Loci vitarum epicarum

di Xay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Procreatix Mortis ***
Capitolo 2: *** Deliratio Ex Vanitate ***
Capitolo 3: *** Illa puella ***



Capitolo 1
*** Procreatix Mortis ***



Procreatix Mortis

[Dallo squarcio del diario di Sibilla, Guerre del Mondo Emerso, Un nuovo regno, prima parte]

Perle di sudore e lacrime di rugiada investivano il viso candido di una regina. 
Era stata fin da bambina una regnante eccelsa, aveva amministrato la Terra del Sole con la diligenza di una donna già matura quando invece le sue coetanee ancora giocavano con le bambole di pezza, e i loro occhi rilucevano di un’innocenza, che lei aveva negato a se stessa, per impugnare uno scettro e indossare una corona, lasciando che il loro peso gravasse sui suoi pochi anni.
Non poteva tornare indietro, adesso. Ma se solo avesse saputo…
L’odore del sangue le pizzicava il naso, strizzava gli occhi e urlava; il dolore era passato in secondo piano, era la rabbia a farla urlare forte, mentre scuoteva vigorosamente la testa, nel tentativo di mandare via la Sua immagine.
Un uomo spregevole, che maneggiava la spada come vivesse in funzione soltanto di quella.
Quando – ancora innocua ed illusa –  l’aveva guardato di nascosto allenarsi, pochi giorni prima del loro matrimonio combinato, si era accorta fin da subito che c’era qualcosa di strano in quei movimenti. Come se non fosse lui a maneggiare e possedere l’arma, ma fosse la spada stessa a usare lui come un oggetto.
Stingeva le coltri merlate tra le mani e puntellava i piedi, poi scalciava.
«Fatelo uscire, non lo voglio, basta!» gridava, tra lacrime, dove ancora una volta il dolore non esisteva. Per quanta sofferenza fisica potesse provare in quel momento, niente, neanche la peggiore tra le torture, poteva essere comparata al male che si provava per la perdita della sola cosa che avesse mai amato e desiderato.  
«Maledetta febbre rossa…» mugolava a voce bassa, tra continui gemiti, ma nessuno sembrava capire le sue parole, nessuno sembrava ascoltare o soltanto provare a capire i suoi vaneggi, quelli di una madre distrutta, non di una regina, di una semplice madre.
Le levatrici cercavano di incoraggiarla, di aiutarla, ma lei le spintonava malamente e guardava tutte con sguardi iniettati di rabbia. «Fatelo uscire!» ruggiva, la voce sempre distorta dal rancore.
«Vostra Altezza, stia serena.» provava a sussurrare Sibilla, una mano stretta in un pugno, che teneva poggiata con sofferenza sulle labbra screpolate.
Lei era l’unica che mai avesse capito quello che la regina provava nel portare in grembo quella Creatura, frutto soltanto dalla violenza.
E quel nome.
Quando il re le aveva detto come si sarebbe chiamato, la sua ira si è tramutata in un pianto disperato. Learco. Voleva chiamarlo Learco.
Il nome dell’Angelo che aveva deliziato e riempito la sua vita vacua per non più di pochi anni ed ora era andato via. Voleva rimpiazzarlo. Un altro urlo. Ormai urlava soltanto per coprire i vagiti della Creatura.
«Mia Regina, è tutto finito.» mormorava adesso Sibilla, tamponandole via il sudore con un fazzolettino di cotone finemente ricamato. Su quel fazzolettino traspariva il suo nome, il nome di una regina distrutta dalla sua carica. Solo adesso capiva quando le sarebbe piaciuto essere semplicemente un’abitate qualunque del Mondo Emerso. Solo allora si sentiva piccola, fragile, schiacciata dal peso della corona e dello scettro, che dopo la morte del Vero Learco avrebbe voluto abbandonare.
Ogni volta che pensava di farlo si ritrovava davanti l’evidenza che lo scettro fosse ormai un tutt’uno con la mano che lo impugnava, e la corona, quella se la ritrovava cucita sulla testa contro volontà.
La regina stava sempre peggio,  la Creatura era uscita dal suo grembo, ma non smetteva di piangere, e lei piangeva insieme a questa, per odio. Odiava quella Creatura, la odiava con tutto il suo animo. Quel vagito alle sue orecchie somigliava ad una blasfemia, così per non sentirlo si copriva la testa con un cuscino, e continuava a urlare, a scalciare, a piangere.
«Portatelo via!», urlava, «Portatelo lontano da me!» e intanto le lacrime continuavano ad inzuppare le coltri merlate di quel baldacchino reale.
Poi la folla, urlava di gioia, acclamando la Creatura con un nome non suo.

No, no, no. La regina stringeva il cuscino più forte, come volesse soffocarsi. Non chiamatelo Learco, no.
«Vostra Maestà, vostro figlio…» per fermare quell’ennesima parola blasfema soffocava un urlo feroce da sotto il cuscino.
«Non è mio figlio. È figlio suo. Può farne quello che vuole, non voglio vederlo.» ormai parlava con voce tirata, roca, tante erano state le urla che adesso anche un sussurro le moriva in bocca, cercando di uscire dalle labbra secche e tese. Fuori, la folla continuava con giubilo i festeggiamenti in onore della Creatura. Alle sue orecchie tutta quella gioia era un’offesa sempre più grande.
La regina piangeva e urlava, fino a farsi male ai polmoni per lo sforzo, fino a quando, anche l’ultimo grido di gaiezza, si spegneva, lasciandola finalmente sola nel suo dolore.
Ora c’era solo un’ultima cosa che aspettava. E non era il sole dell’indomani, non era neanche l’estate o una nevicata. Aspettava di morire, lo voleva, lo bramava più di qualunque altra cosa, per potersi ricongiungere al suo adorato Learco e abbandonare al proprio sanguinario destino tutto il Mondo Emerso.
Tutti lo meritavano, per lei nessuno era più degno di vivere da quando Learco era morto, tantomeno quella Creatura.

Vi narrerò, o miei amati, – cantava con l’abilità e l’affabilità di un cantastorie la sua testa, a gran voce – la storia di una regale, la Regina Sulana della Terra del Sole, salita al trono ancor prima di essere in età da marito, ma in seguito consumata e divorata dall’odio e da una vita che l’ha spolpata fino all’osso.
La regina lo sapeva, era così.
E in quella notte aveva avuto la tentazione di colpire con due colpi fiacchi il campanellino in ottone che brillava sul comodino, alla luce sbiadita della candela, pressoché consumata, per chiedere ad una cameriera di portarle la Creatura.  Per poterla vedere, e magari cercare il lei qualcosa di Learco. Del Vero Learco.
Ma subito dopo scuoteva la testa per allontanare quel pensiero, perdonando a bassa voce l’Anima del suo Unico figlio per la bestemmia cui aveva, fortunatamente, solo pensato.
Affondava il viso nelle coltri e, con un soffio stentato, che faceva filtrare dalle labbra, lo stoppino si spegneva, facendo cadere la stanza nel buio.
Non avrebbe mai amato quella Creatura, né l’avrebbe mai chiamata con un nome che di per sé non le apparteneva.
Learco era morto, e con lui anche lei.

Dohor poteva farne quel che voleva di quella Creatura, a lei non sarebbe importato.
Un singhiozzo faceva tremare il corpo della regina, mentre lo pensava.
A lei non importava più niente.

 

-.Lo spazio diValentina.-
Volevo solo vedere cosa ne avreste pensato di tutto questo ^^
E' la prima storia che pubblico su una delle trilogie di Licia Troisi.
Non sono abituata a scrivere su di loro, ma mi piace, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe immensamente piacere, anche perché davvero non so cosa pensarne.
Un grazie in anticipo, credo che posterò qualche altra One-Shot, chi lo sa! xD Un bacio, Vale.


 

 

 

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Capitolo 2
*** Deliratio Ex Vanitate ***


       Deliratio Ex Vanitate

[Missing Moment, Cronache del Mondo Emerso, Nihal della Terra del Vento, capitolo 8]

Soana si spazzolava i lunghi capelli neri, osservava la sua immagine alla specchio, sorrideva.
Non era difficile capire cosa stesse pensando; pensava a Fen.
Alla prima volta in cui l’aveva incontrato, al suo viso perfetto, al suo sguardo, alla sensazione che l’aveva pervasa nel momento in cui lui le aveva sfiorato appena la mano tremante con le sue labbra, in un baciamano computo, ma dal quale traspariva un fervore che la faceva sorridere ed arrossire ancora adesso.
Proprio come una ragazzina.
Quella osservazione la colpì, in piena faccia, con la stessa violenza di uno schiaffo: le ricordò il giorno in cui Nihal aveva visto Fen per la prima volta.
I movimenti lenti e ritmici della spazzola si fermarono e i suoi occhi pizzicarono nel ricordare la reazione della ragazza. In quel momento lo specchio le mandò indietro l’immagine di una donna preoccupata.
Non era gelosa, non lo era mai stata, – a sua opinione niente le apparteneva – ma aveva paura dei pensieri di Nihal. Era pur sempre un’adolescente. E come tale era impossibile da gestire, non poteva farla ragionare.
L’amore non sente ragioni, specialmente  il primo amore, quello adolescenziale.
Nihal non pensava minimamente che Soana sapesse quello che provava per Fen, e lei, di conseguenza, non aveva intenzione di darlo a vedere. Preferiva che la nipote se la sbrigasse da sola, ma sapeva al contempo che sarebbe rimasta delusa, ferita, forse per sempre.
Il cuore si strinse in una presa d’acciaio e la spazzola finì per caderle dalle mani, atterrando per terra con un tonfo sordo, l’unico rumore che spezzò per qualche secondo il silenzio della piccola casa ai margini del bosco nella Terra del Vento.
Non voleva che sua nipote soffrisse o era la sua gelosia che, inconsciamente, la stava implorando di parlare a Nihal, di precisarle la situazione, di spiegarle che Fen apparteneva solamente a lei?
Non lo sapeva – rabbrividì – e non voleva saperlo.
Si chinò su se stessa e afferrò la spazzola, per poi riporla sul tavolino in legno. Ancora per una volta sollevò gli occhi e, fissandoli sullo specchio, studiò la sua espressione mentre si faceva sempre più divertita.
Come poteva provare gelosia per sua nipote? Infondo era una ragazzina!
Un risolino gioioso le scappò dalle labbra, indietreggiò di qualche passo e si tappò la bocca, ancora gli occhi volarono allo specchio. Si sentiva dispiaciuta per quella stupida gioia, era un’offesa ai sentimenti di Nihal.
Scosse la testa, si schiarì la voce e appiattì la tunica sul grembo, per darsi un contegno, dopo, con un gesto di stizza afferrò uno dei sassolini magici che usava per l’incantesimo di comunicazione e lo scagliò contro la superficie riflettente. Andò in mille pezzi, lei sorrise di nuovo. Doveva pur sfogare la rabbia, in un modo o nell’altro.
<< Soana, tutto a posto là dentro? >> la voce di Sennar, dalla cucina a giudicare dalla lontananza, la fece sobbalzare.
La maga ad un gesto sbrigativo della mano accompagnò una parola biascicata in una lingua incomprensibile, davanti i suoi occhi lo specchio tornò integro.
Senza rivolgere più nessuna attenzione alla suo riflesso afferrò la mantella, che giaceva piegata sul letto, aprì la porta e se la chiuse alle spalle.

Soana, datti una calmata, sei una donna matura – si disse, dopodiché attraverso lo stretto e piccolo corridoio e accennò un sorriso cordiale a Sennar, intento ai fornelli, ringraziandolo per la colazione, poi guardò fuori dalla finestrella angusta. << Nihal? >> chiese, con nonchalance.
<< Dorme.  >> fu la risposta.

Sogna, sicuramente Fen. – ringhiò una vocina squittente e fastidiosa, nella sua testa.
Soana, sei una donna matura. – ripeté, e, come nulla fosse, annuì, si sedette e iniziò a bere svogliata il latte dalla sua scodella.

 

-.Lo spazio diValentina.-
Eccomi con un’altra One-shot, forse un po’ inquietante? Lascio a voi l’ardua sentenza!

Soana: Mi fai sembrare un’emerita pazza. U_u
Io: Magari era proprio quello che volevo. U_u
Soana: Ne dubito, non sei così intelligente da pensare una cosa del genere.
Io: heyyy!!! Se proprio vuoi saperlo Fen muore, e tu finirai per metterti con Ido. Il MIO Ido >___<
Soana: Fennn cosa?? O.O … e chi è Ido??
Io: Vabbé, lasciamo perdere ^^”
 

Risposte:

Tawara: Hola, sono Valentina!! *O* Grazie per i complimenti e per l’avvertimento. Posso controllare una storia quanto voglio, prima di pubblicarla, ma ci sarà sempre qualcosa che mi scappa!! Dimmi se ti piace questa, e non ti preoccupare per le recensioni pazze, mi piacciono. Sono la prima a farle. xD Alla prossima, spero. Ciaooo, che Aster sia con te. u_u

 MonyPurpa: Ma graaaazie!! Ti ringrazio per i complimenti, tutte le donne di questi libri mi hanno sempre affascinato, e la regina-bambina mi aveva praticamente lasciata spiazzata, inizialmente.
Quiiiindi, ho provato a fare del mio meglio. :D
Sulana: … e non ci sei riuscita!
Soana: Almeno tu non sembri una pazza squilibrata!
Sulana: ah no? -.-“
Io: Basta voi due!! Alla prossima, mi auguro, ciao Mony!! *o*

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Capitolo 3
*** Illa puella ***


Illa puella

                                                               [lezioni di volo, Nihal della Terra Del Vento, le cronache del Mondo Emerso] 
S
apeva che lui non sarebbe tornato. L’aveva visto morire, dopotutto, ma non riusciva a rassegnarsi, non avrebbe mai abbassato la cresta, e nessuno sarebbe riuscito a tagliargliela.
Neanche quella ragazza.
Perché continuava ad insistere? Perché faceva tutti quegli sforzi inutili per farsi accettare?
Non lo capiva, non voleva più capire niente. Aveva solo voglia di lasciarsi andare alla vita e seguire il suo compagno, come sentiva di fare, uccidendo tutti quelli che avrebbero voluto impedirglielo, sempre se qualcuno avesse avuto il coraggio di farlo.
Solo quella ragazzetta gli sbarrava la strada.
Lui, dal suo conto, sentiva già esaurire la sua scorta di pazienza, che tra l’altro non era mai esistita.
La allontanava, ma lei non mollava e tentava ancora di avvicinarsi, l’aveva fatto infinite volte.
Minacciava chiunque, ma solo lei sembrava non essere impaurita. Non lo era mai stata, impaurita.
Tutti scappavano incontrando il suo sguardo di braci ardenti, solo lei lo sosteneva audacemente, con il suo, viola.
L’aveva quasi uccisa, una volta, c’era andato vicinissimo, ma aveva fallito, per colpa di quello stupido gnomo.
Il tempo passava, lasciandolo del tutto insofferente: il dì la ragazzetta gli parlava, parlava di tutto, ma dopo quel giorno in cui l’aveva quasi uccisa manteneva le distanze; la notte, in sogno, il suo compagno, il suo unico alleato, lo pregava di andargli incontro, e la sua immagine, stampata indelebilmente sotto le palpebre, gli sorrideva, incoraggiandolo, invogliandolo per quella strada che aveva intrapreso. Doveva continuare ad imporsi, doveva farlo per lui. Per il loro patto.
E poi c’erano quelle catene, il dolore, un dolore che da un paio di giorni non voleva ammettere gli pesasse più del lecito.
Decise di ribellarsi e, quando lo trascinarono al solito posto, fece di tutto per impedire ad altri di decidere dove lui dovesse andare, ma il dolore era diventato insopportabile.
Solo allora si accorse della ragazza che, con il petto gonfio d’orgoglio e lo sguardo fiero, avanzava a passo sostenuto verso di loro.
<< Ehi, voi! >> la sua voce era squillante, ancora infantile, ma al contempo trasudava rispettabilità. << D’ora in poi non voglio più vedere quelle catene! >> La reazione dei due fu irrispettosa.
La cosa lo irritò ugualmente: non voleva essere protetto da una ragazzetta. Lui si era sempre difeso da solo. Tuttavia era troppo preso dal dolore per curarsene.
La conversazione seguì per un po’, ma lui non stava più molto attento, era intento ad ispezionarsi la ferita. Uno l’apostrofò e mise in discussione la sua parola, lei provò ancora una volta ad avvisarli, ma di
nuovo nessuno dei due intendeva portare lei il rispetto preteso.
Fu un attimo, sguainò la spada e li minacciò, sta volta non un obbiezione si mosse contro la ragazza, anzi, i due annuirono e andarono via con passo concitato.
Lei si voltò e lo guardò mentre lui riversava ogni sua attenzione alla ferita, provò ad avvicinarsi, lui fu più veloce, si scansò e l’avvisò sbuffando vistosamente.
La ragazza non sembrò preoccuparsene, questo lo fece adirare ancora di più, era già pronto ad ucciderla, sta volta ci sarebbe riuscito, ma si fermò, spiazzato da un fendente, che tagliò l’aria appena sotto di lui.
La catena era andata in pezzi e ora lei era stata veloce più di lui, chinandosi sulla ferita.
Si sarebbe voluto spostare, e l’avrebbe anche fatto se solo la sua ferita ora non fosse avvolta da un tepore che gli regalava  quel sollievo desiderato da tempo.
Curioso, chinò il capo e notò la ragazzetta completamente dedita alla sua ferita purulenta. La fonte del calore erano le sue mani piccole e affusolate, protese verso di lui.
Di nuovo s’irritò, in quel momento trovò la forza di allontanarsi e lo fece, ma come nulla fosse lei si avvicinò e ricominciò a curarlo.
Rimase per del tempo a fissarla, a fissare la sue mani, a valutare l’affetto che lei potesse ipoteticamente provare nei suoi confronti, e si stupì nel capire che non era una bugia quello che lei diceva. Loro due
erano uguali.
Infelicità, confusione, tanta sofferenza…
La ragazzina accennò un sorriso nel notare che la ferita non era più infetta e si deterse la fronte con il dorso della mano, accasciandosi al suo fianco, come se si fidasse ciecamente di lui.
Continuò ad osservarla, l’irritazione lasciò spazio alla curiosità e, anche se non l’avrebbe mai creduto, alla gratitudine.
<< Mi devi la libertà, Oarf. Da oggi vedi di fare il buono. >> biascicò la ragazza, mentre si alzava in piedi e puntava il suo sguardo viola dritto in quello di lui.
Per la prima volta fu accondiscendente e tornò nel suo giaciglio senza forzate.
La sera si ritrovò a pensare intensamente quella ragazza, mentre l’immagine di Dhuval si disperdeva.
Soffocò un ruggito. Non voleva dimenticarlo, ma era grato alla ragazza. Tra l’altro erano dannatamente simili, e forse provare non gli sarebbe costato niente.
Lanciò un occhiata veloce alla zampa quasi del tutto guarita e poi si accucciò contro la paglia, calando le palpebre verdi e squamose per dare riposo al suo sguardo di fuoco.
Per la prima volta, quella notte, Oarf non sognò Dhuval.

Valentina'Space...
Non sono morta e non sono un miraggio ;D, spero vi piaccia, bacio.
Ido: certo, ti concentri anche su un drago, ed io???
io: sarai il prossimo, prometto, mio macho *o*
Ido: per sta volta posso anche perdonarti ù___ù

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