Katherines

di HeavenAngel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destiny ***
Capitolo 2: *** Coincidences ***



Capitolo 1
*** Destiny ***



 

 Hi everybody!!
...Grazie per aver dato un'occhiata!
Se avete voglia e vi aggarba lasciate un commento(Almeno per farmi sapere se siete riusciti ad arrivare fino alla fine)!
Vi risponderò con amore uno ad uno!
Spero di non annoiarvi!
God Bless You all!
HavenAngel*



 


 

1.Destiny
 




“Ti amo”

“Ti amo anche io Sarah..!”

Non aspettò né il bacio, né che i visi dei due amanti si sfiorassero.

Il suo pollice schiacciò immediatamente il piccolo tasto rosso presente in cima al telecomando.

Alcuni hanno il pollice verde,è vero, ma lei non ce l’aveva.

Il suo era semplicemente un pollice che impulsivamente aveva obbedito al comando dei suoi pensieri.

Un pollice obbediente,insomma.

“Sdolcinatezze…”

Sbuffò,restando per un attimo immobile,seduta sul divano, a fissare il suo riflesso annoiato nel vetro del televisore.

Sì,il film l’aveva delusa.

Tante belle parole,tanti baci,tante carezze,tanti bei sogni.

Ma la realtà era totalmente differente.

Ormai già da due anni Katherine non riusciva più a credere nell’amore e,ogni qualvolta il suo zapping televisivo si imbatteva in uno di quei cosiddetti “film romantici”,non poteva fare a meno di meravigliarsi.

“Ma come diavolo fa la gente a credere a queste cretinate?”

Si esprimeva come se ciò che in quel momento stava pensando o dicendo fosse un principio universale,come se tutti al mondo dovessero pesarla esattamente tale e quale a lei.

Ma,purtroppo o per fortuna,non era così per la maggior parte delle persone e questo Kate doveva proprio ammetterlo.

“E quelli che le mandano in onda ste schifezze e che se ne approfittano dell’ingenuità della povera gente?Manipolazione delle coscienze,ecco cos’è!”

Continuava a lamentarsi,imperterrita e sola.

Si rese conto di essere ridicola,guardandosi ancora una volta nel riflesso davanti a sé.

Scoppiò a ridere istintivamente nel vedere il suo volto terribilmente imbronciato,nero,incazzato.

Non era abituata a manifestare le sue emozioni in quel modo.

“E io sono una pazza cretina che parla e ride da sola!”

Ammise sorridendo tra sé e sé.

Dopo aver appoggiato il telecomando sul divano,si mise le mani in faccia per qualche istante e,strofinandosi gli occhi,decise di alzarsi e andare a fare colazione.

I suoi piedi nudi picchiettavano,passo dopo passo,sul freddo pavimento mentre il pigiama rosso di Topolino,ormai largo ma troppo bello e troppo comodo per potersene sbarazzare,sembrava che facesse fatica a rimanerle addosso.

“Ehi,non scappare!”

Disse afferrando i pantaloni per i fianchi e tirandoseli su,prima che potessero giocarle un brutto scherzo facendola rimanere definitivamente in mutande.

Fu solamente quando giunse in cucina,precisamente davanti ai fornelli,che si rese conto,però, di non avere per niente fame.

Optò per una spremuta e aprì il frigorifero,scoprendo e ricordandosi,con grande disappunto,che era quasi vuoto.Solo un’arancia faceva capolino.

La prese e la appoggiò sul ripiano in marmo bianco,borbottando qualche parolina,non molto carina mentre richiudeva lo sportello.

Tagliò il frutto esattamente a metà,mise,una alla volta,le parti sullo spremiagrumi e il risultato fu spettacolare: dopo essere stato versato,il succo riempiva esattamente un bicchiere fino all’orlo.

“Mitico! E la colazione è andata!”

Bevve il contenuto tutto d’un sorso,senza nemmeno sedersi al tavolo, e,dopo essersi asciugata sciattamente le labbra sulla manica del pigiama,buttò le bucce e sciacquò ciò che aveva utilizzato riponendo ogni cosa al suo posto.

Rimase ferma a fissare il vuoto per qualche istante,analizzando per bene quello che sarebbe stato utile fare,notando che era in completa contrapposizione a quello che voleva.

Non aveva assolutamente voglia di andare a fare la spesa.

Era sabato,il suo “giorno di riposo” e se si chiamava così doveva esserci per forza un motivo.

Ma lei era in piedi già da un pezzo e questo giocò a suo favore: erano ancora solo le otto del mattino,un orario relativamente decente per prendere la sua bicicletta e recarsi in centro,per comprare giusto il necessario,senza imbattersi in troppe persone.

Se avesse fatto esattamente così se la sarebbe di certo cavata in un quarto d’ora,venti minuti riuscendo,così,finalmente, a prendersi una giornata tutta per lei.E questo pensiero la allietava assai!

Ne aveva proprio bisogno.

Lavorava cinque giorni alla settimana,dal lunedì al venerdì, presso un centro disabili,a poche miglia da casa sua,come educatrice.

Difficile stabilire esattamente quante fossero le sue ore di lavoro,dato che,di tanto in tanto,la sua presenza veniva richiesta anche alla casa di riposo,dove,più che lavorare sulla singola persona,si occupava,insieme al resto dell’equipe, dell’attività di animazione.

La sua routine era apparentemente monotona,e le attività da svolgere e far svolgere sembravano sempre le stesse.

Ma Kate aveva la straordinaria capacità di amare il suo lavoro e,soprattutto,amava più di ogni altra cosa le persone con cui aveva a che fare.

Cercava di cambiare sempre qualcosa,in modo da rendere il giorno che stava vivendo unico e diverso dal precedente e da quello successivo,mettendoci sempre tutta se stessa e dando il meglio,costantemente.

Era proprio questo che la rendeva felice ed enormemente appagata,oltre al fatto che,con il passare del tempo, aveva instaurato rapporti sempre più significativi,nonostante i suoi ventisette anni suonati,sia con gli anziani e i ragazzi(che non riusciva a soprannominare “disabili”,trovando questo termine a dir poco dispregiativo e limitativo rispetto alle loro capacità),sia all’interno del gruppo educatori-animatori.

Sembrava che non sapesse più distinguere la differenza tra il “fare” e l’ “essere” un educatrice ,anche se questo,apparentemente, non la preoccupava.

Non aveva nient’altro da fare se non quello che più rispecchiava il suo carattere.

Quel mondo era tutta la sua vita, ma doveva ammettere,però,di non riuscire a trovare molto tempo per dedicarsi a se stessa.

Fu per questo motivo che,senza pensarci ulteriormente,corse in bagno,sempre tenendosi ben stretta i calzoni.

Dopo aver fatto pipì,si fece una doccia veloce e si lavò i denti frugando,per guadagnare tempo, nel cassetto del mobile in legno situato sotto il lavandino,alla ricerca di un paio di mutande e di un reggiseno.

Avrebbe indossato i soliti jeans “di casa” e la maglietta colorata che la sua più cara amica Alex le aveva regalato qualche anno fa,in occasione del suo compleanno.

Li trovò entrambi piegati nel cesto della biancheria pulita,che aspettavano impazienti di essere stirati,ma a Katherine non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di farlo e si infilò tutto in un batti baleno,lottando contro l’impasto di acqua e dentifricio che aveva tra i denti.

Tornò in bagno per risciacquarsi la bocca e posare lo spazzolino e raccolse l’enorme massa di capelli ricci e bruni in una coda di cavallo alta,senza nemmeno dare un’occhiata allo specchio.

Di corsa fuori dal bagno!

Cappotto…fatto!

Sciarpa… messa!

Chiavi di casa….Si guardò per una frazione di secondo intorno prima di ricordare che le aveva riposte sul mobile del telefono!Prese!

“Perfetto!”

Aveva già il fiatone.

Afferrò la lunga borsa arancione e se la infilò a tracolla prima di aprire la porta ma,chissà perché,la sua attenzione fu magneticamente attirata dal pavimento.

Abbassò lo sguardo: i due buffi coniglietti bianchi disegnati sulle ciabatte nere che aveva ancora ai piedi,sembravano guardarla con aria divertita,anche se lei,dopo averlo scoperto,non lo era affatto.

Si limitò a lasciarsi sfuggire qualche piccola imprecazione infilandosi le sue care scarpine da tennis gialle,comprate in un negozietto all’angolo.

Ok.Sembrava essere tutto a posto.

Fu proprio mentre stava cercando di convincersi che,dando l’ultima girata di chiave nel lucchetto,si sentì chiamare alle sue spalle.

“Kate!”

Eccolo,lo aveva riconosciuto dalla voce.

Il suo vicino di casa.

La legge dice che tutti al mondo debbano avere almeno un vicino/vicina di casa pettegolo/a,petulante e con la puzza sotto il naso…

Ebbene,Nicolas rispecchiava di gran lunga il prototipo del “Rompipalle”.Questo ruolo gli calzava a pennello.

La povera Katherine aveva quasi iniziato a pensare che la spiasse e questa ipotesi non era da escludere dato che non faceva in tempo ad appoggiare un piede sullo zerbino che subito se lo trovava sul pianerottolo,desideroso di scambiare qualche chiacchiera con lei.

A volte le faceva addirittura un po’ di paura.

Esitò un attimo a voltarsi, ma poi fu costretta a farlo.

Gli rivolse uno sguardo di sbieco e gli angoli delle sue labbra iniziarono a sollevarsi abbozzando un sorriso di cortesia,anche se era evidente che non fosse quello il suo intento.

I suoi movimenti erano veloci e furtivi e persino un bambino avrebbe capito che stava cercando di evitare qualunque conversazione.

“Ciao Nick”

Furono queste le parole che si limitò a dire tra i denti e senza enfasi,evitando ogni contatto con il suo interlocutore.

Si infilò,così,il mazzo di chiavi in tasca,dirigendosi velocemente verso le scale.I suoi pensieri la incoraggiavano a darsela a gambe il più velocemente possibile,mentre ,alla sua coscienza,un pochino dispiaceva.

Voleva sbrigarsela in fretta e sperava,in cuor suo, che fosse così,ma senza sembrare scortese o offendere in nessun modo.O per lo meno ci avrebbe provato.

“Già sveglia?”

L’impertinente domanda interruppe il suo viaggio mentale,la sua via di fuga,scombussolando definitivamente i suoi piani.

Cosa cazzo gliene fregava?

Cercando di non lasciar trasparire nessuna brutta espressione facciale,si rivolse leggermente verso il volto di quell’uomo che avrebbe tanto voluto prendere a schiaffi.

“Sì,e veramente sarei anche un po’ di fretta,quindi se non ti dispiace…”

Ci fu un attimo di silenzio.

Sarebbe davvero stato duro di comprendonio se non fosse riuscito a capire quale fosse l’intento della ragazza.Era stata veramente molto esplicita.

Kate,inoltre,non aveva potuto fare a meno di notare il ridicolo e poco consono abbigliamento che l’uomo a pochi passi da lei indossava quella mattina.

La canotta bianca e super aderente faceva esaltare non solo gli addominali scolpiti ma anche e soprattutto i muscoli delle braccia.

I pantaloni,larghi e beige,avevano una grande macchia di olio nel bel mezzo della coscia destra e gli conferivano un aria sporca e sciatta.

Faceva quasi fatica a guardarlo così com’era,appoggiato allo stipite della porta con le gambe incrociate e una sigaretta spenta in quella bocca sottile che,di tanto in tanto,mostrava denti grigi e poco curati.

Per non parlare dei capelli,biondi e super ingellati,o almeno sperava che fossero così dato che sembravano unti ed erano bellamente appiccicati alla cute,con una linea di lato.

E’ compito di un buon educatore non cadere in pregiudizi e trovare sempre il lato positivo delle persone da far emergere.

In quel momento Katherine si focalizzò,quindi,sui suoi occhi verde-azzurri molto particolari e davvero belli, che la fissavano con una certa aria indagatrice.

“Figurati! Buona giornata!”

Le rispose così,con un sorriso che le faceva quasi tenerezza e che la lasciò di stucco.Sicuramente non se l’aspettava.

Certo che gli uomini sanno essere davvero strani!

Vinta,quindi,dal senso di colpa per aver risposto in malo modo ,contraccambiò il sorriso,questa volta vero.

“Grazie,anche a te!”

Così rispondendo si diresse nuovamente verso le scale,e,scendendo il primo gradino,aveva potuto sentire una porta chiudersi,certa che fosse quella della casa di Nicolas.

“Povero…”

Mormorò,poi,tra sé e sé,dispiaciuta e invasa da un leggero senso di colpa mentre si avvicinava,sempre di più,al garage.

Mettendo una mano in tasca schiacciò il pulsante del telecomando blu,rigorosamente attaccato al mazzo delle chiavi, e il portellone verde iniziò ad alzarsi,lasciando intravedere mano a mano il contenuto del “mini parcheggio“.

I grandi occhi-faro e il “muso” della Renault Clio grigia parcheggiata la fissavano divertiti e simpatici.

Raro trovare in tutta America,specialmente ad Encino,in California,una macchina francese.

Kate,veramente,preferiva definirla “multietnica” dato che,in realtà,era uno dei doni che il suo caro nonno paterno,che viveva in Italia,le aveva lasciato in eredità.

Ciò,più di ogni altra cosa,dimostrava che per lei,l’anticonformismo,era all’ordine del giorno e che i valori giocavano un ruolo fondamentale nella sua vita.

Non sarebbe mai riuscita a separarsene:la faceva sentire al sicuro,non solo per la sua particolare forma tondeggiante e ad ovetto,completamente diversa da un Alfa Romeo,per esempio,ma soprattutto perché ad essa erano legati tantissimi ricordi che,però,non aveva voglia di far riaffiorare alla sua memoria.

Indirizzò il suo sguardo e si diresse verso la sua cara vecchia e fidata “amica”di colore azzurro,ormai scrostato, e dal sellino bianco,la bicicletta che,posta in un angolo,affiancava l‘automobile.

La prese per il manubrio e,piano piano,la condusse fuori schiacciando nuovamente il pulsante che permise al garage di richiudersi alle sue spalle.

Attraversò il pezzo di atrio riuscendo,per qualche secondo,ad ammirare sullo specchio a muro la sua immagine.

Dio,“ammirare”era davvero una parola grossa!

Era da tempo,oramai che non si sentiva bella nonostante la particolare carnagione mulatta le risaltasse il volto, pur essendo priva di qualunque forma di trucco.

Le sue labbra carnose e i suoi occhi grandi a mandorla,scuri e circondati dalle lunghe ciglia,rendevano i lineamenti del viso,abbastanza tondeggiante, fini ma,al contempo,marcati in determinati tratti.

Caratteristiche che le conferivano,oltre che l’aria di “brava ragazza”,anche una sorta di mistero.Impossibile spiegare il perché.

Alcuni ricci ribelli fuoriuscivano dai lati della sua “acconciatura”,in prossimità delle orecchie e della fronte.

Era sempre stata molto critica per quanto riguarda le dimensioni del suo seno,che considerava troppo prosperoso e cercava di nascondere in ogni modo, e quelle del suo sedere,anche esso ritenuto fin troppo grande,segno evidente che discendeva da una genitrice di colore…

Non voleva assolutamente pensare a come sua madre avrebbe potuto commentare il suo look,se solo l’avesse vista.

Dio mio Kate! Non ti vergogni?Mi sembri un pagliaccio..Valorizzati un po’!Non indossare sempre i soliti jeans! Butta via quella maglietta!Sei così bella e mi fai fare brutta figura!…”, e cose varie.

Sorrideva solo al pensiero.

Infondo la mamma ha sempre ragione e Katherine sapeva che se le diceva certe cose lo faceva solo per il suo bene.

Era assurdo pensare a quanto fosse cambiata la sua vita negli ultimi tempi.

Qualche anno fa era totalmente diversa fisicamente (pesava quasi venti chili in più ma riusciva a valorizzare sempre e comunque il suo aspetto) e mentalmente (ricca di sogni,speranze e aspettative dal futuro).

Ma la vita,a volte,gioca brutti,bruttissimi scherzi e lei l’aveva sperimentato sulla sua pelle.

Tutto improvvisamente era diventato schifosamente troppo reale e la concretezza aveva avuto il sopravvento.

Non le restava che vivere appieno il presente.

Distolse il suo sguardo e chiuse gli occhi per un istante,cercando di cacciare via i pensieri,poi salì sulla bicicletta.

Seduta sul sellino con un piede per terra e uno sul pedale per mantenere l’equilibrio,si sistemò bene la borsa sul fianco,in modo che non le desse fastidio.

Il cielo grigio e nuvoloso di Encino e la leggera brezza autunnale,che le penetrava nella pelle e nei vestiti fino a farla rabbrividire,erano il segno evidente non solo del fatto che avrebbe dovuto cambiare abbigliamento sostituendolo con capi più pesanti ,ma anche che l’inverno,pur essendo solamente il dieci di ottobre,si stava avvicinando.

Poco male,avrebbe sofferto leggermente all’inizio ma si sarebbe riscaldata pedalando.

Mise,quindi, le mani sul manubrio dopo essersele strofinate l‘una contro l‘altra,si diede una spinta e partì.

Poche automobili e qualche motocicletta la affiancavano,di tanto in tanto,superandola ma senza crearle nessuna difficoltà di percorso.

Perfino i semafori sembravano essere benevoli nei suoi confronti,diventando di colpo verdi al suo passaggio.

Non si fermò nemmeno una volta e se avesse continuato di questo passo,sarebbe di certo riuscita a ritornare a casa prima del previsto.

Era raro vedere la città abbastanza calma e serena come lo era quella mattina.

“Che culo!”

Aveva esclamato spontaneamente ad un certo punto,sorpresa e meravigliata del fatto che per una volta le cose sembravano andare per il verso giusto…

Forse lo aveva esclamato troppo forte?

“Ahhhhhh!”

In quel momento un grido acuto proveniente dall’altro lato della strada,seguito da un gruppo di voci di ragazzi e qualche risata divertita, la spaventò talmente tanto che per poco non cadde dalla bicicletta.

Fu costretta a voltarsi.

Era uno spettacolo a dir poco deprimente quello che si presentava ai suoi occhi e alle sue orecchie.

Tre teppistelli sulla quindicina d’anni avevano circondato una povera vecchina di colore iniziando a sventolarle davanti un giornalino che di tanto in tanto si lanciavano.

Si stavano letteralmente prendendo gioco di lei.

“Guarda qui il tuo Dio che fine fa!”

Così dicendo uno di loro,quello con i jeans attillati e il cappellino con la visiera bianco e nero,aveva iniziato spavaldamente a strofinarsi la rivista sul sedere mentre gli altri due,un tipo basso e cicciotto con i capelli neri sparati e un cinese tatuato e con l’orecchino,avevano iniziato a ridere divertiti da quella crudele buffonata.

La donna,con un foulard beige che le ricopriva il volto e un lungo cappotto blu,invece,con le mani che le coprivano il viso,sembrava stesse per piangere.

Kate aveva visto abbastanza.

Come si poteva fare una cosa del genere?

Non ci pensò due volte:presa da una rabbia talmente intensa e impulsiva da farla ribollire dentro si precipitò velocemente con il suo mezzo in direzione del misfatto,pronta a investire o colpire con qualsiasi cosa chiunque dei tre ragazzi si fosse trovata davanti.

Il cinese si accorse appena in tempo di lei,avvisando i compagni e permettendo loro di scappare,gettando per terra il giornale.

Diede un’ultima occhiata minacciosa ai fuggitivi arrivando in prossimità della signora.

Fece una brusca frenata e,dopo aver lasciato la bicicletta sdraiata sull’asfalto,le corse incontro.

“Tutto bene?”

Chiese,preoccupata e poggiandole una mano sulla spalla in segno di sostegno e conforto.

Poi si accovacciò a terra,per raccogliere la rivista.

La copertina ritraeva un bambino dai capelli castani che camminava felice in mezzo a un campo di grano.

I colori erano sgargianti e non potette fare a meno di leggerne il titolo:Geova il Creatore.

Ora capiva tutto.

La porse alla legittima proprietaria che,commossa,la prese ed insieme ad essa anche la mano della ragazza che iniziò ad accarezzare e baciare.

“Grazie cara,grazie mille.Dio ti benedica!”

La voce esile e flebile e il gesto di ringraziamento della donna toccarono il cuore di Katherine.

“Oh no,signora,non ce n’è bisogno.Chiunque l’avrebbe fatto al mio posto..”

L’anziana,improvvisamente,la fissò con i due grandi occhi color nocciola.

Le rughe abbastanza profonde le solcavano il viso,sulla fronte,vicino agli occhi e in prossimità degli angoli della bocca,rosata e abbastanza carnosa.

Aveva il naso piccolo e a punta e gli zigomi rialzati.

Bei lineamenti.Una bella donna.

Le faceva alquanto tenerezza con quel foulard che utilizzava come “copricapo” e che faceva intravedere sulla fronte,alcuni ciuffi neri di capelli.

Tratteneva le lacrime a fatica e lo si poteva notare dal luccichio presente nei suoi occhi.

“Oh no, certo che no! Non è da tutti aiutare una persona in difficoltà. Ti ringrazio davvero tanto cara,davvero.”

Mormorando queste parole con un certo tremore nella voce,continuava a tenere la mano della giovane tra le sue.

Kate non sapeva se fosse la pedalata ininterrotta, l’adrenalina del momento o le carezze che l’anziana le stava riservando,fatto sta che si era resa conto di non avere più freddo e di trovarsi particolarmente a suo agio in compagnia di quella signora.

Le sorrise contraccambiando lo sguardo,che altro poteva fare?

“Come ti chiami piccola?”

La ragazza esitò un attimo prima di rispondere.

Doveva prima ingoiare il nodo che le si era formato in gola.

“Katherine, piacere!”

Cercò di sembrare spontanea il più possibile,ma probabilmente aveva recitato malissimo quel ruolo.

Lo capì dallo sguardo sbigottito,stranito,sorpreso della donna.

“Ti prego non dirlo a nessuno!”

La vecchietta,sussurrando queste parole,si allontanò dalla ragazza,facendo un passettino insicuro all’indietro.

Sembrava alquanto spaventata.

La sua espressione da "Urlo di Munch" non aveva potuto fare a meno di suscitare nella giovane una particolare curiosità per quella spropositata reazione.

Aveva detto,forse qualcosa di male o di sbagliato?

Cosa non avrebbe dovuto rivelare Kate?

“Qualcosa non va?”

“Come hai fatto?”

“A fare che?”

“A sapere che sono io,Katherine?”

La ragazza continuò a guardare la donna con aria confusa.

“Mi sta dicendo che anche lei si chiama Katherine?”

Adesso fu la signora a cambiare espressione.

“Cosa significa “anche lei”? Tu ti come ti chiami?”

Dio,che giornata!

Era cominciata proprio alla grande.

I casi erano due:o la vecchina era impazzita (il che era possibilissimo dato che Kate aveva a che fare con gli anziani tutto il giorno),oppure si chiamavano nello stesso modo.

In ogni caso,possibile che le capitassero tutte a lei?

“Mi chiamo Katherine,Katherine Russo!”

Nel vedere la donna che,tirando un sospiro,sorrideva allegramente e sollevata,la giovane cominciò a capire.

“Quindi non sai chi sono io,vero?”

“Certo che no,Signora! Mi spiace di averle fatto paura!”

L’aveva presa per una veggente per caso?

Anche il suo volto aveva dovuto assumere davvero un espressione bizzarra perchè non potette fare a meno di provare un grande senso di divertimento misto a tenerezza per quell’anziana che ora le si stava avvicinando di nuovo coprendosi la bocca,che mostrava un sorriso alquanto divertito,con una mano.

“Tranquilla cara,perdonami tu!non capitano tutti i giorni queste coincidenze.

Il piacere è mio,Katherine… “Senior””.

Entrambe complici di un simpatico equivoco,scoppiarono a ridere di gusto,accompagnate da un sottofondo “clacsonfonico”,segno che la bicicletta della ragazza,ancora in mezzo alla strada,stava bloccando il primo traffico mattutino. 

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Capitolo 2
*** Coincidences ***


Buon giorno a tutti voi,raggi di sole!
Lo so che sono passati alcuni mesi dal mio primo e fino ad ora ultimo capitolo ma,come avrete ben capito,con me ci vuole un po'di pazienza...

Vedrete che la pazienza comincerà a dare i suoi frutti...
In ogni modo spero che non vi siate dimenticati del capitolo precedente!
Per questo chiedo infinitamente scusa e ne approfitto per augurarvi una Buona Giornata!
Grazie a tutti per la lettura e i commenti,siete troppo buoni.
Con tanto,tanto affetto,
God Bless You all
*HeavenAngel

 

2. Coincidences

 

Questa volta Kate aveva imparato la lezione.

Doveva assolutamente smetterla di andare in giro in bicicletta con quel freddo.

“Etchu…”

Uno starnuto le partì di colpo,prima che potesse fare in tempo a tirare fuori un fazzoletto dalla piccola scatola rosa,“formato convenienza”, posta per terra,sul rosso ed elaborato tappeto persiano.

Era il ventisettesimo di quella mattina.Li aveva contati,non aveva nient’altro da fare.

Si soffiò il naso nonostante il bruciore dovuto alla screpolatura vicino alle narici e buttò il rimasuglio di carta per terra,pur sapendo che sarebbe stato opportuno raccogliere anche gli altri ventisei.

Mezza rintontita e spettinata,se ne stava rannicchiata sul divano,coperta fin sopra agli occhi,cercando,invano, di ripararsi il più possibile dai brividi di freddo che,penetrando dalle fessure del pigiama, avevano iniziato a percorrere ogni piccola parte del suo corpo,dalla testa ai piedi,provocandole una terribile “pelle d‘oca” .

Improvvisamente sentì un tintinnio ovattato provenire dalla sua ascella sinistra.

Il termometro aveva portato a termine la sua missione.

“Dio,fa’ che non abbia la febbre…”

Sussurrò,poco fiduciosa e con una voce alquanto nasale,mentre,infilando la mano dal colletto della maglietta,aspettava di vedere il verdetto finale indicato dall’odioso aggeggio bianco.

La sua reazione non fu molto piacevole una volta che la sua vista si fu imbattuta sui tre numeri indicati sul piccolo schermo rettangolato.

“39.8? Ma porca … Merda!”

Un nervoso assurdo si impossessò di lei,della sua mente e del suo corpo e,se non fossero state le sette e mezza del mattino,molto probabilmente avrebbe lanciato uno dei suoi soliti urletti acuti,segno che stava per esplodere e per scoppiare a piangere dalla rabbia.

Si limitò semplicemente a stringere gli angoli alti del cuscino,rischiando di far fare una brutta fine al termometro che ancora aveva tra le mani,e a ficcarci dentro la faccia cercando di soffocare,così,ogni brutta parola e ogni minima imprecazione.

Restò per qualche istante in quella posizione finchè non fu costretta a sollevare il viso per poter prendere fiato.

La testa le scoppiava e nemmeno lei sapeva bene se fosse dovuto alla febbre “da cavallo” o all’arrabbiatura del momento.

Non sarebbe sicuramente stata così incazzata se non fosse stato lunedì,rigoroso giorno di lavoro.

Di certo non si sarebbe potuta presentare in quelle condizioni,anche se restare a casa era l’ultima cosa che voleva fare.

Doveva assolutamente alzarsi,pur sembrando la cosa seriamente difficile,per poter informare Leonard,il “grande capo”,del suo malessere.

Fece uno sforzo sovraumano per mettersi a sedere,dopo essersi sollevata lentamente la coperta di dosso,e,prima di alzarsi in piedi,aspettò un attimo che la testa smettesse di girarle.

Lasciò il termometro sul cuscino,contò fino al “tre”e,quando fu pronta,si mise in piedi.

Mezza rincoglionita si accovacciò a terra cercando di non perdere l’equilibrio per poter raccogliere tutti i fazzoletti sporchi.

Le tempie le pulsavano sempre di più a causa dello sforzo che stava facendo e ci mancò poco che non cadesse stecchita sul tappeto invasa da una marea di pallottole di carta moccolose.

Le ossa indolenzite,inoltre, non semplificavano certamente il lavoro : le sembrava di avere due macigni al posto delle braccia e delle gambe ed un grosso masso poggiato sulla zona lombare della schiena che le dava dolore in qualunque posizione si mettesse.

A stento riuscì a raccogliere e tenere tra le mani tutto ciò che aveva gettato per terra e,tirandosi nuovamente su ,piano,si infilò ai piedi le ciabatte dirigendosi,ancor più lentamente,verso la cucina senza evitare di strisciare i piedi,che sembravano essere ricoperti di cemento tanto erano pesanti,sul pavimento.

Raggiunse il mobile della pattumiera e fu proprio quando con la sua mano sfiorò il pomello in legno bianco che rabbrividì,trovandolo incredibilmente freddo rispetto al bollore della sua pelle.

Facendo ancora un piccolo sforzo riuscì,però,ad aprirlo, e a gettare i suoi rifiuti nel cestino in plastica bianco poggiato sul ripiano e riempito da un sacchetto di plastica nero.

Richiuse l’anta con la gamba e aprì il rubinetto per qualche secondo,soffocando ancora qualche brivido nello sciacquarsi le mani nell’acqua che,da tiepida,le era sembrata diventare subito calda causandole una leggera espressione di sofferenza sul viso che,fortunatamente,durò poco.

Con ancora le sopracciglia curvate e le rughe della fronte marcate per la rabbia e la spossatezza,concluse il breve lavaggio scuotendo le mani prima di asciugarsele con lo strofinaccio bianco,raffigurante due pupazzi di neve su ogni angolo,che indossavano una sciarpa rossa e un cappello dello stesso colore alla “Babbo Natale”,riposto rigorosamente sullo scolapiatti verde a fianco del lavello.

Rabbrividì per l’ennesima volta prima di trascinare il suo fragile corpo verso il cordless a muro,appeso vicino allo stipite della porta.

Staccò la cornetta bianca e grigia dal resto dell’apparecchio e cominciò a pigiare i sette tasti bianchi che emisero altrettanti e rispettivi “bip”: cinque,cinque ,cinque,zero,uno,quattro,nove.

Il telefono cominciò a bussare.

Aspettò ben cinque “tuuuu” prima che una grossa voce maschile rispondesse.

“Sì, pronto?”

“Ciao Leo, sono Kate,ti ho svegliato?”

Si sforzò e sperò di riuscire a mascherare la nasalità della voce,ma la risposta del suo interlocutore le fece capire che non era affatto riuscita nel suo intento.

“No,no figurati… che hai,non stai bene?”

Sgamata in pieno:pessima attrice!

“Ecco… veramente no. E’ proprio per questo che ti ho chiamato. Non penso che…”

Il collega la interruppe prima che riuscisse a finire la frase.

“Non ti preoccupare…Ma hai la febbre?”

Katherine esitò un istante prima di rispondere.Non poteva di certo sembrare una approfittatrice,nonostante le sue condizioni confermassero la veridicità delle sue informazioni.

“Qualche lineetta,niente di che…”

Mentì spudoratamente e la voce rauca non servi a farla sembrare di certo più convincente.

“Ne sei proprio sicura?”

Un attacco di tosse improvviso non le permise di rispondere mentre dall’altra parte del ricevitore cominciò a sentirsi una risata sonora e sinceramente divertita.

“Katherine,Katherine,Katherine… Ti conosco troppo bene! Non sei una che rimanda il lavoro per “qualche linea di febbre”… la cosa deve essere veramente seria. Mi devo preoccupare?”

La ragazza non potette fare a meno di sorridere.

“No,tranquillo… un po’ di riposo e sarò come prima…”

Faticò un poco a dire questa frase: il naso le pizzicava terribilmente,segno che uno starnuto imminente stava aspettando impazientemente di uscire…

“Prenditi pure tutto il tempo che ti serve per recuperare…”

Leonard disse poi qualcos’altro che purtroppo Kate non riuscì a comprendere bene,intenta com’era a tapparsi il naso per evitare di starnutire in faccia al collega.

Chiuse gli occhi e arricciò il naso,fece un sospiro…niente. Poi un altro…niente. Poi un altro ancora…

Ma il bastardo,come per miracolo,non uscì,dandole giusto il tempo per poter ascoltare le ultime parole dell’ uomo.

“…mancherai, soprattutto a Marc!”

Cavolo,Marc!

Quel ragazzo di venticinque anni moro e dai grandi occhi castani che ogni giorno condivideva con Katherine,più che con chiunque altro, gioie e dolori,felicità e sofferenze e di cui lei era diventata la più grande confidente,quel giorno sarebbe rimasto solo.

Oltre che essere uno dei suoi più cari amici,infatti,Marc era un portatore di handicap con un leggero ritardo mentale,ma con una grande,grandissima intelligenza che non doveva assolutamente essere sottovalutata, e che veniva fuori sorprendentemente nei momenti più inaspettati.

Poteva fare a meno della sedia a rotelle perché le sue gambe,anche se fragili e sottili,riuscivano a sostenere malapena il suo corpo permettendogli non solo di camminare e di correre “lentamente”,ma anche di giocare a palla,di tanto in tanto,con i suoi compagni che come lui potevano permetterselo,o con la stessa Katherine.

Come avrebbe fatto senza la sua Kate?

Ma,soprattutto,come avrebbe fatto la sua Kate senza di lui?

Già si sentiva in colpa nell’immaginarsi uno degli educatori dell’equipe,Daniel ,Paula o forse lo stesso Leonard,dargli la notizia della sua assenza.

Era come se avesse avuto davanti i suoi occhioni lucidi,il suo viso corrucciato e la sua bocca imbronciata che,aprendosi storta, le accusava,con la voce profonda e con parole decifrabili con l’aiuto di un po’ di pazienza ,di averlo abbandonato.

Le lacrime che cominciarono a spuntarle dagli angoli degli occhi,dovute forse alla commozione, forse alla rabbia, sembravano a dir poco esagerate ma rispecchiavano esattamente il suo stato d’animo in quel preciso istante.

Non poteva fare a meno nemmeno di pensare agli altri ragazzi e ragazze,al fatto che avrebbe tanto preferito passare la giornata con loro piuttosto che in compagnia del suo divano e del suo televisore che,forse, a causa della terribile emicrania,non sarebbe nemmeno riuscita ad accendere.

Di certo,però,dato il suo stato di salute,non poteva rischiare di star male proprio davanti a loro,il che sarebbe successo quasi sicuramente a causa,più che altro,della febbre altissima che,oltretutto,poteva anche diventare una terribile fonte di contagio.

Si lasciò scappare un grosso sospiro che fu immediatamente interrotto dall’uomo che stava dall’altra parte del ricevitore.

“Adesso non è che devi stare ancora più male di quanto tu non stia già,per questo.Ce la caveremo Kate,te lo prometto!”

La conosceva bene,oramai,dopo cinque anni di lavoro insieme e di stima reciproca che aveva dato origine a una bella amicizia.

E lei,di lui,si fidava ciecamente.

Non poteva non credergli e sapeva che, se tutto fosse andato per il verso giusto,il giorno dopo avrebbe rivisto Marc e gli altri.

“Riguardo a ciò non ho dubbi…Grazie capo!”

“E di cosa? Siamo una squadra no?”

Leonard aveva perfettamente ragione.

Erano una squadra,una grande squadra e per questo Katherine ringraziava il Cielo ogni giorno.

“Dai,adesso riposati e non strafare perché abbiamo bisogno di te!”

“Esagerato!”

La risposta immediata e il tono di voce della ragazza fece scoppiare entrambi a ridere,anche se Kate fu interrotta da un altro attacco di tosse.

Fortunatamente si riprese abbastanza in fretta.

“Non mi morire oh!”

“Va bene… Dai un bacione a tutti da parte mia,soprattutto a Marc!”

“Ehi!Ricordati che un buon educatore non deve fare preferenze!”

Il finto rimprovero dell’amico la fece sorridere ancora una volta.

“Hai ragione… ma non siamo macchine, siamo persone e non scegliamo noi a chi voler bene un po’ di più rispetto ad altri…”

“Già… e sono sicuro che la cosa sia reciproca da parte sua! Comunque sarà fatto…”

Seguì un attimo di silenzio prima che Leonard potesse prendere per l’ultima volta la parola.

“Curati, mi raccomando che ti aspettiamo!”

“Ok.Grazie ancora,Leo! A presto!”

Kate staccò così il ricevitore dall’orecchio e schiacciò il pulsante rosso che poneva fine alla comunicazione.

Rimase per qualche istante con l’aggeggio in mano e con lo sguardo immerso nel vuoto.

Negli ultimi anni aveva sentito davvero tante persone lamentarsi e generalizzare riguardo le condizioni disastrose della società americana, le terribili violenze,le malvagità e la gioventù moderna,ma non aveva visto nessuna di queste fare qualcosa per migliorare la situazione. Tutti erano buoni a parlare.

C’erano anche persone,però, che trovavano odiose queste lamentele e avevano avuto il coraggio di agire offrendo la loro vita per “rieducare” e aiutare gli altri,con amore,e per non permettere al male di trionfare sul bene.

Lei faceva parte di questo gruppo insieme a Leonard,Daniel,Paula,Denny,Sandra,Olivia e tanti altri e questo la rendeva fiera e le permetteva di affrontare ogni nuova giornata con il sorriso sulle labbra.

Come al solito,parlare con quell’uomo di quasi quarant’anni,barbuto,con gli occhi chiari ,i capelli rossicci e le origini texane,aveva la straordinaria capacità di metterle il buon umore e di infonderle una sincera sicurezza.

Era stato lui che le aveva fatto forza nel momento più buio della sua vita.

Per questo motivo sentiva di dovergli molto e forse niente sarebbe bastato per ripagarlo.

Ma Katherine non aveva per niente voglia di peggiorare le condizioni della sua giornata ricadendo nei profondi meandri delle sue memorie più oscure.

Pose,quindi, l’apparecchio al suo posto.

Solo allora si rese conto di quanto avesse urgentemente bisogno di sdraiarsi.

Tutto intorno a lei sembrava rimbombare.

Stava provando,per la prima volta nella sua vita,cosa realmente volesse dire la parola “intontito”:nemmeno il miglior dizionario del mondo sarebbe stato in grado di descriverla meglio.

Tossì ancora,portandosi una mano davanti alla bocca,dirigendosi nuovamente verso il divano.

Non aveva nessuna intenzione di prendere pastiglie o pastigliette. Trovava di gran lunga più rinvigorente farsi una bella dormita.

Sarebbe ricorsa a medicinali solo in casi estremi,come aveva sempre fatto.

Arrivò,con non poca fatica,verso la sua destinazione.

Prima di sedersi,però,si tolse le solite e simpatiche ciabatte disordinatamente,tanto da lasciare,uno dei coniglietti sorridenti,con la faccia spiaccicata al pavimento.

Con i piedi caldi toccò il soffice tappeto e,abbassandosi,fece un ultimo sforzo per poter prendere il telecomando nero che giaceva,rovesciato, sulla morbida superficie.

Provò un enorme sollievo nel poggiare il suo sedere sull’ “abbastanza comodo”divano giallo.

Cercò di sistemare il meglio possibile il cuscino con la federa rossa e bianca di topolino,rigorosamente abbinata al pigiama,riponendolo in prossimità del bracciolo e rimase ancora per qualche istante seduta e poggiata allo schienale.

Puntando il telecomando verso il televisore ,pigiò,poi,il tasto “1” e attese l’illuminazione.

I suoni del programma precedevano sempre di qualche frazione di secondo l’immagine e,già dalle musichette capì che si trattava di un cartone animato.

Le sue ipotesi vennero confermate quando sullo schermo comparve un topolino marroncino che stava correndo per non essere acchiappato da un simpatico gattone bianco e grigio.

Non riuscì a trattenere una risata divertita nel vedere Tom,il gatto,fallire per l’ennesima volta nel tentativo di acciuffare Jerry,il topo,e lanciare una delle sue solite e buffe grida quando un ferro da stiro gli era finito sulla zampa bianca,diventata immediatamente rossa.

“Finalmente qualcosa di bello in tv!”

Disse tra sé e sé,ridendo ancora.

“Tom & Jerry” era uno di quei cartoni animati “senza età”,con la straordinaria capacità di divertire non solo i bambini ma anche gli adulti e gli anziani.

Le piaceva ricordare quei sabati,quando,insieme a suo padre,passava il pomeriggio a guardare le avventure di quei simpatici personaggi sul canale dei bimbi,tra pop corn,abbracci e risate.

Come attirata da una calamita verso quella trasmissione, si mise a braccia conserte,aspettando la fine dell’episodio che ricordava vagamente di aver già visto.

Ma il destino,il caso e la fortuna non furono favorevoli nel realizzare quel fine.

Un suono acuto provenne dal citofono.

Qualcuno aveva appena suonato.

Guardò l’ora digitale segnata sul video registratore: erano le otto meno venti.

Chi poteva mai essere a quell’ora?

Dopo aver scosso la testa,si portò una mano al viso in segno di disperazione e non riuscì ad evitare di sbuffare nel vedere la figura che le si presentava sullo schermo in bianco e nero.

Nonostante non fosse proprio vicinissima all’apparecchio,il volto di quella persona non le sembrava familiare.

Per questo fu costretta a combattere contro l’indecisione dell’aprire o del non aprire,nonostante sapesse benissimo che,come al solito,la sua umanità sarebbe prevalsa sempre e comunque su tutto.

Evitò di combattere contro il senso di colpa alzandosi non troppo di scatto per evitare di peggiorare la sua rincoglionitaggine e,senza spegnere la tv e lasciando le ciabatte capovolte in prossimità del tappeto,si diresse lentamente verso l’aggeggio dallo schermo illuminato.

Prima di rispondere cercò di contraddistinguere i tratti della figura che stava aspettando la sua risposta ma non ci riuscì,non soltanto a causa della febbre o della pessima visuale in bianco e nero,ma anche perché sembrava avere il volto coperto da un copricapo.

“Mah…”

Sopirò, e il suo viso assunse un’espressione alquanto stranita.

Con le sopracciglia alzate e gli occhi sbarrati schiacciò il pulsante che le permise di mettersi in contatto con la sua interlocutrice.

“Chi è?”

“Salve signora…se me lo permette vorrei solo farle una proposta…”

Le bastarono quelle poche parole pronunciate da una dolce voce di donna per capire di chi ,o meglio,di cosa si trattasse…

“Le piacerebbe essere felice?”

Testimoni di Geova,di prima mattina. Katherine alzò gli occhi al cielo prima di dire la solita,fatidica frase cercando di non essere scortese.

“…Guardi la interrompo subito,non mi interessa…”

“Ma signora,sono Testimone di Geova e vorrei farle conoscere il nostro creatore…”

Ma perché insistono sempre quando dici di no?

Kate cercò di mantenere la calma.

“la ringrazio,davvero, ma sto bene così…Arrivederci.”

“Arrivederci…”

Rimase a vedere la figura allontanarsi zoppicando dalla telecamera del citofono finchè lo schermo non si spense.

Stava per dirigersi nuovamente verso il divano,quando un istinto,un impulso,un calore strano e immenso,si impadronì di lei,della sua mente e del suo corpo,accompagnato da uno strano e atroce dubbio: Katherine?

Senza pensarci due volte,corse verso il balcone della cucina,quello che si affacciava alla strada.

Lo aprì velocemente e,automaticamente,non appena il suo sguardo si imbatté sulla piccola figura girata di spalle, le sue corde vocali furono solleticate dallo stesso calore impulsivo e la sua voce uscì,squllante e sicura,anche se leggermente ovattata, pronunciando una sola parola,un solo nome,quel nome:

“Katherine!”

Fu come un grido di liberazione.

Dio,i suoi vicini avrebbero potuto prenderla per pazza…Mettersi ad urlare un nome a squarciagola, e,per giunta ,un nome identico al suo, a quell’ora del mattino.

E se non fosse stata l’anziana signora che aveva conosciuto qualche tempo prima?

Se fosse stato solo tutto frutto della sua immaginazione dovuto alla febbre delirante?

Ma a Kate non importava.

In quel momento continuò a fissare la donna che rimase come immobilizzata per qualche istante e che esitò,titubante,prima di voltarsi verso la ragazza.

Era lei o non era lei?

Ma,poi,come per magia,non appena i loro sguardi si furono incrociati,tutto sembrò svanire,tutto cominciò ad avere senso,compresi i radiosi sorrisi che si scambiarono immediatamente.

Era lei,Katherine.

 

       

                                                                                                                                   ***





La febbre allucinante aveva avuto il sopravvento su tutto.

La giovane aveva fatto appena in tempo a mettere piede sul pavimento di casa,dopo aver raggiunto e recuperato l’anziana signora invitandola a passare un po’ di tempo insieme,che fu costretta a stendersi sul divano per non rischiare di crollare per terra.

Da quel momento la donna aveva iniziato a prendersi cura della ragazza,senza ansia e senza farsi prendere dal panico,rassicurandola,facendosi spiegare solamente,per filo e per segno,dove Kate teneva l’occorrente per preparare un tè caldo con miele e robe simili.

Doveva e voleva ricambiarle il favore,si sentiva in obbligo,ma non glielo fece assolutamente pesare,anzi,si comportava come se quella che stava assistendo fosse sua figlia.

Forse fu il delirio della febbre che spinse impulsivamente la giovane a raccontare alla donna del suo lavoro,di Marc e della coincidenza nell’averla trovata a casa,del fatto di avere delle origini italiane e che genitori che si erano trasferiti momentaneamente in Italia dopo la morte dei suoi nonni paterni.

Passò da un discorso all’altro,insomma,e forse le sfuggì qualcosina anche riguardo la storia di “Milk and Chocolate”,inventata dagli amici di suo fratello maggiore John,completamente diverso da lei, a cominciare dalla carnagione, bianca come il latte.

Quello che diceva sembrava non avere logica ma l’anziana la ascoltava e ascoltava, calma e pazienza,intervenendo di tanto in tanto con qualche esclamazione e qualche risata.

La presenza di quella donna l’aveva completamente ubriacata.

Mai e poi mai aveva incontrato una persona come lei.

Era speciale quello che provava nei suoi confronti,non sapeva come altro descriverlo e in cuor suo sapeva e sperava che questa specie di sentimento-affetto fosse condiviso.

Le sembrava di conoscerla da una vita.

Con lei si sentiva se stessa e nemmeno la donna sembrava provare un qualche tipo di imbarazzo nei suoi confronti.

Era come se,in un certo senso, “casa Katherine Russo”fosse diventata “casa Katherine…?”.

“Katherine,mi scusi,posso farle una domanda?”

La ragazza si rivolse a lei con voce rauca e alquanto nasale.

Dalla porta della cucina la testa dell’anziana fece capolino e il suo dolce volto sfoggiò un radioso sorriso.

“Certo cara,ma ti prego,dammi del tu…”

Indossava un bellissimo completo verde smeraldo,gonna e giacca abbinata.

Quest’ultima,semi aperta,lasciava intravedere il colletto bianco e lavorato in pizzo,di una camicia color avorio che,a occhio e croce,sembrava essere di seta.

Sotto quel grande cappotto marrone,che la donna ora aveva appoggiato sullo schienale di una delle sedie,Kate non avrebbe mai immaginato che ci potessero essere dei vestiti così eleganti.

In quel momento la testa le si riempì di interrogativi,nessuno dei quali sembrò risultare poi così tanto importante.

La cosa più strana fu che continuava a tenere in testa lo scialle che,come l’ultima volta,lasciava intravedere ciuffetti ricci di color castano scuro.

Kate annuì ,contraccambiando il sorriso e voltandosi sul fianco sinistro.

“Come hai detto che fai di cognome?” le chiese,poi.

Seguì un attimo di silenzio.

Era una domanda che voleva e doveva farle.

Da quando si erano viste era passato poco più di un mese e,per tutto quel tempo,la giovane aveva continuato a chiedersi dove avrebbe potuto rintracciare l‘omonima.

Si erano lasciate così,di fretta,salutandosi con una semplice stretta di mano,.troppo poco dopo quello che era successo.

Ma Kate sentiva il bisogno di sapere.

Voleva assolutamente conoscere quella donna misteriosa…Non riusciva a spiegarsi perché una strana forza la attirasse a lei.

Doveva scoprirlo.

Per due settimane consecutive si era alzata all’alba,aveva preso la sua bicicletta e aveva ripercorso la strada,sperando di incrociare la donna,ma tutti i tentativi erano stati vani.

Il segreto era semplicemente “aspettare”… e l’anziana era così piombata in casa sua,un giorno lavorativo qualunque.

Strano,vero?

“…Scruse..”

Un sussurro interruppe i pensieri della ragazza.

Strusciando i piedi sul pavimento e con un vassoio di scarsa porcellana bianca con tazze abbinate in mano,la donna si stava dirigendo verso di lei.

Tenerissima come immagine anche se il suo volto sembrava incupito.

Kate se ne accorse e,facendole spazio sul divano,la invitò a sedersi indicandole con un cenno di appoggiare ciò che aveva tra le mani sul tavolino di fronte.

Con movimenti lenti l’anziana accetto gli inviti.

Gli occhi scuri brillavano,lo sguardo era completamente perso nel vuoto,in chissà quali pensieri.

Una cosa era certa:aveva un segreto,un grande segreto.

Ecco un’altra grande cosa che le accomunava.

Sembrava che avesse un estremo bisogno di parlare,bisogno di essere ascoltata ma che avesse una terribile paura di aprirsi,paura di fidarsi.

E questo era comprensibilissimo dato che era la seconda volta che si vedevano.

Prese una delle tazze e la porse alla ragazza con un sorriso che a Kate parve indeciso.

“Grazie…”

Mormorò poi la fanciulla,contraccambiata con un altro benevolo e profondo sguardo della donna.

Ci fu un altro istante di silenzio…alquanto imbarazzante.

Solamente il tintinnio dei cucchiaini contro le tazze fumanti lo interrompeva,insieme al vocio della tv e alla musichetta del telegiornale.

Tutto ciò era assolutamente necessario perché si creasse l’atmosfera necessaria,affinchè quella Volpe potesse riuscire a fidarsi del Piccolo Principe.

Ma la Katherine-Volpe,prima di mettersi nelle mani della Katherine-Piccolo Principe,aveva bisogno di essere addomesticata.

E questo richiedeva tempo,tanto tempo.

Nei meandri dei suoi pensieri,la giovane si voltò a fissare la “quasi amica”che continuava a mantenere lo sguardo basso e cupo.

Avrebbe voluto poggiarle una mano sulla schiena in segno di conforto,rassicurarla che le sarebbe stata vicina qualunque fosse stata la causa delle sue preoccupazioni.

Ma non lo fece.

Quella signora le faceva tenerezza,pena,compassione…ma queste erano parole brutte da usare.

“Materno”,questa era l’aggettivo esatto per definire il sentimento che la caratterizzava.

Per questo pensò che fosse giunto il momento di cacciare la tensione che si stava creando interrompendo il silenzio.

La sua attenzione venne catturata dallo schermo televisivo e dal simpatico volto del giornalista John Roberts che,come sempre,ben pettinato,leggermente incipriato e vestito elegantemente e con lo sguardo fisso verso l‘obiettivo,pronunciava con fermezza e decisione le notizie del giorno.

Sperò fino all’ultimo che oltre alla testa,le news non le facessero girare anche qualcos’altro…

“Otto milioni di dollari sembra essere la cifra che Deborah Jeanne Rowe,oramai dall’otto di ottobre ufficialmente ex moglie del celebre Re del Pop Michael Jackson, riceverà dal cantante per rinunciare alla custodia dei due figli,insieme alla villa di Beverly Hills,secondo ciò che i due ex coniugi avevano stabilito nel contratto prematrimoniale…”

Come non detto.

“Ma tu pensa se è il caso di parlare di queste cavolate al telegiornale… ”

La giovane Katherine interruppe la voce dello speaker,senza distogliere lo sguardo dallo schermo sul quale avevano iniziato ad essere proiettate immagini di una donna robusta e dai capelli biondi ,vestita con Jeans e maglietta,correre e cercare inutilmente di coprirsi il volto dai flash dei paparazzi e dalle luci delle telecamere.

Debbie Rowe.

“Con tutte le cose importanti che ci sono da dire…E guarda quella poveretta come si copre… Dio, ma perché non li lasciano un po’ in pa…”

La ragazza si voltò verso l’omonima per cercare il suo consenso,ma fu costretta a troncare la frase dopo aver notato,ancora una volta,l’espressione sempre più incupita e preoccupata della donna che,come se non bastasse,aveva iniziato a tremare.

Presa dallo spavento Kate,dopo aver poggiato sia la sua tazza che quella dell’anziana,dopo avergliela tolta dalle mani con delicatezza,sul tavolino,le si avvicinò poggiando le mani sulle sue.

Difficile capire quale delle due le avesse più calde.

“Katherine,che succede? Non stai bene?”

La donna respirò profondamente per due o tre volte,senza rispondere e evitando di incrociare lo sguardo con quello della ragazza.

Poi sembrò calmarsi. Fortunatamente prima che alla giovane potesse venire un infarto…

Gli occhioni grandi,poi,si incrociarono con quelli a mandorla e rimasero a fissarsi per qualche istante.

Infine,un leggero sorriso sulle labbra dell’anziana,bastò per far ritornare la serenità nell’animo dell’altra.

“Tutto bene cara,scusami…”

La senior iniziò ad accarezzare,come la prima volta,tra le sue le mani della junior che iniziò subito a scusarsi.

“Sono mortificata,ho alzato la voce e ti ho spaventata e non era proprio il caso…”

La donna sorrise e la tranquillizzò.

“Oh no,cara!stai tranquilla non è colpa tua.Ti capisco,ho nove figli e quando sono insieme alzare la voce è altro…Sono solo preoccupata per… Non è che avresti un telefono per favore? Ti pago la chiamata…”

Eh sì,qualcosa che non andava c’era eccome.

Ma Kate,più di ogni altra cosa,rimase stupita dall’insolita proposta della donna di pagarle la chiamata.

“Ma non ci pensare neanche.Fai pure come se fosse casa tua! Il telefono è sul muro della cucina…Ma se posso esserti d’aiuto…”

“Oh no tesoro,tu stai già male…Devo solo chiamare mio figlio,a quest’ora sarà preoccupato e lo avviso che sono qui.Grazie”

Così dicendo,dopo aver contornato con una carezza il capo della giovane,si alzò lentamente e si diresse verso la cucina,zoppicando.

Kate rimase stancamente a seguirla con lo sguardo anche se,data la rincoglionitaggine,ci stava capendo poco o nulla.

Ma i conti non tornavano.

E lei voleva e doveva assolutamente farli tornare.

D’un tratto un lapsus,e l’interrogativo fu spontaneo.

“Caz…Nove figli?!?” 



 

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