A Thousand Suns -God Save us everyone!-

di Iria
(/viewuser.php?uid=33387)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Requiem [584 parole] ***
Capitolo 2: *** The Radiance [788 parole] ***
Capitolo 3: *** Burning in the Skies [1138 parole] ***
Capitolo 4: *** When They Come For Me [1076 parole] ***
Capitolo 5: *** Robot Boy [2460 parole] ***
Capitolo 6: *** Jornada Del Muerto [748 parole] ***



Capitolo 1
*** The Requiem [584 parole] ***



A Thousand Suns -God Save us everyone-

The Requiem

*God save us everyone
Will we burn inside the fires of a thousand suns?*


 

La bara nera e laccata era scoperchiata.
Non avevo mai partecipato ad un funerale, non sapevo come comportarmi e tanto meno cosa dovesse essere portato in dono al defunto.
Fiori, immaginai.
Ed infatti ce n'erano tanti, tutti schifosamente bianchi.
“E così sei venuto.” la voce del vecchio era poco più d'un roco malato e appuntai mentalmente di non voltarmi con la sola intenzione di sputargli in un occhio.
Ricurvo com'era, con la mia statura e forza d'uomo adulto avrei potuto sottrargli il bastone in un gesto, per poi picchiarlo fino a fargli versare l'ultima goccia del fetido sangue che ancora gli pulsava in corpo.
“Sì, dovevo palpare il suo cadavere flaccido per assicurarmi che fosse crepato. Sa, credo di possedere una vena necrofila latente.” risposi velenoso, e costruii sul mio volto il sorriso più affabile che conoscessi.

 

Ho ancora qualche difficoltà nel sorridere.
Non mi è mai riuscito particolarmente bene.


 

“Come mai tutti questi gigli?” domandò con un sussurro, sorvolando sull'humor nero delle mie parole.
Mai nessuno che l'apprezzasse.
“E' stata una sua disposizione. Ha chiesto espressamente che la camera mortuaria ne fosse ricoperta. Non so chi si sia occupato dell'organizzazione, può darsi che avesse predisposto tutto lui stesso prima di schiattare.” mi infilai i guanti, pronto per congedarmi: avevo già donato troppo del mio tempo a chi me ne aveva privato in passato.
“Tu non hai dato alcun contributo?”
“Uno solo, ma tra tutta quest'ipocrisia non può essere notato.”
Un papavero scarlatto.
Un fiore particolarmente brutto e poco apprezzato.
Perfetto, insomma.
“Perché?”
Esitai.

Non sono Dio.
Non sta a me benedirlo.
Non sta a me maledirlo.
Indifferenza e totale apatia.
Perché?


 

“Perché, nonostante tutto, sono riconoscente a Vladimir Vorcov. Mi ha salvato dalla strada e questo è bastato affinché mi ricordassi di lui il giorno del suo funerale.”
Crudele, ma vero.
Non c'era nient'altro.
Non sono mai stato in grado di provare più sentimenti contemporaneamente.

Mister Hito Hiwatari mi osservò di traverso, come se mi avesse visto per la prima volta. Si inumidì le labbra secche con la lingua, socchiuse gli occhi semi ciechi a causa della cataratta e s'aggrappò al bastone intarsiato che accompagnava i suoi ultimi passi strascicati.

Mi stai giudicando?


“Ora devo andare, ho da fare.” bugia, assurda bugia. Andare dove? Per fare cosa? Il mio stato sociale era al di sotto dello zero.

 

Ma non ho mai desiderato niente di più.

L'uomo rise e le rughe lo sfigurarono, diventando più profonde.
Lo ignorai, non c'era nulla che s'era smosso nel mio animo per cui ribattere a quell'infantile provocazione; e provai nuovamente ad
indossare un sorriso.
“Mi saluti suo nipote, so che si sta impegnando parecchio nello studio per poter ereditare il suo impero. Non è mai stato particolarmente sveglio.”

Kei Hiwatari.
Ho sempre odiato lui e gli altri tre smidollati al mio fianco.

Mi avviai in silenzio, lasciandomi alle spalle un cadavere e l'ombra sogghignate di quello che era stato un pazzo.

 

Ridi, ridi pure.
Alla fine ti scoppierà il cuore.


Sono Yurij Ivanov ho trentacinque anni e nessun particolare talento, titolo di studio o tenore di vita.
Un tempo credevo d'essere abile in un gioco per decerebrati, ma era troppo anche per me.
Mi accontento della mediocrità, senza aspettarmi alcun sconvolgimento nel mio lento vivere.
Che Dio benedica la Grande Madre Russia...
E che mi lasci galleggiare nella vita in santa pace.
Non sono né un santo, né un peccatore.
La mia assoluta invisibilità vi disgusta?
E' solo il requiem della mia esistenza.


 

*For the sins of our hand,
The sins of our tongue
The sins of our father
The sins of our young*

Fine

Aspettando che l'ispirazione e la voglia di riscrivere i capitoli perduti nuovamente -il mio computer s'è fritto.- voglio provare a buttar giù questa nuova raccolta, questo nuovo esperimento per certi versi nonsense.
Mi auguro di ricevere le vostre opinioni ^^!
Un bacio e un ringraziamento a tutti coloro che leggeranno!
Iria.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The Radiance [788 parole] ***


A Thousand Suns -God Save us everyone-

The Radiance


 


*We knew the world would not be the same.
A few people laughed, a few people cried, most people were silent.*

 

Il locale era semi-vuoto, ma non me ne meravigliai.
Con quel servizio modesto e la scelta ristretta d'alcolici, i giovani certamente non andavano cercando lo sballo e un'ubriacatura nell'intima umiltà di un piccolo bar.

 

Chi avrebbe potuto vederli ed elogiarli, altrimenti?

 

Non mi era mai piaciuto alcun tipo di cocktail, vino o birra; e anche allora non ordinai nulla nell'attesa.
La donna dietro al bancone mi osservava con un'espressione vagamente triste e pensierosa, mentre ripuliva con uno straccio sudicio un bicchiere.
Un movimento meccanico e continuo, senza il minimo senso...
Aveva ombre scure sotto gli occhi dalle palpebre pesanti e maldestramente truccate; il rossetto sbavato, invece, disegnava una maschera di tristezza sulle sue labbra sottili e prive di forma.
Sospirai, continuando ad osservare la porta.


 

Sarebbe venuto?

 

Brooklyn Masefield non era mai stato un tipo da promesse mantenute.
Sorrideva, annuendo, per poi ritornarsene alla cupidigia dell'Irlanda; e chissà se avesse anche solo prestato attenzione alla parole che gli erano state rivolte...
Ci vedevamo una volta ogni due anni, lui ordinava la sua birra scura, la beveva lentamente per poi andarsene e, forse, l'ultima volta non aveva udito la mia bisbigliata richiesta di vederci prima...
Eppure io mi ero presentato sul luogo del solito appuntamento, sicuro com'ero che mi avesse ascoltato (almeno allora.)
Avevo voluto un solo anno durante il quale riflettere, poiché se ne avessi avuti due, molto probabilmente avrei speso il seguente ad annichilire tutti i traguardi raggiunti precedentemente.


 

Come avevo preso l'abitudine di fare dai miei diciotto anni.

 

Sapevo che in un modo o nell'altro quella decisione avrebbe cambiato radicalmente il mio piccolo ed egoistico universo.
Molto del tempo che avevo trascorso a riflettere, l'avevo fatto ridendo, disperandomi o restando in silenzio... Senza mai annullare i contatti con ciò che mi circondava.
Non avrei potuto sostenere un completo isolamento e tanto meno accontentarmi di uno stile di vita anonimo.
Non si addicedeva ad un Von Cetwald.


 

*I remembered the line from the Hindu scripture, the Bhagavad-Gita.
Vishnu is trying to persuade the Prince that he should do his duty and to impress him takes on his
multi-armed form and says...*


 

In quell'attimo, dunque, sapevo di essermi messo alla prova.
Potevo alzarmi e andarmene, senza scoprire se fosse mai venuto al nostro incontro: scomparire definitivamente, sposare una donna, farmi una famiglia e vivere il sogno mediamente comune ad ogni uomo sui trent'anni -ormai tendenti ai quaranta.
Oppure restare, continuare ad aspettarlo fuori dal locale fino all'alba, per poi prendere il mio aereo e tornare in India con l'amaro tra le labbra.
In un modo o nell'altro, non vedevo neanche lontanamente un risvolto vagamente roseo per quella situazione...
“Signore, stiamo chiudendo.”
La donna dietro al bancone mi si era avvicinata, appoggiandomi una mano su di una spalla.
Sollevai lo sguardo e notai lo strato corposo di fondotinta che aveva dovuto usare per ricoprire i segni della stanchezza sul suo volto maturo.
“Sì, mi scusi.” risposi, sollevandomi e porgendole i soldi per il coperto che avevo ampiamente sfruttato.


 

Avevo aspettato per circa venti anni.
Qualche altra ora sarebbe stata ugualmente importante o fondamentale?
 

“Questa volta credo di aver fatto tardi.”
Lo vidi avanzare nella nebbiolina di primo mattino, qualche minuto prima che mi decidessi a chiamare un taxi per raggiungere il mio albergo, recuperare la valigia e tornarmene a Delhi, pronto ad affrontare un altro anno per cancellare tutti i miei tormenti.
Aveva la sua solita espressione rilassata ed il sorriso leggero, inoltre notai che aveva tolto l'orecchino...
“Sì, stavo andando via.” risposi, guardandolo senza alcun interesse.
Come sempre.
“Capisco. Immagino che dovremo rimandare il nostro solito face to face all'anno prossimo.” disse semplicemente allora, passandosi una mano tra i capelli.
Per un attimo, mi parve di notare una striatura grigiastra fra tutto quel lieve rossiccio.
Ma fu un solo un lampo.
E mi spaventò.
“No.”
L'istinto non mi ha mai aiutato; e non lo fece neanche allora.
Brooklyn fu inizialmente sorpreso dalle mie parole, poi tornò a rilassarsi e sospirò.
L'atmosfera venne risucchiata assieme al suo respiro; ed io rimasi in apnea, attendendo...
“Hai ragione. E' una cosa piuttosto stupida continuare a vedersi a questi ritmi praticamente senza rivolgersi la parola.” mi disse allora, per poi tendere una mano con la solita ombra del sorriso che mai scivolava via dalle sue espressioni.
C'era una ruga ad increscaparne la guancia, stavolta non potei negarlo alla mia vista.
Strinsi la sua mano, accettando il gesto di congedo.
Era calda ed al tatto subito avvertii il freddo metallo di un anello su un dito.

Quello stesso giorno, mentre fissavo l'oceano al di sopra delle nuvole ed il sole illuminare l'orizzonte vicino, capii che avevo definitivamente distrutto tutte le mie speranze e le mie fragili congetture con un semplice tocco.
Mi era sembrato che Brooklyn, fino all'ultimo, non avesse voluto che gli stringessi la mano...
In un modo o nell'altro, entrambi sapevamo che ciò avrebbe significato un inderogabile addio.


 

*«Now I am become Death, the destroyer of worlds»
I suppose we all thought that, one way or another.”*
 


 

Fine

Bhé, che dire?
Innanzi tutto, sono contenta che la raccolta posso aver destato interesse ^^! Poi, contentissima anche perché, finalmente, ho scritto la mia prima e da sempre voluta Brooklyn x Garland!
Credo ci sia poco da dire al riguardo, soprattutto in riferimento all'argomento. Il titolo è “Radianza” o “Splendore” -traducetelo come volete ^^- e le parole sono quelle di Robert Oppenheimer.
Il riferimento nell'album dei Linkin Park è molto più profondo, visto che l'intero Concept Album sviluppa l'eventualità di una guerra atomica.
Io, però , ho voluto rigirare il discorso alla distruzione di un universo personale... Che, per quanto piccolo, è ugualmente importante, no?
Spero abbiate potuto apprezzare anche questa one-shot ^^!
Ah sì, il conteggio parole esclude le citazioni della canzone =).
Un bacio, e grazie.
Iria.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Burning in the Skies [1138 parole] ***


 

A Thousand Suns
-God Save us everyone-

Burning in the Skies

*I used the deadwood to make the fire rise: the blood of innocence's burning in the skies.
I filled my cup with the rising of the sea and pour it out in an ocean of debris*

Immergersi nel silenzio e soffocare.
Lo credevi possibile?
Io avevo sempre pensato che l'immobilità fosse simile ad una delicata coperta che, avvolgendoti, conduceva lungo il viottolo dei sogni o il sentiero angusto degli incubi.
Quanto poteva essere mortale la completa assenza di sospiri, respiri e l'impossibilità d'avvertire il vibrare d'un battito di ciglia..?
Il freddo inibiva i miei sensi.
Quella vigilia di Natale era più gelata delle altre e nell'aria immobile l'odore della legna che bruciava vanamente nel camino mi dava alla testa.
La mia vita non era mai stata particolarmente felice e come ogni anno, allo scadere dell'esistenza di quello vecchio, i rimorsi divoravano ogni singola parte del mio povero stomaco, che si contorceva preda di inenarrabili dolori e terribili spasmi.
Al mio fianco, poco lontano, lui mangiava i suoi karp s kapustoi(*) con una lentezza disarmante.
Portava il pesce alla bocca e, masticando, osservava un punto fisso avanti a sé, dal quale distoglieva gli occhi solo per posarli nuovamente sul piatto.
Il fuoco scoppiettava, ma non allegramente come l'avevo visto descrivere nei libri; anzi quell'agguerrita lotta di lingue rosse risultava piuttosto fastidiosa ai miei occhi stanchi.


 

Osservavi spesso il fuoco.
Bastava che me lo chiedessi, davvero: avrei potuto spingerti tra le fiamme senza farmi troppe seghe mentali.


Piano, senza disturbare il suo pasto, mi allungai per prendere la bottiglia d'acqua che aveva di fronte.
Non mosse un solo muscolo nella mia direzione, non diede alcun segnale d'aver avvertito il mio movimento.
Al solito.

*I'm swimming in the smoke of bridges I have burned. So don't apologize, I'm losing what I don't deserve...
What I don't deserve*

Ivanov..?” osai pronunciare il suo nome.
Avevo bisogno di farlo, per accertarmi che reagisse e, sì, che quindi continuasse ad odiarmi.
Mise giù forchetta e coltello, facendomi intendere che stava prestando misera parte del suo -sprecato, abusato e insostenibile- tempo alla mia altrettanto trascurabile persona.
Ma cosa avrei voluto dirgli?
Non ci eravamo mai rivolti davvero la parola e solo per un fortuito caso -quello d'esser stati... momentanei collaboratori.- conoscevamo i nostri reciproci nomi di battesimo.
Il suo silenzio mi pulsava nelle orecchie, fastidioso come il ronzio di una zanzara.
Era chiaro ed evidente: se non avessi continuato il mio discorso, avrebbe semplicemente finto d'essersi interrotto per lo squillo di un invisibile telefono o la visita di un improbabile ospite, ed avrebbe continuato a mangiare come se nulla fosse stato.
Ci disprezzavamo.
O meglio, mi disprezzava profondamente ed io, dall'alto della mia indifferenza, non avevo mai provato ad instaurare alcun rapporto con lui.
Vivevamo nello stesso luogo da vent'anni, forse, sopravvivendo col denaro che il nostro defunto benefattore vi aveva nascosto, ma nulla nel nostro modo di vivere lasciava intendere che ci fossimo anche solo mai visti.

Appartenevo a qualcosa che non avresti mai voluto avere...
Il tuo passato, il tuo presente ed il tuo futuro.
Una vita, praticamente.

Chinò nuovamente il viso sul suo piatto, come avevo previsto, e riprese a mangiare in tutta tranquillità.
Ma i movimenti, più rigidi, mi fecero capire che non avrebbe approvato un'altra interruzione alla sua solitaria cena natalizia.
Io non c'ero, non esistevo nei suoi pensieri e nelle sue fantasie.
Nulla di ciò che lo circondava faceva parte dei suoi piani.
Anche se mi chiedevo, e forse piuttosto ingenuamente, se avesse mai davvero avuto un qualche piano.


 

*We held our breath when the clouds began to form, but you were lost in the beating of the storm; and in the end, we were made to be apart: the seperate chambers of the human heart*

Da bambini, da mocciosi, non ci eravamo mai curati l'uno dell'altro.
Eravamo nella stessa banda di “monelli di strada” -per utilizzare una definizione comune ed affezionata a più narratori-, ma ognuno badava al proprio torna conto, facendo attenzione a non essere venduto da un compagno per qualche soldo, per un po' di pane, per un bicchiere di vodka o per un qualsiasi altro privilegio dalla durata di una notte soltanto.
Eppure, nonostante tutto, io e lui fummo fortunati.
Mentre il resto dei marmocchi moriva assiderato, noi eravamo ad osservarli dalle finestre del monastero che ci aveva accolti.
Al caldo, già.
Ma Yurij non mostrò mai alcun compiacimento per il netto miglioramento del nostro stile di vita e, soprattutto, del sicuro innalzamento della sua durata.
Più che altro, si impegnava con tutte le sue forze per trovare il concreto significato del proprio respiro e del battito del proprio cuore.
Eravamo insieme, quindi, legati l'uno all'altro a causa di uno stupido ed infantile scherzo del destino, però lui era veramente impegnato con tutto se stesso nel realizzare il progetto di Vorcov e Mister Hiwatari.

Era così disperata la tua ricerca di uno scopo...
Mi facevi pena alle volte, poiché intuivo quanto in basso sarebbe crollato il tuo vivere.


 

Il silenzio che accompagnava le nostre giornate, dunque, diventò la costante della mia esistenza.
Meno di zero per quel
povero ragazzino, l'importante per me era poter continuare a vedere il mondo.

*The blame is mine alone, for bridges I have burned. So don't apologize, I'm losing what I don't deserve.*

Il suo mutismo era davvero come un sonno profondo.
Mi intorpidiva, lasciandomi galleggiare in uno stato di assoluta insicurezza.
Esisto? O è tutta una proiezione di qualche genio malvagio?
Eppure, anche solo guardando le profonde ombre scure che segnavano i suoi occhi, non potevo non convincermi di quanto fosse reale e tangibile quella vita vissuta sotto tenui impulsi comatosi.
Yurij...” pronunciai stavolta, alzando lo sguardo, bene intento ad osservarlo.


 

Come mi aspettavo, non facesti una piega.
Dannazione...
Quanto disgusto covavi?
Ma, soprattutto, quanto verso te stesso?

Si alzò, prendendo il piatto vuoto per lavarlo ed ignorandomi bellamente.
Eh no.
Gli afferrai l'avambraccio magro e forte, ricevendo un'occhiata seccata e sprezzante in cambio.
“Volevo solo augurarti buon Natale.” dissi subito, ben sapendo che se avessi aspettato qualche altro secondo, non sarei stato in grado di aggiungere null'altro.
Sì, per tutta la serata il mio desiderio più grande era stato solo di dirgli quelle parole.

Non avrei saputo spiegarlo neanch'io...
Ma sentivo il costante bisogno, dopo tutto quel tempo, di costruire almeno un misero rapporto di conoscenza con l'adulto frigido che viveva con me.
Lui mi fissò per un paio di secondi, serio e senza alcun segno di sorpresa sul viso stanco e maturo.
E a cosa mi servirebbe?

Le fiamme nel camino s'erano indebolite, pronte a morire.
Dall'altra parte, in cucina, avvertivo Ivanov sciacquare i piatti sotto il getto dell'acqua sicuramente gelata.

Aggiunsi della legna per far ravvivare il fuoco ed il fumo acre mi solleticò le narici, avvolgendomi in un calore che sapeva di casa.
Alle mie spalle, quelle stesse fiamme si riflettevano nei suoi immobili occhi di un azzurro spento...
Quanto poteva ferire la completa assenza di un gesto d'affetto?
Era ben peggiore della solitudine o dell'agonia del suo silenzio.
Per un momento, notando che l'osservavo,
lui fece per distogliere lo sguardo con un ché di imbarazzato.
Poi parve rinsavire, per riprendere l'aspetto dello stesso uomo imperscrutabile di sempre: fece una smorfia, infastidito, tornando ai piatti lasciati sotto l'acqua che scorreva lenta.
Mmh... anche quell'ennesimo anno si sarebbe concluso nella più totale insofferenza.
Ma quanti ce ne restavano ancora,
Yurij?
L'innocenza della giovinezza era già bruciata e consumata al di là dei tuoi -
nostri- occhi...

 

*I used the deadwood to make the fire rise: the blood of innocence's burning in the skies*

Fine

(*) Karp s kapustoi: filetti di carpa con crauti, tipico piatto natalizio russo ^^.

Bhé, forse è un augurio di buon Natale un po' aspro, ma riflette il mio stato d'animo ultimamente.
Vuoto, confuso ed apatico.
Il testo della canzone non è tutto, sono solo le strofe principali =).
Mi auguro che, in un modo o nell'altro, possa avervi colpito quest'altra shot.
Grazie a tutti coloro che recensiranno e che hanno recensito.
E, ovviamente, al di là della storia, buon Natale.
Iria.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** When They Come For Me [1076 parole] ***



A Thousand Suns
-God Save us everyone-

When They Come For Me

*Yeah, I am not a pattern to be followed.
The pill that I'm on is a tough one to swallow*


 

Da ragazzino non ho mai avuto un comportamento particolarmente esemplare.
Eppure, la stupida aura di rispetto che avevo faticosamente costruito tutt'attorno alla mia mera personalità -resa volutamente aggressiva da ridicoli artifici- era piuttosto soddisfacente.
Ammetto e confesso di essermi rivelato un vero e proprio ipocrita, ma, ehi, in un'intera vita chiunque può sbagliare.
Una, due, tre, infinite volte...


 

Anche se continuare a sgarrare fin quasi a quarant'anni d'età risulta piuttosto pietoso.
 

Ritengo di essermi dimostrato patetico in diverse occasioni.
Ho un'alta considerazione di me, ovvio, ma allo stesso tempo so ben giudicare le eclatanti porcate definite proprio dal sottoscritto quali “migliori commedie della sua subdola vita”.
Kei Hiwatari ha iniziato a sbagliare sin dal suo primo respiro.
Sembra davvero una cosa tremenda detta così, ma l'esistenza di una persona viene disegnata in base ai suoi sbagli.
L'impulsività dell'essere umano è una piaga orribile: io ne sono una testimonianza piuttosto evidente.
Ho ingoiato la mia esistenza.
E che sia vivo o morto, che importa quando tutto è solo la grottesca ombra di ciò che mi ero prefissato?


 

*I am not a criminal, not a role model, not a born leader.
I'm a tough act to follow, I am not the fortune and the fame or the same person telling you to forfeit the Game.*


 

Non riesco più a dormire serenamente da anni, ormai.
Alle volte, penso sia per l'eccessiva dose di caffeina che mi circola in corpo col sangue sporco che possiedo.
In altre occasioni, invece, credo sia per gli incubi od i sogni pregni di rimorsi che divorano la mia malata psiche.

No, non sono pazzo o schizofrenico.
Ma so di non poter vantare un particolare equilibrio mentale, morale e fisico.
Ho giocato con la mia dignità nel momento stesso in cui ho deciso -nel pieno delle facoltà- di prendermi cura del vecchio Hito e della sua azienda infame.
Tutto di guadagnato, per il sottoscritto.
 

Denaro, oh sì, il fottuto potere ed un pezzo di gustosa Gloria.
Era tutto ciò che cercavo, vero..?
...
Vero?

Ho visto stupide e superficiali conoscenze eclissarsi dagli orizzonti della mia vita.
E ciò che più mi ha più impressionato di questo comune quanto crudele sprazzo d'esperienza è stato vedere come la totale indifferenza accogliesse tali cambiamenti...
Ombre.
Già, erano state tutte ombre quelle alle quali avevo gridato contro, quelle alle quali avevo ringhiato con fervore.
Che decerebrato cane bastardo che sono stato... ops, che sono.


 

*I came in the ring like a dog on a chain, and I found out the underbelly is sicker than it seems.*

 

E proprio come un cane incatenato, ho osservato mestamente l'evolversi degli eventi; la morte dei padroni e la disfatta dei compagni.
Oh, già, naturalmente vi era stato chi era riuscito a spezzare quegli assurdi legami col passato funesto; chi, rigirando su se stesso, aveva invece finito col soffocare, morire, soffrire apaticamente...

Io, d'altra parte, mi ridussi ad essere spettatore dell'altrui decadimento o liberazione.
Ma non ero imprigionato.
Non soffrivo.
Né, tanto meno, venni condannato a pene ingiuste.
All'epoca mi ritrovai solamente ad essere scontento della vita sbagliata assegnatami da chissà quale onnipotente pagliaccio.

 

Sono marcio, nevvero?
C'è qualcosa che si sta decomponendo in me... ma cosa?


 

Al mattino, aprendo gli occhi, credo che la luce sia troppo intensa.
Alla sera, socchiudendo le palpebre, penso che il buio si stia facendo sempre più insidioso.
Da tempo non riconosco il silenzio e la confusione; sono troppo simili alla natura di un'anima che non ho mai particolarmente apprezzato o voluto...
Vivo in funzione delle ore d'ufficio, sapete?
Poi, quando spalanco la porta della mia -meravigliosa, la definirebbero inesistenti ospiti- casa, sono gli improperi della tranquillità a trafiggermi le orecchie.


 

Quanto è disgustosa l'ipocrisia dell'oscurità.
Carezzevole e sdolcinata, si insinua sotto la cute come un sottile ago predisposto a somministrare la morte.

Ah, il buio vuole solo inibire le proprie vittime.
Prenderle in giro, e fottere le loro menti.

 

*I am the opposite of wack, opposite of weak, opposite of slack.
Synonym of heat, synonym of crack, closest to a peak, far from a punk.
Y'all oughta stop talkin', start tryin' to catch up...
Mothafucka!*

 Ero assuefatto ad un gioco che ora è solo una delle tante mode superate; eppure c'era qualcosa che somigliava alla gioia e alla più grande soddisfazione personale, quando Dranzer inceneriva gli avversari.
Ardevo, e tutto il mio animo gridava.
Sfioravo l'estasi, mi avvicinavo all'essere una divinità..!
In quei momenti, avrei potuto stringere il mondo tra le mani e lasciare che i suoi resti mi scivolassero fra le dita...
Ma la Fenice, Suzaku, ha pensato bene di abbandonarmi poco dopo che rinunciai a questa ridicola passione per ricercare la concretezza di un futuro che non mi sarebbe mai calzato.

 

Lo sogno ancora, alle volte.
Il fuoco che mi sfiora, ma non brucia.
Lo sogno ancora, alle volte.
E riduce in cenere i fottuti documenti che mi legano alla fottuta azienda di famiglia.
Oh, gioia intensa, gioia malsana..!
Già...
E poi, figlio di puttana?


 

Sono giunto ad un punto morto, senza più stimoli o desideri.
Credete di sapere come ci si sente..?

Ogni singola persona vanta sempre d'aver provato le più svariate esperienze e sentimenti...
Ma vi sopravalutate.
Fin troppo.
Altrimenti non sareste ancora qui.
Altrimenti non sarei ancora qui.
Che senso avrebbe vivere, a quel punto?
Oh, non che la mia vita sia pregna di motivazioni, naturalmente...


 

C'è ancora chi crede alla giustizia divina.
Io ho capito di essere stato sottoposto ad un autonomo giudizio: mi sono seduto in tribunale, ed ho pronunciato una condanna inappellabile.

Il mio trascinarmi attraverso i giorni s'è rivelato una continua e costante caduta su se stessi.
Implodendo, ho sedato ogni minimo e violento istinto.
Addomesticare una bestia risulta semplice, quando le si fa comprendere che in base ai meriti riceverà succosi premi...
Forse, continuare a paragonarmi ad un animale non è particolarmente gratificante, ma quale altro parallelo scegliereste?

Odiavo la monotonia della vita e mi sono ridotto ad essere uno dei tanti insignificanti spettri di questo mondo.
Che cosa mi è accaduto?
Ehi, Kei Hiwatari, ci sei ancora?
“No, figlio di puttana, prova a capirlo.”


 

 Quando osservo i miei occhi giudicarmi da uno specchio, quasi posso vedere e contare ad uno ad uno i capillari rotti che mi arrossano i bulbi -ah, la vecchia componente tenebrosa della gioventù!
E' mostruoso essere in grado di distinguere ogni singola traccia del tempo; sembra banale dirlo, ma conosco fin troppo bene il mio volto -ed esistono persone che si sorprendono ancora per il loro stesso riflesso..!-, e proprio per questo motivo è deprimente fare un paragone, puntarsi il dito contro ed esclamare “ehi, fratello, fai davvero schifo ultimamente!”

 

Ehi, amico, sono solo il risultato della società.
E non è una giustificazione, davvero.
Prova a capirlo.

E per quanto squallida ed umile, solo d'una cosa non mi pento...
Nel momento stesso in cui i miei ideali ed i miei rimorsi verranno a cercarmi, farò in modo d'essere già scomparso da tempo: oh, andiamo, cosa mi resta di Kei Hiwatari, ormai? 

Il carattere di merda?

 

*Oh, when they come for me, come for me... I'll be gone*

Fine

Salve!
Eccomi dopo secoli, finalmente ^^!
Questa shot potrà sembrarvi strana e lo comprendo: è un'accozzaglia di pensieri.
Ma penso, credo, sono convinta che giunti ad un certo grado di esasperazione, non si riesca più a ragionare lucidamente.
Si scade nel nonsense.
Ci si riduce a prendersela con se stessi con dello humor malsano.
Spero possiate aver gradito in minima parte ^^.
Iria.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Robot Boy [2460 parole] ***



A Thousand Suns
-God Save us everyone-

Robot Boy

*You say you're not gonna fight, ‘cause no one will fight for you.*

Ivan Pavlov.
Non sono sicuro che questo sia il mio vero nome, ma è così che sono sempre stato chiamato ed è così che continuano a rivolgersi a me.
Fatta eccezione, ovviamente, per quelle volte in cui vengo apostrofato come “sfigato”, “perdente”, “impiastro”.
Non ho mai ricevuto particolari parole d’apprezzamento o gesti che avrebbero potuto paragonarsi ad un“Ehi, amico, sono qui.”
Dimenticato dal mondo e lasciato a marcire, mi si chiede ora di lottare per i miei diritti, per le mie -a quanto dicono- infinite possibilità e capacità.

 Ma chi, come me, è stato già giudicato “Indegno alla vita”?

Non sono prestante a livello fisico: non sono alto, non ho tanti muscoli e la mia agilità è andata a farsi fottere dopo che mi hanno spezzato le gambe per la sesta e fatale volta.
Il sonno mi ha scavato gli occhi anni or sono, quando addormentarsi significava morire assiderati o sbranati; e la considerazione che ho di me stesso è scesa sotto lo zero quel lontano giorno in cui mi risvegliai nelle segrete del monastero coperto di feci.

 Allora qual è la mia utilità?

Ci sono stato sempre e solo io a combattere per la schifosa vita che mi è stata fatta condanna di trascinarmi dietro al pari di logoranti catene –come se la mia pelle non fosse già stata tranciata abbastanza da infiniti anelli di metallo..!
Una pesante colpa, l’esser nato, lo ammetto.
Non ho, quindi, alcun diritto a combattere per la felicità.

Né mia, né ben che meno per quella altrui.
Dunque per una volta vi prego, fatemi un misero piacere: fottetevi tutti.

 *°*

 *And you think there's not enough love, and no one to give it to.*

Sergej non è un nome che mi è stato dai miei genitori o da un mio qualsiasi altro familiare.
Anzi, non ricordo neanche di aver mai avuto una famiglia o un nido caldo dove poter tornare: ho sempre pensato d’esser nato dall’asfalto dei marciapiedi, e che lì sarei tornato una volta morto.
Quando fui accolto al monastero mi venne dato un numero per poter essere riconosciuto, in quanto quei monaci senza Dio non si sarebbero mai dati la pena di identificare un bambino che aveva appena varcato le soglie del suo personale Inferno; ed in seguito da quel numero -quando venni istruito almeno ai minimi livelli- ricavai questo nome, facendo corrispondere ad ogni cifra una lettera dell’alfabeto.

 È pietoso, me ne rendo perfettamente conto.
Ma avete mai assaporato la disperazione?
Avete mai sfiorato la follia?
Quei numeri ripetuti come una cantilena mi trapanavano il cervello…

Un nome è la testimonianza che qualcuno ti ha amato, che si è preso cura di te ancor prima che nascessi, che ha trascorso giorni a decidere quale parola suonasse meglio su un marmocchio che poi sarebbe divenuto uomo.
Ecco perché forse mi ha partorito il ciglio della strada.
All’epoca, non vi era alcuna traccia d’amore nel mio esistere, e tuttora nei giorni che affronto questo sentimento raschia il fondo dello zero.
D’altra parte, perché dovrebbe andare diversamente?
Ho visto l’ombra oscura del mondo insinuarsi nelle anime di fantocci dalle sembianze umane e divorarle fino a farle implodere nella più sadica crudeltà.
Ho visto gli occhi di strane bestie antropomorfe sfamarsi con il terrore delle proprie piccole vittime.
E, guardando, subendo, non ho avvertito alcun dolore nel cuore, nell’anima o sul corpo.
Immobile nel sangue delle mie ferite, ricordo che, come una litania, ascoltavo il suono dei miei numeri apostrofato sempre con maggior forza e terrore al culminare della violenza.

 Quando è la preda a divenir furente, cosa accade al cacciatore?

Io, oggi come allora, ho sempre avuto bisogno del calore dell’amore.
Che questo mi venisse dato dal sangue, da bambino non mi importava: cosa potevo capirne?
Ma anche ora sono disorientato ed alquanto depresso: se al mondo ci fosse tutto il sentimento che mi è stato descritto da quando sono libero, perché gli occhi degli uomini sono ancora pregni di furore?
Perché, guardandoli, dietro agli specchi della loro anima intravedo bestie che vorrebbero staccar le membra a quella persona o all’altra?
Ah, gli uomini sono mostri interessanti.
Fingono d’esser civilizzati, quando invece desiderano solo che la loro anima ritorni allo stato primordiale…
No, l’amore non c’è mai stato in questa landa di creature dalla bava sanguinolenta.
Neanche da parte di colui che mosse per primo l’universo.

 *°*

 *And you’re sure you’ve hurt for so long, you’ve got nothing left to lose.*

“Boris Huznestov, siamo pronti ad ascoltare la sua deposizione.”
È la stessa storia da quasi vent’anni, ormai.
Si ripete periodicamente e monotonamente: vado in tribunale, ribadisco le stesse identiche nefandezze compiute da Vorkov in anni ed anni d’abusi, gli avvocati si sbranano; e ciò che ottengo è il nulla più assoluto.
Nessuna giustizia, né umana né divina, sembra voler muovere anche un solo passo verso di me.

Dio mio
, devo avere davvero un terribile aspetto, se non riesco a sedurre la bella Signora bendata!
Eppure, ho sempre pensato che tra tutti i miei compagni di sventura io fossi quello venuto meglio.
Non possiedo alcuna cicatrice particolarmente evidente sul corpo o un qualsiasi altro decadimento fisico e mentale che potrebbe, eventualmente, allontanare le fanciulle.

 È nella mia espressione l’orrore, vero?
Nei miei occhi, nel mio respiro, nei miei movimenti.

Cosa dovrei raccontare ancora..?
Dell’assassinio dei miei genitori? Oh, di quello per mia sfortuna non ho prove concrete, ma solo ricordi vaghi e infruttuosi sospetti.
Potrei peccare di superbia, dicendo che per avere me Vorkov avrebbe agito di tutto –e privare della vita i miei familiari rientrava evidentemente nelle possibilità da lui contemplate-, ma non vorrei risultare particolarmente antipatico o incline alla depressione.
Bhé, in effetti credo di sorridere un po’ troppo spesso nonostante i miei oscuri trascorsi…
Ma cos’altro dovrei fare?
Piegarmi su me stesso e piangere per giorni e giorni fino a sentire gli occhi doloranti? Fino a sentirli scivolare via insieme con le lacrime?
Ci ho provato, l’ho fatto.
Ed ho anche versato fiumi di sangue e vomito per il malessere, per la disperazione di vivere e la speranza di morire.
Un bambino dovrebbe avere la possibilità di essere felice e di respirare una salubre atmosfera familiare… senza né il fetore della decomposizione o l’essenza della putrefazione.

 Eppure è su tutto il mio corpo, mi impregna i vestiti…
Crea una barriera che interferisce con ciò che sono e con ciò che vorrei essere.
Davvero, sono meglio di questo schifo.
Io non sono morto.

Eclissato da questa esistenza, sento il petto squarciarsi ad ogni singolo battito del mio cuore.
Ah, sono stato trafitto per così a lungo, che non mi importa più di nulla in particolare…
Un tempo, venti anni fa, fresco di libertà e voglia di vita, penso di essere stato anche assetato di vendetta.

Ma ora…
Ritengo che per tutti noi ex-ragazzi del monastero, gli anni di vita valgano il doppio del normale: ho quasi quarant’anni e mi sento allo stremo, pronto ad arenarmi sulla spiaggia dell’annichilamento.
Saranno stati gli stenti, saranno state le strambe responsabilità…
Però, a cosa mi servirebbe, ora, veder privato di tutti i suoi sporchi averi il figlio naturale di quel maiale d’un monaco..?
Ora che non ho altro che un sorriso spaventoso disegnato ad arte sul viso..?
“Per anni ho rilasciato sempre le stesse dichiarazioni. Non ho più nulla da dire.”
D’altra parte, cosa dovrei aggiungere?

«     Ehi, mondo di merda, mi hai ridotto a brandelli e, sì, anche disilluso.»

 *°*

*You say the weight of the world has kept you from letting go.*

La targhetta sulla mia scrivania parla chiaro: “Direttore K. Hiwatari”.
Avrei voluto farci aggiungere anche un “Sua Signoria Illustrissima”, lo ammetto, ma a quel punto avrei speso un ulteriore capitale per ogni singola lettera e, diciamocela tutta, non desidero che un misero soprammobile possa attirare l’attenzione più del sottoscritto.

Mh…
Ma sì, prima o poi penso che lo completerò con “S.S.Ill.” .
È un’abbreviazione, certo, ma il significato è lo stesso ed il guadagno è garantito..!
Ho un magnifico senso pratico, nevvero?
Già, devo dire che mi è molto utile nella gestione degli affari: non posso lamentarmi e, d’altra parte, solo una mente illuminata come la mia potrebbe concepire adeguate e vincenti strategie di mercato!

Ah, che pena.
Oddio, le segretarie sono ovviamente uno spettacolo -dopotutto le ho scelte io stesso-, ma è davvero una magra consolazione squadrare i culi di arrapate arrampicatrici sociali tutti i santissimi giorni, per permettere alle ore di trascorrere il più velocemente possibile.

 Non credevo che la vita un giorno mi avrebbe divorato:
io avevo intenzione di sniffarla via con un’abbondante dose di cocaina..!

Se mio nonno potesse vedermi, mi definirebbe patetico –nonostante io abbia adempiuto alle sue volontà.
Se Vorkov potesse osservarmi, riderebbe fino alla nausea; e credo lo farebbe anche una mia vecchia conoscenza a lui vicino –oh, non ha mai superato l’umiliazione di vedersi strappare il ruolo di capitano… Ma, bhé, in questo mondo vige la legge del più forte e lui, oggi come allora, non era altro che un miserabile.
Nella mia vita ho collezionato tanti successi, costellati da altrettanti insignificanti fallimenti.
Uno di questi credo riguardi le modalità di comando della mia esistenza.
Non che non avessi la situazione ben salda tra le mani –anche se penso d’esser finito in commissariato una volta di troppo..!-, ma ad un certo punto mi sono ritrovato a dover scegliere fra il perdere tutto ed assumermi le mie responsabilità…
Ah, noi ragazzi del monastero non abbiamo mai avuto fiuto per queste cose.
Stupidaggini come il peso delle proprie azioni non contavano nulla, quando la posta in gioco era una cena sostanziosa grazie alla quale avresti avuto la pancia così piena, che saresti stato in grado di digiunare per un’altra, lunga settimana.
Non è rinvangare il passato, affatto.
Ma quale potenza mi pervadeva quando, eliminati tutti, esistevamo solo io, la gloria ed il mio grasso banchetto.

 Sono stato abituato all’oro e alla sfrenatezza.
Scatenavo i miei istinti peggiori e venivo premiato!
Dannazione.

Io sono stato quello ad avere un destino migliore, fra i miei cari colleghi.
D’altra parte, avevo un futuro già ben delineato e la tappa alla reggia di Vladimir non è stata altro che una piccola deviazione di percorso.
Non sono più pericoloso, né furioso, né incazzato col mondo.
Direi, invece, d’esser stanco.
Non l’avrei mai detto, ma da qualche tempo le più seducenti tentazioni di questa terra non sortiscono alcun effetto sul sottoscritto, e sono sostituite, invece, da infinite pile di pallosi documenti…
Ah, mi sono scatenato come un diavolo, quando ho potuto.
Ho macchiato la pietra marcia di bui sotterranei, quando mi sono ribellato.
E credo d’avere ancora qualche chiodo delle fruste di Vorkov piantato sotto la carne.

Sì, sto solo aspettando che quel seme maligno germogli e che mi trascini via da questo distorto mondo fatato, riconducendomi alla sala delle torture dove, sfinito, devo evidentemente essermi appisolato.
Voglio confessarvelo: quando muore la volontà, è un coma onirico a pervadere la pesante vita che hai da scontare.

 *°*

*And you think compassion's a flaw and you'll never let it show.*

Ho iniziato a mettere da parte i pochi spiccioli che guadagno per la mia lapide.
Sapete, credo sia fondamentale predisporre la maniera in cui venire seppelliti e scegliere con cura ciò che presidierà il nostro sonno: insomma, in questo caso si può davvero dire di occupare un posto su questa terra in eterno!
Vorrei qualcosa di monumentale, che non passi inosservato: almeno nella morte non voglio essere una fottuta nullità.

“In Loving Memory Of Yurij Ivanov.”
I due angeli sulla mia tomba terranno tra le delicate mani di pietra una coccarda con tali parole incise sopra a caratteri cubitali.
Oh, avanti, questa fantasticheria è una misera maniera per lenire il profondo dolore che la carenza d’affetto mi ha lasciato nelle budella..!

Oh, non sono per niente credibile, vero?
Già, piuttosto che organizzarmi il funerale, preferirei marcire per strada con la bocca piena di mosche.

 Che nessuno abbia compassione dei miei resti!
Lasciate pure che queste membra si decompongano tra l’immondizia…
Da lì provengo e lì tornerò.

Non sono il tipo che presta attenzione a ciò che lo circonda, che si preoccupa di come va il mondo o sbraita le sue idee su come dovrebbe realmente girare il planisfero.
Mi piace essere spettatore passivo, accomodarmi, accendere la mia televisione e ridere del male.

Guerre, violenze, stupri alla libertà dell’uomo, follia ed ingiustizie.
Pane quotidiano dei notiziari, informazioni spregevoli con le quali i Mass Media campano per mesi.
Ditemi se non è divertente.
Contestatemi, dimostratemi che non è una roba talmente assurda, da scatenare la vostra ilarità!
Sorridere delle tragedie più terrificanti fa di me uno schifoso verme senza cuore né pietà cristiana, probabilmente.

Sicuramente.
Ma, avanti, a che cazzo serve il compatimento?
Ti sfama?
Ti cura?
Ti restituisce l’innocenza?
Ti proclama libero?
Se così fosse stato, a quest’ora io sarei forse l’uomo più felice dell’universo.
Ma basta guardarmi in faccia.
Basta vedere il mio sorriso.
Sono una bestia.

 Mi hanno inciso sulla carne offese.
Mi hanno legato ad un palo come un animale.
Mi hanno rubato la dignità, l’orgoglio e, forse, anche il cuore.
Ma il risultato è spettacolare, non trovate?
Io rido mentre voi tutti, stronzi, piangete sangue.

Le ferite non rendono più forti.
Indeboliscono l’organismo, esponendolo alle intemperie dei sentimenti.

«Nessuno dovrebbe più soffrire, nessuno più dovrebbe essere umiliato!     »
Ipocrite stronzate.
Sulla sofferenza sorgono imperi, sull’umiliazione si impone il potere dei più grandi esponenti della società.
E alla Compassione quale ruolo è affidato in questo grottesco teatro?
Giullare vagabondo dal trucco sciolto, pagliaccio sfigurato dalle ingiurie!
Perché io dovrei avere fiducia in un tale e debole buffone?
Perché dovrei abbracciarlo, baciarlo e lasciare che col suo fetore riscaldi il mio corpo freddo?

No.
Non permetto che una vile entità deturpi ulteriormente la mia vita.
Non transigo che mi siano fatti più torti di quanti non ne abbia già subiti.
E se ridicolizzarla, schernirla, calpestarla mi rende forte e pronto a morire con qualcosa di più che una smorfia sul viso, allora la sevizierò con tutta la crudeltà che mi è stata conferita; allora la sbranerò con quanta più furia le mie ossa possano permettersi.
Infine, griderò al mondo d’essermi liberato di quella puttana che a tutti si presta senza pudore, e che tutti abbandona con un triste sguardo di scuse e preghiere.
La guarderò morire.
Mi accomoderò al suo fianco e riderò, ascoltando il suo respiro spegnersi e bruciare; quindi la mia anima sarà soddisfatta.
Quindi riuscirò a dire di aver sfiorato qualcosa di molto simile alla vendetta; e potrò anche andarmene annaspando su un terreno ricoperto di sporcizia.

Oh, io ed i miei compagni siamo stati feriti, ma non abbiamo mai gridato maledizioni contro il cielo: in silenzio, ci siamo nutriti di rancore, di strazio, di spossatezza.
Tutti ci sussurrano che un giorno il mondo stesso ci procurerà una ragione per andare avanti, per lottare, grazie a degli amici, ad una compagna di vita o magari ad una famiglia..!

Puttanate.
È stato il mondo, per primo, ad ucciderci.
A farci a pezzi.
A deturpare i nostri corpi e, godendo come un maiale, a strapparci la vita dal petto.

 *And you're sure you've hurt in a way that no one will ever know.
But some day the weight of the world will give you the strength to go.
Hold on, the weight of the world will give you the strength to go.
Just hold on, the weight of the world will give you the strength to go.*

Fine.

Bhé, eccomi tornata anche con un aggiornamento a questa raccolta.
Ammetto di tenere particolarmente a questa shot, e che ci ho messo tutto l’impegno possibile per renderla verosimile.
Spero abbiate potuto apprezzarla ^^.
Grazie a tutti per aver letto, un grazie più grande a chi mi darà la sua opinione in merito.
Un bacio, a presto.

Iria.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Jornada Del Muerto [748 parole] ***



A Thousand Suns
-God Save us everyone-

Jornada Del Muerto

*Mochiagete, tokihanashite*
[Lift me up, let me go]

Sarà disonorevole, ma è da anni, ormai, che odio l’Obon.
Ah, probabilmente se facessi una confessione del genere in molti si sorprenderebbero…
“Ma come, Takao? Un giapponese come te?!”
Sì, cazzo, sì.
Ritengo che le celebrazioni in onore dei morti siano qualcosa di terribilmente macabro e spaventoso: avanti, su, spiegatemi cosa diavolo ci sarebbe da festeggiare!
I defunti non possono ringraziare per queste futili attenzioni o ancor meno prendervi parte

Ricordo che mia madre trascorreva in assoluto silenzio queste giornate, pregando per quei parenti che non avevo mai avuto l’occasione di conoscere.
Io le stavo accanto, osservando ogni singola espressione che si scolpiva sul suo volto pallido e mi intristivo.
Perché non avevo idea di come consolarla.
Perché non sapevo come comportarmi o come agire di fronte al ricordo d’una perdita.
Perché ero solo uno dei tanti stupidi bambini che attendevano l’ultimo giorno di festività unicamente per poter ammirare la propria lanterna sollevarsi in volo, ignari di cosa essa rappresentasse.

Oggi in questo gesto non vi vedo più uno gioco o un’antica tradizione.
Solo stupidità.
Solo inutili speranze.

Quando mia madre morì, ero solo –mio fratello e mio padre erano in chissà quale località esotica per degli scavi archeologici; il nonno, invece, era  nella nostra palestra.
Lei mi fissava dal letto con occhi ormai ciechi, stringendomi la mano nella sua fredda e rigida ed io, che desideravo ardentemente fuggir via, ero paralizzato dal terrore.
Temevo quello sguardo e la profondità del vuoto che vi si nascondeva con ferocia…
Rimasi forse per ore -forse per alcuni istanti- immobile ed in ginocchio a ricambiare lo sguardo della morte.
Se avessi pianto, se avessi gridato, se mi fossi limitato semplicemente a tremare non so dirlo.
Per un tempo infinitamente lungo restai assieme al cadavere della donna che mi aveva partorito, nutrito e cresciuto e, guardandolo, mi limitavo semplicemente a chiedergli cosa fosse successo, perché non mi rispondesse.
Che idiota, nevvero..?
«Mamma… Posso fare qualcosa per aiutarti..?»
E davvero non voleva entrarmi in testa il concetto che, ormai, fosse troppo tardi.
Uhm, probabilmente è da allora che è iniziato il mio inevitabile regredire verso l’attuale stato di stupidità in cui mi crogiolo pigramente.
Eppure, imparai a conoscere il dolore.
Quello che si scolpisce nella mente, nel corpo e nell’animo di ogni essere umano per la perdita di una persona unica ed insostituibile.
Quello che strappa l’ingenuità o la tenera gioia.
Quello che trasforma tutto in inutilità e superficialità.

In tanti mi hanno dato del babbeo e sono arrivato a convincermene, sapete?
È stato un po’ come venire al mondo,
ma al contrario..!
Mi è stata affibbiata, a poco a poco, un’etichetta alla quale, infine, mi sono adattato.
Perché alle volte così è più semplice.
Fingiamo idiozia per cicatrizzare ferite che altrimenti ci renderebbero fin troppo seri e tristi.
Che noia mortale, sarebbe..!
Allora, io preferisco indossare un po’ di trucco ed infilare la mia maschera.
Come un pagliaccio.
Come un morto che pretende di vivere.

Oggi, ultimo giorno dell’Obon, verranno liberate le lanterne.
Credo che per la prima volta, dopo tanti anni, resterò a guardarle librarsi in volo o galleggiare sull’acqua.
Conterò quelle bianche, per puro spirito investigativo -eccitante indagare sulla quantità di morti in un anno, vero..?- poi tornerò al dojo, restandomene a fissare il bit-chip ormai vuoto di Dragoon fino ad addormentarmi.
Un programma davvero ricco di vita, me ne rendo conto, ma non ho proprio voglia di starmene a poltrire..!

Già.
Nel silenzio più totale della mia casa ormai infestata dagli spettri del passato, resterò immobile ad ascoltare ciò che la coscienza –gran bastarda..!- ha da rimproverarmi.
Udirò gli insulti dell’oscurità e, zitto, proverò a ricordare ogni singolo sorriso che ha lustrato la mia esistenza, a partire da quello dolce ed in decomposizione della mamma.
E come al solito, la sentirò, la mia anima.
Mi prenderà a calci e a pugni e a morsi.
Mi graffierà, mi scuoterà e mi schiaffeggerà.
Poi griderà, per terminare il suo delirio in un pianto disperato.
Io, dunque, in risposta pieno di lividi e ferite mi limiterò a sorriderle come ho sempre fatto e lei supplicherà –eccome se lo farà!-, chiedendo di poter riacquistare ancora quel carattere combattivo di cui tanto si gloriava con ricca boria e spregiudicatezza.
«Sollevami, lasciami andare..!»
Oh
, inizio a pensare –niente battute al riguardo, grazie..!- che un giorno, forse, dovrei renderla felice.
E magari, chissà… l’anno prossimo potrebbe esserci la mia lanterna bianca a solcare i cieli.
Ahah, povero me! Prego ogni volta che sia così…

*Mochiagete, tokihanashite*
[Lift me up, let me go]

 

Fine.

Questa è la prima volta che scrivo qualcosa su Takao, quindi spero che non sia risultata una roba terribile ed improponibile…
Dunque, piccoli chiarimenti!
Sul fatto che il papà di Takao fosse un archeologo, lo si dice nell’anime ^^! Lo stesso che il fratello, Hitoshi, seguisse il genitore ^^.
L’Obon è il giorno dei morti Buddhista e si tiene verso la metà agosto.
In questi giorni vi sono diverse celebrazioni, tra le quali danze tradizionali e simili, e la festa si conclude liberando delle lanterne che simboleggiano lo spirito del defunto.
Inoltre, tra le tante lanterne, quelle bianche rappresentano i morti durante l’anno ^^.
Questo piccolo intermezzo musicale dell’album dei Linkin Park è in giapponese, ecco perché ho pensato a Takao come protagonista…
Bhé, spero che il capitolo possa esservi piaciuto –in un modo o nell’altro.
Grazie a chiunque abbia letto ed un grazie più grande a chi recensirà ^^!
Un bacio!
Iria.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=615900