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Il
Mai Nato
- Capitolo 1: L’Incanto Fidelius infranto -
Era una notte buia e tempestosa. Il paesaggio era
immerso nel silenzio, tranne che per il continuo sferzare del vento sugli
alberi. All’improvviso, dal nulla apparve una figura. La figura di un uomo. Era
giovane, aveva appena ventuno anni, capelli neri e unticci che gli si aprivano
sul viso come due tendine e un naso adunco. SeverusPiton percorse un breve tratto di strada, fino a ritrovarsi
davanti a un’inferriata di una grande villa. Sfoderò da sotto la veste una
bacchetta di legno e la picchiettò una volta sul cancello. Il cancello vibrò,
poi annunciò:
«Dichiarate il vostro intento!» Piton rispose tranquillamente: «Sono qui per la
riunione con il Signore Oscuro»
Il cancello si aprì. Piton si avviò a passo
tranquillo verso l’imponente villa di LuciusMalfoy, che veniva usata anche come Quartier Generale.
Arrivato davanti alla soglia, bussò la porta. Poco dopo gli venne ad aprire NarcissaMalfoy.
«Ciao Severus» lo salutò.
«Ciao Narcissa» rispose Piton,
che entrò. Si recò subito nel salone, e vide alcuni Mangiamorte
già seduti, altri che dovevano ancora arrivare, e Lord Voldemort
seduto a capotavola, che accarezzava il suo enorme serpente Nagini.
«Benvenuto Severus» lo accolse Voldemort,
con la sua solita voce fredda e acuta. «Prego, siediti» Piton obbedì. Al momento c’erano solo i Malfoy, seduti composti, i Lestrange,
Codaliscia, che tremava tutto, Dolohov
e Rookwood. Attesero un po’, poi uno dopo l’altro
arrivarono tutti. Quindi Voldemort si alzò e cominciò
a parlare:
«Miei fedeli Mangiamorte, vi ho convocato qui per una
precisa ragione»
I presenti si fecero attenti.
«Il nostro vile Codaliscia, qui presente, si è appena
unito a noi». Voldemort lo indicò, e quello sprofondò
nella sedia. Alcuni Mangiamorte ghignarono. «All’inizio
non sapevo se fidarmi, ma poi mi ha dato alcune notizie che mi hanno convinto
della sua fedeltà» Voldemort fece una pausa.
«Ora, è giusto che tutti voi sappiate che il mio potere sta per svanire»
I Mangiamorte si irrigidirono e si guardarono attorno
spaesati. Bellatrix era giù sull’orlo di una crisi di
pianto, quando Voldemort continuò: «Sì, il mio potere
sta per svanire a meno che…»
Sospiro di sollievo generale. «…io non distrugga
questa minaccia prima che posso costituire un pericolo per me. La minaccia in
questione è la famiglia Potter»
I presenti trasalirono, Piton più di tutti, ma subito
dopo si ricomposero.
«Infatti, qualche giorno fa sono venuto a conoscenza del fatto che un bambino,
che sarebbe nato alla fine del settimo mese e da genitori che avevano già osato
sfidarmi in passato, sarebbe stata la mia rovina» Piton deglutì. Era stato lui a passargli quella
notizia. Ma la profezia che aveva udito alla Testa di Porco da Sibilla Cooman non parlava dei Potter.
«Dopo una lunga e attenta riflessione, sono giunto alla conclusione che il
bambino in questione è il figlio di James e Lily Potter» Piton stava per farsi prendere dal panico, quando si
tranquillizzò: Voldemort non poteva sapere si
trovasse la casa dei Potter, poiché protetta da un Incanto Fidelius. Ma, aspetta un momento…,
un dubbio atroce gli si insinuò nella mente. Voldemort
confermò con le sue parole: «Ed è qui che entra in gioco Codaliscia.
Fino a ieri, la casa dei Potter era protetta da un Incanto Fidelius.
Ma ora non più, dopo che Codaliscia mi ha rivelato il
luogo, rendendomi a mia volta un Custode Segreto» Piton boccheggiò. Era finita, Voldemort
avrebbe ucciso la donna che amava, e lui non poteva fare nulla per impedirlo.
Si fece prendere dal panico, e cominciò a sudare. Ma, prima che qualcuno se ne
accorgesse, controllò le proprie emozioni. Se se ne fossero accorti…
«Perciò» proseguì Voldemort, «volevo solo avvisarvi
che non dovete temere per la vita del vostro padrone. Mi occuperò della
faccenda stasera stessa. La riunione è terminata»
I Mangiamorte furono un po’ sorpresi dall’improvviso
congedo, ma si affrettarono a lasciare la casa. Solo Piton
si attardò: aveva deciso di chiedere a Voldemort di
risparmiarla, anche se ciò lo avrebbe portato alla morte.
«Mio Signore» esordì Piton, rivolto a Voldemort.
«Puoi andare, Severus» lo congedò di nuovo Voldemort
«Mio Signore, io devo chiedervi un favore» insistette Piton.
Ecco. Il salto nel baratro era stato compiuto. Voldemort
lo fissò con i suoi occhi rossi.
«Un favore, Severus?» ripetèVoldemort. «Tu osi chiedere un favore a Lord Voldemort?»
«Sì, Signore. Anche se ciò potrebbe uccidermi» rispose Piton.
Voldemort lo fissò a lungo, poi disse: «Tu possiedi
molto coraggio, Severus, una qualità che Lord Voldemort apprezza. Ora dimmi ciò che hai da dire» Piton deglutì. Che
culo, pensò, poi disse: «Mio signore, volevo chiedervi di risparmiare Lily
Potter. Uccidere il marito e il figlio, ma risparmiare lei» Voldemort inclinò la testa da un lato, e domandò: «Perché
mi chiedi questo, Severus?» Piton non rispose. Voldemort
non credeva nell’amore, non poteva rivelargli i propri sentimenti.
«Parla, Severus» ordinò Voldemort.
E Piton parlò, senza volerlo: «Perché sono innamorato
di lei» Voldemort rise, una risata senza gioia. «Dunque è
così!» Riflettè a lungo. Piton
sperava con tutto il cuore che acconsentisse. Poi Voldemort
lentamente annunciò il verdetto: «Se non creerà problemi la risparmierò. Ora
puoi andare, Severus»
«M-mio Signore» lo salutò Piton,
poi uscì, sperando con tutto il cuore che Lily non infastidisse Voldemort.
Voldemort
riapparve a Godric’sHollow.
Era ancora disgustato da ciò che Piton gli aveva
detto. Ma d’altronde non capivano che l’amore era una cosa per deboli, non era
un’arma, non salvava la vita. Osservò il villaggio. C’erano molte delle
patetiche imitazioni dei Babbani di un mondo al quale
non credevano. Si incamminò verso la casa dei Potter, e per strada incrociò un
bambino, che gli disse: «Bel costume, signore!» Voldemort si girò a guardarlo, e non appena il
bambino lo vide si spaventò e scappò via. Voldemort
fece per sfoderare la bacchetta, ma decise di lasciar perdere: aveva un altro
compito da svolgere. Continuò a camminare, finchè non
la vide, gioioso: la casa dei Potter, con l’Incanto Fidelius
infranto. Guardò la finestra e vide le luci accese. Si incamminò verso la
soglia. La porta era chiusa a chiave, ma per lui non era un problema. Puntò la
bacchetta e aprì la porta. Ma, non appena entrò, sentì una voce femminile
esclamare dal piano di sopra:
«James! Sono pronta, prendimi!»
Prima che Voldemort potesse fare altro, alla sua
destra si aprì una porta e ne uscì un uomo, che riconobbe come James Potter, ma
indossava un orrido abito sadomaso, tanto che perfino lui si schifò. James, non
appena lo vide, prese a bestemmiare, poi urlò: «Lily è Voldemort!
Presto, togliti le manette, scappa! Io lo intrattengo!» Voldemort si riscosse e rise. Come poteva sperare di
intrattenere lui, Lord Voldemort, se non aveva
nemmeno un’arma? Che stupidi che erano stati, a riporre la loro fiducia negli ami…
POW Voldemort ricevette un cazzotto in piena faccia.
Cadde a terra, poi sentì due mani che lo giravano e presero a strozzarlo. James
Potter lo stava strozzando. E lui, il mago più potente di tutti i tempi, si
faceva uccidere così? Voldemort lo allontanò con uno
sprazzo di magia, tossì, raccolse la bacchetta e la puntò contro James, che si
immobilizzò. Voldemort ebbe un altro attacco di
tosse, poi sorrise e disse: «AvadaKedavra»
Ci fu il consueto lampo di luce verde e James Potter cadde a terra come una
marionetta. Voldemort salì le scale, bramoso di
gloria. L’unica minaccia al suo potere stava per essere neutralizzata. Entrò nella
camera da letto dei Potter, e non fece caso a Lily Potter, con un completino
sexy e ammanettata sul letto, tanto era concentrato. Perquisì la stanza, ma non
c’era nessuno. Solo allora si girò verso Lily e gli disse in tono minaccioso:
«Dov’è?»
«L’hai ucciso…l’hai ucciso…»
singhiozzò Lily.
«Non tuo marito, cogliona» sbottò Voldemort. «Dov’è
tuo figlio?»
«F-figlio?» pianse Lily. «Noi non abbiamo un figlio» Voldemort fu sorpreso. Non era vero, non poteva
essere vero
«Stai mentendo!» urlò, poi gli lesse nel pensiero per accertarsene, ma le
parole di Lily erano vere: i Potter non avevano un figlio. Lì per lì si
incazzò, ma poi riflettè meglio: la profezia era
falsa. Non si era avverata. O forse si trattava di un altro bambino. Ma chi
poteva essere? Rimase a lungo a riflettere. Poi gli tornarono in mente le
parole di Bellatrix: “E’ un vero peccato che non
abbia potuto torturare anche il piccolo Paciock,
sarebbe stato un vero piacere”. Sicchè i Paciock avevano un figlio. Voldemort
uscì di corsa dalla casa, lasciando Lily disperata sul letto, e si
Smaterializzò.
Ricomparve subito dopo davanti alla casa di Agnes Paciock, madre di Frank. Dormivano già tutti. Voldemort entrò, ispezionò la casa, e trovò il figlio dei Paciock che dormiva. Alzò la bacchetta, la puntò su di lui,
sorrise e disse: «AvadaKedavra»
Il lampo di luce verde pose fine alla vita dell’unico che avrebbe potuto
costituire una minaccia per Lord Voldemort.
Ciao
a tutti ragazzi/e, ecco qui il primo capitolo del Mai Nato! Questa è la seconda
versione, quella fatta seriamente, e spero che vi piaccia. E ora? Neville è
morto, e Harry non è mai nato. Cosa succederà ora che Voldemort
ha campo libero? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! L’appuntamento è per domenica
prossima, ciao a tutti!
«Hermione. Hermione, svegliati» HermioneGranger aprì gli
occhi. China su di lei c’era sua madre, che non appena vide che era sveglia
sorrise. «Alzati, su, sono già le undici e dieci». Hermione si stropicciò gli occhi e si mise a sedere.
Era un’allegra, seppur timida, bambina di appena sette anni. Quel sabato
mattina si prospettava come una tiepida giornata di fine estate. L’assenza di
vento impediva ai londinesi di uscire già con i giacchetti. Hermione
si alzò dal letto, e la madre l’aiutò a vestirsi, dopodiché scesero per fare
colazione.
«Ciao papà» Hermione salutò il padre, che sedeva leggendo il
giornale con un’espressione indecifrabile.
«Ciao Hermy» rispose lui, sorridendo alla figlia. Era
più che altro un sorriso forzato, per non preoccupare Hermione.
In realtà aveva pochissima voglia di sorridere, visto quello che succedeva in
giro ormai. Erano tempi strani, ultimamente. La gente moriva inspiegabilmente,
e la polizia non riusciva a spiegare né la causa del decesso né se si trattasse
di omicidio o suicidio. Altri ancora invece sparivano, e nessuno li rivedeva
più. La cosa strana era che, nonostante tutte le sanzioni emanate dal
Parlamento, ciò continuava ad accadere, proprio sotto il naso della polizia e
del Governo. Non c’era da stupirsi quindi se i londinesi vivessero
costantemente nell’ansia e nella paura: temevano di essere i prossimi a sparire
o, ancora peggio, a morire. Malgrado ciò, c’era ancora chi viveva spensierato
come al solito, incurante dei problemi solo perché troppo piccolo per
comprenderne la reale entità: i bambini. Certo, ormai si rifiutava anche solo
di mandarla al parchetto vicino casa, ma fortunatamente Hermione,
che all’inizio aveva protestato, si era sentita rassicurata quando aveva saputo
che poteva comunque andare a trovare Julia e Hilary, le sue amiche, che
abitavano nello stesso palazzo. Perciò quella mattina Hermione
la pregustava come tutti i sabati, ma i Granger erano
preoccupati. Avevano ricevuto una lettera quella mattina, e ad allarmarli non
era stato il fatto che era stata recapitata da un gufo, ma il contenuto:
‘Signori Granger,
mi duole informarvi che vostra figlia è una Nata Babbana.
No, questo non è uno scherzo, e nemmeno una lettera minatoria. Vogliamo solo informarvi
che, secondo quanto sancito dal Ministero della Magia, vostra figlia dovrà
essere condotta mercoledì sedici agosto alle otto ad un’udienza nella aule del Wizengamot, il tribunale dei maghi. In quanto accusata di
furto della magia, poiché è impossibile che due comunissimi e ignobili Babbani mettano al mondo una strega, siete pregati di
portarla spontaneamente qui al Ministero. Troverete le istruzioni per
raggiungerci sul foglio allegato. Non tentate di avvisare le forze dell’ordine,
o noi lo sapremo, e non esiteremo a usare la forza. Se non vi presenterete
spontaneamente, non esiteremo a usare la forza. Se siete ancora convinti che
sia uno scherzo, provate a dire alla lettera la parola “Babbano”,
e osservate.
Cordiali saluti,
Dolores Umbridge, Direttrice per il Censimento dei
Nati Babbani’
Albert e Jessica Granger
all’inizio avevano, effettivamente, pensato che fosse uno scherzo, ma, dopo le
continue insistenze della moglie, alla fine il signor Granger
aveva provato a dire “Babbano” alla lettera, e subito
quella si era trasformata in un omino di carta e aveva iniziato a correre per
casa urlando disperatamente. C’era voluta mezz’ora per riacchiapparla, e alla
fine avevano concluso che evidentemente non era lo scherzo di qualche cretino.
Era davvero opera di un presunto Ministero della Magia? Ma la magia non
esisteva, si sapeva da moltissimo tempo. Ma allora come aveva fatto la busta ad
avere una reazione simile? Forse è una nuova diavoleria tecnologica,
pensò il signor Granger, non del tutto convinto.
Ciononostante, aveva accordato con la moglie di non farne più parola con Hermione. Quella sera, dopo che fu andata a dormire, la
signora Granger ne approfittò per tirar fuori
l’argomento con il marito.
«Albert?»
«Dimmi»
«Che ne pensi?»
Il signor Granger si incupì. Sapeva a che si riferiva.
«Non lo so»
La moglie si avvicinò a lui e gli prese le mani.
«Cosa dobbiamo fare, Albert?»
Il signor Granger continuava a fissare le sue mani in
quelle della moglie.
«Non lo so, Jessica. Non lo so. Non sono ancora convinto che sia tutto vero»
«Ma…allora come la spieghi la lettera?»
«Non lo so» ripetè lui per la terza volta. Fece un
respiro. «Dobbiamo andarcene»
La moglie lo guardò intensamente.
«E dove andremo?»
Il signor Granger fece un altro respiro. Aveva
riflettuto a lungo su quella scelta, ed era l’unica che si potesse fare.
«Lasciamo il Regno Unito. Andiamocene proprio dall’isola. Più lontani andremo,
meno possibilità ci saranno di trovarci»
La signora Granger lo guardò preoccupata, poi
domandò: «Ma…e come faremo ad abbandonare l’isola
senza essere riconosciuti?»
«Mi occuperò di tutto io» rispose risoluto il signor Granger.
«L’importante è che fra massimo quattro giorni saremo in partenza»
Alla signora Granger si riempirono gli occhi di
lacrime. «Ho paura, Albert»
«Lo so, anch’io» la consolò lui. «Ma dobbiamo farlo. Per il bene di nostra
figlia»
La signora Granger sniffò, poi disse: «Va bene»
Il signor Granger le diede un bacio, poi la
accompagnò a letto. I giorni a seguire si rivelarono i più brutti per il signor
Granger. Doveva prelevare tutto il denaro nel suo
conto in banca, cambiare nome, creare un nuovo conto in banca col nuovo nome,
vendere la casa, comprarne un’altra nuova, licenziarsi e trovare un lavoro.
Malgrado tutto, però, riuscì comunque a sbrigare tutte le faccende, e fu così
che il dodici agosto i Granger erano pronti a partire.
Hermione
si sentì scuotere e chiamare.
«Forza piccola, svegliati. Dobbiamo preparare le valigie» Hermione sbadigliò, poi si alzò a fatica dal letto.
La madre l’aiutò a vestirsi, poi si diedero da fare con le valigie. Era molto
taciturna quella mattina: il giorno prima aveva versato non poche lacrime per
salutare Julia e Hilary. Quando ebbero finito, le due donne scesero, e
trovarono il signor Granger che le aspettava.
Uscirono, poi si recarono all’agenzia immobiliare per firmare il contratto di
vendita della casa. Hermione non capiva nulla di
quelle cose, così si limitava a osservare l’ufficio dell’agente. Quando ebbero
finito si recarono all’aeroporto, dal cui avrebbero preso un aereo per
cominciare una nuova vita in un posto abbastanza lontano in cui pensavano che
il Ministero non sarebbe mai venuto a ficcare il naso: a Roma.
Bene
ragazzi/e, qui finisce un nuovo capitolo. Lo so, è un po’ corto, ma è una
specie di intermezzo tra il primo e il terzo. Comunque, ecco ora la risposta
alle recensioni:
BlackHayate: Be’, che dire. Sono
contento che ti sia piaciuta, e devo essere sincero: neanche io volevo che
Neville morisse e la nonna…non entriamo nei dettagli.
Ma d’altro canto, era la seconda, seppur scarsa, minaccia al potere di Voldy, perciò dovevo farglielo eliminare. Quanto allo
stile, tengo a precisare che alcune frasi, come il “che culo” di Severus, o talvolta anche espressioni, parolacce o anche
dialetti, sono inserite appositamente per dare un tocco di realtà alla fic. Dopotutto, tu al posto di Sev
non l’avresti pensato? :D SapphiriaKane: Ok, per la riunione ammetto
di aver preso spunto dal settimo libro, solo che mi sembrava ben fatta, e
soprattutto conoscendo Voldy dubito che non siano più
o meno tutte uguali e monotone. Quanto al fatto del genere, il punto è questo:
non so se inserire il genere “comico” anche, perché non miro a far ridere.
Cioè, se capita qualche battuta o scena ridicola non esito a metterla, è solo
che la fic non è incentrata sul far ridere, e non
assicuro che tutti i capitoli facciano ridere. Però, se dovessi accorgermi che
in ogni capitolo c’è qualcosa di comico o ridicolo, vedrò di aggiungere il
genere. Ma sono comunque contento di averti incuriosito/a, e spero vorrai
continuare a seguirmi
Be’, ora vado che è ora di pranzo. Che
succederà alla nostra Hermy, che si è trasferita nel
posto più improbabile della Terra? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, l’appuntamento
è come al solito domenica prossima, e martedì non perdetevi invece il terzo
capitolo de “Il Signore Della Umbrella”, fanfic simultanea a questa. Quindi vado, ciao ragazzi/e, a
domenica!
Hermione
si svegliò di soprassalto. La sveglia suonava, rompendo il placido silenzio che
prima avvolgeva la sua stanza. Hermione sbuffò, poi allungò
una mano e la lasciò cadere pesantemente sulla sveglia, spegnendola. Già le sei…che
palle, pensò. Si stropicciò gli occhi: non aveva senso rimettersi a
dormire, doveva iniziare a prepararsi, altrimenti avrebbe fatto tardi a scuola.
Si alzò a fatica dal letto, e si recò strascicando i piedi allo specchio. Oddio, so’ un mostro, fu il suo primo
pensiero quando si vide. Aveva quindici anni. I lunghi capelli biondo-castani,
che di solito erano lisci, piastrati e ben curati,
ora erano scomposti in maniera disordinata, dando a Hermione
l’impressione di avere una criniera. La faccia assonnata le dava un’espressione
truce, che risaltava il suo carattere un po’ scontroso, tipico di tutte le truzze. Hermione si recò in
bagno. Era una stanza piccola, dato che era il suo bagno personale, piuttosto
disordinata. Le pareti erano dipinte con della vernice rosa, e delle mattonelle
dello stesso colore di circa un metro e venti d’altezza partendo dal pavimento
coprivano la parete. Questo si confondeva con il primo tratto di parete, dato
che aveva lo stesso tipo di mattonelle. Alla sua destra c’erano il cesso e il
lavandino, sormontato da un grande specchio, mentre alla sua sinistra c’era una
vasca da bagno con il soffione della doccia anche. Alla sinistra del lavandino c’era
un mobiletto di legno bianco. Hermione lo aprì, frugò
un po’ in cerca della piastra, poi la prese e attaccò la spina alla presa.
Mentre questa si riscaldava, lei tornò in camera. Era una stanza di media
grandezza, dominata dal caos. Alla sua destra c’era un letto a una piazza e
mezza, con un piumone rosa. Di fronte al letto un televisore, appeso al muro, e
a sinistra di questo una scrivania con un computer. L’armadio stava al lato
destro della TV, mentre lo specchio a sinistra del letto. Hermione
aprì l’armadio, e prese una maglietta viola che lasciava le spalle scoperte, un
paio di jeans a vita bassa, e delle scarpe col tacco da due centimetri chiuse.
Quando si fu vestita tornò in bagno e si piastrò i
capelli. Quando ebbe finito si truccò, si diede una sistemata ai piercing e
agli orecchini, poi scese per fare una breve colazione. Mangiò come
nell’ordinario solo latte e cereali, dopodiché tornò in camera. Prese un bomber
blu scuro con l’immancabile cappuccio di pelliccia, il capellino della Playboy
fatto interamente con paillette rosa, raccolse lo zaino che giaceva abbandonato
vicino alla scrivania e, dopo un’ultima occhiata allo specchio, uscì. Passando
dalla camera dei genitori, che si stavano alzando, urlò un saluto a entrambi,
poi infilò la mano nella tasca dello zaino, e uscì di casa mentre sfilava l’ipod dalla tasca. Quando arrivò in fermata, l’autobus non era
ancora arrivato. Come al solito. Hermione si appoggiò
al muretto della fermata e aspettò che arrivasse l’autobus.
Dopo un’ora precisa finalmente arrivò, e Hermione vi salì sopra sbuffando. Come al solito era
affollato. Hermione si spazientì già: detestava stare
appiccicata a tutta quella gente, si sentiva soffocare, e poi guastavano il suo
look. Fu quindi una liberazione quando scese dall’autobus e fece quel breve
tratto a piedi per recarsi ai cancelli scolastici. Ma quando arrivò trovò una
folla di studenti fuori il cancello, e pochi che lo bloccavano dall’interno. Hermione sorrise: era un’occupazione. Il che significava
che poteva passare la mattinata a cazzeggiare alla stragrande. Prese il
telefono, dopodiché compose il numero della sua migliore amica Martina. Il
telefono squillò, poi Martina rispose.
«Pronto?»
«Ciao amò» la salutò Hermione, non perché fosse
lesbica, ma solo perché le amiche del cuore si salutavano così, e lei non era
da meno. «Che hai fatto sega pure oggi?»
«Eccerto, te pare che vado a scola?»
«Mbe’, me pare ovvio». Hermione
sorrise. «Senti, quindi non hai da fa?»
«No»
«Be’ senti, qua hanno occupato. Se annamo a fa ngiro?»
«Ok. Do se vedemo?»
«Annamo al centro, che dici?»
«Cheè bono come er
pane! Chiamo gli altri?»
«No, oggi volevo vedè se beccavamo qualche pischello»
«Ahhhh, ho capito. Hai voglia
de scopà, eh?» Hermione ridacchiò. «Sì, un pochetto»
«Eh be’, te capisco, io pure so due settimane che non scopo. Me ce
vole un pischello pure a me»
«Ok, allora se vedemo a Ponte Mammolo»
«Ok. Ciao amò, te amo troppo»
«Ciao amò, nbacione»
Riattaccò, poi prese nuovamente l’ipod e si avviò a
piedi verso la fermata del tram. Da lì sarebbe scesa per andare a prendere
l’autobus e infine a Ponte Mammolo, una delle fermate principali della Metro B
di Roma, nonché capolinea di molti autobus. Il tram non si fece attendere. Hermione tirò un sospiro di sollievo: il tram non la
tradiva mai. Salì sopra, si sedette su un posto vuoto e si affacciò al vetro,
osservando la capitale trafficata. Dopo un’ora arrivò a Ponte Mammolo, e trovò
ad aspettarla Martina, la sua migliore amica. Questa era poco più bassa di Hermione, di appena qualche centimetro, aveva i capelli
neri corvini, come al solito rigorosamente piastrati,
un cappellino con le paillette argentate della Nike, un gilet rosa con il
cappuccio di pelliccia, una maglietta nera e un paio di jeans con degli stivali
neri col tacco di due centimetri anch’essi. Si salutarono con il consueto bacio
su ciascuna guancia, poi entrarono, facendo un chiasso enorme, ma inutile,
nella grossa stazione metropolitana. Ignorarono le occhiatacce che i passanti
le rivolgevano: erano fatte così, si sentivano belle e sicure di sé, e tanto le
bastava per fregarsene di quello che credeva la gente. La metropolitana arrivò
sferragliando. Hermione e Martina, sempre
rigorosamente chiassose, salirono e continuarono a raccontarsi cazzate di vario
genere fino a Termini, dove scesero per fare il cambio di linea. Presa la Metro
A, scesero alla fermata a Piazzale Flaminio. Ma, quando stavano per scendere,
accadde qualcosa di curioso. Un signore, che evidentemente fino a prima non si
sentiva benissimo, chiuse gli occhi e cadde a terra. Alcuni non lo notarono,
altri si avvicinarono preoccupati. Hermione tirò
Martina per una manica, che già stava uscendo, e si avvicinarono. La metro non
ripartì: era evidente che il macchinista aveva capito che c’era qualcosa che
non andava. Infatti, quando vide la scena, uscì dalla fermata per telefonare
l’ambulanza. Qualche minuto dopo, l’uomo riaprì gli occhi. Hermione
trasalì: avevano l’iride pallida, e sembravano eterei. Un signore, che stava
vicino all’uomo che nel frattempo si era messo a sedere, gli porse una mano per
aiutarlo a rialzarsi. L’uomo la guardò con una strana espressione: sembrava che
non avesse la più pallida idea di che cosa fosse. Poi, inavvertitamente, si
avventò sulla mano del signore. I denti affondarono nella carne, e il signore
urlò. Alcuni sobbalzarono, Hermione e Martina
comprese. Il signore tentava di liberarsi la mano, ma l’uomo era avvinghiato
stretto. Il signore mollò un sinistro all’uomo, che lasciò la presa e ricadde a
terra. Il signore si alzò in piedi, tenendosi la mano sanguinante. Alcuni
indietreggiarono.
«Be’, che è?» sbottò quello. «Mica ve magno! Volete chiamàna cazzo de ambulanza?»
I presenti ammutolirono e trattennero il respiro. Il signore dapprima non capì,
ma quando si girò e comprese era troppo tardi: l’uomo che prima stava a terra
si era avventato sulla sua giugulare. Non appena i denti affondarono nel collo,
il sangue cominciò a fuoriuscire. La folla si disperse, spintonando via tutti
quelli che si trovavano sulla loro strada. Hermione
era inchiodata al posto, con gli occhi sbarrati e lucidi.
«Amò, andiamo!» la incitava Martina, tirandola per un braccio. Hermione si riprese, e voltò le spalle all’uomo che nel
frattempo aveva atterrato il signore e stava pasteggiando con la sua carne. Le
due ragazze furono quasi trascinate dalla folla fuori dalla fermata, e il fuggi
fuggi non si placò nemmeno in prossimità delle scale
che conducevano fuori, tant’è che alcuni inciamparono e furono violentemente
calpestati. Seppur a fatica, Hermione e Martina
riuscirono a uscire da quell’inferno, e si fermarono un attimo a riprendere
fiato.
«Uno zombie?» Hermione si girò, e vide un poliziotto, con aria
scettica, che ascoltava il resoconto di un ragazzo. Questi annuì: «Sì, sì, era
proprio uno zombie. L’ho visto con i miei occhi: quando
semo arrivati in fermata questo qui è cascato a terra. Er macchinista è salito a chiamà
l’ambulanza, e poco dopo questo s’è svegliato e ha
morso la mano de un signore che lo voleva aiutà. Quando semo scappati, lo
zombie se stava già a magnàer
signore de prima»
Il poliziotto si girò a guardare il collega, che sorrise, poi tornò a fissare
il ragazzo, e gli disse, con l’aria di chi discute con un idiota: «Ascolta…evidentemente ti sei fatto prendere dal panico. Non
esistono questi…come li hai chiamati?»
«Zombie» ripetè il ragazzo. «E non me li so’ immaginati!»
«E’ vero» intervenne Hermione. «L’ho visto anch’io»
«Anch’io» ripetè Martina. I due poliziotti li
guardarono con espressione divertita. Il primo aprì bocca, ma un urlo femminile
lo fece voltare e estrarre la pistola.
«Fermo dove sei, non muoverti!» gridò all’uomo di prima, che era tutto sporco
di sangue e aveva un’espressione inebetita, che si tramutò in feroce quando
vide i due poliziotti in cima alle scale. Cominciò a camminare in loro
direzione.
«Ho detto: non muoverti!» gridò il poliziotto, ma l’uomo non accennava a
fermarsi. Il poliziotto rimase a fissarlo per un po’, poi sparò un colpo alla
gamba. Una ragazza urlò. L’uomo arretrò di un passo, ma dopo aver ringhiato
contro il poliziotto riprese a salire le scale, trascinando la gamba ferita. Il
poliziotto spalancò gli occhi.
«Ma che cazzo…» inveì. «Chiunque si sarebbe fermato
dopo un colpo alla gamba!»
Il collega ne sparò un altro all’altra gamba. Anche stavolta l’uomo si limitò a
indietreggiare di un passo, ma poi proseguì imperterrito. I presenti furono
presi dal panico, poliziotti compresi, che però rimasero fermi dov’erano.
«Sparateglie alla testa!» gridò il ragazzo di prima.
«Alla testa!»
I poliziotti lo ignorarono, anzi intimarono nuovamente l’uomo di fermarsi. Ma
quello continuò ad avanzare. Il primo poliziotto quindi si girò verso il
collega, fece di sì con la testa, e entrambi aprirono il fuoco. L’uomo fu
colpito al petto da quattordici pallottole, e cadde a terra. I due poliziotti
sorrisero trionfanti. Si girarono verso il ragazzo di prima, e il primo disse:
«Visto? Te l’avevo detto che non esistono gli zombie»
«Ah sì?» fece il ragazzo, aspro. «E allora perché s’è appena rialzato?»
I due poliziotti si girarono di scatto, e furono presi dal terrore: era vero,
l’uomo si era rialzato, e, dopo aver ringhiato in direzione dei poliziotti,
riprese la sua marcia. I poliziotti arretrarono di qualche passo, soprattutto
quando videro che dai colpi di proiettile nel petto non fuoriusciva la minima
traccia di sangue. Quando l’uomo fu abbastanza vicino, i poliziotti presero a
colpirlo a manganellate in testa, ma quello sembrava immortale. Colpo dopo
colpo, il suo cranio si frantumava, eppure continuava ad avanzare. Presi dalla
foga del corpo a corpo, nessuno notò che un’altra figura incespicava per le
scale. Quando fu arrivato in cima, Hermione, Martina
e il ragazzo lo riconobbero: era il signore che era stato morso prima alla
mano, e poi al collo.
«ATTENTI!» strillò Hermione, ma troppo tardi, il
signore si avventò sul secondo poliziotto, mordendogli il collo.
«LORENZO!» ruggì il primo, ma la distrazione permise all’uomo, che oramai aveva
la fronte deformata dalle continue manganellate, di avventarsi sul primo
poliziotto.
«SCAPPATE!» urlò il ragazzo, e Hermione e Martina
corsero come non avevano mai fatto. Corsero per almeno una cinquantina di metri
sul marciapiede, dopodiché si apprestarono ad attraversare la strada.
«ODDIO, AMO’!» gridò Martina. Hermione fece giusto in
tempo a sentire un rumore improvviso di frenata e a vedere con la coda
dell’occhio una macchina, poi sentì un dolore lancinante al fianco sinistro,
volò per una decina di metri e atterrò in un rumore di schizzi. Con la vista
che le si appannava, vide Martina chinarsi su di lei, ma non capì quello che le
diceva. Si fece nero, e tutto svanì.
Quando si riprese, non riconobbe subito il luogo. La
vista era ancora appannata, e sentiva un continuo bip. Quando tornò a vederci
meglio, capì: era all’ospedale. La memoria le tornò a poco a poco, e si aspettò
di trovare qualcuno che lo accoglieva. Ma lo spettacolo che le si presentò era
ben diverso. La stanza era completamente vuota. Hermione
inizialmente non seppe che fare, poi premette il pulsante per chiamare gli
infermieri. Attese a lungo, ma dopo una decina di minuti dovette concludere che
effettivamente non c’era nessuno. Preparandosi a un sicuro capitombolo, Hermione si alzò dal letto. Inaspettatamente, però, non
cadde. Le gambe tremarono un po’, ma la ressero. Sentiva il freddo pavimento
sotto i piedi nudi. Si guardò e si accorse delle bende. Ne aveva parecchie sul
costato, e un dolore acuto ogni volta che respirava le confermava che doveva
avere qualche costola rotta. In più aveva qualche cicatrice. Hermione si diresse a passo malfermo verso la porta, e
quando la aprì, si ritrovò davanti a uno spettacolo inatteso: l’ospedale era
completamente devastato e disabitato. C’erano schizzi di sangue sulle pareti e
sui pavimenti, e alcune barelle nel corridoio deserto. Hermione
guardò prima a un’estremità del corridoio, poi a un’altra, e vide un dottore.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Si avvicinò verso il dottore,
chiamandolo. Questi si girò e Hermione si bloccò sul
posto, impietrita. Era tutto sporco di sangue, dalla bocca alle cosce. Aveva
un’espressione assente, ma quando vide Hermione
divenne improvvisamente famelico, e si avviò a passo deciso verso Hermione, che deglutì. Indietreggiò e cominciò a gridare
aiuto a pieni polmoni, ma lo zombie avanzava inesorabile verso di lei. Hermione accelerò il passo, distanziando lo zombie, e
continuava a gridare aiuto. Ma non accorse nessuno. All’improvviso si ritrovò
con le spalle al muro. Si girò e vide una porta a due battenti. Ne spinse uno e
uscì. Fu una delle cose più stupide che aveva mai fatto. La stanza era piena di
zombie. Hermione si appoggiò alla porta chiusa, e
cominciò a piangere. Gli zombie la notarono e si avviarono verso lei.
«NO! NO!» pianse Hermione. «NON VOGLIO MORI’! NON
VOGLIO MORI’!»
Chiuse gli occhi e si accasciò a terra, singhiozzando disperatamente. Era
destinata a soccombere e a diventare una di loro. Pianse più forte che mai, e
all’improvviso accadde qualcosa. Udì uno strano rumore, sopra ai grugniti degli
zombie, il suono attutito di qualcuno che sbatteva contro qualcosa. Hermione aprì gli occhi, e lo stupore interruppe il pianto:
una barriera trasparente separava lei dagli zombie, che si avventavano contro
di lei. La ragazza rimase seduta a terra a osservare quel prodigio, poi si
accorse di iniziare a sudare. Si sentì calda, quasi febbricitante. La
temperatura corporea salì sempre di più, e gli sembrò che il suo campo visivo,
dai bordi verso il centro, diventasse di un bianco accecante. La temperatura
salì ancora, e Hermione sentì di non poterla
sopportare. Il suo campo visivo era ancora bianco, e sentiva uno sfrigolare
assordante. Poi all’improvviso, il fragore di un’esplosione e il successivo
rumore di carne disintegrata. Hermione continuava a
fissare quel bianco accecante, poi, mano a mano che questo diminuiva, si
accorse che la vista le si appannava di nuovo, e scivolò in un sonno senza
sogni
Ehilààààà gente! Ecco qui il terzo capitolo!
Avvincente? Spero di sì, visto che ci ho messo non poco a partorire l’idea. Ma
ora, è il momento di rispondere alle recensioni:
BlackHayate: Eh già, è curioso sapere cosa può
succedere da un cambiamento così piccolo. L’inutile Harry non nasce e quindici
anni dopo Hermione si ritrova assediata dagli zombie.
Sono sempre più contento che a te piaccia, anche perché pare che tu sia l’unica…ma parlando d’altro, ti assicuro che ce ne ho messo
di tempo per assumere quello stile “rowlinghiano”
(che spero di mantenere), il tutto dovuto al fatto che ho letto i libri di Arrì circa millemila volta xD SapphiriaKane: Ma figurati per la risposta, lo faccio
sempre, perché è per merito di voi lettori che le mie fic
vanno avanti, e questo è il modo di ringraziarvi. Quanto alla Umbridge, non potevo non metterla! Non è nella sua natura
NON rompere i coglioni
Siamo
arrivati alla fine del terzo capitolo. Zombie a Roma. Hermione
che si salva per miracolo. Cos’altro potrà accadere, in assenza di Harry? Lo
scoprirete nel prossimo capitolo! L’appuntamento è per domenica prossima, e
ricordatevi di recensire questo se vi è piaciuto e di dare un’occhiata al
Signore Della Umbrella.
Ciao ragazzi/e, a domenica!
Auguri
a tutti di buon natale! E a chi non ci crede, allora buone vacanze :D by DrHouse93
Il
Mai Nato
- Capitolo 4: La prima battaglia -
Era una normale giornata di inizio ottobre. Si
trovavano già alla seconda settimana, ad essere precisi. C’era chi si svegliava
pensando che non voleva farlo, chi si svegliava già d’umore depresso e rammaricato,
chi di umore normale. E poi c’era lui. Quella mattina era particolarmente di
buon umore. Da quando era entrato a far parte degli Auror,
poi, lo guardavano già con più ammirazione di prima. Lui e il suo migliore
amico. I due tipi più popolari e fighi di tutto il
castello. Si erano conosciuti il primo giorno sull’Espresso per Hogwarts, e viste le idee comuni erano subito andati
d’accordo. Adesso avevano quindici anni, cambiavano donne come fazzoletti, ed
erano innamorati di sé quasi al limite del narcisismo. Uno era pallido, con
occhi grigi e penetranti, un’espressione rude che gli conferiva un certo
fascino, una voce strascicata e beffarda che faceva cascare ai suoi piedi quasi
ogni ragazza, e a coronare il tutto dei lisci capelli biondo-pallido. L’altro
era leggermente più alto, con capelli rossi perfettamente in ordine, occhi di
un azzurro vivido, qualche lentiggine sulla faccia che esibiva con fierezza, un
fisico ben compatto e una sicurezza incrollabile. I loro nomi sono Ronald Weasley e DracoMalfoy. Non c’era da stupirsi quindi se quella mattina Ron,
mentre si sistemava davanti allo specchio sorridendosi, era di ottimo umore.
L’idea di entrare a far parte degli Auror era stata
di Draco, e in quel momento serviva ogni aiuto
possibile a causa delle continue incursioni dei BELLUM. Questi erano un gruppo
di ribelli che si opponevano strenuamente al regime del Ministero della Magia
provocando non pochi fastidi. Erano capitanati da un individuo la cui identità
era sconosciuta, per questo il Ministro non era ancora riuscito a prendere
provvedimenti. E così, erano cinque anni che la guerra contro i BELLUM andava
avanti, e ancora non si riusciva a trovare un vincitore. Tra i ribelli non
c’erano, inoltre, solo Babbani, ma anche Maghi. Così
il Ministero aveva avviato un programma a Hogwarts
per reclutare nuovi Auror, in modo da poter
finalmente porre fine al conflitto. Quando Ron finì di vestirsi, vide che i
suoi fratelli gemelli, Fred e George, si stavano appena alzando dal letto. Loro
facevano parte degli Auror da circa un anno, e,
quando capitava di catturare qualcuno ed esso finiva nelle loro mani erano
estremamente sadici. Si divertivano a fargli capitare le peggiori sventure e
torture, tanto che molti preferivano la morte alla prigionia. Ron li salutò,
poi si apprestò a scendere dal dormitorio. Era molto contento. Di lì a pochi
giorni, infatti, alla vigilia della prima battaglia, avrebbe ricevuto la sua
prima arma. Da quando infatti i Maghi avevano spodestato dal trono i Babbani, per essi non c’era stato un attimo di tregua.
Quasi tutti erano stati uccisi dal rapido avanzare dei Maghi. Alcuni erano
stati schiavizzati, dato che gli Elfi Domestici si erano estinti. Molti erano
stati fatti prigionieri, e il Ministero ne effettuava esperimenti in tutto il mondo
al fine di ottenere nuove creature fedeli ai Maghi. E poi c’erano i BELLUM.
Alcuni avevano fatto incetta delle armi del Ministero, mentre i Babbani usavano le loro vecchie armi.
Infatti, il Ministero era riuscito a mischiare la Magia comune con quella Babbana, una roba che essi chiamavano tecnologia. Da
principio la popolazione si era mostrata contrariata, ma vedendo i risultati si
era dovuta ricredere. Era a questo che pensava Ron. Sabato ci sarebbe stata la
prima battaglia, e gli avrebbero dato in prestito un Fucile d’Assalto Magico,
poi, se fosse riuscito a superare la prova, gli avrebbero donato una Beretta
M9M, unapistola che anziché proiettili
di ferro sparava incantesimi. Le nuove armi funzionavano tutte così: bastava
pensare all’incantesimo da lanciare e premere il grilletto. Infatti, per
esigenze simili erano stati anticipati sin al primo anno gli Incantesimi Non
Verbali. Ron attraversò il buco del ritratto, e uscì. Si diresse verso la Sala
Grande, dove avrebbe fatto colazione, e vide Draco che
lo aspettava, appoggiato a una parete. Si salutarono e proseguirono insieme.
«Emozionato?» domandò Draco.
«Sicuro» rispose Ron, sapendo a che si riferiva. Quando arrivarono alla Sala
d’Ingresso videro, in un angolo appartato, GinnyWeasley, sorella di Ron, e Luna Lovegood
che pomiciavano. Ron si bloccò, mentre Draco ghignò.
Afferrò Ron per un braccio e lo trascinò via. Qualche giorno fa, infatti, Ginny aveva confessato di essere lesbica. All’inizio Ron
era andato in escandescenze, poiché era una cosa contro natura. Ginny aveva provato a spiegargli che era fin da quando era
piccola che non aveva particolare interesse per gli uomini, e non avendo mai
incontrato nessuno di particolare non vedeva perché continuare a fingere di
essere eterosessuale. Ma Ron era stato irremovibile. Certo, non era più
arrabbiato, ma ancora doveva abituarsi all’idea. Per altro gli dava fastidio
che Draco se ne fregasse altamente, quando era di
vedute ben più ristrette su altri argomenti. I due ragazzi entrarono nella Sala
Grande e si sedettero per andare a fare colazione. Si girarono verso le
clessidre. Con somma gioia, videro quella verde smeraldo di Serpeverde
in testa, e sghignazzarono vedendo quella di Grifondoro
all’ultimo posto per il dodicesimo anno di fila. Mentre facevano colazione
arrivò la posta, ma per Ron e Draco non c’era niente
di nuovo. Poco dopo giunsero anche Fred e George e Ginny
e Luna, mano nella mano. Si diedero un bacio e si separarono per andare a
sedersi ai rispettivi tavoli. I Serpeverde
mangiarono, poi si diressero verso la prima lezione: Cura delle Creature
Magiche. Quella mattina sarebbe stata una lezione importante, perché quelli del
quinto anno nel pomeriggio avrebbero partecipato per la prima volta a Caccia
delle Creature Marine. Infatti, il professor Burn
spiegò senza tanti giri di parole il corretto funzionamento di un arpione
magico, che avrebbero usato contro le sirene e i tritoni. Alcuni si erano uniti
al Ministero, ma altri continuavano ad opporsi, inclusi quelli di Hogwarts. Era necessario, quindi, che i Maghi li
neutralizzassero, o con l’unione, o con la distruzione. I Serpeverde
attesero i Grifondoro, che arrivarono con passo
pesante e di malavoglia. Cominciarono a volare insulti contro di loro. Ron e Draco non si risparmiarono, poi il professor Burn richiamò la classe all’ordine. I presenti
ammutolirono.
«Bene» esordì il professore. Era un uomo alto, con capelli neri tirati
all’indietro, la carnagione mulatta, una barba di qualche centimetro e un
orecchino ad anello sull’orecchio sinistro. A guardarlo non si sarebbe detto un
professore. «Oggi ci aspetta una lezione importante per voi del quinto anno.
Dovrete stare attenti stasera, perché il popolo marino è spietato. Non esiterà
ad uccidervi, se ne avrà l’occasione»
Gli alunni si fecero attenti. Qualche Grifondoro
borbottò qualcosa, ma si zittì subito a un’occhiataccia del professore.
«Allora. Qui ci sono gli arpioni magici. Fate attenzione, non sono giocattoli.
Il primo che si mette a fare il cretino, lo spedisco dritto dai Carrow»
Alcuni deglutirono. I Carrow erano i responsabili
delle punizioni, ed era meglio non capitare nelle loro mani.
«Questi arpioni possono incanalare la vostra magia. Afferrateli così» e lo
impugnò come se fosse un comunissimo arpione. «Dopodichè
pensate all’incantesimo da lanciare, come se fosse uno Non Verbale»
Puntò l’arpione verso la capanna di Hagrid, alle sue
spalle, che giaceva fredda e desolata, con le finestre abbassate, poi premette
il grilletto. Il colpo partì seduta stante, e i mattoni colpiti si
sbriciolarono.
«Come potete vedere» proseguì il professore, mentre ricaricava l’arpione. «Ho
usato un Incantesimo Reductor. Vi sconsiglio di
provarci contro il popolo marino. Ma non provate a ucciderli. Limitatevi a
Schiantarli. Quando non ci sarà più pericolo ce ne occuperemo noi»
Fece esercitare gli studenti. Ron e Draco furono fra
i primi a padroneggiare l’arpione, poiché spinti dal disprezzo che provavano
per coloro che non erano Maghi.
Il resto della giornata passò monotono, finchè non
arrivarono le tre e mezza del pomeriggio. Le lezioni degli studenti del quinto
anno furono sospese, e tutti si recarono al lago. Quando arrivarono, il preside
annunciò qualche breve parola d’incoraggiamento, cosa che comunque non era da
lui, dopodiché ai presenti gli fu dato il necessario: una muta da sub, un paio
di pinne e l’arpione magico. Gli studenti e il professor Burn
posarono le bacchette, dopo aver applicato su sé stessi un Incantesimo Testabolla, negli armadietti, dopodiché si tuffarono. Ron e
Draco nuotavano affiancati, i sensi vigili e
all’erta, pronti a tutto. Non c’era un’anima. Nemmeno i pesci si muovevano. Gli
Hogwartiani continuarono a nuotare per un po’, poi,
dal nulla, sbucarono le sirene e i tritoni. Una tentò di colpire Ron alle
spalle, ma questi non si fece cogliere alla sprovvista, si girò di scatto e
pensò, premendo il grilletto: Stupeficium!
L’arpione partì e centrò la sirena sulla tetta sinistra. La sirena svenne
subito, mentre Ron si avvicinava, sfilava l’arpione insanguinato e lo rimetteva
nel suo alloggio. Sentì alla sua sinistra un altro colpo partire. Si voltò e
vide che Draco aveva colpito un tritone là dove
avrebbe dovuto esserci il cazzo. Ron rise, e Draco
rise di rimando. Per loro la Caccia alle Creture
Marine si rivelò uno spasso.
A fine giornata, gli Hogwartiani
si ritirarono, stanchi ma contenti: avevano catturato molte sirene e tritoni, e
ucciso molti Avvincini. Ron e Draco
risultarono i migliori tra gli studenti. Si godettero il trionfo, incuranti
delle smorfie e delle prese in giro dei Grifondoro, e
si dissero pronti per la prova della prima battaglia. Venerdì, quando finirono
le lezioni, furono convocati nello studio del preside. La professoressa McGranitt li scortò davanti al gargoyle
di pietra che ne custodiva l’accesso e, dopo aver pronunciato la parola
d’ordine, fece salire Ron e Draco. I due ragazzi
arrivarono in cima alle scale e bussarono alla porta.
«Avanti» rispose una voce dall’interno. I Serpeverde
entrarono, e SeverusPiton
fece cenno di avvicinarsi alla scrivania. Era un ufficio dalla forma rotonda,
costituito da tre stanze, e pieno di oggetti gracili che sbuffavano e
ronzavano, i quali un tempo erano appartenuti ad Albus
Silente. Ron e Draco si sedettero, e Piton parlò: «Dunque, come sapete domani dovrete sostenere
la prova della prima battaglia»
I ragazzi annuirono. «Vi ho convocato per questa ragione. Lascierete
la vostra roba qui. Quella è la Passaporta» aggiunse
indicando un quaderno dall’aspetto malconcio.
«Buona fortuna» disse Piton, poi Ron e Draco posarono una mano all’unisono sul quaderno e
sentirono uno strappo all’altezza dell’ombelico, come se un gancio invisibile
li stesse tirando. Dopo un po’, tutto finì, ed essi si ritrovarono nell’Atrium del Ministero.
Si avviarono verso il bancone del Guardamago, che li
squadrò e chiese: «Che volete?»
«Siamo qui per la prova della prima battaglia» rispose Draco
senza indugio. Il Guardamago si alzò e li condusse
nell’Ufficio Auror. Arrivati alla soglia grugnì un
saluto e se ne andò, mentre Ron e Draco bussarono.
Ad aprire fu un uomo malridotto, con diversi lividi, sporco, e un collare al
collo. Un Babbano.
«Prego, prego, entrate pure» disse una voce da dentro. I due ragazzi entrarono,
girando a largo schifati dal Babbano, e si guardarono
intorno. C’era un enorme tavolo, dov’erano seduti parecchi maghi. Ron e Draco riconobbero Percy, Fred e
George. Li salutarono, poi il Direttore dell’Ufficio Auror
fece loro cenno di sedersi. Quando ebbero fatto, il direttore cominciò: «Bene,
ora che siamo tutti presenti, posso illustrarvi il piano per domani. Attaccheremo
a sorpresa il Surrey, un piccolo villaggio vicino
Londra. Troppo a lungo i suoi cittadini hanno vissuto in pace, ma ora non più.
Essi non si aspettano un nostro attacco, che è previsto per domani all’alba»
La riunione proseguì per un po’, discutendo delle armi e delle strategie, poi
il direttore li congedò. I presenti si alzarono. Ron gioiva: l’indomani avrebbe
finalmente potuto trovare un fondo a tutte le sue idee che vedevano i Babbani come delle creature primitive, malvagie, dedite
solo alla violenza. Percy si avvicinò a loro e disse,
con il solito tono autoritario che lo contraddistingueva: «Oggi dormirete a
casa nostra»
Si apprestarono a seguire Fred, George e Percy.
Passando davanti al Babbano, Draco
gli sputò, Fred e George li tirarono un calcio alle palle, Percy
non lo degnò di uno sguardo e Ron gli sibilò: «Stronzo»
Quando arrivarono alla Tana, trovarono la madre, che li accolse tutti
calorosamente. Percy spiegò brevemente e con molto
distacco il motivo della visita. La signora Weasley
annuì senza dire nulla, ma nei suoi occhi passò un’ombra di preoccupazione e
rammarico.
Ron intuì perché: i suoi genitori facevano fatica ad abituarsi alla nuova linea
di pensiero che vedeva il Signore Oscuro come il loro signore incontrastato,
benevolo e misericordioso oltre ogni dire. Ron aveva imparato a ripetere questa
manfrina a memoria sin dalla tenera età, e ora ne era fermamente convinto. La
giornata passò tranquilla, e quando fu sera i Weasley
e Draco si ritirarono. Questi, però, non si
addormentò subito, e infatti dopo un po’ chiamò Ron.
«Che c’è?» rispose lui.
«Sei preoccupato per domani?» domandò Draco.
«No» rispose Ron, sincero. «E tu?»
«Nemmeno» rispose Draco. «Non vedo l’ora di spaccare
il culo a tutti quei schifosi BELLUM»
«A chi lo dici» convenne Ron. Rimasero zitti per un po’, poi il sonno prese il
sopravvento.
La mattina dopo fu Percy a
scaraventarli giù dal letto
«Forza!» urlò. «In piedi! E’ ora di andare»
Ron e Draco si svegliarono mal volentieri, e quando Percy, dopo un’ultima occhiataccia, fu uscito, si
guardarono.
«Ma tuo fratello è sempre così rompicoglioni?» chiese Draco.
«Anche di più» rispose Ron. I due ragazzi sghignazzarono, poi si alzarono e si
vestirono.
Fecero una rapida colazione, poi partirono. Ron non ebbe occasione di salutare
la madre, perché era ancora molto presto. I Weasley e
Draco allungarono la mano verso la Passaporta e dopo un po’ si ritrovarono in un piccolo
villaggio. Alcuni Auror erano già arrivati, e si
stavano preparando. Ron e Draco si guardarono
attorno: tutto taceva. Era chiaro che tutti dormivano ancora. Eppure, Ron
poteva percepire l’alone di paura che dilagava per le strade. Sorrise beffardo.
Il direttore consegnò loro le armi, poi gli spiegò il piano: «Entreremo due
alla volta nelle case. Uccidete chiunque vi si pari davanti. Chiaro?»
«Sissignore!»
«Bene, allora…ALL’ATTACCO!»
Gli Auror si lanciarono verso le case urlando. Ron e Draco buttarono giù una porta, piombarono in casa e videro
diversi Babbani che si svegliavano confusi. Il sangue
affluì rapidamente alla testa, e Ron pensò senza indugio: AvadaKedavra!
Poi premette il grilletto, e l’MP5M, il Fucile d’Assalto che impugnava,
cominciò a sparare a raffica getti di luce verde. Nel momento in cui colpì i
primi Babbani, le donne cominciarono a urlare e i
bambini a piangere. Fu il caos. Tutti scappavano disordinatamente, inseguiti da
quei due ragazzi che continuavano a rovesciare su di loro getti di luce verde.
Nella foga della battaglia, Ron non si rese conto che nessuno opponeva
resistenza. Tutti si davano alla fuga più disordinata, e il rosso ci mise un
po’ a capire che qualcosa non andava. Poi capì. Quella non era una battaglia
contro i BELLUM. Era una strage di gente innocente. Ron si sentì invadere
dall’orrore per quanto aveva fatto, e per un po’ rimase fermo dov’era. Draco non se ne accorse, perché continuava a mitragliare
tutti di Anatemi Che Uccidono. Quando finalmente Ron si riscosse, uscì fuori di
corsa. Davanti ai suoi occhi c’era il panico: gente che urlava, scappava,
urtava le persone, le calpestava anche, pur di mettersi in salvo.
«FERMI!» urlò Ron, con quanto fiato aveva in corpo, ai Maghi. «FERMI! STIAMO
UCCIDENDO DEGLI INNOCENTI! FERMI!»
Ma nessuno gli dava ascolto. Ron non aveva altra scelta. Doveva rendere
inoffensivi i Maghi. Pensò Stupeficium!, e
aprì il fuoco contro gli Auror. Questi dapprima non
capirono, ma poi cominciarono a sparare Schiantesimi
anche su di lui. Ron ne schivò alcuni e si rifugiò dietro una macchina. I Maghi
tornarono ad occuparsi dei Babbani, così Ron potè nuovamente uscire allo scoperto e Schiantare i Maghi.
I Maghi crollavano uno dopo l’altro, colpiti dai suoi Schiantesimi,
ma prima che potessero nuovamente reagire, Ron sentì un dolore lancinante alla
nuca. Si fece nero, e tutto svanì.
Eccomi
tornato, gente! Bella la trovata, eh? Spero che vi sia piaciuta, e attendo con
ansia recensioni (positive, ovviamente :D). Vi informo inoltre che, per quelli
che sono interessato, proseguirò il Signore Della Umbrella
quando avrò finito questa fanfic. Ma ora, passiamo
alle recensioni del terzo capitolo:
SapphiriaKane: Ok,
eccoti uno spoiler. Sembrano Inferi, ma non lo sono. Eh sì, altro spoiler: c’è
lo zampino di Voldy. Quanto ad Hermy
aspetta a giudicarla (ma se vuoi minacciarla fai pure) BlackHayate: Sorpresa per Hermy? Lo supponevo. Era
un’idea talmente folle che era impossibile che passasse inosservata xD. Sono proprio contento di averti incuriosita, e mi sento
felicemente bastardo, perché ora avrai la curiosità su cosa sia successo non
solo a Hermione, ma anche a Ron, Draco
e ai Weasley. Ora sei condannata a seguire la fic, muahahah – coffcoff.
Bene,
qui ci salutiamo. Siete curiosi di sapere cos’altro sia successo al mondo, ora
che Voldy è salito al trono? E che ne sarà stato di
Ron? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! L’appuntamento è domenica prossima,
perciò cercate di non mancare, anche se siete in vacanza. Ciao ragazzi/e, a
domenica!
Hermione
sentì rimbombare per la sua testa queste parole, ma nonostante tutto non riusciva
a capire da dove provenissero, poiché continuava a non vedere nient’altro che
nero, inoltre le pareva di essere appena cosciente, quasi come se fosse nel
dormiveglia.
Dobbiamo…presto…
Dopodichè,
anche quel breve momento di coscienza svanì.
Direttore…Virus…
Funziona? …sì …si sveglia
Hermione
aprì piano gli occhi. Non riconobbe il posto dove si trovava. Poi, mano a mano,
la vista le si schiarì, e riconobbe una camera da ospedale. Fu presa dal
panico, convinta che anche questo fosse pieno di zombie. Ma, non appena prese
ad agitarsi, entrò nella stanza un infermiere
«Ehi, ehi, buona, calmati» le sussurrò quello. «Non c’è niente di cui
preoccuparsi» Hermione si calmò e prese un bel respiro. Si guardò intorno spaesata.
«Stai bene?» le domandò l’infermiere. Hermione non
rispose subito. Rimase un po' a riflettere su come si sentisse. Era in ottima forma, ora che ci pensava. Si
girò e accennò un sorriso.
«Sì» rispose. «Ma che m’è successo?»
«Be’» cominciò l’infermiere, «quando ti abbiamo trovato eri in preda a una
folle febbre» Hermione d’improvviso ricordò il calore immane che
aveva provato poco dopo che era miracolosamente comparsa una barriera tra lei e
gli zombie.
«Non c’erano zombie, quando siete arrivati?» chiese la
ragazza
«Zombie?» ripetè l’infermiere. «No, non mi pare.
C’erano schizzi di sangue dappertutto, ma nessuna traccia di zombie» Hermione si ricordò del rumore di carne disintegrata
che aveva sentito prima di cadere nell’incoscienza, e la conclusione che ne
tirò fuori le sembrò tutt’altro che sensata: Sembra che in qualche modo ho fatto esplode la
barriera contro gli zombie e li ho ammazzati. Ma non ha senso! Hermione stava ancora rimuginando su cosa fosse
successo, quando
l’infermiere la rassicurò: «Ma ora non ti devi preoccupare. Qualunque cosa ci
fosse in quell’ospedale, ora è tutto finito»
L’infermiere la lasciò sola, ma Hermione non vi badò.
Stava ancora ripensando a cosa le fose successo, e alla fine si rassegnò al fatto che quella della barriera esplosa era l’unica
spiegazione plausibile, anche se insensata Ma che cazzo me sta a succede?
Verso l’ora di cena comparve un inserviente con un
vassoio di cibo. Hermione si tirò su sul letto, e non appena se ne fu andato, si fiondò
sulla prima ciotola, senza neanche soffermarsi a guardare cosa fosse. Vide
appena che si trattava di una brodaglia marroncina,
quando ingurgitò la prima cucchiaiata. Hermione non
riuscì a distinguerne il sapore, ma continuò imperterrita. Spazzolò da cima a
fondo il vassoio con il cibo, ma quando ebbe finito si rese conto che tutto
quello che aveva appena mangiato poteva benissimo non essere mai entrato nel
suo corpo. Si sentiva lo stomaco esattamente uguale a come l’aveva prima del
pasto, come se non avesse mangiato praticamente nulla. Perplessa, scansò il
vassoio e si stese sul letto, cercando di dormire. Rimase per un’oretta buona
lì sdraiata, ma senza successo. Confidando nella notte, sperò di prendere sonno
magari più tardi.
Invece la notte passò insonne. La ragazza aveva
provato più e più volte a prendere sonno, ma era come se il suo corpo si
rifiutasse categoricamente di dormire. Si sentiva piena di energia, e la
stanchezza era qualcosa che non sentiva neanche lontanamente. La notte fu
quindi di una noia mortale. Quasi non si accorse che nel frattempo la stanza si
rischiarava sempre di più, segno che si avvicinava l’alba. Hermione
non vi fece caso, e continuò a ripensare alla situazione assurda in cui si
trovava: solo fino a qualche giorno fa la sua massima aspirazione era scoparsi
Cristiano Ronaldo e adesso invece…pareva tutto
irreale. Alle sette arrivò l’inserviente con il vassoio, ma Hermione
non vi badò. Solo quando se ne fu andato, si apprestò a fare colazione. Di
nuovo i cibi che le avevano portato non non la saziavano minimamente, e infatti quando
Hermione ebbe finito di mangiarli aveva ancora lo
stomaco vuoto. E così passò circa una settimana rinchiusa in ospedale,
settimana che a lei parve inutile. Si sentiva forte e vigorosa come non mai, e
le pareva che le sue percezioni fossero migliorate. Nonostante tutto ciò che mangiasse
sembrava rifiutarsi di passare dal suo stomaco, non aveva mai fame. A volte le
pareva persino di riuscire a vedere al buio, ma si disse che doveva essere solo
frutto della sua immaginazione. Ogni tanto continuava a sentire quel profumo
così inebriante, ma non riusciva mai a trovarne la fonte.
Poi, un giorno, ricevette una visita.
Era un uomo, con capelli biondo cenere tirati indietro, una barbetta corta, di
statura e corporatura leggermente superiore alla media
«E allora, Hermione» esordì quello. Aveva una voce
che ammaliava e affascinava Hermione. Intuì che
doveva essere molto carismatico. «come andiamo oggi?» Hermione non rispose subito. Riflettè
a lungo su come si sentisse. Non aveva fame, né sete, né sonno, né nessun altro
bisogno fino ad allora comune in ogni essere umano
«Bene» rispose lei. L’uomo parve per un attimo sorpreso, poi tornò a sorriderle
incoraggiante. «Ho solo bisogno de lavamme,
chepuzzo come un metallaro»
rise della sua battuta: odiava i metallari. L’uomo non battè
ciglio, continuò ad analizzare la sua cartella clinica, poi annunciò il
verdetto:
«Be’, Hermione, le cose stanno così. Ti abbiamo
guarito alla meglio in questi giorni, e ormai sei come nuova. Puoi quasi
sentirti rinata. Perciò puoi andare» Hermione fece per alzarsi, poi si fermò di
botto, con un pensiero atroce.
«Un momento» disse. «Ma, i miei genitori?»
L’uomo assunse un’espressione triste, e Hermione
intuì cosa gli stava per dire. «Non te l’hanno detto?»
«So’…» Hermione singhiozzò. «…morti?»
L’uomo scosse la testa. «Peggio. Sono stati morsi dagli zombie» Hermione scoppiò a piangere. Perché a lei? Perché era
dovuto succedere proprio a lei?
L’uomo si avvicinò e l’abbracciò per consolarla. Hermione
pianse senza ritegno per due ore buone.
Quando alla fine si calmò, chiese all’uomo: «Lei è un medico?»
«Sì» rispose. «Sono il direttore dell’ospedale» Hermione tirò su col naso. «Direttore, cosa devo
fare? Dove posso andare?»
«Non avevi dei parenti?» Hermione fece di no con la testa.
«La situazione è disperata» spiegò il direttore. «Roma è caduta in mano agli
zombie. C’è un campo sopravvissuti da qualche parte, ma non so dove sia.
Potresti provare a cercare loro» Hermione si alzò decisa dal letto e firmò i documenti
di rilascio.
«Aspetta, non puoi andare così. Il sole è tramontato, e gli zombie sono tanti.
E non hai nemmeno un’arma. Aspetta almeno che sia giorno»
«No, me so rotta er cazzo di stare qua» ribattè la ragazza. «E se becco gli zombie, mi metto a correre. Tanto quelli so’ lenti, non è un problema»
Voleva andarsene il prima possibile da lì. Si recò all’armadio, ma non c’erano
vestiti. Imprecò quando si ricordò che quando l’avevano trovata aveva addosso
un pigiama da ospedale. Il direttore si avvicinò.
«Non vuoi nemmeno un’arma?» Hermione si girò a guardarlo. «Perché, ce l’avete?»
«Be’, dovevamo premunirci nel caso gli zombie ci trovassero» rispose. «Te ne
faccio portare una»
Uscì dalla camera. Hermione si avvicinò alla finestra
e vide il buio calare sulla città. Le luci erano accese, ma Hermione
sapeva che non doveva essere rimasto nessuno a gestire le centrali elettriche.
Si gettò sul letto, con le lacrime che le tornarono agli occhi. Si costrinse a
ricacciarle indietro: non era quello il momento di mettersi a piangere. Il
direttore tornò dopo un quarto d’ora con una pistola in mano e un paio di
vestiti.
«Ecco» gli consegnò arma e vestiti. «Sai come funziona?»
«Be’, non è che è difficile» rispose sarcastica la ragazza, mentre si vestiva. Erano
vestiti da infermiere, ma andavano bene.
«Devi togliere la sicura prima» le spiegò il direttore. Azionò una levetta
sulla pistola. «Ecco, ora è pronta all’uso. Ricorda, non sprecare munizioni su
altri bersagli che non siano la testa degli zombie: hai solo quindici colpi» Hermione lo fissò. Aveva un'espressione indecifrabile, ma Hermione era comunque grata a quell'uomo che aveva fatto tanto, per lei. E ora, insieme alla nuova vitalità che avvertiva, era determinata a ritrovare almeno i suoi amici. «Grazie» disse,
poi uscì a passo veloce.
Non appena si ritrovò fuori dall’ospedale, vide
subito che la situazione era complicata. Le guardie all’ingresso le avevano
mostrato una via d’uscita che gli zombie, visto il loro QI, non avrebbero mai
scovato. Ma Hermione vide le condizioni in cui
versava la sua adorata Roma: strade deserte, tracce di sangue alternate a
cadaveri qua e là, cianfrusaglie varie sparse tutt’intorno. La ragazza stava
per farsi sopraffare dalla maliconia, ma si riprese
subito. Cominciò a rimuginare su dove potesse trovarsi il campo sopravvissuti,
ma non ne aveva la più pallida idea. Provò a girare il centro, ma non incontrò nient’altro
che zombie. Fortunatamente riuscì a non farsi mai scoprire da quegli esseri
rivoltanti, e quando si apprestò a setacciare la periferia aveva ancora tutti e
quindici i colpi e non era minimamente stanca, sebbene avesse vagato tutta la
notte per tutto il centro di Roma a piedi. Rimase sorpresa del fatto che non
fosse stanca, e il suo rimuginare rischiò di portarla dinanzi a morte certa. Dopo aver saccheggiato un negozio di abiti di lusso, vestendosi con un elegante vestito rosso, che lasciava molto poco spazio all'immaginazione, e delle scarpe coi tacchi nere e un fiocchetto rosa alla punta, si rimise in marcia.
Stava camminando a passo spedito in Via del Corso, che conduceva a Piazza del Popolo.
Non si accorse del brulicare di persone che imperversava nella piazza di fronte
a lei. Quando vi giunse e si riscosse dai suoi pensieri, era troppo tardi: gli
zombie l’avevano vista e ora si incamminavano famelici verso di lei. Hermione bestemmiò e cominciò a sparare, con una precisione
infallibile che sorprese persino sé stessa, agli zombie, che mano a mano che
venivano colpiti alla testa cadevano come marionette. Ma erano ben più di
quindici, e presto Hermione si ritrovò senza colpi.
Lanciò la pistola contro la marmaglia, colpendo anche stavolta uno zombie in
pieno cranio, e prima di girarsi e mettersi a correre guardò stupita le proprie
mani. Si girò e si apprestò a correre, ma aveva fatto appena pochi passi che
il tacco della scarpa destra si infilò in un tombino Hermione si fece prendere dal panico e iniziò a strattonare la gamba. Ma si limitò solo a peggiorare la situazione. Quando, infatti, riuscì a sfilare la scarpa dal tombino, l'aveva gravemente danneggiata, e al primo passo il tacco si ruppe con violenza assieme alla caviglia di Hermione. La ragazza urlò di dolore e cadde a terra. Nel frattempo, gli zombie proseguivano imperterriti. Questa è la fine, pensò Hermione, mentre le pareva che la sua pelle fosse sul punto
di sgretolarsi e gli zombie avanzavano affamati.
FINALE
DRAMMATICO! Salve gente, eccomi qua! Mi dispiace che questa fic
interessi solo a due ragazze, che ringrazio perché continuano a seguirmi, ma
pazienza. L’importante è che almeno a qualcuno piace, perciò ora vado a
rispondere alle uniche due che puntualmente recensiscono questa storia:
SapphiriaKane: Carina
l’idea di Ron? Ti spiego come m’è venuta: non essendo Harry mai nato, nessuno
ha tolto a Ron la possibilità di diventare il figo
che ha sempre sognato di essere. E sì, i Weasley sono
Serpeverde, anche se non tutti: Charlie e Bill erano Grifondoro. Il perché di questa spaccatura lo rivelerò più
avanti, perciò continua a seguirmi! BlackHayate: Prima che tu decida di rosolarmi con un lanciafiamme, c’è un
motivo del perché Fred e George sono così, e nei prossimi capitoli verranno
chiariti alcuni punti salienti della trama. Il ruolo di Piton
l’hai azzeccato, come nel settimo è diventato Preside di Hogwarts,
quanto a Silente e Lily vige il mistero ancora. Mi piace il fatto che leggi
questa storia con la bocca che si muove stile pesce rosso, perché vuol dire che
ti interessa davvero :D.
Eccoci qui alla fine di un
nuovo capitolo! Cosa sarà successo a Hermione? Gli
zombie l’avranno digerita? Oppure la ragazza morirà perché preda di quel dolore
apparentemente inspiegabile? E Ron, Draco, e i Weasley? Che notizie portano dal mondo magico? Lo
scoprirete nel prossimo capitolo! L’appuntamento è come al solito a domenica,
ciao ragazzi/e!
Ron si risvegliò in infermeria. Non ricordò subito
cosa fosse successo, né perché si trovava lì. Rimase appena qualche minuto a
fissare il soffitto, dopodiché giunse Madama Chips, l’infermiera
di Hogwarts.
«Ah, siamo svegli, vedo» esordì lei. «Come va?»
«Bene» rispose Ron. Era vero, si sentiva in perfetta forma. Doveva essere
merito di Madama Chips. «Ma che cosa mi è successo?»
«Ah, niente di che, trauma cranico» spiegò l’infermiera. «Te l’ho curato in
pochi secondi, dopodiché hai dormito come un ghiro fino ad adesso»
«Posso andarmene, quindi?»
«Sì, tranquillamente»
Ron si alzò dal letto, e Madama Chips tornò nel suo
ufficio. Si vestì e si diede una sistemata allo specchio. Dopodichè
guardò l’ora: erano le undici e dieci. Le lezioni erano già iniziate, perciò
sarebbe stato perfettamente inutile irrompere in classe a quell’ora, anche perché
non ne aveva voglia. Così optò per fare un giro per il castello. Si avviò verso
l’uscita fischiettando. Per i corridoi non c’era nessuno, e comunque non stava
facendo niente di male. Gli unici che avrebbero potuto avere qualcosa da ridire
erano i Carrow e Gazza. Solo che i primi due
probabilmente facevano lezione o erano in Sala Professori, quanto a Gazza,
anche un perfetto idiota poteva farla franca con lui. Ron si diresse così
fuori. La temperatura non era cambiata. Fu quella, più di ogni altra cosa, a
risvegliargli i dolorosi ricordi del giorno prima.
Gli
Auror si lanciarono verso
le case urlando. Ron e Draco
buttarono giù una porta, piombarono in casa e videro diversi Babbani che si svegliavano
confusi. Il sangue affluì rapidamente alla testa, e Ron pensò senza indugio: AvadaKedavra!
Poi premette il grilletto, e l’MP5M, il Fucile d’Assalto che impugnava,
cominciò a sparare a raffica getti di luce verde. Nel momento in cui colpì i
primi Babbani, le donne
cominciarono a urlare e i bambini a piangere. Fu il caos. Tutti scappavano
disordinatamente, inseguiti da quei due ragazzi che continuavano a rovesciare
su di loro getti di luce verde.
Nella foga della battaglia, Ron non si rese conto che nessuno opponeva
resistenza. Tutti si davano alla fuga più disordinata, e il rosso ci mise un
po’ a capire che qualcosa non andava. Poi capì. Quella non era una battaglia
contro i BELLUM. Era una strage di gente innocente. Ron si sentì invadere
dall’orrore per quanto aveva fatto, e per un po’ rimase fermo dov’era. Draco non se ne accorse, perché
continuava a mitragliare tutti di Anatemi Che Uccidono. Quando finalmente Ron
si riscosse, uscì fuori di corsa. Davanti ai suoi occhi c’era il panico: gente
che urlava, scappava, urtava le persone, le calpestava anche, pur di mettersi
in salvo.
«FERMI!» urlò Ron, con quanto fiato aveva in corpo, ai Maghi. «FERMI! STIAMO
UCCIDENDO DEGLI INNOCENTI! FERMI!»
Ma nessuno gli dava ascolto. Ron non aveva altra scelta. Doveva rendere
inoffensivi i Maghi. Pensò Stupeficium!,
e aprì il fuoco contro gli Auror.
Questi dapprima non capirono, ma poi cominciarono a sparare Schiantesimi anche su di lui. Ron ne schivò alcuni e
si rifugiò dietro una macchina. I Maghi tornarono ad occuparsi dei Babbani, così Ron potè nuovamente uscire allo
scoperto e Schiantare i Maghi. I Maghi crollavano uno dopo l’altro, colpiti dai
suoi Schiantesimi, ma prima
che potessero nuovamente reagire, Ron sentì un dolore lancinante alla nuca. Si
fece nero, e tutto svanì.
Ron scosse la testa con vigore, come a volersi
scuotere qualcosa da dosso. Ora ricordava con chiarezza i dettagli della strage
cui lui stesso aveva partecipato. Come quella volta si fece prendere dall’orrore,
ma poi un nuovo pensiero si fece spazio nella sua mente: ma poi cos’è successo?
Capì che doveva trattarsi di un colpo: qualcuno l’aveva colpito, e lui era
evidentemente svenuto. Ma chi era stato?
«Ehi!» sbottò una voce alle sue spalle. Ron trasalì e si girò di scatto.
Gemette: si era fatto beccare come un cretino. «Che diavolo stai facendo qui?»
proseguì Gazza.
«Io…stavo facendo un giro» rispose Ron, evasivo. Era
vero, ma era ancora pensieroso, e ciò gli diede una sorta di aria colpevole
«Ah sì?» lo schernì Gazza. «Lo racconterai al Preside! Forza, vieni con me»
Ron sbuffò e si apprestò a seguire il Custode rompicoglioni.
Quando giunsero davanti all’ufficio di Piton, Gazza bussò gongolante. Era chiaro che pregustava
una punizione alquanto sgradevole per Ron, che lo guardò con doppio disprezzo:
dopotutto, era un Magonò.
«Avanti» rispose Piton da dentro. Gazza aprì la
porta, spinse Ron avanti, poi lo seguì. Piton osservò
la scena imperturbabile, come al solito, e guardò Gazza per una tacita
richiesta di informazioni
«Stavo gironzolando nel castello» cominciò Gazza
«E allora?» domandò Piton. Gazza parve sgonfiarsi, e
Ron trattenne un sogghigno.
«E allora…stava saltando le lezioni!» ritentò il
Custode. Piton si alzò con calma e si avvicinò flemmatico
al Custode. Quando fu a un passo da lui, gli disse: «Evidentemente non ti hanno
informato. Questo ragazzo ha partecipato alla prova della prima battaglia, e
non ne è uscito completamente illeso. Ha ricevuto un colpo forte alla testa, ed
è stato portato qui per un trauma cranico. Evidentemente oggi Madama Chips deve averlo dimesso, solo che era tardi per
frequentare le lezioni. Ti è più chiaro adesso, Gazza?»
Questi aprì la bocca più volte a mo’ di pesce rosso, ma alla fine assunse un’espressione
contrita e borbottò: «Mi scusi, signor Preside»
«Sì, sì, come ti pare» fece Piton, con un gesto
sprezzante della mano. «Ora vattene, devo discutere con il ragazzo»
Ron fu sorpreso, mentre Gazza borbottò solo un ‘sissignore’ e se ne andò. Piton tornò alla scrivania e invitò Ron a sedersi. Lui
eseguì, e Piton cominciò: «Allora, Weasley, ho saputo del tuo incidente nella prova della
prima battaglia»
Ron annuì.
«Ti ricordi cos’è successo?» domandò il Preside.
Ron esitò. Ammirava SeverusPiton,
ma non al punto da dirgli cosa pensava effettivamente della battaglia.
«Be’…io stavo combattendo» esordì Ron, «quando all’improvviso
ho sentito un dolore forte alla testa. Qualcuno deve avermi colpito»
«Non hai idea di chi sia stato?» chiese Piton.
«Nessuna, signore» rispose Ron. Piton lo fissò a
lungo, e Ron si sentì a disagio. Aveva forse lasciato trapelare qualcosa?
«Bene» disse Piton alla fine. «Puoi andare»
Ron annuì, poi si alzò. Sì recò verso la Sala Comune, stavolta, e non poteva
fare a meno di ripensare alla strage. Più ci pensava, più non riusciva a
capacitarsi di tutto. I Maghi erano davvero disposti a uccidere degli
innocenti, pur di raggiungere i loro scopi? Ron non seppe rispondersi.
Quando giunse davanti al ritratto della Sala Comune, pronunciò la parola d’ordine
ed entrò. Si lasciò cadere su una poltrona davanti al fuoco, che ora era
spento, e continuò a rimuginare. I suoi pensieri vertevano sempre sugli stessi
due argomenti: la strage, e il trauma cranico. Il tempo passò in fretta, e
presto la Sala Comune cominciò a riempirsi. Ron si alzò e aspettò che
rientrassero Fred, George, Ginny e Draco. Quando li ebbe tutti riuniti, bisbigliò: «Devo
parlarvi in privato»
Gli altri si guardarono perplessi, ma lo seguirono in un angolino appartato.
Almeno una decisione l’aveva presa, e voleva comunicarla alle persone di cui si
fidava ciecamente
«Voglio andarmene» comunicò senza tanti giri di parole. Gli altri lo guardarono
allarmati.
«Cos’è, il trauma cranico ti ha rincoglionito?» borbottò inaspettamenteDraco. Ron lo guardò per una frazione di secondo: si
aspettava una battuta simile da Fred o da George, non da lui. Poi scosse il
capo.
«Avete visto tutti cosa abbiamo fatto ieri»
Fred e George si guardarono, poi abbassarono la testa. Ginny
e Draco, invece continuarono a non capire.
«Che cosa avete fatto, scusa?» chiese Ginny
«Abbiamo fatto la prova della prima battaglia» rispose Draco,
che non riusciva a capire il senso di quel discorso
«Abbiamo massacrato gente comune e innocente. Uomini, donne e anche bambini che
volevano solo vivere in pace» completò Ron, non senza una certa difficoltà.
Quelle parole pesavano come macigni. Ginny si portò
le mani alla bocca, e li guardò orripilata.
«Ci pensavo anch’io» disse George
«Anch’io» convenne Fred. «Avevamo partecipato già a tantissime battaglie, ma
allora c’erano sempre i BELLUM di mezzo»
«Qui no» aggiunse George, e Fred annuì. Ron fu lieto di non essere l’unico ad
essere tormentato da quel pensiero. Ma ora veniva il difficile: doveva proporre
la sua idea, ed era necessaria tutta la sua forza di volontà per riuscire a
convincerli.
«Scusate, ma…quale cazzo è il problema?»
La domanda arrivò prima che Ron potesse dire alcunché. I Weasley
si girarono esterrefatti verso la fonte: Draco.
Lui proseguì: «Sì, insomma…abbiamo massacrato gente
innocente, è vero. Ma erano comunque solo Babbani,
no?»
Ron era incredulo. Il suo migliore amico che diceva quelle cose.
«E non guardarmi così» lo rimproverò Draco. «Fino a sabato
le pensavi pure tu ‘ste cose. E ora, tutto a un
tratto, ti è venuto l’animo nobile. Anzi, VI è
venuto. Ma che vi prende?»
«Draco» intervenne Ginny.
«Voi avete ucciso degli innocenti, non se se ti è chiaro…»
«E allora? Loro l’hanno fatto per migliaia di anni, prima che noi salissimo al
potere. E ora dovremmo essere clementi con loro?»
«E quindi cosa proponi?» lo schernì Ginny, acida. «Di
abbassarti al loro livello?»
«Se questo serve a riscattarci, sì!»
«Sei solo un coglione»
«E tu una lesbica persa» Ginny trattenne il fiato, e Ron agì senza pensare.
Afferrò Draco per la maglia e lo sbattè
al muro. Era più forte di lui, lo sapevano entrambi, e Draco
parve pentirsi delle sue parole. I Serpeverde nella
Sala Comune osservarono la scena allibiti.
«Chiedi subito scusa» lo intimò Ron, fremente di rabbia
«Mi dispiace, io…» balbettò Draco.
«Scusa Ginny, scusa, non volevo…»
Lei gli lanciò un’occhiataccia, poi se ne andò. «Vattene anche tu»
«Ron, andiamo…» tentò di farlo ragionare Draco. «Sono il tuo migliore amico…»
«Il mio migliore amico non avrebbe mai fatto una sceneggiata simile» lo lasciò
andare, e uscì di corsa dalla Sala Comune. Voleva restare solo
L’ultima settimana di settembre passò tra i
preparativi per la partenza. Ron e Draco continuavano
a non rivolgersi la parola. Ron era profondamente offeso e si aspettava delle
scuse da Draco, il quale però era convinto di non
aver fatto chissà quale grosso sbaglio. Quando sopraggiunse sabato, Ron riunì i
suoi fratelli, e comunicò loro che sarebbero partiti quella notte stessa. Dopo
molte discussioni Ron era riuscito a convincerli che andare dai BELLUM e unirsi
a loro fosse la loro miglior speranza di redenzione. I gemelli avevano
protestato, e Ginny l’aveva guardato dubbiosa, ma
alla fine avevano tutti capitolato. Solo Draco non
aveva ancora preso posizione. Un pomeriggio venne da Ron e esordì: «Dobbiamo
parlare»
Ron lo squadrò: «E’ importante?»
«Sì» rispose lui, deciso.
«Sentiamo, allora» lo esortò il rosso.
«State facendo una cazzata» annunciò Draco. Ron lo
guardò incredulo
«Tutto qui? Una settimana che non ci parliamo, e tutto quello che sai dire è: “state
facendo una cazzata”?»
«Sì, infatti»
Ron cominciava a perdere il controllo. Ormai qualcosa si era rotto tra di loro
«Pensavo fossi venuto a scusarti seriamente!»
«E di cosa?» ghignò Draco. Ron scorse cattiveria nei
suoi occhi. «Ho solo detto la verità, che tua sorella è una lesbica persa»
Ron gli saltò addosso, e cominciò la rissa. Per un po’ sembrò che il rosso
avesse la meglio, poi arrivarono Fred e George a separarli. I due ragazzi
continuavano a guardarsi in cagnesco, dopodichèDraco si divincolò da George e si recò rapido verso le
scale. Si girò un’ultima volta, e gli disse: «Siete dei traditori» e se ne
andò. Fred lasciò andare Ron, il quale stavolta non provava che rabbia, e odio.
Possibile che per sei anni fosse stato quel pezzo di merda il suo migliore
amico?
La sera scese rapida. I Weasley
si incontrarono nella Sala Comune, e incantarono i bauli perché si recassero
verso casa loro, che avevano scelto come destinazione temporanea. Avevano
deciso, infatti, di chiedere ai loro genitori se sapessero qualcosa dei BELLUM.
Avevano provato a convincere anche Percy, ma lui era
stato irremovibile. Anzi, dovevano fare tutto di nascosto anche da lui, perché aveva
detto che se li avesse sorpresi gliel’avrebbe fatta pagare personalmente. I Weasley così attraversarono, non senza un certo nervosismo,
il castello. Non incontrarono nessuno: evidentemente i Carrow,
Piton e Gazza stavano vigilando altrove. Una volta
usciti, attraversarono rapidamente il parco, diretti ai cancelli. Ora veniva l’ostacolo
maggiore: i cancelli erano chiusi, e a guardia di essi c’erano un mago e un Dissennatore. Ma avevano pensato anche a questo. Fred aveva
sgraffignato un paio di granate dall’ultima tragica missione. Ne prese una, l’attivò,
poi con un rapido Incantesimo di Librazione la avvicinò al cancello. Appena in
tempo. La granata esplose, sbalzando via il mago e il Dissennatore
e spalancando il cancello. Attesero che il Dissennatore
si avventasse sul mago ormai svenuto e privo di protezione, dopodichè
uscirono e, non appena ebbero messo piede fuori, girarono sul posto e si
Smaterializzarono.
Riapparvero poco lontano da La Tana, casa loro. I
bauli erano già lì che li attendevano. I Weasley
erano consapevoli di avere poco tempo a disposizione, prima che da Hogwarts iniziasse la battuta di caccia, quindi si
affrettarono. Arrivarono alla porta e Fred bussò. Dall’interno non venne alcuna
risposta, ma dopo pochi secondi si sentì la voce del signor Weasley
domandare:
«Chi è l’effettivo Ministro della Magia, Presidente degli Stati Uniti, Re d’Inghilterra,
ecc.?»
I ragazzi si guardarono perplessi. Che senso aveva quella domanda? Poi Ron
rispose: «Il…Signore Oscuro, no? Ma non ci avevi detto…»
«E’ per accertarmi che siate voi. Ora fatemi una domanda alla quale posso
rispondere solo io»
I Weasley si fecero pensierosi, poi George chiese: «Qual
è la tua più grande ambizione?»
«Scoprire come fanno gli aerei a star su»
I ragazzi sorrisero, era loro padre. Tuttavia, quando li fece entrare era
ancora sospettoso.
«Allora» esordì bruscamente. «Come mai qui?»
I ragazzi parvero delusi: non si aspettavano un’accoglienza così fredda.
«Siamo…siamo venuti a salutarvi» spiegò Ginny.
«E…a chiedervi un favore» aggiunse Ron.
«Che genere di favore?» domandò il signor Weasley
«Vorremmo…vorremmo sapere dove possiamo trovare il
Quartier Generale dei BELLUM»
Il signor Weasley smise di fare avanti e indietro e
si girò a guardarli. «E perché?»
Ron esitò, così intervenne Fred e raccontò loro la vicenda della prima
battaglia. Il signor Weasley ascoltò senza battere
ciglio.
«Così vorreste redimervi?»
I ragazzi annuirono. Il signor Weasley si sedette,
poi chiamò la moglie. Lei arrivò trafelata, ma quando vide i figli nella stanza
si fermò di botto: «Che succede, Arthur?»
«Siediti, dobbiamo dirglielo»
La signora Weasley capì e si sedette a fianco a lui.
I ragazzi non capivano, invece.
«Ragazzi,» cominciò il signor Weasley. «Noi non siamo
i vostri veri genitori»
I ragazzi spalancarono gli occhi, poi si alzarono di scatto, sfoderarono le pistole
– Ginny la bacchetta – e le puntarono verso di loro.
«Cosa ne avete fatto?» domandò Ron, minaccioso.
«Non noi» rispose la signora Weasley. «Gli Auror»
«E voi chi siete?» chiese Fred. I signori Weasley
fecero un gesto automatico con la bacchetta: se la puntarono sulla faccia e
mormorarono qualcosa di incomprensibile. Il loro aspetto svanì, lasciando il
posto a un uomo e una donna, sui trent’anni circa, completamente diversi dai
loro genitori. Lui aveva dei capelli biondo sporco con delle ciocche castane,
occhi verdi e una corporatura normale. Lei aveva capelli rossi tenuti raccolti
da un cerchietto, occhi azzurro pallido e, cosa che attrasse tutti i Weasley, Ginny compresa, una
quarta di seno.
«Io sono EmmettPeak»
annunciò l’uomo. «E lei è mia moglie Janet»
A fatica i Weasley distolsero gli occhi dalle tette
di Janet, e tornarono a guardare Emmett. «I vostri
genitori sono stati catturati dagli Auror e spediti
ad Azkaban per via delle inclinazioni filobabbane di vostro padre»
«Noi siamo stati mandati qui a prendere il loro posto per non farvi preoccupare
o compiere azioni suicide» proseguì Janet.
«E perché dovremmo credervi?» chiese Ginny, che era
la più abile a mascherare l’interesse per un corpo femminile.
«Chiameremo il Quartier Generale, che vi confermerà la versione» rispose Emmett. «Venite»
Lo seguirono in una stanza di cui nemmeno sapevano l’esistenza. I Weasley continuavano a inciampare perché distratti da Janet,
ma alla fine giunsero in uno scantinato dove c’era una scrivania, con sopra un
computer, affianco una radio, alcuni letti d’emergenza e qualche cassapanca. Si
recarono verso la radio, Emmett disse: «Il Capo», poi
sorrise ai ragazzi e cominciò a parlare: «EmmettPeak a base, mi ricevete?»
Inaspettatamente la radio rispose: «Qui
base, ti riceviamo, passo»
«Abbiamo incontrato i giovani Weasley, e vorremmo
confermargli la nostra storia»
«Vi siete accertati che siano loro?»
«Sìssignore»
«Ricevuto. I Peak
sono due soldati BELLUM inviati da noi per sostituire Arthur e Molly Weasley e non destare sospetti nei figli. E’ sufficiente?»
«Sissignore. Emmett, chiudo»
La radio si disconnesse, e Emmett si girò verso i
ragazzi: «Soddisfatti?»
I Weasley annuirono. Emmett
sorrise, poi disse: «Allora, visto che i Maghi vi staranno cercando, vi
conviene passare la notte qui. Domattina poi vi riferiremo le coordinate del
Quartier Generale Supremo. Decideranno loro poi cosa fare»
«Bene» disse Ginny. Tossicchiò, e i fratelli
annuirono, poco convinti. Ginny trattenne una risata.
Emmett li accompagnò alle loro stanze, dopodichè scese al piano di sotto per fare il primo turno
di guardia. Ron rimuginò su quanto gli fosse successo durante la giornata. Si
stupì di come il pensiero di Draco non gli facesse né
caldo né freddo. Chiuse gli occhi, e lentamente l’incoscienza prese il
sopravvento.
Ehilà
gente! Quanto sono contento stavolta, sono arrivato a ben quattro recensioni!
Certo, è sempre un numero misero, ma è sempre meglio di due o addirittura una.
Perciò, senza tanti giri di parole, andiamo a rispondere:
BlackHayate: Ti dirò, non avevo
pensato di andare a vedere chi seguiva la fic, e mi è
preso un colpo quando ho visto che erano in undici. Quanto alla recensione di
una tua amica, potresti provare a minacciare più amici, magari usando mezzi più
efficaci come un lanciafiamme :D. Ma passiamo ad altro. Sì, hai ragione, scrivo
quasi sempre “come al solito”. Il punto è che è una mia caratteristica tipica
di quando scrivo, tendo a ripetere le stesse parole. Sono contento che Hermione ti piaccia, anche perché ricorda che la prima
impressione solitamente è sbagliata. Ah, dimenticavo: perché odia i metallari?
Be’, è semplice. Tu sai che punto al realismo, nella fic,
e tu hai mai visto una truzza a cui siano simpatici i
metallari? :D veronic90:
Accidenti, questa è la prima critica che mi fanno. Ma pazienza, come si dice: de gustibus. Comunque,
risponderò alle domande che hai fatto. Dunque, per quanto riguarda il
linguaggio di Hermione, sì, devo per forza farla
parlare così, perché per una ragazza che vive a Roma da otto anni è normale,
specie se poi diventa truzza (o tamarra, per intenderci,
la specie è quella). Non capisco perché ti faccia venire in mente uno
sparatutto: perché Maghi e Babbani combattono tra
loro? O perché ci sono creature che in realtà non esistono? Se è così allora
anche il romanzo originale della Rowling è uno sparatutto :D. La storia d’amore…te lo dico con tutta franchezza: io sono incapace a
scrivere fic romantiche. Ci ho provato una volta, e
il risultato è stato penoso. Ciò non vuol dire che non ci siano. Per quanto
riguarda Ron e Draco, per quello non ho colpe. Io tra
gli avvertimenti avevo messo OOC, il che vuol dire che dovevate aspettarvi che
alcuni personaggi si comportassero diversamente che nel romanzo originale. È tutto :D Cloud1926:
Oh, una recensione nuova! Ti ringrazio molto per averla lasciata. Ma passiamo
alla risposta. Be’, sono contento che ti piaccia la storia e il mio stile di
scrittura, ed è proprio questo che mi caratterizza: io tendo a scrivere con
schiettezza, rappresentando la realtà nuda e cruda. Come avrai notato in questo
capitolo, infatti, verso la fine i Weasley sono
distratti dalle tette di Janet, cosa che un qualunque essere umano con
attrazione per le donne farebbe :D. E, dannazione, hai ragione: avevo
dimenticato l’immancabile chewing-gum per Hermione. Vabbè, ormai è andata. Quanto al piano di Voldy, non so se quello che ha in mente lo consideri un
piano, dato che ormai ha quasi tutto l’emisfero boreale ai suoi piedi, ma spero
di non deludere le tue aspettative. Continua a seguirmi, mi raccomando! SapphiriaKane: Lo so, probabilmente
devo averti causato uno shock quando ho scritto che Hermione
odia i metallari. Ma dopotutto è truzza, che ci vuoi fare…E inoltre, non mi sembra che anche voi metallari
proviate simpatia per i truzzi :D. Quanto allo stile ResidentEvil…bè, sei l’unica che
ha pensato sta cosa. A DrHouse93 piace questo elemento
Bene gente, qui noi ci separiamo. Ho un
annuncio da fare: siccome tra pochi giorni ricomincerà la scuola (no comment) e io riceverò la pagella, potrei non connettermi
più per i prossimi 43 milioni di anni. Quindi, se domenica dovesse mancare il
settimo capitolo, sapete la causa. Altrimenti l’appuntamento è sempre domenica,
e se io ci sarò, non mancate!
Ciao ragazzi/e, alla prossima!
All’improvviso nel suo campo visivo apparve il volto
di una ragazza. Era più grande di lei, doveva avere circa vent’anni. Aveva dei
lunghi capelli neri che le arrivavano fino a metà della schiena e un cappello
con la visiera rosa e grigio. Gli occhi erano castani. Indossava una maglietta
azzurra con un drago rosa disegnato in basso a destra, dei jeans pantaloncini, e un paio di scarpe marroni da bambola. In
mano aveva un fucile mitragliatore, e glielo stava puntando contro.
«Sei no zombie?» le chiese. Hermione scosse la testa e ricominciò a urlare aiuto
più forte che poteva. La ragazza abbassò il fucile, e le chiese: «Calmati,
calmati. Cosa c’è che non va?»
«ER SOLE! ER SOLE!» strillò Hermione. «BRUCIA!»
La ragazza guardò dietro di lei e disse: «Regà, aiutateme a spostarla all’ombra» Hermione si sentì sollevare e, non appena fu al
riparo dai raggi solari, il dolore passò così com’era venuto.
«Andate a prende la macchina. Se vedemo nel vicolo»
«Vuoi portarte dietro questa?»
«Vorresti lasciarla qui?» Hermione sentì la sua salvatrice discutere con un
uomo, poi si riavvicinò a lei e la rassicurò: «Non te preoccupà,
adesso se ne annamo»
Un grugnito la scosse. Gli zombie continuavano ad avanzare. «Cazzo!» imprecò,
poi si rivolse a Hermione: «Dobbiamo scappà. Ce la fai ad alzarte?» Hermione saggiò le proprie capacità prima di
rispondere. Inspiegabilmente ora si sentiva forte e vigorosa come fino a poco
prima che sorgesse il sole. Si accorse solo in quel momento, anzi, che di nuovo
sentiva, sopra alla puzza degli zombie, quell’odore invitante e familiare allo
stesso tempo, lo stesso che l’aveva tormentata durante la sua permanenza in
ospedale. Ma la cosa che sconvolse Hermione fu che
finalmente ne aveva trovato la fonte: sembrava provenisse dalla ragazza che la
guardava preoccupata e un po’ spazientita. Hermione
annuì, e si alzò.
«Brava» le sorrise la ragazza. «A proposito, io so Erica» Hermione sorrise di rimando, anche se non c’era
niente da sorridere, e corsero per il vicolo dove si trovavano, distanziando
gli zombie. Arrivati in fondo, videro una macchina che li aspettava.
«Presto, salite!» le incitò un uomo, quello con cui stava discutendo prima
Erica. Aveva i capelli rasati in stile truzzo, neri,
occhi verdi, un gilet in gran parte rosso, escluso sulle spalle, in cui era
nero, un maglietta e dei pantaloni verde scuro, e delle scarpe nere. Con lui c’erano
un’altra ragazza e due ragazzi.
L’uomo si presentò. Doveva avere gli stessi anni di Erica, all’incirca.
«Io so Francesco. Loro so Federico, Lorenzo, Lucrezia, e poi vabbè Erica la conosci già» Hermione osservò i suoi salvatori. Federico era
biondo, con la carnagione scura e gli occhi marroncino. I suoi capelli erano
lunghi e gli arrivavano fino al collo. Indossava una camicia gialla con dei
tribali neri, un paio di pantaloni azzurri e dei sandali.
Lorenzo era anche lui biondo e con la carnagione scura, solo che i suoi capelli
erano tirati indietro. Gli occhi erano marroni. Indossava una canottiera gialla
con il colletto alto e una maglia bianca sotto, dei pantaloni blu e delle
scarpe da ginnastica blu scuro.
Lucrezia aveva capelli biondo chiari, carnagione scura, occhi marrone scuro, e
un naso a patata. Indossava una camicetta lilla, una gonna verde acqua scuro con
un motivo a fiori, e delle scarpe dello stesso modello di Erica. Hermione si presentò a sua volta, dopodichè
li esortò nuovamente a salire in macchina. I suoi compagni si apprestarono a
farlo, ma Hermione rimase ferma al suo posto.
«Be’?» le fece Francesco. «Che stai aspettà?»
«Non posso salì io» rispose Hermione. «Er sole me fa nmale cane»
Era successo solo una volta, ma Hermione era sicura
che se si fosse riesposta sarebbe successo di nuovo. Francesco imprecò, poi
salì dietro e le aprì il bagagliaio.
«Daje, sali»
«Ner portabagagli?» chiese Hermione,
incredula.
«E’ l’unico posto dove i raggi solari nc’arivano»
«Sì, ho capito, ma…» un grugnito lontano la
interruppe. Si voltò. Si era completamente dimenticata degli zombie, che
nonostante li avesse sentiti erano ancora parecchio lontani. Hermione sbuffò e si infilò nel bagagliaio. Francesco
glielo richiuse sopra, e lei piombò nell’oscurità. Sentì i passi affrettati di
Francesco, attorno alla macchina, poi il rumore della portiera che si apriva,
lui che saliva e la richiudeva. La macchina si accese, e il gruppo partì. Dopo
un po’ Erica domandò a Hermione. «Che ce facevi là?»
«Stavo a cercàer campo
sopravvissuti» rispose Hermione. Alla sua risposta i
ragazzi si fecero sospettosi, e Giovanni chiese: «Ah sì? E chi t’ha detto che c’era
ncampo sopravvissuti?»
«Me l’aveva detto er direttore de n’ospedale do m’hanno
tenuto un po’»
«Che ospedale?»
«Chi era er direttore?»
«Perché stavi in ospedale?»
«Ao, boni!» sbottò Hermione. «Uno aavorta!». La ragazza fece mente locale, poi rispose: «Er
nome d’ospedale non moo ricordo. Anzi, nme l’hanno detto proprio. E mo che ce penso, manco quello der direttore. E nun so perché so
finita là, l’ultima cosa che me ricordo è che me trovavo in un artro ospedale, solo che era pieno de zombie. Poi…ana certa so svenuta e
quando me so ripi-ata stavo all’ospedale da do so
venuta» Hermione non disse della barriera che aveva evocato e
del bagliore che li avevi disintegrati. L’avrebbero presa per pazza,
probabilmente, e poi non ne era totalmente sicura neanche lei.
«E che ce stavi a fa in un ospedale pieno de zombie?» domandò Erica.
«C’ero finita perché m’avevano messo sotto» rispose Hermione.
«Nun so quanto so rimasta svenuta, ma prima de finì
in ospedale me ricordo che eravamo annate, io e a miimijore amica, a Piazza der
Popolo. Nsomma, mentre stavamo naa
metro a na certa uno è svenuto. Se semo tutti preoccupati, e nsignore
s’è avvicinato pevedè come
stava. Dopo un po’ quello s’è ripreso, e ha morso aa
mano er signore che stava vicino a lui. Dopo npo’ er primo zombie è riuscito a
morde ar collo er signore,
e noi semo scappati. Quannosemo usciti, in cima ae
scale ce stava nragazzo che stava a spiegà a du poliziotti ch’era
successo, solo che i poliziotti nce credevano.
Infatti, dopo un po’ so arivati tutti e due li zombie.
I poliziotti y’hanno sparato addosso, ma quelli nse
so fatti niente»
«E pe forza» la interruppe Lorenzo. «Bisogna sparalliaa testa»
«O so» convenne Hermione. «Solo che i poliziotti n’hanno
voluto ascortàer ragazzo,
e infatti dopo npo’ i zombie so riusciti a morde i
poliziotti. A sto punto semo scappate, solo che ho
attraversato a strada senza guardà e ncojone che annava de corsa m’ha
preso npieno. E quinni so
finita all’ospedale. Quanno me so svejata,
nc’era nessuno, solo zombie. Ma so riuscita a scappà e poi m’hanno trovata i medici dell’artro ospedale»
Per un po’ ci fu silenzio. Era chiaro che tutti rimuginavano sulla storia di Hermione.
«Come te chiami?» le chiese infine Erica.
«Hermione» rispose lei.
«Che nome strano» commentò Francesco. «Da dove…?»
«Nso nata qua» lo interruppe Hermione.
«So nata in Inghirtera, e i miei genitori so dellà»
Improvvisamente le tornò vivido il ricordo dei suoi genitori, dei suoi amici,
della sua vita. Tutto spazzato via. Tutto come otto anni fa. Hermione non riuscì a trattenere le lacrime, ed esse le
sgorgarono quasi inavvertitamente. Qualcuno dovette sentirla, perché nessuno
emise un suono. Hermione pianse a lungo, poi si
riprese e si decise a fare la fatidica domanda: «Ma che sta a succede?»
Qualcuno sospirò, poi domandò con aria triste: «Noo
sai, vè?». Era Erica.
«No» rispose Hermione. Ora era ansiosa di risposte,
voleva sapere perché per ben due volte la sua vita era andata distrutta.
«Allora, devo cominciàcona premessa. Intanto devi sapè
che yesseri umani nso
sempre stati yunici padroni der
pianeta»
«Vabbè, o so questo» la interruppe Hermione.
«Nme riferisco aji animali
e ae piante» ribattè Erica.
«C’hai presente tutte e creature che yumani se so
inventate? Vampiri, licantropi, troll, giganti, ecc.?»
«Mbe’?»
«Nso inventati». Hermione
trasalì. «Esistono pedavero» Hermione non riusciva a crederci. Era vero? Si
rispose quasi subito: se esistevano gli zombie, perché non dovevano esistere
anche tutte le altre creature che aveva citato Erica?
«Ma nso stati loro a creà
sto casino» Hermione si fece attenta.
«Yumani infatti, da nsacco
de anni se dividono in du categorie: Maghi e Babbani» Hermione spalancò gli occhi. Cominciava ad insinuarsi
un dubbio nella sua mente
«I Babbani so a gente comune come me e te, quelli
senza manco npo’ de magia ner
sangue. Pe moltissimi anni avemocomannato noi Babbani, ner corso daa storia avemo pure perseguitato quelli che pensavamo fossero Maghi,
e magari lo erano pedavero.
Ma aa fine i Maghi se so riusciti a vendicà» Hermione sospirò. Era prevedibile.
«Devi sapè che è iniziato tutto proprio in
Inghilterra. Lì ce sta er Ministero daa Magia, che gestisce tutti i Maghi der
paese e comunicava co l’artri
Ministeri nej’artri paesi.
Però, quattordic’anni fa tutto è cambiato. I Maghi
hanno cambiato linea de pensiero. Non yannava più de
vive de nascosto tra i Babbani e l’artre creature dermonno, e volevano vendicarse
contro de noi. Così, i Maghi se so impossessati der
Governo Inglese, perché a na certa ha cominciato a perseguità i Babbani. La versione
ufficiale era che fossero sospettati de esse membri de sette segrete e
illegali, ma n’era così. Nsomma, è iniziata a
persecuzione dei Babbani, e piano piano
s’è espansa pe tutta l’isola»
Era come se all’improvviso tutti i pezzi del puzzle tornassero insieme. Quand’era
piccola, Hermione abitava in un paesino poco lontano
da Liverpool con i genitori. Un giorno, quando lei aveva sette anni, i suoi
genitori avevano deciso di trasferirsi a Roma. Per lavoro, le aveva spiegato il
padre. Ma ora capiva il reale motivo. Erano stati i Maghi a scacciarli dalla
sua terra. Non direttamente, ma erano stati loro. Hermione
si sentì ribollire di rabbia, ma non disse nulla, e ascoltò il seguito del
racconto.
«Nsomma, nessuno s’è cagato l’Inghilterra finchè a persecuzione pareva pacifica. Ma poi hanno
iniziato a compie atti de violenza pure so gente innocente, e a quer punto so intervenuto morte associazioni umanitarie».
Erica sospirò. «N’è servito a niente. Chiunque andava lì in Inghilterra pareva
che s’univa spontaneamente ar Governo, e d’un tratto
se metteva a sostenè con vigore e sue azioni. Piano piano, a persecuzione s’è espansa anche ar
resto dell’Europa. Francia, Germania, Polonia, Danimarca, Norvegia, Svezia…uno dopo l’artro so
passati daa parte dii
Maghi. Se avessimo saputo de che se trattava, avremmo capito che erano proprio i
Maghi a stregà a persone in modo che s’unissero a
loro. Ma nc’avevamo idea de quello che stava a
succede. Nsomma, i Maghi stavano peconquistà anche i paesi dell’Europa Meridionale, quanno so intervenuti ji Stati
Uniti»
Erica sospirò di nuovo. «Ma anche questi nso riusciti
a combinà niente. C’hanno provato in parecchi: CIA,
FBI, polizia, perfino l’esercito. Ma niente da fa. E così anche ji Stati Uniti so cominciati a cadè.
Ma è qui che entramo in gioco noi»
«Perché, chi siete voi?» domandò Hermione.
«Noi semo i BELLUM» rispose Erica.
«Eh?» fece Hermione.
«I Babbani Espatriati che Lottano per la Libertà
Uniti ai Maghi» spiegò Erica. Hermione scoppiò a
ridere.
«Se pòsapè che c’è da
ride?»
«No, è che…» disse Hermione,
ancora ridendo. «…noo so»
«Guarda che “bellum” è na
parola latina che vor dì “guerra”» Hermione si costrinse a smettere di ridere, poi
aspettò che Erica continuasse.
«Vabbè, te stavo a dì…fino
a cinque anni fa. A quer punto so intervenuti i
BELLUM, che appunto riunivano nsolo i Babbani sopravvissuti, ma anche i Maghi che n’erano d’accordo
cor Ministero. Fu allora che cominciò quella che all’inizio
era na guerriglia, contro er
Ministero. Noi BELLUM, infatti, eravamo guidati da Albus
Silente, er più grande mago mai esistito. Grazie a
lui, semo riusciti a unì a magia co
a tecnologia, e inventammo le Armi Magiche. Erano d’aspetto uguali ae armi babbane, solo che bastava
pensà a n’incantesimo e preme er
grilletto, e quello continuava a spararlo finchèer mago che lo impugnava nun ne
pensava n’artro. Infatti, ste
armi erano solo pii Maghi, ma a noi BELLUM bastavano. Dopo un anno ormai
eravamo in guerra aperta, e purtroppo a fortuna passò ajiAuror, i Maghi che all’inizio combattevano i Maghi
Oscuri, ma mo so semplicemente i mijori combattenti der Ministero. Nsomma, quattr’anni
fa, jiAuror so riusciti a copiarceii progetti dell’Armi
Magiche, e hanno iniziato a produlle pure loro. Erano
molti più maghi daa loro parte, e in breve hanno
riguadagnato quer poco che eravamo riusciti a strapparglie. Ma a sconfitta nostra è cominciata quannoer Ministero è riuscito a
uccide Silente. Morto lui, noi BELLUM semo rimasti
senza na guida, e er
Ministero c’ha massacrato. Quann’era convinto de avecce sterminati, ha ricominciato a campagna de conquista dermonno. Seguendo poi l’idea de
Silente, ha cominciato a fa esperimenti sui Babbani e
su a tecnologia babbana. Voleva trasformà
i Babbani in macchina da guerra, che poteva mannà a morì tranquillamente senza scomodàjiAuror. E quinnier Ministero ha
conquistato tutto er Nord America e l’Europa, tranne
l’Italia»
«Perché no?» intervenne Hermione.
«Perché pensava che un paesino così insignificante e politicamente corrotto non
creasse più de tanti problemi» rispose Erica. «E penperiodo c’avuto ragione. Ma poi noi BELLUM semo tornati, e avemo cominciato
a fa delle basi segrete nei paesi ormai soggetti ar
Ministero. Era morto Silente, è vero, ma dopo un altro anno era stato Er Capo a
salvarci dalla disfatta e a riorganizzarci. Ha fatto costruì molte basi
segrete, ma nessuna paragonabile a quelle in Italia o ar
Quartier Generale Supremo, che pe motivi de sicurezza
nte dico do sta» Hermione pensò che in fondo non aveva torto. Anche
lei aveva omesso alcune parti del suo racconto.
«Nsomma, nessuno, tranne i suoi generali più stretti,
conosceva l’identità d’Er Capo, e er Ministero n’ha potuto
fa nulla contro de noi, che eravamo organizzati ancora mejo
de prima. Opponevamo resistenza in Messico, in Italia, e nei paesi asiatici, e er Ministero n’è riuscito a avanzà
ancora. Ma poi, quarche settimana fa, c’è stata n’artrasvorta pii Maghi. Hanno
trovato un modo de sfruttà una dee creature più
orribili der loro monno, ji Inferi, e l’hanno perfezionati in modo da ottenèji Zombie. Dopodichè hanno cominciato a spargerli pe
le principali città dove noi combattevamo e li ostacolavamo»
«Che so ji Inferi?» chiese Hermione.
«Cadaveri» rispose secca Erica. «Cadaveri rianimati dalla magia per compiere
determinati lavori. Ma peji
scopi der Ministero erano troppo limitati, e
mischiando sta magia co a scienza babbana
hanno creato nvirus che trasforma yumani
in Zombie. Ed ecco che ora stamo a sto punto. E
principali città daa resistenza so cadute nmanoaji Zombie, e quinniar Ministero, e quei pochi
sopravvissuti vengono rapiti, uccisi, magnati dai Zombie o ce fanno deji esperimenti» Hermione sentì una morsa in fondo allo stomaco. Era
per quello che le erano capitate tutti quei fenomeni inspiegabili, da quando si
era salvata dagli Zombie? Si costrinse a non dire nulla al riguardo, così
domandò: «E ‘nvece come saa
passano quelli sotto ar Ministero?»
«Dipende» disse Erica. «I Purosangue bene. Finchè
rispettano a linea de pensiero der Ministero, armeno.
Proprio per evità che qualcuno venga su co e idee sbajate, fin da piccoli
li educano a ripete a pappagallo e stesse stronzate che credono l’adulti, così quanno crescono ne so fermamente convinti. I Mezzosangue
invece so discriminati. C’hanno accesso ai lavori più umili e spesso si trovano
tra i Babbaniche’r
Ministero manda ar macello. Tutte le forze dell’ordine
dei paesi conquistate stanno daa parte der Ministero, e i Babbani, i Maghinò e i Nati Babbani so
vittime sempre più frequentemente de esperimenti»
«Aspetta n’attimo» intervenne Hermione. «Che so i Maghinò e i Nati Babbani»
«Ah già, è vero» fece Erica. «Me so scordata de ditte de loro. Allora, i Maghinò so figli dii Maghi che
però nc’hanno manco un pizzico de magia. Er Ministero
i considera nient’artro che Babbani,
quinni poi immaginarti che cosa ye
spetta. I Nati Babbani invece so i figli diiBabbani, che però hanno
ricevuto pequarche ragione
dei poteri magici. Er Ministero i considera dei ladri, dei proprietari illegittimi
der potere magico, e quinni
pure loro vengono braccati»
La morsa allo stomaco si fece più intensa. Cominciava a capire il perché di
quella misteriosa barriera che aveva evocato contro gli Zombie. Era forse una
Nata Babbana? Era per quello che i suoi genitori
erano scappati? Per colpa sua o del Ministero? E gli strani fenomeni che le
erano capitati erano sempre opera della magia che le scorrevano nelle vene?
Per un po’ nella macchina ci fu silenzio. Alla fine Hermione
si decise a fare la fatidica e spinosa domanda: «Io che so?»
«Che vor dì, “tu che sei”?» domandò in risposta
Erica, sorpresa.
«Che cazzo de creatura so?» specificò Hermione
«Sei Umana» rispose Erica, perplessa. «Perché lo chiedi?»
«Perché nso tanto sicura» rispose Hermione.
«Quando me so svejataner
secondo ospedale, me sentivo strana. Me sentivo, e me sento ancora, piena d’energia.
Instancabile. E nfattinso
riuscita navorta a dormì, quann’ero là. E c’è de più. Quann’ero
in ospedale e me portavano er pranzo, sentivo tutte e
vorte un odore che non riuscivo a riconosce: era bono ma familiare. All’inizio pensavo che venisse dar cibo,
ma poi lo assaggiavo e me rendevo conto che nc’aveva
sapore. Oggi c’ho fatto caso de novo, e ho capito che sto odore o mandano e
persone. Senza contàer fatto
che er sole m’ha fatto nmale
cane quanno m’ha colpito. Quinni
te richiedo, che so io?»
«Non è ovvio?» intervenne a sorpresa Francesco.
«No» disse Hermione
Francesco sospirò. «Tu sei un Vampiro»
TATATATAAAAAAAAA!
TATATATAAAAAAAAAA! Sarebbe la nona di Beethoven, per interderci,
e serviva a fare un finale drammatico. Vi consiglio di andare a cercarla se non
avete la più pallida idea di quale sia, la nona di Beethoven, anche perché rende
bene l’idea della fine del capitolo. Se inoltre siete riusciti ad arrivare fin
qui e a capire la stragrande moltitudine di dialoghi romani, vi faccio i miei
complimenti. Ma ora, passiamo alla risposta alle recensioni:
veronic90:
Ehm…non per niente, ma io non ho mai usato le parole “tutte
le romane sono truzze”. E poi che esagerazione, il
dialetto romano ti fa addirittura vomitare? D:
P.S. Una cosa che mi son dimenticato di dirti riguardo alla scorsa recensioni.
Non è vero che Hermione non piace a nessuno perché è
così volgare. Fidati, resteresti sorpresa di sapere quante truzze
sono fidanzate qui a Roma. In ogni caso sono contento ti sia piaciuto il
capitolo BlackHayate: Tu mi lusinghi :D. No
comunque, a parte gli scherzi, ti ringrazio molto, sembri l’unica che abbia
capito la vera natura della fic. Certo, senza zia
Rowling non avrei mai avuto quest’idea, ma per fortuna è andata diversamente.
Non si può dire lo stesso di Hary, invece. Peraltro,
il fatto che dipenda tutto dalla mia mente è un bella cosa ma anche
preoccupante. Voi non avete idea di cosa sia capace la mia mente contorta :D Cloud1926:
Hai perfettamente capito la natura di Ron. Cioè, Ron sarebbe stato il leader
perfetto se non fosse mai nato Harry: bello, intelligente, simpatico ecc. ecc.
E qui ha finalmente la decisione di “riscattarsi”(Ron è il mio personaggio
preferito, si capiva? :D). Sempre più insistenti le comparse dei BELLUM, che
finalmente ora sapete cosa significa, e sarà una coincidenza che due persone
che nemmeno si conoscono e sono molto diversi (Ron e Hermione)
siano state entrambe aiutate dallo stesso gruppo? Mah, chi può dirlo? SapphiriaKane: Be’, sulla tua
recensione non c’è molto da dire, se non il solito grazie, del quale ormai vi
sarete stancati di sentirvelo dire, Draco finalmente
è un cattivo cazzuto, non quella mammoletta
di zia Rowling (che però io preferisco), e lascio il mistero su Piton.
Bene, eccoci alla fine di un altro
capitolo. In quelli precedenti vi avevo promesso chiarimenti, e infatti eccoli
qua. Ma ora bisogna proseguire con la narrazione! Che succederà nel prossimo
entusiasmante (si spera) capitolo? Se non mi hanno messo in punizione (vedasi motivo dell’altra volta) lo scoprirete domenica.
Ciao ragazzi/e, (forse) a domenica!
Come volevasi dimostrare, la mia pagella è stata schifosa e il Grande Capo ha parlato chiaro. Fino a nuovo ordine niente più computer, e non solo, perciò mi spiace per voi lettori. In ogni caso ogni domenica controllate, nel caso dovesse finire la punizione, e potreste trovare il famigerato capitolo 8.
Ciao ragazzi/e, ci vediamo fra 43 milioni di anni!