Starlight di Marian Yagami (/viewuser.php?uid=60045)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Nola
correva a lato di una strada poco trafficata.
Il
vento le sferzava il viso ma non le importava: l’importante
era che
lei fosse finalmente libera. Non avrebbe resistito un minuto di
più
in quel maledettissimo orfanotrofio di campagna, dove aveva passato i
tre mesi più brutti della sua vita.
Da
quando la sua nonnina, l’unico parente ancora rimastole in
vita, se
ne era andata, lei era rimasta sola al mondo, senza nessuno che
potesse prendersi cura di lei.
Fu
così affidata alle “cure” della
direttrice
dell’orfanotrofio, la signorina Simpleton.
Nola
non si stupiva che la signorina Simpleton fosse ancora single
nonostante avesse più di cinquant’anni,
perché la sua
mascolinità non poteva essere superata da nessun uomo
esistente al mondo. Oltretutto il suo carattere freddo e insensibile
la rendeva ancora più odiosa e detestabile.
Dal
suo arrivo all’orfanotrofio, la signorina Simpleton la prese
in
antipatia, e nulla le fece cambiare idea.
-
Da questo momento farai tutto quello che ti dirò di fare.
Lavorerai e guadagnerai dei soldi, vedo che sei abbastanza grande per
farlo. È finita la bella vita per te, è ora che
tu
sappia il significato di avere un posto nella società.
–
disse la signorina Simpleton, quando Nola, esausta per aver
trasportato un bagaglio troppo pesante per le sue mani,
entrò
per la prima volta nel suo luogo di prigionia.
-
La nonna non mi avrebbe mai lasciata lavorare! Ho solo sedici anni!
–
disse lei a denti stretti.
-
Sfortunatamente tua nonna è morta, e niente potrà
cambiare questa realtà! – rispose la signorina con
un ghigno
malvagio in volto.
-
Questa sarà la tua camera d’ora in poi.
– disse indicando
una porta alla sua sinistra.
-
Domani mattina alle sette ti farai trovare in sala da pranzo per la
colazione, dopo di che deciderò il lavoro che dovrai
svolgere.
– continuò aspra, poi se ne andò.
Nola
entrò nella stanza, osservandone l’arredamento con
sempre
maggior disgusto. Esattamente davanti alla porta si trovava una
piccola finestrella con il vetro rotto, da cui entrava, abbondante,
la pioggia. Sotto la finestra c’era una branda vecchia e
smollata,
su cui poggiava un consunto materasso mangiato dagli acari. Non
c’era
ne un cuscino ne una coperta.
La
ragazza buttò la valigia in un angolo, e da una crepa del
muro
uscì uno scarafaggio, sicuramente disturbato dal tonfo.
-
Aah! – gridò Nola, e sali sopra il letto, che fece
strani
scricchiolii.
Lo
scarafaggio rientrò nel buco, e lei scese dal letto, sicura
che non avrebbe retto il suo peso ancora per molto.
-
C’è qualcuno? – chiese una voce
proveniente dalla camera
affianco a quella di Nola. Era una ragazza.
Poi
all’improvviso un pannello di legno della parete si
spostò,
facendo passare una ragazzina bionda, che si ripulì il
vestito
sudicio dalla polvere del pavimento, e infine alzò la testa,
mostrando due brillanto occhi azzurri.
-
Tu sei la ragazza appena arrivata, vero? Tutti parlano di te!
Ovviamente con me non parla nessuno, e non sei obbligata a farlo
nemmeno tu, ma ci sono abituata ormai…-
Nola
fissò intensamente quella ragazzina. Lo notava solo adesso
ma,
anche se i suoi abiti le davano l’aspetto di una poveraccia o
di
una mendicante, lei non era per niente sporca.
Certo
era molto magra, ma le sue mani erano delicate e non c’era
ombra di
terra sotto le unghie, e i suoi capelli erano morbidi e fluenti.
-
Io sono Nola, piacere! – disse, tendendo la mano alla
ragazzina.
I
suoi occhioni azzurri si illuminarono. – Allora tu parli con
me! Io
mi chiamo Arin! –
-
Perché ti fanno dormire qui su in soffitta? Non hai paura?
–
chiese Nola.
-
Oh, no! Si sta bene quassù, a parte quando piove, ma quando
fanno belle notti si vede un cielo così limpido che puoi
contare le stelle! –
Nola
si sedette sul letto, e Arin le si avvicinò.
-
Perché nessuno parla con te? – chiese ancora Nola.
Arin
rimase in silenzio per un po’, mordicchiandosi il labbro
inferiore.
-
Mia madre era una strega. Cioè, la gente dice
così, per
screditarla, ma lei non era niente del genere! Preparava solo rimedi
e infusi a base di erbe, non aveva mai fatto niente di male a
nessuno. Poi un giorno, delle guardie dell’Impero del Fuoco
bussarono alla nostra porta e la portarono via. Da quel momento la
vidi solo in occasione del suo funerale, due settimane dopo. A dire
la verità vidi le sue ceneri, l’avevano bruciata
sul rogo .
Avevo solo sei anni… Poi, non avendo altri parenti che
volessero
tenermi con se, venni mandata qui. –
A
Nola salì un groppo alla gola. In confronto a quel racconto,
la sua storia non era niente di speciale.
-
Quanti anni hai? – chiese ad Arin.
-
Tredici appena compiuti! – esclamò orgogliosa,
sorridendo.
-
È un miracolo che in questo posto qualcuno riesca ancora a
sorridere! – disse, più a se stessa che ad Arin.
-
Non preoccuparti, quando ci farai l’abitudine non
è poi così
male, anche se per farti un bagno decente devi per forza andare al
fiume. Se qui all’orfanotrofio c’è il
gabinetto è
anche troppo! –
Quella
notte Arin rimase a dormire nella camera di Nola, portando una
coperta dal suo letto, e avvolgendosi entrambe per tenersi caldo a
vicenda.
La
mattina dopo, Nola venne messa ai lavori forzati in cucina e nel
giardino.
-
Lava le pentole! – sbraitava la signorina Simpleton. E
ancora: -
Strappa le erbacce! - oppure – Pulisci le camere! –
La
ragazza non aveva un attimo di respiro e non poteva nemmeno
ribattere, perché la signorina Simpleton aveva minacciata di
toglierle tutti gli oggetti personali, comprese le vecchie foto dei
suoi parenti. Tutti i giorni era una vera tortura.
Solo
la notte poteva davvero tirare un sospiro di sollievo, tornando nella
sua piccola camera, dove chiacchierava a bassa voce con Arin, per non
farsi sentire.
A
volte era Nola ad andare a trovare la ragazzina nella sua stanza. In
realtà era una camera molto piccola, arredata solo da un
letto. Alla parete era appeso un gancio che reggeva un vecchio
straccio, che ad una seconda occhiata si rivelava per quello che era:
un vecchissimo abito nero, tarlato e ammuffito.
-
Quello era l’abito che indossai al funerale di mia madre.-
spiegò
un giorno Arin, mentre lo accarezzava, alzando un po’ di
polvere.
Nola
gli si avvicinò. Era molto piccolo, giusto per una bambina
di
sei anni.
Alla
ragazza si strinse il cuore a ripensare alla storia di Arin, e
vederle quell’espressione rassegnata in volto la fece
intenerire
ancora di più.
Gettò
le braccia al collo di quella ragazzina, dal corpo talmente magro che
aveva paura di farle male.
-
Ahia! – esclamò Arin, e si districò da
quell’abbraccio.
Nola
la guardò spaventata. L’aveva forse stretta
troppo? Ma vide
che Arin si massaggiava un braccio, quindi capì che non era
stata colpa sua.
-
Che cos’hai? Fammi vedere. – disse Nola,
avvicinandosi.
Arin
la guardò spaventata e insieme imbarazzata.
-
È meglio se non… - mormorò la piccola,
ma Nola si era
già fatta più vicina, e con un solo movimento
alzò
la manica del vestito di arin, che lei usava anche come camicia da
notte.
Un
gigantesco livido viola si estendeva dal polso e percorreva quasi
tutto l’avambraccio, tracciando una forma allungata.
-
Come te lo sei fatta? – urlò, più
spaventata che
arrabbiata.
Le
guance di Arin si rigarono di lacrime, mentre le sue gambe cedevano e
cadeva inginocchiata. – Io… non…
il… ferro da stiro… la
signorina Simpleton mi ha… - cercava di dire, ma i
singhiozzi
coprivano metà del discorso.
Incredula,
Nola sentì crescere la sua rabbia e la sua
avversità
verso la signorina Simpleton sempre di più.
Uscì
dalla stanza sbattendo la porta, prendendo per mano Arin e
trascinandosela dietro.
Trovò
la signorina Simpleton nel suo ufficio, molto più lussuoso e
pulito di tutto il resto dell’orfanotrofio.
Sbattendo
la porta annunciò il suo arrivo, e con la stessa rabbia le
urlò in faccia. – Che cosa ha fatto? –
gridò,
perdendo definitivamente il controllo.
Allungò
il braccio di Arin verso la scrivania e lo mostrò alla
direttrice.
Lei
fissò il livido per un momento, poi ritrasse lo sguardo e
voltò la testa, come disgustata da quella visione.
-
Allora! Mi risponda! – gridò ancora Nola.
-
Che cosa dovrei dirti? – chiese la signorina Simpleton con
voce
calma e composta.
Nel
frattempo davanti alla porta aperta dell’ufficio si era
radunata
una piccola folla.
-
Per esempio potrebbe dirmi perché ha picchiato Arin con un
ferro da stiro? –
La
signorina Simpleton cominciò ad agitarsi e a sudare freddo.
-
Come… chi ti ha… detto una cosa del genere?
– farfugliò,
poi tentando di ricomporsi, esclamò con voce più
acuta
del solito: - È stata lei vero? – indicando Arin.
-
Tu, piccola, spregevole bambina, sei soltanto…-
-
La
smetta!
– gridò Nola, frapponendosi tra Arin, che aveva
ricominciato
a piangere, e la signorina Simpleton, che per l’agitazione e
la
collera era rossa in viso e spettinata.
-
In punizione! – esclamò la direttrice,
ricomponendo il suo
tono di voce freddo e pacato.
-
Non tollero che nel mio istituto vengano messi in discussione i miei
metodi di insegnamento. –
-
Allora me ne andrò. Scapperò da questo posto, e
lei non
mi rivedrà mai più! –
esclamò Nola, a cui quel
tono di voce monocorde dava sui nervi.
-
Che pensiero sentimentale! Sfortunatamente non sei ancora
maggiorenne, perciò dovrai stare qui nella mia
“prigione”
ancora per due anni! –
Nola
sbattè un pugno sulla scrivania.
-
Lei è un mostro! – sibilò.
-
Perfetto. Isolamento! – disse la direttrice. Si
alzò dalla
sua poltrona e la prese per un braccio. La trascinò fino
all’esterno del caseggiato, portandola dentro un capanno
pieno di
balle di paglia.
-
Questo è un posto dove porto a riflettere i ragazzini
ingrati
come te che non rispettano la mia autorità. Resterai qui
dentro per una settimana. Ti verrà portato un pasto al
giorno
e i bisogni potrai farli qui dentro. – disse, e si
avvicinò
ad una botola vicino all’entrata del capanno. Alzò
la
copertura e si tappò il naso. Dal buco fuoriusciva una puzza
nauseabonda.
La
signorina Simpleton uscì dal capanno e chiuse
l’entrata.
Mentre
calde lacrime scendevano dalle guance di Nola, all’esterno si
sentì
un rumore di catene sfregate. Era stata chiusa dentro.
Si
riscosse subito e si mise a cercare una via d’uscita.
Notò
immediatamente quella che sembrava una finestrella. Si
arrampicò
su delle balle di paglia e raggiunse l’apertura. Era sbarrata
da
delle assi in legno.
Cercò
di toglierle con le mani, con l’unico risultato di graffiarsi
con
le schegge e farsi uscire il sangue.
Trovò
altre finestrelle sbarrate. Qualcuno sicuramente era riuscito a
scappare, per quello erano state chiuse.
Rassegnata
si accasciò sulla morbida paglia e finì per
addormentarsi.
-
Nola! – sussurrò una voce nella notte.
Nola
credeva ancora di sognare, quando infine riconobbe la familiare voce.
-
Arin! – esclamò Nola, improvvisamente sveglissima.
-
Da questa parte! – sussurrò la ragazzina, bussando
su
un’asse di legno del caseggiato.
Nola
la spostò, e dall’altra parte vide finalmente il
dolce viso
di Arin.
-
Come facevi a sapere che qui c’era un passaggio?! –
chiese,
sorridendole.
-
Quando ero più piccola sono stata rinchiusa qui molto spesso
e
molto a lungo…- disse la piccola.
Le
due si guardarono e infine, tra le risate trattenute, si strinsero in
un abbraccio.
-
Nola devi scappare! – esclamò
all’improvviso Arin. Si fece
da parte e mostrò alla ragazza una valigia piena.
-
È la tua valigia. – spiegò Arin.
– Ho raccolto
tutte le tue cose, non ne ho dimenticata nessuna! E ho messo anche
delle provviste! Sai, volevano bruciare i tuoi averi, ma li ho
recuperati tutti prima che ci riuscissero! – disse fiera,
sorridendo.
-
Che cosa è successo?! – chiese Nola allarmata.
-
Ho sentito la direttrice che parlava al telefono con
qualcuno… Non
so chi fosse… Diceva che voleva mandarti in un posto
strano… Si
chiamava Hans… Hansest… -
-
Hansenouth! Il manicomio! Vuole mandarmi al manicomio?! –
Anche
Arin rimase scioccata a quella scoperta.
Nola
uscì in fretta dal passaggio, ritrovandosi al buio della
notte, illuminato solo da uno spicchio di luna.
-
Ho sentito che alla fine del tuo periodo di isolamento sarebbero
venuti a prenderti! - disse Arin, con le lacrime che minacciavano di
invadergli le guance.
-
Arin, dimmi esattamente che cosa hai sentito! – la
scongiurò
Nola, chinandosi un poco verso la piccola.
-
Diceva… La signorina Simpleton diceva che avevi avuto uno
scatto
d’ira e che era meglio rinchiuderti
perché… potevi essere
un pericolo per noi bambini…-
-
Sarebbe lei da rinchiudere! Se solo sapessero come è gestito
questo orfanotrofio la metterebbero subito in prigione! –
Respirava
con affanno a causa della rabbia, ma dopo due boccate di aria fresca
si riprese.
-
Ti conviene andare, adesso. –
Nola
annuì, e dopo un rapido sguardo, le due si abbracciarono
nuovamente.
-
Grazie per tutto quello che hai fatto per me! –
mormorò
Nola, schiacciando la testa nei morbidi capelli di Arin.
-
Sono io che devo ringraziarti, senza di te non ce l’avrei mai
fatta! Hai portato un po’ di felicità nel mio
piccolo mondo.
–
“
È
ancora una bambina, ma parla come una donna!”
Le
due si sciolsero dall’abbraccio.
-
Arin, ricorda una cosa: anche se saremo lontane, noi due saremo
sempre sorelle, d’accordo? – disse Nola, poi,
salutandola con la
mano, si diresse di corsa verso il sentiero che portava alla strada
asfaltata.
Arin
rimase un po’ a guardare, gli occhi velate dalle lacrime, poi
decise finalmente di tornare nella sua camera.
“
Sono
sicura che tornerà a prendermi, molto, molto
presto!” pensò.
Improvvisamente
lo stomaco di Nola fece un rumore, molto somigliante ad un ruggito
furioso.
-
Forse è ora che metta qualcosa sotto i denti! –
Impresa
impossibile, dato che quella strada proseguiva imperterrita in mezzo
alla campagna, senza l’ombra di una casa ne una stazione di
servizio nel raggio di chilometri.
Si
fermò sul ciglio della strada e aprì la valigia e
trovò
un pacchetto involto e chiuso da spago. Lo aprì, e dentro
trovò tre panini con il prosciutto assieme a dei pezzi di
formaggio, in seguito notò che in un angolo della valigia
c’era anche una bottiglia d’acqua.
“
Arin,
sei davvero una ragazza d’oro!” pensò
Nola, mentre
addentava un panino, con le lacrime agli occhi.
Improvvisamente
un rumore la fece sobbalzare, veniva dalle sue spalle, e si
avvicinava pian piano. Si voltò, aspettando in ansia di
sapere
di cosa si trattasse. Poi, dalla cunetta della strada, vide spuntare
un piccolo camioncino, che trasportava qualche gallina.
Il
camioncino si fermò a pochi passi da lei, e il guidatore
abbassò il finestrino. Era un vecchietto dallo sguardo
simpatico.
-
Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora?
– chiese il
vecchietto.
-
Io… perché, che ora è? –
-
Santo cielo! Sono le sei di mattina! –
-
A dire la verità…- fece per spiegarsi Nola.
-
Vuoi un passaggio? – chiese ancora il vecchietto.
Lo
sguardo di Nola di illuminò. – Certo! –
rispose d’un
fiato.
-
Bada bene però, dovrai stare seduta tra le galline, qui
davanti non c’è posto! – disse, e da
dietro la spalla del
vecchio spuntò la testa di un vecchio segugio
dall’aria
vissuta.
“
Non
so dire chi sia più vecchio, se il cane o il
padrone!” pensò
Nola, mentre saliva nel cassone.
-
Ancora una cosa, dove vai di preciso? –
-
Oh, non ho una meta precisa, mi porti fin dove deve andare lei, poi
da li vedrò io… -
-
Se per te va bene cosi… Ah, stai attenta a quella gallina
con le
penne rosse, è molto permalosa!- rise il vecchio, mentre
dava
gas al camioncino sgangherato.
Il
camioncino arrivò ad una piccola fattoria, circondata da
campi
coltivati e da vari frutteti.
Nola
scese dal furgone, e così anche il vecchio e il cane.
-
Questa è la “Fattoria delle Margherite”-
annunciò
fiero. – Era il nome che le aveva dato mia
moglie…- continuò,
questa volta con una nota di malinconia nella voce.
Fece
scendere le galline dal cassone, che cominciarono a beccare qua e la
nel terreno.
-
La ringrazio per il passaggio, ma ora è meglio che vada!
–
disse Nola, con un sorriso, ma non fece in tempo a fare un passo che
si accasciò per terra.
-
San Tommaso! Ma tu sei morta di sonno! Da quando non chiudi occhio?
–
-
Forse… quasi due giorni? – rispose lei,
rimettendosi in piedi.
Solo
in quel momento si accorse di quanto fosse stanca. L’euforia
della
fuga glielo aveva fatto dimenticare.
-
Vieni, puoi sdraiarti nella camera di mia figlia, lei ha lasciato
questa casa da molto tempo, ormai. –
Nola
riaprì gli occhi, e in un primo momento non capì
dove
si trovasse. Quando vide la testa di un anziano segugio a pochi
centimetri dalla sua, ritrovò improvvisamente la memoria.
Si
alzò dal letto e si guardò intorno. Si trovava in
una
stanza piccola e sobria, ma molto accogliente. Non ricordava neanche
come ci fosse arrivata, tanto era assonnata.
C’era
un letto, coperto da una trapunta patchwork molto campagnola, un
piccolo armadio in legno e una scrivania. Affianco al letto si
trovava una piccola finestrella sulla quale era poggiato un vaso di
fiori.
Uscì
dalla camera, e trovò la cucina solo seguendo un delizioso
profumo molto invitante. Il segugio la seguì come una
guardia
del corpo.
-
Finalmente ti sei svegliata! Giusto in tempo per il pranzo! –
esclamò il padrone di casa, che indossava un buffo grembiule
da cucina e impugnava un mestolo sporco di salsa come fosse una
spada.
-
Hai dormito un giorno intero, proprio come un ghiro, e sai una cosa,
non so neanche il tuo nome! – disse, mentre porgeva una
ciotola di
stufato alla ragazza.
-
Mi chiamo Nola. – disse, mentre prendeva la ciotola e si
sedeva al
piccolo tavolo apparecchiato per due. – E lei, come si
chiama? –
-
Il mio nome è Talbot, e lui e Boris. – disse
indicando il
cane. Prese una ciotola di stufato e si sedette anche lui a tavola,
mentre Boris gironzolava attorno alla sua ciotola.
-
Allora, qual buon vento ti porta da queste parti? – chiese
Talbot.
-
A dire il vero… Sono scappata, ecco! Da
quell’orfanotrofio
disperso nella campagna! – Nola non capiva come le parole le
uscissero così spontaneamente, ma era sicura che di quel
vecchio ci si poteva fidare ciecamente.
-
Intendi l’orfanotrofio della signorina Simpleton? –
esclamò
Talbot, svegliandosi immediatamente da quella calma che lo avvolgeva.
Nola
annuì, mandando giù il brodo caldo e gustoso.
–
Proprio quello…- La ragazza si aspettava come minimo una
bella
ramanzina, ma la reazione che ebbe il vecchio la colse completamente
impreparata.
Iniziò
a tremolare e a far muovere i folti baffi, come se stesse per
starnutire, finché non esplose un una sonora risata.
-
AH! AH! AH! Non ci posso credere! Finalmente qualcuno che si ribella
a quella vipera travestita da donna! Era ora! –
esclamò, e
poi tornò a ridere.
Nola,
sbalordita da quella reazione, iniziò a ridere assieme al
vecchio, fino a quando fece male la pancia ad entrambi.
Ripresero
fiato, ansimando tra risatine e boccate d’aria.
-
Come posso ringraziarla per l’ospitalità, signor
Talbot? –
chiese Nola, non ancora ripresasi dalla risata.
-
Oh, non devi ringraziarmi, a questo vecchietto basta la tua presenza
per sentirmi felice. Sai, non ridevo così da un sacco di
tempo
ormai! Mi ci voleva questa ventata d’aria fresca!-
Boris
russava, sdraiato sul tappeto della cucina, mentre Talbot era
impegnato ad accendersi la pipa seduto sulla sedia a dondolo.
-
Lo sa, alla sua età non dovrebbe fumare! – lo
apostrofò
Nola, che lavava i piatti.
-
Me lo diceva sempre anche mia moglie! – sospirò
Talbot, e si
alzò, dirigendosi verso la credenza. Fece cenno a Nola di
avvicinarsi e da un ripiano prese una foto incorniciata. Ritraeva un
uomo di mezza età che abbracciava una donna più
bassa
di lui, e tra i due si trovava una ragazza poco più grande
di
Nola. Affianco alla ragazza stava seduto un giovane segugio
dall’aria
fiera.
-
Questa era mia figlia…- disse, indicando la ragazza nel
centro. -
Dieci anni fa si sposò con un ricco industriale, e da allora
si trasferì a River Town. Da allora venne a trovarmi dalla
città qui in campagna, sempre più raramente,
finché
un giorno non venne più. Per me era molto difficile andare a
trovarla, anche perché io e mia moglie eravamo molto
impegnati
qui alla fattoria, perciò da allora non ho più
avuto
notizie della mia bambina, la mia piccola… Susie…
-
Talbot
sfiorò la figura della figlia, con gli occhi umidi. Nola lo
osservò, comprensiva: anche lei provava nostalgia,
ripensando
alla nonna.
-
Lei invece era mia moglie… Marta… La donna
più dolce del
mondo! Era sempre sorridente e anche se qualcosa andava storto
l’allegria l’accompagnava ogni giorno! Dopo la
partenza di Susan
non fu più la stessa… Sorrideva sempre meno, e
arrivò
al punto di ammalarsi, una malattia che non le diede tregua, che me
la portò via per sempre… -
A
quel punto Talbot venne colto dalla commozione e si coprì
gli
occhi con la mano libera.
Nola
gli circondò le spalle con un braccio, dandogli leggere
pacche
sulla schiena.
-
Non preoccuparti! – disse, dopo essersi ripreso. –
Qui con me c’è
sempre Boris a tenermi compagnia, poi ci sono le galline e persino la
mucca Mafalda! –
Le
galline razzolavano tranquille, ma Nola non si era ancora abituata a
quel via vai. Certo, in tre giorni di vita campagnola aveva imparato
un sacco di cose, compreso raccogliere le uova senza schiacciare
nemmeno un pennuto.
Portò
il cesto delle uova in casa, e si mise a preparare il pranzo.
Talbot
era andato a mungere una pecora, perciò in casa con la
ragazza
c’era solo Boris, che gironzolava senza una meta. Mentre Nola
impastava il pane, il segugio si sedette vicino a lei e la
fissò
intensamente. In un primo momento, la ragazza non diede peso allo
strano comportamento del cane, ma sentendosi osservata, lo
fissò
anche lei.
Gli
occhi di Boris avevano uno strano luccichio, come se fossero proprio
occhi umani.
“
Ho
il sospetto che questo cane capisca tutto quello che
diciamo…”
pensò Nola, tornando all’impasto.
-
Bene! Vedo che stai preparando il pranzo! Cos’è?
– chiese
Talbot, tornato in casa, mentre alzava il coperchio di una pentola
che cuoceva sul fuoco.
-
È una vecchia ricetta di mia nonna, una specie di tradizione
di famiglia: verdure con farro, orzo e carne…-
-
Ottimo! Squisito! – cominciò a esclamare il
vecchio, che
assaggiava.
-
Ehi, ne lasci anche per il pranzo! – disse Nola.
Dopo
pranzo Talbot si sedette nella sua sedia a dondolo, guardando un
po’
la tv, mentre Nola era seduta a gambe incrociate sul tappeto della
cucina, e faceva dei massaggi circolari sulla pancia di Boris.
-
Signor Talbot, da quando Boris fa parte di questa famiglia? –
chiese Nola, che fissava nuovamente gli occhi espressivi del cane.
-
Ormai da più di dieci anni! In verità mi stupisco
che
sia ancora vivo, data la sua età, ma finché resta
a
farmi compagnia…
A
dire il vero era uno strano cane anche da piccolo. Ogni volta che
parlavamo di qualcosa, Boris si sedeva vicino a noi e ci fissava,
come se stesse ascoltando anche lui. Ora che siamo rimasti noi due
soli sono io che parlo con lui, e lui mi ascolta sempre, come quando
era piccolo. –
Un
rumore interruppe la loro conversazione.
Somigliava
a quello del camioncino di Talbot, ma era molto più profondo
e
scombussolato. Nola si avvicinò alla finestra e
guardò
fuori. Un furgone bianco, tagliato da una striscia azzurra in
orizzontale, passò velocemente davanti alla fattoria.
-
Tsk! Quel furgone passa qui davanti da un po’ di tempo ormai.
Quelli di Hansenouth si stanno dando da fare, ultimamente! –
Nola
si voltò, allarmata.
-
Hansenouth? – chiese, trattenendo il fiato, ma non
aspettò
una risposta. – Quanto tempo è passato da quando
sono venuta
a stare qui? –
-
Beh, direi sei giorni…- rispose Talbot.
“
Più
un giorno rinchiusa nel pagliaio fanno una settimana! Quel furgone
sta venendo a prendermi!”
-
Devo scappare! Non posso restare qui, metterei in pericolo anche lei!
– disse, e corse in camera a preparare la valigia.
-
Perché, è successo qualcosa? – chiese
Talbot,
seguendola.
-
Quelli stanno cercando me! Spero non abbiano ancora scoperto la mia
fuga! –
Talbot
corse in cucina, prese un fazzoletto e lo riempì di pane,
frutta, formaggio, lo chiuse con un nodo e lo portò da Nola,
che nel frattempo trascinava la valigia verso la porta.
-
Dimmi dove vuoi andare, ti accompagno io! –
esclamò Talbot,
uscendo prima di lei e salendo sul camioncino.
Nola
si bloccò, con la valigia ancora in mano.
Non
aveva mai pensato di dover andare da qualche parte. In
quell’ultimo
periodo era stata sballottata da un posto all’altro, e non si
era
mai fermata a riflettere su cercare un posto dove stare.
-
Io… non so dove andare… Se restassi qui
è probabile che mi
trovino molto presto, ma è probabile che mi trovino anche se
vado in qualsiasi altro posto…-
-
Facciamo così. – propose il vecchio. –
Ti accompagno fino
al limitare della foresta, poi da li prosegui da sola, va bene?
–
-
Oh… va bene! – accettò infine, e
salì sul
camioncino.
Arrivarono
in breve tempo al confine con la foresta.
Al
momento di dirsi addio, Nola divenne molto triste.
-
Mi dispiace di averle causato tutto questo disturbo… Avermi
ospitato a casa sua, avermi fatto fuggire… Io…
non so proprio
come ringraziarla! –
-
Ma scherzi? È solo grazie a te se ho ritrovato il mio
buonumore! Non preoccuparti, andrà tutto bene, e se cerchi
ancora un posto dove stare, vieni pure alla Fattoria delle
Margherite!-
Nola
e Talbot si abbracciarono, poi, prima che lei scendesse dal
camioncino, il vecchio disse: - Seguendo quel sentiero arrivi ad un
piccolo villaggio di mercanti, potrai trovare ospitalità,
sono
della brava gente! –
Mentre
il camioncino se ne tornava a casa, Nola si incamminava spedita sul
sentiero. Il peso della valigia la rallentava molto, e questo la
faceva imbestialire. La strada si era aperta su degli estesi campi
coltivati, e qua e la si scorgevano piccole fattorie.
Il
sole stava ormai tramontando, e finalmente all’orizzonte si
riuscì
a scorgere il piccolo villaggio. Entusiasmata, Nola accelerò
il passo, ma il sentiero era troppo sdrucciolevole e cedette di lato.
Nola
sentì la terra mancarle sotto i piedi, finché non
si
ritrovò a rotolare per una scarpata.
Quando
riaprì gli occhi, per un momento credette di sognare.
Davanti
ai suoi occhi si trovava un meraviglioso ragazzo dai capelli corvini,
con gli occhi di diverso colore, uno grigio e uno viola.
La
ragazza si mise a sedere, dolorante e sporca di terra.
-
E tu chi sei? – chiese il ragazzo, chinandosi verso di lei.
Vi
è piaciuto il primo capitolo? Spero tanto di si! Lasciatemi
tante recensioni, anche chi non lo avesse apprezzato (le critiche
sono molte volte costruttive!) ^^
Grazie
per averlo letto!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Nola
si massaggiò la testa. Sotto le dita sentiva crescere un
bernoccolo. Sicuramente durante la caduta aveva urtato contro
qualcosa. Tuttavia non era quello il pensiero che occupava la sua
mente: davanti a lei si trovava il più bel ragazzo che
avesse
mai visto!
-
Allora, hai perso la voce? Ti ho chiesto chi sei! –
esclamò
il ragazzo, senza alcun segno di prepotenza, solo molto divertito.
-
Sai, non mi capita spesso che le ragazze mi cadano nell’orto,
però
potrei farci l’abitudine!-
Nola
cercò di rimettersi in piedi, ma era ancora scombussolata,
perciò tornò con il sedere sugli ortaggi. Il
ragazzo
allungò una mano per aiutarla ad alzarsi.
Appena
le mani dei due si sfiorarono, un lampo di luce attraversò
lo
sguardo del ragazzo.
-
Ma tu…tu sei… - esclamò,
improvvisamente fattosi serio.
Prese Nola per una mano, e la trascinò all’interno
della
piccola fattoria alle loro spalle.
Il
ragazzo aprì la porta con un tonfo, e la spinse su un divano.
-
Tu sei una Starlight! Una Luce Stellare! – esclamò
lui, con
espressione grave.
Nola
sgranò gli occhi. – E tu come fai a saperlo?
– chiese,
cercando di far uscire una voce dignitosa.
-
Io…ho letto nella tua mente…- disse a bassa voce,
poi come se
avesse fatto qualcosa di grave, si affrettò subito ad
aggiungere: - Ma guarda che non l’ho fatto apposta! Lo giuro,
non
volevo farlo di proposito! –
A
Nola non interessava minimamente che lui l’avesse fatto di
proposito o no, quanto il fatto che sapesse leggere per davvero i
pensieri di un’altra persona! In tutto il mondo erano
pochissimi
quelli che possedevano questo potere!
Improvvisamente
Nola sentì minacciato il suo segreto. Aveva nascosto di
essere
una Starlight a tutti, persino al vecchio Talbot, che era stato
così
buono e gentile con lei.
-
Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me.
– disse
il ragazzo, sorridendole dolcemente.
-
Hai di nuovo letto nei miei pensieri? Stavo pensando esattamente
quello! –
-
In realtà il mio potere funziona solo se
c’è il
“contatto”… In realtà
più di leggere i tuoi
pensieri ho letto l’espressione che avevi in viso…-
Nola
arrossì e abbassò gli occhi a guardarsi le scarpe.
-
E comunque non avrei alcun vantaggio a svelare il tuo segreto,
perché
anche io sono come te. Sono una Starlight! –
Nola
non credette alle sue orecchie. Era più di quanto il suo
cuore
potesse sopportare.
Improvvisamente
i suoi occhi si colmarono di lacrime, e in un attimo scoppiò
a
piangere.
-
Tu sei una Starlight! – esclamò tra i singhiozzi.
– Io…
credevo che fossero tutte estinte, come… come è
successo a
mia nonna! –
Il
ragazzo poggiò la sua mano sulla spalla della ragazza, per
consolarla. Nella sua mente balenarono immagini di una signora
anziana ma arzilla, vestita con abiti campagnoli e un cappello di
paglia, che passeggiava con una bambina piccola, molto somigliante a
Nola da grande, ma senza quell’espressione di sofferenza in
volto.
Quando
si fu calmata, il ragazzo si sedette sul divano, accanto a lei.
-
Non mi hai ancora detto come ti chiami. – disse Nola,
asciugandosi
gli occhi.
-
Il mio nome è Shia! – disse stringendo la mano
alla ragazza.
-
Sono contento che tu mi trovi un bel ragazzo! – aggiunse poi,
dopo
qualche secondo di lettura della mente. Nola lasciò la
presa,
arrossendo nuovamente.
-
Devi ammettere che è divertente! – rise, facendo
l’occhiolino alla ragazza.
-
Io mi chiamo… - fece lei, finalmente sorridendo, ma Shia la
interruppe. – So già il tuo nome, Nola… -
-
C’era da aspettarselo…- sospirò Nola,
lasciandosi
sprofondare nel divano.
Shia
si alzò, e percorse il piccolo salotto a grandi passi.
“
Certo
che è davvero alto!” pensò Nola,
osservandolo.
-
Senti Nola, se non ti dispiace vorrei sapere come mai sei diventata
una Starlight. Nei tuoi ricordi ho visto che lo era tua nonna, ma poi
lei…-
La
ragazza chiuse gli occhi, poi trasse un sospiro e si alzò.
Si
avvicinò ad una finestra. Il sole era tramontato quasi del
tutto, dietro la foresta buia e spettrale.
-
Fin da piccola ho vissuto con mia nonna. Praticamente mi ha allevata
lei, visto che sono rimasta orfana all’età di due
anni.
Essendo la mia unica parente ancora in vita venni affidata alle sue
cure. A quel tempo, lei era la Starlight dell’Acquario,
Aquarius.
Era una sorta di sindaco per la città di Hideshire, ed era
stimata da tutti. Mi diceva sempre che dopo di lei, quella carica
sarebbe passata di diritto nelle mie mani.
Poi,
arrivò finalmente il giorno della cerimonia ufficiale,
quando
il potere di Starlight passava di diritto da mia nonna a me. La
cerimonia era davvero magnifica! Tutti i partecipanti indossavano
abiti bianchi con dei disegni d’argento, e la nonna aveva
intrecciato dei fiori bianchi tra i miei capelli… -
-
Ti stavano benissimo! – mormorò Shia.
-
Grazie… - disse lei, poi continuò. –
Proprio nel momento
culminante, quando stavo per ricevere i poteri, fummo attaccati. Un
uomo molto alto, vestito completamente di nero, con i capelli corti,
ma soprattutto ricordo che aveva un paio di occhi azzurri e freddi
come il ghiaccio…- Nola non riusciva a continuare, e dai
suoi occhi
scesero calde lacrime che le inondarono il viso.
Shia
si avvicinò a lei, e le posò le mani sulle
tempie, e
poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo,
poggiò
il mento sulla testa della ragazza, e fece aderire il suo corpo con
la schiena di lei. Era strano, ma quel calore la tranquillizzava.
Quello
che vide Shia fu un massacro totale: la maggior parte delle persone
era riversa per terra in un mare di sangue, e la nonna della ragazza
era trapassata da parte a parte da una gigantesca lama metallica,
che, come scoprì in seguito Shia, era il proseguo del
braccio
dell’uomo in nero. La nonna era ancora viva, e cercava di
dire
qualcosa.
-
Nola, ti voglio tanto bene! Ti prego, cerca di vivere anche per
me…
- e allungando un braccio verso la ragazza, fece esplodere
un’onda
di luce dalla propria mano, pervadendola di un caldo tepore, che
venne completamente assorbito dal corpo di Nola.
La
ragazza svenne subito dopo, ma prima di chiudere gli occhi,
un’immagine balenò davanti ai suoi occhi velati di
lacrime:
dei fiori bianchi strappati e sporchi di sangue.
Shia,
con gli occhi lucidi per la commozione, staccò le mani dalle
tempie della ragazza.
Nola
si asciugò gli occhi, e si voltò verso di lui.
– Mi
dispiace per averti turbato… -
-
Non preoccuparti! – rispose lui, sorridendo. – In
questi casi sai
cosa ci vuole? Una cioccolata calda, con tanta panna sopra! E non
dirmi che sei a dieta, perché non ci credo! -
esclamò,
dirigendosi in cucina.
Lei
lo seguì, tornata un po’ di buon umore.
Appena
le cioccolate furono pronte, i due si sedettero al piccolo tavolo
circolare della cucina.
-
E così, sei uno scapolone! Ho notato che non ne azzecchi una
in fatto di arredamento! – disse Nola, sorridendo nel
guardarsi
intorno e notando un mucchio di stili diversi stipati tutti nella
stessa stanza.
-
Ma che dici! Non sono ancora in età da marito! –
esclamò
lui, facendo la voce da donna. - Scherzo! Comunque ho solo
ventun’
anni, sono ancora giovane! –
-
Davvero? Mi sento una bambina al confronto… Io ne ho appena
compiuto sedici!–
Shia
soffocò una risata. – Sedici? Piccola! –
disse,
poggiandole una mano sulla testa come si fa con i bambini. Poi il
ragazzo ebbe un fremito e sorrise ancora più divertito,
mentre
Nola arrossiva.
-
Con me non funziona il trucchetto di pensare le cose e non dirmele,
tanto le verrò a sapere comunque! –
-
Uffa! E va bene! Ho pensato che le tue mani sono davvero grandi!
–
-
E poi? –
-
E poi… che mi piacciono! – mormorò
imbarazzata, e si alzò,
andando a lavare le tazze. Dopo un attimo di silenzio imbarazzante,
Nola esordì: - Shia… Parlami di te, dopotutto tu
hai letto
nella mia mente, e più o meno conosci la mia storia, ma io
non
so niente di te… -
Shia
rise, e si stravaccò ben bene sulla sedia, poggiando i piedi
sul tavolo, ma ad un cenno torvo della ragazza si affrettò a
rimetterli al loro posto.
-
Dunque… Per cominciare, mi presento: io sono la Starlight
dell’Ariete, Aries. Sono nato nell’Impero del
Fuoco, ma quella è
sempre stata una terra in tumulto, perciò io e la mia
famiglia, madre, padre, io, mia sorella e mio fratello, ci
trasferimmo nel Regno della Terra. Probabilmente loro vivranno ancora
lì, ma io non potevo restare con loro, li avrei solo messi
in
pericolo. Anche io, come tua nonna, sono stato attaccato da creature
strane, perciò mi sono rifugiato qui, nella Repubblica
dell’Aria, e mi sono mascherato da contadino. Devo dire che
fare
questa vita mi piace sempre di più. Certo, ho nostalgia dei
miei, e spero che un giorno possa tornare a trovarli! –
Nola
pendeva dalle labbra del ragazzo, e quando terminò il
racconto, fu come risvegliarsi da un sogno.
-
Forse ho capito cosa provi quando leggi il ricordo di una
persona…
- mormorò, rapita.
A
quelle parole, Shia assunse un’espressione dura e
serrò la
mascella.
-
Non credere che sia un potere straordinario, il mio. Da quando sono
piccolo, non faccio altro che sapere le cose della gente, e
finché
sono cose piacevoli… Ma quando cominci a sentire tutto il
dolore e
tutta la sofferenza delle persone, ti accorgi che non è
così
bello come si pensa. Sentire i tormenti degli altri è come
provarli sulla tua stessa pelle… Come se tu stessa avessi
provato
quelle sensazioni… -
All’improvviso
alla ragazza vennero i sensi di colpa.
-
Oh, no! Allora quando tu hai letto i miei pensieri… -
Shia
le sorrise dolcemente, e le diede un buffetto sulla testa.
-
Con te è diverso, non so perché, ma mi hai fatto
passare la tristezza in un momento! –
I
due rimasero in silenzio per un po’, poi Nola vide
l’orologio
appeso alla parete della cucina.
-
Accidenti! È tardissimo, sono già le otto meno un
quarto! Ti ringrazio per la tua ospitalità, ma è
ora
che vada! –
-
E dove vorresti andare? Ormai è buio! –
-
Al villaggio dei mercanti. Un vecchio fattore mi ha assicurato che mi
offriranno ospitalità… -
-
Non se ne parla neanche! Mentre tu te ne vai in giro, quelli di
Hansenouth potrebbero tornare indietro con il camion e prenderti per
strada! Sicuramente dall’orfanotrofio avranno diffuso un tuo
identikit o qualcosa del genere… -
-
E tu come le sai queste cose? –
-
Quando ti ho aiutata a rialzarti, nel mio orto, ho letto i tuoi
pensieri, e oltre ad aver saputo che sei una Starlight, ho visto
sprazzi di ricordi alla rinfusa, ho visto l’orfanotrofio, il
vecchio fattore, un furgone bianco. –
Nola
rimase in silenzio, pensierosa.
-
Non posso comunque restare qui, potrei coinvolgerti, e questo non mi
farebbe piacere. –
Shia
le si avvicinò, la prese per le spalle e avvicinò
il
viso a quello di lei. Dovette chinarsi, perché era molto
più
alto della ragazza.
-
Non ti devi preoccupare di niente, finché starai qui sarai
protetta anche tu. E poi ricorda, le Starlight si proteggono a
vicenda! –
-
Anche gli amici! – disse Nola, con un sorriso.
I
due prepararono la cena e mangiarono guardando la tv, poi quando il
sonno si fece sentire, Shia prese delle coperte e un cuscino da un
armadio e le sistemò sul divano.
-
Nola, la mia camera è in quella porta a destra. –
disse,
indicandola. – Io dormirò qui sul divano, tu puoi
dormire
nel mio letto. –
-
Non se ne parla, è già tanto se mi ospiti a casa
tua!
Sul divano dormo io, e niente storie! –
A
quella presa di posizione, Shia rispose con una risata di cuore.
-
Se ne sei così convinta… Piuttosto, non cadrai
per caso? La
mattina non voglio trovarti per terra! –
Questa
volta fu il turno di Nola, per ridere. Poi spinse a forza Shia nella
sua camera e fece per chiudere la porta.
-
Buona notte! – disse.
Il
sole non era ancora sorto, ma la porta di Shia si aprì
piano,
senza cigolare.
Il
ragazzo attraversò in silenzio il soggiorno, quando vide che
la coperta di Nola era quasi tutta caduta per terra. Si
avvicinò
al divano e si chinò. Lei respirava regolarmente, e in viso
aveva un’espressione serena, come non le capitava da troppo
tempo
ormai.
Shia
le rimboccò le coperte e, prima di rialzarsi, le
sfiorò
con dolcezza una guancia. Poi, senza il minimo rumore, aprì
la
porta d’ingresso e uscì di casa.
Nola
si svegliò, disturbata da un raggio di sole che la colpiva
in
viso. Spettinata e scombussolata, si alzò dal divano. Per la
stanchezza della sera prima, non ricordava nemmeno il momento in cui
si era messa il pigiama e aveva abbandonato gli abiti su una
poltrona.
Andò
in cucina, ma era vuota. Guardò l’orologio: le
otto meno
cinque.
“
Starà
ancora dormendo…” pensò, e corse nella
camera di Shia.
Bussò, ma non rispose nessuno.
-
Shia! – chiamò lei, ma ancora nessuna risposta.
Aprì
la porta di scatto, ma la stanza era vuota. Il letto era sfatto, e
gli abiti erano sparpagliati un po’ dappertutto.
“
Ma
dove si sarà cacciato?”
Andò
anche in bagno, ma era vuoto anche quello.
Nola
iniziò a preoccuparsi. Era rimasta da sola in una casa che
non
le apparteneva, per di più Shia non le aveva lasciato
nemmeno
un avviso o qualcosa del genere.
Aprì
la porta e corse fuori, in pigiama e ciabatte.
-
Shia! – gridò, scoraggiata.
-
Dimmi! – rispose lui.
Nola
si voltò, in cerca del ragazzo, confortata
dall’averlo
ritrovato. Lo vide che zappava nell’orto.
-
Ma cosa ti è saltato in mente? Non mi avvisi neanche che
stai
uscendo? Mi sono spaventata, sai? –
-
Guarda che non ero poi così lontano…- disse lui,
indicando
la finestra del soggiorno. Era ad un passo dal suo naso.
Nola
rimase a bocca aperta.
-
Se invece di aggirarti per casa come una forsennata, avresti guardato
dalla finestra, mi avresti notato subito! Pensa che credevo cercassi
il bagno! –
-
Mi hai vista?! – chiese lei, arrossendo.
“
Ma
perché non ci ho pensato subito? Come avrebbe potuto
andarsene
e lasciarmi qui!”
-
Sono stata una scema! –
-
No… - fece lui, mentre insieme tornavano in casa.
-
Ma scusa, che ci facevi li fuori? –
-
Stavo zappando… Ogni mattina verso le sei vado a curare
l’orto.
Se andassi più tardi, morirei di caldo! –
-
Preparo la colazione. – disse Nola.
-
Allora io vado a farmi la doccia, sono abbastanza pieno di terra!
–
Mentre
Nola scaldava il latte e preparava i cereali e il pane imburrato, dal
bagno proveniva solo il rumore dell’acqua che scorre.
“
Non
posso restare qui per sempre… Dirò a Shia che
è
stato molto gentile, ma che ora devo proprio andare! Non voglio
diventare un peso per tutte le persone che incontro. Andrò
al
villaggio dei mercanti e mi cercherò una casa e un
lavoro…”
-
Attenta! Ma che stai facendo? – esclamò Shia, che
nel
frattempo l’aveva raggiunta.
Nola
stava prendendo il pentolino bollente del latte a mani nude, senza
una presina ne uno straccio.
-
Ah! – lei non se ne era nemmeno accorta, talmente era immersa
nei
suoi pensieri.
Shia
prese il pentolino e versò il contenuto in due tazze.
-
Ma scusa, e tu come fai a prenderlo senza protezione? –
-
Il fuoco è il mio elemento, e di conseguenza il calore non
mi
fa niente. Potrei toccare le fiamme del camino e non farmi niente!
–
La
ragazza capiva bene. Ogni Starlight era dominata
dall’elemento a
cui apparteneva, infatti anche lei era molto condizionata
dall’aria.
Nola
lo aveva notato subito, ma ora che guardava Shia, se ne rese conto
ancora di più. Era davvero un bel ragazzo…
-
Hai ancora i capelli bagnati! Asciugateli, o prenderai il
raffreddore! – esclamò lei,
all’improvviso.
-
Non preoccuparti, sono abituato, e poi, io non possiedo un
phon… -
-
Senti, verresti con me al villaggio dei mercanti? Devo vendere un
po’
di verdura! – disse Shia, finita la colazione.
Quella
era un’occasione perfetta! Appena raggiunto il villaggio
avrebbe
spiegato tutto a Shia e si sarebbero separati. Certo le dispiaceva un
po’, stavano diventando amici, ma essere di peso a qualcuno
le dava
molto fastidio.
-
Va bene, verrò! –
Inaspettatamente,
si sentì un gran raspare alla porta d’ingresso.
Incuriosito,
Shia andò ad aprire. Subito schizzò dentro una
figura
molto piccola e veloce, che in un baleno si lanciò tra le
braccia di Nola e la fece cadere per terra.
-
Boris! – esclamò lei, abbracciando stretta il
segugio,
mentre Shia, perplesso e divertito, chiudeva la porta.
-
Ma che ci fai qui? – chiese lei, intanto che il cane non
smetteva
di leccarle la faccia.
-
Ti avrà seguita con il fiuto! –
immaginò Shia.
-
Hai lasciato Talbot da solo? Sai che ha bisogno del tuo aiuto!
–
A
quelle parole, il cane si fece serio e cominciò a guaire.
Boris capiva davvero quello che dicevano le persone, era molto
intelligente.
-
Che succede? – chiese Nola, cercando di calmarlo.
Shia
si avvicinò e si sedette accanto a loro.
Boris
continuava a guaire, come se volesse dire qualcosa.
-
Posso? – chiese Shia, allungando le mani verso il capo del
cane.
Nola
annuì.
Il
ragazzo sfiorò la testa di Boris e chiuse gli occhi.
Vide
una piccola fattoria, un furgone bianco era parcheggiato davanti.
Vide
Talbot che parlava con due uomini, che portavano la divisa da
infermieri. Discutevano animatamente, poi uno dei due infermieri
tentò di entrare in casa, ma il vecchio glielo
impedì.
L’altro infermiere allora gli diede una spinta molto forte, e
fece
cadere il vecchio, che colpì la ringhiera in legno del
porticato. Talbot cadde a terra, mentre una macchia di sangue si
espandeva pian piano sotto di lui.
Gli
infermieri entrarono in casa, ma ne uscirono poco dopo, insoddisfatti
e infuriati. Non avevano trovato ciò che stavano cercando.
Nell’andarsene,
scavalcarono il corpo di Talbot, che era ancora vivo, ma respirava a
fatica. I due si misero a confabulare, poi, divertiti, si accesero
una sigaretta a testa, poi lanciarono i fiammiferi
all’interno
della casa. In poco tempo il fuoco si espanse, e per la prima volta
in quel ricordo privo di suono si udì un forte lamento,
unito
al guaire di un cane.
Talbot
e Boris piangevano insieme, per l’ultima volta.
Shia
aveva gli occhi rossi e lucidi.
-
Che cosa è successo? – chiese Nola allarmata, che
aveva
capito che qualcosa non andava.
-
Non ho la forza di dirtelo, ma forse posso mostrarti… Non ho
mai
provato a utilizzare i miei poteri al contrario, cioè in
modo
da farti vedere i quello che vedo io…-
Lei
prese le mani del ragazzo. – Provaci! – lo
implorò.
Poi,
come un fiume in piena, nella mente di Nola cominciarono a scorrere
una marea di ricordi, in cui si notava molto spesso la presenza di
due ragazzi, un maschio e una femmina, molto somiglianti a Shia.
Finalmente arrivò il ricordo, non propriamente del ragazzo,
che Nola doveva vedere.
Vide
l’intero ricordo di Boris, e provò le sue stesse
sensazioni.
Al
termine della visione, Nola ritornò al mondo reale, ma non
era
più la stessa cosa. Sentiva che qualcosa si era rotto, che
stava per iniziare qualcosa che andava al di là delle sue
capacità, e, piena di dolore per la perdita di una persona
molto cara, fece fluire all’esterno le proprie emozioni, come
ultimamente stava facendo molto spesso.
Abbracciò
stretta Boris, che ricominciò a guaire, e infine anche Shia
si
unì a quell’abbraccio, tutti e tre seduti sul
pavimento del
salotto.
Quando
tutti si furono un po’ calmati, Shia si alzò,
mentre Nola e
Boris restarono ancora seduti per terra.
-
Nola, sai cosa vuol dire questo? –
-
Che presto passeranno di qua, vero? È l’unica
strada per
arrivare alla città… -
-
Dobbiamo andarcene! –
-
Me ne andrò solo io. Ti ho coinvolto in questa situazione
assurda e vorrei non crearti più problemi… Non
voglio essere
rinchiusa in un manicomio solo per la crudeltà di una
direttrice dell’orfanotrofio, però non posso
nemmeno restare
qua… -
-
Aspetta! Zitta un attimo, ho sentito qualcosa! –
sussurrò
Shia, mentre scrutava fuori dalla finestra. Un furgone bianco stava
arrivando dalla stessa strada percorsa da Boris.
-
Nola, devi nasconderti! – esclamò Shia.
– Stanno
arrivando! –
Il
ragazzo scostò il tappeto che ricopriva il pavimento del
soggiorno. Nascondeva una botola. Scese prima Boris, poi tenendola
saldamente per le braccia, il ragazzo aiuto Nola a calarsi
giù.
-
Non preoccuparti! Andrà tutto bene! – la
rassicurò
lui, che aveva percepito la paura della ragazza. Poi nella botola
gettò anche tutte le cose appartenenti alla ragazza, abiti,
oggetti, tutto, insomma.
Chiuse
la botola e vi stese nuovamente il tappeto sopra.
Non
passò molto tempo che qualcuno bussò alla porta.
Shia
andò ad aprire. Erano gli stessi infermieri che avevano dato
fuoco alla Fattoria delle Margherite.
-
Buon giorno, desiderate? – chiese Shia, con un sorriso, senza
tradire la minima emozione.
-
Salve, cerchiamo questa ragazza, per caso l’ha vista?
– disse uno
dei due, mostrando un manifesto al ragazzo. Sopra era stampata una
foto di Nola, e sotto erano elencate le sue generalità.
Lui
studiò il manifesto, con apparente interesse.
-
Mi dispiace, temo proprio di non averla mai vista… -
Il
secondo infermiere tirò fuori un foglio.
-
Possiamo perquisire la sua casa? Abbiamo un permesso speciale
concesso direttamente dal tribunale dei minori. Si da il caso che la
ragazza non sia ancora maggiorenne. –
-
Prego, fate pure. –
Nola
aveva seguito l’intero discorso da sotto la botola.
“
Speriamo
che non scoprano il mio nascondiglio!”
Gli
infermieri entrarono in casa e si divisero. Uno andò verso
la
camera e il bagno, l’altro restò nel salotto e in
seguito si
diresse verso la cucina.
Shia
si posizionò esattamente sopra l’apertura della
botola.
-
Qui non c’è niente! – gridò
uno, e l’altro lo
raggiunse. – Neanche di là, possiamo andare.-
Gli
infermieri si diressero verso la porta.
-
Tenga questo. – disse uno a Shia, e gli mise in mano un
manifesto
con la foto di Nola. – E se per caso la avvista, ce lo dica.
–
-
D’accordo. E buon lavoro! – disse, porgendo la mano
all’infermiere.
Lui,
perplesso, gliela strinse, poi se ne andò assieme
all’altro,
chiudendosi la porta alle spalle.
-
Sanno che tu sei una Starlight! – disse Shia a Nola, dopo che
lei e
il cane furono usciti dal nascondiglio.
Nola
non credeva alle sue orecchie. Quel giorno aveva ricevuto troppe
brutte notizie, e questo non andava bene. Si accasciò sul
divano, stremata da tutte quelle emozioni che l’avevano
colpita
contemporaneamente.
Paura,
odio, trepidazione, gratitudine, felicità nel rivedere
Boris,
non ce la faceva davvero più.
-
Come è possibile che lo sappiano? – chiese,
più a se
stessa che a Shia.
Ma
lui non era più in salotto. Era nella sua camera, e riempiva
una valigia con qualche vestito e qualche effetto personale.
-
Dobbiamo andarcene. È possibile che restando qui ci possano
trovare. Ancora non sospettano che sono anch’io una
Starlight, ma
con un po’ di fortuna potrebbero accorgersene. –
-
Ma dove andiamo? E come, soprattutto? – chiese lei, che aveva
la
valigia già quasi pronta.
-
Andiamo ad Alder, è una città poco lontana da
qui. È
troppo grande per poter perquisire ogni abitazione
esistente… -
-
Ma come possiamo raggiungerla? Siamo a piedi, e abbiamo anche i
bagagli, e non abbiamo soldi e… -
-
Basta con tutti questi “e”! –
gridò Shia. Era furioso.
-
Scusa… - disse poi, notando l’espressione
spaventata di Nola. –
Il fatto è che ho i nervi a fior di pelle e sono nervoso. Ti
fidi di me? –
Lei
annuì.
Shia
prese le valigie (la sua e quella di Nola) e uscì
dall’abitazione. La ragazza e il segugio lo seguirono. Il
ragazzo
entrò nel capannone dietro la casa, dove teneva gli attrezzi
da contadino. Si avvicinò ad un grosso oggetto coperto da un
telo impermeabile. Gettò il telo da una parte e si mise a
spolverare l’oggetto. Era una moto coordinata di sidecar.
-
Ha abbastanza benzina da portarci fino ad Alder. – disse,
caricando
i bagagli nel sidecar.
-
Boris, tu siediti li. – disse, e subito il cane si sedette
sulle
valigie.
-
Nola, tu siederai sulla moto assieme a me. –
Quando
tutto fu pronto, Shia diede gas con il piede.
-
Sicura di non aver dimenticato niente? –
-
Sicurissima! – affermò lei, con voce ferma. Non
era certo il
momento di farsi vincere dalla paura. Strinse le sue braccia attorno
al torace del ragazzo, e la moto partì.
Vi
è piaciuto il secondo capitolo? La storia sta pian piano
entrando nel vivo!
Per
_JuSt_Me_:
sono contenta che la mia storia ti sia piaciuta così tanto,
grazie mille per il commento ^_____^
Per
Ghen: ma cosa mi combini! Lasci le recensioni per le mie storie! Me
lo puoi dire anche di persona!Manuela che non sei altra! :P
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Il
sidecar procedeva veloce
lungo la strada deserta. Ogni tanto a distanza si scorgeva una
fattoria, ma la
maggior parte del paesaggio era una continua distesa di campi oppure
piccoli
boschi.
Nola
si era addormentata, con
le mani ancora strette attorno al torace di Shia, e lui poteva
percepire il
sogno che stava facendo la ragazza. Era un episodio della sua infanzia.
Faceva
collane di perline con
la nonna, durante un pomeriggio molto piovoso.
-
Voglio andare a giocare
fuori! – esclamava Nola.
-
Non si può, vedi che sta
piovendo? – diceva la nonna.
Allora
Nola si avvicinava alla
nonna, e faceva finta di essere dispiaciuta.
-
Dai nonna! Ti prego, fai una
magia, una sola! –
La
nonna la guardava di
sottecchi, ma poi le sorrideva.
-
Una sola…-
E
mentre Nola esultava, la
nonna si avvicinava alla finestra. Con un gesto della mano scatenava
una folata
di vento che in breve tempo spazzò via i nuvoloni, per far
posto ad un sole
splendente.
-
Bravissima! Come vorrei
poterlo fare anche io! –
-
Quando sarai più grande
potrai farlo, perché darò questo mio potere
proprio a te! -
La
moto ebbe uno sbalzo, e Nola
si svegliò di colpo.
-
Manca molto? – chiese,
stropicciandosi gli occhi.
-
No, guarda. – disse Shia,e
alzò un braccio in direzione dell’orizzonte. In
lontananza si cominciava a
vedere il profilo di una città molto estesa, per niente
simile alle città che
conosceva Nola.
-
Non mi ero mai spinta così
tanto lontano da Hideshire! – mormorò.
In
breve tempo giunsero
finalmente ad Alder.
-
E ora, che si fa? –
Questa
era la domanda che si
ponevano i ragazzi. Non sapevano ne dove andare, ne come sopravvivere
in quella
città sconosciuta. L’unica cosa certa era che
Alder sarebbe stata un
nascondiglio perfetto.
-
Per prima cosa dobbiamo
cercare un albergo. –
Shia
ingranò la marcia e partì
veloce con la moto, lasciandosi un polverone alle spalle.
Alder
era una città molto
moderna, costellata di grattacieli e di giganteschi stabili sospesi
nell’aria,
a cui si poteva accedere grazie ad un sistema di navicelle che
funzionavano
come dei veri e propri autobus.
Shia
fermò la moto.
-
Guarda! – fece a Nola,
allarmato, e le indicò un muro.
Era
ricoperto di manifesti come
quello che i due infermieri avevano mostrato al ragazzo quella mattina.
-
Hanno fatto in fretta! – disse
Nola, sarcastica.
-
Mascherano la faccenda
scrivendo che sei minorenne e sei fuggita, ma la realtà
è che ti cercano perché
vogliono il tuo potere. –
-
Che cosa?! – esclamò Nola.
-
È proprio così. Ho sentito
che alcune Starlight della vecchia generazione sono state uccise,
proprio come
tua nonna, e penso che c’entri quel manicomio, Hansenouth.
Secondo me non è
nemmeno un manicomio… –
Nola
corrugò le sopracciglia,
preoccupata.
Boris
frugò tra i bagagli, e in
mezzo alle cose di Shia trovò un cappello con la visiera. Lo
porse a Nola con
un abbaio.
-
Boris, sei un genio! – disse
Shia, rimettendo in moto.
Girovagarono
per un po’ prima
di trovare qualcosa di interessante.
Era
una piccola pensioncina
economica gestita da una vecchia signora e dal figlio, un uomo di mezza
età.
Shia
chiese una camera, e
assieme a Nola e a Boris vennero condotti a destinazione.
-
Mi spiace di non poterci
permettere due camere separate, ma questi sono tutti i miei risparmi, e
bastano
a malapena per pagare questa. –
-
Ma che dici! Sono io a
dovermi dispiacere! Per colpa mia hai dovuto lasciare la tua casa e la
tua vita
e hai dovuto anche spendere dei soldi per me! Io… non so
davvero come
ringraziarti! –
Shia
rise, con la sua solita
risata felice. Tutta la sua rabbia era svanita nell’attimo in
cui erano entrati
nella città.
-
Sarei dovuto andarmene
comunque, quindi, visto che l’occasione è arrivata
con te… -
Nola
sorrise.
“Sono
davvero fortunata ad
avere un amico così!”
I
due infermieri si
incamminarono per un lungo corridoio bianco.
-
Te l’avevo detto che dovevamo
perquisire meglio la casa! Dovevamo minacciarlo, quel tipo, oppure
toglierlo di
mezzo… - disse il primo, torcendosi le mani.
-
Ma che dici? E poi come
potevamo sapere che anche lui era uno di loro? –
Arrivarono
davanti ad un’alta
porta bianca, che si aprì ad un loro tocco.
La
stanza che si presentò loro
davanti era molto spaziosa e dal soffitto alto. La parete di fondo
aveva
un’ampia vetrata, dalla quale si poteva vedere una lunga
catena montuosa che
dava sul rosso, ai piedi della quale si estendeva un immenso lago di
lava. Il
cielo non esisteva, perché a coprire quel paesaggio
c’era una gigantesca cupola
di terra.
La
stanza aveva l’aspetto di
uno studio: al centro c’era una scrivania in legno, mentre
qua e la si
trovavano divani, librerie e poltrone. In un angolo c’era un
gigantesco
specchio ovale, sorretto da due zampe di leone di ottone lucidato.
-
Che notizie avete? – chiese
con tono autoritario la ragazza seduta alla scrivania. Si dondolava
sulla sedia
e aveva i piedi incrociati e poggiati sullo scrittoio.
I
due infermieri trasalirono.
-
Ecco… la ragazza, abbiamo
perso le loro tracce… Ma abbiamo diffuso il suo identikit
alle forze
dell’ordine della Repubblica dell’Aria…
-
La
ragazza giocherellò con una
ciocca dei suoi capelli corvini, disinteressata.
-
Scusi… signorina Morgan, ci
chiedevamo se… se potevamo andare… -
-
Fatemi capire una cosa… Siete
venuti fin qui per riferirmi solo questo e pretendete anche di
andarvene senza
ricevere alcuna punizione? –
I
due sussultarono nuovamente,
ma in quel momento, dallo specchio uscì fuori un uomo alto,
dai corti capelli
neri.
-
Dray! – esclamò Morgan,
dimenticandosi dei due sventurati e correndo incontro al nuovo arrivato.
I
due si strinsero in un
abbraccio, e Dray chinò la testa sulla ragazza, fino a
raggiungere le sue
labbra con le proprie.
Quando
si sciolsero da quel
bacio appassionato, Dray si voltò verso gli infermieri.
-
E voi che avete da guardare?
Andatevene! – li intimò.
I
due non se lo fecero ripetere
due volte, e se la diedero a gambe.
-
Sono stufa di questa
messinscena. Sai, mi dispiace moltissimo trattarli in quel modo, ma se
non lo
facessi, Langarth potrebbe maturare qualche sospetto su di noi... -
disse
Morgan, mentre si sedeva sulle ginocchia di Dray, che si era insediato
sulla
poltrona della scrivania.
-
Non preoccuparti. Entro breve
saremo liberi e non dovremmo più sottostare a quell'uomo
malvagio. –
-
Allora? Novità? – chiese la
ragazza.
-
Sono riuscito a trovare due
Starlight nella città di Alder, e sospetto che ce ne sia
anche una terza, ma
non ho capito a quale costellazione appartiene… -
-
Beh, se non altro hai
scoperto molte più cose di quei due infermieri messi
insieme!–
Dray
giocherellò con una ciocca
di capelli di Morgan.
-
Lo ammetto! Sono fantastico!
–
-
Non montarti la testa! E
ricorda. Voglio che ci sia anche tu, quando li sconfiggeremo, la tua
presenza
mi fa combattere decisamente meglio! –
Nola
si avvolse nelle coperte e
si raggomitolò sulla poltrona. Era riuscita a convincere
Shia a non fare il
cavaliere, così fu il ragazzo che occupò il
letto, anche se i piedi gli
spuntavano fuori. Boris si accontentava di una coperta ripiegata che
gli faceva
da giaciglio, ai piedi della poltrona.
La
ragazza aprì gli occhi:
qualcosa non andava. Per cominciare si trovava in posizione
orizzontale, e non
accoccolata sulla poltrona. Alzò il busto. Si trovava nel
letto, mentre Shia
dormiva tranquillo nel posto dove avrebbe dovuto essere lei. Durante la
notte,
lui l’aveva presa di peso e cambiata di posto, e lei non se
ne era nemmeno
accorta!
Sorrise.
Sentiva che l’affetto
provato per quel ragazzo cresceva sempre di più nel suo
cuore.
“
Chissà se sarà felice di
sapere che lo considero il mio più caro amico!”
pensò.
Sembrava
proprio un bambino,
rincantucciato e avvolto dalle coperte, mentre sorrideva facendo
chissà quale
sogno.
“
Bene, oggi cercherò un lavoro
e una casa! Non posso sempre vivere a spese di altri.”
Andò
in bagno, e quando tornò,
vide che Shia si era svegliato, e così anche Boris.
-
Con te faccio i conti dopo! –
disse al ragazzo, fingendosi arrabbiata.
-
Mi hai messa sul letto senza
il mio consenso! –
-
Beh, vedi… Io sono troppo
alto, e il letto è troppo piccolo… Ma tu ci stavi
così bene che ho pensato di
scambiarci…-
-
Andiamo a fare colazione! –
disse Nola, cambiando discorso, mentre lo tirava per un lembo della
maglia.
Dopo
aver fatto colazione ed
essersi preparati, i due con il cane appresso, fecero un giro a piedi
per la
città. Nola si coprì il viso con il cappello, per
non farsi riconoscere, visto
che il manifesto che la ritraeva era stato molto più diffuso
di quanto pensassero.
Improvvisamente
a Nola venne in
mente che non conosceva il motivo per cui Shia fosse diventato una
Starlight,
così provò a chiederglielo.
-
È stato quando ero molto
piccolo… Ti ho detto che ho un fratello e una
sorella… Beh, avevo anche un
altro fratello, molto più grande di me. – fece una
pausa, prendendo il respiro.
-
Le Starlight sentono quando è
il momento della loro… “dipartita”, e
fanno in modo di trovare un successore
degno di questo potere. In genere si sceglie la persona a cui si tiene
di più,
ma a volte può capitare che per necessità si
tramandi il potere in gran fretta,
e così può sopraggiungere in mani sbagliate.
Mio
fratello era affetto da una
malattia che lo alterava pian piano… Fino a quando
arrivò il giorno in cui fu
costretto in un letto di ospedale. Non potemmo più giocare
insieme, andare per
campi, correre in bici… Non ci fu nessuna celebrazione o
cerimonia ufficiale.
Semplicemente mi inondò con la stressa luce calda che hai
ricevuto tu, Nola, e
così, mio fratello divenne una persona normale come le altre.
Morì
due giorni dopo.
Dopo
questo fatto, io e la mia
famiglia ci trasferimmo nel Regno della Terra, e questo è
tutto. –
Il
cuore di Nola si sciolse
come neve al sole.
Allora
c’era qualcuno che
capiva il suo stato d’animo. Shia poteva capire che cosa si
provava standosene
raggomitolati in un angolo a pensare che la persona più
importante della
propria vita se ne era andata, e non sarebbe mai tornata.
In
un impeto d’affetto, Nola
corse verso il ragazzo e gli cinse il torace con le braccia. Era
talmente bassa
che la sua testa arrivava a malapena alle scapole di lui.
In
quel gesto, la ragazza cercò
di infondere tutto l’affetto e la compassione di cui era
capace, e questo fece
molto piacere a Shia, che la canzonò scherzosamente.
-
Non vorrai metterti a
piangere, vero? Altrimenti bagnerai la mia maglia preferita!
–
-
Scemo! Volevo solo
consolarti! – esclamò lei, dandogli un finto pugno.
-
Guarda! Forse qui troviamo
qualcosa! –
Nola
indicò la vetrina di un
bar, su cui era attaccato un cartello scritto a mano: “
Cercasi con urgenza cameriera/e anche
senza esperienza”
-
È perfetto! – disse Shia,
entrando nel locale.
Era
un caffè molto carino.
Semplice e pulito, all’interno sembrava una piccola baita.
Davanti al bancone
si trovavano tanti piccoli tavolini accompagnati da sedie nello stesso
stile,
disposte ordinatamente attorno.
Al
bancone, stava un giovane
che asciugava dei bicchieri.
-
Buon giorno, volevamo
chiedere informazioni riguardo il cartello in vetrina.
L’offerta è ancora
valida? – chiese Nola.
Il
tizio al bancone alzò lo
sguardo, e sorrise disperato.
-
Ditemi che volete lavorare
qui! Vi scongiuro! È un mese che lavoro come uno schiavo!
Certo, la paga è
ottima, ma che ne è della mia stima personale? Anche se oggi
è un po’ vuoto, vi
giuro che il locale è sempre strapieno di persone che
vogliono essere servite e
riverite: “ Portami quello!” mi dicono, oppure
“ Non sei ancora arrivato?
Vorremmo ordinare!”. Credetemi, lavorare da solo è
una tragedia! –
Il
tizio continuò a parlare
come una macchinetta, nervoso e felice al contempo. A Nola
scappò un sorriso,
mentre Shia dovette uscire fuori e ridere come un matto, ma il
cameriere non se
ne accorse nemmeno, sfogandosi con loro di tutti i suoi problemi.
-
Può assumerci entrambi? – chiese
Nola, quando il ragazzo aveva apparentemente esaurito ogni problema
personale
di cui poteva discutere. Shia nel frattempo si era calmato, ed era
rientrato al
negozio.
-
Certo! È una cosa
meravigliosa! Aspettate un attimo, chiamo il capo. -
Il
ragazzo diede le spalle ai
due, si tolse il grembiule
da cameriere
e si sistemò il papillon, poi si voltò nuovamente
verso di loro.
-
Salve, sono il capo. –
A
quelle parole Shia dovette
correre nuovamente fuori a ridere, mentre Nola lo fece dentro.
-
Scusami! – disse,
asciugandosi le lacrime che le erano scese per il divertimento.
– È che mi hai
colta impreparata! –
Shia
tornò dentro, ancora con i
brividi della risata.
-
La gente mi guardava male,
perciò sono dovuto rientrare…-
Nel
bar entrò un cliente.
-
Allora, descrivimi le
mansioni che ci affiderai, la paga e i giorni di vacanza… -
disse Shia, ma
qualcuno li interruppe. Era la persona entrata al bar un attimo prima.
Era
una ragazza alta
pressappoco come Nola, forse qualche centimetro in più.
Aveva i capelli e gli
occhi dello stesso colore: un intenso e brillante verde smeraldo.
Era
vestita molto alla moda e
sembrava anche abbastanza ricca.
-
Mi dispiace, te li rubo per
un attimo! – fece al cameriere, con un sorriso ammiccante.
Spinse
i ragazzi verso un
tavolo e li costrinse a sedersi.
-
Si può sapere chi sei tu? –
chiese Nola, per niente contenta del trattamento riservatogli.
-
Io mi chiamo Wythe, e sono la
Starlight della Bilancia, Libra. So che anche voi siete delle
Starlight… –
-
Che cosa? – esclamò Nola, ma
la sua bocca venne tappata dalla mano di Wythe.
Shia
era perfettamente
controllato. Alcuni clienti del bar si voltarono nella loro direzione.
-
Vuoi farlo sapere a tutti?
Non siamo al sicuro in questo posto, come non lo siamo
nell’intera città. –
-
Per quale motivo? –
Wythe
si guardò intorno, per
controllare che nessuno li stesse ascoltando, e proprio mentre stava
spiegando
il motivo, fu interrotta da Nola.
-
Come facciamo a sapere che tu
sei davvero una Starlight e non ci vuoi ingannare? –
-
Ci penso io. – la
tranquillizzò Shia e si protese verso l’altra
ragazza. Lei, timorosa, si
ritrasse.
-
Non preoccuparti, io leggerò
nella tua mente. –
Posò
due dita su una tempia di
Wythe, e poco dopo le ritirò.
-
Dice la verità, possiamo
fidarci. –
-
Allora, stavo dicendo… Le
spie di Langarth sono dappertutto, e potrebbero sentirci… -
-
Le spie di chi? – chiesero i
due in coro. Speravano di aver capito male!
-
Uffa, ma voi non sapete
niente? – esclamò Wythe, seccata. – Se
venite a casa mia vi spiegherò tutta la
faccenda dall’inizio. Solo una cosa: se il vostro cane fa i
bisogni sul
tappeto, lo sbatto fuori! –
I
ragazzi uscirono dal locale,
rinunciando a conoscere i particolari sul loro lavoro.
-
Stasera ci torneremo, così ci
faremo spiegare tutto per bene. – disse Shia.
-
Da che parte si va per casa
tua, Wythe? – chiese Nola.
-
Perché, vorresti andarci a
piedi? – chiese la ragazza, mascherando un risolino di
scherno.
-
No di certo, tra poco
arriverà la mia limousine personale a prenderci! –
fece Nola, ridendo.
-
Se permetti, arriverà la MIA
limousine personale. –
Nola
e Shia guardarono quella
ragazzina con gli occhi fuori dalle orbite. Allora quella tipa era
davvero
ricca sfondata!
Il
tempo passava, ma dell’auto
nemmeno l’ombra. Finalmente si vide un luccichio in
lontananza: era la parte
anteriore di una lussuosissima auto nera lucente, che si
fermò proprio davanti
a loro.
-
Finalmente! – sospirò Wythe.
L’autista
scese dall’auto, e
con un gesto elegante aprì la portiera posteriore, da cui i
ragazzi entrarono
dentro.
Wythe
rimase fuori.
-
Chi è lei? – chiese all’autista,
che teneva calato il berretto sugli occhi.
-
Mi perdoni signorina, ma il
suo autista, Andrew, ha avuto un contrattempo, così il
signore, vostro padre,
mi ha chiesto la cortesia di venire a prenderla io. –
Lei
ci pensò un po’.
-
Va bene. Subito a casa, per
favore. – disse, dopo un attimo di perplessità,
salendo in auto.
-
Volete un succo? – chiese
Wythe, aprendo un piccolo frigo bar che si trovava incassato
all’interno
dell’auto. Dall’esterno non sembrava, ma
all’interno quell’auto era davvero
grande e spaziosa. I sedili formavano un semicerchio, dove ci si poteva
anche
sdraiare comodamente e fare un sonnellino. La loro zona era separata da
quella
dell’autista da un pannello automatico, che si alzava e si
abbassava proprio
come i finestrini.
-
Allora, volete qualcosa da
bere? – chiese Wythe con un sorriso.
Shia
e Nola accettarono di buon
grado.
-
Com’è che ora sei tutta
gentile e prima eri più… come posso
dire… fredda? – chiese Nola, sorseggiando
un fresco te alla pesca.
-
Dovete scusarmi, è che quando
sono entrata in quel bar ho avuto la sgradevole sensazione di essere
osservata,
e questo mi ha reso nervosa… -
-
Parli delle spie di quel
tipo? Langarth? –
Wythe
annuì.
La
macchina procedeva spedita
per una strada a quattro corsie. Ormai erano fuori dalla
città di Alder.
-
La mia piccola villa è un po’
fuori mano, ma ci si arriva tranquillamente percorrendo questa strada.
-
Il
panorama era completamente
diverso da quelli che aveva potuto ammirare Nola fino a quel momento.
Al posto
delle tranquille fattorie sparse per la campagna, si trovavano invece
degli
edifici dalla strana architettura, e quelli che da lontano sembravano
filamenti
di metallo, in realtà erano i fumaioli di stabilimenti
ecologici.
Improvvisamente
la limousine
imboccò una strada di campagna stretta e non asfaltata.
Wythe
si alzò all’improvviso.
Aprì il pannello automatico e si rivolse
all’autista.
-
Ma dove sta andando? Doveva
imboccare il secondo incrocio, non il primo! –
L’autista
sorrise. – Non si
preoccupi, è una scorciatoia suggeritami dal vostro amico
Andrew. –
Wythe
tornò a sedersi, e
richiuse il pannello.
-
Qualcosa non va? –
-
Non so, ma improvvisamente mi
è tornata la stessa sensazione che ho provato al
bar… -
Dopo
aver percorso un lungo
tratto di strada polverosa, l’auto si fermò in un
largo spiazzo fangoso, dove
ad attenderla c’era una ragazza dai capelli corvini, che
teneva le braccia
incrociate sul petto.
I
ragazzi e il cane scesero
dalla limousine, senza neanche aspettare che l’autista
aprisse la portiera.
Subito dopo scese anche lui.
Si
avvicinò alla ragazza.
-
Finalmente sei arrivato Dray,
mi stavo annoiando! Questo tipo è davvero scatenato, pensa
che ho dovuto
legarlo per non correre rischi! – disse lei, stringendo un
braccio del ragazzo.
-
Andrew! – esclamò Wythe, correndo
ai piedi di Morgan, dove si trovava un signore di mezza età
legato e
imbavagliato.
-
Cosa succede? Chi siete voi?
– esclamò Nola, furiosa nel vedere
quell’uomo trattato peggio di un animale.
Dray
e Morgan si voltarono
contemporaneamente verso lei e Shia.
Morgan
sorrise
diabolicamente. –
Lo spilungone me lo
prendo io! –
-
Allora io mi prendo la
ragazza! – disse Dray, e si tolse il cappello, lanciandolo in
aria.
Nola
spalancò gli occhi: non
poteva credere a quello che vedeva.
Nello
sguardo di Dray riconosceva
perfettamente gli stessi occhi azzurro ghiaccio che avevano fissato sua
nonna
fino alla morte.
Dray
era l’assassino di sua
nonna!
Anche
Nola si tolse il
cappello, e lo fece cadere per terra.
-
Chi si rivede! – fece Dray,
che si preparava a combattere.
Nola
premette le mani sul suo
petto, e iniziò ad illuminarsi di un’intensa luce
blu.
Le
sue mani si aprirono pian
piano, e al loro interno si cominciò a formare un oggetto
che si ingrandiva
sempre di più, fino a raggiungere le dimensioni reali: era
un’anfora gigantesca
e apparentemente leggerissima, colorata di un blu molto intenso.
-
Aquarius! – esclamò lei, e
subito un getto potentissimo di aria venne sprigionato
dall’anfora. Questo
getto d’aria avvolse Dray improvvisamente, ma sembrava non
sortire alcun
effetto.
Nel
frattempo Anche Shia si
illuminò di una strana luce, di colore rosso questa volta, e
dal palmo della
sua mano uscì un lungo bastone in legno, sulla cui
sommità svettava la testa di
un ariete, dalle corna ricurve.
-
Aries! – gridò.
Morgan
tracciò con la mano un
cerchio in aria, e le sue dita si trasformarono in lame affilate e
pronte ad
attaccare. Shia si difendeva molto bene con il suo bastone, ma stava
pericolosamente arretrando verso il punto in cui si trovava il povero
Andrew, a
cui Wythe stava togliendo il bavaglio e slacciando le corde che lo
tenevano
imprigionato.
“
Se non mi sposto potrebbe
colpirlo!” penso il ragazzo.
-
Se volevi farmi ridere ce
l’hai fatta! Vorresti spaventarmi? Oppure cosa? –
rise Dray, mentre veniva
piacevolmente solleticato da quel venticello.
Nola
sorrise. Improvvisamente
il vento cominciò a ritornare all’interno
dell’anfora.
-
Cosa… cosa mi sta succedendo?
– urlò Dray, che sentiva una strana sensazione
invadergli il corpo. Anche lui
tracciò un cerchio in aria, e al posto del suo braccio
destro apparve una
gigantesca lama triangolare.
Per
un attimo Nola rivide
quella lama inondata di sangue scarlatto. Il risucchi
dell’anfora aumentò di
intensità, mentre la ragazza sentiva crescere dentro di lei
una fortissima sete
di vendetta.
L’anfora
risucchiò in breve
tempo la forza combattiva di Dray, che, ormai stremato, aveva perso la
trasformazione, e il suo braccio era tornato normale.
-
Sai, devo ammettere che sai
combattere davvero molto bene! – esclamò Morgan,
schivando un fendente di Shia,
che, agile e veloce, si difendeva da quella furia in gonnella.
Morgan
attaccava con frenesia,
senza dare un attimo di tregua al povero ragazzo, che aveva il fiatone
e voleva
concludere la battaglia al più presto.
All’improvviso
Morgan si lanciò
in un attacco frontale, ma quando le sue dita affilate erano ad un
passo dal
viso di Shia, lui si difese parando il bastone davanti a se.
-
Mossa azzeccata! – esclamò
Morgan, ma si distrasse, perché aveva notato che in quel
momento Dray si era
accasciato per terra, come svenuto.
Fu
un attimo, e Shia la scagliò
lontano. Morgan atterrò in piedi, ma ormai la sua
trasformazione era svanita ,
e corse subito dal suo amato. Gli prese un braccio e se lo
passò attorno alle
spalle, poi corse verso una pozzanghera e ci si specchiò.
-
Questa può andare. – fece.
Wythe,
poggiò le mani sul
suo petto, e si
illuminò di una luce
verde.
-
Aspetta Wythe, non farlo! –
esclamò Shia.
Nel
frattempo Morgan e Dray,
privo di sensi, si tuffarono nella pozzanghera e sparirono alla loro
vista.
Wythe
corse nella pozzanghera,
con il solo risultato di sporcarsi gli stivaletti.
-
Fantastico! Li hai fatti
scappare! – esclamò, furiosa.
Nel
frattempo Shia e Nola si
accasciarono per terra, stremati.
-
Rifletti… - disse il ragazzo.
– Se tu li avessi attaccati, probabilmente quella tipa ti
avrebbe steso con un
colpo, e noi non avremmo potuto aiutarti, perché come vedi
siamo distrutti. -
Wythe
si mordicchiò un labbro.
-
Scusa, hai ragione… Ma ora
non possiamo stare qua, voi due dovete riposarvi. Andrew, te la senti
di
guidare? –
L’autista
annuì, riconoscente
ai due ragazzi per averlo salvato.
Tutti
i presenti salirono
nuovamente in auto, e quella partì spedita verso la villa di
Wythe.
Nola
e Shia ripresero fiato,
sprofondando nei confortevoli sedili.
-
Come… come hanno fatto a
scomparire in quella pozzanghera? Al massimo c’era qualche
centimetro d’acqua!
– chiese Nola, dopo aver tirato il fiato.
-
Per quelli come loro è facile
attraversare qualunque cosa rifletta come uno specchio e trasportarsi
in
qualunque posto vogliano. – spiegò Wythe.
Nola
e Shia sgranarono gli
occhi.
-
Ma come è possibile? –
fecero, in coro.
-
Ve lo spiegherò quando saremo
a casa, ormai manca poco. – Wythe indicò fuori dal
finestrino.
La
limousine si infilò in un’altra
stradina sterrata.
-
Siamo sicuri che sia la
strada giusta? Niente scorciatoia o robe simili? – chiese
Nola, sconcertata.
Wythe
rise. – No, te lo giuro!
–
In
effetti in lontananza si
scorgeva una costruzione, ma più che somigliare alla
“piccola villetta” di cui
aveva parlato Wythe, somigliava ad una gigantesca reggia barocca,
circondata da
ettari ed ettari di foresta.
-
Ahh! – sospirò la ragazza,
soddisfatta. – Finalmente a casa! -
Si
è concluso anche il terzo
capitolo, e finalmente c’è stato un combattimento!
Sono emozionata!
Ringrazio
tutti quelli che leggono
questa storia, continuate a seguirmi! =^___^=
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Appena
la limousine entrò nel
cancello della gigantesca villa, Shia e Nola provarono una strana
sensazione e
avvertirono un fremito.
Come
se Wythe gli avesse letto
nel pensiero, disse: - Non preoccupatevi, il brivido che avete sentito,
è il
segnale che siamo entrati dentro una barriera protettiva. Tutte le
proprietà di
mio padre sono circondate da barriere di questo tipo. Così i
cattivi non
possono entrare! –
La
villa era davvero immensa.
Era formata da un blocco centrale, imponente e maestoso, e da due
“ali”
laterali, che si curvavano un po’ verso la fine. Le due ali
laterali erano
sormontate da un grazioso balcone che seguiva l’andatura dei
piani sottostanti,
e le ringhiere erano riccamente decorate e cesellate.
Proprio
davanti alla villa, al centro
del giardino, si trovava una gigantesca fontana di marmo bianco.
L’acqua
fuoriusciva dalla bocca di un meraviglioso cavallo alato,
anch’esso di marmo,
che si trovava nel mezzo della fontana e accennava
un’impennata, e sembrava
fissare tutti quelli che passavano con il suo sguardo fiero e
giudicatore.
La
limousine si fermò davanti
al grande portone d’entrata, a cui si accedeva grazie ad
un’immensa scalinata.
Il
portone era già aperto, e ad
attendere Wythe stava un’intera schiera di cameriere e
maggiordomi, che porgeva
inchini ed elogi a tutti.
Wythe
rispose con un sorriso.
-
Grazie per avermi attesa,
sono molto felice che vi preoccupiate per me! –
Una
giovane donna si fece
avanti. Non era vestita da cameriera, ma comunque si notava che faceva
parte della
servitù.
-
Wythe, tesoro, tutto bene?
Sicura di non star male, o… -
La
ragazza si buttò tra le
braccia della donna.
-
Oh, Emily, scommetto che
Andrew ti ha avvisata di quello che è successo e ha
ingigantito la cosa, vero?
–
Emily
arrossì, ma continuò a
tener stretta Wythe in un abbraccio.
-
In effetti è successo davvero
così. Mi ha telefonata quando stava ancora guidando. Lo so
che a Andrew piace
inventare particolari, ma comunque sentirmi dire che ti hanno quasi
tagliata a
fettine fa un certo effetto! –
-
Che cosa? Accidenti, ma io
non ho fatto niente, sono stai questi ragazzi a combattere. A
proposito, quasi
mi dimenticavo di loro! – fece Wythe, poi, divincolandosi
dall’abbraccio, prese
Nola e Shia per mano e li trascinò verso la donna.
-
Loro sono Shia e Nola! –
disse rivolta ad Emily, poi, rivolta invece verso i ragazzi, disse: - Lei è Emily,
la mia balia di quando ero
piccola. –
Ad
un tratto, tutte le
cameriere assunsero una posizione rigida e professionale.
Wythe
si voltò verso
l’ingresso.
-
È il papà! – esclamò felice.
Sembrava una bambina.
In
effetti, si stava
avvicinando un uomo alto e robusto, molto affascinante e, soprattutto,
molto
giovane.
-
Wythe! Principessa! –
esclamò, con voce un poco roca.
-
Papà! – esclamò lei, e si
gettò tra le braccia del padre. Lui la sollevò da
terra come fosse una piuma, e
la strinse affettuosamente, poi la ripose delicatamente per terra.
-
Buon giorno, signor Haversam!
– disse Emily, arrossendo e guardandolo dolcemente.
Anche
lui arrossì. – B…
buongiorno Emily… Oggi è davvero molto
bella… Mi perdoni, intendevo la
giornata! –
I
due rimasero a fissarsi
dolcemente per un po’, finché Wythe diede una
gomitata nelle costole del padre.
-
Loro sono Shia e Nola, papà.
Grazie a loro sono ancora viva! –
Il
signor Haversam si riscosse.
– Ma è fantastico! Oh, che maniere! Entrate,
entrate! – esclamò, e fece
accomodare gli ospiti in casa.
-
Tully! – disse Haversam ad un
cameriere. – Prepara una ciotola con del cibo e
dell’acqua per questo bel cane,
e servilo in cucina. Per quanto riguarda i nostri ospiti, nel loggiato
sul
retro è pronto un pranzo davvero delizioso che sta
aspettando proprio noi.
Emily, ti andrebbe di unirti a noi? –
Lei
trasalì e arrossì
nuovamente. – Ne… sarei davvero felice!
– disse.
Per
arrivare al loggiato, i
ragazzi attraversarono la casa, guidati da Haversam, che dava il
braccio ad
Emily. All’ingresso si trovava un gigantesco androne, dal cui
soffitto pendeva
un meraviglioso lampadario in cristallo. Dal fondo della stanza
salivano due
scalinate in marmo che curvavano elegantemente e portavano ai piani
superiori,
mentre ai lati si aprivano numerose porte, che conducevano alle altre
zone
della casa.
Tuttavia
Haversam non si
diresse verso nessuna di esse. Proseguì fino ad una bella
vetrata che si trovava
proprio sotto l’incrociarsi delle scale e
l’aprì.
Si
spalancava proprio nella
meravigliosa veranda all’aperto, che era stata appena
preparata. Il porticato
era circondato da tante colonne candide, tra le quali erano state
disposte
piante rampicanti che diffondevano il loro dolce aroma.
Tutti
presero posto, e in breve
tempo, una schiera di camerieri portava le varie pietanze in vassoi
d’argento e
casseruole di porcellana.
Dopo
aver augurato buon
appetito, Wythe iniziò a mangiare, e così anche
il padre ed Emily.
“
Accidenti! Io non sono
abituata a mangiare come una signora! Chissà che forchetta
si usa? Meno male
che anche Shia è nelle mie stesse condizioni!”
pensò Nola, e si voltò verso il
ragazzo, ma, stupore e meraviglia, lui mangiava come un vero principe.
L’autostima
di Nola le finì
sotto le scarpe, vedendo che era l’unica a non sapere come
comportarsi. Decise
di guardare quello che facevano gli altri e poi di copiare, ma per
sicurezza
non si azzardò a mangiare dei cibi su cui aveva dei dubbi di
comportamento.
Poco
male, perché a quella
tavola erano presenti più leccornie della tavola di un re!
Dopo
un pranzo raffinato, che
per Nola fu un vero supplizio, la compagnia decise di spostarsi nel
chiosco non
lontano dal loggiato, dove potevano sorseggiare fresche bibite e
ammirare i
fenicotteri che andavano ad abbeverarsi nel piccolo laghetto del
giardino.
Wythe
ed Emily erano andate a
dar da mangiare ai fenicotteri, così, seduti nelle poltrone
di vimini erano
rimasti il signor Haversam, Shia e Nola.
-
È un vero sollievo sapere che
non è successo niente alla mia bambina! – disse
Haversam, sospirando, mentre
osservava sua figlia e la balia che si divertivano schizzandosi con
l’acqua.
-
Sapete, io sono il
proprietario di un’importante ditta di trasporti, che collega
la Repubblica
dell’Aria con il Regno della Terra. A causa del mio lavoro
sono spesso via, e
se non ci fosse stata Emily, Wythe sarebbe rimasta continuamente
sola… -
-
Se non sono indiscreta, posso
chiederle dove si trovi la madre di Wythe? – chiese Nola.
Haversam
trasse un sospiro, poi
rivolse un sorriso al cielo.
-
La madre della mia
principessa è morta dandola alla luce… Credo che
ora si trovi un posto
migliore… -
Nola
si maledisse per averlo
chiesto, ma Haversam tornò subito allegro e riprese a
parlare di Emily.
-
Si prese cura di Wythe da
quando era in fasce. Ha sempre vissuto qui da noi, e anche quando non
occorrevano più i suoi servizi, Wythe mi pregò di
farla restare, perché è la
persona che praticamente considera come una madre! –
Nola
sorrise. All’inizio aveva
pensato che Wythe fosse una ragazza viziata e antipatica, ma in fondo
sapeva
che aveva un cuore d’oro.
“
Diventeremo ottime amiche!”
pensò. Poi sfiorò due dita di Shia, cercando di
trasmettergli un pensiero.
“
Credo che il signor Haversam
sia innamorato di Emily!”
Anche
Shia sorrise.
-
A proposito! Durante il
pranzo abbiamo parlato solo di cose poco importanti, ma vorrei sapere
davvero
come è andata. Andrew ha telefonato con il cellulare della
limousine, ma era
molto agitato e abbiamo capito ben poco di quello che è
successo… - disse
Haversam.
-
A questo proposito, Wythe ci
ha detto che ci avrebbe chiarito alcune cose, visto che noi
siamo… come dire…
ignoranti… - spiegò Nola, imbarazzata.
-
Bene, allora sarà meglio
parlarne in un posto più adatto. –
Haversam,
dopo aver chiamato a
se Wythe ed Emily, li condusse in un’altra zona della casa.
Arrivati nei pressi
della cucina, aprì una porta nascosta, che nessuno avrebbe
notato senza uno
sguardo accurato.
Da
li partiva una rampa di
scale che conduceva al piano inferiore.
“
Sembra una specie di
cantina…” pensò Nola, scendendo i
gradini.
Ciò
nonostante, quello che
trovarono sotto non somigliava neppure lontanamente ad una cantina. Era
una
stanza molto ampia, che sembrava la sala comandi di qualche astratto
sottomarino. La parete di fronte all’entrata era ricoperta da
numerosi monitor
che trasmettevano varie immagini provenienti da ogni parte del mondo,
mentre al
centro della stanza si trovavano apparecchiature elettroniche di ogni
genere:
computer, localizzatori, rilevatori eccetera. Le altre pareti erano
ricoperte
da planisferi, cartine geografiche, e dal soffitto pendevano
rappresentazioni
in scala del globo terrestre.
Nola
rimase a bocca aperta, e
anche Shia, che in genere manteneva un atteggiamento composto, non
riuscì a
mascherare una certa sorpresa.
-
Qui è dove svolgo il mio più
importante lavoro: controllare i movimenti di Langarth. –
disse Haversam,
orgoglioso.
-
Un momento, io ho sempre
saputo che Langarth è il nome del sovrano
dell’Impero del Fuoco… Che c’entra
lui con me e con Shia? – chiese Nola.
-
Purtroppo è proprio lui il
centro di questa storia, perciò è logico che
anche tu e Shia, come tutte le
altre Starlight d’altronde, siate coinvolti. Se volete
accomodarvi su quel
divano vi spiegherò molte cose. –
-
Quando Clovis, il padre di
Langarth, salì al trono dell’Impero del Fuoco, il
mondo ebbe un lungo periodo
di pace. I sovrani precedenti avevano creato solo problemi
all’Impero, e anche
agli altri tre Stati, perciò Clovis decise che a partire da
quel momento, non
ci sarebbe stata più nessuna guerra tra i Quattro Stati.
Dello
stesso avviso del padre,
Langarth non era di certo. Lui considerava Clovis un pappamolle e un
codardo,
che aveva paura della guerra e non aveva polso fermo per governare un
Impero.
Clovis era però il detentore della Starlight del Leone,
perciò Langarth non
aveva avuto alcun coraggio a rivelargli quello che pensava di lui.
Un
giorno infausto,
l’Imperatore Clovis si ammalò di una grave
patologia, che fino ad allora non si
era ancora riusciti a curare.
A
quella notizia, Langarth
decise di iniziare ad attuare il suo piano malefico, perché,
dato che lui era
l’unico erede in linea diretta, il potere sarebbe passato
direttamente nelle
sue mani. Riorganizzò l’esercito, scegliendo
uomini che gli sarebbero rimasti
fedeli fino all’ultimo, fortificò i confini
dell’ Impero del Fuoco, e, cosa
molto importante, cominciò a rintracciare tutte le Starlight.
Poi,
un giorno, Langarth
annunciò la morte dell’Imperatore, avvenuta in
misteriose circostanze. Langarth
disse che avvenne a causa della malattia, che lo aveva consumato
lentamente, ma
molte persone, come anch’io, pensano che sia stato
direttamente lui ad uccidere
suo padre.
Questo
perché, in punto di
morte, Clovis ha preferito lasciare la sua Starlight al suo
più fidato
consigliere, piuttosto che ad un figlio malvagio e senza scrupoli. In
seguito
questo consigliere fu costretto a fuggire, e di lui non si seppe
più niente.
Da
quel momento, per i Quattro
Stati cambiò tutto. Il piano di Langarth era molto semplice.
Impadronirsi di
tutte le Stralight per poi lanciarsi alla conquista degli altri tre
Stati. Con
le sole forze dei soldati la sua sconfitta sarebbe stata scontata, dato
che
cercava di opporsi a tre potenze mondiali, ma se le Starlight fossero
sotto il
suo controllo cambierebbe tutto.
Per
fortuna la guerra non è
ancora scoppiata, perché ritengo che finora tutti i suoi
tentativi di
impadronirsi delle Starlight sia fallito, ma non sarei tranquillo
ancora per
molto…
Un’altra
cosa. Il manicomio di
Hansenouth, in realtà non è davvero un manicomio.
È un centro di controllo, in
cui Langarth svolge i suoi esperimenti illegali cercando di trasferire
un’energia simile a quella delle Starlight da un corpo
all’altro, ma fino ad
ora si sono rivelati un totale fiasco. -
Nola
trasse un profondo
respiro. Non si era nemmeno accorta che durante il racconto aveva
trattenuto il
fiato.
-
Le cose stanno così,
purtroppo… - disse Wythe, spezzando il silenzio che si era
creato.
-
Ma se c’è davvero Langarth
dietro tutto questo… Quei tizi di stamattina… -
-
Erano le sue spie. A quanto
pare Langarth ha scoperto che per loro non c’è
bisogno di essere in punto di
morte per cedere il potere di Starlight ad un’altra persona,
perciò cerca di
usare i suoi scagnozzi per recuperare le Starlight, per poi farsele
consegnare
personalmente. –
-
Ma com’è possibile? Vorrebbe
racchiudere tutte le Starlight in un unico corpo? È una
pazzia! Non conosce i
rischi che corre? – esclamò Shia, indignato.
-
Tutti quelli che glielo hanno
fatto notare sono inspiegabilmente scomparsi… - disse Wythe.
-
Perché, cosa potrebbe
succedere? – chiese Nola.
-
Per prima cosa, il potere di
Starlight prosperano meglio se il proprietario è stato scelto, e non costretto
come vorrebbe fare Langarth; e poi è impossibile racchiudere
un così grande
potenziale magico in un unico corpo, sarebbe una fatica immensa e un
peso da
portare costantemente… Per non parlare poi del fatto che ci
sono Starlight poco
affini, che potrebbero causare conseguenze molto gravi, se unite.
– spiegò
Haversam.
-
Un’altra cosa… Come possono,
gli scagnozzi di Langarth, attraversare ogni cosa che riflette e
trasportarsi
dove vogliono? – chiese Shia.
-
Questa si che è una domanda
intelligente! I tirapiedi di Langarth sono dei discendenti del popolo
delle
Ombre, il popolo che un tempo abitava l’Impero del Fuoco.
Come i loro avi hanno
questa capacità particolare, come anche quella di
trasformare il loro corpo a
piacimento. Badate bene però, non sono delle ombre
complete… come dire… si
possono considerare una sorta di ibridi… - disse Haversam.
-
Ma ora, spiegatemi cos’è
successo questa mattina, sono curioso. –
Nola
e Shia gli riferirono
l’intero accaduto, a partire dal fatto che loro erano le
Starlight
dell’Acquario e dell’Ariete, per finire con il
racconto della battaglia.
Nola
osservava un planisfero in
piano, appeso ad una parete.
Fino
ad allora non era mai
uscita dalla Repubblica dell’Aria, ma aveva sempre sognato
farlo.
Il
planisfero era strutturato
in quattro livelli.
Al
primo livello si trovava la
Repubblica dell’Aria, una grande porzione di terra che
fluttua semplicemente
nell’aria, a volte inframmezzata da laghi poco profondi e da
un unico fiume che
attraversava la città di River Town.
Il
secondo livello era la terra
vera e propria, la crosta terrestre. Qui si trovava il vasto Regno
della Terra,
il più grande dei Quattro Stati. Era un territorio molto
rigoglioso e
verdeggiante.
Al
terzo livello si trovava il
Paese dell’Acqua, situato sopra la superficie del mare.
Praticamente,
il terreno
sollevatosi per diventare la Repubblica dell’Aria, diede
spazio all’acqua, che
aveva dilagato imperterrita; così, gli antichi, inventarono
un sistema di
enormi palafitte galleggianti resistenti alle correnti marine da
posizionare
sopra l'acqua, in modo da permettere la vita anche dove normalmente era
impossibile.
L’ultimo
livello si trovava
esattamente sopra il centro della terra.
Qui
si trovava l’Impero del
Fuoco, costituito da una serie di gallerie e caverne profondissime
collegate
tra loro. La popolazione traeva energia direttamente dal nucleo
incandescente
di magma, che ogni tanto fuoriusciva da vulcani sotterranei.
-
Ho una domanda da farti,
Wythe. Come hai fatto a capire che noi siamo Starlight? –
chiese
improvvisamente Nola, indicando prima lei poi Shia.
-
Beh, in effetti non so
neanche io come ho fatto… Diciamo che ho delle percezioni:
sento la presenza di
altre Starlight, anche a distanze notevoli. È come se
provassi una vibrazione.
Lo so, è un po’ strano… -
-
Non è poi così strano! – le
disse Shia, sorridendo.
Wythe
arrossì.
Wythe
convinse il padre ad
ospitare a casa loro Nola e Shia, così Haversam
mandò un maggiordomo a ritirare
il side-car e i bagagli dei ragazzi, e pagò anche la
parcella dell’albergo.
Shia era affacciato al
balcone ella sua
camera, preparata appositamente dalle cameriere quel giorno stesso. Il
sole era
ormai tramontato e in cielo brillava qualche stella, a volte oscurata
dal
passaggio di alcune nuvole.
Qualcuno
bussò alla porta.
-
Avanti. – disse lui.
Ripensando
ai fatti della
mattina, era tornato di pessimo umore, e non aveva voglia di vedere
nessuno.
La
porta si aprì, e nella
stanza entrò Wythe, che andò ad affacciarsi
accanto a Shia.
-
Allora, ti piace qui? –
chiese euforica.
-
Si è molto bello, davvero… -
-
Ma…? – chiese lei, che aveva
notato uno strano tono nella voce del ragazzo.
-
Ma non avete paura? Insomma,
quei tipi possono attraversare gli specchi e trovarvi in qualunque
momento! –
Wythe
sorrise. – Ma allora non
mi ascolti quando parlo? Quel brivido che hai sentito quando siamo
entrati qui,
ricordi? Siamo circondati da una barriera protettiva, non possono
oltrepassarla! –
Shia
rise. Come aveva fatto a dimenticarsene?
-
Ti ringrazio… - disse Wythe.
-
Per cosa? –
-
Perché sei il primo che non
mi trova strana. A scuola non ho amici, per via di questa mia
facoltà. Mi
trattano come un fenomeno da baraccone e mi isolano… -
-
Beh, allora sono dei veri
deficienti! Penso che tu sia davvero una ragazza simpatica e carina,
non devi
farti influenzare da simili insinuazioni. –
esclamò Shia, e le poggiò una mano
sulla spalla, sorridendole.
In
quel momento la porta si
aprì di scatto.
-
Shia! Ho scoperto una cosa
super emozionante! Nella mia camera c’è anche il
bagno, c’è anche nella tua,
non è ver… - Nola si bloccò.
Fissò la mano del ragazzo poggiata sulla spalla di
Wythe, e improvvisamente sentì un dolore al cuore, come se
una parte venisse
strappata via.
Immediatamente
Shia abbassò il
braccio, guardandola con aria triste e colpevole.
Nola,
bloccata come una roccia,
si guardò intorno. Che motivo c’era di
rimuginarci: una stanza al buio, un
ragazzo e una ragazza da soli al chiaro di luna…
-
Mi dispiace di avervi
disturbato… - disse, con tono piatto, e uscì,
chiudendosi la porta alle spalle.
Shia
fece per correre a
raggiungerla, ma Wythe lo trattenne per un braccio.
-
Aspetta! Raccontami un po’ di
te! – chiese con aria maliziosa.
Shia
la raggiunse, un po’ a
malincuore, guardando in continuazione la porta.
Nola
si diresse mesta verso la
sua camera. Cos’era quella strana sensazione? Eppure quello
di Shia era stato
un banalissimo gesto che avrebbe fatto con chiunque. Tuttavia il fatto
che la
mano del ragazzo fosse poggiata proprio sulla spalla di Wythe,
infondeva in
Nola una profonda tristezza.
-
Tutto a posto? Non ti sarai
persa? – chiese una voce. Nola si riscosse dai pensieri,
scoprendo che a
parlare era stata Emily.
-
No… stavo tornando nella mia
stanza… - disse con un sorriso, ma le si spense prima di
arrivarle alle labbra.
-
Che faccia triste! È successo
qualcosa? –
-
In effetti… -
-
Che ne dici di andare in
camera tua, così me ne parli? Faccio portare su due
cioccolate calde, va bene?
–
Nola
annuì, e insieme si
incamminarono.
-
Allora, non vuoi dirmi cosa
ti preoccupa? – chiese Emily.
Le
due erano sedute davanti
alla specchiera, ed Emily pettinava con una grande spazzola i capelli
castano –
biondi di Nola, che le arrivavano più o meno alle scapole.
Nola
trasse un sospiro.
-
Ho paura… Ho paura che una
persona molto importante si allontani da me… -
Emily
smise di pettinarle i
capelli.
-
Si tratta di Shia? –
Nola
si voltò a guardarla. –
Esatto. –
-
Ti piace? –
-
Beh, non in “quel” senso, se
è questo che intendi. Io lo considero un buon amico anche se
ci conosciamo da
poco. Mi ha aiutata tante volte, senza volere niente in cambio. –
Sospirò
e poi riprese.
-
Si trova così a suo agio qui…
Anche a tavola, sapeva sempre come comportarsi, mentre io mi sentivo un
pesce
fuor d’acqua. Poi, un attimo fa sono andata nella sua camera,
e ho visto che
non era da solo, ma rideva e scherzava con Wythe, e questo mi ha
spaventata.
Fino adesso siamo stati solo io e lui, e così andava bene
ma… e se non vuole
più essere mio amico? –
Una
lacrima scese sulla guancia
della ragazza, che l’asciugò con la manica del
pigiama.
Emily
le circondò le spalle con
un braccio e l’avvicinò a se.
-
Vedi, Wythe è sempre stata da
sola, e l’aver incontrato voi l’ha resa
così felice che a volte è iper-attiva.
Forse ti ha turbata il fatto che Shia abbia un certo “non so
che” che gli
permette di fare subito amicizia, ma se pensa che anche tu sia per lui
una
buona amica, l’unica cosa che puoi fare è
parlargli, e tutte le cose si
sistemeranno. –
-
Va bene, lo farò! – esclamò
Nola. Qualcosa le aveva ridato la carica: le sagge parole di Emily.
La
mattina dopo Nola si alzò di
buon ora, e si lavò e vestì in tutta fretta.
Scese
al piano disotto, alla
ricerca di Shia: doveva assolutamente parlargli.
-
Buon giorno Nola, ben
svegliata! – disse Haversam, che per caso passava per il
corridoio.
-
Grazie. Ha per caso visto
Shia? –
-
Se non sbaglio è in giardino,
credo sia in compagnia di Wythe… -
-
Grazie ancora! – disse lei, e
corse per il corridoio.
Nola
uscì dalla vetrata sul
retro, e scrutò in tutto il giardino per trovarli. Li scorse
in lontananza:
Wythe teneva le sue braccia avvinghiate al muscoloso braccio del
ragazzo, e
camminavano felici e divertiti come una coppietta.
A
quella vista, la sensazione
della sera precedente si fece risentire in Nola, questa volta
accompagnata
anche da una rabbia che saliva pian piano.
Emily
le si affiancò.
-
Io distraggo Wythe, tu parla
con Shia. – le propose, facendole l’occhiolino, poi
chiamò Wythe, facendola
allontanare dal ragazzo con una scusa. Nola approfittò
dell’occasione per
correre da lui.
-
Allora… Hai una nuova amica?
– chiese lei, mentre passeggiava
di fianco a Shia.
Lui
si fermò guardandola con
quello sguardo colpevole e rattristato che la sera prima
l’aveva fatta star
così male.
-
C’è qualcosa che non va? Sai
che so cosa pensi anche senza leggerti nella mente. Lo vedo dalla tua
faccia. –
Nola
inspirò profondamente.
-
Promettimi che sarai sempre
mio amico, qualunque cosa succeda! -
Il
volto di Shia fu
attraversato da un attimo di delusione, seguito poi da una sonora
risata, di
quelle che Nola adorava.
-
Cosa ti fa pensare che non
succederà? Starò sempre al tuo fianco, te lo
giuro! –
Improvvisamente
dal cuore della
ragazza si sollevò un peso gigantesco.
Per
un attimo rimase incredula,
ferma nello stesso punto.
Poi,
pian piano le ginocchia le
cedettero e la costrinsero ad chinarsi sull’erba verde.
-
Io… credevo che non volessi
più essere mio amico, ora che hai incontrato una ragazza
come Wythe… e… mi sono
preoccupata… io… -
-
Lo so, sei una scema! – disse
Shia, in tono scherzoso, che si era chinato vicino a lei.
Tutte
le angosce svanirono in
un istante, un attimo prima che dagli occhi di Nola caddero lacrime di
felicità, e lei si sdraiasse sull’erba, ridendo e
piangendo insieme. Shia le si
sdraiò vicino, prendendole una mano con la sua.
-
Perché hai pensato una cosa
del genere? – chiese. Conosceva benissimo la risposta, ma
voleva sentirla dalle
labbra di Nola.
-
Se te lo dico, mi prometti di
non ridere? –
-
Prometto! – disse lui, con
aria solenne, trattenendo un sorriso sotto i baffi.
-
Il fatto è che vi ho visto
così in intimità, e mi ha fatto male sapere che
quelle stesse attenzioni le
riservi anche a me. Io non voglio essere un’amica qualunque,
voglio essere la
tua migliore amica! –
Shia
rise. – E sia, allora,
d’ora in poi noi due saremo migliori amici! –
-
Papà, senti, volevo dirti una
cosa… - cominciò Wythe, con voce accattivante.
-
Dimmi, principessa! – rispose
Haversam.
-
Questo pomeriggio Shia e Nola
se ne andranno, e io li seguirò. – non era la
richiesta di un permesso, bensì
un’affermazione.
-
Non se ne parla nemmeno! –
-
Ma perché? Loro possono
farlo! –
-
Per prima cosa Shia è già un
uomo adulto, e Nola è sotto la sua protezione. Per di
più lei non ha nemmeno
dei genitori che si preoccupano per lei! -
-
Non è giusto! Cosa mai potrà
succedermi?! –
-
Quello che è successo oggi,
per esempio! Se Shia e Nola non fossero con te? Se fossi da sola mi
spieghi
come faresti? È troppo pericoloso. Non andrai! –
Wythe
si alzò dal divano su cui
era seduta.
-
Io ci andrò, che tu lo voglia
o no! – esclamò, e, furiosa, se ne andò
sbattendo la porta.
Il
pomeriggio era ormai
inoltrato, e Shia e Nola, assieme a Boris, si trovavano in salotto, con
le
valigie pronte ai loro piedi.
Haversam
ed Emily erano seduti
su un divano.
-
La ringraziamo davvero tanto
per la sua ospitalità. Non sappiamo proprio come ripagarla!
–
-
Figuratevi, per così poco!
Piuttosto, la mia figliola non è venuta a salutarvi?
–
-
Era molto triste per la
vostra partenza, forse è nella sua camera, vado a chiamarla.
– disse Emily, e
uscì dalla stanza.
-
Ditemi, e adesso dove
andrete? –chiese Haversam.
-
Il più lontano possibile da
qui. Mi stanno cercando e… -
-
Si, ho visto i manifesti…
gran brutta cosa… Sai, vi conviene andare molto lontano,
dove quelli di
Hansenouth non possono arrivare. –
Emily
tornò in salotto,
trafelata.
-
Wythe è scomparsa! – esclamò
riprendendo fiato.
Haversam
si alzò dal divano con
uno scatto.
In
quel momento un forte rumore
di pale attirò l’attenzione dei presenti, che si
riversarono fuori dalla villa.
Vicino
alla fontana con il
cavallo di marmo, a poca distanza da terra volava un elicottero bianco.
-
Papà! È tua figlia che
ti parla! Ho sequestrato questo elicottero, e
non intendo tornare indietro! – risuonò
la voce di Wythe, scaturita da un
potente megafono.
-
Wythe, sei li sopra? – urlò Haversam, cercando di
sovrastare il
potente rumore.
-
Si, sono qui! –
-
Dì al pilota di atterrare!
Questo è un ordine! –
-
Non lo farò mai! Io voglio andare
con Shia e Nola. Voglio aiutarli,
solo con il mio potere possono trovare le altre Starlight! Ci
difenderemo da
Langarth unendo le nostre forze!–
Haversam
tacque, apprensivo.
Shia
gli si fece vicino, e gli
posò una mano sulla spalla.
-
Non si preoccupi, baderemo
noi a lei! – disse, e Nola confermò con un cenno
di assenso, sorridendo.
-
E va bene… - sospirò
Haversam. Chissà perché Shia riusciva a
tranquillizzare le persone.
-
Va bene Wythe! Puoi andare!
Fai scendere l’elicottero, così Nola e Shia
possono salire! – gridò il padre.
L’elicottero
si avvicinò al
prato, fino a toccarlo piano.
Shia,
Nola e Boris vi salirono
e si sistemarono comodi. Alla guida c’era un pilota
spaventatissimo, minacciato
da Wythe, furiosa e selvaggia.
Mentre
l’elicottero si alzava
in volo, Haversam grido: - Prendetevi cura di lei! –
-
Ti voglio bene papà!
– gridò Wythe nel megafono, un attimo prima
che l’elicottero compisse una virata e si allontanasse.
Mmmh…
un nuovo personaggio!
Wythe non ha di certo un bel caratterino!
Cosa
succederà adesso? La
ragazza ha deciso di seguire Nola e Shia, e si è messa anche
in testa di
trovare le altre Starlight!
Che
ne pensate di lei? E delle
altre due Starlight?
Ditemi
chi è il vostro
personaggio preferito! Certo, fino ad ora non ne sono comparsi molti,
però… ^_________^
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
L’elicottero
sorvolava le verdi
colline della Repubblica dell’Aria.
Nola,
con la faccia schiacciata
sul finestrino, ammirava il paesaggio. Da li si poteva vedere una
grande parte
del territorio nazionale, costellato di cittadine abbastanza vaste,
situate a
lunga distanza da loro.
-
Dove siamo diretti? – chiese
Shia, che osservava anche lui il paesaggio.
-
A River Town, ho sentito
delle vibrazioni provenire da li, e inoltre a River Town possiedo anche
un
appartamento (a dire il vero è di mio padre) dove possiamo
stare senza spendere
un centesimo! –
River
Town…
Nola
aveva già sentito nominare
quella città, ma non ricordava in quale occasione.
“
Ma certo!” pensò. “È la
città
in cui vive Susan, la figlia di Talbot!”
Dall’alto
si poteva già scorgere
il confine della città. Da una parte era circondata dalla
foresta, a parte il
tratto di autostrada che conduceva alla città, e il grande
fiume che la
attraversava. Sull’altro versante, la città dava
sul vuoto. Esattamente, perché
quello era il confine della Repubblica dell’Aria. Molti
chilometri separavano
quel terreno fluttuante dal globo terrestre. Il fiume scendeva a
cascata dallo
strapiombo, ma non faceva in tempo a raggiungere la terra,
perché, a causa
della forte altezza, l’acqua si condensava prima, divenendo
vapore che dava
un’aria ancora più magica a quella terra
fluttuante.
Atterrarono
in un grande
spiazzo fuori dalla città, dove li aspettava
un’auto con i finestrini scuri.
-
Siamo sicuri che non ci
aspetti qualche altra brutta sorpresa? – chiese Nola, salendo
in macchina.
-
No, non preoccuparti! – le
assicurò Wythe.
L’auto
attraversò l’intera
città, molto simile ad Alder, ma con un certo non so che di
retrò, fino ad
arrivare ad un alto grattacielo che spiccava tra gli edifici poco
più bassi.
Le
immense vetrate riflettevano
le nuvole arancioni e violette colorate dal tramonto.
Entrati,
i ragazzi presero
l’ascensore, che li condusse fino al ventitreesimo piano,
dove si trovava
l’appartamento di Wythe.
Era
un alloggio molto grande,
appropriato per una famiglia intera: aveva due camere da letto, cucina,
bagno e
salotto.
-
Una cosuccia, non vi pare? –
disse Wythe, lanciando occhiate di sufficienza qua e là.
Shia
e Nola la guardarono
sconcertati. Era l’appartamento più bello e
accogliente che avessero visto.
Nola
si fiondò subito al
balcone, da cui si godeva una vista meravigliosa. In lontananza si
scorgeva la
campagna, da cui erano così presto fuggiti, mentre
più a est si poteva notare
la fine della Repubblica dell’Aria. L’argine a
strapiombo era protetto da
gigantesche dighe di vetro, su cui si poteva fare due passi e guardare
di
sotto, ma di sicuro non era una passeggiata opportuna per chi soffriva
di
vertigini!
Nelle
vicinanze, invece, si
potevano scorgere i tetti della gigantesca metropoli e le antenne dei
grattacieli. Proprio nel grattacielo di fronte al balcone, risaltava un
gigantesco
cartellone pubblicitario che reclamizzava un profumo. Sul manifesto
spiccava la
foto di una bellissima ragazza bionda, con i capelli lunghi e
boccolosi, e uno
sguardo dolce e insieme malizioso.
-
Ah! – sospirò Nola. - Quanto
vorrei somigliare a Rebecca Blackwell! È una ragazza
così bella! –
-
Già! Ormai è la modella più
famosa, compare su tutte le copertine dei giornali, inoltre
è considerata
un’icona di bellezza e un modello seguito da numerose
ragazze! – disse Wythe,
che era arrivata nel frattempo, e si era affacciata affianco alla
ragazza.
-
È troppo sofisticata…
Preferisco le ragazze semplici! – fece Shia, che aveva
raggiunto le due in quel
momento.
Wythe
lo guardò, sorridendo.
Dall’interno
del soggiorno,
Boris sbadigliò.
-
È ora di andare a nanna, non
credete? – disse Shia, sorridendo.
-
Andiamo Boris, sbrigati! –
chiamò Nola, mentre attraversava la strada. Il cane la
seguì trotterellando.
Quella mattina, la ragazza aveva deciso di andare a fare la spesa,
accompagnata
dall’ormai inseparabile cagnone.
Arrivarono
in una via molto
movimentata, ai cui lati c’erano una fila di bancarelle che
vendevano la merce
più disparata.
-
Fantastico! Oggi c’è il
mercato! – esclamò Nola, e corse tra le bancarelle
a guardare cosa vendevano.
Prese
del pane caldo e
fragrante per il pranzo, della carne fresca e qualche verdura.
-
Ho assolutamente voglia di
buoni pomodori! – mormorò aggirandosi tra i
banconi, ma non vedendone da nessuna
parte.
-
Eppure dovrebbe essere
stagione… - sospirò.
All’improvviso,
Boris corse in
direzione di un bancone sgangherato, poco frequentato. In prima fila
facevano
bella vista dei pomodori rossi e succosi.
-
Questi vengono due dinar al chilo.
– disse la giovane
signora che gestiva la bancarella.
Nola
alzò lo sguardo dai
pomodori e sorrise alla donna. Appena la vide in volto, ebbe come un
dejà vu.
“
Che strano! È come se
l’avessi già vista ma non ricordo
dove!...”
-
Allora me ne dia due chili,
per favore! – disse la ragazza, cortesemente.
Una
testolina bionda spuntò da
dietro il bancone.
-
Faccio io, mamma! – disse un
simpatico bimbetto, di quasi sei – sette anni.
-
Non preoccuparti, lascia fare
a me! – sorrise la donna, carezzandolo sulla testa.
Boris
latrò allegramente,
annusando nell’aria un qualche profumo che le persone non
percepivano.
La
signora, sentendo quel
suono, si sporse per osservare il cane. Un pomodoro le cadde dalla mano.
-
Boris! – esclamò in un
soffio.
-
Lo conosce? – fece Nola,
sbigottita. Osservò nuovamente la donna, cogliendo ogni
piccolo particolare del
volto.
-
Susan! – gridò Nola, ma
subito abbassò la voce, perché tutte le persone
in strada si voltarono a
guardarla.
-
Come fai a conoscere il mio
nome? – chiese la donna, meravigliata.
-
Io conosco… conoscevo suo
padre… - rispose Nola, cercando di ricacciare indietro le
lacrime. Ricordava
come fosse ieri i momenti felici passati con Talbot, ma ancora di
più ricordava
il momento in cui venne a sapere della sua morte.
-
È morto. – disse con un filo
di voce.
Susan
si portò le mani alla
bocca, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
-
Mamma! Stai bene? – esclamò
il bambino, correndo da lei.
La
donna si accasciò su una
sedia che stava dietro il bancone e scoppiò a piangere in
silenzio. Nola le si
avvicinò e le circondò le spalle con un braccio.
-
È stata tutta colpa mia! –
disse tra i singhiozzi. – Non sarei dovuta andar via!
–
-
No! Non è stata colpa sua! – esclamò
Nola. “ Sono stati quelli di Hansenouth!”
Susan
si calmò un po’, quel
tanto che le consentiva di parlare.
-
Cosa le fa credere questo? La
prego, me lo dica! - la supplicò la ragazza.
-
D’accordo, basta che tu non
mi dia del lei. Chiamami semplicemente Susan. –
Nola
fece un cenno di assenso
con la testa.
-
Come sicuramente ti avrà
detto mio padre, dieci anni fa mi sposai e venni a vivere qui,
abbandonando mia
madre e mio padre alla fattoria. Cercai di andarli a trovare il
più possibile,
ma purtroppo non potei allontanarmi troppo spesso. La ditta di mio
marito
infatti, non stava correndo un buon periodo… Eravamo
sull’orlo di un tracollo
finanziario, e non sapevamo come rimediare. Nel frattempo nacque
Leander, mio
figlio.
Un
brutto giorno, la ditta
crollò definitivamente in bancarotta, e io e mio marito ci
ritrovammo al verde e
senza un tetto sulla testa, perché per saldare i debiti
dell’azienda dovemmo
vendere casa. Mio marito trovò lavoro presso
un’altra impresa, ma dovette ricominciare
dalla gavetta, perciò lo stipendio… era quello
che era. Molte volte fui tentata
di correre da mio padre per chiedere un aiuto, ma come mi avrebbe
accolta, dopo
che io lo avevo trattato come un estraneo per molto tempo?
Così,
mentre mio marito si
occupava del suo lavoro, io iniziai a costruire un piccolo orticello
dietro la
nostra nuova casa, e a vendere le verdure al mercato. E ora eccomi qui,
povera
e ridotta alla miseria, che dopo aver svilito il tanto oneroso lavoro
di mio
padre, sono finita a fare proprio quello… -
Nola
le sorrise dolcemente,
mentre le teneva ancora le spalle.
-
Susan, sei una donna molto
coraggiosa, che non si arrende davanti alle difficoltà. Sono
certa che i tuoi
genitori non abbiano mai provato rancore nei tuoi confronti, e se mai
fossi
tornata da loro, di sicuro ti avrebbero accolta con le braccia aperte!
-
Anche
Susan sorrise.
-
Sono felice che mio padre ti
abbia conosciuta. Sei davvero una ragazza fantastica, come non se ne
trovano in
giro! –
Lei
si rabbuiò. – Non
penseresti questo, se sapessi... Tuo padre è morto per
proteggermi da... certe
persone… Capisci? È stata solo colpa mia se lui
è morto! Solo colpa mia! –
mormorò, mentre gli occhi le tornarono ad inumidirsi.
Susan
le prese una mano.
-
Se mio padre ti ha protetta
significa che eri davvero importante per lui. Non avere sensi di colpa,
e…
cerca di ridere di più! –
Boris
latrò, come per dare il
suo consenso.
Le
due si abbracciarono.
-
Ora devo andare… Ah, per i
pomodori, invece di due chili, me ne dia tre! – disse Nola,
facendo un sorriso
a trentadue denti.
Susan
rise, e dopo aver
consegnato la busta alla ragazza, l’abbracciò
nuovamente.
-
Spero di incontrarci
nuovamente! –
-
E io ti auguro tanta,
tantissima fortuna! – disse Nola.
Susan
si chinò su Boris e gli
carezzò il muso.
-
Mi raccomando… - gli disse. –
Proteggi questa ragazza con tutto te stesso! –
Il
cane la guardò con i suoi
occhi profondi: aveva capito esattamente quello che diceva.
-
E ora che ce ne facciamo di
tutti questi pomodori? – chiese Wythe, togliendone uno dalla
busta.
-
Devo ammettere che sono
belli, però. E avranno anche un buon sapore, immagino!
– fece Shia, togliendo
il pomodoro dalle mani della ragazza.
Al
contatto della loro pelle,
lei arrossì.
-
Potrò cucinare qualcosa! –
gridò Nola dal bagno.
-
Non stasera, però! – esclamò
Wythe, entusiasta. – Stasera andiamo a teatro! –
Shia
la guardò sorpreso, e
anche la testa di Nola fece capolino dalla toilette.
Wythe
aprì la sua borsetta griffata
e ne estrasse tre biglietti.
-
Cosa andiamo a vedere? –
chiese Shia.
-
L’opera? – esclamò Nola, con
gli occhi sbrillucicanti.
-
Sei fuori strada! – sorrise
Wythe. –Uno spettacolo di prestidigitazione! –
-
Un mago? – fece Shia, interessato.
-
Esatto! Stamattina, mentre
andavo in giro a fare shopping, davanti ad una boutique un giovane
ragazzo
pubblicizzava questo show, così gli ho comprato tre
biglietti. Inoltre ho avuto
una fremito molto forte, causato proprio da quel ragazzo; significa che
potrebbe essere una Starlight o che potrebbe esserne entrato in
contatto di
recente… -
-
Non ci resta che andare a
controllare! – disse Shia.
Wythe
lo squadrò da capo a
piedi.
-
Non vorrai andarci conciato
così, vero? –
La
proprietaria della boutique
si sfergava le mani con avidità.
-
Allora, signorina De Bourgh,
è soddisfatta dell’abito? Sa, proviene
direttamente dalla capitale! –
Wythe
le lanciò uno sguardo
fulminante, che la fece zittire immediatamente.
-
Lo prendo. – disse subito
dopo.
Una
delle commesse prese
l’abito da sera, rosso e brillantinato, con le spalline fini
e tante frange, e
lo mise in una grande scatola di cartone già piena di carta
velina rosa.
-
Shia, tu hai fatto? – fece
Wythe poi, con voce squillante ed eccitata.
Il
ragazzo uscì dal camerino,
con in dosso uno smoking nero coordinato alle scarpe nere lucide. Sotto
portava
una camicia bianca, uguale al fazzoletto nella tasca, e al collo un
papillon.
Lei
spalancò la bocca, con gli
occhi sognanti e brillanti.
-
Sei uno schianto! – esclamò,
senza peli sulla lingua.
-
Grazie! – rise lui. – E tu,
Nola, hai finito? – fece dopo.
Dal
camerino della ragazza
provenirono strani rumori.
-
Scusate, litigavo con le
scarpe! Non sono abituata ai tacchi alti! – disse.
Quando
aprì la tendina, fu il
turno di Shia di meravigliarsi, mentre il suo cuore aumentava il ritmo
dei
battiti.
Nola
indossava un lungo abito
senza spalline, con una scollatura sulla schiena. Era blu notte,
ricoperto di
brillantini proprio come quello di Wythe, e aveva un leggero strascico.
Le
scarpe, decolleté, erano lo stesso blu notte brillantinate.
Imbarazzatissima,
si fece
avanti.
Shia
le si avvicinò e le prese
una mano.
-
Sei bellissima! – le sussurrò,
e lei, arrossendo, gli sorrise felice.
Wythe
si irrigidì, sentendo che
quelle parole non erano rivolte a lei.
Dopo
aver acquistato anche gli
scialli e le stole per coprire almeno le spalle, i ragazzi tornarono a
casa per
una cena veloce.
-
Mi raccomando, Boris!
Comportati bene e alle dieci subito a letto! – lo
ammonì scherzosamente Nola,
passando una mano sulla testa spelacchiata del cane.
-
Dai ascolto alla mamma! –
fece Shia, per prendere in giro la ragazza.
-
Scemo! – esclamò lei,
dandogli un finto pugno sulla spalla, mentre si chiudeva la porta alle
spalle.
La
limousine di Wythe condusse
i tre davanti all’entrata del teatro, al cui esterno
c’erano già i manifesti
dello spettacolo.
-
Ci sto facendo l’abitudine a
farmi trasportare in “limo”! – disse
Nola, uscendo dalla macchina. Il tacco
della scarpa, però le si impigliò
nell’abito, e, aspettando il fatidico
schianto con il marciapiede, chiuse gli occhi.
Lo
schianto non avvenne. Quando
riaprì gli occhi si ritrovò tra le braccia di
Shia.
-
Tutto bene? – disse lui,
trattenendo una risata.
-
È colpa delle scarpe! Non
sono davvero abituata! – mormorò, cercando di
rimettersi in piedi.
-
Beh, avvisami. Dovessi cadere
un’altra volta ci sarò io! –
I
due rimasero a fissarsi
intensamente, finché Wythe non comparve al fianco di Shia,
e, prendendolo sotto
braccio, lo trascinò fino alla scalinata.
-
Sbrighiamoci, non vorremmo
arrivare in ritardo! – disse, con voce irritata.
La
sala era già gremita di
gente, e così anche le gallerie
e le
logge.
Un
usciere raccolse le sciarpe
di pelliccia delle ragazze e le portò nel guardaroba.
Tutti
i presenti si voltarono a
guardare le due ragazze, che con grazia ed eleganza procedevano verso
la loggia
centrale.
-
Ho trovato i posti migliori
del teatro! – disse orgogliosa Wythe, mentre prendeva posto.
Un
cameriere arrivò con un
vassoio su cui stavano tre aperitivi e tre binocoli per poter osservare
bene il
palco.
Quando
le luci si spensero, nel
teatro cadde un silenzio tombale.
Il
palco si illuminò e venne
invaso da un denso fumo violetto.
Una
voce maschile rimbombò in
tutta la sala.
-
Stupitevi della magia,
tuttavia non fateci affidamento. La magia è solo
un’effimera illusione! –
Poi
uno scoppio, e su palco
apparve una figura.
Un
uomo non molto alto, magro e
vestito con lo smoking troneggiava al centro del palco. Aveva i capelli
biondi,
che gli coprivano l’occhio destro con un ciuffo. La
metà sinistra del suo volto
era coperto da una maschera, bianca e inquietante, attorno al cui
occhio era
disegnata una spessa striscia nera che ne tracciava il contorno. Sulla
guancia,
infine, scendeva una lacrima nera disegnata.
Nella
parte visibile del suo
volto si intravide un sorriso.
Alzò
le braccia al cielo e dai
polsini della camicia uscì una moltitudine di farfalle
azzurre e violette, di
ogni forma e grandezza. Le farfalle volarono da ogni donna presente in
sala,
trasformandosi in rose e cadendo delicatamente tra le loro mani.
-
Un omaggio alle creature più
belle che questo mondo potesse far nascere! –
Nola
arrossì per quel
complimento, pur sapendo che non era rivolto solo a lei, e in un attimo
fugace
ebbe l’impressione che il mago guardasse proprio lei.
-
Mi presento! Sono colui che
fu, colui che è, colui che sarà! Sono il mago
Dupont! –
La
sala esplose in un boato di
applausi e ovazioni, mentre Dupont si inchinava.
Lo
spettacolo proseguì tra
colpi di scena e lo stupore degli spettatori. Il mago Dupont sapeva
davvero
come suggestionare le persone, e soprattutto, sapeva come distrarre la
loro attenzione
dal vero trucco, facendogli credere di assistere davvero ad una magia.
-
E ora… - disse Dupont. - … ho
bisogno di un volontario tra il pubblico! Quando il riflettore si
fermerà sulla
persona prescelta, questa dovrà salire sul palco e farmi da
assistente. C’è
qualcuno che vuole provare? –
Molte
persone alzarono la mano,
dimenandosi per essere notati.
-
Scegli me! – esclamò Wythe,
sporgendosi dal parapetto e agitando le mani.
-
In quella loggia c’è qualcuno
che vorrebbe provare? – chiese Dupont, mentre il riflettore
si spostava da
quella parte. La luce gialla indugiò un attimo si Wythe, poi
si spostò velocemente
su Nola, e qui si fermò.
-
Abbiamo trovato la
volontaria! Prego meravigliosa damigella! Scenda sul palco! –
Nola,
terrorizzata, serrò le
mani attorno ai braccioli della poltrona.
-
Hai paura? – chiese Shia,
carezzandole una spalla.
Nola
annuì, senza emettere
alcun suono.
-
Suvvia! È un’occasione
irripetibile! Ti consiglio di andare! – fece Wythe, che non
vedeva l’ora di
stare sola con Shia.
“
Oh, insomma! Ho combattuto
contro Dray e non ho avuto neanche un briciolo di questa paura che mi
ha presa
adesso! Tanto vale tentare!”
Nola
si alzò dalla poltroncina.
-
Se non vuoi non sei
costretta… - disse Shia, prendendola per una mano. Lei gli
sorrise.
-
Non preoccuparti, va tutto
bene! –
La
ragazza si diresse verso la
scala che portava al piano inferiore, ma Dupont la bloccò.
-
Aspetta! –
Davanti
alla balconata della
loggia si avvicinò una grande altalena fatta di fiori di
ogni genere.
-
Siediti e non preoccuparti! È
sicura al cento per cento! –
La
cosa si faceva seria…
Titubante,
Nola si avvicinò al
dondolo fiorito, nello stesso istante in cui si accorse che era fissato
con dei
robusti cavi d’acciaio al soffitto. In realtà
anche l’altalena stessa era fatta
d’acciaio, solo, ricoperta di vegetazione.
La
ragazza si sedette, e in un
attimo, quella struttura la condusse al palco, dove lei
atterrò leggiadramente.
Dupont
si inchinò e le baciò la
mano.
-
È un piacere avere come
assistente un fiore di tale bellezza! –
A
quelle parole, la mano di
Shia si irrigidì attorno al bracciolo della poltrona.
-
Non ci resta che cominciare!
– disse Dupont, sorridendo al pubblico.
Sul
palco era già stata
predisposta una piattaforma circolare e tutti gli oggetti da utilizzare
per
quel numero.
-
Prego, signorina, salga sulla
piattaforma. – disse Dupont.
Nola
fece come chiesto, e con
un po’ di fatica vi salì sopra.
Il
mago prese un telo rosso e
lo posizionò davanti alla ragazza. Appena lasciata la presa
di quel telo, esso
si resse perfettamente in aria da solo.
Un
altro schiocco di dita e
improvvisamente il telo prese fuoco.
Shia
si alzò di scatto dalla
poltroncina, ma Wythe gli tenne un braccio, facendolo tornare seduto.
Il
telo bruciò in un istante,
mostrando che Nola era scomparsa.
In
tutta la sala, il pubblico
si lasciò andare ad esclamazioni di stupore.
-
Volete sapere dov’è? – chiese
Dupont, sorridendo.
Gli
spettatori annuirono con
ovazioni e applausi.
-
Provate a guardare nella
loggia… - suggerì il mago.
Tutti
si voltarono verso la
loggia dove si trovavano Shia e Wythe, e, magicamente, Nola era
esattamente al
suo posto, con grande stupore (e sollievo) di tutti ma soprattutto di
Shia.
La
platea esplose in applausi e
complimenti, e sul palco vennero lanciate rose e altri fiori per il
mago.
Lui
fece un inchino.
-
Ricordate… La magia non è
altro che un’effimera illusione! – disse, e poi, in
una nuvola di fumo, sparì.
-
Mi hai fatto prendere un
infarto! – esclamò Shia, mentre con Nola e Wythe
si dirigeva al camerino di
Dupont.
Lei
sorrise. – Rilassati! Sono
tutta intera! –
-
Non sei abbrustolita da
qualche parte? – scherzò lui.
-
Ecco, siamo arrivati. – disse
Wythe.
Si
ritrovarono davanti ad una
porta rossa su cui spiccava una stella dorata, e il nome scritto in
nero di
Dupont.
Nola
bussò.
-
Avanti! – disse una voce
dall’interno.
Wythe
aprì la porta ed entrò,
assieme agli altri.
Davanti
allo specchio era
seduto un ragazzo biondo, sui sedici anni, che portava una vestaglia
rossa
sulle spalle.
Si
voltò verso di loro, con un
sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
-
Ma tu sei la ragazza dei
biglietti! – esclamò, correndo verso Wythe e
prendendole le mani. I due avevano
più o meno la stessa altezza.
-
È un piacere rivederti! Ti ho
riconosciuta subito per via del colore dei capelli! Sai è un
bellissimo verde,
come il colore dei capelli di mia cugina! Vedi, in realtà
non è mia cugina di
primo grado… è la figlia della cugina di mia
madre, che però si è risposata con
signore paffuto, hai presente? Come quello che fa la
pubblicità dei cereali,
solo che il marito della cugina di mia madre ha la pancia
così flaccida che
quando si muove gli traballa tutta e… -
-
BASTA! – gridò
Wythe, esasperata. – Ma non la
smetti mai di parlare?! –
Il
ragazzo sorrise.
-
Sei tu il mago Dupont? –
chiese Nola, facendo un passo avanti.
-
Oh! La fanciulla che mi ha
fatto da assistente! Sono così felice che… - ma
non continuò la frase, perché
Wythe gli lanciò un’occhiataccia.
-
Si, sono io. – disse infine
il ragazzo. Si inchinò davanti a loro e disse, con voce
importante: - Il mio
nome è Michelangelo Dupont! –
-
Io sono Wythe. –
-
E io Shia. –
-
Il mio nome è Nola. –
-
Lola? – chiese Michelangelo.
-
Nola! – gridò
lei.
Shia
si rivolse a Wythe. – È
lui? –
Lei
annuì.
-
Tu sei una Starlight? –
chiese Shia a Michelangelo.
Improvvisamente
il ragazzo si
mise in posizione di combattimento, con un’espressione di
puro odio in viso
mentre dalle sue mani scaturiva una forte energia, che pian piano
prendeva
forma, trasformandosi in un arco azzurro – turchese,
coordinato ad una freccia azzurra.
-
Non avrete mai il mio potere!
Carogne, al servizio di un ciarlatano senza scrupoli! –
Shia
si parò davanti alle
ragazze, per proteggerle.
-
Noi non vogliamo i tuoi
poteri. Anche noi siamo Starlight, proprio come te! –
Nola
soffiava sulla sua tazza
di cioccolata fumante, per raffreddarla.
-
Scusatemi infinitamente. Ho
davvero temuto che voi foste scagnozzi di Langarth. – disse
Michelangelo, dando
una tazza anche a Wythe e Shia.
-
Il fatto è che poco tempo fa,
una ragazzina dai capelli neri è venuta a farmi visita, e
non aveva le più
gradite intenzioni… -
Nella
mente dei tre amici
comparve l’immagine della compagna di Dray, di cui non
conoscevano il nome.
-
È venuta a far visita anche a
noi… Ma, piuttosto, tu quale Starlight sei? –
chiese Nola.
-
Io sono la Starlight del
Sagittario, Sagittarius. –
-
Volevo farti i complimenti!
Il tuo spettacolo è stato fantastico! – disse Shia.
-
Grazie! – disse Michelangelo.
– La prestidigitazione è da sempre tramandata
dalla nostra famiglia, di padre
in figlio. E così, mio padre era un mago, il padre di mio
padre era un mago, e
così via… - mentre diceva questo, da una manica
della vestaglia faceva uscire
foulard, colombe, un coniglio, una cacca di gomma, un paio di mutande
da donna.
Poi
fece spuntare un mazzo di
fiori freschi e profumati, e dopo averli annusati li porse a Nola.
-
All’assistente più brava e
più bella del mondo! – disse dolcemente.
Nola
arrossì e sorrise, mentre
Shia strinse convulsamente il manico della sua tazza di cioccolata.
-
È notte tarda, sarà meglio tornare
a casa. – disse Wythe.
I
due amici annuirono.
-
Senti, Michelangelo… Noi
stiamo andando alla ricerca delle altre Starlight. Vuoi unirti a noi?
– chiese
Nola, spiazzando gli altri.
Il
ragazzo sorrise dolcemente.
-
Mi dispiace… Ho un tour da
seguire, e se faccio di testa mia, il mio manager mi impicca!-
Nola
ci rimase un po’ male.
-
Ok… Non fa niente. Allora sta
attento, e soprattutto buona fortuna! –
Michelangelo
fece un inchino
reverenziale, mentre Nola usciva dal camerino, preceduta dagli amici.
La
capsula in vetro si aprì con
un sibilo, mentre un denso fumo bianco ne fuoriusciva.
Dray
mise un piede fuori, poi
l’altro, e con un po’ di fatica si issò
in piedi. Attraversò l’immensa sala
piena di macchinari e capsule, sotto lo sguardo atterrito dei medici,
ed uscì
sul lungo corridoio. Lo percorse per un tratto, finché non
si fermò davanti ad
una porta.
L’aprì
di scatto. Non fece in
tempo a varcare la soglia che Morgan gli saltò con le
braccia al collo.
-
Oh, Dray! Ho creduto che
fossi morto! – piangeva come una bambina, stretta
così forte a quell’uomo che
le parve di stritolarlo.
Lui,
dal canto suo, non sentiva
il minimo dolore.
Anche
Dray la strinse in un
abbraccio, sprofondando il viso nei morbidi capelli della ragazza.
-
Ho la pelle dura, amore… -
Sempre
tenendola in braccio,
Dray portò Morgan fino ad un grande letto al centro della
stanza, dove la
lasciò dolcemente. Si sedette vicino a lei.
-
Dray…io… - iniziò a dire
Morgan, accomodandosi a gambe incrociate.
-
Io vorrei che tu lasciassi
questo lavoro. Non voglio più che tu corra rischi. Hai visto
cos’è successo?
Sei quasi morto, e tutto per colpa di Langarth. Io… non
voglio che capiti
un’altra volta. Come potrei fare senza di te? –
Lui
le diede un buffetto sulla
guancia.
-
Mi dispiace… non posso abbandonarlo…
-
Dray
tornò indietro nel tempo
con la mente, fino al giorno in cui ebbe iniziato a lavorare per lui.
Come
ogni notte andava a
vegliare il sonno di Morgan, così tormentato, in quel
periodo.
Era
una notte intensa e
stellata.
Dray
si sedette sul bordo del
letto, a osservare il viso tirato della ragazza. Stava avendo un
incubo. L’uomo
le carezzò la fronte con la mano, e in un attimo sul volto
di Morgan si distese
un dolce sorriso.
Uno
scricchiolio fece voltare
di scatto Dray. Nella stanza era apparso un uomo ammantato.
-
Langarth, che ci fai qui? –
sibilò, cercando di non alzare la voce per non svegliare la
ragazza. – Ho già
detto che non accetterò di diventare il tuo servitore.
–
Langarth
alzò una mano, e
improvvisamente Dray fu costretto a
rannicchiarsi
e cadde in terra, stretto da una morsa di dolore insopportabile, che
gli
pervase l’intero corpo.
-
Uccidimi pure! – disse senza
fiato. – Ma io non accetterò mai le tue
condizioni… -
-
Io invece credo proprio che
lo farai… - mormorò Langarth, che nel frattempo
si era avvicinato al letto.
La
lama brillante di una spada
sfiorava la pelle candida del collo di Morgan.
Dray
scosse la testa.
Prese
Morgan tra le braccia,
come fosse una bambina.
-
Su, ora non pensiamoci più.
Sorridi e dimmi che mi ami. – disse lui, sussurrandole in un
orecchio.
-
Ma tu lo sai gia! –
-
Voglio che tu me lo ripeta
tutti i giorni! –
-
Ti amo! – mormorò lei, prima
che il suo respiro venisse interrotto da un dolce bacio.
Finalmente
sono riuscita a
postare anche questo capitolo! ^___________^’
Pant,
pant!
Mi
scuso con tutti (i pochi)
che leggono questa storia, ma non ho avuto un attimo di tempo libero,
in più la
mia connessione è lenta come un bradipo in sciopero...
Che
strano tipo quel Mick, non
trovate?
Parla
come una macchinetta e
non si riesce a farlo stare zitto, però è davvero
un mago eccezionale!
Purtroppo
però non si è unito
al gruppo di Nola e gli altri...
E
Dray e Morgan? In fondo sono
buoni, anche se lavorano per i cattivi!
Che
cosa succederà adesso?
Non
vi resta che aspettare il
prossimo capitolo!
Magari
questa volta sarò più
veloce nel postare!
Alla
prossima, e grazie
infinite a tutti voi che leggete!!! ^w^
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Nola
sospirò.
-
Che succede? – chiese Wythe,
sedendosi vicino a lei.
-
Niente... è che Michelangelo
non vuole unirsi a noi, e così potrebbe essere pericoloso per lui! –
-
Ti piace? – chiese Wythe,
facendo la civetta. Nola rise.
-
Ma cosa dici! È solo che mi
preoccupo per lui... -
-
Tu ti preoccupi per tutti! –
disse Shia, mentre apparecchiava la tavola.
Nola
sprofondò nella poltrona.
-
Uffa! Vorrei fare qualcosa...
-
-
Già, ma lui ha un tour da
seguire. Non può abbandonare il suo lavoro. – cercò di spiegarle il
ragazzo.
-
Lo so... - sbuffò lei.
Boris
trotterellava irrequieto.
Aveva tanto voglia di uscire di casa a fare una passeggiata, ma fuori
imperversava un violento temporale.
-
Non ci credo! Siamo
praticamente in estate e guarda che tempo! – esclamò Nola, scostando
una
tendina della finestra.
-
In ogni caso, dove vorresti
andare? – fece Wythe. – Ormai qui non ci facciamo niente. Dovremmo
partire alla
ricerca di qualche altra Starlight... -
-
Ma come facciamo? Hai avuto
qualche altra percezione? – chiese Shia.
-
No, ma ci sarebbe un modo per
scoprire dove si trovano. Basterà andare in biblioteca... -
-
Vorresti trovarle su un
libro? – disse Nola, trattenendo un sorriso. Anche Shia rise.
Wythe
lanciò un’occhiataccia a
Nola. Ultimamente era diventata più fredda nei suoi confronti.
-
Bella battuta! Comunque, no.
Quando andremo, vedrai come farò! – disse lei.
Finita
la pioggia, i ragazzi
uscirono di casa. Il cielo era ancora plumbeo, e una cappa di nuvole
copriva la
città.
-
Io porto Boris a fare un giro.
Ci vediamo più tardi! – disse Nola, mettendo il guinzaglio al cane.
-
Che peccato! Non potrai
ammirare il metodo che userò per cercare le Starlight! – disse Wythe,
prendendo
sottobraccio Shia.
-
Andiamo! – disse poi a lui.
-
Boris! Smettila di tirare! –
esclamò Nola, riuscendo a stento a stare dietro al cane.
L’animale
si voltò verso di lei
e la fissò intensamente negli occhi. Abbaiò.
-
Che c’è? – chiese lei,
divertita. Più il tempo passava, più riusciva a comprendere quello che
il cane
cercava di dirle.
Boris
abbaiò un’altra volta.
Nola si concentrò.
-
Vuoi dire... “ Shia”? – gli
chiese.
Lui
abbaiò nuovamente.
Significava “si”.
La
ragazza fece un sospiro.
-
La verità è che mi da
fastidio che quei due siano andati via insieme... -
Il
cane guaì con fare comprensivo.
-
Non è come credi! Non sono
gelosa in “quel” senso! –
Boris
abbaiò, ma quel verso era
molto più simile ad una risata che al verso di un cane.
- Nola! – esclamò una voce
alle spalle della
ragazza. – Che sorpresa! Porti a spasso il cane?-
-
Siamo arrivati! – esclamò
Wythe, fermandosi davanti ad un gigantesco palazzo in stile vittoriano.
L’enorme
portone di legno scuro era spalancato, e dava su un grande androne da
cui
partiva una scala di marmo che portava ai piani superiori.
Shia
e Wythe si diressero verso
il banco informazioni. Al banco era seduta una giovane donna con i
capelli
rossi spettinati. Era impacciata e maldestra.
-
Buon giorno! – disse,
sistemandosi gli spessi occhiali sul naso.
-
Veramente siamo di
pomeriggio! – sussurrò Wythe a Shia, che rise.
-
Salve! Ci può indicare il
reparto geografia? – chiese la ragazza.
-
Primo piano, sala A24, buona
lettura! – disse la bibliotecaria con un sorriso.
I
due ragazzi salirono la
grande scalinata di marmo e raggiunsero il corridoio con le varie sale.
Tra le
tante porte presenti, riconobbero subito quella che cercavano.
La
sala era di forma quadrata,
colma di scaffali traboccanti di libri. In fondo alla stanza c’era una
parete
interamente coperta di carte geografiche, planisferi, mappe
topografiche e
quant’altro.
Wythe
si avvicinò alla carta
geografica della Repubblica dell’Aria.
Si
guardò intorno per vedere se
c’era qualcuno nei paraggi, ma la sala era completamente vuota, poi unì
le mani
come per pregare.
In
un attimo un’intensa luce
verde si irradiò da esse, e le avvolse completamente.
Alzò
le mani e le poggiò nel
punto in cui c’era scritto “River Town”.
Iniziò a muovere le mani sulla cartina, come per cercare
qualcosa.
-
Allora? – chiese Shia in un
sussurro.
-
Nulla. Provo su un’altra
carta. – Wythe si spostò sulla cartina del Regno della Terra.
Anche
qui sopra mosse le mani,
in direzione circolare.
-
Ecco... sento... sento
qualcosa... Trovato! – esclamò.
-
Dove si trova? – chiese Shia,
avvicinandosi.
-
A Beryl City! –
Nola
si voltò.
-
Michelangelo! – esclamò e gli
corse incontro. – Anche tu in giro? –
-
Chiamami Mick, per favore!
Beh, senza il costume da mago, non mi riconosce nessuno, quindi non
corro il
rischio di essere aggredito dai fan! –
-
Modesto come al solito! –
rise Nola.
I
due si misero a passeggiare.
-
Allora? Non hai cambiato idea
sul fatto di unirti a noi? – chiese la ragazza.
Questa
volta fu Michelangelo
che rise.
-
Ti piaccio così tanto che
vuoi a tutti i costi che io ti segua? –
-
Uffa! Tutti con questa
storia! –
-
Comunque te l’ho detto... -
-
Già. –
-
Mi è venuta un’idea! – fece
all’improvviso Mick.
-
E se fossi tu a venire con
me? –
Nola
si fermò in mezzo alla
strada.
-
Che cosa? – esclamò.
-
Ma certo! Tu e io! Potresti
diventare la mia valletta nello show, poi quando compirò diciotto anni
ti
sposerò e insieme avremo cinque figli! –
-
Cosa che cosa? – esclamò Nola,
ancora più sorpresa e trattenendo
una risata.
-
Nola, non sto scherzando. Mi
sono innamorato di te! –
-
Ma se ci siamo visti una sola
volta! E in più non sai niente di me. Quanti anni ho? – fece lei.
-
Ehm... - Mick parve pensarci
su. – In realtà non lo so! –
Nola
sospirò divertita.
-
Ne ho sedici! –
-
Che coincidenza! Anche io ne
ho sedici! – esclamò il ragazzo.
-
Oh! Guarda! Siamo arrivati al
ponte! – disse poi.
I
ragazzi erano arrivati al
massiccio ponte di pietra che collegava le due parti della città,
separata dal
fiume Glyn.
Nola
si sporse dal parapetto
per guardare giù.
L’acqua
del fiume era scura e
agitata, e rifletteva il cielo scuro.
-
Credimi, nelle belle giornate
il Glyn è uno spettacolo! Dal porticciolo partono delle piccole
barchette che
fanno il giro turistico, e i cormorani vengono qui a pescare il loro
cibo! –
La
ragazza sorrise. Era davvero
un peccato che fosse brutta giornata...
Nola
guardava ancora l’acqua,
quando si accorse che stava accadendo qualcosa di strano. Nel punto
dove si
erano posati i suoi occhi, l’acqua iniziò a ribollire e formare bolle
d’aria,
finché dal fiume fuoriuscì qualcosa, che in uno spruzzo potentissimo,
facendo
la doccia ai due ragazzi, si posizionò sul muretto di pietra.
Nola
arretrò di un passo,
mettendosi in posizione di attacco.
-
Ehilà! Chi si rivede! – disse
l’uomo.
-
Dray... - mormorò Nola tra i
denti.
-
Non mi aspettavi, vero? –
-
Chi è? – chiese Mick, allontanandosi
anche lui.
Dray
fece un elegante salto,
ritrovandosi esattamente di fronte alla ragazza.
-
Non è un amico. – disse lei,
secca.
Senza
che Mick se ne rendesse
conto, il braccio di Dray si era già trasformato in un’arma di morte, e
così
anche Nola aveva attivato il suo potere.
I
due iniziarono una lotta
serrata, tanto che il ragazzo non riusciva a seguirli con gli occhi.
Anche lui
però voleva partecipare, perciò fece spuntare dal nulla il suo arco e
si
preparò e scagliare le frecce.
Impegnato
com’era a schivare il
vento dell’anfora di Nola, Dray si accorse della presenza di Mick solo
grazie
alla freccia che gli trapassò un braccio da parte a parte.
La
lotta si bloccò
improvvisamente.
Dray
si voltò verso il ragazzo,
fissandolo con occhi gelidi.
Improvvisamente
il cuore di
Mick partì all’impazzata, terrorizzato da quell’uomo, che, con una sola
mano,
spezzò la freccia azzurrina e la lanciò per terra.
-
Non farmi ridere. – gli
disse, e si apprestò a scagliarsi contro di lui, ma Nola gli bloccò la
scure a mezz’aria,
aggrappandosi.
Fu
un attimo.
Dray
agitò il braccio
violentemente, e le mani di Nola si staccarono alla presa.
La
ragazza sentì il suo corpo
ondeggiare in aria, un attimo prima di vedere davanti ai suoi occhi la
balaustra del ponte.
Cadde
in acqua con violenza.
Shia
alzò gli occhi dalla carta
geografica, con espressione profondamente preoccupata.
-
È successo qualcosa a Nola! –
esclamò, e subito dopo si fiondò fuori dalla biblioteca, seguito da
Wythe, che
cercava di capire.
-
Che cosa è successo? – urlò,
per farsi sentire sopra il traffico pomeridiano.
-
Nola ha avuto un problema! –
gridò lui, con la rabbia che cominciava a salire.
-
E come fai a saperlo? –
-
Ho avuto uno strano
presentimento! Ora zitta e corri! –
Sentendosi
parlare così, Wythe
si offese e lo seguì furiosa.
L’acqua
del fiume era gelida e
sembrava penetrarle dentro la pelle, fino alle ossa.
La
testa di Nola uscì
dall’acqua quel tanto che bastava per farle prendere fiato, ma subito
un’onda
la travolse nuovamente.
Come
se non bastasse aveva
ricominciato a piovere, e il fiume si era agitato notevolmente.
-
E ora, a noi, ragazzino. –
disse Dray.
Si
avvicinò a Mick con sguardo
minaccioso.
Il
ragazzo non riusciva a
capirne il perché, ma quello sguardo lo terrorizzava a morte.
Alzò
l’arco davanti a se, ma le
mani e le gambe gli tramavano.
Dray
bloccò la freccia con una
mano, e la spezzò stringendola in un pugno.
-
Qu... quella è la seconda
freccia che rompi... - disse Mick, scoppiando in una risata isterica.
Dray
fece un ultimo passo e prese
il ragazzo per il collo, stringendo la presa.
-
Le tue ultime parole? –
chiese Dray, con un sorrisetto di sfida.
Mick
sorrise: - S... sei f...
fregato... -
Il
bastone dell’Ariete si
abbatté con forza sulla schiena di Dray, che lasciò la presa e cadde
per terra.
-
Dov’è Nola! – gridò Shia,
aiutando Mick, che nel frattempo riprendeva fiato.
Il
ragazzo indicò il fiume.
-
È caduta! –
-
Fermo! Non farlo! – gridò
Wythe, ma Shia l’aveva già fatto.
Si
tuffò dal parapetto.
Nola
cercò di aprire gli occhi,
ma la potenza dell’acqua era talmente forte che le facevano male.
Cercava di
nuotare per arrivare in superficie, ma la corrente la trasportava
troppo
velocemente e lei non riusciva a muovere ne braccia ne gambe.
Sentiva
che ormai le forze la
stavano abbandonando.
Poi,
d’improvviso, andò a
sbattere contro qualcosa di grande e compatto che le tolse il fiato.
Istintivamente
aprì la bocca
per prendere fiato, ma l’acqua le invase la gola e i polmoni.
Dai
suoi occhi uscirono
abbondanti lacrime, che si mischiarono con l’acqua del fiume.
Aprì
gli occhi, ormai convinta
che sarebbe morta.
Che
fine penosa...
“
E dire che io volevo fare
grandi cose... Chissà che fine farà la mia Starlight...” pensò, prima
di
abbandonarsi definitivamente all’oblio.
Nola
aprì piano gli occhi. La
luce la disturbò, e dovette richiuderli.
-
Si è svegliata! – disse una
voce.
-
Spostatevi, lasciatele
spazio! – disse un’altra voce.
La
ragazza schiuse gli occhi
un’altra volta. Davanti a lei si trovava il viso maschile più bello che
avesse
mai visto.
-
Sono in paradiso? – mormorò.
– Allora sono stata brava... -
Improvvisamente
sentì che nel
suo stomaco si muoveva qualcosa, e fu colta da un conato. Si voltò su
un lato e
vomitò una quantità industriale di acqua di fiume.
-
Nola! Oh, Nola! – esclamò
Wythe, e si lanciò ad abbracciarla.
-
Ho temuto che fossi morta! –
esclamò, piangendo forte.
Ancora
frastornata, la ragazza
non capì niente di quello che stava succedendo.
-
Dove... sono? – chiese, prima
che un altro conato la cogliesse.
Dopo
essersi ripulita la bocca,
Shia le si avvicinò.
-
Siamo sulla sponda del fiume.
Eri caduta e mi sono tuffato a prenderti. –
Nola
si guardò intorno. C’erano
tutti: Shia, Wythe, Michelangelo e Boris. E avevano tutti
un’espressione
preoccupatissima e insieme sollevata.
Poi,
capendo solo in quel
momento il significato di quelle parole, si voltò verso Shia e si buttò
tra le
sue braccia, iniziando a piangere.
-
Grazie! – riuscì a dire tra i
singhiozzi.
Wythe
si avvicinò e si unì a
quell’abbraccio, mentre il cane si lanciò nella mischia, leccando i
volti di
chi capitava a tiro.
-
Avanti! Vieni anche tu Mick!
– disse Nola, e così si unì anche il ragazzo.
La
giornata si era
completamente rischiarata, e in cielo non c’era più neanche una nuvola.
-
Odio i temporali estivi. –
esclamò Shia.
Lui
e Nola erano completamente
fradici, da capo a piedi.
-
A proposito... Che fine ha
fatto Dray? – chiese Nola, interessata.
-
L’abbiamo fatto scappare! –
esclamò Wythe, orgogliosa.
Mick
si scostò un poco.
-
Scusami Nola. Io avrei voluto
davvero darti una mano, ma ero come paralizzato, e non capisco
perché... –
Lei
gli sorrise comprensiva.
-
L’importante è che tu stia
bene, no? – rise.
-
Certo che sei proprio strana!
– disse Shia. – Eri tu quella che stava per rimetterci la pelle, e
invece sei
felice per gli altri! Io proprio non ti capisco! –
-
Allora... La buona notizia è
che sappiamo dove si trova un’altra Starlight. – disse Wythe,
camminando avanti
e indietro nel salotto di casa.
-
E la cattiva? – chiese Shia.
-
C’è anche una notizia
cattiva? – fece Nola.
I
due si erano asciugati e
cambiati d’abito.
-
La notizia cattiva è che
dovremmo andare nel Regno della Terra, ma la cosa peggiore, è che
laggiù io non
possiedo ne abitazioni ne nient’altro... Dovremmo arrangiarci come
meglio
possiamo... -
“
Il Regno della Terra! ”
Improvvisamente
il cuore di
Nola si svuotò.
“
Così di sorpresa... Lasciare
il mio paese natale...”
I
suoi occhi si spalancarono,
vagando nel vuoto.
-
Tutto bene? – Wythe sventolò
una mano davanti alla faccia di Nola, che si riscosse.
-
S... si, stavo solo pensando...
-
-
Ok, domani mattina vado alla
stazione delle navette e prendo tre biglietti. – disse Wythe. – Penso
che
dovremmo comprare anche una cuccia per Boris, di quelle da viaggio, non
credo
si possano trasportare gli animali senza gabbietta... -
A
quelle parole Boris fece un
verso di disaccordo.
-
Lo so! È un po’ fastidioso,
ma cerca di sopportare... quanto dura il viaggio? – chiese Nola,
grattando le
orecchie del cane.
-
Oh... non troppo... Credo una
ventina di minuti, forse un’ora… -
La
ragazza sospirò, guardando
fuori dalla finestra.
Mick
entrò nel camerino,
togliendosi la maschera e lanciandola sulla specchiera con agilità. Si
tolse la
giacca e si fece sprofondare nella poltrona.
“
Oggi sono proprio stanco...”
pensò.
Bussarono
alla porta.
-
Avanti. – disse.
La
porta si aprì piano ed entrò
una giovane cameriera dai capelli corvini, che portava un vassoio con
una
lettera.
-
Un messaggio per il signor
Dupont. – disse.
Mick
prese la lettera e l’aprì.
“
Ciao Mick!” diceva. “ Sono
Nola. Purtroppo io e i miei amici partiremo molto presto per il Regno
della
Terra. Se non hai cambiato idea sul fatto di seguirci, ti va almeno di
venire a
salutarci? Ne sarei molto felice! Un bacio, Nola.”
In
un attimo, il ragazzo prese
carta e penna e scrisse un messaggio veloce.
“
Certo che vengo! Soprattutto
se quel bacio me lo dai sul serio!”
-
Signorina. Consegni questo
messaggio all’ingresso e chieda ad uno dei fattorini se la mittente ha
lasciato
un indirizzo. In quel caso gli chieda di portarlo urgentemente a
destinazione,
per favore. –
-
Ma per chi mi hai preso, per
la tua schiava personale? – fece la cameriera.
Mick
alzò lo sguardo,
meravigliato e contrariato.
-
Ma come si permet... - fece
per dire, poi la guardò bene in faccia, e il suo cuore ebbe un
sussulto.
-
Mi hai riconosciuta, eh? –
fece lei.
Con
un gesto fulmineo si tolse
gli abiti da cameriera, mostrando che sotto portava un abito nero molto
succinto.
-
Tu. – sibilò il ragazzo.
-
Esatto! Il mio nome è Morgan,
per tua informazione...– disse lei, e in un attimo le sue dita si
trasformarono
in lame affilatissime.
-
Sagittarius! – gridò Mick, e
subito apparve il suo arco azzurro con le frecce.
-
Non ti servirà a niente in un
corpo a corpo! – fece la ragazza, e scoppiò in una risata.
-
Scommetti? – mormorò lui,
scagliando una freccia che la colpì ad una gamba.
Morgan
gridò di dolore, un
attimo prima di lanciarsi su Mick con le sue lame di rasoio.
Il
ragazzo parava ogni fendente
con il suo arco, costituito da pura anima, e perciò invulnerabile, ma
più di
quello non poteva fare.
In
un impeto di violenza,
Morgan si gettò su di lui, mirando a trafiggerlo con le lame, ma
all’ultimo
momento, Mick schivò l’attacco, e la ragazza perforò un groviglio di
cavi
elettrici, che lanciarono scintille su ogni cosa.
I
due si fermarono per prendere
fiato.
-
Perché... anf... mi attacchi?
Cosa ti ho fatto? –
-
Io obbedisco agli ordini. –
disse lei secca.
-
Oh! Non riesci a pensare con
la tua testa e allora gli altri pensano per te? – rise il ragazzo.
Gli
occhi della ragazza si
riempirono di rabbia. – Rimangiati quello che hai detto! – gridò.
Alzò
un braccio per colpirlo,
ma fu colta da una tosse improvvisa. La stanza si era riempita di fumo.
Mick si
voltò in direzione dei cavi. Le scintille avevano incendiato parte
dell’arredamento, e il fuoco pian piano si era esteso.
Per
la strada non si sentivano
altro che sirene dei vigili del fuoco. Shia si affacciò al balcone,
proprio nel
momento in cui due autopompe sfrecciavano li sotto.
In
lontananza vide una colonna
di fumo innalzarsi al cielo, e per strada c’era un viavai di gente
spaventata e
urlante.
-
Che succede? – chiese il
ragazzo ad una signora che passava per strada.
-
Un incendio! Il teatro va a
fuoco! –
Shia
tornò in salotto come un
fulmine e prese la sua giacca.
Nola
e Wythe lo fissarono con
sguardo interrogativo.
-
Mick è in pericolo! Correte!
– disse lui in risposta.
Il
camerino si era ormai
riempito di fumo.
-
Stai per morire. Ora
consegnami il tuo potere. – ordinò Morgan.
-
Questo fumo non fa bene
neanche a te... - disse Mick, sorridendo.
-
Io però ho una possibilità di
fuga! – continuò Morgan.
Mick
alzò di scatto l’arco e
con una freccia spaccò il grande specchio in tante piccole schegge.
-
Sbagliato! – disse lui in un
soffio.
-
Dammi il tuo potere! – gridò la
ragazza, perdendo la pazienza.
-
Sai... le Starlight capiscono
quando è giunto il momento della loro morte. E so che io non morirò
qui, perciò
è meglio che ti ritiri! -
In
quel momento la porta del
camerino venne sfondata, e un potentissimo getto di schiuma entrò nella
stanza.
Morgan
lanciò un’occhiata
gelida al ragazzo, poi si lanciò su un piccolo pezzo di specchio e ne
venne
risucchiata, scomparendo.
-
C’è qualcuno? – gridò un
pompiere, entrando.
Mick
tossì, ma alzò un braccio
in segno di saluto.
Stava
bene.
Fuori
dal teatro si era
radunata una fila di curiosi, più naturalmente vigili del fuoco e
ambulanze. In
realtà la zona invasa dal fuoco era poco estesa, ma il camerino era
completamente bruciato, e così anche il magazzino, dove stavano tutti
gli
strumenti per i trucchi di magia.
L’infermiere
tolse la
mascherina dell’ossigeno dalla bocca di Mick.
-
Mi hai fatto prendere un
colpo! – esclamò Nola
Mick
sorrise. – Sto bene...
sono solo un po’ abbrustolito... -
-
E i tuoi trucchi di magia? –
-
Non preoccuparti! Sono tutti
qui dentro! – disse, toccandosi la testa con un dito.
Nola
sospirò.
-
È strano... Nello stesso
giorno abbiamo rischiato la vita entrambi, ma ci siamo salvati. –
-
Sarà stato un miracolo? –
fece Mick, scoppiando a ridere.
La
stazione delle navette era
gremita di gente, che partiva o che tornava a casa.
-
Stiamo vicini, o ci perderemo
in mezzo a tutte queste persone! – gridò Shia, cercando di farsi
sentire sopra
tutto il mischiarsi di voci e suoni.
Affaticata
dal peso dei
bagagli, Nola si guardò alle spalle.
“
Alla fine Mick non è venuto a
salutarci... Spero che gli vada tutto bene!” pensò.
Con
una mano si aggiustò
l’ormai consueto cappello sulla testa, mentre l’altra mano stringeva
con forza
la cuccia da viaggio di Boris.
-
Ecco il check in. Forza,
sbrighiamoci. – disse Wythe.
Improvvisamente
Nola sentì il
peso della cuccia diminuire, finché qualcuno non gliela tolse di mano.
-
Ehi! – fece per dire lei,
voltandosi.
-
Il mio tour è saltato, perciò
ho deciso di venire con voi! Il cane lo prendo io, è troppo pesante per
te! –
esclamò Mick, sorridendo a trentadue denti.
Nola
lo guardò incredula, per
poi saltargli al collo ed abbracciarlo, ridendo di gioia.
Prima
di tutto vorrei dirvi...
scusateeeeee!
Non
sono riuscita a mantenere
la promessa di postare più velocemente, ma il fatto è che in questo
periodo mi
devo concentrare molto sullo studio, infatti quest’anno ho la
maturità...
Ma
bando alle ciance...
Vorrei
fare un ringraziamento
speciale a Ladywolf: grazie mille per avermi fatto tutti quei
complimenti, e
ora passo a rispondere a tutte le tue domande!
Allora...
ho letto che non hai
capito bene l’aspetto fisico di Shia...
È
alto, un po’ abbronzato, perché
passa il suo tempo a curare il suo orto, ha i capelli corvini, con
qualche
ciuffo che gli ricade sul viso, e ha gli occhi di diverso colore, uno
viola e l’altro
grigio.
Devo
dire che anche a me piace
molto la coppia Shia/Nola, ma non posso rivelare niente, e soprattutto,
non si
sa mai che... bocca mia, cuciti!
Un’altra
cosa... mi fa piacere
che il tuo segno sia scorpione! Lo Scorpione della mia storia è un
personaggio
molto particolare, però purtroppo non apparirà molto presto, mi
dispiace...
Bene...
a tutti voi lettori è
piaciuto questo capitolo?
Si
è capito definitivamente che
Mick è davvero bizzarro, non trovate?
E
non sarà la sua ultima
sorpresa, credetemi!
Però,
come avrete notato, il mago
si è aggiunto al gruppo, e da questo momento i nostri poveri ragazzi
dovranno
proteggere le orecchie dalle sue chiacchiere senza senso!
Ci
ritroviamo al prossimo
capitolo, allora, e buona estate! ^w^
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
La
navetta procedeva silenziosa
e a velocità moderata giù per il tubo di vetro trasparente, quasi come
un
ascensore.
Nola
e Mick, incredibilmente
simili nonostante le differenze caratteriali, ammiravano il paesaggio
come due
bambini.
Per
un breve periodo non videro
altro che la nuda roccia della Repubblica dell’Aria, il consistente
ammasso di
terra fluttuante nell’aria che ospitava un continente intero.
Poi
la loro vista cambiò
improvvisamente: la roccia terminò, lasciando spazio all’immenso cielo
che,
all’orizzonte, si congiungeva con un meraviglioso oceano azzurro e
brillante.
Sul versante opposto si estendeva il territorio del Regno della Terra,
il
continente più ampio di tutti.
-
È proprio vero! L’estate è
arrivata! – disse Wythe, sistemandosi sul sedile della navetta.
-
Voglio andare al mare! – si
lamentò Nola, muovendo le gambe.
Mick
rise, e dalla tasca dei
pantaloni estrasse un foglietto, su cui era disegnato un fiocco di
neve. Lo
mostro a Nola, poi lo strappò in tanti piccoli pezzi e li nascose in
una mano.
Quando la riaprì, al posto della carta si trovava una conchiglia rosa
perlata.
-
Per te! – disse, porgendola
alla ragazza. – Un “assaggio” di mare in anticipo! –
I
due risero.
Shia
girò la testa per non
guardarli.
Con
un leggero sobbalzo, la
navetta atterrò alla stazione.
I
ragazzi recuperarono
velocemente tutti i loro bagagli, scendendo in fretta dalla navetta.
-
Se non ci sbrighiamo
perderemo la coincidenza con il treno che ci porterà a Neapolys! –
esclamò
Wythe, correndo come una forsennata seguita dagli altri.
-
Ma come? Non dovevamo andare
direttamente a Beryl City? Perché andiamo a Neapolys? – fece Mick, già
con il
fiatone.
-
È troppo lontana, il treno
non ci arriva… Ecco! È questo! Sbrighiamoci o lo perderemo! –
La
stazione dove erano arrivati
con la navetta, Stazione Centrale, era il punto di arrivo e di partenza
più
importante del Regno, e qui si incrociavano anche tutti gli altri mezzi
di trasporto:
da qui partivano treni, bus e aerei, servizi di taxi e navette.
Shia
salì sul treno, un
gigantesco serpentone di vagoni metallizzati con una striscia verde
acqua che
li divideva in senso orizzontale, e poi prese Nola per i fianchi, senza
sforzo,
issandola su.
Salito
anche Mick, la
locomotiva sbuffò rumorosamente, e il capostazione fischiò un’unica
potentissima nota.
-
Wyhte! Sbrigati, si stanno
chiudendo le porte! – gridò Mick e si sporse fuori da esse, tendendo un
braccio.
La
ragazza afferrò la sua mano
saldamente e lui tirò con tutta la sua forza.
Le
porte si chiusero con uno
sbuffo, subito dopo che i piedi di Wyhte toccassero lo scalino.
-
Per un pelo! – sospirò lei,
poi si rese conto che Mick le teneva ancora la mano.
-
Ti spiacerebbe mollarmi? Così
mi consumi! – disse, e il ragazzo obbedì, fissandola con uno sguardo
strano.
Qualcuno
bussò alla grande
porta bianca. Non aspettò neanche che gli dicessero avanti, che
spalancò la
porta con un colpo.
-
Mio caro Dray! Ho saputo che
tu e la tua… “compagna”… avete fatto cilecca anche questa volta? Ne
sono
compiaciuto! –
Dray,
seduto alla poltrona
della scrivania, alzò lo sguardo da alcuni fogli che stava leggendo.
-
Anthias. Che piacere vederti.
– disse, con scarso entusiasmo.
Anthias
fece un passo avanti,
in modo che la luce potesse illuminarlo bene in viso.
Era
un bell’uomo, più basso di
Dray, ma più grande di età. Aveva i capelli corti e scarmigliati, e un
paio di
occhiali tondi con la montatura fine. Indossava una lunga tunica blu
con i
bordi dorati che gli arrivava fin sotto la vita, sotto la quale portava
un paio
di pantaloni e degli stivali.
Dallo
specchio di lato sbucò
Morgan. – Dray ti piace di più la panna o… - la ragazza non concluse la
frase,
lanciando un’occhiataccia al nuovo arrivato.
Anthias
rise. – Ehilà, Morgan,
giochi a fare la mogliettina? –
Lei
si sistemò di fianco a Dray,
che le prese una mano.
-
Cosa vuoi? – sibilò.
-
Giusto! – esclamò Anthias,
come se si fosse ricordato solo in quel momento. – Sono venuto a dirvi
che il
Sommo Langarth mi ha affidato il prossimo attacco alle Starlight! –
disse, con
voce melodiosa.
-
Che cosa? – esclamò Dray, sbattendo
un pugno sulla scrivania e
alzandosi in piedi.
-
Non può farlo! Io ho
eliminato molte Starlight della vecchia generazione, compresa quella
dell’Acquario! –
- Oh, è vero! Immagino che
ci voglia un sacco
di coraggio e di forza per eliminare una vecchietta indifesa! – fece
Anthias,
applaudendo compiaciuto.
-
Sta zitto! – gli intimò Dray.
Anthias
sorrise.
-
Ora devo andare, amico mio.
Le mie donne mi aspettano! – disse, poi, invece di uscire dalla porta,
sfiorò
lo specchio e sparì.
-
Quanto lo odio! – mormorò
Morgan, stringendo un pugno.
Dray
si alzò dalla poltrona,
andando ad osservare il paesaggio dalla finestra.
-
Andrò a fare una
chiacchierata con Langarth. – disse.
Morgan
lo guardò preoccupata.
-
Vado in bagno. – disse Wythe,
aprendo la porta dello scompartimento. Con un balzo, Mick si alzò e la
seguì,
lasciando Nola e Shia soli.
-
Che c’è? – chiese Wyhte. –
Non puoi entrare nella toilette delle donne, sai? – rise.
-
Devo dirti una cosa molto
importante! – mugugnò il ragazzo.
-
Prima fammi andare in bagno…
-
-
Aspetta! È urgente! –
-
Va bene, ma sbrigati, me la
sto facendo addosso! –
Nola
guardò fuori dal
finestrino le immense pianure che sfilavano veloci.
-
Ti piace qui? – chiese Shia,
che la fissava dolcemente.
Lei
sorrise, annuendo, però poi
un’ombra passò sul suo viso.
-
Mi dispiace solo di aver
abbandonato la mia terra. Non avevo mai viaggiato così lontano come
adesso. –
-
Non l’hai abbandonata. Sono
certo che quando tutto questo sarà finito ci tornerai. – disse,
prendendole una
mano.
Lei
sorrise. E capì. Capì che
ormai avevano dato origine a qualcosa che li avrebbe cambiati
completamente nel
profondo e da cui non ci si poteva ritrarre. Dovevano andare fino in
fondo e
trovare tutte le altre Starlight. Dovevano proteggersi a vicenda.
-
Shia! – fece Nola,
improvvisamente. – Qui nel Regno della Terra c’è la tua famiglia!
Potrai andare
a trovarla! –
Gli
occhi del ragazzo si oscurarono
improvvisamente, e grazie al contatto con le loro mani,
involontariamente lui
trasmise una fortissima emozione alla ragazza, che fece aumentare il
suo
battito cardiaco.
-
Che cosa? – esclamò Wythe,
scoppiando a ridere, ma trattenendosi subito dopo. Non poteva
rischiare, visto
che tutte le sue mutandine erano in valigia.
-
Non sto scherzando, vuoi
essere la mia ragazza? – chiese Mick con enfasi.
-
Senti… io… -
-
No, scusa, non avrei dovuto
chiedertelo… io… non lo so, appena vedo una ragazza mi escono queste
parole di
bocca! –
Wythe
rise ancora di più, e gli
mise una mano sulla spalla.
-
Tu sei malato, te ne rendi
conto? E poi che significa “appena vedo una ragazza”? –
-
Ehm… l’ho chiesto anche a
Nola… - rise lui.
A
quel punto Wythe corse in
bagno, scoppiando a ridere come una scema.
Ne
uscì poco dopo.
-
Scusami tanto, ma se non correvo
subito sarebbe successa una tragedia! –
-
Non preoccuparti, e poi sono
io che dovrei farlo! Hai ragione tu, sono malato, malato
d’amore! – esclamò interpretando la frase come un attore
melodrammatico.
-
Su, non fare così. Quando
troverai la donna giusta te ne accorgerai! –
-
Una curiosità: ma tu lo
chiedi a tutte le ragazze che vedi, sul serio? –
-
Purché vivano e respirino…
Tranne alle vecchie e alle bambine, però! –
I
due risero, dirigendosi allo
scompartimento.
Il
treno ebbe un sobbalzo.
-
Che succede? – chiese Nola,
ridestandosi da un piccolo sonnellino.
Vi
fu un altro sobbalzo, poi un
altro ancora.
-
Vado a chiedere al
macchinista se va tutto bene. – disse Shia, alzandosi dal sedile.
Appena
mise la testa fuori
dallo scompartimento, vide che anche gli altri passeggeri avevano fatto
lo
stesso, per vedere cos’era successo.
Shia
si diresse verso la
locomotiva, camminando velocemente. I sobbalzi si susseguivano ormai
quasi
ritmicamente.
Il
ragazzo capì che qualcosa
non andava fin dal principio. La porta della locomotiva era scardinata,
e il
macchinista con il suo secondo erano privi di sensi a terra.
-
Signore! Signore, si sente
bene? – esclamò Shia, accucciandosi vicino al primo, ma non ricevendo
risposta
andò dall’altro.
Sentì
il polso ad entrambi.
-
Sono vivi, meno male! –
sospirò di sollievo.
Poi,
lo colse una repentina
folgorazione. Mentre sentiva il polso del secondo, un’immagine balenò
nella sua
mente: quella di tre bellissime ragazze che tramortivano i due uomini.
Improvvisamente
sentì un grido
provenire da uno degli scompartimenti.
-
Nola! - mormorò, stringendo
un pugno.
I
ragazzi tesero le orecchie.
-
Hai sentito quel grido? –
fece Wyhte, allarmata.
I
tre ragazzi si alzarono
contemporaneamente dai sedili.
Il
treno entrò in galleria.
Nola guardò fuori dal finestrino, ma l’unica cosa che riusciva a vedere
era il
suo riflesso nel vetro.
Inaspettatamente,
sul vetro
sembrava accadere qualcosa. All’inizio fu poco più di una vibrazione,
ma Nola
non riusciva già più a staccare gli occhi da quella vista. Il vetro
continuava
a vibrare, ed era come se sulla sua superficie si formassero delle
piccole onde
che si ingrandivano man mano.
Nola
gridò.
Dalla
superficie ondosa
fuoriuscì una mano, poi un braccio ed infine tutto il resto del corpo
di una
bellissima ragazza. Dietro di lei sbucarono altre due ragazze,
altrettanto
belle ma anche altrettanto diverse.
-
Finalmente li abbiamo
trovati! – disse la prima, sistemandosi le pieghe leggere dell’abito.
-
Te l’avevo detto che la
cabina non era quella giusta, ma tu mi ascolti? Certo che no! – fece la
seconda
ragazza alla terza, che per tutta risposta le fece una linguaccia.
La
porta dello scompartimento
si spalancò ed entrò Shia, affannato.
Guardò
prima i suoi compagni,
atterriti, poi quelle tre affascinanti ragazze, una bionda, una rossa
ed una mora.
-
Voi chi siete? – gridò il
ragazzo, parandosi davanti a Nola con discrezione.
La
bionda, il capo, fece un
passo avanti.
-
Io sono Phoebe. – disse.
-
Io invece sono Ivy. – disse
la rossa, con una risatina da civetta.
-
Il mio nome è Bellatrix.
- fece l’ultima.
Wythe
si voltò verso Shia.
-
Sono delle Ombre! – esclamò.
I
quattro ragazzi si misero in
posizione da combattimento, sfoderando le loro armi magiche.
-
Quattro contro tre non è
leale! – disse Ivy, trattenendo una risatina.
-
Inoltre qui non c’è spazio
per combattere! – dichiarò Bellatrix, e con un agile salto, attraversò
di nuovo
il finestrino.
-
Dove sono andate? – chiese
Nola, allarmata.
Sopra
le loro teste si sentì un
rumore di passi.
-
Sono sul tetto! – gridò Shia,
che corse fuori dallo scompartimento, seguito dagli altri.
Mentre
si dirigevano alla fine
del vagone, dagli altri comparti giungevano strilli di paura e grida.
Shia,
alla testa del gruppo,
aprì la porta del vagone, e subito i ragazzi vennero rinfrescati dalla
profumata brezza marina.
A
lato della porta si trovava
una scala a pioli metallici, che portava sul tetto del treno. I ragazzi
riposero le armi e salirono ad uno ad uno.
Arrivati
sopra, scoprirono che
la lieve brezza si era trasformata in un vento molto forte, che, anche
se non
freddo, riusciva comunque a trattenerli.
-
Non riesco a camminare!
Questo vento è troppo forte! – si lamentò Wythe, socchiudendo gli occhi.
-
Non fare la lagna! – disse
Phoebe, apparsa alle sue spalle.
Wythe
aprì gli occhi per vedere
meglio, scoprendo così di essere rimasta sola.
-
Dove sono gli altri? – gridò,
per sovrastare il rumore del vento.
-
Se ne stanno occupando le mie
“sorelle”. Ora non pensare a loro e combatti! –
Wythe
non se lo fece ripetere
due volte.
-
Libra! – gridò, e premendosi
le mani sul petto, da esse fuoriuscì una luce verde molto intensa, che
pian
piano prese la forma di due eleganti pugnali d’argento, dall’elsa
elaborata che
terminava con un decoro a forma di rosa.
-
Oh! Vedo che hai gusto! –
mormorò Phoebe, trasformando il suo braccio sinistro in un’ascia lucida
e
tagliente.
-
Lo sapevo! Sono rimasto solo.
E adesso? – esclamò Mick, gironzolando sul tetto, cercando di ripararsi
dal
vento con le braccia.
-
Non sei solo. – disse una
voce. Era Ivy.
-
Oh, sei tu. Suppongo tu
voglia batterti con me, vero? Da un po’ di tempo tutti vogliono
battersi con
me… -
-
Hai capito le mie intenzioni,
vedo… - rise Ivy.
-
Prima di combattere posso
chiederti una cosa? –
-
Spara! – fece lei.
-
Vuoi diventare la mia ragazza?
–
Ivy
spalancò la bocca,
guardandolo con occhi da pesce lesso.
-
Sai che il mio compito è
ucciderti, vero? – fece lei.
-
Si, certo, però quando ti ho
vista ho pensato: che bella ragazza! È proprio il mio tipo! E così… -
Ivy
si sedette a gambe incrociate
sul tetto, lasciando che il vento la rinfrescasse.
-
Per essere una Starlight sei
strano! Nessuno mi aveva mai detto queste cose, e ne sono molto felice,
ma sei
consapevole che dovremmo combattere? –
-
Perché invece di combattere
non giochiamo a scacchi? – fece Mick, improvvisamente illuminato. –
Già! –
continuò. – Al posto della violenza la pura e semplice logica!
Fantastico! –
-
Tu sei un caso disperato… -
sospirò Ivy, coprendosi gli occhi con una mano.
-
E va bene! – si arrese alla
fine. – Tu hai una scacchiera? –
Mick
sorrise, furbetto.
Da
una tasca dei pantaloni
tolse fuori un cubo di legno, che, aperto e dovutamente composto formò
una
bella scacchiera i cui quadrati neri e color legno risplendevano alla
luce del
sole.
Sbottonò
una manica della camicia
e la scosse un po’. Dal polsino uscirono tutte le pedine.
Ivy
lo guardò con occhi
sognanti.
-
Sei un mago! –esclamò.
Shia
e Nola camminavano chini,
cercando di evitare il vento.
-
Stammi vicina! – gridò Shia,
e le prese una mano. – Così non ci separiamo! – spiegò.
-
Che teneri! Mi viene voglia
di risparmiarvi ma… non lo farò! – disse Bellatrix, parandosi davanti a
loro,
gelida.
Shia
e Nola estrassero la loro
arma, mentre la mora Bellatrix alzò le braccia al cielo, trasformandole
in due
scimitarre dalla lama ricurva.
-
Sembra fatto apposta! Due
spade, due avversari! – disse la ragazza, leccandosi il labbro
superiore.
Si
lanciò su Shia, che spinse
di lato Nola, mentre parava un fendente con il suo bastone d’ariete.
Nola
diresse il getto della sua
anfora contro Bellatrix, che, colta alla sprovvista, venne presa in
pieno.
Shia
si spostò, per non essere
colpito dal getto, ma questo lo distrasse, permettendo a Bellatrix di
ferirlo
ad un braccio.
Il
ragazzo urlò.
Nola
sentì montare la rabbia
dentro di se, e all’improvviso, l’anfora smise di risucchiare aria, ma
ne
espulse un getto fortissimo che colpì la nemica in pieno.
Bellatrix
si guardò il braccio,
incredula, su cui spiccava visibilmente una ferita uguale a quella di
Shia.
-
La… la mia anfora ha copiato
gli effetti dell’attacco e… li ha restituiti al mittente! – esclamò
Nola.
Infuriata,
Bellatrix si scagliò
contro la ragazza, lanciando fendenti a destra e a sinistra. Nola era
in
difficoltà, perché non poteva parare quei colpi in nessun modo, ma solo
schivarli.
Notando
questo, Shia alzò il
suo bastone in aria, per poi colpire la nemica in piena pancia.
Bellatrix
rantolò, sentendosi
mancare il fiato. Arretrò di qualche passo, mentre le sue scimitarre
tornavano
ad essere mani.
Purtroppo
per lei, fece un passo
di troppo. I ragazzi si voltarono appena in tempo per vederla cadere
oltre il
bordo del tetto.
Corsero
verso quella parte e si
sporsero.
Non
videro altro che i binari
scorrere sotto di loro, oltre un una scarpa con il tacco che sfuggiva
attraverso il riflesso sul finestrino.
I
due si alzarono.
-
È scappata. – sibilò Shia,
trattenendo un gemito,
Nola
si voltò verso di lui, con
le lacrime agli occhi.
-
Stupido! Ti sei fatto ferire!
– gridò Nola, tra i singhiozzi.
Lui
rise, con quella risata che
Nola adorava più di ogni altra cosa al mondo.
-
È solo un graffio! Non devi
preoccuparti! –
La
ragazza gli si fiondò
addosso, abbracciandolo.
-
Scemo! Scemo, scemo! Se provi
un’altra volta a farti ferire… ti uccido io! –
Shia
ricambiò l’abbraccio,
sorridendo dolcemente.
Wyhte
era in difficoltà, e di
questo se ne rendeva conto, come anche Phoebe, che non esitava a
colpirla
violentemente. Wythe riusciva a parare tutti gli affondi e i vari
attacchi, ma
aveva già il fiatone, mentre la sua nemica era fresca come una rosa.
“Devo
fare qualcosa, altrimenti
questa belva mi affetta!”
Sempre
difendendosi, Wythe
cercava di osservare i movimenti della sua rivale. Poi, qualcosa scattò
nella
mente della ragazza.
Nell’istante
in cui un fendente
stava per dividerla in due parti, Wythe spiccò un agile salto,
atterrando alle
spalle di Phoebe, e, prima che questa potesse voltarsi, la ragazza
affondò uno
dei suoi pugnali nel fianco dell’avversaria.
Phoebe
emise un grido di
dolore, e cercò di colpire Wythe, ma lei scansò l’attacco con un passo
indietro.
La
bionda non riusciva più a
stare in piedi, perché la ferita perdeva sangue a fiotti.
-
Maledetta! Come ti sei
permessa! – disse lei, tra i denti.
Wythe
rise.
-
Se tu ti fossi concentrata di
più sulla battaglia, forse non sarebbe successo! L’ho notato, sai? –
disse,
lanciandole un’occhiataccia. Phoebe si accasciò sul tetto, in
ginocchio,
fissandola gelidamente.
-
Ho notato che hai un leggero
ritardo nei riflessi. Per questo motivo riuscivo a pararti tutti i
colpi,
nonostante i miei pugnali talmente piccoli. Inoltre la tua ascia non
dev’essere
tanto leggera, ho indovinato? – continuò Wythe.
Phoebe
ringhiò.
-
Sai quanto mi è costato
questo vestito? Ora dovrò comprarne un altro! – disse in tono lamentoso.
-
Beh, mia cara… Questi sono
gli inconvenienti di combattere per la parte sbagliata!-
-
Bella mossa! – esclamò Mick,
mettendosi una mano tra i biondi capelli.
Ivy
sorrise, spostando una
pedina.
-
Sai… tu sei diversa dagli
altri nemici… -
-
Cos’è, un complimento? – fece
lei.
-
In un certo senso… Mi piace
il tuo colore di capelli. Color lampone. Mi piacciono i lamponi!
Inoltre ho
scoperto che i lamponi fanno bene alla circolazione, l’ho letto su una
rivista.
Tu compri di quelle riviste? Io si, perché mi piace prendermi cura del
mio
corpo… - attaccò a parlare Mick, ma la cosa più improbabile era che
anche Ivy
ciarlava così tanto.
-
Si! Anch’io compro quelle
riviste! Ho scoperto proprio ieri una maschera speciale per il viso. È
molto
efficace, ma puzza un po’ di carciofo. Che buoni i carciofi!
Soprattutto fatti
a sformato, con l’uovo e la pancetta! –
-
Sono buoni anche con le
patate! Sai che le patate… -
Un
fischio improvviso
interruppe l’inconcludente conversazione dei due.
Ivy
scattò in piedi.
-
Accidenti! È Phoebe, devo
andare! Quando ci rivedremo continueremo la conversazione, ok? –
sorrise la
ragazza, e con un balzo si dileguò.
I
ragazzi si ritrovarono sul
tetto del vagone da dove erano partiti.
-
Mi chiedo come abbiamo potuto
separarci senza accorgercene… - fece Mick.
-
Oddio! Shia, sei ferito! –
esclamò Wyhte, correndogli incontro.
Dal
polsino sbottonato della
manica, Mick tirò fuori tre fazzoletti legati tra loro, uno blu, uno
giallo e
uno rosso.
-
Scegli quello che vuoi. –
disse il ragazzo.
Shia
prese quello rosso, e Nola
lo aiutò ad avvolgerlo attorno alla ferita.
-
Quando arriveremo a Neapolys
andrai di filato da un medico! – gli ordinò lei.
Il
ragazzo rise. – È solo un
graffio! Ti ho detto di non preoccuparti! –
Alla
vista dei due in intimità,
Wyhte si frappose tra loro e prese il ragazzo sottobraccio.
-
Torniamo dentro Shia, qui c’è
freddo! -
Il
treno proseguì la sua corsa senza
intoppi.
I
passeggeri, anche se ancora un po’ scossi
per l’accaduto, ripresero i loro posti, e così fecero i quattro amici.
-
Dovremmo esserci, vedo una città in
lontananza… - esclamò Mick.
-
Che bello! È una città sul mare! -
Anthias
camminava a passo veloce lungo un
corridoio illuminato solo da fiaccole, imprecando tra i denti. Aprì di
scatto
una porta di legno alla sua sinistra ed entrò.
Adiacente
ad una parete si trovava un
grande letto a due piazze, occupato da una ragazza bionda circondata da
medici.
Nel
vedere arrivare l’uomo, i dottori si
fecero indietro rispettosamente.
Anthias
si avvicinò al letto, e prese una
mano della ragazza tra le sue.
-
Phoebe… - mormorò. Poi si voltò dai
medici.
-
Le sue condizioni? – chiese.
Un
dottore si fece avanti titubante.
-
Stabili, mio signore. Ha perso molto
sangue, ma la ferita non era troppo grave, una settimana e dovrebbe
rimettersi
completamente… -
Anthias
sorrise e rivolse nuovamente le sue
attenzioni a Phoebe.
-
Presto starai meglio. – le disse.
Phoebe
sorrise.
Dray
sorrideva vittorioso.
-
Lo sapevo! Quelle tre galline di Anthias
hanno fallito. Ora chi è il tuo preferito, eh Langarth? – disse tra i
denti.
-
Devo ricordarti che anche tu hai fallito,
e tante volte? – rispose gelido il despota.
Si
trovavano in una stanza ampia e scarna,
con le pareti di nuda e fredda pietra.
L’unico
oggetto di arredamento di quella
sala era un maestoso trono fregiato, posto su una piattaforma rialzata,
che
incuteva timore su chi si trovava al suo cospetto.
Langarth
occupava il seggio, e al suo
fianco stava una donna dall’aspetto diafano, con i lunghi capelli
biondo
platino raccolti in una treccia, che le ricadeva al lato del viso.
Il
sovrano assoluto aveva un aspetto
assolutamente autoritario.
Era
un uomo di bell’aspetto, sulla
quarantina. Indossava un’armatura nera come la notte, che gli ricopriva
l’intero corpo ed era modellata su di esso. Dalle spalle gli ricadeva
un lungo mantello
rosso sangue, mentre sulla testa portava un elmo che aveva la forma
della testa
di un leone, con le aperture per gli occhi e per il naso e la bocca,
che era
unica.
Dray
non sapeva come ribattere.
-
Beh… Almeno io combatto in prima persona,
non mando i miei suddetti a farlo per me! –
Langarth
parve pensarci un po’ su.
-
Non hai tutti i torti… però sai una cosa?
Così mi offendi! Io utilizzo lo stesso identico metodo di Anthias:
mando i miei
sottoposti a fare le cose al posto mio. Questa tua affermazione non mi
è
piaciuta… -
-
Ti prego! Fammi combattere un’altra
volta! Ti giuro che li sconfiggerò, ma tu non fare del male a Morgan!
Langarth…
- supplicò Dray, inginocchiandosi.
-
Come ti permetti di dare del tu al Sommo!
Chiedi perdono! – disse la donna bionda, facendo un passo avanti.
Con
un cenno della mano venne zittita da
Langarth.
-
Ti concedo un’ultima possibilità, dopo
della quale, se non mi avrai portato almeno una Starlight, potrai dire
addio a
quella bambinetta che ti porti appresso. –
Con
il magone alla gola, Dray assentì con
un cenno del capo, poi si alzò e uscì dalla stanza.
Ed
eccomi tornata, dopo secoli di
assenza dai vostri monitor!
Scusate
il vaneggiamento... <.<
Dunque,
nuovi personaggi, eh? In genere
nelle mie storie non compaiono molti personaggi, perciò mi sono detta,
perché non
infarcire di gente sconosciuta questa storia? E invece alla fine quella
gente
sconosciuta mi è rimasta nel cuore...
Le
tre sorelle, Phoebe, Ivy e Bellatrix,
erano nate solo come comparse, e per giunta molto cattive e
determinate, ma
alla fine l’affetto della mamma ha
prevalso, e le adoro come fossero protagoniste anch’esse!
X
Ladywolf: hai proprio ragione, Mick è un
ragazzo stravagante! Ce ne vorrebbe di gente così, al mondo! L’ho
creato
immaginando un saltimbanco, ma alla fine è uscito un biondino pieno di
piercing... Vabbè... Che poi non si lamenti se nessuna ragazza lo
guarda, anche
se quella Ivy un pochino l’ha fatto! Mah...
Per
quanto riguarda Wythe, come avrai
notato, la sua era una tregua temporanea nei confronti di Nola, ma
quest’ultima
è talmente buona (o forse un po’ tonta, più probabile) che non si
accorge che
Wythe ce l’ha con lei.
Perfetto!
Se la prossima volta riuscirò a
postare più in fretta datemi un premio!
Ci
leggiamo al prossimo capitolo, cari
lettori! ^________________^
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo
8
La
stazione di Neapolys era
molto più piccola e molto meno affollata della Stazione centrale.
Nola
e gli altri scesero dal
treno, recuperando tutte le valigie e dirigendosi all’uscita. Quello
che
avevano notato guardando fuori dal finestrino, si era concretizzato
davanti ai
loro occhi.
Se
la Repubblica dell’Aria era
principalmente uno Stato costituito da campagne disseminate di fattorie
( fatta
eccezione per le poche grandi città),
il
Regno della Terra era esattamente l’opposto.
IL
territorio nazionale era
coperto da una ragnatela di strade che collegavano tante città e paesi
posti
molto vicini l’uno all’altro.
La
città di Neapolys era di
grandezza modesta, e da essa partivano numerose strade e anche
l’autostrada.
Era una cittadina moderna, ma manteneva un non so che di rustico.
C’erano pochi
grattacieli, mentre tra le costruzioni recenti si potevano trovare
edifici di
alcuni secoli addietro, ristrutturati e resi agibili.
Dalla
stazione, i ragazzi si
incamminarono per la via principale della città, e la visitarono più o
meno
tutta, in cerca di un posto dove stare.
-
Gli alberghi e le pensioni
sono tutti troppo costosi… - sospirò Nola.
-
Io ho la carta di credito! –
esclamò Wythe, tirandola fuori dalla borsetta.
-
Non vorremmo farti spendere
così tanto! E poi non potremmo vivere a spese di tuo padre per tutto il
viaggio! – fece Mick.
-
Sapete cosa dovremmo fare?
Viaggiare di notte. Con i mezzi pubblici si paga molto poco, e in più
ci si può
dormire. Per mangiare ci arrangeremo… - propose Shia.
-
Non mangeremo nei fast food,
vero? La mia linea perfetta andrà al creatore, e io diventerò tutta
ciccia e
brufoli! – esclamò Wythe, disperata, scatenando una risata generale.
-
Guardate là! – esclamò Nola,
con gli occhi brillanti.
I
quattro erano arrivati in
prossimità della spiaggia.
-
Possiamo fare una passeggiata
piccola piccola? – chiese la ragazza, implorante.
-
No! – dichiarò Wythe.
-
Si! – esclamarono Shia e Mick
in coro.
Wythe
guardò i due,
imbronciata.
I
ragazzi scesero in spiaggia,
togliendosi calze e scarpe e lanciandosi in una corsa allegra nella
sabbia fina
e bianca.
Wythe
rimase indietro,
imbronciata.
-
Nessuno mi ascolta… - mormorò
tra se.
Si
diresse verso un piccolo
edificio che sorgeva sulla spiaggia, che scoprì essere un bar, e si
sedette ad
uno dei tavolini esterni.
-
Perché non vieni a divertirti
anche tu? – fece Nola, raggiungendo la ragazza, seguita dagli altri due.
-
Si sta benissimo! La sabbia e
finissima, e l’acqua non è per niente fredda! – esclamò Mick.
-
Se avessi il costume da bagno
a portata di mano, mi farei giusto un tuffo! – disse Shia, alzando le
braccia
al cielo per stiracchiarsi.
Immaginando
Shia in costume da
bagno e a petto nudo, Wythe divenne improvvisamente rossa, ma si
riscosse
subito.
-
Non possiamo stare a
gingillarci! Dobbiamo cercare un posto dove stare, si sta già facendo
sera!
-
-
Se cercate un posto dove
stare… - disse il proprietario del locale, avvicinandosi.
-
… potrei ospitarvi io. –
I
quattro ragazzi si voltarono
di scatto a guardarlo.
-
Salite questa scala,
arriveremo a casa mia. – disse il barista, guidandoli dietro il locale,
da cui
partiva una scala che conduceva al piano superiore.
-
Qui sopra tengo una specie di
magazzino, ma già da tempo avevo pensato di affittarlo. Ormai è
diventato un
vero e proprio appartamento… -
-
Ci fa piacere che voglia
ospitarci, ma ci sarebbe un piccolo problema… Non possiamo permetterci
tutto
questo! E in più c’è anche Boris... – spiegò Nola, indicando il cane,
che
abbaiò soddisfatto.
Il
barista, un uomo gioviale,
le sorrise.
-
Non dovete assolutamente
pagare niente. E c’è posto anche per il vostro cane. – disse, e i
ragazzi lo
fissarono increduli e grati.
-
Basterà che voi lavoriate per
me! –
Tully,
il barista, era un uomo
abbastanza giovane, che gestiva il bar sulla spiaggia assieme alla
moglie,
Olga. I due avevano tre figli, tre adorabili bambini di cui il più
grande non
aveva ancora sette anni. Scorrazzavano in giro e portavano sempre una
ventata
di allegria.
-
Avete capito cosa dovete
fare? – chiese Tully ai quattro. Loro annuirono.
Indossavano
tutti una salopette
di jeans, stivaloni di gomma, una bandana tra i capelli, e un retino da
pesca
in mano.
Si
diressero verso la riva.
-
Ehi! – chiamò Tully.
-
Avete dimenticato i secchi! –
I
ragazzi tornarono indietro a
prenderli.
Boris,
con i suoi lucidi occhi
canini, fissava la scena interessato.
-
Pronti? – fece Shia,
sorridendo.
Gli
altri tre annuirono.
-
Allora andiamo! – esclamò, e
i quattro si lanciarono verso l’acqua.
Improvvisamente,
la superficie
del mare si increspò e si riempì di piccole meduse azzurrine e
arancioni, che
saltavano fuori dall’acqua.
I
ragazzi si lanciarono contro
gli invertebrati e iniziarono a catturane quanti più possibile con i
retini,
per poi buttarli nei secchi.
-
Con tutte quelle meduse la
gente ha paura e non viene al mare, perciò il mio locale sta andando in
malora!
– aveva detto Tully ai ragazzi.
A
loro era stato affidato il
compito di dare una ripulita, insomma.
-
Non buttatele dopo, però,
dall’ombrella della medusa si ottiene una crema che idrata la pelle
straordinariamente! – aveva ancora raccomandato il barista.
Verso
le dieci di mattina, non
vi era più ombra di meduse, perciò i ragazzi decisero di tornare da
Tully con i
secchi traboccanti.
-
Ho i piedi e le gambe che
sembrano fave raggrinzite! – si lamentò Wythe, lanciando il retino
sulla
sabbia.
-
AHIA! – gridò Mick, toccandosi la
gamba vicino alla caviglia. – Ce
n’era un’altra, di quelle meduse! –
Con
un colpo di retino catturò
l’animale e lo cacciò in un secchio.
Era
l’unica medusa di diverso
colore, un rosso molto vivo.
-
Dai, torniamo al bar! Ho
proprio voglia di una granita! – esclamò Nola, prendendo il suo secchio.
-
Andiamo a farci un tuffo? –
propose Wythe, quando la spiaggia iniziò a riempirsi di gente.
-
Si! Stavo pensando la stessa
cosa! – disse Shia, e gli occhi della ragazza si illuminarono.
-
Io non credo che verrò, sono
un po’ stanco, credo che mi farò una dormita… - disse Mick.
-
Ma se ti sei svegliato
tardissimo! Come fai ad essere stanco?! – lo apostrofò Wythe, ma lui
non la
rispose e salì nel magazzino.
-
E tu, Nola, vieni? – chiese
speranzoso Shia.
Le
speranze di Wythe erano
completamente diverse. “Ti prego, non venire, così io e Shia passeremo
una
romantica mattinata da soli!”
-
Non so se verrò… - disse la
ragazza, mentre a Wythe scappava un gridolino di felicità.
-
Perché? –
-
Ecco… Io… mi vergogno… -
-
E di cosa? –
-
Sono… sono troppo magra, mi
si vedono le ossa. – affermò infine la ragazza.
Shia
scoppiò a ridere.
-
Ma dai! Mettiti il costume da
bagno e non fare tante storie! –
Anche
a Nola scappò un sorriso,
mentre Wythe la fissava contrariata.
I
tre amici stesero il telo da
spiaggia e corsero in acqua a farsi un bagno.
-
Finalmente un po’ di riposo!
– disse Shia, dopo essersi steso al sole assieme alle amiche.
Era
davvero una bella giornata,
il sole brillava alto e soffiava una leggera brezza fresca.
-
Wythe, non senti nessuna
vibrazione strana? Non so come percepisci le altre Starlight, ma… non
senti
niente? –
Sdraiata
com’era, la ragazza
chiuse gli occhi, e rimase così per una decina di secondi.
Nola
le si avvicinò piano.
-
Stai dormendo? – le sussurrò.
Wythe
si mise seduta e riaprì
gli occhi, arrabbiata.
-
Stavo cercando di sentire
qualcosa, scema, ma tu mi hai distratta! –
-
Hai percepito qualcosa? – le
chiese Shia.
Lei
si voltò raggiante.
-
Niente! – esclamò.
-
Che ne dite di tornare? È
quasi ora di pranzo e sento un certo languore… - disse il ragazzo.
Arrivati
al bar, videro che
Tully e la famiglia erano seduti ad un tavolo a pranzare.
-
Mick non è ancora sceso? –
chiesero i ragazzi.
Il
barista scosse la testa.
-
Forse sta ancora dormendo… -
-
Come minimo! – fece Nola,
ridendo. – Salgo a chiamarlo. –
Salì
di corsa le scale e aprì
la porta del magazzino.
-
Mick! Scendi a pranzare! Stai
ancora dormendo? –
La
ragazza si guardò intorno,
ma il piccolo appartamento era vuoto. Entrò nella camera dove dormivano
lei e
Wythe, ma era vuota pure quella.
“Allora
dev’essere in bagno!”
pensò.
Aprì
la porta della piccola
toilette e trattenne il respiro, poi cacciò un urlo di terrore.
-
Che succede! – gridò Shia,
entrando di corsa nell’appartamento. Era seguito da Wythe e da Tully.
Nola
era quasi sdraiata per
terra e aveva gli occhi spalancati dalla paura. Con fatica, cercava di
trascinarsi il più lontano possibile dalla toilette.
Shia
corse da lei e la strinse
in un abbraccio, mentre cercava di rialzarla da terra.
Gli
occhi di tutti erano fissi
sulla stessa immagine.
Lungo
disteso per terra, con le
braccia ancora aggrappate allo sportello della doccia, si trovava Mick.
-
È morto? – chiese Wythe in un
soffio.
Tully
gli si avvicinò e gli
sentì il polso.
-
No, è solo svenuto. – disse
con un sospiro di sollievo.
-
Guardate! Cos’ha sulla gamba?
– fece Shia.
Sulla
gamba di Mick, partendo
dalla caviglia, si estendeva una lunga macchia rossastra e pulsante.
-
Spero non sia quello che
penso… - mormorò Tully, preoccupato.
-
Che cosa? – esclamarono i
ragazzi, in coro.
-
Per caso Mick è stato punto
da una medusa? –
I
tre si guardarono negli
occhi, atterriti.
-
In effetti si… - ammise Nola.
-
Avete conservato le meduse
come vi ho chiesto? – esclamò il barista, balzando in piedi.
I
ragazzi annuirono. – Sono nel
retro del bar. –
-
Io scendo un attimo, voi
cercate di stendere Mick sul letto e bagnategli la fronte con un panno
bagnato:
ha la febbre molto alta! –
Tully
tornò poco dopo. In mano
aveva un sacchetto di plastica trasparente, che conteneva la medusa
rossa.
-
È questa che lo ha punto,
vero? – chiese il barista.
Wythe
annuì. – Si, l’ho visto
io… -
-
Ho chiamato il medico. –
continuò Tully. – Arriverà tra poco. –
Nola
continuava a bagnargli la
fronte con il panno bagnato, ma Mick non dava segno di essere
cosciente. La sua
espressione in viso era neutra. Sembrava tranquillo, ma il rossore alla
gamba
si estendeva sempre di più.
-
Nel frattempo che il dottore
non arriva, mettete dell’ammoniaca sulla puntura. – disse Tully,
porgendo una
bottiglietta a Nola, poi tornò giù al bar ad attendere il medico.
La
fronte di Mick era
incandescente, e i suoi occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse in
movimenti molto rapidi.
Nola
strizzò la pezza e gliela
pose nuovamente sulla fronte, mentre Wythe continuava a bagnare la
puntura con
l’ammoniaca.
Shia
era sulla porta, in attesa
del dottore.
Nola
si avvicinò a lui.
-
Se la caverà? – chiese in un
sussurro.
Il
ragazzo le circondò le
spalle con un braccio e la strinse a se.
-
Non preoccuparti, è un
ragazzo forte. –
Lei
scoppiò a piangere contro
il suo petto.
-
È arrivato il dottore! –
gridò Tully, salendo le scale di corsa.
Il
medico, un uomo di mezza
età, saliva subito dietro di lui.
Appena
vide Mick, fece un
sospiro di sollievo.
-
Non è in pericolo di vita,
per fortuna! – disse, e tutti esultarono.
-
Avete fatto bene a mettergli
l’ammoniaca. Avete conservato la medusa che lo ha punto? – chiese il
dottore.
Tully
annuì.
-
Perfetto. L’antidoto a questo
avvelenamento si ottiene direttamente dall’ombrella della medusa.
Bisogna
frullarla, poi metterla a bollire per tre ore e infine lasciarla
raffreddare e
spalmare bene su tutta la parte arrossata. È tutto chiaro? Purtroppo io
non
posso fornirvi nessun antidoto, in quanto il veleno di questo tipo di
medusa è
differente da esemplare a esemplare. –
-
Quanto le dobbiamo, dottore?
– chiese Nola.
-
Nulla, in fondo non ho fatto
niente. Ora devo andare, mi raccomando, fate come vi ho detto e tutto
si
sistemerà. –
Tully
aveva frullato e messo a
bollire l’ombrella della medusa, così si era seduto al bancone del bar e continuava a
sospirare.
-
Vedrai che quel ragazzo
guarirà! – gli disse Olga, facendogli un massaggio alle spalle.
-
Lo spero… Dopotutto è stata
colpa mia se è stato punto! Avrei potuto chiedere loro di fare i
camerieri, o
di lavorare in cucina, invece di cacciare le meduse. Sono davvero
un’idiota! –
-
Non è vero! – affermò la
moglie. – Non è colpa di nessuno! Purtroppo è stata una disgrazia… Ora
non ci
resta che aspettare. –
Dopo
che la pomata si fu
raffreddata, Nola la spalmò con delicatezza su tutta la gamba di Mick.
Era una
crema molto profumata e altrettanto unta, di un vivido colore rosso.
-
Farà effetto subito? – si
chiese Wythe.
La
sua risposta non dovette
farsi aspettare, visto che Mick strizzò gli occhi e li aprì piano.
-
Che buon profumo! Sei tu, mia
cara? – disse, rivolto a Nola.
-
Che scemo che sei! È la
medicina! –
-
Va tutto bene? – gli chiese
Shia.
Mick
annuì.
-
In realtà non ricordo molto
di quello che è successo. Ricordo che mi è venuta un’improvvisa voglia
di
vomitare, pardon, di rimettere, e
sono corso in bagno, poi la mia vista si è annebbiata e il sopra è
diventato il
sotto, e viceversa… -
-
Poverino! Vaneggia! – disse
Wythe, sarcastica.
-
Che simpatica… - disse Mick,
ma poi scoppiò a ridere.
-
Sei stato punto da una medusa
molto velenosa, ma ti abbiamo preparato la pomata per farti guarire. –
gli
spiegò Nola.
-
È MORTO? – gridò la vocina di un
bambino. Tutti si voltarono a
guardare il proprietario di quella voce. Era il figlio più piccolo di
Tully.
-
No! – disse il padre, con un
sorriso.
-
Peccato! Volevo vedere un
vero cadavere! –
I
quattro amici e Tully
strabuzzarono gli occhi.
-
Dov’è un vero cadavere? -
chiese un’altra vocina. Era la più grande
dei tre, l’unica femmina. Era seguita dal fratello di mezzo, che
trasportava
Boris in braccio, ma era molto pesante e le zampe di dietro gli
strisciavano
praticamente per terra.
-
Non qui! – esclamarono i
ragazzi.
-
Quando vedrò un cadavere vi
informerò! – promise Mick ai tre bimbi.
-
Evviva! – gridarono i tre, e
scapparono di corsa a giocare.
I
ragazzi si guardarono in
faccia e scoppiarono a ridere.
-
Certo che i tuoi figli sono
davvero strani! – dissero a Tully.
Lui
rise così tanto che cadde
dalla sedia dove stava seduto.
Aspettando
che Mick si
rimettesse in forze, i ragazzi pensarono di dare una tregua alla
ricerca delle
Starlight così si dedicarono all’abbronzatura, al bagno al mare e a
dare una
mano a Tully.
Una
sera, il barista organizzò
una grigliata in spiaggia, così Mick provò a muovere i primi passi con
la gamba
ancora irritata. Dopo essersi risvegliato, fatto ormai accaduto una
settimana
prima, la puntura della medusa aveva cominciato a pizzicare e bruciare,
tanto
che il ragazzo non riusciva stare in piedi.
Ora
però il bruciore era
sparito quasi del tutto, e anche se zoppicava un po’, riusciva comunque
a
camminare.
Si
spalmava la pomata due volte
al giorno, poi si fasciava la gamba con delle bende fresche.
Anche
quella notte si fasciò la
gamba, poi scese in spiaggia solo con i bermuda da mare. Anche gli
altri
indossavano il costume da bagno. Shia i suoi bermuda rossi, Nola il suo
due
pezzi blu e il pareo e Wyhte il triangolino verde e un paio di
pantaloncini
corti.
Sulla
sabbia, vicino al bar,
Tully aveva acceso un falò, che mandava bagliori arancioni nel buio
della
notte.
-
La cena è pronta! – annunciò
Olga, e servì a tutti degli ottimi spiedini di carne e verdure.
I
bambini li divorarono in un
sol boccone, mentre gli altri li gustarono lentamente.
-
E ora… non è estate senza… COCCO! - esclamò Tully, e ne tirò
fuori due, belli
grandi.
Poi
corse dentro il bar e tornò
subito dopo con una sciabola ricurva in mano.
-
È un antico cimelio di
famiglia. – si giustificò. – Da secoli, viene usato dalla mia famiglia
per
tagliare il cocco. –
Spaccò
le due noci di cocco,
diede il latte da bere ai bambini, e poi tagliò a pezzi il frutto.
Dopo
aver gustato quella bontà,
i bimbi corsero a giocare con Boris, mentre i ragazzi preferirono fare
una
passeggiata lungo il bagnasciuga.
-
Mi dispiace. – disse Mick.
-
Per cosa? – chiese Nola.
-
Per aver ritardato il vostro
viaggio. Mi dispiace. –
-
Ma che stai dicendo! Non ci
importa niente del viaggio, finché i nostri compagni stanno male! –
annunciò
Wythe, autoritaria.
-
Wow! Non mi aspettavo un
discorso così da una come te! – le fece Nola, sorridendo.
-
Che vuoi dire? – rispose lei,
lanciandole un’occhiataccia.
-
Voglio dire… mi sei sembrata
fredda nei nostri confronti, invece… -
-
Guarda che io ce l’ho un
cuore, cosa credi? –
Nola
le mise un braccio sulle
spalle e rise.
-
Scherzavo! –
I
ragazzi risero insieme, e
anche se non voleva ammetterlo, un sorriso lo fece pure Wythe.
Dopo
un’altra settimana, Mick
si accorse che la sua ferita era completamente guarita e non zoppicava
più.
-
Non c’è ragione per rimanere
ancora qui. – dichiarò Wythe un pomeriggio.
-
Giusto, è ora di rimetterci
in marcia. – le fece eco Shia.
Anche
Nola e Mick furono
d’accordo, seppur con un velo di tristezza. Sarebbero voluti restare al
mare
ancora per un po’, ma purtroppo la loro missione li chiamava…
-
Come avevo proposto tempo fa,
viaggeremo di notte. – disse ancora il ragazzo.
-
E quando partiremo? – chiese
Nola.
-
Stanotte. – intervenne Wythe.
Mick
la guardò. – Sei sicura? –
La
ragazza annuì vigorosamente.
-
E così dove partire oggi? –
chiese Tully, quando vide i ragazzi con borsoni e valigie.
-
Si. – disse Shia.
-
Non potete andare via! –
esclamarono i tre bimbi, correndo ad abbracciare Mick. Si erano davvero
affezionati a lui.
-
Su, su! Non fate così! Vi
assicuro che torneremo a trovarvi! – disse il ragazzo, poi, vedendo i
visini
tristi dei bambini, raccolse una manciata di sabbia e se la strofinò
tra le
mani chiuse. Quando le riaprì, al posto della sabbia c’erano tre
caramelle alla
frutta, che Mick diede ai tre bimbi.
-
Sei un mago! – esclamarono
entusiasti i bambini.
Olga
sorrise, divertita.
-
Fate buon viaggio. – disse
Tully, stringendo la mano a tutti, e la zampa a Boris.
Arrivati
alla stazione dei
treni, aspettarono la coincidenza per Beryl City.
-
Era una tappa del mio tour! –
sospirò Mick.
-
Vedrai che quando tutto
questo sarà finito tornerai a calcare le scene e ad essere famoso. – lo
rassicurò Nola.
-
E tu sarai la mia assistente?
– chiese speranzoso.
-
Ancora questa storia? Te lo
scordi! – rise lei, mentre Shia si irrigidiva.
-
Allora vuoi essere tu la mia
assistente? – disse il mago, rivolgendosi a Wythe.
Lei
gli lanciò un’occhiataccia.
– Mai! –
-
Nessuno mi vuole bene! –
piagnucolò Mick, e tutti si misero a ridere, mentre Shia gli dava
un’amichevole
pacca sulla schiena.
-
Che cosa significa?! – gridò Morgan,
mentre si copriva la pelle
nuda con il lenzuolo.
Dray
si alzò dal letto e si
infilò l’accappatoio.
-
Significa quello che ho
detto. – rispose secco.
-
Non puoi andare a combattere da
solo. Me l’hai promesso, ricordi? Hai detto che qualunque cosa succeda
noi due
non ci separeremo mai. –
Dray
strinse un pugno e chiuse
gli occhi.
-
Tu devi solo nasconderti e
non farti trovare. –
-
Come hai detto? – esclamò la
ragazza. Si avvolse nel lenzuolo e si parò davanti a lui.
Dray
la fissò intensamente
negli occhi, poi le posò una mano sulla spalla.
-
Perché non mi vuoi al tuo
fianco? Non mi vuoi più? Non mi desideri più? Eppure fino ad un attimo
fa… -
-
Ma che stai dicendo? Tu sei
l’unica cosa che conta, per me, e lo sai. Sei la mia unica ragione di
vita! Ma…
sei in pericolo. –
Morgan
sgranò gli occhi.
-
È giunto il momento di
rivelarti il motivo per cui sono entrato a lavorare per Langarth. –
-
Tu… hai venduto la tua vita
per salvare la mia? – sussurrò Morgan, mentre sentiva che le forze la
abbandonavano. Dray la afferrò saldamente un attimo prima che lei si
accasciasse
a terra.
La
ragazza poggiò la testa sul
petto di lui, e trasse un profondo respiro.
-
Perché l’hai fatto? All’epoca
neanche mi conoscevi… - chiese.
-
Ti sbagli. Tu non conoscevi
me, ma io invece sapevo benissimo chi eri. Ti ho amata dalla prima
volta che ti
ho vista, e non ti avrei condannata per nessuna ragione al mondo. Ho
preferito
sacrificare me stesso invece di non poterti avere più al mio fianco. –
Calde
lacrime scorsero sulle
guance di Morgan, che si stringeva sempre più al suo amante.
-
Allora scappiamo. – esclamò
lei, fissando Dray negli occhi. – Scappiamo in un posto dove Langarth
non possa
trovarci mai. Io e te, senza dover pensare alle conseguenze. –
Lui
sorrise, triste. Non poteva
vedere gli occhi della sua dolce amata colmi di lacrime.
-
Purtroppo non si può… Se
riesco a portare a termine questa missione non dovremmo più
preoccuparci. Per
questo non posso portarti con me. Tu non ti sei ancora macchiata di
nessun
omicidio, mentre io… -
-
Sai che non è stata colpa
tua! – fece lei, scrollandolo. – Ricordati che non sei stato tu a
uccidere
Aquarius! –
Lui
le sorrise di nuovo, questa
volta cercando di mascherare la sua sofferenza.
-
Tu non sei un assassino! – disse
Morgan.
Dray
si chinò su di lei,
stringendola forte e baciandola appassionatamente, e in un attimo
furono
nuovamente sul letto.
-
Noi due non ci separeremo
mai! – mormorò Morgan, mentre sentiva su di se il peso del ragazzo.
Dray
aprì gli occhi. Si alzò
dal letto e ammirò per un attimo Morgan, che dormiva profondamente e
aveva
un’espressione tranquilla in volto. Da sotto il lenzuolo, si poteva
notare il
suo petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
L’uomo
andò in bagno e si
sciacquò il viso con l’acqua fresca del lavandino. Si guardò allo
specchio e
scrutò in profondità nei suoi occhi azzurrissimi.
-
Vuoi mollare, è così? – disse
all’improvviso il suo riflesso.
-
Sta zitto, non ti ho cercato.
– rispose Dray, seccato.
-
Ah, ora non posso neanche più
parlarti? –
Dray
fece un sospiro, seccato.
-
Vattene. – gli disse.
Il
Dray del riflesso scoppiò a
ridere.
-
Non puoi mandarmi via! Io
sono te, e tu sei me! –
-
Non è vero! Siamo due persone
completamente diverse! –
-
Oh, ma davvero? Te l’ha detto
quella mocciosetta che ti porti appresso? Noi due siamo identici! Non
ricordi
il profondo piacere che hai provato mentre la vita di Aquarius sfuggiva
via
dalle tue mani come fosse aria? Non ricordi la gioia, l’euforia, la
furia
selvaggia? –
Dray
si strinse la testa tra le
mani. – Basta! Non è vero! Quello che si divertiva eri tu, non io. Io
ero
profondamente disgustato e oppresso dal senso di colpa. –
-
E allora perché non mi hai
fermato? – chiese l’altro, con un tono malizioso.
-
Basta! – gridò Dray, e
d’improvviso sentì tutto il silenzio della casa, opprimerlo.
Si
guardò nuovamente allo
specchio, ma vide solo il suo riflesso, e nient’altro.
Il
treno percorreva
imperterrito i binari, mentre dai finestrini si poteva ammirare lo
scorrere del
paesaggio. In lontananza si notavano i profili di tante città, mentre
più
vicino al percorso del treno crescevano foreste rigogliose e verdissime.
Ma
ne Nola ne gli altri
poterono osservare il meraviglioso paesaggio baciato dalla luce della
luna,
perché erano tutti caduti in un sonno profondo.
Il
treno arrivò alla stazione
quando il cielo si tingeva di arancione e di azzurro pallido, mentre il
sole
faceva timidamente capolino.
I
ragazzi si svegliarono di
soprassalto, destati dalla voce registrata che annunciava l’arrivo a
Beryl
City.
Scesero
e recuperarono i
bagagli, poi uscirono dalla stazione e si guardarono intorno. La
ferrovia si
trovava esattamente al centro della città, che si presentò ai loro
occhi in
tutta la sua bellezza.
Era
una città dal fascino
antico, e ovunque si potevano notare alti palazzi dalla foggia barocca,
bianchi
come l’avorio oppure blu, con finestre e porte gialle e bianche.
La
stazione si affacciava su un
grande viale alberato, che a quell’ora del mattino si cominciava
popolare di
automobili e altri veicoli.
-
E adesso dove andiamo? –
chiese Mick, ancora assonnato.
Wyhte
si concentrò, ma non
riuscì a percepire nulla.
-
Non so… - scosse la testa.
-
Beh, proviamo a dirigerci da
qualche parte, poi si vedrà… - propose Nola.
Mentre
attraversavano la
strada, un rombo lontano li fece voltare.
Shia
agguantò Mick per il
colletto della maglia e lo tirò indietro, prima che una brillante moto
da corsa
nera con delle fiamme rosse disegnate gli passasse sopra.
Si
fermò davanti a loro con una
derapata.
-
Cosa cavolo ci fate in mezzo
alla strada? – fece il motociclista.
Era
completamente vestito di
nero, da capo a piedi. Le sue braccia muscolose erano tese a tenere il
manubrio, e il suo volto era coperto da un casco completamente nero che
riprendeva il disegno della moto.
L’unica
parte del suo corpo che
si vedeva era una folta e lunga coda di capelli castani che gli
uscivano dal
casco.
Eccomi
di nuovo tra voi, anime
viventi! Sono or ora tornata dall’oltretomba...
Lasciando
perdere gli scherzi,
finalmente sono di nuovo qui, con l’ottavo capitolo.
Qui
non c’è nessuna nuova
Starlight, ma il barista e la famiglia, che più o meno compensano, no?
Sono
simpatici, e quei bambini sono davvero dei diavoletti!
Povero
Mick! Capitano proprio
tutte a lui! Prima i suoi trucchi magici vengono distrutti da un
incendio, poi
viene punto da una medusa... poverino... U.U
Piuttosto
interessante, invece,
è la parte riguardante Dray... Cosa nasconder in realtà il suo passato?
X
Marta94: mi dispiace tanto
che ti sia dovuta rileggere tutto da capo, scusami! >.<
Sto cercando di
essere più veloce... Come va a scuola? È da un secolo che non ci
vediamo!
All’Accademia va tutto bene! XDD
X
Ladywolf: grazie dei
complimenti! ^///^ Lo so, la scena tra Mick e Ivy mi fa ridere come una
scema,
pur avendola scritta io!!! Sono proprio due anime gemelle! Chiedi
scenette
romantiche tra Shia e Nola? Chissà se mai ce ne saranno... Mah...
<.<
XDDD
Anche
per questo capitolo siamo
a posto. Come sempre cercherò di non farvi aspettare molto per
continuare a
leggere, e colgo l’occasione per farvi i migliori auguri di buon 2010.
Spero
che il nuovo anno vi porti tanta felicità e vi faccia vivere tanti bei
momenti.
Alla
prossima! XDD
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo
9
-
È lui! – esclamò Wythe,
folgorata.
-
Che cosa? – fecero gli altri.
-
Vi dico che questo
ragazzo è una Starlight! –
Il
motociclista si irrigidì,
poi si tolse il casco e scosse la testa.
Aveva
un meraviglioso paio di
occhi verdi.
-
Voi chi siete? – chiese, con
voce dura.
-
No... noi... - farfugliò
Nola, imbarazzata.
-
Noi siamo come te! – disse Wythe,
risoluta.
Shia
si premette una mano sul
petto, come per estrarre la sua lancia, ma invece creò solo un bagliore
rosso
molto intenso.
Il
ragazzo sulla moto gli
bloccò il braccio.
-
Potrebbe vederti qualcuno. –
gli disse, guardandolo torvo.
-
Come sapete che anche io sono
una Starlight? – chiese, ora sospettoso.
-
È merito mio. Io riesco a
percepire le Luci Stellari anche a distanza. – spiegò Wythe.
-
Beh... siete in pericolo qui.
Dovete andarvene immediatamente. – disse il ragazzo, risoluto.
-
Perché? Perché siamo in
pericolo? – chiese Mick.
-
C’è qualcuno che vuole il mio
potere, e di sicuro vorrà anche il vostro. –
-
Gli scagnozzi di Langarth...
- mormorò Shia.
-
Io devo andare, ora, e
fareste meglio a farlo anche voi. –
-
Ma... - fece Nola, però il
ragazzo misterioso si era di nuovo infilato il casco, e dava gas alla
moto. Con
una potente sgommata si dileguò.
-
Non ci ha neanche detto come
si chiama. – disse Mick, arrabbiato.
-
Già, ma la cosa peggiore è
che non sappiamo più come rintracciarlo! – esclamò Wythe.
Nola
seguì con lo sguardo la
moto che si allontanava, portandosi una mano al petto.
I
ragazzi girovagarono per la
città, in cerca di qualche nuova traccia ma soprattutto di qualcosa da
mettere
sotto i denti.
-
Che città raffinata! È così
candida e tranquilla! - esclamava Wythe, girando la testa da una parte
all'altra e osservando ogni piccolo particolare.
-
Sarà, ma a me non piace
granché. Preferisco le città caotiche dove c'è un sacco di gente tutta
diversa.
Così c'è più divertimento! - le rispose Mick.
-
È ovvio che non sai
apprezzare il silenzio,
non c'è bisogno di ribadirlo. -
I
ragazzi entrarono in un bar a
fare colazione, e si sedettero ad un tavolino vicino alla vetrina.
Di
fronte a loro stavano sedute
due ragazze che parlavano a voce molto alta, così i quattro non
poterono fare a
meno di ascoltare il loro discorso.
-
Hai visto quanto è figo? -
fece la prima.
-
Hai assolutamente ragione!
Con quegli occhi verdi, poi! Sembra un modello! -
-
E poi hai visto che moto? Se
mi chiedesse di fare un giro non me lo farei ripetere due volte! -
-
Già! Nera con le fiamme
rosse! Però ho saputo che fa anche gare di motocross e di freestyle, e
proprio
stanotte ce ne sarà una. Certo, non userà quella sua bella moto, ma una
più
adatta. -
-
E dove si svolgerà la gara? -
-
Anno allestito una pista
fuori città, dopo l'uscita nord... -
I
quattro ragazzi si
guardarono negli
occhi e annuirono:
stavano parlando del ragazzo che avevano da poco incontrato.
Mick
si alzò disinvolto,
riavviandosi il ciuffo, e si avvicinò alle due ragazze.
-
Scusate... posso chiedervi
una cosa? Chi di voi vuole diventare la mia ragazza?... Voglio dire, a
che ora
sarà la gara di cross, stasera? -
-
Inizia alle 21. - disse la
seconda, con un sorriso.
-
Grazie. - disse Mick e tornò
a sedersi, cercando di trattenersi dal far uscire il sangue dal naso.
Quella
ragazza era molto carina. Nel frattempo, lei e l'amica pagarono e
uscirono.
-
Bene. Stasera faremo la
conoscenza del nostro misterioso motociclista. - disse il ragazzo.
-
Ma quando hanno distribuito
l'intelligenza tu eri al bagno? - gli fece Wythe, furiosa.
-
Perché? - chiese lui,
innocentemente.
-
Come, perché! Non le hai
neanche chiesto come si arriva all'uscita nord! -
Mick
scosse la testa,
sorridendo (a modo suo) seducentemente.
-
Wythe, Wythe, Wythe. Cara
amica... E secondo te io mi sarei ricordato tutta la strada a memoria?
Me la
sarei scordata già prima di tornare al nostro tavolo! E poi non
conosciamo per
niente questa città, perciò anche se avessi chiesto indicazioni non
avremmo
avuto punti di riferimento! -
-
Su questo non possiamo dargli
torto. - affermò Shia, pensieroso.
-
Ci penseremo meglio stasera.
Ora dobbiamo solo trovare qualcosa da fare durante tutto il tempo che
ci è
rimasto. - concluse infine Mick.
Per
il resto del giorno
decisero di esplorare la città.
Si
diressero verso il centro,
dove scoprirono si trovava un grande centro commerciale. Per Wythe era
come
trovarsi nel paese delle meraviglie, e gli altri non dovettero far
altro che
seguirla come fedeli cagnolini. Purtroppo non poté acquistare proprio
un bel
niente, dato che doveva risparmiare per il resto del viaggio, però il
solo
ammirare le vetrine piene di abiti alla moda le dava un senso di
compiacimento
e di buonumore.
-
Certo che non ti stanchi mai
tu! Stiamo girando per negozi da ore e... - fece Mick, ma si interruppe
subito,
emettendo un sibilo di dolore. Si portò le mani alla testa e strinse
gli occhi.
-
Mick! - esclamarono gli altri
tre, facendoglisi intorno e cercando di aiutarlo.
Al
ragazzo mancava il fiato e
pian piano si stava rannicchiando in posizione inginocchiata.
Shia
lo afferrò alle braccia
per non farlo cadere.
Mick
trasse un profondo
respiro, e notò che stava un po' meglio. Ancora qualche attimo ed era
riuscito
a rimettersi in piedi.
-
Cos'è successo? - esclamò
Nola, preoccupatissima.
Mick
le sorrise, con il fiato
corto.
-
Ho avuto solo un forte
attacco di mal di testa! - le disse.
Gli
amici lo guardarono
apprensivi.
-
Sul serio! Niente di più! –
La
sera arrivò in fretta, e,
chiedendo la strada ad un passante, i quattro giunsero all'uscita nord
della
città. Poco lontano scorsero una gran folla che si estendeva per metri
e metri,
e una gigantesca pista da cross in terra battuta.
Il
circuito era un continuo
alternarsi di cunette, rettilinei, avvallamenti, curve, e le moto che
vi correvano
sembravano fluttuare nell'aria, compiendo evoluzioni e salti come delle
farfalle.
-
Accidenti! Hanno già
iniziato! - esclamò Wythe, e si immerse nella folla per riuscire ad
arrivare ai
bordi della pista.
-
Wythe! Oh, no, l'abbiamo
persa! Dobbiamo infiltrarci anche noi nella folla! - disse Mick, e così
fece.
Shia
prese Nola per mano, poi
le sorrise.
-
Così non ci perdiamo! -
disse, giustificandosi, mentre le sue guance si coloravano un poco di
rosso.
Le
moto guizzavano in aria,
mentre il cronista commentava le prodezze dei centauri. I quattro
ragazzi erano
vicinissimi alle transenne che dividevano il pubblico dalla pista, e
cercavano
di avvistare la Starlight misteriosa tra tutti i partecipanti alla gara.
-
Eccolo! È lui! Il numero 7.-
esclamò Nola, infervorata, indicando una moto verde e argentata.
-
L'ho riconosciuto dai
capelli! - ammise la ragazza, arrossendo, infatti dal casco verde del
motociclista
spuntava una lunga coda di capelli castani.
-
E ora... - esclamò il
cronista, urlando nel microfono. - Si dia inizio alla gara vera e
propria! Motociclisti,
in posizione di partenza, per favore! -
I
semafori dello start si
illuminarono di rosso, poi ancora di rosso e infine arrivò il verde. Le
moto
sfrecciarono più veloci del vento, lungo la pista.
-
In testa c'è il numero 3,
seguito dal 7, a pari merito con il 10 che non gli da tregua. Che curva
ragazzi! Non so se il numero 5 uscirà tutto intero da quella caduta! Ma
ecco
che si avvicina il traguardo! Il numero 7 si avvicina al 3,
contendendosi la prima
posizione e quindi la vittoria... Ci siamo quasi, la meta è a pochi
metri... -
Lo
starter alzò la bandiera a
scacchi bianchi e neri e la abbassò di colpo sul traguardo.
-
Che gara gente! Ma dovremmo
affidarci alla moviola per sapere chi è arrivato al primo posto, perché
il
numero 3 e il numero 7 erano praticamente affiancati... -
Il
cronista rimase in silenzio
per qualche secondo, in attesa del verdetto che gli sarebbe stato
comunicato
nell'auricolare.
-
Incredibile! - esclamò. - Per
soli due decimi di vantaggio, vince la gara il numero 3! Il nostro
campione
Hartley! Seguito dallo straordinario Freza e al terzo posto Gabe! -
Al
termine della gara, i
motociclisti si sistemarono sotto un gazebo per rilasciare autografi.
Anche se
Freza era arrivato secondo, la fila di gente che scalpitava per un suo
autografo era molto più lunga di quelle per gli altri sportivi.
-
Mettiamoci in fila anche noi.
È l'unico modo per poterci parlare. - disse Wythe.
La
fila procedeva abbastanza
velocemente, ma quello che i nostri amici notarono con più evidenza,
era che la
fila era composta maggiormente da ragazze.
Finalmente
riuscirono ad
avvicinarsi al pulpito, anche se prima di loro c'era ancora una ragazza.
-
Per favore, puoi scrivere
questa frase? Alla mia amata Clare, un grande bacio, ti penso sempre,
Freza...
- disse la ragazza, con voce caramellosa.
Wythe
mimò un conato di vomito,
dopo aver sentito quella frase, ma si fece coraggio: era il loro turno.
Appena
Freza alzò lo sguardo,
rimase allibito.
-
Ancora voi? - fece.
-
Abbiamo bisogno di parlarti.
- disse Shia.
-
Non vedete quanta fila c'è
dietro di voi? Rallentate il ritmo.
-
Ti prego! È una cosa
importantissima! - disse Nola, giungendo le mani in preghiera.
Freza
la guardò negli occhi, al
che lei arrossi, e trasse un sospiro rassegato.
-
E va bene... Ma solo dopo che
ho finito qui. Aspettatemi vicino ai camion delle moto, poi vi
raggiungerò io.
-
Con
un sorriso trionfale, Nola
si allontanò , seguita dagli altri.
Sopra
il tetto di un elegante
palazzo, Dray e Morgan guardavano di sotto la strada trafficata e
illuminata
dai lampioni.
-
Sei sicuro che abiti qui? -
chiese lei, sospirando di noia.
-
Esattamente al settimo piano.
- precisò Dray, e si avvicinò alla ragazza, stringendola in un
abbraccio.
-
Vedrai... - disse. - Dopo
questo lavoretto potremmo stare tranquilli per un po'. -
Morgan
chiuse gli occhi,
inspirando il fresco profumo di Dray, che la rassicurò un poco.
-
Forse hai ragione... -
mormorò lei.
-
Eccomi, ho finito. - disse
Freza, avvicinandosi ai ragazzi, che aspettavano.
-
E ora? - chiese Wythe.
-
Ora andiamo a casa mia, così
mi spiegate di cosa volete assolutamente parlarmi. – fece il ragazzo,
sbuffando.
Freza
fece salire i ragazzi su
uno dei camion, poi salì anche lui.
In
poco tempo, il veicolo
percorse strade che i ragazzi non avevano mai visto, entrando in città
e
intrufolandosi in vicoli pericolosamente stretti.
Giunse
davanti ad un alto
palazzo blu e si fermò.
-
Io abito qui. - disse Freza,
e scese dal camion, seguito dagli altri.
-
Ehi, Freza, alla prossima
gara! E mi raccomando, cerca di arrivare primo! - gli gridò l'autista,
ingranando la marcia e sparendo dietro l'angolo.
Il
ragazzo gli fece un cenno
con la mano, poi si mise a cercare le chiavi di casa nella tasca dei
suoi
jeans.
In
quel momento, due figure
nere si lanciarono dal tetto, e atterrarono esattamente davanti ai
cinque.
Boris
si mise subito ad
abbaiare, perché aveva riconosciuto all'istante i due, fiutando il loro
odore.
-
Buona sera! - disse Morgan,
maliziosa, e, agitata una mano in aria, trasformò le sue dita in lame
affilate.
Con
uno scatto si lanciò su
Shia, facendolo rotolare per terra, tuttavia lui riuscì ad estrarre la
sua
Starlight dal petto, e prima che una lama gli arrivasse al viso, la
deviò con
un colpo del bastone dell'Ariete.
-
Come ti permetti di toccarlo!
- gridò Wythe, e con i suoi due pugnali corse a dare una mano al
ragazzo.
Dray
si voltò verso Nola e la
guardò triste.
Lei
rimase spiazzata, perché
non capì il significato di quello sguardo.
Un
attimo dopo il ragazzo si
agitò, come se stesse combattendo contro un nemico invisibile, e con un
virare
del braccio estrasse la sua arma.
-
Ora è il tuo turno. - disse a
Nola, correndo verso di lei. Negli occhi dell'uomo c'era ora una luce
diversa.
-
Scappa, Nola! -
gridò Mick, e si mise davanti a lei per farle
da scudo. Estrasse l'arco dal petto, con un'intensa luce turchese, dopo
di che
scagliò una freccia contro l'uomo, che la afferrò al volo, spezzandola.
Il
ragazzo trasalì.
-
Aquarius! - gridò Nola, e tra
le sue mani apparve l'anfora blu. Con un risucchio iniziò a catturare
l'aria
circostante, e a trascinare Dray verso di se. Pian piano, lui perdeva
le forze,
proprio come era accaduto poco tempo prima durante il loro primo
combattimento.
Questa volta però, sapendo cosa lo aspettava, Dray fece un balzo in
avanti, e
con il suo braccio – arma scaraventò da una parte l'anfora, lasciando
Nola
disarmata.
La
paura si impossessò di lei,
non avendo più difese.
In
quel momento Dray ebbe un
sussulto e urlò di dolore. Una freccia turchese lo aveva trafitto alla
scapola
destra.
Con
un impeto di rabbia scagliò
su Nola la sua lama affilatissima.
Lei
spalancò gli occhi ala
vista di ciò che le veniva incontro, credendo fortemente che sarebbe
morta sul
colpo.
Chiuse
gli occhi e alzò le
braccia per proteggersi il viso, aspettando un colpo che non arrivò, ma
invece
udì solo un grido: - Taurus! –
In
quel momento sentì un
fortissimo schizzo di qualcosa di bagnato sulle braccia e sul viso, e
l'urlo di
dolore di Dray.
Riaprì
gli occhi per vedere
cosa fosse successo, e la prima cosa che vide fu la punta di una lancia
verde
conficcata nello stomaco del nemico.
L'impugnatura
della lancia era
tenuta dalle forti mani di Freza, che si voltò verso Nola, chiedendole:
- È
tutto a posto? Non sei ferita? -
Lei
scosse la testa,
sorridendogli, e proprio in quel momento si accorse di che cosa era
ricoperta
la sua faccia e le sue braccia.
-
Questo è... - mormorò, mentre
sbiancava in volto.
-
Sangue. Perdonami, non volevo
ridurti così... -
Mentre
Nola cercava di
ripulirsi, Freza estrasse la sua lancia dalla ferita di Dray.
Il
ragazzo emise un lamento che
somigliava ad un ringhio, ma ormai
non
aveva più forze, e si accasciò in ginocchio.
-
Nooo! - gridò Morgan,
abbandonando il combattimento e correndo dal suo amato. Si mise davanti
a lui
per proteggerlo dalla lancia di Freza, che stava per trafiggere il
cuore
dell'uomo.
In
quel momento, Dray si
contrasse in uno spasmo, non causato dalla ferita, ma da qualcos'altro.
Si
accasciò a terra e spalancò
gli occhi. L'ombra oscura che gli velava lo sguardo scomparve, e i suoi
occhi
si riempirono di lacrime.
-
Aquarius... - mormorò.
Nola
sussultò, nel sentirsi
chiamare.
-
Aquarius... Io... non ho
avuto mai occasione di dirtelo... ti prego, perdonami, perdonami! Tua
nonna...
non sono stato io a ucciderla, te lo giuro! -
Dray
continuava a ripetere
“perdonami” come una nenia, mentre Nola indietreggiava, spaventata.
Che
significava che sua nonna
non l'aveva uccisa lui? Eppure lei l'aveva visto con i suoi occhi.
Ripensandoci
ancora, la scena le tornava in mente con estrema chiarezza.
Freza
alzò la lancia, pronto a
trafiggere i due nemici con un colpo solo, ma Nola, con un grido, lo
fermò.
-
Aspetta! -
Freza
la guardò, interrogativo.
-
Se non li uccidiamo adesso,
di sicuro lo faranno loro. - disse.
-
Chi siamo noi per decidere se
qualcuno deve vivere o morire? Possiamo forse giudicare un persona
dalle azioni
malvagie che ha compiuto? Beh, allora dovremmo giudicare prima noi
stessi e
osserveremo che non ne abbiamo il diritto. -
Freza
abbassò la lancia,
sconcertato da quelle parole, ma ancor più sconcertato che provenissero
dalla
bocca di una sedicenne, così matura nonostante l'età.
-
Che cosa vuoi fare? - chiese
gentilmente Shia alla ragazza.
-
Voglio scoprire la verità
sulla morte di mia nonna. - disse.
-
Io posso rivelarti ciò che
vuoi sapere... - mormorò Dray, e nel frattempo, sotto di lui, si
allargava una
pozza di sangue.
-
Bisogna portarlo subito in
casa. Se muore non potrò scoprire un bel niente. - disse Nola.
-
Ma sei impazzita? Ci
uccideranno! - esclamò Wythe, spaventata.
Shia
posò una mano sulla spalla
di Morgan, che tremava, poi su quella di Dray.
-
Non lo faranno. - affermò.
Wythe
gli lanciò un'occhiata
arrabbiata, mentre Freza fece un sospiro.
-
Portatelo su, ma vi avverto.
Non vivo da solo. -
A
quelle parole Nola sentì una
fitta al petto, ma pensò fosse dovuta alla presenza dei due nemici, e
non alla
frase del ragazzo.
Shia
e Freza si caricarono Dray
sulle spalle, e lo aiutarono ad entrare in ascensore. Dietro di loro
seguirono
Mick, Wythe, Nola, e infine Morgan.
Ogni
tanto Wythe lanciava
un'occhiataccia alle spalle di Nola, dove era nascosta Morgan, poi
tornava a
guardare davanti a se.
Anche
Nola qualche volta si
girava verso la ragazza, e ogni volta che lo faceva, lei abbassava lo
sguardo
tristemente, per non far vedere che stava piangendo.
“In
fondo prova pur sempre dei
sentimenti. È preoccupata per il suo amico... Mi fa un po' pena...”
Giunti
al settimo piano, Freza
prese un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni, poi ne inserì una
nella
toppa di una porta e la aprì.
Una
ragazza gli corse incontro
con un largo sorriso.
-
I bambini sono già a letto!
Com'è andata? -
I
ragazzi rimasero spiazzati.
“
È sposato ed ha anche dei
figli?” pensò Nola.
-
Va bene, allora puoi andare.
- disse Freza, poi dalla tasca prese un mazzetto di banconote e ne
porse due
alla ragazza.
-
Ci vediamo la prossima volta
che hai una gara. - disse lei, poi gli stampò un bacio sulla guancia e
fece per
correre via, ma lanciando una rapida occhiata verso Dray si bloccò.
-
Ehi, ma lui è ferito! –
esclamò.
-
Ehm, non preoccuparti, ci
penso io, chiamerò un dottore, tu va pure a casa, ci sono i miei amici
a darmi
una mano... –
La
ragazza lo guardò perplessa,
ma notando l’espressione del ragazzo non volle contraddirlo, perciò
salutò di
nuovo e corse verso l’ascensore.
I ragazzi guardarono Freza
stupiti.
-
Che c'è? - fece lui. - È solo
mia cugina che è venuta a fare da baby-sitter ai gemellini... -
Nola
e gli altri non capirono
nulla, però entrarono comunque in casa (un modesto appartamento
familiare ) e
fecero sdraiare Dray sul divano del soggiorno.
-
Dobbiamo portarlo subito in
ospedale. - esclamò Nola.
-
No! - disse Morgan. - Bisogna
immediatamente esporlo ai raggi lunari. Così potrà guarire in una
notte. -
-
Guarirà in una notte? -
chiese Mick, incredulo.
-
Noi del popolo delle Ombre
abbiamo la facoltà di guarire in una notte anche dalle ferite più gravi
e più
profonde, purché stando esposti alla luce della Luna. -
-
Allora portiamolo nella mia
stanza, dalla finestra la Luna si dovrebbe vedere benissimo. - disse
Freza, e
assieme a Shia trasportò Dray per il lungo corridoio fino alla stanza
alla
fine.
Lo
sdraiarono nel letto
matrimoniale e aprirono le tende della grande finestra.
Appena
i raggi lo colpirono,
lui trasse un sospiro di sollievo, poi si addormentò profondamente.
I
ragazzi erano talmente
esausti per tutti gli avvenimenti che si erano succeduti, che non
avevano nemmeno
la forza di parlare. Ognuno si sedette su quello che trovava, e in
breve si addormentarono
tutti.
Ommioddio!!!
Mi sono accorta
solo da poco che è quasi un anno che non aggiorno! Sono davvero messa
male,
scusate ragazzi, ma sono un caso patologico...
L’università
mi ha talmente
assorbita che non mi sono accorta nemmeno dello scorrere del tempo...
E
così mi sono detta che era
ora di svegliarmi un po’...
Ecco
qui il tanto atteso nono
capitolo...
È
un po’ breve, o meglio, le
cose succedono un po’ in fretta, forse, ma diciamo che è un capitolo
fondamentale per la storia, poi capirete nei prossimi che pubblicherò.
Perché,
ebbene sì, aggiornerò,
lo giuro!
X
Ladywolf: innanzitutto mi
scuso per averti risposta così in ritardo, e poi, vorrei ringraziarti
tantissimo per i complimenti che mi hai fatto! ^W^
Hai
davvero ragione, Mick è un
po’ sfigatello, e non sai ancora cosa gli succederà... poraccio... però
hai
ragione, è un gran figo, ed è uno dei miei personaggi preferiti! Beh,
per
scoprire altre cose su di lui o su di Morgan e Dray non ti resta che
leggere
anche il prossimo capitolo che, lo prometto, pubblicherò a breve, anche
perché è
davvero uno dei più importanti per la storia...
Bene,
che dire, mi scuso ancora
(“Basta!” direte voi... XD), e per farmi perdonare, nel prossimo
capitolo
metterò una sorpresa solo per voi! XDD
Alla
prossimaaa!!!
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