Starlight

di Marian Yagami
(/viewuser.php?uid=60045)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Nola correva a lato di una strada poco trafficata.

Il vento le sferzava il viso ma non le importava: l’importante era che lei fosse finalmente libera. Non avrebbe resistito un minuto di più in quel maledettissimo orfanotrofio di campagna, dove aveva passato i tre mesi più brutti della sua vita.

Da quando la sua nonnina, l’unico parente ancora rimastole in vita, se ne era andata, lei era rimasta sola al mondo, senza nessuno che potesse prendersi cura di lei.

Fu così affidata alle “cure” della direttrice dell’orfanotrofio, la signorina Simpleton.

Nola non si stupiva che la signorina Simpleton fosse ancora single nonostante avesse più di cinquant’anni, perché la sua mascolinità non poteva essere superata da nessun uomo esistente al mondo. Oltretutto il suo carattere freddo e insensibile la rendeva ancora più odiosa e detestabile.

Dal suo arrivo all’orfanotrofio, la signorina Simpleton la prese in antipatia, e nulla le fece cambiare idea.

- Da questo momento farai tutto quello che ti dirò di fare. Lavorerai e guadagnerai dei soldi, vedo che sei abbastanza grande per farlo. È finita la bella vita per te, è ora che tu sappia il significato di avere un posto nella società. – disse la signorina Simpleton, quando Nola, esausta per aver trasportato un bagaglio troppo pesante per le sue mani, entrò per la prima volta nel suo luogo di prigionia.

- La nonna non mi avrebbe mai lasciata lavorare! Ho solo sedici anni! – disse lei a denti stretti.

- Sfortunatamente tua nonna è morta, e niente potrà cambiare questa realtà! – rispose la signorina con un ghigno malvagio in volto.

- Questa sarà la tua camera d’ora in poi. – disse indicando una porta alla sua sinistra.

- Domani mattina alle sette ti farai trovare in sala da pranzo per la colazione, dopo di che deciderò il lavoro che dovrai svolgere. – continuò aspra, poi se ne andò.

Nola entrò nella stanza, osservandone l’arredamento con sempre maggior disgusto. Esattamente davanti alla porta si trovava una piccola finestrella con il vetro rotto, da cui entrava, abbondante, la pioggia. Sotto la finestra c’era una branda vecchia e smollata, su cui poggiava un consunto materasso mangiato dagli acari. Non c’era ne un cuscino ne una coperta.

La ragazza buttò la valigia in un angolo, e da una crepa del muro uscì uno scarafaggio, sicuramente disturbato dal tonfo.

- Aah! – gridò Nola, e sali sopra il letto, che fece strani scricchiolii.

Lo scarafaggio rientrò nel buco, e lei scese dal letto, sicura che non avrebbe retto il suo peso ancora per molto.

- C’è qualcuno? – chiese una voce proveniente dalla camera affianco a quella di Nola. Era una ragazza.

Poi all’improvviso un pannello di legno della parete si spostò, facendo passare una ragazzina bionda, che si ripulì il vestito sudicio dalla polvere del pavimento, e infine alzò la testa, mostrando due brillanto occhi azzurri.

- Tu sei la ragazza appena arrivata, vero? Tutti parlano di te! Ovviamente con me non parla nessuno, e non sei obbligata a farlo nemmeno tu, ma ci sono abituata ormai…-

Nola fissò intensamente quella ragazzina. Lo notava solo adesso ma, anche se i suoi abiti le davano l’aspetto di una poveraccia o di una mendicante, lei non era per niente sporca.

Certo era molto magra, ma le sue mani erano delicate e non c’era ombra di terra sotto le unghie, e i suoi capelli erano morbidi e fluenti.

- Io sono Nola, piacere! – disse, tendendo la mano alla ragazzina.

I suoi occhioni azzurri si illuminarono. – Allora tu parli con me! Io mi chiamo Arin! –

- Perché ti fanno dormire qui su in soffitta? Non hai paura? – chiese Nola.

- Oh, no! Si sta bene quassù, a parte quando piove, ma quando fanno belle notti si vede un cielo così limpido che puoi contare le stelle! –

Nola si sedette sul letto, e Arin le si avvicinò.

- Perché nessuno parla con te? – chiese ancora Nola.

Arin rimase in silenzio per un po’, mordicchiandosi il labbro inferiore.

- Mia madre era una strega. Cioè, la gente dice così, per screditarla, ma lei non era niente del genere! Preparava solo rimedi e infusi a base di erbe, non aveva mai fatto niente di male a nessuno. Poi un giorno, delle guardie dell’Impero del Fuoco bussarono alla nostra porta e la portarono via. Da quel momento la vidi solo in occasione del suo funerale, due settimane dopo. A dire la verità vidi le sue ceneri, l’avevano bruciata sul rogo . Avevo solo sei anni… Poi, non avendo altri parenti che volessero tenermi con se, venni mandata qui. –

A Nola salì un groppo alla gola. In confronto a quel racconto, la sua storia non era niente di speciale.

- Quanti anni hai? – chiese ad Arin.

- Tredici appena compiuti! – esclamò orgogliosa, sorridendo.

- È un miracolo che in questo posto qualcuno riesca ancora a sorridere! – disse, più a se stessa che ad Arin.

- Non preoccuparti, quando ci farai l’abitudine non è poi così male, anche se per farti un bagno decente devi per forza andare al fiume. Se qui all’orfanotrofio c’è il gabinetto è anche troppo! –

Quella notte Arin rimase a dormire nella camera di Nola, portando una coperta dal suo letto, e avvolgendosi entrambe per tenersi caldo a vicenda.



La mattina dopo, Nola venne messa ai lavori forzati in cucina e nel giardino.

- Lava le pentole! – sbraitava la signorina Simpleton. E ancora: - Strappa le erbacce! - oppure – Pulisci le camere! –

La ragazza non aveva un attimo di respiro e non poteva nemmeno ribattere, perché la signorina Simpleton aveva minacciata di toglierle tutti gli oggetti personali, comprese le vecchie foto dei suoi parenti. Tutti i giorni era una vera tortura.

Solo la notte poteva davvero tirare un sospiro di sollievo, tornando nella sua piccola camera, dove chiacchierava a bassa voce con Arin, per non farsi sentire.

A volte era Nola ad andare a trovare la ragazzina nella sua stanza. In realtà era una camera molto piccola, arredata solo da un letto. Alla parete era appeso un gancio che reggeva un vecchio straccio, che ad una seconda occhiata si rivelava per quello che era: un vecchissimo abito nero, tarlato e ammuffito.

- Quello era l’abito che indossai al funerale di mia madre.- spiegò un giorno Arin, mentre lo accarezzava, alzando un po’ di polvere.

Nola gli si avvicinò. Era molto piccolo, giusto per una bambina di sei anni.

Alla ragazza si strinse il cuore a ripensare alla storia di Arin, e vederle quell’espressione rassegnata in volto la fece intenerire ancora di più.

Gettò le braccia al collo di quella ragazzina, dal corpo talmente magro che aveva paura di farle male.

- Ahia! – esclamò Arin, e si districò da quell’abbraccio.

Nola la guardò spaventata. L’aveva forse stretta troppo? Ma vide che Arin si massaggiava un braccio, quindi capì che non era stata colpa sua.

- Che cos’hai? Fammi vedere. – disse Nola, avvicinandosi.

Arin la guardò spaventata e insieme imbarazzata.

- È meglio se non… - mormorò la piccola, ma Nola si era già fatta più vicina, e con un solo movimento alzò la manica del vestito di arin, che lei usava anche come camicia da notte.

Un gigantesco livido viola si estendeva dal polso e percorreva quasi tutto l’avambraccio, tracciando una forma allungata.

- Come te lo sei fatta? – urlò, più spaventata che arrabbiata.

Le guance di Arin si rigarono di lacrime, mentre le sue gambe cedevano e cadeva inginocchiata. – Io… non… il… ferro da stiro… la signorina Simpleton mi ha… - cercava di dire, ma i singhiozzi coprivano metà del discorso.

Incredula, Nola sentì crescere la sua rabbia e la sua avversità verso la signorina Simpleton sempre di più.

Uscì dalla stanza sbattendo la porta, prendendo per mano Arin e trascinandosela dietro.

Trovò la signorina Simpleton nel suo ufficio, molto più lussuoso e pulito di tutto il resto dell’orfanotrofio.

Sbattendo la porta annunciò il suo arrivo, e con la stessa rabbia le urlò in faccia. – Che cosa ha fatto? – gridò, perdendo definitivamente il controllo.

Allungò il braccio di Arin verso la scrivania e lo mostrò alla direttrice.

Lei fissò il livido per un momento, poi ritrasse lo sguardo e voltò la testa, come disgustata da quella visione.

- Allora! Mi risponda! – gridò ancora Nola.

- Che cosa dovrei dirti? – chiese la signorina Simpleton con voce calma e composta.

Nel frattempo davanti alla porta aperta dell’ufficio si era radunata una piccola folla.

- Per esempio potrebbe dirmi perché ha picchiato Arin con un ferro da stiro? –

La signorina Simpleton cominciò ad agitarsi e a sudare freddo.

- Come… chi ti ha… detto una cosa del genere? – farfugliò, poi tentando di ricomporsi, esclamò con voce più acuta del solito: - È stata lei vero? – indicando Arin.

- Tu, piccola, spregevole bambina, sei soltanto…-

- La smetta! – gridò Nola, frapponendosi tra Arin, che aveva ricominciato a piangere, e la signorina Simpleton, che per l’agitazione e la collera era rossa in viso e spettinata.

- In punizione! – esclamò la direttrice, ricomponendo il suo tono di voce freddo e pacato.

- Non tollero che nel mio istituto vengano messi in discussione i miei metodi di insegnamento. –

- Allora me ne andrò. Scapperò da questo posto, e lei non mi rivedrà mai più! – esclamò Nola, a cui quel tono di voce monocorde dava sui nervi.

- Che pensiero sentimentale! Sfortunatamente non sei ancora maggiorenne, perciò dovrai stare qui nella mia “prigione” ancora per due anni! –

Nola sbattè un pugno sulla scrivania.

- Lei è un mostro! – sibilò.

- Perfetto. Isolamento! – disse la direttrice. Si alzò dalla sua poltrona e la prese per un braccio. La trascinò fino all’esterno del caseggiato, portandola dentro un capanno pieno di balle di paglia.

- Questo è un posto dove porto a riflettere i ragazzini ingrati come te che non rispettano la mia autorità. Resterai qui dentro per una settimana. Ti verrà portato un pasto al giorno e i bisogni potrai farli qui dentro. – disse, e si avvicinò ad una botola vicino all’entrata del capanno. Alzò la copertura e si tappò il naso. Dal buco fuoriusciva una puzza nauseabonda.

La signorina Simpleton uscì dal capanno e chiuse l’entrata.

Mentre calde lacrime scendevano dalle guance di Nola, all’esterno si sentì un rumore di catene sfregate. Era stata chiusa dentro.

Si riscosse subito e si mise a cercare una via d’uscita.

Notò immediatamente quella che sembrava una finestrella. Si arrampicò su delle balle di paglia e raggiunse l’apertura. Era sbarrata da delle assi in legno.

Cercò di toglierle con le mani, con l’unico risultato di graffiarsi con le schegge e farsi uscire il sangue.

Trovò altre finestrelle sbarrate. Qualcuno sicuramente era riuscito a scappare, per quello erano state chiuse.

Rassegnata si accasciò sulla morbida paglia e finì per addormentarsi.



- Nola! – sussurrò una voce nella notte.

Nola credeva ancora di sognare, quando infine riconobbe la familiare voce.

- Arin! – esclamò Nola, improvvisamente sveglissima.

- Da questa parte! – sussurrò la ragazzina, bussando su un’asse di legno del caseggiato.

Nola la spostò, e dall’altra parte vide finalmente il dolce viso di Arin.

- Come facevi a sapere che qui c’era un passaggio?! – chiese, sorridendole.

- Quando ero più piccola sono stata rinchiusa qui molto spesso e molto a lungo…- disse la piccola.

Le due si guardarono e infine, tra le risate trattenute, si strinsero in un abbraccio.

- Nola devi scappare! – esclamò all’improvviso Arin. Si fece da parte e mostrò alla ragazza una valigia piena.

- È la tua valigia. – spiegò Arin. – Ho raccolto tutte le tue cose, non ne ho dimenticata nessuna! E ho messo anche delle provviste! Sai, volevano bruciare i tuoi averi, ma li ho recuperati tutti prima che ci riuscissero! – disse fiera, sorridendo.

- Che cosa è successo?! – chiese Nola allarmata.

- Ho sentito la direttrice che parlava al telefono con qualcuno… Non so chi fosse… Diceva che voleva mandarti in un posto strano… Si chiamava Hans… Hansest… -

- Hansenouth! Il manicomio! Vuole mandarmi al manicomio?! –

Anche Arin rimase scioccata a quella scoperta.

Nola uscì in fretta dal passaggio, ritrovandosi al buio della notte, illuminato solo da uno spicchio di luna.

- Ho sentito che alla fine del tuo periodo di isolamento sarebbero venuti a prenderti! - disse Arin, con le lacrime che minacciavano di invadergli le guance.

- Arin, dimmi esattamente che cosa hai sentito! – la scongiurò Nola, chinandosi un poco verso la piccola.

- Diceva… La signorina Simpleton diceva che avevi avuto uno scatto d’ira e che era meglio rinchiuderti perché… potevi essere un pericolo per noi bambini…-

- Sarebbe lei da rinchiudere! Se solo sapessero come è gestito questo orfanotrofio la metterebbero subito in prigione! –

Respirava con affanno a causa della rabbia, ma dopo due boccate di aria fresca si riprese.

- Ti conviene andare, adesso. –

Nola annuì, e dopo un rapido sguardo, le due si abbracciarono nuovamente.

- Grazie per tutto quello che hai fatto per me! – mormorò Nola, schiacciando la testa nei morbidi capelli di Arin.

- Sono io che devo ringraziarti, senza di te non ce l’avrei mai fatta! Hai portato un po’ di felicità nel mio piccolo mondo. –

È ancora una bambina, ma parla come una donna!”

Le due si sciolsero dall’abbraccio.

- Arin, ricorda una cosa: anche se saremo lontane, noi due saremo sempre sorelle, d’accordo? – disse Nola, poi, salutandola con la mano, si diresse di corsa verso il sentiero che portava alla strada asfaltata.

Arin rimase un po’ a guardare, gli occhi velate dalle lacrime, poi decise finalmente di tornare nella sua camera.

Sono sicura che tornerà a prendermi, molto, molto presto!” pensò.



Improvvisamente lo stomaco di Nola fece un rumore, molto somigliante ad un ruggito furioso.

- Forse è ora che metta qualcosa sotto i denti! –

Impresa impossibile, dato che quella strada proseguiva imperterrita in mezzo alla campagna, senza l’ombra di una casa ne una stazione di servizio nel raggio di chilometri.

Si fermò sul ciglio della strada e aprì la valigia e trovò un pacchetto involto e chiuso da spago. Lo aprì, e dentro trovò tre panini con il prosciutto assieme a dei pezzi di formaggio, in seguito notò che in un angolo della valigia c’era anche una bottiglia d’acqua.

Arin, sei davvero una ragazza d’oro!” pensò Nola, mentre addentava un panino, con le lacrime agli occhi.

Improvvisamente un rumore la fece sobbalzare, veniva dalle sue spalle, e si avvicinava pian piano. Si voltò, aspettando in ansia di sapere di cosa si trattasse. Poi, dalla cunetta della strada, vide spuntare un piccolo camioncino, che trasportava qualche gallina.

Il camioncino si fermò a pochi passi da lei, e il guidatore abbassò il finestrino. Era un vecchietto dallo sguardo simpatico.

- Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora? – chiese il vecchietto.

- Io… perché, che ora è? –

- Santo cielo! Sono le sei di mattina! –

- A dire la verità…- fece per spiegarsi Nola.

- Vuoi un passaggio? – chiese ancora il vecchietto.

Lo sguardo di Nola di illuminò. – Certo! – rispose d’un fiato.

- Bada bene però, dovrai stare seduta tra le galline, qui davanti non c’è posto! – disse, e da dietro la spalla del vecchio spuntò la testa di un vecchio segugio dall’aria vissuta.

Non so dire chi sia più vecchio, se il cane o il padrone!” pensò Nola, mentre saliva nel cassone.

- Ancora una cosa, dove vai di preciso? –

- Oh, non ho una meta precisa, mi porti fin dove deve andare lei, poi da li vedrò io… -

- Se per te va bene cosi… Ah, stai attenta a quella gallina con le penne rosse, è molto permalosa!- rise il vecchio, mentre dava gas al camioncino sgangherato.



Il camioncino arrivò ad una piccola fattoria, circondata da campi coltivati e da vari frutteti.

Nola scese dal furgone, e così anche il vecchio e il cane.

- Questa è la “Fattoria delle Margherite”- annunciò fiero. – Era il nome che le aveva dato mia moglie…- continuò, questa volta con una nota di malinconia nella voce.

Fece scendere le galline dal cassone, che cominciarono a beccare qua e la nel terreno.

- La ringrazio per il passaggio, ma ora è meglio che vada! – disse Nola, con un sorriso, ma non fece in tempo a fare un passo che si accasciò per terra.

- San Tommaso! Ma tu sei morta di sonno! Da quando non chiudi occhio? –

- Forse… quasi due giorni? – rispose lei, rimettendosi in piedi.

Solo in quel momento si accorse di quanto fosse stanca. L’euforia della fuga glielo aveva fatto dimenticare.

- Vieni, puoi sdraiarti nella camera di mia figlia, lei ha lasciato questa casa da molto tempo, ormai. –



Nola riaprì gli occhi, e in un primo momento non capì dove si trovasse. Quando vide la testa di un anziano segugio a pochi centimetri dalla sua, ritrovò improvvisamente la memoria.

Si alzò dal letto e si guardò intorno. Si trovava in una stanza piccola e sobria, ma molto accogliente. Non ricordava neanche come ci fosse arrivata, tanto era assonnata.

C’era un letto, coperto da una trapunta patchwork molto campagnola, un piccolo armadio in legno e una scrivania. Affianco al letto si trovava una piccola finestrella sulla quale era poggiato un vaso di fiori.

Uscì dalla camera, e trovò la cucina solo seguendo un delizioso profumo molto invitante. Il segugio la seguì come una guardia del corpo.

- Finalmente ti sei svegliata! Giusto in tempo per il pranzo! – esclamò il padrone di casa, che indossava un buffo grembiule da cucina e impugnava un mestolo sporco di salsa come fosse una spada.

- Hai dormito un giorno intero, proprio come un ghiro, e sai una cosa, non so neanche il tuo nome! – disse, mentre porgeva una ciotola di stufato alla ragazza.

- Mi chiamo Nola. – disse, mentre prendeva la ciotola e si sedeva al piccolo tavolo apparecchiato per due. – E lei, come si chiama? –

- Il mio nome è Talbot, e lui e Boris. – disse indicando il cane. Prese una ciotola di stufato e si sedette anche lui a tavola, mentre Boris gironzolava attorno alla sua ciotola.

- Allora, qual buon vento ti porta da queste parti? – chiese Talbot.

- A dire il vero… Sono scappata, ecco! Da quell’orfanotrofio disperso nella campagna! – Nola non capiva come le parole le uscissero così spontaneamente, ma era sicura che di quel vecchio ci si poteva fidare ciecamente.

- Intendi l’orfanotrofio della signorina Simpleton? – esclamò Talbot, svegliandosi immediatamente da quella calma che lo avvolgeva.

Nola annuì, mandando giù il brodo caldo e gustoso. – Proprio quello…- La ragazza si aspettava come minimo una bella ramanzina, ma la reazione che ebbe il vecchio la colse completamente impreparata.

Iniziò a tremolare e a far muovere i folti baffi, come se stesse per starnutire, finché non esplose un una sonora risata.

- AH! AH! AH! Non ci posso credere! Finalmente qualcuno che si ribella a quella vipera travestita da donna! Era ora! – esclamò, e poi tornò a ridere.

Nola, sbalordita da quella reazione, iniziò a ridere assieme al vecchio, fino a quando fece male la pancia ad entrambi.

Ripresero fiato, ansimando tra risatine e boccate d’aria.

- Come posso ringraziarla per l’ospitalità, signor Talbot? – chiese Nola, non ancora ripresasi dalla risata.

- Oh, non devi ringraziarmi, a questo vecchietto basta la tua presenza per sentirmi felice. Sai, non ridevo così da un sacco di tempo ormai! Mi ci voleva questa ventata d’aria fresca!-



Boris russava, sdraiato sul tappeto della cucina, mentre Talbot era impegnato ad accendersi la pipa seduto sulla sedia a dondolo.

- Lo sa, alla sua età non dovrebbe fumare! – lo apostrofò Nola, che lavava i piatti.

- Me lo diceva sempre anche mia moglie! – sospirò Talbot, e si alzò, dirigendosi verso la credenza. Fece cenno a Nola di avvicinarsi e da un ripiano prese una foto incorniciata. Ritraeva un uomo di mezza età che abbracciava una donna più bassa di lui, e tra i due si trovava una ragazza poco più grande di Nola. Affianco alla ragazza stava seduto un giovane segugio dall’aria fiera.

- Questa era mia figlia…- disse, indicando la ragazza nel centro. - Dieci anni fa si sposò con un ricco industriale, e da allora si trasferì a River Town. Da allora venne a trovarmi dalla città qui in campagna, sempre più raramente, finché un giorno non venne più. Per me era molto difficile andare a trovarla, anche perché io e mia moglie eravamo molto impegnati qui alla fattoria, perciò da allora non ho più avuto notizie della mia bambina, la mia piccola… Susie… -

Talbot sfiorò la figura della figlia, con gli occhi umidi. Nola lo osservò, comprensiva: anche lei provava nostalgia, ripensando alla nonna.

- Lei invece era mia moglie… Marta… La donna più dolce del mondo! Era sempre sorridente e anche se qualcosa andava storto l’allegria l’accompagnava ogni giorno! Dopo la partenza di Susan non fu più la stessa… Sorrideva sempre meno, e arrivò al punto di ammalarsi, una malattia che non le diede tregua, che me la portò via per sempre… -

A quel punto Talbot venne colto dalla commozione e si coprì gli occhi con la mano libera.

Nola gli circondò le spalle con un braccio, dandogli leggere pacche sulla schiena.

- Non preoccuparti! – disse, dopo essersi ripreso. – Qui con me c’è sempre Boris a tenermi compagnia, poi ci sono le galline e persino la mucca Mafalda! –



Le galline razzolavano tranquille, ma Nola non si era ancora abituata a quel via vai. Certo, in tre giorni di vita campagnola aveva imparato un sacco di cose, compreso raccogliere le uova senza schiacciare nemmeno un pennuto.

Portò il cesto delle uova in casa, e si mise a preparare il pranzo.

Talbot era andato a mungere una pecora, perciò in casa con la ragazza c’era solo Boris, che gironzolava senza una meta. Mentre Nola impastava il pane, il segugio si sedette vicino a lei e la fissò intensamente. In un primo momento, la ragazza non diede peso allo strano comportamento del cane, ma sentendosi osservata, lo fissò anche lei.

Gli occhi di Boris avevano uno strano luccichio, come se fossero proprio occhi umani.

Ho il sospetto che questo cane capisca tutto quello che diciamo…” pensò Nola, tornando all’impasto.

- Bene! Vedo che stai preparando il pranzo! Cos’è? – chiese Talbot, tornato in casa, mentre alzava il coperchio di una pentola che cuoceva sul fuoco.

- È una vecchia ricetta di mia nonna, una specie di tradizione di famiglia: verdure con farro, orzo e carne…-

- Ottimo! Squisito! – cominciò a esclamare il vecchio, che assaggiava.

- Ehi, ne lasci anche per il pranzo! – disse Nola.

Dopo pranzo Talbot si sedette nella sua sedia a dondolo, guardando un po’ la tv, mentre Nola era seduta a gambe incrociate sul tappeto della cucina, e faceva dei massaggi circolari sulla pancia di Boris.

- Signor Talbot, da quando Boris fa parte di questa famiglia? – chiese Nola, che fissava nuovamente gli occhi espressivi del cane.

- Ormai da più di dieci anni! In verità mi stupisco che sia ancora vivo, data la sua età, ma finché resta a farmi compagnia…

A dire il vero era uno strano cane anche da piccolo. Ogni volta che parlavamo di qualcosa, Boris si sedeva vicino a noi e ci fissava, come se stesse ascoltando anche lui. Ora che siamo rimasti noi due soli sono io che parlo con lui, e lui mi ascolta sempre, come quando era piccolo. –

Un rumore interruppe la loro conversazione.

Somigliava a quello del camioncino di Talbot, ma era molto più profondo e scombussolato. Nola si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Un furgone bianco, tagliato da una striscia azzurra in orizzontale, passò velocemente davanti alla fattoria.

- Tsk! Quel furgone passa qui davanti da un po’ di tempo ormai. Quelli di Hansenouth si stanno dando da fare, ultimamente! –

Nola si voltò, allarmata.

- Hansenouth? – chiese, trattenendo il fiato, ma non aspettò una risposta. – Quanto tempo è passato da quando sono venuta a stare qui? –

- Beh, direi sei giorni…- rispose Talbot.

Più un giorno rinchiusa nel pagliaio fanno una settimana! Quel furgone sta venendo a prendermi!”

- Devo scappare! Non posso restare qui, metterei in pericolo anche lei! – disse, e corse in camera a preparare la valigia.

- Perché, è successo qualcosa? – chiese Talbot, seguendola.

- Quelli stanno cercando me! Spero non abbiano ancora scoperto la mia fuga! –

Talbot corse in cucina, prese un fazzoletto e lo riempì di pane, frutta, formaggio, lo chiuse con un nodo e lo portò da Nola, che nel frattempo trascinava la valigia verso la porta.

- Dimmi dove vuoi andare, ti accompagno io! – esclamò Talbot, uscendo prima di lei e salendo sul camioncino.

Nola si bloccò, con la valigia ancora in mano.

Non aveva mai pensato di dover andare da qualche parte. In quell’ultimo periodo era stata sballottata da un posto all’altro, e non si era mai fermata a riflettere su cercare un posto dove stare.

- Io… non so dove andare… Se restassi qui è probabile che mi trovino molto presto, ma è probabile che mi trovino anche se vado in qualsiasi altro posto…-

- Facciamo così. – propose il vecchio. – Ti accompagno fino al limitare della foresta, poi da li prosegui da sola, va bene? –

- Oh… va bene! – accettò infine, e salì sul camioncino.


Arrivarono in breve tempo al confine con la foresta.

Al momento di dirsi addio, Nola divenne molto triste.

- Mi dispiace di averle causato tutto questo disturbo… Avermi ospitato a casa sua, avermi fatto fuggire… Io… non so proprio come ringraziarla! –

- Ma scherzi? È solo grazie a te se ho ritrovato il mio buonumore! Non preoccuparti, andrà tutto bene, e se cerchi ancora un posto dove stare, vieni pure alla Fattoria delle Margherite!-

Nola e Talbot si abbracciarono, poi, prima che lei scendesse dal camioncino, il vecchio disse: - Seguendo quel sentiero arrivi ad un piccolo villaggio di mercanti, potrai trovare ospitalità, sono della brava gente! –



Mentre il camioncino se ne tornava a casa, Nola si incamminava spedita sul sentiero. Il peso della valigia la rallentava molto, e questo la faceva imbestialire. La strada si era aperta su degli estesi campi coltivati, e qua e la si scorgevano piccole fattorie.

Il sole stava ormai tramontando, e finalmente all’orizzonte si riuscì a scorgere il piccolo villaggio. Entusiasmata, Nola accelerò il passo, ma il sentiero era troppo sdrucciolevole e cedette di lato.

Nola sentì la terra mancarle sotto i piedi, finché non si ritrovò a rotolare per una scarpata.

Quando riaprì gli occhi, per un momento credette di sognare. Davanti ai suoi occhi si trovava un meraviglioso ragazzo dai capelli corvini, con gli occhi di diverso colore, uno grigio e uno viola.

La ragazza si mise a sedere, dolorante e sporca di terra.

- E tu chi sei? – chiese il ragazzo, chinandosi verso di lei.




Vi è piaciuto il primo capitolo? Spero tanto di si! Lasciatemi tante recensioni, anche chi non lo avesse apprezzato (le critiche sono molte volte costruttive!) ^^

Grazie per averlo letto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Nola si massaggiò la testa. Sotto le dita sentiva crescere un bernoccolo. Sicuramente durante la caduta aveva urtato contro qualcosa. Tuttavia non era quello il pensiero che occupava la sua mente: davanti a lei si trovava il più bel ragazzo che avesse mai visto!

- Allora, hai perso la voce? Ti ho chiesto chi sei! – esclamò il ragazzo, senza alcun segno di prepotenza, solo molto divertito.

- Sai, non mi capita spesso che le ragazze mi cadano nell’orto, però potrei farci l’abitudine!-

Nola cercò di rimettersi in piedi, ma era ancora scombussolata, perciò tornò con il sedere sugli ortaggi. Il ragazzo allungò una mano per aiutarla ad alzarsi.

Appena le mani dei due si sfiorarono, un lampo di luce attraversò lo sguardo del ragazzo.

- Ma tu…tu sei… - esclamò, improvvisamente fattosi serio. Prese Nola per una mano, e la trascinò all’interno della piccola fattoria alle loro spalle.

Il ragazzo aprì la porta con un tonfo, e la spinse su un divano.

- Tu sei una Starlight! Una Luce Stellare! – esclamò lui, con espressione grave.

Nola sgranò gli occhi. – E tu come fai a saperlo? – chiese, cercando di far uscire una voce dignitosa.

- Io…ho letto nella tua mente…- disse a bassa voce, poi come se avesse fatto qualcosa di grave, si affrettò subito ad aggiungere: - Ma guarda che non l’ho fatto apposta! Lo giuro, non volevo farlo di proposito! –

A Nola non interessava minimamente che lui l’avesse fatto di proposito o no, quanto il fatto che sapesse leggere per davvero i pensieri di un’altra persona! In tutto il mondo erano pochissimi quelli che possedevano questo potere!

Improvvisamente Nola sentì minacciato il suo segreto. Aveva nascosto di essere una Starlight a tutti, persino al vecchio Talbot, che era stato così buono e gentile con lei.

- Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me. – disse il ragazzo, sorridendole dolcemente.

- Hai di nuovo letto nei miei pensieri? Stavo pensando esattamente quello! –

- In realtà il mio potere funziona solo se c’è il “contatto”… In realtà più di leggere i tuoi pensieri ho letto l’espressione che avevi in viso…-

Nola arrossì e abbassò gli occhi a guardarsi le scarpe.

- E comunque non avrei alcun vantaggio a svelare il tuo segreto, perché anche io sono come te. Sono una Starlight! –

Nola non credette alle sue orecchie. Era più di quanto il suo cuore potesse sopportare.

Improvvisamente i suoi occhi si colmarono di lacrime, e in un attimo scoppiò a piangere.

- Tu sei una Starlight! – esclamò tra i singhiozzi. – Io… credevo che fossero tutte estinte, come… come è successo a mia nonna! –

Il ragazzo poggiò la sua mano sulla spalla della ragazza, per consolarla. Nella sua mente balenarono immagini di una signora anziana ma arzilla, vestita con abiti campagnoli e un cappello di paglia, che passeggiava con una bambina piccola, molto somigliante a Nola da grande, ma senza quell’espressione di sofferenza in volto.



Quando si fu calmata, il ragazzo si sedette sul divano, accanto a lei.

- Non mi hai ancora detto come ti chiami. – disse Nola, asciugandosi gli occhi.

- Il mio nome è Shia! – disse stringendo la mano alla ragazza.

- Sono contento che tu mi trovi un bel ragazzo! – aggiunse poi, dopo qualche secondo di lettura della mente. Nola lasciò la presa, arrossendo nuovamente.

- Devi ammettere che è divertente! – rise, facendo l’occhiolino alla ragazza.

- Io mi chiamo… - fece lei, finalmente sorridendo, ma Shia la interruppe. – So già il tuo nome, Nola… -

- C’era da aspettarselo…- sospirò Nola, lasciandosi sprofondare nel divano.

Shia si alzò, e percorse il piccolo salotto a grandi passi.

Certo che è davvero alto!” pensò Nola, osservandolo.

- Senti Nola, se non ti dispiace vorrei sapere come mai sei diventata una Starlight. Nei tuoi ricordi ho visto che lo era tua nonna, ma poi lei…-

La ragazza chiuse gli occhi, poi trasse un sospiro e si alzò. Si avvicinò ad una finestra. Il sole era tramontato quasi del tutto, dietro la foresta buia e spettrale.

- Fin da piccola ho vissuto con mia nonna. Praticamente mi ha allevata lei, visto che sono rimasta orfana all’età di due anni. Essendo la mia unica parente ancora in vita venni affidata alle sue cure. A quel tempo, lei era la Starlight dell’Acquario, Aquarius. Era una sorta di sindaco per la città di Hideshire, ed era stimata da tutti. Mi diceva sempre che dopo di lei, quella carica sarebbe passata di diritto nelle mie mani.

Poi, arrivò finalmente il giorno della cerimonia ufficiale, quando il potere di Starlight passava di diritto da mia nonna a me. La cerimonia era davvero magnifica! Tutti i partecipanti indossavano abiti bianchi con dei disegni d’argento, e la nonna aveva intrecciato dei fiori bianchi tra i miei capelli… -

- Ti stavano benissimo! – mormorò Shia.

- Grazie… - disse lei, poi continuò. – Proprio nel momento culminante, quando stavo per ricevere i poteri, fummo attaccati. Un uomo molto alto, vestito completamente di nero, con i capelli corti, ma soprattutto ricordo che aveva un paio di occhi azzurri e freddi come il ghiaccio…- Nola non riusciva a continuare, e dai suoi occhi scesero calde lacrime che le inondarono il viso.

Shia si avvicinò a lei, e le posò le mani sulle tempie, e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, poggiò il mento sulla testa della ragazza, e fece aderire il suo corpo con la schiena di lei. Era strano, ma quel calore la tranquillizzava.

Quello che vide Shia fu un massacro totale: la maggior parte delle persone era riversa per terra in un mare di sangue, e la nonna della ragazza era trapassata da parte a parte da una gigantesca lama metallica, che, come scoprì in seguito Shia, era il proseguo del braccio dell’uomo in nero. La nonna era ancora viva, e cercava di dire qualcosa.

- Nola, ti voglio tanto bene! Ti prego, cerca di vivere anche per me… - e allungando un braccio verso la ragazza, fece esplodere un’onda di luce dalla propria mano, pervadendola di un caldo tepore, che venne completamente assorbito dal corpo di Nola.

La ragazza svenne subito dopo, ma prima di chiudere gli occhi, un’immagine balenò davanti ai suoi occhi velati di lacrime: dei fiori bianchi strappati e sporchi di sangue.



Shia, con gli occhi lucidi per la commozione, staccò le mani dalle tempie della ragazza.

Nola si asciugò gli occhi, e si voltò verso di lui. – Mi dispiace per averti turbato… -

- Non preoccuparti! – rispose lui, sorridendo. – In questi casi sai cosa ci vuole? Una cioccolata calda, con tanta panna sopra! E non dirmi che sei a dieta, perché non ci credo! - esclamò, dirigendosi in cucina.

Lei lo seguì, tornata un po’ di buon umore.

Appena le cioccolate furono pronte, i due si sedettero al piccolo tavolo circolare della cucina.

- E così, sei uno scapolone! Ho notato che non ne azzecchi una in fatto di arredamento! – disse Nola, sorridendo nel guardarsi intorno e notando un mucchio di stili diversi stipati tutti nella stessa stanza.

- Ma che dici! Non sono ancora in età da marito! – esclamò lui, facendo la voce da donna. - Scherzo! Comunque ho solo ventun’ anni, sono ancora giovane! –

- Davvero? Mi sento una bambina al confronto… Io ne ho appena compiuto sedici!–

Shia soffocò una risata. – Sedici? Piccola! – disse, poggiandole una mano sulla testa come si fa con i bambini. Poi il ragazzo ebbe un fremito e sorrise ancora più divertito, mentre Nola arrossiva.

- Con me non funziona il trucchetto di pensare le cose e non dirmele, tanto le verrò a sapere comunque! –

- Uffa! E va bene! Ho pensato che le tue mani sono davvero grandi! –

- E poi? –

- E poi… che mi piacciono! – mormorò imbarazzata, e si alzò, andando a lavare le tazze. Dopo un attimo di silenzio imbarazzante, Nola esordì: - Shia… Parlami di te, dopotutto tu hai letto nella mia mente, e più o meno conosci la mia storia, ma io non so niente di te… -

Shia rise, e si stravaccò ben bene sulla sedia, poggiando i piedi sul tavolo, ma ad un cenno torvo della ragazza si affrettò a rimetterli al loro posto.

- Dunque… Per cominciare, mi presento: io sono la Starlight dell’Ariete, Aries. Sono nato nell’Impero del Fuoco, ma quella è sempre stata una terra in tumulto, perciò io e la mia famiglia, madre, padre, io, mia sorella e mio fratello, ci trasferimmo nel Regno della Terra. Probabilmente loro vivranno ancora lì, ma io non potevo restare con loro, li avrei solo messi in pericolo. Anche io, come tua nonna, sono stato attaccato da creature strane, perciò mi sono rifugiato qui, nella Repubblica dell’Aria, e mi sono mascherato da contadino. Devo dire che fare questa vita mi piace sempre di più. Certo, ho nostalgia dei miei, e spero che un giorno possa tornare a trovarli! –

Nola pendeva dalle labbra del ragazzo, e quando terminò il racconto, fu come risvegliarsi da un sogno.

- Forse ho capito cosa provi quando leggi il ricordo di una persona… - mormorò, rapita.

A quelle parole, Shia assunse un’espressione dura e serrò la mascella.

- Non credere che sia un potere straordinario, il mio. Da quando sono piccolo, non faccio altro che sapere le cose della gente, e finché sono cose piacevoli… Ma quando cominci a sentire tutto il dolore e tutta la sofferenza delle persone, ti accorgi che non è così bello come si pensa. Sentire i tormenti degli altri è come provarli sulla tua stessa pelle… Come se tu stessa avessi provato quelle sensazioni… -

All’improvviso alla ragazza vennero i sensi di colpa.

- Oh, no! Allora quando tu hai letto i miei pensieri… -

Shia le sorrise dolcemente, e le diede un buffetto sulla testa.

- Con te è diverso, non so perché, ma mi hai fatto passare la tristezza in un momento! –

I due rimasero in silenzio per un po’, poi Nola vide l’orologio appeso alla parete della cucina.

- Accidenti! È tardissimo, sono già le otto meno un quarto! Ti ringrazio per la tua ospitalità, ma è ora che vada! –

- E dove vorresti andare? Ormai è buio! –

- Al villaggio dei mercanti. Un vecchio fattore mi ha assicurato che mi offriranno ospitalità… -

- Non se ne parla neanche! Mentre tu te ne vai in giro, quelli di Hansenouth potrebbero tornare indietro con il camion e prenderti per strada! Sicuramente dall’orfanotrofio avranno diffuso un tuo identikit o qualcosa del genere… -

- E tu come le sai queste cose? –

- Quando ti ho aiutata a rialzarti, nel mio orto, ho letto i tuoi pensieri, e oltre ad aver saputo che sei una Starlight, ho visto sprazzi di ricordi alla rinfusa, ho visto l’orfanotrofio, il vecchio fattore, un furgone bianco. –

Nola rimase in silenzio, pensierosa.

- Non posso comunque restare qui, potrei coinvolgerti, e questo non mi farebbe piacere. –

Shia le si avvicinò, la prese per le spalle e avvicinò il viso a quello di lei. Dovette chinarsi, perché era molto più alto della ragazza.

- Non ti devi preoccupare di niente, finché starai qui sarai protetta anche tu. E poi ricorda, le Starlight si proteggono a vicenda! –

- Anche gli amici! – disse Nola, con un sorriso.



I due prepararono la cena e mangiarono guardando la tv, poi quando il sonno si fece sentire, Shia prese delle coperte e un cuscino da un armadio e le sistemò sul divano.

- Nola, la mia camera è in quella porta a destra. – disse, indicandola. – Io dormirò qui sul divano, tu puoi dormire nel mio letto. –

- Non se ne parla, è già tanto se mi ospiti a casa tua! Sul divano dormo io, e niente storie! –

A quella presa di posizione, Shia rispose con una risata di cuore.

- Se ne sei così convinta… Piuttosto, non cadrai per caso? La mattina non voglio trovarti per terra! –

Questa volta fu il turno di Nola, per ridere. Poi spinse a forza Shia nella sua camera e fece per chiudere la porta.

- Buona notte! – disse.



Il sole non era ancora sorto, ma la porta di Shia si aprì piano, senza cigolare.

Il ragazzo attraversò in silenzio il soggiorno, quando vide che la coperta di Nola era quasi tutta caduta per terra. Si avvicinò al divano e si chinò. Lei respirava regolarmente, e in viso aveva un’espressione serena, come non le capitava da troppo tempo ormai.

Shia le rimboccò le coperte e, prima di rialzarsi, le sfiorò con dolcezza una guancia. Poi, senza il minimo rumore, aprì la porta d’ingresso e uscì di casa.



Nola si svegliò, disturbata da un raggio di sole che la colpiva in viso. Spettinata e scombussolata, si alzò dal divano. Per la stanchezza della sera prima, non ricordava nemmeno il momento in cui si era messa il pigiama e aveva abbandonato gli abiti su una poltrona.

Andò in cucina, ma era vuota. Guardò l’orologio: le otto meno cinque.

Starà ancora dormendo…” pensò, e corse nella camera di Shia. Bussò, ma non rispose nessuno.

- Shia! – chiamò lei, ma ancora nessuna risposta. Aprì la porta di scatto, ma la stanza era vuota. Il letto era sfatto, e gli abiti erano sparpagliati un po’ dappertutto.

Ma dove si sarà cacciato?”

Andò anche in bagno, ma era vuoto anche quello.

Nola iniziò a preoccuparsi. Era rimasta da sola in una casa che non le apparteneva, per di più Shia non le aveva lasciato nemmeno un avviso o qualcosa del genere.

Aprì la porta e corse fuori, in pigiama e ciabatte.

- Shia! – gridò, scoraggiata.

- Dimmi! – rispose lui.

Nola si voltò, in cerca del ragazzo, confortata dall’averlo ritrovato. Lo vide che zappava nell’orto.

- Ma cosa ti è saltato in mente? Non mi avvisi neanche che stai uscendo? Mi sono spaventata, sai? –

- Guarda che non ero poi così lontano…- disse lui, indicando la finestra del soggiorno. Era ad un passo dal suo naso.

Nola rimase a bocca aperta.

- Se invece di aggirarti per casa come una forsennata, avresti guardato dalla finestra, mi avresti notato subito! Pensa che credevo cercassi il bagno! –

- Mi hai vista?! – chiese lei, arrossendo.

Ma perché non ci ho pensato subito? Come avrebbe potuto andarsene e lasciarmi qui!”

- Sono stata una scema! –

- No… - fece lui, mentre insieme tornavano in casa.

- Ma scusa, che ci facevi li fuori? –

- Stavo zappando… Ogni mattina verso le sei vado a curare l’orto. Se andassi più tardi, morirei di caldo! –

- Preparo la colazione. – disse Nola.

- Allora io vado a farmi la doccia, sono abbastanza pieno di terra! –



Mentre Nola scaldava il latte e preparava i cereali e il pane imburrato, dal bagno proveniva solo il rumore dell’acqua che scorre.

Non posso restare qui per sempre… Dirò a Shia che è stato molto gentile, ma che ora devo proprio andare! Non voglio diventare un peso per tutte le persone che incontro. Andrò al villaggio dei mercanti e mi cercherò una casa e un lavoro…”

- Attenta! Ma che stai facendo? – esclamò Shia, che nel frattempo l’aveva raggiunta.

Nola stava prendendo il pentolino bollente del latte a mani nude, senza una presina ne uno straccio.

- Ah! – lei non se ne era nemmeno accorta, talmente era immersa nei suoi pensieri.

Shia prese il pentolino e versò il contenuto in due tazze.

- Ma scusa, e tu come fai a prenderlo senza protezione? –

- Il fuoco è il mio elemento, e di conseguenza il calore non mi fa niente. Potrei toccare le fiamme del camino e non farmi niente! –

La ragazza capiva bene. Ogni Starlight era dominata dall’elemento a cui apparteneva, infatti anche lei era molto condizionata dall’aria.

Nola lo aveva notato subito, ma ora che guardava Shia, se ne rese conto ancora di più. Era davvero un bel ragazzo…

- Hai ancora i capelli bagnati! Asciugateli, o prenderai il raffreddore! – esclamò lei, all’improvviso.

- Non preoccuparti, sono abituato, e poi, io non possiedo un phon… -


- Senti, verresti con me al villaggio dei mercanti? Devo vendere un po’ di verdura! – disse Shia, finita la colazione.

Quella era un’occasione perfetta! Appena raggiunto il villaggio avrebbe spiegato tutto a Shia e si sarebbero separati. Certo le dispiaceva un po’, stavano diventando amici, ma essere di peso a qualcuno le dava molto fastidio.

- Va bene, verrò! –

Inaspettatamente, si sentì un gran raspare alla porta d’ingresso. Incuriosito, Shia andò ad aprire. Subito schizzò dentro una figura molto piccola e veloce, che in un baleno si lanciò tra le braccia di Nola e la fece cadere per terra.

- Boris! – esclamò lei, abbracciando stretta il segugio, mentre Shia, perplesso e divertito, chiudeva la porta.

- Ma che ci fai qui? – chiese lei, intanto che il cane non smetteva di leccarle la faccia.

- Ti avrà seguita con il fiuto! – immaginò Shia.

- Hai lasciato Talbot da solo? Sai che ha bisogno del tuo aiuto! –

A quelle parole, il cane si fece serio e cominciò a guaire. Boris capiva davvero quello che dicevano le persone, era molto intelligente.

- Che succede? – chiese Nola, cercando di calmarlo.

Shia si avvicinò e si sedette accanto a loro.

Boris continuava a guaire, come se volesse dire qualcosa.

- Posso? – chiese Shia, allungando le mani verso il capo del cane.

Nola annuì.

Il ragazzo sfiorò la testa di Boris e chiuse gli occhi.

Vide una piccola fattoria, un furgone bianco era parcheggiato davanti.

Vide Talbot che parlava con due uomini, che portavano la divisa da infermieri. Discutevano animatamente, poi uno dei due infermieri tentò di entrare in casa, ma il vecchio glielo impedì. L’altro infermiere allora gli diede una spinta molto forte, e fece cadere il vecchio, che colpì la ringhiera in legno del porticato. Talbot cadde a terra, mentre una macchia di sangue si espandeva pian piano sotto di lui.

Gli infermieri entrarono in casa, ma ne uscirono poco dopo, insoddisfatti e infuriati. Non avevano trovato ciò che stavano cercando.

Nell’andarsene, scavalcarono il corpo di Talbot, che era ancora vivo, ma respirava a fatica. I due si misero a confabulare, poi, divertiti, si accesero una sigaretta a testa, poi lanciarono i fiammiferi all’interno della casa. In poco tempo il fuoco si espanse, e per la prima volta in quel ricordo privo di suono si udì un forte lamento, unito al guaire di un cane.

Talbot e Boris piangevano insieme, per l’ultima volta.



Shia aveva gli occhi rossi e lucidi.

- Che cosa è successo? – chiese Nola allarmata, che aveva capito che qualcosa non andava.

- Non ho la forza di dirtelo, ma forse posso mostrarti… Non ho mai provato a utilizzare i miei poteri al contrario, cioè in modo da farti vedere i quello che vedo io…-

Lei prese le mani del ragazzo. – Provaci! – lo implorò.

Poi, come un fiume in piena, nella mente di Nola cominciarono a scorrere una marea di ricordi, in cui si notava molto spesso la presenza di due ragazzi, un maschio e una femmina, molto somiglianti a Shia. Finalmente arrivò il ricordo, non propriamente del ragazzo, che Nola doveva vedere.

Vide l’intero ricordo di Boris, e provò le sue stesse sensazioni.

Al termine della visione, Nola ritornò al mondo reale, ma non era più la stessa cosa. Sentiva che qualcosa si era rotto, che stava per iniziare qualcosa che andava al di là delle sue capacità, e, piena di dolore per la perdita di una persona molto cara, fece fluire all’esterno le proprie emozioni, come ultimamente stava facendo molto spesso.

Abbracciò stretta Boris, che ricominciò a guaire, e infine anche Shia si unì a quell’abbraccio, tutti e tre seduti sul pavimento del salotto.



Quando tutti si furono un po’ calmati, Shia si alzò, mentre Nola e Boris restarono ancora seduti per terra.

- Nola, sai cosa vuol dire questo? –

- Che presto passeranno di qua, vero? È l’unica strada per arrivare alla città… -

- Dobbiamo andarcene! –

- Me ne andrò solo io. Ti ho coinvolto in questa situazione assurda e vorrei non crearti più problemi… Non voglio essere rinchiusa in un manicomio solo per la crudeltà di una direttrice dell’orfanotrofio, però non posso nemmeno restare qua… -

- Aspetta! Zitta un attimo, ho sentito qualcosa! – sussurrò Shia, mentre scrutava fuori dalla finestra. Un furgone bianco stava arrivando dalla stessa strada percorsa da Boris.

- Nola, devi nasconderti! – esclamò Shia. – Stanno arrivando! –

Il ragazzo scostò il tappeto che ricopriva il pavimento del soggiorno. Nascondeva una botola. Scese prima Boris, poi tenendola saldamente per le braccia, il ragazzo aiuto Nola a calarsi giù.

- Non preoccuparti! Andrà tutto bene! – la rassicurò lui, che aveva percepito la paura della ragazza. Poi nella botola gettò anche tutte le cose appartenenti alla ragazza, abiti, oggetti, tutto, insomma.

Chiuse la botola e vi stese nuovamente il tappeto sopra.

Non passò molto tempo che qualcuno bussò alla porta.

Shia andò ad aprire. Erano gli stessi infermieri che avevano dato fuoco alla Fattoria delle Margherite.

- Buon giorno, desiderate? – chiese Shia, con un sorriso, senza tradire la minima emozione.

- Salve, cerchiamo questa ragazza, per caso l’ha vista? – disse uno dei due, mostrando un manifesto al ragazzo. Sopra era stampata una foto di Nola, e sotto erano elencate le sue generalità.

Lui studiò il manifesto, con apparente interesse.

- Mi dispiace, temo proprio di non averla mai vista… -

Il secondo infermiere tirò fuori un foglio.

- Possiamo perquisire la sua casa? Abbiamo un permesso speciale concesso direttamente dal tribunale dei minori. Si da il caso che la ragazza non sia ancora maggiorenne. –

- Prego, fate pure. –

Nola aveva seguito l’intero discorso da sotto la botola.

Speriamo che non scoprano il mio nascondiglio!”

Gli infermieri entrarono in casa e si divisero. Uno andò verso la camera e il bagno, l’altro restò nel salotto e in seguito si diresse verso la cucina.

Shia si posizionò esattamente sopra l’apertura della botola.

- Qui non c’è niente! – gridò uno, e l’altro lo raggiunse. – Neanche di là, possiamo andare.-

Gli infermieri si diressero verso la porta.

- Tenga questo. – disse uno a Shia, e gli mise in mano un manifesto con la foto di Nola. – E se per caso la avvista, ce lo dica. –

- D’accordo. E buon lavoro! – disse, porgendo la mano all’infermiere.

Lui, perplesso, gliela strinse, poi se ne andò assieme all’altro, chiudendosi la porta alle spalle.



- Sanno che tu sei una Starlight! – disse Shia a Nola, dopo che lei e il cane furono usciti dal nascondiglio.

Nola non credeva alle sue orecchie. Quel giorno aveva ricevuto troppe brutte notizie, e questo non andava bene. Si accasciò sul divano, stremata da tutte quelle emozioni che l’avevano colpita contemporaneamente.

Paura, odio, trepidazione, gratitudine, felicità nel rivedere Boris, non ce la faceva davvero più.

- Come è possibile che lo sappiano? – chiese, più a se stessa che a Shia.

Ma lui non era più in salotto. Era nella sua camera, e riempiva una valigia con qualche vestito e qualche effetto personale.

- Dobbiamo andarcene. È possibile che restando qui ci possano trovare. Ancora non sospettano che sono anch’io una Starlight, ma con un po’ di fortuna potrebbero accorgersene. –

- Ma dove andiamo? E come, soprattutto? – chiese lei, che aveva la valigia già quasi pronta.

- Andiamo ad Alder, è una città poco lontana da qui. È troppo grande per poter perquisire ogni abitazione esistente… -

- Ma come possiamo raggiungerla? Siamo a piedi, e abbiamo anche i bagagli, e non abbiamo soldi e… -

- Basta con tutti questi “e”! – gridò Shia. Era furioso.

- Scusa… - disse poi, notando l’espressione spaventata di Nola. – Il fatto è che ho i nervi a fior di pelle e sono nervoso. Ti fidi di me? –

Lei annuì.

Shia prese le valigie (la sua e quella di Nola) e uscì dall’abitazione. La ragazza e il segugio lo seguirono. Il ragazzo entrò nel capannone dietro la casa, dove teneva gli attrezzi da contadino. Si avvicinò ad un grosso oggetto coperto da un telo impermeabile. Gettò il telo da una parte e si mise a spolverare l’oggetto. Era una moto coordinata di sidecar.

- Ha abbastanza benzina da portarci fino ad Alder. – disse, caricando i bagagli nel sidecar.

- Boris, tu siediti li. – disse, e subito il cane si sedette sulle valigie.

- Nola, tu siederai sulla moto assieme a me. –

Quando tutto fu pronto, Shia diede gas con il piede.

- Sicura di non aver dimenticato niente? –

- Sicurissima! – affermò lei, con voce ferma. Non era certo il momento di farsi vincere dalla paura. Strinse le sue braccia attorno al torace del ragazzo, e la moto partì.



Vi è piaciuto il secondo capitolo? La storia sta pian piano entrando nel vivo!


Per _JuSt_Me_: sono contenta che la mia storia ti sia piaciuta così tanto, grazie mille per il commento ^_____^

Per Ghen: ma cosa mi combini! Lasci le recensioni per le mie storie! Me lo puoi dire anche di persona!Manuela che non sei altra! :P

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Il sidecar procedeva veloce lungo la strada deserta. Ogni tanto a distanza si scorgeva una fattoria, ma la maggior parte del paesaggio era una continua distesa di campi oppure piccoli boschi.

Nola si era addormentata, con le mani ancora strette attorno al torace di Shia, e lui poteva percepire il sogno che stava facendo la ragazza. Era un episodio della sua infanzia.

Faceva collane di perline con la nonna, durante un pomeriggio molto piovoso.

- Voglio andare a giocare fuori! – esclamava Nola.

- Non si può, vedi che sta piovendo? – diceva la nonna.

Allora Nola si avvicinava alla nonna, e faceva finta di essere dispiaciuta.

- Dai nonna! Ti prego, fai una magia, una sola! –

La nonna la guardava di sottecchi, ma poi le sorrideva.

- Una sola…-

E mentre Nola esultava, la nonna si avvicinava alla finestra. Con un gesto della mano scatenava una folata di vento che in breve tempo spazzò via i nuvoloni, per far posto ad un sole splendente.

- Bravissima! Come vorrei poterlo fare anche io! –

- Quando sarai più grande potrai farlo, perché darò questo mio potere proprio a te! -

 

 

La moto ebbe uno sbalzo, e Nola si svegliò di colpo.

- Manca molto? – chiese, stropicciandosi gli occhi.

- No, guarda. – disse Shia,e alzò un braccio in direzione dell’orizzonte. In lontananza si cominciava a vedere il profilo di una città molto estesa, per niente simile alle città che conosceva Nola.

- Non mi ero mai spinta così tanto lontano da Hideshire! – mormorò.

 

 

In breve tempo giunsero finalmente ad Alder.

- E ora, che si fa? –

Questa era la domanda che si ponevano i ragazzi. Non sapevano ne dove andare, ne come sopravvivere in quella città sconosciuta. L’unica cosa certa era che Alder sarebbe stata un nascondiglio perfetto.

- Per prima cosa dobbiamo cercare un albergo. –

Shia ingranò la marcia e partì veloce con la moto, lasciandosi un polverone alle spalle.

 

 

Alder era una città molto moderna, costellata di grattacieli e di giganteschi stabili sospesi nell’aria, a cui si poteva accedere grazie ad un sistema di navicelle che funzionavano come dei veri e propri autobus.

Shia fermò la moto.

- Guarda! – fece a Nola, allarmato, e le indicò un muro.

Era ricoperto di manifesti come quello che i due infermieri avevano mostrato al ragazzo quella mattina.

- Hanno fatto in fretta! – disse Nola, sarcastica.

- Mascherano la faccenda scrivendo che sei minorenne e sei fuggita, ma la realtà è che ti cercano perché vogliono il tuo potere. –

- Che cosa?! – esclamò Nola.

- È proprio così. Ho sentito che alcune Starlight della vecchia generazione sono state uccise, proprio come tua nonna, e penso che c’entri quel manicomio, Hansenouth. Secondo me non è nemmeno un manicomio… –

Nola corrugò le sopracciglia, preoccupata.

Boris frugò tra i bagagli, e in mezzo alle cose di Shia trovò un cappello con la visiera. Lo porse a Nola con un abbaio.

- Boris, sei un genio! – disse Shia, rimettendo in moto.

 

 

Girovagarono per un po’ prima di trovare qualcosa di interessante.

Era una piccola pensioncina economica gestita da una vecchia signora e dal figlio, un uomo di mezza età.

Shia chiese una camera, e assieme a Nola e a Boris vennero condotti a destinazione.

- Mi spiace di non poterci permettere due camere separate, ma questi sono tutti i miei risparmi, e bastano a malapena per pagare questa. –

- Ma che dici! Sono io a dovermi dispiacere! Per colpa mia hai dovuto lasciare la tua casa e la tua vita e hai dovuto anche spendere dei soldi per me! Io… non so davvero come ringraziarti! –

Shia rise, con la sua solita risata felice. Tutta la sua rabbia era svanita nell’attimo in cui erano entrati nella città.

- Sarei dovuto andarmene comunque, quindi, visto che l’occasione è arrivata con te… -

Nola sorrise.

“Sono davvero fortunata ad avere un amico così!”

 

 

I due infermieri si incamminarono per un lungo corridoio bianco.

- Te l’avevo detto che dovevamo perquisire meglio la casa! Dovevamo minacciarlo, quel tipo, oppure toglierlo di mezzo… - disse il primo, torcendosi le mani.

- Ma che dici? E poi come potevamo sapere che anche lui era uno di loro? –

Arrivarono davanti ad un’alta porta bianca, che si aprì ad un loro tocco.

La stanza che si presentò loro davanti era molto spaziosa e dal soffitto alto. La parete di fondo aveva un’ampia vetrata, dalla quale si poteva vedere una lunga catena montuosa che dava sul rosso, ai piedi della quale si estendeva un immenso lago di lava. Il cielo non esisteva, perché a coprire quel paesaggio c’era una gigantesca cupola di terra.

La stanza aveva l’aspetto di uno studio: al centro c’era una scrivania in legno, mentre qua e la si trovavano divani, librerie e poltrone. In un angolo c’era un gigantesco specchio ovale, sorretto da due zampe di leone di ottone lucidato.

- Che notizie avete? – chiese con tono autoritario la ragazza seduta alla scrivania. Si dondolava sulla sedia e aveva i piedi incrociati e poggiati sullo scrittoio.

I due infermieri trasalirono.

- Ecco… la ragazza, abbiamo perso le loro tracce… Ma abbiamo diffuso il suo identikit alle forze dell’ordine della Repubblica dell’Aria… -

La ragazza giocherellò con una ciocca dei suoi capelli corvini, disinteressata.

- Scusi… signorina Morgan, ci chiedevamo se… se potevamo andare… - 

- Fatemi capire una cosa… Siete venuti fin qui per riferirmi solo questo e pretendete anche di andarvene senza ricevere alcuna punizione? –

I due sussultarono nuovamente, ma in quel momento, dallo specchio uscì fuori un uomo alto, dai corti capelli neri.

- Dray! – esclamò Morgan, dimenticandosi dei due sventurati e correndo incontro al nuovo arrivato.

I due si strinsero in un abbraccio, e Dray chinò la testa sulla ragazza, fino a raggiungere le sue labbra con le proprie.

Quando si sciolsero da quel bacio appassionato, Dray si voltò verso gli infermieri.

- E voi che avete da guardare? Andatevene! – li intimò.

I due non se lo fecero ripetere due volte, e se la diedero a gambe.

- Sono stufa di questa messinscena. Sai, mi dispiace moltissimo trattarli in quel modo, ma se non lo facessi, Langarth potrebbe maturare qualche sospetto su di noi... - disse Morgan, mentre si sedeva sulle ginocchia di Dray, che si era insediato sulla poltrona della scrivania.

- Non preoccuparti. Entro breve saremo liberi e non dovremmo più sottostare a quell'uomo malvagio. –

- Allora? Novità? – chiese la ragazza.

- Sono riuscito a trovare due Starlight nella città di Alder, e sospetto che ce ne sia anche una terza, ma non ho capito a quale costellazione appartiene… -

- Beh, se non altro hai scoperto molte più cose di quei due infermieri messi insieme!–

Dray giocherellò con una ciocca di capelli di Morgan.

- Lo ammetto! Sono fantastico! –

- Non montarti la testa! E ricorda. Voglio che ci sia anche tu, quando li sconfiggeremo, la tua presenza mi fa combattere decisamente meglio! –

 

 

Nola si avvolse nelle coperte e si raggomitolò sulla poltrona. Era riuscita a convincere Shia a non fare il cavaliere, così fu il ragazzo che occupò il letto, anche se i piedi gli spuntavano fuori. Boris si accontentava di una coperta ripiegata che gli faceva da giaciglio, ai piedi della poltrona.

 

 

La ragazza aprì gli occhi: qualcosa non andava. Per cominciare si trovava in posizione orizzontale, e non accoccolata sulla poltrona. Alzò il busto. Si trovava nel letto, mentre Shia dormiva tranquillo nel posto dove avrebbe dovuto essere lei. Durante la notte, lui l’aveva presa di peso e cambiata di posto, e lei non se ne era nemmeno accorta!

Sorrise. Sentiva che l’affetto provato per quel ragazzo cresceva sempre di più nel suo cuore.

“ Chissà se sarà felice di sapere che lo considero il mio più caro amico!” pensò.

Sembrava proprio un bambino, rincantucciato e avvolto dalle coperte, mentre sorrideva facendo chissà quale sogno.

“ Bene, oggi cercherò un lavoro e una casa! Non posso sempre vivere a spese di altri.”

Andò in bagno, e quando tornò, vide che Shia si era svegliato, e così anche Boris.

- Con te faccio i conti dopo! – disse al ragazzo, fingendosi arrabbiata.

- Mi hai messa sul letto senza il mio consenso! –

- Beh, vedi… Io sono troppo alto, e il letto è troppo piccolo… Ma tu ci stavi così bene che ho pensato di scambiarci…-

- Andiamo a fare colazione! – disse Nola, cambiando discorso, mentre lo tirava per un lembo della maglia.

 

 

Dopo aver fatto colazione ed essersi preparati, i due con il cane appresso, fecero un giro a piedi per la città. Nola si coprì il viso con il cappello, per non farsi riconoscere, visto che il manifesto che la ritraeva era stato molto più diffuso di quanto pensassero.

Improvvisamente a Nola venne in mente che non conosceva il motivo per cui Shia fosse diventato una Starlight, così provò a chiederglielo.

- È stato quando ero molto piccolo… Ti ho detto che ho un fratello e una sorella… Beh, avevo anche un altro fratello, molto più grande di me. – fece una pausa, prendendo il respiro.

- Le Starlight sentono quando è il momento della loro… “dipartita”, e fanno in modo di trovare un successore degno di questo potere. In genere si sceglie la persona a cui si tiene di più, ma a volte può capitare che per necessità si tramandi il potere in gran fretta, e così può sopraggiungere in mani sbagliate.

Mio fratello era affetto da una malattia che lo alterava pian piano… Fino a quando arrivò il giorno in cui fu costretto in un letto di ospedale. Non potemmo più giocare insieme, andare per campi, correre in bici… Non ci fu nessuna celebrazione o cerimonia ufficiale. Semplicemente mi inondò con la stressa luce calda che hai ricevuto tu, Nola, e così, mio fratello divenne una persona normale come le altre.

Morì due giorni dopo.

Dopo questo fatto, io e la mia famiglia ci trasferimmo nel Regno della Terra, e questo è tutto. –

 

 

Il cuore di Nola si sciolse come neve al sole.

Allora c’era qualcuno che capiva il suo stato d’animo. Shia poteva capire che cosa si provava standosene raggomitolati in un angolo a pensare che la persona più importante della propria vita se ne era andata, e non sarebbe mai tornata.

In un impeto d’affetto, Nola corse verso il ragazzo e gli cinse il torace con le braccia. Era talmente bassa che la sua testa arrivava a malapena alle scapole di lui.

In quel gesto, la ragazza cercò di infondere tutto l’affetto e la compassione di cui era capace, e questo fece molto piacere a Shia, che la canzonò scherzosamente.

- Non vorrai metterti a piangere, vero? Altrimenti bagnerai la mia maglia preferita! –

- Scemo! Volevo solo consolarti! – esclamò lei, dandogli un finto pugno.

 

 

- Guarda! Forse qui troviamo qualcosa! –

Nola indicò la vetrina di un bar, su cui era attaccato un cartello scritto a mano:         “ Cercasi con urgenza cameriera/e anche senza esperienza”

- È perfetto! – disse Shia, entrando nel locale.

Era un caffè molto carino. Semplice e pulito, all’interno sembrava una piccola baita. Davanti al bancone si trovavano tanti piccoli tavolini accompagnati da sedie nello stesso stile, disposte ordinatamente attorno.

Al bancone, stava un giovane che asciugava dei bicchieri.

- Buon giorno, volevamo chiedere informazioni riguardo il cartello in vetrina. L’offerta è ancora valida? – chiese Nola.

Il tizio al bancone alzò lo sguardo, e sorrise disperato.

- Ditemi che volete lavorare qui! Vi scongiuro! È un mese che lavoro come uno schiavo! Certo, la paga è ottima, ma che ne è della mia stima personale? Anche se oggi è un po’ vuoto, vi giuro che il locale è sempre strapieno di persone che vogliono essere servite e riverite: “ Portami quello!” mi dicono, oppure “ Non sei ancora arrivato? Vorremmo ordinare!”. Credetemi, lavorare da solo è una tragedia! –

Il tizio continuò a parlare come una macchinetta, nervoso e felice al contempo. A Nola scappò un sorriso, mentre Shia dovette uscire fuori e ridere come un matto, ma il cameriere non se ne accorse nemmeno, sfogandosi con loro di tutti i suoi problemi.

- Può assumerci entrambi? – chiese Nola, quando il ragazzo aveva apparentemente esaurito ogni problema personale di cui poteva discutere. Shia nel frattempo si era calmato, ed era rientrato al negozio.

- Certo! È una cosa meravigliosa! Aspettate un attimo, chiamo il capo. -

Il ragazzo diede le spalle ai due, si tolse il  grembiule da cameriere e si sistemò il papillon, poi si voltò nuovamente verso di loro.

- Salve, sono il capo. –

A quelle parole Shia dovette correre nuovamente fuori a ridere, mentre Nola lo fece dentro.

- Scusami! – disse, asciugandosi le lacrime che le erano scese per il divertimento. – È che mi hai colta impreparata! –

Shia tornò dentro, ancora con i brividi della risata.

- La gente mi guardava male, perciò sono dovuto rientrare…-

Nel bar entrò un cliente.

- Allora, descrivimi le mansioni che ci affiderai, la paga e i giorni di vacanza… - disse Shia, ma qualcuno li interruppe. Era la persona entrata al bar un attimo prima.

Era una ragazza alta pressappoco come Nola, forse qualche centimetro in più. Aveva i capelli e gli occhi dello stesso colore: un intenso e brillante verde smeraldo.

Era vestita molto alla moda e sembrava anche abbastanza ricca.

- Mi dispiace, te li rubo per un attimo! – fece al cameriere, con un sorriso ammiccante.

Spinse i ragazzi verso un tavolo e li costrinse a sedersi.

- Si può sapere chi sei tu? – chiese Nola, per niente contenta del trattamento riservatogli.

- Io mi chiamo Wythe, e sono la Starlight della Bilancia, Libra. So che anche voi siete delle Starlight… –

- Che cosa? – esclamò Nola, ma la sua bocca venne tappata dalla mano di Wythe.

Shia era perfettamente controllato. Alcuni clienti del bar si voltarono nella loro direzione.

- Vuoi farlo sapere a tutti? Non siamo al sicuro in questo posto, come non lo siamo nell’intera città. –

- Per quale motivo? –

Wythe si guardò intorno, per controllare che nessuno li stesse ascoltando, e proprio mentre stava spiegando il motivo, fu interrotta da Nola.      

- Come facciamo a sapere che tu sei davvero una Starlight e non ci vuoi ingannare? –

- Ci penso io. – la tranquillizzò Shia e si protese verso l’altra ragazza. Lei, timorosa, si ritrasse.

- Non preoccuparti, io leggerò nella tua mente. –

Posò due dita su una tempia di Wythe, e poco dopo le ritirò.

- Dice la verità, possiamo fidarci. –

- Allora, stavo dicendo… Le spie di Langarth sono dappertutto, e potrebbero sentirci… -

- Le spie di chi? – chiesero i due in coro. Speravano di aver capito male!

- Uffa, ma voi non sapete niente? – esclamò Wythe, seccata. – Se venite a casa mia vi spiegherò tutta la faccenda dall’inizio. Solo una cosa: se il vostro cane fa i bisogni sul tappeto, lo sbatto fuori! –

 

 

I ragazzi uscirono dal locale, rinunciando a conoscere i particolari sul loro lavoro.

- Stasera ci torneremo, così ci faremo spiegare tutto per bene. – disse Shia.

- Da che parte si va per casa tua, Wythe? – chiese Nola.

- Perché, vorresti andarci a piedi? – chiese la ragazza, mascherando un risolino di scherno.

- No di certo, tra poco arriverà la mia limousine personale a prenderci! – fece Nola, ridendo.

- Se permetti, arriverà la MIA limousine personale. –

Nola e Shia guardarono quella ragazzina con gli occhi fuori dalle orbite. Allora quella tipa era davvero ricca sfondata!

 

 

Il tempo passava, ma dell’auto nemmeno l’ombra. Finalmente si vide un luccichio in lontananza: era la parte anteriore di una lussuosissima auto nera lucente, che si fermò proprio davanti a loro.

- Finalmente! – sospirò Wythe.

L’autista scese dall’auto, e con un gesto elegante aprì la portiera posteriore, da cui i ragazzi entrarono dentro.

Wythe rimase fuori.

- Chi è lei? – chiese all’autista, che teneva calato il berretto sugli occhi.

- Mi perdoni signorina, ma il suo autista, Andrew, ha avuto un contrattempo, così il signore, vostro padre, mi ha chiesto la cortesia di venire a prenderla io. –

Lei ci pensò un po’.

- Va bene. Subito a casa, per favore. – disse, dopo un attimo di perplessità, salendo in auto.

 

 

- Volete un succo? – chiese Wythe, aprendo un piccolo frigo bar che si trovava incassato all’interno dell’auto. Dall’esterno non sembrava, ma all’interno quell’auto era davvero grande e spaziosa. I sedili formavano un semicerchio, dove ci si poteva anche sdraiare comodamente e fare un sonnellino. La loro zona era separata da quella dell’autista da un pannello automatico, che si alzava e si abbassava proprio come i finestrini.

- Allora, volete qualcosa da bere? – chiese Wythe con un sorriso.

Shia e Nola accettarono di buon grado.

- Com’è che ora sei tutta gentile e prima eri più… come posso dire… fredda? – chiese Nola, sorseggiando un fresco te alla pesca.

- Dovete scusarmi, è che quando sono entrata in quel bar ho avuto la sgradevole sensazione di essere osservata, e questo mi ha reso nervosa… -

- Parli delle spie di quel tipo? Langarth? –

Wythe annuì.

 

 

La macchina procedeva spedita per una strada a quattro corsie. Ormai erano fuori dalla città di Alder.

- La mia piccola villa è un po’ fuori mano, ma ci si arriva tranquillamente percorrendo questa strada. -

Il panorama era completamente diverso da quelli che aveva potuto ammirare Nola fino a quel momento. Al posto delle tranquille fattorie sparse per la campagna, si trovavano invece degli edifici dalla strana architettura, e quelli che da lontano sembravano filamenti di metallo, in realtà erano i fumaioli di stabilimenti ecologici.

Improvvisamente la limousine imboccò una strada di campagna stretta e non asfaltata.

Wythe si alzò all’improvviso. Aprì il pannello automatico e si rivolse all’autista.

- Ma dove sta andando? Doveva imboccare il secondo incrocio, non il primo! –

L’autista sorrise. – Non si preoccupi, è una scorciatoia suggeritami dal vostro amico Andrew. –

Wythe tornò a sedersi, e richiuse il pannello.

- Qualcosa non va? –

- Non so, ma improvvisamente mi è tornata la stessa sensazione che ho provato al bar… -

 

 

Dopo aver percorso un lungo tratto di strada polverosa, l’auto si fermò in un largo spiazzo fangoso, dove ad attenderla c’era una ragazza dai capelli corvini, che teneva le braccia incrociate sul petto.

I ragazzi e il cane scesero dalla limousine, senza neanche aspettare che l’autista aprisse la portiera. Subito dopo scese anche lui.

Si avvicinò alla ragazza.

- Finalmente sei arrivato Dray, mi stavo annoiando! Questo tipo è davvero scatenato, pensa che ho dovuto legarlo per non correre rischi! – disse lei, stringendo un braccio del ragazzo.

- Andrew! – esclamò Wythe, correndo ai piedi di Morgan, dove si trovava un signore di mezza età legato e imbavagliato.

- Cosa succede? Chi siete voi? – esclamò Nola, furiosa nel vedere quell’uomo trattato peggio di un animale.

Dray e Morgan si voltarono contemporaneamente verso lei e Shia.

Morgan sorrise diabolicamente.  – Lo spilungone me lo prendo io! –

- Allora io mi prendo la ragazza! – disse Dray, e si tolse il cappello, lanciandolo in aria.

Nola spalancò gli occhi: non poteva credere a quello che vedeva.

Nello sguardo di Dray riconosceva perfettamente gli stessi occhi azzurro ghiaccio che avevano fissato sua nonna fino alla morte.

Dray era l’assassino di sua nonna!

Anche Nola si tolse il cappello, e lo fece cadere per terra.

- Chi si rivede! – fece Dray, che si preparava a combattere.

Nola premette le mani sul suo petto, e iniziò ad illuminarsi di un’intensa luce blu.

Le sue mani si aprirono pian piano, e al loro interno si cominciò a formare un oggetto che si ingrandiva sempre di più, fino a raggiungere le dimensioni reali: era un’anfora gigantesca e apparentemente leggerissima, colorata di un blu molto intenso.

- Aquarius! – esclamò lei, e subito un getto potentissimo di aria venne sprigionato dall’anfora. Questo getto d’aria avvolse Dray improvvisamente, ma sembrava non sortire alcun effetto.

Nel frattempo Anche Shia si illuminò di una strana luce, di colore rosso questa volta, e dal palmo della sua mano uscì un lungo bastone in legno, sulla cui sommità svettava la testa di un ariete, dalle corna ricurve.

- Aries! – gridò.

Morgan tracciò con la mano un cerchio in aria, e le sue dita si trasformarono in lame affilate e pronte ad attaccare. Shia si difendeva molto bene con il suo bastone, ma stava pericolosamente arretrando verso il punto in cui si trovava il povero Andrew, a cui Wythe stava togliendo il bavaglio e slacciando le corde che lo tenevano imprigionato.

“ Se non mi sposto potrebbe colpirlo!” penso il ragazzo.

 

- Se volevi farmi ridere ce l’hai fatta! Vorresti spaventarmi? Oppure cosa? – rise Dray, mentre veniva piacevolmente solleticato da quel venticello.

Nola sorrise. Improvvisamente il vento cominciò a ritornare all’interno dell’anfora.

- Cosa… cosa mi sta succedendo? – urlò Dray, che sentiva una strana sensazione invadergli il corpo. Anche lui tracciò un cerchio in aria, e al posto del suo braccio destro apparve una gigantesca lama triangolare.

Per un attimo Nola rivide quella lama inondata di sangue scarlatto. Il risucchi dell’anfora aumentò di intensità, mentre la ragazza sentiva crescere dentro di lei una fortissima sete di vendetta.

L’anfora risucchiò in breve tempo la forza combattiva di Dray, che, ormai stremato, aveva perso la trasformazione, e il suo braccio era tornato normale.

 

 

- Sai, devo ammettere che sai combattere davvero molto bene! – esclamò Morgan, schivando un fendente di Shia, che, agile e veloce, si difendeva da quella furia in gonnella.

Morgan attaccava con frenesia, senza dare un attimo di tregua al povero ragazzo, che aveva il fiatone e voleva concludere la battaglia al più presto.

All’improvviso Morgan si lanciò in un attacco frontale, ma quando le sue dita affilate erano ad un passo dal viso di Shia, lui si difese parando il bastone davanti a se.

- Mossa azzeccata! – esclamò Morgan, ma si distrasse, perché aveva notato che in quel momento Dray si era accasciato per terra, come svenuto.

Fu un attimo, e Shia la scagliò lontano. Morgan atterrò in piedi, ma ormai la sua trasformazione era svanita , e corse subito dal suo amato. Gli prese un braccio e se lo passò attorno alle spalle, poi corse verso una pozzanghera e ci si specchiò.

- Questa può andare. – fece.

Wythe, poggiò le mani sul suo  petto, e si illuminò di una luce verde.

- Aspetta Wythe, non farlo! – esclamò Shia.

Nel frattempo Morgan e Dray, privo di sensi, si tuffarono nella pozzanghera e sparirono alla loro vista.

Wythe corse nella pozzanghera, con il solo risultato di sporcarsi gli stivaletti.

- Fantastico! Li hai fatti scappare! – esclamò, furiosa.

Nel frattempo Shia e Nola si accasciarono per terra, stremati.

- Rifletti… - disse il ragazzo. – Se tu li avessi attaccati, probabilmente quella tipa ti avrebbe steso con un colpo, e noi non avremmo potuto aiutarti, perché come vedi siamo distrutti. -

Wythe si mordicchiò un labbro.

- Scusa, hai ragione… Ma ora non possiamo stare qua, voi due dovete riposarvi. Andrew, te la senti di guidare? –

L’autista annuì, riconoscente ai due ragazzi per averlo salvato.

 

 

Tutti i presenti salirono nuovamente in auto, e quella partì spedita verso la villa di Wythe.

Nola e Shia ripresero fiato, sprofondando nei confortevoli sedili.

- Come… come hanno fatto a scomparire in quella pozzanghera? Al massimo c’era qualche centimetro d’acqua! – chiese Nola, dopo aver tirato il fiato.

- Per quelli come loro è facile attraversare qualunque cosa rifletta come uno specchio e trasportarsi in qualunque posto vogliano. – spiegò Wythe.

Nola e Shia sgranarono gli occhi.

- Ma come è possibile? – fecero, in coro.

- Ve lo spiegherò quando saremo a casa, ormai manca poco. – Wythe indicò fuori dal finestrino.

La limousine si infilò in un’altra stradina sterrata.

- Siamo sicuri che sia la strada giusta? Niente scorciatoia o robe simili? – chiese Nola, sconcertata.

Wythe rise. – No, te lo giuro! –

In effetti in lontananza si scorgeva una costruzione, ma più che somigliare alla “piccola villetta” di cui aveva parlato Wythe, somigliava ad una gigantesca reggia barocca, circondata da ettari ed ettari di foresta.

- Ahh! – sospirò la ragazza, soddisfatta. – Finalmente a casa! -  

 

 

 

 

 

 

Si è concluso anche il terzo capitolo, e finalmente c’è stato un combattimento! Sono emozionata!

Ringrazio tutti quelli che leggono questa storia, continuate a seguirmi! =^___^=

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

                

Appena la limousine entrò nel cancello della gigantesca villa, Shia e Nola provarono una strana sensazione e avvertirono un fremito.

Come se Wythe gli avesse letto nel pensiero, disse: - Non preoccupatevi, il brivido che avete sentito, è il segnale che siamo entrati dentro una barriera protettiva. Tutte le proprietà di mio padre sono circondate da barriere di questo tipo. Così i cattivi non possono entrare! –

La villa era davvero immensa. Era formata da un blocco centrale, imponente e maestoso, e da due “ali” laterali, che si curvavano un po’ verso la fine. Le due ali laterali erano sormontate da un grazioso balcone che seguiva l’andatura dei piani sottostanti, e le ringhiere erano riccamente decorate e cesellate.

Proprio davanti alla villa, al centro del giardino, si trovava una gigantesca fontana di marmo bianco. L’acqua fuoriusciva dalla bocca di un meraviglioso cavallo alato, anch’esso di marmo, che si trovava nel mezzo della fontana e accennava un’impennata, e sembrava fissare tutti quelli che passavano con il suo sguardo fiero e giudicatore.

 

 

La limousine si fermò davanti al grande portone d’entrata, a cui si accedeva grazie ad un’immensa scalinata.

Il portone era già aperto, e ad attendere Wythe stava un’intera schiera di cameriere e maggiordomi, che porgeva inchini ed elogi a tutti.

Wythe rispose con un sorriso.

- Grazie per avermi attesa, sono molto felice che vi preoccupiate per me! –

Una giovane donna si fece avanti. Non era vestita da cameriera, ma comunque si notava che faceva parte della servitù.

- Wythe, tesoro, tutto bene? Sicura di non star male, o… -

La ragazza si buttò tra le braccia della donna.

- Oh, Emily, scommetto che Andrew ti ha avvisata di quello che è successo e ha ingigantito la cosa, vero? –

Emily arrossì, ma continuò a tener stretta Wythe in un abbraccio.

- In effetti è successo davvero così. Mi ha telefonata quando stava ancora guidando. Lo so che a Andrew piace inventare particolari, ma comunque sentirmi dire che ti hanno quasi tagliata a fettine fa un certo effetto! –

- Che cosa? Accidenti, ma io non ho fatto niente, sono stai questi ragazzi a combattere. A proposito, quasi mi dimenticavo di loro! – fece Wythe, poi, divincolandosi dall’abbraccio, prese Nola e Shia per mano e li trascinò verso la donna.

- Loro sono Shia e Nola! – disse rivolta ad Emily, poi, rivolta invece verso i ragazzi, disse:  - Lei è Emily, la mia balia di quando ero piccola. –

 

 

Ad un tratto, tutte le cameriere assunsero una posizione rigida e professionale.

Wythe si voltò verso l’ingresso.

- È il papà! – esclamò felice. Sembrava una bambina.

In effetti, si stava avvicinando un uomo alto e robusto, molto affascinante e, soprattutto, molto giovane.

- Wythe! Principessa! – esclamò, con voce un poco roca.

- Papà! – esclamò lei, e si gettò tra le braccia del padre. Lui la sollevò da terra come fosse una piuma, e la strinse affettuosamente, poi la ripose delicatamente per terra.

- Buon giorno, signor Haversam! – disse Emily, arrossendo e guardandolo dolcemente.

Anche lui arrossì. – B… buongiorno Emily… Oggi è davvero molto bella… Mi perdoni, intendevo la giornata! –

I due rimasero a fissarsi dolcemente per un po’, finché Wythe diede una gomitata nelle costole del padre.

- Loro sono Shia e Nola, papà. Grazie a loro sono ancora viva! –

Il signor Haversam si riscosse. – Ma è fantastico! Oh, che maniere! Entrate, entrate! – esclamò, e fece accomodare gli ospiti in casa.

- Tully! – disse Haversam ad un cameriere. – Prepara una ciotola con del cibo e dell’acqua per questo bel cane, e servilo in cucina. Per quanto riguarda i nostri ospiti, nel loggiato sul retro è pronto un pranzo davvero delizioso che sta aspettando proprio noi. Emily, ti andrebbe di unirti a noi? –

Lei trasalì e arrossì nuovamente. – Ne… sarei davvero felice! – disse.

 

 

Per arrivare al loggiato, i ragazzi attraversarono la casa, guidati da Haversam, che dava il braccio ad Emily. All’ingresso si trovava un gigantesco androne, dal cui soffitto pendeva un meraviglioso lampadario in cristallo. Dal fondo della stanza salivano due scalinate in marmo che curvavano elegantemente e portavano ai piani superiori, mentre ai lati si aprivano numerose porte, che conducevano alle altre zone della casa.

Tuttavia Haversam non si diresse verso nessuna di esse. Proseguì fino ad una bella vetrata che si trovava proprio sotto l’incrociarsi delle scale e l’aprì.

Si spalancava proprio nella meravigliosa veranda all’aperto, che era stata appena preparata. Il porticato era circondato da tante colonne candide, tra le quali erano state disposte piante rampicanti che diffondevano il loro dolce aroma.

Tutti presero posto, e in breve tempo, una schiera di camerieri portava le varie pietanze in vassoi d’argento e casseruole di porcellana.

Dopo aver augurato buon appetito, Wythe iniziò a mangiare, e così anche il padre ed Emily.

“ Accidenti! Io non sono abituata a mangiare come una signora! Chissà che forchetta si usa? Meno male che anche Shia è nelle mie stesse condizioni!” pensò Nola, e si voltò verso il ragazzo, ma, stupore e meraviglia, lui mangiava come un vero principe.

L’autostima di Nola le finì sotto le scarpe, vedendo che era l’unica a non sapere come comportarsi. Decise di guardare quello che facevano gli altri e poi di copiare, ma per sicurezza non si azzardò a mangiare dei cibi su cui aveva dei dubbi di comportamento.

Poco male, perché a quella tavola erano presenti più leccornie della tavola di un re!

 

 

Dopo un pranzo raffinato, che per Nola fu un vero supplizio, la compagnia decise di spostarsi nel chiosco non lontano dal loggiato, dove potevano sorseggiare fresche bibite e ammirare i fenicotteri che andavano ad abbeverarsi nel piccolo laghetto del giardino.

Wythe ed Emily erano andate a dar da mangiare ai fenicotteri, così, seduti nelle poltrone di vimini erano rimasti il signor Haversam, Shia e Nola.

- È un vero sollievo sapere che non è successo niente alla mia bambina! – disse Haversam, sospirando, mentre osservava sua figlia e la balia che si divertivano schizzandosi con l’acqua.

- Sapete, io sono il proprietario di un’importante ditta di trasporti, che collega la Repubblica dell’Aria con il Regno della Terra. A causa del mio lavoro sono spesso via, e se non ci fosse stata Emily, Wythe sarebbe rimasta continuamente sola… -

- Se non sono indiscreta, posso chiederle dove si trovi la madre di Wythe? – chiese Nola.

Haversam trasse un sospiro, poi rivolse un sorriso al cielo.

- La madre della mia principessa è morta dandola alla luce… Credo che ora si trovi un posto migliore… -

Nola si maledisse per averlo chiesto, ma Haversam tornò subito allegro e riprese a parlare di Emily.

- Si prese cura di Wythe da quando era in fasce. Ha sempre vissuto qui da noi, e anche quando non occorrevano più i suoi servizi, Wythe mi pregò di farla restare, perché è la persona che praticamente considera come una madre! –

Nola sorrise. All’inizio aveva pensato che Wythe fosse una ragazza viziata e antipatica, ma in fondo sapeva che aveva un cuore d’oro.

“ Diventeremo ottime amiche!” pensò. Poi sfiorò due dita di Shia, cercando di trasmettergli un pensiero.

“ Credo che il signor Haversam sia innamorato di Emily!”

Anche Shia sorrise.

- A proposito! Durante il pranzo abbiamo parlato solo di cose poco importanti, ma vorrei sapere davvero come è andata. Andrew ha telefonato con il cellulare della limousine, ma era molto agitato e abbiamo capito ben poco di quello che è successo… - disse Haversam.

- A questo proposito, Wythe ci ha detto che ci avrebbe chiarito alcune cose, visto che noi siamo… come dire… ignoranti… - spiegò Nola, imbarazzata.

- Bene, allora sarà meglio parlarne in un posto più adatto. –

 

 

Haversam, dopo aver chiamato a se Wythe ed Emily, li condusse in un’altra zona della casa. Arrivati nei pressi della cucina, aprì una porta nascosta, che nessuno avrebbe notato senza uno sguardo accurato.

Da li partiva una rampa di scale che conduceva al piano inferiore.

“ Sembra una specie di cantina…” pensò Nola, scendendo i gradini.

Ciò nonostante, quello che trovarono sotto non somigliava neppure lontanamente ad una cantina. Era una stanza molto ampia, che sembrava la sala comandi di qualche astratto sottomarino. La parete di fronte all’entrata era ricoperta da numerosi monitor che trasmettevano varie immagini provenienti da ogni parte del mondo, mentre al centro della stanza si trovavano apparecchiature elettroniche di ogni genere: computer, localizzatori, rilevatori eccetera. Le altre pareti erano ricoperte da planisferi, cartine geografiche, e dal soffitto pendevano rappresentazioni in scala del globo terrestre.

Nola rimase a bocca aperta, e anche Shia, che in genere manteneva un atteggiamento composto, non riuscì a mascherare una certa sorpresa.

- Qui è dove svolgo il mio più importante lavoro: controllare i movimenti di Langarth. – disse Haversam, orgoglioso.

- Un momento, io ho sempre saputo che Langarth è il nome del sovrano dell’Impero del Fuoco… Che c’entra lui con me e con Shia? – chiese Nola.

- Purtroppo è proprio lui il centro di questa storia, perciò è logico che anche tu e Shia, come tutte le altre Starlight d’altronde, siate coinvolti. Se volete accomodarvi su quel divano vi spiegherò molte cose. –

 

 

- Quando Clovis, il padre di Langarth, salì al trono dell’Impero del Fuoco, il mondo ebbe un lungo periodo di pace. I sovrani precedenti avevano creato solo problemi all’Impero, e anche agli altri tre Stati, perciò Clovis decise che a partire da quel momento, non ci sarebbe stata più nessuna guerra tra i Quattro Stati.

Dello stesso avviso del padre, Langarth non era di certo. Lui considerava Clovis un pappamolle e un codardo, che aveva paura della guerra e non aveva polso fermo per governare un Impero. Clovis era però il detentore della Starlight del Leone, perciò Langarth non aveva avuto alcun coraggio a rivelargli quello che pensava di lui.

Un giorno infausto, l’Imperatore Clovis si ammalò di una grave patologia, che fino ad allora non si era ancora riusciti a curare.

A quella notizia, Langarth decise di iniziare ad attuare il suo piano malefico, perché, dato che lui era l’unico erede in linea diretta, il potere sarebbe passato direttamente nelle sue mani. Riorganizzò l’esercito, scegliendo uomini che gli sarebbero rimasti fedeli fino all’ultimo, fortificò i confini dell’ Impero del Fuoco, e, cosa molto importante, cominciò a rintracciare tutte le Starlight.

Poi, un giorno, Langarth annunciò la morte dell’Imperatore, avvenuta in misteriose circostanze. Langarth disse che avvenne a causa della malattia, che lo aveva consumato lentamente, ma molte persone, come anch’io, pensano che sia stato direttamente lui ad uccidere suo padre.

Questo perché, in punto di morte, Clovis ha preferito lasciare la sua Starlight al suo più fidato consigliere, piuttosto che ad un figlio malvagio e senza scrupoli. In seguito questo consigliere fu costretto a fuggire, e di lui non si seppe più niente.

Da quel momento, per i Quattro Stati cambiò tutto. Il piano di Langarth era molto semplice. Impadronirsi di tutte le Stralight per poi lanciarsi alla conquista degli altri tre Stati. Con le sole forze dei soldati la sua sconfitta sarebbe stata scontata, dato che cercava di opporsi a tre potenze mondiali, ma se le Starlight fossero sotto il suo controllo cambierebbe tutto.

Per fortuna la guerra non è ancora scoppiata, perché ritengo che finora tutti i suoi tentativi di impadronirsi delle Starlight sia fallito, ma non sarei tranquillo ancora per molto…

Un’altra cosa. Il manicomio di Hansenouth, in realtà non è davvero un manicomio. È un centro di controllo, in cui Langarth svolge i suoi esperimenti illegali cercando di trasferire un’energia simile a quella delle Starlight da un corpo all’altro, ma fino ad ora si sono rivelati un totale fiasco. -

 

 

Nola trasse un profondo respiro. Non si era nemmeno accorta che durante il racconto aveva trattenuto il fiato.

- Le cose stanno così, purtroppo… - disse Wythe, spezzando il silenzio che si era creato.

- Ma se c’è davvero Langarth dietro tutto questo… Quei tizi di stamattina… -

- Erano le sue spie. A quanto pare Langarth ha scoperto che per loro non c’è bisogno di essere in punto di morte per cedere il potere di Starlight ad un’altra persona, perciò cerca di usare i suoi scagnozzi per recuperare le Starlight, per poi farsele consegnare personalmente. –

- Ma com’è possibile? Vorrebbe racchiudere tutte le Starlight in un unico corpo? È una pazzia! Non conosce i rischi che corre? – esclamò Shia, indignato.

- Tutti quelli che glielo hanno fatto notare sono inspiegabilmente scomparsi… - disse Wythe.

- Perché, cosa potrebbe succedere? – chiese Nola.

- Per prima cosa, il potere di Starlight prosperano meglio se il proprietario è stato scelto, e non costretto come vorrebbe fare Langarth; e poi è impossibile racchiudere un così grande potenziale magico in un unico corpo, sarebbe una fatica immensa e un peso da portare costantemente… Per non parlare poi del fatto che ci sono Starlight poco affini, che potrebbero causare conseguenze molto gravi, se unite. – spiegò Haversam.

- Un’altra cosa… Come possono, gli scagnozzi di Langarth, attraversare ogni cosa che riflette e trasportarsi dove vogliono? – chiese Shia.

- Questa si che è una domanda intelligente! I tirapiedi di Langarth sono dei discendenti del popolo delle Ombre, il popolo che un tempo abitava l’Impero del Fuoco. Come i loro avi hanno questa capacità particolare, come anche quella di trasformare il loro corpo a piacimento. Badate bene però, non sono delle ombre complete… come dire… si possono considerare una sorta di ibridi… - disse Haversam. 

- Ma ora, spiegatemi cos’è successo questa mattina, sono curioso. –

Nola e Shia gli riferirono l’intero accaduto, a partire dal fatto che loro erano le Starlight dell’Acquario e dell’Ariete, per finire con il racconto della battaglia.

 

 

Nola osservava un planisfero in piano, appeso ad una parete.

Fino ad allora non era mai uscita dalla Repubblica dell’Aria, ma aveva sempre sognato farlo.

Il planisfero era strutturato in quattro livelli.

Al primo livello si trovava la Repubblica dell’Aria, una grande porzione di terra che fluttua semplicemente nell’aria, a volte inframmezzata da laghi poco profondi e da un unico fiume che attraversava la città di River Town.

Il secondo livello era la terra vera e propria, la crosta terrestre. Qui si trovava il vasto Regno della Terra, il più grande dei Quattro Stati. Era un territorio molto rigoglioso e verdeggiante.

Al terzo livello si trovava il Paese dell’Acqua, situato sopra la superficie del mare.

Praticamente, il terreno sollevatosi per diventare la Repubblica dell’Aria, diede spazio all’acqua, che aveva dilagato imperterrita; così, gli antichi, inventarono un sistema di enormi palafitte galleggianti resistenti alle correnti marine da posizionare sopra l'acqua, in modo da permettere la vita anche dove normalmente era impossibile.

L’ultimo livello si trovava esattamente sopra il centro della terra.

Qui si trovava l’Impero del Fuoco, costituito da una serie di gallerie e caverne profondissime collegate tra loro. La popolazione traeva energia direttamente dal nucleo incandescente di magma, che ogni tanto fuoriusciva da vulcani sotterranei.    

 

- Ho una domanda da farti, Wythe. Come hai fatto a capire che noi siamo Starlight? – chiese improvvisamente Nola, indicando prima lei poi Shia.

- Beh, in effetti non so neanche io come ho fatto… Diciamo che ho delle percezioni: sento la presenza di altre Starlight, anche a distanze notevoli. È come se provassi una vibrazione. Lo so, è un po’ strano… -

- Non è poi così strano! – le disse Shia, sorridendo.

Wythe arrossì.

 

 

Wythe convinse il padre ad ospitare a casa loro Nola e Shia, così Haversam mandò un maggiordomo a ritirare il side-car e i bagagli dei ragazzi, e pagò anche la parcella dell’albergo.

 Shia era affacciato al balcone ella sua camera, preparata appositamente dalle cameriere quel giorno stesso. Il sole era ormai tramontato e in cielo brillava qualche stella, a volte oscurata dal passaggio di alcune nuvole.

Qualcuno bussò alla porta.

- Avanti. – disse lui.

Ripensando ai fatti della mattina, era tornato di pessimo umore, e non aveva voglia di vedere nessuno.

La porta si aprì, e nella stanza entrò Wythe, che andò ad affacciarsi accanto a Shia.

- Allora, ti piace qui? – chiese euforica.

- Si è molto bello, davvero… -

- Ma…? – chiese lei, che aveva notato uno strano tono nella voce del ragazzo.

- Ma non avete paura? Insomma, quei tipi possono attraversare gli specchi e trovarvi in qualunque momento! –

Wythe sorrise. – Ma allora non mi ascolti quando parlo? Quel brivido che hai sentito quando siamo entrati qui, ricordi? Siamo circondati da una barriera protettiva, non possono oltrepassarla! –

Shia rise. Come aveva fatto a dimenticarsene?

- Ti ringrazio… - disse Wythe.

- Per cosa? –

- Perché sei il primo che non mi trova strana. A scuola non ho amici, per via di questa mia facoltà. Mi trattano come un fenomeno da baraccone e mi isolano… -

- Beh, allora sono dei veri deficienti! Penso che tu sia davvero una ragazza simpatica e carina, non devi farti influenzare da simili insinuazioni. – esclamò Shia, e le poggiò una mano sulla spalla, sorridendole.

In quel momento la porta si aprì di scatto.

- Shia! Ho scoperto una cosa super emozionante! Nella mia camera c’è anche il bagno, c’è anche nella tua, non è ver… - Nola si bloccò. Fissò la mano del ragazzo poggiata sulla spalla di Wythe, e improvvisamente sentì un dolore al cuore, come se una parte venisse strappata via.

Immediatamente Shia abbassò il braccio, guardandola con aria triste e colpevole.

Nola, bloccata come una roccia, si guardò intorno. Che motivo c’era di rimuginarci: una stanza al buio, un ragazzo e una ragazza da soli al chiaro di luna…

- Mi dispiace di avervi disturbato… - disse, con tono piatto, e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Shia fece per correre a raggiungerla, ma Wythe lo trattenne per un braccio.

- Aspetta! Raccontami un po’ di te! – chiese con aria maliziosa.

Shia la raggiunse, un po’ a malincuore, guardando in continuazione la porta.

 

 

Nola si diresse mesta verso la sua camera. Cos’era quella strana sensazione? Eppure quello di Shia era stato un banalissimo gesto che avrebbe fatto con chiunque. Tuttavia il fatto che la mano del ragazzo fosse poggiata proprio sulla spalla di Wythe, infondeva in Nola una profonda tristezza.

- Tutto a posto? Non ti sarai persa? – chiese una voce. Nola si riscosse dai pensieri, scoprendo che a parlare era stata Emily.

- No… stavo tornando nella mia stanza… - disse con un sorriso, ma le si spense prima di arrivarle alle labbra.

- Che faccia triste! È successo qualcosa? –

- In effetti… -

- Che ne dici di andare in camera tua, così me ne parli? Faccio portare su due cioccolate calde, va bene? –

Nola annuì, e insieme si incamminarono.

 

 

- Allora, non vuoi dirmi cosa ti preoccupa? – chiese Emily.

Le due erano sedute davanti alla specchiera, ed Emily pettinava con una grande spazzola i capelli castano – biondi di Nola, che le arrivavano più o meno alle scapole.

Nola trasse un sospiro.

- Ho paura… Ho paura che una persona molto importante si allontani da me… -

Emily smise di pettinarle i capelli.

- Si tratta di Shia? –

Nola si voltò a guardarla. – Esatto. –

- Ti piace? –

- Beh, non in “quel” senso, se è questo che intendi. Io lo considero un buon amico anche se ci conosciamo da poco. Mi ha aiutata tante volte, senza volere niente in cambio. 

Sospirò e poi riprese.

- Si trova così a suo agio qui… Anche a tavola, sapeva sempre come comportarsi, mentre io mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Poi, un attimo fa sono andata nella sua camera, e ho visto che non era da solo, ma rideva e scherzava con Wythe, e questo mi ha spaventata. Fino adesso siamo stati solo io e lui, e così andava bene ma… e se non vuole più essere mio amico? –

Una lacrima scese sulla guancia della ragazza, che l’asciugò con la manica del pigiama.

Emily le circondò le spalle con un braccio e l’avvicinò a se.

- Vedi, Wythe è sempre stata da sola, e l’aver incontrato voi l’ha resa così felice che a volte è iper-attiva. Forse ti ha turbata il fatto che Shia abbia un certo “non so che” che gli permette di fare subito amicizia, ma se pensa che anche tu sia per lui una buona amica, l’unica cosa che puoi fare è parlargli, e tutte le cose si sistemeranno. –

- Va bene, lo farò! – esclamò Nola. Qualcosa le aveva ridato la carica: le sagge parole di Emily.

 

 

La mattina dopo Nola si alzò di buon ora, e si lavò e vestì in tutta fretta.

Scese al piano disotto, alla ricerca di Shia: doveva assolutamente parlargli.

- Buon giorno Nola, ben svegliata! – disse Haversam, che per caso passava per il corridoio.

- Grazie. Ha per caso visto Shia? –

- Se non sbaglio è in giardino, credo sia in compagnia di Wythe… -

- Grazie ancora! – disse lei, e corse per il corridoio.

 

 

Nola uscì dalla vetrata sul retro, e scrutò in tutto il giardino per trovarli. Li scorse in lontananza: Wythe teneva le sue braccia avvinghiate al muscoloso braccio del ragazzo, e camminavano felici e divertiti come una coppietta.

A quella vista, la sensazione della sera precedente si fece risentire in Nola, questa volta accompagnata anche da una rabbia che saliva pian piano.

Emily le si affiancò.

- Io distraggo Wythe, tu parla con Shia. – le propose, facendole l’occhiolino, poi chiamò Wythe, facendola allontanare dal ragazzo con una scusa. Nola approfittò dell’occasione per correre da lui.

 

 

- Allora… Hai una nuova amica? – chiese lei, mentre passeggiava di fianco a Shia.

Lui si fermò guardandola con quello sguardo colpevole e rattristato che la sera prima l’aveva fatta star così male.

- C’è qualcosa che non va? Sai che so cosa pensi anche senza leggerti nella mente. Lo vedo dalla tua faccia. –

Nola inspirò profondamente.

- Promettimi che sarai sempre mio amico, qualunque cosa succeda! - 

Il volto di Shia fu attraversato da un attimo di delusione, seguito poi da una sonora risata, di quelle che Nola adorava.

- Cosa ti fa pensare che non succederà? Starò sempre al tuo fianco, te lo giuro! –

Improvvisamente dal cuore della ragazza si sollevò un peso gigantesco.

Per un attimo rimase incredula, ferma nello stesso punto.

Poi, pian piano le ginocchia le cedettero e la costrinsero ad chinarsi sull’erba verde.

- Io… credevo che non volessi più essere mio amico, ora che hai incontrato una ragazza come Wythe… e… mi sono preoccupata… io… -

- Lo so, sei una scema! – disse Shia, in tono scherzoso, che si era chinato vicino a lei.

Tutte le angosce svanirono in un istante, un attimo prima che dagli occhi di Nola caddero lacrime di felicità, e lei si sdraiasse sull’erba, ridendo e piangendo insieme. Shia le si sdraiò vicino, prendendole una mano con la sua.

- Perché hai pensato una cosa del genere? – chiese. Conosceva benissimo la risposta, ma voleva sentirla dalle labbra di Nola.

- Se te lo dico, mi prometti di non ridere? –

- Prometto! – disse lui, con aria solenne, trattenendo un sorriso sotto i baffi.

- Il fatto è che vi ho visto così in intimità, e mi ha fatto male sapere che quelle stesse attenzioni le riservi anche a me. Io non voglio essere un’amica qualunque, voglio essere la tua migliore amica! –

Shia rise. – E sia, allora, d’ora in poi noi due saremo migliori amici! –

 

 

- Papà, senti, volevo dirti una cosa… - cominciò Wythe, con voce accattivante.

- Dimmi, principessa! – rispose Haversam.

- Questo pomeriggio Shia e Nola se ne andranno, e io li seguirò. – non era la richiesta di un permesso, bensì un’affermazione.

- Non se ne parla nemmeno! –

- Ma perché? Loro possono farlo! –

- Per prima cosa Shia è già un uomo adulto, e Nola è sotto la sua protezione. Per di più lei non ha nemmeno dei genitori che si preoccupano per lei! - 

- Non è giusto! Cosa mai potrà succedermi?! –

- Quello che è successo oggi, per esempio! Se Shia e Nola non fossero con te? Se fossi da sola mi spieghi come faresti? È troppo pericoloso. Non andrai! –

Wythe si alzò dal divano su cui era seduta.

- Io ci andrò, che tu lo voglia o no! – esclamò, e, furiosa, se ne andò sbattendo la porta.

 

 

Il pomeriggio era ormai inoltrato, e Shia e Nola, assieme a Boris, si trovavano in salotto, con le valigie pronte ai loro piedi.

Haversam ed Emily erano seduti su un divano.

- La ringraziamo davvero tanto per la sua ospitalità. Non sappiamo proprio come ripagarla! –

- Figuratevi, per così poco! Piuttosto, la mia figliola non è venuta a salutarvi? –

- Era molto triste per la vostra partenza, forse è nella sua camera, vado a chiamarla. – disse Emily, e uscì dalla stanza.

- Ditemi, e adesso dove andrete? –chiese Haversam.

- Il più lontano possibile da qui. Mi stanno cercando e… -

- Si, ho visto i manifesti… gran brutta cosa… Sai, vi conviene andare molto lontano, dove quelli di Hansenouth non possono arrivare. –

Emily tornò in salotto, trafelata.

- Wythe è scomparsa! – esclamò riprendendo fiato.

Haversam si alzò dal divano con uno scatto.

In quel momento un forte rumore di pale attirò l’attenzione dei presenti, che si riversarono fuori dalla villa.

Vicino alla fontana con il cavallo di marmo, a poca distanza da terra volava un elicottero bianco.

- Papà! È tua figlia che ti parla! Ho sequestrato questo elicottero, e non intendo tornare indietro! – risuonò la voce di Wythe, scaturita da un potente megafono.

- Wythe, sei li sopra? – urlò Haversam, cercando di sovrastare il potente rumore.

- Si, sono qui!

- Dì al pilota di atterrare! Questo è un ordine! –

- Non lo farò mai! Io voglio andare con Shia e Nola. Voglio aiutarli, solo con il mio potere possono trovare le altre Starlight! Ci difenderemo da Langarth unendo le nostre forze!

Haversam tacque, apprensivo.

Shia gli si fece vicino, e gli posò una mano sulla spalla.

- Non si preoccupi, baderemo noi a lei! – disse, e Nola confermò con un cenno di assenso, sorridendo.

- E va bene… - sospirò Haversam. Chissà perché Shia riusciva a tranquillizzare le persone.

- Va bene Wythe! Puoi andare! Fai scendere l’elicottero, così Nola e Shia possono salire! – gridò il padre.

L’elicottero si avvicinò al prato, fino a toccarlo piano.

Shia, Nola e Boris vi salirono e si sistemarono comodi. Alla guida c’era un pilota spaventatissimo, minacciato da Wythe, furiosa e selvaggia.

Mentre l’elicottero si alzava in volo, Haversam grido: - Prendetevi cura di lei! –

- Ti voglio bene papà! – gridò Wythe nel megafono, un attimo prima che l’elicottero compisse una virata e si allontanasse. 

 

 

 

 

 

Mmmh… un nuovo personaggio! Wythe non ha di certo un bel caratterino!

Cosa succederà adesso? La ragazza ha deciso di seguire Nola e Shia, e si è messa anche in testa di trovare le altre Starlight!

Che ne pensate di lei? E delle altre due Starlight?

Ditemi chi è il vostro personaggio preferito! Certo, fino ad ora non ne sono comparsi molti, però…  ^_________^

     

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

L’elicottero sorvolava le verdi colline della Repubblica dell’Aria.

Nola, con la faccia schiacciata sul finestrino, ammirava il paesaggio. Da li si poteva vedere una grande parte del territorio nazionale, costellato di cittadine abbastanza vaste, situate a lunga distanza da loro.

- Dove siamo diretti? – chiese Shia, che osservava anche lui il paesaggio.

- A River Town, ho sentito delle vibrazioni provenire da li, e inoltre a River Town possiedo anche un appartamento (a dire il vero è di mio padre) dove possiamo stare senza spendere un centesimo! –

River Town…

Nola aveva già sentito nominare quella città, ma non ricordava in quale occasione.

“ Ma certo!” pensò. “È la città in cui vive Susan, la figlia di Talbot!”

 

 

Dall’alto si poteva già scorgere il confine della città. Da una parte era circondata dalla foresta, a parte il tratto di autostrada che conduceva alla città, e il grande fiume che la attraversava. Sull’altro versante, la città dava sul vuoto. Esattamente, perché quello era il confine della Repubblica dell’Aria. Molti chilometri separavano quel terreno fluttuante dal globo terrestre. Il fiume scendeva a cascata dallo strapiombo, ma non faceva in tempo a raggiungere la terra, perché, a causa della forte altezza, l’acqua si condensava prima, divenendo vapore che dava un’aria ancora più magica a quella terra fluttuante.

 

 

Atterrarono in un grande spiazzo fuori dalla città, dove li aspettava un’auto con i finestrini scuri.

- Siamo sicuri che non ci aspetti qualche altra brutta sorpresa? – chiese Nola, salendo in macchina.

- No, non preoccuparti! – le assicurò Wythe.

 

 

L’auto attraversò l’intera città, molto simile ad Alder, ma con un certo non so che di retrò, fino ad arrivare ad un alto grattacielo che spiccava tra gli edifici poco più bassi.

Le immense vetrate riflettevano le nuvole arancioni e violette colorate dal tramonto.

Entrati, i ragazzi presero l’ascensore, che li condusse fino al ventitreesimo piano, dove si trovava l’appartamento di Wythe.

Era un alloggio molto grande, appropriato per una famiglia intera: aveva due camere da letto, cucina, bagno e salotto.

- Una cosuccia, non vi pare? – disse Wythe, lanciando occhiate di sufficienza qua e là.

Shia e Nola la guardarono sconcertati. Era l’appartamento più bello e accogliente che avessero visto.

Nola si fiondò subito al balcone, da cui si godeva una vista meravigliosa. In lontananza si scorgeva la campagna, da cui erano così presto fuggiti, mentre più a est si poteva notare la fine della Repubblica dell’Aria. L’argine a strapiombo era protetto da gigantesche dighe di vetro, su cui si poteva fare due passi e guardare di sotto, ma di sicuro non era una passeggiata opportuna per chi soffriva di vertigini!

Nelle vicinanze, invece, si potevano scorgere i tetti della gigantesca metropoli e le antenne dei grattacieli. Proprio nel grattacielo di fronte al balcone, risaltava un gigantesco cartellone pubblicitario che reclamizzava un profumo. Sul manifesto spiccava la foto di una bellissima ragazza bionda, con i capelli lunghi e boccolosi, e uno sguardo dolce e insieme malizioso.

- Ah! – sospirò Nola. - Quanto vorrei somigliare a Rebecca Blackwell! È una ragazza così bella! –

- Già! Ormai è la modella più famosa, compare su tutte le copertine dei giornali, inoltre è considerata un’icona di bellezza e un modello seguito da numerose ragazze! – disse Wythe, che era arrivata nel frattempo, e si era affacciata affianco alla ragazza.

- È troppo sofisticata… Preferisco le ragazze semplici! – fece Shia, che aveva raggiunto le due in quel momento.

Wythe lo guardò, sorridendo.

Dall’interno del soggiorno, Boris sbadigliò.

- È ora di andare a nanna, non credete? – disse Shia, sorridendo.

 

 

- Andiamo Boris, sbrigati! – chiamò Nola, mentre attraversava la strada. Il cane la seguì trotterellando. Quella mattina, la ragazza aveva deciso di andare a fare la spesa, accompagnata dall’ormai inseparabile cagnone.

Arrivarono in una via molto movimentata, ai cui lati c’erano una fila di bancarelle che vendevano la merce più disparata.

- Fantastico! Oggi c’è il mercato! – esclamò Nola, e corse tra le bancarelle a guardare cosa vendevano.

Prese del pane caldo e fragrante per il pranzo, della carne fresca e qualche verdura.

- Ho assolutamente voglia di buoni pomodori! – mormorò aggirandosi tra i banconi, ma non vedendone da nessuna parte.

- Eppure dovrebbe essere stagione… - sospirò.

All’improvviso, Boris corse in direzione di un bancone sgangherato, poco frequentato. In prima fila facevano bella vista dei pomodori rossi e succosi.

- Questi vengono due dinar al chilo. – disse la giovane signora che gestiva la bancarella.

Nola alzò lo sguardo dai pomodori e sorrise alla donna. Appena la vide in volto, ebbe come un dejà vu.

“ Che strano! È come se l’avessi già vista ma non ricordo dove!...”

- Allora me ne dia due chili, per favore! – disse la ragazza, cortesemente.

Una testolina bionda spuntò da dietro il bancone.

- Faccio io, mamma! – disse un simpatico bimbetto, di quasi sei – sette anni.

- Non preoccuparti, lascia fare a me! – sorrise la donna, carezzandolo sulla testa.

Boris latrò allegramente, annusando nell’aria un qualche profumo che le persone non percepivano.

La signora, sentendo quel suono, si sporse per osservare il cane. Un pomodoro le cadde dalla mano.

- Boris! – esclamò in un soffio.

 

 

- Lo conosce? – fece Nola, sbigottita. Osservò nuovamente la donna, cogliendo ogni piccolo particolare del volto.

- Susan! – gridò Nola, ma subito abbassò la voce, perché tutte le persone in strada si voltarono a guardarla.

- Come fai a conoscere il mio nome? – chiese la donna, meravigliata.

- Io conosco… conoscevo suo padre… - rispose Nola, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Ricordava come fosse ieri i momenti felici passati con Talbot, ma ancora di più ricordava il momento in cui venne a sapere della sua morte.

- È morto. – disse con un filo di voce.

Susan si portò le mani alla bocca, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

- Mamma! Stai bene? – esclamò il bambino, correndo da lei.

La donna si accasciò su una sedia che stava dietro il bancone e scoppiò a piangere in silenzio. Nola le si avvicinò e le circondò le spalle con un braccio.

- È stata tutta colpa mia! – disse tra i singhiozzi. – Non sarei dovuta andar via! –

- No! Non è stata colpa sua! – esclamò Nola. “ Sono stati quelli di Hansenouth!”

Susan si calmò un po’, quel tanto che le consentiva di parlare.

- Cosa le fa credere questo? La prego, me lo dica! - la supplicò la ragazza.

- D’accordo, basta che tu non mi dia del lei. Chiamami semplicemente Susan. –

Nola fece un cenno di assenso con la testa.

 

 

- Come sicuramente ti avrà detto mio padre, dieci anni fa mi sposai e venni a vivere qui, abbandonando mia madre e mio padre alla fattoria. Cercai di andarli a trovare il più possibile, ma purtroppo non potei allontanarmi troppo spesso. La ditta di mio marito infatti, non stava correndo un buon periodo… Eravamo sull’orlo di un tracollo finanziario, e non sapevamo come rimediare. Nel frattempo nacque Leander, mio figlio.

Un brutto giorno, la ditta crollò definitivamente in bancarotta, e io e mio marito ci ritrovammo al verde e senza un tetto sulla testa, perché per saldare i debiti dell’azienda dovemmo vendere casa. Mio marito trovò lavoro presso un’altra impresa, ma dovette ricominciare dalla gavetta, perciò lo stipendio… era quello che era. Molte volte fui tentata di correre da mio padre per chiedere un aiuto, ma come mi avrebbe accolta, dopo che io lo avevo trattato come un estraneo per molto tempo?

Così, mentre mio marito si occupava del suo lavoro, io iniziai a costruire un piccolo orticello dietro la nostra nuova casa, e a vendere le verdure al mercato. E ora eccomi qui, povera e ridotta alla miseria, che dopo aver svilito il tanto oneroso lavoro di mio padre, sono finita a fare proprio quello… -

 

 

Nola le sorrise dolcemente, mentre le teneva ancora le spalle.

- Susan, sei una donna molto coraggiosa, che non si arrende davanti alle difficoltà. Sono certa che i tuoi genitori non abbiano mai provato rancore nei tuoi confronti, e se mai fossi tornata da loro, di sicuro ti avrebbero accolta con le braccia aperte! -

Anche Susan sorrise.

- Sono felice che mio padre ti abbia conosciuta. Sei davvero una ragazza fantastica, come non se ne trovano in giro! –

Lei si rabbuiò. – Non penseresti questo, se sapessi... Tuo padre è morto per proteggermi da... certe persone… Capisci? È stata solo colpa mia se lui è morto! Solo colpa mia! – mormorò, mentre gli occhi le tornarono ad inumidirsi.

Susan le prese una mano.

- Se mio padre ti ha protetta significa che eri davvero importante per lui. Non avere sensi di colpa, e… cerca di ridere di più! –

Boris latrò, come per dare il suo consenso.

Le due si abbracciarono.

- Ora devo andare… Ah, per i pomodori, invece di due chili, me ne dia tre! – disse Nola, facendo un sorriso a trentadue denti.

Susan rise, e dopo aver consegnato la busta alla ragazza, l’abbracciò nuovamente.

- Spero di incontrarci nuovamente! –

- E io ti auguro tanta, tantissima fortuna! – disse Nola.

Susan si chinò su Boris e gli carezzò il muso.

- Mi raccomando… - gli disse. – Proteggi questa ragazza con tutto te stesso! –

Il cane la guardò con i suoi occhi profondi: aveva capito esattamente quello che diceva.

 

 

- E ora che ce ne facciamo di tutti questi pomodori? – chiese Wythe, togliendone uno dalla busta.

- Devo ammettere che sono belli, però. E avranno anche un buon sapore, immagino! – fece Shia, togliendo il pomodoro dalle mani della ragazza.

Al contatto della loro pelle, lei arrossì.

- Potrò cucinare qualcosa! – gridò Nola dal bagno.

- Non stasera, però! – esclamò Wythe, entusiasta. – Stasera andiamo a teatro! –

Shia la guardò sorpreso, e anche la testa di Nola fece capolino dalla toilette.

Wythe aprì la sua borsetta griffata e ne estrasse tre biglietti.

- Cosa andiamo a vedere? – chiese Shia.

- L’opera? – esclamò Nola, con gli occhi sbrillucicanti.

- Sei fuori strada! – sorrise Wythe. –Uno spettacolo di prestidigitazione! –

- Un mago? – fece Shia, interessato.

- Esatto! Stamattina, mentre andavo in giro a fare shopping, davanti ad una boutique un giovane ragazzo pubblicizzava questo show, così gli ho comprato tre biglietti. Inoltre ho avuto una fremito molto forte, causato proprio da quel ragazzo; significa che potrebbe essere una Starlight o che potrebbe esserne entrato in contatto di recente… -

- Non ci resta che andare a controllare! – disse Shia.

Wythe lo squadrò da capo a piedi.

- Non vorrai andarci conciato così, vero? –

 

 

La proprietaria della boutique si sfergava le mani con avidità.

- Allora, signorina De Bourgh, è soddisfatta dell’abito? Sa, proviene direttamente dalla capitale! –

Wythe le lanciò uno sguardo fulminante, che la fece zittire immediatamente.

- Lo prendo. – disse subito dopo.

Una delle commesse prese l’abito da sera, rosso e brillantinato, con le spalline fini e tante frange, e lo mise in una grande scatola di cartone già piena di carta velina rosa.

- Shia, tu hai fatto? – fece Wythe poi, con voce squillante ed eccitata.

Il ragazzo uscì dal camerino, con in dosso uno smoking nero coordinato alle scarpe nere lucide. Sotto portava una camicia bianca, uguale al fazzoletto nella tasca, e al collo un papillon.

Lei spalancò la bocca, con gli occhi sognanti e brillanti.

- Sei uno schianto! – esclamò, senza peli sulla lingua.

- Grazie! – rise lui. – E tu, Nola, hai finito? – fece dopo.

Dal camerino della ragazza provenirono strani rumori.

- Scusate, litigavo con le scarpe! Non sono abituata ai tacchi alti! – disse.

Quando aprì la tendina, fu il turno di Shia di meravigliarsi, mentre il suo cuore aumentava il ritmo dei battiti.

Nola indossava un lungo abito senza spalline, con una scollatura sulla schiena. Era blu notte, ricoperto di brillantini proprio come quello di Wythe, e aveva un leggero strascico. Le scarpe, decolleté, erano lo stesso blu notte brillantinate.

Imbarazzatissima, si fece avanti.

Shia le si avvicinò e le prese una mano.

- Sei bellissima! – le sussurrò, e lei, arrossendo, gli sorrise felice.

Wythe si irrigidì, sentendo che quelle parole non erano rivolte a lei.

 

 

Dopo aver acquistato anche gli scialli e le stole per coprire almeno le spalle, i ragazzi tornarono a casa per una cena veloce.

- Mi raccomando, Boris! Comportati bene e alle dieci subito a letto! – lo ammonì scherzosamente Nola, passando una mano sulla testa spelacchiata del cane.

- Dai ascolto alla mamma! – fece Shia, per prendere in giro la ragazza.

- Scemo! – esclamò lei, dandogli un finto pugno sulla spalla, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

 

 

La limousine di Wythe condusse i tre davanti all’entrata del teatro, al cui esterno c’erano già i manifesti dello spettacolo.

- Ci sto facendo l’abitudine a farmi trasportare in “limo”! – disse Nola, uscendo dalla macchina. Il tacco della scarpa, però le si impigliò nell’abito, e, aspettando il fatidico schianto con il marciapiede, chiuse gli occhi.

Lo schianto non avvenne. Quando riaprì gli occhi si ritrovò tra le braccia di Shia.

- Tutto bene? – disse lui, trattenendo una risata.

- È colpa delle scarpe! Non sono davvero abituata! – mormorò, cercando di rimettersi in piedi.

- Beh, avvisami. Dovessi cadere un’altra volta ci sarò io! –

I due rimasero a fissarsi intensamente, finché Wythe non comparve al fianco di Shia, e, prendendolo sotto braccio, lo trascinò fino alla scalinata.

- Sbrighiamoci, non vorremmo arrivare in ritardo! – disse, con voce irritata.

 

 

La sala era già gremita di gente, e così anche le gallerie  e le logge.

Un usciere raccolse le sciarpe di pelliccia delle ragazze e le portò nel guardaroba.

Tutti i presenti si voltarono a guardare le due ragazze, che con grazia ed eleganza procedevano verso la loggia centrale.

- Ho trovato i posti migliori del teatro! – disse orgogliosa Wythe, mentre prendeva posto.

Un cameriere arrivò con un vassoio su cui stavano tre aperitivi e tre binocoli per poter osservare bene il palco.

Quando le luci si spensero, nel teatro cadde un silenzio tombale.

Il palco si illuminò e venne invaso da un denso fumo violetto.

Una voce maschile rimbombò in tutta la sala.

- Stupitevi della magia, tuttavia non fateci affidamento. La magia è solo un’effimera illusione! –

Poi uno scoppio, e su palco apparve una figura.

Un uomo non molto alto, magro e vestito con lo smoking troneggiava al centro del palco. Aveva i capelli biondi, che gli coprivano l’occhio destro con un ciuffo. La metà sinistra del suo volto era coperto da una maschera, bianca e inquietante, attorno al cui occhio era disegnata una spessa striscia nera che ne tracciava il contorno. Sulla guancia, infine, scendeva una lacrima nera disegnata.

Nella parte visibile del suo volto si intravide un sorriso.

Alzò le braccia al cielo e dai polsini della camicia uscì una moltitudine di farfalle azzurre e violette, di ogni forma e grandezza. Le farfalle volarono da ogni donna presente in sala, trasformandosi in rose e cadendo delicatamente tra le loro mani.

- Un omaggio alle creature più belle che questo mondo potesse far nascere! –

Nola arrossì per quel complimento, pur sapendo che non era rivolto solo a lei, e in un attimo fugace ebbe l’impressione che il mago guardasse proprio lei.

- Mi presento! Sono colui che fu, colui che è, colui che sarà! Sono il mago Dupont! –

La sala esplose in un boato di applausi e ovazioni, mentre Dupont si inchinava.

 

 

Lo spettacolo proseguì tra colpi di scena e lo stupore degli spettatori. Il mago Dupont sapeva davvero come suggestionare le persone, e soprattutto, sapeva come distrarre la loro attenzione dal vero trucco, facendogli credere di assistere davvero ad una magia.

- E ora… - disse Dupont. - … ho bisogno di un volontario tra il pubblico! Quando il riflettore si fermerà sulla persona prescelta, questa dovrà salire sul palco e farmi da assistente. C’è qualcuno che vuole provare? –

Molte persone alzarono la mano, dimenandosi per essere notati.

- Scegli me! – esclamò Wythe, sporgendosi dal parapetto e agitando le mani.

- In quella loggia c’è qualcuno che vorrebbe provare? – chiese Dupont, mentre il riflettore si spostava da quella parte. La luce gialla indugiò un attimo si Wythe, poi si spostò velocemente su Nola, e qui si fermò.

- Abbiamo trovato la volontaria! Prego meravigliosa damigella! Scenda sul palco! –

Nola, terrorizzata, serrò le mani attorno ai braccioli della poltrona.

- Hai paura? – chiese Shia, carezzandole una spalla.

Nola annuì, senza emettere alcun suono.

- Suvvia! È un’occasione irripetibile! Ti consiglio di andare! – fece Wythe, che non vedeva l’ora di stare sola con Shia.

“ Oh, insomma! Ho combattuto contro Dray e non ho avuto neanche un briciolo di questa paura che mi ha presa adesso! Tanto vale tentare!”

Nola si alzò dalla poltroncina.

- Se non vuoi non sei costretta… - disse Shia, prendendola per una mano. Lei gli sorrise.

- Non preoccuparti, va tutto bene! –

La ragazza si diresse verso la scala che portava al piano inferiore, ma Dupont la bloccò.

- Aspetta! –

Davanti alla balconata della loggia si avvicinò una grande altalena fatta di fiori di ogni genere.

- Siediti e non preoccuparti! È sicura al cento per cento! –

La cosa si faceva seria…

Titubante, Nola si avvicinò al dondolo fiorito, nello stesso istante in cui si accorse che era fissato con dei robusti cavi d’acciaio al soffitto. In realtà anche l’altalena stessa era fatta d’acciaio, solo, ricoperta di vegetazione.

La ragazza si sedette, e in un attimo, quella struttura la condusse al palco, dove lei atterrò leggiadramente.

Dupont si inchinò e le baciò la mano.

- È un piacere avere come assistente un fiore di tale bellezza! –

A quelle parole, la mano di Shia si irrigidì attorno al bracciolo della poltrona.

- Non ci resta che cominciare! – disse Dupont, sorridendo al pubblico.

 

 

Sul palco era già stata predisposta una piattaforma circolare e tutti gli oggetti da utilizzare per quel numero.

- Prego, signorina, salga sulla piattaforma. – disse Dupont.

Nola fece come chiesto, e con un po’ di fatica vi salì sopra.

Il mago prese un telo rosso e lo posizionò davanti alla ragazza. Appena lasciata la presa di quel telo, esso si resse perfettamente in aria da solo.

Un altro schiocco di dita e improvvisamente il telo prese fuoco.

Shia si alzò di scatto dalla poltroncina, ma Wythe gli tenne un braccio, facendolo tornare seduto.

Il telo bruciò in un istante, mostrando che Nola era scomparsa.

In tutta la sala, il pubblico si lasciò andare ad esclamazioni di stupore.

- Volete sapere dov’è? – chiese Dupont, sorridendo.

Gli spettatori annuirono con ovazioni e applausi.

- Provate a guardare nella loggia… - suggerì il mago.

Tutti si voltarono verso la loggia dove si trovavano Shia e Wythe, e, magicamente, Nola era esattamente al suo posto, con grande stupore (e sollievo) di tutti ma soprattutto di Shia.

La platea esplose in applausi e complimenti, e sul palco vennero lanciate rose e altri fiori per il mago.

Lui fece un inchino.

- Ricordate… La magia non è altro che un’effimera illusione! – disse, e poi, in una nuvola di fumo, sparì.

 

 

- Mi hai fatto prendere un infarto! – esclamò Shia, mentre con Nola e Wythe si dirigeva al camerino di Dupont.

Lei sorrise. – Rilassati! Sono tutta intera! –

- Non sei abbrustolita da qualche parte? – scherzò lui.

- Ecco, siamo arrivati. – disse Wythe.

Si ritrovarono davanti ad una porta rossa su cui spiccava una stella dorata, e il nome scritto in nero di Dupont.

Nola bussò.

- Avanti! – disse una voce dall’interno.

Wythe aprì la porta ed entrò, assieme agli altri.

Davanti allo specchio era seduto un ragazzo biondo, sui sedici anni, che portava una vestaglia rossa sulle spalle.

Si voltò verso di loro, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

- Ma tu sei la ragazza dei biglietti! – esclamò, correndo verso Wythe e prendendole le mani. I due avevano più o meno la stessa altezza.

- È un piacere rivederti! Ti ho riconosciuta subito per via del colore dei capelli! Sai è un bellissimo verde, come il colore dei capelli di mia cugina! Vedi, in realtà non è mia cugina di primo grado… è la figlia della cugina di mia madre, che però si è risposata con signore paffuto, hai presente? Come quello che fa la pubblicità dei cereali, solo che il marito della cugina di mia madre ha la pancia così flaccida che quando si muove gli traballa tutta e… -

- BASTA! – gridò Wythe, esasperata. – Ma non la smetti mai di parlare?!

Il ragazzo sorrise.

- Sei tu il mago Dupont? – chiese Nola, facendo un passo avanti.

- Oh! La fanciulla che mi ha fatto da assistente! Sono così felice che… - ma non continuò la frase, perché Wythe gli lanciò un’occhiataccia.

- Si, sono io. – disse infine il ragazzo. Si inchinò davanti a loro e disse, con voce importante: - Il mio nome è Michelangelo Dupont! –

- Io sono Wythe. –

- E io Shia. –

- Il mio nome è Nola. –

- Lola? – chiese Michelangelo.

- Nola! – gridò lei.

Shia si rivolse a Wythe. – È lui? –

Lei annuì.

- Tu sei una Starlight? – chiese Shia a Michelangelo.

Improvvisamente il ragazzo si mise in posizione di combattimento, con un’espressione di puro odio in viso mentre dalle sue mani scaturiva una forte energia, che pian piano prendeva forma, trasformandosi in un arco azzurro – turchese, coordinato ad una freccia azzurra.

- Non avrete mai il mio potere! Carogne, al servizio di un ciarlatano senza scrupoli! –

Shia si parò davanti alle ragazze, per proteggerle.

- Noi non vogliamo i tuoi poteri. Anche noi siamo Starlight, proprio come te! –

 

 

Nola soffiava sulla sua tazza di cioccolata fumante, per raffreddarla.

- Scusatemi infinitamente. Ho davvero temuto che voi foste scagnozzi di Langarth. – disse Michelangelo, dando una tazza anche a Wythe e Shia.

- Il fatto è che poco tempo fa, una ragazzina dai capelli neri è venuta a farmi visita, e non aveva le più gradite intenzioni… -

Nella mente dei tre amici comparve l’immagine della compagna di Dray, di cui non conoscevano il nome.

- È venuta a far visita anche a noi… Ma, piuttosto, tu quale Starlight sei? – chiese Nola.

- Io sono la Starlight del Sagittario, Sagittarius. –

- Volevo farti i complimenti! Il tuo spettacolo è stato fantastico! – disse Shia.

- Grazie! – disse Michelangelo. – La prestidigitazione è da sempre tramandata dalla nostra famiglia, di padre in figlio. E così, mio padre era un mago, il padre di mio padre era un mago, e così via… - mentre diceva questo, da una manica della vestaglia faceva uscire foulard, colombe, un coniglio, una cacca di gomma, un paio di mutande da donna.

Poi fece spuntare un mazzo di fiori freschi e profumati, e dopo averli annusati li porse a Nola.

- All’assistente più brava e più bella del mondo! – disse dolcemente.

Nola arrossì e sorrise, mentre Shia strinse convulsamente il manico della sua tazza di cioccolata.

 

 

- È notte tarda, sarà meglio tornare a casa. – disse Wythe.

I due amici annuirono.

- Senti, Michelangelo… Noi stiamo andando alla ricerca delle altre Starlight. Vuoi unirti a noi? – chiese Nola, spiazzando gli altri.

Il ragazzo sorrise dolcemente.

- Mi dispiace… Ho un tour da seguire, e se faccio di testa mia, il mio manager mi impicca!-

Nola ci rimase un po’ male.

- Ok… Non fa niente. Allora sta attento, e soprattutto buona fortuna! –

Michelangelo fece un inchino reverenziale, mentre Nola usciva dal camerino, preceduta dagli amici.

 

 

La capsula in vetro si aprì con un sibilo, mentre un denso fumo bianco ne fuoriusciva.

Dray mise un piede fuori, poi l’altro, e con un po’ di fatica si issò in piedi. Attraversò l’immensa sala piena di macchinari e capsule, sotto lo sguardo atterrito dei medici, ed uscì sul lungo corridoio. Lo percorse per un tratto, finché non si fermò davanti ad una porta.

L’aprì di scatto. Non fece in tempo a varcare la soglia che Morgan gli saltò con le braccia al collo.

- Oh, Dray! Ho creduto che fossi morto! – piangeva come una bambina, stretta così forte a quell’uomo che le parve di stritolarlo.

Lui, dal canto suo, non sentiva il minimo dolore.

Anche Dray la strinse in un abbraccio, sprofondando il viso nei morbidi capelli della ragazza.

- Ho la pelle dura, amore… -

Sempre tenendola in braccio, Dray portò Morgan fino ad un grande letto al centro della stanza, dove la lasciò dolcemente. Si sedette vicino a lei.

- Dray…io… - iniziò a dire Morgan, accomodandosi a gambe incrociate.

- Io vorrei che tu lasciassi questo lavoro. Non voglio più che tu corra rischi. Hai visto cos’è successo? Sei quasi morto, e tutto per colpa di Langarth. Io… non voglio che capiti un’altra volta. Come potrei fare senza di te? –

Lui le diede un buffetto sulla guancia.

- Mi dispiace… non posso abbandonarlo… -

Dray tornò indietro nel tempo con la mente, fino al giorno in cui ebbe iniziato a lavorare per lui.

 

 

Come ogni notte andava a vegliare il sonno di Morgan, così tormentato, in quel periodo.

Era una notte intensa e stellata.

Dray si sedette sul bordo del letto, a osservare il viso tirato della ragazza. Stava avendo un incubo. L’uomo le carezzò la fronte con la mano, e in un attimo sul volto di Morgan si distese un dolce sorriso.

Uno scricchiolio fece voltare di scatto Dray. Nella stanza era apparso un uomo ammantato.

- Langarth, che ci fai qui? – sibilò, cercando di non alzare la voce per non svegliare la ragazza. – Ho già detto che non accetterò di diventare il tuo servitore. –

Langarth alzò una mano, e improvvisamente Dray fu costretto a  rannicchiarsi e cadde in terra, stretto da una morsa di dolore insopportabile, che gli pervase l’intero corpo.

- Uccidimi pure! – disse senza fiato. – Ma io non accetterò mai le tue condizioni… -

- Io invece credo proprio che lo farai… - mormorò Langarth, che nel frattempo si era avvicinato al letto.

La lama brillante di una spada sfiorava la pelle candida del collo di Morgan.

 

 

Dray scosse la testa.

Prese Morgan tra le braccia, come fosse una bambina.

- Su, ora non pensiamoci più. Sorridi e dimmi che mi ami. – disse lui, sussurrandole in un orecchio.

- Ma tu lo sai gia! –

- Voglio che tu me lo ripeta tutti i giorni! –

- Ti amo! – mormorò lei, prima che il suo respiro venisse interrotto da un dolce bacio. 

                                                                                                                                                                

 

 

 

Finalmente sono riuscita a postare anche questo capitolo! ^___________^’

Pant, pant!

Mi scuso con tutti (i pochi) che leggono questa storia, ma non ho avuto un attimo di tempo libero, in più la mia connessione è lenta come un bradipo in sciopero...

 

Che strano tipo quel Mick, non trovate?

Parla come una macchinetta e non si riesce a farlo stare zitto, però è davvero un mago eccezionale!

Purtroppo però non si è unito al gruppo di Nola e gli altri...

E Dray e Morgan? In fondo sono buoni, anche se lavorano per i cattivi!

Che cosa succederà adesso?

Non vi resta che aspettare il prossimo capitolo!

Magari questa volta sarò più  veloce nel postare!

Alla prossima, e grazie infinite a tutti voi che leggete!!! ^w^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Nola sospirò.

- Che succede? – chiese Wythe, sedendosi vicino a lei.

- Niente... è che Michelangelo non vuole unirsi a noi, e così potrebbe essere pericoloso per lui! –

- Ti piace? – chiese Wythe, facendo la civetta. Nola rise.

- Ma cosa dici! È solo che mi preoccupo per lui... -

- Tu ti preoccupi per tutti! – disse Shia, mentre apparecchiava la tavola.

Nola sprofondò nella poltrona.

- Uffa! Vorrei fare qualcosa... -

- Già, ma lui ha un tour da seguire. Non può abbandonare il suo lavoro. – cercò di spiegarle il ragazzo.

- Lo so... - sbuffò lei.

 

 

Boris trotterellava irrequieto. Aveva tanto voglia di uscire di casa a fare una passeggiata, ma fuori imperversava un violento temporale.

- Non ci credo! Siamo praticamente in estate e guarda che tempo! – esclamò Nola, scostando una tendina della finestra.

- In ogni caso, dove vorresti andare? – fece Wythe. – Ormai qui non ci facciamo niente. Dovremmo partire alla ricerca di qualche altra Starlight... -

- Ma come facciamo? Hai avuto qualche altra percezione? – chiese Shia.

- No, ma ci sarebbe un modo per scoprire dove si trovano. Basterà andare in biblioteca... -

- Vorresti trovarle su un libro? – disse Nola, trattenendo un sorriso. Anche Shia rise.

Wythe lanciò un’occhiataccia a Nola. Ultimamente era diventata più fredda nei suoi confronti.

- Bella battuta! Comunque, no. Quando andremo, vedrai come farò! – disse lei.

 

 

Finita la pioggia, i ragazzi uscirono di casa. Il cielo era ancora plumbeo, e una cappa di nuvole copriva la città.

- Io porto Boris a fare un giro. Ci vediamo più tardi! – disse Nola, mettendo il guinzaglio al cane.

- Che peccato! Non potrai ammirare il metodo che userò per cercare le Starlight! – disse Wythe, prendendo sottobraccio Shia.

- Andiamo! – disse poi a lui.

 

 

- Boris! Smettila di tirare! – esclamò Nola, riuscendo a stento a stare dietro al cane.

L’animale si voltò verso di lei e la fissò intensamente negli occhi. Abbaiò.

- Che c’è? – chiese lei, divertita. Più il tempo passava, più riusciva a comprendere quello che il cane cercava di dirle.

Boris abbaiò un’altra volta. Nola si concentrò.

- Vuoi dire... “ Shia”? – gli chiese.

Lui abbaiò nuovamente. Significava “si”.

La ragazza fece un sospiro.

- La verità è che mi da fastidio che quei due siano andati via insieme... -

Il cane guaì con fare comprensivo.

- Non è come credi! Non sono gelosa in “quel” senso! –

Boris abbaiò, ma quel verso era molto più simile ad una risata che al verso di un cane.

 - Nola! – esclamò una voce alle spalle della ragazza. – Che sorpresa! Porti a spasso il cane?-

 

 

- Siamo arrivati! – esclamò Wythe, fermandosi davanti ad un gigantesco palazzo in stile vittoriano. L’enorme portone di legno scuro era spalancato, e dava su un grande androne da cui partiva una scala di marmo che portava ai piani superiori.

Shia e Wythe si diressero verso il banco informazioni. Al banco era seduta una giovane donna con i capelli rossi spettinati. Era impacciata e maldestra.

- Buon giorno! – disse, sistemandosi gli spessi occhiali sul naso.

- Veramente siamo di pomeriggio! – sussurrò Wythe a Shia, che rise.

- Salve! Ci può indicare il reparto geografia? – chiese la ragazza.

- Primo piano, sala A24, buona lettura! – disse la bibliotecaria con un sorriso.

I due ragazzi salirono la grande scalinata di marmo e raggiunsero il corridoio con le varie sale. Tra le tante porte presenti, riconobbero subito quella che cercavano.

La sala era di forma quadrata, colma di scaffali traboccanti di libri. In fondo alla stanza c’era una parete interamente coperta di carte geografiche, planisferi, mappe topografiche e quant’altro.

Wythe si avvicinò alla carta geografica della Repubblica dell’Aria.

Si guardò intorno per vedere se c’era qualcuno nei paraggi, ma la sala era completamente vuota, poi unì le mani come per pregare.

In un attimo un’intensa luce verde si irradiò da esse, e le avvolse completamente.

Alzò le mani e le poggiò nel punto in cui c’era scritto “River Town”.  Iniziò a muovere le mani sulla cartina, come per cercare qualcosa.

- Allora? – chiese Shia in un sussurro.

- Nulla. Provo su un’altra carta. – Wythe si spostò sulla cartina del Regno della Terra.

Anche qui sopra mosse le mani, in direzione circolare.

- Ecco... sento... sento qualcosa... Trovato! – esclamò.

- Dove si trova? – chiese Shia, avvicinandosi.

- A Beryl City! –

 

 

Nola si voltò.

- Michelangelo! – esclamò e gli corse incontro. – Anche tu in giro? –

- Chiamami Mick, per favore! Beh, senza il costume da mago, non mi riconosce nessuno, quindi non corro il rischio di essere aggredito dai fan! –

- Modesto come al solito! – rise Nola.

I due si misero a passeggiare.

- Allora? Non hai cambiato idea sul fatto di unirti a noi? – chiese la ragazza.

Questa volta fu Michelangelo che rise.

- Ti piaccio così tanto che vuoi a tutti i costi che io ti segua? –

- Uffa! Tutti con questa storia! –

- Comunque te l’ho detto... -

- Già. –

- Mi è venuta un’idea! – fece all’improvviso Mick.

- E se fossi tu a venire con me? –

Nola si fermò in mezzo alla strada.

- Che cosa? – esclamò.

- Ma certo! Tu e io! Potresti diventare la mia valletta nello show, poi quando compirò diciotto anni ti sposerò e insieme avremo cinque figli! –

- Cosa che cosa? – esclamò Nola, ancora più sorpresa e trattenendo una risata.

- Nola, non sto scherzando. Mi sono innamorato di te! –

- Ma se ci siamo visti una sola volta! E in più non sai niente di me. Quanti anni ho? – fece lei.

- Ehm... - Mick parve pensarci su. – In realtà non lo so! –

Nola sospirò divertita.

- Ne ho sedici! –

- Che coincidenza! Anche io ne ho sedici! – esclamò il ragazzo.

- Oh! Guarda! Siamo arrivati al ponte! – disse poi.

I ragazzi erano arrivati al massiccio ponte di pietra che collegava le due parti della città, separata dal fiume Glyn.

Nola si sporse dal parapetto per guardare giù.

L’acqua del fiume era scura e agitata, e rifletteva il cielo scuro.

- Credimi, nelle belle giornate il Glyn è uno spettacolo! Dal porticciolo partono delle piccole barchette che fanno il giro turistico, e i cormorani vengono qui a pescare il loro cibo! –

La ragazza sorrise. Era davvero un peccato che fosse brutta giornata...

Nola guardava ancora l’acqua, quando si accorse che stava accadendo qualcosa di strano. Nel punto dove si erano posati i suoi occhi, l’acqua iniziò a ribollire e formare bolle d’aria, finché dal fiume fuoriuscì qualcosa, che in uno spruzzo potentissimo, facendo la doccia ai due ragazzi, si posizionò sul muretto di pietra.

Nola arretrò di un passo, mettendosi in posizione di attacco.

- Ehilà! Chi si rivede! – disse l’uomo.

- Dray... - mormorò Nola tra i denti.

- Non mi aspettavi, vero? –

- Chi è? – chiese Mick, allontanandosi anche lui.

Dray fece un elegante salto, ritrovandosi esattamente di fronte alla ragazza.

- Non è un amico. – disse lei, secca.

Senza che Mick se ne rendesse conto, il braccio di Dray si era già trasformato in un’arma di morte, e così anche Nola aveva attivato il suo potere.

I due iniziarono una lotta serrata, tanto che il ragazzo non riusciva a seguirli con gli occhi. Anche lui però voleva partecipare, perciò fece spuntare dal nulla il suo arco e si preparò e scagliare le frecce.

Impegnato com’era a schivare il vento dell’anfora di Nola, Dray si accorse della presenza di Mick solo grazie alla freccia che gli trapassò un braccio da parte a parte.

La lotta si bloccò improvvisamente.

Dray si voltò verso il ragazzo, fissandolo con occhi gelidi.

Improvvisamente il cuore di Mick partì all’impazzata, terrorizzato da quell’uomo, che, con una sola mano, spezzò la freccia azzurrina e la lanciò per terra.

- Non farmi ridere. – gli disse, e si apprestò a scagliarsi contro di lui, ma Nola gli bloccò la scure a mezz’aria, aggrappandosi.

Fu un attimo.

Dray agitò il braccio violentemente, e le mani di Nola si staccarono alla presa.

La ragazza sentì il suo corpo ondeggiare in aria, un attimo prima di vedere davanti ai suoi occhi la balaustra del ponte.

Cadde in acqua con violenza.

 

 

Shia alzò gli occhi dalla carta geografica, con espressione profondamente preoccupata.

- È successo qualcosa a Nola! – esclamò, e subito dopo si fiondò fuori dalla biblioteca, seguito da Wythe, che cercava di capire.

- Che cosa è successo? – urlò, per farsi sentire sopra il traffico pomeridiano.

- Nola ha avuto un problema! – gridò lui, con la rabbia che cominciava a salire.

- E come fai a saperlo? –

- Ho avuto uno strano presentimento! Ora zitta e corri! –

Sentendosi parlare così, Wythe si offese e lo seguì furiosa.

 

 

L’acqua del fiume era gelida e sembrava penetrarle dentro la pelle, fino alle ossa.

La testa di Nola uscì dall’acqua quel tanto che bastava per farle prendere fiato, ma subito un’onda la travolse nuovamente.

Come se non bastasse aveva ricominciato a piovere, e il fiume si era agitato notevolmente.

- E ora, a noi, ragazzino. – disse Dray.

Si avvicinò a Mick con sguardo minaccioso.

Il ragazzo non riusciva a capirne il perché, ma quello sguardo lo terrorizzava a morte.

Alzò l’arco davanti a se, ma le mani e le gambe gli tramavano.

Dray bloccò la freccia con una mano, e la spezzò stringendola in un pugno.

- Qu... quella è la seconda freccia che rompi... - disse Mick, scoppiando in una risata isterica.

Dray fece un ultimo passo e prese il ragazzo per il collo, stringendo la presa.

- Le tue ultime parole? – chiese Dray, con un sorrisetto di sfida.

Mick sorrise: - S... sei f... fregato... -

Il bastone dell’Ariete si abbatté con forza sulla schiena di Dray, che lasciò la presa e cadde per terra.

- Dov’è Nola! – gridò Shia, aiutando Mick, che nel frattempo riprendeva fiato.

Il ragazzo indicò il fiume.

- È caduta! –

- Fermo! Non farlo! – gridò Wythe, ma Shia l’aveva già fatto.

Si tuffò dal parapetto.

 

 

Nola cercò di aprire gli occhi, ma la potenza dell’acqua era talmente forte che le facevano male. Cercava di nuotare per arrivare in superficie, ma la corrente la trasportava troppo velocemente e lei non riusciva a muovere ne braccia ne gambe.

Sentiva che ormai le forze la stavano abbandonando.

Poi, d’improvviso, andò a sbattere contro qualcosa di grande e compatto che le tolse il fiato.

Istintivamente aprì la bocca per prendere fiato, ma l’acqua le invase la gola e i polmoni.

Dai suoi occhi uscirono abbondanti lacrime, che si mischiarono con l’acqua del fiume.

Aprì gli occhi, ormai convinta che sarebbe morta.

Che fine penosa...

“ E dire che io volevo fare grandi cose... Chissà che fine farà la mia Starlight...” pensò, prima di abbandonarsi definitivamente all’oblio.

 

 

Nola aprì piano gli occhi. La luce la disturbò, e dovette richiuderli.

- Si è svegliata! – disse una voce.

- Spostatevi, lasciatele spazio! – disse un’altra voce.

La ragazza schiuse gli occhi un’altra volta. Davanti a lei si trovava il viso maschile più bello che avesse mai visto.

- Sono in paradiso? – mormorò. – Allora sono stata brava... -

Improvvisamente sentì che nel suo stomaco si muoveva qualcosa, e fu colta da un conato. Si voltò su un lato e vomitò una quantità industriale di acqua di fiume.

- Nola! Oh, Nola! – esclamò Wythe, e si lanciò ad abbracciarla.

- Ho temuto che fossi morta! – esclamò, piangendo forte.

Ancora frastornata, la ragazza non capì niente di quello che stava succedendo.

- Dove... sono? – chiese, prima che un altro conato la cogliesse.

Dopo essersi ripulita la bocca, Shia le si avvicinò.

- Siamo sulla sponda del fiume. Eri caduta e mi sono tuffato a prenderti. –

Nola si guardò intorno. C’erano tutti: Shia, Wythe, Michelangelo e Boris. E avevano tutti un’espressione preoccupatissima e insieme sollevata.

Poi, capendo solo in quel momento il significato di quelle parole, si voltò verso Shia e si buttò tra le sue braccia, iniziando a piangere.

- Grazie! – riuscì a dire tra i singhiozzi.

Wythe si avvicinò e si unì a quell’abbraccio, mentre il cane si lanciò nella mischia, leccando i volti di chi capitava a tiro.

- Avanti! Vieni anche tu Mick! – disse Nola, e così si unì anche il ragazzo.

 

 

La giornata si era completamente rischiarata, e in cielo non c’era più neanche una nuvola.

- Odio i temporali estivi. – esclamò Shia.

Lui e Nola erano completamente fradici, da capo a piedi.

- A proposito... Che fine ha fatto Dray? – chiese Nola, interessata. 

- L’abbiamo fatto scappare! – esclamò Wythe, orgogliosa.

Mick si scostò un poco.

- Scusami Nola. Io avrei voluto davvero darti una mano, ma ero come paralizzato, e non capisco perché... –

Lei gli sorrise comprensiva.

- L’importante è che tu stia bene, no? – rise.

- Certo che sei proprio strana! – disse Shia. – Eri tu quella che stava per rimetterci la pelle, e invece sei felice per gli altri! Io proprio non ti capisco! –

 

- Allora... La buona notizia è che sappiamo dove si trova un’altra Starlight. – disse Wythe, camminando avanti e indietro nel salotto di casa.

- E la cattiva? – chiese Shia.

- C’è anche una notizia cattiva? – fece Nola.

I due si erano asciugati e cambiati d’abito.

- La notizia cattiva è che dovremmo andare nel Regno della Terra, ma la cosa peggiore, è che laggiù io non possiedo ne abitazioni ne nient’altro... Dovremmo arrangiarci come meglio possiamo... -

“ Il Regno della Terra! ”

Improvvisamente il cuore di Nola si svuotò.

“ Così di sorpresa... Lasciare il mio paese natale...”

I suoi occhi si spalancarono, vagando nel vuoto.

- Tutto bene? – Wythe sventolò una mano davanti alla faccia di Nola, che si riscosse.

- S... si, stavo solo pensando... -

- Ok, domani mattina vado alla stazione delle navette e prendo tre biglietti. – disse Wythe. – Penso che dovremmo comprare anche una cuccia per Boris, di quelle da viaggio, non credo si possano trasportare gli animali senza gabbietta... -

A quelle parole Boris fece un verso di disaccordo.

- Lo so! È un po’ fastidioso, ma cerca di sopportare... quanto dura il viaggio? – chiese Nola, grattando le orecchie del cane.

- Oh... non troppo... Credo una ventina di minuti, forse un’ora… -

La ragazza sospirò, guardando fuori dalla finestra.

 

 

Mick entrò nel camerino, togliendosi la maschera e lanciandola sulla specchiera con agilità. Si tolse la giacca e si fece sprofondare nella poltrona.

“ Oggi sono proprio stanco...” pensò.

Bussarono alla porta.

- Avanti. – disse.

La porta si aprì piano ed entrò una giovane cameriera dai capelli corvini, che portava un vassoio con una lettera.

- Un messaggio per il signor Dupont. – disse.

Mick prese la lettera e l’aprì.

“ Ciao Mick!” diceva. “ Sono Nola. Purtroppo io e i miei amici partiremo molto presto per il Regno della Terra. Se non hai cambiato idea sul fatto di seguirci, ti va almeno di venire a salutarci? Ne sarei molto felice! Un bacio, Nola.”

In un attimo, il ragazzo prese carta e penna e scrisse un messaggio veloce.

“ Certo che vengo! Soprattutto se quel bacio me lo dai sul serio!”

- Signorina. Consegni questo messaggio all’ingresso e chieda ad uno dei fattorini se la mittente ha lasciato un indirizzo. In quel caso gli chieda di portarlo urgentemente a destinazione, per favore. –

- Ma per chi mi hai preso, per la tua schiava personale? – fece la cameriera.

Mick alzò lo sguardo, meravigliato e contrariato.

- Ma come si permet... - fece per dire, poi la guardò bene in faccia, e il suo cuore ebbe un sussulto.

- Mi hai riconosciuta, eh? – fece lei.

Con un gesto fulmineo si tolse gli abiti da cameriera, mostrando che sotto portava un abito nero molto succinto.

- Tu. – sibilò il ragazzo.

- Esatto! Il mio nome è Morgan, per tua informazione...– disse lei, e in un attimo le sue dita si trasformarono in lame affilatissime.

- Sagittarius! – gridò Mick, e subito apparve il suo arco azzurro con le frecce.

- Non ti servirà a niente in un corpo a corpo! – fece la ragazza, e scoppiò in una risata.

- Scommetti? – mormorò lui, scagliando una freccia che la colpì ad una gamba.

Morgan gridò di dolore, un attimo prima di lanciarsi su Mick con le sue lame di rasoio.

Il ragazzo parava ogni fendente con il suo arco, costituito da pura anima, e perciò invulnerabile, ma più di quello non poteva fare.

In un impeto di violenza, Morgan si gettò su di lui, mirando a trafiggerlo con le lame, ma all’ultimo momento, Mick schivò l’attacco, e la ragazza perforò un groviglio di cavi elettrici, che lanciarono scintille su ogni cosa.

I due si fermarono per prendere fiato.

- Perché... anf... mi attacchi? Cosa ti ho fatto? –

- Io obbedisco agli ordini. – disse lei secca.

- Oh! Non riesci a pensare con la tua testa e allora gli altri pensano per te? – rise il ragazzo.

Gli occhi della ragazza si riempirono di rabbia. – Rimangiati quello che hai detto! – gridò.

Alzò un braccio per colpirlo, ma fu colta da una tosse improvvisa. La stanza si era riempita di fumo. Mick si voltò in direzione dei cavi. Le scintille avevano incendiato parte dell’arredamento, e il fuoco pian piano si era esteso. 

 

 

Per la strada non si sentivano altro che sirene dei vigili del fuoco. Shia si affacciò al balcone, proprio nel momento in cui due autopompe sfrecciavano li sotto.

In lontananza vide una colonna di fumo innalzarsi al cielo, e per strada c’era un viavai di gente spaventata e urlante.

- Che succede? – chiese il ragazzo ad una signora che passava per strada.

- Un incendio! Il teatro va a fuoco! –

Shia tornò in salotto come un fulmine e prese la sua giacca.

Nola e Wythe lo fissarono con sguardo interrogativo.

- Mick è in pericolo! Correte! – disse lui in risposta.

 

 

Il camerino si era ormai riempito di fumo.

- Stai per morire. Ora consegnami il tuo potere. – ordinò Morgan.

- Questo fumo non fa bene neanche a te... - disse Mick, sorridendo.

- Io però ho una possibilità di fuga! – continuò Morgan.

Mick alzò di scatto l’arco e con una freccia spaccò il grande specchio in tante piccole schegge.

- Sbagliato! – disse lui in un soffio.

- Dammi il tuo potere! – gridò la ragazza, perdendo la pazienza.

- Sai... le Starlight capiscono quando è giunto il momento della loro morte. E so che io non morirò qui, perciò è meglio che ti ritiri! -  

In quel momento la porta del camerino venne sfondata, e un potentissimo getto di schiuma entrò nella stanza.

Morgan lanciò un’occhiata gelida al ragazzo, poi si lanciò su un piccolo pezzo di specchio e ne venne risucchiata, scomparendo.

- C’è qualcuno? – gridò un pompiere, entrando.

Mick tossì, ma alzò un braccio in segno di saluto.

Stava bene.

 

 

Fuori dal teatro si era radunata una fila di curiosi, più naturalmente vigili del fuoco e ambulanze. In realtà la zona invasa dal fuoco era poco estesa, ma il camerino era completamente bruciato, e così anche il magazzino, dove stavano tutti gli strumenti per i trucchi di magia.

L’infermiere tolse la mascherina dell’ossigeno dalla bocca di Mick.

- Mi hai fatto prendere un colpo! – esclamò Nola

Mick sorrise. – Sto bene... sono solo un po’ abbrustolito... -

- E i tuoi trucchi di magia? –

- Non preoccuparti! Sono tutti qui dentro! – disse, toccandosi la testa con un dito.

Nola sospirò.

- È strano... Nello stesso giorno abbiamo rischiato la vita entrambi, ma ci siamo salvati. –

- Sarà stato un miracolo? – fece Mick, scoppiando a ridere.

 

 

La stazione delle navette era gremita di gente, che partiva o che tornava a casa.

- Stiamo vicini, o ci perderemo in mezzo a tutte queste persone! – gridò Shia, cercando di farsi sentire sopra tutto il mischiarsi di voci e suoni.

Affaticata dal peso dei bagagli, Nola si guardò alle spalle.

“ Alla fine Mick non è venuto a salutarci... Spero che gli vada tutto bene!” pensò.

Con una mano si aggiustò l’ormai consueto cappello sulla testa, mentre l’altra mano stringeva con forza la cuccia da viaggio di Boris.

- Ecco il check in. Forza, sbrighiamoci. – disse Wythe.

Improvvisamente Nola sentì il peso della cuccia diminuire, finché qualcuno non gliela tolse di mano.

- Ehi! – fece per dire lei, voltandosi.

- Il mio tour è saltato, perciò ho deciso di venire con voi! Il cane lo prendo io, è troppo pesante per te! – esclamò Mick, sorridendo a trentadue denti.

Nola lo guardò incredula, per poi saltargli al collo ed abbracciarlo, ridendo di gioia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima di tutto vorrei dirvi... scusateeeeee!

Non sono riuscita a mantenere la promessa di postare più velocemente, ma il fatto è che in questo periodo mi devo concentrare molto sullo studio, infatti quest’anno ho la maturità...

Ma bando alle ciance...

Vorrei fare un ringraziamento speciale a Ladywolf: grazie mille per avermi fatto tutti quei complimenti, e ora passo a rispondere a tutte le tue domande!

Allora... ho letto che non hai capito bene l’aspetto fisico di Shia...

È alto, un po’ abbronzato, perché passa il suo tempo a curare il suo orto, ha i capelli corvini, con qualche ciuffo che gli ricade sul viso, e ha gli occhi di diverso colore, uno viola e l’altro grigio.

Devo dire che anche a me piace molto la coppia Shia/Nola, ma non posso rivelare niente, e soprattutto, non si sa mai che... bocca mia, cuciti!

Un’altra cosa... mi fa piacere che il tuo segno sia scorpione! Lo Scorpione della mia storia è un personaggio molto particolare, però purtroppo non apparirà molto presto, mi dispiace...

Bene... a tutti voi lettori è piaciuto questo capitolo?

Si è capito definitivamente che Mick è davvero bizzarro, non trovate?

E non sarà la sua ultima sorpresa, credetemi!

Però, come avrete notato, il mago si è aggiunto al gruppo, e da questo momento i nostri poveri ragazzi dovranno proteggere le orecchie dalle sue chiacchiere senza senso!

Ci ritroviamo al prossimo capitolo, allora, e buona estate! ^w^

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

La navetta procedeva silenziosa e a velocità moderata giù per il tubo di vetro trasparente, quasi come un ascensore.

Nola e Mick, incredibilmente simili nonostante le differenze caratteriali, ammiravano il paesaggio come due bambini.

Per un breve periodo non videro altro che la nuda roccia della Repubblica dell’Aria, il consistente ammasso di terra fluttuante nell’aria che ospitava un continente intero.

Poi la loro vista cambiò improvvisamente: la roccia terminò, lasciando spazio all’immenso cielo che, all’orizzonte, si congiungeva con un meraviglioso oceano azzurro e brillante. Sul versante opposto si estendeva il territorio del Regno della Terra, il continente più ampio di tutti.

- È proprio vero! L’estate è arrivata! – disse Wythe, sistemandosi sul sedile della navetta.

- Voglio andare al mare! – si lamentò Nola, muovendo le gambe.

Mick rise, e dalla tasca dei pantaloni estrasse un foglietto, su cui era disegnato un fiocco di neve. Lo mostro a Nola, poi lo strappò in tanti piccoli pezzi e li nascose in una mano. Quando la riaprì, al posto della carta si trovava una conchiglia rosa perlata.

- Per te! – disse, porgendola alla ragazza. – Un “assaggio” di mare in anticipo! –

I due risero.

Shia girò la testa per non guardarli.

 

 

Con un leggero sobbalzo, la navetta atterrò alla stazione.

I ragazzi recuperarono velocemente tutti i loro bagagli, scendendo in fretta dalla navetta.

- Se non ci sbrighiamo perderemo la coincidenza con il treno che ci porterà a Neapolys! – esclamò Wythe, correndo come una forsennata seguita dagli altri.

- Ma come? Non dovevamo andare direttamente a Beryl City? Perché andiamo a Neapolys? – fece Mick, già con il fiatone.

- È troppo lontana, il treno non ci arriva… Ecco! È questo! Sbrighiamoci o lo perderemo! –

La stazione dove erano arrivati con la navetta, Stazione Centrale, era il punto di arrivo e di partenza più importante del Regno, e qui si incrociavano anche tutti gli altri mezzi di trasporto: da qui partivano treni, bus e aerei, servizi di taxi e navette.

Shia salì sul treno, un gigantesco serpentone di vagoni metallizzati con una striscia verde acqua che li divideva in senso orizzontale, e poi prese Nola per i fianchi, senza sforzo, issandola su.

Salito anche Mick, la locomotiva sbuffò rumorosamente, e il capostazione fischiò un’unica potentissima nota.

- Wyhte! Sbrigati, si stanno chiudendo le porte! – gridò Mick e si sporse fuori da esse, tendendo un braccio.

La ragazza afferrò la sua mano saldamente e lui tirò con tutta la sua forza.

Le porte si chiusero con uno sbuffo, subito dopo che i piedi di Wyhte toccassero lo scalino.

- Per un pelo! – sospirò lei, poi si rese conto che Mick le teneva ancora la mano.

- Ti spiacerebbe mollarmi? Così mi consumi! – disse, e il ragazzo obbedì, fissandola con uno sguardo strano.

 

 

Qualcuno bussò alla grande porta bianca. Non aspettò neanche che gli dicessero avanti, che spalancò la porta con un colpo.

- Mio caro Dray! Ho saputo che tu e la tua… “compagna”… avete fatto cilecca anche questa volta? Ne sono compiaciuto! –

Dray, seduto alla poltrona della scrivania, alzò lo sguardo da alcuni fogli che stava leggendo.

- Anthias. Che piacere vederti. – disse, con scarso entusiasmo.

Anthias fece un passo avanti, in modo che la luce potesse illuminarlo bene in viso.

Era un bell’uomo, più basso di Dray, ma più grande di età. Aveva i capelli corti e scarmigliati, e un paio di occhiali tondi con la montatura fine. Indossava una lunga tunica blu con i bordi dorati che gli arrivava fin sotto la vita, sotto la quale portava un paio di pantaloni e degli stivali.

Dallo specchio di lato sbucò Morgan. – Dray ti piace di più la panna o… - la ragazza non concluse la frase, lanciando un’occhiataccia al nuovo arrivato.

Anthias rise. – Ehilà, Morgan, giochi a fare la mogliettina? –

Lei si sistemò di fianco a Dray, che le prese una mano.

- Cosa vuoi? – sibilò.

- Giusto! – esclamò Anthias, come se si fosse ricordato solo in quel momento. – Sono venuto a dirvi che il Sommo Langarth mi ha affidato il prossimo attacco alle Starlight! – disse, con voce melodiosa.

- Che cosa? – esclamò Dray, sbattendo un pugno sulla scrivania e alzandosi in piedi.

- Non può farlo! Io ho eliminato molte Starlight della vecchia generazione, compresa quella dell’Acquario! –

 - Oh, è vero! Immagino che ci voglia un sacco di coraggio e di forza per eliminare una vecchietta indifesa! – fece Anthias, applaudendo compiaciuto.

- Sta zitto! – gli intimò Dray.

Anthias sorrise.

- Ora devo andare, amico mio. Le mie donne mi aspettano! – disse, poi, invece di uscire dalla porta, sfiorò lo specchio e sparì.

- Quanto lo odio! – mormorò Morgan, stringendo un pugno.

Dray si alzò dalla poltrona, andando ad osservare il paesaggio dalla finestra.

- Andrò a fare una chiacchierata con Langarth. – disse.

Morgan lo guardò preoccupata.

 

 

- Vado in bagno. – disse Wythe, aprendo la porta dello scompartimento. Con un balzo, Mick si alzò e la seguì, lasciando Nola e Shia soli.

- Che c’è? – chiese Wyhte. – Non puoi entrare nella toilette delle donne, sai? – rise.

- Devo dirti una cosa molto importante! – mugugnò il ragazzo.

- Prima fammi andare in bagno… -

- Aspetta! È urgente! –

- Va bene, ma sbrigati, me la sto facendo addosso! –

 

 

Nola guardò fuori dal finestrino le immense pianure che sfilavano veloci.

- Ti piace qui? – chiese Shia, che la fissava dolcemente.

Lei sorrise, annuendo, però poi un’ombra passò sul suo viso.

- Mi dispiace solo di aver abbandonato la mia terra. Non avevo mai viaggiato così lontano come adesso. –

- Non l’hai abbandonata. Sono certo che quando tutto questo sarà finito ci tornerai. – disse, prendendole una mano.

Lei sorrise. E capì. Capì che ormai avevano dato origine a qualcosa che li avrebbe cambiati completamente nel profondo e da cui non ci si poteva ritrarre. Dovevano andare fino in fondo e trovare tutte le altre Starlight. Dovevano proteggersi a vicenda.

- Shia! – fece Nola, improvvisamente. – Qui nel Regno della Terra c’è la tua famiglia! Potrai andare a trovarla! –

Gli occhi del ragazzo si oscurarono improvvisamente, e grazie al contatto con le loro mani, involontariamente lui trasmise una fortissima emozione alla ragazza, che fece aumentare il suo battito cardiaco.

 

 

- Che cosa? – esclamò Wythe, scoppiando a ridere, ma trattenendosi subito dopo. Non poteva rischiare, visto che tutte le sue mutandine erano in valigia.

- Non sto scherzando, vuoi essere la mia ragazza? – chiese Mick con enfasi.

- Senti… io… -

- No, scusa, non avrei dovuto chiedertelo… io… non lo so, appena vedo una ragazza mi escono queste parole di bocca! –

Wythe rise ancora di più, e gli mise una mano sulla spalla.

- Tu sei malato, te ne rendi conto? E poi che significa “appena vedo una ragazza”? –

- Ehm… l’ho chiesto anche a Nola… - rise lui.

A quel punto Wythe corse in bagno, scoppiando a ridere come una scema.

Ne uscì poco dopo.

- Scusami tanto, ma se non correvo subito sarebbe successa una tragedia! –

- Non preoccuparti, e poi sono io che dovrei farlo! Hai ragione tu, sono malato, malato d’amore! – esclamò interpretando la frase come un attore melodrammatico.

- Su, non fare così. Quando troverai la donna giusta te ne accorgerai! –

- Una curiosità: ma tu lo chiedi a tutte le ragazze che vedi, sul serio? –

- Purché vivano e respirino… Tranne alle vecchie e alle bambine, però! –

I due risero, dirigendosi allo scompartimento.

 

 

Il treno ebbe un sobbalzo.

- Che succede? – chiese Nola, ridestandosi da un piccolo sonnellino.

Vi fu un altro sobbalzo, poi un altro ancora.

- Vado a chiedere al macchinista se va tutto bene. – disse Shia, alzandosi dal sedile.

Appena mise la testa fuori dallo scompartimento, vide che anche gli altri passeggeri avevano fatto lo stesso, per vedere cos’era successo.

Shia si diresse verso la locomotiva, camminando velocemente. I sobbalzi si susseguivano ormai quasi ritmicamente.

Il ragazzo capì che qualcosa non andava fin dal principio. La porta della locomotiva era scardinata, e il macchinista con il suo secondo erano privi di sensi a terra.

- Signore! Signore, si sente bene? – esclamò Shia, accucciandosi vicino al primo, ma non ricevendo risposta andò dall’altro.

Sentì il polso ad entrambi.

- Sono vivi, meno male! – sospirò di sollievo.

Poi, lo colse una repentina folgorazione. Mentre sentiva il polso del secondo, un’immagine balenò nella sua mente: quella di tre bellissime ragazze che tramortivano i due uomini.

Improvvisamente sentì un grido provenire da uno degli scompartimenti.

- Nola! - mormorò, stringendo un pugno.

 

 

I ragazzi tesero le orecchie.

- Hai sentito quel grido? – fece Wyhte, allarmata.

I tre ragazzi si alzarono contemporaneamente dai sedili.

Il treno entrò in galleria. Nola guardò fuori dal finestrino, ma l’unica cosa che riusciva a vedere era il suo riflesso nel vetro.

Inaspettatamente, sul vetro sembrava accadere qualcosa. All’inizio fu poco più di una vibrazione, ma Nola non riusciva già più a staccare gli occhi da quella vista. Il vetro continuava a vibrare, ed era come se sulla sua superficie si formassero delle piccole onde che si ingrandivano man mano.

Nola gridò.

Dalla superficie ondosa fuoriuscì una mano, poi un braccio ed infine tutto il resto del corpo di una bellissima ragazza. Dietro di lei sbucarono altre due ragazze, altrettanto belle ma anche altrettanto diverse.

- Finalmente li abbiamo trovati! – disse la prima, sistemandosi le pieghe leggere dell’abito.

- Te l’avevo detto che la cabina non era quella giusta, ma tu mi ascolti? Certo che no! – fece la seconda ragazza alla terza, che per tutta risposta le fece una linguaccia.

La porta dello scompartimento si spalancò ed entrò Shia, affannato.

Guardò prima i suoi compagni, atterriti, poi quelle tre affascinanti ragazze, una bionda, una rossa ed una mora.

- Voi chi siete? – gridò il ragazzo, parandosi davanti a Nola con discrezione.

La bionda, il capo, fece un passo avanti.

- Io sono Phoebe. – disse.

- Io invece sono Ivy. – disse la rossa, con una risatina da civetta.

- Il mio nome è Bellatrix. -  fece l’ultima.

Wythe si voltò verso Shia.

- Sono delle Ombre! – esclamò.

I quattro ragazzi si misero in posizione da combattimento, sfoderando le loro armi magiche.

- Quattro contro tre non è leale! – disse Ivy, trattenendo una risatina.

- Inoltre qui non c’è spazio per combattere! – dichiarò Bellatrix, e con un agile salto, attraversò di nuovo il finestrino.

- Dove sono andate? – chiese Nola, allarmata.

Sopra le loro teste si sentì un rumore di passi.

- Sono sul tetto! – gridò Shia, che corse fuori dallo scompartimento, seguito dagli altri.

Mentre si dirigevano alla fine del vagone, dagli altri comparti giungevano strilli di paura e grida.

Shia, alla testa del gruppo, aprì la porta del vagone, e subito i ragazzi vennero rinfrescati dalla profumata brezza marina.

A lato della porta si trovava una scala a pioli metallici, che portava sul tetto del treno. I ragazzi riposero le armi e salirono ad uno ad uno.

Arrivati sopra, scoprirono che la lieve brezza si era trasformata in un vento molto forte, che, anche se non freddo, riusciva comunque a trattenerli.

- Non riesco a camminare! Questo vento è troppo forte! – si lamentò Wythe, socchiudendo gli occhi.

- Non fare la lagna! – disse Phoebe, apparsa alle sue spalle.

Wythe aprì gli occhi per vedere meglio, scoprendo così di essere rimasta sola.

- Dove sono gli altri? – gridò, per sovrastare il rumore del vento.

- Se ne stanno occupando le mie “sorelle”. Ora non pensare a loro e combatti! –

Wythe non se lo fece ripetere due volte.

- Libra! – gridò, e premendosi le mani sul petto, da esse fuoriuscì una luce verde molto intensa, che pian piano prese la forma di due eleganti pugnali d’argento, dall’elsa elaborata che terminava con un decoro a forma di rosa.

- Oh! Vedo che hai gusto! – mormorò Phoebe, trasformando il suo braccio sinistro in un’ascia lucida e tagliente.

 

 

- Lo sapevo! Sono rimasto solo. E adesso? – esclamò Mick, gironzolando sul tetto, cercando di ripararsi dal vento con le braccia.

- Non sei solo. – disse una voce. Era Ivy.

- Oh, sei tu. Suppongo tu voglia batterti con me, vero? Da un po’ di tempo tutti vogliono battersi con me… -

- Hai capito le mie intenzioni, vedo… - rise Ivy.

- Prima di combattere posso chiederti una cosa? –

- Spara! – fece lei.

- Vuoi diventare la mia ragazza? –

Ivy spalancò la bocca, guardandolo con occhi da pesce lesso.

- Sai che il mio compito è ucciderti, vero? – fece lei.

- Si, certo, però quando ti ho vista ho pensato: che bella ragazza! È proprio il mio tipo! E così… -

Ivy si sedette a gambe incrociate sul tetto, lasciando che il vento la rinfrescasse.

- Per essere una Starlight sei strano! Nessuno mi aveva mai detto queste cose, e ne sono molto felice, ma sei consapevole che dovremmo combattere? –

- Perché invece di combattere non giochiamo a scacchi? – fece Mick, improvvisamente illuminato. – Già! – continuò. – Al posto della violenza la pura e semplice logica! Fantastico! –

- Tu sei un caso disperato… - sospirò Ivy, coprendosi gli occhi con una mano.

- E va bene! – si arrese alla fine. – Tu hai una scacchiera? –

Mick sorrise, furbetto.

Da una tasca dei pantaloni tolse fuori un cubo di legno, che, aperto e dovutamente composto formò una bella scacchiera i cui quadrati neri e color legno risplendevano alla luce del sole.

Sbottonò una manica della camicia e la scosse un po’. Dal polsino uscirono tutte le pedine.

Ivy lo guardò con occhi sognanti.

- Sei un mago! –esclamò.

 

 

Shia e Nola camminavano chini, cercando di evitare il vento.

- Stammi vicina! – gridò Shia, e le prese una mano. – Così non ci separiamo! – spiegò.

- Che teneri! Mi viene voglia di risparmiarvi ma… non lo farò! – disse Bellatrix, parandosi davanti a loro, gelida.

Shia e Nola estrassero la loro arma, mentre la mora Bellatrix alzò le braccia al cielo, trasformandole in due scimitarre dalla lama ricurva.

- Sembra fatto apposta! Due spade, due avversari! – disse la ragazza, leccandosi il labbro superiore.

Si lanciò su Shia, che spinse di lato Nola, mentre parava un fendente con il suo bastone d’ariete.

Nola diresse il getto della sua anfora contro Bellatrix, che, colta alla sprovvista, venne presa in pieno.

Shia si spostò, per non essere colpito dal getto, ma questo lo distrasse, permettendo a Bellatrix di ferirlo ad un braccio.

Il ragazzo urlò.

Nola sentì montare la rabbia dentro di se, e all’improvviso, l’anfora smise di risucchiare aria, ma ne espulse un getto fortissimo che colpì la nemica in pieno.

Bellatrix si guardò il braccio, incredula, su cui spiccava visibilmente una ferita uguale a quella di Shia.

- La… la mia anfora ha copiato gli effetti dell’attacco e… li ha restituiti al mittente! – esclamò Nola.

Infuriata, Bellatrix si scagliò contro la ragazza, lanciando fendenti a destra e a sinistra. Nola era in difficoltà, perché non poteva parare quei colpi in nessun modo, ma solo schivarli.

Notando questo, Shia alzò il suo bastone in aria, per poi colpire la nemica in piena pancia.

Bellatrix rantolò, sentendosi mancare il fiato. Arretrò di qualche passo, mentre le sue scimitarre tornavano ad essere mani.

Purtroppo per lei, fece un passo di troppo. I ragazzi si voltarono appena in tempo per vederla cadere oltre il bordo del tetto.

Corsero verso quella parte e si sporsero.

Non videro altro che i binari scorrere sotto di loro, oltre un una scarpa con il tacco che sfuggiva attraverso il riflesso sul finestrino.

I due si alzarono.

- È scappata. – sibilò Shia, trattenendo un gemito,

Nola si voltò verso di lui, con le lacrime agli occhi.

- Stupido! Ti sei fatto ferire! – gridò Nola, tra i singhiozzi.

Lui rise, con quella risata che Nola adorava più di ogni altra cosa al mondo.

- È solo un graffio! Non devi preoccuparti! –

La ragazza gli si fiondò addosso, abbracciandolo.

- Scemo! Scemo, scemo! Se provi un’altra volta a farti ferire… ti uccido io! –

Shia ricambiò l’abbraccio, sorridendo dolcemente.

 

 

Wyhte era in difficoltà, e di questo se ne rendeva conto, come anche Phoebe, che non esitava a colpirla violentemente. Wythe riusciva a parare tutti gli affondi e i vari attacchi, ma aveva già il fiatone, mentre la sua nemica era fresca come una rosa.

“Devo fare qualcosa, altrimenti questa belva mi affetta!”

Sempre difendendosi, Wythe cercava di osservare i movimenti della sua rivale. Poi, qualcosa scattò nella mente della ragazza.

Nell’istante in cui un fendente stava per dividerla in due parti, Wythe spiccò un agile salto, atterrando alle spalle di Phoebe, e, prima che questa potesse voltarsi, la ragazza affondò uno dei suoi pugnali nel fianco dell’avversaria.

Phoebe emise un grido di dolore, e cercò di colpire Wythe, ma lei scansò l’attacco con un passo indietro.

La bionda non riusciva più a stare in piedi, perché la ferita perdeva sangue a fiotti.

- Maledetta! Come ti sei permessa! – disse lei, tra i denti.

Wythe rise.

- Se tu ti fossi concentrata di più sulla battaglia, forse non sarebbe successo! L’ho notato, sai? – disse, lanciandole un’occhiataccia. Phoebe si accasciò sul tetto, in ginocchio, fissandola gelidamente.

- Ho notato che hai un leggero ritardo nei riflessi. Per questo motivo riuscivo a pararti tutti i colpi, nonostante i miei pugnali talmente piccoli. Inoltre la tua ascia non dev’essere tanto leggera, ho indovinato? – continuò Wythe.

Phoebe ringhiò.

- Sai quanto mi è costato questo vestito? Ora dovrò comprarne un altro! – disse in tono lamentoso.

- Beh, mia cara… Questi sono gli inconvenienti di combattere per la parte sbagliata!- 

 

 

 

- Bella mossa! – esclamò Mick, mettendosi una mano tra i biondi capelli.

Ivy sorrise, spostando una pedina.

- Sai… tu sei diversa dagli altri nemici… -

- Cos’è, un complimento? – fece lei.

- In un certo senso… Mi piace il tuo colore di capelli. Color lampone. Mi piacciono i lamponi! Inoltre ho scoperto che i lamponi fanno bene alla circolazione, l’ho letto su una rivista. Tu compri di quelle riviste? Io si, perché mi piace prendermi cura del mio corpo… - attaccò a parlare Mick, ma la cosa più improbabile era che anche Ivy ciarlava così tanto.

- Si! Anch’io compro quelle riviste! Ho scoperto proprio ieri una maschera speciale per il viso. È molto efficace, ma puzza un po’ di carciofo. Che buoni i carciofi! Soprattutto fatti a sformato, con l’uovo e la pancetta! –

- Sono buoni anche con le patate! Sai che le patate… -

Un fischio improvviso interruppe l’inconcludente conversazione dei due.

Ivy scattò in piedi.

- Accidenti! È Phoebe, devo andare! Quando ci rivedremo continueremo la conversazione, ok? – sorrise la ragazza, e con un balzo si dileguò.

 

 

I ragazzi si ritrovarono sul tetto del vagone da dove erano partiti.

- Mi chiedo come abbiamo potuto separarci senza accorgercene… - fece Mick.

- Oddio! Shia, sei ferito! – esclamò Wyhte, correndogli incontro.

Dal polsino sbottonato della manica, Mick tirò fuori tre fazzoletti legati tra loro, uno blu, uno giallo e uno rosso.

- Scegli quello che vuoi. – disse il ragazzo.

Shia prese quello rosso, e Nola lo aiutò ad avvolgerlo attorno alla ferita.

- Quando arriveremo a Neapolys andrai di filato da un medico! – gli ordinò lei.

Il ragazzo rise. – È solo un graffio! Ti ho detto di non preoccuparti! –

Alla vista dei due in intimità, Wyhte si frappose tra loro e prese il ragazzo sottobraccio.

- Torniamo dentro Shia, qui c’è freddo! -

 

 

Il treno proseguì la sua corsa senza intoppi.

I passeggeri, anche se ancora un po’ scossi per l’accaduto, ripresero i loro posti, e così fecero i quattro amici.

- Dovremmo esserci, vedo una città in lontananza… - esclamò Mick.

- Che bello! È una città sul mare! -

 

 

Anthias camminava a passo veloce lungo un corridoio illuminato solo da fiaccole, imprecando tra i denti. Aprì di scatto una porta di legno alla sua sinistra ed entrò.

Adiacente ad una parete si trovava un grande letto a due piazze, occupato da una ragazza bionda circondata da medici.

Nel vedere arrivare l’uomo, i dottori si fecero indietro rispettosamente.

Anthias si avvicinò al letto, e prese una mano della ragazza tra le sue.

- Phoebe… - mormorò. Poi si voltò dai medici.

- Le sue condizioni? – chiese.

Un dottore si fece avanti titubante.

- Stabili, mio signore. Ha perso molto sangue, ma la ferita non era troppo grave, una settimana e dovrebbe rimettersi completamente… -

Anthias sorrise e rivolse nuovamente le sue attenzioni a Phoebe.

- Presto starai meglio. – le disse.

Phoebe sorrise.

 

 

Dray sorrideva vittorioso.

- Lo sapevo! Quelle tre galline di Anthias hanno fallito. Ora chi è il tuo preferito, eh Langarth? – disse tra i denti.

- Devo ricordarti che anche tu hai fallito, e tante volte? – rispose gelido il despota.

Si trovavano in una stanza ampia e scarna, con le pareti di nuda e fredda pietra.

L’unico oggetto di arredamento di quella sala era un maestoso trono fregiato, posto su una piattaforma rialzata, che incuteva timore su chi si trovava al suo cospetto.

Langarth occupava il seggio, e al suo fianco stava una donna dall’aspetto diafano, con i lunghi capelli biondo platino raccolti in una treccia, che le ricadeva al lato del viso.

Il sovrano assoluto aveva un aspetto assolutamente autoritario.

Era un uomo di bell’aspetto, sulla quarantina. Indossava un’armatura nera come la notte, che gli ricopriva l’intero corpo ed era modellata su di esso. Dalle spalle gli ricadeva un lungo mantello rosso sangue, mentre sulla testa portava un elmo che aveva la forma della testa di un leone, con le aperture per gli occhi e per il naso e la bocca, che era unica.

Dray non sapeva come ribattere.

- Beh… Almeno io combatto in prima persona, non mando i miei suddetti a farlo per me! –

Langarth parve pensarci un po’ su.

- Non hai tutti i torti… però sai una cosa? Così mi offendi! Io utilizzo lo stesso identico metodo di Anthias: mando i miei sottoposti a fare le cose al posto mio. Questa tua affermazione non mi è piaciuta… -

- Ti prego! Fammi combattere un’altra volta! Ti giuro che li sconfiggerò, ma tu non fare del male a Morgan! Langarth… - supplicò Dray, inginocchiandosi.

- Come ti permetti di dare del tu al Sommo! Chiedi perdono! – disse la donna bionda, facendo un passo avanti.

Con un cenno della mano venne zittita da Langarth.

- Ti concedo un’ultima possibilità, dopo della quale, se non mi avrai portato almeno una Starlight, potrai dire addio a quella bambinetta che ti porti appresso. –

Con il magone alla gola, Dray assentì con un cenno del capo, poi si alzò e uscì dalla stanza.  

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi tornata, dopo secoli di assenza dai vostri monitor!

Scusate il vaneggiamento... <.<

Dunque, nuovi personaggi, eh? In genere nelle mie storie non compaiono molti personaggi, perciò mi sono detta, perché non infarcire di gente sconosciuta questa storia? E invece alla fine quella gente sconosciuta mi è rimasta nel cuore...

Le tre sorelle, Phoebe, Ivy e Bellatrix, erano nate solo come comparse, e per giunta molto cattive e determinate, ma alla fine l’affetto della mamma ha prevalso, e le adoro come fossero protagoniste anch’esse!

X Ladywolf: hai proprio ragione, Mick è un ragazzo stravagante! Ce ne vorrebbe di gente così, al mondo! L’ho creato immaginando un saltimbanco, ma alla fine è uscito un biondino pieno di piercing... Vabbè... Che poi non si lamenti se nessuna ragazza lo guarda, anche se quella Ivy un pochino l’ha fatto! Mah...

Per quanto riguarda Wythe, come avrai notato, la sua era una tregua temporanea nei confronti di Nola, ma quest’ultima è talmente buona (o forse un po’ tonta, più probabile) che non si accorge che Wythe ce l’ha con lei.

Perfetto! Se la prossima volta riuscirò a postare più in fretta datemi un premio!

Ci leggiamo al prossimo capitolo, cari lettori! ^________________^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

La stazione di Neapolys era molto più piccola e molto meno affollata della Stazione centrale.

Nola e gli altri scesero dal treno, recuperando tutte le valigie e dirigendosi all’uscita. Quello che avevano notato guardando fuori dal finestrino, si era concretizzato davanti ai loro occhi.

Se la Repubblica dell’Aria era principalmente uno Stato costituito da campagne disseminate di fattorie ( fatta eccezione per le poche grandi città),  il Regno della Terra era esattamente l’opposto.

IL territorio nazionale era coperto da una ragnatela di strade che collegavano tante città e paesi posti molto vicini l’uno all’altro.

La città di Neapolys era di grandezza modesta, e da essa partivano numerose strade e anche l’autostrada. Era una cittadina moderna, ma manteneva un non so che di rustico. C’erano pochi grattacieli, mentre tra le costruzioni recenti si potevano trovare edifici di alcuni secoli addietro, ristrutturati e resi agibili.

Dalla stazione, i ragazzi si incamminarono per la via principale della città, e la visitarono più o meno tutta, in cerca di un posto dove stare.

- Gli alberghi e le pensioni sono tutti troppo costosi… - sospirò Nola.

- Io ho la carta di credito! – esclamò Wythe, tirandola fuori dalla borsetta.

- Non vorremmo farti spendere così tanto! E poi non potremmo vivere a spese di tuo padre per tutto il viaggio! – fece Mick.

- Sapete cosa dovremmo fare? Viaggiare di notte. Con i mezzi pubblici si paga molto poco, e in più ci si può dormire. Per mangiare ci arrangeremo… - propose Shia.

- Non mangeremo nei fast food, vero? La mia linea perfetta andrà al creatore, e io diventerò tutta ciccia e brufoli! – esclamò Wythe, disperata, scatenando una risata generale.

 

 

- Guardate là! – esclamò Nola, con gli occhi brillanti.

I quattro erano arrivati in prossimità della spiaggia.

- Possiamo fare una passeggiata piccola piccola? – chiese la ragazza, implorante.

- No! – dichiarò Wythe.

- Si! – esclamarono Shia e Mick in coro.

Wythe guardò i due, imbronciata.

I ragazzi scesero in spiaggia, togliendosi calze e scarpe e lanciandosi in una corsa allegra nella sabbia fina e bianca.

Wythe rimase indietro, imbronciata.

- Nessuno mi ascolta… - mormorò tra se.

Si diresse verso un piccolo edificio che sorgeva sulla spiaggia, che scoprì essere un bar, e si sedette ad uno dei tavolini esterni.

- Perché non vieni a divertirti anche tu? – fece Nola, raggiungendo la ragazza, seguita dagli altri due.

- Si sta benissimo! La sabbia e finissima, e l’acqua non è per niente fredda! – esclamò Mick.

- Se avessi il costume da bagno a portata di mano, mi farei giusto un tuffo! – disse Shia, alzando le braccia al cielo per stiracchiarsi.

Immaginando Shia in costume da bagno e a petto nudo, Wythe divenne improvvisamente rossa, ma si riscosse subito.

- Non possiamo stare a gingillarci! Dobbiamo cercare un posto dove stare, si sta già facendo sera! -   

- Se cercate un posto dove stare… - disse il proprietario del locale, avvicinandosi.

- … potrei ospitarvi io. –

I quattro ragazzi si voltarono di scatto a guardarlo.

 

 

- Salite questa scala, arriveremo a casa mia. – disse il barista, guidandoli dietro il locale, da cui partiva una scala che conduceva al piano superiore.

- Qui sopra tengo una specie di magazzino, ma già da tempo avevo pensato di affittarlo. Ormai è diventato un vero e proprio appartamento… -

- Ci fa piacere che voglia ospitarci, ma ci sarebbe un piccolo problema… Non possiamo permetterci tutto questo! E in più c’è anche Boris... – spiegò Nola, indicando il cane, che abbaiò soddisfatto.

Il barista, un uomo gioviale, le sorrise.

- Non dovete assolutamente pagare niente. E c’è posto anche per il vostro cane. – disse, e i ragazzi lo fissarono increduli e grati.

- Basterà che voi lavoriate per me! –

 

 

Tully, il barista, era un uomo abbastanza giovane, che gestiva il bar sulla spiaggia assieme alla moglie, Olga. I due avevano tre figli, tre adorabili bambini di cui il più grande non aveva ancora sette anni. Scorrazzavano in giro e portavano sempre una ventata di allegria.

- Avete capito cosa dovete fare? – chiese Tully ai quattro. Loro annuirono.

Indossavano tutti una salopette di jeans, stivaloni di gomma, una bandana tra i capelli, e un retino da pesca in mano.

Si diressero verso la riva.

- Ehi! – chiamò Tully.

- Avete dimenticato i secchi! –

I ragazzi tornarono indietro a prenderli.

Boris, con i suoi lucidi occhi canini, fissava la scena interessato.

 

 

- Pronti? – fece Shia, sorridendo.

Gli altri tre annuirono.

- Allora andiamo! – esclamò, e i quattro si lanciarono verso l’acqua.

Improvvisamente, la superficie del mare si increspò e si riempì di piccole meduse azzurrine e arancioni, che saltavano fuori dall’acqua.

I ragazzi si lanciarono contro gli invertebrati e iniziarono a catturane quanti più possibile con i retini, per poi buttarli nei secchi.

- Con tutte quelle meduse la gente ha paura e non viene al mare, perciò il mio locale sta andando in malora! – aveva detto Tully ai ragazzi.

A loro era stato affidato il compito di dare una ripulita, insomma.

- Non buttatele dopo, però, dall’ombrella della medusa si ottiene una crema che idrata la pelle straordinariamente! – aveva ancora raccomandato il barista.

 

 

Verso le dieci di mattina, non vi era più ombra di meduse, perciò i ragazzi decisero di tornare da Tully con i secchi traboccanti.

- Ho i piedi e le gambe che sembrano fave raggrinzite! – si lamentò Wythe, lanciando il retino sulla sabbia.

- AHIA! – gridò Mick, toccandosi la gamba vicino alla caviglia. – Ce n’era un’altra, di quelle meduse! –

Con un colpo di retino catturò l’animale e lo cacciò in un secchio.

Era l’unica medusa di diverso colore, un rosso molto vivo.

- Dai, torniamo al bar! Ho proprio voglia di una granita! – esclamò Nola, prendendo il suo secchio.

 

 

- Andiamo a farci un tuffo? – propose Wythe, quando la spiaggia iniziò a riempirsi di gente.

- Si! Stavo pensando la stessa cosa! – disse Shia, e gli occhi della ragazza si illuminarono.

- Io non credo che verrò, sono un po’ stanco, credo che mi farò una dormita… - disse Mick.

- Ma se ti sei svegliato tardissimo! Come fai ad essere stanco?! – lo apostrofò Wythe, ma lui non la rispose e salì nel magazzino.

- E tu, Nola, vieni? – chiese speranzoso Shia.

Le speranze di Wythe erano completamente diverse. “Ti prego, non venire, così io e Shia passeremo una romantica mattinata da soli!”

- Non so se verrò… - disse la ragazza, mentre a Wythe scappava un gridolino di felicità.

- Perché? –

- Ecco… Io… mi vergogno… -

- E di cosa? –

- Sono… sono troppo magra, mi si vedono le ossa. – affermò infine la ragazza.

Shia scoppiò a ridere.

- Ma dai! Mettiti il costume da bagno e non fare tante storie! –

Anche a Nola scappò un sorriso, mentre Wythe la fissava contrariata.

 

 

I tre amici stesero il telo da spiaggia e corsero in acqua a farsi un bagno.

- Finalmente un po’ di riposo! – disse Shia, dopo essersi steso al sole assieme alle amiche.

Era davvero una bella giornata, il sole brillava alto e soffiava una leggera brezza fresca.

- Wythe, non senti nessuna vibrazione strana? Non so come percepisci le altre Starlight, ma… non senti niente? –

Sdraiata com’era, la ragazza chiuse gli occhi, e rimase così per una decina di secondi.

Nola le si avvicinò piano.

- Stai dormendo? – le sussurrò.

Wythe si mise seduta e riaprì gli occhi, arrabbiata.

- Stavo cercando di sentire qualcosa, scema, ma tu mi hai distratta! –

- Hai percepito qualcosa? – le chiese Shia.

Lei si voltò raggiante.

- Niente! – esclamò.

- Che ne dite di tornare? È quasi ora di pranzo e sento un certo languore… - disse il ragazzo.

 

 

Arrivati al bar, videro che Tully e la famiglia erano seduti ad un tavolo a pranzare.

- Mick non è ancora sceso? – chiesero i ragazzi.

Il barista scosse la testa.

- Forse sta ancora dormendo… -

- Come minimo! – fece Nola, ridendo. – Salgo a chiamarlo. –

Salì di corsa le scale e aprì la porta del magazzino.

- Mick! Scendi a pranzare! Stai ancora dormendo? –

La ragazza si guardò intorno, ma il piccolo appartamento era vuoto. Entrò nella camera dove dormivano lei e Wythe, ma era vuota pure quella.

“Allora dev’essere in bagno!” pensò.

Aprì la porta della piccola toilette e trattenne il respiro, poi cacciò un urlo di terrore.

 

 

- Che succede! – gridò Shia, entrando di corsa nell’appartamento. Era seguito da Wythe e da Tully.

Nola era quasi sdraiata per terra e aveva gli occhi spalancati dalla paura. Con fatica, cercava di trascinarsi il più lontano possibile dalla toilette.

Shia corse da lei e la strinse in un abbraccio, mentre cercava di rialzarla da terra.

Gli occhi di tutti erano fissi sulla stessa immagine.

Lungo disteso per terra, con le braccia ancora aggrappate allo sportello della doccia, si trovava Mick.

- È morto? – chiese Wythe in un soffio.

Tully gli si avvicinò e gli sentì il polso.

- No, è solo svenuto. – disse con un sospiro di sollievo.

- Guardate! Cos’ha sulla gamba? – fece Shia.

Sulla gamba di Mick, partendo dalla caviglia, si estendeva una lunga macchia rossastra e pulsante.

- Spero non sia quello che penso… - mormorò Tully, preoccupato.

- Che cosa? – esclamarono i ragazzi, in coro.

- Per caso Mick è stato punto da una medusa? –

I tre si guardarono negli occhi, atterriti.

- In effetti si… - ammise Nola.

- Avete conservato le meduse come vi ho chiesto? – esclamò il barista, balzando in piedi.

I ragazzi annuirono. – Sono nel retro del bar. –

- Io scendo un attimo, voi cercate di stendere Mick sul letto e bagnategli la fronte con un panno bagnato: ha la febbre molto alta! –

 

 

Tully tornò poco dopo. In mano aveva un sacchetto di plastica trasparente, che conteneva la medusa rossa.

- È questa che lo ha punto, vero? – chiese il barista.

Wythe annuì. – Si, l’ho visto io… -

- Ho chiamato il medico. – continuò Tully. – Arriverà tra poco. –

Nola continuava a bagnargli la fronte con il panno bagnato, ma Mick non dava segno di essere cosciente. La sua espressione in viso era neutra. Sembrava tranquillo, ma il rossore alla gamba si estendeva sempre di più.

- Nel frattempo che il dottore non arriva, mettete dell’ammoniaca sulla puntura. – disse Tully, porgendo una bottiglietta a Nola, poi tornò giù al bar ad attendere il medico.

 

 

La fronte di Mick era incandescente, e i suoi occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse in movimenti molto rapidi.

Nola strizzò la pezza e gliela pose nuovamente sulla fronte, mentre Wythe continuava a bagnare la puntura con l’ammoniaca.

Shia era sulla porta, in attesa del dottore.

Nola si avvicinò a lui.

- Se la caverà? – chiese in un sussurro.

Il ragazzo le circondò le spalle con un braccio e la strinse a se.

- Non preoccuparti, è un ragazzo forte. –

Lei scoppiò a piangere contro il suo petto.

 

 

- È arrivato il dottore! – gridò Tully, salendo le scale di corsa.

Il medico, un uomo di mezza età, saliva subito dietro di lui.

Appena vide Mick, fece un sospiro di sollievo.

- Non è in pericolo di vita, per fortuna! – disse, e tutti esultarono.

- Avete fatto bene a mettergli l’ammoniaca. Avete conservato la medusa che lo ha punto? – chiese il dottore.

Tully annuì.

- Perfetto. L’antidoto a questo avvelenamento si ottiene direttamente dall’ombrella della medusa. Bisogna frullarla, poi metterla a bollire per tre ore e infine lasciarla raffreddare e spalmare bene su tutta la parte arrossata. È tutto chiaro? Purtroppo io non posso fornirvi nessun antidoto, in quanto il veleno di questo tipo di medusa è differente da esemplare a esemplare. –

- Quanto le dobbiamo, dottore? – chiese Nola.

- Nulla, in fondo non ho fatto niente. Ora devo andare, mi raccomando, fate come vi ho detto e tutto si sistemerà. –

 

 

Tully aveva frullato e messo a bollire l’ombrella della medusa, così si era seduto al bancone del  bar e continuava a sospirare.

- Vedrai che quel ragazzo guarirà! – gli disse Olga, facendogli un massaggio alle spalle.

- Lo spero… Dopotutto è stata colpa mia se è stato punto! Avrei potuto chiedere loro di fare i camerieri, o di lavorare in cucina, invece di cacciare le meduse. Sono davvero un’idiota! –

- Non è vero! – affermò la moglie. – Non è colpa di nessuno! Purtroppo è stata una disgrazia… Ora non ci resta che aspettare. –

 

 

Dopo che la pomata si fu raffreddata, Nola la spalmò con delicatezza su tutta la gamba di Mick. Era una crema molto profumata e altrettanto unta, di un vivido colore rosso.

- Farà effetto subito? – si chiese Wythe.

La sua risposta non dovette farsi aspettare, visto che Mick strizzò gli occhi e li aprì piano.

- Che buon profumo! Sei tu, mia cara? – disse, rivolto a Nola.

- Che scemo che sei! È la medicina! –

- Va tutto bene? – gli chiese Shia.

Mick annuì.

- In realtà non ricordo molto di quello che è successo. Ricordo che mi è venuta un’improvvisa voglia di vomitare, pardon, di rimettere, e sono corso in bagno, poi la mia vista si è annebbiata e il sopra è diventato il sotto, e viceversa… -

- Poverino! Vaneggia! – disse Wythe, sarcastica.

- Che simpatica… - disse Mick, ma poi scoppiò a ridere.

- Sei stato punto da una medusa molto velenosa, ma ti abbiamo preparato la pomata per farti guarire. – gli spiegò Nola.

- È MORTO? – gridò la vocina di un bambino. Tutti si voltarono a guardare il proprietario di quella voce. Era il figlio più piccolo di Tully.

- No! – disse il padre, con un sorriso.

- Peccato! Volevo vedere un vero cadavere! –

I quattro amici e Tully strabuzzarono gli occhi.

- Dov’è un vero cadavere?  - chiese un’altra vocina. Era la più grande dei tre, l’unica femmina. Era seguita dal fratello di mezzo, che trasportava Boris in braccio, ma era molto pesante e le zampe di dietro gli strisciavano praticamente per terra.

- Non qui! – esclamarono i ragazzi.

- Quando vedrò un cadavere vi informerò! – promise Mick ai tre bimbi.

- Evviva! – gridarono i tre, e scapparono di corsa a giocare.

I ragazzi si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.

- Certo che i tuoi figli sono davvero strani! – dissero a Tully.

Lui rise così tanto che cadde dalla sedia dove stava seduto.

 

 

Aspettando che Mick si rimettesse in forze, i ragazzi pensarono di dare una tregua alla ricerca delle Starlight così si dedicarono all’abbronzatura, al bagno al mare e a dare una mano a Tully.

Una sera, il barista organizzò una grigliata in spiaggia, così Mick provò a muovere i primi passi con la gamba ancora irritata. Dopo essersi risvegliato, fatto ormai accaduto una settimana prima, la puntura della medusa aveva cominciato a pizzicare e bruciare, tanto che il ragazzo non riusciva stare in piedi.

Ora però il bruciore era sparito quasi del tutto, e anche se zoppicava un po’, riusciva comunque a camminare.

Si spalmava la pomata due volte al giorno, poi si fasciava la gamba con delle bende fresche.

Anche quella notte si fasciò la gamba, poi scese in spiaggia solo con i bermuda da mare. Anche gli altri indossavano il costume da bagno. Shia i suoi bermuda rossi, Nola il suo due pezzi blu e il pareo e Wyhte il triangolino verde e un paio di pantaloncini corti.

Sulla sabbia, vicino al bar, Tully aveva acceso un falò, che mandava bagliori arancioni nel buio della notte.

- La cena è pronta! – annunciò Olga, e servì a tutti degli ottimi spiedini di carne e verdure.

I bambini li divorarono in un sol boccone, mentre gli altri li gustarono lentamente.

- E ora… non è estate senza… COCCO! -  esclamò Tully, e ne tirò fuori due, belli grandi.

Poi corse dentro il bar e tornò subito dopo con una sciabola ricurva in mano.

- È un antico cimelio di famiglia. – si giustificò. – Da secoli, viene usato dalla mia famiglia per tagliare il cocco. –

Spaccò le due noci di cocco, diede il latte da bere ai bambini, e poi tagliò a pezzi il frutto.

Dopo aver gustato quella bontà, i bimbi corsero a giocare con Boris, mentre i ragazzi preferirono fare una passeggiata lungo il bagnasciuga.

 

 

- Mi dispiace. – disse Mick.

- Per cosa? – chiese Nola.

- Per aver ritardato il vostro viaggio. Mi dispiace. –

- Ma che stai dicendo! Non ci importa niente del viaggio, finché i nostri compagni stanno male! – annunciò Wythe, autoritaria.

- Wow! Non mi aspettavo un discorso così da una come te! – le fece Nola, sorridendo.

- Che vuoi dire? – rispose lei, lanciandole un’occhiataccia.

- Voglio dire… mi sei sembrata fredda nei nostri confronti, invece… -

- Guarda che io ce l’ho un cuore, cosa credi? –

Nola le mise un braccio sulle spalle e rise.

- Scherzavo! –

I ragazzi risero insieme, e anche se non voleva ammetterlo, un sorriso lo fece pure Wythe.

 

 

Dopo un’altra settimana, Mick si accorse che la sua ferita era completamente guarita e non zoppicava più.

- Non c’è ragione per rimanere ancora qui. – dichiarò Wythe un pomeriggio.

- Giusto, è ora di rimetterci in marcia. – le fece eco Shia.

Anche Nola e Mick furono d’accordo, seppur con un velo di tristezza. Sarebbero voluti restare al mare ancora per un po’, ma purtroppo la loro missione li chiamava…

- Come avevo proposto tempo fa, viaggeremo di notte. – disse ancora il ragazzo.

- E quando partiremo? – chiese Nola.

- Stanotte. – intervenne Wythe.

Mick la guardò. – Sei sicura? –

La ragazza annuì vigorosamente.

 

 

- E così dove partire oggi? – chiese Tully, quando vide i ragazzi con borsoni e valigie.

- Si. – disse Shia.

- Non potete andare via! – esclamarono i tre bimbi, correndo ad abbracciare Mick. Si erano davvero affezionati a lui.

- Su, su! Non fate così! Vi assicuro che torneremo a trovarvi! – disse il ragazzo, poi, vedendo i visini tristi dei bambini, raccolse una manciata di sabbia e se la strofinò tra le mani chiuse. Quando le riaprì, al posto della sabbia c’erano tre caramelle alla frutta, che Mick diede ai tre bimbi.

- Sei un mago! – esclamarono entusiasti i bambini.

Olga sorrise, divertita.

- Fate buon viaggio. – disse Tully, stringendo la mano a tutti, e la zampa a Boris.

 

 

Arrivati alla stazione dei treni, aspettarono la coincidenza per Beryl City.

- Era una tappa del mio tour! – sospirò Mick.

- Vedrai che quando tutto questo sarà finito tornerai a calcare le scene e ad essere famoso. – lo rassicurò Nola.

- E tu sarai la mia assistente? – chiese speranzoso.

- Ancora questa storia? Te lo scordi! – rise lei, mentre Shia si irrigidiva.

- Allora vuoi essere tu la mia assistente? – disse il mago, rivolgendosi a Wythe.

Lei gli lanciò un’occhiataccia. – Mai! –

- Nessuno mi vuole bene! – piagnucolò Mick, e tutti si misero a ridere, mentre Shia gli dava un’amichevole pacca sulla schiena.

 

 

- Che cosa significa?! – gridò Morgan, mentre si copriva la pelle nuda con il lenzuolo.

Dray si alzò dal letto e si infilò l’accappatoio.

- Significa quello che ho detto. – rispose secco.

- Non puoi andare a combattere da solo. Me l’hai promesso, ricordi? Hai detto che qualunque cosa succeda noi due non ci separeremo mai. –

Dray strinse un pugno e chiuse gli occhi.

- Tu devi solo nasconderti e non farti trovare. –

- Come hai detto? – esclamò la ragazza. Si avvolse nel lenzuolo e si parò davanti a lui.

Dray la fissò intensamente negli occhi, poi le posò una mano sulla spalla.

- Perché non mi vuoi al tuo fianco? Non mi vuoi più? Non mi desideri più? Eppure fino ad un attimo fa… -

- Ma che stai dicendo? Tu sei l’unica cosa che conta, per me, e lo sai. Sei la mia unica ragione di vita! Ma… sei in pericolo. –

Morgan sgranò gli occhi.

- È giunto il momento di rivelarti il motivo per cui sono entrato a lavorare per Langarth. –

 

 

- Tu… hai venduto la tua vita per salvare la mia? – sussurrò Morgan, mentre sentiva che le forze la abbandonavano. Dray la afferrò saldamente un attimo prima che lei si accasciasse a terra.

La ragazza poggiò la testa sul petto di lui, e trasse un profondo respiro.

- Perché l’hai fatto? All’epoca neanche mi conoscevi… - chiese.

- Ti sbagli. Tu non conoscevi me, ma io invece sapevo benissimo chi eri. Ti ho amata dalla prima volta che ti ho vista, e non ti avrei condannata per nessuna ragione al mondo. Ho preferito sacrificare me stesso invece di non poterti avere più al mio fianco. –

Calde lacrime scorsero sulle guance di Morgan, che si stringeva sempre più al suo amante.

- Allora scappiamo. – esclamò lei, fissando Dray negli occhi. – Scappiamo in un posto dove Langarth non possa trovarci mai. Io e te, senza dover pensare alle conseguenze. –

Lui sorrise, triste. Non poteva vedere gli occhi della sua dolce amata colmi di lacrime.

- Purtroppo non si può… Se riesco a portare a termine questa missione non dovremmo più preoccuparci. Per questo non posso portarti con me. Tu non ti sei ancora macchiata di nessun omicidio, mentre io… -

- Sai che non è stata colpa tua! – fece lei, scrollandolo. – Ricordati che non sei stato tu a uccidere Aquarius! –

Lui le sorrise di nuovo, questa volta cercando di mascherare la sua sofferenza.

- Tu non sei un assassino! – disse Morgan.

Dray si chinò su di lei, stringendola forte e baciandola appassionatamente, e in un attimo furono nuovamente sul letto.

- Noi due non ci separeremo mai! – mormorò Morgan, mentre sentiva su di se il peso del ragazzo.

 

 

Dray aprì gli occhi. Si alzò dal letto e ammirò per un attimo Morgan, che dormiva profondamente e aveva un’espressione tranquilla in volto. Da sotto il lenzuolo, si poteva notare il suo petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.

L’uomo andò in bagno e si sciacquò il viso con l’acqua fresca del lavandino. Si guardò allo specchio e scrutò in profondità nei suoi occhi azzurrissimi.

- Vuoi mollare, è così? – disse all’improvviso il suo riflesso.

- Sta zitto, non ti ho cercato. – rispose Dray, seccato.

- Ah, ora non posso neanche più parlarti? –

Dray fece un sospiro, seccato.

- Vattene. – gli disse.

Il Dray del riflesso scoppiò a ridere.

- Non puoi mandarmi via! Io sono te, e tu sei me! –

- Non è vero! Siamo due persone completamente diverse! –

- Oh, ma davvero? Te l’ha detto quella mocciosetta che ti porti appresso? Noi due siamo identici! Non ricordi il profondo piacere che hai provato mentre la vita di Aquarius sfuggiva via dalle tue mani come fosse aria? Non ricordi la gioia, l’euforia, la furia selvaggia? –

Dray si strinse la testa tra le mani. – Basta! Non è vero! Quello che si divertiva eri tu, non io. Io ero profondamente disgustato e oppresso dal senso di colpa. –

- E allora perché non mi hai fermato? – chiese l’altro, con un tono malizioso.  

- Basta! – gridò Dray, e d’improvviso sentì tutto il silenzio della casa, opprimerlo.

Si guardò nuovamente allo specchio, ma vide solo il suo riflesso, e nient’altro.

 

 

Il treno percorreva imperterrito i binari, mentre dai finestrini si poteva ammirare lo scorrere del paesaggio. In lontananza si notavano i profili di tante città, mentre più vicino al percorso del treno crescevano foreste rigogliose e verdissime.

Ma ne Nola ne gli altri poterono osservare il meraviglioso paesaggio baciato dalla luce della luna, perché erano tutti caduti in un sonno profondo.

Il treno arrivò alla stazione quando il cielo si tingeva di arancione e di azzurro pallido, mentre il sole faceva timidamente capolino.

I ragazzi si svegliarono di soprassalto, destati dalla voce registrata che annunciava l’arrivo a Beryl City.

Scesero e recuperarono i bagagli, poi uscirono dalla stazione e si guardarono intorno. La ferrovia si trovava esattamente al centro della città, che si presentò ai loro occhi in tutta la sua bellezza.

Era una città dal fascino antico, e ovunque si potevano notare alti palazzi dalla foggia barocca, bianchi come l’avorio oppure blu, con finestre e porte gialle e bianche.

La stazione si affacciava su un grande viale alberato, che a quell’ora del mattino si cominciava popolare di automobili e altri veicoli.

- E adesso dove andiamo? – chiese Mick, ancora assonnato.

Wyhte si concentrò, ma non riuscì a percepire nulla.

- Non so… - scosse la testa.

- Beh, proviamo a dirigerci da qualche parte, poi si vedrà… - propose Nola.

Mentre attraversavano la strada, un rombo lontano li fece voltare.

Shia agguantò Mick per il colletto della maglia e lo tirò indietro, prima che una brillante moto da corsa nera con delle fiamme rosse disegnate gli passasse sopra.

Si fermò davanti a loro con una derapata. 

- Cosa cavolo ci fate in mezzo alla strada? – fece il motociclista.

Era completamente vestito di nero, da capo a piedi. Le sue braccia muscolose erano tese a tenere il manubrio, e il suo volto era coperto da un casco completamente nero che riprendeva il disegno della moto.

L’unica parte del suo corpo che si vedeva era una folta e lunga coda di capelli castani che gli uscivano dal casco.

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo tra voi, anime viventi! Sono or ora tornata dall’oltretomba...

Lasciando perdere gli scherzi, finalmente sono di nuovo qui, con l’ottavo capitolo.

Qui non c’è nessuna nuova Starlight, ma il barista e la famiglia, che più o meno compensano, no? Sono simpatici, e quei bambini sono davvero dei diavoletti!

Povero Mick! Capitano proprio tutte a lui! Prima i suoi trucchi magici vengono distrutti da un incendio, poi viene punto da una medusa... poverino... U.U

Piuttosto interessante, invece, è la parte riguardante Dray... Cosa nasconder in realtà il suo passato?

X Marta94: mi dispiace tanto che ti sia dovuta rileggere tutto da capo, scusami! >.< Sto cercando di essere più veloce... Come va a scuola? È da un secolo che non ci vediamo! All’Accademia va tutto bene! XDD

X Ladywolf: grazie dei complimenti! ^///^ Lo so, la scena tra Mick e Ivy mi fa ridere come una scema, pur avendola scritta io!!! Sono proprio due anime gemelle! Chiedi scenette romantiche tra Shia e Nola? Chissà se mai ce ne saranno... Mah... <.<

XDDD

Anche per questo capitolo siamo a posto. Come sempre cercherò di non farvi aspettare molto per continuare a leggere, e colgo l’occasione per farvi i migliori auguri di buon 2010. Spero che il nuovo anno vi porti tanta felicità e vi faccia vivere tanti bei momenti.

Alla prossima! XDD

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

 

- È lui! – esclamò Wythe, folgorata.

- Che cosa? – fecero gli altri.

- Vi dico  che questo ragazzo è una Starlight! –

Il motociclista si irrigidì, poi si tolse il casco e scosse la testa.

Aveva un meraviglioso paio di occhi verdi.

- Voi chi siete? – chiese, con voce dura.

- No... noi... - farfugliò Nola, imbarazzata.

- Noi siamo come te! – disse Wythe, risoluta.

Shia si premette una mano sul petto, come per estrarre la sua lancia, ma invece creò solo un bagliore rosso molto intenso.

Il ragazzo sulla moto gli bloccò il braccio.

- Potrebbe vederti qualcuno. – gli disse, guardandolo torvo.

- Come sapete che anche io sono una Starlight? – chiese, ora sospettoso.

- È merito mio. Io riesco a percepire le Luci Stellari anche a distanza. – spiegò Wythe.

- Beh... siete in pericolo qui. Dovete andarvene immediatamente. – disse il ragazzo, risoluto.

- Perché? Perché siamo in pericolo? – chiese Mick.

- C’è qualcuno che vuole il mio potere, e di sicuro vorrà anche il vostro. –

- Gli scagnozzi di Langarth... - mormorò Shia.

- Io devo andare, ora, e fareste meglio a farlo anche voi. –

- Ma... - fece Nola, però il ragazzo misterioso si era di nuovo infilato il casco, e dava gas alla moto. Con una potente sgommata si dileguò.

- Non ci ha neanche detto come si chiama. – disse Mick, arrabbiato.

- Già, ma la cosa peggiore è che non sappiamo più come rintracciarlo! – esclamò Wythe.

Nola seguì con lo sguardo la moto che si allontanava, portandosi una mano al petto.

 

 

I ragazzi girovagarono per la città, in cerca di qualche nuova traccia ma soprattutto di qualcosa da mettere sotto i denti.

- Che città raffinata! È così candida e tranquilla! - esclamava Wythe, girando la testa da una parte all'altra e osservando ogni piccolo particolare.

- Sarà, ma a me non piace granché. Preferisco le città caotiche dove c'è un sacco di gente tutta diversa. Così c'è più divertimento! - le rispose Mick.

-  È ovvio che non sai apprezzare il silenzio, non c'è bisogno di ribadirlo. -

I ragazzi entrarono in un bar a fare colazione, e si sedettero ad un tavolino vicino alla vetrina.

Di fronte a loro stavano sedute due ragazze che parlavano a voce molto alta, così i quattro non poterono fare a meno di ascoltare il loro discorso.

- Hai visto quanto è figo? - fece la prima.

- Hai assolutamente ragione! Con quegli occhi verdi, poi! Sembra un modello! -

- E poi hai visto che moto? Se mi chiedesse di fare un giro non me lo farei ripetere due volte! -

- Già! Nera con le fiamme rosse! Però ho saputo che fa anche gare di motocross e di freestyle, e proprio stanotte ce ne sarà una. Certo, non userà quella sua bella moto, ma una più adatta. -

- E dove si svolgerà la gara? -

- Anno allestito una pista fuori città, dopo l'uscita nord... -

I quattro ragazzi si guardarono  negli occhi e annuirono: stavano parlando del ragazzo che avevano da poco incontrato.

Mick si alzò disinvolto, riavviandosi il ciuffo, e si avvicinò alle due ragazze.

- Scusate... posso chiedervi una cosa? Chi di voi vuole diventare la mia ragazza?... Voglio dire, a che ora sarà la gara di cross, stasera? -

- Inizia alle 21. - disse la seconda, con un sorriso.

- Grazie. - disse Mick e tornò a sedersi, cercando di trattenersi dal far uscire il sangue dal naso. Quella ragazza era molto carina. Nel frattempo, lei e l'amica pagarono e uscirono.

- Bene. Stasera faremo la conoscenza del nostro misterioso motociclista. - disse il ragazzo.

- Ma quando hanno distribuito l'intelligenza tu eri al bagno? - gli fece Wythe, furiosa.

- Perché? - chiese lui, innocentemente.

- Come, perché! Non le hai neanche chiesto come si arriva all'uscita nord! -

Mick scosse la testa, sorridendo (a modo suo) seducentemente.

- Wythe, Wythe, Wythe. Cara amica... E secondo te io mi sarei ricordato tutta la strada a memoria? Me la sarei scordata già prima di tornare al nostro tavolo! E poi non conosciamo per niente questa città, perciò anche se avessi chiesto indicazioni non avremmo avuto punti di riferimento! -

- Su questo non possiamo dargli torto. - affermò Shia, pensieroso.

- Ci penseremo meglio stasera. Ora dobbiamo solo trovare qualcosa da fare durante tutto il tempo che ci è rimasto. - concluse infine Mick.

 

 

Per il resto del giorno decisero di esplorare la città.

Si diressero verso il centro, dove scoprirono si trovava un grande centro commerciale. Per Wythe era come trovarsi nel paese delle meraviglie, e gli altri non dovettero far altro che seguirla come fedeli cagnolini. Purtroppo non poté acquistare proprio un bel niente, dato che doveva risparmiare per il resto del viaggio, però il solo ammirare le vetrine piene di abiti alla moda le dava un senso di compiacimento e di buonumore.

- Certo che non ti stanchi mai tu! Stiamo girando per negozi da ore e... - fece Mick, ma si interruppe subito, emettendo un sibilo di dolore. Si portò le mani alla testa e strinse gli occhi.

- Mick! - esclamarono gli altri tre, facendoglisi intorno e cercando di aiutarlo.

Al ragazzo mancava il fiato e pian piano si stava rannicchiando in posizione inginocchiata.

Shia lo afferrò alle braccia per non farlo cadere.

Mick trasse un profondo respiro, e notò che stava un po' meglio. Ancora qualche attimo ed era riuscito a rimettersi in piedi.

- Cos'è successo? - esclamò Nola, preoccupatissima.

Mick le sorrise, con il fiato corto.

- Ho avuto solo un forte attacco di mal di testa! - le disse.

Gli amici lo guardarono apprensivi.

- Sul serio! Niente di più! –

 

 

La sera arrivò in fretta, e, chiedendo la strada ad un passante, i quattro giunsero all'uscita nord della città. Poco lontano scorsero una gran folla che si estendeva per metri e metri, e una gigantesca pista da cross in terra battuta.

Il circuito era un continuo alternarsi di cunette, rettilinei, avvallamenti, curve, e le moto che vi correvano sembravano fluttuare nell'aria, compiendo evoluzioni e salti come delle farfalle.

- Accidenti! Hanno già iniziato! - esclamò Wythe, e si immerse nella folla per riuscire ad arrivare ai bordi della pista.

- Wythe! Oh, no, l'abbiamo persa! Dobbiamo infiltrarci anche noi nella folla! - disse Mick, e così fece.

Shia prese Nola per mano, poi le sorrise.

- Così non ci perdiamo! - disse, giustificandosi, mentre le sue guance si coloravano un poco di rosso.

 

 

Le moto guizzavano in aria, mentre il cronista commentava le prodezze dei centauri. I quattro ragazzi erano vicinissimi alle transenne che dividevano il pubblico dalla pista, e cercavano di avvistare la Starlight misteriosa tra tutti i partecipanti alla gara.

- Eccolo! È lui! Il numero 7.- esclamò Nola, infervorata, indicando una moto verde e argentata.  

- L'ho riconosciuto dai capelli! - ammise la ragazza, arrossendo, infatti dal casco verde del motociclista spuntava una lunga coda di capelli castani.

- E ora... - esclamò il cronista, urlando nel microfono. - Si dia inizio alla gara vera e propria! Motociclisti, in posizione di partenza, per favore! -

I semafori dello start si illuminarono di rosso, poi ancora di rosso e infine arrivò il verde. Le moto sfrecciarono più veloci del vento, lungo la pista.

- In testa c'è il numero 3, seguito dal 7, a pari merito con il 10 che non gli da tregua. Che curva ragazzi! Non so se il numero 5 uscirà tutto intero da quella caduta! Ma ecco che si avvicina il traguardo! Il numero 7 si avvicina al 3, contendendosi la prima posizione e quindi la vittoria... Ci siamo quasi, la meta è a pochi metri... -

Lo starter alzò la bandiera a scacchi bianchi e neri e la abbassò di colpo sul traguardo.

- Che gara gente! Ma dovremmo affidarci alla moviola per sapere chi è arrivato al primo posto, perché il numero 3 e il numero 7 erano praticamente affiancati... - 

Il cronista rimase in silenzio per qualche secondo, in attesa del verdetto che gli sarebbe stato comunicato nell'auricolare.

- Incredibile! - esclamò. - Per soli due decimi di vantaggio, vince la gara il numero 3! Il nostro campione Hartley! Seguito dallo straordinario Freza e al terzo posto Gabe! -

 

 

Al termine della gara, i motociclisti si sistemarono sotto un gazebo per rilasciare autografi. Anche se Freza era arrivato secondo, la fila di gente che scalpitava per un suo autografo era molto più lunga di quelle per gli altri sportivi.

- Mettiamoci in fila anche noi. È l'unico modo per poterci parlare. - disse Wythe.

La fila procedeva abbastanza velocemente, ma quello che i nostri amici notarono con più evidenza, era che la fila era composta maggiormente da ragazze.

Finalmente riuscirono ad avvicinarsi al pulpito, anche se prima di loro c'era ancora una ragazza.

- Per favore, puoi scrivere questa frase? Alla mia amata Clare, un grande bacio, ti penso sempre, Freza... - disse la ragazza, con voce caramellosa.

Wythe mimò un conato di vomito, dopo aver sentito quella frase, ma si fece coraggio: era il loro turno.

Appena Freza alzò lo sguardo, rimase allibito.

- Ancora voi? - fece.

- Abbiamo bisogno di parlarti. - disse Shia.

- Non vedete quanta fila c'è dietro di voi? Rallentate il ritmo.

- Ti prego! È una cosa importantissima! - disse Nola, giungendo le mani in preghiera.

Freza la guardò negli occhi, al che lei arrossi, e trasse un sospiro rassegato.

- E va bene... Ma solo dopo che ho finito qui. Aspettatemi vicino ai camion delle moto, poi vi raggiungerò io. -

Con un sorriso trionfale, Nola si allontanò , seguita dagli altri.

 

 

Sopra il tetto di un elegante palazzo, Dray e Morgan guardavano di sotto la strada trafficata e illuminata dai lampioni.

- Sei sicuro che abiti qui? - chiese lei, sospirando di noia.

- Esattamente al settimo piano. - precisò Dray, e si avvicinò alla ragazza, stringendola in un abbraccio.

- Vedrai... - disse. - Dopo questo lavoretto potremmo stare tranquilli per un po'. -

Morgan chiuse gli occhi, inspirando il fresco profumo di Dray, che la rassicurò un poco.

- Forse hai ragione... - mormorò lei.

 

 

- Eccomi, ho finito. - disse Freza, avvicinandosi ai ragazzi, che aspettavano.

- E ora? - chiese Wythe.

- Ora andiamo a casa mia, così mi spiegate di cosa volete assolutamente parlarmi. – fece il ragazzo, sbuffando.

 

 

Freza fece salire i ragazzi su uno dei camion, poi salì anche lui.

In poco tempo, il veicolo percorse strade che i ragazzi non avevano mai visto, entrando in città e intrufolandosi in vicoli pericolosamente stretti.

Giunse davanti ad un alto palazzo blu e si fermò.

- Io abito qui. - disse Freza, e scese dal camion, seguito dagli altri.

- Ehi, Freza, alla prossima gara! E mi raccomando, cerca di arrivare primo! - gli gridò l'autista, ingranando la marcia e sparendo dietro l'angolo.

Il ragazzo gli fece un cenno con la mano, poi si mise a cercare le chiavi di casa nella tasca dei suoi jeans.

In quel momento, due figure nere si lanciarono dal tetto, e atterrarono esattamente davanti ai cinque.

Boris si mise subito ad abbaiare, perché aveva riconosciuto all'istante i due, fiutando il loro odore.

- Buona sera! - disse Morgan, maliziosa, e, agitata una mano in aria, trasformò le sue dita in lame affilate.

Con uno scatto si lanciò su Shia, facendolo rotolare per terra, tuttavia lui riuscì ad estrarre la sua Starlight dal petto, e prima che una lama gli arrivasse al viso, la deviò con un colpo del bastone dell'Ariete.

- Come ti permetti di toccarlo! - gridò Wythe, e con i suoi due pugnali corse a dare una mano al ragazzo.

Dray si voltò verso Nola e la guardò triste.

Lei rimase spiazzata, perché non capì il significato di quello sguardo.

Un attimo dopo il ragazzo si agitò, come se stesse combattendo contro un nemico invisibile, e con un virare del braccio estrasse la sua arma.

- Ora è il tuo turno. - disse a Nola, correndo verso di lei. Negli occhi dell'uomo c'era ora una luce diversa.

- Scappa, Nola! -  gridò Mick, e si mise davanti a lei per farle da scudo. Estrasse l'arco dal petto, con un'intensa luce turchese, dopo di che scagliò una freccia contro l'uomo, che la afferrò al volo, spezzandola.

Il ragazzo trasalì.

- Aquarius! - gridò Nola, e tra le sue mani apparve l'anfora blu. Con un risucchio iniziò a catturare l'aria circostante, e a trascinare Dray verso di se. Pian piano, lui perdeva le forze, proprio come era accaduto poco tempo prima durante il loro primo combattimento. Questa volta però, sapendo cosa lo aspettava, Dray fece un balzo in avanti, e con il suo braccio – arma scaraventò da una parte l'anfora, lasciando Nola disarmata.

La paura si impossessò di lei, non avendo più difese.

In quel momento Dray ebbe un sussulto e urlò di dolore. Una freccia turchese lo aveva trafitto alla scapola destra.

Con un impeto di rabbia scagliò su Nola la sua lama affilatissima.

Lei spalancò gli occhi ala vista di ciò che le veniva incontro, credendo fortemente che sarebbe morta sul colpo.

Chiuse gli occhi e alzò le braccia per proteggersi il viso, aspettando un colpo che non arrivò, ma invece udì solo un grido: - Taurus! –

In quel momento sentì un fortissimo schizzo di qualcosa di bagnato sulle braccia e sul viso, e l'urlo di dolore di Dray.

Riaprì gli occhi per vedere cosa fosse successo, e la prima cosa che vide fu la punta di una lancia verde conficcata nello stomaco del nemico.

L'impugnatura della lancia era tenuta dalle forti mani di Freza, che si voltò verso Nola, chiedendole: - È tutto a posto? Non sei ferita? -

Lei scosse la testa, sorridendogli, e proprio in quel momento si accorse di che cosa era ricoperta la sua faccia e le sue braccia.

- Questo è... - mormorò, mentre sbiancava in volto.

- Sangue. Perdonami, non volevo ridurti così... -

Mentre Nola cercava di ripulirsi, Freza estrasse la sua lancia dalla ferita di Dray.

Il ragazzo emise un lamento che somigliava ad un ringhio, ma ormai  non aveva più forze, e si accasciò in ginocchio.

- Nooo! - gridò Morgan, abbandonando il combattimento e correndo dal suo amato. Si mise davanti a lui per proteggerlo dalla lancia di Freza, che stava per trafiggere il cuore dell'uomo.

In quel momento, Dray si contrasse in uno spasmo, non causato dalla ferita, ma da qualcos'altro.

Si accasciò a terra e spalancò gli occhi. L'ombra oscura che gli velava lo sguardo scomparve, e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

- Aquarius... - mormorò.

Nola sussultò, nel sentirsi chiamare.

- Aquarius... Io... non ho avuto mai occasione di dirtelo... ti prego, perdonami, perdonami! Tua nonna... non sono stato io a ucciderla, te lo giuro! -

Dray continuava a ripetere “perdonami” come una nenia, mentre Nola indietreggiava, spaventata.

Che significava che sua nonna non l'aveva uccisa lui? Eppure lei l'aveva visto con i suoi occhi. Ripensandoci ancora, la scena le tornava in mente con estrema chiarezza.

Freza alzò la lancia, pronto a trafiggere i due nemici con un colpo solo, ma Nola, con un grido, lo fermò.

- Aspetta! -

Freza la guardò, interrogativo.

- Se non li uccidiamo adesso, di sicuro lo faranno loro. - disse.

- Chi siamo noi per decidere se qualcuno deve vivere o morire? Possiamo forse giudicare un persona dalle azioni malvagie che ha compiuto? Beh, allora dovremmo giudicare prima noi stessi e osserveremo che non ne abbiamo il diritto. -

Freza abbassò la lancia, sconcertato da quelle parole, ma ancor più sconcertato che provenissero dalla bocca di una sedicenne, così matura nonostante l'età.

- Che cosa vuoi fare? - chiese gentilmente Shia alla ragazza.

- Voglio scoprire la verità sulla morte di mia nonna. - disse.

- Io posso rivelarti ciò che vuoi sapere... - mormorò Dray, e nel frattempo, sotto di lui, si allargava una pozza di sangue.

 

 

- Bisogna portarlo subito in casa. Se muore non potrò scoprire un bel niente. - disse Nola.

- Ma sei impazzita? Ci uccideranno! - esclamò Wythe, spaventata.

Shia posò una mano sulla spalla di Morgan, che tremava, poi su quella di Dray.

- Non lo faranno. - affermò.

Wythe gli lanciò un'occhiata arrabbiata, mentre Freza fece un sospiro.

- Portatelo su, ma vi avverto. Non vivo da solo. -

A quelle parole Nola sentì una fitta al petto, ma pensò fosse dovuta alla presenza dei due nemici, e non alla frase del ragazzo.

Shia e Freza si caricarono Dray sulle spalle, e lo aiutarono ad entrare in ascensore. Dietro di loro seguirono Mick, Wythe, Nola, e infine Morgan.

Ogni tanto Wythe lanciava un'occhiataccia alle spalle di Nola, dove era nascosta Morgan, poi tornava a guardare davanti a se.

Anche Nola qualche volta si girava verso la ragazza, e ogni volta che lo faceva, lei abbassava lo sguardo tristemente, per non far vedere che stava piangendo.

“In fondo prova pur sempre dei sentimenti. È preoccupata per il suo amico... Mi fa un po' pena...”

Giunti al settimo piano, Freza prese un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni, poi ne inserì una nella toppa di una porta e la aprì.

Una ragazza gli corse incontro con un largo sorriso.

- I bambini sono già a letto! Com'è andata? -

I ragazzi rimasero spiazzati.

“ È sposato ed ha anche dei figli?” pensò Nola.

- Va bene, allora puoi andare. - disse Freza, poi dalla tasca prese un mazzetto di banconote e ne porse due alla ragazza.

- Ci vediamo la prossima volta che hai una gara. - disse lei, poi gli stampò un bacio sulla guancia e fece per correre via, ma lanciando una rapida occhiata verso Dray si bloccò.

- Ehi, ma lui è ferito! – esclamò.

- Ehm, non preoccuparti, ci penso io, chiamerò un dottore, tu va pure a casa, ci sono i miei amici a darmi una mano... –

La ragazza lo guardò perplessa, ma notando l’espressione del ragazzo non volle contraddirlo, perciò salutò di nuovo e corse verso l’ascensore.

 I ragazzi guardarono Freza stupiti.

- Che c'è? - fece lui. - È solo mia cugina che è venuta a fare da baby-sitter ai gemellini... -

Nola e gli altri non capirono nulla, però entrarono comunque in casa (un modesto appartamento familiare ) e fecero sdraiare Dray sul divano del soggiorno.

- Dobbiamo portarlo subito in ospedale. - esclamò Nola.

- No! - disse Morgan. - Bisogna immediatamente esporlo ai raggi lunari. Così potrà guarire in una notte. -

- Guarirà in una notte? - chiese Mick, incredulo.

- Noi del popolo delle Ombre abbiamo la facoltà di guarire in una notte anche dalle ferite più gravi e più profonde, purché stando esposti alla luce della Luna. -

- Allora portiamolo nella mia stanza, dalla finestra la Luna si dovrebbe vedere benissimo. - disse Freza, e assieme a Shia trasportò Dray per il lungo corridoio fino alla stanza alla fine.

Lo sdraiarono nel letto matrimoniale e aprirono le tende della grande finestra.

Appena i raggi lo colpirono, lui trasse un sospiro di sollievo, poi si addormentò profondamente. 

 

 

I ragazzi erano talmente esausti per tutti gli avvenimenti che si erano succeduti, che non avevano nemmeno la forza di parlare. Ognuno si sedette su quello che trovava, e in breve si addormentarono tutti.

 

 

 

 

Ommioddio!!! Mi sono accorta solo da poco che è quasi un anno che non aggiorno! Sono davvero messa male, scusate ragazzi, ma sono un caso patologico...

L’università mi ha talmente assorbita che non mi sono accorta nemmeno dello scorrere del tempo...

E così mi sono detta che era ora di svegliarmi un po’...

Ecco qui il tanto atteso nono capitolo...

È un po’ breve, o meglio, le cose succedono un po’ in fretta, forse, ma diciamo che è un capitolo fondamentale per la storia, poi capirete nei prossimi che pubblicherò.

Perché, ebbene sì, aggiornerò, lo giuro!

X Ladywolf: innanzitutto mi scuso per averti risposta così in ritardo, e poi, vorrei ringraziarti tantissimo per i complimenti che mi hai fatto! ^W^

Hai davvero ragione, Mick è un po’ sfigatello, e non sai ancora cosa gli succederà... poraccio... però hai ragione, è un gran figo, ed è uno dei miei personaggi preferiti! Beh, per scoprire altre cose su di lui o su di Morgan e Dray non ti resta che leggere anche il prossimo capitolo che, lo prometto, pubblicherò a breve, anche perché è davvero uno dei più importanti per la storia...

Bene, che dire, mi scuso ancora (“Basta!” direte voi... XD), e per farmi perdonare, nel prossimo capitolo metterò una sorpresa solo per voi! XDD

Alla prossimaaa!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=297792