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Il contesto di questa fan fiction non
è farina del mio sacco ( purtroppo XD), ma è opera di quel genio di J.K.Rowling :D
Salve, io sono Isabella Serpeverde,
sono un fantasma e vivo nascosta nella Camera dei Segreti.Nessuno di voi sa chi sono, ma al contrario avrete
sentito il mio cognome. Si tratta proprio di questo: il mio cognome. La causa
dei costanti guai della mia vita passata.
Per raccontarvi la mia storia, mi sembra giusto cominciare
dall’inizio. No, non dalla mia nascita. Bensì dalla mia condanna a morte: lo
Smistamento al primo anno. Era il 1930. Ero un’undicenne aristocratica,
proveniente da una ricchissima famiglia di maghi Purosangue. Vivevo in una
suntuosa villa a Little Hangleton con la mia
matrigna, MathildaMalfoy.
Mio padre, MaximilianSerpeverde,
morìquando ero molto piccola e di
conseguenza non lo conobbi mai. Si risposò molte volte, dopo la morte della mia
vera madre, Alexandra Nott, avvenuta a causa del
parto. Non conobbi mai nemmeno lei. Mathilda fu
l’ultima moglie di mio padre, di conseguenza fu lei a crescermi e a educarmi.
Ero una bambina fredda e cinica, e grazie agli insegnamenti della mia matrigna,
avevo un odio spudorato per i Mezzosangue e i Nati Babbani.
Molte persone ritenevano che assomigliassi a mi madre. I tratti del viso dolci
e armoniosi, la pelle pallida come la neve, i capelli del colore del fango e i
grandi occhi verde palude. Si, ero davvero una bambina incantevole agli occhi
di tutti.
Un giorno di fine
agosto, non ricordo con precisione quale, un grande allocco grigio atterrò sul
tavolo in marmo pregiato della sala d’ingresso. Portava una lettera. Quella
lettera…la stessa che avevo aspettato
per ben undici anni. Quella mattina ero chiusa in camera mia, Mathilda mi aveva punito severamente per lo scherzo che le
avevo fatto. Niente di che, le avevo solo trasformato la sua beneamata maschera
per il viso in vomito di drago, così che la sua faccia aveva assunto una strana
sfumatura verdognola. Vidi l’allocco dalla finestra e mi fiondai di nascosto
giù per le scale. Sapevo cosa significava. Era arrivato il momento in cui io,
Isabella Serpeverde, avrei fatto il mio ingresso a Hogwarts , nella Casa di Serpeverde.
Perché c’è qualcosa che non vi ho detto. Ero, e sono tutt’ora, l’unica erede di
Salazar Serpeverde. Il mio destino era
inevitabilmente tracciato.
Arrivai in cucina ansate, con il cuore che sbatteva impetuoso
contro le costole. Nella corsa ero inciampata in una delle tende di velluto
scuro del corridoio. Il mio grazioso vestitino si era sgualcito. Guardai
sprezzante quell’indumento. Non mi piaceva. Non mi era mai piaciuto ciò che Mathilda mi costringeva a indossare. “È per mantenere alto
il prestigio di famiglia. Non puoi continuare ad andare in giro con i tuoi
stracci da cavallerizza. Cosa penserà la gente di me?” mi aveva detto. Era
vero. Ero solita indossare i miei abiti da equitazione: semplici camice e
pantaloni scuri. Ero sudata. Mi portai una mano alla fronte. Sciolsi quelle
odiose trecce che mi facevano assomigliare ad una bambinetta e lasciai i miei
capelli scuri fluire sulle spalle. Facendo attenzione, camminai verso la
lettera e la aprii.
Cara signorina Serpeverde,
siamo lieti di
informarla che è stata accettata come studentessa alla scuola diMagia e Stregoneria di Hogwarts.
È pregata di presentarsi al binario 9 e 3\4 della stazione di King’s Cross il primo di Settembre con l’elenco di
materiale elencato nella pergamena allegata.
Cordiali saluti,
il Preside
Armando Dippet.
Lessi
la lettera più volte. Ero incredula. Nessuno si era mai rivolto a me con un
tono tanto formale. Sorrisi , fiera di me. Dopotutto provenivo da una famiglia
molto ricca, ero d’alta società. Con questi pensieri, piegai la lettera in malo
modo e la infilai sotto la veste. Tornai in camera mia e mi stesi sul letto a
baldacchino. Già mi vedevo con indosso la divisa dei Serpeverde.
Eppure c’era qualcosa che mi turbava. Gli altri ragazzini non sapevano a quale
Casa sarebbero stati assegnati. In un certo senso per loro sarebbe stata una
specie di sorpresa. Per me invece era stato tutto programmato.
Agosto
passò in fretta. Non c’era giorno in cui Mathilda non
mi impartisse ordini su come comportarmi a scuola. Fino ad allora non avevo mai
studiato con altri ragazzi. Avevo sempre preso lezione da insegnanti privati,
fin da piccola. Ero eccitata all’idea. L’ultimo giorno del mese la mia
matrigna, scortata da due valletti, mi portò contro voglia da Madama McClan per comprare una divisa.
“ Come ho fatto a non pensarci prima? Stupida
ragazzina, quando credevi di dirmi che ne hai bisogno entro domani?” mi urlò
contro quel pomeriggio. Io la guardai torva. Sapeva bene il perché di ciò che
avevo fatto. Era da quando avevo nove anni che desideravo andare ad Hogwarts con la vecchia divisa di mia madre.
“ Mathilda lei sa
bene il perché, ho intenzione di indossare la divisa di mia madre!” le risposi,
cercando di mantenere la calma.Il suo
viso, già naturalmente arcigno, si deformò ulteriormente in una smorfia
canzonatoria.
“ Tua madre era una sporca Corvonero!
Dovresti vergognarti di ciò che hai detto!” mi rispose in tono duro, con un
sorriso sadico. Ebbene, io non ero una ragazzina da lacrime. Ma in quel momento
non riuscii a trattenerne una, mentre mi spingeva verso il camino per prendere
la Metro Polvere.
Comprata
quella maledetta divisa, tornai a casa stremata e mi chiusi in camera. Restai a
fissare il soffitto in preda al panico, con i più assurdi pensieri che mi
frullavano per la testa. La verità era che senza la vecchia divisa di mia
madre, mi sentivo maledettamente vulnerabile. Non riuscii a dormire e verso
mezzanotte mi alzai e aprii l’armadio. Tirai fuori la toga polverosa
appartenuta ad Alexandra Nott e la stesi sul mio
letto. Staccai la spilla da Caposcuola e la legai a un cordone blu. Lo
allacciai intorno al mio sottile collo e mi addormentai.
La
mattina dopo fui svegliata da un paio di servitori , che mi buttarono giù dal
letto in malo modo e mi intimarono di recarmi in bagno. Assonnata, mi
abbandonai nella vasca piena di bolle e mi lasciai pettinare i capelli. Dopo
un’ora ero già pronta e zampettavo per la villa, controllando che non avessi
scordato niente. Arrivai a King’s Cross in perfetto
orario. I miei bagagli erano stati già caricati dai valletti. Guardai Mathilda, era arrivato il momento dei saluti. Il suo volto
era impassibile e freddo. Non ci feci caso. Il mio sguardo scivolò sulla
moltitudine di famigliole impegnate in smancerie: c’era chi si sbracciava per
richiamare l’attenzione di un amico, chi piangeva per dover lasciare i
genitori, chi si abbracciava. Il treno fischiò e feci un cenno alla mia
matrigna.
“Arrivederci,
Mathilda. Avviserò prima di tornare per le vacanze di
Natale” le dissi in tono formale. Era tutto così strano. Ero l’unica che non
sorrideva, tra quella folla. Mathilda abbassò lo
sguardo gelido e mi fece un cenno d’assenso. Capii che era il massimo che
potevo ottenere e mi avviai sola verso un vagone. Tuttavia non riuscii a fare a
meno di notare un ragazzino. A quanto pare non ero l’unica senza genitori. Si
avviava anche lui allo stesso vagone. Sembrava un giovinetto di buona
famiglia:aveva un’espressione fiera, quasi arrogante e camminava a testa alta
guardando tutto con freddezza. Non so perché, ma decisi che potevamo essere
amici. Sembrava cos’ simile a me. O almeno, simile a ciò che dovevo essere.
L’Espresso
per Hogwarts era completamente pieno. In tutti i
vagoni c’erano ragazzi impegnati nelle attività più strane. Avevo timore, così
strinsi più forte la spilla di mia madre. Il misterioso ragazzino mi seguiva,
neanche lui era riuscito a trovare un posto. Infine mi sedetti con lui in uno
scompartimento occupato da alcuni del primo anno. Appena mi fui sistemata,
pensai bene di presentarmi.
“
Ciao, io sono Isabella Serpeverde. Tu come ti
chiami?” gli chiesi. Al solo sentir del mio cognome, tutto lo scompartimento si
girò verso di me e gli occhi smeraldini del ragazzino scintillarono.
“Io
sono Tom Orvoloson…Riddle”
rispose freddo, insicuro se pronunciare il suo cognome. Probabilmente non
doveva sembrargli poi così importante in confronto al mio. Sorrisi dentro di
me.
Per
tutto il viaggio parlammo ininterrottamente. Scoprii che non aveva genitori e
che il professor Silente lo aveva convocato personalmente, porgendogli l’invito
a partecipare alle lezioni. Mi disse che era un Purosangue discendente di una
famiglia molto prestigiosa. Strano,non avevo mai sentito il suo cognome.
Arrivammo
ad Hogwarts verso sera e non appena scendemmo dal
treno, fummo guidati da un vecchio guardiano. Appena entrati nel castello, una
giovane professoressa dall’aria severa ci fece mettere in fila , in attesa di essere
Smistati. Io ero una delle ultime. Prima di me Tom fu chiamato e fu smistato a Serpeverde. Almeno avrei avuto un compagno.
“Isabella
Serpeverde!” tuonò la professoressa McGrannit. Tutta la Sala Grande ammutolì. Ero abituata a
queste reazioni, ma mi sentii lo stesso a disagio. Mi avviai verso lo sgabello
dove era poggiato un cappello consunto. Mi sedetti e aspettai che la
professoressa me lo posasse in capo.
Faceva
una strana sensazione indossarlo. Era come se lui ti entrasse in testa e riuscisse
a leggerei tuoi pensieri.
“Oh,
si bambina… riesco a leggerti nel pensiero!” sentii nella mia testa. Mi lasciai
sfuggire un singhiozzo spaventato. Era davvero inquietante.
“
Bene, vediamo… Isabella Serpeverde. Dal tuo cognome
non c’è bisogno di applicarsi molto per capire dove smistarti. Saresti una
perfetta Serpe. Sei fredda, determinata e ambiziosa. Ma cosa vedo nella tua
testa? Mmm… Staresti bene anche tra i Corvovero. Hai un’intelligenza particolarmente sviluppata e
un forte amore per la cultura…” mi sussurrò. Per un attimo fui pervasa da
speranze irraggiungibili. Sarei stata nella stessa Casa di mia madre! Ma il
Cappello Parlante continuò a riflettere.
“
Ma sarebbe uno scandalo mandare a Corvonero l’unica
erede di Salazar Serpeverde! Sarebbe un disonore per
la tua famiglia! Ahimè , bambina… per il tuo stesso bene mi vedo costretto a
affidarti a Serpeverde”. Così spalancò la piega che
fungeva da bocca e urlò ciò che mi avrebbe marchiato a vita.
“SERPEVERDE!”.
A malapena sentii le urla di giubilo della tavolata verde-argento. Scesi dallo
sgabello e mi avviai verso i miei nuovi compagni. Ostentai un sorriso
impeccabile per tutta la sera. In fondo, cosa credevo? Di poter essere
un’anonima Corvonero? Non era da me abbassarmi a
certi livelli. “ Pensa a cosa direbbe tuo padre!” mi dissi. Ripetei questa
frase come un mantra per tutta la notte, mentre dormivo in quello che sarebbe
stato il mio letto per i prossimi sette anni.
Cari
lettori, questo è il primo capitolo di una fan fiction che intendo continuare(
a meno che non sia a corto di ispirazione!
XD)
Spero vi
sia piaciuto, e sarei molto felice se lasciaste qualche recensione giusto per
esprimere la vostra opinione. E perché no, anche per criticare ;D
“ Pensa a cosa direbbe tuo padre!”
mi dissi. Ripetei questa frase come un mantra per tutta la notte, mentre
dormivo in quello che sarebbe stato il mio letto per i prossimi sette anni.
Quella notte
non dormii bene. Il viaggio in treno mi aveva stancato parecchio, eppure non
riuscivo a prendere sonno. Mi giravo e mi rigiravo tra quelle asfissianti
trapunte verde smeraldo. Nella mia mente vagavano immagini inquietanti e
spaventose. Quando finalmente riuscii ad abbandonarmi ad un sonno disperato,
fui accolta da un incubo terribile. “ Sarebbe un disonore per la tua
famiglia!”. La voce del Cappello Parlante ancora rimbombava nella mia testa.
Ero nei corridoi di Hogwarts.C’era anche mia madre. Indossava la sua
divisa da Caposcuola. Mi venne vicino e mi strappò dal collo la sua spilla. “
Sei una perfida Serpe, non sei degna di questa spilla!” mi urlò. Gli incubi
continuarono per tutta la notte. La mattina dopo mi svegliai in un bagno di
sudore.Mi accorsi che tutto il
dormitorio mi guardava. Mi alzai schietta a mi fiondai in bagno a spazzolare i
miei boccoli scuri. Scesi a fare colazione prima delle mie compagne e incontrai
Tom. Parlammo di nuovo. Più lo conoscevo, più pensavo fosse strano. O forse
particolare. Fatto sta che durante il primo anno divenimmo amici. Non c’era
giorno in cui non ci incontravamo in biblioteca per leggere i libri del reparto
proibito. Io riuscivo ad eludere la sicurezza. Ero una strega davvero
eccezionale. Anche la professoressa MacGrannit era
costretta ad ammetterlo. Nessuno dei suoi patetici Grifondoro
riusciva a superarmi, in nessuna materia. Ma se i professori mi veneravano, al
contrario la maggior parte dei ragazzi della mia casata mi disprezzavano. Non
era difficile capirne il motivo. Ero pur sempre l’erede di un fondatore di Hogwarts, credevano che in un certo senso fossi
raccomandata. Tom invece riusciva ad affascinare entrambi. Sia professori che
alunni avevano molta stima di lui. Mi ritrovai ad esserne gelosa. Era l’unico
del primo anno ad essere conosciuto in tutto il castello. Io e lui parlavamo
molto. Soprattutto di ciò che avremmo fatto dopo Hogwarts.
Ero ancora piccola, ma da brava Serpe, ero molto ambiziosa. Aspiravo ad una
carica al Ministero della Magia, mi era sempre piaciuto il potere. Anche Tom
aveva aspettative del genere. Io ci mettevo un po’ di fantasia in ciò che
immaginavo mi riservasse il futuro, ma lui era sempre estremamente serio. Oltre
ad essere ammirato da tutti per le sue doti, lo era anche per la sua bellezza.
Era solo un undicenne, ma tutte quelle del primo anno avrebbero fatto qualsiasi
cosa per lui. In effetti era davvero un bel ragazzino. Alto per la sua età,
capelli scuri come i miei che gli ricadevano a ciuffi sulla fronte, pelle diafana
e magnetici occhi verdi. Io ero una delle poche immune al suo fascino. Anche io
ero molto ammirata per la mia bellezza esteriore. C’era chi pensava che fossi
per metà Velaa, ma erano solo dicerie. Molti
ragazzini mi avevano dedicato particolari attenzioni,però io non me ne curavo.
Avevo solo undici anni, non sapevo cosa fosse l’amore. Forse non lo so ancora
oggi. Tra di loro c’era un timido Tassorosso, Ryan Sullivan. Non so perché, ma mi colpì particolarmente. Ryan
era dolce e gentile, si offriva sempre per portare i pesanti tomi di
Incantesimi da un’aula all’altra, arrivando sempre in ritardo alle sue lezioni.
Io ovviamente lo trattavo male. Ero fredda e distaccata, raramente lo
ringraziavo. La verità era che nel profondo non pensavo davvero quelle cose
brutte che gli dicevo. Lui comunque non si arrendeva. Ricordo che una volta
tornai al mio dormitorio più presto rispetto al solito, e lo trovai sull’orlo
di una crisi di nervi davanti all’entrata, con un mazzo di margherite in mano.
Non seppi mai come faceva a sapere che erano le mie preferite. Non lo degnai di
uno sguardo, presi i fiori e sussurrai un grazie stentato. Durante quell’anno,
decisi di fare il provino come Cercatore per la squadra di Quiddich
di Serpeverde. Non ci avevo mai giocato. In teoria non
avrei potuto partecipare ,ero solo al primo anno. Con l’aiuto di Ryan, però
riuscii ad allenarmi con buoni risultati. Lui era davvero bravo, riuscii a
sfruttarlo per qualcosa. Mi presentai ai provini e convinsi il capitano, Edward
Johnson, a lasciarmi provare. Edward era un ragazzo
alto e robusto, era uno dei battitori. Appena mi vide, si erse in tutta la sua
statura. Benché mi superasse di venti centimetri abbondanti, non mi faceva
paura. Tutti avevano massimo rispetto nei miei confronti. Erano spaventati,
chissà perché.
“ Sei del
primo anno, non puoi fare le selezioni” mi disse poco convinto. Io feci un
sorriso di scherno. Almeno una cosa l’avevo imparata da Mathilda.
“ Si che
posso, se mi giudichi all’altezza. O forse devo ricordarti chi sono?” gli risposi,
fredda. Non protestò quando mi fiondai su una Comet
200 della scuola e feci il primo giro di prova. Liberò il boccino, e dopo
nemmeno cinque minuti, riuscii a prenderlo. Tutti gli spalti erano strabiliati.
Fu così che divenni la più giovane Cercatrice di Serpeverde,
suscitando l’invidia degli altri del primo anno. Partecipavo agli allenamenti
tre volte alla settimana. Miglioravo a vista d’occhio e quando avevo tempo
correvo subito sul campo per allenarmi. Il resto delle giornate le trascorrevo
con Tom in biblioteca, a fare approfondimenti e leggere libri vietati agli
studenti. I primi mesi trascorsero così, tra gli allenamenti e i compiti.
Arrivò dicembre e con lui tutta l’ondata di
gelo e di neve solita del clima britannico. Adoravo la neve, era una delle
poche cose più chiare della mia pelle. Quando cominciò a nevicare, ero per i
corridoi con Ryan cercando di scollarmelo di dosso con i più sgraditi insulti.
La verità era che guardandolo scherzare con gli altri amici, ero tremendamente
invidiosa. Gli altri ragazzini non si comportavano cosi con me. Nemmeno Tom. A
dir la verità non sapevo nemmeno perché lo frequentassi. Forse volevo solo un
briciolo della sua fama. Ryan mi stava parlando di una noiosa lezione di Erbologia, quando indicò la finestra gelata in cima al
corridoio. Senza rendermene conto, lo presi per mano e lo trascinai fuori.
Appena lui si rese conto del nostro contatto arrossì visibilmente. Lo guardai
scioccata e mollai la sua mano. Sentivo la neve sciogliersi a contatto con la
mia pelle. La cosa mi sorprendeva, ero arrivata al punto di credere io stessa a
ciò che si sussurrava.
“Non sono
fatta di ghiaccio allora.” Pensai.Scossi la testa, contraddetta. Ryan si accorse del mio strano cipiglio e
mi venne vicino.
“ Isabella,
va tutto bene?” mi chiese apprensivo. Era davvero dolce, ma io no.
“ Si Sullivan, forse è colpa della troppa vicinanza ad una
schiappa come te” gli dissi senza pietà. Piegai la bocca in una smorfia di
scherno. Vidi i suoi occhi azzurri scurirsi. Mi pentii immediatamente di ciò
che avevo fatto. Cercai di rimediare.
“ Ma dai
Ryan! Non te la sarai mica presa?” gli chiesi, sempre molto fredda. Vidi di
sfuggita il sorriso illuminargli il viso roseo. Rimasi sotto la tempesta di
neve per un’altra mezz’ora, ma poi il buonsenso del Tassorosso
cominciò a farsi sentire.
“ Isabella,
qui fa freddo, dovremmo tornare dentro se non vogliamo beccarci la febbre” mi
disse in tono insicuro. Gli lanciai un’occhiataccia e tornammo tra le mura
tiepide del castello.
Quella sera
incontrai Tom nella Sala comune dei Serpeverde. Aveva
un’aria strana, arrabbiata. Non so il perché, ma mi avvicinai a lui. Subito mi
venne in contro.
“ Cos’hai
Tom?” gli chiesi. Con lui ero molto meno fredda. Gli portavo rispetto, in un
certo senso. Mi guardò bieco.
“ Lo sai
benissimo. È per colpa tua. Ti ho visto oggi con quel Mezzosangue Tassorosso! La mia reputazione andrà in frantumi per colpa
tua! Come ti viene i mente di frequentare certa feccia? Quelli come lui non
sono degni nemmeno di mettere piede in DiagonAlley.”
Continuai a
fissarlo. Aveva ragione. Almeno secondo l’ideologia che mi era stata impartita.
Ryan era un Mezzosangue, non potevo frequentarlo. Era tutto così strano. Avevo
sempre sostenuto di odiarli,quelli come lui, ma un conto era dirlo senza
conoscerli, e un conto era quello. Scossi la testa. Non salutai Tom e tornai al
mio dormitorio.
La mattina
dopo scesi a colazione e trovai una lettera scarlatta sotto il calice pieno di
succo di zucca. Era una Strillettera. Non ne avevo
mai ricevuta una, si mormorava che se non l’aprivi in tempo esplodesse.
Impaurita, l’afferrai e corsi nel parco gelato. Arrivata in riva al Lago Nero
l’aprii. Subito una voce stridula riempì l’aria. L’avrei riconosciuta tra
mille.
Isabella Serpeverde!
Sei una traditrice! Ieri sera verso mezzanotte, sono stata avvisata dal caro
Tom di ciò che fai ad Hogwarts. Tu stupida ragazzina!
Come ti permetti di infangare l’onore della tua famiglia frequentando un
Mezzosangue qualunque!? Durante le vacanze non azzardarti a tornare a villa Malfoy, sarai cacciata dai servitori. Se la tua condotta
continuerà ad essere questa, scordati di avere una famiglia!
MathildaMalfoy.
Quando la Strillettera smise di parlare e si incenerì, io rimasi a
lungo a piangere in riva al Lago. Ve l’ho detto, non ero una ragazzina da
lacrime. Ma quella lettere mi aveva straziato il cuore. Non avevo nemmeno più
una casa. Villa Serpeverde non esisteva più. Mathilda se ne era impossessata. Tornai su in sala comune
verso le undici, continuando a piangere. Come faceva Tom a conoscere la mia
matrigna? La stanza era vuota, il camino era acceso e irradiava tepore. Io però
ne ero immune. Su una poltrona accanto ad esso c’era un pacco. Era un regalo di
Natale. Non appena vidi il biglietto singhiozzai.
Cara Isabella,
ti auguro un felice Natale. Spero lo
passerai nel migliore dei modi, in compagnia della tua famiglia.
Ryan Sullivan.
Non lo aprii
nemmeno, lo gettai nel fuoco. Restai a guardarlo incenerirsi finche non esaurii
le lacrime. Di rabbia, frustrazione, dolore. Se mia madre fosse stata ancora
viva non avrei passato un Natale così. Strinsi tra le dita intorpidite la sua
spilla blu e bronzo. Già, era il giorno della Vigilia. E lo avevo passato nel
peggiore dei modi.
Ecco un altro
capitolo di questa strana e inusuale fan-fiction! Spero vi sia piaciuto :D
Colgo l’occasione per ringraziare Nimphalysper la sua
recensione del capitolo precedente! Grazie a tutti quelli che l’hanno letto :)
Non ricordo per quanto tempo rimasi a fissare le fiamme morenti nel
camino della sala comune,so solo che quando mi decisi a scendere in Sala Grande
il cielo era illuminato da bagliori rossastri. Possibile che fossi rimasta
tanto tempo a disperarmi? Ero o non ero l’erede di Salazar Serpeverde?
Non potevo ridurmi a quei livelli. Ero poco più di una bambina, ma avevo un
orgoglio di ferro. Passai quasi in solitudine tutte le vacanze di Natale,
benché la porta del mio dormitorio fosse sempre stracolma di regali di
“ammiratori”. Ryan era partito per il Galles, per passare le vacanze con la sua
famiglia. La maggior parte del tempo lo passavo distesa sul mio letto a
baldacchino, mentre le mie compagne si divertivano insieme. Le mie compagne…
non mi ero mai data la briga di conoscerle,non mi interessava. Erano così
frivole, così altezzose,mi ricordavano Mathilda in
miniatura. Eppure anche loro provenivano da famiglie di Purosangue ricchi e
bene piazzati in società: ero sempre io quella diversa. Fin da piccola mi ero
sempre imposta di essere ciò che gli altri volevano io fossi, ma c’era sempre
quella parte nascosta di me che veniva fuori nei momenti meno opportuni. Quel
potente fuoco ardente che scioglieva la mia insulsa maschera di cera. Quella
maschera che avevo creato io stessa, perfettamente stereotipata, per essere ciò
che mi chiedeva la società. Quando le gocce di liquido appiccicoso mi
scivolavano sulla faccia, mi lasciavano inerme, indifesa contro quel mondo di
cattiverie. Scoppiai a piangere un’altra volta, durante un pomeriggio di neve.
Ero raggomitolata tra quel groviglio di seta verde-argento, quando una giovane Serpeverde rientrò in dormitorio. Era Maggie
Smith, rampolla di una famiglia di maghi dell’Irlanda. Smisi di singhiozzare,
l’unica cosa che mi era rimasta era la dignità. Mi alzai di scatto e,
trattenendo un moto di rabbia ingiustificata contro colei che aveva interrotto
il mio strazio, corsi in bagno. Vidi la sua chioma bionda scivolare agile verso
di me, nel vano tentativo di entrare attraverso la porta laccata di verde. Io
fui più veloce e chiusi in fretta la porta a chiave, poggiandovi la schiena
esausta e fremente. I singhiozzi non volevano saperne di soffocarsi, le lacrime
scendevano più bollenti di prima sul mio viso gelido. Mi guardai allo specchio:
obbiettivamente ero bella anche in quello stato, il rossore dell’affanno mi
donava quel po’ di colore che mi mancava. Maggie
cominciò a bussare ininterrottamente alla porta.
“Tutto bene, Isabella?” chiese. Come se le importasse, lei era come
tutte le altre: buon viso a cattivo gioco. Feci una smorfia di scherno tra le
lacrime, mi avvicinai alla porta e cercai di far apparire la mia voce quanto
più tagliente possibile.
“ Cosa vuoi ,Smith?” le chiesi, con noncuranza. Come se non fosse
successo niente, come se fosse un normale pomeriggio di vacanza passato ad Hogwarts.Sentii la
sua piccola mano fare più pressione sulla maniglia d’ottone, istintivamente
bloccai la porta con la mia schiena. Attraverso il sottile legno potevo sentire
i suoi sospiri, probabilmente stava pensando ad un modo per entrare. In un
improvviso moto di insensata e spudorata rabbia, le aprii la porta senza tante
cerimonie. Volevo solo urlarle in faccia di lasciarmi in pace, volevo sfogare
su di lei tutti i miei dolori. “Non è del tutto corretto, lei non centra
niente”. La voce della mia coscienza mi urlava queste parole che però non
trovavano eco nella mia mente annebbiata dalle troppe lacrime. Quello che mi si
parò davanti non era ciò che mi aspettavo: Maggie non
aveva il solito sorriso quasi sadico che la caratterizzava. Al suo posto sul
suo candido viso si faceva strada un principio di un sorriso di comprensione, o
forse compassione. Sta di fatto che mi abbracciò, senza che io le dicessi
niente. Avrei potuto scansarmi, vomitarle addosso tutta la mia frustrazione,
farle provare ciò che provavo io ad essere lasciata in un angolo buio, in
attesa. Non lo feci, né mi domandai il perché di quel suo inusuale gesto.
Nessuno mi aveva mai abbracciato. Fu in quel momento che misi da parte per una
volta la mia maschera di freddezza, per lasciare posto alla vera Isabella.
Piansi molto quel pomeriggio di neve, aggrappata spasmodicamente alla spalla di
Maggie, che di tanto in tanto mi dava qualche
colpetto sulla schiena. Non mi chiese il perché della mia crisi di pianto,
questo mi fu di sollievo. Sarebbe stato troppo complicato spiegarle tutto: di
Ryan, di quanto era dolce, di quando ci tenesse davvero a me, di come Tom aveva
rovinato tutto, di come avevo perso la “famiglia” che non avrei avuto comunque.
Avrei dovuto confessarle quella parte nascosta di me che nemmeno io riuscivo a
cogliere appieno. Quella sciocca e insicura Isabella, quella strana, quella
malinconica e perennemente ferita. Solo dopo una buona mezzoretta Meggie si decise a parlare.
“ Ora vuoi dirmi cosa ti è successo?” mi chiese cauta, con uno sguardo
supplichevole. Era logico, tutti avrebbero voluto sapere perché la Serpeverde per eccellenza si era abbandonata a quel dolore.
La guardai negli occhi, i miei erano ormai prosciugati da ogni segno di
insicurezza. Avevo riacquistato tutta la cattiveria che circolava a forza nelle
mie vene, ma cercai di trattenermi. In fondo, anche Maggie
era una Purosangue, era una mia pari… non potevo trattarla come Ryan.
“ E a te cosa importa? Ah certo, se te lo dico avrai in mano lo scoop
sull’allieva più odiata dai Serpeverde”. Sussurrai
queste parole come se stessi parlano con me stessa, in tono atono e
inespressivo. Come in risposta, la ragazzina scosse la testa indignata.
“ Sono una Serpeverde, ma non vuol dire che
io sia così cinica e crudele. Non siamo amiche, non siamo nemmeno conoscenti,
ma ora hai bisogno di qualcuno, bisogna sempre essere solidali con i compagni
della propria Casa” mi disse citando le parole del Cappello Parlante, come se
fosse ovvio. Per me non lo era, era tutt’altro che ovvio. La guardai sorpresa,
non credevo che tra quel mare di insensibili ci fosse qualcuno disposto a prestarmi
aiuto. Credevo sarei rimasta a marcire piangente in un angolo del castello.
“ Io non voglio fare pietà anessuno, specie ad una come te. Non ho bisogno del tuo aiuto” sibilai
tra i denti. Era inutile, non credevo nemmeno io a ciò che avevo appena detto.
Stavo già bene esteriormente, ma ancora in me si scatenava l’inferno. Privata
di tutte le mie energie spese a piangere,il mio cervello doveva essersi un po’ annebbiato e fu così che le
raccontai quasi tutto di ciò che era successo. Le dissi semplicemente che la
mia matrigna non voleva che io frequentassi i Mezzosangue e che una delle poche
persone che teneva a me era uno di loro. Nulla di più. Maggie
capì che non sarebbe riuscita a strapparmi un’altra parola sull’accaduto e
insieme scendemmo in Sala Grande per la cena, dopo che io finii di rassettarmi
per essere la solita, irraggiungibile Isabella.
Di ciò che era successo quel pomeriggio non ne parlammo più, ne io ne Maggie. In compenso però diventammo amiche, amiche vere non
come Tom. Continuavo a frequentarlo, ma cercavo di tenere le distanze: lo
facevo solo per la mia immagine e per ciò che pensava la mia matrigna. Ero
ancora arrabbiata a morte per quello che era successo prima delle vacanze e non
ero ancora riuscita a spiegarmi come si conoscessero, ma probabilmente era
perché Tom conosceva tutte le persone importanti , al solo scopo di ammaliarle.
Gli ultimi giorni delle vacanze furono i migliori, mi divertivo a pattinare e
passeggiare per il parco innevato con Maggie e quando
ero con lei mi dimenticavo dei miei dolori anche se ,per paura di essere presa
in giro, non tolsi più la mia “maschera” nemmeno di fronte a lei.
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che mi seguono, anche se
non lasciano recensioni. Un particolare ringraziamento va a Nimphalys
e a NoirAima
per aver recensito i capitoli precedenti! Che dire, spero che vi sia piaciuto
questo capitolo ( mi spiace… lo so, ho aspettato tanto per pubblicarlo XD) e
spero che continuiate a seguirmi! Se vi va recensite, anche solo per dire la
vostra! Accetto molto volentieri critiche purché siano costruttive :D