With your hands

di sweetpast
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Con le mani puoi promettere ***
Capitolo 2: *** Con le mani puoi incantare ***
Capitolo 3: *** Con le mani puoi amare ***
Capitolo 4: *** Con le mani puoi pregare ***
Capitolo 5: *** Con le mani puoi raccontare ***
Capitolo 6: *** Con le mani puoi distruggere ***



Capitolo 1
*** Con le mani puoi promettere ***


Personaggi: Lithuania/Toris, Polonia/Feliks

Con le mani puoi... promettere~

 

 

 

«Fa freddo.»

Dicevi così, gonfiando le guance, mentre sfregavi freneticamente tra loro le tue piccole mani, e mi guardavi. Sorridevo, io, e annuivo. Talvolta non trattenevo uno starnuto, e tu scoppiavi a ridere divertito.

«E tu hai freddo, Liet?» mi chiedevi, e senza attendere risposta mi afferravi la mano e iniziavi a correre. La prima volta fui confuso, ma poi mi abituai al tuo mondo fantasioso e mentre mi guidavi giù per il colle innevato io mi univo alle tue risate.

E poi, come sempre, ci fermavamo a valle, dove l'erba iniziava a spuntare dal ghiaccio.

Ci sedevamo, stanchi, e ridevamo ancora nonostante ci mancasse il fiato. I nostri ansimi riempivano l'aria di vapore, e tu mi chiedevi cosa fosse, tutte le volte, e io tutte le volte te lo spiegavo. Poi allungavi le tue dita che, graziose, andavano a sfiorare le nuvolette. Quindi iniziavamo a giocarci, soffiandole verso il cielo chiaro e inseguendole con le mani maldestre.

E il freddo, inevitabilmente, passava.

 

Ora io ho tanto, troppo freddo.

 

Quel giorno, dopo l'ennesima risata, ti fermasti ad osservare il vapore svanire nell'aria.

«Liet?» mi chiamasti.

Incontrai i tuoi occhi smeraldini. «... Cosa?»

Tu sorridesti, togliendoti i guanti. Intrecciasti le tue dita con le mie,a rrossate dal freddo, e le stringesti forte.

«Fammi una promessa!»

«Una promessa?»

«Sì, tipo, una promessa!»

Ricambiai il sorriso.

«Cosa devo prometterti?»

Arricciasti le labbra soddisfatto.

«Promettimi che mi terrai sempre la mano, tipo, ok?»

Mi sembrasti così speranzoso. Io annuii senza problemi.

«Certo. Sempre.»

 

Sorrido, sospirando. Una nuvoletta di vapore esce dalle mie labbra.

 

«Ti voglio bene!»

Mi abbracciasti.

 

Non risposi, perché ero sicuro di averlo già fatto stringendo la presa sul tuo palmo.

 

Ma ora ho paura di non riuscire a confermarlo.

 

 

Ora vorrei stringere di nuovo le tue mani.

Quelle mani che ho lasciato andare.

Ti cerco, all'orizzonte, ma non sento nessuna risata spontanea.

 

Le mie dita tremano.

 

Rivoglio il nostro inverno.

 

Ci è stato tolto anche quello.

 

La nostra neve, che non mi era mai sembrata troppo fredda. Mai come questa.

...

 

Chiedo solo un po' di calore.

Voglio tornare a giocare con le nuvolette di vapore che uscivano dalle nostre bocche ansanti, quando eravamo bambini e una corsa mano nella mano ci riscaldava il petto.

Voglio solo le tue dita intrecciate nelle mie, in una solida promessa.

Ti voglio bene, e lo farò per sempre.

 

Anche se la neve è macchiata di sangue.**

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda

 

**Riferito al regime comunista nell'Europa orientale. La storia è collocata dopo la seconda guerra mondiale, durante il periodo dell'URSS.

 

Oh god, cosa ho scritto? *si strappa i capelli*

Ceh, non ha senso, ma Feliks è tipo tanto carino *___*

E con questa shottina senza pretese apro la mia mini raccolta ispirata alle mani. Perché le mani mi ispirano un sacco di cose.

E così, per qualche assurdo motivo, mi sono venute in mente queste storie, tutte con le mani come elemento talvolta fondamentale, talvolta di contorno, ma comunque importante.

Sono una folle, con un sacco di ficcy in corso mi metto a pubblicare la mia prima FF su Hetalia >_<

Perdonatemi, e se vi piace sono contenta :D

Oh, beh, me lo lasciate un commentino?

8D

Ah, parbleu, dimenticavo!

Dedicata a chi so io ♪ anche se non la leggerà mai, cattiva.

 

 

**Lole**

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Capitolo 2
*** Con le mani puoi incantare ***


Personaggi: Austria/Roderich, Ungheria/Elizabeta

Con le mani puoi... incantare~

 

~ Eravamo insieme, il resto del tempo l'ho scordato.

Walt Whitman

 

 

Il sole accarezzava timido il vetro della grande finestra che stava pulendo, regalando vivaci giochi di luce alle goccioline d'acqua che scivolavano dal panno grigio.

Elizabeta sospirò e si spostò un ciuffo fastidioso dagli occhi. Era faticoso pulire quel grande e lussuoso salone quasi tutte le mattine, ma la donna riusciva a farlo con il sorriso in volto.

«Buongiorno, Elizabeta. È pronto il mio caffè?»

una voce tranquilla ed elegante la sollevò dai suoi pensieri.

Come ogni mattina, Roderich si sedette al pianoforte in ebano che troneggiava al centro della sala. Eliza gli sorrise. «Vado subito a farlo. Cosa suoni oggi?» trillò, mentre si dirigeva in cucina.

«Bach.» rispose semplicemente lui, prima di posare le dita sui tasti bianchi e iniziare ad arpeggiare velocemente.

Dalla cucina, la giovane poteva sentirlo e vederlo benissimo. Così, come al solito, si mise all'ascolto.

In pochi secondi, il silenzio solenne della villa austriaca si riempì di una melodia calda, dagli arpeggi dolci e morbidi.

Roderich aveva chiuso gli occhi, inclinando il viso seguendo le mosse delle spalle.

Le dita si inseguivano agili sui tasti dello strumento che, docile, assecondava quei leggiadri movimenti con un orgasmo di note brillanti e armoniose, ma più che ascoltare quella musica divina, Eliza gli osservava le mani.

Perché quelle mani, sicure e quasi arroganti su quel pianoforte sembravano comportarsi come un Dio, perché quelle mani le desiderava sul suo corpo a dare vita a nuove canzoni. Belle, dolci note sulle sue labbra.

Un fremito le percorse la schiena quando immaginò quelle dita carezzarle la pelle ed i capelli, con l'eleganza e la grazia tipiche del musicista; boccheggiò, respirando forte e sbattendo più volte le ciglia, quando immaginò quella voce, spesso irritata ma sempre calda e dolce, sospirarle sul collo, poi sul viso, infine sulle labbra. Pensò di puntare gli occhi grandi in quelli profondi di lui, e poi di chiuderli, lasciando battere il cuore nel petto...

«Tutto bene?»

«Uh?»

Scosse la testa. Roderich aveva smesso di suonare da un po', ora era in cucina e la fissava interrogativo.

Eliza sorrise, porgendogli la tazzina calda.

«Il tuo caffè. La canzone di oggi era bellissima.»

Il giovane si sciolse in un sorriso imbarazzato, ed Eliza scoppiò a ridere pudicamente quando il ragazzo cercò di nasconderlo portandosi la tazzina alla bocca.

 

Chissà, chissà come sarebbe stata la sua personalissima canzone.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Ed ecco la seconda shot.

Mi sono ormai rassegnata a cercare il senso delle cose che scrivo, quindi rispondo alle recensioni e mi dileguo :D

Ah, non ho la minima idea di cosa stia suonando Rod. Voi assecondatemi anche se non ricorda affatto Bach °.°

xD

 

Akrois: Grazie mille per avermi fatto notare l'errore, come ti ho già risposto ^^” Purtroppo la H attenta sempre alla mia vita, sisì. *convinta*

 

_Moon: Grazie per i complimenti, troppo buona ^^ Eh sì, la PoLiet è tanto carina *_* Mi fa piacere sapere che l'idea ti piace ^^ Continua a seguirmi >w<

 

Silly_: Stai lontana dalle mie mani, MI SERVONO.

Eeee ho aggiornato 8D Smettila di dire che scrivo benissimo, ecco 8D e soprattutto, IO faccio soffrire i pg, vero? <_<

Ohbbeh. Devo scappare da Ivan, adesso.

 

 

 

Au revoir!

 

Questa invece la dedico al mio Austria personale,

che come al solito ha da borbottare <3

 

**Lole**

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Capitolo 3
*** Con le mani puoi amare ***


Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland

Con le mani puoi... amare~

 

 

Arthur, dove andiamo?”

Andiamo a vedere l'alba.”

 

È quasi notte, ormai, anche se qui a Londra sembra essere arrivata già da ore. La pioggia picchietta insistente sulle finestre, ma il suo forte rumore scrosciante riesce solo ad enfatizzare il silenzio di questa casa.

Il mio respiro quieto e regolare appanna il vetro mentre le mie dita vanno a carezzarne distrattamente la superficie. Sulla strada l'aria è densa e grigia, sull'asfalto bagnato passano solo alcune automobili.

Sospirando, mi allontano dalla finestra e mi siedo stancamente sulla poltrona, sprofondando tra i cuscini.

Sul tavolo qui accanto spicca un grosso libro dalle pagine consunte e la copertina polverosa. Quant'è che non lo tocco?

Mentre mi chiedo se sia o no il caso di scaldarmi un po' di tè, lo afferro e inizio a sfogliarlo con disattenzione. È un libro di favole, lo noto dai disegni sbiaditi che ritraggono vari animaletti, ed è pure molto vecchio. La carta è giallastra e l'inchiostro nero è sbavato in più punti.

Ho quasi deciso che sì, un tè ci vorrebbe proprio, quando vedo una fotografia infilata tra le pagine come un segnalibro. Curioso, la prendo e la osservo.

Le mie mani hanno un piccolo tremito.

Ci sei tu, in quella foto.

Ci siamo noi.

In quel vecchio pezzo di carta lucida sono ritratto io, più giovane e dall'aria meno stanca, con in braccio un bambino biondo che sorride radioso salutando l'obbiettivo.

Come prima cosa, sorrido.

Poi osservo meglio.

La luce forte in quell'immagine brilla creando riflessi dorati sui nostri capelli chiari.

Non sei cambiato poi così tanto, Alfred.

Hai sempre i soliti occhi vispi color zaffiro, e il tuo sorriso spontaneo e solare è rimasto lo stesso. Forse, anche la tua ingenuità non è cambiata.

Però, strano ma vero, sei cresciuto. (Troppo in fretta.)

Mi mordo il labbro.

A vederti in quella foto, così vicino a me, mi viene quasi da piangere. Il mio sguardo si sposta sulla piccola mano che stringe saldamente la mia spalla destra.

Adesso hai le mani grandi.

Mi ricordo quando stringevano impacciatamente solo due delle mie dita, ricordo quando me le afferravi con decisione avvolgendole con la tua manina gelida, e poi mi guardavi con quegli occhi così limpidi, e mi chiedevi...

Arthur, dove andiamo?”

Adesso hai le mani grandi, e non andiamo da nessuna parte.

Adesso i tuoi occhi guardano lontano, e io sono diventato solo nebbia all'orizzonte.

Sbatto più volte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, ma quelle, prepotenti, riescono a bagnarmi comunque gli zigomi, accarezzandomi la pelle con finta dolcezza proprio come la pioggia disegna tortuosi e lenti ruscelli sulla finestra.

«Ma che faccio? Mi lascio prendere dalla nostalgia? Che idiota che sono.» mi dico mentre mi asciugo gli occhi con il dorso della mano.

Scuoto la testa.

 

Sei solo... un... cretino.

 

Ma io ho sonno, voglio dormire!”

Piccolo ingrato di un americano!”

 

Eppure vorrei che tu tornassi a prendermi per mano, stupido americano Alfred.

Carezzo la fotografia con l'indice, poi la rimetto al suo posto.

«Sarà l'ora che mi faccia quel tè.»

 

Mi racconti una favola?”

Non ignorarmi!”

Però tienimi la mano quando ci sono i cattivi!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Questa è dedicata a tutte le “nebbie all'orizzonte” che si vedono crescere le persone care troppo in fretta.

 

Oh beh, quei due sono proprio carini~

*spupazza Chibimerica*

A proposito, ho misticamente deciso (in realtà non avevo voglia di dormire) che le shots diventeranno 10. Mi amate, vero~?

Ho raddoppiato la mano 8D (?)

 

Sigh, autostima sotto i piedi. *si spara*

 

Ringrazio tutti i lettori, preferiti, seguiti, ricordati, anonimi e recensori. Vi amoh!

Spero che continui a piacervi, questa raccolta!

Goodbye~

 

**Lole**

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Capitolo 4
*** Con le mani puoi pregare ***


Personaggi: Gilbert/Prussia

Con le mani puoi... pregare~

 

 

Gilbert lasciò cadere con noncuranza la bottiglia sul marciapiede, che giunse a terra con un rumore acuto seguito da un tintinnio insistente mentre rotolava sull'asfalto.

Le ultime gocce di birra ricaddero come una piccola costellazione di macchie scure sul terreno. Il giovane osservò la bottiglia incastrarsi tra strada e marciapiede, poi riprese a camminare lentamente.

Quella sera non aveva una meta.

Non intendeva raggiungere quei matti dei suoi amici in qualche bar, né tanto meno fermarsi ad infastidire qualche damerino con la puzza sotto il naso.

 

La Prussia non esisteva più.

Gilbert non era più una nazione.

Cosa ne sarebbe stato di lui, adesso?

 

«Mi annoierò a morte.» si disse. Se lo ripeté per l'ennesima volta, accompagnando il suo mormorio con il solito sorrisetto strafottente e pieno di sé.

«Mi annoierò, sì.» l'alcol gli impastava la voce, ma era ancora abbastanza lucido da rendersi conto di quanto era disgustoso ripetersi menzogne.

 

La verità era che aveva paura.

 

Strinse i pugni, facendo impallidire le nocche, continuò a camminare tenendo alto lo sguardo. Non si vedevano stelle. Solo una nebbia densa e bluastra, ogni tanto qualche lampione dimenticato acceso.

Gilbert scoppiò in una fragorosa risata, socchiudendo gli occhi, poi si passò una mano tra i capelli.

Si accorse che stava miseramente tremando.

Si sforzò di mantenere un sorriso sul volto – lui era il Magnifico, non aveva certo paura, era solo un po' brillo, vero? - ma il risultato fu solo una smorfia innaturale.

Scorse il suo riflesso sulla vetrata di una piccola chiesa.

Proiettò lo sguardo vermiglio sul vetro opalescente, vi vide riflesso il suo volto pallido, i capelli arruffati ancora più chiari, e quegli occhi rossi, immobili e taglienti, che risaltavano in tutto quel bianco come sangue sulla neve.

«Magnifico.» si pavoneggiò, facendosi l'occhiolino. Poi si abbandonò poggiando la fronte sulla superficie liscia e fredda.

 

La Prussia non esisteva più.

Cosa ne sarebbe stato di lui?

 

 

Decise di entrare nella chiesa. Aprì la porta, trovandosi davanti una sala completamente vuota, un silenzio tangibile e solenne che pareva quasi protestare al riecheggiare dei suoi passi.

Si inginocchiò di fronte all'altare, guardando la croce dorata che pendeva dal soffitto,

poi spostò lo sguardo sulle mattonelle di marmo lucido sotto le sue ginocchia.

Il Grande Gilbert.

Il Grande Gilbert stava pregando un Dio che aveva sempre dato per scontato dalla sua parte.

Perché adesso voleva abbandonarlo?

Non lo avrebbe fatto davvero, giusto?

Valeva ancora qualcosa, giusto?

Perché se pensava al suo avvenire avvertiva una morsa allo stomaco che quasi lo soffocava?

No. No. Lui non aveva paura. Lui non stava tentando di rimediare ai suoi errori.

Dopotutto, un essere divino non sbaglia, no?

 

Allora perché continui a sproloquiare penose illusioni, Gilbert? Non sei mai stato il Centro dell'Universo.

 

«Sta' zitto.»

 

Pensò che nemmeno Dio potesse capire la sua meravigliosa orribile situazione.

Si guardò le mani. Anche quelle erano bianche.

La pelle sottile e pallida, cicatrici in bella vista, rosee, e vene blu che correvano sul dorso.

Qualcuno, una volta, gli aveva detto che le mani bianche sono simbolo di innocenza.

 

Sono innocente, io?

Sono innocente?

 

 

Allora perché, per quale motivo, bastava una goccia dorata di birra, una traccia di rossetto, o una manciata di terra a sporcarle?

Dove finisce la candida innocenza, se le dita si tingono di peccato?

 

Non ho peccato.

Non giudicarmi.

Non farlo.

 

Strinse il pugno fino a farlo sanguinare, con le unghie conficcate nella carne, come per consolidare i suoi pensieri.

Impossibile che quelle mani stupidamente bianche fossero da considerarsi pure.

Come si può attribuire un significato simile ad un colore così oscenamente chiaro, così facilmente corruttibile?

Se fosse davvero così, non avrebbe avuto paura del futuro.

E di nuovo intrecciò le dita, in una nuova preghiera, maledicendosi blasfemo e piangendo magnificenza.

 

Valgo ancora qualcosa, giusto?

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Buon compleanno a Gilbert!!!

Ecco, la quarta storia ha lui come protagonista, e guarda caso ho pubblicato il 18 gennaio 8D

(Se ve lo state chiedendo, sì, è un caso. Ma un caso figo.)

Non vi preoccupate se il senso di questa cosa vi sfugge. Non ha un senso preciso, è solo una specie di delirio.

Grazie a tutti, sapete che vi adoro <3

 

Dedicata alla mia Silberta (perché così la dedica è più bella. Già, Sil, perché non ti chiami Silberta? E' un Magnifico nome 8D), lei saprà capire a cosa si riferisce questa shot. Anche se forse non sono all'altezza delle tue aspettative, ma giuro che se non apprezzi ti dedico una FrUk.

<3

 

 

 

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Capitolo 5
*** Con le mani puoi raccontare ***


Con le mani puoi... raccontare~

 

 

Ludwig adorava il modo di parlare di Feliciano. Non l'avrebbe mai ammesso, ma sarebbe stato ad ascoltarlo per ore. Lui non era mai stato un tipo di molte parole, né tanto meno portato alle chiacchiere inutili, specialmente quando faceva qualcosa di importante. Quindi, per lui, quasi sempre.

Eppure, malgrado tentasse sempre di convincersi che l'esuberanza e l'insistenza dell'italiano fossero insopportabili, non riusciva a dirgli di no, a non ascoltarlo, a non accontentarlo.

Quando Feliciano gli si aggrappava al braccio, sorridendo e chiamandolo per nome, sospirava e cedeva alle sue richieste mal fingendo rassegnazione. Era incredibile come, dopo aver accettato di prestargli attenzione, il sorriso dell'italiano si allargasse ancora di più: distendeva le labbra, socchiudendo gli occhi fino a ridurli a due fessure scure, e le guance gli si tingevano di rosea soddisfazione. E poi cominciava a parlare, con quell'accento poco musicale e un po' goffo, ma estremamente naturale; parlava velocemente, divagando spesso e complicando le frasi con buffi intercalari e spiegazioni superflue. Ludwig ascoltava con attenzione, osservando le sue espressioni cambiare.

Ogni tanto Feliciano chiedeva il suo parere su qualcosa, e lui rispondeva prontamente. Subito dopo si ritrovava a ritenere adorabile il modo in cui l'altro riusciva ad aprire un nuovo discorso dopo il suo intervento, che confermava quando era positivo o che ignorava se era negativo. E soprattutto, Ludwig amava il modo in cui l'italiano gesticolava in continuazione.

È tipico dei mediterranei gesticolare mentre parlano. Quelle mani si muovevano accompagnando le parole, sottolineandone l'entusiasmo sempre presente sul sorriso sincero e un po' infantile di Feliciano.

Per Ludwig, così freddo e poco portato ad esprimersi con i gesti, era una favola osservare la corsa frenetica di quelle dita che disegnavano con noncuranza bellissimi racconti nell'aria, dita che erano sicuramente calde, come le parole che scorrevano come fiumi e riscaldavano il clima freddo di Berlino. Tant'è che spesso rimaneva incantato a seguire quelle mani con lo sguardo, capitava che perdesse il filo del discorso capendo comunque di cosa stesse parlando l'italiano, o almeno di che tipo fosse l'argomento.

Quando parlava di cose che lo entusiasmavano, Feliciano teneva le mani aperte e leggermente lontane dal busto e le muoveva con piccole rotazioni del polso. Ogni tanto le chiudeva sollevando l'indice, per sottolineare le cose “importanti”. Se invece era preoccupato o agitato, teneva le mani una sopra l'altra, tenendone uniti i palmi, e si attorcigliava tra loro le dita; contorceva uno ad uno tutti i polpastrelli, tutte le falangi, poi intrecciava le dita e teneva le mani all'altezza dello stomaco, con le spalle rilassate.

A volte batteva i pugni tra loro, lievemente, o tamburellava con le dita di una mano su quelle dell'altra, quando cercava le parole giuste per completare una frase.

Più ampi erano i movimenti, più era interessato al discorso. Ludwig ormai sapeva decifrare ogni singola mossa di quel ragazzo.

Si chiedeva, con non poca curiosità, se si rendesse conto dei suoi movimenti, ma non aveva mai provato a chiederglielo e non aveva intenzione di farlo.

 

Andava bene così.

 

*

«Lud! Lud!»

Ludwig fu scosso dai suoi pensieri quando Feliciano gli si aggrappò al braccio. «Lud!»

Sorrise, scuotendo leggermente la testa. «Che c'è?»

L'italiano ricambiò il sorriso, socchiudendo gli occhi.

Le sue dita arpionarono con delicatezza i muscoli tesi del tedesco, che si irrigidiva sempre quando lo abbracciava. Ludwig ebbe l'accortezza di verificare che , le dita di Felì erano calde. Lo sapeva.

Ma non si mossero. Quando le mani di Feliciano rimanevano ferme, allora poteva essere imprevedibile.

«Ti voglio bene!»

 

...O forse no. Sapeva anche quello, sì.

 

Arrossì, e lo coprì meglio con la coperta.

 

 

«Me lo dai il bacio della buonanotte, ve?»

 

 

 

NdA

 

Aw, ma come sono carini! *sprizza cuoricini a giro* Mi sono divertita a descrivere il modo di parlare di Felì, ohssì.

Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che vi piaccia ù.ù Vi amo, voi che preferite-ricordate-seguite-recensite-leggete solamente-aprite la pagina e decidete che fa schifo, quindi la chiudete *A* Amo tutti, ja!

*momento hippie*

Oh beh.

Grazie per la vostra attenzione <3

Vado a rispondere alle recensioni, da <33

 

Dedicata a tutti coloro che hanno qualcuno a cui dare un bacio della buonanotte.

E non è una dedica random, badate <3

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Capitolo 6
*** Con le mani puoi distruggere ***


Con le mani puoi... distruggere~

 

 

 

 

Il vento gelido dell'autunno si insinuava con dispettosa perseveranza in ogni fessura della città e il debole sole non riusciva ad illuminare granché i tetti silenziosi che lo spiavano dal basso. Per le strade passeggiava con audace solennità un quasi doloroso senso di vuoto, mentre il nevischio scricchiolava sotto i passi di Russia.

Ivan si mosse con pesantezza fino all'asfalto asciutto, un'espressione di freddo distacco nelle iridi violacee. Si fermò, raddrizzò la schiena e roteò gli occhi a guardarsi intorno.

Aveva gli zigomi arrossati dal freddo e il respiro caldo che batteva contro la lana della sciarpa frusciava piacevolmente, distraendo l'udito da tutto quel silenzio.

Ivan piegò le labbra in un sorriso senza significato e volse lo sguardo in direzione del sole, che imbiancò per un attimo la sua pelle porcellana. Socchiuse le palpebre e allargò quello che sembrava il ghigno di un bambino disobbediente.

Schiuse le labbra un paio di volte, per poi serrarle di nuovo nella curva rossa della bocca. Scrocchiò le dita e tornò a fissare avanti a sé.

Facendo attenzione si potevano scorgere i soldati francesi tra le mura più lontane della sua cara città. Sospirò.

Mosca si ergeva con austera desolazione contro il cielo cupo, in tutta la sua muta bellezza.

Ivan rise. Probabilmente, all'ombra del Cremlino, i francesi già pensavano a rilassarsi.

Ah, illusi.

Fece schioccare la lingua sul palato, mentre attendeva il momento più adatto.

Avrebbe fermato la loro insulsa marcia, ne era sicuro.

Persino il vento che gli strideva nelle orecchie sembrava sghignazzare con mellifluo diletto, soffiando favorevole alla sua vittoria.

Maligno, quel vento. Ruffiano, forse. Indiscutibilmente più scaltro dei vari piccoli ribelli che si mettevano contro la Russia. No? Ivan ridacchiò divertito. Decisamente meglio arrendersi e collaborare subito, il vento lo aveva capito. Si lasciò accarezzare le spalle dal freddo alleato.

Fissò quella poca neve novella che aveva sotto le scarpe, poi ne prese un po' tra le mani, sogghignando. La osservò brillare lieve alla luce. Strinse con forza le dita, sentendo qualcosa di molto vicino all'onnipotenza allietargli la sete di vittoria.

Basta poco, a vedersi imbattibili. Ivan sapeva sempre come vincere.

I suoi pensieri vibravano sull'immaginare una favolosa gloria, ma una fitta ghiacciata sul palmo della mano lo riscosse dal suo vaneggiamento.

Il sorriso gli scomparve dal volto, contorse le labbra in una smorfia quasi disgustata, osservando la poltiglia fredda che stringeva febbrilmente nel pugno e che gli infradiciava subdola la stoffa spessa dei guanti.

Poi chiuse gli occhi, sospirando piano, si tolse i guanti e si passò le dita gelate sulla fronte.

Gli parve per un secondo che il suo cuore esitasse nell'eseguire i seguenti battiti.

Si trovò a guardare a terra, la sua terra, con un sottile sconforto che gli pesava sulle spalle.

Fece gocciolare il guanto bagnato. Si chiese come mai fosse così semplice distruggere qualcosa. Perché?

Un oggetto, una città, una vita.

C'era un fascino perverso in tutto questo che lo persuadeva con capricciosa e bambinesca crudeltà, un qualcosa che lo faceva fremere di piacere e di dubbio. Era una cosa sbagliata, di certo. Affascinante.

Si leccò le dita, un sorriso ingenuo ad illuminargli le gote, chiedendosi se il sapore del sangue scorresse sui suoi polpastrelli, dopo averne toccato così tanto. Forse, si rispose. Che cosa interessante. Che cosa sbagliata, e per questo tremendamente eccitante.

Ivan rise con aria infantile. Si divertiva.

Prese la torcia di legno che aveva in tasca, vi strinse attorno le dita con fermezza e impazienza.

Gli occhi gli luccicarono nell'istante in cui le lingue di fuoco iniziarono a danzare sull'estremità scheggiata.

Avrebbe salvato Mosca, ad ogni costo. Sicuramente la città lo avrebbe perdonato, rifiorendo maestosa come mai, no? Quale modo più epico per adempiere al suo compito, se non spiazzare i francesi con un'azzardata devastazione?

Ivan si domandò se poi le sue mani avrebbero preso anche il sapore della cenere.

Lasciò cadere la torcia, le fiamme iniziarono a lambire in fretta i primi edifici.

Ivan rise e voltò le spalle all'incendio che andava propagandosi.

Era il sapore della vittoria che gli scorreva nei polsi e gli faceva fremere le mani, ma era quello della morte che ne colorava i palmi.

Terra Bruciata.”

 

1812, Campagna di Russia.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Io, innanzitutto, devo scusarmi con voi lettori per la mia recente latitanza.

Sono perfettamente consapevole del mio immenso ritardo e vi chiedo perdono, è un (lungo) periodo un po' (tanto) stressante per me che mi ha tolto una considerevole quantità di energia. In più, si è aggiunto un blocco dello scrittore molto fastidioso. Cioè, zero ispirazione anche se avevo una voglia matta di scrivere e poco tempo per sforzarmi di trovare una soluzione.

Fortunatamente la scuola è finita e ora ho più tempo da dedicare alla scrittura ;A; non vi prometto niente, ma spero di riuscire a riprendere ad aggiornare con costanza tutte le mie long. Mi scuso ancora con tutti voi.

E, soprattutto, vi ringrazio per la vostra attenzione ;A; Grazie di seguirmi, ragazzi! Ringrazio i preferiti, i seguiti, i ricordati, i recensori a cui mi affretterò a rispondere e anche i semplici lettori. Vi adoro ;A;

Allora, adesso le precisazioni.

Adoro Ivan. Anche se questo capitolo non mi convince granché. Ho cercato di descrivere al meglio da un punto di vista un po'- come dire – non molto sano, ecco. (?) Comunque.

Il capitolo è ambientato durante l'incendio di Mosca del 1812, la mossa vincente della Russia contro l'invasione napoleonica. Preciso che non sono mai stata in Russia e che la “descrizione” della città e degli aspetti climatici è completamente tirata a caso. 8D

Terra Bruciata” è una tattica di guerra, usata spesso dall'esercito russo. Consiste nell'eliminare tutto quello che potrebbe tornare utile al nemico, compresi i viveri. In Russia, diciamocelo, il Generale Inverno dà un cospicuo aiutino a questo tipo di strategie ;D

Un'ultima considerazione: non so come mi sia venuto in mente di citare un ipotetico sapore delle mani. Però l'idea mi piaceva, quindi non l'ho scartata. E secondo me si sposa bene con la psicologia di Ivan. Insomma, come al solito lascio a voi ogni interpretazione, anche perché sto scrivendo davvero troppo. Vi lascio!

Spero che sia di vostro gradimento e che continuerete a seguirmi nonostante i miei ritardi ;A;

Argh. Open Office non ha il correttore russo e non mi permette di scrivere in russo senza sbagliare irrimediabilmente. Madre Russia si vendicherà. ù__ù

Sì, cioè. Ciao a tutti, mie cari, spero di tornare presto sui vostri schermi 8D

 

Dedicata a tutti coloro che hanno sbagliato qualcosa e sono andati avanti comunque.

Nella vita ci vuole tenacia, ragazzi. <3

 

xoxo, Lole.

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