Wait for Me

di MiseryandValerieVolturi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brillare ***
Capitolo 2: *** Ridere ***
Capitolo 3: *** Senza Sapere ***
Capitolo 4: *** Ricordi ***
Capitolo 5: *** Romeo and Juliet ***
Capitolo 6: *** Cuori e Neve ***
Capitolo 7: *** Incubi ***
Capitolo 8: *** Claire de Lune ***
Capitolo 9: *** Paura della Realtà ***
Capitolo 10: *** Incubi in grigio, nero e bianco. ***
Capitolo 11: *** Scelte ***
Capitolo 12: *** Butterflies ***
Capitolo 13: *** Speranza ***
Capitolo 14: *** Vampiri -Parte 1- ***



Capitolo 1
*** Brillare ***


Nota: in questa storia Bella è umana. Questi personaggi non ci appartengono, e non scriviamo a scopo di lucro.


Capitolo I

Brillare


Ero beatamente distesa sul letto, stordita dalla testa ai piedi,  senza sentire più la mia povera schiena e, nonostante avessi solo diciannove anni,  la cosa mi preoccupava leggermente. Faceva molto freddo a Forks, il giorno precedente avevamo raggiunto i due gradi, così, insonnolita mi ero addormentata tra le braccia di Edward. La sua pelle, seppur più fredda della mia, degli esseri umani, mi faceva sentire quasi al caldo, protetta. Nessun altro luogo al mondo poteva essere più sicuro per me.

Rimasi con gli occhi chiusi a contemplare il silenzio, ormai sveglia.  Sentivo l’odore di  mio marito nella stanza, l’ inconfutabile dolce odore del suo corpo. Probabilmente non si era accorto che ero tornata dal mondo dei sogni, altrimenti si sarebbe accostato verso di me e mi avrebbe sussurrato un debole “Buongiorno”all’orecchio.  Posai la mia mano sulla parte opposta del letto, nella speranza di incontrare la sua. Mossi le dita, ma trovai solamente le fresche lenzuola al mio tocco. Mi girai su un fianco e aprendo gli occhi sussurrai “Edward?”.

Niente, la stanza era vuota, completamente vuota. Edward non era al mio fianco e non avevo la minima idea di dove fosse andato. L’ unica ipotesi che galleggiava nella mia testa, ancora un po’ addormentata, era quella che fosse andato a caccia,  come ogni quindici giorni dall’arrivo di Renesmee.  Mi sedetti a gambe incrociate nel letto e mi volsi a guardare il panorama fuori dalla finestra: aveva nevicato quella notte, il paesaggio era completamente coperto di una coltre bianca.

Decisi di alzarmi a dare un’occhiata alla mia piccola Nessie, probabilmente ancora addormentata nella sua stanza, ma appena distolsi lo sguardo da quel panorama mozzafiato mi accorsi di un foglio bianco perfettamente piegato sopra il cuscino di Edward, e accanto una rosa blu. 

Era una sua lettera? Osservai la precisione con cui il fiore era stato adagiato. Probabile. Ma per quale motivo avrebbe deciso di scrivermi? Sapevo ormai che quando non lo trovavo al mio fianco durante il risveglio, era perché andava a cacciare, me l’aveva ripetuto decine di volte, e dopo le prime mattine, quando ancora davo di matto se non ero certa della sua precisa posizione, aveva perso il vizio di ricordarmelo nuovamente con un biglietto scritto.  Mi allungai verso il foglio, non badando alla rosa, e riuscii ad afferrarlo. Lo aprii, piano. La sorpresa mi immobilizzò sul posto.

 Devo andare, devo farlo per te, per voi. Non cercarmi, ti prego. Resterai sempre nel mio cuore, lì dove brilla il sole.  Ti amo e ti amerò per sempre.

Edward

Ps: brilla anche senza di me …”

 

Dovetti rileggere.

Il battito del mio cuore iniziò a correre, la testa girava forte, troppo forte. I contorni della stanza non erano ben delineati, non sentivo più le gambe. Non era possibile, stavo sognando... Lui non poteva avermi abbandonato, di nuovo. Non poteva, me lo aveva promesso, aveva detto “Non ti abbandonerò mai più, te lo giuro”…

Non era riuscito a mantenere la parola, stupide bugie. Sentivo il sudore colare dalla fronte, non riuscivo a capire dove fossi e cosa stessi facendo.

La mia mente era andata in trance, non riusciva più a coordinare il mio corpo e le mie orecchie continuarono a ronzare con quelle parole: non ti abbandonerò mai più, non ti abbandonerò mai più, non ti abbandonerò mai più … Piano, registrai ogni parola, come se fossero quelle di uno sconosciuto. 

Edward mi aveva deluso, nuovamente. Si era allontanato dalla mia vita, dalla nostra vita, quella mia e di nostra figlia. Come poteva stare lontano da lei? Come poteva perdersi la crescita della sua bambina e i bei momenti che ci avrebbe regalato? Possibile che non avesse pensato a questo, che se ne fosse andato così, come era successo circa un anno prima? Ora era un padre, non riuscivo a credere che avesse abbandonato tutto, che ci avesse abbandonato.

Senza di lui, senza il mio unico punto d’appoggio … La neve si tingeva di rosso, mentre sentivo le gambe cedere. Non volevo soffrire ancora.

Ce lo eravamo promesso davanti all’altare, per l’eternità. Non ero abbastanza per lui? O probabilmente eravamo troppo, entrambe … 

Edward perché mi abbandoni di nuovo? Perché vuoi farmi del male?

Non ti è bastato vedermi soffrire una volta?

Credevo avessi imparato la lezione, vedermi in quello stato non deve essere stato facile, me lo avevi confermato tu stesso. Possibile che non hai pensato alla mia sofferenza, alla tua? Io sono un essere umano Edward, non posso sopportare tutto ciò, non ce la posso fare, non riuscirò a sopportare di nuovo quel devastante dolore.  

Cosa ho di sbagliato, cosa non va in me?

Possibile che deva andare a finire di nuovo in quel modo? Non volevo più soffrire, non volevo ripassare il periodo dell’ultima volta, quel vuoto incolmabile.

Mi lasciasti lì, sola nella foresta in preda ad uno stato confusionale, e adesso in questo modo, forse ancora peggio.

Immagini sofferenti inondarono la mia mente: il suo viso, il suo sguardo, la sua voce …  Perché se ne era andato?

Perché te ne sei andato di nuovo Edward?

 Le mani iniziarono a tremare e il foglio a stropicciarsi sotto le mie mani. Il mio sguardo era fisso sulla parete di fronte. Iniziai a urlare di rabbia, urlare di dolore, confusione. No, Edward, non puoi, ritorna da me ti prego.

Qualunque cosa sia successa, ritorna da noi.  

Ritorna dalla tua famiglia, alla tua normalità. Forse è questo il problema, Edward? Abbiamo distrutto la tua “normalità”? Non ci vuoi più vero? Avevo immaginato che probabilmente sarebbe arrivato questo momento, quando ti saresti stancato di me, della mia ingombrante presenza.

Scusa se ho sconvolto la tua vita, è per questo che te ne vai giusto?

Gli occhi iniziarono a bruciare. No, non volevo credere a quello che la mia mente scriveva a grandi lettere, non volevo immaginare che le cose che, dentro di me, sapevo essere vere. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Cercava sempre il mio bene, anche l’ultimo abbandono era avvenuto per questo motivo.

Per me.

Era impossibile che se ne fosse andato così, di punto in bianco per la seconda volta.  Edward non avrebbe mai voluto vedermi soffrire, lo sapevo bene.

Non riesco a  capire la tua scelta, così lontana da quei giorni felici.

Non avevo notato nulla di strano ultimamente. Mi facevi sentire come una regina, con il tuo incondizionato amore. Avevo toccato l’apice della felicità ultimamente, avevo tutto, avevo una famiglia, una figlia. Avevo te. Stavamo così bene …

Perché non mi hai confessato tutto? Qual è stata la cosa che ti ha costretto ad allontanarti? Avresti dovuto sapere che avrei accettato qualsiasi cosa se tu l’avessi ritenuta una cosa giusta. Avresti dovuto rivelarmi tutto, cos’è che ti ha turbato così tanto da dovermi abbandonare?

La confusione cresceva sempre più velocemente, più forte e più lancinante. Decisi di riaprire il biglietto e di iniziare a leggere meno frettolosamente di prima. Me la ripetei più volte, ma non riuscivo a capire quella frase finale “Brilla anche senza di me..” Ero sicura che ci fosse qualcosa di più sotto, probabilmente voleva farmi capire alcune cose … Lessi e rilessi la lettera. La parola “brilla” iniziava a suonarmi strana, persino sbagliata, come una rosa rossa fra milioni di rose gialle.

Riuscì a portarmi nella direzione giusta.

Quante volte l’avevo visto brillare al sole? Non molte, ma la maggior parte delle volte erano state nella radura, e probabilmente era lì che Edward voleva farmi arrivare. Mi asciugai la lacrima che era scesa delicata sulla mia guancia e ripiegai il biglietto in tasca. Qualunque cosa mi fosse saltata in mente, volevo verificare. Mi alzai dal letto e mi avviai frettolosamente verso la camera di mia figlia, cercando di assumere un aspetto normale perché non capisse nulla.. Aprii la porta e la trovai sveglia mentre si stropicciava gli occhi. “Tesoro, ben svegliata” le sussurrai lasciandole un leggero bacio sulla guancia.

“Buongiorno mamma” rispose Nessie allungando le braccia al mio collo. Lei non doveva soffrire, non l’avrei permesso. Dovevo rimanere più lucida possibile, e un minimo contatto, anche il più banale con lei riusciva a farmi sentire anche se di poco, meglio. Avrebbe cercato Edward, lo sapevo, e dopo poco mi chiese: “Papà dov’è?.”

Mi si fermò il cuore in gola, ma con molta delicatezza sciolsi l’abbraccio e iniziai ad accarezzarle la testa e a parlare con calma.

 “Ehm … papà è andato a caccia!”

Mi guardò convinta con i suoi occhi castani e mi sorrise. “Però ora…” continuai “mamma avrebbe una cosa da fare … ti va se ti porto un po’ da Jacob?” le domandai più rilassata che potevo.

Annuì sorridendo con un “Certo che mi va!” e mi abbracciò di nuovo stretta. Le accarezzai la schiena e inspirai il suo odore, dolce, che avrei amato per sempre, e che in un certo senso mi ricordava Edward.

 La aiutai velocemente a vestirsi e, uscimmo di casa, dalla nostra casa. Percorremmo il vialetto di fronte e arrivammo alla macchina. Andai più veloce del solito: non ero abituata a correre, ma se mi fossi fermata avrei iniziato a piangere a dirotto, e non mi sembrava proprio il caso. Durante il viaggio osservai Nessie rimanere in silenzio per tutto il tempo a guardare fuori il finestrino … aveva avvertito qualcosa di strano?

 Scesi dalla macchina e mi girai per aprire lo sportello posteriore e prendere in braccio mia figlia che nel frattempo si era riaddormentata. La guardai prima di sollevarla, mi sembrava di rivedere Edward nel suo viso così somigliante. Chiusi lo sportello con una mano e mia avviai verso la porta. La tensione cresceva sempre più, mi sentivo abbandonata, come se fossi il primo essere umano sulla luna. Avevo voglia di piangere, di sfogarmi. Jacob aprì la porta in meno di cinque secondi, e appena vide Nessie tra le mie braccia, si avvicinò per prenderla e chiuse la porta alle sue spalle.

Non ce la feci, una lacrima iniziò a cadere dai miei occhi, ma la ricacciai indietro. Avrei dovuto dire tutto a Jacob, l’unico che avevo al mio fianco in quel momento. Tenevo lo sguardo basso. “Bella?” disse Jake mentre cercava il mio sguardo “cos’è successo?”. 

 

Alzai la testa e lo guardai dritto negli occhi; non avrei crollato, dovevo essere forte.

 Jacob capì che qualcosa non andava e allargò il braccio libero. Non sapevo esattamente cosa mi fosse preso, probabilmente ero troppo codarda per non ammetterlo, ma avevo bisogno di qualcuno, avevo bisogno di affetto.

 

 Mi avviai velocemente tra le sue braccia accoglienti e iniziai a piangere; avrei voluto trattenermi, ma non ce la feci, era troppo forte quella voglia di scappare, di fuggire… la confusione si faceva spazio nella mia testa. Avevo iniziato a singhiozzare e non riuscivo a fermarmi, la ferita si stava allargando sempre di più. “Edward…” tirai su con il naso.

Mi accarezzava i capelli e mi abbracciava stretta “...se n’è andato” terminai.

Sentii il suo respiro fermarsi per qualche secondo e poi continuare.

Probabilmente sbagliai a dire quella frase, perché ricominciai a versare lacrime dopo lacrime, e i singhiozzi mi rendevano difficile respirare. “Mi ha la-lasciato s-sola di nuovo …” affermai, affondando la testa nella sua spalla.

 

Piansi per  parecchio, ma non me ne resi conto. “Shh, shh Bella…” sussurrò Jacob al mio orecchio. Era lì, che mi abbracciava e cercava di farmi sfogare. Piansi, piansi veramente molto. Quando finalmente mi fui calmata, Jacob ricominciò a parlare “Bella, ora ci sono io, stai tranquilla. Non voglio vederti così …” alzai lo sguardo e vidi la sua faccia seriamente preoccupata.

 

Mi prese per mano e mi portò fino al piccolo salotto dove mi fece accomodare. Solo allora mi ricordai che aveva in braccio Nessie e che per cinque minuti buoni dovette reggerla nella speranza che mi calmassi. La sistemò al suo fianco, distesa, e le appoggiò un a coperta leggera accarezzandole una mano.

 

Si voltò piano verso di me e mi guardò fisso negli occhi. “E’ vero quello che hai detto? Se ne è andato sul serio?” domandò.

 

Mi limitai ad annuire, ma gli occhi bruciavano ancora. Probabilmente avrebbero bruciato per molto, troppo tempo. Mi sentii chiudere lo stomaco, non sapevo cosa dire, cosa fare, e la testa iniziava a farmi male. Torturai le mie mani mentre cercavo di calmarmi e di parlare, ma le parole non volevano uscire fuori.

 

Si accostò verso di me e mi abbracciò di nuovo, avevo bisogno di tutto il suo affetto in quel momento, non volevo sentirmi abbandonata anche da parte sua. Chiusi gli occhi, nella speranza che il mal di testa si decidesse a diminuire. Si, dovevo tener duro e parlare, raccontare e liberarmi di tutto. Sapevo che Jacob non si sarebbe azzardato a chiedermi nulla per non turbarmi, ma gli avevo sempre detto tutto, anche se questa volta non sapevo proprio cosa dire. Non ero sicura neanche io di cosa fosse successo, sapevo solo che Edward si era allontanato da me, e che probabilmente avrei iniziato a dare di matto di punto in bianco.

Le parole mi uscirono di bocca improvvisamente, con la voglia di liberarmi di quel macigno enorme. “Non so il motivo. Mi ha lasciato questa lettera..” dissi estraendo dalla tasca il biglietto e glielo porsi.

 

Impiegò poco a leggere e mentre ripiegava la lettera scosse la testa. “Sai che per me Edward è praticamente come un fratello, ma lo odio ora” mi guardò dispiaciuto “Per qualsiasi motivo l’abbia fatto, non riesco a capirlo. Se ne va così, senza avvertire, senza un motivo o una spiegazione logica; a me non sembra normale”.

 

Chi più di me poteva capire le sue parole? La mia testa scoppiava nella speranza di poter capire quale fosse questo motivo. “Non so niente, Jacob. Vorrei saperlo e non sai quanto..” pronunciai quelle parole mentre gli ultimi singhiozzi si calmavano poco a poco.

 

Spuntò un piccolo sorriso sulle sue labbra per poi scomparire “L’unica cosa di cui io sono sicuro è che ti ama, non potrebbe essersene andato senza alcun motivo. Ne ha di difetti, ma questo non gli appartiene, te lo assicuro” affermò accarezzandomi un braccio.

 

“Spero sia così e credo che quel biglietto contenga qualche informazione utile. Voglio andare alla radura, voglio vedere cosa cerca di dirmi, devo farlo” lo informai alzandomi dal divano.

“Alla radura? Vuoi che ti accompagno?” chiese disponibile.

“Non ti preoccupare, vado da sola. Troverò qualcosa, spero”risposi lanciando un’occhiata a Renesmee che dormiva beatamente sul divano “Puoi tenere d’occhio Nessie per qualche ora?” domandai.

“E me lo chiedi anche? Ma certo, vai. Fammi sapere.” rispose accompagnandomi mentre mi dirigevo all’uscita.

“Ti voglio bene” sussurrai mentre mi allontanavo verso la macchina. Mi fece un sorriso spento “Anche io Bella, anche io” disse sussurrando alla porta.

 

Superai i centocinquanta con la macchina supersportiva che mi aveva regalato Edward e che io non sentivo la necessità di possedere, ma fui costretta ad accontentarlo . La strada aveva poche curve, e riuscii a guidare molto velocemente senza grandi sforzi.

Senza rendermene conto appoggiai la mano libera sul sedile al mio fianco, fu un’azione involontaria: ogni volta che ero io a guidare, lui si sedeva al mio fianco, e per tutto il tragitto manteneva un sorrisetto fastidioso. Avevo imparato ad ignorarlo per non dargliela vinta, ma lui si divertiva a prendermi in giro sulla mia guida poco veloce.  Volevo sentirlo vicino, e qualunque cosa lo ricordava, ogni minima cosa. Finalmente arrivai a destinazione e parcheggiai la macchina non molto lontano.  

Camminavo velocemente, volevo arrivare dritta alla radura, senza soffermarmi troppo. Se Edward mi avesse voluto lasciare qualche indizio, l’avrebbe reso più facile, per cui il luogo doveva essere la radura, la nostra radura; ne ero quasi convinta.

 Attraversai il bosco fitto di cespugli, felci bagnate e muschi, oltre agli enormi alberi che mi circondavano. La luce filtrava alternamente dalle chiome degli alberi e respiravo a fondo per mantenere la calma. Mi inoltrai sempre di più e finalmente arrivai nella nostra radura. Era proprio come me la ricordavo, in un certo senso fiabesca. Eravamo ritornati qualche settimana prima, e non era cambiato assolutamente niente, ovvio.

Arrivai alla distesa di erba e le mie gambe iniziarono a tremare, così mi accasciai seduta a terra. Vari flashback percorsero la mia mente. Fu qui, la prima volta dove lo osservai brillare al sole. Proprio qui riuscii a capire cosa fosse davvero, quale fosse la sua natura.  Qui ci eravamo scambiati il primo bacio e mi confidò che per lui ero una droga, un’attrazione irresistibile. Sorrisi, ricordavo ancora chiaramente quei momenti, ogni singola frase, ogni gesto. Era il posto dove avevamo iniziato a conoscerci, a sperimentare e a capire cosa fossimo sul serio.

Posai una mano sull’erba umida e chiusi gli occhi. Chiacchierammo molto quel giorno insieme. Scoprimmo cose l’uno dell’altro e avemmo molte sicurezze da entrambi. Mi sussurrasti che eri una persona troppo pericolosa per me, che avrei dovuto aver paura. Non lo ero mai stata invece, non ne vedevo il motivo: non avevo paura. Ti volevo al mio fianco Edward, ti ricordi? Mi importava solo questo, solo che non mi abbandonassi. Ed ora è strano stare qua a pensare a tutto questo e te sei lontano.

Aprii gli occhi inspirando l’aria fredda e umida. Mi guardai attorno cercando di ricordare il luogo esatto di dove mi feci scoprire la tua natura, Edward, dove mi mostrasti la tua pelle brillare. Mi alzai in piedi, girai un paio di volte sul mio posto e quando fui sicura della strada da prendere iniziai a camminare. Mi appoggiavo al tronco degli alberi e, come al solito, ebbi un po’ di difficoltà ad attraversare il piccolo sentiero, pieno di buche e sassi. Era poco illuminato e gli alberi erano troppo fitti per poter filtrare qualche spiraglio di luce.

La fine del sentiero era chiaramente visibile per i miei occhi. Dopo pochi passi trovai davanti il posto che cercavo: era illuminato dai delicati raggi di sole di una giornata nuvolosa. Mi parve di tornare indietro nel tempo, e per qualche istante vidi Edward al mio fianco, per poi scomparire. Da una parte ero contenta, non volevo dimenticarlo, avevo il terrore di questo. Sentivo una sua presenza immaginaria che però mi teneva sollevata e sicura.

Guardai intorno, come se fosse la prima volta, nella speranza di poter trovare quello che stavo cercando. Era un prato, non molto grande, coperto di erba e piccoli fiori bianchi. Ai lati, era circondato da alberi di diverse grandezze e alcune rocce. Camminavo attentamente e seguivo albero dopo albero, girando intorno alla distesa d’erba. Con calma attraversai il prato illuminato dalla luce fioca del sole, attenta a non schiacciare nessun fiore. Lo attraversai molte volte, ma nessun segno o nessun indizio su quello che mi aspettavo di trovare.

Stremata da tanta angoscia mi sedetti di nuovo a terra, nello stesso punto dove Edward si era fatto vedere brillare. Era stato un errore tornare qui, il posto forse più importante per me, o uno dei più importanti. Forse Edward non aveva pensato a tanto, voleva rendermi tutto più facile; oltretutto che cosa mi aspettavo? Mi aveva lasciato una lettera con le informazioni necessarie, e non c’era alcun motivo per cui dovesse portarmi qua nella radura. Fui io che mi feci prendere da tanto entusiasmo da ritornare nella radura, nella speranza di poterlo rivedere, di poterlo sentire, o capire dove fosse e perché se ne fosse andato.

Non potevo però essere matta: la lettera aveva qualcosa che non andava, sentivo che voleva farmi capire qualcosa, voleva farmi arrivare in questo posto. Forse per potermi ricordare di lui, di noi. Per farmi ricordare de nostri momenti passati insieme. Non c’era bisogno che me lo ricordasse così. Sapeva esattamente che non me ne sarei mai dimenticata, ed ogni singolo ricordo mi provocava un dolore lancinante.

Mentre pensavo raccoglievo i piccoli fiori bianchi, talmente folti e fitti da coprire parte del mio corpo, come se mi stessero inglobando. Lasciai scoperta di fiori la parte al mio fianco: li avevo raccolti in una mano, con l’altra continuavo a staccarli con forza dalla terra. Provavo rabbia per essere così confusa, per non riuscire a capire cosa stesse accadendo, così iniziai a prendermela con quei poveri fiori biancastri. Raccoglievo manciate di fiori senza tregua, mi rendevano più calma e staccandoli con forza riuscivo a frenare la mia rabbia e ad evitare di perdere la testa. Divenne tutto così involontario.

Per qualche minuto lasciai fisso lo sguardo sui fiori, ma poi iniziai a guardarmi intorno, come se mi fossi appena svegliata. Un piccolo punto blu a pochi centimetri di distanza catturò la mia attenzione. Non riuscivo a capire bene cosa fosse, ma riusciva a farsi notare e a farsi distinguere dal resto dei fiori bianchi, come se dicesse: guarda me, guarda me!

 

Mi spostai di poco senza alzarmi da terra e finalmente raggiunto quel piccolo punto blu capii cosa fosse: una rosa, uguale alla rosa blu che Edward mi aveva lasciato accanto alla lettera.

La raccolsi delicatamente da terra e la guardai con attenzione, accorgendomi che al suo gambo era legato un piccolo biglietto. Ispirai con forza, sollevata: ero riuscita a trovarlo, non avevo poi così torto. Le mani tremavano, speravo che quel foglietto non contenesse qualcosa di ancora più distruttivo per me, qualcosa che non avrei voluto sapere.

 

Questa volta non era una vera e propria lettera, ma una parola, una semplice parola tracciata in modo estremamente delicato: “ Ascoltami”.  

Ok, voleva farmi impazzire. Più andavo avanti, più passavano i minuti, e più avevo la convinzione che se ne fosse andato non per sua spontanea volontà; per il semplice fatto che se fosse stato così non avrebbe lasciato tutti questi pensieri: se ne sarebbe andato, cercando di rendermi facile dimenticarlo. Questa volta non era così, si stava comportando diversamente dalla prima volta in cui mi aveva abbandonato. L’unica cosa che mi veniva in mente era questa: non ci voleva abbandonare. Decisi di arrivare fino in fondo e di accertare le mie ipotesi. Questa volta aveva reso tutto più facile, quella parola sul biglietto mi fece capire subito dove voleva arrivare.

L’avevo sentito troppe volte suonare per me, per nostra figlia; ed ero sicura che volesse farmi arrivare dove stavo pensando. Gli era bastata una sola parola per farmi capire.

Corsi più veloce di prima, rischiando di inciampare un paio di volte. Misi in moto e mi affrettai ad arrivare a casa Cullen, nella casa della nostra famiglia.

Parcheggiai la mia macchina proprio di fronte all’ingresso, e precipitosamente mi avvicinai alla porta. Bussai energicamente, ma non sentivo nessuna voce o rumore provenire dalla casa. Contrariamente vidi Alice aprirmi la porta ed osservarmi dispiaciuta “Mi dispiace” disse.  Scossi la testa “Sai tutto?” domandai.

 

Alice annuì aggiungendo “..ma non so più di tanto. Non ha voluto dircelo, non ne ho la minima idea” concluse.

                                                                                                                                            

Parlai .“A me ha lasciato questo. Le parole sembravano volessero farmi capire qualcosa e sono andata alla radura, ‘dove brilla’..” mi fermai qualche secondo mentre leggeva la lettera “e lì ho trovato una rosa e un biglietto con scritto ‘Ascoltami’… ed ho pensato che avesse a che fare con il pianoforte. Edward ci tiene molto, lo sai..” cercai di farmi capire.

                                                

Alice annuì subito e mi disse: “Quindi, secondo te ha voluto lasciarti qualcosa?” mi guardò negli occhi.

 

 “Non so se sia qualcosa, ma si, credo. L’ultima volta, quando ve ne siete andati …”  deglutii nella speranza che il ricordo non mi tradisse “si è comportato diversamente. Ora, invece, è come se mi volesse guidare da qualche parte. Più passa il tempo e più mi confondo..” mi guardò annuendo. 

                                                                                                                                      

Dopo qualche secondo parlò. “Vuoi che ti aiuti? Provo a suonare qualcosa se vuoi..” poi aggiunse “in casa non c’è nessuno, sono tutti a caccia..” si offrì.

“Sanno tutto anche loro?” chiesi ad Alice.

“Si, li ho avvertiti poco fa. Si stanno precipitando a tornare. Non dovevo farlo?” domandò preoccupata.

“Hai fatto bene …” dissi con poca energia. Comparve un piccolo sorriso sulla mia faccia “Grazie di tutto Alice” sussurrai.

 

Ricambiò il sorriso, il suo un po’ più preoccupato e strano, mi prese per mano e mi fece sedere nello sgabello al suo fianco mentre lei si metteva in posa con le mani sui tasti.

“Proviamo con questa? Se ti ha reso facile tutto, di certo avrà pensato anche a questo” disse indicando lo spartito davanti a sé.  Era proprio ‘Claire de lune.. quante volte l’avevo sentito suonarla …                                                                                                                              

Scrollai le spalle; a questo punto non sapevo veramente più niente. “Prova” la incoraggiai.

 

Iniziò a suonare, e per i primi cinque minuti la tristezza inondò la casa e il mio corpo. Non c’era niente di particolare, forse avevo sbagliato, non era quello ciò che intendeva. Prima di darmi per sconfitta decisi di continuare a sentire e non solo io mi accorsi che qualcosa non andava. Non ero una grande intenditrice di musica o cose simili, ma avevo sentito molte, troppe volte quella canzone per non poter notare la differenza.

All’inizio la note si posavano lievi, delicatamente, come fiori che di colpo sbocciano in tutta la loro bellezza. E poi continuava, a tratti veloce, poi rallentando, grave e poi ancora e ancora. E poi, quel suono. Una nota estremamente in disaccordo con le altre. Troppo.

 “C’è qualcosa che non va. Non mi convince questa nota …” mi informò Alice continuando a spingere un tasto senza risultati. 

“Ho notato..” risposi alzandomi dallo sgabello nel suo stesso istante.

Alice si avvicinò verso la parte posteriore del pianoforte e sollevò la tavola. La vidi osservare per pochi istanti i vari tasti internamente al pianoforte e poi scomparire tra la meccanica dello strumento. La vidi ricomparire dopo poco con un sacchettino in mano. Guardavo fissa la faccia di Alice, non avevo il coraggio di vedere cosa avesse in mano: avevo paura di quello che avrei trovato.

 

Si avvicinò e iniziò a parlare “Sembra sia un altro biglietto … e due regali” mi porse il pacchetto. Istintivamente indietreggiai di un passo e tolsi la mano prima che potessi toccare la confezione “Puoi leggere te Alice?” chiesi.

 

Annui con la testa e sciolse il sacchettino dai vari nodi dei nastri e iniziò a leggere “So quello che pensi Bella, ma non è così: non vi ho abbandonate, e non ho intenzione di farlo per nessuna  ragione al mondo …” si fermò quando si accorse che le lacrime iniziarono a cadermi leggere sulle guance e sospirò “… ho dovuto farlo, perdonami. Voglio che vi prendiate cura di voi, continuando a fare quello che avreste fatto con me al vostro      fianco; senza fare stupidaggini Bella, promettimelo questa volta. Tornerò prima o poi, ve lo giuro. Vi lascio questi due cuori, nella speranza che vi possano aiutare a ricordarmi, vi amo.  Edward”.

 

Chiusi gli occhi. Sentivo il cuore accelerare a dismisura. Questa era la prova decisiva che Edward non se ne era andato, non ci aveva abbandonato. L’avevo sempre saputo, tranne in quei momenti dove mi ero fatta prendere dal panico. Conoscevo Edward ormai troppo bene, e sapevo che non commetteva mai un errore due volte. Dove si era cacciato? Che cosa era successo? Sapevo che non l’avrei saputo molto facilmente, ma la mia paura, per noi, ma soprattutto per lui cresceva ogni istante. Speravo con tutto il cuore che stesse bene ed ero fiduciosa: volevo credere in lui, questa volta volevo fidarmi sul serio.

 

‘Te lo prometto’ sussurrai tra me e me come risposta ad Edward. Questa volta non sarei rimasta a piangermi addosso, anche se probabilmente non ci sarei riuscita ugualmente. Dovevamo prenderci cura di noi stesse, e io di mia figlia. Dovevo farlo per lei: andare avanti. Non sarei riuscita a rimanere un secondo di più a Forks, tutto mi ricordava Edward. Se fossi rimasta sarebbe stato solo peggio; dovevo andarmene lontano almeno per qualche mese.

“Alice, devo andare via da Forks” dissi di scatto aprendo gli occhi. La vidi sbattere più volte le palpebre e rispondere “Cosa?”

“Me ne vado” sussurrai decisa; mentre un’altra lacrima solcava le mie guance.

                                                                                                                                                         

 

 Misery e Valerie, ancora. BellaXEdward, ovvio. Speriamo solo che piaccia =)

Il capitolo è stato scritto da Vale u.u

Baci =)

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Capitolo 2
*** Ridere ***



Capitolo II

Ridere


<< Ridere, ridere, ridere ancora,
Ora la guerra paura non fa >>


Milioni di domande si agitavano confuse dentro di me, veloci, senza che io volessi o potessi dar loro una voce. Poche risposte, adagiate sul tavolo di mogano, lasciavano una scia di paura e disperazione. Continuavo a ticchettare con le dita sulla superficie lignea, mordendomi il labbro. 

Non è vero.

Sì, è vero.

Edward non se ne è andato.

Ma lo ha fatto.

Il cuore batteva all'impazzata, esclamando a gran voce la sua rabbia e il suo amore perduto. E poi c'era qualcosa, qualcosa che mi stringeva, come un uccellino in gabbia. Cosa c'era dentro il sacchetto?

Cosa Edward voleva che trovassi? Mi avrebbe fatto soffrire?

E se ci fosse stato qualcosa, qualunque cosa, che mi avrebbe detto, a chiare lettere, che Edward non sarebbe tornato?

"Bella ..." la voce cristallina di Alice era spezzata, triste, roca. Aveva il sapore delle lacrime. 

Mi volsi a guardarla, ma senza vederla davvero. I capelli scuri erano scompigliati, gli occhi di quell'oro innaturale e spento. Continuava a girarsi verso il salotto, probabilmente nell'attesa di vedere uno dei Cullen entrare. Nella mia mente, si disegnò la stupida immagine di un  Emmett ridente che entrava gridando a gran voce: "Era tutto uno scherzo!" o "Ve l'abbiamo fatta!". Chiusi gli occhi più volte per ricacciare indietro le lacrime.

"Bella" ripeté "Bella, forse dovresti ... Aprirlo" mi sussurrò piano. Scossi la testa.

Le domande aumentarono, vagando frenetiche. Portai una mano sul volto, nel vano tentativo di asciugare le lacrime.

"Tu ... Tu non dovresti andare a ... Ecco ... Accordare il pianoforte?" mormorai tutto d'un fiato, quasi tremando.

Lei mi fissò, addolcita, ma non rispose subito. Si portò una mano trai capelli, poi di nuovo lungo il fianco. Un'altra volta per vedere se i Cullen erano arrivati, poi si rivolse verso di me. Mi morsi il labbro, nervosa.

"Il pianoforte era di Edward" spiegò alla fine, a fatica. I suoi occhi rasentavano la disperazione.

"E allora?!" proruppi con rabbia, alzando una mano al cielo "Non dirmi che tu non sai accordare un ..." e poi, vidi di nuovo quegli occhi.

Non c'era solo disperazione, no. Paura, rabbia, abbandono. E poi una sola parola. Fine.

Edward non c'era e non ci sarebbe più stato. I suoi occhi di veggente non lo trovavano, no. 

E mio marito se ne era andato. Per sempre.

Il pianoforte sarebbe rimasto lì, senza che qualcuno potesse suonarlo come avrebbe fatto il vecchio proprietario. 

Tremavo davvero, ora. Alice guizzò accanto a me e mi strinse in una abbraccio.

Poi, piano, la sua mano candida si mosse verso il sacchetto, stringendolo appena. 

"Aprilo" mi disse.

Annuii e lei sorrise impercettibilmente. Le lanciai uno sguardo indagatore e lei alzò le spalle. "Hai deciso di aprirlo, quindi ora posso vedere cosa c'è dentro" spiegò con un sorriso triste "Mi sono sbagliata, comunque".

"Su cosa?" mormorai, con le guance bagnate, sciogliendo i nastri. Lei, in risposta, indicò con un cenno della testa l'oggetto che era appena caduto sul tavolo, causa la mia scarsa coordinazione, con un tintinnio dolce quanto quello di un cuore che si spezza.

E persi un battito, mentre lo osservavo.

Era un cuore. Puro diamante, opaco, incorniciato dall'oro del bracciale a maglie larghe. Ne  seguii la forma delicata, sospirando. Era un cuore, come quello che portavo io al polso.

Mossi la mano verso il braccio per sfiorarlo, ma accarezzai solo la pelle nuda.

Alice mi vide e mi strinse a sè. "Avevi lasciato il tuo bracciale con il cuore e il lupo in casa, così l'ho preso e l'ho messo in un cofanetto, assieme ai regali di matrimonio, in caso volessi portarli via con te. E’ posato sul letto" spiegò, con un guizzo degli occhi chiari che la diceva lunga. "Perdonami" aggiunse, per paura di aver toccato la mia privacy.

"Ti ringrazio, invece" sorrisi, poi la guardai ancora. "Di tutto".

Lei annuì, per poi voltarsi verso il salotto. Un solo secondo, e tutta la famiglia Cullen era lì fuori. Sospirai e raccolsi il bracciale, stringendolo piano fra le dita. 

Un piccolo biglietto si trovava ancora sul fondo del sacchetto. Non c'era un secondo dono, come aveva detto Alice. Si doveva essere sbagliata.

Afferrai il biglietto, nello stesso momento in cui i Cullen entravano in casa.

"A mia figlia ..." lessi in un sussurro, mentre la voce di Esme mi raggiungeva fioca.

"Bella, tutto bene?"

-.-

Osservavo, quasi con timore, il pavimento di casa Cullen. E loro, i Cullen, mi osservavano, l’unica umana tra quelle statue di marmo e ghiaccio. Ogni espressione era indecifrabile, leggermente tesa. 

Rosalie era l’unica ad aver proferito parola. 

“Dov’è Renesmee?” mi aveva chiesto, rabbiosa.

E io ero rimasta in silenzio, ancora scossa dai singhiozzi di poco prima, stretta dalla morsa che mi impediva di respirare, assopita in quella realtà troppo veloce per me. Alice mi stringeva ancora, con un braccio sulle spalle, e mi ritrovai a pensare, con una nuova morsa di dolore, che la sua pelle ricordava quella di Edward.

E dentro di me volevo ridere, ridere e ridere ancora. Ferire con la mia voce quelle maschere di pietra che non mi rivolgevano parola, uccidere quell’angoscia. E volevo anche urlare.

In primo luogo, contro la vampira bionda che mi sedeva davanti.

“ E’ con Jacob” mormorai a fatica. Lei strinse i denti in un ghigno adirato.

“La terremo noi” mormorò alla fine “Tranquilla, vivrà benissimo qui e …”

Non volevo ascoltarla. Renesmee sarebbe rimasta lì, sì, ma tra gli umani. O, almeno, tra i più vicini ad essere umani. La volevo con Jacob, con il branco, al sicuro.  Al sicuro da quella realtà fuori dal normale che mi aveva quasi ucciso.

Lontana da me. E lontana da lui.

Mi morsi il labbro e non risposi, mentre lei continuava a fissarmi con quel suo sguardo dorato che un tempo le avevo tanto invidiato. Ora, stretta nella morsa dei ricordi, le invidiavo solo il tempo e gli anni che aveva passato con il fratello adottivo.

 

Era ieri che mi salvava da un auto che rischiava di investirmi.
Era ieri che mi rivelava la sua natura.
Era ieri che mi abbandonava.
Era ieri che tornava da Volterra per me.

Eppure, non potevo vedere un domani con lui, come anche Alice.

Non mi avrebbe più amato. Mai più.

E allora lo feci davvero. Risi, piano, lasciandomi andare a quel suono fatto di felicità e dolcezza.

E le immagini di Edward e di me nella radura, e la sua risata.

Mi sentii cadere e pregai di non riaprire mai più gli occhi.

-.-

Le pareti bianche e le vetrate mi accolsero quando mi svegliai, alzandomi piano. La testa era pesante, troppo. La vista appannata. E l’udito … Quello sì che doveva essere davvero danneggiato.

Altrimenti perché sentivo la voce di Seth?

“Cosa farà?”

Le gambe erano così intorpidite da far male, come un milione di spilli pronti a trafiggermi. Provai a muovermi, ma la schiena mi obbligò a non tentare oltre. Quando ero svenuta?

“L’ho già detto a Jacob … Lei …”

Questa era Alice. La sua voce cristallina mi risuono in testa, mille campanelli dall’allarme tintinnarono come mossi da un vento gelido. “L’ho già detto a Jacob …”

Cosa gli aveva detto?

Di nuovo, provai ad alzarmi, ma non ci riuscii. Tutto divenne bianco e mi ritrovai nuovamente distesa sul divano. Sbuffai, distrutta dal dolore lancinante che mi bloccava i muscoli.

“Sì, è a casa di Billy con Nessie, mi ha detto tutto … E’ vero?”

Era di nuovo Seth, con quella sua voce dolce e infantile che mi cullò per un attimo, mentre mi riferiva indirettamente che Renesmee era al sicuro a casa di Billy. Eppure …

Jacob. Perché parlavano di lui? 

Mi passai delicatamente una mano sugli occhi e cercai di concentrarmi sulla voce di Alice.

“Si, vuole andarsene”

Chi?! Chi voleva andarsene?

Questa volta riuscii a tirarmi su, senza far rumore. I due sulla soglia – la vampira e il licantropo- mi ignorarono, con un veloce sguardo che diceva qualcosa di più di quello che riuscivo ad afferrare.

Respirai profondamente. Uno, due, tre …

“Chi se ne va?” mormorai piano, osservandoli. Tacquero.

“Chi?” ripetei, ancora, piano. Altri sguardi, poi Seth mi si avvicinò, con quel suo passo leggero di bambino e quella sua sicurezza di adulto. “Bella” mi sorrise, prendendomi le mani “tranquilla, va tutto bene”.

Il suo calore mi fece quasi sussultare, quando mi abbracciò amichevolmente con un solo braccio, cingendomi le spalle. “Tranquilla” ripeté “Jacob mi ha detto di salutarti”. Mentiva.

Scossi la testa. “No” sussurrai “gli avete … Cosa … Cosa gli avete detto?”

Sentii Alice sospirare.

“Bella” e si avvicinò “Bella, Jacob mi ha chiesto cosa volevi fare e …” la sua voce si infranse.

“No …” gemetti disperata.  Aveva parlato con Jacob? No, non poteva essere. No, Jacob non sapeva nulla. 

Jacob non sapeva che volevo andarmene.

Ma, per quanto cercassi di crederci, stavo perdendo via via la speranza. Dovevo parlargli, dovevo dirgli tutto, dovevo … 

Mi alzai di colpo, confusa, ma decisa. Sfuggii dalla morsa di Seth, stringendomi al bordo del divano per non cadere, e allo stesso tempo cercai di riordinare le idee. La Push. Sì, da Jacob.

Alice riuscì a bloccarmi con la sua morsa di acciaio e ghiaccio, mentre io rovinavo a terra come una sciocca. E, ancor più sciocca, vedendo la porta aprirsi, tentai di scattare verso quell’unica via di fuga. Un secondo e mi ritrovai a faccia a faccia con un Jacob serio e incredibilmente composto.

E, come era inevitabile, la gravità fece il resto.

“Bells” lo sentii muoversi e aiutarmi ad alzarmi, senza altre parole. La voce era così contenuta da farmi male. Strinsi i denti e mi rimisi da sola in piedi, anche se traballante. Lui si allontanò piano, osservandomi mentre ritrovavo l’equilibrio e si lasciò sfuggire un sorriso triste. Che scomparve subito.

“Dobbiamo parlare” mi annunciò, con tono che sapeva di sfida e frustrazione. Mi morsi il labbro.

“Jake io …”

Lui mi afferrò per la spalla con gentilezza e mi condusse in cima alle scale, fino a quello che sapeva essere il bagno. Quando si fermò, le mie guance erano già bagnate.

Tentai di fermarlo, inutilmente. E le mie resistenze non servivano a niente.

“Non puoi andartene” cominciò in un sussurro, ma con forza. 

Lo fissai negli occhi. “Jacob … Io devo. Quaggiù non posso rimanere” spiegai, lentamente. La mia voce era spenta e roca, i suoi occhi neri mi seguivano e io non potei resistere. Abbassai i miei.

Alla fine mi strinse la spalla e mi costrinse a guardarlo. I singhiozzi continuavano.

“Cosa pensi di dire a Charlie? A Renee? Come ti allontanerai da loro?”

“Io …”

“Quando tua figlia si renderà conto di essere diversa, quando non potrai più scappare?!”

Scossi la testa.

“Ormai fai parte di questo mondo, Bella”

Mi voltai e corsi via avvertendo il suo sguardo fisso su di me dal primo all’ultimo istante.

Risi pianissimo, e la mia risata nervosa si mescolò al suono delle lacrime sul pavimento di legno.

Caddi di nuovo, la debolezza si impadronì di nuovo di me. Qualcuno mi aiutò ad alzarmi.

E, spostando lo sguardo, mi ritrovai davanti due occhi così dorati da farmi male.

-.-

“Bella” sussurrò Esme, vedendomi a terra. Si mosse velocemente e in un attimo era accanto a me, preoccupata. “Ti sei fatta male?”

Scossi piano la testa. “Sono solo stanca …” mentii. Non ero solo quello. Ero distrutta, morta, finita, uccisa dall’interno come se un ombra nera si agitasse dentro di me. Sospirai.

Esme mi sorrise comprensiva, poi mi accarezzò lentamente i capelli.

“Sai, non sono abituata ad avere figli umani” sussurrò “Ho l’eterna paura che tu o Nessie vi facciate male”. Rise piano.

Annuii. 

“E poi, l’unica cosa vicina a un adolescente con cui ho mai convissuto è stato … Edward”.

A quel nome le gambe quasi mi cedettero. Le voci, mille e mille voci che mi avevano accompagnato per tutto quel tempo, si fecero di nuovo sentire.

“Edward” pensai. Ma perché lui? Perché non qualunque altro? Perché mi ero innamorata?

“Parlami di lui” mormorai, gli occhi spalancati e le voci sempre più forti.

La vidi sorridere piano e quel sorriso illuminò il suo volto perfetto per diversi attimi. Poi si spense.

“E tu dimmi quale problema c’è con Jacob” replicò.

E rimanemmo lì, sedute sul suo splendido pavimento mentre le raccontavo delle mie paure, di mia figlia e del mio migliore amico. Mi ascoltò mentre confessavo tutto il dolore e tutta la forza, mentre le spiegavo che non volevo ripetere ciò che era successo prima di Volterra.

E lei mi raccontò con voce di madre di quel vampiro gentile e ribelle, di quel suo amore per la musica e per gli altri e di quei suoi occhi, a volte rossi, a volte dorati, dietro ai quali si intravedeva sempre quell’ombra di verde acqua che li aveva caratterizzati in vita. 

E di cui mi ero perdutamente innamorata.







Note delle Autrici:


Ehmm... Salve! Scusate infinitamente il ritardo u.u Sempre colpa mia (Missy xD) che scrivo lentamente. Questo capitolo è mio, sisi u.u Non so se vi piacerà, ma vorremmo comunque ringraziare tutti quelli che:


-hanno letto
-preferito
-seguito
-ricordato
-recensito

Ci piacerebbe sapere la vostra opinione sulla nostra storia, quindi cliccate subito e recensite u.u
Peeeer favooore **
Come vedete, questo capitolo è un po' particolare... ho voluto dare spazio ai Cullen (Alice, Rosalie, Esme) e a un paio di lupetti (Jacob, Seth) ... Per quanto riguarda Bella e Jake, la situazione non è chiara u.u Ognuno è nervoso per un motivo e sono entrambi molto umani e incerti, abbiate fede u.u
La citazione all'inizio e nel testo viene dalla canzone "Samarcanda" di Vecchioni, che per quanto triste mi sembrava molto adatta ^^

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Capitolo 3
*** Senza Sapere ***




Capitolo  III

Senza Sapere






Era passato solo un giorno dal secondo abbandono di Edward, ma non mi ero ancora ripresa da tutto; non riuscivo a rendermene conto.
Edward se ne era andato e anche una parte della mia anima con lui. Ero vuota, fredda, e mi risultava difficile provare qualsiasi tipo di emozione. Tutta l’energia che avevo acquistato negli ultimi tempi era svanita. Solo una cosa riusciva a farmi ottenere quelle poche forze per permettermi di andare avanti, di continuare a vivere: Renesmee.
La osservavo dormire tra le mie braccia, in quel petto caldo che probabilmente sarebbe bastato a tenerla al sicuro, o forse no. Non avevo chiuso occhio quella notte, pensando e ripensando a cosa avrei dovuto fare. La cosa più difficile era capire cosa dovessi fare con Renesmee. Il mio istinto mi suggeriva che me ne sarei dovuta andare lontano da Forks da sola e lasciare mia figlia con qualcuno che potesse proteggerla, con la famiglia di Edward o con Jacob, ma la parte del mio cuore optava per l’opzione opposta. Avrei dovuto portare Renesmee con me, e in qualche modo l’avrei tenuta al sicuro.
                              
La vidi stropicciarsi gli occhi per poi richiuderli e abbracciarmi forte.
“Buongiorno dormigliona” le dissi baciandole i capelli e stringendola ancora più forte.
“Buongiorno” biascicò ancora insonnolita.
Spalancò definitivamente gli occhi e mi guardò in modo strano. “Mamma, hai dormito con i vestiti?” indicò i jeans e la maglia che indossavo.
Per la prima volta dopo ventiquattro ore si formò un sorriso sulle mie labbra, fino a poco tempo prima sigillate dal dolore.
Mi guardai come una stupida. “Sono proprio sbadata vero?” le risposi dandogli corda. Renesmee annuì ridendo e le scompigliai i capelli. Facevo un enorme fatica a nascondere il mio dolore, ma per lei dovevo farlo, dovevo trovare la volontà.
 Feci un enorme sospiro e cercai di togliermi il peso che mi sentivo dentro. “La tua mamma sbadata dovrebbe dirti una cosa..” la guardai negli occhi. Si avvicinò ancora di più e mi salì in braccio facendo segno di continuare. Speravo che la prendesse bene, lo speravo sul serio, volevo vederla felice.
“Ti dispiacerebbe lasciare Forks?” aggiunsi “rispondi sinceramente”.
Renesmee mi guardò confusa e rispose: “Si..perchè?”
“La mamma ha pensato che forse sarebbe meglio..” deglutii “trasferirsi” tagliai corto quella frase che fino alla fine mai pensai di poter riuscire a dire.
“Perché?” sulla sua faccia comparve un misto di curiosità e di confusione.
Cosa le avrei raccontato? Come sarei riuscita a confessargli tutto? Cosa mi sarei inventata? Per quanto Renesmee fosse una bambina prima o poi avrebbe capito tutto, era una bambina intelligente. Ma non potevo di certo raccontargli tutta la verità, non ci sarei riuscita. Avrei trovato una scusa. Non sapevo neanche io quale fosse il motivo della mia decisione: Edward se ne era andato, e neanche di quello sapevo il perchè.
Cercai di parlare tranquillamente e di mantenere la calma. “Sai, amore, qui sta diventando difficile. Forks è un piccolo paese e non è il posto migliore per noi. Non che si stia male, ma … sarebbe meglio per entrambe se ci trasferiamo. Ci farà bene allontanarci, avere una vita un po’ più normale, non credi?”. Rimase in silenzio e annuì non molto convinta. Il motivo non era quello, ovviamente. Mi ero sempre trovata bene a Forks, ma con la lontananza di Edward non avrei resistito più di tanto in un paese pieno di ricordi.
Continuai. “Ritorneremo qua spesso, te lo prometto. Ogni volta che potremo prenderemo l’aereo e veniamo a trovarli. Sicuramente verranno a trovarci anche loro … e anche a me mancheranno tutti, ma ritorneremo talmente spesso che non farai neanche caso alla nostra lontananza” cercai di spiegare in modo convincente.
“Gli zii e i nonni non vengono con noi? E Jacob?“ mi chiese con occhi dolci.
Jacob, già. Come sarebbe riuscito a stare lontano da lei? E Renesmee ne avrebbe sentito sicuramente la mancanza; ma io stavo facendo tutto questo per noi, volevo una vita migliore per lei, e non sofferente come era diventata la mia soltanto il giorno precedente.
Mi sentii totalmente in colpa per la situazione in cui stavo mettendo mia figlia e ricominciai a parlare con fatica. “Tesoro, loro non possono venire con noi. Lo sai, sono sempre stati qua, e per noi si tratta solo di un periodo … Non è definitivo. Ci trasferiamo per un po’ e poi ritorniamo, che ne dici? Solo un po’ di tempo …” le accarezzai la guancia e vidi i suoi occhi inumidirsi e il suo sguardo triste.
“Renesmee, non voglio costringerti … se vuoi puoi rimanere qua, se questo ti rende felice. Verrei a trovarti il più spesso possibile, e te rimarresti con gli zii e con i nonni. Tutto pur di farti felice, tutto quello che vuoi” risposi.
Scosse la testa decisa. “Voglio stare con te, con la mia mamma” e mi abbracciò talmente forte da non riuscire a respirare “Ti voglio bene” sussurrò.
A quelle parole non riuscii a trattenermi e una lacrima, di gioia questa volta, bagnò la mia guancia.
Lei ci sarebbe sempre stata, mi avrebbe permesso di andare avanti. Di farlo anche per lei. Era come se mi fosse crollato il mondo addosso, e lei, l’unica che riuscisse a risollevarlo.
Le baciai una guancia. “Anche io ti voglio bene, e non immagini quanto” sussurrai asciugandomi il volto bagnato.
Sorrise per poi continuare a parlare. “Ma … papà viene con noi, vero?”.
Sentii il cuore in gola. Era l’unica domanda che non avrei mai voluto sentirmi dire, l’unica domanda a cui non sapevo cosa rispondere. Edward non mi aveva detto niente e mi stava rendendo sempre tutto più difficile. Non sapevo niente del perché se ne fosse andato, ne se fosse ritornato un giorno.
Da quello che mi aveva fatto capire c’era stata una motivazione del suo allontanamento, nonostante tutto mi fidavo ancora di lui e volevo veramente sperare che non fosse stata una sua decisione personale. Come il suo solito non ha voluto dirmi niente, la sua mania di protezione era troppo forte, voleva in qualsiasi modo tenermi lontana dal suo mondo e dai pericoli che potevano portare.
L’avevo pregato per giorni di trasformarmi, anche dopo la nascita di Renesmee, ed ero finalmente riuscita a convincerlo. Ma ora eccomi,ancora umana, alle prese con le difficoltà di una vita, non poi così normale.
“Ora papà non è con noi ...” aggiunsi non sapendo cosa dire “è dovuto andare via per un po’... vedrai, ci raggiungerà presto…"
'Lo spero ' pensai tra me stessa. Era come se cercassi di convincermi che prima o poi sarebbe tornato, ma non potevo saperlo.
Renesmee sentiva che c'era qualcosa che non andava, non faceva altro che chiedermi di Edward. Cercavo di rispondere nel modo migliore, ma sul serio non sapevo cosa inventarmi, perché non sapevo davvero niente.
Non chiedeva più di tanto, e speravo che questa lontananza di Edward potesse non turbarla, ma immaginavo avesse capito più o meno cosa era successo.
Dopo la mia risposta non parlò più, si ammutolì abbracciandomi stretta.
Decisi di prendere la parola e di spezzare il silenzio cupo che si era creato. "Sai, ho trovato una bella casetta per noi due, la casa dove ci trasferiremo …  la tua camera è più grande della mia" risi "mi aiuterai a sistemarla vero?" domandai scherzando.
"Davvero?" sorrise "posso portare anche qualche cosa che è ora nella mia camera? La coperta che mi ha regalato papà e i vestiti di zia Alice?"
"Puoi portare tutto quello che vuoi tesoro" la vidi sorridere "e naturalmente i vestiti di zia Alice sarai costretta a portarli ... altrimenti chi la sente?” scherzai cercando di essere più tranquilla possibile. “Partiamo domani allora? Affare fatto?” le domandai.
“Va bene” rispose eccitata e mi prese per mano.
“Andiamo a salutare il nonno Charlie, che ne dici?” dissi e non feci in tempo a concludere la frase che Renesmee scese velocemente dal letto e mi trascinò fino alla macchina parcheggiata davanti il portone di casa Cullen.
.-.
“Papà? Sei in casa?” quasi urlai mentre suonavo per l’ennesima volta il citofono della mia ex casa.
Dopo pochi secondi mio padre aprì la porta. “Ehi Bells! Scusa tesoro..ero di sopra a sistemare la nuova attrezzatura da pesca e non ho proprio sentito suonare” si giustificò sorridendo a Renesmee per poi prenderla in braccio.
“Ciao piccola, come stai?” disse baciandole la fronte.
“Bene” rispose ricambiando il bacio “Nonno, posso andare di sopra a vedere i tuoi attrezzi da pesca?” chiese Renesmee.
“Ma certo, tesoro. Attenta a non romperli però, ok?” rispose mio padre chiudendo la porta di casa.
Nessie si precipitò verso le scale e in meno di un secondo arrivò al piano superiore. Di solito si comportava come tutte le altre bambine, ma lei era diversa, non era come tutte le altre. Quando nessuno la vedeva si lasciava andare alla sua vera natura e iniziava a correre talmente veloce, come un vampiro può fare, da perderla anche di vista.  
Questa era una delle cose che mi preoccupavano di più.
Sarei stata in grado di aiutarla?  Ero ancora un’umana a tutti gli effetti, mentre lei … non proprio.
Fino a quel momento me l’ero cavata, ma con l’aiuto di Edward e della sua famiglia, e anche di Jake, ma non sapevo proprio come comportarmi senza il loro aiuto. Avrei continuato anche senza di loro, dovevo.

“Bella, come va? Edward non è venuto?”. Avevo messo in conto che avrei dovuto dare una risposta a questa domanda. Ogni volta che qualcuno pronunciava il suo nome, iniziava a mancarmi l’aria e precipitavo nel panico. Non avrei potuto raccontare niente neanche a lui, era impossibile farlo. Dovevo tenerlo lontano da quel mondo.

“No, papà. Io in realtà ... sono venuta a parlarti proprio di questo” risposi iniziando ad agitarmi. Decisi di sedermi accanto al tavolino della cucina. Mio padre assunse uno sguardo preoccupato e mi seguì.
“Bella, devo preoccuparmi? Cosa è successo?”. No, non è successo niente papà. Edward se ne è solo andato, ed io non so ne il perché, ne se tornerà. Ero alla ricerca delle parole giuste, di certo non potevo esprimere quello che avevo appena pensato.
“Niente, niente di grave” mentii “Abbiamo deciso di trasferirci” mi liberai da quel peso. Mi dispiaceva vedere mio padre triste, e sicuramente questa notizia non l’avrebbe reso particolarmente felice.
Spalancò gli occhi .“Ve ne andate?”. Lo sapevo, non l’aveva presa bene.
“Si, papà. Abbiamo avuto dei problemi e ... beh, dobbiamo trasferirci per qualche mese. Ritorneremo presto, non rimarremo per molto tempo. Solo ... solo il tempo necessario per rimettere tutto apposto”.
Il tempo necessario per non impazzire.
“Spero non sia successo nulla di grave..” sussurrò debole mio padre.
“No ... solo un problema con Edward e con la sua famigl..” non feci in tempo a terminare che la voce di mio padre sovrastò la mia .“Ok, Bella..non ti preoccupare, ho capito.”

Mio padre non si era mai interessato a quei tipi di problemi. Da quando era nata Nessie aveva capito che c’era qualcosa di diverso nella famiglia di Edward, rispetto a tutte le altre famiglie. Da quando Jacob si era trasformato davanti ai suoi occhi non ne aveva più voluto sapere. A lui bastava che gli fossimo vicino, e non era mai stato un uomo che si intrometteva troppo, non era da lui. Sarebbe rimasto senza di me qualche mese, saremmo tornate a trovarlo, ovviamente. Sapevo che non era solo, però. Aveva Sue. Sembrava che ultimamente le cose si stessero facendo più serie, e non c’era da meravigliarsi se al mio ritorno mi fossi trovata Seth e Leah come fratellastri. Non era da escludere questa possibilità. Lasciavo mio padre nelle mani di quella santa donna.
Continuò a parlare dopo qualche secondo di silenzio. “Dove vi trasferite? Lontano immagino..” vidi il suo sguardo assente.
Mi sentivo in colpa, in colpa per tutto. “In Alaska, ad Anchorage. Ho trovato una buona università per quei mesi. Non so se potrò terminarla lì, non credo. Spero di poter tornare prima”.
Mio padre annuì. “Almeno siamo nello stesso continente. Mi aspettavo peggio. Verrete spesso a trovarmi vero?”.
“Si, papà. Te lo prometto. Non sarà per molto”. Questo davvero non potevo saperlo, ma lo speravo.
Sentii Renesmee scendere di corsa dalle scale e mio padre le rivolse uno sguardo dolce per poi dirmi: “Prenditi cura di lei, ok?”
“Certo, papà”. A quelle parole cercò di nascondere una lacrima dagli occhi, e la ricacciò dentro.
“Quando partite?” domandò.
“Domani..” Renesmee ormai ci aveva raggiunto ed era salita in braccio a Charlie.
“Se la mamma dovesse scordarsi, ricordale di tornare a trovarmi, ok tesoro?” si rivolse a Renesmee che annuì abbracciandolo stretto. Rimanemmo a chiacchierare per altri dieci minuti.
Mi alzai dalla sedia. Avevo ancora molte cose da sistemare, e il giorno seguente saremmo partite. Mancava davvero poco.
Renesmee salutò per l’ennesima volta Charlie e corse verso la macchina.
“Grazie papà, grazie di tutto. Ci vediamo presto”. Sussurrai mentre mio padre mi abbracciava stretta davanti all’ingresso.
Scesi le scale. “Ti voglio bene, Bells” parlò ad alta voce mentre raggiungevo la macchina.
“Anche io te ne voglio, papà”. Dallo specchietto vedevo in lontananza mio padre agitare una mano in segno di saluto.
--
Stavo sistemando le ultime cose da mettere in valigia. Mancavano poche ore ormai, il cielo si stava oscurando e la notte iniziava a farsi sentire.
Ero nella mia camera, vuota, senza di lui. Non sarei riuscita a stare in questa casa, ne ero convinta. Ogni piccola cosa mi ricordava lui. Mi muovevo per casa e sentivo la sua voce e vedevo la sua faccia nella mia mente. Sarei impazzita qua, dovevo andare via, si.
Renesmee era agitata, quasi contenta. Da ore era chiusa nella sua camera a piegare e a sistemare le sue cose nella valigia. Mi rendeva felice vederla in quel modo. L’aveva presa piuttosto bene, ed era una bambina forte. Però, più passavano i minuti, più mi rendevo conto che avesse capito tutto. Cercava di non farmelo notare, ma io la conoscevo troppo bene, e stava sicuramente facendo di tutto per nascondere la sua tristezza.
“Bella..” sentii una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto.
“Jacob, mi hai spaventato!”
“Scusa” mormorò triste guardando le valigie sopra il letto “Sei proprio decisa allora?”
Annuii con la testa e abbassai lo sguardo “Devo, Jake. Non posso rimanere qua, non ce la posso fare. Sto impazzendo, e non posso permetterlo.”
“Se è questo che pensi io ... io mi scuso Bella. Sono stato uno stupido ieri ... non dovevo attaccarti in quel modo” mi voltai e alzai lo sguardo.
“Jake, non ti devi scusare. Hai ragione. Probabilmente sono solo un egoista e codarda, lo ammetto. Ma non ce la faccio a rimanere, capisci? Mi sento uno schifo per quello che sto facendo. Renesmee è di là che a stento trattiene le lacrime ed ... io ... oh Jake, sono una pessima madre ...” le lacrime iniziarono a sgorgare dai miei occhi e Jacob fu subito al mio fianco.
“Bella, ma cosa stai dicendo? Non farti venire in mente queste cose, ti prego. Renesmee ha bisogno di te ... e se te sei felice lo è anche lei. Stai facendo la cosa giusta” mi confortò Jake.

Continuai a parlare nonostante le lacrime. “Lo spero. Non voglio turbarla, non voglio farlo. Da quando Edward se ne andato io non mi riconosco più, non sono più la stessa Jake. Non posso sapere se sarò in grado di ... di farla stare bene, se lei starà bene con me. Perché diavolo se ne è andato via? Ho bisogno di lui ... ho bisogno di Edward, Jake ...” asciugai le lacrime con il palmo della mano.
“Vengo con voi” disse deciso.
“Cosa?” risposi sorpresa.
“Mi devo prendere cura di voi. Farò quello che Edward avrebbe voluto vedere ... non posso lasciarvi andare da sole ...”
“Sul serio, Jake?” risposi sbalordita.
Annuì. “Mai stato più serio di così. Non posso lasciarvi sole … io non posso”. Già, non saremmo state sole. Ci sarebbe stato per la seconda volta. Per la seconda volta avrebbe preso il posto che spettava a Edward. Sarebbe stato il nostro punto di forza, sarebbe stato il nostro unico appoggio. Mi addormentai tra le sue braccia, stanca, sfinita dal dolore.
--
 Poche ore dopo ci alzammo e uscimmo da quella casa che un tempo avevo desiderato fosse mia per l’eternità. Tutti e tre, ognuno diviso da ciò che amava.
I Cullen ci aspettavano. Li abbracciai a uno a uno, con le lacrime agli occhi.
“Ti servirà” mi sussurrò Carlisle lasciandomi tra le mani un cellulare precaricato. Annuii, confusa.

E ce ne andammo.

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Capitolo 4
*** Ricordi ***


Dedichiamo questo capitolo a chi ci segue, a chi legge, preferisce e ricorda.

E in particolare a Giselle S, che ha recensito tutti i capitoli, con commenti lunghi e dettagliati che ci fanno andare sempre avanti, per migliorare ogni giorno di più!

Capitolo IV 

Ricordi


(I did it for love

L’ho fatto per amore

No signs for me

Nessun segno per me


I saw your game but yet

Ho visto il tuo gioco, ma ancora

and still you got me

e ancora tu hai me)


BoA, I did it for Love

Sangue. Sangue. Sangue.

Troppo. Troppo. Troppo …

Liquido scarlatto che mi scivola tra le mani.

E la cosa che fa più male.

Tum.

E’ che questo sangue.

Tum.

E’ il suo sangue.

Tum.

E questo.

Tum.

E’ il suo cuore.

Tum.

Che sta smettendo.

Tum.

Di battere.

“Edward! Edward, la bambina!”. La voce di Carlisle è così, dannatamente, lontana. Non ce la posso fare.

Non con il suo profumo in testa. Non con la sua voce ancora nelle orecchie. Non con gli occhi di questa bambina, così simili ai suoi, che mi guardano. Che mi implorano.

Non posso.

Jacob parla, accanto a me. Anche lui mi implora. E’ il momento.

Non ci sarà più sangue. Mai più dolore. Solo vita.

Tum.

Lei vivrà.

Tum.

Afferro l’ago con il mio veleno. Ora. Devo.

La sento calmarsi, piano. Forza, Edward, forza.

Ma la amo troppo. Troppo.

La amo come non ho mai amato nessuno. Come potrò guardare ancora i suoi occhi, se questi diverranno scarlatti? Mi fermo. Attimi. Secondi. Battiti di cuore. Persi.

“Fermati” mi sussurra Carlisle. Poi, si volta verso Bella.

Attimi di sangue. Grida.

Anni, secoli, minuti dopo, la sua mano fredda sulla mia spalla mi risveglia.

Secondi. Sguardi.

“Sta bene. Starà bene” mormora Carlisle.

E dentro di me, sto giurando che la proteggerò. Lei e Renesmee. Sempre.





Il cielo era nuvoloso. Leggere nubi di pioggia volteggiavano dinanzi al sole, distraendolo dalla terra, dove, ne ero certa, stava per cadere la pioggia. Tanta pioggia.

Cercavo di non pensare. Dimenticare tutto. Abbandonarmi al silenzio.

Inciampai per l’ennesima volta in quella giornata, mentre Jacob mi riafferrava per evitare che fossi inghiottita dalla folla. Come se fosse possibile! L’aeroporto era pienissimo, la gente si spintonava, si urtava, si scontrava. Il mio mondo sembrava di colpo piccolissimo, e desideravo solo andare avanti e dimenticare i problemi. Ma quali problemi?

Mio marito se ne era andato, mia figlia non sapeva nulla e il mio migliore amico era deciso a sostituirlo per un po’. La mia famiglia era dispersa –l’avevo mai avuta una famiglia vera? Una madre e un padre, insieme?- e il mio mondo si stava spezzettando pian piano, senza Edward.

“Bells?!” . No, forse non ero più Bella Swan in Cullen. Ero andata. Ero un guscio vuoto.

“Sì?”

“Stai bene? Sai, mancano un paio d’ore, possiamo fermarci …” era davvero preoccupato.

Scossi la testa. “Sto bene” lo rassicurai.

E nei suoi occhi, vidi, chiaro e leggibile, che non mi credeva.

 Abbassai lo sguardo, sotto la forza del suo, fisso su di me. Mi chiesi se sarei riuscita ad andare avanti. Non ebbi risposta. Volevo solo piangere.

 

“Come sta?”

“Non lo so”

“Edward …”

“Non lo so ti ho detto! Dimmelo tu!”

Gli occhi di Alice fissi nei miei. Paura.

“Non lo so” ammette. Annuisco piano.

“Dobbiamo solo …” provo.

“Aspettare?” mormora lei, accarezzando la guancia pallida di Bella.

Annuisco.

“Un giorno i Volturi arriveranno”.

Altri sguardi, altra paura. Mi sorride.

‘Ce la faremo?’

“Non lo so” rispondo al suo silenzioso pensiero. E poi, di nuovo silenzio.

Ottenere i biglietti fu piuttosto facile.

Jacob era arrivato a passo veloce, portandosi dietro il trolley di marca che mi aveva regalato Alice, e Nessie con  lui, mentre io li seguivo a ruota. Aveva ammiccato alla donna al banco, chiaramente divertito, e non aveva neanche perso l’occasione di indossare un paio di occhiali scuri, che lo facevano assomigliare alla guardia del corpo di chissà quale Vip.  Dietro, Renesmee rideva estremamente allegra , e, quando anche Jacob lo notò, vidi il volto del licantropo aprirsi in un sorriso.

Incrociai i suoi occhi e li percepii brillare di qualcosa di chiaramente vicino alla felicità, finché non si rese conto di essere osservato e si voltò nuovamente per prendere le valigie.

Sembrava imbarazzato.

Mi stupii di quella reazione, ma non lo diedi a vedere. Lasciai andare il giacchetto, che cadde pesantemente sul mio trolley, per abbassarmi e sorridere a Renesmee, che ricambiò.

Le passai il passaporto e la vidi posare gli occhi su di esso. Poi annuì, impercettibilmente.

Mi sentii male.

Era una bugia: io non ero lì per andare all’università, Jake neanche. Non si chiamavano Vanessa e Jacob Wolf, non erano parenti. Eravamo uno strano gruppo di persone incontratasi per caso, un buon amico, una ragazza egoista e una splendida bambina.  Sorrisi dolorosamente a Nessie e ripresi la valigia, che Jacob afferrò velocemente e posò sul rullo trasportatore.

Sospirai, acciuffai la borsa con le poche cose preziose del matrimonio che avevo voluto portare con me –pesanti, ma sempre meno pesanti del buco che avevo al posto del cuore- e seguii il mio migliore amico alla dogana.

Gli uomini in divisa ci spinsero in avanti e sorrisi cortese quando, cadendo nuovamente, rischiai di farne capitolare uno. Dentro di me c’era silenzio, solo silenzio, oltre a uno strano ronzio e al battito incessante del mio cuore. Mi sentivo vuota, senza una meta, ne uno scopo.

Sospirai, mentre depositavo giaccone e borsa sul nastro trasportatore, e Renesmee mi precedeva, quasi danzando, davanti alle guardie. Anche se si fosse portata dietro un ordigno esplosivo, l’avrebbero guardata con la stessa aria incantata.

La seguii, e la differenza tra il mio portamento goffo e il suo fu estremamente evidente. Una donna dietro di me mi sorrise e poi mi sussurrò: “Che bella bambina … Ha i suoi occhi! Però non assomiglia molto al padre …” e lasciò cadere la frase.

Sorvolando sul fatto che il loro passaporto li definiva padre e figlia, mentre il mio aveva tutt’altro cognome, annuii vaga e con lo sguardo scivolai sulla figura di Jacob, che con un braccio cingeva le spalle di mia figlia e con l’altro si portava dietro la borsa di pelle che era il suo bagaglio a mano. Gli andai incontro, sorridendo a Nessie che era corsa verso di me.

‘Hanno controllato i biglietti. Credono davvero che sia Vanessa Wolf’ mi fece sapere, posandomi una mano sulla guancia. Annuii, più sollevata, finche non avvertii un tocco rude sulla spalla.

Un uomo in uniforme mi guardava dall’alto, le sopracciglia corrucciate, gli occhi fissi nei miei. Raddrizzai le spalle e lo fissai a mia volta, preoccupata. Si erano accorti che i passaporti erano falsi?

Li aveva fatti fare Emmett tempo fa da un uomo di sua conoscenza, perché Nessie e Jake potessero fuggire se le cose si fossero messe male, durante la visita dei Volturi. Io volevo rimanere con Edward, e il mio essere testarda e una minaccia di suicidio era riuscita a convincerli. Ora, però, non ero tanto sicura che quei documenti fossero abbastanza realistici.

Bastava una data, un numero fuori posto e addio.

Mi morsi il labbro.

“Qualcosa che non va, agente?” chiesi.

“C’è qualcosa che non va nel suo bagaglio a mano” mi rispose, con un breve sorriso, quindi mi fece cenno di seguirlo. Eseguii, con un' ultima occhiata a Jacob.

L’uomo mi riconsegnò la mia borsa, una tracolla di stoffa regalatami da Renee.

“C’è qualcosa di strano, sembra un …” indagò nel mio sguardo “… coltello” finì.

Mi trattenni appena dallo scoppiare a ridere.

“Probabilmente un regalo di matrimonio” cercai di spiegarmi, goffa “sa, mi sono sposata da circa sei mesi, ero qui per passare un po’ di tempo con il mio migliore amico e sua figlia …” feci un cenno verso Jake e Nessie. Lui mi fissò, le sopracciglia alzate, scettico.

“ … Ma non le interessa” finii, aprendo di scatto la borsa e frugandoci dentro. L’unica cosa sospetta era il cofanetto di Alice, dove conservavo le poche cose del matrimonio che non mi fidavo a lasciare in valigia e che avevo infilato trai bagagli senza neanche sapere a cosa mi potessero servire.

Lo aprii velocemente, scostai un paio di collane e ne estrassi un coltellino d’argento.

 “Questo?” chiesi innocentemente. L’agente lo esaminò, lentamente, quindi me lo tolse di mano.

“E’ questo” confermò. Sorrisi, vittoriosa.

“Vuole imbarcarlo?” iniziò un collega del primo. Scossi la testa, secca.

“No, potete buttarlo” replicai, e loro mi fissarono sbalorditi.

Mi voltai, leggermente imbarazzata, e presi in mano il cofanetto, con l’intenzione di chiuderlo. Prendendolo in mano, però, un gioiello cozzò con gli altri e rischiò di cadere.

Lo presi al volo e, con un il cuore che batteva più forte e il sangue che pulsava nelle orecchie, mi resi conto che era il bracciale di Edward, con il cuore di cristallo e il lupo in legno.

Una mano fredda sembrò passarmi attraverso la pelle e fermarsi sul cuore, mentre mi rendevo conto di un terzo ciondolo. Lo osservai: lo stemma dei Cullen.

Con mano tremante, lo girai, e la testa rischiò di scoppiare. Incisa nell’argento, c’era una frase.

I promise the lamb will be a lion’.

Prometto che l'agnello diverrà un leone.

E sentii la forza dei ricordi, che mi uccideva.

 

C’eravamo io e la mia famiglia, di fronte ai Volturi.

Sapevo che Bella era al sicuro.

Sapevo che Renesmee lo sarebbe stata.

Ma avevo comunque paura, paura di fallire.

Soprattutto ora che mi nei desideri di quegli esseri senza cuore.

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Capitolo 5
*** Romeo and Juliet ***


Wait me

V - Romeo and Juliet

Lo sguardo ormai era fisso da più di qualche minuto sul piccolo schermo del mio cellulare. Ormai anche il rumore dell’aereo e il parlottare dei passeggeri era lontano, come se tutto fosse in silenzio. Nessun rumore o suono, la mia mente vagava altrove. Ero seduta accanto a mia figlia, dalla parte del finestrino. Mi rassicurava l’idea di poter vedere in basso, di vedere tutto dall’alto. Mi era sempre piaciuto, fin da piccola.

Cercai di capire come funzionasse il telefono che mi aveva dato Carlisle, non riuscivo a capire il perché di quei tre numeri già presenti nella rubrica. ‘Ti serviranno’ aveva mormorato Carlisle poco prima che lasciassi casa Cullen. Cosa me ne facevo di questi tre numeri, e soprattutto, a cosa mi sarebbero serviti? Era inutile, totalmente inutile. Erano numeri che non avrei mai chiamato, lo sapevo. Riposi velocemente il cellulare in tasca, liberando la mia testa dal caos di idee e pensieri che ormai presiedevano in essa. Basta pensare, basta tutto. La testa mi scoppiava e avevo bisogno di una pausa, avevo bisogno di non pensare.

 

Appoggiai la testa sullo schienale della mia comoda poltrona e abbandonai i mille pensieri. Osservavo incostantemente lo schienale del passeggero davanti. Solo dopo poco tempo mi accorsi dello sguardo fisso di  Jake su di me. Mi osservava, ma quando voltai lo sguardo e incontrai i suoi occhi mi sorrise.

“Immagino tu sia un po’ assente con la testa, sbaglio?” chiese quasi ridendo.

“Mmh, no, non sbagli” annuì alzando le spalle “ E’la verità. Sono assente perennemente, ormai dovresti saperlo” ridacchiai.

Si unì alla mia breve e nervosa risata e abbassò lo sguardo per poi continuare a parlare “Stai bene Bella? Dico sul serio ...” domandò preoccupato Jacob.

Se stavo bene? No, non potevo stare bene. Non stavo bene. O forse dovrei dire di stare meglio, di essere riuscita a riprendere una piccola parte del mio controllo, ma non stavo affatto bene.

“Si, Jake, tutto bene. Solo ... forse sarà solo ... il fuso orario, ecco”.

Sentii Jake ridere di gran gusto e scuotere la testa.

“Cosa ... cosa ridi?” lo guardai con la coda dell’occhio, per non essere contagiata dalla sua risata.

“Sei ... sei  completamente pazza, Bella” affondò la testa sul cuscinetto del sedile.

Pazza? Già, lo ero. Si, ero pazza, aveva ragione. Come dargli torto? Una pazza ero stata. Una pazza ad abbandonare la mia vecchia vita alla ricerca di una migliore, che probabilmente non sarebbe stata poi tanto migliore. Ero stata una pazza su tutto, avevo preso delle decisioni troppo affrettate, ma ancora adesso credevo fossero le scelte più giuste. Probabilmente agli occhi estranei  era in questo modo che apparivo.

“Bella, lo sai che ad Anchorage c’è solo un’ora di fuso orario da Forks? Non sei brava a dire le bugie, proprio non ci riesci” disse guardando dritto e scuotendo la testa.

Ora? Ora non ero solo pazza, ma anche una stupida bugiarda. Perfetto!  

                                                 

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Era passata solamente una settimana dall’arrivo dei Volturi, ma la tranquillità era presente. Ero distesa sul letto della casa in cui da poco tempo abitavamo. Non era molto lontano da casa Cullen, bastava solo attraversare il fiume e pochi passi dopo era situata la nostra. Ai miei occhi non era poi così vicina ai Cullen, ma quasi sempre percorrevo quella strada tra le braccia di Edward, e la distanza sembrava essere piccolissima. Sentivo la voce di Edward nell’altra stanza. Stava cantando per Renesmee, lo faceva tutte le sere, prima che lei si addormentasse tra le sue braccia. Io, di nascosto rileggevo per l’ennesima volta “Romeo e Giulietta”. Sapevo che non avrei mai perso la voglia di rileggerlo, non potevo farne a meno, ne ero così affascinata..

Avevo promesso ad Edward, in viaggio di nozze, che avrei messo da parte quel libro e che me ne sarei comprata uno nuovo. Edward non era mai riuscito a capire perché mi ostinassi a rileggerlo ogni volta, benché lo sapessi già a memoria. Sentii aprire la porta della camera improvvisamente e cercai velocemente di nascondere il libro, cercando di non cadere dal letto.

Edward si avvicinò lentamente salendo sul letto, e io mi infilai sotto le coperte con aria vaga.

“Mmh, cosa stavi facendo?” sussurrò avvicinandosi.

“Io? Niente, mi sto coprendo, fa freddo oggi a Forks..” era un mio vizio, se così si può chiamare. Non riuscivo a dire le bugie e a guardare negli occhi contemporaneamente. Era una cosa che non riuscivo proprio a fare, e riusciva sempre a scoprirmi.

Sollevò il lenzuolo e si accostò a me, circondandomi con un braccio.

“Se vuoi posso andare ad accendere i termosif..”

Lo bloccai prima che potesse continuare “No, no. Sto bene”.

Continuò a parlare gesticolando “Posso portarti qualcosa di caldo? Ci metto un minuto..”

“No, grazie” risposi declinando gentilmente.

Guardò in alto “Oppure..mhh..fammi pensare...Alice avrà messo pure da qualche parte una coperta pesante..” fece per alzarsi dal letto, ma lo bloccai “Sai..ora che ci penso non è poi così freddo..” dissi scoprendo leggermente il viso dalla coperta.

Mi guardò per poi poggiare lo sguardo per terra sorridendo “Beh, magari..come fai a sapere se Romeo e Giulietta per terra non hanno freddo? Non è cortese … dovresti chiedere prima di prendere decisioni, non pensi?”.

Allontanai lo sguardo dal suo viso. Mi aveva scoperto un’altra volta, era inevitabile. Sorrisi.

“Oh, Edward … lo so, lo so. Continuo a rileggerlo, è più forte di me! Saranno, beh..non vorrei esagerare, ma saranno almeno venti volte che lo rileggo, è così affascinante, realistico..”

Mi guardò negli occhi mentre cercava di trattenere una risata, mi sentivo una stupida. Perché riusciva sempre a scoprirmi? “Uff, ok, sono una pessima bugiarda. Una stupida bugiarda, lo ammetto, va bene?”

“No, non sei una stupida bugiarda. Non lo sei affatto, perché non sei brava a mentire. Non puoi ritenerti una bugiarda” sussurrò al mio orecchio.

“Oh, grazie tante! Dovrebbe essere un complimento?” alzai gli occhi al cielo, prima di sentire le sue labbra posarsi delicatamente sulle mie.

                                                     ---------------------------------------

 

Le mani iniziarono a tremare al ricordo. Oh, Dio quanto mi mancava. Quanto mi mancava poterlo vedere al mio fianco, un minimo contatto. Sembrava un’eternità dall’ultima volta che lo vidi, ma erano passati solo tre giorni, tre giorni che a me sembravano interminabili e lunghissimi.

Strinsi forte la mano al bracciolo del sedile. Volevo averlo al mio fianco, lo volevo qua con me, con noi. Mi mancava in un modo incredibile. Come avrei resistito senza di lui? Ce l’avrei fatta? Oh, Edward, mi manchi lo sai? Mi manchi, mi manchi troppo. Una lacrima solcò di nuovo il mio viso, ma questa volta era accompagnata da un sorriso. Quel momento mi faceva sorridere ogni volta. I ricordi erano l’unica cosa che mi restava. Il suo ricordo.

Probabilmente Jacob non si era accorto che stavo pensando ad altro, continuava a guardare di fronte a sé in attesa di una mia risposta.

“In realtà so perfettamente del fuso orario di Anchorage” provai a spiegare “solo che ... beh, anche un’ora può scombussolare un po’ no?” mi bloccai quando ricominciò a guardarmi negli occhi, quasi seriamente.

Nessuna risposta da parte sua. Ok, era inutile. Riuscivano a vincere sempre, sia lui che Edward. Erano incredibili. “Ok, ammetto nuovamente di non saper dire le bugie” alzai le mani in alto.

“Non ero riuscito a capirlo ...” mi sorrise beffeggiandomi Jake.

Feci una linguaccia, per poi voltarmi a guardare dal finestrino.

“Manca poco, credo” mi informò Jacob.  Annuii con la testa.

“Sai già dove andare? Hai detto di aver trovato una casa ...” continuò Jake.

“Si, in realtà l’ha trovata Alice. Mi ha dato l’indirizzo ... dovrebbe essere questo” cercai tra le tasche dei miei jeans e ne tirai fuori un biglietto stropicciato. Glielo porsi. Annuì. “Bene” disse ripiegandolo in modo perfetto.

“Non l’ho ancora vista però. Sicuramente Alice avrà esagerato come il suo solito. Ho paura di scoprire cosa ci aspetta” ridacchiai guardandomi intorno.

“Devo essere sincero? Anche io ...” rise “ma tanto pagano i Cullen no? Facciano pure..” ridacchiò più forte.

Alzai un sopracciglio. “Beh, no. Lo sai Jake, odio quando qualcuno mi fa dei regali, quando mi sento in debito con qualcuno ... e beh, non voglio che si preoccupino più di tanto” guardai al mio fianco, e solo allora mi accorsi che Renesmee stava leggendo il mio libro, “Romeo e Giulietta”. Non potevo crederci, l’avevo contagiata! Le accarezzai una guancia. Sembrava totalmente persa nel leggere quel libro, stava in silenzio da parecchio tempo.

“Per qualunque cosa, te dovrai accettare il mio aiuto. Sarò anche io con voi e pretendo di pagare almeno la metà delle spese che ci aspettano, sia chiaro” rispose Jake.

Negai con la testa. “Non credo ce ne sarà bisogno. Ho preso qualcosa in prestito da Edward, basteranno per un po’ di tempo” dissi alzando la testa.

Alla parola ‘Edward’ si ammutolì. Probabilmente non voleva continuare il discorso per non farmi stare male, ed era meglio così d’altronde.

Per almeno qualche ora non volevo pensarci, anche se era alquanto impossibile.

Scostai una ciocca di capelli dorati di Renesmee e la portai dietro il suo orecchio.

Non si mosse al mio contatto, era fissa sul libro. Chissà da dove l’aveva preso. Lo tenevo sempre chiuso nel cassetto, o forse no, probabilmente avevo dimenticato di rimetterlo al suo posto.

“Amore … non sei stanca di leggere?” domandai.

Non rispose. Scosse solamente la testa e mi guardò sorridendo, per poi tornare a leggere.

“Sei proprio uguale a tua madre, sai? Non riesco più a capire chi delle due è la vera Bella. Io alla tua età leggevo ... si e no un libro ogni due mesi ... e te ... Fammi vedere..” Jake si avvicinò a Renesmee e prese il libro in mano per poi restituirglielo. “Già al settimo capitolo?” la guardò storto.

Continuò: “Io ti consiglierei di chiudere e mettere via il libro, non vorrei diventassi come tua madre! Pff..” scosse la testa.

Lo guardai sbalordita “Oggi è il giorno degli sfottoni?” dissi ridendo.

“No, sul serio Bells. Ma cos’è questa mania dei grandi classici? Non vi capisco proprio” chiese retorico.

Renesmee mi guardò scuotendo la testa “Jake, dovresti leggerlo anche tu. E’ bello. Più bello delle poesie che mi racconta la sera la mamma..”. Mentre Renesmee parlava, Jake mi mandava delle occhiatacce e io non potei far a meno di ridere.

“No, spiegami una cosa Bells. Te racconti delle poesie invece delle favole ad una bambina?” mi guardò sorpreso.

“Beh..” dissi, quando Nessie prese a parlare al mio posto “Ma Jake, a me non piacciono le favole!”

Jacob alzò un sopracciglio meravigliato “Nessie, tua madre ti ha mai raccontato che nelle favole esistono i principi azzurri? A voi ragazze piacciono tanto..” domandò sorpreso.

No, non era vero. Ognuno di noi era destinato al proprio principe azzurro, non solo nelle favole. Siamo tutte principesse alla ricerca del principe azzurro ... o forse ha ragione? Forse esistono solo nelle favole, ma la mia lo era. Io avevo trovato il mio, Edward. Sarebbe stato sempre il mio principe azzurro.

Renesmee scosse la testa imbarazzata. “No, non molto. Paride è molto meglio di un qualsiasi principe azzurro!”

Jacob alzò gli occhi al cielo. “Sai, devo averlo già letto. Si, probabilmente l’ho letto qualche anno fa per un compito scolastico ... e questo Paride, beh, non mi piaceva proprio!” disse indicando il libro.

Questo argomento non avrei voluto sentirlo. Da quando Edward se ne era andato non avevo più aperto quel libro, mi rifiutavo di farlo. Era così realistico, così simile alla mia storia … alle nostre storie.

Ero sempre stata neutrale, non mi piaceva schierarmi da una parte, piuttosto che dall’altra.

E questo ci rappresentava molto.

Era così strano ... sentivo ora più che mai che fossero i nostri personaggi, che la storia fosse la nostra.

All’amore non si comanda. Tante volte mi sono chiesta come sarebbe stato ... beh, come sarebbe stato se anche io avessi scelto il mio Paride ... come sarebbe stato se non avessi seguito il mio cuore.

Sarebbe stata una scelta sbagliata. Forse sarebbe stata la scelta più appropriata e più reale, ma non sarebbe stata la giusta scelta. Non per me.

Mi persi ad osservare i ciondoli che pendevano dal mio braccialetto. Due oggetti completamente diversi.  Il freddo e il caldo, il mare e il cielo, il fuoco e il ghiaccio ... era questo in realtà.

I due personaggi erano così differenti, così particolari e interessanti nei loro difetti..

“Non sono d’accordo ...” sentii la voce di Renesmee “Paride è così diverso da Romeo ... è ...”

Si, totalmente diverso. Romeo era la scelta giusta, non proprio semplice.

Viaggiavo di nuovo tra i miei pensieri, e ogni tanto tornavo alla realtà.

“Ma Paride è così egoista! Romeo, beh ... è passionale, romantico ... un ragazzo per bene. Il ragazzo perfetto per una ragazza come lei” rispose convinto Jacob.

Ero ormai fuori dal discorso, ma mi piaceva starli a sentire. Forse non se ne rendevano conto, ma stavano parlando di loro. Mi imbarazzai all’istante. Se solo Jacob avesse capito ciò che veramente stava  dicendo, avrebbe ritirato tutto.

Oh, quanto ero soddisfatta di quello che avevo portato a termine. Ognuno di noi stava avendo un lieto fine, il più adatto. Non era forse il mio caso, ma il loro si.

In questo momento non mi interessava molto di me stessa, ero veramente felice per loro. Non avrei desiderato cosa migliore della loro felicità.

In un certo senso era veramente imbarazzante, però.

Il mio Paride stava avendo ciò che meritava da sempre. Aveva trovato la sua principessa, quella vera.

Era tutto più umano da parte loro. Tutto molto più reale, una favola nella realtà.

Sentii una voce chiara e decisa annunciare che stavamo atterrando.

“Bells, siamo arrivati” mi informò Jake agitando una mano davanti alla mia faccia.

Ritornai alla realtà e cercai di sfoggiare un sorriso, forse troppo esagerato.

Ero agitata, ora. Per la prima volta in tutta la mia vita avevo paura del futuro.

Quale sarebbe stato il mio destino? Di sicuro l’avrei scoperto molto presto.

Spaesata. L’aggettivo che più mi rappresentava.

Jacob ci prese per mano e uscimmo a gran passi dall’aeroporto.

Al primo impatto con la città sentii una grande leggerezza. L’aria che respiravo era così fresca e piacevole che sarei potuta rimanere in quel modo per ore. Il mio cuore batteva forte, ma la tranquillità si stava facendo spazio.

Era primo pomeriggio, il sole alto nel cielo con i suoi raggi delicati di una giornata di fine Gennaio.

L’aria era fresca, proprio come a Forks. Vidi Renesmee sorridere alla vista della città, era contenta. Così almeno sembrava.

Jacob sembrava soddisfatto “Eccoci, finalmente. Che ne dite?”

“E’ bellissimo. Davvero bello” non c’era niente altro da dire. Sentivo che questa città mi avrebbe ridato un po’ della felicità persa, lo speravo tanto.

“Ho chiamato un taxi. Dovrebbe essere qui a momenti” mi informò Jake.

Non riuscivo a togliere gli occhi da quel paesaggio mozzafiato. Era un posto fantastico, tranquillo. I rilievi circondavano la città ed erano uno spettacolo naturale.

“Uhm, eccolo” ci avvertì Jacob. Tolsi lo sguardo dalla città e lo puntai sulla macchina che si era avvicinata.

Caricammo i bagagli e salimmo in macchina.

“Salve. Dove vi porto?” chiese l’uomo baffuto alla guida. Assomigliava molto a mio padre. O forse non molto, li accomunano solo quei scuri baffi sotto il naso.

“Ehm, ecco … dovrebbe essere questo l’indirizzo” disse Jacob porgendogli il foglietto che mi aveva dato Alice. Guardò per qualche secondo il biglietto e poi annuì mettendo in moto.

“Perfetto, andiamo subito” la macchina iniziò a sfilare tra le strade della città. Eravamo tutti e tre fissi ad osservare dal finestrino. Era tutto così meraviglioso …

“Allora ... siete di qua?” domandò l’autista.

Rimasi per un attimo scossa dalla domanda. “No..veramente veniamo da Forks. Seattle” risposi.

Mi guardò sorpreso dallo specchietto.“Sul serio? Io sono nato a Seattle. Ah, quanto vorrei ritornare..”

“Qua non si trova bene?” risposi con una domanda forse un po’ troppo privata, ma d’altronde sembrava essere una conversazione abbastanza personale.

“No, certo che si. Anchorage è così ... come posso dire ... ospitale. Si, ecco, proprio così. Solo che ... beh, mi manca la mia famiglia, mi manca la mia città” guardava fisso la strada.

“Mi dispiace …” mormorai “ è solo qua?”

Scosse la testa “No, ho la mia famiglia qua. Una moglie e tre figli” sorrise “ma mi mancano molto i miei genitori, i miei fratelli … sono sempre stato molto legato a loro”. Vidi dallo specchietto i suoi occhi lucidi.

Iniziava a farmi un po’ pena quell’uomo. Era così.. triste, ma allo stesso tempo cercava di nasconderlo. Forse quella città non era poi così perfetta. Era come tutte le altre. Nascondeva anche qualcosa di non proprio positivo.

Sarebbe stato così anche per me? Probabilmente dopo qualche giorno avrei sentito una forte mancanza da abbandonare i miei progetti e ritornare indietro, ritornare alla mia vita. Ma non sarebbe stato giusto. Avrei sentito così tanto la mancanza della mia famiglia? Probabilmente, e le parole dell’uomo non mi tranquillizzavano affatto.

Stavo per iniziare a parlare quando l’uomo sbuffò per poi aggiungere “Oh, scusatemi … solo che … mi mancano davvero tanto”.

Lo guardai sorridendo “Non si preoccupi, davvero. La capisco …”

“Basta parlare di me” si asciugò la lacrima con il polso della mano “Lei invece? Siete una bella coppia”.

Sentii le guance calde, ora si, ero completamente in imbarazzo. Non era la prima persona ad averci scambiato per una coppia. Ma infondo era normale ... due ragazzi con una bambina ... cosa altro dovevano essere se non una famiglia?

 Jacob si girò di scatto sorridendo “Veramente, no. Non stiamo insieme. Siamo … “

“Siamo buoni amici, ecco. Amici da tantissimi anni” continuai e Jacob mi fece un occhiolino.

L’uomo si portò una mano in fronte “Oh, che figuraccia! Oggi non ne combino una giusta..” ridacchiò.

Ci unimmo alla sua risata. Anche Renesmee rise e la sua risata si distingueva tra le nostre.

“Oh, ehi piccolina! Non mi ero accorto di te ... quanti anni hai?” chiese.

Renesmee mi guardò per un istante. “Cinque” rispose sorridendo all’uomo.

“Che carina! Sai, quanto mi sarebbe piaciuto avere una femminuccia …  oh, eccoci. Siamo arrivati” disse.  Guardai stupefatta ciò che avevo davanti ai miei occhi. Era una casa enorme.

Si, Alice aveva esagerato di nuovo. Era immersa nel verde e aveva un enorme giardino posteriore.

Indicai la casa davanti ai miei occhi guardando Jacob senza dire una parole. Jake alzò le spalle “Alice, la conosci ormai” disse.

Preferii chiedere per un ulteriore sicurezza “Ma ... è sicuro che sia questo il posto? E’ questo l’indirizzo?”

Annuì “Sicurissimo, signorina”.

Scese dalla macchina e ci aiutò a scaricare i bagagli. Pagai tutto e feci per dirigermi alla porta d’ingresso.

“Arrivederci e ... buona fortuna ragazzi!” ci salutò l’uomo mentre rientrava in macchina.

“Grazie, anche a lei” sfoggiai un sorriso. Jacob e Renesmee salutarono con un cenno.

 

Ero ferma sulla soglia di casa. La chiave in mano.

“Ora ho paura. Oh, Alice ...” alzai gli occhi al cielo.

Infilai la chiave nella serratura e spalancai la porta con determinazione.

Era proprio quello che mi aspettavo. La casa non era poi così grande, ma era nuova, completamente nuova.

Davanti a noi un grande salone moderno dai colori caldi. Un divano marrone e di fronte dei mobili perfettamente in tinta. Più a sinistra una cucina bianca che dava luminosità alla sala e che si affacciava alla vetrata.

Era troppo. Mi sarei accontentata di una casa molto più piccola, non avevo bisogno.

“Zia Alice è una grande” sussurrò meravigliata Renesmee.

Jacob si avvicinò e le scompigliò delicatamente i capelli. “Chissà quanto è grande la mia camera. Posso andare a vedere?” chiese. “Certo, vai pure tesoro” risposi posando il borsone sopra il tavolo della cucina.

“Eccoci. E’ impressionante ... è tutto così diverso qua. E’ tutto stile ‘Alice’” rise Jake al mio fianco.

“Ce lo aspettavamo no?” mi sedetti esausta sul divano.

“Già” mi guardò poco convinto. Seguirono secondi di silenzio. Vidi lo sguardo basso e triste di Jacob.

“Cosa c’è Jake? Ti sei pentito di essere venuto con noi? Nessun problema, sul serio Jake. Puoi dirmi tutto” dissi interrompendo il silenzio che si era creato.

Scosse la testa. “Assolutamente no. Non sono pentito, Bells. Come puoi pensarlo?” alzò lo sguardo “Solo che … mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta per te. Se te non avessi cambiato idea ... sei ancora sicura di stare meglio qua, lontano da tutti?” chiese a voce bassa.

Risposi dopo aver preso un respiro profondo. “Si, Jake. E’ la scelta migliore ... vorrei che lo fosse, almeno.

Non lo so, sono così confusa ora. Non ho mai affrontato una cosa del genere ... mi sento così ... sola.”

Una lacrima scese di nuovo dai miei occhi. Stavo iniziando a preoccuparmi. Non avevo ancora pianto quel giorno e sentivo che era il momento di sfogarmi, riuscivo a stento a trattenere le lacrime ogni volta.

Jake si avvicinò e si sedette al mio fianco “Non sei sola, Bells. Non lo sarai. Per l’aiuto che posso darti ti prometto che io non ti abbandonerò. Potrai contare sempre su di me, ok? Sono sicuro che tutto ritornerà al suo posto. Tutto” mi circondò con un braccio e io mi lasciai cullare.

Continuai a parlare tra le lacrime “Cerco di nascondere tutto per il suo bene” indicai l’altra stanza “Voglio che lei sia felice, mi capisci Jake? Ora mi importa solo di lei. Di me non mi interessa niente, ho avuto quello che forse meritavo, ma lei non c’entra nulla con questo, niente” chiusi gli occhi.

“Bella, ti prego, non dire queste cose. Te non meritavi questo, la finisci di incolparti sempre di tutto?” mi accarezzava la schiena delicatamente “Ora siamo qua, e te lo hai promesso, cercherai di riprendere in mano la tua vita. Cercherai di tornare ad essere la Bella di qualche giorno fa, ok? Devi farlo, lo sai, devi farlo anche per lei ... ma principalmente per te. Non puoi continuare ad andare avanti così..è inutile.

Torna ad essere la Bella di sempre. Fallo per lei, per lui”.

Lui. Beh, probabilmente aveva ragione. Avrebbe voluto questo, ma mi stava veramente riducendo senza forze. Continuavo a farmi mille domande su che fine avesse fatto e perché non mi avesse avvertito.

Così, senza preavviso ed improvvisamente se ne era andato. Chissà dove..

Non riuscivo a farmene un’idea. Edward se ne era andato. Ma mi aveva lasciato sola, incapace di continuare ad andare avanti senza la sua vicinanza.

Aveva così tanta voglia di riabbracciarlo, rivederlo, sentire la sua voce..

Avrebbe potuto dirmi qualcosa di più, probabilmente mi avrebbe risparmiato tutta questa pura sofferenza.

L’avevo perdonato di nuovo. Veramente non ce l’avevo mai avuta con lui, fin dalla prima volta che mi aveva abbandonato. Non riuscivo ad incolparlo.

Questa volta, però, sembrava sul serio che non avesse colpa, lo speravo, e ne ero sicura.

Doveva essere successo qualcosa e avevo veramente paura per lui. Desideravo uscire da questo incubo e ritrovarmi tra le sue braccia.

“Jake, e se gli fosse successo qualcosa?” alzai lo sguardo.

Mi guardò “Non penso ... chi vorrebbe fargli del male? Non ce ne sarebbe il motivo ...”

Annuii. “Ritornerà presto Jake?”

“Si, ne sono sicuro. Non vi abbandonerà” cercò di tranquillizzarmi.

Continuò: “E sono anche sicuro che non vorrebbe vederti in questo stato, Bells. Anche lui vorrebbe la sua Bella di sempre..”

Mi asciugai una lacrima. “La solita Bella, goffa e che non sa dire le bugie?” sorrisi.

“Esattamente” ricambiò il sorriso.

Mi alzai “Ci proverò,  promesso...” mi avvicinai e presi il telefono dalla borsa “inizierò tutto da capo. Ho pensato di iscrivermi al college e beh ...” mi sporsi in avanti per vedere l’orologio “oh, cavolo ... devo chiamare la scuola prima che la segreteria chiuda”.

Mi affrettai a trovare il numero dell’università nella mia piccola agenda.

“Vado a sistemare un po’ di cose ... vado ad aiutare Nessie” mi informò Jake.

“Ok” Bene. Si. Avrei continuato la mia vita, così avrebbe voluto Edward. Così voleva mia figlia, e così voleva Jake. Anche io desideravo ritrovare me stessa.

Avrei fatto nuove amicizie, forse. Stare impegnata la mattina mi avrebbe aiutata a non pensare.

Quando trovai il numero lo digitai velocemente, sperando che non fossi in ritardo.

“Segreteria università di Anchorage” rispose una voce femminile.

“Ehm , pronto ... buongiorno, sono Bella Swan. Avevo già parlato con il direttore della scuola per quanto riguarda l’iscrizione ai corsi di biologia ...” dissi calma.

“Mmh ... vediamo ... si, Bella Swan” rispose.

“Mi avevano detto di richiamare oggi per l’iscrizione definitiva..” continuai.

Qualche secondo di silenzio dall’altra parte del telefono “Mhh, no signorina. E’ già iscritta alla nostra scuola. Qui c’è scritto che potrà iniziare le lezioni già da dopodomani. E ha già saldato il conto” mi informò la donna.

“Saldato il conto?” dissi incredula.

Possibile che fosse stata Alice? No, lei non sapeva che avrei voluto continuare l’università, non le avevo detto niente. O forse, beh, forse se lo aspettava.

“Si, da parte di un certo ... Edward Cullen. E’ un suo parente?”.

In quel momento il cuore iniziò a perdere dei battiti e sentii mancare l’aria nei polmoni.

 

 

Quinto capitolo: perdonateci per il ritardo, tutta colpa di Missy u.u

Speriamo che vi piaccia =)

Se vi interessa, questa è la nostra pagina face book:

 

Follie da Twilighters

 

Commentate in tanti =)

Missy e Vale

ps:Recensite? =)

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Capitolo 6
*** Cuori e Neve ***


Wait me

Capitolo VI

“E così Edward è ricco.”

Era la terza volta che ripeteva la stessa frase. O forse la quinta, o la decima …

“Sì” mormorai, leggermente infastidita.

Non sembrò notarlo.

“Oh, andiamo Bells, non farmi fare la figura dell’insensibile. E’ ricco, ricchissimo e …”

“Non. E’. Qui.” Sibilai, presa da qualcosa molto simile alla rabbia. E dal dolore, e dal senso di colpa.

E da mille e altre cose cui non sapevo ancora dare un nome.

“Bells …”

Voltai la testa dall’altra parte, fingendomi occupatissima nel tagliare i funghi disposti scompostamente sul piano della cucina. Lo sentii alzarsi dallo sgabello, poi risiedersi.

“Bella” sussurrò “Non intendevo …”

“Hai lasciato la tua casa. La tua famiglia. Il tuo branco. Mi sembra una giustificazione più che logica” replicai infantile, alla disperata ricerca di un coltello che tagliasse decentemente quei dannatissimi funghi.

Lo sentii alzarsi per davvero e andarsene.

Sospirai.

Sarebbe tornato, ridendo. Mi avrebbe sorriso. E sarebbe bastato. Ma non quel giorno.

Non bastava che Edward mi avesse abbandonata, no. Lui mi aveva pagato l’università, lui mi aveva lasciato uno splendido bracciale. E io mi sentivo così sciocca …

E Renesmee era lì. Senza un padre.

Non ce la potevo fare, da sola. Non con il mondo che girava nel verso contrario, proprio adesso …

Proprio quando credevo che fosse tutto finito.

 

“Perché i Volturi se ne sono andati, Edward?”

“Non lo so.”

Sì che lo sai, Edward. Scuoto la testa.

“Non lo so.” Ripeto.

Ma la verità, è che loro vogliono me.

 

Fissavo ancora i miei funghi, arenati sulla superficie bianca accanto al lavello, lo sguardo fisso e spalancato nel vago tentativo di non piangere, quando Jacob tornò in cucina.

Strinsi automaticamente le dita attorno al coltello, cosciente che la sua lama seghettata, quella dannatissima lama che non mi aveva permesso di tagliare decentemente i funghi, non avrebbe fatto alcuna differenza, nella ignota possibilità di un violento litigio tra me e il mio migliore amico.

Sbattei le palpebre, gli occhi ancora puntati sulla cena incompleta, e le lacrime scivolarono delicatamente sulle mie guancie. Senza accorgermene, lasciai andare la mia insolita arma, che cadde rumorosamente sul parquet.

“Mi dispiace.”

“Lo so.” replicai con un filo di voce.

E poi, fu silenzio.

 

Non so quanto rimasi lì, le palpebre serrate e le lacrime a scivolarmi sul viso.

Renesmee era fuori, tra la neve, correndo qua e là con il sorriso più bello del mondo. La sentivo saltare, correre, ridere. Jacob aveva raccolto il coltello, e si stava adoperando per mettere insieme una cena decente.

Aprii gli occhi e lo fissai, adorabile nel buffo tentativo di aprire un barattolo di fagioli e di controllare allo stesso tempo Renesmee, pronto a scattare in caso le fosse successo qualcosa.

Incrociò il mio sguardo.

“Bells … Tranquilla, qui faccio io.” mi sorrise.

“No” replicai “Va meglio, ora.”

Ci guardammo ancora e lui, lentamente, annuì.

Gli tolsi il barattolo , l’apriscatole in una mano. Sorrisi ancora.

“Faccio io” spiegai “Tu va da lei.”

Feci un cenno verso la finestra che dava sul giardino, da dove una bambina dai capelli d’oro rosso ci fissava curiosa. Annuì ancora.

E sentii che in qualche modo, eravamo una famiglia.

 

Era sera, quando mi decisi ad aprire la valigia e a disfare i bagagli. Lasciai per ultima la borsa di stoffa, curiosa e diffidente verso il suo contenuto.

Alla fine, però, la dovetti aprire, lentamente.

Ritrovai delle vecchie foto, il portafoglio, il cellulare. Recuperai un vecchio portachiavi e i passaporti di Jake e Nessie.

Infine, trovai il piccolo baule.

Ci misi molto, prima di aprirlo, spaventata e attratta dai segreti celati al suo interno. Alla fine, vinse l’istinto, e mi ritrovai a far scattare la serratura e a sollevare il coperchio.

Gioielli, qualche sciocco gingillo, qualche biglietto.

Poi, il bracciale.

Il ciondolo del lupo, il cuore di cristallo e, infine, lo stemma della famiglia Cullen.

Rilessi lentamente l’incisione.

I promise the lamb will be a lion’.

Un leone. Un vampiro.

Qualcosa di simile all’amore, all’istinto, alla speranza si fece strada dentro di me. Edward, Edward, Edward.

Solo lui.

Sarebbe tornato?

Non lo sapevo, non potevo saperlo. Ma lui c’era, in qualche modo. Strinsi a me il gioiello e lo infilai al polso.

Lui c’era.

 

Jacob mi ritrovò, minuti dopo, distesa sul letto tra ricchi gioielli di cui non mi importava niente, rigirandomi tra le mani vecchie foto e contemplando un piccolo bracciale, con un cuore di cristallo.

Non era il mio bracciale, quello con i tre ciondoli, bensì quello che Alice aveva trovato dentro il pianoforte, l’ultimo regalo di Edward a sua figlia.

Lo sentii aprire lentamente la porta della camera da letto, poi richiuderla, vedendomi così assorta.

Non fece in tempo, perché lo richiamai.

Senza una parola, gli consegnai il bracciale di Renesmee.

Lui mi fissò, confuso.

Sorrisi.

“E’ per Nessie” spiegai “la ami, un giorno glielo regalerai. Prenditene cura.”

Ed entrambi sapevamo che non stavamo parlando del gioiello.

 

Erano lì. Così belle.

Dovevo proteggerle. E volevo.

Mi voltai e scomparvi nella neve.

 

Perdonatemi per il ritardo. Perdono, peeeeeerdono!

Missy =)

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Capitolo 7
*** Incubi ***


Torniamo, con questo capitolo. E' un capitolo importante, fa da ponte fra gli altri, avverranno alcune cose interessanti e ... Beh, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate!



Wait me

VII Capitolo

Incubi

Ero esausta, era stata una giornata lunghissima e abbastanza pesante.

Di nuovo tramonto, una giornata piuttosto normale scompare insieme alle altre meno felici, e con essa

Incubi e ricordi.

Tra lo stress dovuto al trasloco, cambio città, l'intera serata a sistemare, e i mille altri pensieri che vorticavano nella mia testa, avevo deciso di staccare la spina, di rilassarmi ... cosa impossibile.

Avevo appena finito di riordinare le mie enormi valige, nella speranza di poter ricominciare tutto da capo, mettendo via la disperazione e l’angoscia, ma i ricordi erano ritornati a galla, proprio come mi aspettavo.

Avevo portato le cose più banali, quelle più importanti, ma anche un pezzo di carta mi ricordava la mia vecchia vita, ero un caso perso, già.

Ma come potevo non esserlo, dato la situazione?

Per fortuna avevo Jake al mio fianco. Era tutto per me, un punto d'appoggio fondamentale per continuare ad andare avanti.

A volte mancava l’aria e le parole mi si fermavano in gola, poi tutto svaniva, piano.

 "Ehi, ti ho preparato una cioccolata calda, Bells". Jake entrò in salotto con due tazze di cioccolata, mi sorrise e si sedette al mio fianco.

Ricambiai il sorriso e fui veramente grata di aver qualcosa di caldo tra le mie mani, era davvero freddo.

"Grazie, Jake" bevvi a piccoli sorsi e mi sentii subito meglio. Senti il calore bruciare il palato.

Jacob teneva la testa bassa.

 "Bella, scusa, scusa davvero per prima. Non dovevo.." cercò di giustificarsi.

Mi avvicinai e cercai di guardarlo negli occhi.

"Ehi, ehi..non è successo niente Jake. Non ci ho fatto neanche caso, credimi. Sono stata io che..beh, in questi giorni sono insopportabile e irascibile, lo ammetto."

Alzò lo sguardo .

"Beh, scusa se ti ho offeso, non era mia intenzione" posò la sua tazza nel piccolo tavolino ai nostri piedi.

"Jake.." scossi la testa "non ricordo neanche di cosa abbiamo discusso, sul serio. Non devi scusarti" risposi appoggiando la schiena sul morbido cuscino alle mie spalle.

Seguirono secondi di silenzio. "Stanca?" seguì il mio stesso movimento e iniziò a stiracchiarsi le braccia.

"Mh, abbastanza" sorrisi "Ma non ho voglia di andare a dormire, non ho proprio sonno".

Chiuse gli occhi per poi riaprirli "Beh, forse era meglio una tisana, allora" ridacchiò.

"Forse. Ma questa è molto più buona, decisamente" finii di bere il mio ultimo goccio. "A proposito, complimenti Jake, ottima" sorrisi, poi voltai lo sguardo verso la finestra. Avevamo un paesaggio spettacolare davanti ai nostri occhi.

"Le bustine del supermercato fanno miracoli!" lanciò un'occhiata alla sua tazza.

"Già" scherzai  e ricambiò il sorriso.

"Domani ultimo giorno di pacchia, eh Bells?" alzò un sopracciglio.

Annuii ."Si, si torna a scuola. Sembrano passati anni dall'ultima volta ... sarà tutto diverso" nonostante fossi abituata al freddo di Forks, dovetti ammettere che anche ad Anchorage era molto freddo.

Probabilmente iniziai a tremare, perché Jake allargò le braccia e mi strinse forte. Vi trovai subito calore e sollievo.

"Sei contenta di ritornare?" domandò accarezzandomi la schiena.

"Diciamo che servirà a distrarmi, questo basta a rendermi più tranquilla" sospirai "almeno per qualche ora.."

"Si, ti farà bene, sicuramente" guardò fuori dalla finestra "Che ne dici se domani mattina andiamo a vedere un po’ la città? Ci sono molti posti da visitare..non siamo mica a Forks, qua! C’è di più di una stazione di polizia e del negozio dei Newton" scherzò.

Risi. "Forks però rimane Forks, non scordartelo!"

Per me era il luogo più importante, un paese che non avrei mai scordato. L’inizio, l’inizio di tutto.

Dovevo ringraziarlo in un certo senso, mi aveva dato molto, essendo solo un piccolo paese.

 

Alzò le spalle. "Ovvio. Ma sarebbe bello girovagare in città tra la neve, no? Renesmee non vede l'ora!" disse entusiasta.

Puntai lo sguardo nei suoi occhi "Mmh, solo Renesmee?" domandai scherzando.

"No, ok, ammetto di essere curioso anche io" ridacchiò scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte “è che..sembra così affascinante, e non sono mai stato in città così grandi. Non so, ha un qualcosa di spettacolare”.

Ci pensai un secondo. "Affare fatto, socio. Ma se nevica rimaniamo a casa. Rischio di prendermi qualcosa ..." risposi ormai calda tra le sue braccia.

"Certo, le solite fortune di Bella Swan!" disse sorridendo.

Gli diedi un colpo secco sulla spalla. "Scemo, non esco di casa a maniche corte in pieno inverno, io!" evidenziai l'ultima parola.

"Che ci vuoi fare, queste sono le fortune da licantropi!"

Affondai la testa nella sua spalla "Grazie Jake, grazie di tutto."

 Mi baciò la testa "Ti voglio bene, Bella".  Chiusi gli occhi "Ti voglio bene".

Continuammo a stare in silenzio per parecchio tempo, dato che persi la concezione dei minuti, e, forse, delle ore. 

Ormai il silenzio era diventato il mio confidente, lo stato che più mi rispettava.

Sentivo la necessità, quasi l’obbligo di rimanere in silenzio, a volte. Mi faceva bene, purificava, liberava.

 

"Ehi Nessie, come mai sveglia?" sentii Jacob sussurrare e aprii gli occhi voltando la testa.

Renesmee aveva una faccia scioccata, impaurita.

Non rispose, si avvicinò e mi prese per mano, sembrava piuttosto spaventata.

"Amore, cos'hai? Qualche brutto sogno, scommetto.." la presi in braccio accarezzandogli la testa delicatamente.

Annuì di nuovo senza spiccicare una parola. Guardai Jacob preoccupata, guardava fisso il volto di Nessie.

Non succedeva una cosa del genere dall'arrivo dei Volturi, non aveva mai più avuto incubi. Immaginavo quale fosse il motivo. La lontananza di Edward ci stava cambiando, non eravamo più le persone di prima.

Anche Renesmee stava avvertendo qualcosa, o si, probabilmente aveva capito più di me quale fosse il motivo.

Io ero come isolata nel deserto. Non sapevo cosa avrei fatto, non sapevo cosa saremmo stati in un futuro, non più.

 

"Andiamo, allora" cercai di tranquillizzarla "Vengo io con te, ok tesoro?". Mi alzai dal divano e la presi in braccio.

"Buonanotte Nessie" sussurrò piano Jake ancora seduto comodamente sul divano.

"Notte" rispose insonnolita tra le mie braccia.

L'adagiai piano nel suo enorme letto e mi distesi accanto, poteva anche essere un letto per due persone, data la grandezza. Tutta opera di Alice.

L’avevo appena sentita per telefono, ma già mi mancava tremendamente.

 

Nessie mi guardava fissa negli occhi "Non riesco più a dormire" mi avvertì.

Sospirai "Ma certo che ce la fai, non hai mai avuto paura di queste cose! Cosa è successo?" le accarezzai una guancia.

Mi prese una mano e riuscii a capire tutto. Aveva sognato, ma questa volta era davvero molto reale.

Le immagini che scorrevano erano molto, troppo realistiche per essere semplicemente un sogno, eppure lo era.

Lo sfondo scuro da dove filtrano alcuni raggi di sole fino a diventare marrone, ed improvvisamente, una faccia, un volto.

Aro. Il suo sguardo potente e desideroso di sangue. I suoi occhi penetranti da far male, e da un solo paio di occhi,  a quattro, sei, venti ... tantissimi occhi fissi su uno stesso punto.

Sembravano famelici, desiderosi di chissà cosa, della stessa cosa. Mantelli neri, oscurità e urli strazianti.

Buio. Solo urla, grida e risate fastidiose. Poi silenzio, e un suono dolce e delicato, prima leggero e poi sempre più presente.

Una stanza, luminosa ma deserta. Niente mobili, nessuno. Un piano nero e nuovo occupava una parte centrale.

Da lontano, e poi sempre più vicino. I tasti si muovevano in modo veloce, senza sosta. Nessuno a guidarli, agivano in automatico. Anche quella melodia divenne piuttosto fastidiosa, di nuovo urla e grida.

Un volto, Edward.

Ritirai velocemente la mano. E' un sogno, Bella, solo un sogno.

Il cuore iniziò a battere forte, Renesmee mi guardava  preoccupata "Mamma, tutto bene?"

 

"Si, tesoro" rimasi fissa a guardare il muro. Era un sogno, vero. Ma il volto di Edward era stata la cosa più realistica e vera di tutte. Sembrava veramente di averlo davanti ai miei occhi, la sua presenza vicina. Riuscii a sentire perfino il suo odore, inconfutabile. Come se fossi riuscita ad entrare nel suo sguardo.

Eppure era solo un sogno,un maledetto sogno.

Non sapevo cosa dire, ogni cosa sembrava troppo stupida e banale.

"Renesmee..non devi aver paura. I Volturi non torneranno, sei al sicuro tesoro" continuavo ad accarezzarle la testa.

"Si, ma papà. Dov'è papà? Perché non è qua con noi?" la domanda mi lasciò spiazzata. Speravo che a quell'ultima parte del sogno non avesse dato importanza, invece era tutto l'opposto.

Ok, forse era inutile cercare scuse. Cosa le avrei raccontato? Era arrivato il momento più difficile.

Ma se non sapevo neanche io cosa fosse successo, come facevo a dargli una spiegazione logica? Non ce n'era. Non sapevo niente neanche io, non c’era spiegazione. In realtà c’era, ma era del tutto nascosta ai nostri occhi.

Cosa sapevo più di lei? Niente, assolutamente niente.

"Nessie... Non so dov'è. Vorrei saperlo, ma non lo so. Sarà sicuramente molto più vicino di quanto ci aspettiamo, però …" le sorrisi cercando di non far trapelare molta preoccupazione.

Ovviamente era solo un sogno, ma poteva anche essere la realtà, o no?

Dov'era Edward? Forse si, era qua vicino a noi, ma come potevo saperlo?

Doveva essere al sicuro. Non mi sarei mai perdonata se gli fosse successo qualcosa per proteggerci, se si fosse andato a cacciare in qualche guaio ... e se ...

No, Edward stava bene, si. Forse era solo ... solo un momento di distacco. Probabilmente avrebbe voluto che andasse in un altro modo, o probabilmente si era stufato della sua vita.

No, non era possibile. Non l'avrebbe mai fatto. Non di nuovo.

Doveva esserci una spiegazione, Edward non ci avrebbe mai abbandonate, questo lo sapevo.

Non avrebbe influito così tanto dolore se non ci fosse stata un spiegazione per questa sofferenza.

Una lacrima scese delicatamente sulla mia guancia fino alle labbra. Velocemente leccai il labbro superiore per evitare che Renesmee vedesse.

Perché non potevo essere più forte? D'altronde non chiedevo tanto. Solamente la forza sufficiente a non sprofondare nel silenzio e nella sofferenza.

Edward era la mia forza, e senza di lui ... beh, ero un palazzo senza impalcatura, instabile.

Rabbia, rabbia, rabbia. Se solo avessi potuto far qualcosa per averlo qua al mio fianco, per riportarlo qua, con me, con noi.

La cosa che più desideravo. Svegliarmi da questo incubo e ritrovarlo al mio fianco come ogni volta.

"E perché non ci dice niente?" chiese mettendosi seduta a gambe incrociate sul letto.

Scossi la testa. Quante volte mi ero fatta queste domande, non ero mai riuscita a trovare delle risposte.

Ci avevo rinunciato. Faceva male, tanto male. Come piccole ferite fastidiose sul corpo che guariscono piano piano per poi riaprirsi, dolore.

"E' colpa mia" disse sottovoce. Probabilmente sperava non fossi riuscita a sentirla.

Sgranai gli occhi sollevandole il mento. "Nessie, ma cosa dici?

Mi guardò "Si, è colpa mia se sono arrivati i Volturi, ed è colpa mia se papà non è con noi."

"No!" quasi urlai, e subito sperai che Jacob non mi avesse sentito. "I Volturi sarebbero venuti lo stesso, eri solo una scusa, Nessie.  Non dire queste cose tesoro. Non è colpa di nessuno, ok? E’ successo qualcosa che forse non possiamo sapere, o non è successo niente, vedrai..non preoccuparti."

Le baciai una guancia. "Te non c'entri niente con tutto questo, mh? E' vero, non so dove sia e avrei voluto che mi dicesse tutto, ma non lo ha fatto, come il suo solito".

Ogni volta, pur di proteggerci, ci lasciava senza una spiegazione, niente informazioni, niente di niente.

La sua mania del tenerci lontano dalla sua vita, dalla sua natura.

Avrei dovuto farmi trasformare molto prima, le sarei stata vicino e avremmo affrontato qualsiasi cosa insieme.

Ma io non appartenevo ancora al suo mondo, per me era sempre tutto all'oscuro.

Mi aveva lasciato quel ciondolo. "L'agnello diventerà un leone".

Doveva essere una promessa, sarebbe tornato prima o poi. Doveva.

"Ma sta bene. Tornerà presto, vedrai..non potrebbe mai stare lontano così a lungo, lo sai. Non potrebbe abbandonare la sua principessina" le lasciai una bacio sulla fronte e riuscii a farle comparire un piccolo sorriso sulle labbra.

"Mi manca" disse abbracciandomi.

Le accarezzai la schiena e di nuovo lacrime scesero dai miei occhi gonfi.

"Anche a me, tanto" la abbracciai forte. "E' per questo che tornerà" dissi convinta.

 

 

Ci addormentammo abbracciate e stranamente riuscii a dormire tranquilla.

Ci svegliammo abbastanza tardi e mi sentii in piene forze. Jacob ci stava viziando, ci aveva perfino portato la colazione a letto.

Colazione che sarebbe bastata ad un esercito. Ovviamente non finimmo tutto, ma ci pensò Jacob a fare fuori le poche cose rimaste. Rimanemmo a scherzare e a giocare sul letto. Ero felice. Vedevo luce negli occhi di mia figlia, e mi davano forza.

Come concordato la mattina visitammo la città, era bel tempo e la neve del giorno precedente era quasi sciolta.

Jacob portò anche la mia macchina fotografica e non smetteva di scattare foto al paesaggio. Sembravamo turisti pazzi in una città sconosciuta. Ci divertimmo molto. Entrammo in tutti i negozi possibili, e finimmo per uscirne con decine di buste tra le mani. Cose inutili, superflue, ma troppo carine. Io e Nessie ridemmo di gusto quando Jake scivolò sulla neve con le sue quattro buste in mano.

Scattai  una foto, l'avrei incorniciata, promesso.

Era ormai pomeriggio e decidemmo di finire il nostro giro da ‘turisti stranieri’.

"Jake, devo passare al supermercato. Prendo giusto qualche cosa per riempire il frigo. Porti te a casa Nessie?" domandai anche se sicura della risposta.

Jake mi fece l'occhiolino. "Certo, vai."

Si avviarono mano nella mano verso casa e li salutai agitando una mano.  Ero felice, si. Loro erano felici e mi trasmettevano serenità. Anche se poi quella serenità sarebbe diventata presto angoscia e oscurità molto presto. Non ci badai, continuai a godermi il mio stato d’animo.

Bene, ora dovevo solo trovare un supermercato. Cercai di ricordare le informazioni chieste ad un passante giusto qualche minuto prima. Farmacia, eccola, proprio davanti ai miei occhi. ‘Girare a destra e all'incrocio di nuovo a destra’.

Perfetto. Era enorme. Non ero abituata a negozi così grandi a Forks. Sembrava tutto così diverso..tutto così grande, immenso.

Mi affrettai ad attraversare la strada e ad entrare dentro. Si, grande. Decisamente troppo grande per i miei gusti. Con la fortuna che mi trovavo mi sarei persa tra gli scaffali, ci avrei scommesso.

Iniziai ad andare in ordine e presi le cose più indispensabili. Uova, latte..mmh..ok, qualche verdura.

Ricordai di aver bisogno di un libro nuovo. Mi rifiutavo di leggere per l'ennesima volta i miei vecchi libri, troppi ricordi, troppa vecchia vita in mezzo.

Ma ... dov'era il reparto libri? Questo era il problema.

Girai più volte il negozio. Possibile che un negozio così grande non venda libri?

Mi ritrovai nel reparto dei cereali per sbaglio e ne approfittai per prenderne una confezione.

Vidi un libro di Jane Austen e un paio di penne nel carrello al mio fianco. Alzai la testa, e una ragazza dai lunghi capelli scuri e occhi verde acqua osservare perplessa la pila di confezioni.

"Ehm, mi scusi..posso sapere dove ha trovato quel libro?" cercai di chiedere cortesemente.

La ragazza si voltò a guardarmi e mi sorrise. "Laggiù in fondo" disse indicandomi una parte del tutto sconosciuta per me.

Scrollai la testa. "Che sbadata! Ci sarò passata decine di volte. Grazie, comunque"

Mi allontanai verso il fondo dello scaffale, alla ricerca del mio libro.

Sorrise di nuovo. "Prego. Cercavi questo libro?" la ritrovai proprio al mio fianco che indicava il suo libro dentro al carrello.

La guardai confusa. Solo allora mi accorsi del suo strano accento. Sicuramente non era della zona, e neanche Americana, no, proprio no.

"Beh, si" in realtà non era vero, ma l'idea di leggere un libro di Jane Austen che ancora non avevo letto mi incuriosiva.

Abbassò lo sguardo verso il suo carrello. "Devono essere andati a ruba, è la nuova edizione,  sono già terminati"

"Oh, peccato! E' l'unico libro che non ho ancora letto, ma non fa nien-" parlai gesticolando.

"Se vuoi posso prestartelo!" mi interruppe "Ho così tanti libri ancora da leggere a casa.. e poi dovrei studiare” si avvicinò e mi sorrise “Credo che non avrò molto tempo per leggerlo" disse ridacchiando.

"Studi qui?" chiesi stupita.

"Si, all'università. Corso di biologia..pff" disse alzando gli occhi al cielo.

Avevo fatto conoscenza prima del previsto, perfetto. Ci voleva, ero contenta, mi sarei presentata a scuola con molta meno paura. Già conoscevo qualcuno, e mi rendeva più serena.

"Davvero? Anche io seguo quel corso!" dissi contenta.

Sorrise. "Sul serio? Io sono nuova e.. devo dire che sono tutti così ospitali! Ti troverai bene.

Piacere, mi chiamo Stella" disse dandomi la mano "sembra che dovremmo passare del tempo insieme allora"

Ricambiai "Già, così sembra. Piacere, Bella". Sembrava ormai diventata tutt'altro che una semplice conversazione tra due sconosciute.

Ma faceva piacere, magari saremmo diventate buone amiche, chissà.

Mi guardò per un secondo. "Ti chiami Isabella? Da dove vieni?" chiese curiosa. Accostò il suo carrello al lato per lasciare libera la carreggiata.

Dubitai che conoscesse un piccolo paese di nome Forks.

"Forks" ridacchiai "Seattle"

 

"Oh, mai stata prima. Ho viaggiato molto, ma non sono mai stata a Seattle" scosse la testa.

Ogni tanto il suo accento diventava marcato, ma dovevo ammettere che era molto, molto bello e particolare.

"Capisco. Te sei di qua?" una domanda abbastanza stupida, ma non ci fece caso.

"No, sono italiana. Sono qui per studiare e per ... beh, cambiare vita" alzò le spalle "ed eccomi, mi sono iscritta di nuovo a scuola" si appoggiò allo scaffale accanto a me.

Annuii. Italiana. Perfetto.  Sembrava fossi una calamita che attraeva tutto il paese.

Girò il polso e guardò l'orologio. "Oh, è tardissimo! Devo scappare.."

Si sporse verso il carrello e afferrò il libro. "Tieni, prendilo" disse porgendomelo e sorridendo.

"Oh, non fa niente, non ti preoccupare" dissi ringraziando.

"Sul serio, davvero" disse con il libro in mano. Accettai e la ringraziai più volte.

"Piacere di averti conosciuto, Bella" sorrise "Ci vediamo domani, allora. Ci conto"

Annuii.  "Certo, ci vediamo" salutai e la vidi avviarsi velocemente in cassa.

Feci un ultimo giro per controllare di aver preso tutto e tornai a casa.

Posai le due buste sul tavolo e Jake corse incontro ad aiutarmi a sistemare.

"Renesmee?" chiesi.

Si avvicinò "E' di fuori a giocare" sorrise guardando dalla finestra.

"Come è andata? Trovato alla fine il negozio?" chiese Jacob svuotando una delle buste.

"Negozio..pff..sembrava un'altra città, altro che negozio. Era enorme, ed hanno anche un sacco di cose, dovreste vederlo" aprii il frigo e sistemai la busta di mele nel cassetto.

"Mmh, vero. E' l'unica cosa che non abbiamo ancora visto" rise.

"Già, in tempo di record.." risposi scherzando.

"Un altro grande classico, Bells?" chiese tirando fuori dalla busta il libro.

Mi avvicinai a Jake per osservare il libro che in realtà non avevo ancora visto.

"Mmh, no.." sorrisi . Mi guardò storto “cioè, si” ammisi. Rise.

“Dai, concedimelo. Questo non l’ho ancora letto, è l’unico!” sollevai le spalle.

 

Scrollò la testa "Troppo tardi" mi osservò "ormai hai influenzato anche Nessie. Non ha parlato d'altro".

 

Fui contenta in un certo senso. Dalla sera precedente non aveva più toccato l'argomento, ed ero sollevata. Sapevo che lo pensava, spesso la trovavo fissa a guardare un qualsiasi punto. Sapevo cosa pensava e vederla in quelle condizione mi faceva male, terribilmente.

 Provavo in tutti i modi a distrarla e a farle sentire il mio affetto..ma non potevo fare più di tanto.

Stava male, come me d'altronde.

"Papà!" sentii urlare. Mi avvicinai alla finestra e vidi Renesmee correre in giardino.

Corsi fuori dalla vetrata, Jake mi seguì preoccupato.

 

"Renesmee??" urlai. Era sparita. Mi feci prendere dal panico e le gambe iniziarono a tremare.

Jake al mio fianco che correva per il giardino alla ricerca di Nessie.

Sentii qualcosa prendermi per mano "Mamma". Mi voltai di scatto.

"Amore, dove eri finita?" domandai ancora preoccupata.

Jake ci raggiunse velocemente e sembrò essere più tranquillo, anche se il suo sguardo trapelava un qualcosa di strano.

Una lacrima le bagnava le fredde guance. La presi in braccio, la portai dentro al caldo e mi sedetti al suo fianco.

Ancora ancorata alle mie braccia "Ho visto papà".

"Cosa?!" domandai confusa, sebbene in cerca di speranza.

Non potevo crederci. Probabilmente si stava facendo prendere troppo, ormai piangeva ogni notte e faceva brutti sogni. Anche questo sarà stato ... beh, un'immaginazione, pensai.

"Si, era lui! Quando mi ha visto è scappato" disse guardando fuori dalla finestra.

"Nessie, sei sicura?" domandai. Jacob si inginocchiò al nostro fianco e annuì guardandomi prima che Renesmee rispose.

"Si, era papà. Aveva la maglia che le ha regalato zia Alice, era lui!" disse stringendomi forte.

Panico, paura ... sollievo.

Se era davvero vicino, perché non era tornato? Cosa diavolo stava succedendo?

Iniziai a piangere di rabbia e nervosismo. Volevo uscire da quel brutto sogno, no, non poteva essere la realtà. Volevo riemergere. Stavo affogando nella disperazione, non potevo. ‘Sii forte’ mi incoraggiai.

Unica cosa che mi tranquillizzava, Edward stava bene. Del resto ero ancora più confusa e agitata.

Voltai lo sguardo tra le lacrime e vi incontrai gli occhi freddi e spenti di Jake.

 

Oh, siete giunte fin qui, care <3 Il capitolo è di Vale e a lei vanno tutti i meriti per la velocissima stesura ... u.u

Speriamo che vi piaccia, la mancanza di recensioni lo scorso capitolo ci ha un po' buttato giù, ma ci riprendiamo facilmente. Vi ringraziamo per ogni vostra recensione, ogni elogio, ogni critica ^^

Come vedete, ci sono cose piuttosto interessanti ... Stella, la nuova amica di Bella, Jacob, Renesmee e ... Beh, Edward!

Speriamo che vi piaccia =D

Mi raccomando, recensite ^^

Baci,

Missy & Vale *w*

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Capitolo 8
*** Claire de Lune ***


Wait me

-Claire de Lune-

“Vaffanculo.”

Esistevano milioni di parole da dire in quel momento, milioni e milioni di cose da dire. Ma essere così volgare davanti alla macchina che Jake aveva preso in affitto mi sembrava terribilmente giusto e, inspiegabilmente, sorrisi.  Sorrisi, poi ripresi a fissare quella stupidissima chiave.

No, non una chiave normale, no. Una carta dello spessore di un centimetro, fatta per “essere infilata nell’apposita fessura nel cruscotto”, come recitavano le istruzioni.

Ecco, avevo infilato quella stupidissima chiave. E l’auto non partiva. Era ferma. Immobile.

Preferivo la Ferrari, se l’alternativa era una sciocca auto a stampo europeo che non si muoveva neanche se spinta a calci. Stupidissima auto.

Milioni di alternative. Sì, Bells, calmati. ‘Hai milioni di alternative.’

‘Puoi andare a piedi? No. Però puoi prendere l’autobus, no?

Certo. L’autobus, giusto? Bene, Bella, ora ti devi alzare. E ti devi ricordare di togliere la chiave prima.’

 

Cinque minuti dopo, ero di nuovo fuori, coperta e stracoperta con un pesantissimo piumone di Alice e gli occhi fissi su una cartina delle fermate dell’autobus. Non doveva essere troppo difficile …  Insomma, bastava seguire la stradina disegnata, no?

‘Destra, sinistra … Ah, no!, è il contrario.’

‘Sinistra, destra … Non è difficile.’  Beh, ogni tanto perdevo l’equilibrio sul ghiaccio, però …

“Isabella! Ehi!”

Se non avessi riconosciuto quella voce, mi sarei detta stupita di qualcuno che ha il mio stesso nome completo. Sì, perché odiavo il mio nome completo, e ormai non ero più Isabella, solo Bella.

Allora, di chi era la voce famigliare che mi chiamava con quel nome?

Isabella, così imperioso, così sciocco, così …

Stella!

Mi correva incontro, sorridendo e agitando la mano.

“Ehi!” gridai “Ehi, come va?”

Arrivò trafelata alla fermata dell’autobus, i capelli impazziti, gli occhi spalancati. Non riusciva a non essere carina, però. Attorno a sé aveva una leggera aura di allegria che l’ avvolgeva.

Le sorrisi.

“Io sto bene, benissimo … Tu?”

“Bene, basta che non mi chiami Isabella …”

“Oh, giusto! Scusami, in Italia Bella ha lo stesso significato di ‘carina, bellissima’ … Così non ci sono abituata!”

Sembrava facesse finta di essere così allegra e imbranata. Un momento era in piedi, immobile, un altro si agitava. Era strana, ma simpatica.

“Tranquilla” mormorai.

Salimmo insieme sull’autobus e Stella non smise neanche un momento di parlare e parlare.

Mi raccontava dell’Italia, della sua vecchia scuola, della sorella e dei genitori. Ogni tanto mi diceva qualche parola nella sua lingua, per poi spiegarmela sorridendo.

“Anche il tuo nome è in italiano?”

Sorrise.

“Sì … Una stella, sono una stella.”

E quando lo disse mi sembrò decisamente più vera.

E allora le raccontai di me, e di Jacob. E dei sogni e della mia famiglia, e di Forks. E mi fece male ogni singolo ricordo che riguardava Edward.

Non sembrò accorgersene.

 

Quanto è passato? Una settimana, vero?

Sette giorni d’inferno.

Sette giorni per lei.

Sette giorni per nostra figlia.

Solo sette giorni.

E sangue umano, tra le mie dita.

 

Arrivammo all’università cinque minuti prima dell’inizio delle lezioni.

L’edificio era moderno, enorme e stranamente … Bello. Quasi … famigliare.

Stella era dietro di me e non smetteva neanche un minuto di parlare della scuola, e delle lezioni. Le avevamo quasi tutte in comune, così non avrei avuto problemi a proposito di amicizie: la mia amica aveva già fatto amicizia con almeno tre persone nell’autobus.

Io ricordavo a malapena i nomi.

Il preside si dedicò a un breve discorso, quindi ci ritrovammo spintonate tra decine di studenti, mentre un professore cinquantenne ci chiedeva di prendere posto.

Ascoltai, ma con la testa altrove. Dentro di me gli ultimi avvenimenti si ripetevano ancora e ancora, veloci, insensati, illogici. Qualcosa nella mia testa cercava di avvertirmi che non tutto era come sembrava.

E mi rividi davanti Edward.

Con le lacrime agli occhi tornai alla spiegazione, con la vana speranza di dimenticare.

 

“Fallo.”

“Non posso.”

“Ora.”

“Mai.”

 

Stella ogni tanto mi lanciava delle occhiate, quasi preoccupate.

Non ne capii il motivo finché non vidi il mio foglio per gli appunti bagnato di lacrime.

 

Erano finite, ed erano state le lezioni più lunghe della mia vita. Era da tempo che stavo per tanto tempo lontana da Renesmee, e la cosa mi faceva stare male.

Seduta al tavolo del pranzo, mentre Stella era in bagno, allungai la mano verso il mio telefono e composi velocemente il numero di Jake, sorridendo come un’idiota quando sentii mia figlia rispondere.

“Mamma!”

“Tesoro … Come stai?”

“Bene! Sai, Jacob ha provato a cucinare, ma …”

“E’ Bells?!” sentii gridare il mio migliore amico, fuori campo “Bells, il pranzo che ho cucinato era magnifico! Non credere a Nessie!”

Risi.

“Ok. Tesoro, ora devo andare, ma mi manchi tantissimo.”

“Anche tu. Ciao mamma!”

“Ciao Renesmee!”

Chiusi il telefono e sobbalzai vedendo Stella accanto a me.

“Chi è Renesmee?” mi chiese.

“Chi?” mormorai. Quanto aveva ascoltato?

“Sono arrivata ora e ho sentito che salutavi una certa Renesmee …” tirai un sospiro di sollievo “Allora chi è?”

Mi sentii colta alla sprovvista.

“Hai presente … Jacob, il mio migliore amico? Beh … Renesmee è …” sua figlia? Sua cugina? “ … La sua ragazza” mi sentii mormorare, per poi vergognarmi come mai prima di allora.

La sua ragazza? Ma come mi era venuto in mente?

“Oh, capisco” sorrise. Poi mi prese per mano e mi condusse alle altre lezioni.

Ero ancora rossa in volto quando tutti i professori ci congedarono, ricordandoci di portare sempre dietro il foglio degli orari.

“Foglio?” mormorai.

Stella si voltò verso di me.

“Ah sì, il foglio degli orari … Quando sono andata a prenderli c’era solo uno. Ma li avranno sicuramente in segreteria …” diede un’occhiata a un corridoio.

 “ Sì, sicuramente. Ora, segui il corridoio e poi gira a destra” mi spiegò velocemente “io devo andare, ma sono certa che non ti perderai!” poi mi stampò un bacio sulla guancia e scomparve alla mia vista.

Dieci minuti dopo, mi ero persa.

Non c’era solo una porta a destra, ma migliaia. E il mio senso dell’orientamento non era dei migliori.

Avevo perso anche le speranze, finché non avvertii un suono famigliare.

Era un stato veloce, tanto che credei di averlo immaginato.

Era morbido, irreale, eppure udibile e basso. Era una corda mossa da tasti di avorio ed ebano.

Si diffuse attorno a me e dentro di me, finché non si esaurì nella stessa aria che con la sua meraviglia si era conquistata. Inspiegabilmente, sorrisi.

Veniva dalla porta accanto a me.

Piano, mi avvicinai.

Un’altra nota si allungò nell’aria. E ancora. E ancora.

Claire de Lune.

Claire de Lune.

Claire de Lune.

Ancora.

Sentii le lacrime scivolarmi lungo le guancie. Quella musica, così sua.

Ormai ero appoggiata completamente al legno, pronta a cogliere ogni suono di quella melodia.

Quella melodia così nostra.

La porta si aprì di scatto e mi ritrovai nel bel mezzo di quella stanza che, me ne resi conto, era una grandissima aula di musica.

E c’era un pianoforte. E qualcuno stava suonando il pianoforte.

Arrossii visibilmente e cercai di indietreggiare.

Non ci riuscii.

Qualcuno dal profumo esageratamente famigliare mi raggiunse a velocità inumana e posò le sue labbra sulle mie.

Poi, scomparve.

 

 

Ora, imploro perdono. Sul serio.

Tra Settimana Bianca, febbre, ricerca (45 pagine!) sul Giappone e stupida interrogazione di arte, non ho trovato il tempo per il nuovo capitolo.

Perdono!

Ora, finalmente, pubblico.

Vi è piaciuto?

Che ne dite?

Dai, una recensione ci farebbe davvero felici :)

Missy

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Capitolo 9
*** Paura della Realtà ***


Cosa dire? E' un capitolo davvero importantissimo, chiarirà un mucchio di cose e ... beh, ci saranno dei ritorni ** E' stato scritto da Vale, e anche lei annuncia di essersi commossa, durante la stesura.
Vi ringraziamo infinitamente, voi che ci seguite sempre e ci fate tanto felici con le vostre recensioni :)

Siete le migliori lettrici che si possa immaginare!

Vi lascio al tanto agognato capitole, care <3
Misery


Wait me
Aspettami

-Paura della Realtà-


Spensi il computer sulla mia scrivania.

Appoggiai la testa sulla poltrona e chiusi gli occhi.

Strinsi saldamente tra le mani i braccioli, per evitare che il ricordo mi fregasse di nuovo.

Sapevo che non mi avrebbe fatto bene, ma ne sentivo la necessità.

Avevo voglia di ricordare, ogni minimo particolare.

La mia paura, fondata, di poterlo dimenticare era il mio più grande incubo.

Ogni giorno che passava il suo volto nella mia mente si faceva sempre più sfocato e l’unica cosa che riusciva a calmarmi era ricordarlo .  

Avevo paura che il ricordo svanisse e che un giorno avessi potuto svegliarmi senza saper più riconoscere il suo viso.

Al contrario, il suo odore e il suo tocco mi rimanevano perfettamente chiari, soprattutto dopo l’ultima volta.

 

 

Qualcuno dal profumo esageratamente famigliare mi raggiunse a velocità inumana e posò le sue labbra sulle mie.

Poi, scomparve.

Si allontanò con talmente tanta velocità che dovetti reggermi allo stipite della porta per non cadere a terra.

Per un primo momento rimasi sbalordita.

Si, forse avevo sognato e lo studio mi stava veramente dando alla testa. Si, ero pazza. Ne ero convinta da un bel po’ di tempo ormai.

Quando trovai di nuovo l’equilibrio mi staccai dalla porta e solo allora capii che non si trattava di un sogno o di pazzia, ma della pura verità.

Mi girai di spalle e vidi due ragazze nel corridoio della scuola camminare con dei libri sotto il braccio.

Segno che mi trovavo ancora a scuola e che non ero stata rapita dagli alieni.

Mi girai nuovamente verso la stanza buia, e fu in quel momento che risentii più forte lo stesso odore di prima, e questa volta lo riconobbi.

Lasciai la presa sui miei quaderni che caddero a terra rumorosamente.

“Edward?” quasi urlai entrando dentro la stanza buia e accendendo la luce.

“Edward” ripetei a voce più bassa quando notai al centro della stanza un pianoforte, nero.

Mi avvicinai e iniziai ad accarezzare i tasti del pianoforte delicatamente.

Tutto quadrava, sapevo che non mi stavo sbagliando.

“Claire de Lune”, pianoforte e il suo odore.

Ormai ne ero convinta. Queste parole mi portavano a pensare ad una sola persona.

Mi sedetti per terra accanto allo sgabello e rimasi lì, immobile.

Ero davvero confusa e non sapevo cosa stesse succedendo.

Ma avevo la certezza che non ci aveva abbandonato e che stava bene, per il momento.

Restava solo che sperare che ritornasse.

“Edward, torna..” sussurrai prima di cadere, questa volta, tra le braccia di Morfeo.

 

Era passato quasi un mese, e non era successo più niente.

Le mie speranze furono inutili perché Edward non si fece più vivo.

E di nuovo saliva il terrore che gli fosse successo qualcosa e che quei segni erano stati un qualcosa per salutarci, per dirci definitivamente addio.

Ogni notte piangevo e gli incubi si facevano sempre più terribili e oscuri con il passare dei giorni.

La mia vita era diversa da quello che riuscivo a far vedere.

Jacob era ormai convinto che mi stessi riprendendo, e Renesmee si rifiutava di chiedere di suo padre. 

Una volta la sentii sussurrare “Ti voglio bene papà” mentre si stendeva sotto le coperte che le aveva regalato lui stesso.

Io facevo finta di dormire e non avevo intenzione di iniziare il discorso se non fosse stata lei a farlo.

Evidentemente, non parlarne, la faceva stare meglio.

Ma ogni sera, io, puntualmente crollavo.

Mi chiudevo in camera e mi sfogavo come potevo, senza rendere partecipi né Nessie, né Jacob.

Non avrei inflitto inutilmente altro dolore.

Per cui me ne stavo rannicchiata sul letto a piangere, piangere e piangere..

Era ormai diventata una cosa normale. Le lacrime erano entrate a far parte involontariamente della mia vita.

E nel mentre le lacrime sgorgavano, il mio cervello si lasciava andare ai ricordi.

 

A scuola ogni cosa andava alla grande, almeno quello.

Avevo conosciuto molte persone veramente gentili.

Ogni tanto Stella mi obbligava ad uscire, ma raramente accettavo.

Diceva che avevo bisogno di svago e che lo shopping è il migliore amico della donna.

Quando pronunciò quella frase mi ritornò in mente Alice.

Non riuscivo a spiegarmi perché legavo sempre con ragazze che avevano la mania delle compere.

Sorrisi ai vecchi ricordi con Alice.

L’avevo sentita per telefono giusto il giorno prima e mi avvertì che prima o poi sarebbero venuti a trovarci.

Non vedevo l’ora, ci mancavano veramente tanto.

“Ehi Bella! Buongiorno” disse entusiasta Stella baciandomi una guancia e sedendosi nel muretto accanto a me.

“Buongiorno Stella” sorrisi appoggiando lo zaino a terra.

“Il bus ritarda oggi?” disse guardando l’orologio.

Scrollai le spalle “in realtà siamo in anticipo di dieci minuti”.

Stella abitava a pochi centinaia di metri da casa mia, diceva. 

Non l’avevo mai vista in zona e solitamente ero io quella che aspettava in anticipo di mezz’ora alla fermata dell’autobus.

“Come mai oggi così presto? Hai aggiustato la sveglia?” chiesi ridendo.

Rispose con una linguaccia e aggiunse “In realtà sono sempre puntale, mia cara” ridacchiò.

Alzai gli occhi al cielo “Si, certo, come no”.

“A proposito” disse “oggi salterò metà lezione di biologia. Domani mi fai copiare gli appunti, vero?”

“Oh, certo. Non ti preoccupare.” Sorrisi. “Perché salti metà lezione?” chiesi curiosa.

Spostò lo sguardo sui suoi piedi “Ehm, beh..si, viene a farmi visita mia madre. Domani mattina deve ripartire..per cui voglio godermi le poche ore che staremo insieme” mi guardò sorridendo.

“Uhm, fai bene! La lezione di oggi non è poi così importante, puoi saltarla tranquillamente. Ti copro io” le feci un occhiolino.

“Grazie, sei un tesoro!”

 “Prego”

Sentii il rumore del autobus avvicinarsi e ci alzammo in piedi. Salimmo le scalette e le porte si chiusero.

“Ehm, mi scusi. Può riaprire?” chiese Stella al conducente.

“Stella, cosa..?!” le domandai.

Appoggiò le mani ai fianchi “Hai dimenticato lo zaino per terra” ridacchiò.

Le porte si riaprirono e scesi a recuperarlo.

Risalii e mi vidi puntato lo sguardo di una quindicina di ragazzi.

Arrossi e corsi a sedermi nel primo posto libero.

Stella fece lo stesso. Si sedette accanto a me e iniziò a ridere “aveva ragione, sei proprio sbadata Bella!”.

“Chi aveva ragione?” chiesi aprendo il finestrino.

Improvvisamente smise di ridere “Ehm..no, no, nessuno. Avevo ragione, sei veramente sbadata!”

“Uh, grazie molte!” dissi e sentii che finalmente non avevo più gli occhi dell’intero bus puntati addosso.

 

Finalmente arrivammo a scuola e scendemmo da quell’autobus pieno di gente.

Ci incamminammo verso la biblioteca.

La lezione di biologia era stata spostata di mezz’ora e non ci rimaneva che aspettare.

Quando finalmente ci avvertirono che stava per iniziare, posammo i vari libri e ci dirigemmo verso l’aula.

“Bella, devo andare. Mia madre è già arrivata. Se mi hanno già visto ci pensi te ad inventarti una scusa vero?”

“Ovvio” sorrisi salutandola. “Ti voglio bene, vai”

“Anche io” scappò velocemente tra i corridoi e in pochi secondi la vidi scomparire.

Per fortuna la lezione non sarebbe durata per molto, non avrei resistito più di un paio di ore senza la compagnia di Stella, ormai ne ero abituata.

Entrai con tutta calma e mi diressi al mio solito banco.

La lezione era iniziata da qualche minuto e molti stavano già prendendo appunti.

Tutto cambiò quando alzando lo sguardo da terra incontrai il suo.

Mi bloccai in mezzo alla stanza. Le mie gambe non reagivano più ai miei comandi e non riuscivo a camminare.

Mi paralizzai.

“Signorina Swan? Tutto bene?” sentii la voce lontana del mio professore.

Mandai giù la saliva che mi era rimasta in gola e annuii.

Lentamente cercai di chiudere gli occhi e di svegliarmi. Immaginavo fosse l’ennesimo incubo.

Ma non lo era. Riaprii gli occhi e lo vidi di nuovo.

Sorrisi e una lacrima di felicità scese dai miei occhi. Fece la stessa cosa e mi sorrise.

Non potevo credere che era davvero tutto reale, che finalmente era tornato ed era a meno di dieci metri di distanza da me.

Non riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi, stranamente verdi.

Mi persi nel suo viso e sorrisi come una cretina per qualche secondo.

L’unica cosa che desideravo era poterlo riavere al mio fianco, poter risentire il suo odore, il suo tocco, una sua carezza..

Iniziarono a ritornarmi in mente varie immagini del nostro passato, di quello che era la mia vita circa due mesi prima.

Altre lacrime sgorgarono dai miei occhi. Ero felice. La prima volta dopo mesi.

Poi, piano, mi avvicinai.

Dovetti appoggiarmi ai vari banchi.

Sentivo che l’equilibrio mi avrebbe abbandonato di lì a poco.

Non staccai mai lo sguardo da lui.

Quando fui abbastanza vicina mi sorrise un’ultima volta e chinò lo sguardo sui suoi appunti riprendendo a scrivere.

Andai a sedermi al mio banco, proprio vicino ad Edward, il banco di Stella.

Posai i libri e lentamente mi misi seduta.

Lo fissai mentre scriveva e prendeva appunti su una lezione vecchissima.

Si comportava come se nulla fosse successo. Alternava lo sguardo tra il professore e il suo quaderno.

Non mi degnò neanche di una parola.

Mi stava facendo impazzire.

Le lacrime continuavano a scendere senza sosta ed iniziai ad asciugarmi il viso con la manica della mia maglia.

Non tirai fuori neanche il mio materiale.

Rimasi per circa dieci minuti a guardarlo come se fossi un fantasma. Ero un’estranea  forse?

Mi appoggiai con la schiena alla sedia e iniziai a contenere le lacrime. 

Chiusi gli occhi e pensai che ero vicino alla persona che amavo e che dovevo sapere. Era arrivato il momento.

Sapevo che se avessi iniziato a parlare, la voce mi si sarebbe fermata in gola.

Aspettai qualche secondo che mi calmassi.

“Edward?” poggiai la mia mano sulla sua spalla per farlo voltare nella mia direzione.

Niente.

Il mio tocco sembrava non avergli provocato nessun effetto.

 Mi ignorò, o forse neanche ci fece caso. Cosa poco probabile.

Cambiò quaderno ed iniziò a scrivere anche su quello.

“Edward, ti prego dimmi qualcosa. Ti prego” sussurrai piano per non farmi sentire dal resto dell’aula.

Lo vidi fermarsi di scrivere.

Girò di scatto la testa e mi guardò negli occhi. Sorrise.

Mi sciolsi in quello sguardo e lo assecondai con il suo stesso gesto.

Lo guardai negli occhi.

Fui presa da un attacco di odio nei suoi confronti.

Mi stava prendendo in giro? Perché non parlava?

Perché faceva finta che non esistessi e mi degnava solamente di sorrisi?

“Dì qualcosa, Edward. Cosa sta succedendo?”

Scosse il capo e tornò di nuovo sui suoi libri.

Le lacrime che per qualche minuto erano cessate, ricominciarono ad inondarmi gli occhi.

Sentivo mancare l’aria e faticavo a respirare. Iniziai a vedere sfocato e la testa iniziò a martellare.

“Edward..” tutto intorno a me iniziava a girare.

Dovetti reggermi saldamente al banco per non rischiare di cadere dalla sedia.

Appoggiai la testa tra le braccia incrociate sul banco ed iniziai a perdere conoscenza.

I rumori e le voci erano ormai lontani. Volevo scomparire.

Desideravo la mia vita. Non potevo credere che fosse realtà, dovevo svegliarmi.

Eppure ero cosciente che era tutt’altro che un sogno, ma la verità.

I singhiozzi iniziarono ad alternarsi tra i respiri affannosi e cercai di non essere notata. Mi tappai la bocca e chiusi gli occhi.

Volevo, si, uscire da quell’incubo, ma rimanevo attaccata alla realtà.

Desideravo scomparire. Avrei voluto essere dall’altra parte del mondo.

“Mi scusi, credo non si senta molto bene. Posso portarla in infermeria?” sentii la sua voce.

Fu come se avessi visto la luce per la prima volta.

Quella voce, quella soffice voce che tanto avevo sperato di non dimenticare.

Finalmente la risentii, dopo un periodo di tempo che sembravano essere anni.

Non riuscivo a muovermi. Avrei voluto alzare la testa e guardarlo, di nuovo, ma il mio corpo non me lo permetteva.

“Si,vai Edward” la voce di un uomo. Si, forse il professore.

Malgrado desiderassi sparire, restavo comunque legata alla realtà.

Da quel momento, però, non capii più nulla.

Sentii delle braccia sollevarmi, le sue braccia, e stringermi forte.

Il suo profumo, ora, mi stava dando alla testa. La sua pelle al contatto con la mia..mi fece rabbrividire.

Non riuscivo ad aprire gli occhi, ma cercai di godermi il momento. Ero di nuovo tra le sue braccia.

Probabilmente fu di nuovo il professore a parlare “Facci sapere se è tutto apposto dopo. Ok?”

“Certo” sentii il suo passo farsi più veloce.

Ripresi a respirare.

L’aria fresca e pulita riusciva a farmi sentire meglio, sebbene fossi ancora senza forze.

Sarei potuta rimanere in quel modo per sempre. Era ciò che desideravo.

La sua presa era forte ed ero letteralmente attaccata al suo petto.

Provai, con qualche tentativo, di riaprire gli occhi. Dopo un po’ ci riuscii.

Vidi di nuovo il suo volto, questa volta molto più vicino.

Mi sembrava che non l’avessi mai osservato così attentamente.

E poi, i suoi occhi, fissi in una sola direzione.

Avrei potuto iniziare a parlare, forse era il momento buono, ma avrei rovinato tutto.

Il suo passo iniziò a rallentare. Si fermò e si mise seduto a terra all’entrata della scuola.

Mi teneva ancora salda tra le sue braccia, e data la forza, non avrebbe sciolto l’abbraccio.

Sentivo il suo sguardo fisso su di me, ma non riuscivo a vederlo, era alle mie spalle.

Mi scostò una ciocca di capelli “Bella, stai bene?”

In quel momento uscì la parte più acida di me stessa.

Per quanto lo amassi e per quanto ero felice di averlo di nuovo al mio fianco, mi stava facendo impazzire con il suo comportamento.

“Credi che stia bene?” risposi continuando a guardare in basso, cercando di tenere gli occhi aperti.

“Lo spero” disse a bassa voce quasi sospirando.

Scossi la testa. ‘Si, sto bene, Edward’ avrei voluto rispondere ‘sto bene se tu sei al mio fianco’. Non lo feci.

Lasciai che fosse lui a continuare.

Davvero non sapevo proprio cosa stava succedendo, e forse non avrei voluto saperlo mai.

Lo sentii sospirare forte.

Continuando a tenermi tra le sue braccia, afferrò un volantino scolastico per terra.

Iniziò a scrivere.

Riuscii a vedere solo la sua mano muoversi. Non avevo il coraggio di girarmi e guardarlo di nuovo negli occhi.

Lo vidi sporgersi con la testa sulla mia spalla e posarmi un foglio tra le mani: Scusa per prima. Jane ci ascolta, non posso parlare ora.

Mi girai di scatto, senza pensare. Lo guardai corrugando la fronte.

Alzò le spalle e scosse la testa.

Ero stata talmente stupida a non pensare ai Volturi, già.

In realtà avevo considerato l’opzione, e non era mai stata scartata. Pensavo però che fosse una cosa passata.

Per quale motivo ... cosa c’entravano i Volturi?

Ok, prima o poi l’avrei saputo, ma evidentemente non era il momento giusto.

Mi sentivo sollevata dal comportamento di Edward, avvertivo di nuovo la sua vicinanza.

Ora, non se ne sarebbe andato. Avrei fatto di tutto per non premetterlo.

Non avrebbe dovuto più nascondermi niente, ma nello stesso tempo avevo paura.

Paura della realtà, si.

Mi guardò e per la prima volta posò una mano sulla mia guancia e mi accarezzò.

Sorrisi e probabilmente arrossii.

Mi tolse velocemente il foglio dalle mani e riprese a scrivere: Ti amo.

Sentivo di nuovo gli occhi pungere dalle lacrime. Difatti ne scese un’altra. Abbassai lo sguardo per nasconderla.

Con le sue mani mi sollevò il mento e mi asciugò una lacrima.

Aprii gli occhi e lo abbracciai forte.

Delicatamente posò le sue labbra sulle mie e sentii che la vera Bella di sempre era finalmente tornata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Incubi in grigio, nero e bianco. ***


Wait me

Aspettami.

X

- Incubi in grigio, nero e bianco-

Dentro di me il mondo stava assumendo i colori del bianco e nero, un freddo contrasto l’uno accanto all’altro che volgeva via via verso un grigio indefinito.

Edward era il mio bianco, il mio bianco infinito, così infinito e bello e luminoso, quasi quanto la sua pelle. Così splendido e intaccabile, eppure vulnerabile, come il colore dei suoi occhi verdi. Davanti a me vedevo un futuro lontano, un futuro felice, qualcosa di migliore.

Il verde delle sue iridi lo scalfiva appena, le parole non dette, le bugie ancora non smascherate erano lontane da quel posto perfetto che io chiamavo casa.

Nel nero, però, il verde c’era chiaramente. E anche il rosso, perfettamente indelebile, segnava il presente con la presenza dei Volturi, dei loro occhi di fiamma, occhi che credevamo di aver sconfitto …

Cercavo di concentrarmi sul bianco, o, almeno, su quel grigio chiaro, tornando a casa. Sapevo che Jacob sarebbe stato decisamente più felice nel vedermi tornare allegra, e questo avrebbe indotto a Renesmee a farmi poche domande.

Risalii i gradini a gran velocità, armeggiando con la serratura della porta, e allo stesso tempo tentando di mantenermi in equilibrio. Ghiaccio, era dappertutto. Ero stata sciocca infondo, io, con la mia goffaggine, ad andare a vivere lì.

Poi, però, il contatto con la maniglia ghiacciata mi ricordò di colpo la pelle di Edward, e mi ritrovai ad amare l’Alaska.

Ero io, la vera io, eppure così lontana da quella di quegli ultimi mesi da spaventarmi.

Mentre entravo cercai di rammentare i pochi momenti felici di quel periodo indefinito.

Renesmee che mi abbracciava. Primo giorno.

Io, lei e Jacob in giro per l’Alaska. Secondo giorno.

Una buona cena. Seconda settimana.

Il bacio.

Stella, così uguale ad Alice. Primo mese.

Edward. Ora.

Sorrisi, finalmente nel tepore del salotto.

“Bells?” la voce di Jacob mi ricordò quella di Charlie, quando mi ascoltava rientrare.

“No, il lupo cattivo” gridai a mia volta.

Un rumore di passi giunse dalle scale e vidi Renesmee corrermi incontro e abbracciarmi. La strinsi a me, annusandone il dolce profumo, poi la vidi correre di nuovo di sopra.

“Che fa lassù?” chiesi a Jake, vicino a me.

Alzò le spalle. “Disegna, dipinge, scrive … Ma se le chiedo cosa non risponde” spiegò.

Annuii, mentre la mia mente oscillava, tremenda, verso la zona grigia.

Sentii il mio migliore amico voltarsi e andarsene, senza altre parole, e il grigio mi inghiotti. Qualcosa dentro di me si mosse, una realtà tremenda e stranamente famigliare mi avvolgeva e lo sguardo che lanciai a Jacob dovette farglielo intuire. Mi guardò, un’ istante che durò un attimo, poi si diresse verso la cucina.

Gli dovetti correre dietro.

“Ehi!” cercai di afferrarlo per una manica “Ehi, cosa … Cosa c’è?”

Mi fissò ancora, mentre una martellante sensazione di essermi fatta sfuggire qualcosa mi uccideva.

“Non so cosa disegna. Non so cosa dipinge. Non so cosa scrive”  mi disse, controllato.

 Mi ci volle un po’ per capire che stava parlando di Renesmee.

“Jake …” tentai. Lui mi zittì con un’ occhiataccia.

“Non so a cosa pensa mentre è lassù” aveva un tono frustato che mi fece male al cuore “ma posso immaginarlo.”

Dentro di me tutto urlava. Voleva dire che non stavo abbastanza accanto a mia figlia, che dovevo dirle la verità su Edward, che dovevo parlarle? I suoi occhi neri non mi davano suggerimenti, c’era solo rabbia, rabbia e ancora frustrazione e risentimento. Mi resi conto che non era solo contro di me solo quando lo vidi avvicinarsi al mio volto, inspirare profondamente e poi rivolgermi un ultimo sguardo.

“La sua puzza si sente da un miglio di distanza.”

 

Corsi di sopra con le lacrime agli occhi. Passando davanti alla camera di Renesmee avvertii della musica classica a tutto volume, che doveva aver coperto il tono di Jacob. Aprii la porta della matrimoniale con stizza e con la stessa forza la richiusi dietro di me. Il materasso si affossò sotto di me quando ricaddi su di esso e le molle cigolarono piano.

Quando mi voltai, un acchiappasogni indiano mi fissava da sopra la testata. Lo afferrai con rabbia, quindi lo buttai a terra sul pavimento lucidissimo. Una voce nella mia testa chiedeva disperatamente aria.

Senza sapere cosa stavo facendo indossai il primo cappotto che mi capitò in mano e scesi. Mi ritrovai fuori, al freddo, il buio che mi avvolgeva.

Non so per quanto camminai, solo che le gambe cedettero dopo diversi minuti che forse erano ore. Caddi nella neve, gelida, senza sapere cosa fare. Invocavo i nomi di una famiglia di cui non avevo mai fatto parte, nomi che si accalcavano sulle mie labbra.

Mia madre che sorrideva e mi diceva che tutto sarebbe andato per il meglio. ‘Va tutto bene’. Quanto desideravo che fosse lì a dirmelo?

Avevo così poche certezze –forse solo una, mia figlia- e un mondo che mi era ostile, ma di cui volevo disperatamente fare parte. Il cielo era nero, sopra di me.

“Va tutto bene” una voce calda e bassa mi risvegliò, suadente. Era famigliare, quanto il profumo che mi avvolse assieme alle sue braccia. Il freddo si sostituì al sintetico calore di una coperta di pile. Un solo nome, ora, soffiava dalle mie labbra.

“Edward …” mormorai. L’unica risposta fu un bacio a fior di labbra. Lo immaginai sorridere, dietro di me.

“Niente più brutti sogni” mi sussurrò, cullandomi.

 

 

Eh, ancora ritardo. Ma non tanto questa volta, daaai ^^ Insomma, che ne pensate? Un capitolo abbastanza interessante, no?

Spero che vi sia piaciuto, carissime :)

Che altro? Beh … Come vedete, un po’ di romanticismo, anche se molti misteri restano ancora … misteri.

Baci,

Missy.

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Capitolo 11
*** Scelte ***


waitme11
Finalmente! Un capitolo con i fiocchi! Davvero importantissimo nella trama, anche se arrivato molto in ritardo! Sorprese, e un POV molto speciale! Recensite, forse la nostra storia non vi convince? speriamo che questo capitolo vi faccia cambiare idea!
Wait me

Pov. Edward
Scelte


“Niente più brutti sogni” sussurrai cullandola tra le mie braccia.

Eravamo lì,  stretti ormai da un tempo indefinito, nessuno dei due spiccicava una parola.
L’unica cosa che sentivo erano i suoi singhiozzi soffocati e la mia camicia bagnata dalle sue lacrime.
Mi stringeva con tanta forza, le sue dita premevano sulla mia schiena.
Non me lo sarei mai perdonato.
Stavo vedendo un qualcosa che non avrei mai voluto vedere: la persona che amavo, soffrire..per me.
Non avevo il coraggio di dire niente, ogni cosa sembrava essere insignificante rispetto al dolore che avevo causato. Vederla in quelle condizioni mi terrorizzava, mi faceva sentire una nullità, e l’odio verso me stesso continuava ad aumentare.
“Ehi..” sussurrai quando i suoi singhiozzi cessarono definitivamente.
Non rispose, ma diminuì la sua presa forte su di me.
“Sono qui ora” le accarezzai i capelli.
A chi volevo prendere in giro?
Si, ora ero di nuovo al suo fianco, ma cosa ne sapevo di quello che sarebbe successo? Tante volte le avevo promesso che sarebbe finito tutto per il meglio, le avevo promesso che sarebbe diventata una di ‘noi’, che non l’avrei mai più abbandonata.. ma ogni volta le mie promesse fallivano.
Alzò la testa e mi guardò in modo inespressivo. Ed erano in quei momenti che desideravo più di qualsiasi altra cosa sapere cosa le passava per la testa.
Rimasi sbalordito quando la vidi accennare un leggero sorriso, e fu in quel momento che mi sentii sollevato.
Dopo averla fatta soffrire per mesi, avrei voluto e mi sarei aspettato un comportamento differente da parte sua.
Come poteva ancora sorridermi in quel modo? Come poteva stringere l’uomo che l’aveva abbandonata per la seconda volta?
Avvicinai la mano alla sua guancia e le asciugai l’ultima lacrima che era rimasta.
 “E’ così che devi essere. Non voglio vederti piangere per nessuna ragione, tantomeno per uno che non mantiene le promesse”. Chiusi involontariamente un pugno e serrai la mascella. Solo allora mi accorsi del suo sguardo fisso sulla mia mano chiusa.
“Sto..” deglutì “..sto bene”
“No, non è vero, Bella. Non stai bene, per niente. Possibile che cerchi sempre di nascondere tutto? Non so come tu faccia a non avercela con me, perché io mi odio a morte per il male che vi sto provocando. Eppure tu..tu riesci sempre a perdonarmi”
Mi guardò storto “Edward, ma che stai dicendo?”
Dovresti avercela con me” scandii bene le parole.
Scosse la testa “No che non dovrei. Ti amo. E in realtà dovrei solo ringraziarti per tutto quello che stai facendo. Ti stai colpevolizzando, quando in tutto questo non c’entri assolutamente niente.”
Incrociai il suo sguardo. “Edward, è vero, sono stata male, malissimo, e non lo nego. Ora però sei qui ed io sono felice, davvero.”
La vidi sorridere ed arrossire “Beh..se ti fa piacere, a dire la verità all’inizio ce l’ho avuta con te, abbastanza direi. Anche se.. ho sempre saputo che non te ne eri andato di tua spontanea volontà e che saresti tornato. Prima o poi.” mi guardò negli occhi “contento ora?”
Sorrisi “Si, sollevato direi. Anche se questo non giustifica nulla. Non ho mantenuto comunque la promessa.”
Mi guardò alzando un sopracciglio “In questi casi la tua promessa viene annullata..se non è stata una tua decisione.”
Scossi la testa.
“Ecco”.
Eravamo stati lontani per molte settimane e anche se in realtà non avrei mai voluto sentire ciò che avevano passato, avevo bisogno di sapere.
“Come sta Renesmee?” Scrollò le spalle. “Dì la verità, ti prego” aggiunsi “racconta tutto”.
“Vorrei poter dire che sta bene, ma non è così. Se ne sta da sola tutto il giorno, e raramente parla. Neanche Jacob riesce a capirla ultimamente …”
Seguirono vari secondi di silenzio. “Il problema è che sono io che non riesco ad aiutarla. Sono una pessima madre”.
Scossi la testa “Oh, idiozie!”
“No, è la verità invece. E’ lei l’adulta in questa situazione, è stata lei che mi ha dato la forza anche quando era la prima ad averne bisogno. Cerca di non farlo vedere soprattutto quando è con me, mi nasconde tutto. Con Jacob è diverso..non riesco a capire. Devo essere stata un disastro” rispose ricacciando indietro una lacrima.
Nessie mi mancava in un maniera terribile. Avrei voluto stringerla tra le mie braccia. Ascoltare i battiti del suo cuore e sentire l’odore dei suoi boccoli dorati.
Era cresciuta. L’avevo vista di nascosto qualche giorno prima ed era mancato davvero poco che rompessi la promessa, o meglio, il patto.
Non potevo vederla, soprattutto con la sua presenza, se c’era lei nelle vicinanze era la fine.
“Bella, lei ti ama incondizionatamente, sei sua madre. Con Jacob, beh..è diverso. Con lui può sfogarsi in maniera diversa, senza sentirsi in colpa. Non vuole vederti soffrire, è intelligente.”
Annuì guardando a terra “Lo so”.
“Vi ho..sentito discutere prima. Te e Jacob..” dissi e poi me ne pentii subito.
Annuì. “Sapevo che tutto ciò avrebbe fatto male anche a lui in qualche modo, ma ha insistito a venire. Non volevo convincerlo a far parte di questa strana situazione, ed ora l’aria che si respira in casa è insopportabile. Jacob sta diventando..insopportabile”.
Corrugai la fronte “Non ci credo che tu stia parlando di lui in questo modo..sul serio?”
Si lasciò scappare un altro sorriso “Beh, no. Solo che quando si comporta in quel modo mi fa saltare i nervi. Non mi dite mai niente voi due. Ho il diritto di sapere, o sbaglio?” domandò retorica.
Iniziò a giocherellare con delle palline di neve.
“Hai ragione, ma non devi prendertela con lui. Probabilmente avrei fatto anche io la stessa cosa..”
“Cosa?” mi guardò negli occhi.
“..del fatto che non ti abbia detto niente della mia..presenza in città.”
Negò con la testa “Doveva dirmelo. Non mi ha mai detto niente, quando in realtà sapeva benissimo che eri in zona, sapeva quando eri a dieci metri di distanza. Io non lo sapevo.”
“Ha fatto bene invece. Sto complicando ulteriormente le cose. Dovrei andarmene da qui”.
Continuai a parlare per evitare che venissi frainteso “Forse avrei dovuto aspettare, come mi avevano costretto a fare. Forse dovevo aspettare che la situazione si fosse sistemata, ma..in realtà non ce l’ho fatta, non ho resistito.” Sorrisi.
“Hai fatto bene infatti. Ciò non toglie il fatto che io ce l’abbia ancora con Jake, doveva dirmelo” rispose scuotendo la testa.
“Voleva tenerti lontana da tutto questo, aveva ragione. Sarei tornato lo stesso, ma quando tutto si sarebbe risolto. E magari ti avrei evitato ulteriore sofferenza” conclusi.
“Edward, davvero, sto bene. Sono terrorizzata dall’idea che dovremmo stare lontani di nuovo, ho paura, si. Ma solo sapere che stai bene, avere la certezza.. ho pensato al peggio quando eri lontano. Vederti qui, davanti a me, è un sollievo enorme” parlò a voce bassa, come se stesse parlando da sola, ma riuscii a sentirla, ovviamente.
Mi avvicinai e le lasciai un delicato bacio. Sembrava essere molto più tranquilla e non poteva che rendermi felice.
Chinò la testa quasi imbarazzata e arrossì. Non potei far a meno di sorridere.
“Anche se..beh, purtroppo per me, non potrò più vederti arrossire, lo sai questo?” scherzai.
Arrossì di nuovo, anzi, non  aveva mai smesso, ma questa volta si coprì le guance con le mani.
“Si. So anche che sarà positivo per me. Riuscirò a non farmi beccare ogni santissima volta, è fastidioso” storse il naso.
Mi avvicinai e poggiai la mia fronte sulla sua “Vorrei continuare a vederti così anche dopo, mi mancherà sul serio. Non sapere cosa ti passa per la testa è..frustrante. Permetti che almeno ogni tanto il tuo corpo ti tradisca con qualche ‘mossa involontaria’? Non so mai cosa pensi, non posso riuscire a leggerti nella mente e..”
“Per fortuna” sussurrò scherzando.
Risi “e.. almeno posso sapere con certezza cosa pensi quando arrossisci, o almeno credo di saperlo..”
Chiuse gli occhi per poi riaprirli “Ok, basta?” sorrise.
“Beh, concedimelo. Saranno le ultime volte che potrò vederti così..” la strinsi forte e appoggiò la testa sulla mia spalla.
                                                                                                                                                                                      “Edward..?” chiese quasi sottovoce.
“Si?”
“Cosa sta succedendo? Non voglio bugie, posso saperlo.” Deglutii. “Devo saperlo.”
 “Andiamo a farci un giro, ti va?” chiesi alzandomi in piedi, offrendole una mano.
“Certo” sfiorò la mia mano e si alzò da terra.
“Cosa è successo? Voglio dire, per quale motivo sei dovuto tornare in Italia? Non mi hai ancora detto niente..penso che dovrei saperlo” disse decisa e pronta ad avere una risposta, ma io non lo ero.
Mi guardai intorno, sapevo che era a migliaia di chilometri, ma era ormai diventata un’abitudine.
Dovevo essere prudente.
Iniziammo a camminare lentamente “Cosa vuoi sapere?” dissi stupidamente cercando di deviare la risposta.
Alzò un sopracciglio “Perché te ne sei andato. Mi hai detto che c’entrano i Volturi.”
Annuii.
 “Pensavo si fossero decisi a lasciarci in pace, sapevano che mi sarei trasformata presto..”.
Negai con la testa “Non c’entra niente la tua trasformazione in realtà. E’ stata sempre un pretesto la maggior parte delle volte. Vogliono un’altra cosa..”
“Cioè?” socchiuse gli occhi.
“Vogliono me”.
“Cosa?” la vidi spalancare gli occhi.
 “Non ci riusciranno, o almeno spero. Non sono di grande aiuto come pensavano, se ne stanno pentendo..sto facendo di tutto” risposi.
“Non capisco..”
“Ti sei mai chiesta perché ce l’abbiano così tanto con la mia famiglia, con noi Cullen?”.
Non rispose, continuai a spiegare “Non riescono a capire perché io ed Alice non vogliamo entrare a far parte della loro famiglia. Non sono riusciti a convincerci per anni, e siamo uno dei pochi casi. Ogni vampiro si è quasi sempre abbassato ai loro ordini, ma noi non l’abbiamo fatto e hanno deciso di agire diversamente.”
“Alice? Anche Alice sa di tutto questo?” abbassò il tono di voce “mi aveva detto di non saper niente..”
Alzai le spalle “Non sa molto più di me.”
Puntò il suo sguardo a terra.
“ I Volturi erano interessati ai nostri poteri, ma alla fine hanno deciso di lasciar stare Alice, o almeno per il momento. Hanno puntato su di me, non so per quale motivo, ma ne sono sollevato. Almeno Alice è al sicuro..” sorrisi pensando alla pazza di mia sorella che non vedevo l’ora di rivedere.
“Penso che il mio potere gli serva a qualcosa in particolare, non sono ancora riuscito a capirlo..”
“Vorrei che ti lasciassero andare presto” rispose mordendosi il labbro inferiore.
Mi incantai quando mi accorsi dei suoi occhi. Erano cambiati, erano più scuri. Probabilmente per colpa del tempo, ma ne rimasi colpito.
“Non sai quanto lo spero, davvero, succederà.”
Mi guardò negli occhi. “Quindi tutta la tua famiglia lo sa..”
Annuì “Non prendertela, è stato meglio così per te non sapere niente”.
Scosse la testa “Invece no, Edward. Avrei saputo e mi sarei messa l’anima in pace. Avrei aspettato, ti avrei aspettato..”
“L’ hai fatto lo stesso, vedo” risposi appena ebbe terminato la frase.
“Si, ovviamente” fece una risata nervosa.
“Ma avrei dovuto sapere. Non mi sarei fatta strani pensieri..”
La guardai.
“Del tipo che te ne eri andato di tua volontà..oppure..che so, che per colpa di qualche sbadata e goffa ragazza..” la interruppi posando un dito sulle sue labbra.
Poggiai la mia fronte sulla sua. “Lo spero anche io. Voglio tornare dalla mia famiglia.”
Mi sorrise e allungò un braccio intorno al mio collo.
Fissò una parte lontana per qualche secondo “..forse si, mi sarei preoccupata, ma almeno avrei saputo” terminò.
Era meglio che non avesse saputo, davvero. L’avrei fatta preoccupare inutilmente, avevo fatto bene a non spiccicare una parola. Era per il suo bene.
“Mi dispiace di averti fatto stare in ansia,mi dispiace davvero. Solo che..” cercai le giuste parole “..ormai penso di conoscerti troppo bene.”
Corrugò la fronte.
“Se te l’avessi detto saresti venuta a cercarmi” risi “sei testarda. Non te ne saresti stata con le mani in mano. E’ per questo che credo di aver fatto bene a non dirti niente..”
Scosse la testa. “Beh..se mi avessi trasformato prima sarei venuta ad aiutarti..”
Scrollai le spalle e ridacchiai “Vedi? Questa è la prova che ti saresti fatta venire in mente idee troppo strane che ti avrebbero messo in pericolo..”
Diventò pallida e seria “Cosa ti hanno fatto? Sicuramente c’è qualcosa che mi tieni nascosto..”.
Mi immobilizzai alla ricerca di trovare le risposta più adeguata.
Non potevo dirle nulla, ma questa volta non era una mia scelta.
Non potevo.
Non avrei dovuto..non mi sarei dovuto riavvicinare così tanto, avrei dovuto starle lontano come avevo fatto per due mesi, perché ora..beh, ero costretto a mentire di nuovo.
Sorrisi cercando di rimanere il più pacato possibile.
Iniziai a torturarmi i capelli “Non è successo niente. Sai come sono, no? Mi hanno tenuto sotto controllo per un po’, ma ora stanno allentando la presa..”
Aggrottò un sopracciglio. “Sei sparito, così. Di punto in bianco. Te ne sai andato tu, vero? “
Sapevo che non aveva creduto alla mia precedente risposta, ma valeva la pena provare.
Lo dovevo per lei, per Nessie e per la mia famiglia. Loro dovevano essere al sicuro.
“Si, era la soluzione migliore. Non potevo permettergli di avvicinarsi troppo a Forks, sarebbe stato troppo pericoloso. Sono fuggito, e ovviamente mi hanno preso..ma l’idea era quella. Non potevamo farci niente.”
Abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi.
“Come mai ti hanno lasciato venire qui?”
“Vogliono vedere se sono cambiato, ho capito solo questo. Penso vogliano essere certi che ti abbia dimenticato, così da lasciarmi andare.” Riprendemmo a camminare.
“Ovviamente non è così, ma se è quello che vogliono farò di tutto per farglielo credere”.
“Non ci sto capendo niente..” disse.
“Vogliono che ritorni ad essere un mostro, Bella. Un po’ come loro.. ecco. Sono certi che la tua vicinanza mi stia portando ad essere più umano, ma non è quella la mia natura, dicono” spiegai.
“Sono convinto che non c’entri niente tutto questo. Più che altro sono utile per qualcosa..ma per molto poco tempo ancora”.
Sollevò la testa e mi prese per mano. “Ti lasceranno andare?”
Sorrisi. “Probabilmente. Finirà presto. Mi hanno lasciato solo già per un giorno oggi, ed è un gran passo avanti. Jane è tornata in Italia per parlare direttamente con Aro, non so di cosa, ma questo vuol dire che si fidano di me.. ed è tutto ciò che conta.”
“Spero finisca presto.”
Le accarezzai una mano “Lo spero anche io. Ma dovete pensare a voi, ora, qualsiasi cosa succeda. Avrei voluto morire piuttosto che sapervi in quelle condizioni” alzò immediatamente lo sguardo quando pronunciai quelle parole.
“Ok, forse la parola ‘morire’ non è la più adeguata nella mia situazione” cercai di spezzare la tensione.
Ridacchiò debolmente.
 “Qualsiasi cosa succederà promettimi che andrete avanti, perché tutto questo finirà, te lo prometto. Finirà presto”.
Annuì, ma sapevo che non sarebbe cambiato niente. Avrei continuato a fare del male alle persone che amavo, ma cosa potevo fare? Nulla.
Vidi il ciondolo che le avevo lasciato sul suo polso.
Era tutto ciò che sapevo con certezza. L’unica certezza personale che avevo era quella.
Sarebbe successo, era quello che voleva, quello che volevamo entrambi.  
Lo rigirai e lessi: “ ‘I promise the lamb will be a lion’. Ricordatelo, sempre. Perché io non lo dimentico.“   
Mi sorrise e le accarezzai una guancia.
“Non sai quante volte ho rischiato di infrangere il patto” dissi “In realtà lo sto facendo proprio adesso..”
Continuava a guardarmi senza staccare lo sguardo.
“..tante volte ho pensato che non ce l’avrei fatta e che mi sarei precipitato da te, da voi. Mi hanno messo alla prova. Sono stato più di un mese in questa città. Vi ho seguito ogni santo giorno e solo Dio sa quante volte ho rischiato di cedere. Non potevo avvicinarmi..” strinsi forte la sua mano.
“Ci osservi da più di un mese?” sgranò gli occhi.
“ ‘osservo’..beh, si. Non smettevo mai di seguirvi. Giorno e notte.”
“E io avrei dovuto saperlo..”
“E io penso che la tua testardaggine non è diminuita, vedo” sorrisi.
Fece un sorriso malizioso. “Avanti, dillo che te la fai con Jacob..visto che è l’unico che sa sempre tutto su di te. Devo pensar male?” a quel punto la sua risata era più che evidente.
“Cosa?! No, in realtà.. sto rivalutando Tanya.  Sai..non ha più quei capelli rossicci di una volta. Potrebbe quasi interessarmi” continuai a ridere.
Mi colpì con una leggera pacca sulla spalla e sciolse l’abbraccio.
Alzai gli occhi al cielo “Ah, sei rimasta tale e quale, meno male! Mi fa piacere..” sorrisi.
Si voltò e sperai non mi fulminasse con lo sguardo. Non lo fece, ma sapevo che l’avrebbe fatto volentieri in quel momento.
“No, ok. Dovresti saperlo che odio i cani puzzolenti e il biondo rossiccio, per cui.. grazie, ma preferisco altro” dissi e la riavvicinai a me. La vidi sorridere di nuovo e abbandonare la faccia imbronciata precedente.
“Ti amo” sussurrai al suo orecchio.
“Ti amo” rispose, e fui invaso da l’odore dolce del suo corpo.
Rimanemmo fermi per una manciata di minuti, poi riprendemmo a camminare.
Arrivammo davanti l’entrata di casa. Il cielo stava diventando buio.
Si voltò a guardarmi “Credo sia ora di rientrare, mi stanno aspettando.”
Annuii e ricambiai il sorriso.
Sentivo perfettamente la voce di Jacob e di Renesmee all’interno della casa.
Restò a fissarmi “..Vuoi entrare?” domandò poi indecisa.
Sarei corso, subito.
Sarei salito per le scale e sarei andato ad abbracciare mia figlia.
Mi mancava davvero tanto, ma non sapevo cosa fare. Sembrava così felice ora, non avrei voluto peggiorare la situazione.
Lo avevo già fatto con Bella, mi ero riavvicinato, contrariamente a quello che era giusto fare.
Non potevo ripresentarmi e poi andare di nuovo via, senza sapere quando e se fossi ritornato.
Eppure quell’odore provenire dall’interno della casa, anche se alternato a quello di Jacob decisamente cattivo, e quella voce così solare e famigliare riusciva a mettermi in difficoltà.
Scossi la testa “E’..è meglio di no, credimi. Quando tutto si sarà sistemato..”
Non feci in tempo a completare la frase che si voltò e raggiunse le scale.
“Ok..” sussurrò mentre saliva i gradini e si avvicinava alla porta.
Non si aspettava una risposta del genere, e aveva ragione..come potevo..?!
La raggiunsi a tutta velocità “No, aspetta Bella!”
Mi avvicinai e le allontanai la mano dalla porta e la strinsi forte.
Mi guardò confusa. “Penso che..che sia inutile aspettare ancora. Devo vederla, e non m’importa se non sto rispettando le regole. Non l’ho mai fatto.”
Vidi i suoi occhi diventare lucidi.
Mi sorrise senza dire una parola.  
Avvicinò la chiave e la infilò nella serratura. Prima di girare mi guardò e annuii sorridendo.
Era tutto quello che desideravo, avere di nuovo la mia famiglia vicino, e non l’avrei impedito.
Improvvisamente aprì la porta e rimanemmo in silenzio per qualche secondo.
Renesmee e Jacob erano ancora nell’altra stanza, ma improvvisamente li sentii avvicinarsi.
Fu in quel momento che crebbi di morire, cosa piuttosto improbabile.
Se avessi avuto un cuore sarebbe andato in tilt per i troppi battiti.
Non avevo provato mai una sensazione così strana e bella allo stesso tempo, oppure non lo ricordavo.
“No, il mio è molto meglio” sentii rispondere Renesmee a tono.
“Ok, hai ragione” Jacob rise.
Ora le voci erano vicine, fin troppo vicine..
“Mam-” urlò Nessie appena entrata in salotto, ma si interruppe appena vide che sua madre non era sola.
Cercai di sembrare il più tranquillo possibile, ma non lo ero affatto.
Improvvisamente il silenzio calò nella casa.
Bella iniziò a tremare.
Strinsi la sua mano più forte e solo quando vidi mia figlia riuscii a capire di aver fatto la scelta giusta.
 
 

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Capitolo 12
*** Butterflies ***


Ok, bene, mi scuso profondamente e, ancora, per il ritardo! Sono imperdonabile, lo so u.u
Ma guardate cosa vi ho preparato :D Un POV piuttosto improbabile, il primo, no?
E poi ... Beh, leggete, ci sono più colpi di scena in questo capitolo che in metà fanfiction xD
Speriamo solo che vi piaccia, ci teniamo davvero tanto :)
Ps: se vi va, potete aggiungere Vale su facebook a questo link: http://www.facebook.com/profile.php?id=100001998776866 oppure visitare la nostra pagina facebook dedicata alla saga: http://www.facebook.com/pages/%E1%83%A6Follie-da-%C5%A2wilighters%E1%83%A6/156232341056188
Missy :)

Wait me

Wait me
-aspettami-
12
Butterflies


So I gotta say you give me butterflies deep inside
You give me butterflies
I don't know what to do, do, do without you
Boy, you give me butterflies

Quindi io devo dire che mi provochi le farfalle dentro 
Tu mi dai farfalle 
Non so cosa fare, fare, fare senza di te 
Ragazzo, tu mi fai sentir le farfalle

Alana Lee, Butterflies




Pov Jacob

Esiste qualcuno capace di spiegare l'irrazionale?

Qualcuno può raccontare ciò che non è stato ancora predetto?

Per quanto me l'avessero ripetuto, ancora e ancora, non riuscivo a crederci. Io potevo.

Quando si è Quilite, si ha un dono. Possiamo conoscere la strada per la felicità. Abbiamo uno scopo.

Ci innamoriamo, senza ostacoli, senza paure, niente di niente. A noi basta questo.

Impriting.


Quante volte era capitato un colpo di fulmine, sulla terra? Mia sorella Rebecca aveva sposato un surfista hawaiano dopo soli due mesi di conoscenza. Colpo di fulmine, tutto qui. Mai avrei creduto che potesse accadere a me. 


Certo, il mio non era amore in senso romantico. Fino ad allora, amavo Nessie come si poteva amare una figlia, più o meno.

L'impriting era difficile da spiegare: una promessa, un giuramento. Ti proteggerò. Aspetterò. Sarà una tua decisione.

Un giuramento fatto col sangue, impossibile da infrangere.


"Jacob?"

"Sì?"

"Papà è qui in Alaska?"

'Pensa, pensa Jake! Non puoi dirle la verità, Bells non te lo perdonereb ... Ma Nessie ha il diritto di sapere, non puoi ..' Mi guardava  ancora, con i suoi occhi color cioccolato. Cosa fare?

"Edward ..." optai per le mezze misure "Tuo padre ti vuole bene, Nessie. Tantissimo. Moltissimo bene."

"Più di te?" mi chiese.

"Sai che è così" replicai, distogliendo lo sguardo dal suo.'E' una bambina, come ha potuto farle questo? Le ha abbandonate. Ben sapendo che non potrà tenere tutto nascosto per sempre, le ha abbandonate. In balia degli eventi, le ha abbandonate.

Ho già visto Bella soffrire così, non lo sopporto. Perché lei e Edward si sono accontentati di una vita fatta di fughe, corse contro il tempo, paure ... Perché? Rimpiango quando la vita era più semplice. Rimpiango quando i Volturi erano solo degli sconosciuti. Rimpiango la mia vecchia vita, per quanto so che non potrei mai fare a meno di Renesmee. Ma non posso stare comunque qui a guardare, giusto?

I pensieri si affollavano nella mia testa, disperati. Lanciai uno sguardo a Nessie, ma lei aveva ripreso a disegnare. 

Disegnava sempre la stessa cosa, ormai da giorni: Edward Cullen, suo padre. Dopotutto quello che stava accadendo, chiunque se lo sarebbe aspettato. Eppure c'era qualcosa di inquietante, in quel disegno.

Gli occhi Edward erano coperti, in ombra. Come se Nessie stessa fosse spaventata da quegli occhi. In qualche modo, anche io lo ero.


Sentii il suo odore ancora prima che arrivassero in giardino. Certo, la neve cancellava un po' di tracce, ma quell'odore era qualcosa di impossibile da non riconoscere. Vampiro.

Era strano, ma puzzava più del solito. Come se si fosse fatto il bagno nella spazzatura, o qualcosa del genere. Come i quaranta Volturi che erano venuti a prendere Nessie.

Aggrottai le sopracciglia. Si stava avvicinando. Passi.

Renesmee alzò la testa, improvvisamente.

Li aveva sentiti.

Cosa avrebbe fatto? Sarebbe entrato in casa? Avrebbe messo tutto a posto?

Per quanto fosse stupido, non odiavo Edward. Lo rispettavo.

Ma quanto ci avrebbe messo a fare la scelta giusta?

Riusciva a immaginarsi gli occhi rossi di Nessie? La voce rotta dal pianto? Lo sguardo vuoto? La tristezza nel suo animo? La sensazione -no, la certezza- di essere stata abbandonata?

A me non serviva immaginarlo. Ero abbastanza in sintonia con lei per riuscire a vedere tutto quello, anche solo standole accanto.

Ma Edward, perché era così ... Cieco?

Cosa gli aveva impedito di tornare? Cosa l'aveva costretto ad abbandonarle?

In tutta la mia vita avevo vissuto troppi addii -Bella, mia madre, le mie sorelle, la mia vita- per non sapere quanto ci si sentisse da schifo.

E tutto ciò che volevo era che Nessie non si sentisse così.


Ora stavano parlando.

Dovevo distrarla.

"Nessie?"

Alzò la testa, che era chinata sul disegno. Non aveva sentito niente. 'Dio, esisti allora! Da quanto che non ti fai sentire!'

"Sì, Jake?" chiese.

Mi fermai a guardarla per un istante, alla ricerca di una scintilla di consapevolezza, di una reazione, ma non li aveva sentiti, non aveva avvertito la voce di Edward e Bella. O forse, non voleva sentirli. Scansai affettuosamente una ciocca ramata che le era ricaduta davanti agli occhi, mentre le voci tacevano. Il mio sguardo scivolò sul tavolo, poi sul suo disegno. Una farfalla multicolore, splendida.

"Insegnami." esclamai.

"A fare cosa?" mormorò, fissandomi.

"A disegnare le farfalle."


Un cerchio, due, tre, quattro cerchi ... Il corpo esile, i colori delle ali ... Non mi impegnavo così dall'asilo. Renesmee continuava a darmi istruzioni, ridendo. Sentivo ancora le loro voci, per strada, sempre più vicine. A un tratto Nessie rimase in silenzio, e la paura si impossessò di me. Edward e Bella camminavano lentamente, era impossibile che li avesse sentit ...

"Il cellulare!" disse infine. Oh, ora lo sentivo anche io.

Mi alzai e frugai sul piano della cucina, seguendo la il vago schiamazzare della suoneria. 

Alla fine lo trovai. Un nome lampeggiava sullo schermo: Leah.

Mi chiesi cosa voleva da me. Poi pensai che ero troppo lontano da casa. Se avessi sentito qualunque lupo, presto avrei sentito la mancanza di La Push. Premetti il tasto di rifiuto.

Però, ora stava succedendo qualcosa, di fuori.

Bella. Il suo profumo, sulle scale.

Edward. Il suo odore, quel puzzo di morte, di sangue ...

Renesmee si voltò verso di me, gli occhi spalancati. Li sentiva anche lei.

Sentiva suo padre. 

Io dovevo proteggerla da altre delusioni. Ma non potevo costringerla. La rabbia mi affollava la mente. Quasi se ne impossessava.

A fatica sorrisi e le sussurrai: "Andiamo a salutare la mamma!"

Dovevo pensare. Dovevo distrarla. Era così difficile ...

"La mia farfalla era più bella!"

"No, la mia lo era di più!"

"Hai ragione."

Ed erano lì. Bella ... e lui. Lui che le aveva fatto del male.

Provai a calmarmi, provai a non guardare. Nessie rimaneva in silenzio.

Poi, dopo un secondo che sembrò un'eternità, si mosse. Lentamente. Danzando.

Come una farfalla.

Lui la guardò, gli occhi che brillavano.

Sapevo che le voleva bene, lo sapevo.

"Papà!"

"Renesmee, tesoro ..."

Un abbraccio.

"Ora rimarrai per sempre, vero?" chiese Nessie col suo tono di bambina, gli occhi lucidi.

"Ti prometto che ci proverò in tutti i modi, amore mio."

Sapevo che le voleva bene. Che era suo padre.

Ma ora lei piangeva.

E c'era stato sempre un problema, nell'essere Quilite.

Un grosso problema.

Promettevamo di proteggere il nostro Impriting. A qualsiasi costo.


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Pov Bella


Accadde tutto in un istante. Paura, calma, e poi, paura. Jacob era diventato di colpo più rigido. Edward aveva lasciato andare Renesmee.

"Jacob, calmati ..." mormorò mio marito.

Non ci fu modo di fermarlo.

D'un tratto un lupo enorme era davanti a me. 

"Non potevo dirle una bugia, Jake." sussurrò ancora Edward.

Il lupo ringhiò in risposta. Un gioco di sguardi. Un gioco forgiato da un identico dolore.

Capii perché Jacob era così infuriato.

Credeva che fosse colpa di Edward, ma non era colpa sua se Renesmee soffriva ...

Intanto il vampiro accanto a me aveva assunto una posizione più rigida, come di attacco. 

Ero spaventata, tutte le emozioni si rivoltavano dentro di me, urlavano, smettevano di avere senso. Come le farfalle. Era come avere le farfalle nello stomaco. E, allo stesso tempo, era come essere sul ciglio di un burrone. Ricordavo quella sensazione ...

"Jake!" gridai, ma non mi diede ascolto. Dovevo dirgli che non era colpa di Edward, dovevo dirgli che era colpa dei Volturi se lui non era tornato. Ma lui non mi guardava neanche ...

"Oh, Jacob, fermati!" provai ancora. Non si girò. Continuava a tenere gli occhi scuri fissi su Edward. Ma non era colpa sua, eravamo stati tutti imbrogliati. Edward non se ne era andato, Edward ... Dentro di me il mondo diventò nero. Tutto aveva sfumature rosse, di sangue, di dolore. Perché non potevamo smettere di soffrire? Perché?

"Mamma!" Renesmee urlò e tutti tacquero. Solo allora mi resi conto di avere gli occhi pieni di lacrime. 

"Vieni qui, amore mio." mormorai, e lei corse ad abbracciarmi. Jacob mi guardò negli occhi e assunse di colpo un'espressione rilassata, quasi ... Preoccupata. Mi lascia cullare dalla sensazione di avere mia figlia tra le braccia e cercai di mettere fine a tutta quella confusione.

Alzai lo sguardo. Jacob Black mi stava guardando.

"Non è colpa di Edward, Jake ..."

Ma Jacob non stava guardando davvero me. Guardava fuori, verso la finestra. Cosa c'era fuori?

Un secondo di silenzio, poi Jake si buttò su Edward. Urlai, e mio marito si mosse velocemente verso di me. 

"Li hai portati con te!" la voce di Jacob era disumana "Uno di loro è qua fuori!"

"Loro chi?!" cercai di alzarmi, ma ormai Edward era davanti a me.

"Jacob, non ..." provò il vampiro. 

Chiusi gli occhi, mentre sentivo Edward muoversi e fermare Jacob con la sola forza del braccio. Eppure Jake era così forte ... Non potevano continuare così.

"Jacob, calmati ..." 

A un tratto fu silenzio. 

Aprii gli occhi e mi resi conto che Edward Cullen e Jacob Black avevano smesso di combattere fra loro. Si fissavano.

"Jacob, non ne avevo idea ..." mormorò il vampiro.

"Lo so." il mio migliore amico continuava a tremare.

Si fissarono ancora.

Poi Jake alzò la testa e sussurrò: "E' qua fuori."

Edward annuì.

"Chi, chi è qua fuori?" esclamai, ma nessuno parlò. Renesmee fissava il padre e, appena la lasciai andare, corse da lui. Si abbracciarono.

Ma chi era là fuori? Uno dei Volturi? Chi, chi faceva preoccupare così tanto un licantropo?

"Sono stati loro, Jake. L'hanno rapito i Volturi. " dissi istintivamente. Lui mi guardò e poi fissò Edward. Alla fine annuì. "Lo so" disse semplicemente.

Eppure c'era qualcosa ...

"Chi c'è fuori?" ripetei. Edward mi si avvicinò.

"E' ... tutto ok. Sì, è tutto ok." disse.

"Come diavolo fai a saperlo!" urlò Jacob, fuori di sé.

"Leggo i suoi pensieri, dimentichi?" era calmissimo e concentrato. Lo guardai negli occhi e mi stupii per l'ennesima volta di quanto erano belli e ... verdi.

"E cosa dice?" era stata Renesmee a parlare.

Silenzio.

"Sta ... Non ci vuole fare del male. Lei ... Lei vuole che io me ne vada, non devo tornare qui, da voi. " disse infine il vampiro.

"E' una dei Volturi?" chiesi.

"Ah-ah. Più o meno. Ma non ci vuole fare del male. Vuole solo che io me ne vada ... Perché ..." Edward si fermò per un attimo "... Non vuole che io metta in pericolo la sua umanità. E non chiedetemi cosa significa." 

Poi Edward Cullen si alzò, mi fissò negli occhi e mi baciò come non aveva mai fatto prima.

E sparì, come era apparso.



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Capitolo 13
*** Speranza ***


Prima di tutto, io e Vale ci teniamo a scusarci profondamente con tutti coloro che seguivano la nostra storia, perché è da moltissimo che non aggiorniamo.
Ho anche notato che l'html di alcuni capitoli era a dir poco terribile, quindi mi sto adoperando per cambiarne la grafica.
Vogliamo anche ringraziare tutti coloro che ci hanno recensito, letto, seguito.
Ogni singolo click ci ha fatto felicissime, grazie!
Vi presentiamo quindi il 13° Capitolo della nostra storia ... E non disperate, cercheremo di pubblicare il prossimo appena possibile! 
A ogni modo, questo qua sotto è un capitolo di passaggio ... ma davvero importante! Qualche dubbio sarà finalmente chiarito ... e ... beh ... qualcosa rimmarrà irrisolta.

Ci farebbe infinito piacere sapere la vostra opinione tramite recensione :)




Capitolo XIII


Speranza



Dedicato a voi, che ci leggete.

POV Edward

 

Ero stanco.

Qualcuno se ne sarebbe potuto stupire, vista la mia condizione: ero un vampiro. Un essere forte, sovrumano. Un animale, dilaniato dalla sete di sangue.

O forse no?      

Da qualche parte, ne ero sicuro, dentro di me si agitava qualcosa; qualcosa di umano. Amore.

E nomi: Carlisle, Alice … Esme … Bella. Renesmee.

Ed era per questo che ero stanco.

Sarebbe stato facile, accettare la proposta dei Volturi: la vita delle persone che amavo, in cambio dei miei servigi. In cambio dei miei poteri, per l’eternità.

Mi avevano fatto un proposta ufficiale, lì, mentre noi tutti combattevamo per salvare Renesmee.

Aro mi aveva guardato negli occhi, e io avevo potuto sentire i suoi pensieri.

Unisciti a noi … E loro rimarranno in vita.

E io avevo pensato a Bella. A quanto l’amavo. A quanto ero preoccupato per la sua incolumità: era umana, aveva bisogno di protezione. Renesmee … la amavo così tanto. E la mia famiglia? Non sarebbero sopravvissuti contro i Volturi. No.

Guardai Aro negli occhi, e annuii impercettibilmente.

Poi, tutto divenne più difficile.

Fuggii; i Volturi mi seguirono, lasciando in pace il resto dei Cullen. Ci allontanammo da Forks, instancabili, il più lontano possibile.

Dove potevo rifugiarmi?

I boschi divennero la mia casa per sette giorni, ma ormai loro erano sulle mie tracce. In un modo o nell’altro, mi avrebbero trovato.

Mi portarono a Volterra.

E lì, iniziò la tortura.

 La prima vittima aveva diciotto anni, capelli biondi e uno splendido accento francese.

Alec teneva gli occhi fissi su di me, mentre parlava al telefono con un altro Volturi – Felix?-, che si trovava a Forks. Una parola, e avrebbero sterminato la mia famiglia.

Cercai di farla soffrire il meno possibile.


Altre due vittime dopo, continuavo a rifiutarmi di bere sangue umano. Ero così debole che mi nutrirono a forza. Chiesi a Chelsea perché non mi uccidevano.

Gli servi” rispose lei.

Fu allora che capii cosa dovevo fare.

Quando dissi ad Aro che accettavo di fare parte della sua guardia, il suo volto si contrasse in un sorriso. Poi ascoltò le mie condizioni.

E ora ero lì, in Alaska, giocando una partita estremamente pericolosa, in cui una sola mossa falsa avrebbe potuto uccidermi.

O peggio, uccidere la mia famiglia.


Cercai di rammentare i loro volti, le loro voci. Lo facevo per loro.
Erano tutto: la mia vita, il mio obbiettivo.

La mia speranza.

 

 

 


POV Bella

 

Ero distrutta, distrutta da tutto ciò che mi circondava.

Le cose sembravano andare meglio, almeno così mi faceva capire Edward.

Eppure, qualcosa mi diceva il contrario, sapevo che la tempesta sarebbe ricominciata.

Mille pensieri vorticavano nella mia testa e non sapevo più a quale dare una risposta, non le avevo.

Era tutto un segreto, lo era sempre stato in fondo. E come darmi risposte se non riuscivo a pormi delle vere e proprie domande?

Rovistai in bagno, nel cassetto dei medicinali alla ricerca di qualche pastiglia per la testa.

Aprii la scatoletta e mandai giù una compressa.

Improvvisamente, la vibrazione del mio cellulare mi fece cadere la scatola con le compresse a terra. Non volevo parlare con nessuno, così persi tempo a raccoglierle, ma quel maledetto telefono continuava a squillare.

Risposi senza neanche guardare chi fosse nel display.


“Pronto..”

“Bella, sono Stella. Scusami se ti chiamo a quest’ora, ma ho provato anche questo pomeriggio e..beh, stavi dormendo?”

“No, tranquilla” la rassicurai.

Sentii un breve silenzio. “Ok allora. Volevo chiederti se avevi voglia di venire a scuola con me domani. Andiamo insieme, se ne hai voglia..”

Corrugai la fronte. “Stella, è più di un mese che andiamo a scuola insieme, non è una novità”.

La sentii ridacchiare. “Si, ovviamente lo sapevo. Intendevo con la macchina. Andiamo a scuola con una macchina..” scandì bene le ultime parole.

“Aspetta. Da quando hai una macchina?” domandai.

Da quando ci eravamo trasferiti non avevo sentito la necessità di comprarmene una o di affittarla.

Non che dovessi girare tutta la città, avevamo tutto quello che serviva nelle vicinanze, e non mi fidavo più di me stessa, chissà cosa avrei potuto combinare alla guida di una macchina..

In realtà, aspettavo solo il giorno per ritornare a Forks, non sarei rimasta per molto tempo in Alaska, per cui non ne valeva la pena. Almeno era quello che speravo.

“Da..oggi!” rispose entusiasta.

Per un attimo avvertii una sensazione di angoscia.

“Beh, quindi? Ti passo a prendere domani?”.

Chissà per quale motivo avrei voluto che fosse stato qualcun altro a farmi una domanda del genere, ma evidentemente niente sarebbe stato più come prima.

“No” risposi secca. “Il biglietto del bus non è ancora scaduto, penso andrò con quello” risposi secca.

“O-ok” la sentii balbettare “Come vuoi. C-ci  vediamo a scuola allora..Buonanotte”.

Attaccò senza neanche aspettare una risposta, e io, imbambolata, mi sentivo totalmente in colpa.

Stella era la persona più dolce che avessi mai conosciuto, o quasi.

Era stata una delle poche persone con la quale ero andata d’accordo dal primo giorno e mi aveva aiutato, sempre, ogni volta che poteva.

Sembrava avessi trovato un clone di Alice qui in Alaska, era quello che provavo ogni volta che stavo con lei..

L’unica cosa diversa era che lei non sapeva la verità su di me, non avevo mai aperto bocca.
D'altronde, come potevo? Mi avrebbe riso in faccia. Mi avrebbe guardato negli occhi e sarebbe scappata via urlando: 'ma con chi diavolo ho stretto amicizia io? Una pazza!'
No, non sarebbe arrivata fino a quel punto, ma sarebbe scappata lo stesso, e forse avrebbe fatto bene.

Probabilmente in quel momento stava pensando che fossi la solita ragazza alle prese con attacchi da oh-mio-dio-quanto-è-figo-quel-ragazzo-ma-a-lui-non-piaccio o qualche altra paranoia adolescenziale. Non sapeva niente di me, ma non era colpa sua. Riuscivo a prendermela sempre con chi era innocente, chi non c'entrava assolutamente nulla. Era sempre così, ormai.

Mi sentii una schifo e digitai tremando il suo numero di telefono, con la paura di ricevere un bel 'vaffanculo' diretto.
Chissà, forse mi avrebbe fatto bene, mi avrebbe svegliato.

Mi sarei aspettata una valanga di insulti, ma non fu così. “Bella?” rispose calma dopo un paio di squilli.

“Sai, odio quell’ autobus puzzolente pieno di gente che ti schiaccia come una sottiletta in un angolo..”

Rise. “..e quel depresso accanto che spara canzoni heavy metal alle 7 di mattina..”

Presi un respiro. “E’ ancora disponibile un posto tranquillo in macchina?”

“Certo” rispose subito.

“Scusa Stella, davvero. Non so cosa mi sia preso. Sono solo..stanca, ecco”.

Cercai in qualche modo di dare una giustificazione. Banale, ma l’unica che potessi darle per il momento.

“Bella, tranquilla. Capita a tutti, è normale, non devi scusarti”.

Sbuffai. “Si, ma capita solo a me. Sono un disastro”.

Avrei voluto tanto imparare a tenermi tutto per me. Lo facevo, ma con chi non dovevo. Gli unici a rimetterci erano sempre le persone che mi stavano vicino, mio malgrado.

“Non lo sei..te lo assicuro” disse dolcemente.

Seguirono attimi di silenzio. “Stella?”

“Si?”

“Sei un’amica fantastica. Ti voglio bene, seriamente. E grazie di tutto, sto davvero bene con te, mi fai sentire bene”.
Fff.

Brava Bella, brava. Sputa il rospo solo quando ti fa comodo e fai la figura della scema, dai.

Lo pensavo davvero, non era una di quelle bugie che ero costretta a raccontare per nascondere la mia vita, ma mi venne spontaneo sussurrare un "che stupida", riuscivo sempre a peggiorare le mie 'belle' figure, bene.

"Ehm..Bella, credo di non aver capito l'ultima cosa.."
"No, lascia perdere, sono una cretina. Davvero" sbottai con me stessa e chiusi con forza lo sportello del bagno.
“Ok, credo di essermi persa qualche passaggio, domani mi spieghi" la sentii rispondere dolcemente.

Si, cosa ti spiego? Ti spiego che sono una stupida, che parlo quando non devo, quando dovrei non lo faccio e me ne esco sempre al momento sbagliato. Un punto in più per Bella, si, sbuffai.


"E' che..quelle parole dovevano risultare vere, invece sono passate per tutt'altro, ecco".
"Bella, posso dirti una cosa?" Eccoli, sarebbero arrivati tutti insieme i 'complimenti' che mi aspettavo.
Chiusi gli occhi nell'attesa di una risposta. "Ti fai troppi problemi, tu. L'avevo presa come la cosa più dolce del mondo, io".
Sorrisi. "Quindi - continuò - vedi di non romperti la testa con queste cavolate, ok? Altrimenti domani, appena ti vedo, inizio a prenderti a pizzichi"
Mi misi seduta ai bordi della vasca - "No, quello no! Sai che non li sopporto!"
La sentii ridacchiare, ma la immaginai ridere maleficamente. "Secondo te, potrei fare qualcosa che sopporti? No, era quello il mio intento".

"Sempre gentile, grazie".

"Non c'è di che. Allora? Sto aspettando una risposta" disse velocemente, mangiandosi le parole e marcando, involontariamente, l'accento italiano.
"Ok, va bene" sorrisi.
Tossì un paio di volte "Mh, allora domani, alla solita ora?"

“Ok, domani alle 7 sotto casa. Perfetto!” risposi contenta.

“Beh, buonanotte allora..”
“Buonanotte, Stella.”
Ma prima che potessi anche solo avvicinare il dito al pulsate per terminare la chiamata ...

"Eh..Bella?"
"Si?" risposi curiosa.
"Hai presente quella cosa dolcissima che hai detto prima, no? Vale anche per me".
Aw. "Non farmi piangere a quest'ora, ti prego".
La sentii ridere piano "Buonanotte".

Spensi il telefono e lo rimisi al solito posto, nella mia tasca.
Avevo bisogno di una pausa, ero stanca e avrei  volentieri fatto una bella dormita, anche se era più di un mese che non riuscivo a chiudere occhio per più di due ore.

“Eppure da qualche parte devo averle messe..” sbuffai davanti allo sportello del bagno, lo riaprii.
Finalmente trovai la bottiglietta di gocce per conciliare il sonno e ne versai una decina in un bicchiere.

Raramente mandavo giù quello schifo, ma era l’unica cosa che mi garantiva qualche ora di riposo.
Mi avviai verso la sala, sentivo le voci provenire dal televisore ed ero sicura fossero lì davanti.

“Hey tesoro, vieni qui..” la sollevai e la presi in braccio appena la vidi.

Aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo, profumati e pieni di boccoli ramati che le ricadevano sul viso.
Mi strinse forte in un abbraccio, come non faceva da tempo ormai, ma sapevo che la colpa era solo la mia.

Non ero più la stessa, non lo ero con nessuno.

Affondai il viso tra i suoi capelli e cercai di non farmi prendere dai sensi di colpa.

Jacob era seduto accanto al bracciolo del divano e ci guardava sorridente.
Sembrava tranquillo e non aveva più quell’aria da duro di qualche ora prima.
Fui sollevata, non volevo discutere di nuovo, non quella sera.

Mi sedetti accanto a lui con Renesmee sopra le mie gambe e lo guardai sorridendo appena.
“Allora, cosa avete fatto oggi?” chiesi.
“Siamo andati al parco insieme a Paul e Eleonor..” sorrise Nessie mentre giocherellava con le mie mano.

Corrugai la fronte. “Paul e Eleonor?” domandai rivolgendomi a Jake.

Rise. “Si, i figli dei vicini. Si sono accorti solo oggi che questa casa ora non è più disabitata, ma sono stati molto gentili”.
“Ah.” Risposi sorpresa. “E vi siete divertiti?”

“Si. Ho parlato con Eleonor, ma Paul è ancora troppo piccolo e piange sempre” scrollò le spalle “Annie, la loro nonna mi ha fatto assaggiare dei biscotti buonissimi..” scese dalle mie gambe e si diresse in cucina.

Ritornò con un piatto colmo di mini biscotti colorati “Me ne hanno dati anche un po’ per te”.
Jacob allungò una mano, ne afferrò uno e Renesmee gli lanciò un’occhiataccia.

“Oh, devono essere davvero gentili..” ne afferrai uno anche io.

“Quella signora già stravede per Nessie e le regala un sacco di dolci, non è giusto!” esclamò Jacob “Renesmee guarda qua, Renesmee puoi prendere questo, Renesmee guarda cosa ti regalo..” imitò una voce stranissima e mise il broncio lasciando intravedere un sorriso “e io?”concluse Jacob.

“Te sei un pochino cresciuto Jake..” risposi facendo un occhiolino a Nessie.

Renesmee sorrise sedendosi di nuovo sopra le mie gambe e Jacob alzò gli occhi al cielo sbuffando.

La baciai su una guancia e la strinsi forte. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò “Non sono molto d’accordo su questo” stando attenta a non farsi sentire da quel ragazzone accanto a lei.
Non potei fare a meno di ridere e riuscii a malapena a soffocare la risata con una mano.
Eravamo pronte ad uno sguardo fulminante di Jacob, che però non arrivò.

Si guardava in giro, cercando non so cosa. All’improvviso abbassò lo sguardo verso terra.

“Ah, Bella..ha chiamato Edward poco fa” mi informò.

Mi voltai a guardarlo. “Come mai ha chiamato proprio te? Non aveva il mio numero?”

“Voleva solo sapere come stavate. Pensava dormissi e non voleva svegliarti”.

“E cosa..ti ha detto altro?” domandai velocemente.
“Mi ha detto di tranquillizzarti. Ha detto che si farà vedere presto, l’ha giurato. Ecco, è tutto quello che mi ha detto”.

Scrollai la testa. “E’ incredibile. Non ci capisco niente..prima se ne va via, torna, si comporta in modo strano e poi chiama te per sapere come stiamo. Anche oggi, appena ha visto quel ‘qualcuno’ fuori la finestra ha cambiato atteggiamento. Riesci a capirci qualcosa te?”.

Spostò lo sguardo verso terra e strinse i pugni per poi riaprirli.

“Probabilmente..forse poteva essere un vampiro” concluse tutto d’un fiato abbassando la voce.

“Poteva, o lo era?” lo guardai seria.

“Probabilmente lo era. Bella, non prendertela”.

Rimasi impietrita “Ora lo difendi anche? Da quando siete diventati così intimi?” Iniziai ad alzare la voce involontariamente “Da quando vi divertite a tenermi sempre all’oscuro di tutto? Non eri te quello ch- “.

“Bella” mi fermò “Non lo sto difendendo, non lo sto facendo. Lo aiuterei, potremmo aiutarlo, ma non dice nulla neanche a me” rispose sospirando.

“Non ti dirà mai niente, non dirà mai niente come ha sempre fatto..e il fatto che io debba venire a sapere certe cos-” mi fermai appena in tempo.

Nessie ci ascoltava e non avrei dovuto neanche iniziare quel discorso.

Rimandai velocemente indietro una lacrima senza farmi vedere.

Jacob si avvicinò e mi strinse con un abbraccio “Prometto che proverò a scoprire qualcosa..anche se non voglio ammetterlo, Edward è mio amico e devo pur fare qualcosa anche io, è mio dovere. E devo chiederti scusa per oggi, mi sarei dovuto trattenere..” sospirò “..ma non è stato facile”.
Negai con la testa e sorrisi.

“Ti aiuterò, Bella. Andrà tutto bene. L’ha detto anche lui, no? Fidati” mi rassicurò.

“Già. Dovrei farlo, ma non è facile neanche quello. Sembra si diverta a mettermi confusione in testa. Già lo sono, seriamente, eppure lo fa ogni giorno che passa. Non ci capisco più niente. E quel..quel vampiro di cui parlavi? Aggiungiamo altra gente, evviva. Riuscirò mai a  capirci qualcosa?!”.

“Ma..non so, Bella. Forse sei te che..pensi troppo.  Probabilmente la cosa è più semplice di quello che sembra..no?” mi guardò poco convinto.
“Certo, Jake, certo. Credo che tutto ciò che penso io sia niente in confronto a quello che sta succedendo in realtà. Ora, anche in questo preciso istante” risposi, mentre il mio cervello iniziava ad andare in fumo.

Lo sentii ridacchiare “Okay, è molto rassicurante parlare con te, veramente” scherzò per poi tornare serio.
“Senti..” continuò “a parte gli scherzi, non penso sia nulla di grave, spaventoso o qualsiasi cosa ti salti in mente. Era abbastanza tranquillo, se fosse stato … oddio, l’avremmo capito, non pensi?” sospirò “Io credo che tutto quello che dobbiamo fare è aspettare. Aspettiamo, le cose andranno a posto. Edward sa cosa sta facendo”.
Lo speravo, seriamente. Avrei voluto mettere in ordine nella mia testa..la mia vita. Eppure non ci riuscivo.
Come se la mia vita fosse stata un puzzle da 500 pezzi, ma non riuscivo a trovare i dieci -o forse anche più- pezzi mancanti.

Tutto ciò che mancava per completare il mio puzzle, in realtà, era Edward. Senza di lui al mio fianco non sapevo nulla.


“L’ho sempre saputo quello. Sa benissimo cosa sta succedendo e..okay, io non devo saperlo, cercherò di farmene una ragione, anche se continuerò a torturarmi ogni giorno, e lui lo sa bene. E’ l’unica cosa che posso fare oltre ad, ovviamente, aspettare” risposi con la gola secca.

“Sarà lui a sistemare le cose, Bella, lo sta già facendo. Te non devi preoccupartene, stanne fuori. Vedrai che non è niente e che tornerà tutto al suo posto, ogni cosa. E’ questione di poco di tempo” sorrise.

Lo imitai, comparve un piccolo sorriso sul mio viso, un sorriso di speranza.
“Vorrei avere un po’ della tua positività, Jake. Anche solo un quinto di quella che hai te. Basterebbe, per me” scrollai la testa.
“E’ per questo che sono qui, no?”


Mi avvicinai e lo abbracciai forte.

Nessie dormiva appoggiata al bracciolo del divano e il suo viso appariva, fortunatamente, rilassato.
“Penso che..la visita di Edward oggi le abbia fatto bene. Era contenta..non la vedevo così da settimane” sussurrai mentre Jacob accarezzava il mio braccio.
“E’ tutto ciò che le manca. Anche a me mancherebbe mio padre” rispose deciso.
Mi morsi il labbro. Mi sentivo così in colpa, eppure..non potevo fare niente.
“Ha fatto bene anche a te..” continuò guardandomi negli occhi.

“Non proprio. Non sopporto l’idea di averlo vicino senza sapere quando lo rivedrò, quando se ne andrà e se ritornerà. Mi fa impazzire tutto questo” distolsi lo sguardo verso la finestra “…Si, mi ha fatto bene, in fondo. Passo per passo, devo farcela, dobbiamo. Devo farlo a partire da oggi. Solo così posso pretendere che le cose ritornino al proprio posto”.
Vidi i suoi occhi inumidirsi, stranamente. Solitamente ero io quella che si faceva prendere da tutto, da ogni piccola cosa, soprattutto quando ero persa, sola, senza il supporto fondamentale di Edward.

Eppure, quella sera, Jacob prese il mio posto e lasciò a me le sue poche speranze.

 

La sveglia segnava la solita ora, i vestiti erano già pronti sul bracciolo della poltrona posta accanto alla finestra, Nessie dormiva ancora nel suo letto e la macchinetta del caffè bolliva in cucina.
Tutto questo si ripeteva ogni mattina, da una decina di settimane.

Era ormai arrivato Aprile e tutto ciò che aveva portato l'inverno era ormai solo un ricordo.

Mi avvicinai alla finestra della mia camera e osservai lo splendore e la calma della città.

Gli uccelli volavano alti nel cielo limpido, finalmente le giornate serene iniziavano ad essere sempre più frequenti, nonostante il vento freddo e le temperature non più superiori ai 5 gradi.

Il mio respiro sul vetro creò una piccola chiazza opaca, succedeva anche quando ero piccola e ogni volta mi divertivo a fare uscire il mio lato artistico.

Senza pensarci troppo avvicinai l'indice al vetro ed iniziai a lasciarmi andare ai pochi ricordi che erano rimasti nella mia mente.
Il vetro era freddo e la mia mano, le mie dita, a contatto tremarono.

Scrollai le spalle, chiusi gli occhi dando via alla mia creatività.
Subito dopo pochi secondi, comparve di fronte a me una rosa. -Era quello il mio unico ricordo?- Forse era quello più doloroso ed era quello che, stranamente, ricordavo tra tutti. Ricordavo sempre tutto ciò che mi faceva male e portava solo dolore.

Ansia, dolore.

Ansia, tristezza, dolore.
Ansia, disperazione, tristezza, dolore.

Ansia, disperazione, tristezza, speranza, dolore.

Quando sarebbe passato? Quando la mia vita sarebbe tornata normale? Era tutto quello che chiedevo, niente di più.
I ricordi facevano solo male, ma per quanto provassi a esserne indifferente, tornavano sempre.

Cancellai l'immagine alla finestra con la manica del maglione e tirai giù le tende bianche, dalle quali filtravano i deboli raggi solari.

Mi avviai verso il corridoio e giunsi alla camera di Renesmee. Dormiva tranquilla e il suo viso celava quasi un sorriso nascosto.
Era rannicchiata su sè stessa e teneva stretta in mano il pinzo della coperta che le era stata regalata da suo padre e che lei custodiva sempre gelosamente.

Mi avvicinai cercando di far meno rumore possibile e posai un delicato bacio sulla sua guancia, leggermente rosata.

Affondai il viso tra i suoi capelli e ispirai forte il suo profumo.
Sentii la sua mano posarsi delicatamente sulla mia. "Buongiorno, mami", sussurrò.

Sorrisi "Buongiorno. Dormi, è presto".
Non fece in tempo neanche ad ascoltare le mie parole che richiuse gli occhi e tornò a dormire, coprendosi fino al collo con la sua coperta tanto amata.

 Era decisamente un buon odore quello che proveniva dalla cucina. Mi avvicinai lentamente, cercando di indovinare cosa avrei trovato per colazione quella mattina.

"Buongiorno, bella addormentata" disse Jake appena mi vide.
"Sono sveglia da prima di te, simpaticone", feci una linguaccia.
Rise e spense il fornello, maneggiò un pò con un paio di piatti che poi appoggiò delicatemente sul tavolo.

"E' l'aria del Lunedì che ti rende così...?" chiese scherzando.

"No, è l'aria di una nuova settimana. L'ennesima, Jake", afferrai una ciambellina ai mirtilli e l'addentai velocemente.

"Attenta, è calda" mi avvertì. Scrollai le spalle.

"Oggi torno un pò più tardi, ho il corso pomeridiano di biologia. E' lunedì - marcai la parola - ricordi?".

"L'avevo detto io che era per quello!", sorrisi.

Si sedette a tavola e iniziò ad osservarmi. "Non mangi te?", chiesi.
"No, non ho fame ora. Aspetto Renesmee, le faccio compagnia".

Versai un pò di thè nella tazza e soffiai forte. "Jake, secondo te... se mandassi Nessie a scuola sarebbe una buona idea? Sarebbe per poco tempo, un paio di mesi, nessuno si accorgerà dei suoi cambiamenti. Penso che..che potrebbe distrarla un pò", chiesi e lo guardai negli occhi.

"Anche secondo me sarebbe una buona idea.. ma..ormai è difficile scambiarla per una bambina di 5 anni", disse e alzò le spalle.

"E dovrebbe iniziare le scuole elementari, quindi..." dissi, in modo quasi ovvio. Mi guardò e annuì leggermente.
"E' che..Jacob, è lei quella che soffre di più qua dentro, più di tutti..le manca tutto ciò che avevamo prima. Lasciarla così, senza nessuno svago..non penso possa farle bene.." bevvi qualche sorso.

"Potremmo..non so, potremmo organizzare qualche festa?", mandai quasi di traverso il contenuto della mia tazza. "Che?!"

"Potremmo invitare gli amici del parco di Nessie..anche i vicini, è diventata come una terza nipote per la signora Mary. E poi..Stella? Stella, quella ragazza di cui mi parlavi, quella che viene a scuola con te, giusto?", domandò.
Ehm, si. Stella non sapeva niente di me, nè di mia figlia. Come me ne sarei uscita?

'Ehi, Stella, lei è mia figlia..sai com'è..'

Ecco come ci si ritrova dopo mesi di bugie.

"Mh, potrebbe essere una buona idea..forse, si, potrebbe farle bene. E poi, cavolo, sono l'unica che ancora non conosce i vicini!", dissi convinta.

Valeva la pena tentare, cosa c'è di male nel confessare i propri 'peccati' a una persona che crede di sapere tutto di te? Succede a tutti, non ho ucciso mica nessuno, o sbaglio?

"Potremmo fare venerdì sera, sabato non hai scuola", propose. Afferrai un'altra ciambellina e la marmellata mi colò tra le mani.

"Allora....andata?", chiese con un sorriso stampato in faccia.

"Andata, dai! Devo avvertire Stella, però".

"Al resto penso io, tranquilla", sorrise e mi avvicinai ad abbracciarlo.

"Complimenti per le ciambelle, sono davvero buone, lupetto", scherzai.

"So anche che le feste mettono di buon umore..eh!?" mi accarezzò la schiena.

"Forse - ridacchiai - Devo correre, mi aspetta Stella fuori" mi avvicinai alla sedia e sollevai lo zaino.

"Buona giornata", mi fece l'occhiolino, "divertiti".

"Anche a voi...vi chiamo più tardi, mh? Grazie della colazione!". Prima di voltarmi, però, aggiunsi "Stai attento a Nessie.."

Mi guardò stupito alzando un sopracciglio "Co-"

"Okay, okay, hai ragione, non dico più nulla. Solo.. non farla pensare troppo, ti prego".

Sorrise dolcemente e annuì, mi salutò con un gesto della mano mentre mi allontanavo da casa.


"Buongiooorno!" urlò Stella da dentro la sua nuova macchina color nero, nero abbastanza lucido. Molto, direi.

Mi avvicinai guardandomi intorno, nessuno l'aveva sentita, menomale.

"Cosa.ti.urli? Non sono sorda" sussurrai sporgendomi dentro la macchina dal finestrino aperto.

"Ti piace?" mi seguì e bisbigliò anche lei.

"Si, mi piace...wow! Non ne ho mai vista una da queste parti..anzi, credo di non aver mai visto una macchina del genere.." dissi accarezzando la vernice della macchina.

Rise. "E' appena uscita in Italia, non è ancora arrivata qui", disse facendomi segno di entrare.
Aprii lo sportello con il timore di poter rompere qualcosa e mi sedetti delicatamente sul sedile.

La macchina aveva un buon odore, come tutti quelli delle macchine nuove. Sapeva di...lavanda misto a vaniglia, un odore talmente pungente che ti inebriava i polmoni, ma era abbastanza piacevole.

"Quindi? L'hai fatta portare qui dall'Italia?! Te sei pazza!" , domandai guardandomi in giro.
"Che sarà mai..non ne avete di macchine così qui, dovete farvene un'idea".

Mi girai di scatto e la guardai ridendole in faccia "Pff, dovevi vedere con cosa andavo in giro io. Una macchina che te avresti sicuramente portato a rottamare, ma non mi ha ancora abbandonato. Questa - indicai - tra 5 anni dovrai buttarla".

"Nah, non è vero, durerà più della tua".
"Contaci" ridacchiai.
"Un giorno me la farai vedere da vicino.."

"Ma l'hai vista già in foto....", risposi.

"Appunto, in foto", sorrise.
"Okay, si-signora", poggiai lo zaino tra i piedi e Stella mise in moto.

Tutto ciò che mi sarebbe aspettato quel giorno? Due ore di Spagnolo e due di Italiano, non potevo chiedere di meglio.

Non avevo scelto quello di letteratura inglese, ne avevo fatta talmente tanta gli ultimi quattro anni che mi sarebbe bastata a vita.
Non ero riuscita a scegliere storia e arte, erano i corsi che andavano di più quell'anno ed ero arrivata troppo tardi.

Matematica..beh, meglio stendere un velo pietoso. A malapena riuscivo a prendere la sufficienza al liceo, figuriamoci.

Avevo trovato due corsi di lingua, perchè no? Non che mi sarebbero serviti a qualcosa, ma la scuola chiedeva di seguire almeno tre corsi e così tutti dovevano fare.
"Ahm, a proposito, scherzavi ieri con il fatto di cambiare corso?", domandai.

Si girò a guardarmi, continuando a tenere stretto il volante "Ehm...no? E' tutto vero, mi sono stufata di fare corso di architettura, è una palla assurda".

"E? Vieni a fare il corso di italiano!?"

"...si!", rispose soddisfatta, la guardai scuotendo la testa. "Cosa c'è?", continuò.
"Potresti insegnarlo te ai professori l'italiano, che senso ha?"

"Ha il senso che la mia voglia di studiare è partita per qualche viaggetto e non ho idea di quando avrà voglia di tornare, ecco cosa", sorrisi.

"Ora mi è tutto più chiaro", rise. "Mi darai una mano allora..vero?".
"E' una minaccia?" rise, voltandosi a guardare distrattamente fuori dal finestrino.

"Stella! Attenta...", mi allungai per spostare leggermente il volante.

"E' tutto okay, tranquilla".

La osservai guardare in giro pensierosa. Un altro particolare di Stella? Cambiava umore ogni 5 secondi. Stranamente andavamo d'accordo, nonostante fossimo due caratteri molto simili.

In quel momento pensai a tutte quelle persone che avevano a che fare con me..come facevano a sopportarmi? Doveva essere veramente difficile, si.

A volte, la maggior parte delle volte, non riuscivo neanche a sopportarmi da sola, figuriamoci.
In quel momento, non so come, mi vennero in mente i miei genitori. Era da tanto tempo che non li vedevo, sarei dovuta andare a trovarli, altrimenti lo avrebbero fatto loro. Mi mancavano, mi mancava tutto di Forks e la mia vecchia vita. 

La vita che sembrava perfetta fino a tre mesi prima.

Mi incantai a guardare il volante, persa tra i miei pensieri. "Riesci a guidare con i guanti te?", chiesi non appena  notai quel particolare.

"Fa troppo freddo qui, mi si gelano le mani!" rispose.

"Uh, che novità", scherzai e Stella continuò a guardare dritto la strada.
Il sonno si stava impossessando di me e i sedili super-comodissimi erano dalla sua parte, ma non gliel'avrei data vinta.

Mi appoggiai saldamente al sedile e il mio sguardo cadde sull'impianto stereo.

 

"'Claire de Lune? Dimmi che l'hai rimessa nel CD nuovo.." lo scongiurai mentre accendeva lo stereo e con l'altra mano teneva stretta la mia.

Si voltò a guardarmi e mi sorrise.

"Aw" mi avvicinai e misi le mie braccia intorno al suo collo. Mi strinse forte a sè e mi lasciò dei delicati baci sui capelli.

Mi accoccolai nel suo petto e scrollai la testa. "Sembro una bimba di 4 anni, che scema.."

"Sei tanto dolce quando fai così, invece", sentii il suo respiro lieve tra i miei capelli.

Rimanemmo in silenzio per svariati secondi quando sentii all'improvviso una melodia familiare..

Sollevai lo sguardo cercando i suoi occhi e, come sempre, mi persi nel suo sguardo.

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Capitolo 14
*** Vampiri -Parte 1- ***


Mi scuso prima di tutto per il ritardo ... ma, beh, è un capitolo niente male. Tante cose succederanno e ... non voglio anticiparvi niente u.u

Inizialmente era un capitolo intero, ma abbiamo preferito dividerlo ... e speriamo che la seconda parte arrivi meno in ritardo xD

Anche se devo dire che una piccola recensione da parte vostra ... aiuterebbe :)

Io e Vale ci auguriamo che questo capitolo vi piaccia :D

BACI

Missy&Vale






Capitolo XIV
Vampiri




“E mi avresti detto della cena dell’università … quando?” chiese Jake.

Mi fissai allo specchio socchiudendo gli occhi. Alice aveva stile, senza dubbio.

Il top era azzurro ed elegante; si abbinava benissimo con i miei occhi e il mio incarnato. Sotto avevo dei pantaloni scuri. Sorrisi, anche se non mi sentivo per niente a mio agio.

Avevo saputo della cena tre giorni prima, quando Stella mi aveva praticamente implorato di venire. E io, beh, avevo accettato, con la segretissima speranza di vedere Edward. L’avevo incontrato solo un paio di volte, e per pochissimo tempo.

Stavo impazzendo, e mi ero ricordata di dire della cena a Jacob solo quando lui stesso mi aveva chiesto spiegazioni, vedendomi in abito da sera. Sono un genio, sì.

“ Mi dispiace, Jake” dissi, cercando di sembrare il più mortificata possibile “me ne sono completamente dimenticata. E’ solo una piccola festicciola all’Università, ok? Niente di che. Farò il prima possibile, non dovrai pensare a Nessie … “

Mi fermò con un sorriso disarmante.

“Bells, è tutto ok, sono contento che tu vada a divertirti!” replicò.

Chiamalo divertimento. Probabilmente sarà il solito party dove non conosco nessuno e non posso fare altro che rimanere attaccata a Stella o, peggio, al tavolo del buffet. “Sicuro?” chiesi.

“Certo! E poi non ti devi preoccupare per Nessie … non mi dà certo fastidio. Posso anche pensare a cosa fare per la sua festa, no?”

“Oh, già, la festa. Sì, è una buona idea. “ risposi.

Mi baciò sulla guancia.

“Vai a divertirti.”

Lanciai una lunga occhiata al mio riflesso. Cercai di sorridere; forse era una delle prime volte nella mia vita che recitavo in modo convincente, nonostante l’agitazione.

Chissà se avrei rivisto Edward …

“Contaci.” dissi.

 

“Bells, ti ho detto che stai benissimo con quel vestito?”

“Questa è la quinta volta, Stella.”

La mia amica rise, scendendo dall’auto. Lei, si che era bella. Indossava un vestito rosso scuro, che la fasciava perfettamente e si fermava un po’ sotto le ginocchia; i capelli ricci erano legati in un’acconciatura elaborata. La mia pettinatura consisteva in una chioma castana, lasciata sciolta, e impallidiva al confronto.

Uscimmo dal parcheggiò ed entrammo a scuola.

La sala dove si teneva la festa era probabilmente la più grande dell’Università: illuminata e imponente, decorata in modo molto elegante e pacato. Il tavolo del buffet era una specie di gioia per gli occhi: dolci, salato, pietanze dall’aspetto complicatissimo. Non potei fare a meno di sospirare. Non ero quel tipo di persona.

Certo, era tutto bellissimo, ma non significava niente. Era come se mi trovassi in una stanza vuota.

“Tutto ok, Bells?” mi chiese Stella.

“Sì” replicai “tranquilla … E’ tutto perfetto.”

Sì, Bella. Come no.

“Oh, bene. “ tutto a un tratto sembrava stanca.

“Tu stai bene, sì?” mormorai.

Stella mi guardò per un attimo con sguardo vacuo, persa nei suoi pensieri, poi sembrò accorgersi che avevo parlato.

“Sto … sì, sto benissimo, tranquilla. Anzi, sono contentissima!” sorrise.

Ci avvicinammo al tavolo del cibo, e lei iniziò subito a chiacchierare con un ragazzo moro della sua ex-classe di Architettura; sembrava davvero contenta, e la lasciai lì mentre cercavo qualcosa da bere che non mi uccidesse immediatamente tramite coma etilico. Quando riuscii ad accaparrarmi un bicchiere d’acqua mi spostai verso una zona di divanetti. Qualcuno mi salutò sorridendo, e cercai di replicare con lo stesso entusiasmo. Non era poi tanto male, in fondo … Solo che continuavo a non trovarmi nel posto giusto per me. O con la persona giusta.

Stella mi raggiunse raggiante.

“Bells!” esclamò “C’è qualcuno che ti sta cercando!”

Edward, pensai, Edward …

Cercai di chiedere di chi si trattava, quando una bellissima ragazza, vestita d’oro e con un delizioso caschetto di capelli neri non mi piombò addosso, stritolandomi in un abbraccio troppo forte per la sua esile statura.

 

“Alice!” esclamai, quando la vampira ebbe finito di stringermi.

“Bella! Sono così contenta di vederti! Dio, dove sono gli altri? Erano dietro di me un secondo fa …” sbirciò alle sue spalle. Stava fingendo di non sapere dove fossero gli altri, ovviamente, ma la sua felicità era palpabile.

La presi per la mano, e lei si voltò verso di me.

“Alice, sono felicissima che tu sia qui, ma … come mai? E chi sarebbero gli altri?”

Mia sorella acquisita mi sorrise.

“Ovviamente siamo venuti tutti, no? Io, Jazz, Rose, Carlisle ed Esme … Un uccellino ci ha detto che una certa bambina” abbassò la voce, così che nessun’altro la sentisse“avrebbe avuto una festa di qui a pochi giorni … e volevamo farle una sorpresa!”

“Diciamo che ve lo ha detto un lupo, uhm?” mormorai, il tono bassissimo.

La risata cristallina della vampira mi accompagnò mentre mi guardavo in giro alla ricerca del resto dei Cullen. In quel momento Stella si avvicinò sorridendo.

“Bells, non mi presenti?” chiese.

Stavo per rispondere, quando Alice fece un passo avanti e si presentò da sola.

“Alice Cullen, amica di Bella, piacere.”

Guardò Stella per alcuni secondi, osservando gli occhi, il viso, l’abito.

La mia amica sorrise, per poi replicare: “Stella De Curtis, sono una compagna di università di Bella.”

Per la prima volta, mi resi conto di quando Stella e Alice potessero apparire simili e, al tempo stesso, diverse: entrambe belle, solari, sorridenti. Eppure Alice manteneva, in qualche modo, una grazia, una serietà particolare, mentre Stella era incredibilmente piena di energia, più passionale ed emotiva; le avevo sempre associate tra loro, a causa del rapporto con me, ma non mi ero mai soffermata su quei … punti di contatto, fra le due.

“Il piacere è mio” disse Alice.

 

Tutti i Cullen sono qui per me e Nessie.

Pensavo a questo, mentre li abbracciavo uno per uno. Jasper, sorridente e per niente taciturno o controllato, Rose, fredda ma gentile, Esme, Emmett, Carlisle.

Quando lo abbracciai mi strinse la mano, e il contatto, freddo e gentile, mi fece alzare lo sguardo sui suoi occhi. Dorati, illuminati da un autentica felicità. Sorrisi, piacevolmente sorpresa che fossero così aperti con me.

Bella, sei parte della nostra famiglia.

Quante volte lo avevano detto? E per quante volte mi ero convinta che il nostro rapporto fosse per lo più legato a Edward, o a Renesmee? Quante volte avevo pensato di non meritarlo? Non potevo smetterla di sorridere.

I loro visi avevano le espressioni di qualunque famiglia normale, una famiglia che avevo sempre desiderato, qualcosa a cui aggrapparsi in caso di difficoltà, un faro nella tempesta, una luce nel buio. Ero sopraffatta dall’emozione di averli accanto, perché significava avere qualcosa che mi riportasse alla realtà.

Come aveva sempre fatto Edward.

Come Edward non riusciva più a fare.

Edward.

Scacciai la sua immagine dalla mente e mi rivolsi ai Cullen.

“Sono così contenta che siate qui” esclamai “Davvero”.

“E noi siamo contenti di essere qui, Bella” replicò Esme, raggiante. Risaltava nella sala per l’incarnato chiarissimo e luminoso e per la bellezza, così incredibile, da farla sembrare giovanissima. Tutti loro erano bellissimi, bellissimi ed eterei.

Lontani da quella festa, lontani da quel mondo. Diversi.

E sono qui per me.

“Quindi farete una festa per Renesmee?” chiese Rosalie, entusiasta “Che bello!”

Annuii.

“Già! Sarà così felice quando vi vedrà …”

Mi fermai.

Il tempo sembrò rallentare, lo spazio attorno a me divenire vuoto, claustrofobico. I battiti del mio cuore presero a divenire sempre più frequenti, trattenei il respiro; non poteva essere, no. Era impossibile.

Il mondo sembrò cadermi addosso, un peso insopportabile, eppure in qualche modo dolce, perché stavo guardando la persona che amavo, lì, a pochi metri da me. Non respiravo, non ci riuscivo. Alice mi fissava preoccupata, e lo sguardo che aveva da quando mi aveva abbracciato, Stella era andata via e anche tutti gli altri Cullen erano venuti a salutarmi, era svanito.

“Bells …” sussurrò. Doveva aver avuto una visione, perché non si era neanche voltata a guardare ciò che io stavo osservando da almeno un minuto.

Gli altri Cullen si voltarono all’unisono.

“Davvero?” domandò Rosalie, il tono sarcastico ridotto a un sussurro “Adesso sono amici per la pelle?!”

A pochi metri di distanza, Jane Volturi ed Edward Cullen fissarono i loro occhi su di noi.

 

Ci sono troppi vampiri in questa sala, pensai.

Ci vollero pochi secondi, poi Jane Volturi e i suoi occhi neri che mi trapassavano da parte a parte scomparvero tra la folla. Mi girai per cercarla, ma sembrava davvero sparita. Con un colpo al cuore mi resi conto che c’erano altri due Volturi vicino al buffet.

Come era possibile?

Guardai preoccupata le persone intorno a me: ragazzi innocenti. Ragazzi con delle vite. Ragazzi che non sapevano di avere degli assassini accanto.

Inaspettatamente, Esme mi fu al fianco e mi prese per mano.

“Andiamo a prendere da bere, tesoro, ok?” chiese.

Ero poco convinta, ma mi resi conto che voleva allontanarmi da dove i Volturi avrebbero potuti vedermi. La ringrazia e la seguii.

Lei mi guidò sicura verso un salottino secondario, dove, a un grosso tavolo, servivano degli analcolici. Presi un bicchier d’acqua e mandai giù il tutto come se si fosse trattato di alcool. Dalla sala principale giungeva della musica rock davvero poco adatta al mio umore.

Sbirciai gli altri nella stanza. Studenti. Non particolarmente belli, o muscolosi.

Gente normale.

Tranne l’uomo vicino a una delle finestre: fisico scolpito, capelli biondi, pelle bianchissima. Trasalii quando si voltò e mostro gli occhi neri.

Ero terrorizzata: quello sguardo aveva qualcosa di strano, anormale. Sembrava capace di ucciderti a tre chilometri di distanza. Veleno, veleno puro.

Esme seguì il mio sguardo e mi strinse forte il braccio.

“Rimani qui” mormorò.

Dopo qualche secondo, annuii.

Esme si avvicinò al vampiro, sorridendo; io stavo tremando. Lei disse qualcosa, e lui sorrise, beffardo. Poi, con uno scatto quasi invisibile, il vampiro afferrò il polso di Esme. Trattenei un grido e feci un passo avanti.

Non avrei mai potuto aiutarla se ci fosse stata una lotta, ma …

Velocissima, la mano del biondo si ritrasse. Lo fissai stupita.

Ero stata io?

No.

Perché il biondo non fissava me, ma qualcuno dietro di me.

Qualcuno che mi prese per il polso e mi costrinse a girarmi.

Persi un battito.

Edward.

 

Il vampiro si esibì con il mio tanto amato sorriso sghembo. Lo fissai, estremamente contenta di vederlo, anche se stupefatta. Era splendido.

Gli occhi verdi – quegli occhi impossibili – risaltavano trai suoi lineamenti perfetti, i capelli bronzo, un po’ disordinati, erano più lunghi di quanto ricordassi. Indossava un completo scuro che metteva in evidenza il fisico slanciato.

“ Amore …” mormorai.

Lui sembrò illuminarsi nell’udire la mia voce.

Mi prese per i fianchi e per pochi secondi mi dimenticai del mondo intorno a noi, persa nel suo sguardo … poi, arrossendo, mi voltai verso Esme, di nuovo preoccupata.

Come avevo fatto a distrarmi così facilmente?

Ma Esme era accanto a me, e il vampiro biondo era scomparso.

“La lascio a te” sussurrò la mia madre adottiva, lanciando un’occhiata a mio marito. Lui annuì, sicuro. “Non ti preoccupare” rispose.

Lei si allontanò e lui si voltò verso di me.

E quando mi baciò, tutto il resto –ciò che non era lui- sparì.

 

 

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