
avere una femminuccia …
oh, eccoci.
Siamo arrivati” disse. Guardai
stupefatta ciò che avevo davanti ai miei occhi. Era una casa
enorme.
Si, Alice aveva
esagerato di nuovo. Era
immersa nel verde e aveva un enorme giardino posteriore.
Indicai la casa
davanti ai miei occhi guardando
Jacob senza dire una parole. Jake alzò le spalle
“Alice, la conosci ormai”
disse.
Preferii chiedere
per un ulteriore sicurezza
“Ma ... è sicuro che sia questo il posto?
E’ questo l’indirizzo?”
Annuì
“Sicurissimo, signorina”.
Scese dalla macchina
e ci aiutò a scaricare i
bagagli. Pagai tutto e feci per dirigermi alla porta
d’ingresso.
“Arrivederci
e ... buona fortuna ragazzi!” ci
salutò l’uomo mentre rientrava in macchina.
“Grazie,
anche a lei” sfoggiai un sorriso.
Jacob e Renesmee salutarono con un cenno.
Ero ferma sulla
soglia di casa. La chiave in
mano.
“Ora ho
paura. Oh, Alice ...” alzai gli occhi
al cielo.
Infilai la chiave
nella serratura e spalancai
la porta con determinazione.
Era proprio quello
che mi aspettavo. La casa
non era poi così grande, ma era nuova, completamente nuova.
Davanti a noi un
grande salone moderno dai
colori caldi. Un divano marrone e di fronte dei mobili perfettamente in
tinta.
Più a sinistra una cucina bianca che dava
luminosità alla sala e che si
affacciava alla vetrata.
Era troppo. Mi sarei
accontentata di una casa
molto più piccola, non avevo bisogno.
“Zia Alice
è una grande” sussurrò
meravigliata Renesmee.
Jacob si
avvicinò e le scompigliò
delicatamente i capelli. “Chissà quanto
è grande la mia camera. Posso andare a vedere?”
chiese. “Certo, vai pure tesoro” risposi posando il
borsone sopra il tavolo
della cucina.
“Eccoci.
E’ impressionante ... è tutto così
diverso qua. E’ tutto stile
‘Alice’” rise Jake al mio fianco.
“Ce lo
aspettavamo no?” mi sedetti esausta
sul divano.
“Già”
mi guardò poco convinto. Seguirono
secondi di silenzio. Vidi lo sguardo basso e triste di Jacob.
“Cosa
c’è Jake? Ti sei pentito di essere
venuto con noi? Nessun problema, sul serio Jake. Puoi dirmi
tutto” dissi
interrompendo il silenzio che si era creato.
Scosse la testa.
“Assolutamente no. Non sono
pentito, Bells. Come puoi pensarlo?” alzò lo
sguardo “Solo che … mi chiedevo se
avessi fatto la scelta giusta per te. Se te
non
avessi cambiato idea ... sei ancora
sicura di stare meglio qua, lontano da tutti?” chiese a voce
bassa.
Risposi dopo aver
preso un respiro profondo.
“Si, Jake. E’ la scelta migliore ... vorrei che lo
fosse, almeno.
Non lo so, sono
così confusa ora. Non ho mai
affrontato una cosa del genere ... mi sento così ... sola.”
Una lacrima scese di
nuovo dai miei occhi.
Stavo iniziando a preoccuparmi. Non avevo ancora pianto quel giorno e
sentivo
che era il momento di sfogarmi, riuscivo a stento a trattenere le
lacrime ogni
volta.
Jake si
avvicinò e si sedette al mio fianco
“Non sei sola, Bells. Non lo sarai. Per l’aiuto che
posso darti ti prometto che
io non ti abbandonerò. Potrai contare sempre su di me, ok?
Sono sicuro che
tutto ritornerà al suo posto. Tutto” mi
circondò con un braccio e io mi lasciai
cullare.
Continuai a parlare
tra le lacrime “Cerco di
nascondere tutto per il suo bene” indicai l’altra
stanza “Voglio che lei sia
felice, mi capisci Jake? Ora mi importa solo di lei. Di me non mi
interessa
niente, ho avuto quello che forse meritavo, ma lei non
c’entra nulla con
questo, niente” chiusi gli occhi.
“Bella, ti
prego, non dire queste cose. Te
non meritavi questo, la finisci di incolparti sempre di
tutto?” mi accarezzava
la schiena delicatamente “Ora siamo qua, e te lo hai
promesso, cercherai di
riprendere in mano la tua vita. Cercherai di tornare ad essere la Bella
di
qualche giorno fa, ok? Devi farlo, lo sai, devi farlo anche per lei ...
ma
principalmente per te. Non puoi continuare ad andare avanti
così..è inutile.
Torna ad essere la
Bella di sempre. Fallo per
lei, per lui”.
Lui. Beh, probabilmente
aveva ragione. Avrebbe voluto questo, ma mi stava veramente riducendo
senza
forze. Continuavo a farmi mille domande su che fine avesse fatto e
perché non
mi avesse avvertito.
Così,
senza preavviso ed improvvisamente se
ne era andato. Chissà dove..
Non riuscivo a
farmene un’idea. Edward se ne
era andato. Ma mi aveva lasciato sola, incapace di continuare ad andare
avanti
senza la sua vicinanza.
Aveva
così tanta voglia di riabbracciarlo,
rivederlo, sentire la sua voce..
Avrebbe potuto dirmi
qualcosa di più,
probabilmente mi avrebbe risparmiato tutta questa pura sofferenza.
L’avevo
perdonato di nuovo. Veramente non ce
l’avevo mai avuta con lui, fin dalla prima volta che mi aveva
abbandonato. Non
riuscivo ad incolparlo.
Questa volta,
però, sembrava sul serio che
non avesse colpa, lo speravo, e ne ero sicura.
Doveva essere
successo qualcosa e avevo
veramente paura per lui. Desideravo uscire da questo incubo e
ritrovarmi tra le
sue braccia.
“Jake, e
se gli fosse successo qualcosa?”
alzai lo sguardo.
Mi guardò
“Non penso ... chi vorrebbe fargli
del male? Non ce ne sarebbe il motivo ...”
Annuii.
“Ritornerà presto Jake?”
“Si, ne
sono sicuro. Non vi abbandonerà”
cercò di tranquillizzarmi.
Continuò:
“E sono anche sicuro che non
vorrebbe vederti in questo stato, Bells. Anche lui vorrebbe la sua
Bella di
sempre..”
Mi asciugai una
lacrima. “La solita Bella,
goffa e che non sa dire le bugie?” sorrisi.
“Esattamente”
ricambiò il sorriso.
Mi alzai
“Ci proverò, promesso...”
mi avvicinai e presi il telefono
dalla borsa “inizierò tutto da capo. Ho pensato di
iscrivermi al college e beh ...”
mi sporsi in avanti per vedere l’orologio “oh,
cavolo ... devo chiamare la
scuola prima che la segreteria chiuda”.
Mi affrettai a
trovare il numero
dell’università nella mia piccola agenda.
“Vado a
sistemare un po’ di cose ... vado ad
aiutare Nessie” mi informò Jake.
“Ok”
Bene. Si. Avrei continuato la mia vita,
così avrebbe voluto Edward. Così voleva mia
figlia, e così voleva Jake. Anche
io desideravo ritrovare me stessa.
Avrei fatto nuove
amicizie, forse. Stare
impegnata la mattina mi avrebbe aiutata a non pensare.
Quando trovai il
numero lo digitai
velocemente, sperando che non fossi in ritardo.
“Segreteria
università di Anchorage” rispose
una voce femminile.
“Ehm ,
pronto ... buongiorno, sono Bella Swan.
Avevo già parlato con il direttore della scuola per quanto
riguarda
l’iscrizione ai corsi di biologia ...” dissi calma.
“Mmh ...
vediamo ... si, Bella Swan” rispose.
“Mi
avevano detto di richiamare oggi per
l’iscrizione definitiva..” continuai.
Qualche secondo di
silenzio dall’altra parte
del telefono “Mhh, no signorina. E’ già
iscritta alla nostra scuola. Qui c’è
scritto che potrà iniziare le lezioni già da
dopodomani. E ha già saldato il
conto” mi informò la donna.
“Saldato
il conto?” dissi incredula.
Possibile che fosse
stata Alice? No, lei non
sapeva che avrei voluto continuare l’università,
non le avevo detto niente. O
forse, beh, forse se lo aspettava.
“Si, da
parte di un certo ... Edward Cullen.
E’ un suo parente?”.
In quel momento il
cuore iniziò a perdere dei
battiti e sentii mancare l’aria nei polmoni.
Quinto capitolo:
perdonateci per il ritardo,
tutta colpa di Missy u.u
Speriamo che vi
piaccia =)
Se vi interessa,
questa è la nostra pagina face
book:
Follie
da Twilighters
Commentate
in tanti =)
Missy
e Vale
ps:Recensite? =) |
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Capitolo 6 *** Cuori e Neve ***
Wait me
Capitolo
VI
“E così Edward
è ricco.”
Era la terza volta che ripeteva la
stessa frase. O forse la
quinta, o la decima …
“Sì”
mormorai, leggermente infastidita.
Non sembrò notarlo.
“Oh, andiamo Bells, non
farmi fare la figura
dell’insensibile. E’ ricco, ricchissimo e
…”
“Non. E’.
Qui.” Sibilai, presa da qualcosa molto simile alla
rabbia. E dal dolore, e dal senso di colpa.
E da mille e altre cose cui non
sapevo ancora dare un nome.
“Bells
…”
Voltai la testa dall’altra
parte, fingendomi occupatissima
nel tagliare i funghi disposti scompostamente sul piano della cucina.
Lo sentii
alzarsi dallo sgabello, poi risiedersi.
“Bella”
sussurrò “Non intendevo …”
“Hai lasciato la tua casa.
La tua famiglia. Il tuo branco.
Mi sembra una giustificazione più che logica”
replicai infantile, alla
disperata ricerca di un coltello che tagliasse decentemente quei
dannatissimi
funghi.
Lo sentii alzarsi per davvero e
andarsene.
Sospirai.
Sarebbe tornato, ridendo. Mi avrebbe
sorriso. E sarebbe
bastato. Ma non quel giorno.
Non bastava che Edward mi avesse
abbandonata, no. Lui mi
aveva pagato l’università, lui mi aveva lasciato
uno splendido bracciale. E io
mi sentivo così sciocca …
E Renesmee era lì. Senza
un padre.
Non ce la potevo fare, da sola. Non
con il mondo che girava
nel verso contrario, proprio adesso …
Proprio quando credevo che fosse
tutto finito.
“Perché
i Volturi se
ne sono andati, Edward?”
“Non
lo so.”
Sì
che lo sai, Edward.
Scuoto la testa.
“Non
lo so.” Ripeto.
Ma la
verità, è che
loro vogliono me.
Fissavo ancora i miei funghi, arenati
sulla superficie
bianca accanto al lavello, lo sguardo fisso e spalancato nel vago
tentativo di
non piangere, quando Jacob tornò in cucina.
Strinsi automaticamente le dita
attorno al coltello,
cosciente che la sua lama seghettata, quella dannatissima lama che non
mi aveva
permesso di tagliare decentemente i funghi, non avrebbe fatto alcuna
differenza, nella ignota possibilità di un violento litigio
tra me e il mio
migliore amico.
Sbattei le palpebre, gli occhi ancora
puntati sulla cena
incompleta, e le lacrime scivolarono delicatamente sulle mie guancie.
Senza
accorgermene, lasciai andare la mia insolita arma, che cadde
rumorosamente sul
parquet.
“Mi dispiace.”
“Lo so.” replicai
con un filo di voce.
E poi, fu silenzio.
Non so quanto rimasi lì,
le palpebre serrate e le lacrime a
scivolarmi sul viso.
Renesmee era fuori, tra la neve,
correndo qua e là con il
sorriso più bello del mondo. La sentivo saltare, correre,
ridere. Jacob aveva
raccolto il coltello, e si stava adoperando per mettere insieme una
cena
decente.
Aprii gli occhi e lo fissai,
adorabile nel buffo tentativo
di aprire un barattolo di fagioli e di controllare allo stesso tempo
Renesmee,
pronto a scattare in caso le fosse successo qualcosa.
Incrociò il mio sguardo.
“Bells …
Tranquilla, qui faccio io.” mi sorrise.
“No” replicai
“Va meglio, ora.”
Ci guardammo ancora e lui,
lentamente, annuì.
Gli tolsi il barattolo ,
l’apriscatole in una mano. Sorrisi
ancora.
“Faccio io”
spiegai “Tu va da lei.”
Feci un cenno verso la finestra che
dava sul giardino, da
dove una bambina dai capelli d’oro rosso ci fissava curiosa.
Annuì ancora.
E sentii che in qualche modo, eravamo
una famiglia.
Era sera, quando mi decisi ad aprire
la valigia e a disfare
i bagagli. Lasciai per ultima la borsa di stoffa, curiosa e diffidente
verso il
suo contenuto.
Alla fine, però, la
dovetti aprire, lentamente.
Ritrovai delle vecchie foto, il
portafoglio, il cellulare.
Recuperai un vecchio portachiavi e i passaporti di Jake e Nessie.
Infine, trovai il piccolo baule.
Ci misi molto, prima di aprirlo,
spaventata e attratta dai
segreti celati al suo interno. Alla fine, vinse l’istinto, e
mi ritrovai a far
scattare la serratura e a sollevare il coperchio.
Gioielli, qualche sciocco gingillo,
qualche biglietto.
Poi, il bracciale.
Il ciondolo del lupo, il cuore di
cristallo e, infine, lo
stemma della famiglia Cullen.
Rilessi lentamente
l’incisione.
‘I
promise the lamb will be a lion’.
Un leone. Un vampiro.
Qualcosa di simile
all’amore, all’istinto, alla speranza si
fece strada dentro di me. Edward, Edward, Edward.
Solo lui.
Sarebbe tornato?
Non lo sapevo, non potevo saperlo. Ma
lui c’era, in qualche
modo. Strinsi a me il gioiello e lo infilai al polso.
Lui c’era.
Jacob mi ritrovò, minuti
dopo, distesa sul letto tra ricchi
gioielli di cui non mi importava niente, rigirandomi tra le mani
vecchie foto e
contemplando un piccolo bracciale, con un cuore di cristallo.
Non era il mio bracciale, quello con
i tre ciondoli, bensì
quello che Alice aveva trovato dentro il pianoforte, l’ultimo
regalo di Edward
a sua figlia.
Lo sentii aprire lentamente la porta
della camera da letto,
poi richiuderla, vedendomi così assorta.
Non fece in tempo, perché
lo richiamai.
Senza una parola, gli consegnai il
bracciale di Renesmee.
Lui mi fissò, confuso.
Sorrisi.
“E’ per
Nessie” spiegai “la ami, un giorno glielo
regalerai.
Prenditene cura.”
Ed entrambi sapevamo che non stavamo
parlando del gioiello.
Erano
lì. Così belle.
Dovevo
proteggerle. E
volevo.
Mi voltai e
scomparvi
nella neve.
Perdonatemi
per il
ritardo. Perdono, peeeeeerdono!
Missy =)
|
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Capitolo 7 *** Incubi ***
Torniamo, con questo
capitolo. E' un capitolo importante, fa da ponte fra gli altri,
avverranno alcune cose interessanti e ... Beh, ci piacerebbe sapere
cosa ne pensate!
Wait me
VII Capitolo
Incubi
Ero
esausta,
era stata una giornata lunghissima e abbastanza pesante.
Di
nuovo
tramonto, una giornata piuttosto normale scompare insieme alle altre
meno
felici, e con essa
Incubi e ricordi.
Tra lo stress dovuto al trasloco,
cambio città, l'intera
serata a sistemare, e i mille altri pensieri che vorticavano nella mia
testa,
avevo deciso di staccare la spina, di rilassarmi ... cosa impossibile.
Avevo appena finito di riordinare le
mie enormi valige,
nella speranza di poter ricominciare tutto da capo, mettendo via la
disperazione e l’angoscia, ma i ricordi erano ritornati a
galla, proprio come
mi aspettavo.
Avevo
portato le cose più banali, quelle più
importanti, ma anche un pezzo di carta
mi ricordava la mia vecchia vita, ero un caso perso, già.
Ma
come
potevo non esserlo, dato la situazione?
Per fortuna avevo Jake al mio fianco.
Era tutto per me, un
punto d'appoggio fondamentale per continuare ad andare avanti.
A volte mancava l’aria e le
parole mi si fermavano in gola,
poi tutto svaniva, piano.
"Ehi,
ti ho preparato
una cioccolata calda, Bells". Jake entrò in salotto con due
tazze di
cioccolata, mi sorrise e si sedette al mio fianco.
Ricambiai il sorriso e fui veramente
grata di aver qualcosa
di caldo tra le mie mani, era davvero freddo.
"Grazie, Jake" bevvi a piccoli sorsi
e mi sentii
subito meglio. Senti il calore bruciare il palato.
Jacob teneva la testa bassa.
"Bella,
scusa,
scusa davvero per prima. Non dovevo.." cercò di
giustificarsi.
Mi avvicinai e cercai di guardarlo
negli occhi.
"Ehi, ehi..non è successo
niente Jake. Non ci ho fatto
neanche caso, credimi. Sono stata io che..beh, in questi giorni sono
insopportabile e irascibile, lo ammetto."
Alzò lo sguardo .
"Beh, scusa se ti ho offeso, non era
mia
intenzione" posò la sua tazza nel piccolo tavolino ai nostri
piedi.
"Jake.." scossi la testa "non ricordo
neanche
di cosa abbiamo discusso, sul serio. Non devi scusarti" risposi
appoggiando la schiena sul morbido cuscino alle mie spalle.
Seguirono secondi di silenzio.
"Stanca?" seguì il
mio stesso movimento e iniziò a stiracchiarsi le braccia.
"Mh, abbastanza" sorrisi "Ma non ho
voglia di
andare a dormire, non ho proprio sonno".
Chiuse gli occhi per poi riaprirli
"Beh, forse era
meglio una tisana, allora" ridacchiò.
"Forse. Ma questa è molto
più buona, decisamente"
finii di bere il mio ultimo goccio. "A proposito, complimenti Jake,
ottima" sorrisi, poi voltai lo sguardo verso la finestra. Avevamo un
paesaggio spettacolare davanti ai nostri occhi.
"Le bustine del supermercato fanno
miracoli!"
lanciò un'occhiata alla sua tazza.
"Già" scherzai
e ricambiò il sorriso.
"Domani ultimo giorno di pacchia, eh
Bells?" alzò
un sopracciglio.
Annuii ."Si, si torna a scuola.
Sembrano passati anni
dall'ultima volta ... sarà tutto diverso" nonostante fossi
abituata al
freddo di Forks, dovetti ammettere che anche ad Anchorage era molto
freddo.
Probabilmente iniziai a tremare,
perché Jake allargò le
braccia e mi strinse forte. Vi trovai subito calore e sollievo.
"Sei contenta di ritornare?"
domandò
accarezzandomi la schiena.
"Diciamo che servirà a
distrarmi, questo basta a
rendermi più tranquilla" sospirai "almeno per qualche ora.."
"Si, ti farà bene,
sicuramente" guardò fuori dalla
finestra "Che ne dici se domani mattina andiamo a vedere un
po’ la città?
Ci sono molti posti da visitare..non siamo mica a Forks, qua!
C’è di più di una
stazione di polizia e del negozio dei Newton" scherzò.
Risi.
"Forks però rimane Forks, non scordartelo!"
Per
me era
il luogo più importante, un paese che non avrei mai
scordato. L’inizio,
l’inizio di tutto.
Dovevo
ringraziarlo in un certo senso, mi aveva dato molto, essendo solo un
piccolo
paese.
Alzò le spalle. "Ovvio. Ma
sarebbe bello girovagare in
città tra la neve, no? Renesmee non vede l'ora!" disse
entusiasta.
Puntai lo sguardo nei suoi occhi
"Mmh, solo Renesmee?"
domandai scherzando.
"No, ok, ammetto di essere curioso
anche io"
ridacchiò scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte
“è che..sembra così
affascinante, e non sono mai stato in città così
grandi. Non so, ha un qualcosa
di spettacolare”.
Ci pensai un secondo. "Affare fatto,
socio. Ma se
nevica rimaniamo a casa. Rischio di prendermi qualcosa ..." risposi
ormai
calda tra le sue braccia.
"Certo, le solite fortune di Bella
Swan!" disse
sorridendo.
Gli diedi un colpo secco sulla
spalla. "Scemo, non esco
di casa a maniche corte in pieno inverno, io!" evidenziai l'ultima
parola.
"Che ci vuoi fare, queste sono le
fortune da
licantropi!"
Affondai la testa nella sua spalla
"Grazie Jake, grazie
di tutto."
Mi
baciò la testa
"Ti voglio bene, Bella". Chiusi
gli occhi "Ti voglio bene".
Continuammo
a stare in silenzio per parecchio tempo, dato che persi la concezione
dei
minuti, e, forse, delle ore.
Ormai
il
silenzio era diventato il mio confidente, lo stato che più
mi rispettava.
Sentivo
la
necessità, quasi l’obbligo di rimanere in
silenzio, a volte. Mi faceva bene,
purificava, liberava.
"Ehi Nessie, come mai sveglia?"
sentii Jacob
sussurrare e aprii gli occhi voltando la testa.
Renesmee
aveva
una faccia scioccata, impaurita.
Non
rispose,
si avvicinò e mi prese per mano, sembrava piuttosto
spaventata.
"Amore, cos'hai? Qualche brutto
sogno,
scommetto.." la presi in braccio accarezzandogli la testa delicatamente.
Annuì di nuovo senza
spiccicare una parola. Guardai Jacob
preoccupata, guardava fisso il volto di Nessie.
Non
succedeva una cosa del genere dall'arrivo dei Volturi, non aveva mai
più avuto
incubi. Immaginavo quale fosse il motivo. La lontananza di Edward ci
stava
cambiando, non eravamo più le persone di prima.
Anche
Renesmee stava avvertendo qualcosa, o si, probabilmente aveva capito
più di me
quale fosse il motivo.
Io
ero come
isolata nel deserto. Non sapevo cosa avrei fatto, non sapevo cosa
saremmo stati
in un futuro, non più.
"Andiamo, allora" cercai di
tranquillizzarla
"Vengo io con te, ok tesoro?". Mi alzai dal divano e la presi in
braccio.
"Buonanotte Nessie"
sussurrò piano Jake ancora
seduto comodamente sul divano.
"Notte" rispose insonnolita tra le
mie braccia.
L'adagiai
piano nel suo enorme letto e mi distesi accanto, poteva anche essere un
letto
per due persone, data la grandezza. Tutta opera di Alice.
L’avevo
appena sentita per telefono, ma già mi mancava tremendamente.
Nessie mi guardava fissa negli occhi
"Non riesco più a
dormire" mi avvertì.
Sospirai "Ma certo che ce la fai, non
hai mai avuto
paura di queste cose! Cosa è successo?" le accarezzai una
guancia.
Mi prese una mano e riuscii a capire
tutto. Aveva sognato,
ma questa volta era davvero molto reale.
Le immagini che scorrevano erano
molto, troppo realistiche
per essere semplicemente un sogno, eppure lo era.
Lo sfondo
scuro da dove filtrano alcuni raggi di sole fino a
diventare marrone, ed improvvisamente, una faccia, un volto.
Aro. Il
suo sguardo potente e desideroso di sangue. I suoi occhi
penetranti da far male, e da un solo paio di occhi, a
quattro, sei, venti ... tantissimi occhi
fissi su uno stesso punto.
Sembravano
famelici, desiderosi di chissà cosa, della stessa cosa.
Mantelli neri, oscurità e urli strazianti.
Buio.
Solo urla, grida e risate fastidiose. Poi silenzio, e un
suono dolce e delicato, prima leggero e poi sempre più
presente.
Una
stanza, luminosa ma deserta. Niente mobili, nessuno. Un piano
nero e nuovo occupava una parte centrale.
Da
lontano, e poi sempre più vicino. I tasti si muovevano in
modo
veloce, senza sosta. Nessuno a guidarli, agivano in automatico. Anche
quella
melodia divenne piuttosto fastidiosa, di nuovo urla e grida.
Un volto,
Edward.
Ritirai
velocemente la mano. E' un sogno, Bella, solo un sogno.
Il
cuore
iniziò a battere forte, Renesmee mi guardava preoccupata "Mamma, tutto
bene?"
"Si,
tesoro" rimasi fissa a guardare il muro. Era un sogno, vero. Ma il
volto
di Edward era stata la cosa più realistica e vera di tutte.
Sembrava veramente
di averlo davanti ai miei occhi, la sua presenza vicina. Riuscii a
sentire
perfino il suo odore, inconfutabile. Come se fossi riuscita ad entrare
nel suo
sguardo.
Eppure era solo un sogno,un maledetto
sogno.
Non sapevo cosa dire, ogni cosa
sembrava troppo stupida e
banale.
"Renesmee..non devi aver paura. I
Volturi non
torneranno, sei al sicuro tesoro" continuavo ad accarezzarle la testa.
"Si, ma papà.
Dov'è papà? Perché non è
qua con
noi?" la domanda mi lasciò spiazzata. Speravo che a
quell'ultima parte del
sogno non avesse dato importanza, invece era tutto l'opposto.
Ok, forse era inutile cercare scuse.
Cosa le avrei
raccontato? Era arrivato il momento più difficile.
Ma se non sapevo neanche io cosa
fosse successo, come facevo
a dargli una spiegazione logica? Non ce n'era. Non sapevo niente
neanche io,
non c’era spiegazione. In realtà c’era,
ma era del tutto nascosta ai nostri
occhi.
Cosa sapevo più di lei?
Niente, assolutamente niente.
"Nessie... Non so dov'è.
Vorrei saperlo, ma non lo so.
Sarà sicuramente molto più vicino di quanto ci
aspettiamo, però …" le
sorrisi cercando di non far trapelare molta preoccupazione.
Ovviamente era solo un sogno, ma
poteva anche essere la
realtà, o no?
Dov'era Edward? Forse si, era qua
vicino a noi, ma come
potevo saperlo?
Doveva essere al sicuro. Non mi sarei
mai perdonata se gli fosse
successo qualcosa per proteggerci, se si fosse andato a cacciare in
qualche
guaio ... e se ...
No, Edward stava bene, si. Forse era
solo ... solo un
momento di distacco. Probabilmente avrebbe voluto che andasse in un
altro modo,
o probabilmente si era stufato della sua vita.
No,
non era
possibile. Non l'avrebbe mai fatto. Non di nuovo.
Doveva
esserci una spiegazione, Edward non ci avrebbe mai abbandonate, questo
lo
sapevo.
Non avrebbe influito così
tanto dolore se non ci fosse stata
un spiegazione per questa sofferenza.
Una lacrima scese delicatamente sulla
mia guancia fino alle
labbra. Velocemente leccai il labbro superiore per evitare che Renesmee
vedesse.
Perché non potevo essere
più forte? D'altronde non chiedevo
tanto. Solamente la forza sufficiente a non sprofondare nel silenzio e
nella
sofferenza.
Edward era la mia forza, e senza di
lui ... beh, ero un
palazzo senza impalcatura, instabile.
Rabbia, rabbia, rabbia. Se solo
avessi potuto far qualcosa
per averlo qua al mio fianco, per riportarlo qua, con me, con noi.
La cosa che più
desideravo. Svegliarmi da questo incubo e
ritrovarlo al mio fianco come ogni volta.
"E perché non ci dice
niente?" chiese mettendosi
seduta a gambe incrociate sul letto.
Scossi la testa. Quante volte mi ero
fatta queste domande,
non ero mai riuscita a trovare delle risposte.
Ci avevo rinunciato. Faceva male,
tanto male. Come piccole
ferite fastidiose sul corpo che guariscono piano piano per poi
riaprirsi,
dolore.
"E' colpa mia" disse sottovoce.
Probabilmente
sperava non fossi riuscita a sentirla.
Sgranai gli occhi sollevandole il
mento. "Nessie, ma
cosa dici?
Mi guardò "Si,
è colpa mia se sono arrivati i Volturi,
ed è colpa mia se papà non è con noi."
"No!"
quasi urlai, e subito sperai che Jacob non mi avesse sentito. "I
Volturi
sarebbero venuti lo stesso, eri solo una scusa, Nessie.
Non dire queste cose tesoro. Non è colpa di
nessuno, ok? E’ successo qualcosa che forse non possiamo
sapere, o non è
successo niente, vedrai..non preoccuparti."
Le baciai una guancia. "Te non
c'entri niente con tutto
questo, mh? E' vero, non so dove sia e avrei voluto che mi dicesse
tutto, ma
non lo ha fatto, come il suo solito".
Ogni volta, pur di proteggerci, ci
lasciava senza una
spiegazione, niente informazioni, niente di niente.
La sua mania del tenerci lontano
dalla sua vita, dalla sua
natura.
Avrei dovuto farmi trasformare molto
prima, le sarei stata
vicino e avremmo affrontato qualsiasi cosa insieme.
Ma io non appartenevo ancora al suo
mondo, per me era sempre
tutto all'oscuro.
Mi aveva lasciato quel ciondolo. "L'agnello diventerà un leone".
Doveva essere una promessa, sarebbe
tornato prima o poi.
Doveva.
"Ma sta bene. Tornerà
presto, vedrai..non potrebbe mai
stare lontano così a lungo, lo sai. Non potrebbe abbandonare
la sua
principessina" le lasciai una bacio sulla fronte e riuscii a farle
comparire un piccolo sorriso sulle labbra.
"Mi manca" disse abbracciandomi.
Le accarezzai la schiena e di nuovo
lacrime scesero dai miei
occhi gonfi.
"Anche a me, tanto" la abbracciai
forte. "E'
per questo che tornerà" dissi convinta.
Ci addormentammo abbracciate e
stranamente riuscii a dormire
tranquilla.
Ci svegliammo abbastanza tardi e mi
sentii in piene forze. Jacob
ci stava viziando, ci aveva perfino portato la colazione a letto.
Colazione che sarebbe bastata ad un
esercito. Ovviamente non
finimmo tutto, ma ci pensò Jacob a fare fuori le poche cose
rimaste. Rimanemmo
a scherzare e a giocare sul letto. Ero felice. Vedevo luce negli occhi
di mia
figlia, e mi davano forza.
Come concordato la mattina visitammo
la città, era bel tempo
e la neve del giorno precedente era quasi sciolta.
Jacob portò anche la mia
macchina fotografica e non smetteva
di scattare foto al paesaggio. Sembravamo turisti pazzi in una
città sconosciuta.
Ci divertimmo molto. Entrammo in tutti i negozi possibili, e finimmo
per uscirne
con decine di buste tra le mani. Cose inutili, superflue, ma troppo
carine. Io
e Nessie ridemmo di gusto quando Jake scivolò sulla neve con
le sue quattro
buste in mano.
Scattai
una foto, l'avrei
incorniciata, promesso.
Era ormai pomeriggio e decidemmo di
finire il nostro giro da
‘turisti stranieri’.
"Jake, devo passare al supermercato.
Prendo giusto
qualche cosa per riempire il frigo. Porti te a casa Nessie?" domandai
anche se sicura della risposta.
Jake mi fece l'occhiolino. "Certo,
vai."
Si avviarono mano nella mano verso
casa e li salutai
agitando una mano. Ero
felice, si. Loro
erano felici e mi trasmettevano serenità. Anche se poi
quella serenità sarebbe
diventata presto angoscia e oscurità molto presto. Non ci
badai, continuai a
godermi il mio stato d’animo.
Bene, ora dovevo solo trovare un
supermercato. Cercai di
ricordare le informazioni chieste ad un passante giusto qualche minuto
prima.
Farmacia, eccola, proprio davanti ai miei occhi. ‘Girare a
destra e
all'incrocio di nuovo a destra’.
Perfetto. Era enorme. Non ero
abituata a negozi così grandi
a Forks. Sembrava tutto così diverso..tutto così
grande, immenso.
Mi affrettai ad attraversare la
strada e ad entrare dentro. Si,
grande. Decisamente troppo grande per i miei gusti. Con la fortuna che
mi
trovavo mi sarei persa tra gli scaffali, ci avrei scommesso.
Iniziai
ad
andare in ordine e presi le cose più indispensabili. Uova,
latte..mmh..ok,
qualche verdura.
Ricordai di aver bisogno di un libro
nuovo. Mi rifiutavo di
leggere per l'ennesima volta i miei vecchi libri, troppi ricordi,
troppa
vecchia vita in mezzo.
Ma ... dov'era il reparto libri?
Questo era il problema.
Girai più volte il
negozio. Possibile che un negozio così
grande non venda libri?
Mi ritrovai nel reparto dei cereali
per sbaglio e ne
approfittai per prenderne una confezione.
Vidi un libro di Jane Austen e un
paio di penne nel carrello
al mio fianco. Alzai la testa, e una ragazza dai lunghi capelli scuri e
occhi
verde acqua osservare perplessa la pila di confezioni.
"Ehm, mi scusi..posso sapere dove ha
trovato quel
libro?" cercai di chiedere cortesemente.
La ragazza si voltò a
guardarmi e mi sorrise. "Laggiù
in fondo" disse indicandomi una parte del tutto sconosciuta per me.
Scrollai la testa. "Che sbadata! Ci
sarò passata decine
di volte. Grazie, comunque"
Mi allontanai verso il fondo dello
scaffale, alla ricerca
del mio libro.
Sorrise di nuovo. "Prego. Cercavi
questo libro?"
la ritrovai proprio al mio fianco che indicava il suo libro dentro al
carrello.
La guardai confusa. Solo allora mi
accorsi del suo strano
accento. Sicuramente non era della zona, e neanche Americana, no,
proprio no.
"Beh, si" in realtà non
era vero, ma l'idea di
leggere un libro di Jane Austen che ancora non avevo letto mi
incuriosiva.
Abbassò lo sguardo verso
il suo carrello. "Devono
essere andati a ruba, è la nuova edizione, sono
già terminati"
"Oh, peccato! E' l'unico libro che
non ho ancora letto,
ma non fa nien-" parlai gesticolando.
"Se vuoi posso prestartelo!" mi
interruppe
"Ho così tanti libri ancora da leggere a casa.. e poi dovrei
studiare” si
avvicinò e mi sorrise “Credo che non
avrò molto tempo per leggerlo" disse
ridacchiando.
"Studi qui?" chiesi stupita.
"Si, all'università. Corso
di biologia..pff" disse
alzando gli occhi al cielo.
Avevo fatto conoscenza prima del
previsto, perfetto. Ci
voleva, ero contenta, mi sarei presentata a scuola con molta meno
paura. Già
conoscevo qualcuno, e mi rendeva più serena.
"Davvero? Anche io seguo quel corso!"
dissi
contenta.
Sorrise.
"Sul serio? Io sono nuova e.. devo dire che sono tutti così
ospitali! Ti
troverai bene.
Piacere, mi chiamo Stella" disse
dandomi la mano
"sembra che dovremmo passare del tempo insieme allora"
Ricambiai "Già,
così sembra. Piacere, Bella".
Sembrava ormai diventata tutt'altro che una semplice conversazione tra
due
sconosciute.
Ma faceva piacere, magari saremmo
diventate buone amiche,
chissà.
Mi guardò per un secondo.
"Ti chiami Isabella? Da dove
vieni?" chiese curiosa. Accostò il suo carrello al lato per
lasciare
libera la carreggiata.
Dubitai
che
conoscesse un piccolo paese di nome Forks.
"Forks"
ridacchiai "Seattle"
"Oh,
mai stata prima. Ho viaggiato molto, ma non sono mai stata a Seattle"
scosse la testa.
Ogni tanto il suo accento diventava
marcato, ma dovevo
ammettere che era molto, molto bello e particolare.
"Capisco. Te sei di qua?" una domanda
abbastanza
stupida, ma non ci fece caso.
"No, sono italiana. Sono qui per
studiare e per ... beh,
cambiare vita" alzò le spalle "ed eccomi, mi sono iscritta
di nuovo a
scuola" si appoggiò allo scaffale accanto a me.
Annuii. Italiana. Perfetto. Sembrava fossi una calamita
che attraeva tutto
il paese.
Girò
il
polso e guardò l'orologio. "Oh, è tardissimo!
Devo scappare.."
Si sporse verso il carrello e
afferrò il libro. "Tieni,
prendilo" disse porgendomelo e sorridendo.
"Oh, non fa niente, non ti
preoccupare" dissi
ringraziando.
"Sul serio, davvero" disse con il
libro in mano. Accettai
e la ringraziai più volte.
"Piacere di averti conosciuto, Bella"
sorrise
"Ci vediamo domani, allora. Ci conto"
Annuii. "Certo,
ci vediamo" salutai e la vidi avviarsi velocemente in cassa.
Feci un ultimo giro per controllare
di aver preso tutto e
tornai a casa.
Posai le due buste sul tavolo e Jake
corse incontro ad
aiutarmi a sistemare.
"Renesmee?" chiesi.
Si avvicinò "E' di fuori a
giocare" sorrise
guardando dalla finestra.
"Come è andata? Trovato
alla fine il negozio?"
chiese Jacob svuotando una delle buste.
"Negozio..pff..sembrava un'altra
città, altro che
negozio. Era enorme, ed hanno anche un sacco di cose, dovreste vederlo"
aprii il frigo e sistemai la busta di mele nel cassetto.
"Mmh, vero. E' l'unica cosa che non
abbiamo ancora
visto" rise.
"Già, in tempo di
record.." risposi scherzando.
"Un altro grande classico, Bells?"
chiese tirando
fuori dalla busta il libro.
Mi avvicinai a Jake per osservare il
libro che in realtà non
avevo ancora visto.
"Mmh,
no.." sorrisi . Mi guardò storto “cioè,
si” ammisi. Rise.
“Dai,
concedimelo. Questo non l’ho ancora letto, è
l’unico!” sollevai le spalle.
Scrollò
la
testa "Troppo tardi" mi osservò "ormai hai influenzato anche
Nessie. Non ha parlato d'altro".
Fui
contenta
in un certo senso. Dalla sera precedente non aveva più
toccato l'argomento, ed
ero sollevata. Sapevo che lo pensava, spesso la trovavo fissa a
guardare un
qualsiasi punto. Sapevo cosa pensava e vederla in quelle condizione mi
faceva
male, terribilmente.
Provavo in tutti i modi a
distrarla e a farle
sentire il mio affetto..ma non potevo fare più di tanto.
Stava male, come me d'altronde.
"Papà!"
sentii urlare. Mi avvicinai alla finestra e vidi Renesmee correre in
giardino.
Corsi
fuori
dalla vetrata, Jake mi seguì preoccupato.
"Renesmee??"
urlai. Era sparita. Mi feci prendere dal panico e le gambe iniziarono a
tremare.
Jake al mio fianco che correva per il
giardino alla ricerca
di Nessie.
Sentii qualcosa prendermi per mano
"Mamma". Mi
voltai di scatto.
"Amore, dove eri finita?" domandai
ancora
preoccupata.
Jake ci raggiunse velocemente e
sembrò essere più
tranquillo, anche se il suo sguardo trapelava un qualcosa di strano.
Una lacrima le bagnava le fredde
guance. La presi in
braccio, la portai dentro al caldo e mi sedetti al suo fianco.
Ancora ancorata alle mie braccia "Ho
visto papà".
"Cosa?!" domandai confusa, sebbene in
cerca di
speranza.
Non potevo crederci. Probabilmente si
stava facendo prendere
troppo, ormai piangeva ogni notte e faceva brutti sogni. Anche questo
sarà
stato ... beh, un'immaginazione, pensai.
"Si, era lui! Quando mi ha visto
è scappato" disse
guardando fuori dalla finestra.
"Nessie, sei sicura?" domandai. Jacob
si
inginocchiò al nostro fianco e annuì guardandomi
prima che Renesmee rispose.
"Si, era papà. Aveva la
maglia che le ha regalato zia
Alice, era lui!" disse stringendomi forte.
Panico, paura ... sollievo.
Se era davvero vicino,
perché non era tornato? Cosa diavolo
stava succedendo?
Iniziai a
piangere di rabbia e nervosismo. Volevo uscire da quel brutto sogno,
no, non
poteva essere la realtà. Volevo riemergere. Stavo affogando
nella disperazione,
non potevo. ‘Sii forte’ mi incoraggiai.
Unica cosa
che mi tranquillizzava, Edward stava bene. Del resto ero ancora
più confusa e
agitata.
Voltai
lo
sguardo tra le lacrime e vi incontrai gli occhi freddi e spenti di Jake.
Oh,
siete giunte fin qui, care <3 Il capitolo è di Vale e
a lei vanno tutti i meriti per la velocissima stesura ... u.u
Speriamo
che vi piaccia, la mancanza di recensioni lo scorso capitolo ci ha un
po' buttato giù, ma ci riprendiamo facilmente. Vi
ringraziamo per ogni vostra recensione, ogni elogio, ogni critica ^^
Come
vedete, ci sono cose piuttosto interessanti ... Stella, la nuova amica
di Bella, Jacob, Renesmee e ... Beh, Edward!
Speriamo
che vi piaccia =D
Mi
raccomando, recensite ^^
Baci,
Missy & Vale *w*
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Capitolo 8 *** Claire de Lune ***
Wait me
-Claire de Lune-
“Vaffanculo.”
Esistevano
milioni di parole da dire in quel momento,
milioni e milioni di cose da dire. Ma essere così volgare
davanti alla macchina
che Jake aveva preso in affitto mi sembrava terribilmente giusto e,
inspiegabilmente, sorrisi. Sorrisi,
poi
ripresi a fissare quella stupidissima chiave.
No,
non una chiave normale, no. Una carta dello spessore di
un centimetro, fatta per “essere infilata
nell’apposita fessura nel cruscotto”,
come recitavano le istruzioni.
Ecco,
avevo infilato quella stupidissima chiave. E l’auto
non partiva. Era ferma. Immobile.
Preferivo
la Ferrari, se l’alternativa era una sciocca auto
a stampo europeo che non si muoveva neanche se spinta a calci. Stupidissima auto.
Milioni
di alternative. Sì, Bells, calmati. ‘Hai milioni
di
alternative.’
‘Puoi
andare a piedi? No. Però puoi prendere l’autobus,
no?
Certo.
L’autobus, giusto? Bene, Bella, ora ti devi alzare. E
ti devi ricordare di togliere la chiave prima.’
Cinque
minuti dopo, ero di nuovo fuori, coperta e
stracoperta con un pesantissimo piumone di Alice e gli occhi fissi su
una
cartina delle fermate dell’autobus. Non doveva essere troppo
difficile … Insomma,
bastava seguire la stradina
disegnata, no?
‘Destra, sinistra
… Ah, no!, è
il contrario.’
‘Sinistra,
destra … Non è difficile.’ Beh, ogni tanto perdevo
l’equilibrio sul
ghiaccio, però …
“Isabella!
Ehi!”
Se
non avessi riconosciuto quella voce, mi sarei detta
stupita di qualcuno che ha il mio stesso nome completo. Sì,
perché odiavo il
mio nome completo, e ormai non ero più Isabella, solo Bella.
Allora,
di chi era la voce famigliare che mi chiamava con
quel nome?
Isabella,
così imperioso, così sciocco, così
…
Stella!
Mi
correva incontro, sorridendo e agitando la mano.
“Ehi!”
gridai “Ehi, come va?”
Arrivò
trafelata alla fermata dell’autobus, i capelli
impazziti, gli occhi spalancati. Non riusciva a non essere carina,
però.
Attorno a sé aveva una leggera aura di allegria che
l’ avvolgeva.
Le
sorrisi.
“Io
sto bene, benissimo … Tu?”
“Bene,
basta che non mi chiami Isabella …”
“Oh,
giusto! Scusami, in Italia Bella ha lo stesso
significato di ‘carina, bellissima’ …
Così non ci sono abituata!”
Sembrava
facesse finta di essere così allegra e imbranata.
Un momento era in piedi, immobile, un altro si agitava. Era strana, ma
simpatica.
“Tranquilla”
mormorai.
Salimmo
insieme sull’autobus e Stella non smise neanche un
momento di parlare e parlare.
Mi
raccontava dell’Italia, della sua vecchia scuola, della
sorella e dei genitori. Ogni tanto mi diceva qualche parola nella sua
lingua,
per poi spiegarmela sorridendo.
“Anche
il tuo nome è in italiano?”
Sorrise.
“Sì
… Una stella, sono una stella.”
E
quando lo disse mi sembrò decisamente più vera.
E
allora le raccontai di me, e di Jacob. E dei sogni e della
mia famiglia, e di Forks. E mi fece male ogni singolo ricordo che
riguardava
Edward.
Non
sembrò accorgersene.
Quanto è passato? Una
settimana, vero?
Sette giorni
d’inferno.
Sette giorni per lei.
Sette giorni per
nostra figlia.
Solo sette giorni.
E sangue umano, tra le
mie dita.
Arrivammo
all’università cinque minuti prima
dell’inizio
delle lezioni.
L’edificio
era moderno, enorme e stranamente … Bello. Quasi
… famigliare.
Stella
era dietro di me e non smetteva neanche un minuto di
parlare della scuola, e delle lezioni. Le avevamo quasi tutte in
comune, così
non avrei avuto problemi a proposito di amicizie: la mia amica aveva
già fatto
amicizia con almeno tre persone nell’autobus.
Io
ricordavo a malapena i nomi.
Il
preside si dedicò a un breve discorso, quindi ci
ritrovammo spintonate tra decine di studenti, mentre un professore
cinquantenne
ci chiedeva di prendere posto.
Ascoltai,
ma con la testa altrove. Dentro di me gli ultimi
avvenimenti si ripetevano ancora e ancora, veloci, insensati, illogici.
Qualcosa nella mia testa cercava di avvertirmi che non tutto era come
sembrava.
E
mi rividi davanti Edward.
Con
le lacrime agli occhi tornai alla spiegazione, con la
vana speranza di dimenticare.
“Fallo.”
“Non posso.”
“Ora.”
“Mai.”
Stella
ogni tanto mi lanciava delle occhiate, quasi
preoccupate.
Non
ne capii il motivo finché non vidi il mio foglio per gli
appunti bagnato di lacrime.
Erano
finite, ed erano state le lezioni più lunghe della mia
vita. Era da tempo che stavo per tanto tempo lontana da Renesmee, e la
cosa mi
faceva stare male.
Seduta
al tavolo del pranzo, mentre Stella era in bagno,
allungai la mano verso il mio telefono e composi velocemente il numero
di Jake,
sorridendo come un’idiota quando sentii mia figlia rispondere.
“Mamma!”
“Tesoro
… Come stai?”
“Bene!
Sai, Jacob ha provato a cucinare, ma …”
“E’
Bells?!” sentii gridare il mio migliore amico, fuori
campo “Bells, il pranzo che ho cucinato era magnifico! Non
credere a Nessie!”
Risi.
“Ok.
Tesoro, ora devo andare, ma mi manchi tantissimo.”
“Anche
tu. Ciao mamma!”
“Ciao
Renesmee!”
Chiusi
il telefono e sobbalzai vedendo Stella accanto a me.
“Chi
è Renesmee?” mi chiese.
“Chi?”
mormorai. Quanto aveva ascoltato?
“Sono
arrivata ora e ho sentito che salutavi una certa
Renesmee …” tirai un sospiro di sollievo
“Allora chi è?”
Mi
sentii colta alla sprovvista.
“Hai
presente … Jacob, il mio migliore amico? Beh …
Renesmee
è …” sua figlia? Sua cugina?
“ … La sua ragazza” mi sentii mormorare,
per poi
vergognarmi come mai prima di allora.
La
sua ragazza? Ma come mi era venuto in mente?
“Oh,
capisco” sorrise. Poi mi prese per mano e mi condusse
alle altre lezioni.
Ero
ancora rossa in volto quando tutti i professori ci
congedarono, ricordandoci di portare sempre dietro il foglio degli
orari.
“Foglio?”
mormorai.
Stella
si voltò verso di me.
“Ah
sì, il foglio degli orari … Quando sono andata a
prenderli c’era solo uno. Ma li avranno sicuramente in
segreteria …” diede un’occhiata
a un corridoio.
“ Sì,
sicuramente.
Ora, segui il corridoio e poi gira a destra” mi
spiegò velocemente “io devo
andare, ma sono certa che non ti perderai!” poi mi
stampò un bacio sulla
guancia e scomparve alla mia vista.
Dieci
minuti dopo, mi ero persa.
Non
c’era solo una porta a destra, ma migliaia. E il mio
senso dell’orientamento non era dei migliori.
Avevo
perso anche le speranze, finché non avvertii un suono
famigliare.
Era
un stato veloce, tanto che credei di averlo immaginato.
Era
morbido, irreale, eppure udibile e basso. Era una corda
mossa da tasti di avorio ed ebano.
Si
diffuse attorno a me e dentro di me, finché non si
esaurì
nella stessa aria che con la sua meraviglia si era conquistata.
Inspiegabilmente, sorrisi.
Veniva
dalla porta accanto a me.
Piano,
mi avvicinai.
Un’altra
nota si allungò nell’aria. E ancora. E ancora.
Claire
de Lune.
Claire
de Lune.
Claire
de Lune.
Ancora.
Sentii
le lacrime scivolarmi lungo le guancie. Quella
musica, così sua.
Ormai
ero appoggiata completamente al legno, pronta a
cogliere ogni suono di quella melodia.
Quella
melodia così nostra.
La
porta si aprì di scatto e mi ritrovai nel bel mezzo di
quella stanza che, me ne resi conto, era una grandissima aula di musica.
E
c’era un pianoforte. E qualcuno stava suonando il
pianoforte.
Arrossii
visibilmente e cercai di indietreggiare.
Non
ci riuscii.
Qualcuno
dal profumo esageratamente famigliare mi raggiunse
a velocità inumana e posò le sue labbra sulle mie.
Poi,
scomparve.
Ora, imploro perdono. Sul serio.
Tra Settimana Bianca, febbre, ricerca (45
pagine!) sul
Giappone e stupida interrogazione di arte, non ho trovato il tempo per
il nuovo
capitolo.
Perdono!
Ora, finalmente, pubblico.
Vi è piaciuto?
Che ne dite?
Dai, una recensione ci farebbe davvero
felici :)
Missy
|
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Capitolo 9 *** Paura della Realtà ***
Cosa
dire? E' un capitolo davvero importantissimo, chiarirà un
mucchio di cose e ... beh, ci saranno dei ritorni ** E' stato scritto
da Vale, e anche lei annuncia di essersi commossa, durante la stesura.
Vi ringraziamo infinitamente, voi che ci seguite sempre e ci fate tanto
felici con le vostre recensioni :)
Siete
le migliori lettrici che si possa immaginare!
Vi
lascio al tanto agognato capitole, care <3
Misery
Wait me
Aspettami
-Paura della
Realtà-
Spensi il
computer sulla mia scrivania.
Appoggiai
la
testa sulla poltrona e chiusi gli occhi.
Strinsi
saldamente tra le mani i braccioli, per evitare che il ricordo mi
fregasse di
nuovo.
Sapevo
che
non mi avrebbe fatto bene, ma ne sentivo la necessità.
Avevo
voglia
di ricordare, ogni minimo particolare.
La mia paura,
fondata, di poterlo dimenticare
era il mio più grande incubo.
Ogni giorno che
passava il suo volto nella
mia mente si faceva sempre più sfocato e
l’unica cosa che riusciva a
calmarmi era
ricordarlo .
Avevo paura che il
ricordo svanisse e che un
giorno avessi potuto svegliarmi senza saper più riconoscere
il suo viso.
Al contrario, il suo
odore e il suo tocco mi
rimanevano perfettamente chiari, soprattutto dopo l’ultima
volta.
Qualcuno
dal profumo esageratamente famigliare mi
raggiunse a velocità inumana e posò le sue labbra
sulle mie.
Poi,
scomparve.
Si
allontanò con talmente tanta velocità che dovetti
reggermi allo stipite della
porta per non cadere a terra.
Per un primo
momento rimasi
sbalordita.
Si, forse avevo
sognato e lo studio mi
stava veramente dando alla testa. Si, ero pazza. Ne ero convinta da un
bel po’
di tempo ormai.
Quando trovai di
nuovo l’equilibrio mi
staccai dalla porta e solo allora capii che non si trattava di un sogno
o di
pazzia, ma della pura verità.
Mi girai di
spalle e vidi due ragazze
nel corridoio della scuola camminare con dei libri sotto il braccio.
Segno che mi
trovavo ancora a scuola e
che non ero stata rapita dagli alieni.
Mi girai
nuovamente verso la stanza
buia, e fu in quel momento che risentii più forte lo stesso
odore di prima, e
questa volta lo riconobbi.
Lasciai la presa
sui miei quaderni che
caddero a terra rumorosamente.
“Edward?”
quasi urlai entrando dentro
la stanza buia e accendendo la luce.
“Edward”
ripetei a voce più bassa
quando notai al centro della stanza un pianoforte, nero.
Mi avvicinai e
iniziai ad accarezzare
i tasti del pianoforte delicatamente.
Tutto quadrava,
sapevo che non mi
stavo sbagliando.
“Claire
de Lune”, pianoforte e il suo odore.
Ormai ne ero
convinta. Queste parole
mi portavano a pensare ad una sola persona.
Mi sedetti per
terra accanto allo
sgabello e rimasi lì, immobile.
Ero davvero
confusa e non sapevo cosa
stesse succedendo.
Ma avevo la
certezza che non ci aveva abbandonato
e che stava bene, per il momento.
Restava solo che
sperare che ritornasse.
“Edward,
torna..” sussurrai prima di
cadere, questa volta, tra le braccia di Morfeo.
Era
passato quasi un mese, e non era successo più niente.
Le mie
speranze furono inutili perché Edward non si fece
più vivo.
E di nuovo
saliva il terrore che gli fosse successo qualcosa e che quei segni
erano stati
un qualcosa per salutarci, per dirci definitivamente addio.
Ogni notte
piangevo e gli incubi si facevano sempre più terribili e
oscuri con il passare
dei giorni.
La mia
vita era diversa da quello che riuscivo a far vedere.
Jacob era
ormai convinto che mi stessi riprendendo, e Renesmee si rifiutava di
chiedere di
suo padre.
Una volta
la sentii sussurrare “Ti voglio bene
papà” mentre si stendeva sotto le coperte
che le aveva regalato lui stesso.
Io facevo
finta di dormire e non avevo intenzione di iniziare il discorso se non
fosse
stata lei a farlo.
Evidentemente,
non parlarne, la faceva stare meglio.
Ma ogni
sera, io, puntualmente crollavo.
Mi
chiudevo in camera e mi sfogavo come potevo, senza rendere partecipi
né Nessie,
né Jacob.
Non avrei
inflitto inutilmente altro dolore.
Per cui me
ne stavo rannicchiata sul letto a piangere, piangere e piangere..
Era ormai
diventata una cosa normale. Le lacrime erano entrate a far parte
involontariamente della mia vita.
E nel
mentre le lacrime sgorgavano, il mio cervello si lasciava andare ai
ricordi.
A scuola
ogni cosa andava alla grande, almeno quello.
Avevo
conosciuto molte persone veramente gentili.
Ogni tanto
Stella mi obbligava ad uscire, ma raramente accettavo.
Diceva che
avevo bisogno di svago e che lo shopping è il migliore amico
della donna.
Quando
pronunciò quella frase mi ritornò in mente Alice.
Non
riuscivo a spiegarmi perché legavo sempre con ragazze che
avevano la mania
delle compere.
Sorrisi ai
vecchi ricordi con Alice.
L’avevo
sentita per telefono giusto il giorno prima e mi avvertì che
prima o poi
sarebbero venuti a trovarci.
Non vedevo
l’ora, ci mancavano veramente tanto.
“Ehi Bella!
Buongiorno” disse entusiasta Stella baciandomi una guancia e
sedendosi nel
muretto accanto a me.
“Buongiorno
Stella” sorrisi appoggiando lo zaino a terra.
“Il bus
ritarda oggi?” disse guardando l’orologio.
Scrollai
le spalle “in realtà siamo in anticipo di dieci
minuti”.
Stella
abitava a pochi centinaia di metri da casa mia, diceva.
Non
l’avevo mai vista in zona e solitamente ero io quella che
aspettava in anticipo
di mezz’ora alla fermata dell’autobus.
“Come mai
oggi così presto? Hai aggiustato la sveglia?”
chiesi ridendo.
Rispose
con una linguaccia e aggiunse “In realtà sono
sempre puntale, mia cara”
ridacchiò.
Alzai gli
occhi al cielo “Si, certo, come no”.
“A
proposito” disse “oggi salterò
metà lezione di biologia. Domani mi fai copiare
gli appunti, vero?”
“Oh,
certo. Non ti preoccupare.” Sorrisi.
“Perché salti metà lezione?”
chiesi
curiosa.
Spostò lo
sguardo sui suoi piedi “Ehm, beh..si, viene a farmi visita
mia madre. Domani
mattina deve ripartire..per cui voglio godermi le poche ore che staremo
insieme” mi guardò sorridendo.
“Uhm, fai
bene! La lezione di oggi non è poi così
importante, puoi saltarla
tranquillamente. Ti copro io” le feci un occhiolino.
“Grazie,
sei un tesoro!”
“Prego”
Sentii il
rumore del autobus avvicinarsi e ci alzammo in piedi. Salimmo le
scalette e le
porte si chiusero.
“Ehm, mi
scusi. Può riaprire?” chiese Stella al conducente.
“Stella,
cosa..?!” le domandai.
Appoggiò
le mani ai fianchi “Hai dimenticato lo zaino per
terra” ridacchiò.
Le porte
si riaprirono e scesi a recuperarlo.
Risalii e
mi vidi puntato lo sguardo di una quindicina di ragazzi.
Arrossi e
corsi a sedermi nel primo posto libero.
Stella
fece lo stesso. Si sedette accanto a me e iniziò a ridere
“aveva ragione, sei
proprio sbadata Bella!”.
“Chi aveva
ragione?” chiesi aprendo il finestrino.
Improvvisamente
smise di ridere “Ehm..no, no, nessuno. Avevo ragione,
sei veramente sbadata!”
“Uh,
grazie molte!” dissi e sentii che finalmente non avevo
più gli occhi
dell’intero bus puntati addosso.
Finalmente
arrivammo a scuola e scendemmo da quell’autobus pieno di
gente.
Ci
incamminammo verso la biblioteca.
La lezione
di biologia era stata spostata di mezz’ora e non ci rimaneva
che aspettare.
Quando
finalmente ci avvertirono che stava per iniziare, posammo i vari libri
e ci
dirigemmo verso l’aula.
“Bella,
devo andare. Mia madre è già arrivata. Se mi
hanno già visto ci pensi te ad
inventarti una scusa vero?”
“Ovvio”
sorrisi salutandola. “Ti voglio bene, vai”
“Anche io”
scappò velocemente tra i corridoi e in pochi secondi la vidi
scomparire.
Per
fortuna la lezione non sarebbe durata per molto, non avrei resistito
più di un
paio di ore senza la compagnia di Stella, ormai ne ero abituata.
Entrai con
tutta calma e mi diressi al mio solito banco.
La lezione
era iniziata da qualche minuto e molti stavano già prendendo
appunti.
Tutto
cambiò quando alzando lo sguardo da terra incontrai il suo.
Mi bloccai
in mezzo alla stanza. Le mie gambe non reagivano più ai miei
comandi e non
riuscivo a camminare.
Mi
paralizzai.
“Signorina
Swan? Tutto bene?” sentii la voce lontana del mio professore.
Mandai giù
la saliva che mi era rimasta in gola e annuii.
Lentamente
cercai di chiudere gli occhi e di svegliarmi. Immaginavo fosse
l’ennesimo
incubo.
Ma non lo
era. Riaprii gli occhi e lo vidi di nuovo.
Sorrisi e
una lacrima di felicità scese dai miei occhi. Fece la stessa
cosa e mi sorrise.
Non potevo
credere che era davvero tutto reale, che finalmente era tornato ed era
a meno
di dieci metri di distanza da me.
Non
riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi, stranamente verdi.
Mi persi
nel suo viso e sorrisi come una cretina per qualche secondo.
L’unica
cosa che desideravo era poterlo riavere al mio fianco, poter risentire
il suo
odore, il suo tocco, una sua carezza..
Iniziarono
a ritornarmi in mente varie immagini del nostro passato, di quello che
era la
mia vita circa due mesi prima.
Altre
lacrime sgorgarono dai miei occhi. Ero felice. La prima volta dopo mesi.
Poi,
piano, mi avvicinai.
Dovetti
appoggiarmi ai vari banchi.
Sentivo
che l’equilibrio mi avrebbe abbandonato di lì a
poco.
Non
staccai mai lo sguardo da lui.
Quando fui
abbastanza vicina mi sorrise un’ultima volta e
chinò lo sguardo sui suoi
appunti riprendendo a scrivere.
Andai a
sedermi al mio banco, proprio vicino ad Edward, il banco di Stella.
Posai i
libri e lentamente mi misi seduta.
Lo fissai
mentre scriveva e prendeva appunti su una lezione vecchissima.
Si
comportava come se nulla fosse successo. Alternava lo sguardo tra il
professore
e il suo quaderno.
Non mi
degnò neanche di una parola.
Mi stava
facendo impazzire.
Le lacrime
continuavano a scendere senza sosta ed iniziai ad asciugarmi il viso
con la
manica della mia maglia.
Non tirai
fuori neanche il mio materiale.
Rimasi per
circa dieci minuti a guardarlo come se fossi un fantasma. Ero
un’estranea forse?
Mi
appoggiai con la schiena alla sedia e iniziai a contenere le lacrime.
Chiusi gli
occhi e pensai che ero vicino alla persona che amavo e che dovevo
sapere. Era
arrivato il momento.
Sapevo che
se avessi iniziato a parlare, la voce mi si sarebbe fermata in gola.
Aspettai
qualche secondo che mi calmassi.
“Edward?”
poggiai la mia mano sulla sua spalla per farlo voltare nella mia
direzione.
Niente.
Il mio
tocco sembrava non avergli provocato nessun effetto.
Mi
ignorò, o forse neanche ci fece caso. Cosa
poco probabile.
Cambiò
quaderno ed iniziò a scrivere anche su quello.
“Edward,
ti prego dimmi qualcosa. Ti prego” sussurrai piano per non
farmi sentire dal
resto dell’aula.
Lo vidi
fermarsi di scrivere.
Girò di
scatto la testa e mi guardò negli occhi. Sorrise.
Mi sciolsi
in quello sguardo e lo assecondai con il suo stesso gesto.
Lo guardai
negli occhi.
Fui presa
da un attacco di odio nei suoi confronti.
Mi stava
prendendo in giro? Perché non parlava?
Perché
faceva finta che non esistessi e mi degnava solamente di sorrisi?
“Dì
qualcosa, Edward. Cosa sta succedendo?”
Scosse il
capo e tornò di nuovo sui suoi libri.
Le lacrime
che per qualche minuto erano cessate, ricominciarono ad inondarmi gli
occhi.
Sentivo
mancare l’aria e faticavo a respirare. Iniziai a vedere
sfocato e la testa
iniziò a martellare.
“Edward..”
tutto intorno a me iniziava a girare.
Dovetti
reggermi saldamente al banco per non rischiare di cadere dalla sedia.
Appoggiai
la testa tra le braccia incrociate sul banco ed iniziai a perdere
conoscenza.
I rumori e
le voci erano ormai lontani. Volevo scomparire.
Desideravo
la mia vita. Non potevo credere che fosse realtà, dovevo
svegliarmi.
Eppure ero
cosciente che era tutt’altro che un sogno, ma la
verità.
I
singhiozzi iniziarono ad alternarsi tra i respiri affannosi e cercai di
non
essere notata. Mi tappai la bocca e chiusi gli occhi.
Volevo,
si, uscire da quell’incubo, ma rimanevo attaccata alla
realtà.
Desideravo
scomparire. Avrei voluto essere dall’altra parte del mondo.
“Mi scusi,
credo non si senta molto bene. Posso portarla in infermeria?”
sentii la sua
voce.
Fu come se
avessi visto la luce per la prima volta.
Quella
voce, quella soffice voce che tanto avevo sperato di non dimenticare.
Finalmente
la risentii, dopo un periodo di tempo che sembravano essere anni.
Non
riuscivo a muovermi. Avrei voluto alzare la testa e guardarlo, di
nuovo, ma il
mio corpo non me lo permetteva.
“Si,vai
Edward” la voce di un uomo. Si, forse il professore.
Malgrado
desiderassi sparire, restavo comunque legata alla realtà.
Da quel
momento, però, non capii più nulla.
Sentii
delle braccia sollevarmi, le sue braccia, e stringermi forte.
Il suo
profumo, ora, mi stava dando alla testa. La sua pelle al contatto con
la
mia..mi fece rabbrividire.
Non
riuscivo ad aprire gli occhi, ma cercai di godermi il momento. Ero di
nuovo tra
le sue braccia.
Probabilmente
fu di nuovo il professore a parlare “Facci sapere se
è tutto apposto dopo. Ok?”
“Certo”
sentii il suo passo farsi più veloce.
Ripresi a
respirare.
L’aria
fresca e pulita riusciva a farmi sentire meglio, sebbene fossi ancora
senza
forze.
Sarei
potuta rimanere in quel modo per sempre. Era ciò che
desideravo.
La sua
presa era forte ed ero letteralmente attaccata al suo petto.
Provai,
con qualche tentativo, di riaprire gli occhi. Dopo un po’ ci
riuscii.
Vidi di
nuovo il suo volto, questa volta molto più vicino.
Mi
sembrava che non l’avessi mai osservato così
attentamente.
E poi, i
suoi occhi, fissi in una sola direzione.
Avrei
potuto iniziare a parlare, forse era il momento buono, ma avrei
rovinato tutto.
Il suo
passo iniziò a rallentare. Si fermò e si mise
seduto a terra all’entrata della
scuola.
Mi teneva
ancora salda tra le sue braccia, e data la forza, non avrebbe sciolto
l’abbraccio.
Sentivo il
suo sguardo fisso su di me, ma non riuscivo a vederlo, era alle mie
spalle.
Mi scostò
una ciocca di capelli “Bella, stai bene?”
In quel
momento uscì la parte più acida di me stessa.
Per quanto
lo amassi e per quanto ero felice di averlo di nuovo al mio fianco, mi
stava
facendo impazzire con il suo comportamento.
“Credi che
stia bene?” risposi continuando a guardare in basso, cercando
di tenere gli
occhi aperti.
“Lo spero”
disse a bassa voce quasi sospirando.
Scossi la
testa. ‘Si, sto bene, Edward’ avrei voluto
rispondere ‘sto bene se tu sei al
mio fianco’. Non lo feci.
Lasciai
che fosse lui a continuare.
Davvero
non sapevo proprio cosa stava succedendo, e forse non avrei voluto
saperlo mai.
Lo sentii
sospirare forte.
Continuando
a tenermi tra le sue braccia, afferrò un volantino
scolastico per terra.
Iniziò a
scrivere.
Riuscii a
vedere solo la sua mano muoversi. Non avevo il coraggio di girarmi e
guardarlo
di nuovo negli occhi.
Lo vidi
sporgersi con la testa sulla mia spalla e posarmi un foglio tra le
mani: Scusa
per prima. Jane ci ascolta,
non posso parlare ora.
Mi girai
di scatto, senza pensare. Lo guardai corrugando la fronte.
Alzò le
spalle e scosse la testa.
Ero stata
talmente stupida a non pensare ai Volturi, già.
In realtà
avevo considerato l’opzione, e non era mai stata scartata.
Pensavo però che
fosse una cosa passata.
Per quale
motivo ... cosa c’entravano i Volturi?
Ok, prima
o poi l’avrei saputo, ma evidentemente non era il momento
giusto.
Mi sentivo
sollevata dal comportamento di Edward, avvertivo di nuovo la sua
vicinanza.
Ora, non
se ne sarebbe andato. Avrei fatto di tutto per non premetterlo.
Non
avrebbe dovuto più nascondermi niente, ma nello stesso tempo
avevo paura.
Paura
della realtà, si.
Mi guardò
e per la prima volta posò una mano sulla mia guancia e mi
accarezzò.
Sorrisi e
probabilmente arrossii.
Mi tolse
velocemente il foglio dalle mani e riprese a scrivere: Ti amo.
Sentivo di nuovo gli occhi pungere dalle lacrime. Difatti
ne scese un’altra. Abbassai lo sguardo per nasconderla.
Con le sue
mani mi sollevò il mento e mi asciugò una lacrima.
Aprii gli
occhi e lo abbracciai forte.
Delicatamente
posò le sue labbra sulle mie e sentii che la vera Bella di
sempre era
finalmente tornata.
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Capitolo 10 *** Incubi in grigio, nero e bianco. ***
Wait me
Aspettami.
X
- Incubi in
grigio, nero e bianco-
Dentro
di me il mondo stava assumendo i colori del bianco e
nero, un freddo contrasto l’uno accanto all’altro
che volgeva via via verso un
grigio indefinito.
Edward
era il mio bianco, il mio bianco infinito, così
infinito e bello e luminoso, quasi quanto la sua pelle. Così
splendido e
intaccabile, eppure vulnerabile, come il colore dei suoi occhi verdi.
Davanti a
me vedevo un futuro lontano, un futuro felice, qualcosa di migliore.
Il
verde delle sue iridi lo scalfiva appena, le parole non
dette, le bugie ancora non smascherate erano lontane da quel posto
perfetto che
io chiamavo casa.
Nel
nero, però, il verde c’era chiaramente. E anche il
rosso, perfettamente indelebile, segnava il presente con la presenza
dei
Volturi, dei loro occhi di fiamma, occhi che credevamo di aver
sconfitto …
Cercavo
di concentrarmi sul bianco, o, almeno, su quel
grigio chiaro, tornando a casa. Sapevo che Jacob sarebbe stato
decisamente più
felice nel vedermi tornare allegra, e questo avrebbe indotto a Renesmee
a farmi
poche domande.
Risalii
i gradini a gran velocità, armeggiando con la
serratura della porta, e allo stesso tempo tentando di mantenermi in
equilibrio. Ghiaccio, era dappertutto. Ero stata sciocca infondo, io,
con la
mia goffaggine, ad andare a vivere lì.
Poi,
però, il contatto con la maniglia ghiacciata mi
ricordò di colpo la pelle di Edward, e mi ritrovai ad amare
l’Alaska.
Ero
io, la vera io, eppure così lontana da quella di quegli
ultimi mesi da spaventarmi.
Mentre
entravo cercai di rammentare i pochi momenti felici
di quel periodo indefinito.
Renesmee
che mi abbracciava. Primo giorno.
Io,
lei e Jacob in giro per l’Alaska. Secondo giorno.
Una
buona cena. Seconda settimana.
Il
bacio.
Stella,
così uguale ad Alice. Primo mese.
Edward.
Ora.
Sorrisi,
finalmente nel tepore del salotto.
“Bells?”
la voce di Jacob mi ricordò quella di Charlie,
quando mi ascoltava rientrare.
“No,
il lupo cattivo” gridai a mia volta.
Un
rumore di passi giunse dalle scale e vidi Renesmee
corrermi incontro e abbracciarmi. La strinsi a me, annusandone il dolce
profumo, poi la vidi correre di nuovo di sopra.
“Che
fa lassù?” chiesi a Jake, vicino a me.
Alzò
le spalle. “Disegna, dipinge, scrive … Ma se le
chiedo
cosa non risponde” spiegò.
Annuii,
mentre la mia mente oscillava, tremenda, verso la
zona grigia.
Sentii
il mio migliore amico voltarsi e andarsene, senza
altre parole, e il grigio mi inghiotti. Qualcosa dentro di me si mosse,
una
realtà tremenda e stranamente famigliare mi avvolgeva e lo
sguardo che lanciai
a Jacob dovette farglielo intuire. Mi guardò, un’
istante che durò un attimo, poi
si diresse verso la cucina.
Gli
dovetti correre dietro.
“Ehi!”
cercai di afferrarlo per una manica “Ehi, cosa …
Cosa c’è?”
Mi
fissò ancora, mentre una martellante sensazione di
essermi fatta sfuggire qualcosa mi uccideva.
“Non
so cosa disegna. Non so cosa dipinge. Non so cosa
scrive” mi
disse, controllato.
Mi ci volle un po’
per capire che stava parlando di Renesmee.
“Jake
…” tentai. Lui mi zittì con
un’ occhiataccia.
“Non
so a cosa pensa mentre è lassù” aveva
un tono frustato
che mi fece male al cuore “ma posso immaginarlo.”
Dentro
di me tutto urlava. Voleva dire che non stavo
abbastanza accanto a mia figlia, che dovevo dirle la verità
su Edward, che
dovevo parlarle? I suoi occhi neri non mi davano suggerimenti,
c’era solo
rabbia, rabbia e ancora frustrazione e risentimento. Mi resi conto che
non era
solo contro di me solo quando lo vidi avvicinarsi al mio volto,
inspirare profondamente
e poi rivolgermi un ultimo sguardo.
“La
sua puzza si
sente da un miglio di distanza.”
Corsi
di sopra con le lacrime agli occhi. Passando davanti
alla camera di Renesmee avvertii della musica classica a tutto volume,
che
doveva aver coperto il tono di Jacob. Aprii la porta della matrimoniale
con
stizza e con la stessa forza la richiusi dietro di me. Il materasso si
affossò
sotto di me quando ricaddi su di esso e le molle cigolarono piano.
Quando
mi voltai, un acchiappasogni indiano mi fissava da
sopra la testata. Lo afferrai con rabbia, quindi lo buttai a terra sul
pavimento lucidissimo. Una voce nella mia testa chiedeva disperatamente
aria.
Senza
sapere cosa stavo facendo indossai il primo cappotto
che mi capitò in mano e scesi. Mi ritrovai fuori, al freddo,
il buio che mi
avvolgeva.
Non
so per quanto camminai, solo che le gambe cedettero
dopo diversi minuti che forse erano ore. Caddi nella neve, gelida,
senza sapere
cosa fare. Invocavo i nomi di una famiglia di cui non avevo mai fatto
parte,
nomi che si accalcavano sulle mie labbra.
Mia
madre che sorrideva e mi diceva che tutto sarebbe
andato per il meglio. ‘Va tutto bene’. Quanto
desideravo che fosse lì a
dirmelo?
Avevo
così poche certezze –forse solo una, mia figlia- e
un
mondo che mi era ostile, ma di cui volevo disperatamente fare parte. Il
cielo
era nero, sopra di me.
“Va
tutto bene” una voce calda e bassa mi risvegliò,
suadente. Era famigliare, quanto il profumo che mi avvolse assieme alle
sue
braccia. Il freddo si sostituì al sintetico calore di una
coperta di pile. Un
solo nome, ora, soffiava dalle mie labbra.
“Edward
…” mormorai. L’unica risposta fu un
bacio a fior di
labbra. Lo immaginai sorridere, dietro di me.
“Niente
più brutti sogni” mi sussurrò,
cullandomi.
Eh,
ancora ritardo. Ma non tanto questa volta, daaai ^^
Insomma, che ne pensate? Un capitolo abbastanza interessante, no?
Spero
che vi sia piaciuto, carissime :)
Che
altro? Beh … Come vedete, un po’ di romanticismo,
anche
se molti misteri restano ancora … misteri.
Baci,
Missy.
|
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Capitolo 11 *** Scelte ***
waitme11
Finalmente!
Un capitolo con i fiocchi! Davvero importantissimo nella trama, anche
se arrivato molto in ritardo! Sorprese, e un POV molto speciale!
Recensite, forse la nostra storia non vi convince? speriamo che questo
capitolo vi faccia cambiare idea!
Wait
me
Pov.
Edward
Scelte
“Niente
più brutti sogni” sussurrai
cullandola tra le mie braccia.
Eravamo lì,
stretti ormai da un tempo indefinito, nessuno dei due
spiccicava una
parola.
L’unica
cosa che sentivo erano i suoi
singhiozzi soffocati e la mia camicia bagnata dalle sue lacrime.
Mi
stringeva con tanta forza, le sue dita
premevano sulla mia schiena.
Non
me lo sarei mai perdonato.
Stavo
vedendo un qualcosa che non avrei mai
voluto vedere: la persona che amavo, soffrire..per me.
Non
avevo il coraggio di dire niente, ogni
cosa sembrava essere insignificante rispetto al dolore che avevo
causato.
Vederla in quelle condizioni mi terrorizzava, mi faceva sentire una
nullità, e
l’odio verso me stesso continuava ad aumentare.
“Ehi..”
sussurrai quando i suoi singhiozzi
cessarono definitivamente.
Non
rispose, ma diminuì la sua presa forte su
di me.
“Sono
qui ora” le accarezzai i capelli.
A
chi volevo prendere in giro?
Si,
ora ero di nuovo al suo fianco, ma cosa ne
sapevo di quello che sarebbe successo? Tante volte le avevo promesso
che
sarebbe finito tutto per il meglio, le avevo promesso che sarebbe
diventata una
di ‘noi’, che non l’avrei mai
più abbandonata.. ma ogni volta le mie promesse
fallivano.
Alzò
la testa e mi guardò in modo
inespressivo. Ed erano in quei momenti che desideravo più di
qualsiasi altra cosa
sapere cosa le passava per la testa.
Rimasi
sbalordito quando la vidi accennare un
leggero sorriso, e fu in quel momento che mi sentii sollevato.
Dopo
averla fatta soffrire per mesi, avrei
voluto e mi sarei aspettato un comportamento differente da parte sua.
Come
poteva ancora sorridermi in quel modo?
Come poteva stringere l’uomo che l’aveva
abbandonata per la seconda volta?
Avvicinai
la mano alla sua guancia e le
asciugai l’ultima lacrima che era rimasta.
“E’
così
che devi essere. Non voglio vederti piangere per nessuna ragione,
tantomeno per
uno che non mantiene le promesse”. Chiusi involontariamente
un pugno e serrai
la mascella. Solo allora mi accorsi del suo sguardo fisso sulla mia
mano
chiusa.
“Sto..”
deglutì “..sto bene”
“No,
non è vero, Bella. Non stai bene, per
niente. Possibile che cerchi sempre di nascondere tutto? Non so come tu
faccia
a non avercela con me, perché io mi odio a morte per il male
che vi sto
provocando. Eppure tu..tu riesci sempre a perdonarmi”
Mi
guardò storto “Edward, ma che stai
dicendo?”
“Dovresti avercela con me” scandii
bene le parole.
Scosse
la testa “No che non dovrei. Ti amo. E
in realtà dovrei solo ringraziarti per tutto quello che stai
facendo. Ti stai
colpevolizzando, quando in tutto questo non c’entri
assolutamente niente.”
Incrociai
il suo sguardo. “Edward, è vero,
sono stata male, malissimo, e non lo nego. Ora però sei qui
ed io sono felice,
davvero.”
La
vidi sorridere ed arrossire “Beh..se ti fa
piacere, a dire la verità all’inizio ce
l’ho avuta con te, abbastanza direi. Anche
se.. ho sempre saputo che non te ne eri andato di tua spontanea
volontà e che
saresti tornato. Prima o poi.” mi guardò negli
occhi “contento ora?”
Sorrisi
“Si, sollevato direi. Anche se questo
non giustifica nulla. Non ho mantenuto comunque la promessa.”
Mi
guardò alzando un sopracciglio “In questi
casi la tua promessa viene annullata..se non è stata una tua
decisione.”
Scossi
la testa.
“Ecco”.
Eravamo
stati lontani per molte settimane e
anche se in realtà non avrei mai voluto sentire
ciò che avevano passato, avevo
bisogno di sapere.
“Come
sta Renesmee?” Scrollò le spalle.
“Dì la
verità, ti prego” aggiunsi “racconta
tutto”.
“Vorrei
poter dire che sta bene, ma non è
così. Se ne sta da sola tutto il giorno, e raramente parla.
Neanche Jacob
riesce a capirla ultimamente …”
Seguirono
vari secondi di silenzio. “Il
problema è che sono io che non riesco ad aiutarla. Sono una
pessima madre”.
Scossi
la testa “Oh, idiozie!”
“No,
è la verità invece. E’ lei
l’adulta in
questa situazione, è stata lei che mi ha dato la forza anche
quando era la
prima ad averne bisogno. Cerca di non farlo vedere soprattutto quando
è con me,
mi nasconde tutto. Con Jacob è diverso..non riesco a capire.
Devo essere stata
un disastro” rispose ricacciando indietro una lacrima.
Nessie
mi mancava in un maniera terribile.
Avrei voluto stringerla tra le mie braccia. Ascoltare i battiti del suo
cuore e
sentire l’odore dei suoi boccoli dorati.
Era
cresciuta. L’avevo vista di nascosto
qualche giorno prima ed era mancato davvero poco che rompessi la
promessa, o
meglio, il patto.
Non
potevo vederla, soprattutto con la sua
presenza, se c’era lei nelle vicinanze era la fine.
“Bella,
lei ti ama incondizionatamente, sei
sua madre. Con Jacob, beh..è diverso. Con lui può
sfogarsi in maniera diversa,
senza sentirsi in colpa. Non vuole vederti soffrire, è
intelligente.”
Annuì
guardando a terra “Lo so”.
“Vi
ho..sentito discutere prima. Te e Jacob..”
dissi e poi me ne pentii subito.
Annuì.
“Sapevo che tutto ciò avrebbe fatto
male anche a lui in qualche modo, ma ha insistito a venire. Non volevo
convincerlo a far parte di questa strana situazione, ed ora
l’aria che si
respira in casa è insopportabile. Jacob sta
diventando..insopportabile”.
Corrugai
la fronte “Non ci credo che tu stia
parlando di lui in questo modo..sul serio?”
Si
lasciò scappare un altro sorriso “Beh, no.
Solo che quando si comporta in quel modo mi fa saltare i nervi. Non mi
dite mai
niente voi due. Ho il diritto di sapere, o sbaglio?”
domandò retorica.
Iniziò
a giocherellare con delle palline di
neve.
“Hai
ragione, ma non devi prendertela con lui.
Probabilmente avrei fatto anche io la stessa cosa..”
“Cosa?”
mi guardò negli occhi.
“..del
fatto che non ti abbia detto niente
della mia..presenza in città.”
Negò
con la testa “Doveva dirmelo. Non mi ha
mai detto niente, quando in realtà sapeva benissimo che eri
in zona, sapeva
quando eri a dieci metri di distanza. Io non lo sapevo.”
“Ha
fatto bene invece. Sto complicando
ulteriormente le cose. Dovrei andarmene da qui”.
Continuai
a parlare per evitare che venissi
frainteso “Forse avrei dovuto aspettare, come mi avevano
costretto a fare.
Forse dovevo aspettare che la situazione si fosse sistemata, ma..in
realtà non
ce l’ho fatta, non ho resistito.” Sorrisi.
“Hai
fatto bene infatti. Ciò non toglie il
fatto che io ce l’abbia ancora con Jake, doveva
dirmelo” rispose scuotendo la
testa.
“Voleva
tenerti lontana da tutto questo, aveva
ragione. Sarei tornato lo stesso, ma quando tutto si sarebbe risolto. E
magari
ti avrei evitato ulteriore sofferenza” conclusi.
“Edward,
davvero, sto bene. Sono terrorizzata
dall’idea che dovremmo stare lontani di nuovo, ho paura, si.
Ma solo sapere che
stai bene, avere la certezza.. ho pensato al peggio quando eri lontano.
Vederti
qui, davanti a me, è un sollievo enorme”
parlò a voce bassa, come se stesse
parlando da sola, ma riuscii a sentirla, ovviamente.
Mi
avvicinai e le lasciai un delicato bacio.
Sembrava essere molto più tranquilla e non poteva che
rendermi felice.
Chinò
la testa quasi imbarazzata e arrossì.
Non potei far a meno di sorridere.
“Anche
se..beh, purtroppo per me, non potrò
più vederti arrossire, lo sai questo?” scherzai.
Arrossì
di nuovo, anzi, non aveva
mai smesso, ma questa volta si coprì le
guance con le mani.
“Si.
So anche che sarà positivo per me.
Riuscirò a non farmi beccare ogni santissima volta,
è fastidioso” storse il
naso.
Mi
avvicinai e poggiai la mia fronte sulla sua
“Vorrei continuare a vederti così anche dopo, mi
mancherà sul serio. Non sapere
cosa ti passa per la testa è..frustrante. Permetti che
almeno ogni tanto il tuo
corpo ti tradisca con qualche ‘mossa involontaria’?
Non so mai cosa pensi, non
posso riuscire a leggerti nella mente e..”
“Per
fortuna” sussurrò scherzando.
Risi
“e.. almeno posso sapere con certezza
cosa pensi quando arrossisci, o almeno credo di saperlo..”
Chiuse
gli occhi per poi riaprirli “Ok, basta?”
sorrise.
“Beh,
concedimelo. Saranno le ultime volte che
potrò vederti così..” la strinsi forte
e appoggiò la testa sulla mia spalla.
“Edward..?”
chiese quasi sottovoce.
“Si?”
“Cosa
sta succedendo? Non voglio bugie, posso
saperlo.” Deglutii. “Devo saperlo.”
“Andiamo
a farci un giro, ti va?” chiesi alzandomi in piedi,
offrendole una mano.
“Certo”
sfiorò la mia mano e si alzò da terra.
“Cosa
è successo? Voglio dire, per quale
motivo sei dovuto tornare in Italia? Non mi hai ancora detto
niente..penso che
dovrei saperlo” disse decisa e pronta ad avere una risposta,
ma io non lo ero.
Mi
guardai intorno, sapevo che era a migliaia
di chilometri, ma era ormai diventata un’abitudine.
Dovevo
essere prudente.
Iniziammo
a camminare lentamente “Cosa vuoi
sapere?” dissi stupidamente cercando di deviare la risposta.
Alzò
un sopracciglio “Perché te ne sei andato.
Mi hai detto che c’entrano i Volturi.”
Annuii.
“Pensavo
si fossero decisi a lasciarci in pace, sapevano che mi sarei
trasformata
presto..”.
Negai
con la testa “Non c’entra niente la tua
trasformazione in realtà. E’ stata sempre un
pretesto la maggior parte delle
volte. Vogliono un’altra cosa..”
“Cioè?”
socchiuse gli occhi.
“Vogliono
me”.
“Cosa?”
la vidi spalancare gli occhi.
“Non
ci
riusciranno, o almeno spero. Non sono di grande aiuto come pensavano,
se ne
stanno pentendo..sto facendo di tutto” risposi.
“Non
capisco..”
“Ti
sei mai chiesta perché ce l’abbiano
così
tanto con la mia famiglia, con noi Cullen?”.
Non
rispose, continuai a spiegare “Non
riescono a capire perché io ed Alice non vogliamo entrare a
far parte della
loro famiglia. Non sono riusciti a convincerci per anni, e siamo uno
dei pochi
casi. Ogni vampiro si è quasi sempre abbassato ai loro
ordini, ma noi non
l’abbiamo fatto e hanno deciso di agire
diversamente.”
“Alice?
Anche Alice sa di tutto questo?”
abbassò il tono di voce “mi aveva detto di non
saper niente..”
Alzai
le spalle “Non sa molto più di me.”
Puntò
il suo sguardo a terra.
“
I Volturi erano interessati ai nostri
poteri, ma alla fine hanno deciso di lasciar stare Alice, o almeno per
il
momento. Hanno puntato su di me, non so per quale motivo, ma ne sono
sollevato.
Almeno Alice è al sicuro..” sorrisi pensando alla
pazza di mia sorella che non
vedevo l’ora di rivedere.
“Penso
che il mio potere gli serva a qualcosa
in particolare, non sono ancora riuscito a capirlo..”
“Vorrei
che ti lasciassero andare presto”
rispose mordendosi il labbro inferiore.
Mi
incantai quando mi accorsi dei suoi occhi.
Erano cambiati, erano più scuri. Probabilmente per colpa del
tempo, ma ne
rimasi colpito.
“Non
sai quanto lo spero, davvero, succederà.”
Mi
guardò negli occhi. “Quindi tutta la tua
famiglia lo sa..”
Annuì
“Non prendertela, è stato meglio così
per te non sapere niente”.
Scosse
la testa “Invece no, Edward. Avrei
saputo e mi sarei messa l’anima in pace. Avrei aspettato, ti
avrei aspettato..”
“L’
hai fatto lo stesso, vedo” risposi appena
ebbe terminato la frase.
“Si,
ovviamente” fece una risata nervosa.
“Ma
avrei dovuto sapere. Non mi sarei fatta
strani pensieri..”
La
guardai.
“Del
tipo che te ne eri andato di tua
volontà..oppure..che so, che per colpa di qualche sbadata e
goffa ragazza..” la
interruppi posando un dito sulle sue labbra.
Poggiai
la mia fronte sulla sua. “Lo spero
anche io. Voglio tornare dalla mia famiglia.”
Mi
sorrise e allungò un braccio intorno al mio
collo.
Fissò
una parte lontana per qualche secondo
“..forse si, mi sarei preoccupata, ma almeno avrei
saputo” terminò.
Era
meglio che non avesse saputo, davvero.
L’avrei fatta preoccupare inutilmente, avevo fatto bene a non
spiccicare una
parola. Era per il suo bene.
“Mi
dispiace di averti fatto stare in ansia,mi
dispiace davvero. Solo che..” cercai le giuste parole
“..ormai penso di
conoscerti troppo bene.”
Corrugò
la fronte.
“Se
te l’avessi detto saresti venuta a
cercarmi” risi “sei testarda. Non te ne saresti
stata con le mani in mano. E’
per questo che credo di aver fatto bene a non dirti niente..”
Scosse
la testa. “Beh..se mi avessi
trasformato prima sarei venuta ad aiutarti..”
Scrollai
le spalle e ridacchiai “Vedi? Questa
è la prova che ti saresti fatta venire in mente idee troppo
strane che ti
avrebbero messo in pericolo..”
Diventò
pallida e seria “Cosa ti hanno fatto?
Sicuramente c’è qualcosa che mi tieni
nascosto..”.
Mi
immobilizzai alla ricerca di trovare le
risposta più adeguata.
Non
potevo dirle nulla, ma questa volta non
era una mia scelta.
Non
potevo.
Non
avrei dovuto..non mi sarei dovuto
riavvicinare così tanto, avrei dovuto starle lontano come
avevo fatto per due
mesi, perché ora..beh, ero costretto a mentire di nuovo.
Sorrisi
cercando di rimanere il più pacato
possibile.
Iniziai
a torturarmi i capelli “Non è successo
niente. Sai come sono, no? Mi hanno tenuto sotto controllo per un
po’, ma ora
stanno allentando la presa..”
Aggrottò
un sopracciglio. “Sei sparito, così.
Di punto in bianco. Te ne sai andato tu, vero? “
Sapevo
che non aveva creduto alla mia
precedente risposta, ma valeva la pena provare.
Lo
dovevo per lei, per Nessie e per la mia
famiglia. Loro dovevano essere al sicuro.
“Si,
era la soluzione migliore. Non potevo
permettergli di avvicinarsi troppo a Forks, sarebbe stato troppo
pericoloso.
Sono fuggito, e ovviamente mi hanno preso..ma l’idea era
quella. Non potevamo
farci niente.”
Abbassò
lo sguardo e chiuse gli occhi.
“Come
mai ti hanno lasciato venire qui?”
“Vogliono
vedere se sono cambiato, ho capito
solo questo. Penso vogliano essere certi che ti abbia dimenticato,
così da
lasciarmi andare.” Riprendemmo a camminare.
“Ovviamente
non è così, ma se è quello che
vogliono farò di tutto per farglielo credere”.
“Non
ci sto capendo niente..” disse.
“Vogliono
che ritorni ad essere un mostro,
Bella. Un po’ come loro.. ecco. Sono certi che la tua
vicinanza mi stia
portando ad essere più umano, ma non è quella la
mia natura, dicono” spiegai.
“Sono
convinto che non c’entri niente tutto
questo. Più che altro sono utile per qualcosa..ma per molto
poco tempo ancora”.
Sollevò
la testa e mi prese per mano. “Ti
lasceranno andare?”
Sorrisi.
“Probabilmente. Finirà presto. Mi
hanno lasciato solo già per un giorno oggi, ed è
un gran passo avanti. Jane è
tornata in Italia per parlare direttamente con Aro, non so di cosa, ma
questo
vuol dire che si fidano di me.. ed è tutto ciò
che conta.”
“Spero
finisca presto.”
Le
accarezzai una mano “Lo spero anche io. Ma
dovete pensare a voi, ora, qualsiasi cosa succeda. Avrei voluto morire
piuttosto che sapervi in quelle condizioni” alzò
immediatamente lo sguardo
quando pronunciai quelle parole.
“Ok,
forse la parola ‘morire’ non è la
più
adeguata nella mia situazione” cercai di spezzare la tensione.
Ridacchiò
debolmente.
“Qualsiasi
cosa
succederà promettimi che
andrete avanti, perché tutto questo finirà, te lo
prometto. Finirà presto”.
Annuì,
ma sapevo che non sarebbe cambiato
niente. Avrei continuato a fare del male alle persone che amavo, ma
cosa potevo
fare? Nulla.
Vidi
il ciondolo che le avevo lasciato sul suo
polso.
Era
tutto ciò che sapevo con certezza. L’unica
certezza personale che avevo era quella.
Sarebbe
successo, era quello che voleva,
quello che volevamo entrambi.
Lo
rigirai e lessi: “ ‘I promise the lamb will
be a lion’. Ricordatelo, sempre. Perché io non lo
dimentico.“
Mi
sorrise e le accarezzai una guancia.
“Non
sai quante volte ho rischiato di
infrangere il patto” dissi “In realtà lo
sto facendo proprio adesso..”
Continuava
a guardarmi senza staccare lo
sguardo.
“..tante
volte ho pensato che non ce l’avrei
fatta e che mi sarei precipitato da te, da voi. Mi hanno messo alla
prova. Sono
stato più di un mese in questa città. Vi ho
seguito ogni santo giorno e solo
Dio sa quante volte ho rischiato di cedere. Non potevo
avvicinarmi..” strinsi
forte la sua mano.
“Ci
osservi da più di un mese?” sgranò gli
occhi.
“
‘osservo’..beh, si. Non smettevo mai di
seguirvi. Giorno e notte.”
“E
io avrei dovuto saperlo..”
“E
io penso che la tua testardaggine non è diminuita,
vedo” sorrisi.
Fece
un sorriso malizioso. “Avanti, dillo che
te la fai con Jacob..visto che è l’unico che sa
sempre tutto su di te. Devo
pensar male?” a quel punto la sua risata era più
che evidente.
“Cosa?!
No, in realtà.. sto rivalutando Tanya.
Sai..non ha
più quei capelli rossicci di
una volta. Potrebbe quasi interessarmi” continuai a ridere.
Mi
colpì con una leggera pacca sulla spalla e
sciolse l’abbraccio.
Alzai
gli occhi al cielo “Ah, sei rimasta tale
e quale, meno male! Mi fa piacere..” sorrisi.
Si
voltò e sperai non mi fulminasse con lo
sguardo. Non lo fece, ma sapevo che l’avrebbe fatto
volentieri in quel momento.
“No,
ok. Dovresti saperlo che odio i cani
puzzolenti e il biondo rossiccio, per cui.. grazie, ma preferisco
altro” dissi
e la riavvicinai a me. La vidi sorridere di nuovo e abbandonare la
faccia
imbronciata precedente.
“Ti
amo” sussurrai al suo orecchio.
“Ti
amo” rispose, e fui invaso da l’odore
dolce del suo corpo.
Rimanemmo
fermi per una manciata di minuti,
poi riprendemmo a camminare.
Arrivammo
davanti l’entrata di casa. Il cielo
stava diventando buio.
Si
voltò a guardarmi “Credo sia ora di
rientrare, mi stanno aspettando.”
Annuii
e ricambiai il sorriso.
Sentivo
perfettamente la voce di Jacob e di
Renesmee all’interno della casa.
Restò
a fissarmi “..Vuoi entrare?” domandò poi
indecisa.
Sarei
corso, subito.
Sarei
salito per le scale e sarei andato ad
abbracciare mia figlia.
Mi
mancava davvero tanto, ma non sapevo cosa
fare. Sembrava così felice ora, non avrei voluto peggiorare
la situazione.
Lo
avevo già fatto con Bella, mi ero
riavvicinato, contrariamente a quello che era giusto fare.
Non
potevo ripresentarmi e poi andare di nuovo
via, senza sapere quando e se fossi ritornato.
Eppure
quell’odore provenire dall’interno
della casa, anche se alternato a quello di Jacob decisamente cattivo, e
quella
voce così solare e famigliare riusciva a mettermi in
difficoltà.
Scossi
la testa “E’..è meglio di no, credimi.
Quando tutto si sarà sistemato..”
Non
feci in tempo a completare la frase che si
voltò e raggiunse le scale.
“Ok..”
sussurrò mentre saliva i gradini e si
avvicinava alla porta.
Non
si aspettava una risposta del genere, e
aveva ragione..come potevo..?!
La
raggiunsi a tutta velocità “No, aspetta
Bella!”
Mi
avvicinai e le allontanai la mano dalla
porta e la strinsi forte.
Mi
guardò confusa. “Penso che..che sia inutile
aspettare ancora. Devo vederla, e non m’importa se non sto
rispettando le
regole. Non l’ho mai fatto.”
Vidi i suoi occhi diventare lucidi.
Mi
sorrise senza dire una parola.
Avvicinò
la chiave e la infilò nella
serratura. Prima di girare mi guardò e annuii sorridendo.
Era
tutto quello che desideravo, avere di
nuovo la mia famiglia vicino, e non l’avrei impedito.
Improvvisamente
aprì la porta e rimanemmo in
silenzio per qualche secondo.
Renesmee
e Jacob erano ancora nell’altra
stanza, ma improvvisamente li sentii avvicinarsi.
Fu in quel momento che crebbi di
morire, cosa piuttosto improbabile.
Se avessi avuto un cuore sarebbe
andato in tilt per i troppi battiti.
Non
avevo provato mai una sensazione così
strana e bella allo stesso tempo, oppure non lo ricordavo.
“No,
il mio è molto meglio” sentii rispondere
Renesmee a tono.
“Ok,
hai
ragione” Jacob rise.
Ora
le voci erano vicine, fin troppo vicine..
“Mam-”
urlò Nessie appena entrata in salotto,
ma si interruppe appena vide che sua madre non era sola.
Cercai
di sembrare il più tranquillo
possibile, ma non lo ero affatto.
Improvvisamente
il silenzio calò nella casa.
Bella
iniziò a tremare.
Strinsi
la sua mano più forte e solo quando
vidi mia figlia riuscii a capire di aver fatto la scelta giusta.
|
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Capitolo 12 *** Butterflies ***
Ok,
bene, mi scuso profondamente e, ancora, per il ritardo! Sono
imperdonabile, lo so u.u
Ma
guardate cosa vi ho preparato :D Un POV piuttosto improbabile, il
primo, no?
E
poi ... Beh, leggete, ci sono più colpi di scena in questo
capitolo che in metà fanfiction xD
Speriamo
solo che vi piaccia, ci teniamo davvero tanto :)
Missy :)
Wait
me
-aspettami-
12
Butterflies
So I gotta say you give me butterflies deep inside
You give me butterflies
I don't know what to do, do, do without you
Boy, you give me butterflies
Quindi
io devo dire che mi provochi le farfalle dentro
Tu mi dai farfalle
Non so cosa fare, fare, fare senza di te
Ragazzo, tu mi fai sentir le farfalle
Alana Lee, Butterflies
Pov Jacob
Esiste
qualcuno capace di spiegare l'irrazionale?
Qualcuno può raccontare
ciò che non è stato ancora predetto?
Per quanto me l'avessero ripetuto,
ancora e ancora, non riuscivo a crederci. Io potevo.
Quando si è Quilite, si ha un
dono. Possiamo conoscere la strada per la felicità. Abbiamo
uno scopo.
Ci innamoriamo, senza ostacoli, senza
paure, niente di niente. A noi basta questo.
Quante volte era capitato un colpo di
fulmine, sulla terra? Mia sorella Rebecca aveva sposato un surfista
hawaiano dopo soli due mesi di conoscenza. Colpo di fulmine, tutto qui.
Mai avrei creduto che potesse accadere a me.
Certo, il mio non era amore in senso
romantico. Fino ad allora, amavo Nessie come si poteva amare una
figlia, più o meno.
L'impriting era difficile da spiegare:
una promessa, un giuramento. Ti
proteggerò. Aspetterò. Sarà una tua
decisione.
Un giuramento fatto
col sangue, impossibile da infrangere.
'Pensa, pensa Jake! Non puoi
dirle la verità, Bells non te lo perdonereb ... Ma Nessie ha
il diritto di sapere, non puoi ..' Mi guardava
ancora, con i suoi occhi color cioccolato. Cosa fare?
"Edward ..." optai per le mezze misure
"Tuo padre ti vuole bene, Nessie. Tantissimo. Moltissimo bene."
"Sai che è così"
replicai, distogliendo lo sguardo dal suo.'E' una bambina,
come ha potuto farle questo? Le ha abbandonate. Ben sapendo che non
potrà tenere tutto nascosto per sempre, le ha abbandonate.
In balia degli eventi, le ha abbandonate.
Ho già visto Bella
soffrire così, non lo sopporto. Perché lei e
Edward si sono accontentati di una vita fatta di fughe, corse contro il
tempo, paure ... Perché? Rimpiango quando la vita
era più semplice. Rimpiango quando i Volturi erano solo
degli sconosciuti. Rimpiango la mia vecchia vita, per quanto so che non
potrei mai fare a meno di Renesmee. Ma non posso stare
comunque qui a guardare, giusto?'
I pensieri si affollavano nella mia
testa, disperati. Lanciai uno sguardo a Nessie, ma lei aveva ripreso a
disegnare.
Disegnava sempre la stessa cosa, ormai
da giorni: Edward Cullen, suo padre. Dopotutto quello che stava
accadendo, chiunque se lo sarebbe aspettato. Eppure c'era qualcosa di
inquietante, in quel disegno.
Gli occhi Edward erano coperti, in
ombra. Come se Nessie stessa fosse spaventata da quegli occhi. In
qualche modo, anche io lo ero.
Sentii il suo odore ancora prima che
arrivassero in giardino. Certo, la neve cancellava un po' di tracce, ma
quell'odore era qualcosa di impossibile da non riconoscere. Vampiro.
Era strano, ma puzzava più
del solito. Come se si fosse fatto il bagno nella spazzatura, o
qualcosa del genere. Come i quaranta Volturi che erano venuti a
prendere Nessie.
Aggrottai le sopracciglia. Si stava
avvicinando. Passi.
Renesmee alzò la testa,
improvvisamente.
Cosa avrebbe fatto? Sarebbe
entrato in casa? Avrebbe messo tutto a posto?
Per quanto fosse stupido, non odiavo
Edward. Lo rispettavo.
Ma quanto ci avrebbe messo a fare la
scelta giusta?
Riusciva a immaginarsi gli
occhi rossi di Nessie? La voce rotta dal pianto? Lo sguardo vuoto? La
tristezza nel suo animo? La sensazione -no, la certezza- di essere
stata abbandonata?
A me non serviva immaginarlo. Ero
abbastanza in sintonia con lei per riuscire a vedere tutto quello,
anche solo standole accanto.
Ma Edward, perché era
così ... Cieco?
Cosa gli aveva impedito di
tornare? Cosa l'aveva costretto ad abbandonarle?
In tutta la mia vita avevo vissuto
troppi addii -Bella, mia madre, le mie sorelle, la mia vita- per non
sapere quanto ci si sentisse da schifo.
E tutto ciò che
volevo era che Nessie non si sentisse così.
Alzò la testa, che era
chinata sul disegno. Non aveva sentito niente. 'Dio, esisti allora! Da
quanto che non ti fai sentire!'
Mi fermai a guardarla per un istante,
alla ricerca di una scintilla di consapevolezza, di una reazione, ma
non li aveva sentiti, non aveva avvertito la voce di Edward e Bella. O
forse, non voleva sentirli. Scansai affettuosamente una ciocca ramata
che le era ricaduta davanti agli occhi, mentre le voci tacevano. Il mio
sguardo scivolò sul tavolo, poi sul suo disegno. Una
farfalla multicolore, splendida.
"A fare cosa?" mormorò,
fissandomi.
"A disegnare le farfalle."
Un cerchio, due, tre, quattro cerchi ...
Il corpo esile, i colori delle ali ... Non mi impegnavo così
dall'asilo. Renesmee continuava a darmi istruzioni, ridendo. Sentivo
ancora le loro voci, per strada, sempre più vicine. A un
tratto Nessie rimase in silenzio, e la paura si impossessò
di me. Edward e Bella camminavano lentamente, era impossibile che li
avesse sentit ...
"Il cellulare!" disse infine. Oh, ora lo
sentivo anche io.
Mi alzai e frugai sul piano della
cucina, seguendo la il vago schiamazzare della suoneria.
Alla fine lo trovai. Un nome lampeggiava
sullo schermo: Leah.
Mi chiesi cosa voleva da me. Poi pensai
che ero troppo lontano da casa. Se avessi sentito qualunque lupo,
presto avrei sentito la mancanza di La Push. Premetti il tasto di
rifiuto.
Però, ora stava succedendo
qualcosa, di
fuori.
Bella. Il suo profumo, sulle scale.
Edward. Il suo odore, quel puzzo di
morte, di sangue ...
Renesmee si voltò verso di
me, gli occhi spalancati. Li sentiva anche lei.
Io dovevo proteggerla da altre
delusioni. Ma non potevo costringerla. La rabbia mi affollava la mente.
Quasi se ne impossessava.
A fatica sorrisi e le sussurrai:
"Andiamo a salutare la mamma!"
Dovevo pensare. Dovevo distrarla. Era
così difficile ...
"La mia farfalla era più
bella!"
"No, la mia lo era di più!"
Ed erano lì. Bella ... e lui.
Lui che le aveva fatto del male.
Provai a calmarmi, provai a non
guardare. Nessie rimaneva in silenzio.
Poi, dopo un secondo che
sembrò un'eternità, si mosse. Lentamente.
Danzando.
Lui la guardò, gli occhi che
brillavano.
Sapevo che le voleva bene, lo sapevo.
"Ora rimarrai per sempre, vero?" chiese
Nessie col suo tono di bambina, gli occhi lucidi.
"Ti prometto che ci proverò
in tutti i modi, amore mio."
Sapevo che le voleva bene. Che era suo
padre.
E c'era stato sempre un problema,
nell'essere Quilite.
Promettevamo di proteggere il nostro
Impriting. A
qualsiasi costo.
---------------------------------
Accadde tutto in un istante. Paura,
calma, e poi, paura. Jacob era diventato di colpo più
rigido. Edward aveva lasciato andare Renesmee.
"Jacob, calmati ..." mormorò
mio marito.
Non ci fu modo di fermarlo.
D'un tratto un lupo enorme era davanti a
me.
"Non potevo dirle una bugia, Jake."
sussurrò ancora Edward.
Il lupo ringhiò in
risposta. Un gioco di sguardi. Un gioco forgiato da
un identico dolore.
Capii perché Jacob era
così infuriato.
Credeva che fosse colpa di
Edward, ma non era colpa sua se Renesmee soffriva ...
Intanto il vampiro accanto a me aveva
assunto una posizione più rigida, come di attacco.
Ero spaventata, tutte le emozioni si
rivoltavano dentro di me, urlavano, smettevano di avere senso. Come le
farfalle. Era come avere le farfalle nello stomaco. E, allo stesso
tempo, era come essere sul ciglio di un burrone. Ricordavo quella
sensazione ...
"Jake!" gridai, ma non mi diede ascolto. Dovevo
dirgli che non era colpa di Edward, dovevo dirgli che era colpa dei
Volturi se lui non era tornato. Ma
lui non mi guardava neanche ...
"Oh, Jacob, fermati!" provai ancora. Non
si girò. Continuava a tenere gli occhi scuri fissi su Edward. Ma
non era colpa sua, eravamo stati tutti imbrogliati. Edward non se ne
era andato, Edward ... Dentro di me il mondo
diventò nero. Tutto aveva sfumature rosse, di sangue, di
dolore. Perché non potevamo smettere di soffrire?
Perché?
"Mamma!" Renesmee urlò e
tutti tacquero. Solo allora mi resi conto di avere gli occhi pieni di
lacrime.
"Vieni qui, amore mio." mormorai, e lei
corse ad abbracciarmi. Jacob mi guardò negli occhi e assunse
di colpo un'espressione rilassata, quasi ... Preoccupata. Mi lascia
cullare dalla sensazione di avere mia figlia tra le braccia e cercai di
mettere fine a tutta quella confusione.
Alzai lo sguardo. Jacob Black mi stava
guardando.
"Non è colpa di Edward, Jake
..."
Ma Jacob non stava guardando davvero me.
Guardava fuori, verso la finestra. Cosa c'era fuori?
Un secondo di silenzio, poi Jake si
buttò su Edward. Urlai, e mio marito si mosse velocemente
verso di me.
"Li hai portati con te!" la voce di
Jacob era disumana "Uno di loro è qua fuori!"
"Loro chi?!" cercai di alzarmi, ma ormai
Edward era davanti a me.
"Jacob, non ..." provò il
vampiro.
Chiusi gli occhi, mentre sentivo Edward
muoversi e fermare Jacob con la sola forza del braccio. Eppure Jake era
così forte ... Non potevano continuare così.
Aprii gli occhi e mi resi conto che
Edward Cullen e Jacob Black avevano smesso di combattere fra loro. Si
fissavano.
"Jacob, non ne avevo idea ..."
mormorò il vampiro.
"Lo so." il mio migliore amico
continuava a tremare.
Poi Jake alzò la testa e
sussurrò: "E' qua fuori."
"Chi, chi è qua fuori?"
esclamai, ma nessuno parlò. Renesmee fissava il padre e,
appena la lasciai andare, corse da lui. Si abbracciarono.
Ma chi era là fuori? Uno dei
Volturi? Chi, chi faceva preoccupare così tanto un
licantropo?
"Sono stati loro, Jake. L'hanno rapito i
Volturi. " dissi istintivamente. Lui mi guardò e poi
fissò Edward. Alla fine annuì. "Lo so" disse
semplicemente.
Eppure c'era qualcosa ...
"Chi c'è fuori?" ripetei.
Edward mi si avvicinò.
"E' ... tutto ok. Sì,
è tutto ok." disse.
"Come diavolo fai a saperlo!"
urlò Jacob, fuori di sé.
"Leggo i suoi pensieri, dimentichi?" era
calmissimo e concentrato. Lo guardai negli occhi e mi stupii per
l'ennesima volta di quanto erano belli e ... verdi.
"E cosa dice?" era stata Renesmee a
parlare.
"Sta ... Non ci vuole fare del male. Lei ... Lei
vuole che io me ne vada, non devo tornare qui, da voi. " disse infine
il vampiro.
"E' una dei Volturi?" chiesi.
"Ah-ah. Più o meno. Ma non ci
vuole fare del male. Vuole solo che io me ne vada ... Perché
..." Edward si fermò per un attimo "... Non vuole che io
metta in pericolo la sua
umanità. E non chiedetemi cosa
significa."
Poi Edward Cullen si alzò, mi
fissò negli occhi e mi baciò come non aveva mai
fatto prima.
E sparì, come era apparso.
|
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Capitolo 13 *** Speranza ***
Prima di tutto, io e Vale
ci teniamo a scusarci profondamente con tutti coloro che seguivano la
nostra storia, perché è da moltissimo che non
aggiorniamo.
Ho anche notato che l'html di alcuni capitoli era a dir poco terribile,
quindi mi sto adoperando per cambiarne la grafica.
Vogliamo anche ringraziare tutti coloro che ci hanno recensito, letto,
seguito.
Ogni singolo click ci ha fatto felicissime, grazie!
Vi presentiamo quindi il 13° Capitolo della nostra storia ... E
non disperate, cercheremo di pubblicare il prossimo appena
possibile!
A ogni modo, questo qua sotto è un capitolo di passaggio ...
ma davvero importante! Qualche dubbio sarà finalmente
chiarito ... e ... beh ... qualcosa rimmarrà irrisolta.
Ci farebbe infinito
piacere sapere la vostra opinione tramite recensione :)
Capitolo XIII
Speranza
Dedicato a
voi, che ci leggete.
POV
Edward
Ero stanco.
Qualcuno se ne
sarebbe potuto stupire, vista la mia condizione: ero un vampiro. Un
essere
forte, sovrumano. Un animale, dilaniato dalla sete di sangue.
O
forse no?
Da qualche
parte, ne ero sicuro, dentro di me si agitava qualcosa; qualcosa di
umano.
Amore.
E nomi:
Carlisle, Alice … Esme … Bella. Renesmee.
Ed era per
questo che ero stanco.
Sarebbe stato
facile, accettare la proposta dei Volturi: la vita delle persone che
amavo, in
cambio dei miei servigi. In cambio dei miei poteri, per
l’eternità.
Mi avevano fatto
un proposta ufficiale, lì, mentre noi tutti combattevamo per
salvare Renesmee.
Aro mi aveva
guardato negli occhi, e io avevo potuto sentire i suoi pensieri.
“Unisciti a noi
… E loro rimarranno in vita.”
E io avevo
pensato a Bella. A quanto l’amavo. A quanto ero preoccupato
per la sua
incolumità: era umana, aveva bisogno di protezione. Renesmee
… la amavo così
tanto. E la mia famiglia? Non sarebbero sopravvissuti contro i Volturi.
No.
Guardai Aro
negli occhi, e annuii impercettibilmente.
Poi, tutto
divenne più difficile.
Fuggii; i
Volturi mi seguirono, lasciando in pace il resto dei Cullen. Ci
allontanammo da
Forks, instancabili, il più lontano possibile.
Dove potevo
rifugiarmi?
I boschi
divennero la mia casa per sette giorni, ma ormai loro erano sulle mie
tracce.
In un modo o nell’altro, mi avrebbero trovato.
La
prima vittima
aveva diciotto anni, capelli biondi e uno splendido accento francese.
Alec teneva gli
occhi fissi su di me, mentre parlava al telefono con un altro Volturi
–
Felix?-, che si trovava a Forks. Una parola, e avrebbero sterminato la
mia
famiglia.
Cercai di farla
soffrire il meno possibile.
Altre
due
vittime dopo, continuavo a rifiutarmi di bere sangue umano. Ero
così debole che
mi nutrirono a forza. Chiesi a Chelsea perché non mi
uccidevano.
Fu allora che capii
cosa dovevo fare.
Quando dissi ad
Aro che accettavo di fare parte della sua guardia, il suo volto si
contrasse in
un sorriso. Poi ascoltò le mie condizioni.
E ora ero
lì, in
Alaska, giocando una partita estremamente pericolosa, in cui una sola
mossa
falsa avrebbe potuto uccidermi.
O peggio,
uccidere la mia famiglia.
Cercai
di
rammentare i loro volti, le loro voci. Lo facevo per loro.
Erano tutto: la
mia vita, il mio obbiettivo.
Ero distrutta,
distrutta da tutto ciò che mi circondava.
Le cose
sembravano andare meglio, almeno così mi faceva capire
Edward.
Eppure, qualcosa
mi diceva il contrario, sapevo che la tempesta sarebbe ricominciata.
Mille pensieri
vorticavano nella mia testa e non sapevo più a quale dare
una risposta, non le
avevo.
Era tutto un
segreto, lo era sempre stato in fondo. E come darmi risposte se non
riuscivo a
pormi delle vere e proprie domande?
Rovistai in
bagno, nel cassetto dei medicinali alla ricerca di qualche pastiglia
per la
testa.
Aprii la
scatoletta e mandai giù una compressa.
Improvvisamente,
la vibrazione del mio cellulare mi fece cadere la scatola con le
compresse a
terra. Non volevo
parlare con nessuno, così persi tempo a raccoglierle, ma
quel maledetto
telefono continuava a squillare.
Risposi senza
neanche guardare chi fosse nel display.
“Bella,
sono
Stella. Scusami se ti chiamo a quest’ora, ma ho provato anche
questo pomeriggio
e..beh, stavi dormendo?”
“No,
tranquilla”
la rassicurai.
Sentii un breve
silenzio. “Ok allora. Volevo chiederti se avevi voglia di
venire a scuola con
me domani. Andiamo insieme, se ne hai voglia..”
Corrugai la
fronte. “Stella, è più di un mese che
andiamo a scuola insieme, non è una
novità”.
La sentii
ridacchiare. “Si, ovviamente lo sapevo. Intendevo con la
macchina. Andiamo a
scuola con una macchina..” scandì bene le ultime
parole.
“Aspetta.
Da
quando hai una macchina?” domandai.
Da quando ci
eravamo trasferiti non avevo sentito la necessità di
comprarmene una o di
affittarla.
Non che dovessi
girare tutta la città, avevamo tutto quello che serviva
nelle vicinanze, e non mi fidavo
più di me stessa, chissà cosa avrei potuto
combinare alla guida di una
macchina..
In
realtà,
aspettavo solo il giorno per ritornare a Forks, non sarei rimasta per
molto
tempo in Alaska, per cui non ne valeva la pena. Almeno era quello che
speravo.
“Da..oggi!”
rispose entusiasta.
Per un attimo
avvertii una sensazione di angoscia.
“Beh,
quindi? Ti
passo a prendere domani?”.
Chissà
per quale
motivo avrei voluto che fosse stato qualcun altro a farmi una domanda
del genere,
ma evidentemente niente sarebbe stato più come prima.
“No”
risposi
secca. “Il biglietto del bus non è ancora scaduto,
penso andrò con quello”
risposi secca.
“O-ok”
la sentii
balbettare “Come vuoi. C-ci
vediamo a
scuola allora..Buonanotte”.
Attaccò
senza
neanche aspettare una risposta, e io, imbambolata, mi sentivo
totalmente in
colpa.
Stella era la
persona più dolce che avessi mai conosciuto, o quasi.
Era stata una
delle poche persone con la quale ero andata d’accordo dal
primo giorno e mi
aveva aiutato, sempre, ogni volta che poteva.
Sembrava avessi
trovato un clone di Alice qui in Alaska, era quello che provavo ogni
volta che
stavo con lei..
L’unica
cosa
diversa era che lei non sapeva la verità su di me, non avevo
mai aperto bocca.
D'altronde, come potevo? Mi avrebbe riso in faccia. Mi avrebbe guardato
negli
occhi e sarebbe scappata via urlando: 'ma con chi diavolo ho stretto
amicizia
io? Una pazza!'
No, non sarebbe arrivata fino a quel punto, ma sarebbe scappata lo
stesso, e
forse avrebbe fatto bene.
Probabilmente in
quel momento stava pensando che fossi la solita ragazza alle prese con
attacchi
da
oh-mio-dio-quanto-è-figo-quel-ragazzo-ma-a-lui-non-piaccio o
qualche altra
paranoia adolescenziale. Non sapeva niente di me, ma non era colpa sua.
Riuscivo
a prendermela sempre con chi era innocente, chi non c'entrava
assolutamente
nulla. Era sempre così, ormai.
Mi sentii una
schifo e digitai tremando il suo numero di telefono, con la paura di
ricevere
un bel 'vaffanculo' diretto.
Chissà, forse mi avrebbe fatto bene, mi avrebbe svegliato.
Mi sarei
aspettata una valanga di insulti, ma non fu così.
“Bella?” rispose calma dopo
un paio di squilli.
“Sai,
odio
quell’ autobus puzzolente pieno di gente che ti schiaccia
come una sottiletta
in un angolo..”
Rise.
“..e quel
depresso accanto che spara canzoni heavy metal alle 7 di
mattina..”
Presi un
respiro. “E’ ancora disponibile un posto tranquillo
in macchina?”
“Scusa
Stella,
davvero. Non so cosa mi sia preso. Sono solo..stanca, ecco”.
Cercai in
qualche modo di dare una giustificazione. Banale, ma l’unica
che potessi darle
per il momento.
“Bella,
tranquilla. Capita a tutti, è normale, non devi
scusarti”.
Sbuffai.
“Si, ma
capita solo a me. Sono un disastro”.
Avrei voluto
tanto
imparare a tenermi tutto per me. Lo facevo, ma con chi non dovevo. Gli
unici a
rimetterci erano sempre le persone che mi stavano vicino, mio malgrado.
“Non
lo sei..te
lo assicuro” disse dolcemente.
Seguirono attimi
di silenzio. “Stella?”
“Sei
un’amica
fantastica. Ti voglio bene, seriamente. E grazie di tutto, sto davvero
bene con
te, mi fai sentire bene”.
Fff.
Brava
Bella, brava. Sputa
il rospo solo quando ti fa comodo e fai la figura della
scema, dai.
Lo pensavo
davvero, non era una di quelle bugie che ero costretta a raccontare
per nascondere la mia vita, ma mi venne spontaneo sussurrare un "che
stupida", riuscivo sempre a peggiorare le mie 'belle' figure, bene.
"Ehm..Bella,
credo di non aver capito l'ultima cosa.."
"No, lascia perdere, sono una cretina. Davvero" sbottai con me stessa
e chiusi con forza lo sportello del bagno.
“Ok, credo di
essermi persa qualche passaggio, domani mi spieghi" la sentii
rispondere
dolcemente.
Si, cosa ti
spiego? Ti spiego che sono una stupida, che parlo quando non devo,
quando
dovrei non lo faccio e me ne esco sempre al momento sbagliato. Un punto
in più
per Bella, si, sbuffai.
"E'
che..quelle parole dovevano risultare vere, invece sono passate per
tutt'altro,
ecco".
"Bella, posso dirti una cosa?" Eccoli, sarebbero arrivati tutti
insieme i 'complimenti' che mi aspettavo.
Chiusi gli occhi
nell'attesa di una risposta. "Ti fai troppi problemi, tu. L'avevo presa
come la cosa più dolce del mondo, io".
Sorrisi. "Quindi - continuò - vedi di non romperti la testa
con queste
cavolate, ok? Altrimenti domani, appena ti vedo, inizio a prenderti a
pizzichi"
Mi misi seduta
ai bordi della vasca - "No, quello no! Sai che non li sopporto!"
La sentii
ridacchiare, ma la immaginai ridere maleficamente. "Secondo te, potrei
fare qualcosa che sopporti? No, era quello il mio intento".
"Sempre
gentile, grazie".
"Non
c'è di
che. Allora? Sto aspettando una risposta" disse velocemente,
mangiandosi
le parole e marcando, involontariamente, l'accento italiano.
"Ok, va bene" sorrisi.
Tossì un paio di
volte "Mh, allora domani, alla solita ora?"
“Ok,
domani alle
7 sotto casa. Perfetto!” risposi contenta.
“Beh,
buonanotte
allora..”
“Buonanotte,
Stella.”
Ma prima che potessi anche solo avvicinare il dito al pulsate per
terminare la
chiamata ...
"Eh..Bella?"
"Si?" risposi curiosa.
"Hai presente quella cosa dolcissima che hai detto prima, no? Vale
anche
per me".
Aw. "Non farmi piangere a quest'ora, ti prego".
La sentii ridere piano "Buonanotte".
Spensi il
telefono e lo rimisi al solito posto, nella mia tasca.
Avevo bisogno di
una pausa, ero stanca e avrei volentieri
fatto una bella dormita, anche se era più di un mese che non
riuscivo a
chiudere occhio per più di due ore.
“Eppure
da
qualche parte devo averle messe..” sbuffai davanti allo
sportello del bagno, lo
riaprii.
Finalmente
trovai la bottiglietta di gocce per conciliare il sonno e ne versai una
decina
in un bicchiere.
Raramente
mandavo giù quello schifo, ma era l’unica cosa che
mi garantiva qualche ora di
riposo.
Mi avviai verso
la sala, sentivo le voci provenire dal televisore ed ero sicura fossero
lì
davanti.
“Hey
tesoro,
vieni qui..” la sollevai e la presi in braccio appena la vidi.
Aveva i capelli
raccolti in una coda di cavallo, profumati e pieni di boccoli ramati
che le
ricadevano sul viso.
Mi strinse forte
in un abbraccio, come non faceva da tempo ormai, ma sapevo che la colpa
era
solo la mia.
Non ero
più la
stessa, non lo ero con nessuno.
Affondai il viso
tra i suoi capelli e cercai di non farmi prendere dai sensi di colpa.
Jacob era seduto
accanto al bracciolo del divano e ci guardava sorridente.
Sembrava
tranquillo e non aveva più quell’aria da duro di
qualche ora prima.
Fui sollevata,
non volevo discutere di nuovo, non quella sera.
Mi sedetti
accanto a lui con Renesmee sopra le mie gambe e lo guardai sorridendo
appena.
“Allora, cosa
avete fatto oggi?” chiesi.
“Siamo andati al
parco insieme a Paul e Eleonor..” sorrise Nessie mentre
giocherellava con le
mie mano.
Corrugai la
fronte. “Paul e Eleonor?” domandai rivolgendomi a
Jake.
Rise.
“Si, i
figli dei vicini. Si sono accorti solo oggi che questa casa ora non
è più
disabitata, ma sono stati molto gentili”.
“Ah.” Risposi
sorpresa. “E vi siete divertiti?”
“Si.
Ho parlato
con Eleonor, ma Paul è ancora troppo piccolo e piange
sempre” scrollò le spalle
“Annie, la loro nonna mi ha fatto assaggiare dei biscotti
buonissimi..” scese
dalle mie gambe e si diresse in cucina.
Ritornò
con un
piatto colmo di mini biscotti colorati “Me ne hanno dati
anche un po’ per te”.
Jacob allungò
una mano, ne afferrò uno e Renesmee gli lanciò
un’occhiataccia.
“Oh,
devono
essere davvero gentili..” ne afferrai uno anche io.
“Quella
signora
già stravede per Nessie e le regala un sacco di dolci, non
è giusto!” esclamò Jacob
“Renesmee guarda qua, Renesmee puoi prendere questo, Renesmee
guarda cosa ti
regalo..” imitò una voce stranissima e mise il
broncio lasciando intravedere un
sorriso “e io?”concluse Jacob.
“Te
sei un
pochino cresciuto Jake..” risposi facendo un occhiolino a
Nessie.
Renesmee sorrise
sedendosi di nuovo sopra le mie gambe e Jacob alzò gli occhi
al cielo
sbuffando.
La baciai su una
guancia e la strinsi forte. Si avvicinò al mio orecchio e
sussurrò “Non sono
molto d’accordo su questo” stando attenta a non
farsi sentire da quel ragazzone
accanto a lei.
Non potei fare a meno di ridere e riuscii a malapena a soffocare la
risata con
una mano.
Eravamo pronte ad uno sguardo fulminante di Jacob, che però
non arrivò.
Si guardava in
giro, cercando non so cosa. All’improvviso abbassò
lo sguardo verso terra.
“Ah,
Bella..ha
chiamato Edward poco fa” mi informò.
Mi voltai a
guardarlo. “Come mai ha chiamato proprio te? Non aveva il mio
numero?”
“Voleva
solo
sapere come stavate. Pensava dormissi e non voleva
svegliarti”.
“E
cosa..ti ha
detto altro?” domandai velocemente.
“Mi ha detto di tranquillizzarti. Ha detto che si
farà vedere presto, l’ha
giurato. Ecco, è tutto quello che mi ha detto”.
Scrollai la
testa. “E’ incredibile. Non ci capisco
niente..prima se ne va via, torna, si
comporta in modo strano e poi chiama te per sapere come stiamo. Anche
oggi,
appena ha visto quel ‘qualcuno’ fuori la finestra
ha cambiato atteggiamento.
Riesci a capirci qualcosa te?”.
Spostò
lo
sguardo verso terra e strinse i pugni per poi riaprirli.
“Probabilmente..forse
poteva essere un vampiro” concluse tutto d’un fiato
abbassando la voce.
“Poteva,
o lo
era?” lo guardai seria.
“Probabilmente
lo era. Bella, non prendertela”.
Rimasi
impietrita “Ora lo difendi anche? Da quando siete diventati
così intimi?”
Iniziai ad alzare la voce involontariamente “Da quando vi
divertite a tenermi
sempre all’oscuro di tutto? Non eri te quello ch- “.
“Bella”
mi fermò
“Non lo sto difendendo, non lo sto facendo. Lo aiuterei,
potremmo aiutarlo, ma
non dice nulla neanche a me” rispose sospirando.
“Non
ti dirà mai
niente, non dirà mai niente come ha sempre fatto..e il fatto
che io debba
venire a sapere certe cos-” mi fermai appena in tempo.
Nessie ci
ascoltava e non avrei dovuto neanche iniziare quel discorso.
Rimandai
velocemente
indietro una lacrima senza farmi vedere.
Jacob si
avvicinò e mi strinse con un abbraccio “Prometto
che proverò a scoprire
qualcosa..anche se non voglio ammetterlo, Edward è mio amico
e devo pur fare
qualcosa anche io, è mio dovere. E devo chiederti scusa per
oggi, mi sarei
dovuto trattenere..” sospirò “..ma non
è stato facile”.
Negai con la
testa e sorrisi.
“Ti
aiuterò,
Bella. Andrà tutto bene. L’ha detto anche lui, no?
Fidati” mi rassicurò.
“Già.
Dovrei
farlo, ma non è facile neanche quello. Sembra si diverta a
mettermi confusione
in testa. Già lo sono, seriamente, eppure lo fa ogni giorno
che passa. Non ci
capisco più niente. E quel..quel vampiro di cui parlavi?
Aggiungiamo altra
gente, evviva. Riuscirò mai a
capirci
qualcosa?!”.
“Ma..non
so,
Bella. Forse sei te che..pensi troppo.
Probabilmente la cosa è più semplice
di quello che sembra..no?” mi
guardò poco convinto.
“Certo, Jake, certo. Credo che tutto ciò che penso
io sia niente in confronto a
quello che sta succedendo in realtà. Ora, anche in questo
preciso istante”
risposi, mentre il mio cervello iniziava ad andare in fumo.
Lo sentii
ridacchiare “Okay, è molto rassicurante parlare
con te, veramente” scherzò per
poi tornare serio.
“Senti..” continuò “a parte
gli scherzi, non penso sia nulla di grave,
spaventoso o qualsiasi cosa ti salti in mente. Era abbastanza
tranquillo, se
fosse stato … oddio, l’avremmo capito, non
pensi?” sospirò “Io credo che tutto
quello che dobbiamo fare è aspettare. Aspettiamo, le cose
andranno a posto.
Edward sa cosa sta facendo”.
Lo speravo, seriamente. Avrei voluto mettere in ordine nella mia
testa..la mia
vita. Eppure non ci riuscivo.
Come se la mia vita fosse stata un puzzle da 500 pezzi, ma non riuscivo
a
trovare i dieci -o forse anche più- pezzi mancanti.
Tutto
ciò che
mancava per completare il mio puzzle, in realtà, era Edward.
Senza di lui al
mio fianco non sapevo nulla.
“L’ho
sempre
saputo quello. Sa benissimo cosa sta succedendo e..okay, io non devo
saperlo,
cercherò di farmene una ragione, anche se
continuerò a torturarmi ogni giorno,
e lui lo sa bene. E’ l’unica cosa che posso fare
oltre ad, ovviamente,
aspettare” risposi con la gola secca.
“Sarà
lui a
sistemare le cose, Bella, lo sta già facendo. Te non devi
preoccupartene,
stanne fuori. Vedrai che non è niente e che
tornerà tutto al suo posto, ogni
cosa. E’ questione di poco di tempo” sorrise.
Lo imitai,
comparve un piccolo sorriso sul mio viso, un sorriso di speranza.
“Vorrei avere un po’ della tua
positività, Jake. Anche solo un quinto di quella
che hai te. Basterebbe, per me” scrollai la testa.
“E’ per questo che sono qui, no?”
Mi avvicinai e
lo abbracciai forte.
Nessie dormiva
appoggiata al bracciolo del divano e il suo viso appariva,
fortunatamente,
rilassato.
“Penso che..la visita di Edward oggi le abbia fatto bene. Era
contenta..non la
vedevo così da settimane” sussurrai mentre Jacob
accarezzava il mio braccio.
“E’ tutto ciò che le manca. Anche a me
mancherebbe mio padre” rispose deciso.
Mi morsi il labbro. Mi sentivo così in colpa, eppure..non
potevo fare niente.
“Ha fatto bene anche a te..” continuò
guardandomi negli occhi.
“Non
proprio.
Non sopporto l’idea di averlo vicino senza sapere quando lo
rivedrò, quando se
ne andrà e se ritornerà. Mi fa impazzire tutto
questo” distolsi lo sguardo
verso la finestra “…Si, mi ha fatto bene, in
fondo. Passo per passo, devo
farcela, dobbiamo. Devo farlo a partire da oggi. Solo così
posso pretendere che
le cose ritornino al proprio posto”.
Vidi i suoi occhi inumidirsi, stranamente. Solitamente ero io quella
che si
faceva prendere da tutto, da ogni piccola cosa, soprattutto quando ero
persa,
sola, senza il supporto fondamentale di Edward.
Eppure, quella sera, Jacob
prese il mio posto e lasciò a me le sue poche speranze.
La sveglia
segnava la solita ora, i vestiti erano già pronti sul
bracciolo della poltrona
posta accanto alla finestra, Nessie dormiva ancora nel suo letto e la
macchinetta del caffè bolliva in cucina.
Tutto questo si ripeteva ogni mattina, da una decina di settimane.
Era ormai
arrivato Aprile e tutto ciò che aveva portato l'inverno era
ormai solo un
ricordo.
Mi avvicinai
alla finestra della mia camera e osservai lo splendore e la calma della
città.
Gli uccelli
volavano alti nel cielo limpido, finalmente le giornate serene
iniziavano ad
essere sempre più frequenti, nonostante il vento freddo e le
temperature non
più superiori ai 5 gradi.
Il mio respiro
sul vetro creò una piccola chiazza opaca, succedeva anche
quando ero piccola e
ogni volta mi divertivo a fare uscire il mio lato artistico.
Senza pensarci
troppo avvicinai l'indice al vetro ed iniziai a lasciarmi andare ai
pochi
ricordi che erano rimasti nella mia mente.
Il vetro era
freddo e la mia mano, le mie dita, a contatto tremarono.
Scrollai le
spalle, chiusi gli occhi dando via alla mia creatività.
Subito dopo pochi secondi, comparve di fronte a me una rosa. -Era
quello il mio
unico ricordo?- Forse era quello più doloroso ed era quello
che, stranamente,
ricordavo tra tutti. Ricordavo sempre tutto ciò che mi
faceva male e portava
solo dolore.
Ansia, dolore.
Ansia,
tristezza, dolore.
Ansia, disperazione, tristezza, dolore.
Ansia,
disperazione, tristezza, speranza, dolore.
Quando sarebbe
passato? Quando la mia vita sarebbe tornata normale? Era tutto quello
che
chiedevo, niente di più.
I ricordi facevano solo male, ma per quanto provassi a esserne
indifferente,
tornavano sempre.
Cancellai
l'immagine alla finestra con la manica del maglione e tirai
giù le tende
bianche, dalle quali filtravano i deboli raggi solari.
Mi avviai verso
il corridoio e giunsi alla camera di Renesmee. Dormiva tranquilla e il
suo viso
celava quasi un sorriso nascosto.
Era rannicchiata su sè stessa e teneva stretta in mano il
pinzo della coperta
che le era stata regalata da suo padre e che lei custodiva sempre
gelosamente.
Mi avvicinai
cercando di far meno rumore possibile e posai un delicato bacio sulla
sua
guancia, leggermente rosata.
Affondai
il viso tra i suoi capelli e ispirai
forte il suo profumo.
Sentii la sua
mano posarsi delicatamente sulla mia. "Buongiorno, mami",
sussurrò.
Sorrisi
"Buongiorno. Dormi, è presto".
Non fece in tempo neanche ad ascoltare le mie parole che richiuse gli
occhi e
tornò a dormire, coprendosi fino al collo con la sua coperta
tanto amata.
Era
decisamente
un buon odore quello che proveniva dalla cucina. Mi avvicinai
lentamente,
cercando di indovinare cosa avrei trovato per colazione quella mattina.
"Buongiorno,
bella addormentata" disse Jake appena mi vide.
"Sono sveglia da prima di te, simpaticone", feci una linguaccia.
Rise e spense il
fornello, maneggiò un pò con un paio di piatti
che poi appoggiò delicatemente
sul tavolo.
"E' l'aria
del Lunedì che ti rende così...?" chiese
scherzando.
"No,
è
l'aria di una nuova settimana. L'ennesima, Jake", afferrai una
ciambellina
ai mirtilli e l'addentai velocemente.
"Attenta,
è
calda" mi avvertì. Scrollai le spalle.
"Oggi torno
un pò più tardi, ho il corso pomeridiano di
biologia. E' lunedì - marcai la
parola - ricordi?".
"L'avevo
detto io che era per quello!", sorrisi.
Si sedette a
tavola e iniziò ad osservarmi. "Non mangi te?", chiesi.
"No, non ho
fame ora. Aspetto Renesmee, le faccio compagnia".
Versai un
pò di
thè nella tazza e soffiai forte. "Jake, secondo te... se
mandassi Nessie a
scuola sarebbe una buona idea? Sarebbe per poco tempo, un paio di mesi,
nessuno
si accorgerà dei suoi cambiamenti. Penso che..che potrebbe
distrarla un
pò", chiesi e lo guardai negli occhi.
"Anche secondo
me sarebbe una buona idea.. ma..ormai è difficile scambiarla
per una bambina di
5 anni", disse e alzò le spalle.
"E dovrebbe
iniziare le scuole elementari, quindi..." dissi, in modo quasi ovvio.
Mi
guardò e annuì leggermente.
"E'
che..Jacob, è lei quella che soffre di più qua
dentro, più di tutti..le manca
tutto ciò che avevamo prima. Lasciarla così,
senza nessuno svago..non penso
possa farle bene.." bevvi qualche sorso.
"Potremmo..non
so, potremmo organizzare qualche festa?", mandai quasi di traverso il
contenuto della mia tazza. "Che?!"
"Potremmo
invitare gli amici del parco di Nessie..anche i vicini, è
diventata come una
terza nipote per la signora Mary. E poi..Stella? Stella, quella ragazza
di cui
mi parlavi, quella che viene a scuola con te, giusto?",
domandò.
Ehm, si. Stella
non sapeva niente di me, nè di mia figlia. Come me ne sarei
uscita?
'Ehi, Stella,
lei è mia figlia..sai com'è..'
Ecco come ci si
ritrova dopo mesi di bugie.
"Mh,
potrebbe essere una buona idea..forse, si, potrebbe farle bene. E poi,
cavolo,
sono l'unica che ancora non conosce i vicini!", dissi convinta.
Valeva la pena
tentare, cosa c'è di male nel confessare i propri 'peccati'
a una persona che
crede di sapere tutto di te? Succede a tutti, non ho ucciso mica
nessuno, o
sbaglio?
"Potremmo
fare venerdì sera, sabato non hai scuola", propose. Afferrai
un'altra
ciambellina e la marmellata mi colò tra le mani.
"Allora....andata?",
chiese con un sorriso stampato in faccia.
"Andata,
dai! Devo avvertire Stella, però".
"Al resto
penso io, tranquilla", sorrise e mi avvicinai ad abbracciarlo.
"Complimenti
per le ciambelle, sono davvero buone, lupetto", scherzai.
"So anche
che le feste mettono di buon umore..eh!?" mi accarezzò la
schiena.
"Forse -
ridacchiai - Devo correre, mi aspetta Stella fuori" mi avvicinai alla
sedia e sollevai lo zaino.
"Buona
giornata", mi fece l'occhiolino, "divertiti".
"Anche a
voi...vi chiamo più tardi, mh? Grazie della colazione!".
Prima di
voltarmi, però, aggiunsi "Stai attento a Nessie.."
Mi
guardò
stupito alzando un sopracciglio "Co-"
"Okay,
okay, hai ragione, non dico più nulla. Solo.. non farla
pensare troppo, ti
prego".
Sorrise
dolcemente e annuì, mi salutò con un gesto della
mano mentre mi allontanavo da
casa.
"Buongiooorno!" urlò Stella da dentro la sua nuova macchina
color
nero, nero abbastanza lucido. Molto, direi.
Mi avvicinai
guardandomi intorno, nessuno l'aveva sentita, menomale.
"Cosa.ti.urli?
Non sono sorda" sussurrai sporgendomi dentro la macchina dal finestrino
aperto.
"Ti
piace?" mi seguì e bisbigliò anche lei.
"Si, mi
piace...wow! Non ne ho mai vista una da queste parti..anzi, credo di
non aver
mai visto una macchina del genere.." dissi accarezzando la vernice
della
macchina.
Rise. "E'
appena uscita in Italia, non è ancora arrivata qui", disse
facendomi segno
di entrare.
Aprii lo
sportello con il timore di poter rompere qualcosa e mi sedetti
delicatamente
sul sedile.
La macchina
aveva un buon odore, come tutti quelli delle macchine nuove. Sapeva
di...lavanda misto a vaniglia, un odore talmente pungente che ti
inebriava i
polmoni, ma era abbastanza piacevole.
"Quindi?
L'hai fatta portare qui dall'Italia?! Te sei pazza!" , domandai
guardandomi in giro.
"Che sarà
mai..non ne avete di macchine così qui, dovete farvene
un'idea".
Mi girai di
scatto
e la guardai ridendole in faccia "Pff, dovevi vedere con cosa andavo in
giro io. Una macchina che te avresti sicuramente portato a rottamare,
ma non mi
ha ancora abbandonato. Questa - indicai - tra 5 anni dovrai buttarla".
"Nah, non
è
vero, durerà più della tua".
"Contaci"
ridacchiai.
"Un giorno
me la farai vedere da vicino.."
"Ma l'hai
vista già in foto....", risposi.
"Appunto,
in foto", sorrise.
"Okay, si-signora", poggiai lo zaino tra i piedi e Stella mise in
moto.
Tutto
ciò che mi
sarebbe aspettato quel giorno? Due ore di Spagnolo e due di Italiano,
non
potevo chiedere di meglio.
Non avevo scelto
quello di letteratura inglese, ne avevo fatta talmente tanta gli ultimi
quattro
anni che mi sarebbe bastata a vita.
Non ero riuscita
a scegliere storia e arte, erano i corsi che andavano di più
quell'anno ed ero
arrivata troppo tardi.
Matematica..beh,
meglio stendere un velo pietoso. A malapena riuscivo a prendere la
sufficienza
al liceo, figuriamoci.
Avevo trovato
due corsi di lingua, perchè no? Non che mi sarebbero serviti
a qualcosa, ma la
scuola chiedeva di seguire almeno tre corsi e così tutti
dovevano fare.
"Ahm, a
proposito, scherzavi ieri con il fatto di cambiare corso?", domandai.
Si
girò a
guardarmi, continuando a tenere stretto il volante "Ehm...no? E' tutto
vero, mi sono stufata di fare corso di architettura, è una
palla assurda".
"E? Vieni a
fare il corso di italiano!?"
"...si!",
rispose soddisfatta, la guardai scuotendo la testa. "Cosa
c'è?",
continuò.
"Potresti
insegnarlo te ai professori l'italiano, che senso ha?"
"Ha il
senso che la mia voglia di studiare è partita per qualche
viaggetto e non ho
idea di quando avrà voglia di tornare, ecco cosa", sorrisi.
"Ora mi
è
tutto più chiaro", rise. "Mi darai una mano allora..vero?".
"E' una
minaccia?" rise, voltandosi a guardare distrattamente fuori dal
finestrino.
"Stella!
Attenta...", mi allungai per spostare leggermente il volante.
"E' tutto
okay, tranquilla".
La osservai
guardare in giro pensierosa. Un altro particolare di Stella? Cambiava
umore
ogni 5 secondi. Stranamente andavamo d'accordo, nonostante fossimo due
caratteri molto simili.
In quel momento
pensai a tutte quelle persone che avevano a che fare con me..come
facevano a
sopportarmi? Doveva essere veramente difficile, si.
A volte, la
maggior parte delle volte, non riuscivo neanche a sopportarmi da sola,
figuriamoci.
In quel momento,
non so come, mi vennero in mente i miei genitori. Era da tanto tempo
che non li
vedevo, sarei dovuta andare a trovarli, altrimenti lo avrebbero fatto
loro. Mi
mancavano, mi mancava tutto di Forks e la mia vecchia vita.
La vita che
sembrava perfetta fino a tre mesi prima.
Mi incantai a
guardare il volante, persa tra i miei pensieri. "Riesci a guidare con i
guanti te?", chiesi non appena
notai quel particolare.
"Fa troppo
freddo qui, mi si gelano le mani!" rispose.
"Uh, che
novità", scherzai e Stella continuò a guardare
dritto la strada.
Il sonno si
stava impossessando di me e i sedili super-comodissimi erano dalla sua
parte,
ma non gliel'avrei data vinta.
Mi appoggiai
saldamente al sedile e il mio sguardo cadde sull'impianto stereo.
"'Claire
de Lune? Dimmi che l'hai rimessa nel CD nuovo.." lo scongiurai mentre
accendeva lo stereo e con l'altra mano teneva stretta la mia.
Si
voltò a guardarmi e mi sorrise.
"Aw"
mi avvicinai e misi le mie braccia intorno al suo collo. Mi strinse
forte a sè
e mi lasciò dei delicati baci sui capelli.
Mi
accoccolai nel suo petto e scrollai la testa. "Sembro una bimba di 4
anni,
che scema.."
"Sei
tanto dolce quando fai così, invece", sentii il suo respiro
lieve tra i
miei capelli.
Rimanemmo
in silenzio per svariati secondi quando sentii all'improvviso una
melodia
familiare..
Sollevai
lo sguardo cercando i suoi occhi e, come sempre, mi persi nel suo
sguardo.
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Capitolo 14 *** Vampiri -Parte 1- ***
Mi scuso prima
di tutto per il ritardo ... ma, beh, è un capitolo niente
male. Tante cose succederanno e ... non voglio anticiparvi niente u.u
Inizialmente era
un capitolo intero, ma abbiamo preferito dividerlo ... e speriamo che
la seconda parte arrivi meno in ritardo xD
Anche se devo dire che una
piccola recensione da parte vostra ... aiuterebbe :)
Io e Vale ci
auguriamo che questo capitolo vi piaccia :D
BACI
Missy&Vale
Capitolo XIV
Vampiri
“E mi
avresti detto della cena dell’università
… quando?” chiese Jake.
Mi fissai
allo specchio socchiudendo gli occhi. Alice aveva stile, senza dubbio.
Il top era
azzurro
ed elegante; si abbinava benissimo con i miei occhi e il mio incarnato.
Sotto
avevo dei pantaloni scuri. Sorrisi, anche se non mi sentivo per niente
a mio
agio.
Avevo saputo
della cena tre giorni prima, quando Stella mi aveva praticamente
implorato di
venire. E io, beh, avevo accettato, con la segretissima speranza di
vedere Edward.
L’avevo incontrato solo un paio di volte, e per pochissimo
tempo.
Stavo
impazzendo, e mi ero ricordata di dire della cena a Jacob solo quando
lui
stesso mi aveva chiesto spiegazioni, vedendomi in abito da sera. Sono un genio, sì.
“ Mi
dispiace, Jake” dissi, cercando di sembrare il più
mortificata possibile “me ne
sono completamente dimenticata. E’ solo una piccola
festicciola all’Università,
ok? Niente di che. Farò il prima possibile, non dovrai
pensare a Nessie … “
Mi
fermò con
un sorriso disarmante.
“Bells,
è
tutto ok, sono contento che tu vada a divertirti!”
replicò.
Chiamalo
divertimento. Probabilmente
sarà il solito party dove non conosco nessuno e non posso
fare altro che
rimanere attaccata a Stella o, peggio, al tavolo del buffet. “Sicuro?”
chiesi.
“Certo!
E
poi non ti devi preoccupare per Nessie … non mi
dà certo fastidio. Posso anche
pensare a cosa fare per la sua festa, no?”
“Oh,
già, la
festa. Sì, è una buona idea. “ risposi.
Mi
baciò
sulla guancia.
“Vai a
divertirti.”
Lanciai una
lunga occhiata al mio riflesso. Cercai di sorridere; forse era una
delle prime
volte nella mia vita che recitavo in modo convincente, nonostante
l’agitazione.
Chissà
se
avrei rivisto Edward …
“Contaci.”
dissi.
“Bells,
ti
ho detto che stai benissimo con quel vestito?”
“Questa
è la
quinta volta, Stella.”
La mia amica
rise, scendendo dall’auto. Lei, si che era bella. Indossava
un vestito rosso
scuro, che la fasciava perfettamente e si fermava un po’
sotto le ginocchia; i
capelli ricci erano legati in un’acconciatura elaborata. La
mia pettinatura
consisteva in una chioma castana, lasciata sciolta, e impallidiva al
confronto.
Uscimmo dal
parcheggiò ed entrammo a scuola.
La sala dove
si teneva la festa era probabilmente la più grande
dell’Università: illuminata
e imponente, decorata in modo molto elegante e pacato. Il tavolo del
buffet era
una specie di gioia per gli occhi: dolci, salato, pietanze
dall’aspetto
complicatissimo. Non potei fare a meno di sospirare. Non ero quel tipo
di
persona.
Certo, era
tutto bellissimo, ma non significava niente. Era come se mi trovassi in
una
stanza vuota.
“Tutto
ok,
Bells?” mi chiese Stella.
“Sì”
replicai “tranquilla … E’ tutto
perfetto.”
Sì,
Bella. Come no.
“Oh,
bene. “
tutto a un tratto sembrava stanca.
“Tu
stai
bene, sì?” mormorai.
Stella mi
guardò per un attimo con sguardo vacuo, persa nei suoi
pensieri, poi sembrò
accorgersi che avevo parlato.
“Sto
… sì,
sto benissimo, tranquilla. Anzi, sono contentissima!” sorrise.
Ci
avvicinammo al tavolo del cibo, e lei iniziò subito a
chiacchierare con un
ragazzo moro della sua ex-classe di Architettura; sembrava davvero
contenta, e
la lasciai lì mentre cercavo qualcosa da bere che non mi
uccidesse
immediatamente tramite coma etilico. Quando riuscii ad accaparrarmi un
bicchiere d’acqua mi spostai verso una zona di divanetti.
Qualcuno mi salutò
sorridendo, e cercai di replicare con lo stesso entusiasmo. Non era poi
tanto
male, in fondo … Solo che continuavo a non trovarmi nel
posto giusto per me. O con la persona giusta.
Stella mi
raggiunse raggiante.
“Bells!”
esclamò “C’è qualcuno che ti
sta cercando!”
Edward, pensai, Edward …
Cercai di
chiedere di chi si trattava, quando una bellissima ragazza, vestita
d’oro e con
un delizioso caschetto di capelli neri non mi piombò
addosso, stritolandomi in
un abbraccio troppo forte per la sua esile statura.
“Alice!”
esclamai, quando la vampira ebbe finito di stringermi.
“Bella!
Sono
così contenta di vederti! Dio, dove sono gli altri? Erano
dietro di me un
secondo fa …” sbirciò alle sue spalle.
Stava fingendo di non sapere dove
fossero gli altri, ovviamente, ma la sua felicità era
palpabile.
La presi per
la mano, e lei si voltò verso di me.
“Alice,
sono
felicissima che tu sia qui, ma … come mai? E chi sarebbero
gli altri?”
Mia sorella
acquisita mi sorrise.
“Ovviamente
siamo venuti tutti, no? Io, Jazz, Rose, Carlisle ed Esme …
Un uccellino ci ha
detto che una certa bambina”
abbassò
la voce, così che nessun’altro la
sentisse“avrebbe avuto una festa di qui a
pochi giorni … e volevamo farle una sorpresa!”
“Diciamo
che
ve lo ha detto un lupo, uhm?” mormorai, il tono bassissimo.
La risata
cristallina
della vampira mi accompagnò mentre mi guardavo in giro alla
ricerca del resto
dei Cullen. In quel momento Stella si avvicinò sorridendo.
“Bells,
non
mi presenti?” chiese.
Stavo per
rispondere, quando Alice fece un passo avanti e si presentò
da sola.
“Alice
Cullen, amica di Bella, piacere.”
Guardò
Stella per alcuni secondi, osservando gli occhi, il viso,
l’abito.
La mia amica
sorrise, per poi replicare: “Stella De Curtis, sono una
compagna di università
di Bella.”
Per la prima
volta, mi resi conto di quando Stella e Alice potessero apparire simili
e, al
tempo stesso, diverse: entrambe belle, solari, sorridenti. Eppure Alice
manteneva, in qualche modo, una grazia, una serietà
particolare, mentre Stella
era incredibilmente piena di energia, più passionale ed
emotiva; le avevo
sempre associate tra loro, a causa del rapporto con me, ma non mi ero
mai
soffermata su quei … punti di contatto, fra le due.
“Il
piacere
è mio” disse Alice.
Tutti i Cullen
sono qui
per me e Nessie.
Pensavo a
questo, mentre li abbracciavo uno per uno. Jasper, sorridente
e per niente taciturno o controllato, Rose, fredda ma gentile, Esme,
Emmett, Carlisle.
Quando lo
abbracciai mi strinse la mano, e il contatto,
freddo e gentile, mi fece alzare lo sguardo sui suoi occhi. Dorati,
illuminati
da un autentica felicità. Sorrisi, piacevolmente sorpresa
che fossero così
aperti con me.
Bella, sei parte
della
nostra famiglia.
Quante volte lo
avevano detto? E per quante volte mi ero
convinta che il nostro rapporto fosse per lo più legato a
Edward, o a Renesmee?
Quante volte avevo pensato di non meritarlo? Non potevo smetterla di
sorridere.
I loro visi
avevano le espressioni di qualunque famiglia
normale, una famiglia che avevo sempre desiderato, qualcosa a cui
aggrapparsi
in caso di difficoltà, un faro nella tempesta, una luce nel
buio. Ero
sopraffatta dall’emozione di averli accanto,
perché significava avere qualcosa
che mi riportasse alla realtà.
Come aveva
sempre fatto Edward.
Come Edward non
riusciva più a fare.
Edward.
Scacciai la sua
immagine dalla mente e mi rivolsi ai Cullen.
“Sono
così contenta che siate qui” esclamai
“Davvero”.
“E noi
siamo contenti di essere qui, Bella” replicò Esme,
raggiante. Risaltava nella sala per l’incarnato chiarissimo e
luminoso e per la
bellezza, così incredibile, da farla sembrare giovanissima.
Tutti loro erano
bellissimi, bellissimi ed eterei.
Lontani da
quella festa, lontani da quel mondo. Diversi.
E sono qui per
me.
“Quindi
farete una festa per Renesmee?” chiese Rosalie,
entusiasta “Che bello!”
Annuii.
“Già!
Sarà così felice quando vi vedrà
…”
Mi fermai.
Il tempo
sembrò rallentare, lo spazio attorno a me divenire
vuoto, claustrofobico. I battiti del mio cuore presero a divenire
sempre più
frequenti, trattenei il respiro; non poteva essere, no. Era
impossibile.
Il mondo
sembrò cadermi addosso, un peso insopportabile,
eppure in qualche modo dolce, perché stavo guardando la
persona che amavo, lì,
a pochi metri da me. Non respiravo, non ci riuscivo. Alice mi fissava
preoccupata, e lo sguardo che aveva da quando mi aveva abbracciato,
Stella era
andata via e anche tutti gli altri Cullen erano venuti a salutarmi, era
svanito.
“Bells
…” sussurrò. Doveva aver avuto una
visione, perché non
si era neanche voltata a guardare ciò che io stavo
osservando da almeno un
minuto.
Gli altri Cullen
si voltarono all’unisono.
“Davvero?”
domandò Rosalie, il tono sarcastico ridotto a un
sussurro “Adesso sono amici per la pelle?!”
A pochi metri di
distanza, Jane Volturi ed Edward Cullen
fissarono i loro occhi su di noi.
Ci sono troppi
vampiri
in questa sala, pensai.
Ci vollero pochi
secondi, poi Jane Volturi e i suoi occhi neri
che mi trapassavano da parte a parte scomparvero tra la folla. Mi girai
per
cercarla, ma sembrava davvero sparita. Con un colpo al cuore mi resi
conto che
c’erano altri due Volturi vicino al buffet.
Come era
possibile?
Guardai
preoccupata le persone intorno a me: ragazzi
innocenti. Ragazzi con delle vite. Ragazzi che non sapevano di avere
degli
assassini accanto.
Inaspettatamente,
Esme mi fu al fianco e mi prese per mano.
“Andiamo
a prendere da bere, tesoro, ok?” chiese.
Ero poco
convinta, ma mi resi conto che voleva allontanarmi
da dove i Volturi avrebbero potuti vedermi. La ringrazia e la seguii.
Lei mi
guidò sicura verso un salottino secondario, dove, a un
grosso tavolo, servivano degli analcolici. Presi un bicchier
d’acqua e mandai
giù il tutto come se si fosse trattato di alcool. Dalla sala
principale
giungeva della musica rock davvero poco adatta al mio umore.
Sbirciai gli
altri nella stanza. Studenti. Non
particolarmente belli, o muscolosi.
Gente normale.
Tranne
l’uomo vicino a una delle finestre: fisico scolpito,
capelli biondi, pelle bianchissima. Trasalii quando si voltò
e mostro gli occhi
neri.
Ero
terrorizzata: quello sguardo aveva qualcosa di strano,
anormale. Sembrava capace di ucciderti a tre chilometri di distanza.
Veleno,
veleno puro.
Esme
seguì il mio sguardo e mi strinse forte il braccio.
“Rimani
qui” mormorò.
Dopo qualche
secondo, annuii.
Esme si
avvicinò al vampiro, sorridendo; io stavo tremando.
Lei disse qualcosa, e lui sorrise, beffardo. Poi, con uno scatto quasi
invisibile, il vampiro afferrò il polso di Esme. Trattenei
un grido e feci un
passo avanti.
Non avrei mai
potuto aiutarla se ci fosse stata una lotta, ma
…
Velocissima, la
mano del biondo si ritrasse. Lo fissai
stupita.
Ero stata io?
No.
Perché
il biondo non fissava me, ma qualcuno dietro
di me.
Qualcuno che mi
prese per il polso e mi costrinse a girarmi.
Persi un battito.
Edward.
Il vampiro si
esibì con il mio tanto amato sorriso sghembo.
Lo fissai, estremamente contenta di vederlo, anche se stupefatta. Era
splendido.
Gli occhi verdi
– quegli occhi impossibili – risaltavano trai
suoi lineamenti perfetti, i capelli bronzo, un po’
disordinati, erano più
lunghi di quanto ricordassi. Indossava un completo scuro che metteva in
evidenza il fisico slanciato.
“
Amore …” mormorai.
Lui
sembrò illuminarsi nell’udire la mia voce.
Mi prese per i
fianchi e per pochi secondi mi dimenticai del
mondo intorno a noi, persa nel suo sguardo … poi,
arrossendo, mi voltai verso
Esme, di nuovo preoccupata.
Come avevo fatto
a distrarmi così facilmente?
Ma Esme era
accanto a me, e il vampiro biondo era scomparso.
“La
lascio a te” sussurrò la mia madre adottiva,
lanciando
un’occhiata a mio marito. Lui annuì, sicuro.
“Non ti preoccupare” rispose.
Lei si
allontanò e lui si voltò verso di me.
E quando mi
baciò, tutto il resto –ciò che non era
lui-
sparì.
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