Window
in
the
s k i e s
I know I hurt you and I made you cry
Did everything but murder you and I
But love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…
Oh can’t you see what love has
done
To every broken heart?
Oh can’t you see what love has done
For every heart cries?
Love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…
Oooh oooh
Oh can’t you see…?
[U2- Window in the skies]
[ Seconda parte ]
Era tutto inutile: il cellulare lì dentro non
prendeva, le porte erano irrimediabilmente bloccate e a quanto pareva nessuno
nel palazzo poteva sentirli, dal momento che era passata la mezzanotte e tutti
in quel condominio –composto solo da famiglie con bambini piccoli o anziani– dormivano. E lei era chiusa lì dentro
con un peso morto sdraiato sul pavimento dell’ascensore, evitando di
guardarlo; vagava con lo sguardo per la cabina, cercando qualcosa che la
distraesse, ma non trovando davvero niente.
«E’ inutile che cerchi in giro, Temari»
borbottò l’altro, con una voce profonda «non
c’è proprio niente in questo buco. Siamo solo io e te.»
«Oh, che cosa fighissima da dire, davvero. “Siamo solo io e
te”. Chi te le scrive le battute, eh, Nara?» commentò
l’altra, laconica, guardandolo male.
Lui starnutì per l’ennesima volta e non
rispose; era troppo preoccupato a tremare. Con lo scherzetto che quella meravigliosa ragazza aveva organizzato,
egli aveva passato qualcosa come cinque ore sotto la pioggia senza ombrelli o
protezioni di sorta; era bagnato dalla testa ai piedi e continuava ancora a
soffrire il freddo che in quel maledetto giorno s’era abbattuto su quella
maledetta città. Come risultato, adesso aveva un incredibile mal di
testa, tremava, starnutiva ogni quarto di minuto e aveva il naso completamente
tappato, che gli causava una voce cavernosa e decisamente ridicola. Stancatosi
di stare ancora in piedi, si era disteso sul fondo dell’ascensore,
coprendosi alla bell’e meglio con gli abiti zuppi che aveva, ma non aveva
che peggiorato le cose: non si sentiva minimamente bene. E tutto per colpa di
quella…
«Mbe’? Non rispondi
più? Andiamo, dove sono finiti i soliti battibecchi tanto tipici di questa coppia di deficienti?»
«Sai come si chiama questo, sì?» chiese
di rimando lui, ironico.
Lei s’innervosì un po’, ma riuscì
nonostante tutto a rimanere fredda e distaccata.
«No, spiegamelo tu, signor Duecento QI, io sono
cretina…»
Lui inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Quanta
pazienza…
«Si chiama sviare
i problemi. Non serve parlare d’altro quando entrambi sappiamo di che
cosa dobbiamo parlare.»
Con tutta evidenza, il ragazzo aveva appena afferrato il
nodo vitale della questione; e Temari fu colpita in pieno. Serrò la
mascella e lo guardò di sbieco; si mise seduta, facendo in modo di
essere il più lontano possibile da lui, e incrociò le braccia al
petto, iraconda.
«Allora illuminami, genio!» esclamò, con
voce fin troppo acuta: s’era evidentemente offesa. Lei, Sabaku No Temari, che sviava i problemi anziché
risolverli? Ma quello lì doveva essere proprio –
«Be’, anzitutto» espose l’altro,
issandosi a sedere, così da avere i propri occhi all’altezza di
quelli di lei, sebbene i due fossero ancora molto distanti e distaccati
«basterebbe un “ehi, non ci vediamo da sei anni, mi sei venuto a
trovare, magari ti saluto”…»
«Stai scherzando!» replicò lei, attonita.
«Tu stai veramente scherzando! Non
sono stata io a lasciarti, sei anni fa, dopo quasi un anno!»
Il ragazzo inspirò… be’,
a questo non poteva certo darle torto. Era stato lui a lasciarla, sei anni
prima, quando stavano insieme da un bel po’… e con motivazioni, per
dirla con un eufemismo, non molto plausibili.
«Temari, è diverso, e tu lo sai. Ero un
ragazzino, quanti anni avrò avuto, quindici, sedici…?»
borbottò l’altro, dando poi un sonoro colpo di tosse e uno
starnuto.
«Mio caro, ne avevi diciotto!» disse lei, punta
sul vivo. Aveva lasciato da parte il distacco che di solito usava con
sconosciuti o con indesiderati: adesso era molto più accalorata.
Sembrava, questo, un discorso che la coinvolgeva del tutto, ed evidentemente
era la prima volta che ne parlava con qualcuno. «Un’età in
cui si vota, si decide il proprio futuro, si va
all’università… Non eri un ragazzino, Shikamaru!»
«Oh, andiamo!» accondiscese il primo, alzando
gli occhi al cielo. «Gli uomini a quell’età sono ragazzini! Avevo la testa piena
d’altro, e, beh, non mi sto discolpando per quel che ho fatto… solo
che… non me ne resi davvero conto, insomma…»
«Ah, no?» ribatté l’altra, oramai
arrabbiata «Non te ne sei reso conto, quando mi hai scritto per messaggio
–non mi hai neanche chiamato, diamine!- che mi lasciavi perché non
avevi più voglia di continuare
una cosa così?!»
Lui tamburellò le dita su un ginocchio, nervoso; se
solo avesse potuto fumare una bella sigaretta liberatoria… Lei aveva
perfettamente ragione: non c’erano dubbi.
«Temari» iniziò «non sto dicendo
che ho fatto bene… o che ho ragione. Ti sto chiedendo di…
ricominciare. O perlomeno di provarci. Se vuoi.»
La ragazza riprese il cipiglio scuro e distaccato; lo
squadrò e alzò un sopracciglio.
«No. Non
voglio proprio più vederti.»
Le parole di lei risuonarono secche e dure; seguì un
gelo imbarazzante.
Shikamaru la guardò: nonostante tutta la tenacia e la
testardaggine, la ragazza non riusciva a fissarlo negli occhi; era come se non
riuscisse ad ammettere a se stessa ciò che aveva appena detto. Il
ragazzo sbuffò; era vero, era la seccatura più incredibile della
sua vita (e lui non ne aveva affatto poche: sua madre, Ino,
Kurenai…), ma a quanto pareva di quella
lì non sapeva proprio farne a meno: sebbene avesse provato a
liberarsene, ogni volta puntualmente il pensiero andava a lei o alla sua
città.
I due s’erano conosciuti per pure caso circa una
decina di anni prima alla Gara Nazionale di Giochi Olimpionici delle Scienze,
indetta da tutti i licei giapponesi, cui potevano parteciparvi gli alunni
più meritevoli nelle discipline scientifiche; e, se Nara Shikamaru era
un asso nella matematica, Sabaku No Temari non era
affatto di meno in chimica e biologia. Una volta concluso il torneo (con la
vittoria della squadra di lui, cosa che aveva causato non poche imprecazioni da
parte dell’orgoglio di lei) s’erano scambiati fortuitamente i
recapiti; così avevano continuato a tenersi in contatto e, sebbene
fossero tanto distanti, a vedersi qualche volta all’anno, finché sei
anni prima non avevano capito entrambi che c’era qualcosa in più
che semplice rivalità o battibecchi. Era stata dunque lei –lei, la causa di tutti i suoi mali, dei
suoi ripensamenti, dei suoi sbuffi e delle sue maledizioni verso la matematica-
a proporre quella maledettissima
idea, che era parsa come un innocente “be’,
a questo punto potremmo pure provare a stare insieme e vedere come
va…”. Non l’avesse mai fatto. In poco tempo Shikamaru
s’era trovato costretto (con tuttavia un enorme sorriso stampato in
faccia) a farsi ogni benedetto mese qualcosa come dodici ore e mezzo di treno
fra andata e ritorno per poter stare uno o due giorni con lei.
Tuttavia, Shikamaru Nara era una persona apatica e
sommamente indolente (né con gli anni sarebbe cambiato, anzi): si era
ben presto stufato di quella situazione, di quel trambusto, di quel continuo muoversi
e di dover sottostare agli sguardi severi e scettici dei fratelli di lei;
così, quando le cose avevano iniziato a prendere una brutta piega, quando
i litigi con lei stavano iniziando ad aumentare, aveva semplicemente lasciato
perdere il tutto ed era tornato con tutta tranquillità alla sua banale e
scialba vita di tutti i giorni, senza dover rendere conto a nessuno. Così
gli era andato benissimo fino a qualche mese prima: si era improvvisamente ed
inesorabilmente conto di aver trattato fin troppo male quella seccatura, cui davvero non aveva mai
smesso di pensare. E da quel giorno in poi quell’idea aveva iniziato a
martellargli la testa: era stato meschino, infido, schifosamente pigro,
rozzo… l’aveva tratta malissimo; si sentiva profondamente in
colpa… lei non aveva fatto niente per meritarsi tutto quello: ma lui, a
causa della sua immaturità e della sua accidia, l’aveva proprio
lasciata andare. Tuttavia… ricordava ancora quel suo sguardo, quegli
occhi da gatta, quel sorriso che raramente concedeva al mondo intorno a lei, o
quelle confidenze che quasi mai si prendeva con qualcuno, se non con lui…
egli aveva ripensato moltissimo a tutti quei dettagli, così impressi
nella sua memoria; e d’un tratto, improvvisamente, un giorno s’era
recato all’agenzia viaggi più vicina a casa sua e aveva prenotato
il primo treno disponibile per Kyoto, portando come scusa ai suoi genitori una
qualche faccenda universitaria; e così eccolo lì, senza una solida
argomentazione da proporre a quella ragazza, senza nemmeno un qualche regalo o
un pensiero, ma solamente con tutto –davvero tutto- se stesso.
Aveva rovinato tutto, aveva perso per sempre la fiducia
della ragazza…? Lo sguardo di lei era così freddo… Shikamaru
rabbrividì ancora, fino a battere i denti; stupida stagione, stupido
clima, stupida città…
«Be’, adesso smettiamola con questa farsa.
Appena ci libereranno da qui…»
Ma il ragazzo prese a tossire convulsamente, tanto da
bloccarla; si rannicchiò su se stesso e continuò, finché
non si stese nuovamente sul pavimento. Stava boccheggiando e tremava; lei
impallidì.
«T-Temari…»
bisbigliò poi, con gli occhi chiusi «credo di avere la febbre.»
*
«Bel medico che sei» si lamentò
«davvero complimenti…»
«Si lamenta pure, il signorino» replicò
l’altra, asciutta, mentre cercava un qualsiasi medicinale nella sua borsa
da dare a quel disgraziato. Gli
uomini…
Gli aveva consigliato immediatamente di distendersi e di
respirare profondamente, ma sinceramente non sapeva cos’altro poteva
suggerirgli: il ragazzo sembrava penare parecchio freddo, ma lei non sapeva
dove aveva riposto la solita aspirina che portava sempre con sé. Alzando
per l’ennesima volta in quella maledetta serata gli occhi al cielo, si
tolse il suo impermeabile asciutto e lo sostituì a quello del ragazzo,
che egli usava come coperta, e che era completamente zuppo.
«Ehi!» inveì lui.
«Che vuoi?» domandò l’altra, mentre
ricopriva il corpo di lui con il proprio indumento.
«Così tu avrai freddo! Non senti che si gela in
questo posto?»
Temari finì l’opera in maniera certosina e
guardò il risultato, soddisfatta: ogni centimetro del corpo del ragazzo
dalle ginocchia in su era coperto con un indumento asciutto.
«Nah, si sta
benissimo» replicò lei, alquanto incurante della conversazione,
mentre distendeva a parte il cappotto bagnato del ragazzo per cercare di
asciugarlo.
Passò qualche minuto in silenzio; Shikamaru la
guardava mentre era intenta nel proprio compito.
«Oh, già» borbottò dopo un
po’ «a te piace il
freddo.»
Non era una domanda: era proprio un’affermazione.
Temari stranamente sorrise un poco, per poi replicare con lo stesso tono di lui:
«Già, e tu
l’hai sempre odiato.»
Era come se entrambi asserissero qualcosa di estremamente
noto, e d’altra parte era quasi scontato
che l’uno sapesse dell’altra quel particolare (ad un occhio esterno
probabilmente insignificante) lasciato da parte in qualche posto della memoria,
e solamente ora tornato a galla.
«Oh, sì» continuò lui.
«E’ qualcosa di estremamente seccante. Ti costringe a coprirti, a
vestirti a strati, a mettere robe ingombranti e pesanti, e a limitarti nei
movimenti, a sentire caldo non appena ti muovi… e poi sono stagioni
così tristi, quelle invernali. Non posso guardare le mie adorate nuvole
su un prato, fa buio presto, devi tornare al lavoro, non puoi più
oziare… Si ritorna alla vita di tutti i giorni, in un certo senso.»
«Non capisci proprio niente» lo ammonì
lei, boriosa «il caldo è soffocante. Come ti muovi, sudi; interi
pomeriggi ti spinge a rimanere a letto a non far niente… e io odio
l’immobilità, ma appena esci inizi a sudare, e sudare, e non ne
puoi più. Il freddo ti prende, ti avvolge, ti conforta… e basta
solo coprirsi un po’ di più, qui la temperatura non arriva mai a
livelli troppo bassi; invece contro il caldo, dopo un po’, non puoi più
spogliarti, sai com’è…»
«Ti fai un tuffo a mare o in piscina»
osservò l’altro, per poi starnutire sonoramente. «E
sicuramente d’estate non ci si
becca la febbre!»
«No, la febbre no, ma insolazioni o bruciature alla
pelle sì. E quelle, mio caro, sono molto più gravi.»
replicò l’altra, con un sopracciglio alzato e l’aria superba
di chi sapeva perfettamente di avere ragione.
Shikamaru rimuginò, mordicchiandosi il labbro
inferiore; ma che diamine, quella dannata doveva avere sempre l’ultima
parola… che seccatura. Tutto ciò gli ricordava estremamente bene
le scene tipiche che si erano ripetute sei anni prima: ore e ore a litigare, a
tenersi il muso, a cercare di lottare per guadagnarsi l’ultima parola in
un conflitto verbale, e poi era tutto come prima, come se non fosse successo
niente… Egli definiva tutto ciò un’enorme e rognosa seccatura:
ma era anche vero che aveva deciso liberamente e volontariamente di ritornare a
quelle vecchie ma meravigliose abitudini.
La verità, ragionò il ragazzo infine,
guardando l’altra di sottecchi mentre quest’ultima lo fissava con
lo sguardo glorioso di colei che ha vinto, era che probabilmente non era
riuscito proprio a farne a meno… di lei, del suo atteggiamento, della sua
iperattività (che a volte Nara definiva patologica)… del suo sguardo, del suo corpo un po’
rotondo in alcune parti, ma per lui semplicemente bello… del suo
sorriso… della sua freddezza… e del –
«Mbè? Nessuna ultima
parola, Ingegner Nara?»
Il ragazzo sobbalzò: s’era perso nei suoi
pensieri. Distolse lo sguardo da lei e improvvisò.
«Mi fa male la testa e vaneggio, medico da
strapazzo» mugugnò, sistemandosi sullo scomodo pavimento. «E
qui dentro si gela, ripeto.» E completò tutto con un esorbitante
starnuto.
Lei esalò un potente e pesante respiro; prese
nuovamente la borsa in mano per controllare in modo definitivo un qualsiasi
medicinale che tenesse quello là buono e muto.
«Ed ecco a voi il “sesso forte”»
disse, scontrosa, mentre riponeva tutti i suoi affetti fuori dalla sacca
«…Incapaci di distinguere fra un raffreddore e una malattia
terminale. Ah! Noi donne invece, con
o senza influenza, dobbiamo continuare tranquillamente la nostra vita! Hai
chiamato il notaio per il testamento, sì?»
Shikamaru neanche la stava a sentire; la ragazza aveva
appena colpito (per un purissimo
caso) la testa di lui con il portafoglio appena estratto, che rimbalzò e
si fermò vicino al suo orecchio. Bofonchiando contro di lei per il
dolore (era la terza volta in nemmeno dodici ore che gli faceva seriamente
male), provò tuttavia un’insolita curiosità, deformazione
che lo affliggeva assai poco raramente: lo prese in mano e lo aprì, non
visto. Nel frattempo, Temari aveva svuotato totalmente la borsa e ancora
rifletteva su dove –
«Ma quanta roba hai in quella cosa?!»
esclamò lui, notando la quantità di taccuini e penne che ella
aveva con sé, e stimando l’inutilità dell’ombrello,
del deodorante o di quel tomo di medicina. «Le donne… a noi uomini
basta una tasca per il portafoglio…» rimbeccò, come risposta
alla provocazione di prima.
«Certo, perché avete sempre con voi qualcuna
che ha con sé tutto ciò che vi
serve…» puntualizzò lei allora, quasi automaticamente e
senza pensarci, mentre ancora perlustrava la sacca. «Infatti, sto
cercando una dannata aspirina per la tua
testa di cavolo, altrimenti non te la smetti di frignare, crybaby, e mi muori qui davanti.»
Ma lui ancora stava guardando tutto il contenuto della borsa
rovesciato a terra; schioccò fintamente la lingua sul palato,
sbadigliò, starnutì ancora e si stiracchiò; e così,
non visto, diede un’occhiata più approfondita al portafoglio di
Temari, mentre lei ancora cercava… e notò qualcosa di interessante,
che tuttavia confermava platealmente ciò che aveva pensato finora.
Sorrise.
«Eccola!» esclamò poi lei. «Stupide
tasche laterali…»
Prese una boccetta trasparente, ricolma di piccole pastiglie
bianche, la stappò e la diede al ragazzo con un’espressione di
vittoria.
«Prendi questa, non c’è bisogno che usi
acqua o niente, devi solo scioglierla in bocca.» sciorinò con aria
esperta. «Ma sbrigati! Prima che muori!» E qui sorrise, orgogliosa,
con un sopracciglio alzato.
Shikamaru fece un mezzo sorriso –a metà fra il
consenso per ciò che ella diceva e il fastidio per ciò che la sua
virilità doveva ancora
subire– e avvicinò la mano a quella di lei; il contatto fra le
loro dita fu velocissimo ed effimero, ma bastò ad innervosirli entrambi;
per sviare la tensione, lei sbadigliò.
«Senti, secondo me dovremmo dormire un
po’… sono le quattro del mattino, non usciremo da qui per molto.»
propose, guardandolo di sfuggita con occhi pieni di sonno. «Prenditi
questa roba e dormiamo, così vediamo se ti passa la tua incurabile malattia o se fai testamento»
concluse poi, con un leggero sorriso sarcastico.
Shikamaru annuì, e sbadigliò a sua volta.
S’accomodò meglio e offrì la sua sottospecie di coperta
alla ragazza, che rifiutò, orgogliosa; sbuffò, seccato, e alzò
gli occhi al cielo. Si portò infine la pasticca vicino alle labbra,
aprì la bocca e…
«…Non è avvelenata, vero?»
borbottò.
Lei di tutta risposta gli lanciò
un’occhiataccia che gli fece sentire ancor più freddo di quanto
già non ne stesse patendo.
*
Si svegliarono qualche ora più tardi; Shikamaru stava
ancora rabbrividendo. Lei lo guardò, un po’ tesa; aveva ancora gli
occhi pieni di sonno, e le faceva evidentemente male la schiena per la scomoda
posizione in cui aveva sonnecchiato; ma come diavolo riuscisse a non patire
minimamente quel freddo, per il ragazzo era un mistero.
«Mbè? Va
meglio?» chiese Temari.
Lui aprì gli occhi: la luce al neon
dell’ascensore gli dava molto fastidio.
«Mmh… più o
meno, eh.» borbottò.
La guardò: era seduta leggermente più vicino a
lui, e il suo sguardo nei confronti delle sue condizioni non era preoccupato,
ma neanche indifferente o freddo; forse, forse,
Shikamaru aveva scorto l’ombra di una certa remora che esprimeva in
qualche modo un senso di colpa… evidentemente, farlo girare per tutta
Kyoto senza né ombrelli né qualcosa di più pesante di una
sciarpa non era stata proprio una buona idea, per un medico poi… Il
ragazzo si soffermò ancora una volta a pensare sullo strano carattere di
Temari. Con estranei, ella era distaccata, impassibile, a volte perfino
spietata: insomma, era proprio fredda. Tuttavia, bastava entrarci in confidenza
perché lei smorzasse quel caratterino spigoloso e perché si
scoprisse come era davvero fatta: si prendeva veramente a cuore delle persone a
lei care, partendo dai suoi fratelli (gli unici componenti rimasti della sua
famiglia, e ai quali lei era legatissima) e finendo ai suoi amici. Inoltre,
aveva una lingua affilata, doveva avere sempre l’ultima parola, era
orgogliosa, testarda, cocciuta, impertinente, sfacciata, tosta… ma aveva
uno strano modo di comportarsi: a parole era menefreghista e indifferente, ma
nei fatti era tutt’altro. Bastava quello sciocco esempio per capirlo:
sebbene ce l’avesse (giustamente) con lui per ciò che egli aveva compiuto
anni prima, non s’era data problemi a cercare di metterlo in qualche modo
a suo agio e di fargli passare quella straziante emicrania.
Adesso erano entrambi zitti: lei guardava ovunque,
soffermandosi tuttavia di tanto in tanto sul volto di lui, per poi distogliere
subito lo sguardo… Shikamaru sorrise. Tutto ciò faceva
perfettamente parte di ciò che aveva pensato: Temari si stava a poco a
poco letteralmente scaldando… E
lui avrebbe colto al balzo questo piccolo spiraglio
in quella maestosa finestra, che dava
su un cielo così ampio…
«…Ehm, grazie.» borbottò, burbero.
Lei fu come offesa da questa parola: alzò ancora il
tanto famoso sopracciglio.
«Ehi, io sono un medico. Ho pronunciato un Giuramento,
e ci tengo a metterlo in atto. Nessun “grazie”, quindi. E non certo
da te.»
Shikamaru sbuffò… tutto ciò era
decisamente prevedibile.
«Quindi, cosa dovrei dirti?» borbottò.
«Dovresti stare zitto e farti passare questo
banalissimo raffreddore, per poi aspettare o che qualche anima pia ci tolga da
questo posto infernale andando giù alla cabina dei comandi o che
qualcuno decida di spingere il bottone e far partire questo benedetto coso.» disse lei.
«…E porre fine a questo divertimento? No grazie»
replicò Nara, sbadigliando ancora, e ancora starnutendo.
«Sì, un divertimento proprio, eh…»
disse infine lei, avvicinando le ginocchia al volto e abbracciandosele con le
mani.
Sembrava come se stesse aspettando qualcosa… Shikamaru
sospirò, per poi grattarsi l’ampia fronte. Sebbene controvoglia,
avrebbe dovuto fare ciò che doveva fare da tempo: comportarsi da uomo.
Non era più un ragazzino: aveva ventiquattro anni, lavorava, e
s’era sorbito sei ore di treno quella mattina (che adesso sembrava tanto
lontana) solo per poter parlare con quella ragazza… non poteva demordere
ora. Inoltre, obiettivamente e inequivocabilmente era in torto lui:
l’aveva fatta soffrire, e parecchio, e adesso doveva rimediare al danno,
sebbene fosse un compito veramente intricato e complesso… tutto
ciò era accaduto solamente per la sua immaturità di tanto tempo
prima: aveva fatto del male a se stesso a lei. Ma come diavolo aveva potut–?
«Shikamaru, che cosa sei venuto a fare qui?»
Egli sorrise. Temari, la sua Temari, impossibile, cocciuta,
tosta… aveva appena trovato il modo di sorprenderlo. Una domanda
così a bruciapelo non era davvero stata presa in considerazione dal suo
perfetto cervello; e questo non fece che aumentare la stima che aveva per lei.
«Io non lo so. Ma tu, eh, credo di sì.»
E ancora una volta…
«Che cazzo di risposte dai! Dammi una risposta
sincera, anche brutale, e fallo ora…
perché non sto capendo più niente!» esclamò.
Sembrava estremamente onesta: s’era girata di scatto e
adesso i suoi occhi chiari dardeggiavano, mentre lo osservava. Era impaziente.
Lui sospirò.
«Te l’ho già detto prima. Sono venuto a
chiederti scusa… e a chiederti di ricominciare, in qualche modo.»
Lei aveva già sentito queste parole, qualche ora
prima; ma era come se volesse risentirle. Passò qualche minuto nel
più completo silenzio.
«Perché hai mollato tutto, sei anni fa? Perché? E perché in quel
modo, dopo tanto tempo?»
Lui sbuffò. E si fece coraggio.
«Temari… ora, ti dirò queste cose una
sola volta. Non usciranno mai da questo trabiccolo e soprattutto non te le
dirò mai più, anzi, probabilmente me le rimangerò e
negherò fino alla morte di aver detto una roba del genere. Ok?»
iniziò lui, mettendosi a sedere, così da avere la ragazza
davanti, diminuendo la distanza fra loro. «…Gli uomini sono stupidi. E’ assolutamente vero. E
sono paurosi. Appena vedono un
qualcosa, qualsiasi cosa, di attraente, di bello, ma impegnativo e –per
dirla con parole mie- seccante, ci
provano, ci prendono gusto, ma poi lasciano proprio perdere. Siamo infantili
fino ai trent’anni, praticamente, e insensibili per la maggior parte
della nostra vita. Così è la grande maggioranza di noi, e io non
faccio minimamente eccezione…»
«Tu lo sai» lo interruppe bruscamente lei
«che a me questi discorsi sessisti stanno veramente tanto sulle palle e…»
La bloccò con un gesto secco delle mani, e lei, per
quella che con tutta probabilità era la prima volta in vita sua,
s’azzittì.
«Fammi finire. Quando eravamo insieme io avevo
diciotto anni, e tu ventuno. Ora, già normalmente una ragazza a
quell’età è molto più matura di un ragazzo… io
stavo bene con te, e tu lo sai. Però… la distanza, il fatto che
non potessimo uscire sempre, e i tuoi fratelli che –be’-
ce l’avevano a morte con me… dopo un po’ hanno iniziato a
pesare. Ero un ragazzino all’epoca, lo dico senza problemi… io ti
volevo bene, sì, però… beh, fatto sta che in questi anni
sono cambiate molte cose. Cose che mi hanno fatto ragionare, insomma… non
mi sono comportato bene, e sono qui a chiederti scusa.» Sbuffò e
distese il collo, fino a guardare in alto, con la sua solita flemma e il suo
modo di fare molto riflessivo. Una volta iniziato, era tutto più
semplice; e, sebbene lui fosse maledettamente orgoglioso, tutto ciò andava
fatto. «E’ arrivato il tempo che io mi comporti da uomo, Temari. E
così, eccomi qui.»
Lei sembrava a metà fra l’incredulo e
l’arrabbiato: non voleva dargliela vinta tanto facilmente, ma bisognava
ammettere che da un tipo come Shikamaru Nara tutto questo discorso non se lo
sarebbe mai aspettato. Ma era passato tanto tempo… chissà, magari…
Tergiversò ancora; sebbene ciò non fosse nella
sua indole –lei era solita, come si dice, “prendere il toro per le
corna”- era sinceramente interessata a tutto ciò che era accaduto
in quel tempo.
«E… che cosa è accaduto, che ti ha fatto
maturare così tanto?» chiese.
Il ragazzo mantenne quella posizione così rozza e
svogliata tanto tipica di lui, con la testa reclinata all’indietro,
appoggiata alla parete, gli occhi chiusi e le gambe aperte; stringeva ancora il
cappotto di lei.
«E’ morto Asuma.»
disse lui dopo un po’.
Lei rimase profondamente impressionata; sapeva bene quanto
il suo professore liceale (che egli considerava quasi un maestro di vita) fosse
stato importante per lui.
«E… com’è successo?» chiese
ancora, con una strana cautela. Shikamaru la guardò da quella strana
posizione per un attimo; e poi raccontò. Parlò per moltissimo
tempo: le ricordò il rapporto che aveva sempre avuto con lui, e di come Asuma fosse stato praticamente un padre (cose che lei
già sapeva, ma che si sentì nuovamente raccontare); le
parlò di come era morto, ucciso da alcuni ricattatori perché non
s’era piegato ad un affare di droga, e di come avesse assistito alla sua scomparsa;
spiegò le reazioni di Ino, di Choji, di lui, della sua famiglia e di tutti gli altri
amici; e le raccontò di Kurenai e del fatto che
oramai tre anni prima fosse nato suo figlio, cui avrebbe fatto da padrino.
Temari lo guardava, in qualche modo ammirandolo, mentre parlava; s’era
fatta più vicina, ogni tanto capitava che lo guardasse con quegli occhi
da gatta… e, Shikamaru sbagliava ancora, o sentiva davvero più
caldo…? L’atmosfera si stava via via
facendo più rilassante, più tranquilla… più calda,
più bella… ma no, era la sua medicina che faceva effetto,
sì, che sciocco…
Appena ebbe finito, si scrutarono; Shikamaru sospirò.
«E’ stato il mio maestro… e tu lo sai
bene. Tutto questo mi ha aiutato a crescere… in qualche modo. Non siamo
più ragazzini, prima o poi dovrò essere io la guida di quel
bambino come Asuma lo è stato per me.
Così è.» sentenziò.
Lei lo guardò.
«Mi hai fatto molto male, sai.» ammise, cambiando
discorso, e rivolgendo la vista altrove.
Lui s’alzò completamente e le andò
vicino… faceva caldo, oramai.
«Ho fatto del male anche a me. Ma sono qui, ti ripeto,
per rimediare. Nessuno sa che sono qui… ho preso il primo treno che
partisse da Sendai e sono arrivato. Avevo visto i
tuoi orari di uscita dall’università sul sito internet della tua
facoltà, mi sono appostato lì davanti a mezzogiorno…»
Lei strabuzzò gli occhi.
«Tu sei stato lì davanti da mezzogiorno alle
cinque di pomeriggio?!» domandò. Sembrava esterrefatta: Shikamaru
sorrise… aveva ottenuto ciò che sperava.
«Eh.» disse solo.
Era
così tipico di Shikamaru fare ciò che aveva fatto –ovvero,
minimizzare gli enormi sacrifici e sforzi che gli era costata quella folle
idea- che lei non se ne stupì; tuttavia, come al solito, ne rimase
impressionata. Aveva dato un calcio alla sua patologica pigrizia, aveva fatto
quella bizzarra messinscena, s’era umiliato tanto da chiederle scusa
più e più volte (per carità, era totalmente e
inequivocabilmente colpa sua, ma tanta devozione era comunque ammirevole), l’aveva
seguita ovunque, si era fatto malmenare, si era ammalato… e tutto questo,
solo per lei. E ancora sminuiva
tutto, parlandone come se fosse una cosa normale. D’altra parte, lui era
davvero il tipo, un po’ come lei, che dava più importanza ai fatti
che alle parole… lo conosceva bene oramai.
«Tu
sei pazzo. Tu sei veramente pezzo. Altro che “genio informatico di Sendai”, eh.»
«Può
darsi» ammise. «Ma lo sarò ancora di più se tu non
accetterai le mie profonde
scuse.»
S’erano
ancora più avvicinati: i loro visi si toccavano quasi. Si guardarono
negli occhi: lei sorrise, furba.
«Ma
devono essere davvero molto profonde…»
bisbigliò, a un soffio dalle labbra di lui.
«Be’,
posso sempre dimostrartelo…»
«Mpf. Non avevi freddo,
tu…? E se mi passi qualche batterio…?» borbottò poi,
ridacchiando. Ma Shikamaru si stava sempre più avvicinando: si stavano
proprio per…
Tlung.
Tlang
Si sentirono trasportare verso il basso: evidentemente,
qualcuno aveva azionato l’ascensore. Temari s’alzò e
sbadigliò sonoramente: si guardò poi allo specchio.
«Ma che diavolo di ore sono?!» borbottò
poi, quasi arrabbiata, come se nulla di strano fosse successo negli ultimi
trenta secondi.
«Le otto.» disse l’altro, alzatosi a sua
volta, con un umore tuttavia molto meno vivace di quello della ragazza.
«Merda, devo andare a lezione…» disse lei;
prese la borsa e si stiracchiò leggermente.
Arrivarono al piano di destinazione: un signore distinto, in
giacca e cravatta, aprì la porta, e fu abbastanza incuriosito dal vedere
due ragazzi sbadiglianti e sonnolenti che ne uscivano.
«Buongiorno» bofonchiò la ragazza, per
poi prendere Shikamaru –che era intento per qualche strana ragione a
fissare male l’uomo - per una manica e farlo uscire. L’altro li
guardò, per poi mugugnare qualcosa circa le stravaganze dei giovani
odierni ed entrare nell’abitacolo. I due presero le scale e scesero fino
al piano terra; si fermarono nuovamente di fronte alla cabina
dell’ascensore. Erano di nuovo soli; Temari mise il proprio cappotto
nella borsa, e diede l’altro quasi asciutto al ragazzo.
«Senti, io devo assolutamente andare a lezione, e tu
dovrai prendere il treno, immagino…» borbottò lei. «Ti
accompagno e vad– »
Ma, in barba a tutta questa formalità espressa da lei
–formalità probabilmente dovuta all’imbarazzo, che ogni
tanto perfino Sabaku
No Temari provava–, lui sorrise, s’avvicinò del tutto e le
passò un braccio intorno alle spalle: era molto più alto di lei,
e questo le permise di appoggiare la sua testa al petto di lui. In questo modo,
la zittì; aprirono insieme il portone ed uscirono all’aria aperta,
camminando in silenzio. Faceva molto più caldo rispetto al giorno prima:
sebbene non fossero che le otto e mezza di mattina, il sole già
splendeva in cielo.
«Be’, Tem… potevi anche non escogitare
tutta quella messinscena, eh.» disse Shikamaru, dopo un po’ che
camminavano.
La diretta interessata non negò né fece
minimamente finta di non aver capito: era come se sapesse benissimo che lui
avesse dedotto tutto. D’altra parte, non era certo un ragazzo dall’intelligenza
qualunque…
«Oh, è stato divertente…» si
giustificò, ridendo.
«Fino a un certo punto. Mi sono veramente gelato
lì dentro…» disse il ragazzo, per poi starnutire ancora.
Lei alzò la testa dal suo petto e lo guardò
negli occhi.
«…Ma come hai fatto a capirlo?» chiese,
sospettosa. Lui sbuffò e si sgranchì le ossa.
«Oh, andiamo. Tu eri vicino alla tastiera mentre
l’ascensore s’è bloccato… e poi ho visto che
armeggiavi col cellulare prima che entrassimo. Avrai mandato un messaggio ai
tuoi fratelli dicendo che dormivi da qualche tua amica per festeggiare
l’esame… altrimenti i cari
Kankuro e Gaara ti avrebbero come minimo cercato in tutto il Giappone, se non
eri ancora rientrata a casa. Sei così prevedibile, seccatura…»
Temari era a metà fra il soddisfatto (per avere un
ragazzo, o -insomma- una conoscenza a lei così
tanto vicina, tanto intelligente) e l’offeso (per essere stata
amabilmente scoperta in maniera così plateale). Evidentemente
però poi prevalse il primo stato d’animo, tant’è che
commentò:
«O forse oramai mi conosci benissimo…»
Lui la guardò: rideva ancora.
«Probabilmente…»
Continuarono la mattinata così, a rimbeccarsi, a
provocarsi, a stringersi l’un l’altra. Il vento spirava: in un
elegante e curioso modo, modellava il tragitto delle foglie e la forma delle
chiome degli alberi; creava un insolito rumore, rilassante e forte al tempo
stesso; modificava le nuvole, allungandole, comprimendole, cambiandogli forma;
e soffiava sulle gote dei ragazzi. Era un vento freddo, solitario, ma in
qualche modo confortante… Shikamaru arrise.
«Be’, ci vediamo, seccatura.» disse
infine, davanti all’entrata principale della stazione; frugò nella
tasca. «E… questo è per te.»
Le diede un fiore… lo stesso meraviglioso fiore che lei teneva appassito nel suo portafoglio, da
quasi sei anni.
Una rosa del deserto.
«Così potrai cambiarlo con quell’altro,
sai» disse, burbero, grattandosi il capo. «L’ho preso ieri
mattina, ma, ehm, non ho trovato il momento più adatto per…»
Ma lei non volle sentire altro: si buttò
(letteralmente, si buttò)
sopra di lui e lo baciò in piena bocca, passionale, estrema, irruente,
focosa, entusiasta, calda… Lui per qualche secondo non riuscì a
ragionare: era intontito dal mal di testa, dal sonno, da lei, dal suo profumo,
dal suo corpo, dalle sue braccia avvinghiate contro di lui… ma poi
evidentemente riuscì a realizzare quel che stava accadendo, tant’è
che la sollevò da terra, raggiante, e i due rimasero così per
qualche minuto, finché non ebbero letteralmente più fiato.
«E vedi di ritornare, il mese prossimo» disse
infine lei, quasi boccheggiando, qualche minuto dopo, soddisfatta del proprio
lavoro. Lui sembrava su un altro pianeta: aveva un’aria sinistra e quasi
folle, con lo sguardo fisso davanti a sé, i capelli arruffati e il fiato
pesante. Solo qualche minuto dopo parve svegliarsi da quella specie di coma;
riprese le minime attività vitali, sbadigliò, sorrise,
alzò un braccio per salutarla e semplicemente si voltò, con l’andatura
lenta e strascicata.
La ragazza lo osservò andare via, con uno strano nodo
all’altezza della gola; e, quando era evidente che il ragazzo non c’era
più, si girò, fece qualche passo, si voltò e sorrise
ancora.
Alla
fin fine, Shikamaru Nara da quel giorno in poi non riuscì più ad
odiare così tanto l’autunno; scoprì che la malinconia che
sopraggiungeva la sera ben contrastava con il suo carattere abulico e pigro,
portandolo ad una vaga riflessione sulla natura mentre le foglie cadute dagli
alberi danzavano; capì che quel freddo pungente che colorava le guancie
di lei, ogni volta che l’andava
a trovare, le rendeva più vivide e belle; e, soprattutto, imparò
che il freddo poteva essere un ottimo rimedio a una giornata terribilmente
noiosa e seccante, specie se poi ci si scaldava in un ascensore o in una
piccola stanza piena di strani fiori dalla forma astrusa.
Fine
****
Secondo capitolo postato alla velocità della luce u.u Sono stata bravissima, dai!
Ringrazio TANTISSIMO tutti coloro che hanno commentato: mi
avete proprio tirato su il morale. Grazie, grazie, grazie *_________* Ho
risposto, lo farò anche per eventuali –e GRADITISSIME!- altre
recensioni!
Oh, questo capitolo è per il giorno ventitrè del “All I want for
Christmas is black”
(sempre del forum The black parade!)… dal momento che oggi dovevo
postare un’altra fanfic, ma non ho avuto
veramente tempo, ho postato sto secondo capitolo xD
In verità mi dispiace abbastanza, avrei veramente voluto fare qualcosa
di natalizio, ma non mi è venuto veramente niente in mente. T__T
Così ora devo postare entro mezzanotte e sono le ventitrè
e cinquantasette XD Uao! Correggo la fanfic dopo aver postato, tanto ci saranno una miriade di
errori =_=
Cooomunque! Tanti volevano sapere cosa aveva
fatto quello *sciagurato* di Shikamaru. Sì, è un idiota ^_^ un
totale idiota. Volevo appuntare una cosa: lo Shikamaru diciassettenne (che
lascia Temari dopo un bel po’ di tempo che stanno insieme) è molto
diverso dallo Shikamaru coetaneo del manga… quest’ultimo è
molto più maturo perché, be’,
è un ninja. E i ninja per forza di cose sono più maturi rispetto
a un coetaneo “normale” xD Chi mai a
dodici anni ha rischiato la vita tante volte? ^^” Insomma, ho cercato di
adattare lo Shikamaru del manga ai tempi moderni: è plausibilissimo che
un ragazzo di diciassette/diciotto anni non abbia voglia di stare tanto tempo
con una ragazza con cui sta magari pure tanto bene, ma che è distante e
blabla, no? Non è cattivo o bastardo, è semplicemente un ragazzo.
Perciò, l’ho reso un po’ più “umano”,
ecco. Ovviamente la versione “ventiquattrenne” corrisponde alla
versione “post-Asuma” del manga,
insomma^^.
Spero davvero la fanfic vi sia
piaciuta! Commentate, magari, se vi va. *si inchina*
Un buon Natale a
tutti *____________* Alla prossima –presto, molto presto. Su Harry
Potter, la prima dopo, uhm, tre anni? Già scritta e fatta, devo solo
aspettare che me la valutino per un concorso xD
Clahp