Window in the skies

di Clahp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Window
 
Window
in
the
s k i e s
 
 

The sky over our head
We can reach it from our bed
If you let me in your heart
And out of my head…

Oh can’t you see what our love has done?
Oh can’t you see what our love has done?
Oh can’t you see what our love has done?
What it’s doing to me…?

[U2 – Window in the skies]

 

Il vento spirava: in un elegante e curioso modo, modellava il tragitto delle foglie e la forma delle chiome degli alberi; creava un insolito rumore, rilassante e forte al tempo stesso; modificava le nuvole, allungandole, comprimendole, cambiandogli forma; e soffiava sulle guance del ragazzo, arrossendole, mentre lui era intento a guardare tutto ciò con un vago cipiglio disinteressato. Non era mai stato davvero affascinato dalla natura: d’altra parte, non era nella sua indole essere curioso, anzi, data la sua straordinaria pigrizia tendeva a dare tutto per scontato e per assodato; ma per una volta, con quell’occhio scientifico che era tanto abituato ad assumere nei confronti delle situazioni in cui si trovava (e che il suo portentoso cervello portava ogni volta a risolvere), si meravigliò di come la natura stesse semplicemente cambiando. Il vento tirava; le foglie cadevano; gli alberi si tingevano di rosso; i raggi solari erano più inclinati, le nuvole più scure.

Il ragazzo non aveva mai sopportato l’autunno: la sua stagione ideale era l’estate, calda, rilassante, meravigliosa: poteva stare ore e ore sdraiato sulla fresca erba del giardino vicino a casa sua e rincasare tardi senza che nessuna madre lo rimproverasse per non aver compiuto nulla di buono tutto il giorno; e la sera poteva uscire con Choji, il suo buon vecchio amico, e giocare a shoji senza aver niente cui pensare. L’autunno rappresentava la stagione dei cambiamenti da una parte –avrebbe iniziato il suo primo lavoro in una qualche industria, non sarebbe più andato all’università-, e della ripresa dall’altra –l’estate era finita, non si poteva più oziare, bisognava tornare alla stancante vita quotidiana-, e tutto ciò risultava incredibilmente sgradevole al suo intelletto agognante solamente di un prato fresco e nuvole passeggere (che, ovviamente, in autunno portavano solo pioggia, e che perciò era impossibile ammirare come in estate). E così anche lui avrebbe ripreso a lavorare, a studiare, a rientrare prima, a essere meno spensierato; ma così era sempre accaduto per tutti, e così sarebbe accaduto anche per lui: era inutile opporvisi, per cui neanche egli ci rimuginava più di troppo –non ne valeva davvero la pena.

Appoggiato, com’era solito, rozzamente ad un albero, con una mano s’aggiustava la nodosa sciarpa attorno al collo mentre l’altra era infilata dentro una tasca dei suoi jeans; con una gamba si reggeva pigramente al legno, con l’altra sosteneva tutto il corpo. Shikamaru Nara rabbrividiva, spasimando per quanto in quelle regioni del sud del Giappone facesse freddo: in effetti, sebbene lui fosse abituato a climi assai rigidi, lì la temperatura era quasi più gelida. Sbuffò, impettito; alzò gli occhi al cielo plumbeo, così diverso da quello che era solito ammirare, si sistemò ancora la noiosa sciarpa e si guardò intorno, stanco; in mezzo a tutte queste noie ancora lui non l’aveva trovata, motivo per cui era anche profondamente insoddisfatto. Non sapendo davvero cosa fare, piantò una mano nei larghi pantaloni e ne estrasse un pacchetto di sigarette; sbuffò, lo aprì, ne tirò fuori una e l’accese. Inspirò profondamente quel rilassante odore di nicotina e buttò fuori tutta l’aria.

Si domandò dunque se lei, a cui tanto spesso oramai andavano i suoi pensieri, lei, la temibile, la insopportabile, apposta non si facesse trovare da lui: d’altra parte, lui sapeva bene –oh, se lo sapeva- quanto quella lì si divertisse letteralmente da morire a irritarlo. Ma poi si diede mentalmente dell’idiota, ricordandosi che nessuno sapeva della bravata che aveva compiuto –no, in effetti che doveva ancora compiere–, tanto meno Temari; e così per una volta il di lei comportamento non aveva colpe. Per una volta.

 

Faceva freddo. Sebbene non fosse poi troppo tardi –il ragazzo non aveva l’orologio, ma stimava che non fosse più tardi delle cinque di pomeriggio- il sole era già calato; solo qualche settimana prima, a quella stessa ora, c’era ancora parecchia luce. Era letteralmente intirizzito dal freddo; la sigaretta che stava beatamente fumando gli era servita a riscaldarsi un po’, ma neanche troppo; strinse ancora più la sciarpa attorno a sé, soffiò un po’ al collo e deglutì. Il vento soffiò reiteratamente; i passanti si coprirono i volti, tutti infreddoliti come Shikamaru. C’era una certa malinconia nell’aria; era come se tutti i presenti stessero ricordando la passata vacanza e stessero agognando il futuro caldo, per ora fin troppo lontano. Nara sbuffò: quella sensazione era piuttosto spiacevole, soprattutto considerando il luogo in cui si trovava in quel momento, lontano da casa sua, dal suo bel letto caldo… Che diavolo di stagione… Odiava il freddo, odiava l’autunno, odiava il brutto tempo; e in quel giorno, in quella dannata città sembrava che tutte e tre queste circostanze si fossero combinate insieme…

Si chiese per l’ennesima volta se avesse agito bene a fare ciò che aveva fatto (o che, insomma, doveva ancora fare); e ancora una volta accondiscese che aveva proceduto benissimo nel non dire ad anima viva quel suo folle atto. Con tutta probabilità, era stato davvero un “folle atto”: insomma, nessuno se lo sarebbe certo aspettato da lui, genio informatico di Sendai laureatosi appena sei mesi prima e con già diverse pubblicazioni su riviste specializzate che ne annunciavano le doti straordinarie e le innovazioni appena formulate nel campo tecnologico; ma d’altra parte ogni uomo ha le proprie debolezze, si sa, e le sue erano collocate a circa quattrocentocinquanta chilometri da casa sua. Né d’altra parte è possibile per questi uomini evitare per troppo tempo i propri punti deboli: prima o poi arriva il tempo di affrontarli. Per la precisione, quello di Shikamaru Nara era arrivato da un bel po’ –da molto, sì, molto-, ma lui aveva deciso di rispondervi solo in quel giorno così malinconico ed evocativo.

Ma aveva fatto la cosa giusta…? La sua pigrizia suggeriva di no, ma il suo cervello (che era, ricordiamolo, uno dei più prominenti di tutto il Giappone) non negava che ciò che sarebbe successo in quel giorno sarebbe potuto essere qualcosa di irrimediabile… più che altro, Shikamaru aveva spesso pensato alla totale inutilità di quell’azione: non sarebbe cambiato niente con quell’improvvisata, che cosa diavolo dunque era venuto a fare fin l–

Un enorme afflusso di persone lo distolse dai suoi pensieri; stavano tutti uscendo dal portone principale dell’Università. Erano parecchi ragazzi e ragazze, all’incirca della sua stessa età; Shikamaru si raddrizzò dalla scomoda e grezza posizione in cui era stato finora e vagò con lo sguardo fra la folla. Il vento tirava forte di nuovo; la maggior parte degli studenti era piegata in avanti, sforzandosi di continuare a camminare nonostante fosse controvento. Impossibile distinguere in quell’enorme massa di persone, che andava via via crescendo, una figura familiare o perlomeno già vista.

Ecco, perfetto. Il suo geniale piano era andato a monte ancora prima di essere iniziat–

«Ah! Passato con lode, vecchia megera!»

Il suo cuore accelerò i battiti rapidamente; qualcuno aveva urlato di gioia… e forse, forse, lui sapeva chi. Cercò, fra le tante teste, delle fattezze a lui familiari; i ragazzi davanti a lui non erano poi troppi, a ben vedere. La sua ricerca durò qualche minuto; la voce pareva essersi calmata in qualche modo…

«Pedagogia, con lode! Sono un genio

Il suo battito cardiaco ebbe un guizzo: l’aveva trovata… Il ragazzo alzò automaticamente il cappuccio sul capo, indossò il suo paio di occhiali da sole e si strinse leggermente la sciarpa al collo. Bene.

 

Be’, a quanto pareva… questo era il momento. Per la prima volta nella sua vita non pensò minimamente a ciò che stava per fare, ma andò semplicemente avanti senza profittare della sua materia grigia; si approssimò a un gruppetto isolato di ragazze, e le sue gambe sembrarono davvero tremare stavolta.

Lei… era . Parlava concitatamente, mentre una strana luce le brillava negli occhi; sorrideva, cosa così strana per quel viso all’apparenza tanto duro, e rivolgeva sguardi contenti tutt’intorno. Era cresciuta molto: i lineamenti erano più definiti, aveva sostituito i soliti quattro codini con una pettinatura molto più sobria ed adulta (capelli lisci, lunghi fino alle scapole), era leggermente truccata, e le linee del corpo erano ancora più morbide di quanto lui non ricordasse. Dopo tanto tempo, era davvero lì, davanti a lui… ed era bellissima. Shikamaru non riuscì a pensare razionalmente per qualche secondo; la materia grigia doveva essersi in qualche modo ghiacciata, forse per il gran freddo, forse per l’emozione; il respiro gli si era mozzato, le attività vitali appiattite. Tuttavia, non appena vide che il gruppetto sembrava muoversi da quella posizione, si rianimò quel poco che bastò a sfoderare il suo sorriso migliore (o meglio, quello che davvero non aveva mai usato).

«Ehi pupe! Me lo fareste un piacere?»

Le tre lo guardarono; l’una sorrideva, compiaciuta dall’aggettivo, l’altra rideva, sorpresa per la scena, ma la terza assottigliò gli occhi, che prima splendevano.

«Rispondereste a delle semplici domande per un sondaggino? Una roba veloce, dai!»

Sempre con quell’atteggiamento che non gli era affatto proprio, egli sorrise ancora di più e ancora di più s’avvicinò a loro; ma non scoprì né occhi né capo. Continuò a guardare dritto davanti a sé, come magnetizzato da una componente del trio.

«Mmmh, perché no?» borbottò una fra loro, continuando a sghignazzare. Le altre due erano zitte.

«Ok, ok… be’» qui il ragazzo abbassò una spalla e portò lo zaino davanti a sé, per poi aprirlo e prendere un quaderno «ti ringrazio, sei molto gentile… Che facoltà frequentate?» iniziò.

Lei rise ancora di più, e rispose che tutt’e tre erano iscritte al terzo anno di specializzazione alla facoltà di Medicina, e che quindi erano al loro nono anno in quell’università; lui annuì, fintamente interessato.

«Questo è un sondaggio per il Ministero dell’Istruzione, eh! Allora, quanti corsi frequenti l’anno? Quanti esami dai? Ti piace ciò che studi? Lo consiglieresti a chi vuole fare il medico? E, ultima cosa… non ti fa schifo vedere cadaveri?!»

Lei ci pensò un po’ su, ma poi rispose con grande entusiasmo che certo, le piaceva davvero quel che studiava, e che sarebbe divenuta sicuramente un grandissimo medico; e no, oramai era talmente impassibile alle scene cruente che quasi non vi faceva più caso; continuò dicendo che studiava tantissimo, che aveva una media molto alta e cose del genere: concluse con una risata e uno sguardo interrogativo sullo sconosciuto. La seconda rispose poi sulla stessa linea d’onda, solo in maniera un po’ più scettica; ma fu quando toccò a lei che Shikamaru, sotto la spessa sciarpa che gli copriva appositamente una buona parte del volto, arrise sul serio.

«Uhm, no, un attimo, a te voglio fare altre domande» disse, prima che l’altra avesse iniziato anche solo a prendere fiato per rispondere.

«Scusami, mi sono persa la parte in cui ti ho effettivamente detto che ti risponderò. Tu l’hai sentita, per caso?»

Lui deglutì; il suo respiro divenne più irregolare. Dopo tanto tempo… non era cambiata per niente. Sorrise, ancora di nascosto, ancora compiaciuto.

«Un bel caratterino, eh?» borbottò solamente.

«Oh, ci puoi giurare» ribatté lei, fiera, assottigliando gli occhi chiari, come per studiare i lineamenti semicoperti di quello straniero. Aveva notato qualcosa di particolare in quel naso, come se… «Be’, la finiamo ’sta pagliacciata, sì? Ho da fare, io

Lui alzò un sopracciglio e sospirò, fintamente stanco.

«Guarda che mi pagano per fare ’sto lavoro. Non è che anche io non ho niente di meglio da fare, eh.» replicò.

L’aveva colta in pieno; lei alzò gli occhi e inspirò. Gettò una rapidissima occhiata allo sconosciuto, stabilendo se fidarsi o meno di un ragazzo tanto strano, i cui tratti somatici tra l’altro si vedevano pochissimo; valutandolo tuttavia sincero, decise di concedergli quel piccolo favore… in effetti, non doveva essere un gran bel lavoro, e probabilmente non ne era neanche soddisfatto.

«E va be’, che rottura…» borbottò, burbera. «Sì, sono contenta di fare il medico, voglio farlo da bambina, e faccio tanti esami l’anno, e frequento tanti corsi l’anno. Ok, adesso? Ciao

Shikamaru annuì, convinto, e scrisse qualcosa. Il vento riprese a soffiare forte; per alcuni secondi nessuno dei quattro disse niente, intenti com’erano a ripararsi dal freddo.

«Be’, allora… vi ringrazio» proseguì il ragazzo, appena fu in grado di farsi ascoltare «davvero, grazie tante.»

Le due sorrisero e annuirono; la terza alzò un sopracciglio, scura in volto. Aveva appena notato un minuscolo particolare… quella voce… quella voce… e no, anche quella fronte così spaziosa e larga, che dava l’idea di una persona sveglia… o perlomeno… Gli occhi della ragazza guizzarono.

Shikamaru provò un brivido; con tutta evidenza, Temari aveva appena capito tutto. Deglutì, e per l’ultima volta si fece coraggio.

«…Sinceramente, però, un ingegnere è molto meglio di un medico.»

E fu questa la goccia che fece traboccare il vaso.

*°*

 

Shikamaru Nara non aveva mai capito tanto le donne. Erano controverse, imprevedibili, difficili da comprendere, ma ancora più difficili da gestire; in particolare, si può dire che non poteva soffrire quelle autoritarie e decise, come sua madre, o fedifraghe e astute, come Ino; e peggio ancora, temeva quelle esagitate o in continuo movimento.

Ma si dava il caso che il destino –o chi per lui- avesse deciso che proprio Shikamaru dovesse innamorarsi di una che ben riassumeva tutte queste qualità.

«Temari!»

Egli aveva pensato, evidentemente molto ingenuamente, che vi era forse una remota possibilità che tutto quello che aveva appena compiuto, e per cui s’era letteralmente sfiancato, alla ragazza avrebbe fatto in qualche modo piacere; aveva ovviamente pensato che vi era una grande probabilità che lei si fosse arrabbiata, dato il suo carattere non propriamente facile. Ma mai si sarebbe immaginato tutto questo.

«Eddai, Temari! Ma perché fai così, che palle che sei, io –»

La ragazza, semplicemente, seguitava a camminare a passo incredibilmente veloce, evitando con un’agilità impressionante l’enorme flusso di gente che veniva in senso contrario; sembrava del tutto ignara del fatto che vi fosse un ragazzo a qualche metro da lei che stava sia ansimando per la folle corsa sia urlando a gran voce il suo nome davanti a tutti. Alcuni passanti si girarono a commentare la bizzarra scena, per poi concludere il loro pensiero con un sorriso sporadico, notando l’età dei due.

«Temari… cazzo!» biascicò ancora Shikamaru; da circa venti minuti continuava a rincorrerla, facendo a spintoni fra la folla, tanto che oramai non aveva più fiato –colpa della totale assenza di qualsiasi attività sportiva o della grande quantità di sigarette fumate al giorno, difficile dirlo. Si fermò, tentando di riprendere le forze; ma già aveva perso di vista la ragazza. Imprecò; riprese a correre, scansando a spallate i pedoni, finché ritrovò nuovamente una testa bionda; e finalmente raggiunse la ragazza tanto da riuscire a fermarla.

«Vuoi fermarti o no?!» esclamò, perdendo per una volta la propria abituale flemma. «Hai idea del viaggio che ho fatto per venire fin qui?!»

Lei si girò di tre quarti; alzò un sopracciglio e gli lanciò lo sguardo più freddo che egli avesse mai subito –o si fosse mai meritato di subire.

«Lasciami.» ordinò solamente. Sapeva essere glaciale quando lo voleva, pronunciando appena una parola o due accompagnata da uno sguardo sprezzante, per ridurre al minimo le speranze di proseguire del proprio interlocutore. Shikamaru non l’ascoltò, ma non riuscì a non rabbrividire per quell’occhiata.

«Fermati… e parliamo. Ti chiedo… solo… questo.» disse, ansimando ancora.

Giacché s’era fermato, nonostante la folle corsa che aveva appena compiuto, riprese a battere i denti per il freddo; invece, lei sembrava essere perfettamente a suo agio, sebbene indossasse solamente una leggera mantellina.

«Vattene, Shikamaru.» replicò, asciutta.

«Oh, andiamo, seccatura!» berciò lui, contrariato. «Non ci vediamo da sei anni, che diavol–»

Sciaff. Uno schiaffo in piena faccia bloccò la sua tiritera; lei assottigliò gli occhi da gatto, alzò un sopracciglio, sogghignò abbastanza soddisfatta, si girò e se ne andò.

Le donne…

«Non penserai mica» continuò l’altro, riprendendo a camminarle dietro velocemente, mentre ansimava «non… penserai che io getti la spugna, eh, seccatura?»

L’aveva nuovamente chiamata con quel nome; lei contrasse la mascella, dura, ma non disse niente. Scese il silenzio; camminavano l’uno vicino all’altra, quasi correndo, ma non si dicevano nulla.

«Oh, andiamo» riprese Shikamaru, velocizzando nuovamente l’andatura delle gambe per stare al passo con lei, e nuovamente boccheggiando (ma quanto diavolo sport faceva quella lì per andare così veloce?!) «lo so che è colpa mia, che sono un idiota, e blabla, ma non sarei qui se… non volessi… in qualche modo… rimediare…»

E così andarono avanti per una buona mezz’ora, lui parlando (o, per meglio dire, ansimando) e lei facendo finta di niente; i passanti li guardavano di sbieco, curiosi o scandalizzati. Era una scena estremamente bizzarra: lui pareva proprio parlare all’aria, gesticolando e cercando cenni d’assenso, ma lei si comportava come se nessuno turbasse il suo normale ritorno a casa; Temari proseguiva camminando di buona lena, con il tipico andamento frettoloso e deciso, che tuttavia per Shikamaru (il cui passo era ovviamente lento e strascicato) sembrava una vera e propria corsa.

Iniziò a piovere; ancora una volta, il freddo assalì il ragazzo. La temperatura era notevolmente scesa e il vento aveva ripreso a ululare forte, tant’è che egli aveva dovuto infilarsi guanti e cappello per non soffrire ulteriormente quell’odiato clima. Ma come diavolo era possibile che lì a Kyoto, quattrocento e rotti chilometri più a sud di Sendai, la sua città, facesse tanto freddo? Maledetta Temari, maledetta strega, in qualche modo c’era il suo zampino anche in quello –sì, in qualche modo… le donne… sempre colpa loro… e il freddo, il dannato freddo, continuava a perseguitarlo. Si inzuppò velocemente, dal momento che non aveva ombrelli o impermeabili; ma tutto ciò sarebbe tranquillamente rimasto in secondo piano se il ragazzo non avesse avvertito un altro tipo di freddo, dovuto al totale menefreghismo da parte di Temari alla sua presenza.

Non credeva di meritarselo, tuttavia… Per carità, se non si vedevano da così tanto tempo era in buona (be’, in totale) parte per causa sua; ma adesso lui era sinceramente pentito, e in quello stesso giorno s’era sorbito sei ore e mezzo di treno verso quella città del sud del Giappone, senza dire niente a nessuno, quindi senza ricevere né prese in giro né rimproveri, ma senza neanche un posto dove dormire. Oltre a ciò, la ragazza nelle ultime due ore gli aveva rivolto parola solamente due volte, in mezzo alle quali v’era stato tra l’altro uno schiaffo che ancora bruciava al suo orgoglio; e infine lui era costretto a parlare a manetta, proprio lui che odiava parlare… E ora lei lo trattava con quella insofferenza, quel disprezzo, quella freddezza… Shikamaru si morse un labbro, mentre continuava a deambulare al passo di Temari, bagnato dalla testa ai piedi; e così, il genio informatico di Sendai, tanto pubblicizzato e oramai abbastanza famoso nel suo settore, aveva davvero preso un enorme granchio, aveva davvero fatto una sciocchezza a compiere quell’improvvisata, con una donna tanto ingestibile poi… che idiota che era stato, davvero… Digrignò i denti: l’offesa bruciava quasi da fargli male. Ma non avrebbe demorso, no; anche a costo di inseguirla per ogni parte di Kyoto, le avrebbe parlato, le avrebbe davvero detto quello per cui era giunto fin lì, e, volente o nolente, Temari l’avrebbe ascoltato. Era una questione di principio; il suo tanto vituperato orgoglio non avrebbe ammesso ancora un’altra offesa. Punto.

«Shikamaru, dai…»

Alzò gli occhi; Temari s’era voltata verso di lui, il viso addolcito da un’espressione benevola; ah, ce l’aveva fatta… anche la granitica Temari Sabaku No dunque aveva un punto debol–

«…Non ti dispiace se apro l’ombrello, vero? Sai, fa freddo.»

Ma l’avrebbe pagata, oh, se l’avrebbe pagata…

 

 

 

*

 

 

 

Erano oramai quattro ore che giravano; Shikamaru era esausto, ma Temari non accusava la minima spossatezza.

«Tu, tu, dannata seccatura» boccheggiò lui, mentre erano appena usciti da un chiosco all’aperto in cui lei s’era fermata a mangiare (apparentemente dimentica del fatto che lei avesse un ombrello, ma lui no) «lo fai apposta, sì, sì, lo stai facendo apposta… e ti stai divertendo da morire a farmi impazzire…»

Lei, come suo solito, non replicò, del tutto incurante che fosse in compagnia di qualcuno diverso dalla sua cena; tuttavia, Shikamaru poté benissimo notare la presenza di una lieve increspatura sulle sue labbra, e fissò incredulo la strana luce, quasi di soddisfazione estrema, dipinta nei suoi occhi.

Era stato diverse volte sul punto di mollare tutto, mandarla finalmente a quel bel paese (o da qualche altra parte, sì) e tornarsene a casa; ma tutto ciò avrebbe comportato in qualche modo l’ammissione di una sconfitta o di una rinuncia da parte sua… e il suo senso dell'onore, tanto bistrattato quella sera, non gliel’avrebbe mai perdonato. Inoltre, così avrebbe solamente fatto ciò che Temari voleva, ovvero lasciarla in pace: e no, lei non avrebbe davvero vinto.

Aveva così continuato a seguirla in tutti i suoi pindarici giri, che il ragazzo era sicuro non avrebbe mai fatto in condizioni normali; s’era fermata per più di tre quarti d’ora in un negozio di scarpe, era entrata in una libreria, aveva deciso un qualche film da vedere quella sera, aveva fatto la spesa (sempre e rigorosamente ad un mercato all’aperto) e infine aveva mangiato in quel chiosco. E tutto questo con un ragazzo piantato dietro di lei, intento a guardarla di sottecchi, senza più la voglia –o, per meglio dire, il fiato- di dire nulla.

Con tutta evidenza, era ora per lei di tornare a casa; Shikamaru aspettava questo momento da tutta la serata. Imboccarono la strada verso il suo portone; lei si fermò qualche attimo, mentre armeggiava col cellulare in mano, poi camminarono ancora un po’ (Temari col passo svelto e con aria distaccata, Shikamaru con andatura strascicata e mani ficcate dentro i pantaloni, mentre i capelli lunghi gli gocciolavano a causa della pioggia) e infine ella tirò fuori un mazzo di chiavi con cui aprì il portone del suo palazzo… premunendosi di richiuderlo rapidamente dietro di sé, di modo che Nara non potesse entrare; ma questi, aspettandosi davvero un gesto simile, sgusciò dentro prima che la ragazza avesse richiuso la porta.

Adirata e offesa, Temari gli rivolse l’ennesima occhiataccia e pestò un piede a terra; si diresse dunque verso la porta dell’ascensore, che era già al piano.

«Fermati, fermati, fermati» disse sbrigativo Shikamaru, appoggiando rudemente una mano alla porta prima che Temari potesse aprirla, in modo da bloccarla. «Non costringermi a seguirti dentro casa tua, non mi pare proprio il caso, con quei fratelli che ti ritrovi poi… Insomma, vogliamo discutere di questa benedetta cosa come due persone maturi e civili, oppur–»

Per tutta risposta, lei aprì tanto vigorosamente l’uscio da farne cozzare il lato esteriore contro la fronte del ragazzo, che ululò per il dolore toccandosi la parte lesa; minimamente coinvolta da quel che era appena accaduto, lo sorpassò, mentre quello era piegato in avanti, e accostò la porta dell’ascensore dietro di sé. Ma non spinse il bottone abbastanza in fretta; Shikamaru afferrò con violenza la maniglia, la tirò giù e la portò vicino a sé, per poi entrare furiosamente nell’abitacolo e chiudere la porta. La cabina non era poi troppo piccola, ma neanche grande: vi era tuttavia abbastanza spazio tra l’uno, ora comodamente appoggiato a un angolo, con la schiena contro la parete e le gambe aperte davanti a sé, e l’altra, rigidamente in piedi accanto ai vari pulsanti che indicavano la numerazione dei piani.

«Mi hai fatto male, seccatura infida» parlottò Shikamaru dopo qualche secondo di silenzio. Temari aveva preso a tamburellare vivacemente le dita sulla parete dell’abitacolo; prese fiato violentemente, come per rispondere in maniera brutale, ma poi si fermò un qualche attimo e disse, ora con tutta calma:

«Non sono proprio affari miei.»

«Se poi muoio, sì, lo sono» obiettò l’altro, strofinandosi la parte percossa, e imprecando per il dolore. «Ti manderò il conto del mio avvocat–»

Tlung.

Tlang.

«Merda, no, no!» imprecò lei, scostandosi subito dai tasti, per poi alzare la testa e guardare la sommità dell’abitacolo. «Questo coso s’è fermato!»

Shikamaru alzò un sopracciglio, perplesso, ma non disse niente; Temari ancora guardò in alto, poi in basso, e infine pestò un piede per terra.

«Siamo chiusi qui dentro! Io e te, che diamine!» berciò, iraconda.

Il ragazzo, in tutto ciò, rabbrividì: sentiva ancora freddo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***********

E finalmente –dopo appena due mesi a mezzo ^_^ XD- ho postato ‘sta “cosa”. Ah, questa fanfic mi ha fatto abbastanza penare, sinceramente, visto che ne ho scritto metà mentre avevo un febbrone allucinante a metà settembre ^^

Non ne sono particolarmente entusiasta, ma vabbè, non vedo il motivo per cui non postarla. E’ abbastanza lineare e “simpatica”, insomma, ma davvero niente di che. Spero in ogni caso vi piaccia ^^

Ah, avete presente quella presammmmale infinita che vi prende all’inizio di ottobre, quando le giornate durano sempre di meno e la scuola/università è appena ricominciata? Ecco, la fanfic si basa proprio su quello. Mi spiace solo di averla postata tanto tardi, ma per una buona parte contiene le mie personali riflessioni sulla malinconia profonda di metà pomeriggio di una domenica di ottobre, giorno di PRESAMMMMALE per eccellenza xD

 

Coooomunque!! La fanfic ha partecipato al concorso Cold contest, di Shark Attack, classificandosi sesta –ma non ultima xD. Ecco il seguente commento della giudicia:

 

Grammatica: 13/15;
Utilizzo dei dialoghi/descrizioni e andamento della trama in generale: 12/15;
Originalità: 11/15;
Attinenza al tema del Contest: 13/10;
Caratterizzazione dei personaggi: 8/10;
Gradimento della giudice: 3/5;
Totale: 60/70.

Giudizio scritto del giudice:

Innanzitutto, complimenti! La tua fic mi ha seriamente colpita! Purtroppo non per la trama, piuttosto semplice pur essendo nel complesso ben articolata e diretta, ma per il tuo strano modo di scrivere... intendiamoci: scrivere in una maniera così ricercata ed elegante è davvero molto bello e poetico, davvero di gran classe, l'ho apprezzato da questo punto di vista. Ma... non è adatto ad una fiction del genere, sai? L'impressione in generale, sia in prima che in seconda e terza lettura, è stata certamente positiva, ma a discapito della storia in . Mi spiego meglio: con un linguaggio così articolato ci si perde nella sua comprensione e stride con la trama leggera e moderna di una coppia di universitari che si rivedono dopo anni. Capacità linguistica e trama devono andare di pari passo, altrimenti ciò che ne viene fuori è disarticolato, come quando si guarda un video con l'audio sfasato rispetto alle immagini, hai presente?
Tutto questo per giustificare i -2 punti nella grammatica (pur non essendo mai stata sbagliata) e i -3 nell'utilizzo di dialoghi e descrizioni.
Attinenza al tema con punteggio pieno perché più freddo di così non si poteva fare, giusto? ^^ Mi hai pure fatto ammalare Shikamaru, per farlo stare al freddo, non potevo togliere assolutamente alcun punto! IC senza un punto perché questo Shikamaru mi è sembrato un po' troppo attivo, per il suo carattere... e anche perché non ho mai compreso appieno le ShikaTema! XD Però ciò non ti ha impedito di conquistare il Premio Het, complimenti anche per questo!
Gradimento basso sempre per il discorso della lettura con attrito dovuta al tuo linguaggio aulico, per così dire, ma mi è piaciuta molto lo stesso!

 

 

NB: la fanfic prima si chiamava “Autumn Leaves”. Poi ho cambiato nome perché era troppo orrendo xD Il titolo non ha un significato preciso, si rifa semplicemente alla stupenda canzone degli U2 e al collegamento Shikamaru-Cielo. Semplice. xD

 

Che dire, mi dispiace tantissimo che sia piaciuta così poco ^^” Ci avevo messo veramente l’anima a scrivere, contando poi che m’era presa la febbre e che stavo male. Certo è che avevi ragione a dire che in alcune parti potevo essere un po’ meno aulica: ho cercato di limitare queste uscite, riscrivendo qualcosa o usando vocaboli più moderni. Ti ringrazio del consiglio (: Per quanto riguarda le frasi troppo lunghe… Ehm, il mio problema è che ODIO ODIO lo stile che va tanto ora di frasi. corte. e. spezzettate. quindi tendo ad esagerare nell'opposto, ovvero a fare frasi lunghe e articolate (che adoro) Non credo sia un errore, visto il tipo di narratore (è esterno e onnisciente, quindi in linea teorica va bene che sia molto formale: quando scrivo in prima persona sono molto più informale), ma capisco che sia fuori luogo. Sinceramente, non mi sembra di così difficile comprensione: non ho fatto mica frasi enormi ^^" ma capisco benissimo, ripeto.

 

Infine, non credo che Shikamaru sia OOC, ma ovvio che il mio parere è di parte… semplicemente, io penso che lui sia perfettamente il tipo da ammazzarsi per un qualcosa/qualcuno a cui tiene, e in questo caso questo qualcuno è proprio Temari.

Be’, almeno ho un meraviglioso Premio Het :D e me lo tengo ben stretto!

 

 

 

E un’altra cosa! La fanfic partecipa alla *meravigliosa* iniziativa “All I want for Christmas is black”, organizzata dal forum “The Black Parade” . Il nostro obiettivo era di scrivere ogni giorno, dal 1 al 24 dicembre, una fanfic nera, e pare proprio che ci stiamo riuscendo egregiamente xD Dal momento però che proprio questo giorno c’era un buco, ho pensato di “riempirlo” con questa fanfic che di Natalizio ha ben poco, ma che è tutta incentrata sul freddo… Per cui, ho usato il prompt freddo ed eccola qui xD Vi invito a visitare il forum & l’iniziativa, siamo sempre di più e sempre più accanite. :3

All I want for Christmas is Black

 

 

 

Alla seconda parte, appena mi libero dalla mia Analisi Matematica –mi adora talmente tanto che non mi lascia mai… xD

E buon Natale se non posto prima del 25! *-*

 

 

Clahp

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Era tutto inutile: il cellulare lì dentro non prendeva, le porte erano irrimediabilmente bloccate e a quanto pareva nessuno nel palazzo poteva sentirli, dal momento che era passata la mezzanotte e tutti in quel condominio –composto solo da famiglie con b

Window
in
the

s k i e s

I know I hurt you and I made you cry
Did everything but murder you and I
But love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…

Oh can’t you see what love has done
To every broken heart?
Oh can’t you see what love has done
For every heart cries?
Love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…

Oooh oooh
Oh can’t you see…?

[U2- Window in the skies]

[ Seconda parte ]








Era tutto inutile: il cellulare lì dentro non prendeva, le porte erano irrimediabilmente bloccate e a quanto pareva nessuno nel palazzo poteva sentirli, dal momento che era passata la mezzanotte e tutti in quel condominio –composto solo da famiglie con bambini piccoli o anziani– dormivano. E lei era chiusa lì dentro con un peso morto sdraiato sul pavimento dell’ascensore, evitando di guardarlo; vagava con lo sguardo per la cabina, cercando qualcosa che la distraesse, ma non trovando davvero niente.

«E’ inutile che cerchi in giro, Temari» borbottò l’altro, con una voce profonda «non c’è proprio niente in questo buco. Siamo solo io e te.»

«Oh, che cosa fighissima da dire, davvero. “Siamo solo io e te”. Chi te le scrive le battute, eh, Nara?» commentò l’altra, laconica, guardandolo male.

Lui starnutì per l’ennesima volta e non rispose; era troppo preoccupato a tremare. Con lo scherzetto che quella meravigliosa ragazza aveva organizzato, egli aveva passato qualcosa come cinque ore sotto la pioggia senza ombrelli o protezioni di sorta; era bagnato dalla testa ai piedi e continuava ancora a soffrire il freddo che in quel maledetto giorno s’era abbattuto su quella maledetta città. Come risultato, adesso aveva un incredibile mal di testa, tremava, starnutiva ogni quarto di minuto e aveva il naso completamente tappato, che gli causava una voce cavernosa e decisamente ridicola. Stancatosi di stare ancora in piedi, si era disteso sul fondo dell’ascensore, coprendosi alla bell’e meglio con gli abiti zuppi che aveva, ma non aveva che peggiorato le cose: non si sentiva minimamente bene. E tutto per colpa di quella…

«Mbe’? Non rispondi più? Andiamo, dove sono finiti i soliti battibecchi tanto tipici di questa coppia di deficienti?»

«Sai come si chiama questo, sì?» chiese di rimando lui, ironico.

Lei s’innervosì un po’, ma riuscì nonostante tutto a rimanere fredda e distaccata.

«No, spiegamelo tu, signor Duecento QI, io sono cretina…»

Lui inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Quanta pazienza…

«Si chiama sviare i problemi. Non serve parlare d’altro quando entrambi sappiamo di che cosa dobbiamo parlare.»

Con tutta evidenza, il ragazzo aveva appena afferrato il nodo vitale della questione; e Temari fu colpita in pieno. Serrò la mascella e lo guardò di sbieco; si mise seduta, facendo in modo di essere il più lontano possibile da lui, e incrociò le braccia al petto, iraconda.

«Allora illuminami, genio!» esclamò, con voce fin troppo acuta: s’era evidentemente offesa. Lei, Sabaku No Temari, che sviava i problemi anziché risolverli? Ma quello lì doveva essere proprio –

«Be’, anzitutto» espose l’altro, issandosi a sedere, così da avere i propri occhi all’altezza di quelli di lei, sebbene i due fossero ancora molto distanti e distaccati «basterebbe un “ehi, non ci vediamo da sei anni, mi sei venuto a trovare, magari ti saluto”…»

«Stai scherzando!» replicò lei, attonita. «Tu stai veramente scherzando! Non sono stata io a lasciarti, sei anni fa, dopo quasi un anno

Il ragazzo inspirò… be’, a questo non poteva certo darle torto. Era stato lui a lasciarla, sei anni prima, quando stavano insieme da un bel po’… e con motivazioni, per dirla con un eufemismo, non molto plausibili.

«Temari, è diverso, e tu lo sai. Ero un ragazzino, quanti anni avrò avuto, quindici, sedici…?» borbottò l’altro, dando poi un sonoro colpo di tosse e uno starnuto.

«Mio caro, ne avevi diciotto!» disse lei, punta sul vivo. Aveva lasciato da parte il distacco che di solito usava con sconosciuti o con indesiderati: adesso era molto più accalorata. Sembrava, questo, un discorso che la coinvolgeva del tutto, ed evidentemente era la prima volta che ne parlava con qualcuno. «Un’età in cui si vota, si decide il proprio futuro, si va all’università… Non eri un ragazzino, Shikamaru!»

«Oh, andiamo!» accondiscese il primo, alzando gli occhi al cielo. «Gli uomini a quell’età sono ragazzini! Avevo la testa piena d’altro, e, beh, non mi sto discolpando per quel che ho fatto… solo che… non me ne resi davvero conto, insomma…»

«Ah, no?» ribatté l’altra, oramai arrabbiata «Non te ne sei reso conto, quando mi hai scritto per messaggio –non mi hai neanche chiamato, diamine!- che mi lasciavi perché non avevi più voglia di continuare una cosa così?!»

Lui tamburellò le dita su un ginocchio, nervoso; se solo avesse potuto fumare una bella sigaretta liberatoria… Lei aveva perfettamente ragione: non c’erano dubbi.

«Temari» iniziò «non sto dicendo che ho fatto bene… o che ho ragione. Ti sto chiedendo di… ricominciare. O perlomeno di provarci. Se vuoi.»

La ragazza riprese il cipiglio scuro e distaccato; lo squadrò e alzò un sopracciglio.

«No. Non voglio proprio più vederti.»

Le parole di lei risuonarono secche e dure; seguì un gelo imbarazzante.

Shikamaru la guardò: nonostante tutta la tenacia e la testardaggine, la ragazza non riusciva a fissarlo negli occhi; era come se non riuscisse ad ammettere a se stessa ciò che aveva appena detto. Il ragazzo sbuffò; era vero, era la seccatura più incredibile della sua vita (e lui non ne aveva affatto poche: sua madre, Ino, Kurenai…), ma a quanto pareva di quella lì non sapeva proprio farne a meno: sebbene avesse provato a liberarsene, ogni volta puntualmente il pensiero andava a lei o alla sua città.

I due s’erano conosciuti per pure caso circa una decina di anni prima alla Gara Nazionale di Giochi Olimpionici delle Scienze, indetta da tutti i licei giapponesi, cui potevano parteciparvi gli alunni più meritevoli nelle discipline scientifiche; e, se Nara Shikamaru era un asso nella matematica, Sabaku No Temari non era affatto di meno in chimica e biologia. Una volta concluso il torneo (con la vittoria della squadra di lui, cosa che aveva causato non poche imprecazioni da parte dell’orgoglio di lei) s’erano scambiati fortuitamente i recapiti; così avevano continuato a tenersi in contatto e, sebbene fossero tanto distanti, a vedersi qualche volta all’anno, finché sei anni prima non avevano capito entrambi che c’era qualcosa in più che semplice rivalità o battibecchi. Era stata dunque lei –lei, la causa di tutti i suoi mali, dei suoi ripensamenti, dei suoi sbuffi e delle sue maledizioni verso la matematica- a proporre quella maledettissima idea, che era parsa come un innocente “be’, a questo punto potremmo pure provare a stare insieme e vedere come va…”. Non l’avesse mai fatto. In poco tempo Shikamaru s’era trovato costretto (con tuttavia un enorme sorriso stampato in faccia) a farsi ogni benedetto mese qualcosa come dodici ore e mezzo di treno fra andata e ritorno per poter stare uno o due giorni con lei.

Tuttavia, Shikamaru Nara era una persona apatica e sommamente indolente (né con gli anni sarebbe cambiato, anzi): si era ben presto stufato di quella situazione, di quel trambusto, di quel continuo muoversi e di dover sottostare agli sguardi severi e scettici dei fratelli di lei; così, quando le cose avevano iniziato a prendere una brutta piega, quando i litigi con lei stavano iniziando ad aumentare, aveva semplicemente lasciato perdere il tutto ed era tornato con tutta tranquillità alla sua banale e scialba vita di tutti i giorni, senza dover rendere conto a nessuno. Così gli era andato benissimo fino a qualche mese prima: si era improvvisamente ed inesorabilmente conto di aver trattato fin troppo male quella seccatura, cui davvero non aveva mai smesso di pensare. E da quel giorno in poi quell’idea aveva iniziato a martellargli la testa: era stato meschino, infido, schifosamente pigro, rozzo… l’aveva tratta malissimo; si sentiva profondamente in colpa… lei non aveva fatto niente per meritarsi tutto quello: ma lui, a causa della sua immaturità e della sua accidia, l’aveva proprio lasciata andare. Tuttavia… ricordava ancora quel suo sguardo, quegli occhi da gatta, quel sorriso che raramente concedeva al mondo intorno a lei, o quelle confidenze che quasi mai si prendeva con qualcuno, se non con lui… egli aveva ripensato moltissimo a tutti quei dettagli, così impressi nella sua memoria; e d’un tratto, improvvisamente, un giorno s’era recato all’agenzia viaggi più vicina a casa sua e aveva prenotato il primo treno disponibile per Kyoto, portando come scusa ai suoi genitori una qualche faccenda universitaria; e così eccolo lì, senza una solida argomentazione da proporre a quella ragazza, senza nemmeno un qualche regalo o un pensiero, ma solamente con tutto –davvero tutto- se stesso.

Aveva rovinato tutto, aveva perso per sempre la fiducia della ragazza…? Lo sguardo di lei era così freddo… Shikamaru rabbrividì ancora, fino a battere i denti; stupida stagione, stupido clima, stupida città…

«Be’, adesso smettiamola con questa farsa. Appena ci libereranno da qui…»

Ma il ragazzo prese a tossire convulsamente, tanto da bloccarla; si rannicchiò su se stesso e continuò, finché non si stese nuovamente sul pavimento. Stava boccheggiando e tremava; lei impallidì.

«T-Temari…» bisbigliò poi, con gli occhi chiusi «credo di avere la febbre.»

*

«Bel medico che sei» si lamentò «davvero complimenti…»

«Si lamenta pure, il signorino» replicò l’altra, asciutta, mentre cercava un qualsiasi medicinale nella sua borsa da dare a quel disgraziato. Gli uomini…

Gli aveva consigliato immediatamente di distendersi e di respirare profondamente, ma sinceramente non sapeva cos’altro poteva suggerirgli: il ragazzo sembrava penare parecchio freddo, ma lei non sapeva dove aveva riposto la solita aspirina che portava sempre con sé. Alzando per l’ennesima volta in quella maledetta serata gli occhi al cielo, si tolse il suo impermeabile asciutto e lo sostituì a quello del ragazzo, che egli usava come coperta, e che era completamente zuppo.

«Ehi!» inveì lui.

«Che vuoi?» domandò l’altra, mentre ricopriva il corpo di lui con il proprio indumento.

«Così tu avrai freddo! Non senti che si gela in questo posto?»

Temari finì l’opera in maniera certosina e guardò il risultato, soddisfatta: ogni centimetro del corpo del ragazzo dalle ginocchia in su era coperto con un indumento asciutto.

«Nah, si sta benissimo» replicò lei, alquanto incurante della conversazione, mentre distendeva a parte il cappotto bagnato del ragazzo per cercare di asciugarlo.

Passò qualche minuto in silenzio; Shikamaru la guardava mentre era intenta nel proprio compito.

«Oh, già» borbottò dopo un po’ «a te piace il freddo.»

Non era una domanda: era proprio un’affermazione. Temari stranamente sorrise un poco, per poi replicare con lo stesso tono di lui:

«Già, e tu l’hai sempre odiato.»

Era come se entrambi asserissero qualcosa di estremamente noto, e d’altra parte era quasi scontato che l’uno sapesse dell’altra quel particolare (ad un occhio esterno probabilmente insignificante) lasciato da parte in qualche posto della memoria, e solamente ora tornato a galla.

«Oh, sì» continuò lui. «E’ qualcosa di estremamente seccante. Ti costringe a coprirti, a vestirti a strati, a mettere robe ingombranti e pesanti, e a limitarti nei movimenti, a sentire caldo non appena ti muovi… e poi sono stagioni così tristi, quelle invernali. Non posso guardare le mie adorate nuvole su un prato, fa buio presto, devi tornare al lavoro, non puoi più oziare… Si ritorna alla vita di tutti i giorni, in un certo senso.»

«Non capisci proprio niente» lo ammonì lei, boriosa «il caldo è soffocante. Come ti muovi, sudi; interi pomeriggi ti spinge a rimanere a letto a non far niente… e io odio l’immobilità, ma appena esci inizi a sudare, e sudare, e non ne puoi più. Il freddo ti prende, ti avvolge, ti conforta… e basta solo coprirsi un po’ di più, qui la temperatura non arriva mai a livelli troppo bassi; invece contro il caldo, dopo un po’, non puoi più spogliarti, sai com’è…»

«Ti fai un tuffo a mare o in piscina» osservò l’altro, per poi starnutire sonoramente. «E sicuramente d’estate non ci si becca la febbre!»

«No, la febbre no, ma insolazioni o bruciature alla pelle sì. E quelle, mio caro, sono molto più gravi.» replicò l’altra, con un sopracciglio alzato e l’aria superba di chi sapeva perfettamente di avere ragione.

Shikamaru rimuginò, mordicchiandosi il labbro inferiore; ma che diamine, quella dannata doveva avere sempre l’ultima parola… che seccatura. Tutto ciò gli ricordava estremamente bene le scene tipiche che si erano ripetute sei anni prima: ore e ore a litigare, a tenersi il muso, a cercare di lottare per guadagnarsi l’ultima parola in un conflitto verbale, e poi era tutto come prima, come se non fosse successo niente… Egli definiva tutto ciò un’enorme e rognosa seccatura: ma era anche vero che aveva deciso liberamente e volontariamente di ritornare a quelle vecchie ma meravigliose abitudini.

La verità, ragionò il ragazzo infine, guardando l’altra di sottecchi mentre quest’ultima lo fissava con lo sguardo glorioso di colei che ha vinto, era che probabilmente non era riuscito proprio a farne a meno… di lei, del suo atteggiamento, della sua iperattività (che a volte Nara definiva patologica)… del suo sguardo, del suo corpo un po’ rotondo in alcune parti, ma per lui semplicemente bello… del suo sorriso… della sua freddezza… e del –

«Mbè? Nessuna ultima parola, Ingegner Nara?»

Il ragazzo sobbalzò: s’era perso nei suoi pensieri. Distolse lo sguardo da lei e improvvisò.

«Mi fa male la testa e vaneggio, medico da strapazzo» mugugnò, sistemandosi sullo scomodo pavimento. «E qui dentro si gela, ripeto.» E completò tutto con un esorbitante starnuto.

Lei esalò un potente e pesante respiro; prese nuovamente la borsa in mano per controllare in modo definitivo un qualsiasi medicinale che tenesse quello là buono e muto.

«Ed ecco a voi il “sesso forte”» disse, scontrosa, mentre riponeva tutti i suoi affetti fuori dalla sacca «…Incapaci di distinguere fra un raffreddore e una malattia terminale. Ah! Noi donne invece, con o senza influenza, dobbiamo continuare tranquillamente la nostra vita! Hai chiamato il notaio per il testamento, sì?»

Shikamaru neanche la stava a sentire; la ragazza aveva appena colpito (per un purissimo caso) la testa di lui con il portafoglio appena estratto, che rimbalzò e si fermò vicino al suo orecchio. Bofonchiando contro di lei per il dolore (era la terza volta in nemmeno dodici ore che gli faceva seriamente male), provò tuttavia un’insolita curiosità, deformazione che lo affliggeva assai poco raramente: lo prese in mano e lo aprì, non visto. Nel frattempo, Temari aveva svuotato totalmente la borsa e ancora rifletteva su dove –

«Ma quanta roba hai in quella cosa?!» esclamò lui, notando la quantità di taccuini e penne che ella aveva con sé, e stimando l’inutilità dell’ombrello, del deodorante o di quel tomo di medicina. «Le donne… a noi uomini basta una tasca per il portafoglio…» rimbeccò, come risposta alla provocazione di prima.

«Certo, perché avete sempre con voi qualcuna che ha con sé tutto ciò che vi serve…» puntualizzò lei allora, quasi automaticamente e senza pensarci, mentre ancora perlustrava la sacca. «Infatti, sto cercando una dannata aspirina per la tua testa di cavolo, altrimenti non te la smetti di frignare, crybaby, e mi muori qui davanti.»

Ma lui ancora stava guardando tutto il contenuto della borsa rovesciato a terra; schioccò fintamente la lingua sul palato, sbadigliò, starnutì ancora e si stiracchiò; e così, non visto, diede un’occhiata più approfondita al portafoglio di Temari, mentre lei ancora cercava… e notò qualcosa di interessante, che tuttavia confermava platealmente ciò che aveva pensato finora. Sorrise.

«Eccola!» esclamò poi lei. «Stupide tasche laterali…»

Prese una boccetta trasparente, ricolma di piccole pastiglie bianche, la stappò e la diede al ragazzo con un’espressione di vittoria.

«Prendi questa, non c’è bisogno che usi acqua o niente, devi solo scioglierla in bocca.» sciorinò con aria esperta. «Ma sbrigati! Prima che muori!» E qui sorrise, orgogliosa, con un sopracciglio alzato.

Shikamaru fece un mezzo sorriso –a metà fra il consenso per ciò che ella diceva e il fastidio per ciò che la sua virilità doveva ancora subire– e avvicinò la mano a quella di lei; il contatto fra le loro dita fu velocissimo ed effimero, ma bastò ad innervosirli entrambi; per sviare la tensione, lei sbadigliò.

«Senti, secondo me dovremmo dormire un po’… sono le quattro del mattino, non usciremo da qui per molto.» propose, guardandolo di sfuggita con occhi pieni di sonno. «Prenditi questa roba e dormiamo, così vediamo se ti passa la tua incurabile malattia o se fai testamento» concluse poi, con un leggero sorriso sarcastico.

Shikamaru annuì, e sbadigliò a sua volta. S’accomodò meglio e offrì la sua sottospecie di coperta alla ragazza, che rifiutò, orgogliosa; sbuffò, seccato, e alzò gli occhi al cielo. Si portò infine la pasticca vicino alle labbra, aprì la bocca e…

«…Non è avvelenata, vero?» borbottò.

Lei di tutta risposta gli lanciò un’occhiataccia che gli fece sentire ancor più freddo di quanto già non ne stesse patendo.

*

Si svegliarono qualche ora più tardi; Shikamaru stava ancora rabbrividendo. Lei lo guardò, un po’ tesa; aveva ancora gli occhi pieni di sonno, e le faceva evidentemente male la schiena per la scomoda posizione in cui aveva sonnecchiato; ma come diavolo riuscisse a non patire minimamente quel freddo, per il ragazzo era un mistero.

«Mbè? Va meglio?» chiese Temari.

Lui aprì gli occhi: la luce al neon dell’ascensore gli dava molto fastidio.

«Mmh… più o meno, eh.» borbottò.

La guardò: era seduta leggermente più vicino a lui, e il suo sguardo nei confronti delle sue condizioni non era preoccupato, ma neanche indifferente o freddo; forse, forse, Shikamaru aveva scorto l’ombra di una certa remora che esprimeva in qualche modo un senso di colpa… evidentemente, farlo girare per tutta Kyoto senza né ombrelli né qualcosa di più pesante di una sciarpa non era stata proprio una buona idea, per un medico poi… Il ragazzo si soffermò ancora una volta a pensare sullo strano carattere di Temari. Con estranei, ella era distaccata, impassibile, a volte perfino spietata: insomma, era proprio fredda. Tuttavia, bastava entrarci in confidenza perché lei smorzasse quel caratterino spigoloso e perché si scoprisse come era davvero fatta: si prendeva veramente a cuore delle persone a lei care, partendo dai suoi fratelli (gli unici componenti rimasti della sua famiglia, e ai quali lei era legatissima) e finendo ai suoi amici. Inoltre, aveva una lingua affilata, doveva avere sempre l’ultima parola, era orgogliosa, testarda, cocciuta, impertinente, sfacciata, tosta… ma aveva uno strano modo di comportarsi: a parole era menefreghista e indifferente, ma nei fatti era tutt’altro. Bastava quello sciocco esempio per capirlo: sebbene ce l’avesse (giustamente) con lui per ciò che egli aveva compiuto anni prima, non s’era data problemi a cercare di metterlo in qualche modo a suo agio e di fargli passare quella straziante emicrania.

Adesso erano entrambi zitti: lei guardava ovunque, soffermandosi tuttavia di tanto in tanto sul volto di lui, per poi distogliere subito lo sguardo… Shikamaru sorrise. Tutto ciò faceva perfettamente parte di ciò che aveva pensato: Temari si stava a poco a poco letteralmente scaldando… E lui avrebbe colto al balzo questo piccolo spiraglio in quella maestosa finestra, che dava su un cielo così ampio…

«…Ehm, grazie.» borbottò, burbero.

Lei fu come offesa da questa parola: alzò ancora il tanto famoso sopracciglio.

«Ehi, io sono un medico. Ho pronunciato un Giuramento, e ci tengo a metterlo in atto. Nessun “grazie”, quindi. E non certo da te

Shikamaru sbuffò… tutto ciò era decisamente prevedibile.

«Quindi, cosa dovrei dirti?» borbottò.

«Dovresti stare zitto e farti passare questo banalissimo raffreddore, per poi aspettare o che qualche anima pia ci tolga da questo posto infernale andando giù alla cabina dei comandi o che qualcuno decida di spingere il bottone e far partire questo benedetto coso.» disse lei.

«…E porre fine a questo divertimento? No grazie» replicò Nara, sbadigliando ancora, e ancora starnutendo.

«Sì, un divertimento proprio, eh…» disse infine lei, avvicinando le ginocchia al volto e abbracciandosele con le mani.

Sembrava come se stesse aspettando qualcosa… Shikamaru sospirò, per poi grattarsi l’ampia fronte. Sebbene controvoglia, avrebbe dovuto fare ciò che doveva fare da tempo: comportarsi da uomo. Non era più un ragazzino: aveva ventiquattro anni, lavorava, e s’era sorbito sei ore di treno quella mattina (che adesso sembrava tanto lontana) solo per poter parlare con quella ragazza… non poteva demordere ora. Inoltre, obiettivamente e inequivocabilmente era in torto lui: l’aveva fatta soffrire, e parecchio, e adesso doveva rimediare al danno, sebbene fosse un compito veramente intricato e complesso… tutto ciò era accaduto solamente per la sua immaturità di tanto tempo prima: aveva fatto del male a se stesso a lei. Ma come diavolo aveva potut–?

«Shikamaru, che cosa sei venuto a fare qui?»

Egli sorrise. Temari, la sua Temari, impossibile, cocciuta, tosta… aveva appena trovato il modo di sorprenderlo. Una domanda così a bruciapelo non era davvero stata presa in considerazione dal suo perfetto cervello; e questo non fece che aumentare la stima che aveva per lei.

«Io non lo so. Ma tu, eh, credo di sì.»

E ancora una volta…

«Che cazzo di risposte dai! Dammi una risposta sincera, anche brutale, e fallo ora… perché non sto capendo più niente!» esclamò.

Sembrava estremamente onesta: s’era girata di scatto e adesso i suoi occhi chiari dardeggiavano, mentre lo osservava. Era impaziente. Lui sospirò.

«Te l’ho già detto prima. Sono venuto a chiederti scusa… e a chiederti di ricominciare, in qualche modo.»

Lei aveva già sentito queste parole, qualche ora prima; ma era come se volesse risentirle. Passò qualche minuto nel più completo silenzio.

«Perché hai mollato tutto, sei anni fa? Perché? E perché in quel modo, dopo tanto tempo?»

Lui sbuffò. E si fece coraggio.

«Temari… ora, ti dirò queste cose una sola volta. Non usciranno mai da questo trabiccolo e soprattutto non te le dirò mai più, anzi, probabilmente me le rimangerò e negherò fino alla morte di aver detto una roba del genere. Ok?» iniziò lui, mettendosi a sedere, così da avere la ragazza davanti, diminuendo la distanza fra loro. «…Gli uomini sono stupidi. E’ assolutamente vero. E sono paurosi. Appena vedono un qualcosa, qualsiasi cosa, di attraente, di bello, ma impegnativo e –per dirla con parole mie- seccante, ci provano, ci prendono gusto, ma poi lasciano proprio perdere. Siamo infantili fino ai trent’anni, praticamente, e insensibili per la maggior parte della nostra vita. Così è la grande maggioranza di noi, e io non faccio minimamente eccezione…»

«Tu lo sai» lo interruppe bruscamente lei «che a me questi discorsi sessisti stanno veramente tanto sulle palle e…»

La bloccò con un gesto secco delle mani, e lei, per quella che con tutta probabilità era la prima volta in vita sua, s’azzittì.

«Fammi finire. Quando eravamo insieme io avevo diciotto anni, e tu ventuno. Ora, già normalmente una ragazza a quell’età è molto più matura di un ragazzo… io stavo bene con te, e tu lo sai. Però… la distanza, il fatto che non potessimo uscire sempre, e i tuoi fratelli che –be’- ce l’avevano a morte con me… dopo un po’ hanno iniziato a pesare. Ero un ragazzino all’epoca, lo dico senza problemi… io ti volevo bene, sì, però… beh, fatto sta che in questi anni sono cambiate molte cose. Cose che mi hanno fatto ragionare, insomma… non mi sono comportato bene, e sono qui a chiederti scusa.» Sbuffò e distese il collo, fino a guardare in alto, con la sua solita flemma e il suo modo di fare molto riflessivo. Una volta iniziato, era tutto più semplice; e, sebbene lui fosse maledettamente orgoglioso, tutto ciò andava fatto. «E’ arrivato il tempo che io mi comporti da uomo, Temari. E così, eccomi qui.»

Lei sembrava a metà fra l’incredulo e l’arrabbiato: non voleva dargliela vinta tanto facilmente, ma bisognava ammettere che da un tipo come Shikamaru Nara tutto questo discorso non se lo sarebbe mai aspettato. Ma era passato tanto tempo… chissà, magari

Tergiversò ancora; sebbene ciò non fosse nella sua indole –lei era solita, come si dice, “prendere il toro per le corna”- era sinceramente interessata a tutto ciò che era accaduto in quel tempo.

«E… che cosa è accaduto, che ti ha fatto maturare così tanto?» chiese.

Il ragazzo mantenne quella posizione così rozza e svogliata tanto tipica di lui, con la testa reclinata all’indietro, appoggiata alla parete, gli occhi chiusi e le gambe aperte; stringeva ancora il cappotto di lei.

«E’ morto Asuma.» disse lui dopo un po’.

Lei rimase profondamente impressionata; sapeva bene quanto il suo professore liceale (che egli considerava quasi un maestro di vita) fosse stato importante per lui.

«E… com’è successo?» chiese ancora, con una strana cautela. Shikamaru la guardò da quella strana posizione per un attimo; e poi raccontò. Parlò per moltissimo tempo: le ricordò il rapporto che aveva sempre avuto con lui, e di come Asuma fosse stato praticamente un padre (cose che lei già sapeva, ma che si sentì nuovamente raccontare); le parlò di come era morto, ucciso da alcuni ricattatori perché non s’era piegato ad un affare di droga, e di come avesse assistito alla sua scomparsa; spiegò le reazioni di Ino, di Choji, di lui, della sua famiglia e di tutti gli altri amici; e le raccontò di Kurenai e del fatto che oramai tre anni prima fosse nato suo figlio, cui avrebbe fatto da padrino. Temari lo guardava, in qualche modo ammirandolo, mentre parlava; s’era fatta più vicina, ogni tanto capitava che lo guardasse con quegli occhi da gatta… e, Shikamaru sbagliava ancora, o sentiva davvero più caldo…? L’atmosfera si stava via via facendo più rilassante, più tranquilla… più calda, più bella… ma no, era la sua medicina che faceva effetto, sì, che sciocco…

Appena ebbe finito, si scrutarono; Shikamaru sospirò.

«E’ stato il mio maestro… e tu lo sai bene. Tutto questo mi ha aiutato a crescere… in qualche modo. Non siamo più ragazzini, prima o poi dovrò essere io la guida di quel bambino come Asuma lo è stato per me. Così è.» sentenziò.

Lei lo guardò.

«Mi hai fatto molto male, sai.» ammise, cambiando discorso, e rivolgendo la vista altrove.

Lui s’alzò completamente e le andò vicino… faceva caldo, oramai.

«Ho fatto del male anche a me. Ma sono qui, ti ripeto, per rimediare. Nessuno sa che sono qui… ho preso il primo treno che partisse da Sendai e sono arrivato. Avevo visto i tuoi orari di uscita dall’università sul sito internet della tua facoltà, mi sono appostato lì davanti a mezzogiorno…»

Lei strabuzzò gli occhi.

«Tu sei stato lì davanti da mezzogiorno alle cinque di pomeriggio?!» domandò. Sembrava esterrefatta: Shikamaru sorrise… aveva ottenuto ciò che sperava.

«Eh.» disse solo.

Era così tipico di Shikamaru fare ciò che aveva fatto –ovvero, minimizzare gli enormi sacrifici e sforzi che gli era costata quella folle idea- che lei non se ne stupì; tuttavia, come al solito, ne rimase impressionata. Aveva dato un calcio alla sua patologica pigrizia, aveva fatto quella bizzarra messinscena, s’era umiliato tanto da chiederle scusa più e più volte (per carità, era totalmente e inequivocabilmente colpa sua, ma tanta devozione era comunque ammirevole), l’aveva seguita ovunque, si era fatto malmenare, si era ammalato… e tutto questo, solo per lei. E ancora sminuiva tutto, parlandone come se fosse una cosa normale. D’altra parte, lui era davvero il tipo, un po’ come lei, che dava più importanza ai fatti che alle parole… lo conosceva bene oramai.

«Tu sei pazzo. Tu sei veramente pezzo. Altro che “genio informatico di Sendai”, eh.»

«Può darsi» ammise. «Ma lo sarò ancora di più se tu non accetterai le mie profonde scuse.»

S’erano ancora più avvicinati: i loro visi si toccavano quasi. Si guardarono negli occhi: lei sorrise, furba.

«Ma devono essere davvero molto profonde…» bisbigliò, a un soffio dalle labbra di lui.

«Be’, posso sempre dimostrartelo…»

«Mpf. Non avevi freddo, tu…? E se mi passi qualche batterio…?» borbottò poi, ridacchiando. Ma Shikamaru si stava sempre più avvicinando: si stavano proprio per…

Tlung.

Tlang

Si sentirono trasportare verso il basso: evidentemente, qualcuno aveva azionato l’ascensore. Temari s’alzò e sbadigliò sonoramente: si guardò poi allo specchio.

«Ma che diavolo di ore sono?!» borbottò poi, quasi arrabbiata, come se nulla di strano fosse successo negli ultimi trenta secondi.

«Le otto.» disse l’altro, alzatosi a sua volta, con un umore tuttavia molto meno vivace di quello della ragazza.

«Merda, devo andare a lezione…» disse lei; prese la borsa e si stiracchiò leggermente.

Arrivarono al piano di destinazione: un signore distinto, in giacca e cravatta, aprì la porta, e fu abbastanza incuriosito dal vedere due ragazzi sbadiglianti e sonnolenti che ne uscivano.

«Buongiorno» bofonchiò la ragazza, per poi prendere Shikamaru –che era intento per qualche strana ragione a fissare male l’uomo - per una manica e farlo uscire. L’altro li guardò, per poi mugugnare qualcosa circa le stravaganze dei giovani odierni ed entrare nell’abitacolo. I due presero le scale e scesero fino al piano terra; si fermarono nuovamente di fronte alla cabina dell’ascensore. Erano di nuovo soli; Temari mise il proprio cappotto nella borsa, e diede l’altro quasi asciutto al ragazzo.

«Senti, io devo assolutamente andare a lezione, e tu dovrai prendere il treno, immagino…» borbottò lei. «Ti accompagno e vad– »

Ma, in barba a tutta questa formalità espressa da lei –formalità probabilmente dovuta all’imbarazzo, che ogni tanto perfino Sabaku No Temari provava–, lui sorrise, s’avvicinò del tutto e le passò un braccio intorno alle spalle: era molto più alto di lei, e questo le permise di appoggiare la sua testa al petto di lui. In questo modo, la zittì; aprirono insieme il portone ed uscirono all’aria aperta, camminando in silenzio. Faceva molto più caldo rispetto al giorno prima: sebbene non fossero che le otto e mezza di mattina, il sole già splendeva in cielo.

«Be’, Tem… potevi anche non escogitare tutta quella messinscena, eh.» disse Shikamaru, dopo un po’ che camminavano.

La diretta interessata non negò né fece minimamente finta di non aver capito: era come se sapesse benissimo che lui avesse dedotto tutto. D’altra parte, non era certo un ragazzo dall’intelligenza qualunque…

«Oh, è stato divertente…» si giustificò, ridendo.

«Fino a un certo punto. Mi sono veramente gelato lì dentro…» disse il ragazzo, per poi starnutire ancora.

Lei alzò la testa dal suo petto e lo guardò negli occhi.

«…Ma come hai fatto a capirlo?» chiese, sospettosa. Lui sbuffò e si sgranchì le ossa.

«Oh, andiamo. Tu eri vicino alla tastiera mentre l’ascensore s’è bloccato… e poi ho visto che armeggiavi col cellulare prima che entrassimo. Avrai mandato un messaggio ai tuoi fratelli dicendo che dormivi da qualche tua amica per festeggiare l’esame… altrimenti i cari Kankuro e Gaara ti avrebbero come minimo cercato in tutto il Giappone, se non eri ancora rientrata a casa. Sei così prevedibile, seccatura…»

Temari era a metà fra il soddisfatto (per avere un ragazzo, o -insomma- una conoscenza a lei così tanto vicina, tanto intelligente) e l’offeso (per essere stata amabilmente scoperta in maniera così plateale). Evidentemente però poi prevalse il primo stato d’animo, tant’è che commentò:

«O forse oramai mi conosci benissimo…»

Lui la guardò: rideva ancora.

«Probabilmente…»

Continuarono la mattinata così, a rimbeccarsi, a provocarsi, a stringersi l’un l’altra. Il vento spirava: in un elegante e curioso modo, modellava il tragitto delle foglie e la forma delle chiome degli alberi; creava un insolito rumore, rilassante e forte al tempo stesso; modificava le nuvole, allungandole, comprimendole, cambiandogli forma; e soffiava sulle gote dei ragazzi. Era un vento freddo, solitario, ma in qualche modo confortante… Shikamaru arrise.

«Be’, ci vediamo, seccatura.» disse infine, davanti all’entrata principale della stazione; frugò nella tasca. «E… questo è per te.»

Le diede un fiore… lo stesso meraviglioso fiore che lei teneva appassito nel suo portafoglio, da quasi sei anni.

Una rosa del deserto.

«Così potrai cambiarlo con quell’altro, sai» disse, burbero, grattandosi il capo. «L’ho preso ieri mattina, ma, ehm, non ho trovato il momento più adatto per…»

Ma lei non volle sentire altro: si buttò (letteralmente, si buttò) sopra di lui e lo baciò in piena bocca, passionale, estrema, irruente, focosa, entusiasta, calda… Lui per qualche secondo non riuscì a ragionare: era intontito dal mal di testa, dal sonno, da lei, dal suo profumo, dal suo corpo, dalle sue braccia avvinghiate contro di lui… ma poi evidentemente riuscì a realizzare quel che stava accadendo, tant’è che la sollevò da terra, raggiante, e i due rimasero così per qualche minuto, finché non ebbero letteralmente più fiato.

«E vedi di ritornare, il mese prossimo» disse infine lei, quasi boccheggiando, qualche minuto dopo, soddisfatta del proprio lavoro. Lui sembrava su un altro pianeta: aveva un’aria sinistra e quasi folle, con lo sguardo fisso davanti a sé, i capelli arruffati e il fiato pesante. Solo qualche minuto dopo parve svegliarsi da quella specie di coma; riprese le minime attività vitali, sbadigliò, sorrise, alzò un braccio per salutarla e semplicemente si voltò, con l’andatura lenta e strascicata.

La ragazza lo osservò andare via, con uno strano nodo all’altezza della gola; e, quando era evidente che il ragazzo non c’era più, si girò, fece qualche passo, si voltò e sorrise ancora.

Alla fin fine, Shikamaru Nara da quel giorno in poi non riuscì più ad odiare così tanto l’autunno; scoprì che la malinconia che sopraggiungeva la sera ben contrastava con il suo carattere abulico e pigro, portandolo ad una vaga riflessione sulla natura mentre le foglie cadute dagli alberi danzavano; capì che quel freddo pungente che colorava le guancie di lei, ogni volta che l’andava a trovare, le rendeva più vivide e belle; e, soprattutto, imparò che il freddo poteva essere un ottimo rimedio a una giornata terribilmente noiosa e seccante, specie se poi ci si scaldava in un ascensore o in una piccola stanza piena di strani fiori dalla forma astrusa.















Fine











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All I want for Christmas is Black

All I want for Christmas is Black

Secondo capitolo postato alla velocità della luce u.u Sono stata bravissima, dai!

Ringrazio TANTISSIMO tutti coloro che hanno commentato: mi avete proprio tirato su il morale. Grazie, grazie, grazie *_________* Ho risposto, lo farò anche per eventuali –e GRADITISSIME!- altre recensioni!

Oh, questo capitolo è per il giorno ventitrè del All I want for Christmas is black” (sempre del forum The black parade!)… dal momento che oggi dovevo postare un’altra fanfic, ma non ho avuto veramente tempo, ho postato sto secondo capitolo xD In verità mi dispiace abbastanza, avrei veramente voluto fare qualcosa di natalizio, ma non mi è venuto veramente niente in mente. T__T Così ora devo postare entro mezzanotte e sono le ventitrè e cinquantasette XD Uao! Correggo la fanfic dopo aver postato, tanto ci saranno una miriade di errori =_=

Cooomunque! Tanti volevano sapere cosa aveva fatto quello *sciagurato* di Shikamaru. Sì, è un idiota ^_^ un totale idiota. Volevo appuntare una cosa: lo Shikamaru diciassettenne (che lascia Temari dopo un bel po’ di tempo che stanno insieme) è molto diverso dallo Shikamaru coetaneo del manga… quest’ultimo è molto più maturo perché, be’, è un ninja. E i ninja per forza di cose sono più maturi rispetto a un coetaneo “normale” xD Chi mai a dodici anni ha rischiato la vita tante volte? ^^” Insomma, ho cercato di adattare lo Shikamaru del manga ai tempi moderni: è plausibilissimo che un ragazzo di diciassette/diciotto anni non abbia voglia di stare tanto tempo con una ragazza con cui sta magari pure tanto bene, ma che è distante e blabla, no? Non è cattivo o bastardo, è semplicemente un ragazzo. Perciò, l’ho reso un po’ più “umano”, ecco. Ovviamente la versione “ventiquattrenne” corrisponde alla versione “post-Asuma” del manga, insomma^^.

Spero davvero la fanfic vi sia piaciuta! Commentate, magari, se vi va. *si inchina*

Un buon Natale a tutti *____________* Alla prossima –presto, molto presto. Su Harry Potter, la prima dopo, uhm, tre anni? Già scritta e fatta, devo solo aspettare che me la valutino per un concorso xD

Clahp

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