Un'operazione sotto copertura.

di Luli87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un insolito incarico ***
Capitolo 2: *** Informazioni e preparativi. ***
Capitolo 3: *** Pronti ad iniziare ***
Capitolo 4: *** L'incontro ***
Capitolo 5: *** Alta tensione ***
Capitolo 6: *** Sergei ***
Capitolo 7: *** Lo scontro ***
Capitolo 8: *** La fine ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un insolito incarico ***


Capitolo 1. Un insolito incarico.

Non era giornata. La sveglia era stato il suono del cellulare alle 4.30 di mattina: un omicidio fuori da una discoteca, troppi testimoni ubriachi ed erano tutti ragazzi strafatti dopo chissà quanti bicchieri di troppo. Come se non bastasse, ecco una lite tra prepotenti da placare, la sua auto tamponata da un ubriaco al volante nella strada verso il distretto e il suo caffè rovesciato sulla sua giacca blu. Perfetto!
Le 7 di mattina, il dipartimento iniziò a riempirsi. Kate, che era andata a cambiarsi con dei vestiti che lascia sempre nel suo armadietto per ogni evenienza, entrò in ufficio: aveva gli occhi stanchi e le faceva mal la testa. Nel vedere Castle sveglio e contento, già in ufficio e bello comodo sulla sua sedia, alzò la voce: “Castle, scendi dalla mia sedia! Non ti sei ancora stancato di sentirmelo dire?” Castle rapidissimo scese dalla sedia di Kate, che aggiunse, guardando l’orologio: “Ma tu che ci fai qui a quest’ora? Sono le 7 del mattino, torna a dormire, la città dormirà almeno per un altro paio d’ore oggi. O almeno è quello che vorrei che facesse.” Lo scrittore però rispose sorridendo: “Detective, la città in questi giorni non dorme! Siamo al 23  Dicembre, tra un paio di giorni è Natale! Ci sarà tempo per dormire, ma adesso è tempo di regali e la gente deve pensare agli ultimi preparativi!” Castle le porse un caffè, appena preparato alla macchinetta, e guardandosi intorno vide che il distretto non era addobbato per Natale. “Ehi, Beckett, perché qui sembra un giorno qualunque? Siamo a Natale, non dovrebbero esserci decorazioni ad ogni scrivania e magari un albero?” Kate lo guardò storta “No Castle, devi sapere che per la polizia è un giorno come tutti gli altri. Gli omicidi non si interrompono solo perché è Natale.” Castle annuì serio. Non poteva darle torto, non con quell’espressione che la detective aveva quella mattina. Così decise di cambiare discorso, di metterla più sul divertente: “Che è successo, dormito male stanotte?” chiese, spostando la sua sedia più vicina a quella della detective. D’un tratto vide la macchia sulla giacca: “Ahi, questa? Fammi indovinare: siamo inciampate sul marciapiede? Un Babbo Natale arrabbiato ti ha minacciato con il campanello?” Kate, che di scherzare proprio non ne aveva voglia, sbuffò. Per fortuna li distrasse il suono del telefono: “Beckett.” E Castle sussurrò: “Sì, un omicidio! Lo prendo come un regalo, magari mi ispirerà una storia fantastica per il prossimo romanzo! Oggi non avevo proprio voglia di incollarmi alla scrivania… mi serve giusto un po’ di ispirazione!” Al telefono era il capitano Montgomery, che invitò Beckett nel suo ufficio da sola, così si alzò e lasciò Castle intento a giocare con una matita: “Dove vai?” chiese. “Ad archiviare un caso con il capitano.” Mentì Beckett. “Stai pure qui, torno subito. Non si sa mai che chiami qualcuno di importante, puoi sempre far finta di essere il mio segretario. Vedila come una promozione! Ma non sederti sulla mia sedia!”
Esposito e Ryan arrivarono pochi secondi dopo. Appena videro Castle seduto alla scrivania di Beckett, lo raggiunsero. “Ehi, dov’è Beckett?” chiese Ryan.
“Dal capitano”
“Ti hanno lasciato qui? Cos’hai fatto di male?”
“Non lo so, magari parlano del mio regalo per Natale, voi che dite?”
“Dico che quando il capitano chiama Beckett nel suo ufficio da sola si tratta di qualcosa di molto più importante del tuo regalo di Natale, senza offesa Castle.”
“Importante quanto?”
“Qualcosa di grave” rispose Esposito preoccupato, nel vedere l’espressione di Kate uscire dall’ufficio di Montgomery, seguita da un uomo alto, vestito con una tuta sciatta, con una cicatrice sul volto; si strinsero la mano, e l’uomo se ne andò.
 
Beckett fece un cenno ad Esposito che, con Ryan, si diresse a sua volta nell’ufficio del capitano. Kate si sedette alla scrivania, incrociò le mani davanti al viso e vi poggiò il mento, pensierosa. Castle la osservava curioso ma allo stesso tempo preoccupato. “Posso sapere cos’è successo?” chiese infatti dopo pochi secondi.
“Castle, quello che sto per dirti è una cosa molto importante e in quanto scrittore mi devi giurare che non ne farai parola con nessuno. E in quanto mio partner, non sei obbligato a restare per questo caso, anzi, ti pregherei per un po’ di stare a casa, con Alexis, tua madre e i tuoi libri. Non voglio colpi di testa di nessun tipo, sono stata chiara?”
“Sarò muto come un pesce, dimmi di cosa si tratta.”
Kate si alzò e condusse Castle in un ufficio vuoto. Chiuse la porta.
“Castle, è stato scoperto un giro di prostituzione. Donne che vengono rapite, vendute e costrette a prostituirsi. Stiamo parlando di donne di ogni età, anche minorenni.”
“E questo c’entra con la omicidi?”
“Una di queste ragazze è stata uccisa due giorni fa. L’hanno gettata da una finestra dal quarto piano di un motel. Aveva 16 anni.” Kate tirò fuori da una cartellina una foto. Una ragazzina pallida, gli occhi spalancati, un vestitino e un trucco decisamente poco adatti alla sua età.
“Oh mio Dio.” Castle dovette sedersi. Che scena orribile si aprì nei suoi pensieri.
“L’uomo con cui ho parlato è un agente dell’FBI sotto copertura, l’agente Green Thomas. Sa molte cose Castle. Il capitano ha parlato con l’FBI. Come sai abbiamo molte conoscenze lì e mi vogliono per questo caso.”
Rick la guardò serio: “Arriva al dunque”
“Vogliono che io partecipi alle indagini. Il piano è che io mi finga una ragazza russa venuta in America in cerca di lavoro: vogliono trovare questi bastardi. Sanno che l’organizzazione è gestita da russi. L’agente che hai visto prima è in grado di farmi arrivare nel giro, se il loro capo mi vorrà mi prenderanno e una volta dentro scopriremo il loro quartier generale e, se avremo successo, li arresteremo tutti.”
Castle perse il controllo: “Kate stiamo scherzando vero?! Non puoi accettare! Ci sono tanti agenti nell’FBI, tante poliziotte ben addestrate, perché tu?”
“Sono addestrata anch’io Castle e come sai parlo anche russo.”
Castle si portò una mano alla testa e si tirò indietro i capelli. Era sconvolto, tremava. “No, andiamo Kate, non puoi accettare questo lavoro.” Disse camminando in continuazione, agitato. “Scopriamo chi ha ucciso la ragazza, da detective della omicidi, che è quello che sei. Ma fermiamoci all’omicidio, non facciamo pazzie.”
“Non si tratta di fare una pazzia Castle: stiamo parlando di decine, forse centinaia di ragazze imprigionate in quel mondo da quei bastardi. Vogliamo liberarle. L’FBI gli sta addosso da mesi, ma non erano mai arrivati qui a New York. Hanno molti agenti, è vero, ma non so come hanno scelto me. E ho già accettato.”
“Kate ti prego, hai idea di quant’è pericoloso? Sei una detective straordinaria e questo non lo devi dimostrare, lo sanno già tutti. Ma questo è troppo pericoloso, anche per te!”
“Castle…” Kate intuì la preoccupazione di Castle per lei, per la sua sicurezza, per la sua vita, ma il suo lavoro non era mai sicuro, si sa, i poliziotti si espongono spesso, si trovano sempre in situazioni in cui si rischia grosso. Lei sapeva di poterlo fare, e voleva farlo. Rischiare la vita per salvare ragazze o donne intrappolate nel tunnel della prostituzione? Se la sentiva. “Castle, so che sei preoccupato, lo sono anch’io. Ma sono brava, sono addestrata, non saranno questi bastardi a fermarmi. So difendermi, sarà un incarico veloce. Avrò una cimice, sarò sempre sorvegliata, sapranno sempre dove sarò e sentiranno tutto tramite un microfono. Esposito sarà sempre a pochi metri da me, possiamo farcela. Sarà un lavoro difficile ma speriamo rapido. Una volta che sapremo dov’è il quartiere generale, dove si nasconde il capo dell’organizzazione, li incastreremo tutti.”
Castle le si avvicinò, con lo sguardo basso, terribilmente sconvolto al pensiero “Non chiedo mai regali di Natale Kate, ma farò un’eccezione. Non farlo, ti prego, non farlo, fallo per me. Voglio saperti al sicuro.”
“Non sono mai al sicuro Castle. Se ricordi bene hanno fatto saltare il mio appartamento. Non sono mai al sicuro.”
“Non interrompermi. Lo so che rischi la vita tutti i giorni. Ma qui si parla di esporti completamente, senza una pistola, senza nessuno che ti copra le spalle.”
“Posso farcela. E non sarò da sola Castle.”
“Non avresti dovuto accettare.”
“Castle, ti prometto che una volta chiuso il caso ti regalerò qualcosa di bello per Natale. Ma questo lavoro… devo farlo.”
“Allora voglio restare qui e partecipare anch’io alle indagini. Qualcosa potrò fare anch’io, no?”
“Meglio che tu resti a casa per un po’.”
Castle le si avvicinò di un altro passo e le prese la mano. Kate la ritrasse subito e, appena i loro sguardi si incrociarono per un eterno secondo, Kate capì che non poteva restare lì ancora o avrebbe dovuto confessare le sue paure. E se qualcosa fosse andato storto? E se non si fossero visti più? Poteva davvero chiudere così la conversazione con Castle, non avere più la possibilità di confessargli i suoi sentimenti? Sì, doveva farlo, doveva chiudere lì la conversazione. Confessarsi a lui avrebbe reso tutto più difficile, le avrebbe tolto tutto il coraggio che le serviva per dedicarsi completamente al caso. Aveva un incarico tra le mani troppo importante. Il capitano contava su di lei, così come l’FBI e tutte quelle ragazze.

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Capitolo 2
*** Informazioni e preparativi. ***


Capitolo 2. Informazioni e preparativi.
 
Nel pomeriggio il capitano, Beckett, Esposito e Ryan si trovavano tutti nello stesso ufficio. 
“Come l’ha presa Castle? Gli hai espressamente vietato di non farne parola con nessuno e di non prendere iniziative private? Non voglio problemi, non per questo caso.” chiese serio il capitano.
“Sì signore. E’ andato a casa appena l’ho messo al corrente della situazione.” Rispose Beckett. Abbassò gli occhi e aggiunse: “Almeno passerà le feste al sicuro e tranquillo in famiglia.”
Ryan guardò Esposito e sussurrò appena “Non credo che sarà affatto tranquillo” ed Esposito rispose, in tono altrettanto basso “E io non credo che non prenderà iniziative, anzi…” Si scambiarono una rapida occhiata d’intesa. Esposito allora si rivolse al capitano: “Signore, ci ha convocati qui tutti ma non dovrebbero arrivare anche gli agenti dell’FBI?” “Sì” rispose quello “L’agente Green arriverà a breve, accompagnato dall’agente Shaw.”
“L’agente Shaw, Jordan Shaw, signore?” chiese sorpresa Beckett.
“Sì, com’è piccolo il mondo eh, Beckett? L’agente Shaw lavora al caso da sei mesi, sta cercando di localizzare il quartier generale dell’organizzazione. Dopo l’omicidio di due giorni fa sono riusciti a limitare il cerchio d’azione, ma come ti ho spiegato hanno chiesto la tua partecipazione al caso. In ogni modo, voglio che sia chiara una cosa. Sei il mio miglior detective, per cui parteciperai ma secondo le mie regole. Esposito ti seguirà ad ogni passo, non ti perderà mai d’occhio, mentre Ryan avrà il compito di registrare tutte le conversazioni e di localizzarti ad ogni spostamento. Non ti perderemo di vista, neanche un istante. Non mi importa cosa pensa l’FBI, ma non voglio che ti succeda niente.”
Sentirono un rumore di tacchi avvicinarsi sempre di più, fino a che la porta dell’ufficio si aprì: “Detective, è un piacere rivedervi tutti e l’FBI vi ringrazia per la collaborazione. Detective Beckett, lieta di rivederla.” L’agente Shaw salutò tutti con un rapido discorso. I capelli lunghi color rame le scivolavano sulle spalle, il tailleur nero non aveva una piega fuori posto: era una donna perfetta, ordinata e sicura di sé. Posò sul tavolo spessi fascicoli e si sedette, con eleganza. “L’agente Green non è riuscito a raggiungermi. Lavora come infiltrato da due mesi presso di loro. Lo sorvegliano da vicino. Non hanno sospetti, ma la prudenza non è mai troppa. Fino ad oggi non gli hanno permesso di avvicinarsi al quartier generale, ha avuto il compito di sorvegliare gli spostamenti delle ragazze e sappiamo i luoghi in cui le nascondono. Sappiamo le identità dei bastardi, e non appena scopriremo dove si trova la mente dell’organizzazione, li colpiremo dritti al cuore. E una volta presi, libereremo le ragazze. Non possiamo fare niente prima, si sposterebbero in pochissimo tempo. Hanno troppi contatti, si nascondono ovunque. Poi noi vogliamo il loro capo, perché se colpiamo la base, la torre crolla. Ed è quello che faremo.”
Jordan Shaw mise al corrente tutti sulle scoperte degli ultimi giorni e spiegò a Beckett il suo ruolo nell’operazione: “Detective Beckett, lei si dovrà fingere una ragazza russa in cerca di lavoro. L’agente Green  la accompagnerà in uno dei loro covi, presentandola come una possibile vittima. Il piano, secondo quello che accade solitamente, è che la porteranno davanti a uno delle menti dell’organizzazione, Ivan Golovanov. Una volta dentro, con due agenti all’interno del giro, sarà più facile scoprire tutti i particolari. Golovanov è l’unico direttamente in contatto con il bastardo alla base di tutto.” Alzò leggermente lo sguardò e guardò Kate negli occhi: “Crede di potercela davvero fare? Sarà pericoloso. Metteremo agenti ad ogni angolo delle strade: se dovesse andare storto qualcosa vedremo di fare il possibile per risolvere la situazione. Quello che noi vogliamo, è prendere Sergei, il capo di tutto. Non vogliamo che nessuno si faccia male.”
“Sono sicura, agente Shaw. Li fermeremo in poco tempo e nessuno si farà male.” Rispose Kate.
“Lo spero davvero detective.”
“Sì, anch’io.” Sussurrò il capitano.
 
Nel frattempo, Castle era tornato a casa. Non riusciva a sopportare l’idea di non poter fare niente, di restare a casa ad aspettare una telefonata. Voleva poter essere di aiuto, tanto a Kate quanto alla squadra. Non era proprio sua abitudine restare con le mani in mano. Così prese il telefono e chiamò Michael Smith, un suo vecchio amico, un agente dell’FBI in pensione che anni prima aveva avuto una breve relazione con sua madre Martha.
“Richard Castle, mi hai chiamato per invitarmi a una partita a poker spero! Sono un paio di anni che mi devi ancora la rivincita!” rispose quello, al primo squillo.
“Smith! La rivincita? Quando vuoi! Ascolta ti ho chiamato per un’informazione urgente.” Il tono di Castle era agitato, per niente divertito.
“Castle, sono in pensione da anni. Di che informazioni hai bisogno? È per un tuo nuovo libro?”
“No, il libro non c’entra. C’entra la detective che seguo nelle indagini, Beckett. È stata chiamata dall’FBI per un incarico importante ma pericoloso, troppo pericoloso. Parliamo di un giro di prostituzione Smith, qui a New York. Una ragazzina di 16 anni è stata uccisa due giorni fa, l’hanno gettata dal quarto piano di un motel. Era vestita appena, e Dio solo sa cosa le hanno fatto.”
Ma il vecchio agente Smith lo interruppe “Castle, l’unica cosa che puoi fare è fidarti dell’FBI. La detective Beckett se la caverà, non hai idea di quanti agenti sono coinvolti in questa operazione.”
“Ah quindi ne sei al corrente? Dimmi quello che sai, dimmi quello che dovrei sapere. Devo fare qualcosa.”
“Castle non cambierai mai vero? Non puoi limitarti a scriverle certe storie?”
“Non rispondermi con altre domande Smith! Voglio i dettagli. E tu me li darai, come sempre.”
 
Neanche mezz’ora dopo lo scrittore e l’ex agente Smith erano seduti nel salotto del loft di Castle.
“Punto primo. Sono russi. L’FBI gli sta dietro da mesi. Hanno anche coinvolto un paio di ragazzi americani, per rapire le ragazze. Le cercano alle uscite degli aeroporti, nei bar. Si presentano come gente per bene, offrono da bere, divertimento, o un passaggio fino a un hotel o quello che è.. e le portano da un tale, Ivan Golovanov. Lo pediniamo da settimane ma ci sfugge sempre. Non è facile avvicinarlo, non si fidano di nessuno, solo dei loro. Golovanov non sta con le ragazze, è sempre da solo e si sposta sempre. L’agente Green è sotto copertura ed è riuscito ad entrare nel giro. Parla russo e sa come comportarsi per sembrare uno di loro. Ha dovuto sopportare molte cose Castle, cose che non ti racconterò, ma che puoi immaginare. Green per un paio di giorni ha avuto l’incarico di sorvegliare una ventina di ragazze presso un edificio semidistrutto alla periferia di Manhattan. Da oggi invece è stato incaricato di cercare possibili vittime. Ha fatto avere all’FBI tutti i dettagli che è riuscito a scoprire, identità dei bastardi, luoghi in cui tengono prigioniere le ragazze. Sappiamo dove sono e li stiamo tenendo d’occhio. Beckett dovrà fingersi indifesa, una ragazza straniera come tante altre, e una volta nel giro il gioco avrà inizio. È una bella ragazza, la vorranno sicuramente. Se Golovanov approverà, speriamo che Beckett riesca a scoprire qualcosa in fretta, senza farsi male.”
“La state esponendo a un rischio troppo alto. Questo non è un gioco! Quelli sono dei bastardi e non guardano in faccia nessuno. Ci dev’essere un altro modo.” Lo interruppe Castle, con un tono agitato.
“Ci abbiamo provato. Abbiamo perso più di una decina di agenti nei nostri colpi. Quelli sparano a chiunque, non gli importa di niente. Abbiamo liberato solo ventidue ragazzine, dai quattordici ai ventisei anni, e abbiamo arrestato solo quattro russi. Sono ben organizzati, se noi agiamo liberando le ragazze in un posto, loro spostano tutte le altre nel giro di pochi minuti. Sono bravi. Ma i russi che abbiamo preso erano soltanto delle pedine, poco importanti per l’organizzazione. Ubriachi, drogati, gente senza un lavoro che per del sesso gratis prestano servizio a Golovanov. Noi vogliamo arrestare le menti. Vogliamo Golovanov ma soprattutto il suo capo, un tale che chiamano Sergei. E’ lui il capo di tutto. Ma non sappiamo chi sia. Non lascia tracce di sé, né dei conti che usa o dei telefoni. Quei quattro che abbiamo arrestato non l’hanno mai visto. Lui dirige tutto, ma non riusciamo mai a localizzarlo. Non sappiamo come si sposta, è come un fantasma. Lui sceglie le ragazze. Se sono di suo gradimento, bene. Se no le fanno sparire. Così ci ha detto Green.”
Smith bevve un sorso di brandy. Castle non riusciva a parlare.
“Le ragazze non l’hanno mai visto. Quando lui le seleziona sono tutte bendate. Però le ragazzine che abbiamo liberato ci hanno raccontato che una di loro, una ragazzina russa di quindici anni, era stata portata via proprio da lui.. non l’hanno più vista.”  
“E l’FBI ha pensato bene di mandare Kate in veste di ragazza russa sperando che sia adocchiata da questo Sergei?” la preoccupazione di Castle salì alle stelle.
“Non è esattamente il piano ma non posso dirti altro Castle, la conversazione finisce qui.” L’ex agente si alzò in piedi e Castle lo seguì: “Per essere un agente in pensione sai molte cose, Smith. È sempre un piacere chiacchierare con te.”
“Lo dici tu che sono in pensione. Non una parola Castle, con nessuno. Ed evita i colpi di testa, non hai idea di quanto sia pericoloso.”
Si strinsero le mani e Smith se ne andò.
Kate, non posso permettertelo, pensò.
 
Castle prese il telefono.
“Ryan”
“Sono Castle. Non dire niente, dimmi solo dove sei, ti raggiungo!”
“Ehi ma cosa ti salta in mente?” la voce di Ryan era appena un sussurro, segno che c’era gente accanto a lui, gente che non doveva sentire i dettagli di quella telefonata.
Esposito gli lanciò un’occhiata, così Ryan uscì dall’ufficio in cui si trovava, per chiudersi in un ufficio vuoto.
“Dimmi dove sei, andiamo!”
“Al distretto, Esposito ed io stiamo sistemando i microfoni e le videocamere. Ci sono agenti dell’FBI ovunque Castle, non fare stupidaggini, non venire qui!”
“Sarò lì tra poco. E vedi di farti trovare sul furgone dell’audio, so che te ne occuperai tu.” E aggiunse, con tono quasi divertito: “Ti serve un autista?”
Ryan deglutì. Non sapeva cosa fare, cosa rispondergli. Sapeva solo che Castle era preoccupato quanto lui, o forse anche di più, per l’esito dell’operazione, sapeva che voleva stare vicino alla squadra, a Kate. Ma sapeva anche che il capitano e l’agente Shaw non volevano ostacoli. E Castle di certo sapeva come essere di intralcio. Ma aveva sempre dimostrato di essere all’altezza delle situazioni. Così, il detective decise di accettare l’offerta del collega: “Appena arrivi fermati fuori dal distretto, vicino al carrello degli hot-dog. Io ed Esposito vedremo di recuperare una divisa e la indosserai. Castle, se fai stupidaggini te la vedrai con noi.”
“Ricevuto, furgoncino blu. Arrivo!”

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Capitolo 3
*** Pronti ad iniziare ***


Capitolo 3. Pronti ad iniziare.
 
Ore 7.00
La luce del mattino si stava aprendo un piccolo spazio nel buio della notte. Kate non aveva chiuso occhio, neanche un minuto. Come avrebbe potuto dormire? Era troppo agitata. Ma nonostante la preoccupazione, era concentrata, sapeva cosa doveva fare. Doveva concentrarsi sull’operazione. Doveva fingersi una ragazza qualunque. Doveva trovare Sergei.
Suonarono al citofono.
“Questi sono alcuni vestiti che mi ha prestato un’amica” disse Lanie mentre entrò nell’appartamento. “Non li vuole più, dice che sono troppo sexy e da quando si è sposata non ha più occasioni di metterli, perciò sono tutti tuoi. Ma se quando finisce l’operazione te ne avanza qualcuno, anche se non penso che metterai… io saprei come usarli!” Strizzò l’occhiolino all’amica, che la fece accomodare.
Kate apprezzava sempre l’allegria di Lanie, con il lavoro che faceva doveva per forza pensare sempre in positivo.
“Stai tranquilla, li riavrai tutti entro 48 ore Lanie. Grazie. Come sai i miei vestiti non sono proprio da ragazzina. E Grazie per essere venuta qui così presto.”
“Di niente tesoro! Conosco bene il tuo guardaroba purtroppo! Quando torni a casa andremo a fare un po’ di shopping. Vedrai come ti costringerò a cambiare!” Risero.
“Lanie, anch’io so essere sexy!”
“No tesoro, tu sei sexy ma non lo dimostri mai come si deve, anzi, lo nascondi più che puoi!”
Continuarono a scherzare e a punzecchiarsi per qualche minuto. Kate adorava Lanie, sapeva benissimo come distrarla, come farla ridere. Mancava meno di un’ora all’azione, le serviva davvero un’amica accanto, una risata spontanea.
Le risate però si calmarono piano piano, fino a che Lanie si sedette sul letto di Kate, vicino alla valigia aperta, quasi finita. Guardò l’amica e con tono serio disse: “Kate, devo parlarti della ragazzina uccisa due giorni fa. Secondo me non è stato omicidio. L’FBI dice di sì, ma ho studiato e ristudiato l’autopsia. Non ho riscontrato lividi o segni particolari sul suo corpo, niente che possa far pensare che qualcuno l’abbia spinta giù contro la sua volontà. Non c’erano segni di violenza sessuale, ma solo lividi superficiali, segni di percosse. Ma niente, niente che mi abbia convinta che sia un caso di omicidio.”
Kate le si sedette accanto “Era piccola, non pesava moltissimo. Probabilmente non le hanno lasciato segni perché non hanno fatto fatica a sollevarla. Era stata sedata? ”
“No. Niente. Non aveva niente. Quello che voglio dire è che, secondo la mia opinione e secondo il mio istinto, dopo aver letto e riletto gli appunti per non so quante volte… Kate, è possibile che quella ragazzina fosse talmente disperata da buttarsi di sua volontà dalla finestra? Forse per paura, forse per scappare?” Lanie abbassò lo sguardo, preoccupata.
“Per disperazione le persone possono arrivare a compiere gesti estremi, lo sappiamo bene. Vedrò di scoprire cosa le è successo. Certo se conoscessimo la sua identità sarebbe un passo avanti.  Se quella ragazzina era così disperata da uccidersi, dovremo fare qualcosa, subito. Se è stato un omicidio, prenderò quel mostro. Ma non dimentichiamoci che ce ne sono tantissime da liberare. Quei bastardi. Li fermeremo tutti. E quel Sergei lo prenderò a calci nelle palle io stessa.”
Lanie prese una mano a Kate “Non permettere che ti accada nulla Kate, per favore stai attenta. Ogni giorno vedo tantissimi cadaveri, tantissime persone passano sul mio tavolo operatorio. Non voglio che passi anche tu.”
Kate le sorrise. “Te lo prometto, farò il possibile” e si abbracciarono. Kate sussurrò: “Ti voglio bene anch’io Lanie.”
L’anatomopatologa la aiutò a terminare la valigia e le diede consigli sul vestito e sul trucco. Non troppo trucco, per non sembrare troppo vecchia, e non troppo scollata, per non sembrare inutilmente provocante. Stivali neri alti, una minigonna nera, una camicia rosa, una giacca bianca lunga, una sciarpa rosa intorno al collo e un cappello di lana rosa. Nel complesso era perfetta e dimostrava qualche anno in meno rispetto alla sua età.
Faceva freddo fuori, aveva appena iniziato a nevicare.

Bussarono alla porta. L’agente Shaw entrò nell’appartamento in divisa. Pistola, giubbetto antiproiettile, distintivo bene in vista. Montgomery dietro di lei, con altri agenti.
“Detective, siamo pronte?” chiese.
“Pronte, agente Shaw.”
Il capitano Montgomery fissò la sua migliore detective nella nuova identità: “Oh santo cielo, fatti guardare Beckett. Accidenti, sei un’altra persona.” E le diede un fermacapelli, che conteneva un micro microfono, e una micro videocamera che Esposito le attaccò vicino a un bottone della camicetta. Il suo collega, con voce tremante, le disse: “Ricorda, noi possiamo sentire te, ma tu non puoi sentire noi. Se hai bisogno di aiuto, dì che non ti senti bene. Ryan mi avvertirà ed io interverrò.”
Kate gli prese la mano fredda: “Stai tranquillo, andrà tutto bene.”
“Sì beh, prevenire è meglio che curare. Beckett, sarò sempre vicino a te, ad ogni angolo della strada.” Esposito era vestito come un comune americano. Jeans blu, giaccone nero di pelle, berretto, non aveva l’aria da poliziotto. Certo il suo compito era quello di seguire Kate da lontano, in ogni modo possibile. Non sarebbe stato facile, ma Esposito era bravo nel suo lavoro.
“Ok, ricevo l’audio e le immagini. Siamo pronti.” una vocina emerse dalla ricetrasmittente di Esposito: era Ryan, che dal furgoncino parcheggiato fuori dall’appartamento di Kate, si preoccupava di ascoltare ogni singola parola, ogni singolo rumore.
Il telefonino dell’agente Shaw squillò e lei si allontanò per rispondere. Approfittando di quel momento, il capitano Montgomery si avvicinò a Kate: “Non fare pazzie Kate. Quando sarai con Sergei dovrai decidere se avrai bisogno di rinforzi o se ce la fai a cavartela da sola. Parlo di quel fatale secondo in cui tutto potrebbe andare male. Sii prudente, non aver timore di chiamarci. Una parola, una frase, e noi saremo da te in tempo record.” Kate annuì.
L’agente Shaw tornò pochi secondi dopo e porse a Beckett un passaporto: “Ecco, questo è il tuo nuovo passaporto, ti aiuterà ad entrare meglio nella parte.”
C’era tensione nell’aria. Tanta. Troppa.
“Perfetto.” Disse sicura l’agente Shaw. L’unica tra tutti che riusciva a mostrarsi concentrata al massimo, senza il minimo accenno di nervosismo. “Beckett, ti chiamerai Nadia, non c’è molto tempo. Vogliamo scoprire dove si trova Sergei. Una volta che sarai con lui, vedremo di agire il prima possibile. Non possiamo farcelo scappare. Incontrerai Green tra meno di un’ora. Muoviamoci, non c’è tempo da perdere.”
Kate si sistemò il fermacapelli, lanciò un ultimo sorriso a Lanie e prese la valigia. Fuori dall’appartamento, Ryan la salutò con lo sguardo dal furgoncino, poi quello chiuse la porta e si preparò all’azione.
 
“Dove stanno andando?” gli chiese Castle.
Castle era seduto davanti, il volante stretto tra le mani, una divisa da poliziotto, cappello e sciarpa. Irriconoscibile, nel vederlo da lontano. Guardava Kate da lontano. Ti prego Kate, stai attenta, pensò.
Lui, Ryan ed Esposito avevano passato la notte a preparare un furgoncino, pronti per seguire da vicino la collega, con tutti gli strumenti necessari, dagli schermi video ai microfoni, alle ricetrasmittenti. L’agente Jordan Shaw aveva altro a cui pensare: in ogni angolo della città, e non solo, aveva mandato squadre di agenti pronti ad intervenire nelle case in cui le ragazze erano tenute prigioniere. Shaw voleva essere pronta ad ogni evenienza, voleva arrestare Sergei. Ryan aveva il compito di avvertirla, non appena Kate lo avrebbe incontrato.
“Castle stai zitto! Se avessi avuto il microfono acceso mi avrebbero sentito! Aspetta almeno che Esposito si allontani da Shaw!”
“So come funziona quel microfono, non era acceso!”
“Castle è la Vigilia di Natale, fai ancora in tempo ad andare a casa.”
“Sai che non lo farò.”
“E allora sta’ zitto! Se qualcosa dovesse andare storto o se dovessero vederti, l’agente Shaw manderebbe a casa non solo te, ma anche me ed Esposito! Per cui vedi di non fare l’idiota e resta alla guida del furgone. Vuoi che Kate sia in pericolo? Se succede qualcosa sarai il primo a saperlo. Ma resta zitto! Vogliamo tutti partecipare a questa operazione!”
Castle si zittì, ma era troppo agitato per non parlare. Dietro di sé, Ryan stava smanettando con strumenti che sembravano un gioco a luci a intermittenza. L’agente Shaw sapeva che Esposito e Ryan avrebbero seguito Kate, era tutto nel piano. “Conto su di voi detective, voglio sapere che cosa sta succedendo, in ogni istante. Esposito, non perda d’occhio i movimenti di Beckett. Dove la spostano, tutto. Mi dovete dire tutto, quello che vedete e quello che sentite. I miei agenti seguiranno ogni mio ordine. Non deludetemi. Non deludete Beckett” gli aveva detto prima di partire.
Ma la presenza di Castle non era prevista. Per fortuna non lo aveva sentito.
 
Esposito guardò Kate allontanarsi, a piedi. Si girò, ma l’agente Shaw era già sparita, e Montgomery con lei. L’FBI aveva molti uomini impegnati in questa operazione, Shaw era responsabile di tutti: era salita su un altro furgone ed era partita. Esposito aspettò qualche istante, poi iniziò a camminare, attento a non perdere di vista neanche un attimo la sua collega.
 
Dopo qualche minuto, poco più lontano da lui, Castle mise in moto il furgoncino.
“Castle, mi raccomando, non fare pazzie. Resta seduto lì e seguiamo gli ordini” gli disse Ryan.
“Ma come avete potuto permetterglielo? E se le facessero del male?”
“Beckett sa come difendersi Castle. E poi vediamo ogni cosa che succede con la telecamera che ha sulla camicia, sentiamo ogni parola grazie al microfono sul fermacapelli. Non permetteremo che accada nulla. Non so dove siano appostati quelli dell’FBI, non è affare nostro. Shaw ci ha dato ordini precisi. Quando Beckett incontrerà Sergei, avverirò Shaw e gli agenti entreranno nell’edificio. Noi dobbiamo seguirla dall’esterno, scoprire dove la portano.”
Nonostante l’apparente sicurezza di Ryan però, Castle non si sentiva affatto convinto.
 

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Capitolo 4
*** L'incontro ***


Capitolo 4. L’incontro.
 
Ore 8.30 Vigilia di Natale.
 
La neve cadeva lentamente, scendeva pigra dal cielo, roteando in mille modi possibili prima di attaccare a terra. Kate camminava da dieci minuti. Si strinse la sciarpa intorno al collo, faceva veramente freddo. La città era ancora addormentata. C’erano i negozi ancora chiusi, le luci spente degli addobbi natalizi ad ogni angolo della strada.
Ma cosa mi è passato per la testa? Perché ho come il presentimento che questa operazione finirà male? Kate camminava lenta, trascinando la valigia dietro di sé. Nella sua mente le immagini di quella ragazzina. Qualunque tragedia ci fosse dietro, doveva restare concentrata sull’operazione.
E Castle... Spero davvero che non farai nulla di insensato, resta a casa e aspetta una mia chiamata, andrà tutto bene. Non fare pazzie come tuo solito, per favore.
I suoi pensieri però furono interrotti. Kate sentì un rumore di passi sospetto. Non erano passi svelti. No. Era un rumore di passi che andava alla pari con i suoi. La stavano seguendo?
Kate si fermò. Quei passi si fermarono.
Kate fece dieci passi, lentamente, e li contò.
Uno,  due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. Ferma.
Quei passi la seguirono, alla sua stessa velocità.
Poi fermi, entrambi.
“Buongiorno signorina, posso sapere cosa ci fa una ragazza tutta sola in giro per la città, a quest’ora, con questo freddo e questa valigia pesante? Mi permetta di aiutarla.”
Kate si  girò. Un uomo in cappotto nero, giacca e cravatta, con la sigaretta accesa, la fissava sorridendo. Irriconoscibile, l’agente Green, se non fosse per la stessa piccola cicatrice sul volto che ricordava Kate. Era così diverso dalla prima volta che l’aveva visto che al momento non lo riconobbe subito. La prima volta al distretto, il giorno prima, le era sembrato un barbone: aveva una tuta sgualcita, capelli arruffati grigi, sembrava aver passato le pene dell’inferno. Adesso invece le si presentava un uomo completamente diverso, ben vestito, pettinato, molto elegante, quasi attraente. Dopo aver intuito che fosse lui,  non sapendo se era sorvegliato o meno, decise di restare al gioco e con accento russo rispose: “Grazie. Lei è molto gentile. Sono appena arrivata da Mosca, un’amica mi ha detto di vivere qui vicino, sto cercando l’indirizzo.”
“Non si preoccupi Nadia, la accompagno io.” Green strizzò l’occhiolino alla detective, prese la valigia e si incamminò. Kate lo seguì. Il fatto che l’avesse chiamata Nadia la rassicurò. Era proprio l’agente Green e non era sorvegliato. Potevano parlare liberamente. Ma la prudenza non era mai troppa.
Kate gli sussurrò: “Che cambiamento!”
Green rispose, sussurrando anch’egli: “Sì, cambio spesso personalità. Oggi sono un uomo d’affari, ieri un barbone, domani non lo so. Lavorando come infiltrato funziona così.” Poi un colpo di tosse. “Quei russi mi stanno aspettando, è pronta?”
 “Sì”. Kate disse quel poco convinta. Deglutì e si calmò.
Andiamo Kate, puoi farcela. Ne hai viste sicuramente di peggiori. Andrà tutto bene. Sai difenderti, sai colpire. E allora perché questo peso che sento allo stomaco? Se qualcosa dovesse andare storto…
Camminarono per una decina di minuti, presero la metropolitana per cinque fermate ed ecco un hotel. Un hotel ormai in disuso da mesi. Kate alzò lo sguardo: sei piani, mattoni a vista, vetri rotti alle finestre. Un edificio ormai chiuso al pubblico. Green le fece segno di entrare.
Kate salì i pochi gradini che la separavano dalla porta di ingresso. Faceva freddo. Si guardò intorno. Tanti edifici alti e cupi, ma nessun segno di vita. Non c’era nessuno per strada, non un cane, non una macchina.
Green tossì.  E dalla porta rumori di passi. Poi un click e la porta si aprì.
 
“Castle, al prossimo incrocio gira a sinistra!” indicò Ryan.
“Dove, qui?”
“No, no! Al prossimo!”
Esposito aveva dato precise indicazioni a Ryan e all’FBI su dove si trovasse Kate, e Ryan poteva riconoscere il luogo esatto anche dalle immagini che riceveva grazie alla micro videocamera di Kate.
“Perfetto, fermati. L’edificio è a un isolato da qui, alto, mattoni a vista. Ora dobbiamo solo aspettare.”
 
Kate e Green entrarono in quella che una volta doveva essere la hall dell’hotel. Pochi tavolini, qualche sedia, il bancone di un bar e sgabelli. C’era poca luce, le finestre erano tutte chiuse. Kate sentì la mano di Green sulla sua schiena e venne spinta in avanti, talmente forte che quasi perse l’equilibrio.
La recita era iniziata.
Kate fece qualche passo avanti, Green dietro di sé. La porta si chiuse di scatto.
Eccolo, Golovanov. Era comparso da dietro la porta. Un uomo altissimo, quasi un metro e novanta, molto robusto. Biondo, capelli spettinati. Rosso in volto, come se avesse appena finito di correre la maratona di New York. Si avvicinò all’agente Green: “Andrei, sei sempre puntuale.”
Andrei? Dev’essere il suo nome sotto copertura. Intuì Kate.
L’agente Green gli sorrise sarcastico: “Impara a fidarti di più di me. Mantengo la parola. Guarda cosa ti ho portato. Nadia.” e indicò Kate.
Il colosso la guardò e le si avvicino. Poi, in russo, gli disse: “Molto bene. Davvero, hai buon occhio. Sergei apprezzerà.” Prese Kate per un braccio, le strinse il mento in una mano e la osservò meglio. Kate rimase immobile.  
Green si accese una sigaretta, e per distrarre il russo chiese: “Allora, la mia paga?”
“La tua paga?” Golovanov rise. “La tua paga l’avrai come tutti, quando Sergei vorrà. Ora vattene, porta via la valigia e i documenti della ragazza, falli sparire. Sai dove andare, ti chiamerò quando avrò nuovi ordini.”
Green si diresse verso l’uscita, lanciando un’ultima occhiata d’intesa a Kate. Buona fortuna, pensò l’uomo.
Golovanov lo accompagnò alla porta e una volta che quello fu uscito, chiuse a chiave.
 
“Ci siamo, è dentro.” Esposito comunicò.
“Sì, ricevo le immagini. È in compagnia di Ivan Golovanov.” Rispose Ryan. “Aspettiamo”.
Castle era terribilmente nervoso. Gli sudavano le mani. Aveva lasciato il posto di guida e si era trasferito nel retro del furgone, accanto a Ryan, a guardare i monitor. Vedere l’uomo che Kate aveva di fronte non era per niente rassicurante. Era troppo gosso, anche per le sue capacità. Castle iniziò a tremare all’idea che quello la potesse anche solo sfiorare. Era geloso? No, era seriamente preoccupato.
“Ryan chiama Esposito, fallo entrare lì dentro!” urlò al collega.
“Castle! Stai calmo! Non possiamo intervenire! L’agente Shaw l’ha vietato!”
Castle scosse la testa e indicò lo schermo davanti ai loro occhi: “Ma lo vedi quel coso?! Se solo alza una mano, Kate è morta!”
All’improvviso, bussarono da fuori del furgone. Castle e Ryan si fissarono preoccupati.
“Ci hanno scoperto?”chiese lo scrittore.
“Adesso tu te ne torni al posto di guida e io vedo di sbrigarmela.”
Castle obbedì, contro la sua volontà. Si sedette, composto, con le mani sul volante. Non potevano averli scoperti. Non avrebbe resistito lontano dall’azione, era troppo in ansia per Kate. Voleva restare lì, pronto ad intervenire.
Ryan aprì lentamente il furgone. L’agente Green li aveva raggiunti. “Detective, l’agente Shaw mi ha ordinato di venire qui e tradurre nel caso Golovanov parli russo. Mi faccia salire, subito.”
Castle si abbassò il cappellino sugli occhi, bene attento a non farsi riconoscere. Doveva sembrare un agente qualunque. Ryan fece entrare l’agente Green e quello si posizionò davanti agli schermi. Prese un paio di cuffie e stette in ascolto.
“Agente Shaw, sono appostato.” Comunicò alla ricetrasmittente.
“Perfetto Green. Mi raccomando al piano.”
 
Green se ne era appena andato, portando via la sua valigia, i suoi documenti, tutto. Golovanov l’aveva congedato, dandogli il compito di far sparire ogni traccia della donna. Adesso a Nadia ci avrebbe pensato lui.
“Perché sono qui, che cosa vuole da me? Dov’è andato Andrei? Aveva detto che mi avrebbe accompagnata da un’amica. ” chiese Kate, fingendosi spaventata e guardandosi intorno.
Adesso era sola. La sua squadra e l’FBI non erano lì. Doveva cavarsela da sé.
Non vedeva molto, non c’erano luci accese. La poca luce a disposizione entrava dai vetri rotti delle finestre.  
Golovanov le girò intorno un paio di volte, sorridendole e sorseggiando vodka liscia.
“Quanti anni hai? Venticinque?” le chiese, sfiorandole il viso.
“Che… che posto è questo? Chi sei tu?” ma ad un tratto smise di fare domande: Golovanov le era sempre più vicino e la sfiorò. Volto, collo, seno, fianchi. Le porse il bicchiere di vodka.
“Non bevo.”
Quello le mise una mano dietro la testa e con forza le avvicinò il bicchiere alla bocca.
“Bevi” le disse.
Ma Kate resistette. Spinse via il braccio di Ivan e fece cadere a terra il bicchiere. La rabbia si impadronì di lui. Le tirò uno schiaffo in pieno volto, la prese per un braccio e la strattonò a terra. Kate si finse debole, cadde per terra, con il braccio destro lungo sotto la testa.
Un violento. Non è un buon inizio. Pensò Beckett.
Nonostante volesse reagire, Kate decise di recitare ancora. Aveva un compito da portare a termine.
Ivan le tirò un calcio. E poi un altro e un altro ancora. Il terzo calcio fu il più forte: Kate sentì un dolore fortissimo che la costrinse a stare a terra. Golovanov si tolse la cintura e le legò strette le mani dietro la schiena.
“Irina, qui, SUBITO!” urlò Golovanov.
Una ragazzina uscì da dietro il bancone del bar. Dimostrava quindici anni. Piccola, carnagione chiara, capelli rossi lisci, occhi azzurri lucidi, segno che stava piangendo, e due occhiaie profonde. Aveva le mani legate e le teneva alzate vicino al viso.
Si avvicinò tremando al bastardo. Lui la prese, ridendo le strappò le spalline dell’abitino che era costretta a portare e la baciò ferocemente sul collo.
“Lasciala andare bastardo!!” urlò Kate.
 La bambina si mise a urlare e dimenandosi come meglio poteva, lo graffiò sul volto. Quello allora la spinse contro un tavolo, dove batté la testa e cadde a terra, svenuta.
Si rivolse allora a Kate, ancora indolenzita a terra: “Vedi, qui comando io. E chi non fa ciò che ordino avrà una punizione.”
Kate voleva alzarsi e correre dalla bambina, ma le era impossibile muoversi, sentiva un dolore fortissimo che partiva dalla base del collo e proseguiva lungo la schiena.
Il bastardo andò verso il bar. Pochi istanti. Kate non lo riusciva a vedere, così cercò con lo sguardo segni di vita nella ragazzina. Irina respirava, poteva vedere la sua pancia muoversi lentamente, al ritmo di ogni respiro.
Poi Ivan tornò immediatamente verso Kate. “Bevi.” Le disse di nuovo, avvicinandole un altro bicchierino pieno di vodka.
 

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Capitolo 5
*** Alta tensione ***


Capitolo 5. Alta tensione.
 
Kate non si mosse. Fissava i piedi di quell’uomo, immobile. La botta le faceva male, non riusciva a muoversi. Non poteva reagire, non avrebbe dovuto: doveva aspettare. Il piano era prendere tempo fino all’arrivo di Sergei.
Sentì il bastardo appoggiare il bicchiere sul tavolino vicino. Quello si tolse la cravatta e le si avvicinò, abbassandosi su di lei, sussurrandole all’orecchio: “Non fartelo ripetere due volte, quando ti dico che devi bere, tu bevi. Avanti, alzati!”
Kate sentì il suo alito addosso. Si sforzò e con molta fatica riuscì a sollevarsi da terra. Ma uno schiaffo rapido e pesante la colpì, facendola ricadere sul pavimento.
“Questo è perché devi imparare che le cose non devono essere ripetute più di una volta!”
Kate era sdraiata, a pancia in su. Riusciva a vedere Ivan in volto.
Ti giuro che te le renderò tutte con gli interessi, figlio di…
Quello la osservò, attentamente, a lungo. Le piaceva, era una donna molto attraente.
“Tu non sei americana. Vero?”
“No” rispose debolmente Kate.
“Da dove vieni?”
“Hai i miei documenti, perché non li leggi? Non sai leggere forse?” chiese Kate con aria di sfida, cercando di alzarsi sui gomiti.
Ma uno schiaffo la colpì. “Non osare mai più! Non permetterti mai più di parlarmi così!”
Kate incassò i colpi. Facevano male, ma la rabbia che provava per quello che aveva visto, la voglia di fargliela pagare, le facevano sopportare il dolore.
Decise di fingere uno svenimento. Stette distesa a terra, immobile.
Golovanov la prese per i capelli, ma quando vide che quella non reagiva, lasciò la presa.
Prese il telefonino e compose un numero.
 
“Cos’è successo, avanti Ryan, parla!!” urlò Esposito alla radio. Aveva seguito Kate ad ogni passo, ma una volta entrata nell’edificio, lui non poteva fare altro che ascoltare la ricetrasmittente. 
“L’ha picchiata. Al momento sembra svenuta. Ma non è svenuta, ci scommetto la mia paga annuale!”
“Sì, anch’io. Sa come difendersi. Ryan, resto qui appostato. Qualsiasi cosa succeda, avvisami immediatamente! Vediamo se Sergei si fa vivo.”
“Golovanov ha chiamato il suo capo. Non so esattamente cosa si sono detti ma il suo nome l’ho capito!”
Fu allora che Green parlò: “Sergei sta arrivando. Ivan gli ha detto di avere un buon affare tra le mani, l’agente Beckett gli piace. Tenetevi pronti, io avverto Shaw.”
Ryan avvisò Esposito di stare pronto e guardò Castle, seduto davanti. I pugni stretti sul volante, tremava dal nervoso. Cosa stiamo aspettando ad intervenire? Non possiamo restare in attesa che la uccida.
Ma non si mosse. Se avesse fatto saltare il piano, avrebbe messo Kate in pericolo, ancora di più di quanto già non fosse.
 
Fuori, per la strada, tutto cambiò velocemente. Se prima sembrava che quelle vie fossero deserte, pian piano iniziò a riempirsi di gente. Ma a Castle non sembrava gente comune. Avevano tutti un’aria strana ed erano i piccoli dettagli che Castle notò: la maggior parte degli uomini aveva la stessa giacca scura, in molti portavano gli occhiali da sole e tutti avevano qualcosa nell’orecchio, come… Microfoni!!  “Che cosa sta succedendo?” chiese, voltandosi verso Ryan e Green.
L’agente dell’ FBI lo fissò sorpreso: “Ma tu non sei uno dei nostri agenti! Che diavolo ci fai qui?” chiese.
“Agente Green, Castle è con noi.” Rispose secco Ryan.
“L’agente Shaw ha espressamente vietato la sua partecipazione all’operazione! Non vuole che faccia saltare tutto in aria!” urlò Green arrabbiato, e contattò subito l’agente Shaw.
Ryan guardò Castle preoccupato.
Dalla ricetrasmittente, al contrario di ogni aspettativa, l’agente Shaw si mostrò calma e disse: “Castle, le ordino di non staccarsi neanche di un centimetro da quel volante. Questa operazione è troppo importante per me. La sto seguendo da mesi.” E aggiunse con tono più deciso: “Se manda tutto all’aria, le giuro che la arresterò io stessa. Sono stata chiara?”
Castle annuì, impotente. Ma dentro di sé sentiva crescere sempre di più la voglia di uscire da quel furgone come un uragano, entrare in quell’hotel, tirare un calcio nelle palle a Golovanov e portare Kate fuori di lì.
“Agente Green, cosa sta succedendo lì fuori?” chiese allora, più serio che mai, cercando di mostrarsi il più calmo possibile.
“Caro il nostro eroe scrittore” gli spiegò Green “le persone che vede fuori sono miei colleghi, agenti dell’FBI. Appena Shaw darà l’ordine, entreremo e colpiremo. Sergei ha i minuti contati.”
Ryan ad un tratto urlò: “Abbiamo un problema!! L’audio lo ricevo a tratti ma non ricevo più le immagini! Guardate!!” ed indicò i monitor.
Sullo schermo, solo sottilissime strisce bianche, nere e grigie. Nessuna immagine. La videocamera sulla camicetta di Kate doveva essersi rotta. O Golovanov l’aveva scoperta?
La voce di Montgomery spuntò: “Ryan cosa vuol dire che non avete più le immagini?! E noi come riconosceremo Sergei?!”
Dalla ricetrasmittente anche la voce dell’agente Shaw: “Sembra che il congegno non trasmetta bene. Deve esserci una specie di interferenza. Niente panico signori, l’edificio è completamente circondato. Chiunque si avvicini, lo vedremo. Detective Ryan, continua a sentire cosa dicono? Il microfono almeno funziona? Perché noi dall’esterno non riusciamo a sentire nulla.”
Ryan si concentrò ad ascoltare.
 
Rumori, sempre e solo rumori. Passi, sedie spostate, vetro. 

 

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Capitolo 6
*** Sergei ***


Capitolo 6. Sergei.
 
 
Golovanov aveva appoggiato Kate a una sedia e si era seduto proprio di fronte a lei, in attesa che si svegliasse. Kate non aveva aperto gli occhi neanche un secondo, aveva seguito tutti i suoi movimenti solo ascoltandolo. Si era lasciata spostare, senza opporre resistenza. Aveva ascoltato la conversazione di Golovanov al telefono con il suo capo, sapeva che Sergei stava arrivando: aveva deciso che si sarebbe svegliata solo al suo arrivo.
Non sapeva che la micro videocamera si era rotta a furia delle percosse del bastardo e il fermacapelli con il microfono era caduto chissà dove. Kate sperava che funzionassero ancora entrambi.
Irina giaceva a pochi metri di distanza, ancora svenuta. Il sangue le colava dal naso e quel bastardo non l’aveva nemmeno coperta.
Golovanov iniziò a massaggiare le cosce di Kate, sperando che quella si svegliasse prima dell’arrivo del suo capo. Vedendo che non apriva gli occhi, decise di svegliarla con qualche schiaffetto e un po’ di vodka, spruzzata sul viso.
“Avanti, rispondimi, qual è il tuo nome?”
Forse è meglio non farlo arrabbiare ancora, se si svegliasse Irina se la prenderebbe con lei. Meglio rispondergli. Pensò Kate.
Aprì leggermente gli occhi, piegando il collo prima a destra poi a sinistra, dolorante. “Nadia. Mi chiamo Nadia.”
“Sei americana?”
“No.”
“Ah, mi sembrava di sentire un accento russo. Russa. Molto bene. Sergei apprezzerà di sicuro. Lui adora le russe. Certo tu sei un po’ più adulta rispetto alle ragazzine a cui è abituato, ma gli piacerai.”
“Chi è Sergei?”
Il bastardo le continuava a strofinare le gambe e la fissava, con quegli occhi neri, pericolosi, affamati.
“Lo scoprirai tra poco. Ora, se solo ti azzardi a fare una mossa sbagliata, la pagherai cara. Vedi Irina laggiù?”
Kate spostò lo sguardo da quell’uomo alla ragazzina. Annuì.
“Brava. Meno parli meglio sarà per te. Svegliala. Aspetteremo insieme il suo arrivo.”
Detto questo, le liberò le mani. Golovanov allora si alzò e le puntò addosso una pistola: “Su, muoviti.”
 Kate, nonostante volesse davvero disarmarlo e prenderlo a calci, si alzò, corse dalla bambina e le sollevò il viso.
“Irina, rispondimi avanti” le lavò via il sangue dal naso e la accarezzò. “Andiamo svegliati…”
Irina aprì piano gli occhi, per pochi secondi rimase disorientata ma appena vide il mostro in piedi accanto a loro si spaventò e urlò. Kate la strinse più forte a sé: “No, no, sssh non urlare, andrà tutto bene, ti tengo io, non preoccuparti” ma la bambina non smise di tremare, nemmeno quando Golovanov si allontanò per sedersi al bancone del bar e guardare un programma in tv. Quello si sedette, si versò altra vodka, accese una sigaretta e mise accanto al bicchiere la sua pistola.
Kate stette seduta sul pavimento, con Irina che la abbracciava forte.
“Non avere paura, ti porterò via di qui, molto presto.” Gli occhioni azzurri della bambina la fissavano spaventati. La paura era descritta nel suo sguardo, le lacrime scendevano in continuazione. Non aveva ancora smesso di tremare.
“T- ti pr- prego a-aiu-tami… p-port-ami v-via” sussurrò.
Kate le prese il viso tra le mani e le sorrise dolcemente. Il volume della televisione era molto alto, così Kate sussurrò alla bambina, in modo che Golovanov non potesse sentirle: “Con me sei al sicuro, non preoccuparti. Fai come ti dico, resta sempre vicino a me. Se ti allontanano con la forza non reagire, ti prometto che tra poco usciremo di qui.” O almeno ci sperava. Kate aveva capito quanto fossero pericolosi quei bastardi. I pugni e i calci non risparmiavano nessuno, neanche una quindicenne indifesa. Sperava che tutto andasse secondo il piano. Sperava che la sua squadra fosse pronta ad intervenire. Sperava che Esposito fosse fuori dalla porta d’ingresso, pronto a colpire.
 
“Nessuno entra ed esce dall’edificio. Non capisco. E’ venti minuti che aspettiamo. Non riesco più a sentire voci, sembra che il microfono sia rotto.” Disse Ryan alla ricetrasmittente.
“Non agitiamoci, vedrete che arriverà.” Rispose l’agente Shaw.
L’espressione di Castle non prometteva niente di buono.
Dal microfono si sentivano pochissime voci, solo rumori e l’audio della televisione, segno che il fermacapelli era caduto da qualche parte lontano da Kate, ma funzionava ancora. Ad un tratto Ryan si allarmò, sentì il rombo di una moto avvicinarsi sempre di più. Una Kawasaki sfrecciò per la via, passò accanto al furgoncino e proseguì. Alla fine della strada, girò.
Falso allarme, pensò il detective. Prima o poi arriverà, so che è vicino.
Lo pensavano tutti. Lo speravano tutti.
 
Golovanov guardò l’orologio. Si alzò e spense la tv. Prese due bende nere dal bancone del bar e si avvicinò alle ragazze. “Mettetevele” ordinò.
Kate aiutò Irina a mettersi la benda. Poi ne legò una intorno ai suoi occhi, cercando prima a terra il suo fermacapelli. Dov’è caduto?!
 Golovanov non si fidò e gliela strinse lui stesso, impedendole di vedere anche solo un raggio di luce. Poi con uno strattone violento la costrinse ad alzarsi. Kate sentiva ancora la manina di Irina stringerla forte. Non la lasciò andare.
Silenzio.
Udirono passi provenire da una stanza accanto e una porta si aprì. L’uomo che entrò parlava con un forte accento russo.
“Ivan, cosa c’è di così urgente. Non è stato facile venire qui.”
“Capo, ha un aspetto distrutto” gli disse Golovanov.
Sergei?! Ma da dove è entrato?! La mia squadra interverrà a breve. Pensò Kate. Voleva intervenire, voleva togliersi la benda e reagire. Ma era sola, senza pistola, con una bambina da difendere. Decise che era meglio aspettare la sua squadra e restò in silenzio ad ascoltare la conversazione dei russi.
“Sì, viaggiare mi distrugge. Dormo quattro, cinque ore a notte. Poi dopo quello che è successo sembra che la polizia ci stia addosso. Qualcuno ci ha tradito.” disse Sergei.
“Ma nessuna puttana conosceva gli indirizzi. E se ci avessero tradito avrebbero già cercato in tutte le case!”
“Ivan, sto perdendo milioni di dollari per colpa di quei poliziotti. Questo business inizia ad andare a rotoli. Ho perso quattro case, una ventina di ragazze e quattro uomini. Ma non mi arrendo, non sanno di cosa sono capace. Ora vai, sai cosa devi fare. Le Filippine ti aspettano, hai un compito da svolgere laggiù. Ti manderò una lista di dove dovrà essere spostata ogni ragazza. E voglio fare dei cambiamenti, vorrei agganciare i miei clienti con qualcosa di speciale, qualcosa di così eccitante che per loro diventi un’ossessione.” Sergei si voltò e rimase in silenzio per qualche secondo. Fu allora che vide Kate e la ragazzina.
“Sergei, due nuovi arrivi. E qui c’è il tuo regalo di Natale. È russa sai?”
Golovanov si avvicinò alle ragazze e separò la mano di Kate da quella di Irina. Questa emise un debole lamento ma l’uomo non la colpì, solo la fece allontanare e la spinse a terra. Irina si inginocchiò, piangendo.
Silenzio.
Kate non riusciva a vedere nulla. La benda era troppo stretta. Percepì un uomo molto vicino a lei. Sentiva il suo profumo. Sentiva i suoi occhi addosso.
Poi l’uomo parlò. La sua voce era vicina, chiara, profonda, sexy.
“Sì, per lei ho già un acquirente. Un imprenditore arabo sta giusto cercando una ragazza così.” Poi, rivolto a Kate, disse: “Su, fammi vedere i tuoi occhi. Il mio amico desidera ardentemente che siano verdi.”
Le sfiorò la guancia, ma Kate si spostò, cercando di allontanarsi, coprendosi il viso con un braccio, pronta a reagire. Quello infatti le afferrò il polso, una presa molto forte, e la tirò a sé.

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Capitolo 7
*** Lo scontro ***


Capitolo 7. Lo scontro.
 
Tutto accadde velocemente.
Kate sentì la stretta intorno al polso ancora più forte, poi una mano intorno alla sua schiena. Ed ecco una bocca, avvicinarsi sempre di più alla sua: sentiva il suo respiro, il suo sapore.
“Sa di vodka. Bravo Ivan, tu conosci i miei gusti.”
Ma Kate cercò di liberarsi da quella stretta. Con un pugno colpì Sergei al volto e girò velocemente su se stessa, liberandosi dalla presa. Golovanov allora la bloccò immediatamente, stringendola da dietro.
Ancora bendata, cercò di dimenarsi, ma la stretta del russo era troppo forte. Uno schiaffo la colpì in pieno viso: Sergei. Sentì un anello sfiorarle la guancia e del sangue iniziò a uscire dal taglio che le aveva provocato.
“Mi perdoni capo, mi sono dimenticato di dirle che non vuole essere domata.” Disse Golovanov.
Sergei rise. Fu una risata maligna, cattiva. “La dominerò come ho dominato ogni ragazzina ribelle. Nessuno, e ripeto nessuno, può permettersi di opporsi a me, sono stato chiaro? Non vorrai fare una brutta fine, vero? Perché proprio qualche giorno fa una ragazzina, russa come te, ha provato a ribellarsi. Contro di me, capisci?” disse, avvicinandosi sempre di più a Kate.
Fu allora che Kate, parlando in russo, disse: “Cosa ne hai fatto della ragazzina?”
“Oh, inizio a sentire paura finalmente. E sento anche una bella voce. Bene.”
“Che cosa ne hai fatto?” Kate sentiva la tensione crescere dentro di sé.
Sergei si fermò e la fissò. Si schiarì la voce. “Voi donne. Servite solo a dare piacere a noi uomini. E ho clienti che pagano milioni per avere la ragazza giusta. In un bordello, in una casa, ad una festa, ad ogni occorrenza. Posso vendervi a chi voglio, a chi offre di più. Non è compito mio sapere cosa vi accade dopo. Quella ragazzina mi ha fatto questa cicatrice. Si è ribellata a me. Aveva un caratteraccio per essere così piccola. Indifesa, ah! Porterò questa cicatrice a vita per colpa sua. Ma gliel’ho fatta pagare. Adesso non si ribellerà più, mai più.”
Bastardo, l’hai uccisa.
Golovanov teneva ancora stretta Kate, impedendole di muoversi.
“Lasciami! Non mi sento bene!” urlò Kate, “Toglietemi questa maledetta benda!” cercò di dimenarsi ancora, ma la stretta di Golovanov era sempre più forte.
Sergei le si avvicinò. Con una mano le sfiorò i capelli.
Poi, lentamente, le sfilò la benda dagli occhi.
 
“Avete sentito? Ha detto che non sta bene! Andiamo, è la parola d’ordine, è ora di intervenire, cosa state  aspettando, avvertite gli agenti dell’FBI!” urlò Castle, così ad alta voce che Ryan fu costretto a tapparsi un orecchio.
Green rispose “Non è ancora il momento!! Non ora!!” e spense il microfono di collegamento con Esposito e con l’agente Shaw.
Ryan lo fissò preoccupato: “Sergei è nell’edificio, intervenite e prendiamolo! Era quello che volevate!” e cercò di contattare il suo collega.
“Non ci basta che sia nell’edificio!! Ci servono altre informazioni!!” urlò Green, bloccando di nuovo l’audio della ricetrasmittente che collegava Ryan ad Esposito.
“Quali informazioni?!” chiese Ryan disorientato.
Castle non poteva più aspettare. Aprì la portiera e uscì dal furgoncino. Iniziò a correre. Era ad un isolato di distanza dall’edificio in cui si trovava Kate. L’avrebbe riconosciuto avvistando Esposito appostato fuori. O così sperava. Corse, corse sempre più veloce.
Da lontano sentì l’urlo di Green: “NO!! Farà saltare il piano!” e quello avvertì subito l’agente Shaw.
 
Kate lo fissò negli occhi. Occhi neri, profondi, bellissimi. L’uomo davanti a sé era di bell’aspetto, in tuta da motociclista. Ma aveva una orrenda ferita sopra l’occhio sinistro, non ancora completamente rimarginata.
Sergei la fissò a sua volta. Occhi castani, non proprio come gli era stato richiesto.
“Speravo i tuoi occhi fossero verdi. Ma andrai benissimo anche così.”
Però c’era qualcosa in quello sguardo che lo fece agitare. Che cos’era? Perché gli sembrava di conoscerla? Quello sguardo, quegli occhi, quei capelli, quel viso.
D’un tratto, un ricordo, una foto su un giornale. E una rabbia improvvisa lo scosse.
La prese violentemente per i capelli e Golovanov, sorpreso, la lasciò andare, girandosi in cerca di Irina che, nel frattempo, si era tolta la benda ed era fuggita.
“Capo, la ragazzina!”
“Ivan, cercala, non può essere sparita!” ordinò Sergei, senza staccare gli occhi da Kate, stringendola ancora di più. “Cercala subito e fermala prima che scappi! Io devo parlare con Nikki. Perché tu sei Nikki Heat. Sei una fottuta poliziotta! Mi volete incastrare! Ma non mi faccio fregare, non da una donna!” urlò.
 
Kate cercò di liberarsi dalla presa di Sergei, ma la sua stretta era troppo forte.
Golovanov impallidì: “Po-Poliziotta?!”
“TU! Tu sei quella poliziotta che è apparsa su Cosmopolitan qualche mese fa. Brutta stronza, cosa pensavi di fare?” Non allentò la presa sui suoi capelli, anzi, con un movimento veloce le fece sbattere la testa contro il bancone del bar.
Kate, nonostante il forte colpo, riuscì a liberarsi, si abbassò, girò velocemente su se stessa e assestò un sinistro in pieno petto a Sergei. Il colpo fu attutito dalla tuta da motociclista perciò non gli fece male, ma gli diede la forza necessaria per arrabbiarsi ancora di più e tirarle un calcio. Kate, nel cercare di evitare il colpo, perse l’equilibrio e cadde a terra. Combattere in minigonna e stivali non era proprio comodo.
 Sergei le piombò addosso con tutto il peso, le bloccò le braccia e le puntò una pistola alla nuca. “Ora tu ti alzi e farai ciò che ti dico. Mi aiuterai a uscire di qui. Non sei sola vero? C’è qualcuno qui fuori, ci controllano? Non mi importa quanto cercherai di fuggire, ma ho un acquirente pronto a pagarti milioni di dollari, poliziotta o cameriera che tu sia. E nessuno dei tuoi colleghi qui fuori ti aiuterà.”
E detto questo, le diede un colpo netto alla nuca, che la lasciò priva di sensi.

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Capitolo 8
*** La fine ***


Capitolo 8. La fine.
 
 
Golovanov era fuggito. Non gli interessava trovare la ragazzina: dopo aver saputo che Nadia, o meglio, Kate Beckett, è in realtà una poliziotta, il suo interesse maggiore era mettersi al sicuro e scappare.
Uscendo dalla porta di ingresso però, trovò Esposito ad aspettarlo e fu costretto ad inginocchiarsi a terra con le mani in alto, vedendo quanti agenti lo circondarono nel giro di pochi secondi.
“Dov’è Sergei? RISPONDI!” Esposito urlò.
Golovanov, in ginocchio, con le mani dietro la testa, stava zitto e non parlava, ma Esposito lo scaraventò a terra e quello si ritrovò con metà faccia schiacciata da un piede del detective, che urlò di nuovo: “DOV’E’ SERGEI?”
Esposito alzò leggermente lo sguardo quando sentì un uomo gridare da lontano. Vide correre Castle verso di sé: si sbracciava, urlava qualcosa.
Entra!! Ci hanno fregato, Sergei è dentro! Intuì Esposito.
 Castle fu superato da un’auto nera, che frenò bruscamente vicino all’ingresso dell’edificio. L’agente Shaw scese dal sedile del passeggero: “Detective, Sergei è già dentro l’edificio. Non so come sia entrato, abbiamo sorvegliato ogni ingresso e ogni uscita ma ci è sfuggito! Dev’esserci un ingresso nascosto di cui non eravamo a conoscenza. Non c’è tempo da perdere, entriamo!”
Castle li raggiunse in pochi secondi ed entrò anch’egli nell’edificio, tossendo dalla fatica della corsa.
“Libero!” “Qui non c’è nessuno!” “Nessuno neanche qui!” “Libero!”
Sentì tante voci provenire da ogni stanza. Non riusciva a contare quanti agenti dell’FBI ci fossero. Quel vecchio hotel era in disuso da tanto tempo, ma le stanze erano ben tenute, segno che l’organizzazione lo stava utilizzando per i suoi affari. Castle cercò in ogni locale, seguendo Esposito ad ogni passo.
“Castle, perché sei qui? Non dovevi stare con Ryan sul furgone?”
“L’agente Green non voleva intervenire, l’FBI si aspettava altre informazioni, così sono corso ad avvisarti...”
“Che informazioni? Il loro obiettivo era Sergei!”
“Non lo so! Io non lo so!  Ho sentito Kate dire che non stava bene, la frase in codice, non ci ho visto più e sono corso qui! Ma l’agente Shaw mi ha battuto sul tempo. Beh, facile, lei era in auto. Green non voleva intervenire, aspettavano altre…”
Ma una scena si aprì ai loro occhi, non appena Esposito buttò giù una porta chiusa a chiave.

Sergei puntava la pistola verso Kate, seriamente provata. Aveva lividi ovunque, segno che era stata colpita più volte. Si reggeva in piedi a malapena. Aveva provato a difendersi, ma Sergei era troppo forte, anche per lei. L’uomo stava aprendo un passaggio in una parete, spostando un armadio. Era la porta di collegamento tra due edifici adiacenti, l’ingresso segreto che aveva utilizzato per entrare senza essere visto da nessuno.
Non appena Esposito buttò giù la porta, Sergei afferrò Kate e la strinse vicino, puntandole una pistola alla tempia.
Esposito urlò: “Fermo dove sei! Lasciala andare e forse non ti ucciderò!”
Sergei, usando Kate come scudo, premendo maggiormente la pistola sulla sua nuca, rispose furioso: “Mettete voi giù le armi, o giuro che la ammazzo!” Alle spalle di Esposito comparvero Montgomery, l’agente Shaw e altri agenti dell’FBI. Castle, nella confusione, era sparito.
L’agente Shaw fissò il bastardo: “Sergei, non vogliamo altri morti, ormai sei finito. Guardati intorno, dove credi di scappare? Ti abbiamo preso, non puoi più sfuggirci. Sei circondato!”
Sergei rise di nuovo. “Voi non capite. Non è prendendo me che sconfiggerete tutta la mia organizzazione. Siamo ovunque, siamo ad ogni angolo.”
“Sappiamo più di quanto immagini Sergei. In questo momento i miei agenti stanno entrando nei tuoi nascondigli, nei tuoi motel, nei tuoi covi e nelle tue case. Tutte le ragazze stanno per essere liberate nei prossimi dieci minuti. Non hai scampo. Arrenditi. Lascia andare il detective Beckett e alza le mani. Subito!”
“NON POTETE DARMI DEGLI ORDINI!” e mentre urlò queste parole, strinse ancora di più Kate. Indietreggiò di qualche passo e premette un pulsante nella parete. All’improvviso tra il passaggio che divideva i due edifici si chiuse una porta, bloccando gli agenti dell’FBI da una parte, dando il tempo necessario a Sergei di fuggire nell’edificio accanto.
 
“Visto Nikki? La polizia non mi fermerà. E il mio cliente pagherà il doppio per averti. Sei famosa.”
“Non riuscirai a farla franca Sergei.” Kate cercava di frenarlo, ma era seriamente provata. Le girava la testa, era debole. Sergei la trascinava con forza verso i corridoi e le scale, verso il piano terra.
Davanti a una porta si fermarono. Sergei puntò la pistola contro Kate e le ordinò di togliere un paio di chiavi dalla tasca destra della giacca. Kate obbedì. Mise la mano destra all’interno della sua tasca.
Poi, con un rapido movimento, alzò il braccio sinistro contro la mano di Sergei che impugnava la pistola. Partì un colpo. Sergei le bloccò la mano nella tasca, le piegò il braccio dietro la schiena e urlò: “Non sei più furba di me! Apri quella dannata porta, ORA!”
Kate non poteva fare altro. Mise la chiave nella serratura e girò.
La porta si aprì e Sergei, con enorme sorpresa, vide davanti alla sua moto Castle, che impugnava una pistola e la puntava verso di lui: “Fa’ come ti ha ordinato l’agente Shaw, o ti giuro che sparerò entro tre secondi, se torci un altro capello alla detective.”
Sergei si immobilizzò, rise. Lasciò Kate, che si accasciò sul pavimento, proprio davanti a lui, sfinita.
Castle  aveva fatto il giro dell’edificio, entrando dalla parte opposta.
“L’unico rumore che ho sentito che potevo collegare al tuo arrivo era il rombo di una moto. Eccola, la tua moto. Un vero gioiello. Ho fatto il giro dell’efidicio e l’ho trovata. Sapevo che saresti uscito da questa parte. Un bastardo importante come te prepara sempre delle belle uscite di scena. Hai ucciso una ragazzina gettandola da una finestra, hai una personalità teatrale per essere un figlio di...” Lo fissava, puntandogli ancora la pistola contro. Gli occhi di Castle non esprimevano entusiasmo o allegria, come suo solito. Erano arrabbiati, furiosi. Sosteneva lo sguardo di Sergei, non aveva paura.
Quello, alzando la pistola prima verso Castle, poi puntandola verso la testa di Kate, rispose: “Richard Castle, lo scrittore che non trova le parole per descrivermi. Avanti, sparami. O tu uccidi me, o io uccido la tua musa. Sei uno scrittore, non hai il coraggio di sparare, vero? Ma io sì, scommetti?”
Caos. Urla.
Dietro le sue spalle, all’interno dell’edificio, stavano comparendo decine di agenti, capitanati da Shaw.
 “Prendetelo!” Ordinò veloce l’agente Shaw. Ma non appena Esposito fece un passo avanti verso Sergei, quello si girò rapidissimo, deciso a sparare.
Un colpo. L’inizio di una sparatoria.
Il proiettile colpì Esposito al braccio, ma altri quattro colpi centrarono Sergei in pieno petto, che cadde con un tonfo secco a terra. La tuta da motociclista poteva attutire i pugni, ma non i proiettili.
Montgomery si preoccupò di aiutare Kate a rialzarsi, Esposito si controllò il braccio e per fortuna era stato colpito di striscio, l’agente Shaw disarmò Sergei e controllò che respirasse ancora.
No, nessun respiro: era morto.
Dannazione, pensò.
“Agenti, cercate in ogni stanza. Questo bastardo doveva pur nascondere i suoi documenti da qualche parte. Forza, andate!”
Castle, accanto a lei, con ancora la pistola tra le mani, chiese: “Che informazioni state cercando, agente Shaw? Perché non siete intervenuti non appena avete sentito che Sergei era nella stanza? Era questo il piano.”
La donna lo guardò e sorrise, un sorriso triste, e, dopo avergli tolto la pistola dalle mani, abbassò lo sguardo: “Informazioni top secret, Castle. Mi scuserò con tutta la vostra squadra per avervi tenuto all’oscuro di tutti i particolari, ma questo non è un affare che vi riguarda. Sono lieta che Beckett sia salva, in ogni caso.”
Nonostante Castle desiderasse sapere tutti i dettagli, nonostante provasse tanta rabbia, chiuse la conversazione e, con Esposito che lo tirava per un braccio, andò a cercare Montgomery e Beckett.
Le ambulanze stavano arrivando, Kate intanto era appoggiata al capitano che l’aveva coperta con la sua giacca. Castle si offrì per sostenerla. Il capitano annuì.
“Sono felice che tu sia viva, Kate.” Le sussurrò lo scrittore.
Lei sorrise.“Castle hai visto Irina? È una bambina, era nell’hotel prima.” Kate era agitata ma Montgomery le aveva vietato di muoversi. Castle si guardò intorno, e vide Ryan avvicinarsi tenendo per mano una ragazzina, avvolta in una grande giacca da poliziotto. “Nadia!!” urlò quella, correndo incontro a Kate e abbracciandola forte.
“Irina stai bene!!” anche Kate la abbracciò forte, nonostante il dolore che provava per i colpi subiti.
“Sì, anche tu!! Grazie grazie grazie!!”
Ryan diede un colpo sulla spalla ad Esposito: “Quello cos’è, un graffio?” gli chiese, indicando la ferita al braccio.
“Un graffio” rispose il collega, sorridendo.
La bambina fu accompagnata da un agente dell’FBI su un’ambulanza e fu portata via.

Kate fu fatta salire su un’altra ambulanza, ma prima di partire per l’ospedale, chiese ai colleghi: “Perché non siete intervenuti subito?”.
Quelli si guardarono, non sapendo cosa risponderle. L’agente Shaw, che stava uscendo dall’edificio, seguita da una decina di agenti, si avvicinò all’ambulanza: “Sergei è arrivato in moto. Ha parcheggiato nel retro dell’edificio accanto ed è entrato. C’è una porta che lo collega a questo hotel, non lo sapevamo. Ci è passato sotto il naso. Almeno adesso sappiamo che faccia ha, anche se non serve più a molto.”
“Andiamo agente Shaw. L’FBI che si fa fregare in questo modo? Qualcosa non mi torna. Cosa non ci state raccontando?” chiese Castle.
“Questa è la sua versione personale Castle. La mia versione, nonché quella dell’FBI, la sapete. Beckett, vada a farsi controllare quei lividi. Dev’essere stata dura per lei.”
Ma Kate non rispose, si limitò a chiederle “Le sue squadre?”
“Avrete un resoconto stasera stessa. Stiamo smantellando l’organizzazione di Sergei in tutta New York, e non solo. Ho squadre sparse ovunque, Green ha fatto un lavoro eccellente nello scoprire tutti i luoghi in cui tengono le ragazze prigioniere.”
Castle le si avvicinò, con volto furioso: “Avete messo Beckett in pericolo per sapere che cosa, agente Shaw?”
Montgomery lo bloccò per un braccio e lo allontanò: “Agente Shaw, avete usato una mia detective per un’operazione che al momento non mi è completamente chiara. Abbiamo il diritto di sapere ogni particolare.”
Jordan Shaw glielo doveva.
L’agente dell’FBI guardò Kate: aveva una ferita sulla guancia, lividi ovunque e lo sguardo di chi avesse passato davvero una pessima giornata.  
Sì, doveva dir loro qualcosa in più.
“L’organizzazione di Sergei è più complessa di quanto potete immaginare. Quell’uomo ha contatti in tutto il mondo. Il giro di prostituzione da lui organizzato e controllato non si limita solo a New York. Come avrete sentito ha contatti anche nelle Filippine, ha clienti arabi. Volevamo riuscire a scoprire i suoi contatti. Avrà delle liste, avrà documenti, da qualche parte. Ma è morto, così noi speriamo di arrestare più bastardi possibili al suo servizio e speriamo di liberare tutte le ragazze che teneva sotto controllo. Non volevo che morisse, non mi serve a nulla morto. Volevo che parlasse. Volevo che Beckett riuscisse a entrare nelle sue grazie e magari scoprire qualcosa in più. Ma le cose hanno preso una brutta piega. Ho fatto un errore, non ho pensato che Beckett potesse essere riconosciuta come Nikki Heat. Quell’articolo sul giornale, ho fatto un errore tremendo nel dimenticarlo.”




...Manca solo l'epilogo,
poi la storia finirà!!
Un grazie sincero a chi l'ha seguita dal primo capitolo all'ultimo!!
Con affetto,
Luli87

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo.
 
La televisione stava trasmettendo un annuncio dell’FBI. Jordan Shaw, in conferenza stampa, spiegò:
“Nel 1865 il congresso degli Stati Uniti ha rettificato il tredicesimo emendamento della Costituzione, che stabilisce che né la schiavitù né l’involontaria servitù dovrà più esistere negli Stati Uniti d’America. Nessuna persona sensibile crede che possa esistere la schiavitù nel XXI secolo, ma non sanno quanto si sbagliano.
I trafficanti di schiavi di tutto il mondo hanno scoperto quanto ci si arricchisce comprando e vendendo le persone. Il traffico umano c’è. Uomini come Sergei Rostov sanno come approfittarne. Ora noi l’abbiamo fermato. Ma ci sono tanti altri uomini come lui, pronti a prendere il suo posto. Dopo la tratta delle droghe e delle armi, l’affare più redditizio e criminale è la tratta degli esseri umani. Per quanto sarà difficile questa battaglia, l’FBI e tutte le forze dell’ordine lavoreranno insieme per combattere questi criminali. Affrontiamo il fatto che nessuno di questi orrori sarebbe possibile se la nostra cultura non ne avesse aumentato la domanda. Rendiamoci conto che la schiavitù moderna esiste, dobbiamo smettere di ignorarla e iniziare a combatterla.”
 
Montgomery spense la tv: “Sono fiero di tutti voi. Esposito, Ryan, ottimo lavoro.” Poi guardò Kate negli occhi, le mise una mano sulla spalla e con tono paterno le disse: “Beckett, sono orgoglioso di averti con me, ottimo lavoro, davvero.”
Nel distretto ci fu un applauso generale mentre Kate, Esposito e Ryan uscivano dall’ufficio del capitano.
Dietro di loro, Castle li osservava. Il capitano gli appoggiò una mano sulla schiena.
“Castle, hai fermato Sergei appena in tempo. Hai avuto quel lampo di genio della moto. Poteva fuggire.”
“Sì beh, i dettagli sono importanti per noi scrittori di gialli. Ci sareste arrivati anche voi.”
“Sì. Ma le hai salvato la vita. Avrebbe potuto ucciderla.”
“Già. Per fortuna le serviva viva. Siamo stati degli stupidi a permetterle di partecipare all’operazione. E io sono stato uno stupido a farla diventare la mia Nikki Heat. Quell’articolo… se non fosse stato per quella foto l’operazione sarebbe riuscita perfettamente. Già una volta ha rischiato di morire, per colpa del mio romanzo.”
“Non è colpa tua Castle. Ma se ci tieni così tanto a lei, è ora di farglielo sapere.”
E Montgomery tornò a sedersi alla sua scrivania: lo aspettava un lungo rapporto.
Castle, appoggiato alla porta, guardava Kate sorridere accanto a Esposito e Ryan: era felice.
E lui poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo vedendola così serena.
Kate era viva, ancora lì con lui. Cosa poteva desiderare di più per Natale?
La detective vide che Castle la stava osservando e gli sorrise, chinando leggermente la testa, quasi volesse dire “Non so cosa sarebbe successo se non fossi arrivato tu. Grazie Castle.”
Un sorriso che Castle  considerò il più bello, il più sincero, il più dolce, il più vero che avesse mai visto.
Sì, prima o poi te lo dirò quanto sei importante per me, Kate. Ma per ora penso a proteggerti.




Lo so, forse molti di voi non hanno apprezzato che in questa storia mancano scene romantiche e dolci tra Kate&Castle,
ma ho deciso volontariamente di non metterle. Meno miele, almeno per questa volta!
Volevo rendere la storia più simile al telefilm, quindi tanta azione e poco romanticismo.
Se ho deluso qualcuno, mi scuso ma non era mia intenzione.


Rinnovo un sincero grazie a chi ha seguito questa storia,
e auguro a tutti voi delle splendide vacanze di Natale e un 2011 migliore del 2010!
Con affetto,
Lucia


 

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