Non sono io...è il mondo che gira al contrario!

di alchemist
(/viewuser.php?uid=73809)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Basta! ***
Capitolo 2: *** Chiudendo gli occhi ***
Capitolo 3: *** Solo un sacchetto di patate ***



Capitolo 1
*** Basta! ***


 1-Basta!
 



Basta. Avrebbe voluto dirlo, ma non gli sembrava opportuno, perché lui si dovesse preoccupare tanto di cosa era opportuno e cosa no, neanche questo gli era più tanto chiaro, dato che sembrava non importare a nessun’altro oltre a lui.

- Doitsu! Doitsu! – strillava come sempre Italia lui lo seguiva con lo sguardo. Anche se non avesse voluto farlo il suo senso del dovere glielo imponeva. Chi altri poteva controllare quell’idiota scalmanato se non lui? E se poi si faceva male quando era con lui? Sapeva che non sarebbe riuscita a perdonare facilmente se stesso... si chiedeva perché, dato che nessun altro invece avrebbe dato tanto peso alla faccenda.

Perché lui era l’unico che prendeva le cose sul serio? L’aveva sempre fatto, senza che nessuno glielo chiedesse, pensava fosse il normale e giusto comportamento che avrebbe dovuto tenere un essere umano, ma ultimamente era stato costretto a ricredersi, perché solo lui seguiva quel rigido stile di vita!

Eppure, anche se se n’era accorto e ora si sentiva ingannato dalla vita, sapeva benissimo che avrebbe passato il resto dell’esistenza stretto nel vincolo di regole che ormai valevano solo per lui, ma che pur troppo lui non si sentiva in grado di infrangere, perché dentro di sé sentiva la loro forza e la validità dei suoi principi. Anche se gli avessero detto che non c’era bisogno che lui fosse così, rigido, serio, senza senso dell’umorismo, lui non poteva farci nulla e stava male ogni volta che gli diceva nodi lasciarsi andare.

Per le persone normali bastava ubriacarsi un po’, ma sapete qual è la cosa bella di essere la Nazione patria della birra e terra dei migliori bevitori del pianeta? Che proprio come il suo popolo prima di ubriacarsi gli servivano ettolitri di superalcolici e in ogni caso, lui non si sentiva quasi mai in grado di lasciare la sua gente da sola e disorientata perché lui aveva bisogno di staccare un po’ e starsene senza pensare.
E quel’era la ciliegina sulla torta? Esatto, nel suo stato attuale, anche se avesse deciso di ubriacarsi sarebbero successe solo cose spiacevoli. Due erano le opzioni che vedeva davanti a sé in quel caso: svalvolamento completo e uccisione per strangolamento di qualche insulso passante o, peggio ancora, una sbronza triste.

Per questo lui non si lasciava andare mai. Aveva paura. Esatto, aveva una fottuta paura di star peggio una volta tornato in sé, aveva paura di far del male a qualcuno, aveva paura di mostrarsi per quel che era veramente. Un depresso con voglie perverse inconfessabili che si era innamorato veramente una sola volta nella sua vita e che era stato mortalmente ferito. Sia nel corpo, per la guerra che aveva appena combattuto, sia nel cuore, quando, tornando a casa, aveva scoperto di averla perduta.

Da quel momento era cresciuto, le ferite erano guarite alla stessa velocità con cui credeva che il suo cuore fosse morto. Non lo sapeva davvero cosa fosse quel muscolo che batteva dove una volta aveva provato tante cose meravigliose, ma di una cosa era sicuro, non era il cuore che ricordava. Non lo stesso cuore che aveva da ragazzino, quando il suo nome e il suo corpo non erano ancora cambiati, quando a casa con lui c’erano tante Nazioni, mentre ora c’era solo Prussia a tormentarlo e quell’italiano sregolato e sciocco che non pensava mai a quello che faceva. Si sentiva come una madre frustrata che deve gestire le scenate dei figlio adolescente e le lagne di quello appena nato.

E in quel momento, nonostante fosse seduto sul suo divano, con una birra in mano davanti a una partita, aveva una gran voglia di dire basta e radere al suolo tutto quello che non avrebbe risposto subito al suo ordine.
Feliciano non faceva che commentare (urlando) continuamente che la strategia di gioco dei suoi era stupida. Perché conosceva tanto bene quello stupido gioco e non riusciva nemmeno a capire quale parte di una granata lanciare? Si chiedeva e non trovava una risposta che non lo facesse infuriare.
Per non parlare di quel nulla facente di suo fratello che blaterava riguardo a quando fosse scortese la gente che non si inchinava al passaggio della sua magnifica persona, e che con la sue stupide chiacchiere copriva la voce dei cronisti.

Così, Ludwid, aveva come audio e l’irritate voce di Gilbert unita a quella lagnosa di Feliciano e l’unica cosa che riusciva a comprendere era che la germania stava perdendo tre a uno.
Ed è facile e logico capire come la cosa avrebbe mandato in bestia chiunque. Lui tentò anche di resistere alla voglia contrastante che aveva dentro di sé: quella di sbraitargli contro e quella di andarsene semplicemente, tentando di allontanarsi da tutto quel frastuono.

- Basta. – mormorò dopo un’attenta analisi della situazione, mentre la sua pazienza svaniva, evaporata dalle loro chiacchiere. I due non lo sentirono nemmeno.
- BASTA!! FATE SILENZIO! – urlò lanciando la bottiglia di birra contro la parete, mandandola in frantumi. In un attimo Prussia lo fissava senza capire, piuttosto irritato che qualcuno avesse interrotto il suo fantastico discorso e Italia era rannicchiato in un angolo del divano, spaventato, mentre cominciava a frugare nelle tasche alla ricerca di una bandiera bianca.
Lui li fissò con rabbia mista a rammarico, perché, nonostante finalmente lo avessero ascoltato e avessero chiuso entrambi la bocca, capiva dalle loro espressioni che loro invece non avevano capito minimamente perché lui avesse reagito in quel modo.

Ma Germania non era un tipo che amava spiegarsi, né, soprattutto avrebbe sopportato oltre di trovarsi davanti a persone che non potevano e mai avrebbero potuto comprenderlo... lui stesso infondo non voleva che loro scoprissero chi lui era veramente. In un certo senso sentiva che il vero se stesso era qualcosa di troppo privato che non sarebbe mai riuscito a mostrare a chicchessia.

Tentò di regolarizzare il respiro. Alle sue spalle ora la voce del cronista si sentiva chiara, come il fischio della fine che annunciò ufficialmente che la Germania aveva perso la partita. E lui si chiese perché erano sempre le cattive notizie a giungere forti e chiare alle sue orecchie.
Tentò di incanalare parte della sua frustrazione generale, mentre esprimeva sottovoce il suo disappunto sul risultato della partita: - Merda... – e come aveva previsto anche poco prima di soffiare fuori quella parola, non si sentì meglio abbastanza da pensare che non fosse stato solo fiato sprecato.

Con questi pensieri nella testa si chiuse nella sua camera, vagando per una meta indefinita fino a sedersi in fondo al suo letto. Poi, lentamente, si lasciò scivolare a terra, gettando la testa all’indietro sul materasso. Sentì la voce infantile di Feliciano dire: - Beh, non c’era mica bisogno di arrabbiarsi così... non è mica colpa nostra se stasera la Germania ha giocato tanto male!
E Ludwig si obbligò a non pensare oltre.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chiudendo gli occhi ***



Quando finalmente riuscì a riportare la sua mente ad una dimensione intima ma comunque razionale, Ludwig ricordò che in fondo non era sempre così terribile essere una nazione... sì, c’erano periodi in cui si sentiva addirittura orgoglioso di quello che era, del tipo di persone che lui unificava sotto un nome ben preciso.

Anche in quel momento, nonostante avesse un corpo fatto di carne e ossa, poteva facilmente percepire come una parte di sé ogni singola persona che si sentisse tedesca. Come faceva? Gli bastava chiudere gli occhi, fare un respiro profondo e subito la sua anima abbracciare ogni parola sussurrata, ogni centimetro di terra, ogni bambino che schiacciava goffamente delle patate in un piatto.

Gli bastava chiudere gli occhi per viaggiare in ogni angolo della sua terra, per sorvolare con lo sguardo la sua capite, in parte, come lui, amareggiata per la sconfitta di quella sera, e probabilmente influenzata la città stessa dalle sue sensazioni e dalle sue esperienze. Quella sera vi erano state parecchie liti, nella città... liti tra fratelli, liti con gli immigrati italiani... proprio come lui aveva litigato in salotto con Feliciano e Gilbert.

Già, tutto era collegato. Lui subiva ciò che la sua terra faceva e lo stesso succedeva al contrario. E se lui quella sera era scoppiato, non avrebbe mai potuto sapere se fosse stato per lo studente che aveva ucciso i suoi compagni a nord del paese o se magari fosse stato il contrario e la sua inquietudine avesse riempito la mente di quel giovane fino a fargli compiere un atto del genere.
Vagò ancore per il suo paese, come una persona che passeggia tranquilla dentro casa propria, senza aspettarsi nulla di nuovo o inaspettato.

“Che diavolo significa!” la sua attenzione venne attirata da quella frase urlata da una voce femminile nel ricevitore di un telefono. Mentre lui concentrava in quel luogo la sua attenzione i muri della città sparivano, presentandogli la ragazza arrabbiata che misurava la sua stanza a larghi passi.

“No...” sospirò quella “Certo che no, per chi mi avete preso, io non posso sempre...”
La giovane donna volse lo sguardo stanco al soffitto, guardò l’orologio appeso alla parete. La persona dall’altro capo del telefono le stava riempiendo la testa di stupide scuse per riuscire a cavarsela ancora una volta a sfuggire come sempre al proprio lavoro.

“Ma.. in questo modo..!” provò ancora a dire lei, cercando di farsi rispettare, ma il suo interlocutore era incredibilmente logorroico e lei era talmente stanca... alla fine come sempre cedette. “Va bene... vorrà dire che proverò a farlo da sola.... sì, sì, lo so. No, ma penso che se ci lavoro tutta la notte dovrei farcela... certo, certo, capisco. Beh, a domani..”
Chiuse la telefonata e rimase un secondo a fissare il cellulare, quell’orribile meccanismo elettronico che ancora una volta l’aveva incastrata. Solo fissandolo, la sua rabbia crebbe a tal punto che in uno scappo d’ira alzò di scatto in braccio con l’intenzione di scaraventarlo contro la parete.

Ma un secondo dopo si fermò. Espirando, l’aria che usciva dai suoi polmoni fremette come carica di tutto quello che stava reprimendo ancora una volta. Butto il telefono sul letto. Si stiracchiò, guardò ancora l’orologio. Erano le tre e un quarto. Sbuffò sedendosi alla scrivania e accese il computer che aveva spento solo qualche minuto prima di quella stupida telefonata.

Un sorriso amaro apparve sul volto di Germania, che, chiuso nella sua camera, pensava che da molto tempo ormai non trovava un tedesco del  “vecchio stampo” per così dire, una persona che come lui, non poteva lasciare un lavoro incompiuto, anche quando non era giusto, anche quando tutti si approfittavano della sua bravura.

- Che destino il nostro... – sussurrò piano, tra sé e sé.

Dietro le sue palpebre la ragazza si girò di scatto, trattenendo il respiro, come se avesse potuto sentire la voce della sua stessa nazione compatirla. Ludwig trattenne il fiato con lei, colpito da come quella donna si fosse girata al momento opportuno, dando alla nazione l’illusione che qualcuno potesse sentire in qualche modo la sua voce così lontana.

La ragazza si chiese cosa fosse stata quella strana sensazione che l’aveva indotta a girarsi, che le aveva fatto percepire la presenza di qualcuno alle sue spalle. Si passò una mano tra i capelli, pensierosa, ma poi si riscosse e il suo lavora la assorbì completamente.






Beh... se vi eravate chiesti dove fosse il novo personaggio... pare che la risposta sia questa! Ho scritto poco, lo so, ma ancora devo scoprire io stessa come si svolgerà questa storia, quindi abbiate pietà...
diciamo che quella che voglio presentare è una Germania che dopo la seconda guerra mondiare ha perso parecchio smalto, e Ludwig guarda il suo popolo come se lui stesso si guardasse allo specchio e nn riuscisse a riconoscersi per quel che era un tempo...
Questa ragazza forse gli restituirà un po' di speranza... anche perchè se nn ci riesce questa storia nn avrebbe senso di esistere!
Spero che comunque possa piacervi, anche se è un po' inusuale...

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Solo un sacchetto di patate ***


 Strano, stano veramente a dirsi, ma per qualche giorno Ludwig non ebbe problemi a gestire la sua vita. Sarà stato perché Italia era tornato nel suo paese o perché Prussia si era preso una sbornia tale che ora era perennemente inchiodato sul divano... tuttavia la cosa gli sembrava strana, inusuale... e lui non c’era per niente abituato.

Lui amava la tranquillità, ma quella tranquillità ora era talmente piena di tensione che lo faceva agitare senza motivo. Si alzò quella mattina rassicurato da una giornata che non prevedeva nulla di straorinario: le solite cose, tranquille passeggiate tra la sua gente, tentando di non imbattersi in Nazioni spiacevoli (come solo Francia e pochi altri potevano essere...), costruire orologi mentre ascoltava con rammarico tutto quello che aveva da dirgli il suo capo di stato... e poi tornare giusto in tempo per portare generi di sostentamento al suo inutile fratello del levante (ovvero delle buone Heineken con cui riuscire a scrollarsi di dosso quello che era rimasto della stanchezza del suo dopo festa).

Fu per lui ancora più inusuale, anzi, quasi allarmante quando, mentre rifiniva i dettagli del suo nuovo orologio vecchio stampo e dava uno sguardo ai progetti del nuovo motore della Mercedes,  si rese conto che non riusciva a concentrarsi su quello che il suo capo gli stava dicendo né sul suo lavoro. Si chiese se ci fosse qualcosa che non andava in lui e, mentre solo per un attimo permetteva a se stesso di distrarsi per capire cosa volesse fare veramente in quel momento (cosa che comunque non avrebbe mai fatto prima di finire il suo lavoro), si accorse che aveva solo voglia di starsene da solo ad ascoltare i sentimenti della sua gente ad occhi chiusi, come aveva fatto due sere prima.

Sentì un brivido attraversarlo e corrucciò la fronte mentre lo ricacciava da dove era venuto, imbarazzato da se stesso e chiedendosi se forse, il comportamento delle altre Nazioni non lo stesse influenzando negativamente.

- Ma... mi stai ascoltando? – chiese il suo capo ad un tratto interrompendo il suo monologo, la sua interminabile predica... Germania si riscosse ed arrossì, non sapendo cosa dire, mentre si accorgeva di non aver prestato la minima attenzione agli ultimi tre minuti di ramanzine.

Rimase davvero sconvolto da se stesso, completamente a bocca aperta. “Ecco un uomo adulto, una rinomata nazione che rimane a  bocca aperta davanti al suo capo di stato! “ pensava “ C’è qualcosa di più umiliante? È davvero caduta così in basso, la mia situazione?”

Umiliato da se stesso non poté far altro che scusarsi rammaricato e chiedere di ripetere l’ultima frase al suo interlocutore. Anche quello rimase turbato dal suo insolito comportamento e subito chiese: - Sta per caso succedendo qualcosa di grave da qualche parte?

- No! No, nulla di gravissimo per lo meno... lo sa, le solite cose, solo in questo periodo ho avuto... non sono stato troppo bene... – tossicchiò imbarazzato – ..ultimamente.

Il suo capo lo guardò con sospetto e, dopo solo un’altra mezz’ora di raccomandazioni lo spedì a casa, con la promessa che si sarebbe riposato per il resto del pomeriggio.

Germania uscì dall’ufficio e, mentre un sospiro afflitto gli sfuggiva dalle labbra, si chiese se qualcuno potesse davvero pensare che una nazione potesse avere un pomeriggio per rilassarsi...

Passò a comprare un po’ di quel sano cibo tedesco che non riusciva più a mangiare in santa pace da quando Feliciano si era praticamente stabilito a casa sua e da quando aveva riempito le sue strade di catene e catene di ristoranti.

Mentre aspettava così, vestito come un impiegato qualunque, con due sacchetti della spesa, ad una noiosa stazione della metro nei sotterranei di Berlino, un ragazzo passò correndo e quasi lo spinse sui binari.

Ludwig si vedeva già due metri più sotto frastornato dalla testata che avrebbe dato ai binari della metro, quando invece i sui riflessi reagirono più velocemente del suo cervello e gli impedirono di cadere di sotto. Ma quale fu il prezzo? Ebbene, nel momento in cui la spinta di reni non era bastata a fargli recuperare l’equilibrio, le sue braccia avevano reagito come spesso reagiscono le braccia, quando si sta per cadere in avanti: roteando all’indietro.  Ma se in una mano aveva un sacchetto la cui elasticità e resistenza al peso era fortemente messa alla prova da sei confezioni di wurstel e quattro confezioni da tre lattine di birra ciascuna, l’altro sacchetto era relativamente vuoto e leggero, contendo solo un misero sacchetto di patate.
Per cui, quel sacchetto, probabilmente a causa della sua leggerezza o magari per intercessione di una buona stella o forse ancora perché qualcuno aveva voluto minare i suoi progetti per pranzo, cadde sui binari e, mentre lui inveiva contro quel ragazzino maleducato che non aveva nemmeno chiesto scusa per averlo quasi fatto ammazzare, il suo sacchetto di patate, il suo futuro contorno e la sua speranza in qualcosa che tenesse occupata la bocca di suo fratello per qualche minuto di più, venne brutalmente dilaniata dalla precisa e veloce metro della sua capitale.

Per un momento, mentre fissava il treno che rallentava davanti a lui e a tutti gli altri impiegati ebbe l’impressione che il suo sguardo afflitto e sconsolato, fisso sulla fessura tra treno e banchina, facesse trasparire un po’  troppo il disagio che provava in quel momento. Una vecchia donna lo fissò e lui abbassò lo sguardo di scatto quando se ne rese conto, incrociando degli occhi che, nella confusione e nell’estraneità che in quel momento lo stava assalendo, gli risultarono rassicuranti e familiari.

- Su, ragazzo... – mormorò l’anziana – non viviamo più in tempi in cui un sacco di patate vale la vita di una persona!
Ludwig rivisse per un momento la guerra attraverso gli occhi di quella donna, le cicatrici su torace e sulla schiena gli pulsarono dolorose al ricordo di quello che era stato. Già, ora si viveva bene, ora tutto era diverso, era migliore.

- Già, - rispose alla signora, mentre la porta si apriva davanti a loro – quei tempi sono lontani, per fortuna.

Negli occhi della donna, subito dietro ad un sorriso di rimando, vide il muto stupore che una donna di settanta e passa anni prova quando vede quello che sembra un giovane uomo parlare come se avesse combattuto lui stesso la guerra. Germania se ne accorse e si voltò, facendosi spazio tra i corpi pressati nel piccolo abitacolo che già sfrecciava nelle gallerie.

Non fece nemmeno in tempo ad inserire le chiavi nella porta di casa che  quella si spalancò, presentandogli suo fratello che lo guardava come si guarda un cameriera in ritardo.

- Come hai potuto lasciarmi tanto a lungo senza nulla da bere! Devo ricordarti chi hai davanti, West?

- Se stavi morendo per mancanza di liquidi c’è sempre l’acqua, sai? – mormorò in un sospiro il giovane mentre posava la spesa e si toglieva di dosso la giacca.

- Puah! Sei diventato bravo con le battute, fratellino, penso di averti sottovalutato, divertente davvero! Ma seriamente, come magnifica persona quale sono, rovinerei la mia immagine a bere qualcosa di tanto volgare... – decretò con tutta la serietà che solo lui riusciva a mantenere mentre declamava affermazioni di quel tipo.

Ludwig gli recuperò una bottiglia dalle confezioni appena comprate e tirò fuori una padella per cuocere i wurstel mentre l’altro tornava a sdraiarsi sul divano.
Poi, mentre le salsicce cominciavano appena sfrigolare, lentamente, soppesando le parole, Germania cominciò a parlare.

- Sai, mi chiedevo...

- COSA?! NON TI SENTO! – urlò il fratello dalla stanza adiacente, senza però abbassare di una sola tacca il volume della televisione.

Il biondo si spostò verso la porta, appoggiandosi allo stipite e incrociando le braccia al petto. Sentire la camicia tirare leggermente per quel movimento lo fece sentire abbastanza al sicuro da spingerlo ad andare avanti in quella che quasi certamente sarebbe stata una discussione inutile, uno sfogo che gli sarebbe costato mesi e mesi di prese in giro da quello che era il fratello maggiore più terribile che si potesse desiderare.

- Mi chiedevo... – ricominciò Ludwig. – Ti capita mai di chiudere gli occhi e cercare qualcuno in cui rispecchiarti, qualcuno che ti faccia ricordare perché sei ancora una nazione?

- Ti ricordo che io non sono più una nazione, caro fratello. – rispose l’atro con una freddezza che Germania aveva sentito poche volte nella voce dell’albino, ma anche con una serietà che mai e poi mai si sarebbe aspettato da lui.

- Ehm... cioè, scusa, insomma, non volevo dire... – balbettò del mal riuscito tentativo di rimediare a quello che si era lasciato sfuggire. – Quindi... ti è mai capitato, magari prima?

Gilbert si girò verso di lui, mettendosi seduto a guardarlo da sopra lo schienale del divano: - Perché pensi che la mia meravigliosa persona non possa fare tutt’ora una cosa del genere? Anche se ora noi due siamo la stessa cosa, io esisto ancora, non credere che perché ora Berlino è tua tu possa permetterti di essere al mio stesso livello!

Germania fissò il pavimento e pensò che sarebbe stato meglio finirla con la serie di disastri che stava combinando quel giorno e concentrarsi su qualcosa che di più utile, come ad esempio, girare i wurstel nella padella.

Ma prima che potesse eclissarsi nella cucina, Prussia riprese a parlare: - Tutte le nazioni amano farlo, è una cosa naturale, fa parte di quello che siamo... come si può riuscire se no ad ispirare i rivoluzionari? Da dove pensi che nasca se no quel sentimento di patriottismo che ogni tanto in alcuni è più forte? Tutti loro siamo noi, ma quando troviamo qualcuno che sentiamo davvero vicino, allora è difficile trattenersi dal seguirne la vita.

- E secondo te possono sentire la nostra presenza, quando li osserviamo dall’interno di noi stessi? – chiese allora Germania, mentre sentiva in cuore accelerargli di qualche battito, al ricordo di quella giovane che si era girata di scatto, come se potesse sentirlo, come se sapesse.

La risata fragorosa di Prussia riuscì però a raggelare tutto il suo entusiasmo in un nanosecondo e a farlo vergognare ancora per quel comportamento così sentimentale che quel giorno non riusciva a scrollarsi di dosso. Gilbert si alzò dal divano e, sempre ridendo lo raggiunse, facendogli abbassare le spalle sotto il suo braccio, quando glielo passò dietro al collo: era grande e potente il suo fratellino, ma quando per un momento si intravedeva la sua anima di bambino ricordava improvvisamente che una volta era un bimbo piccolo e presuntuoso che non paura a mostrarsi stupito per qualcosa, che combatteva per quello che voleva, con grinta e passione, qualcosa che, ora che era un uomo, aveva perso o comunque celato molto bene all’interno di se stesso.

- Che scemenza! Ma che vai dicendo oggi? Il troppo lavoro ti sta stancando, fratellino. Andiamo! Una persona? Una persona in carne ed ossa che avverte la presenza dello spirito della propria nazione? Posso arrivare a capire che qualcuno sia rimasto stranito incrociandoti per strada, che qualcuno ti abbia scambiato per  un familiare, che una bambino ti abbia sorriso inconsciamente, ma che una persona ti abbia avvertito senza che tu fossi lì in carne ed ossa...

- Era... era solo una supposizione, lo so che è impossibile, cosa credi? – si affrettò a dire Germania in sua difesa, tornando più simile a quello di sempre.

- Non credere a quello che racconta quel francese matto, - continuò Gilbert - anche lui si è fatto vedere e toccare dalla sua Jeanne d’Arc, è più che certo! Quel pervertito! Chissà che trattamento la avrà mai riservato...

Ricordando la storia che spesso Francis amava declamare, su di lui e sul suo grande amore, la Pulzella d'Orléans, Ludwig ebbe un tuffo al cuore, ma non lo diede a vedere. Girò i wurstel.

- Parliamo di cose più importanti. – propose Prussia, avvicinandosi ai fornelli e alla busta della spesa abbandonata sul tavolo al centro della cucina. Sbirciò all’interno del sacchetto e ne riemerse imbronciato. – Anzi, oserei dire vitali... perché non hai comprato le patate?






P.S. Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto davvero troppe cose da fare...
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che mi senguono e soprattutto quelle che hanno commentanto.Grazie di cuore!
Per cui spero solo che anche questo terzo capitolo vi piaccia e che non vi siano troppi errori di battitura, dato che l'ho postato senza ricontrollarlo a dovere...

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=610961