Anche gli Oni hanno sentimenti Umani di Yuuki_Shinsengumi (/viewuser.php?uid=92507)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Anche gli Oni sono Umani
Sapeva
che sarebbe accaduto in quel posto, lo aveva visto.
Ed
aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per salvargli la vita.
Sapeva
che suo fratello lo avrebbe raggiunto: aveva ricevuto l'ordine di
uccidere tutti i Rasetsu di quel pazzo di Koudou-san.
E lei
aveva deciso di seguirlo.
Si
erano separati solo per far sì che lei rimanesse al di fuori dello
scontro, seduta sul ramo più alto dell'albero più alto, sotto cui
sapeva che si sarebbe conclusa la vita di Harada.
Ma lei
era intenzionata a cambiarne il destino.
Guardava
l'umano nervosamente, mentre questo parlava con suo fratello, dando
il via al solito scambio di convenevoli al vetriolo che erano soliti
scagliarsi.
Non
riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Sapeva che quella
probabilmente sarebbe stata l'ultima volta in cui lo avrebbe guardato
senza sentirsi trafiggere dall'odio che avrebbe letto nei suoi occhi
per ciò che stava per fargli.
Lo
aveva incontrato mesi prima, quando per un puro caso era stata
attaccata da un manipolo di Rasetsu, attirati dall'odore dolce del suo
sangue di Oni. Harada era intervenuto in sua difesa e, dopo aver
annientato quei mezzi demoni, l'aveva abbracciata, rassicurandola.
Era
stato di una dolcezza incredibile.
E lei
si era convinta che gli umani non fossero tutti malvagi.
Ma
aveva scoperto a proprie spese che Harada ed i suoi compagni erano
voci fuori dal coro.
Si
strinse le braccia attorno al corpo, cercando di scacciare la
sensazione di orrore e disgusto che l'afferrava ogni volta che
pensava a quanto era accaduto poche settimane dopo il loro incontro.
Riportò gli occhi su suo fratello e su l'umano, prestando attenzione
alle loro parole.
-
Non
è tempo che un essere debole come te si ritiri? - furono le parole
di suo fratello mentre preparava i proiettili d'argento, gli unici
in grado di neutralizzare i Rasetsu.
-
Mi
dispiace... ma non ho intenzione di andare da nessuna parte.
L'altro
gli indirizzò un sorriso sghembo.
Uno
sparo annunciò l'inizio delle schermaglie.
-
Heilà,
Koudou. - fu il saluto ironico di Shiranui.
-
Che
ci fate qua voi due? - chiese il vecchio, sorpreso, arretrando di un
passo.
-
Non
riesco a capire come tu possa definire 'sti esseri creati in serie
come una nuova razza di Oni.... Ho pensato che questo potrebbe
essere il momento adatto per mostrarti come agiscono i veri Oni.
-
Non
importa quanto tiri in ballo i loro ideali, non ha alcun
significato se muori. Ho dovuto farlo per diventare forte! - fu la
risposta del vecchio pazzo.
-
Cosa?
- chiese Shiranui.
-
Credi
veramente di stare aiutando la famiglia Yukimura? Di farlo per
Chizuru? Non capisci che la stai facendo soffrire?! - furono le
parole di Harada.
-
E'
inutile continuare questa conversazione. Rasetsu, bevete il loro
sangue finché non ne sarete soddisfatti!
Le
urla di quei demoni impuri dette il via alla battaglia.
Spari
in rapida successione, grida di dolore, odore di polvere da sparo e
sangue.
Shiranui
era stanco e Harada risentiva anche delle ferite gravi che aveva
riportato. Ma nessuno dei due si arrendeva.
Harada
si accasciò al suolo, tenendosi in ginocchio, poggiando il peso su
una mano, mentre il terreno sotto di lui si tingeva del rosso del suo
sangue.
Shiranui
gli lanciò un'occhiata rapida, comprendendo che ormai il suo
nemico-compagno di battaglia era giunto alla fine. Sperava solo che
la ragazza, nascosta su di un albero, non si facesse prendere dal
panico, uscendo allo scoperto anzi tempo.
Avevano
sterminato tutti i Rasetsu. Solo Koudou era rimasto in piedi.
L'Oni
non poteva aspettare oltre. Gin lo avrebbe raggiunto presto.
Il
click del cane che risuonava a vuoto, annunciandogli che aveva finito
i proiettili, lo mise in agitazione.
La
risata di Koudou giunse sino alle orecchi di Gin, pronta a balzare a
terra in difesa del fratello.
Koudou
tirò fuori il suo asso dalla manica: una bomba.
Rapido,
l'arma di Harada passò accanto alla testa di Shiranui, arrestando la
propria corsa nel petto di Koudou, che perse la presa lasciando
cadere la bomba a terra.
La
deflagrazione fu potente ed il suo corpo venne sbalzato in acqua.
Shiranui
si diresse velocemente verso il fiume in cerca del corpo ormai
scomparso di Koudou. Tornò quindi verso Harada, trovandolo seduto a
terra, le mani a premere sulla ferita al fianco, le spalle poggiate
contro il tronco dell'albero da cui Gin stava iniziando a scendere
silenziosamente.
L'Oni
rimase sorpreso, mentre spostava gli occhi da lui a sua sorella,
ormai seduta sul ramo proprio sopra le loro teste e sul cui volto
scorrevano lacrime silenziose.
-
Sei
piuttosto insolente per essere un umano. - gli rispose Shiranui,
andando poi a sedersi accanto a lui.
-
E'
finita.
-
Già...
- fu la risposta stentata di Harada.
Gin
poggiò le spalle allo stesso albero, dalla parte opposta rispetto ad
Harada, cercando di tenere disperatamente a bada i singhiozzi, anche
se questi si limitavano a respiri spezzati. Forse, in condizioni
normali, l'uomo l'avrebbe individuata immediatamente, ma la morte gli
si stava avvicinando inesorabilmente ed i suoi sensi iniziavano già
a vacillare.
-
Mi
ricordi un ragazzo chiamato Takasugi. Un giorno dovrei andare a
visitare la sua tomba... Che farai ora? - chiese l'Oni, guardando
l'uomo seduto al suo fianco, mentre il lembo della veste di sua
sorella entrava nel suo campo visivo.
-
Oh,
già. Shinpachi mi sta aspettando... - riuscì a dire, mentre gli
occhi iniziavano a non vedere più, convincendolo che quella mano
piccola e gentile posata sul suo volto fosse solo un'illusione.
Si
trovò a sorridere lievemente, sollevato da quella sensazione di
calore che dalla guancia gli si irradiava al resto del corpo.
Gli
occhi si stavano spegnendo per sempre quando Gin, che si era già
provocata una ferita al polso da cui aveva raccolto del sangue nella
propria bocca, adagiò il corpo dell'uomo a terra, chinandosi su di
lui.
La
ragazza rispose con cenno di assenso, guardandolo con gli occhi
inondati di lacrime.
Effettuata
l'operazione, la giovane si sollevò lentamente, per poi tornare a
sfiorargli le labbra con le proprie.
L'Oni
scruto il volto della sorella leggendole negli occhi tutto il dolore
per quello che sapeva sarebbe avvenuto.
-
Gin...
perché?
-
[Preferisco
il suo odio alla sua morte]
-
Avresti
potuto avere una qualche possibilità se lo avessi fermato... se
fossi intervenuta in maniera diversa...
-
[Avrei
solo rimandato l'inevitabile... e comunque non avremmo mai potuto... lo sai anche tu]
-
Gin...
-
[Vai,
Kyo. Te ne prego... Io... arriverò presto. Dovrò spiegargli il
tutto. Ho solo bisogno di un po' di tempo per prepararmi al suo
odio.]
Shiranui
si caricò il corpo dell'uomo sulle spalle e, dopo aver lasciato una
lieve carezza sulla guancia della sorella, si allontanò velocemente.
La
giovane, finalmente sola, si lasciò cadere a terra, dando libero
sfogo a tutto il suo dolore.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani 2
La
voce profonda di Amagiri la svegliò bruscamente,
costringendola a
sollevare di scatto la testa dal petto di Harada, su cui si era
accasciata durante la veglia notturna.
La
giovane lo guardò indecisa sul daffarsi. Non che non si
fidasse del
gigante che nel frattempo le si era seduto affianco. La
verità era
che voleva godere fino a che le fosse stato possibile della compagnia
di Harada, compagnia che non appena il soggetto in questione si fosse
svegliato, le sarebbe stata negata.
La
ragazza sprofondò gli occhi grigi in quelli azzurri e
perennemente
seri di Amagiri, il quale si mostrava tenero solo con lei. L'aveva
vista nascere e crescere, trasformarsi in una giovane donna,
innamorarsi e trasformarsi in una bambola inespressiva la cui unica
ragione di esistere era salvare la vita a quel testone umano sdraiato
dinanzi a loro.
-
[Amagiri... se...]
-
Se dovesse avere una crisi ti
chiamerò, sta' tranquilla – la interruppe,
sorridendole in un ghigno quasi sinistro, tanto poco era avvezzo al
sorriso, sebbene gli occhi rivelassero un affetto sincero per la
giovane.
-
[Grazie...] - fu la replica di Gin che,
stancamente, abbandonò la posizione assunta per recarsi
nelle proprie stanze.
-
Occhi d'argento *... - la
richiamò il gigante, costringendola a voltarsi verso di lui,
sul volto un'espressione che lo invitava a continuare.
-
Finora non ho detto niente a Kyo circa il
fatto che in questi giorni hai più volte nutrito l'uomo con
il tuo sangue... Sei debolissima e fatichi a stare in piedi. Spero tu
non mi costringa a fare diversamente
-
[Ho capito...] - fu la risposta laconica di
Gin che tornò sui propri passi, uscendo dalla stanza.
Quando
si fu chiusa lo shoji alle spalle, si concesse il lusso di poggiarsi
ad esso: la testa le vorticava ed il pavimento sembrava spalancarsi
sotto i suoi piedi.
Amagiri
aveva ragione, aveva preteso troppo dal suo corpo, ma quella era
l'unica cosa per cui aveva ancora una qualche utilità.
Riprese
il cammino verso la propria stanza, sorridendo al pensiero di come si
era scoperta addormentata al momento del risveglio, la sensazione
della pelle calda dell'uomo sotto le proprie mani e la guancia
sinistra, il volto girato in direzione di quello di Harada.
Un
pensiero fastidioso e doloroso ne mutò l'espressione serena
in una
intrisa di tristezza, mentre la consapevolezza che stava
approfittando di un momento che le avrebbe lasciato solo dei ricordi
da custodire con gioia la gettava nella disperazione più
profonda.
Un
paio di occhi viola, intanto, ne scrutavano il volto con
preoccupazione.
Ti
spezzerai sorellina...
***
Stava
spazzando via le foglie dal giardino quando la visione le fece
perdere ogni contatto con la realtà. La scopa rudimentale le
cadde
di mano, mentre gli occhi si facevano fissi, senza vedere niente di
ciò che la circondava. Fu un attimo, improvvisa, come era
arrivata,
la visione si dissolse, lasciandola frastornata.
Si
voltò verso la struttura in cui Harada stava riprendendosi
lentamente dalle ferite, chiedendosi come agire. Si fosse trattato di
qualcuno di diverso, di un umano qualunque, avrebbe lasciato correre
senza indugio. Ma quel ragazzo era uno Shinsengumi, un amico di
Harada. Un umano che non le avrebbe mai fatto quello che le avevano
fatto i suoi simili. Insomma, aveva difeso quella ragazza del loro
clan, quella Chizuru, in più di un'occasione. E l'aveva
sempre
rispettata.
Sentiva
di dovergli qualcosa. E di doverlo anche a Harada.
Scosse
il capo, inquieta, chinandosi poi a raccogliere la scopa per
riprendere il lavoro interrotto a causa dell'ennesima visione di
morte.
E
decise.
Avrebbe
aspettato la reazione di Harada al suo risveglio, solo allora avrebbe
stabilito come agire.
***
-
Non puoi chiedermi di reggerti il gioco fino
a questo punto
-
…
-
Mi rifiuto, Gin. Non posso vederti...
-
…
-
Dannazione, sei mia...
-
…
-
Ho capito, manterrò il segreto ma
se...
-
…
-
No. Se dovessi...
-
…
-
No, a quel punto interverrò. O
accetti questo ultimatum oppure gli dirò la
verità.
-
…
-
Bene.
Harada
sentì quel discorso molto ovattato, come se fosse
lontanissimo, ma
questo non gli impedì di chiedersi con chi parlasse
Shiranui, dal
momento che non sentiva la voce del suo interlocutore.
Pochi
istanti dopo, un lieve raggio si luce filtrò attraverso lo
shoji, da
cui entrarono Shiranui ed un ragazzino sui diciassette anni la cui
somiglianza con l' Oni che lo accompagnava aveva dell'incredibile,
sebbene la fisicità dei due fosse diversa, innegabilmente:
Kyo era
alto e dalla muscolatura scattante, l'alto era esile; il primo aveva
lineamenti affilati, l'altro aveva un volto delicato, quasi
effeminato, sebbene i tratti ne palesassero la parentela con l'uomo
più maturo; i capelli di entrambi erano lunghi, scuri, folti
e
lucenti, della stessa esatta tonalità. La cosa che li
differenziava,
in maniera eclatante, era il diverso colore degli occhi: viola quelli
dell'uomo, grigio argento quelli del ragazzino.
Harada
era pronto a scommettere che il ragazzino fosse quel Gin* con cui
Shiranui parlava fino a pochi attimi prima.
-
Bene! Vedo che ti sei svegliato! - gli si
rivolse Shiranui.
-
Già... - rispose Harada debolmente
-
Dove mi trovo?
-
Sei presso il nostro quartier generale. A
tal proposito devo chiederti di non girovagare, se non scortato da me o
Gin, e di non uscire dal perimetro del tempio.
-
Bastardi. Mi avete salvato la vita solo per
tenermi prigioniero ed usarmi come merce di scambio con lo Shinsengumi.
- fu la risposta rabbiosa dell'uomo che, nel tentativo di sollevarsi,
ricadde pesantemente al suolo.
Il
ragazzino corse al suo fianco aiutandolo a mettersi seduto.
Un
semplice gesto del capo fu la risposta che ottenne dal ragazzo.
-
Non sei prigioniero. Piuttosto ospite,
direi. - riprese Shiranui.
-
Ospite?!
-
Certo. Adesso porta pazienza, Gin
penserà a medicarti le ferite.
Harada
riportò lo sguardo sul giovane seduto accanto a lui,
notandone il
tremito delle mani affusolate.
Sollevò
quindi gli occhi sul suo volto, osservandolo mentre un lieve rossore
gli coloriva le guance.
Resosi
conto di avere imbarazzato, se non spaventato, il cucciolo di Oni,
decise di riprendere il discorso con Shiranui.
-
Da quanto tempo sono qui?
-
Una settimana. Hai dormito per la maggior
parte del tempo, ma questo ha fatto sì che ti riprendessi
più rapidamente.
Nel
frattempo Gin si trovava in estrema difficoltà: era vero che
in quei
giorni si era occupata lei di Harada, ma toccarlo mentre dormiva era
una cosa... in quel momento, invece, l'uomo era sveglio e seminudo
davanti a lei. E Gin sprofondava sempre più nell'imbarazzo e
nel
terrore: era Harada, ma rimaneva un uomo. Inoltre era attanagliata
anche dall'ansia che scoprisse l'inganno atto a celare la sua natura
femminile.
Ci fu
un attimo di silenzio, interrotto dal rumore della bacinella che,
scivolando via dalle mani di Gin, cadeva a terra rovesciando tutto il
contenuto, per poi rotolare fino ai piedi di Shiranui.
-
Sangue? - domandò Harada,
portando lo sguardo su Gin, che intanto si era alzata, indietreggiando
leggermente per allontanarsi da lui.
-
Sangue?! - ripeté Harada, urlando
quasi, mentre la consapevolezza iniziava a farsi strada dentro di lui.
Abbassò
gli occhi sulle proprie ferite, strappando le bende con forza, fino a
mettere a nudo una striscia sottilissima e lievemente rosata laddove
avrebbe dovuto esserci uno squarcio.
-
Cosa mi avete fatto? Mi avete trasformato in
Rasetsu, vero? - urlò in preda ad una rabbia cieca,
sollevandosi in piedi, il corpo pronto a scattare.
-
No... o meglio, sarebbe giusto definirti un
Rasetsu perfetto, per quanto preferisca la definizione di Oni
imperfetto.
-
Oni... imperfetto? - chiese allora con voce
strozzata.
-
Certamente. Gli Oni sono tali solo per
nascita. Tu lo sei diventato grazie al suo sangue che Gin ti ha fatto
bere in punto di morte.
Lo
scatto di Harada colse alla sprovvista entrambi i fratelli.
Gin si
ritrovò spalle al muro, la mano destra di Harada stretta
attorno al
collo.
Kyo
balzò in avanti pronto ad intervenire in difesa della
sorella, ma fu
prontamente bloccato proprio da questa con un cenno del capo.
-
Tu, piccolo stronzo. Mi hai trasformato,
costringendomi a diventare un essere mostruoso, proprio come te.
L'uomo
scrutava con odio il volto di Gin, la cui espressione non
mutò di
una virgola.
Solo
gli occhi tradirono il turbamento provocato da quelle parole,
perdendo la loro luminosità e lasciando leggere la
sofferenza che
cercava di nascondere dietro quella facciata di indifferenza.
Harada
ebbe una sensazione di déjà vu: quegli occhi era
certo di averli
visti altrove ed improvvisamente gli si riaffacciò alla
mente quella
ragazzina che aveva salvato tempo prima dai Rasetsu.
Il
volto della giovane andò a sovrapporsi a quello del ragazzo.
Non
potevano essere la stessa persona: il sorriso solare della ragazzina
cozzava con l'espressione tirata e sofferente del ragazzo, ma
l'effetto di quella somiglianza su di lui funzionò da
calmante.
Gin lo
osservò mentre si lasciava scivolare a terra, sprofondando
la testa
tra le braccia poggiate sui gomiti.
I due
fratelli uscirono dalla stanza, dirigendosi in giardino, lontano da
orecchie indiscrete.
-
Gin, sai di aver rischiato troppo?
-
[La sua rabbia è giustificata.
Inizio a credere di aver peccato di egoismo.]
-
Non è così... e
ciò che hai fatto per salvarlo ti ha indebolita molto... non
ti sei ancora ripresa...
Non
ottenendo risposta da parte di sua sorella Kyo le sollevò il
volto
per poterne scrutare gli occhi, arrivando a comprendere quale idea
fosse maturata nella sua testa.
-
No, Gin... non puoi farlo. E' troppo
pericoloso per te. Potresti...
-
[Morire?] - gli chiese dandogli le spalle.
-
[Sono morta quando quelli...] - la solita
sensazione di orrore e disgusto la costrinse ad interrompere la frase.
-
Pagheranno per questo. Kazama e Amagiri sono
sulle loro tracce e...
-
[Qualunque sia la loro sorte, non mi
sarà restituito ciò che mi hanno preso]
– lo interruppe bruscamente, tornando a guardarlo.
-
Sorellina...
-
[Ormai ho deciso. Ciò che mi
è rimasto è la possibilità di fare uso
del mio dono per salvare i soli esseri umani degni di stima e fiducia
che io conosca]
-
Gin, se...
-
[Kyo, mi hanno privata della mia
dignità, della facoltà di parlare, condannandomi
a visioni di morte. Mi hanno sporcata in un modo che nessuno uomo
sarebbe disposto ad accettare...]
-
Ma il tuo spirito...
-
[Fratello...] - riprese lei avvicinandosi a
lui ed afferrandogli le mani – [Avrò sempre il
rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere e che non
sarà. Forse avrei avuto una qualche possibilità
con lui... forse avrebbe potuto amarmi... nonostante la mia natura
mostruosa. Ma quello che mi è accaduto mi ha resa come un
oggetto difettoso, uno scarto da accantonare. Per garantirmi un po' di
felicità non mi resta che assicurarmi che sia felice almeno
lui.]
-
Gin...
-
[Ho deciso, ormai.] - gli disse avviandosi
verso la propria stanza – [Non lo lascerò solo: il
prossimo sarà Okita Souji]
*Gin
significa argento.
Sganciata la bomba, Yuuki se ne va ^__________^ |
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Anche gli Oni3
Harada
era ormai in piedi da una settimana, periodo durante il quale si era
sempre rifiutato di lasciare la stanza assegnatagli dai fratelli
Shiranui. Gin, che non gli aveva ancora rivolto la parola, si
limitava a portargli i pasti ed a controllare che mangiasse; Kyo si
recava da lui ogni mattina e sera nel tentativo di convincerlo a fare
un giro del tempio presso cui dimoravano.
L'uomo
voleva tagliare ogni contatto con l'esterno, trasformandosi di fatto
in un prigioniero il cui carceriere era egli stesso. Voleva
dimenticare il suo ruolo all'interno della Shinsengumi, certo che, se
avesse eradicato dal suo essere tutto ciò che era stato un tempo,
avrebbe finito per spegnersi anche come Rasetsu.
Ma
l'istinto di sopravvivenza di un uomo è fortissimo, che sia umano
oppure Oni.
Non
sfuggiva alla tentazione costituita da quella apertura che gli
consentiva di vedere l'esterno attraverso una cornice. Assisteva
impassibile al trascorrere del tempo: alba, mattina, mezzodì,
pomeriggio, sera, tramonto, notte. Così come assisteva
all'allenamento a cui Kyo, Amagiri e Kazama sottoponevano
giornalmente il piccolo Gin.
Questi
aveva sorpreso non poco Harada, sopportando la fatica e le ferite
derivanti dai continui assalti del gigantesco Kyuujyu,
imparando a difendersi un minimo dai colpi di Kazama ma dimostrando
soprattutto di possedere la medesima dote di suo fratello nel
maneggiare le pistole. Si sarebbe sorpreso ancora di più se avesse
saputo che tutto ciò che Gin sapeva fare in quel campo lo aveva
appreso in pochi mesi, spinta dalla disperazione per non essere stata
in grado di difendersi: aveva giurato a sé stessa che non avrebbe
più permesso che l'aggressione di cui era stata vittima si
verificasse di nuovo, non ai suoi danni, né tanto meno ai danni
delle altre donne del clan. E poi, voleva imparare a difendere le
persone che amava. Harada incluso. Ma questo lui non avrebbe mai
dovuto saperlo.
Quella
mattina, attirato dal vociare di Kyuujyu
che riprendeva bruscamente il ragazzino ogni qualvolta non evitava il
suo colpo, mandandolo a sbattere a destra e manca, Harada uscì dalla
propria stanza, andando a sedersi sulla veranda, da cui poteva avere
un'ottima visuale dell'angolo del giardino in cui il ragazzino ed il
gigante si allenavano.
-
Posso sedermi? - la voce di Kyo gli confermò
l'identità della persona che aveva sentito avvicinarsi alle sue
spalle.
-
E' casa vostra. Io sono il prigioniero. Chiedo venia...
l'ospite – rispose con sarcasmo, senza togliere gli occhi dai due
che si stavano allenando.
-
Sei proprio un testone. Quella è l'unica cosa che il
sangue di Gin non è riuscito a curarti: la testardaggine.
Seguirono
alcuni minuti di silenzio, in cui Harada fissò il ragazzino, che in
quel momento si stava allenando nel combattimento con il bastone,
riprendendolo mentalmente per gli errori che commetteva.
-
Perché non vai ad aiutarlo?
-
Perché dovrei?
-
Perché, nonostante tutto, muori dalla voglia di
farlo. Anche se ci consideri mostri. E Gin lo consideri il peggiore
di tutti noi. Non ti sei soffermato neanche a chiederti perché lo
abbia fatto. A quali rischi si sia esposto e si esponga tuttora per
te.
-
Nessuno glielo ha chiesto, maledizione! Io non glielo
ho chiesto! - gli rispose con tono rabbioso – Doveva lasciarmi
morire.
-
Doveva saldare un debito. - replicò l'altro, calmo.
Harada si voltò di scatto verso Shiranui, fissandolo
sorpreso.
Kyo era consapevole di esporsi con quelle parole, ma
sebbene avesse giurato alla sorella di non rivelare ad Harada quale
fosse la sua vera natura, non le aveva promesso niente circa il fatto
di seminare indizi che consentissero all'uomo di arrivare alla verità
da solo.
-
Io... non mi ricordo...
-
Ne sei sicuro?
L'immagine della fanciulla dagli occhi grigi tornò a
sovrapporsi a quella del ragazzino.
Trascorsero minuti in silenzio, mentre i due, Gin e
Amagiri, continuavano a darsele di santa ragione.
Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata. Ed iniziava
il terreno scivoloso.
Attimo di silenzio.
-
Credevo voi Oni foste immortali. - fu il commento di
Harada, sorpreso di sentire quel dolore sordo al petto.
-
Si può morire in molti modi – fu la risposta ambigua
dell'altro.
Altro attimo di silenzio.
Kyo si passò una mano sul volto, pizzicandosi
l'attaccatura del naso con le dita.
Ancora
adesso, a distanza di mesi, l'immagine di sua sorella nel momento del
suo ritrovamento, lo colpiva al petto con una violenza inaudita.
Continuava a chiedersi se avrebbe potuto evitarle quella sorte. Era
frustrante sentirsi inutili in quel modo. Era doloroso dover
convivere con la consapevolezza di non essere stato in grado di
proteggerla, proprio lei che era la ragazza più dolce ed innocente
che il clan Oni avesse mai visto nascere.
-
Una mattina è uscita per andare al mercato. Io ero
fuori con Amagiri e Kazama. Siamo tornati solo a notte fonda e lei
non era ancora rientrata. L'abbiamo trovata dopo alcune ore. In una
pozza di sangue. Aveva... aveva gli abiti strappati, le gambe
graffiate e piene di segni. Le avevano... morso un seno... - la
respirazione di Kyo iniziò a farsi affrettata, mentre Harada chiuse
gli occhi nel tentativo di scacciare l'immagine che gli si stava
formando nella mente.
-
Kazama voleva mettere a ferro e fuoco il villaggio.
Io... volevo solo riaverla come era prima... Ma se ne era andata. E
non tornerà mai più.
Harada non ebbe il coraggio di dire niente,
sorprendendosi a provare un dolore ed una rabbia incontrollabili.
Lo sguardo di Harada fu catturato dal ragazzino e si
chiese se l'espressione dei suoi occhi fosse la conseguenza del
dolore per la perdita della gemella.
-
Gin... - chiese infatti, lasciando la domanda in
sospeso.
-
Non parla più da allora. E ha delle visioni. Gin le
chiama visioni di morte. Vede il momento in cui le persone muoiono:
dove, quando, come... tutto. E' così che ha potuto salvarti. Oltre
che grazie a quel sangue che condivideva con nostra sorella.
Kyo si voltò verso Harada per la prima volta, mostrando
all'uomo gli occhi viola lucidi per le lacrime.
Harada si passò una mano tra i capelli, espirando tutta
l'aria piena di veleno che aveva trattenuto nei polmoni al solo scopo
di non mettersi ad urlare per la rabbia.
Sollevando gli occhi, scorse lo sguardo triste del
ragazzino fisso su di sé e si ritrovò ad indirizzargli un sorriso,
mentre dentro si sentiva dilaniare.
***
Gin entrò nella propria stanza lasciandosi cadere sul
tatami, distrutta dall'allenamento con Amagiri, ma rilassata per il
bagno fatto nella pozza termale nel bosco dietro il Tempio.
Sentiva gli occhi farsi pesanti per il sonno, ma, non
appena pensò di andare a dormire rinunciando alla cena, lo stomaco
protestò sonoramente.
La voce di Harada la fece sobbalzare per la sorpresa,
tanto che con uno scatto si ritrovò seduta.
La figura dell'uomo si stagliava nel quadro dello shoji,
che lei aveva dimenticato aperto.
Fissò gli occhi in quelli di Harada, sentendosi
arrossire.
Gin gli rispose negativamente con un semplice movimento
della testa, stupita nel ritrovarselo davanti sorridente.
-
Allora andiamo – le disse tendendole una mano per
invitarla ad alzarsi.
-
Ragazzino, guarda che non mordo – le disse sorridendo
sornione.
Gin si riscosse da quella specie di stato catatonico in
cui era scivolata, sollevando la mano istintivamente per posarla sul
palmo assai più grande di quella dell'uomo, che, con uno scatto,
l'attirò verso di sé.
Gin si ritrovò a sbattergli contro il petto, contro cui
puntò rapidamente le mani per spingerlo via, mentre il terrore
l'assaliva.
Gin prese due respiri profondi, cercando di calmare il
tremore che la stava scuotendo, certa che, se avesse ceduto al
panico, Harada non avrebbe tardato a capire come stavano le cose.
Sapeva infatti ciò che Kyo gli aveva rivelato e sebbene fosse
arrabbiata con suo fratello non poteva negare che lo avesse fatto
perché le voleva bene.
Con uno sforzo incredibile riuscì a tornare padrona
della situazione, ma Harada...
Harada aveva visto il terrore in quei profondi occhi
grigi e si chiese cosa spaventasse tanto quel ragazzino che sembrava
fidarsi pienamente solo di suo fratello, Kyuujyu e Chikage. A
pensarci bene, questi tre erano i soli rappresentati di sesso
maschile di cui si fidava. Non aveva nessun tipo di problema con
donne e bambini del clan. Harada socchiuse gli occhi soppesando la
constatazione appena fatta, allarmando così Gin che, con un immenso
sforzo di volontà ed un sorriso tirato, si ritrovò costretta a
prenderlo sottobraccio, come aveva fatto tante volte con Kazama ed
Amagiri, trascinandolo nella sala da pranzo.
Quando vi fecero il loro ingresso, Harada incrociò lo
sguardo stranamente sereno di Kyo, sentendosi trapassare da quello di
Kazama, teso sino allo spasmo, pronto a saltargli addosso se solo
avesse fatto una qualche mossa sbagliata.
Quando sentì le mani di Gin scivolare via dal suo
braccio, abbassò gli occhi a guardarlo, incuriosito, sorprendendosi
ancora una volta di quanto somigliasse la gemella: stessi occhi,
capelli, stessa bocca e addirittura stessa corporatura, quasi fossero
intercambiabili. Si chiese se, abbigliato da donna, sarebbe
assomigliato alla sorella morta come una goccia d'acqua.
Sempre in preda a questi pensieri, Harada lo osservò
dirigersi verso Chikage, fermarsi dinanzi a lui e prendere a
guardarlo come se gli parlasse con un linguaggio muto, con i soli
occhi.
E si trovò ad invidiare al biondo Oni quel rapporto
speciale che aveva con il ragazzino.
Harada si rese conto che i due stavano parlando davvero
e, se non riusciva a sentire ciò che diceva Chikage a causa del
volume ridotto con cui parlava al ragazzo, si chiese incuriosito come
Gin potesse comunicare con l'altro. Cercò quindi di concentrarsi
ulteriormente sui loro discorsi, arrivando a captare chiaramente le
parole di Kazama.
-
[Ormai ho deciso ed andrò avanti per la mia strada]
-
Ricordati chi sei. Sei un' Oni e devi mantenere alto il
buon nome del clan. Non ti permetterò di disonorarlo. - la riprese
secco.
-
[L'ho già fatto. O preferisci non tenerne conto?] -
gli chiese Gin, agitando le mani ed allarmando Harada.
-
Non è stata colpa tua. Quei mostri...
Harada realizzò appieno solo in quel momento di
riuscire a sentire ciò che Chikage diceva al ragazzino nonostante il
tono simile ad un sibilo e, allarmato, si guardò attorno,
dissimulando la sorpresa per quella sua nuova capacità. Per un
attimo incrociò gli occhi di Kyo il quale gli sorrise lievemente,
come se avesse compreso cosa stava accadendogli. Per tutta risposta,
Harada distolse velocemente lo sguardo, tornando a drizzare le
orecchie in direzione di Gin e di Kazama.
-
[Vero, non gli ho chiesto io di violentarmi. Ma lo
hanno fatto. E la mia esistenza è una macchia per la reputazione
immacolata del clan].
-
Non dire cazzate, Gin. Tu sei la vittima, non il
colpevole.
-
[Non fa differenza. E comunque sai benissimo che ben
presto il problema sarà risolto]
-
Non ti permetterò di continuare... Non puoi pretendere
che io ti lasci gettare via la tua vita in questo modo assurdo.
-
[E' l'unica ragione di vita che mi è rimasta]
-
Te ne priverò – gli rispose Kazama alzando il tono
della voce, mentre con una mossa rapida estraeva la katana dal
fodero e, scartando Gin, si muoveva in direzione di Harada.
Quest'ultimo comprese che stava per accadere qualcosa di
grave e si stupì nel constatare l'assoluta immobilità di Kyo e
Amagiri.
Improvvisamente, Gin sembrò dissolversi nel niente,
scomparendo da dove si trovava per riapparire immediatamente dinanzi
a Harada, le braccia aperte, tese come a fargli da scudo.
-
[Se vuoi farlo dovrai prima uccidere me]
-
Scostati, Gin. - fu l'ordine secco di Chikage mentre la
fissava negli occhi, soppesandola.
-
[No] – rispose Gin, accompagnando la sillaba con un
gesto del capo.
-
Gin... - intervenne Harada, a cui era ormai chiaro che
i due stavano litigando a causa sua.
Gin scosse il capo, senza togliere gli occhi da Kazama.
-
[Uccidimi, avanti. Così l'onta che pende sul nome del
clan sarà mondata]
-
Stronzate. L'onta non pende sul nome del clan. L'onta
l'hai subita tu! Dannazione, Gin! E' vero che ti hanno stuprata, che
ti hanno privata della tua dignità ma non puoi scegliere di morire
per salvare un umano, con i suoi compari, solo perché...
Lo schiaffo risuonò improvviso, spezzandogli la frase
in bocca. La stanza sprofondò nel silenzio, mentre Harada vide il
velo di dubbi squarciarsi difronte ai suoi occhi. E comprese ciò
che, forse, si era rifiutato di vedere sino ad allora.
Gin prese a tremare violentemente.
Harada fece un passo avanti per raggiungerla, ma lei con
uno scatto fulmineo uscì dalla stanza e dal tempio, senza voltarsi
indietro.
|
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 3 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 3
CAPITOLO 4
-
Dove diavolo
può essersi rintanata?
-
Ehi, Harada!
Se lo sapessi, non credi l'avremmo già trovata?
-
Idiota di un
Oni! E' tua sorella! DEVI sapere dove può essersi nascosta!
Un posto che per lei sia un rifugio, che le dia sicurezza...
Shiranui si voltò a guardarlo
dandosi mentalmente
dell'idiota.
-
La radura...
la pozza termale... va sempre la quando vuole stare sola...
-
E allora
andiamo, coglione!
-
No –
disse Shiranui, interrompendo la corsa che avevano entrambi portato
avanti fino a quel momento.
-
No?! - gli
chiese Harada tra l'adirato ed il sorpreso.
-
No. -
ripeté l'altro – Se è andata
lì è perché vuole stare da sola. Io
non...
-
Ci vado io.
-
Non puoi,
Harada. Lei non... non voleva tu scoprissi la sua vera
identità. Anche gli uomini al tempio non sanno chi sia
realmente. Ma solo perché ha paura degli uomini. Puoi
capirla... ma...
-
Continua...
-
Con te
è... diverso. Ti teme in quanto uomo, è vero... -
si interruppe notando il brivido che scosse l'altro.
-
Però...
però ciò che teme maggiormente è la
tua pietà... ed il tuo disgusto.
-
Di..
disgusto?! E per cosa? - gli chiese urlando.
-
Per
ciò che è sempre stata...
-
La ricordo
come una ragazza dolcissima e gentile, oltre che bellissima...
-
Per
ciò che è diventata
-
E cosa sarebbe
diventata?
Shiranui lo guardò per un attimo
in silenzio,
indicandogli poi, con il cenno del capo, la strada da seguire.
Harada in quel momento avrebbe tanto voluto
tagliarsi la
lingua.
-
Sì...
e non me ne rammaricherò mai abbastanza.
-
Vedi...
Sano... - lo chiamo per nome per la prima volta e l'altro comprese che
il rapporto con quell'Oni stava cambiando e tutto solo grazie a sua
sorella.
-
Mia sorella...
si reputa un mostro... ma non per ciò che è... ma
per ciò in cui la violenza subita l'ha trasformata: ha perso
l'uso della parola, parla utilizzando quella che chiamiamo voce
interiore, ovvero riesce a comunicare tramite il pensiero, ma solo con
coloro a cui è più affezionata... io, Amagiri e
Kazama.
-
E poi ci sono
quelle visioni di morte...
-
Già...
ma non solo...
-
… ?
-
Si sente
menomata come donna. Non ha più niente da offrire alla
persona amata e se ne fa un cruccio.
-
Non...
può essere... ha sé stessa, il suo cuore...
-
Ma
nient'altro... si sente contaminata ed il terrore per gli uomini le
impedisce di guarire da questo male.
-
Chi
è stato? - chiese Harada dopo che avevano percorso in
silenzio un centinaio di metri.
-
Mostri... di
quelli veri... e non per la loro natura... erano esseri umani, proprio
come lo eri tu... ma di umano hanno solo la natura, non i sentimenti.
Harada strinse i pugni con forza
conficcandosi le unghie
nei palmi delle mani, facendoli sanguinare.
L'Oni continuò a camminare al
suo fianco in
silenzio, silenzio che venne interrotto dalla voce stentorea di
Harada.
-
Vado io da
lei...
-
Non... forse
è il caso...
-
No... Hai
detto che ero... sono importante per lei... mi hai pregato di non
trattarla da mostro... vado io da lei. Io so cosa... chi è
realmente... l'ho conosciuta, se così si può
dire, quando era una ragazza deliziosa... l'ho apprezzata, nonostante
tutto, nonostante ciò in cui mi ha trasformato, sotto le
spoglie di un ragazzo. So' cosa sta passando... sebbene io non lo abbia
mai provato e non potrò mai provarlo, so cosa sta
passando... lo sento... diciamo che è il richiamo del sangue
– concluse sorridendo all'indirizzo dell'Oni, sorriso che non
raggiunse gli occhi color ambra, ammantati di tristezza e
preoccupazione sincera.
Shiranui lo
guardò per un attimo in silenzio, cercando di capire fino a
che punto potesse fidarsi di lui. Poi, con un sorriso triste, lo rese
depositario di una pacca sulle spalle.
-
Prosegui
dritto per altri tre-quattrocento metri in direzione del fiume. Se non
è alla pozza termale è al fiume.
A quelle parole, Harada riprese la propria
corsa,
sperando in cuor suo che Gin non commettesse qualche sciocchezza.
***
Si
avvicinò alla pozza ancora correndo, per poi fermarsi non
appena si rese conto che Gin non si trovava là: non solo non
la vedeva, ma non ne sentiva la presenza. Decise allora di dirigersi
verso il fiume, immaginandosi vari scenari, tutti dall'esito tragico:
il fatto che fosse una Oni, e quindi pressoché immortale,
non gli passava neanche per la testa.
Il rumore di
acqua schizzata con violenza, lo portò verso verso destra,
dove il fitto degli alberi si allargava, lasciando intravedere il corso
del fiume, in quel momento circondato da centinaia di lucciole.
Si
avvicinò lentamente alla riva, gli occhi catturati
dell'immagine della ragazza che, immersa fino alla vita, aveva aperto i
lembi della camicia di foggia occidentale che aveva indosso per
strapparsi le bende con cui teneva fasciato il seno. I movimenti delle
braccia erano rabbiosi e violenti: le fasce, ormai fradice, non
volevano saperne di sciogliersi, liberandola dalla loro morsa. Gin,
ormai esasperata, prese allora a sfregarsi con foga, con l'ausilio di
una pietra ruvida, le braccia e la porzione di petto lasciata scoperta
dalla stoffa. Harada comprese immediatamente il perché delle
azioni della giovane e dopo un attimo di smarrimento, dovuto al sangue
che aveva preso a scorrerle fuori dalle lacerazioni provocatele dalla
pietra, scese nel fiume, raggiungendola.
Gin da parte
sua non lo aveva ancora individuato, completamente concentrata in
quell'azione di pulizia profonda con cui sperava di togliersi per
sempre dalla mente il ricordo di quelle mani che la frugavano ovunque,
di quell'odore di sake forte che le avevano lasciato addosso.
Il sussurro di Harada passò
inascoltato.
La ragazza era sorda, immersa nella tortura
che si stava
auto-infliggendo, lo sguardo fisso sulla propria pelle che sfregava
con sempre più vigore.
La ragazza sollevò sorpresa gli
occhi su Harada,
scuotendo poi la testa in segno di diniego e riprendendo a
scorticarsi come se ne andasse della sua vita
Harada le immobilizzò allora
entrambe le braccia,
allontanandogliele dal corpo ed impedendole di continuare
ciò
che stava facendo.
La ragazza, immobilizzata, prese a
fissarlo, senza
vederlo, lo sguardo vuoto, gli occhi spalancati e asciutti.
Il tono basso e calmo dell'uomo
iniziò a farsi
strada nella spessa cortina che avvolgeva la mente di Gin, la quale
si ritrovò a perdersi nei suoi occhi ambrati, mentre le
lacrime iniziavano a bagnarle le guance.
Fu un attimo. Si ritrovò stretta
contro il petto
di Harada, una mano dell'uomo infilata tra i suoi capelli, a
spingerle la testa contro il proprio torace.
In effetti si aspettava una spinta, non
certo che le
braccia della giovane gli cingessero la vita, né che le sue
mani gli artigliassero la camicia sulla schiena. La sentì
prendere due respiri profondi, mentre con il naso sprofondato contro
i pettorali, Gin ne respirava il profumo a pieni polmoni, certa che
avrebbe così dimenticato quella puzza mostruosa.
L'uomo la tenne stretta a sé per
un tempo che gli
parve interminabile, poi, con una mossa fluida, la prese tra le
braccia e la condusse sulla riva.
Solo in quel momento, Harada fu acutamente
consapevole
del busto quasi interamente denudato che la ragazza gli premeva
contro. La lasciò scivolare a terra, sempre sostenendola. La
scostò lievemente da sé per guardarla in volto e
fu
così che noto che quella poca stoffa rimasta a coprirla era
divenuta trasparente a causa dell'acqua, lasciando poco
all'immaginazione. Si affrettò quindi a togliersi la giacca,
facendola indossare alla ragazza, che poi riprese tra le braccia per
dirigersi verso il tempio.
***
-
E' sanguinante
– disse Harada, secco, portando gli occhi sul volto della
giovane, che sembrava essersi addormentata.
-
Cosa
è accaduto? - chiese Kazama, avvicinandosi lentamente.
-
Voleva
togliersi di dosso la sporcizia immonda che le hanno lasciato addosso
quei bastardi - fu la risposta atona dell'uomo.
-
Cosa...?
-
Kazama, lascia
stare... adesso mi occupo io di lei – intervenne Kyo.
Harada seguì l'Oni nella stanza
della ragazza,
adagiandola delicatamente sul futon.
L'uomo portò gli occhi sulla
giovane, il cui
volto era stravolto da un'espressione piena di dolore. Fece per
allontanarsi, oppresso dal peso di quel volto bellissimo contratto in
una smorfia di sofferenza, ma la mano della ragazza, artigliata alla
sua camicia non gli consentì di allontanarsi. Sollevando
lievemente il capo, gli occhi ambrati dello Shinsengumi incontrarono
quelli argentati di Gin.
Harada le sorrise, portandosi una mano di
lei alle
labbra sotto lo sguardo sbigottito di Kyo, Kazama ed Amagiri.
-
Esco solo per
far si che ti medichino le ferite. - disse alzandosi lentamente,
liberandosi dalla sua presa.
-
[NO!!!... Ti
prego... Voglio lo faccia tu...]
Harada la fisso stupito, gratificandola poi
con un
sorriso luminoso, tornando a sedersi accanto a lei.
I tre Oni uscirono dalla stanza lasciandoli
soli.
Harada aiutò la giovane a
liberarsi della giacca
e poi, posizionandosi alle sue spalle, della camicia e delle fasce
attorno al torace.
Le passò una pezza di cotone,
portatagli da Kyo
assieme ad una bacinella ed una brocca piena di acqua.
Gin iniziò a strofinarla
lentamente sul petto,
per poi asciugare il tutto prima di indossare la camicia pulita
portagli da Harada.
A quel punto l'uomo si portò
dinanzi a lei, e,
afferrata la pezza umida, iniziò a lavarle le braccia, le
mani
ed il collo, laddove i graffi facevano ancora bella mostra di
sé.
-
Posso...
chiederti cosa credevi di fare?
-
[Togliermi il
loro marchio di dosso] – fu la risposta di Gin, il capo
chinato sotto il peso della vergogna.
-
Non sei sporca.
-
[Lo sono,
invece. Sono...]
-
La creatura
più bella e pura che io abbia mai conosciuto – la
interruppe l'uomo, senza sollevare lo sguardo da ciò che
stava facendo.
-
[Non nutrire
pietà nei miei confronti...] - fu la supplica accorata di
Gin.
-
Non sono
quelli i sentimenti che provo per te.
-
[Cosa...?]
-
Non lo so...
ma non è pietà – concluse l'uomo
guardandola in volto, osservandola per la prima volta come un uomo
osserva una donna.
Fu questione di un attimo. Si protese verso
di lei,
senza toccarla, sfiorandole le labbra con le proprie.
La sorpresa lasciò Gin senza
parole, incapace di
reagire, mentre Harada con un movimento fluido si alzava e, raccolto
l'occorrente per la medicazione, usciva dalla stanza, lasciandola
sola.
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Capitolo 5 *** CAPITOLO 4 ***
CAPITOLO4
CAPITOLO 4
Erano trascorsi alcuni giorni dalla sera in cui Harada
l'aveva baciata, giorni in cui Gin aveva cercato disperatamente di
comportarsi come se non fosse successo niente. Ma il rossore che le
coloriva le guance ogni volta che l'uomo le era vicino rivelava
chiaramente che tra loro era successo qualcosa.
Kyo, come suo solito, fu il primo ad accorgersene ma,
tenendo conto di ciò a cui aveva assistito quella sera, aveva preso
il tutto come una sorta di benedizione: se Sano era il solo in grado
di guarire sua sorella, poco gli importava il fatto che fosse un
umano, uno shinsengumi.
Harada, da parte sua, cercava di lasciare a Gin tutto lo
spazio di cui necessitava: non voleva si sentisse soffocare a causa
della sua presenza costante, ma soprattutto non voleva spaventarla.
La trattava quindi come avrebbe fatto con qualsiasi ragazzina.
Questo, almeno, era quello che continuava a ripetersi, ma sapeva
benissimo che non riusciva più a considerarla tale. Era una giovane
donna, molto bella, per quanto le sofferenze patite ne avessero
affilato i lineamenti e reso la figura meno piena di come la
ricordava.
Quella mattina, al tempio era tutto stranamente calmo e
fu per quel motivo che non si meravigliò e preoccupò più di tanto
quando sentì quel silenzio innaturale spazzato via da un colpo di
pistola. Fu superato da un Amagiri che correva come se avesse il
diavolo alle calcagna, seguito a ruota da uno Shiranui trafelato, che
imprecava assai più di Nagakura. Fu proprio l'atteggiamento di Kyo e
l'assenza di Gin e Kazama a farlo scattare in avanti,
all'inseguimento dei due Oni.
La scena che gli si parò davanti aveva
dell'incredibile.
Gin teneva la pistola puntata contro Kazama, uno sguardo
assassino ad illuminarle gli occhi grigi, adesso del colore
dell'acciaio, mentre Kazama la fissava sorridendo sardonicamente.
-
Cosa state facendo?
-
[Statene fuori] – fu la risposta secca della ragazza,
gli occhi incollati alla figura del biondo Oni.
-
Kazama? - intervenne Amagiri.
-
Ha scoperto che ho preso la Douji-giri Yasutsuna.
-
Cosa sarebbe? - si azzardò a chiedere Harada.
-
E' una spada con cui è possibile uccidere gli Oni. -
rispose Kazama sogghignando – E quindi anche i Rasetsu. E quelli
come te.
-
Gin? - intervenne Kyo.
-
[L'ha usata contro Hijikata. Voleva ucciderlo a seguito
di quello che lui ritiene un affronto]
-
Mi ha umiliato!
-
[Ti ha sconfitto. E tu volevi ucciderlo per questo.]
-
Umiliando me ha gettato fango sul clan: voleva
dimostrare quanto lui, piccolo insignificante Rasetsu...
un'imitazione della nostra perfezione... potesse essere migliore di
me.
-
[E lo è: Hijikata-san pensa prima di agire. Per lui
sono più importanti ciò in cui crede e gli affetti]
-
Stupide romanticherie da donnicciola...
Uno sparo, un colpo mirato ai suoi piedi, che lo mancò
di un soffio, sollevando una nuvoletta di polvere, gli impedì di
concludere la frase.
-
[No. Questo è un forte senso dell'onore: lui agisce
nel rispetto della Shinsengumi e dei suoi ideali. E protegge ciò
che ha di più caro: i suoi amici, quelli che costituiscono la sua
sola famiglia. Ed anche Chizuru] – disse secca, per poi aggiungere
sarcasticamente – [O forse è proprio questo ad infastidirti?]
-
Tu, stupida femmina... - fu la risposta rabbiosa di
Kazama, che si slanciò contro di lei deciso a colpirla.
L'ennesimo colpo di pistola sparato ai suoi piedi lo
costrinse a fermarsi, e fu così che si rese conto che Gin era adesso
alle sue spalle, la pistola puntata alla sua tempia.
Continuò a fissarlo con furia omicida per alcuni
secondi, poi, abbassò l'arma e rivolse la propria attenzione a
Harada, sostenendone lo sguardo stupito, mentre Amagiri disarmava
Kazama e lo allontanava dal gruppo.
-
[Kyo... dobbiamo prepararci: è ora.]
-
Vengo anche io – intervenne Harada.
-
[No. Saresti solo un peso.]
-
Come hai detto, scusa? - le chiese incredulo,
sogghignando.
-
[Non andiamo ad uccidere. Andiamo a salvare una vita. E
tu non sai come dobbiamo muoverci, quindi saresti un peso] – gli
disse uscendo dalla stanza, non senza una traccia di rossore sulle
gote.
Harada la seguì dopo un attimo di smarrimento, entrando
in camera di lei,.
-
Dannazione ragazzina – le gridò contro, afferrandola
per un polso – in quella stanza ti è andata bene e lo sai anche
tu. Quindi sulla base di quanto è accaduto la dentro non puoi
trattarmi come un idiota. Voglio solo aiutarti. A maggior ragione se
si tratta di salvare qualcuno.
-
[Allora resta al tempio. Per favore.] - gli chiese
fissandolo negli occhi.
-
Perché? E dammi un motivo valido. Quella di prima era
una scusa patetica. - le rispose, lasciando scivolare le dita lungo
il suo polso, fino ad afferrarle la mano.
-
[Non voglio che tu mandi tutto all'aria.]
-
Non capisco...
-
[La persona che voglio salvare... è... è Okita... e
tu sei impulsivo: non posso permettermi di vederti intervenire al
momento sbagliato vanificando tutto quanto...] – gli rispose
evitandone lo sguardo.
-
Mi stai prendendo in giro?! - le domandò, cercando di
non dare peso al fatto che la persona da salvare fosse Souji Okita.
-
[No] – balbettò, sentendo montare chiaramente la
rabbia dell'uomo.
-
Fammi capire... non sei in grado di difenderti.... con
Kazama hai avuto solo un gran culo, e lo sai... come credi che
possa...? - insisté Harada, in maniera sempre più pressante.
-
[P... perché fai così?]
-
Così come?
-
[Ti comporti come se...]
-
Come se...? – le chiese sollevandole il volto con due
dita.
Gin lo fissò per un attimo, combattuta tra il volere
leggere nelle sue parole qualcosa in più di quanto dicessero
realmente e la volontà di tenerlo lontano da ciò che si accingevano
a fare, in un ultimo tentativo di affermare la propria indipendenza
dagli uomini, indipendenza che dopo quanto le era accaduto aveva
cercato di costruirsi con estrema fatica.
La cosa che però la mosse a reagire come avrebbe fatto
di lì a poco fu la paura di arrivare a dipendere troppo da Harada,
di legarsi troppo a lui, ignorando o volendo ignorare che fosse ormai
troppo tardi.
-
[Niente. Fatti gli affari tuoi...] - gli ripose,
liberando la propria mano dalla stretta dell'uomo con uno strattone.
-
Sono affari miei...
-
[Ti sbagli, Shinsengumi: non lo sono. Ciò che faccio
della mia vita e le motivazioni che mi muovono sono solo affar mio].
-
Permettimi di dissentire, principessa. Ciò in cui mi
hai trasformato, l'isolamento a cui mi hai costretto ed in cui solo
tu mi sei di compagnia... tutto questo fa si che io possa
considerare gli affari tuoi come affari miei.
-
[Cazzate!] - gli rispose, allontanandosi da lui, decisa
a mettere tra di loro quanta più distanza possibile.
Improvvisamente si ritrovò contro il muro, le mani di
Harada strette attorno alle spalle, mentre gli occhi ambrati
dell'uomo mandavano bagliori rabbiosi.
-
Non osare mai più rispondermi in questo modo,
ragazzina.
-
[Spiacente per te, ma ho tutte le intenzioni di farlo
ogni qualvolta mi aggrada: non ti devo niente]
-
Ti sbagli, dolcezza – le rispose sibilando – Mi hai
sconvolto la vita: qualcosina me la devi... magari anche solo il
rispetto che una ragazzina della tua età deve ad un adulto.
-
[Scordatelo, testone. Ti ho salvato la vita: sei tu
quello a dovere qualcosa alla sottoscritta. E comunque...] - gli
rispose protendendosi verso di lui, scontrandosi con il suo petto –
[NON sei mio padre... NON sei mio fratello... NON sei il mio uomo.
Quindi non hai alcun diritto...]
La sua voce interiore andò via via scemando mentre i
suoi occhi grigi, carichi di astio, si scontravano con quelli ambrati
dell'uomo, ridotti a due fessure.
Si studiarono per alcuni secondi, entrambi ansimanti per
l'ira, i petti che si alzavano e abbassavano velocemente a causa
della rabbia pronta ad esplodere in qualunque momento, sfiorandosi e
rendendoli entrambi acutamente consapevoli della vicinanza
dell'altro.
Fu Harada ad interrompere la guerra di sguardi.
-
Alla tua ultima obiezione posso porvi rimedio subito. -
le sibilò in volto, mentre con una mano la teneva inchiodata al
muro e con l'altra l'afferrava per la nuca, costringendola a
sollevare la testa.
Prima ancora che riuscisse a realizzare cosa avesse
intenzione di farle l'uomo, Gin si trovò schiacciata spalle alla
parete, le braccia sollevate sopra la testa, i polsi stretti nella
mano sinistra dell'uomo, la destra ad immobilizzarle la testa,
trattenendola per i capelli, mentre la bocca di Harada calava a picco
sulla sua, come un rapace sulla preda, forzandola ad aprire le
labbra.
Dopo un momento di sorpresa, Gin prese a dibattersi con
violenza, cercando di liberare i polsi da quella morsa dolorosa. Nel
tentativo di fare leva, commise l'errore di inarcare il corpo verso
quello dell'uomo, il quale le si strinse maggiormente contro.
La rabbia fu sostituita dal panico.
Harada percepì chiaramente il cambiamento, smettendo di
forzarla a ricevere il bacio e prendendo a stuzzicarle le labbra con
baci lievi e ravvicinati, quasi rassicuranti, mentre la presa che le
bloccava le braccia si faceva più debole, senza tuttavia liberarla
dalla mostra in cui le stringeva la testa.
Gin reagì al cambiamento di Harada con uno spintone,
cercando di allontanarlo da sé, trovandosi invece stretta contro il
corpo dell'uomo, un braccio a circondarle la vita, mentre le alitava
sulle labbra parole rassicuranti.
-
Non voglio farti del male. Voglio solo che tu capisca.
-
[Lasciami...] - lo supplicò
-
Non posso farlo... - le rispose continuando a
tormentarle le labbra, mentre il corpo di lei, stranamente, si
rilassava contro quello di lui.
Le mani smisero di spingere contro le spalle dell'uomo,
le labbra si ammorbidirono, le gambe si fecero molli. Fu costretta a
sorreggersi ad Harada, che in quel momento lasciò scivolare la
lingua nella bocca di Gin, iniziando a torturarla.
La giovane si irrigidì per la sorpresa.
Non voleva spaventarla. Lo sentiva.
Voleva baciarla, cosa che voleva anche lei. Erano giorni
che vi fantasticava sopra.
Voleva solo abbracciarla. Non riuscì ad impedirsi di
far scivolare le mani, con cui prima aveva tentato di spingerlo via,
attorno al collo, infilando le dita nei capelli castano ramati
dell'uomo, il quale, a quel gesto, emise un gemito rauco.
Voleva stringerla a sé. Sentiva l'urgenza di tenerlo
stretto, il desiderio di fondersi con quel corpo caldo e rassicurante
che sapeva, ne era certa, l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa, da
chiunque, sempre e comunque.
Harada, nel sentire l'arrendevolezza della giovane,
faticò e non poco, per mantenere quel minimo di autocontrollo
necessario a non sdraiarsi con le sul tatami ed iniziare la danza più
antica del mondo.
Fu con uno sforzo sovrumano che riuscì a porre fine al
bacio, rifiutandosi però di lasciarla andare.
Continuò a stringerla a sé, posandole le testa sul
capo, mentre inspirava rumorosamente per riacquistare la calma.
Era stranamente silenziosa, sebbene con le braccia gli
circondasse ancora il busto, le mani strette alla camicia.
Per la ragazza fu come una doccia fredda.
Lo scostò da sé lentamente, il capo chino nel
tentativo di celare all'uomo gli occhi pieni di lacrime.
-
Gin...?
-
[Hai vinto. Non sono in grado di difendermi. Puoi
venire con noi] – gli disse stancamente, mentre a testa bassa
fissava il tatami alle spalle di Harada.
-
[Prepara le tue cose: si parte tra un'ora] –
aggiunse, aggirando l'uomo per afferrare la sacca lasciata in un
angolo, sempre evitando di guardalo.
-
Gin, cosa...? - le chiese Harada, stupito da quello
strano comportamento.
-
[Hai ottenuto ciò che volevi. Hai dimostrato che non
sono in grado di difendermi; che contro la forza bruta entro nel
panico. Hai vinto.]
-
No, io non... - Iniziò l'uomo, cercando di spiegarle
il proprio gesto, di farle capire che aveva frainteso, che sì, era
iniziato tutto come atto dimostrativo, ma che poi...
-
[Non aggiungere altro. Adesso lasciami sola, per
favore. Devo finire di sistemare le mie cose] – gli rispose,
dandogli le spalle, mentre le lacrime scendevano copiose.
L'uomo la guardò in silenzio per alcuni istanti, gli
occhi fissi sulla schiena rigida, ora scossa da lievi singhiozzi
silenziosi.
Non appena sentì chiudersi lo shoji, Gin si lasciò
cadere a terra, dando libero sfogo al pianto.
***
Kyo ed Amagiri erano già in sella quando videro
arrivare Harada a passo di carica, afferrare le redini e montare sul
proprio cavallo, il tutto nel mutismo più assoluto. Solo gli occhi
lasciavano intendere quanto fosse adirato.
Pochi minuti dopo Gin si unì a loro, evitando
accuratamente di incrociare lo sguardo di Harada.
La giovane fece scattare il cavallo in avanti, partendo
al galoppo, subito seguita dal fratello, non prima che questi
lanciasse un'occhiata interrogativa all'umano, il quale rispose
semplicemente sostenendo lo sguardo dell'altro.
Harada si voltò a guardarlo.
Non era una domanda.
-
Già...
-
Sta attento a Kazama. Nonostante quello a cui hai
assistito poche ore fa, Kazama è molto affezionato a Gin. E' la
sola persona da cui è disposto a farsi maltrattare.
-
Ne è innamorato... - lasciò la domanda in sospeso.
-
No. Lui non ha un buon carattere, lo avrai notato
certamente. Ed è sempre stato così. E per questo viene isolato.
Tutti quanti, da sempre, temono i suoi scatti di ira. Solo Gin non
lo ha mai temuto. Sin da piccola. I bambini dell'età di Kazama lo
evitavano, mentre la piccola Gin gli si attaccava alle gambe e lo
seguiva ovunque. E' la sola che è riuscita a vedere il vero Kazama
e lui non lo dimenticherà, così come le vorrà sempre bene. Più
che ad una sorella.
-
Perché mi stai dicendo tutto ciò? - gli chiese
Harada, incuriosito dalla prima lunga tirata del gigantesco Oni.
-
Perché voglio che tu capisca Kazama ed il perché ce
l'ha con te. Non farla soffrire, Harada. Ha già sopportato molto...
troppo. E Kazama si da la colpa per non essere stato lì nel momento
in cui avrebbe avuto più bisogno di lui. E' disposto a tutto per
lei. Anche a morire.
Con queste ultime parole, il silenzio tornò a regnare
tra i due.
***
Erano in viaggio ormai da due giorni e Harada si
malediceva sempre più per non essere stato in grado di rimediare al
danno non appena lo aveva fatto.
Gin, infatti, continuava ad ignorarlo, evitandolo per
quanto le fosse possibile. La sera precedente, quando si erano
accampati per dormire, si era avvolta in una coperta dandogli le
spalle con uno stringato “notte” lanciato in generale.
La cosa che lo preoccupava, però era il fatto che non
avesse mangiato niente.
Perso nei propri pensieri si accorse solo all'ultimo che
Gin aveva fermato il cavallo in prossimità di una radura. Quando la
vide smontare, imitata dal fratello e da Amagiri, si decise a fare
altrettanto, rimanendo poi a studiarla mentre afferrava la sacca e si
infilava nel fitto degli alberi.
Erano tutti indolenziti dalla cavalcata, pertanto i tre
attesero la ragazza sgranchendosi le gambe, camminando avanti ed
indietro sul posto, nel silenzio più totale. Silenzio interrotto dal
fruscio di una veste, cosa che costrinse Harada a voltarsi sorpreso.
Ciò che vide lo lasciò senza parole. Gin indossava un
kimono dalle sfumature grigie come i suoi occhi, messi in risalto dai
fili di seta color argento che illuminavano la stoffa della veste. I
capelli erano morbidamente raccolti sopra il capo tramite un kanzashi
in argento. Era uno spettacolo.
Senza neanche accorgersi di cosa stesse facendo, Harada
le si avvicinò lentamente, mentre lei era intenta a riporre la sacca
contenente, adesso, gli abiti maschili che si era tolta.
L'unica reazione di Gin al commento fu arrossire, troppo
stupita dall'atteggiamento dell'uomo che, nel frattempo, aveva
sollevato una mano a sfiorarle una ciocca di capelli lasciati liberi
dall'acconciatura.
Kyo aiutò Gin a salire in sella, le gambe dallo stesso
lato; poi montò a sua volta, imitato da Amagiri e Harada,
quest'ultimo incantato dalla figura di Gin.
Proseguirono al passo per alcuni chilometri, mentre il
sole iniziava a lasciare posto alla luna.
-
Perché? - chiese Harada ad Amagiri, riferendosi
chiaramente al cambio di abiti di Gin.
-
Tre uomini ed una donna, facoltosa, danno meno
nell'occhio di quattro uomini: nel primo caso i tre fungono da
scorta, nel secondo caso sono quattro portatori di guai. Siamo in
prossimità di un centro abitato e ci serviva un travestimento per
evitare di dare nell'occhio. Comunque, a breve, vedrai.
-
Teniamoci pronti – intervenne Kyo.
Poco dopo incrociarono un gruppo di uomini armati che
ignorarono bellamente i tre mentre rivolsero la propria attenzione
alla nobile fanciulla che cavalcava tra di loro. Li lasciarono andare
senza neanche chiedere niente, facendo sorridere Harada per la
stupidità dimostrata.
Improvvisamente un clangore di spade attirò la loro
attenzione. Nascosero i cavalli dietro alcune rocce, ponendosi in
attesa, così come richiesto da Gin.
Il gruppo abbandonò il proprio nascondiglio. Mentre Kyo
faceva da apripista ed Amagiri garantiva la copertura alle spalle,
prese a correre verso la figura del ragazzo dagli occhi verdi, adesso
rossi a causa della trasformazione in Rasetsu. Harada la seguiva da
presso.
Gin riuscì a raggiungere Okita prima che crollasse a
terra. Si sollevò velocemente una manica del kimono, mettendo a nudo
il polso, per poi afferrare la mano di Okita, sciogliere il nastro
con cui vi teneva legata la katana, afferrare quest'ultima e
procurarsi un taglio da cui iniziò subito ad uscire del sangue.
Quest'ultima gli avvicinò il polso alle labbra,
invitandolo a bere.
-
No... non potete... vi... ucciderei...
-
Bevi e non fare storie, Souji. - lo contraddisse una
voce maschile.
-
Sa...Sano?! - chiese incerto il giovane, cercando di
mettere a fuoco l'immagine del compagno.
-
Bevi, o sarà tardi...
-
Cosa...?
La debole protesta fu bloccata da Harada che afferrò il
polso della giovane portandoselo alla bocca e succhiando il sangue
che sgorgava da esso sotto lo sguardo incredulo dell'altro.
-
Lo bevi da te o vuoi che te lo faccia bere dalla mia
bocca? Mi sembra di ricordare che ti piacciono solo le donne...
-
Ho capito... - fu la risposta di Okita, che si
costrinse a prendere il polso esile della ragazza e a portarselo
alle labbra, iniziando poi a succhiare.
Il colore tornava sulle guance di Okita, abbandonando
quelle di Gin, gli occhi fissi in quelli del ragazzo che stava
riacquistando la vita grazie al suo sangue.
-
Grazie... - furono le parole di Okita non appena si fu
ripreso, mentre continuava a studiare la giovane bellezza che era al
fianco del suo amico.
-
Sano... chi è lei?
-
Tempo al tempo, Souji. Adesso dobbiamo allontanarci da
qui. - gli rispose l'altro, mentre Amagiri lo sollevava
caricandoselo a spalle.
Harada abbassò lo sguardo sulla ragazza, la quale non
accennava ad alzarsi.
La ragazza gli rispose affermativamente con un lieve
cenno del capo, mentre si alzava in piedi, ondeggiando
pericolosamente.
Queste furono le uniche due parole che la ragazza riusci
a dire prima di accasciarsi contro il petto di Harada, che la prese
prontamente.
Shiranui arrivò da lui in un baleno, controllando le
condizioni della sorella.
Pochi minuti dopo erano tutti in sella, Harada con Gin
stretta tra le braccia, poggiata al suo petto, il volto di un
colorito cinereo.
“ Gin, ti prego... resisti”
|
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Capitolo 6 *** CAPITOLO 5 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 6
L'aveva tenuta stretta a sé nel tentativo di scaldarla:
al pallore mortale della pelle della giovane si era unito il freddo
che ne attanagliava le membra, rendendola gelata.
Harada si dette dell'idiota; si riteneva responsabile di
quanto le stava accadendo: se non l'avesse provocata, baciandola, non
l'avrebbe ridotta in uno stato tale da renderla inappetente. E forse,
allora...
“Merda”
Era la sola parola che ripeteva da quando Kyo era
partito in avanscoperta affidandogli la sorella.
Okita, da parte sua, nei momenti di lucidità che le
ferite e la trasformazione in atto gli consentivano, si limitava a
fissare la figura del compagno e della ragazza che teneva stretta,
chiedendosi quanto Harada avesse compreso circa i suoi sentimenti
per lei.
Fissò gli occhi verdi sul volto di Gin, domandandosi
come quei due si fossero incontrati: gli era ormai chiara la natura
della giovane e la naturalezza con cui Sano si era portato il polso
sanguinante di lei alle labbra gli aveva palesato la nuova natura
dell'uomo. Probabilmente stava morendo anche lui e quella divinità
dagli occhi argentati che stringeva tra le braccia gli aveva
restituito la vita. Ma perché? E perché anche a lui?
La cosa che lo stupiva maggiormente, però, era il fatto
che Kyuujyu e Shiranui, che dalla somiglianza con la giovane doveva
indubbiamente esserle fratello, avessero accettato di collaborare con
la ragazza; perché era chiaro che tutto quel castello fosse stato
montato dalla giovane.
Harada, sentendosi osservato, voltò lo sguardo verso
Okita, inarcando lievemente un sopracciglio.
-
Tutto bene, Souji?
-
Affaticato, come se mi fosse passato sopra uno
squadrone di fanteria, ma posso assicurarti che per la prima volta
dopo mesi riesco a respirare a pieni polmoni. - rispose, lasciando
la domanda in sospeso, sebbene avesse già una vaga idea della
risposta.
-
E' il suo sangue Oni – fu infatti la risposta di
Harada mentre spostava lo sguardo sul volto di Gin.
-
Può sanare le ferite, trasformandoci in qualcosa che
sta a metà tra il Rasetsu e l'Oni – aggiunse dopo un attimo di
silenzio.
Okita ne osservava l'espressione intensa mentre guardava
la ragazza.
Poco dopo raggiunsero Kyo, che aveva trovato riparo
presso un boschetto, dove aveva già acceso il fuoco e montato un
riparo di fortuna. Amagiri aiutò Okita a smontare, mentre il moro
Oni prendeva tra le braccia la sorella per consentire a Harada si
smontare a sua volta.
Gin, ancora priva di conoscenza, venne adagiata su una
coperta in prossimità del fuoco, affinché potesse riscaldarsi.
Okita si sedette accanto a lei, invitando gli altri tre ad occuparsi
di quanto le fosse necessario per riprendersi.
Il ragazzo spostava lo sguardo dai tre alla ragazza e
viceversa, riuscendo così a captare il lieve movimento delle ciglia
della giovane.
-
Shiranui... si sta svegliando.
-
Come stai, piccola? - chiese l'Oni alla sorella subito
dopo essere accorso al suo capezzale, stringendole lievemente la
mano.
-
[Io... sono svenuta?] - chiese guardandosi attorno
intontita.
-
Sì, Gin. No, non alzarti, rimani giù mentre noi
pensiamo alla cena. Non appena è pronta ti porterò da mangiare.
-
[Grazie... Okita?]
-
E' accanto a te.
-
[Sta bene?]
-
Puoi vederlo tu stessa – invitandola a voltarsi.
Di tutto quello scambio, Okita aveva preso solo le frasi
pronunciate dall'Oni, la qualcosa lo costrinse a sollevare gli occhi
su Harada, indirizzandogli uno sguardo interrogativo.
-
Non parla... non come me e te... usa la voce interiore.
-
Mi stai dicendo che comunica con il pensiero? - gli
chiese l'altro, scettico.
-
Solo con alcuni di noi.
-
E scommetto che tra quei pochi ci rientri anche tu... -
fu l'intervento ironico di Okita.
-
Souji... vacci cauto. Non è come le donne a cui sei
abituato.
-
Se per quello neanche Chizuru lo è... e anche tu non
annoveri certe conoscenze femminili tra le donne che ti spupazzi...
-
Souji, piantala. Lei è diversa anche da Chizuru... - e
Harada sperò con questo di chiudere quella bocca velenosa del
compagno.
-
Scusa, ma non sono entrambe Oni?
-
Ci sono cosa che non ti è dato sapere – fu la
risposta secca di Harada che annotava il cambiamento di espressioni
sul volto della giovane mentre Souji sondava nella sua vita.
-
Capito. - fu la dichiarazione di Okita, avendo compreso
che Harada stava proteggendo Gin da qualcosa.
Gin, da parte sua, studiava i due, stupendosi di quanto
fossero caratterialmente simili ed al contempo totalmente diversi.
Harada era impulsivo, facile agli scatti d'ira ma anche
estremamente protettivo: irradiava calore umano, proprio come
lasciavano intuire quegli occhi ambrati, sempre accesi di bagliori
dorati.
Okita, invece, le ricordava un serpente incantatore: i
suoi meravigliosi occhi verdi avevano la capacità di ipnotizzare,
ora deridendo, ora minacciando, ora provocando; ma erano limpidi come
possono esserlo solo gli occhi delle persone affidabili ed oneste.
Fu distratta dall'arrivo di suo fratello con una ciotola
piena di cibo: certo si era arrangiato con quel poco che si erano
portati dietro e che avevano trovato in zona, ma la fame era talmente
tanta che avrebbero mangiato tutti anche delle bacche selvatiche.
Finito di pasteggiare, i due Oni si apprestarono a
risistemare il tutto, mentre Harada continuava a sostenere Gin che
aveva costretto a poggiare la propria schiena al suo petto per tutta
la durata del pasto, sotto lo sguardo sornione di Okita, la qualcosa
aveva imbarazzato e non poco la ragazza.
Un'ora dopo, erano pronti a dormire: avrebbero fatto dei
turni di guardia che consentissero il riposo di tutti, esonerando
ovviamente Gin ed Okita, che aveva bisogno di recuperare ancora tutte
le forze.
Il primo turno di guardia lo copriva Amagiri, a cui
sarebbero subentrati nell'ordine Kyo e Harada. I due Oni avevano
deciso quest'ordine perché l'umano si era trovato immobilizzato dal
corpo di Gin, addormentatasi contro di lui.
-
Perché non dormi, Kyo? Ne hai bisogno anche tu...
-
Non lo so... c'è qualcosa che non mi lascia dormire...
- rispose il moro alla domanda di Amagiri mentre teneva lo sguardo
puntato sulla figura dei due, abbracciati nel sonno.
-
Sei preoccupato per lei.
Il silenzio di Kyo fu una risposta più che eloquente.
-
Non credo Harada la farà soffrire. E' palese che le
sia affezionato.
-
A noi. Ma lui lo ha compreso? E comunque non è questo
a preoccuparmi.
-
Mh?
-
E' la sua salute. Ogni volta che salva un umano... si
indebolisce sempre più. Stavolta è andata abbastanza bene perché
Okita era già un Rasetsu, già trasformato per metà, sebbene le
sia comunque costato un po' più di sangue lo stato di salute in cui
lui versava.
-
Ma si sta riprendendo più rapidamente di quanto non
abbia fatto la volta scorsa.
-
Mph... credi non sappia che ogni notte andava da lui
con la scusa di controllare che stesse bene al solo scopo di fargli
bere altro sangue?
-
Lo sapevi... perché non glielo hai impedito? Se lo
avesse scoperto Kazama...
-
Lo sapeva anche lui. - fu l'ammissione di Kyo, che
colse di sorpresa l'altro.
-
Come...?
-
...è possibile che non abbia fatto e detto niente? Lo
sai benissimo anche tu che si ritiene responsabile di quanto le è
accaduto. Esattamente come me. Ma io la mia buona dose di
responsabilità ce l'ho... e non me ne pentirò mai abbastanza... -
fu la tirata disperata del moro, mentre si passava stancamente una
mano sugli occhi.
-
Cosa...?
-
Avrei dovuto ascoltarlo, ascoltare Kazama. Sen Hime...
lei lo aveva avvisato che la nostra politica di alleanze avrebbe
dato il via a qualcosa di incontrollabile e che i nostri nemici non
avrebbero esitato dinanzi a niente. Lei lo aveva detto a Kazama e
lui lo aveva detto a me... Ed io non gli ho dato il peso che avrei
dovuto – un singhiozzo interruppe la confessione dell'uomo.
-
Kazama... era preoccupato per Gin... aveva la
sensazione che la seguissero da giorni, ma non era riuscito a
provare niente. Avrei dovuto fidarmi del suo istinto.
-
Vuoi dire...
-
Lo stupro di Gin... è stato deciso freddamente, a
tavolino. E' stata una mossa politica. Io... ho perduto mia sorella
per una guerra che neanche volevo combattere.
Il silenzio scese sui due, ignari di due paia di occhi,
verde e dorati, che li scrutavano in silenzio e che si scambiarono
uno sguardo d'intesa.
-
E'... è per questo che non posso dirle di no, che non
posso impedirle di percorrere la strada che si è scelta. Però...
temo che la cosa non avrà un lieto fine. Pensavo che si sarebbe
limitata a salvare Harada... invece è decisa a trasformarli tutti.
E la cosa mi preoccupa moltissimo: se dopo solo due trasformazioni è
così debole... cosa accadrà una volta trasformati tutti gli altri?
- Kyo fece una pausa, guardando Amagiri negli occhi.
-
Ha detto che... in questo modo la sua vita sarà valsa
a qualcosa... ed il modo in cui lo ha detto non mi è piaciuto:
sembravano le parole di un condannato a morte. - fu la conclusione
strozzata dell'Oni, ignaro del brivido gelido che attraversò il
corpo di Harada, che accentuò la stretta attorno al corpo di Gin,
mentre con gli occhi sondava il volto di Okita, in cerca di una
qualche rassicurazione che non avrebbe potuto dargli. Né lui né
nessun altro.
***
Harada si svegliò intorpidito, realizzando
immediatamente che i due Oni non lo avevano svegliato. Si massagggiò
l'attaccatura del naso con frustrazione, salvo poi abbassare gli
occhi sul dolce peso che gli gravava sul petto, perdendosi in un
volto bellissimo rilassato nel sonno, le lunghe ciglia nero violaceo
a nascondere due occhi argentati.
Harada si limitò a guardarlo senza dire alcunché. Si
spostò lievemente, sistemandosi meglio il peso della ragazza sul
corpo, in modo da dare un minimo di sollievo alle membra appesantite,
portando suo malgrado la ragazza a svegliarsi.
Fu così che Gin realizzò di avere la testa posata su
un cucino troppo duro per essere quello della sua stanza... e troppo
caldo. Sbatté le palpebre rapidamente, senza aprirle, mentre
registrava il peso che le circondava la vita, riconoscendovi
immediatamente un braccio.
Spalancò gli occhi per la sorpresa, cercando di tirarsi
su, seduta, senza riuscirvi: il peso che le circondava i fianchi la
teneva ferma, impedendole ogni movimento, costringendola ad alzare la
testa non appena realizzò che il cuscino su cui poggiava il capo si
alzava ed abbassava, seguendo il movimento della respirazione, il cui
ritmo era scandito dal battito di un cuore.
Arrossì improvvisamente, sotto lo sguardo intenso di un
paio di occhi ambrati e quello sornione, tipico del gatto che sta per
mangiarsi il topo, di due occhi verdi.
In preda all'imbarazzo, ormai di dimensioni titaniche,
dato che si era trovata schiacciata contro Harada, bloccata dalle sue
braccia contro il busto, le gambe intrecciate, non le restò che
nascondere il volto contro il petto dell'uomo che, compresa la
difficoltà in cui versava, prese a carezzarle i capelli con
delicatezza.
Gin si limitò a muovere la testa in cenno di assenso.
-
[Sano... dobbiamo andare...]
-
Come vuoi - fu la risposta di Harada, che si decise a
lasciarla libera di muoversi solo dopo alcuni minuti, durante i
quali assaporò il piacere di stringerla come mai aveva fatto prima.
***
Quando raggiunsero la base, Gin smontò velocemente da
cavallo per rifugiarsi nella propria stanza, lasciando gli altri a
sistemare le cavalcature, incluso Harada, con cui Kyo l'aveva
costretta a fare tutto il viaggio.
Okita aveva immediatamente incrociato lo sguardo con
Kazama, il quale si era limitato a fissarlo con aria minacciosa per
alcuni istanti, andando poi a dedicarsi ad Harada, rendendolo
depositario di un'occhiata assassina.
-
Sano... non è che gliela hai soffiata?
-
Piantala, Souji. Hai sentito anche tu cosa le è
accaduto...
-
Ma questo non significa che non la ami...
-
Non è come credi.
-
Forse...
-
Comunque – riprese Okita dopo un attimo di silenzio –
tra i due litiganti, il terzo gode...
Lo sguardo infuocato e al contempo gelido che gli
indirizzò Harada, costrinse Okita al riso.
-
Ehi, non è che sei geloso?
-
E di chi, di grazia? - fu la risposta sibilata dal
rosso.
-
Beh... potrei sempre decidere di darmi da fare...
-
Provaci e ti spacco la faccia – fu la risposta
rabbiosa dell'altro mentre lo afferrava per il collo della camicia,
strattonandolo.
Okita si limitò a fissarlo con un sorriso sornione,
lievemente sghembo, mentre con le mani lo afferrava per i polsi
costringendolo a mollare la presa.
***
Trascorsero due giorni di una strana calma apparente, in
cui Kazama si sentiva soffocare da quella strana immobilità che
precedeva sempre una disgrazia, la quiete prima della tempesta.
E quando la tempesta, nella figura di un gruppo di
uomini armati della fazione loro avversaria, fece irruzione nel
tempio, non li colse così impreparati: avevano già allontanato
donne e bambini.
Certo è che non avrebbero mai pensato che il loro
obiettivo fosse ancora una volta Gin.
Harada e Souji la videro combattere senza tregua,
revolver alla mano, mentre sparava con estrema precisione contro
quei... Rasetsu?!
La rabbia di Harada esplose improvvisa quando la vide
sbattuta a terra, presa a calci e caricata in spalle ad uno di loro,
il tutto mentre combatteva strenuamente per avvicinarsi a lei e
trarla in salvo.
Stavano per essere schiacciati dalla supremazia numerica
del nemico.
Gin, nel frattempo, riuscì ad afferrare per il collo il
Rasetsu che la teneva bloccata sulle proprie spalle, arrivando a
tagliargli la giugulare con il wakizashi.
Pochi istanti dopo iniziò a correre come una pazza in
direzione di Harada, spinta da quell'immagine che fino a pochi attimi
prima le riempiva la mente – Sano a terra, ferito gravemente da un
colpo di fucile armato di munizioni in argento - e da quelle voci
che la tormentavano ormai da mesi – Urla, grida quanto vuoi... non
ti sentirà nessuno... neanche lui accorrerà da te... sei sola...
nessuno ti sentirà... stavolta lo Shinsengumi non arriverà a
salvarti.
Lei voleva gridare, proprio come aveva fatto allora. Ma
allora nessuno la sentiva. Nessuno era venuto a salvarla.
Ma la voce non gli arrivava.
Non ti sentirà.
Morirà.
Fu l'urlo di Gin che squarciò il silenzio innaturale
che l'aveva accompagnata per oltre un anno, mentre si gettava contro
l'uomo, inarcandosi sotto il colpo di pistola, gli occhi spalancati
per la sorpresa, mentre lo guardava mutare espressione, gli occhi
dorati accendersi di dolore e preoccupazione, e un gridò terribile
richiamava sui due l'attenzione di tutti; gli occhi argentati
sorridere a quelli dorati, il corpo della giovane terminare la
propria corsa contro quello dell'uomo, mentre il sangue le sgorgava
copioso dalla ferita alla schiena.
- Sei salvo... per fortuna... Mi spiace solo... gli
altri...– furono le parole sussurrate con sollievo, mentre il mondo
di Gin si faceva nero, sotto le sue ciglia folte, accompagnato
dall'urlo accorato di Harada, che continuava a pronunciarne il nome,
senza ottenere risposta.
|
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Capitolo 7 *** CAPITOLO 6 ***
Erano trascorsi tre giorni dall'assalto al
tempio,
conclusosi con la decimazione delle file dei Rasetsu.
Kazama e Amagiri, infatti, subito dopo il
ferimento di
Gin non avevano tardato a trasformarsi, seguiti a ruota da Souji e
Sano, quest'ultimo spinto dalla rabbia che lo aveva accecato nel
momento in cui aveva stretto a sé il corpo esanime della
ragazza.
Kyo aveva condotto Sano, ancora con Gin tra
le braccia,
in un posto sicuro, dove aveva prestato le prime cure alla sorella,
mentre Kazama aveva condotto la controffensiva, scagliandosi contro
il nemico con una violenza inaudita: avevano osato ancora una volta
prendere di mira Gin, la sola persona veramente importante nella sua
vita.
Il tempio era adesso nuovamente in
sicurezza, tanto che
donne e bambini erano stati fatti rientrare.
Tutto era tornato alla
normalità. O quasi.
Tre giorni.
Gin non si era ancora svegliata.
Sano non aveva ancora chiuso occhio.
L'uomo era rimasto accanto alla giovane,
affiancato da
Kyo che aveva ormai rinunciato a dirgli di andare a dormire. Le
asciugava la fronte imperlata di sudore; la teneva ferma quando il
dolore alla ferita le provocava le convulsioni; le cambiava la
fasciatura, medicandola con estrema delicatezza, rispettandone
l'intimità, non soffermando lo sguardo sul seno nudo della
giovane;
la rassicurava quando delirava; ne raffreddava la temperatura con
impacchi freddi; ne scaldava il corpo, stringendosela delicatamente
contro, quando era gelata e tremava per il freddo.
Souji aveva più volte cercato di
farlo uscire dalla
stanza della giovane ma c'era riuscito solo quel giorno, con un'
argomentazione inoppugnabile.
L'altro si limitò a guardarlo
con occhi stanchi,
iniettati di sangue, l'aria di chi sembra tentare di comprendere una
frase pronunciata in una lingua straniera.
Quella domanda retorica ebbe la
capacità di farlo
tornare in sé.
Il singhiozzo che ne interruppe la frase lo
costrinse a
passarsi una mano sugli occhi, nel tentativo di celare le lacrime.
Sano lo guardò stupito della
perspicacia del compagno.
Sano guardò Souji senza
comprendere il significato
delle sue parole.
L' uomo guardo Okita indeciso.
-
Il bagno...
dormire no... potrebbe svegliarsi mentre...
-
Ho capito...
allora vada solo per il bagno... resto io con lei. Non preoccuparti, so
quanto tieni a lei. Me ne occuperò come se fosse mia sorella.
L'altro si alzò stancamente, per
poi proseguire fino
allo shoji.
-
Grazie, Souji.
- gli disse, in un mormorio timido, prima di chiudersi la porta
scorrevole dietro le spalle.
-
Prego, Sano. -
rispose in un sussurro inudibile Souji, scostando i capelli dalla
fronte della ragazza.
***
Alcuni minuti dopo aver lasciato la stanza
di Gin,
Harada, le braccia cariche di abiti puliti e dell'occorrente per
sbarbarsi, si stava recando alla pozza termale, deciso a seguire il
consiglio di Okita, senza riuscire a smettere di pensare alle parole
di quest'ultimo.
Cosa provava per Gin?
Questo era l'interrogativo che gli
martellava la mente.
Non sapeva darsi una risposta.
La trovava molto bella, ne era attratto, le
si era
affezionato, ma di lì all'amarla...
Doveva però ammettere che
impedirsi di toccarla stava
divenendo sempre più difficile e che ciò che lo
univa a lei non era
classificabile come amicizia: era amico di Souji e degli altri, ancor
più di costoro lo era di Shinpachi. Ma ogni volta che era
con il suo
migliore amico non veniva afferrato dal desiderio di proteggerlo da
tutti i mali del mondo, od almeno non come gli accadeva per quella
ragazzina. Probabilmente era proprio per questo motivo: era una
ragazzina, esattamente come Chizuru ed esattamente come questa gli
stimolava il senso di protezione. Ma Chizuru gli smuoveva solo
quello. Ragazzina o no, se durante quel bacio non si fosse
controllato, lui e Gin avrebbero fatto l'amore.
Cercò di schiarirsi le idee
immergendosi, per poi
riemergere rabbiosamente, maledicendo Souji per quel tarlo assurdo
che gli aveva messo in testa.
Terminò di rendersi presentabile
e una volta indossato
uno yukata, si recò di gran carriera nella stanza di Gin,
tentando
di ignorare quella domanda di Souji che lo tormentava da quando
l'aveva pronunciata.
“Sano, tu la ami, vero?”
***
Si sentiva sprofondare, con la sensazione
di essere
tenuta sospesa nel vuoto da un cavo che le attraversava il corpo,
trapassandole la spalla da parte a parte, proprio sopra il petto.
Il dolore era insopportabile, tanto che si
sentiva
scossa da brividi di freddo e ardere da vampate di calore improvviso.
Ad intervalli regolari sentiva su di sé delle mani gentili
che
davano sollievo al suo dolore, con gesti calmi e misurati,
accompagnati da una voce tormentata che non le permetteva di
lasciarsi andare al sonno.
Quanto avrebbe voluto dormire...
Quando gelava e quando bruciava... voleva
dormire.
Ma c'era qualcosa che le impediva di
lasciarsi andare.
Un pensiero costante, la consapevolezza di
non aver
portato a termine il proprio compito.
Solo allora avrebbe avuto tutto il tempo
per lasciarsi
andare. E sapeva che allora non ci sarebbe stato quel corpo solido e
caldo ad allontanare il gelo dalle sue membra.
Sapeva che era lui ed inconsciamente lo
aveva cercato
per tutto il tempo, lo aveva chiamato, ma la voce interiore non
funzionava e sebbene fosse certa di aver gridato il suo nome a
squarciagola, anche le parole non uscivano dalla bocca, troppo
pesanti per essere mosse, come imbavagliate strettamente.
Voleva resistere, doveva farlo... ma
lasciarsi andare
era così facile, così liberatorio!
Era lui. Ed era cambiato qualcosa.
Il volto che le sfiorava la mano non era
più ispido.
Voleva vederlo.
Doveva vederlo.
Ne aveva bisogno. Solo così
avrebbe potuto finire ciò
che aveva iniziato. Se avesse aperto gli occhi e si fosse lasciata
andare in quelle pozze dorate, si sarebbe ripresa, lo sapeva. Ne era
certa.
***
Sano stringeva la mano di Gin tra le
proprie, le labbra
posate sopra le sue nocche, in una muta preghiera, in un bacio di
speranza.
La contrazione delle dita gli fece
sollevare gli occhi
sul volto della giovane, assistendo a quello che per lui era un
miracolo.
Le palpebre di Gin vibrarono leggermente,
mentre una
smorfia ne arricciava il nasino.
I movimenti delle palpebre si fecero
più concitati,
fino a sollevarsi a fatica, mentre le dita stringevano la mano
dell'uomo.
Sano si sollevò da lei, versando
velocemente dell'acqua
in una coppa, in cui intinse un angolo di una pezza che andò
a
strizzare contro le labbra della giovane, che prese a leccare quelle
gocce con estrema fatica.
L'uomo, allora, prese l'acqua nella propria
bocca per
poi far bere la ragazza in quel modo.
-
Grazie... - fu
la parola stentata di Gin, mentre con gli occhi ancora lucidi per la
febbre, fissava Sano, sollevando lievemente una mano a carezzargli il
volto.
L'uomo si stupì della reazione
che quel gesto gli aveva
scatenato a livello inconscio: le aveva afferrato la mano,
stringendosela alla guancia, per poi baciarne il palmo.
-
Grazie a te.
Ti devo la vita.
-
Hai... hai
ripagato il … tuo debito... - fu la risposta della giovane,
che chiuse nuovamente gli occhi sprofondando nel primo vero sonno
ristoratore dacché era stata ferita.
Sano la osservò per alcuni
istanti, sentendo il cuore
farglisi più leggero, per poi uscire dalla stanza, ma non
prima di
averle sfiorato le labbra con le proprie.
“Probabilmente Souji ha
ragione”
***
La voce di Kazama lo colse di sorpresa
appena fuori
dalla stanza di Gin.
-
A cosa ti
riferisci?
-
Con Gin...
quali sono le tue intenzioni?
-
Non... non
capisco
-
Ne sei
innamorato?
-
Onestamente...
non lo so... - fu la risposa di Sano, mentre distoglieva lo sguardo da
quello di Kazama per riportarlo sullo shoji che aveva appena chiuso.
-
So solo che le
voglio bene.... che voglio che viva e che per questo sarei disposto a
morire. - aggiunse poi, sfidando l'Oni con gli occhi.
Kazama ne sostenne lo sguardo per alcuni
interminabili
secondi, abbandonandosi poi ad un'azione che Sano mai si sarebbe
aspettato: gli mise una mano sulla spalla, stringendola lievemente,
in segno di approvazione.
-
Tanto mi
basta. Stalle accanto. Ha bisogno di te. - e senza aggiungere altro, si
allontanò lasciando Sano confuso e sollevato al contempo,
tanto che gli furono necessari alcuni minuti per riprendersi dalla
sorpresa.
Si recò quindi nella sala
grande, certo di trovarvi
Kyo.
L'Oni lo abbracciò, mentre
lacrime silenziose gli
bagnavano il volto.
-
Come sta?
-
Si
è assopita – fu la risposta stanca di Harada.
-
Adesso ha solo
bisogno di dormire – fu il commento di Amagiri – Ed
anche tu, Harada. Fatti una sana dormita
-
Quando si
sveglia verrò a chiamarti – aggiunse Souji,
dandogli una pacca sulla schiena.
-
Sì...
avete ragione...
***
Una settimana dopo la quiete del tempio fu
spezzata
dalle grida di Harada e Kyo contro Gin.
-
Non puoi
rischiare. Sei sempre debole! -
-
Dannazione,
Kyo! Sto bene!!!
-
Piantala di
sparare cazzate, principessa. Ti reggi a malapena in piedi.
-
Sano, fatti
gli affari tuoi!
-
Lo sono,
maledizione! Chi credi ti abbia accudita mentre deliravi in preda alla
febbre? Chi pensi ti abbia medicato? Non ho chiuso occhio per tre
giorni di seguito!!!
-
Nessuno te lo
ha chiesto!!! Io non te lo ho chiesto!!! Lo hai deciso da solo, per cui
non rinfacciarmelo!!! - fu la risposta rabbiosa della ragazza mentre lo
spintonava lontano dalla porta da cui voleva uscire.
Lo schiaffo risuonò
all'improvviso. Gin si portò una
mano alla guancia, stupita per la reazione di Sano, di cui
incontrò
gli occhi pieni di rabbia repressa a stento.
-
Sei una
stupida. Ci hai fatto preoccupare tutti quanti. Ed io mi sentivo e mi
sento ancora responsabile per quello che ti è accaduto. E'
per questo che mi sono dannato l'anima per starti accanto. Se non vuoi
che mi comporti in questo modo ancora una volta, evita di salvarmi
nuovamente la vita!
-
Non... posso...
-
Cosa non puoi?
- le gridò contro Sano, mentre Souji lo bloccava tenendogli
una mano sulla spalla.
-
Non posso
lasciarti morire... non posso fermarmi adesso... non... mi rimane...
molto tempo – fu la risposta di Gin, la testa bassa, ad
evitare lo sguardo di tutti i presenti nella stanza.
La presa di
Souji sulla spalla di Sano si fece più forte, mentre
quest'ultimo combatteva con l'impulso di sfasciare la prima cosa che
gli fosse capitata a tiro.
-
Chi
è il prossimo?
Gin
incrociò stupita lo sguardo di Souji, la cui espressione era
risoluta come non mai.
-
Nagakura...
ho... ho pensato che essendo ancora umano... potrei trasformarlo prima
che rimanga ferito... in questo modo avrà bisogno di una
quantità inferiore di sangue...
-
Capisco... in
questo modo ti indebolirai meno...
-
Sì...
-
Bene. Vado a
cercarlo e lo porterò da te. Sano, tu vieni con me.
-
Souji! Ma sei
impazzito?! Sai cosa rischia...
-
Rischiamo? -
lo interruppe Souji, stravolgendo il senso della frase dell'altro.
-
Un bel pugno
in faccia. In pieno stile Nagakura. - fu la risposta dell'altro, il
volto illuminato da un ghigno divertito.
***
La fitta rete di
informatori Oni era molto efficiente: due giorni dopo la decisione di
andare a recuperare Shinpachi, era già noto dove si trovasse.
Avevano già fatto tutti i preparativi per la partenza e Sano
si era trovato talmente tanto impegnato da non riuscire a parlare con
Gin neanche una volta. E questo anche grazie al fatto che la ragazza
sembrava evitarlo.
Ormai rassegnato a chiederle scusa per lo schiaffo che le aveva dato
una volta rientrato al tempio con Shinpachi, aveva deciso di farsi un
buon bagno caldo alle terme, anche per liberarsi della tensione
accumulata in quegli ultimi giorni.
Era talmente perso nei suoi pensieri che solo all'ultimo, quando ormai
era completamente svestito, si accorse della figura di spalle, immersa
nell'acqua fino alla vita.
I lucenti capelli neri-violacei le aderivano alla schiena come un manto
setoso.
La coscienza gli gridò di andarsene da lì il
più velocemente possibile, prima che l'istinto lo inducesse
a fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.
“Sano... la ami?”
-
Accidenti a
te, Souji! - mormorò, mordendosi l'interno del labbro
inferiore, mentre la sua attenzione veniva catturata dal rumore
dell'acqua smossa, ritrovandosi a fissare la schiena nuda di Gin, che
aveva spostato i capelli su una spalla.
Sano si
trovò a deglutire rumorosamente, realizzando di essere
entrato in acqua con solo un telo attorno ai fianchi, nel momento in
cui i suoi occhi furono catturati dalla cicatrice lasciata su quel
corpo, altrimenti perfetto, dal colpo di pistola destinato a lui.
Continuò
ad avanzare lentamente, sino a trovarsi immerso fino ai fianchi, gli
occhi che vagavano sulla figura di spalle.
Gin si accorse
solo all'ultimo della presenza dietro di lui, intuendo immediatamente
di chi si trattasse.
-
S...Sano?! -
mormorò, incrociando le braccia al petto per voltarsi verso
l'uomo.
-
Scusami... non
volevo spaventarti.
Gin si
ritrovò a fissargli il petto, facendo scivolare lo sguardo
verso il basso, lungo gli addominali scolpiti, un tempo attraversati da
una vecchia cicatrice risanata dal suo stesso sangue.
Quando si
chiese cosa nascondesse Sano sotto il pelo dell'acqua,
arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo dal corpo
dell'uomo, di cui aveva ammirato la figura fin sotto all'ombelico, da
cui si dipartiva una scia sottile di peluria scura.
-
Meglio...
meglio che vada – biascicò Gin, sotto lo sguardo
intenso di dell'uomo, senza accennare a mettere in pratica quanto
affermato.
Sussultò
quando la mano dell'uomo le sfiorò una ciocca di capelli
bagnati, facendosela scivolare tra le dita, che ripresero la propria
corsa verso la cicatrice lasciata dal proiettile in uscita, proprio al
di sopra del seno destro.
-
Sa..no?! -
mormorò Gin.
-
Scusa... non
riesco a capire cosa mi sia preso – le rispose, fissandola
negli occhi mentre avanzava di un altro passo, avvicinandolesi tanto da
sentirne il calore del corpo a distanza.
-
No... non
è vero... lo so benissimo. - aggiunse, passandole le mani
tra i capelli dietro la nuca ed attirandola dolcemente a sé.
Gin pur
sapendo cosa stesse per accadere, non era spaventata. Sapeva che Sano
le avrebbe permesso di andarsene in qualsiasi momento, che non
l'avrebbe costretta ad accettare certe “attenzioni”
e che si sarebbe fermato ad un suo semplice NO.
Ma si chiese
se era quello che voleva.
Sentì
le mani dell'uomo tremare mentre si spostavano per stringerle
delicatamente le spalle.
Si
trovò schiacciata contro di lui, le braccia, ancora
sollevate a coprire il seno, imprigionate tra i loro corpi.
-
Posso tenerti
così per un po'...?
Gin gli
rispose semplicemente facendo un cenno affermativo con la testa.
-
Sei
bellissima... - le sussurrò all'orecchio, facendo seguire a
queste parole una scia di baci lievi sul collo e l'attaccatura delle
spalle. Sano interruppe quella dolce tortura solo per un attimo, il
tempo necessario ad abbassare la testa, poggiare il volto contro le
braccia della ragazza e, con le labbra, riuscire a sfiorare la
cicatrice sul petto.
-
E' colpa mia...
-
Guarirà...
-
Gin... - la
domanda rimase in sospeso ma Gin la recepì chiaramente.
Sostenne lo
sguardo dell'uomo con calma, consapevole di ciò a cui
sarebbero andati incontro.
Sano emise un
sospiro tremulo, mentre infilava nuovamente le dita tra i capelli di
lei, per poi calare lentamente il volto su quello della ragazza. Le
sfiorò le labbra con una lentezza esasperante, stando
attento ad ogni minimo mutamento, ad ogni sua minima reazione. E si
sorprese quando sentì le braccia di Gin scivolare verso
l'alto, intorno al proprio collo, il seno ormai scoperto a premergli
contro il torace, mentre rispondeva al bacio con incertezza.
Sentì
le braccia di Sano serrarsi attorno al suo corpo, schiacciandola contro
di sé, mentre il bacio si faceva più esigente,
più profondo.
Fu con uno
sforzo sovrumano che si staccò da lei, stupendosi del
mugolio di protesta che uscì dalla bocca della giovane, che
gli tirò i capelli sulla nuca, costringendolo ad abbassare
nuovamente la testa, il tutto mentre lo fissava negli occhi.
-
Gin...
dobbiamo smetterla, altrimenti... - le disse opponendole resistenza,
mentre ansimavano entrambi.
Gin
arrossì vistosamente, per poi distogliere lo sguardo dal suo
e sprofondargli il volto contro il petto.
-
Eltmn a ne
– gli mormorò contro.
-
Non... non ho
capito...
-
Eltmnt a ene
– ripeté, mentre le sue mani scivolavano sul
torace dell'uomo.
-
Gin... se
parli così, io non...
-
Va bene
– disse allora con un filo di voce, staccando il volto dal
petto dell'uomo – Altrimenti... va... bene...
Sano rimase interdetto per un attimo, fino
a che non
realizzò pienamente il significato di quelle parole,
trovandosi
allora a trattenere il respiro, mentre incredulo fissava la testa
della ragazza.
-
Gin?!
-
Se sei tu...
va bene...
Sano la scostò da sé
quanto bastava per scrutarne il
volto, adesso rivolto verso il basso.
Gin sarebbe voluta sprofondare, ed il
silenzio e
l'immobilità dell'uomo la gettarono nel panico.
-
Scusa... io...
fa finta... fa finta che non abbia detto niente... - gli disse
scostandosi ancora da lui e dandogli le spalle – Niente
– sussurrò ancora, prima di accennare a muoversi
con l'intento evidente di uscire dall'acqua.
-
No. - fu la
sola reazione di Sano, mentre l'afferrava per la vita, attirandosela
contro, abbracciandola da dietro.
-
Non posso fare
finta di niente. Non in questo caso. E comunque – concluse,
voltandola verso di sé – non voglio.
Il bacio colse Gin di sorpresa,
costringendola a
sostenersi a lui per evitare di cadere.
Sentiva le mani di Sano sulle spalle, la
schiena, mentre
con la lingua le torturava le labbra.
Gin prese a
rispondere a quel bacio, che si stava facendo sempre più
sensuale, mentre la respirazione di entrambi si faceva affannosa.
Gli si strinse
contro, in preda al bisogno di sentirsi sempre più vicina a
lui, di fondersi con lui.
La bocca dell'uomo iniziò a
lasciarle una scia di baci,
sul mento, la mandibola, il collo, proseguendo sempre più
giù, fino
a sfiorarne il seno, facendola sussultare.
Il ricordo di un'altra bocca, che mordeva,
e di mani che
stracciavano le vesti la fecero irrigidire, cosa che Sano
notò
immediatamente.
-
Gin... se non
vuoi...
-
Voglio
– rispose con voce tremante – è stato
solo un momento – aggiunse, stringendosi a lui e facendosi
silenziosa.
-
Gin, dico
davvero...
-
Sano...
perché vuoi...?
-
Perché
non dovrei volerlo? – fu la risposta.
-
Per...
quello... quello che mi è successo...
-
Non lo hai
chiesto tu. Sei la vittima della situazione. Non sei sporca ed hai
tanto da offrire.
-
Ma io...
-
Taci
– e le tappò la bocca con l'ennesimo bacio.
E stavolta, a
meno che non glielo avesse chiesto apertamente, non si sarebbe fermato.
Riprese a
carezzarla con calma e gentilezza, beandosi al sentirla abbandonarsi al
tocco delle sue mani, fidandosi di lui totalmente ed
incondizionatamente.
Quello era il
più bel regalo che potesse fargli: sé stessa.
E Sano lo
accettò ricambiando con tutto l'amore di cui un rude
guerriero poteva essere capace.
Gin fu
sopraffatta dalla dolcezza dell'uomo, che la carezzava come se fosse un
fragile cristallo prezioso, che la baciava con adorazione.
E si
sentì amata.
Probabilmente
ciò che provava Sano per lei non era amore, si disse, ma
indubbiamente la faceva sentire come se lo fosse. Ed a lei bastava.
Ciò che provava per lui sarebbe bastato per entrambi.
Ma non sapeva
che Sano aveva ormai trovato la risposta alla domanda di Souji.
“La
ami, vero?”
Sì.
E decise di
dimostrarglielo insegnandole il significato dell'espressione
“fare l'amore”, imparandolo a sua volta.
La prese in
braccio, dirigendosi verso il bordo della pozza, per depositarla a
terra e avvolgerla nel telo portato per asciugarsi, stringendola a
sé.
Pochi istanti
dopo erano a terra, le gambe intrecciate, le bocche che si cercavano,
si staccavano mentre Sano le baciava il seno, l'addome, l'ombelico,
l'interno coscia, per poi tornare sulla sua bocca.
-
Gin... se non
mi fermi adesso... non sarò più in grado...
-
Taci
– fu la risposta di lei, che, afferratolo per i capelli, lo
attirò a sé riprendendo a baciarlo con passione.
Sano tacque.
Gin non lo
fermò.
Si ritrovarono
abbracciati, un telo sotto il loro corpo, lo yukata di Sano a coprire i
corpi nudi di entrambi.
-
Ti ho fatto
male? - le chiese, sfregando il naso contro l'orecchio di Gin.
-
No... -
mormorò lei, accoccolandosi contro di lui. - Non credevo
potesse essere così... così...
-
Principessa...
tra due persone che si amano è e sarà sempre
così.
Lei
sollevò la testa di scatto, ad incrociarne gli occhi, che la
scrutarono sorridenti.
-
Che
c'è? Mi è spuntata una seconda testa?
-
No...
è che...
-
E' che abbiamo
fatto l'amore... due persone che non si amano fanno sesso... ed
è divertente, piacevole... due persone che si amano fanno
l'amore... ed è tutto ad un livello superiore...
è... E'. Punto. E basta. - le disse, voltandosi su un
fianco, verso di lei, per abbracciarla stretta.
-
Sano... io...
-
Anche io
Gin... anche io... - le disse, baciandola dolcemente sulle labbra.
-
Perciò,
da adesso, ricordati che tu sei mia, esattamente come io sono tuo.
-
Ti amo.
-
Ti amo,
ragazzina. - le rispose, zittendola con l'ennesimo bacio, carico di
promesse.
|
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Capitolo 8 *** CAPITOLO 7 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 8
CAPITOLO 7
Vederlo andare vi insieme ad Okita, nonostante sapesse benissimo dove e cosa andasse a fare, non la fece stare meglio.
Lasciarla al tempio, sebbene la sapesse al sicuro, non gli dava pace.
Erano talmente tanto abituati a stare vicini che adesso, che Sano era
riuscito ad ammettere con sé stesso ciò che provava per
Gin, che avevano confessato l'un l'altra i propri sentimenti, che
formavano una coppia, lo stare separati era loro impensabile ed
insostenibile.
E lo si leggeva chiaramente sui loro volti.
Sano arrivò nel cortile al fianco di una Gin mesta, mano nella
mano, incuranti delle occhiate di chi stava loro attorno, occhiate in
cui avrebbero letto stupore (Kyo), compiacimento (Souji),
preoccupazione (Amagiri). Qualcuno, Kazama, osservava il tutto con
apparente indifferenza, sebbene gli occhi cremisi scrutassero quelle
dita intrecciate e la coppia in cerca di qualche neo e redarguissero
Sano dal far soffrire la ragazza.
- Fate attenzione...
- Sta tranquilla, principessa – fu il commento di Sano mentre abbracciava la ragazza.
- Sano... portatemi con voi
- No, piccola. Devi riposare. Ti sei ripresa da poco da quella brutta
ferita – le disse, per poi aggiungere, soffiandole nell'orecchio
e facendola arrossire – e stanotte non ti ho lasciata riposare
molto.
- Ehilà, piccioncini!!! - fu il richiamo di Souji, accompagnato
da una lieve risata – abbiamo capito tutti che non volete
separarvi... adesso salutatevi che altrimenti facciamo tardi.
Il colorito di Gin si fece di un bel bordeaux, mentre Sano si
affrettava a montare a cavallo. Poi, sporgendosi verso la giovane,
l'afferrò sotto le braccia e sollevandola lievemente da
terra l'attirò a sé, baciandola.
- Ci vediamo tra pochi giorni. - le mormorò, mentre la rimetteva giù.
- Mi farai cadere tutti i denti dal troppo zucchero, Sano... - fu il
commento di Souji, gli occhi rivolti al cielo, mentre ridacchiava in
maniera spudorata.
- Prendimi pure in giro, Souji... tanto prima o poi ci sarai tu al mio
posto, ed allora vedrai – fu la risposta di Sano, accompagnata da
una pacca sulle spalle dell'amico.
- Sì, come no......aspetta e spera... Non preoccuparti, Gin, te
lo riporto tutto intero – le disse Souji, scompigliandole i
capelli.
***
Aveva perso il conto delle volte in cui si era chiesta che cosa
cavolo ci stesse facendo li, come diavolo ci fosse finita e per quale
accidenti di motivo suo padre, per salvarle la vita, l'aveva affidata a
quel bestione rozzo e con l'indole del comico di infima categoria
abbigliato con quel ridicolo cencio azzurro e bianco, il cui unico
pregio era mettergli in evidenza quei meravigliosi occhi blu, sempre
pieni di ironia e sarcasmo.
- Muovetevi, milady. O arriveremo a destinazione quando la katana mi
servirà come bastone da passeggio ed i vostri capelli saranno
tutti bianchi. Ed a quel punto mi toccherà pure prendervi in
moglie.
- Oh. Mio. Dio.
- Sapevo di fare un certo effetto alle donne, ma da qui al definirmi Dio... - fu la risposta dell'uomo.
- Idiota di uno Shinsengumi. - borbottò la giovane.
- Mocciosa piena di boria.
- Scimmione arrogante.
- Ehilà, Shinpachi, vedo che non hai perso il tuo tocco magico con le donne...
L'uomo si voltò di scatto, ignorando la giovane in sua
compagnia, appollaiata su una roccia alta, dove era salita,
rintanandosi dietro un'altra pietra, al solo scopo di sfuggire
all'attacco di quegli esseri abietti che li avevano circondati.
- Okita?! - fu l'esclamazione stupita del ragazzone dagli occhi azzurri, che si slanciò contro l'amico.
- Che diavolo ci fai qui? E... Sano?!
- Eccomi, Shinpa – disse l'altro, smontando da cavallo e raggiungendo l'altro, ricoprendolo di pacche sulle spalle.
- Che ci fate qui? Mi era giunta notizia della morte di entrambi. -
partì a raffica Shinpachi, abbracciando gli amici, stritolandoli.
- In un certo senso lo siamo...
- Che vuoi dire?
- Scusate... - cercò di insinuarsi nei discorsi la voce della ragazza.
- Vieni con noi e lo saprai – fu la risposta sibillina di Souji.
- Come? Che significa?
- Devi venire con noi, Shinpa.
- Scusate... - intervenne nuovamente la giovane.
- Ma non posso... non così... devo consegnare un pacco...
- Pacco ci sarai tu, stupido testone troppo cresciuto – fu la
sparata della ragazza in una lingua a loro sconosciuta, cosa che
attirò su di sé l'attenzione dei tre uomini.
- Che ha detto? - chiese Sano, grattandosi la testa.
- Non ne ho idea, ma ho come l'impressione che sia incazzata con Nagakura. - rispose Souji.
- E perché con me? Che ho fatto di male?
- Shinpachi no baka!!!! - fu l'urlo irato della giovane, che nella
foga, sollevate le vesti di fattura occidentale, scivolò
giù dalla roccia su cui aveva resistito fino a quel momento,
ritrovandosi in caduta libera ad atterrare su Okita, gettandolo a terra
e finendo sdraiata su di lui.
Subito dopo l'impatto, prima del quale aveva chiuso entrambi gli occhi,
sollevò una palpebra con aria sofferta, aspettandosi una
ramanzina coi fiocchi. Si trovò davanti il più bel paio
di occhi verdi che avesse mai visto, illuminati di malizia;
quest'ultima increspava anche la bocca che si trovava pericolosamente
vicina alla sua.
- Chibi-chan... lieto di fare la vostra conoscenza. - le disse quel
serpente dagli occhi incantatori, mentre con le braccia le circondava
la vita impedendole di allontanarsi da lui.
- Souji, piantala... è la figlia dell'ambasciatore britannico.
- E allora? - chiese l'altro, continuando a fissare la giovane, divertendosi a vederla arrossire.
- Ehi... è una ragazzina. Piantala – intervenne Sano, strappandogliela letteralmente dalle braccia.
- Signorina, io sono Harada Sano ed il giovane pervertito che vi ha afferrata al volo è Okita Souji.
La ragazza lo guardò imbarazzata, per poi sorridergli timidamente.
- Virginie... Virginie O'Connelly.
- Nome poco inglese, Chibi-chan.- fu l'intervento di Souji, che ne ricevette in cambio un'occhiatacia inceneritrice.
- Mio padre è irlandese e mia madre è francese. E' a lei
che debbo il mio nome di battesimo. - rispose la giovane, tornando a
guardare Sano.
- E che ci fa una fanciulla come voi in compagnia del mio rozzo amico? - chiese Sano, cercando di metterla a suo agio.
- E' il pacco che deve consegnare, vero Shinpachi?
- Non sono un pacco, testa di legno! - fu la risposta indignata della ragazza.
Okita si trovò a studiarla attentamente.
I lunghi capelli mossi in morbide onde, di un caldo colore castano
scuro, ora scompigliati a causa della fuga dai loro inseguitori e della
caduta, incorniciavano un volto delicato illuminato da due occhi scuri,
profondi e vellutati, molto espressivi, in netto contrasto con la
carnagione chiarissima, la qual cosa nella cerchia dei figli degli
amici di suo padre, il “Signor” ambasciatore, le era valso
il nomignolo di Shirayukihime, ovvero Biancaneve, cosa che la mandava
in bestia.
- Sapete, se foste meno selvatica sareste carina – disse Okita
alla ragazza, la quale arrossì vistosamente, facendolo scoppiare
a ridere.
- Non posso crederci... avete la lingua velenosa ed arrossite come una
pudica verginella – le disse Souji, avvicinandolesi ed
afferrandole una ciocca di capelli tra le dita.
- Forse perché lo sono, stupido.
Quando si rese conto di cosa aveva appena detto, si voltò dando
le spalle al ragazzo, coprendosi il volto con le mani. Ma il rossore
delle orecchie e del collo ne indicavano chiaramente l'imbarazzo
titanico di cui era preda.
- Sai, Chibi-chan – le disse, abbandonando il tono formale,
sfiorandole ancora i capelli – devo correggermi: sei proprio
carina.
Gli altri due uomini lo guardavano tra lo stupito e l'incredulo.
- Souji... Shirayukihime – la reazione di Virginie, che si
voltò di scatto verso Shinpachi, fulminandolo con lo sguardo,
costrinse l'uomo a correggersi.
- Ahem... volevo dire... Lady Virginie ha solo sedici anni quindi
potresti avere un po' più di riguardo nei suoi confronti, non
credi?
Sano guardò i due compagni socchiudendo gli occhi, per poi
portarli sulla giovane che in quel momento si stava fissando la punta
delle scarpe.
- Sedici anni... venti... ventisei... è pur sempre una donna...
suppongo sappia cosa sia la verginità e come si faccia a
perderla... anche se la chiamano Shirayukihime – fu la risposta
strafottente di Souji che, dovette ammetterlo con sé stesso, si
divertiva un mondo a mettere in imbarazzo la giovane europea.
Virginie iniziò a schiumare rabbia: la frase del ragazzo le era
giunta chiara alle orecchie nonostante Sano avesse cercato di
tappargliele con le proprie mani.
- Tu... brutto... brutto...
- Brutto? Dato il successo che ho con le donne non credo tu possa
definirmi tale... altri nomignoli, Chi-bi-chan? Via su... un po' di
fantasia...
La ragazza gli si fece incontro con gli occhi che sprizzavano lampi, le
mani stretta alla gonna voluminosa, il mento alto, mentre lo guardava
con aria di sfida.
- Siete solo un pallone gonfiato. Certo, siete di bell'aspetto, non lo
nego, ma l'arroganza che accompagna ogni vostra parola ed ogni vostro
gesto... le insinuazioni offensive e gratuite che riservate a chi non
conoscete... beh, vi rendono alquanto sgradevole non solo da
sopportare, ma anche da vedersi...
- Lady Virginie... - cercò di intervenire Shinpachi, bloccato da una mano e dall'occhiata di Sano.
Souji, nel frattempo, la osservava con un sopracciglio inarcato, sorridendo sornione.
E fu quel sorriso a farle desiderare di prenderlo a schiaffi. Ma non lo fece. Sono pur sempre una signora, si disse.
- Prendete la vita molto poco seriamente... dovreste solo vergognarvi.
Siete sempre pronto a mordere e a ritirarvi, proprio come i serpenti...
e per quanto la bellezza dei vostri occhi possa ipnotizzare, facendo di
voi un serpente incantatore, sempre pronto a stritolare la preda nelle
proprie spirali, per poi mangiarla in un sol boccone, vi garantisco che
IO sarò la vostra mangusta.
- E' una dichiarazione di guerra, la tua, Chibi-chan? - le chiese
il giovane, abbassando il volto all'altezza di quello di lei per
guardarla negli occhi.
- Sbagliato... Voi avete dichiarato guerra a me... io vi ho solo
preannunciato la mia intensione di combatterla e di uscirne vincitrice.
- Vedremo, Shirayukihime.
- Vedremo, Hebi-zukai-san. (serpente incantatore)
I due si fissarono negli occhi, quelli di Virginie decisamente
belligeranti, quelli di Souji interessati a quella strana ragazza, dal
carattere dalle molteplici sfaccettature e dai molti contrasti.
La voce Di Sano interruppe il silenzio.
- Shinpa... dove devi condurla?
- A Edo
- Non credo vi sarà possibile. L'esercito imperiale ha chiuso
ogni accesso alla città. Se la condurrai lì morirete
entrambi.
- Sano, ne sei certo?
- Nessun dubbio.
- Merda! - fu l'esclamazione di Shinpachi, che un attimo dopo si stava
stiracchiando le braccia, tenendole piegate dietro la testa.
- Vorrà dire che dovremo venire con voi...
- Nagakura-san...
- Non preoccuparti Chibi-chan, con noi sarai al sicuro. Quando le acque si saranno calmate ti porteremo a destinazione.
Virginie guardò Souji con sguardo vacuo, mentre nella testa le
si affollavano le immagini dei suoi genitori nel momento in cui la
affidavano a quel ragazzone affinché la allontanasse dal
pericolo incombente.
Li avrebbe più rivisti?
- Ehi, Chibi-chan... - fu la reazione di Souji quando vide le lacrime iniziare a bagnarle il volto.
E sotto lo sguardo stupito di Sano e Shinpachi, si trovò a stringersela delicatamente contro.
***
- Gin, mi hai mandata a chiamare?
La giovane si voltò, ritrovandosi ad incrociare gli occhi
più gialli che avesse mai visto, incastonati in un volto
sottile, dal carnato niveo, circondato da una cascata di capelli lisci,
lunghissimi, di un sorprendente azzurro chiaro
- Raiseki!
Gin pronunciò il nome della giovane con immenso affetto, abbracciandola.
- Come stai? Ho saputo a cosa hai dato il via...
- Non potevo fare diversamente.
- Lo so. Lo ami. E ti ammiro per il coraggio che stai dimostrando.
- Grazie, amica mia. - le rispose Gin, afferrandole una mano, che
l'altra strinse, sorridendole con calore, cosa che, agli occhi di chi
non fosse stato a conoscenza del rapporto tra le due, avrebbe avuto
dell'incredibile. Qualcuno avrebbe addirittura gridato al miracolo.
- Allora, dimmi tutto...
- Ho bisogno di te... di un favore...
- Tutto quello che vuoi.
- Dovresti trovare Saitou Hajime e condurlo da me. Il più rapidamente possibile.
La mente di Raiseki fu invasa dall'immagine di un ragazzo dai capelli
nero-blu, il volto fiero, in cui trovavano posto due occhi azzurri,
imperturbabili, freddi, in grado di trapassarti l'anima.
- Saitou... Hajime?
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Dedico il capitolo a Virginia, per avermi ispirato Virginie, e ad Ayako, per avermi aiutato a focalizzare Raiseki.
"Regalo" quindi ad entrambe questi due personaggi.
Grazie, ragazze ^__^
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Capitolo 9 *** CAPITOLO 8 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 8
- Saitou... Hajime?
- Sì... mi rendo conto che la mia richiesta è improvvisa,
ma temo di non avere molto tempo a disposizione. Voglio... devo
trasformarli tutti. Per Sano. Ma...- Gin si scosto da Raiseki,
voltandosi lievemente.
- Ma? - la incalzò l'altra, presa da un brutto presentimento.
Il sospirò rotto dell'altra le fece temere il peggio.
- Ogni volta che uso il mio sangue... mi indebolisco... sempre
più... salvarli tutti... potrebbe essere l'ultima cosa che
faccio.
- Maledizione, Gin! Ti rendi conto di cosa stai dicendo? - le gridò contro l'altra.
- Di cosa stai facendo? E' un umano !!!- aggiunse, afferrandola per le spalle e voltandola verso di sé.
- Sì, ma non posso fare altrimenti. - le rispose Gin, sostenendone lo sguardo con serenità.
- Tu... tu sei... sei...
- Innamorata. E disposta a morire per lui. Puoi farmene una colpa? Puoi
biasimarmi per la stessa colpa di tuo padre? Tu dovresti capirmi meglio
di chiunque altro...
- Ma morire per lui... - le disse tristemente, riconoscendo le ragioni
dell'amica, le stesse che avevano mosso suo padre, un Oni, ad unirsi
con sua madre, un'umana.
- Riuscirai a comprendere anche questo. Quando troverai la persona
giusta e te ne innamorerai... allora mi capirai completamente.
- Gin... dannazione... - si arrese Raiseki, abbracciandola forte.
- Raiseki... aiutami ad avere un po' di felicità, te ne prego – le disse Gin, rispondendo all'abbraccio.
La mezza Oni si trovò a deglutire a fatica, inspirando forte nel tentativo di riprendere il controllo.
- Tutto quello che mi chiedi, amica mia.
- Grazie. Grazie infinite. Sapevo di poter contare su di te.
L'altra intensificò l'abbraccio per un attimo, allontanandola
poi da sé con gentilezza, le labbra increspate in un sorriso che
raggiungeva maliziosamente anche i brillanti occhi gialli.
- Allora, in confidenza... come vanno le cose con Harada-san?
Nel vedere arrossire l'amica, Raiseki scoppiò a ridere.
- Smettila, per favore – mormorò Gin, coprendosi le guance con le mani.
- Oh Kami... ho capito benissimo. - disse la mezza Oni, continuando a ridere imperterrita.
- Rai... per favore...
- E fino a dove vi siete spinti? - chiese, ammiccando.
Non ottenendo risposta, osservò Gin attentamente, spalancando la
bocca poco a poco non appena comprese il significato di quel silenzio.
- Sono felice per te, Gin. - le disse sorridendole affettuosamente.
- Grazie.
Poco dopo Kyo fece la sua comparsa, irrompendo nella stanza con un plico di fogli in mano.
- Ehilà, Raiseki-chan...
- Kyo...
- Gin, vi ho portato i documenti che mi avevi chiesto. Sappiamo dove si
trova lo shinsengumi... - aggiunse guardando la mezza Oni.
- Ci penserò io a portarlo qui, ma non credo sarà facile. Probabilmente dovrò ferirlo.
- Cerca di portarcelo tutto intero. Più lui è in forma, meno Gin si indebolisce.
- Capisco... Beh – rispose a Kyo, prendendo i fogli che le porgeva – meglio che vada subito.
- Raiseki... dopo che lo avrai trovato...pazienta alcuni giorni. Ti
farò raggiungere da Okita Souji... avrai maggiori
probabilità di successo.
- Va bene. Ci vediamo presto.
- A presto, Raiseki.
***
Erano trascorsi due giorni dalla partenza di Raiseki e Gin non aveva
ancora smesso di chiedersi quale fosse il significato dell'esitazione
nella voce della mezza Oni quando aveva pronunciato il nome di Saitou.
Aveva la strana impressione che Raiseki sapesse su di lui più
cose di quante non avesse lasciato trapelare.
Scosse la testa, dandosi della visionaria per questi suoi pensieri, non
potendo però eliminare del tutto quella sensazione.
Riprese a rimestare la cena e stava controllando la cottura del riso
quando Kyo si affacciò in cucina annunciandole il ritorno di
Sano e Souji. Sotto lo sguardo attento del fratello, si lavò le
mani e si sfilò dai pantaloni il panno che vi aveva messo per
evitare di macchiarsi la parte anteriore degli abiti con gli schizzi di
cibo, per poi correre fuori dalla stanza.
Sano stava smontando da cavallo quando la vide arrivare di corsa, per
poi fermarsi improvvisamente alla vista della giovane europea, in sella
dietro a Shinpachi.
- Oh... - fu tutto ciò che uscì dalle labbra di Gin,
atteggiate in un'espressione sorpresa, mentre faceva scivolare lo
sguardo da Shinpachi alla ragazza, a Souji, per poi soffermarsi su
Sano, il quale le si avvicinò lentamente, scompigliandole i
capelli.
- Stai bene, ragazzino? - le disse, cogliendola di sorpresa.
Gin si guardò attorno, notando solo allora la presenza di
diversi uomini del clan, uomini che ancora la credevano un uomo.
- Si grazie, Harada-san – gli rispose, tirandogli impercettibilmente la giacca.
- Qualcuno mi aiuterebbe a scendere da cavallo? - chiese delicatamente
la voce dell'europea, che aveva fatto passare lo sguardo su tutti i
presenti, soffermandosi sul ragazzo a cui si era avvicinato Harada e
che sembrava essere quello meno pericoloso.
La fortuna volle che fosse proprio quest'ultimo ad avvicinarlesi.
- Io sono Gin, piacere. Permette? - le chiese, tendendole una mano.
- Virginie O'Connelly – rispose l'altra, poggiandosi alle sue
spalle e lasciandosi scivolare a terra, sostenuta anche da Shinpachi.
Virginie si ritrovò a guardare Gin da una distanza ravvicinata,
forse anche troppa per le convenzioni britanniche, tanto da arrossire e
balzare quasi all'indietro, mentre la risata di Okita spezzava il
silenzio che era venuto a crearsi.
- E bravo Gin... hai fatto colpo – disse prendendo a ridere
ancora più forte, a causa dell'improvviso rossore di Gin, mentre
quello di Virginie si faceva sempre più acceso.
Sano, dopo un attimo di smarrimento, si unì al compagno, cosa
che fecero tutti quanti, ad esclusione di Shinpachi, il quale passava
lo sguardo da Virginie, al ragazzino di nome Gin e al braccio di Sano
che circondava la vita di quest'ultimo.
- Credo sia meglio entrare – intervenne Kyo, asciugandosi le
lacrime dagli occhi mentre, a seguito di uno scappelloto di Gin,
cercava di riprendere il controllo di sé.
- Sì... avete bisogno di riposare prima di cena... vi consiglio
un buon bagno alle terme. - intervenne Gin – manderemo le
spiegazioni a dopo – aggiunse poi, sorridendo a Shinpachi, il
quale si trovò ad arrossire lievemente.
Cavolo, quella pulce dagli occhi grigi era veramente pericolosa: non
solo esercitava un ascendente non indifferente sulle donne, cosa
normale dato che era un bishounen, ma quel sorriso gentile e caldo
aveva fatto effetto pure a lui. E forse anche a Sano, vista la
“familiarità” tra i due. Questi pensieri portarono
il povero Nagakura Shinpachi a rabbrividire, appuntandosi mentalmente
di dover affrontare l'argomento con Sano: forse non era ancora tardi.
Circa mezzora più tardi Gin aveva appena consegnato ad una delle
donne del clan l'occorrente per far accompagnare Virginie alla pozza
termale, quando Sano varcò la soglia della sua stanza,
richiudendosi lo shoji alle spalle. Si tolse la giacca e la
gettò a terra senza interrompere il contatto con gli occhi di
lei, prendendo poi ad avvicinarlesi lentamente, fermandolesi davanti.
Sollevò una mano, andando a carezzarle una guancia, mentre con
l'altra le dava una lieve spinta nell'incavo della schiena, attirandola
a sé.
- Mi sei mancata – le sussurrò a fior di labbra, baciandola dolcemente.
- Anche tu – rispose lei, riprendendo a baciarlo, con passione.
Si separarono ansimanti. Sano le sfiorò la punta del naso con le labbra, allontanandola leggermente da sé.
- Perché? - protestò lei.
- Perché se continuiamo così non rispondo più di
me... ed ho bisogno di un buon bagno – le disse carezzandole la
pelle delle guance arrossata per lo sfregamento con la sua barba.
- E di radermi – aggiunse infatti, baciandola sulla fronte.
- Serve aiuto? - gli chiese audace, tuttavia rossa per l'imbarazzo,
mentre gli faceva scivolare la mano sotto la camicia, ad accarezzargli
il petto.
- E la cena? - chiese lui, sorridendole malizioso, godendosi appieno la situazione.
- E' già pronta... - gli rispose allontanandosi da lui giusto
per guardarlo negli occhi, adesso pallida per la certezza di essere
stata appena rifiutata, seppur con grazia.
- Hai... fame... scusami, sono stata egoista - gli disse, cercando di
sfuggire la suo abbraccio, che si fece ancor più serrato.
- Ho fame... è vero... - le disse Sano, sorridendole
apertamente, per poi chinare la testa sul suo orecchio e sussurrare
– Ma non di cibo... Ed avrei bisogno di una mano a lavarmi la
schiena. Ti va?
Inutile dire che, non appena Virginie rientrò al tempio, Sano e
Gin si avviarono alle pozza termale, lasciando al tempio uno Shinpachi
preoccupato per la sorte dell'amico, tanto che si decise a seguirli.
Quando raggiunse la pozza, trovò i due immersi fino alla vita,
abbracciati. Gin gli dava le spalle, mostrandogli una cascata di
capelli scuri, bagnati, e tutto ciò che riusciva a vedere di
Sano erano le braccia strette attorno alla vita del ragazzino e la
testa, che in quel momento si stava chinando verso quella di Gin, con
il chiaro intento di baciarlo.
- Oh cazzo!!! - fu l'esclamazione di Shinpachi, udita dai due.
Sano si portò davanti a Gin, coprendola con il proprio corpo.
- Chi è la? - urlò con aria minacciosa, mentre Gin gli si stringeva alle spalle.
Shinpachi ritenne opportuno mostrarsi.
- Ahem... io... scusate... non volevo disturbarvi....
- Shinpa?! - chiese Sano, sorpreso.
- Ecco... io... insomma... non pensavo che vi avrei trovato... - si interruppe guardando Sano.
- Voglio dire... tra due uomini.... - aggiunse poco dopo.
- Due... uomini? - chiese Sano, sforzandosi di non ridere, mentre Gin sogghignava nascosta dietro la sua schiena.
- Tu e Gin... voglio dire... ti capisco... è un bishounen... anche io....
- Anche tu... cosa? - lo incalzò Sano, trattenendosi ormai a fatica.
- Beh, quando mi ha sorriso.... prima... mi ha messo in crisi... diciamo così...
- Gin, amore, potresti evitare di sorridere a Shinpachi d'ora innanzi?
- chiese Sano, soffocando l'ennesima risata, imitato da Gin, alla vista
della faccia dell'amico farsi di tutti i colori.
- Certo, Sano – rispose Gin, facendogli scivolare le mani sugli addominali.
A quella vista, Shinpachi iniziò a sbiancare, raggiungendo il
colore della neve nel momento in cui le mani di Gin scivolarono sotto
l'ombellico dell'amico.
- Shinpa... ti senti male? - chiese Sano, inizinado a ridere sotto lo sguardo basito dell'amico.
Quando notò che l'altro non reagiva, Sano si avvicinò al
bordo della pozza, trascinandosi dietro Gin, in modo da celarne ancora
le forme.
- Shinpa...
- Sto... sto bene.... bene...
- Shinpa... tranquillo: non ho cambiato sponda.
- Eh? Come...? Ma no... non è un problema... Mi spiego...
- Lo sarebbe per me e Gin – lo interruppe Sano, ridendo ormai apertamente, imitato dalla ragazza.
- Come?
- Gin... è una donna...
- D... donna?! - chiese Shinpachi, fissando il volto della giovane che
adesso gli sorrideva apertamente, facendo cenno di sì con il
capo.
- Ah... ecco... - si interrupe per schiarirsi la voce – a dire il
vero... lo sospettavo... eheh... sapevo che non potevi essere
diventato... Ed io, poi.... ti pare che mi piacccia un
ragazzo...? Ecco.... è ovvio che scherzassi, vero? Lo
avevo capito subito... eheheheh. Adesso vado.... continuate pure
da dove ho interrotto, eh? - concluse in una tirata, voltandosi
velocemente e correndo verso il tempio.
- Sano... sei stato cattivo... - lo riprese Gin, facendo un leggero broncio.
- Anche tu... se fossi stata contraria non avresti dovuto assecondarmi – le rispose baciandola lievemente.
- Ma era talmente divertente...
- Mh... e cosa avevi intenzione di fare carezzandomi a quel modo? - le
chiese, stringendosela contro e prendendo a camminare fino al centro
della pozza, mentre le baciava il collo.
- D... di... vertirmi – sussurrò, mentre le si spezzava il respiro a causa di ciò che le stava facendo Sano.
- Oh... - commentò Sano, sollevando la testa per guardarla negli occhi, senza celare le proprie intenzioni.
- Allora adesso mi divertirò io – le sussurrò con
voce roca, mentre abbassava la testa sul seno della ragazza e prendeva
a torturaglielo con le labbra.
***
Intanto, Raiseki era giunta a destinazione. Aveva individuato Hajime
Saitou ed aveva mandato a Gin un messaggero: non le restava che
attendere l'arrivo di Okita Souji.
Nel frattempo si sarebbe limitata a non perdere di vista Saitou. E
sapeva che avrebbe dovuto fare estrema attenzione a non farsi scoprire.
Innanzitutto, per ridurre al minimo il rischio di essere facilmente
individuabile, aveva tinto i capelli con una mistura a base di cenere
ed erbe, conferendo loro un colore scurissimo, quasi nero, che se ne
sarebbe andato con un po' di acqua e sapone. Per gli occhi, purtroppo
non poteva fare molto, salvo tenerli in ombra con il cappuccio del
mantello. Era pressoché irriconoscibile, così camuffata
si sarebbe confusa con gli umani. Fino a che non avesse preso in mano
la katana o si fosse trasformata, ovviamente.
Era seduta su una roccia, le braccia abbandonate sulle gambe, la testa
abbassata, coperta dal cappuccio, quel tanto che bastava per osservare
i movimenti di Saitou senza farsi scoprire.
Lo osservò mentre parlava con i suoi sottoposti, la schiena
dritta, la mano sinistra poggiata sulla katana, il volto impassibile.
Era un nemico temibilissimo, Raiseki lo sapeva benissimo, aveva avuto
già occasione di vederlo all'opera: era rapido, freddo e letale.
E lei lo ammirava proprio per questo. Ed in parte vi si riconosceva. La
cosa che la differenziava da lui era la sua irruenza che la portava a
dare talvolta giudizi affrettati ed a subirne le conseguenze. Ma il suo
essere combattiva le aveva sempre consentito di sopravvivere e di
cavarsela. In ogni situazione.
Non appena Saitou prese a muoversi, Raiseki abbandonò la propria
postazione, prendendo a seguirlo a distanza. Gli rimase dietro per
alcune centinaia di metri, salvo poi vederlo scomparire.
E commise il primo errore.
Iniziò a correre, attirando inevitabilmente su di sé
l'attenzione di quella che fino a pochi minuti prima si era sentita su
preda e che in quel momento si era trasformato in cacciatore.
Saitou prese a seguire quella figura incappucciata che lo teneva
d'occhio ormai da un po' di tempo, decidendo di aspettare il momento
più propizio per chiedere spiegazioni circa questo suo
comportamento. E se le risposte non fossero state di suo gusto,
l'avrebbe ucciso.
Continuò a seguire quel ragazzino fino a ché non lo vide
fermarsi improvvisamente non appena scoprì di aver imboccata una
strada senza uscita. Secondo errore
- Merda... - protestò il ragazzino, battendo un pugno sul muro,
ignaro di Saitou che gli si stava avvicinando alle spalle. Quando ne
percepì la presenza, tutto ciò che Raiseki riuscì
a fare fu impugnare lo stiletto che teneva infilato nella cintura,
voltandosi di scatto. Si ritrovò così la lama della
katana di Saitou premuta sulla gola, mentre il cappuccio scivolava via
scoprendole il volto.
- Dobbiamo fare una chiacchierata. Se ciò che mi dirai non
sarà di mio gradimento provvederò a tagliarti la gola. -
disse il ronin, lo sguardo gelido fisso negli occhi di Raiseki - Anche
se sei una donna.
- Hai così tanta fiducia nelle tue capacità? - gli chiese
lei, ghignando, muovendo impercettibilmente il capo, indicando
così all'uomo lo stiletto che gli teneva puntato alla giugulare.
- Siamo in quella che si chiama situazione di stallo. Che hai
intenzione di fare? - aggiunse poco dopo Raiseki, sogghignando, senza
togliere lo sguardo dagli occhi azzurro ghiaccio dell'uomo.
- Se tu volessi uccidermi lo avresti già fatto. Non ti è certamente mancata l'occasione.
- E allora?
La risposta dell'uomo fu abbassare la katana e allentare la presa della mano con cui le stringeva il braccio.
Raiseki lo imitò, allontanando lo stiletto dalla gola di Saitou,
senza tuttavia liberarsi dalla sua presa, adesso quasi gentile.
- Ottima intuizione, ronin. Sono qui per conto di un'amica. Devo solo
starti attaccata al sedere fino a che non arriva Okita. Lui ti
spiegherà tutto.
- Okita? - chiese l'altro senza mostrare il minimo stupore.
- Già. Proprio lui. Non è morto. Anzi, per quanto ne so io, è anche guarito dalla tubercolosi.
Hajime la guardò in maniera distaccata.
- Non so se posso fidarmi da te. Ma il fatto che tu non mi abbia ucciso
quando ne hai avuto la possibilità, mi impedisce di non
crederti. Almeno in parte. Attenderemo assieme l'arrivo di Souji. Tu
non devi perdere di vista me; io non voglio perdere di vista te.
La giovane gli si avvicinò ancora, fino a poggiarglisi contro il
torace, sorridendo seducente, mentre gli occhi rimanevano inespressivi.
- Cos'è? E da così tanto tempo che non vedi una donna che
ti sei invaghito di me al primo sguardo? - gli domandò,
facendogli scivolare le mani sul petto, senza riuscire a smettere di
stuzzicarlo, nonostante si chiedesse che cosa stesse facendo, certa che
ne avrebbe pagato le conseguenze.
- Non sono preda dei sentimenti e dell'istinto. - le disse, senza
mutare espressione – Ma è molto che non tocco una donna.
Potrei accettare l'invito. - concluse, stringendosela contro, il volto
impassibile, mentre lasciava scivolare una mano sul fondo schiena della
ragazza.
Raiseki fu colta alla sprovvista, e la cosa fu resa palese dal dilatarsi degli occhi della giovane.
- Ed io non sono una prostituta. - rispose, rabbiosa, cercando di allontanarlo, facendo leva sul petto.
- Lieto di saperlo: non mi trasmetterai malattie veneree. - le rispose,
intensificando la stretta spingendo il bacino contro quello della
ragazza, mentre le infilava la mano sinistra nei capelli,
immobilizzandola, per poi baciarla.
Raiseki cercò di respingerlo, senza riuscirvi, resistendo alla
pressione delle labbra dell'uomo sulle sue fino a quando Saitou non
prese a stuzzicargliele con la lingua ed a succhiarle il labbro
inferiore. La sorpresa le fece socchiudere lievemente la bocca,
consentendo l'accesso alla lingua dell'uomo. Fu costretta a sostenersi
a lui, passandogli le braccia attorno al collo, infilandogli le mani
nei capelli, mentre la stretta di Saitou si intensificava, facendola
aderire contro il suo corpo. Raiseki si ritrovò a rispondere al
bacio, mentre uno strano languore si impossessava di lei, portandola a
stringersi sempre più all'uomo che, improvvisamente, come lo
aveva iniziato, pose fine al bacio.
- Se queste sono le premesse... - le disse freddamente, lasciando
intendere il resto, senza però allontanare del tutto la ragazza,
avendo notato la sua difficoltà a mantenere l'equilibrio.
- Bastardo. - gli sibilò contro – Era il mio primo bacio.
Gli occhi di Saitou lasciarono intendere un lieve turbamento, salvo
tornare immediatamente inespressivi, tanto che Raiseki pensò di
essersi sbagliata.
- Come ti chiami?
Raiseki lo guardò come se si trattasse di un essere a tre teste.
- Il tuo nome.
- Raiseki.
- Bene, Raiseki. Adesso che abbiamo entrambi compreso quali sono i
confini fissati dall'altro credo che la nostra coabitazione
sarà... come dire.... pacifica?
La ragazza lo fissò con astio.
- Sta certo che non ti permetterò più di baciarmi, stronzo.
- Mai dire mai, gatta selvatica. - le rispose l'uomo, togliendole
finalmente le mani dai fianchi, per poi voltarle le spalle, invitandola
a seguirlo.
In quel momento, si chiesero entrambi fino a che punto la loro
convivenza sarebbe realmente stata pacifica; Raiseki dubitò di
riuscire a mantenere la promessa fattagli.
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Capitolo 10 *** CAPITOLO 9 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 9
Virginie era nella sala grande quando vide arrivare Shinpachi che
correva come se avesse il diavolo alle calcagna. Le passò
dinanzi in velocità, senza neanche vederla, la qual cose le fece
arricciolare deliziosamente il nasino: insomma, era l'unica persona che
potesse dire di conoscere veramente, l'unica con cui si sentisse un
minimo a proprio agio, e lui che faceva? La ignorava bellamente.
Lo sbuffo che accompagnò questa constatazione le morì
quasi immediatamente sulla bocca a causa dell'intervento di un soggetto
a lei poco simpatico.
- Chibi-chan... delusa perché vi ha ignorata?
- Serpe velenosa – sussurrò, certa di non essere sentita.
Due secondi e si ritrovò la schiena schiacciata alla parete, la
gola stretta nella morsa, seppur gentile, della mano di Okita.
- Volete accertarvene? - le chiese calando il volto nell'incavo del
collo della ragazza, simulando un morso vampiresco, mentre con il
pollice le carezzava lievemente la pelle serica e profumata della gola.
La giovane rimase immobile, paralizzata dalla sorpresa. Nessuno aveva mai osato prendersi tanta libertà con lei.
- A quanto pare il serpente incantatore ha ipnotizzato la mangusta,
Chibi-chan – le sibilò sul collo, sfiorandole la pelle con
le labbra, increspate da un lieve sorriso soddisfatto.
La sentì tremare lievemente ed approfittò del momento per baciarla dietro l'orecchio.
La ginocchiata all'inguine lo costrinse a piegarsi in due, le mani
sulla parte dolorante, mentre Virginie scivolava via dall'angusto
spazio in cui l'uomo l'aveva costretta, tra la parete ed il suo corpo.
- La mangusta sa quando e come contrattaccare. - gli disse, puntandogli
un piede sul sedere e spingendolo contro la parete, facendovelo
sbattere, per poi ritirarsi ad una distanza di sicurezza.
- Vi ho sottovalutata, Chibi-chan – le disse, le mani ancora
strette sulla parte colpita – ma state certa che non
accadrà più.
- Se oserete mettermi nuovamente le mani addosso... anzi, se oserete
sfiorarmi anche con un solo dito... al posto del ginocchio
utilizzerò un coltello. - gli disse tremando vistosamente.
Souji la guardò sorpreso: il tremore ne tradiva lo spavento, ma
l'espressione risoluta, nonostante il pallore, gli fece comprendere di
avere esagerato.
- Chiedo scusa, lady Virginie. Non volevo spaventarvi. Il mio gioco
idiota si è spinto troppo oltre. - le disse, fissandola negli
occhi, sperando ardentemente che credesse alle sue parole.
La giovane europea ne sostenne lo sguardo, sospirando infine di sollievo.
- Credo di aver esagerato anche io. Non avrei dovuto colpirvi. Non in quel modo, almeno. Vi chiedo perdono.
- E' colpa mia: non avrei dovuto prendermi certe libertà. Non accadrà mai più.
La giovane abbassò lo sguardo, chiedendosi perché quelle
ultime parole le facessero così male. Non era forse ciò
che auspicava?
Souji, da parte sua, si dette dell'idiota. Ci aveva provato, lo
riconosceva. In fin dei conti era molto che non stringeva un morbido
corpo femminile tra le braccia e lei... era carina.... Si era
semplicemente dimenticato che, per alleviare certi bisogni, c'erano
donne che lo facevano di lavoro.
L'uomo si passò una mano sul volto, attirando su di sé l'attenzione della giovane.
- Okita-san...?
- Ditemi...
- Ritenete possibile che potremo mai parlare senza saltarci al collo?
- Lo spero con tutto me stesso. Ma ho dei seri problemi a fornirvi garanzie in tal senso.
- Perché? - le chiese, accorata, mentre lo afferrava per una manica della camicia.
Ne incatenò lo sguardo per un attimo che parve ad entrambi interminabile.
- Perché quando sono con voi sono combattuto tra ciò che
desidero e ciò che devo fare – le rispose, afferrandole la
mano con cui lo tratteneva, stringendola nella propria.
- Che volete dire?
Souji, per tutta risposta, le sollevo la mano che teneva imprigionata
nella sua, portandosela poi alle labbra per baciarne il palmo.
- Ecco... ho appena assecondato un mio desiderio. Ma non avrei dovuto farlo – le disse, sorridendo amaramente.
- Perché no? - gli chiese, la voce incerta.
L'uomo ne catturò nuovamente gli occhi, passando la mano libera
tra i capelli della ragazza, sulla nuca, calando il volto verso quello
di lei. Virginie era certa che l'avrebbe baciata e socchiuse gli occhi,
tutt'altro che contraria all'idea. Quando sentì le labbra
dell'uomo sulla propria fronte, spalancò gli occhi, sorpresa e
delusa.
- Perché? - tornò a chiedere.
- Stavolta non ho assecondato il mio desiderio; ho lasciato prevalere
la ragione. - le rispose, scostandosi lievemente da lei per poterla
guardare in volto.
- Perché? - chiese ancora, palesemente delusa e ferita.
Souji le sorrise scompigliandole i capelli; un sorriso triste.
- Siete disarmante nella vostra ingenuità, Chibi-chan. - le
rispose, in tono scherzoso, prima di votarle le spalle ed uscire dalla
stanza, lasciandola sola, a sfiorarsi con le dita la pelle del collo,
dietro l'orecchio, nel punto in cui l'aveva baciata.
Perché aveva desiderato quel bacio?
Perché si era rammaricata di averlo colpito?
Quegli occhi, quei maledetti e magnifici occhi verdi la ipnotizzavano, così come il suo profumo la stordiva.
Ma non era accettabile.
E solo allora ammise che tutto sommato Souji, rifiutandola, le aveva fatto un favore.
Ma allora perché le bruciava? Perché la faceva stare male?
Perché?
Stava ancora fissando il punto in cui si trovava l'uomo quando l'aveva
guardata con quei suoi meravigliosi occhi verdi, sentendosi
improvvisamente sola, per la prima volta, da quando i suoi genitori
l'avevano allontanata dall'ambasciata. Si lasciò scivolare a
terra, lo sguardo perso nel vuoto mentre le lacrime le inondavano occhi
a volto.
Fu così che la trovarono Sano e Gin. Quest'ultima si affrettò verso di lei, comprendendo in parte il suo dolore.
- Virginie-san – la chiamò dolcemente, un braccio attorno
alle sue spalle, mentre la ragazza la guardava con sguardo assente.
- Vi chiedo scusa, Gin-kun... io... - non concluse la frase esplodendo in lacrime.
- Va tutto bene... - le rispose Gin, stringendola a sé con una
dolcezza disarmante, tanto che Virginie si chiese come un ragazzo,
guerriero, potesse essere tanto delicato e sensibile, senza potersi
impedire di rispondere all'abbraccio.
C'era qualcosa in quel bishounen che l'attirava al di là del suo
aspetto. Era bello, niente da eccepire... ma il suo modo di fare, la
sua gentilezza, la sua premura erano disarmanti: le veniva voglia di
lasciarsi cullare, coccolare da quel ragazzo.
Il volto di Okita le invase la mente, lasciandola senza fiato: lo
detestava, lo trovava insopportabilmente superficiale ed irrispettoso;
prova ne era il fatto che avesse cercato di baciarla.
No. Non era vero.
Lei aveva desiderato che la baciasse... come un uomo bacia una donna.
Ma lui le aveva sfiorato la fronte come un fratello maggiore fa con una
sorellina.
Idiota.
E non si riferiva a Souji.
Si strinse maggiormente a Gin, sentendosi riscaldare dentro, per poi sorridergli in imbarazzo.
- Vi chiedo scusa.... mi sono presa libertà che non si addicono
ad una signorina. Vi ho messo in imbarazzo, mi spiace Gin-kun.
Il giovane la guardò incerto.
- Insomma, abbracciarvi così... - la frase le morì in bocca mentre arrossiva.
Gin si voltò verso Harada a cui riservò uno sguardo
interrogativo. Ricevendo in risposta un cenno di assenso, Gin la
strinse a sé, facendole poggiare la testa nell'incavo del
proprio collo: la superava infatti di tutta la testa.
- State tranquilla. Né io ne Harada-san abbiamo frainteso il vostro gesto.
Virginie nascose il volto contro il torace di Gin.
- Grazie.
- Prego, lady Virginie.
- Ginny... chiamatemi Ginny. - gli disse, scostandosi dal ragazzo
per guardarlo negli occhi, di un incredibile color argento.
- Solo se voi mi chiamerete Gin... niente titolo onorifico, tra di noi. Siete d'accordo? - le chiese sorridendole.
- Molto volentieri – rispose, ricambiando il sorriso, mentre un delicato rossore le colorava le guance.
- Adesso che avete fatto amicizia, proporrei di andare nel salone. A
breve arriveranno anche Shinpa e Souji, che ormai dovrebbero aver
terminato il bagno. E dal momento che sono certo avranno molta fame,
ritengo opportuno affrettarsi. Altrimenti non ci lasceranno neanche un
chicco di riso.
- In quel caso, Sano, considerali carne morta. - fu la replica di Gin mentre aiutava Virginie a rialzarsi.
Quando i tre giunsero nel salone, Gin e Sano andarono a sedersi ai loro
posti, uno di fronte all'altro, facendo sistemare la giovane europea
tra Sano e Shinpachi, sotto lo sguardo contrariato di Kazama.
- Che ci fa una femmina umana qui? - chiese infatti senza tanti giri di
parole, il tono pacato da cui traspariva, tuttavia, indignazione per
quella presenza inopportuna.
- E' stata affidata a Nagakura – gli rispose Sano.
- Pertanto lei viene dove vado io – fu la risposta secca di Shinpachi.
- Gin... è già difficile tenere qui lo shinsengumi ancora
umano. E so che è questione di poche ore... ma come pensi di
poter garantire l'incolumità di questa femmina? -
continuò il biondo, ignorando Shinpachi.
- Ehi, biondo, ho un nome... e me ne occuperò io – gli sibilò Shinpachi.
- Shinpa, per favore – intervenne Sano, invitandolo a non continuare.
- Kazama, lei rimane qui. Per quanto riguarda la sua incolumità, sarà sotto la mia responsabilità.
- Tua e mia, Gin. Ti aiuterò io. - intervenne nuovamente Sano.
Virginie, intanto si guardava attorno, studiando gli uomini presenti.
Gin, Harada, Okita e Nagakura già li conosceva. Erano gli altri
tre ad incuriosirla.
Il moro, Kyo, era fratello di Gin: sembrava prendere in giro il mondo
intero, con quell'espressione strafottente che gli illuminava lo
sguardo; il gigante dagli occhi azzurri, Amagiri, era taciturno e
decisamente minaccioso, per quanto non le incutesse un eccessivo
timore; almeno non quanto il biondo, Kazama, i cui occhi vermigli lo
rendevano inquietante, tanto quanto il suo atteggiamento lasciava
intendere l'arroganza che traspariva da tutta la sua persona.
Gli occhi di Virginie si soffermarono su ognuno dei presenti e quando
incrociò lo sguardo verde foresta di Okita sentì le
guance andarle a fuoco, attirando su di sé l'attenzione di
Kazama.
- Se arrossisce così, sarà difficile resistere anche per
noi – sbuffò Kazama – è estremamente
invitante – concluse, accennando ad alzarsi.
Con un movimento rapido Shinpachi si avvicinò a Virginie.
- Sta' lontano da lei, Oni.
- Non sei ancora in condizioni di uscire vivo da uno scontro con me umano.
- Kazama, smettila. - intervenne Gin.
- Se non sarò io, sarà uno dei nostri qui fuori.
- Osa solo avvicinarti a lei, ed io...
- Tu cosa, Nagakura? - lo provocò Kazama, pregustando già
il sangue dell'uomo che a breve, ne era certo, avrebbe lordato la lama
della sua katana.
- Sei solo un povero, piccolo insetto. Posso schiacciarti come una
mosca. Sei solo un umano. - continuò il biondo Oni, alzandosi
con una mossa fulminea, la katana sguainata, pronto a colpire Nagakura.
Ma la sua katana si scontrò con quella di Okita.
- Io non più. E se vuoi arrivare a lei e a Nagakura dovrai vedertela con me.
Amagiri intervenne afferrando Kazama per un braccio e riportandolo
seduto, mentre Okita si spostava affianco a Shinpachi, sedendovisi.
- Kazama... osa ancora una volta puntare un arma contro uno di loro e
potrai dire addio alla nostra amicizia. - furono le dure parole di Gin,
mentre ne catturava gli occhi con i propri.
- Capito. - fu la sola parola che uscì dalle labbra tirate del biondo.
- Bene. Adesso ceniamo.
Il resto della cena trascorse stranamente in tranquillità.
Subito dopo aver rassettato, Gin invitò Sano, Souji e Shinpa a
seguirla, estendendo l'invito a Virginie, non sentendosela di lasciarla
sola con Kazama in giro. Kyo si unì al gruppo, desideroso di
stare vicino alla sorella nel momento in cui avesse avuto bisogno di
aiuto dopo aver dato il via alla trasformazione di Shinpachi.
Sano si incaricò di spiegare a Shinpachi perché si
trovasse lì con loro, senza tralasciare niente, il tutto mentre
stringeva la mano di Gin nella propria.
Virginie guardava quelle mani intrecciate con estremo imbarazzo, certa
che tra i due uomini ci fosse del tenero, la qualcosa, data la
fisicità di Sano, aveva dell'incredibile.
La sua attenzione fu attirata dal sorriso con cui Kyo guardava i due e
dalla naturalezza con cui Okita e Nagakura avevano accettato quella
strana relazione. Si trovò ad arrossire, imbarazzata al pensiero
di quei due che si scambiavano effusioni.
- A cosa pensate, Chibi-chan? Siete arrossita improvvisamente...
pensieri impuri? - la stuzzicò Okita, sorridendole divertito.
- Stupido. - sussurrò la ragazza, mentre si scostava dall'uomo che, nel frattempo le si era avvicinato.
- Quell'Oni ha ragione... avete un odore irresistibile – le disse, sentendo la bocca farglisi improvvisamente asciutta.
- Merda... - sibilò, mentre sprofondava il naso nella pelle
delicata del collo della giovane, sotto lo sguardo sbalordito di Sano e
Gin.
- Souji... - lo richiamo Sano, mettendogli una mano sulla spalla.
- Sto bene, tranquillo. L'ho fatto solo per abituarmi al suo odore
– sussurrò Okita a fatica, mentre con una carezza al volto
di Virginie cercava di tranquillizzare la ragazza.
- Ma cosa...? - chiese Virginie, mentre la presa rassicurante e ferma di Gin la faceva spostare alle sue stesse spalle.
- Avete capito cosa siamo? - le chiese Gin, senza togliere gli occhi da Okita, che stava riprendendosi rapidamente.
- Oni...?
- Demoni... e la fonte primaria del nostro potere è il sangue
umano... ed il vostro è estremamente invitante. - le disse,
voltandosi verso di lei.
- Adesso comprendo le obiezioni di Kazama....- fu il commento della ragazza dopo un attimo di sbalordimento.
- Non mi sembrate spaventata – le disse Kyo, sorpreso.
- Dopo essere stata attaccata da quei cosi... Rasetsu, mi sembra che
Nagakura gli abbia chiamati così... Tutti voi non mi sembrate
così aggressivi e spaventosi. E poi Okita-san ha detto che
voleva abituarsi al mio odore, non uccidermi.
Souji la guardò stupito da tanta cieca fiducia.
- Grazie della fiducia, Chibi-chan – le sussurrò,
sorridendo, mentre con la mano le scompigliava i capelli, sotto lo
sguardo divertito di Gin, la quale tornò a concentrarsi su
Nagakura.
- Che mi dite, allora? Accettate?
L'uomo guardò lei e poi Sano.
- Ho fiducia in Sano. E se lui si fida talmente tanto di voi da
scegliervi come compagna, allora mi fiderò di voi anche io. - fu
la risposta dell'uomo – Che devo fare?
Sotto lo sguardo sorpreso di Virginie, che aveva scoperto la sua vera
natura, e quello deciso di Nagakura, Gin sollevò fin sopra al
gomito la manica della camicia che indossava, afferrò la katana
portale da Sano e si procurò un lieve taglio sul braccio, da cui
iniziò a sgorgare il sangue.
- Bere – fu la risposta di Gin, mentre portava il polso alla bocca di Shinpachi.
Tre giorni dopo, Nagakura era diventato un Oni impuro, mentre Okita
abbandonò il tempio per andare ad incontrare Saitou che sapeva
attenderlo in compagnia di una giovane Oni messagli alle spalle da Gin.
***
- Dannazione, quanto ancora dovrò attendere prima di liberarmi
di voi? - si chiese Raiseki esasperata dall'atteggiamento che Saitou
aveva tenuto in quei giorni. La convivenza stava divenendo estremamente
difficile per lei. L'uomo, invece, la ignorava, limitandosi a
rivolgerle la parola solo quando lo ritenesse strettamente necessario.
Saitou si sollevò dal giaciglio improvvisato, mettendosi seduto per scrutarla meglio in volto.
- Che c'è che non va? Non vi siete mai lamentata sino ad ora.
- C'è che se avessi voluto coabitare con un uomo dall'energia di
un cadavere, mi sarei trasferita presso le tombe fuori
città.
La verità era che trovava frustante stargli accanto senza che
lui prendesse la minima iniziativa nei suoi confronti. E' vero, gli
aveva detto che non gli avrebbe più permesso di baciarla, ma
quel primo ed unico bacio continuava a tormentarla, giorno e notte,
facendole desiderare il bis. E spingendola a chiedersi come sarebbe
stato andare oltre. L'espressione felice di Gin le si presentò
alla mente. Anche lei si sarebbe sentita così dopo essersi
concessa all'uomo di cui era innamorata?
Portò lo sguardo su Saitou, arrossendo vistosamente non appena ne incrociò lo sguardo indagatore.
Merda.
Ed anche quella notte non avrebbe chiuso occhio.
Un rumore improvviso fece scattare entrambi in piedi, la katana sguainata.
- Dov'è? - chiese l'uomo in un sussurro.
La ragazza gli rispose accennando con il capo in direzione dello shoji,
mentre socchiudeva gli occhi, concentrata sui rumori che provenivano da
fuori, per poi mostrare all'uomo cinque dita, il numero delle persone
appostate all'esterno della stanza.
- Sono qua dentro... non dobbiamo svegliarli: lui è pericolosissimo.
- Questo significa che non posso farmi un giretto con la ragazza...
La mano di Raiseki si serrò ulteriormente sull'arma, mentre le
immagini di Gin subito dopo lo stupro le affollavano la mente. Si
rilassò lievemente solo quando Saitou le sfiorò le nocche
bianche.
- Sei sicuro che stiano dormendo?
- Con una gatta come quella nel letto, sicuramente avranno fatto baldoria fino a tardi.
- Già. Fortunato lui.
Saitou riportò gli occhi su Raiseki che, il capo chino, cercava
di nascondere il rossore del volto facendovi scivolare sopra i capelli.
- Quante monete avranno?
- Per mantenere quella gatta ce ne vogliono molti, garantito.
Le guance di Raiseki iniziarono a fremere per la rabbia, lasciando
chiaramente intendere a Saitou che la giovane era sul punto di
esplodere.
Fu così che, sotto lo sguardo sbalordito di Raiseki, Saitou si
diresse alla porta, spalancandola improvvisamente, slanciandosi contro
il malvivente a lui più vicino.
- Temo che qui troverete solo il modo di indebitare le vostre famiglie
per la vostra cerimonia funebre. - disse con tono calmo e minaccioso al
contempo.
I quattro che erano sfuggiti alla minaccia della katana dell'uomo,
arretrarono lentamente, fino a che la schiena di uno di loro non
andò a pungersi contro la punta della katana di Raiseki, che si
era materializzata alle loro spalle, guadagnandosi un'occhiata
inintelligibile da Saitou.
- Dove credete di andare? Avete intenzione di lasciarmi così?
Dopo tante promesse... Potrei sentirmi trascurata... - disse loro, la
bocca atteggiata in un poco rassicurante sorriso di scherno, mentre
assumeva la posizione di attacco.
- Sei solo una donna... cosa credi di poter fare contro noi quattro? -
le disse uno degli uomini, facendole scivolare addosso lo sguardo con
lascivia.
- Ti consiglio di riflettere prima di parlare. Lei NON è SOLO
una donna, ma una guerriera. E comunque, prima che uno solo di voi
quattro riesca anche solo a sfiorarla, il vostro amico qui con me si
troverà con la gola recisa. Ed allora saremo due contro quattro.
Ma se siete certi di riuscire a ucciderci...
Raiseki abbassò la katana, gli occhi gialli brillanti di scherno, spostandosi di lato.
Tempo zero, i cinque si dettero alla fuga, sotto lo sguardo soddisfatto
della ragazza e quello freddo ed inespressivo dell'uomo, che poco dopo
si rivolse alla compagna, afferrandola per un braccio e
trascinandola nella loro stanza.
- E adesso voglio sapere ciò che non mi hai detto, Oni.
***
Gin tornò a rileggere il rapporto arrivatole quella
mattina dagli uomini che aveva messo alle costole di Keisuke Yamanami,
più noto come Sannan-san.
C'era qualcosa che non andava. Dal rapporto risaltava il fatto che
avesse stretto rapporti con Koudou-san, quel pazzo scatenato. Ma
qualcosa le diceva che un uomo che aveva assunto l'ochimizu,
trasformandosi in Rasetsu, solo per continuare a far parte della
shinsengumi, difficilmente avrebbe rinnegato la shinsengumi stessa
alleandosi con il nemico allo scopo di dimostrare la propria acquisita
superiorità. Certo era che, se la sua impressione si fosse
rivelata essere vera, avrebbe dovuto fare di tutto per non tradire
l'uomo che, sicuramente, era mosso da motivi ben precisi, di non
difficile intuizione. Ma dal momento che non lo conosceva, che lo aveva
sempre visto come il più schivo tra tutti i compagni di Sano, e
non ultimo il fatto che non lo aveva ancora “visto” morire,
non potendo così sapere se sarebbe morto da traditore o meno,
aveva ritenuto opportuno mettergli alle spalle una persona di sua
fiducia, una persona che, per il proprio aspetto, non sarebbe stata
identificata come Oni, ma che anzi si sarebbe facilmente
“mimetizzata” con il resto delle persone che circondavano
Sannan-san, potendo così arrivare a tenere d'occhio anche
Hijikata-san.
Decisa a non rendere pubblico quel rapporto che, certamente, avrebbe
influenzato negativamente i tre shinsengumi presso il tempio, a cui si
sarebbe presto unito Saitou come quarto, si ripromise di tacere su
quanto scoperto e sul fatto che aveva assegnato Skiri alla sorveglianza
di Sannan-san, Heisuke Toudo ed Hijikata-san. Era infatti certa che
quei tre si sarebbero riuniti e qualcosa le diceva che se Skiri avesse
seguito i primi due, sarebbe stata in grado di consentirgli di
prevedere le mosse di Kazama.
Già... Kazama. Non si era dato per vinto. Aveva solo
momentaneamente accettato quanto Gin stava facendo, ma la ragazza
sapeva benissimo che, nonostante avesse lasciato correre con i tre che
già si trovavano presso il tempio, così come avrebbe
lasciato correre con Saitou, Yamanami e Toudo, difficilmente si sarebbe
mostrato altrettanto benevolo verso Hijikata. Ed era consapevole che la
cosa non si riducesse ad una mera questione di onore: Kazama voleva
Chizuru; Hijikata era intervenuto impedendogli di farne ciò che
voleva. E non poteva perdonarglielo. Probabilmente lo vedeva come un
rivale. Ma non di spada.
***
In piedi, gli stivali infilati nelle staffe, Skiri scrutava dall'alto
della sua postazione l'edificio in cui si era ritirato Hijikata-san
insieme alla giovane Oni che lo accompagnava. Gli occhi verde muschio,
talmente scuri da sembrare neri, si spostarono in alto, soffermandosi
su un punto ben preciso. Un braccio lungo e sottile si stese
morbidamente nell'aria, mentre un sorriso lieve incurvava le labbra
della giovane, che con un gesto aggraziato scostò i lunghi
capelli nero ramati dal volto. Pochi secondi dopo il falco si
posò sul guanto che rivestiva la mano e l'avambraccio della
giovane, la quale sprofondò gli occhi in quelli del rapace,
sorridendogli rassicurante.
- Ottimo lavoro, piccolo mio – sussurrò al falco, sul cui
capo ripose il cappuccio, sfiorandoglielo poi con le labbra.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Nuovo personaggio femminile... chissà con chi interagirà?
Skiri... ti dedico Skiri
Questa era la sorpresa ^__^
Virgi, Ayako... mi scuso per avervi fatto attendere così tanto. Spero che il capitolo fiume mi faccia perdonare.
Chiedo venia per gli eventuali errori e vi invito a segnalarli.
Grazie. ^^
|
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Capitolo 11 *** CAPITOLO 10 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 10
- Mi stai dicendo che Harada-san, Nagakura-san e Okita-san,
che a
breve dovrebbe raggiungerci, non sono più umani ma... cosa?
Una
via di mezzo tra umani ed oni? E tutto grazie al sangue di una tua
amica... Mi fai così stupido?
Raiseki sostenne lo sguardo inespressivo di Saitou,
risponendogli in tono piatto.
- Mi guardo bene dal sottovalutarvi, Saitou-san. E non solo
per
come maneggiate la spada. Ho avuto un assaggio del vostro carattere
– concluse ripensando al bacio.
- E comunque, se non volete credermi adesso lo farete non
appena avrete parlato con Okita-san.
- Mi stai quindi suggerendo di lasciarti vivere, femmina oni?
- Adesso siete voi a sottovalutarmi, se credete di potermi
uccidere con facilità: prima dovete riuscire a prendermi. -
gli
rispose, provocandolo con un sorriso sarcastico.
- Basta solo usare la tattica giusta... e sarai tu a
lasciarti
catturare. - le disse, mentre allungava una mano per toccarle i
capelli.- Di che colore sono, realmente?
- Lo scoprirete solo dopo che gli avrò lavati. In
questo
modo non attirano l'attenzione – gli rispose, cercando di non
cedere all'esercizio di fascino maschile di Saitou, con cui era certa
l'uomo sperava di farle abbassare le difese.
- Capisco... - commentò l'uomo, avvicinandolesi,
spostando
poi la mano sulla guancia e tuffando gli occhi azzurri in quelli gialli
di lei – ma per gli occhi non hai potuto fare niente...-
lasciò la frase in sospeso, avvicinandolesi quel tanto da
poterne sfiorare il corpo con il proprio.
- Sono bellissimi... - le disse, calando il volto verso
quello di
lei, per sfiorarle le labbra con le proprie una, due, tre volte,
stringendola a sé solo mentre si decideva ad approfondire il
bacio.
Raiseki lo lasciò fare, rispondendo anzi con
slancio,
infilandogli una mano tra i capelli, per attirarlo meglio a
sé.
Saitou mise fine al bacio, scrutandola negli occhi per un
lungo istante.
Poi un sorriso sarcastico gli increspò le labbra.
- Presa
- Ne siete certo? - lo interrogò Raiseki, sul
volto la stessa espressione di Saitou.
Lo smarrimento di Saitou gli fu fatale: Raiseki, con una
rapida
torsione del polso, dopo aver stretto tra le dita i capelli dell'uomo,
lo costrinse ad abbassare la testa al proprio livello, punsecchiandogli
la pelle della gola con uno stiletto e facendola sanguinare lievemente.
- Preso – gli mormorò a fior di labbra,
per poi
portare la bocca sul collo dell'uomo e passare la lingua sulla ferita,
richiudendola.
Fatto ciò, Raiseki si allontanò da
Saitou arretrando
lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso neanche mentre riponeva
l'arma.
- Sei decisamente una gatta... selvatica e furba al
contempo...
- Sbaglio o era un complimento? - gli chiese, osservandolo
mentre tornava ad avvicinarlesi.
- Mi sono sempre piaciuti i gatti... specialmente le
gatte... e
devo dire che trovo divertente vederti arruffare il pelo. - le disse
prima di scompigliarle i capelli.
- Vi siete dimenticato delle unghie... - gli disse, cercando
di intuirne le intenzioni.
- Non vedo l'ora di sentirmele addosso
- Morirete con questa speranza – fu il sussurro di
Raiseki,
mentre la mano di Saitou si faceva strada sotto la sua camicia,
carezzandole un fianco.
- Sarai tu a pregarmi di lasciartelo fare – fu la
risposta
dell'uomo che, dopo aver chinata il capo come a volerla baciare di
nuovo, ruotò la testa, sfiorandole la guancia con le labbra.
- Sogni d'oro, micetta.
La mattina trovò la giovane con gli occhi
sbarrati, mentre
continuava a darsi della stupida per aver permesso all'uomo di giocare
e vincere con i suoi nervi.
Il fatto è che per come lo conosceva lei e per
come aveva
avuto modo di vederlo nei giorni in cui lo sorvegliava, Saitou era
l'immagine dell'uomo freddo e controllato, sempre distaccato, talmente
inespressivo ed inoppugnabile da risultare arido. Le cose erano due: o
ciò che aveva visto di lui prima di interagirci era solo una
facciata, oppure era lei a tirare fuori quella vena provocatoria, da
seduttore, che si guardava bene dal palesare. Certo, era risaputo che
avesse successo con le donne: era molto bello, indubbiamente. Ed in
tempo di guerra, la compagnia femminile a buon mercato, per quanto non
scarseggiasse, era l'ultima cosa a cui un guerriero pronto alla
battaglia potesse anche solo lontanamente pensare. Forse era solo
astinenza da gentil sesso, la sua. Ma era pur vero che l'autocontrollo
mostrato anche quella notte, le lasciava intendere che il suo
“bisogno” non fosse così impellente. O,
più
probabilmente, lei non era il suo tipo.
Ma allora, perché l'aveva provocata?
- Noto con piacere di essere riuscito a toglierti il sonno
–
la voce fredda di Saitou interruppe le riflessioni di Raiseki, che lo
guardò simulando indifferenza.
- Presuntuoso.
- Stai negando? - le chiese, mantenendo un tono incolore.
°Bastardo menefreghista donnaiolo del cazzo°
- Non mi affanno a negare l'esistenza di ciò che,
per
assunto, non esiste – risposta piatta, quasi annoiata, con
gli
occhi fissi in quelli dell'uomo.
- Il mio sangue Oni mi consente di non aver bisogno di
dormire a
lungo per essere riposata. E, dato quanto accaduto durante la notte, ho
approfittato della cosa per fare la guardia. - concluse, alzandosi dal
giaciglio e stirandosi la schiena e le spalle, allungando le braccia
sopra la testa.
- Adesso sembri proprio una gatta... Mi chiedo quanto
dovrò
aspettare prima di sentirti farmi le fusa – la
provocò
Saitou, alzandosi a sua volta, mentre le fissava il seno.
Dopo aver scoperto cosa guardasse con interesse, Raiseki lo
fissò sogghignando.
- Sogni e rumori molesti rimangono sotto le coperte, non lo
sapete Saitou-san?
Due colpi decisi allo shoji fecero scattare la mano di
entrambi sulle katane.
- Buono, buono, Saitou-san... - fu la reazione di Okita
quando si trovò davanti al collo la lama dell'arma
dell'amico.
- Souji, sei deciso a morire per mano mia...
- Ohayo, Saiotu... Raiseki-san, lieto di fare la vostra
conoscenza.
- Okita-san, potete abbandonare il tono formale: gli amici
di Gin sono amici miei.
- E sia, Raiseki-chan... ma solo se non sarai
così formale
a tua volta – le rispose Souji, con un bel sorriso ad
illuminargli gli occhi verdi.
- Come vuoi, Souji-kun.
- Quando avete finito di scambiarvi i convenevoli... - fu
l'interruzione annoiata di Saitou.
- Ohi, ohi, Saitou... siamo acidini. Io conosco una cura
miracolosa – fu la risposta ammiccante di Souji
- La conosco anche io, Okita... ma non avevo né
la forza
né il tempo di addomesticare la gattina selvatica che mi
sono
ritrovato tra le mani. - risposta piatta, ma dal messaggio intriso di
malizia, che fece centro, facendo arrossire violentemente Raiseki,
mentre Souji sghignazzava senza ritegno.
- Devi vincere anche questa battaglia, Saitou?
- Temo si tratti di una vera e propria guerra.
- Quando avete finito di parlare di me come un pezzo di
carne su
cui sfogare le vostre frustrazioni sessuali, potremmo cortesemente
avviarci in direzione del quartier generale? - fu il commento aspro di
Raiseki.
- Hai ragione, amico mio... è una guerra.
- E decisamente lunga.
- Scommetto che stavolta non sarai tu a vincerla –
sussurrò Okita all'orecchio di Saitou, mentre andavano a
saldare
il conto per l'alloggio, seguendo Raiseki, che aveva abbandonato la
stanza a passo di carica.
*****
Hijikata e Toudou mostrarono stupore quando videro entrare
nella
stanza quello che si era presentato al quartier generale provvisorio
come un uomo fedele alla causa inviato da Harada per prestare loro
aiuto in campo medico: era una ragazza alta e magra, dal fisico
scattante e morbido al contempo. Se il colore nero ramato dei capelli
attirò l'attenzione del più giovane dei due
uomini,
Hijikata si chiese immediatamente quale fosse il colore dei suoi occhi,
a prima vista di un indecifrabile marrone.
- Hijikata-san, Toudou-san... il mio nome è Skiri
e questa
– si interruppe per porgere a Hijikata un rotolo –
è
la mia presentazione, scritta da Harada-san di suo pugno.
- Come posso essere certo non si tratti di un falso? -
tuonò la voce di Hijikata, mentre con gli occhi violetti
scrutava quelli della giovane, cercando ancora invano di individuarne
il colore.
- Non conosco il testo della missiva, ma mi è
stato detto
di riferirvi che qualcosa in essa contenuta attesterà la sua
autenticità. E la veridicità delle mie azioni. -
fu la
risposta pacata della giovane mentre si inchinava all'indirizzo dei due
uomini.
Hijikata-san ne soppesò l'atteggiamento per
alcuni secondi,
decidendosi poi a leggere il messaggio, su cui scorse rapidamente gli
occhi fino a soffermarsi su una frase.
“Spero che il piccolo Heisuke mangi con
regolarità e
che sia per questo finalmente cresciuto. O forse, la lontananza di
Shinpa non ha giovato alla sua altezza?”
Il sorriso che increspò le labbra dell'uomo,
accompgnatao
da uno sbuffo divertito, costrinse Skiri a sollevare gli occhi su di
lui, mentre l'uomo più giovane gli strappava di mano la
lettera
iniziando a leggerla per poi pronunciare una sola parola.
- Baka!
Hijikata si riprese con un colpetto di tosse, mentre Heisuke
continuava a proferire improperi all'indirizzo di Harada.
- Stando a quanto scrive Harada-san tu sei un... medico... -
tornò a chiederle Hijikata dopo che il ragazzo
più
giovane si fu acquietato.
- Esattamente.
- E dimmi... come vi siete conosciuti tu e Harada?
- Hijikata-san, che domande fate? A dir poco ha provato ad
infilarsela nel futon...
- Non essere irrispettoso, Heisuke.
- Non importa, Hijikata-san. No, Toudo-san. Harada-san non
ha
fatto niente del genere: una mia cara amica è divenuta sua
compagna.
- Sano?! Ha messo la testa a posto?! Incredibile!!!
- Heisuke...
- Hijikata-san... dovete riconoscere
l'eccezionalità del fatto!
- Heisuke...
- Hijikata-san... il prossimo passo sarà vedere
Saitou impazzire per una femmina e Okita trasformarsi in monogamo...
- Heisuke...
- Shinpachi svilupperà un'allergia al bere ed al
gentilsesso e …
- Heisuke...
- … e voi amoreggerete... magari con una donna
dal carattere diametralmente opposto al vostro
- E tu ti troverai a parlare il linguaggio dei segni in
quanto le
troppe chiacchiere avranno fatto sì che ti
tagliassi la
lingua!!! - fu la tirata stizzita del moro, gli occhi viola che
sprizzavano lampi, le guance arrossate a causa anche del commento del
ragazzo circa una sua eventuale relazione particolare con una donna dal
carattere pacato e composto, esattamente come quella che gli stava
dinanzi in quel momento e che, sempre in quel momento, tratteneva a
stento le risate, nonostante il colorito acceso ne tradisse l'imbarazzo.
- Ahem... Skiri... posso chiamarvi per nome, vero? - si
interruppe
Hijikata, per poi riprendere a parlare dopo un cenno di assenso da
parte della donna.
- Skiri... dal momento che i medici non sono mai abbastanza
e che
soprattutto ne scarseggiano decisamente di fidati, voi resterete al
fianco di Heisuke e degli uomini a lui assegnati. Sapete usare un'arma?
- Katana e pistola. Ma la mia specialità sono le
armi da lancio: pugnali e shuriken.
Hijikata la osservò serio, lo sguardo violetto
impassibile, sebbene la risposta della giovane lo avesse sorpreso.
Sorpresa che non riuscì a dissimulare Heisuke.
- Armi da lancio?
- La mia è una famiglia di guaritori e guerrieri
da
generazioni: medici, samurai ed in un passato lontano anche ninja. Da
lì la mia passione per quel genere di armi. - fu la risposta
compassata di Skiri.
- Ottimo, ci sarete doppiamente utile. Prima che disponiamo
di voi, avete richieste da fare? - intervenne nuovamente Hijikata.
- Solo una. L'occorrente per poter tenere con me il mio
falco. E'
il mio amico più fidato ed i miei occhi prima di ogni
battaglia.
L'uomo la scrutò con attenzione, apprezzando la
fermezza
con cui aveva posto la richiesta, presentandola chiaramente come una
condizione sine qua non alla sua permanenza tra le loro file.
- E sia. In fin dei conti, i vostri occhi saranno al nostro
servizio – le rispose, accennando un sorriso.
- Vi ringrazio, Hijikata-san.
- Toshi.
- Heisuke. - si affrettò ad imitare il compagno.
- Solo se mi chiamerete semplicemente Skiri. E questo vale
per entrambi. - replicò la giovane con un sorriso pacato.
*****
Virginie era seduta in veranda, le gambe, coperte da uno
yukata,
lasciate a dondolare nel vuoto, lo sguardo fisso su Gin che si allenava
nell'uso del bastone con Harada.
- Ginny... cosa vi turba?
La ragazza si voltò verso Shinpachi, scrutandolo
sorpresa.
- Beh... è raro vedervi così
silenziosa ed assorta. - si giustificò l'uomo.
- State dicendo che sono rumorosa?
- Sto dicendo che questa sorta di apatia che vi caratterizza
da alcuni giorni è innaturale.
- Già... avete ragione – fu la risposta
malinconica della ragazza.
Shinpachi le si sedette a fianco, portando anche lui gli
occhi
sulla coppia che aveva trasformato un serio allenamento in uno
spettacolo fatto di sbeffeggi e scherzi.
- Li invidio.
L'uomo, sorpreso, posò gli occhi sulla giovane
europea che,
senza abbandonare le due figure che in quel momento si stavano
abbracciando, riprese a parlare.
- So di essere meschina, ma non riesco a farne a meno. So
cosa ha
passato Gin e so che non avrei mai avuto la sua forza per lasciarmi
tutto alle spalle e ricominciare come ha fatto lei con Sano. Ma non
riesco a fare a meno di invidiarla.
- Che cosa le invidiate? - le chiese Shinpachi, interessato
da quello strano quanto inaspettato sfogo.
- La possibilità di amare liberamente. Di poter
vivere il suo amore con la persona amata.
L'uomo al suo fianco si limitò ad osservarla in
silenzio, invitandola con lo sguardo a continuare.
E lei, dopo averne incrociato gli occhi per un lungo
istante, riprese a parlare.
- Anche in Giappone esistono i matrimoni combinati, per cui
sapete a cosa mi riferisco...
- Ma voi siete giovane...
- Sono in età da matrimonio... anzi, sarei
già vecchia. Specialmente per i canoni del vostro paese.
Vi fu un attimo di silenzio, spezzato dal sospiro di lei.
- Vi penserò quando tornerò dai miei
genitori – concluse Virginie, sorridendogli tristemente.
- Vi mancano?
- Soltanto mia madre. - fu la risposta dura della giovane.
- Con permesso – concluse Virginie, mettendo fine
alla
chiacchierata sollevandosi in piedi per ritirarsi nella propria stanza.
Non appena si chiuse lo shoji alle spalle, sentì
il peso
della sua situazione farsi insostenibile, arrivando a desiderare che
Shinpachi l'avesse lasciata morire per mano dei Rasetsu.
Fu un attimo. Un paio di occhi verdi le invase la testa,
mentre la
voce sensuale e scherzosa del loro proprietario le risuonava nelle
orecchie.
“Siete carina, Chibi-chan.”
- Se voglio cambiare le cose, devo prima cambiare me stessa.
- si
disse, aprendo nuovamente lo shoji e dirigendosi a passo di carica
verso il campo di allenamento, fermandosi in prossimità dei
due
che in quel momento stavano riponendo i bastoni.
- Ginny-chan? - la interrogò Sano.
- Devo chiedervi un favore, Gin...
- Ditemi, Ginny...
- Vorrei indossare abiti maschili, come i vostri.
La ragazza Oni la guardò sorridendole apertamente.
- Concedetemi il tempo di un bagno poi vi cercheremo
qualcosa.
******************************************************************************************************************************************************
Mi scuso per avervi fatto attendere. Il capitolo era pronto da tempo ma non mi soddisfaceva del tutto.
Dopo averlo fatto decantare, ho optato per tagliare ciò che a
mio avviso stonava: spero che il lavoro di forbici abbia dato frutti
positivi.
Spero a presto, Yuuki
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Capitolo 12 *** CAPITOLO 11 ***
Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO
11
La ragazza si
guardò attorno furtiva, fotografando con un solo colpo
d'occhio la situazione dinanzi a lei.
- Merda!
Quella parola pronunciata in tono secco e basso
la costrinse a nascondersi silenziosamente dietro l'angolo, mentre con
lo sguardo cercava la conferma ai propri timori: Hijikata.
- Heisuke, l'hai vista?
- No. E' sparita nel nulla.
Skiri realizzò in pochi istanti che se
fosse rimasta nascosta e quindi scoperta, Hijikata avrebbe trovato
conferma ai propri sospetti su di lei. E lo stesso dicasi qualora
avesse deciso di palesarsi, cogliendoli di sorpresa.
Restò a studiarne le mosse per alcuni
istanti, decidendo poi di aggirare l'edificio dietro cui si era
nascosta per arrivare davanti ai due Shinsengumi dalla direzione
opposta a quella in cui si trovava, come se si trovasse lì
per una passeggiata notturna. Anche se non era certa che Toshizo
Hijikata se la sarebbe bevuta.
Non appena si trovò a passare loro
davanti, la sorpresa di Heisuke fu evidente.
- Hijikata-san... - richiamò infatti
l'attenzione dell'altro con tono incerto.
Skiri si voltò verso il ragazzo,
sentendosi trafiggere dagli occhi violetti dell'altro.
- Heisuke... Toshi... buona serata –
esclamò allegramente, avvicinandosi al più
giovane dei due, mentre Toshi non accennava a smettere di fissarla.
- Che fate fuori a quest'ora, Skiri-chan? - fu la
domanda di Hijikata.
Le bastò guardarlo negli occhi per
capire che non se l'era bevuta.
- Non riuscivo a dormire – rispose
comunque, cercando di dissimulare il nervosismo in cui le occhiate
dell'uomo l'avevano gettata.
- E voi? - chiese sorridente ai due uomini.
- Sono di ronda – fu la risposta di
Heisuke.
- Troppi pensieri – disse l'altro,
scrutandola ancora – Sono venuto a cercarvi nelle vostre
stanze e non avendovi trovata mi sono preoccupato per voi –
concluse la frase con tono monocorde.
Skiri comprese allora che Toshi non aveva
esternato i propri sospetti ad Heisuke.
- Rientriamo? - le chiese il moro,
avvicinandolesi e posandole una mano sulla spalla, stringendola
lievemente.
Il messaggio era chiaro: “seguimi e
niente storie”.
Skiri gli sorrise con le sole labbra, gli occhi
inespressivi.
- A domani, Heisuke-kun...
- A domani, Skiri-chan – rispose il
giovane, guardando i due con aria interrogativa.
Il ritorno al quartier generale iniziò
silenzioso, con la mano dell'uomo lievemente posata sulla vita della
ragazza, anche stavolta in un muto messaggio.
- Non ho intenzione di scappare, Hijikata-san
- Toshi – la corresse lui
automaticamente, abbassando lo sguardo su di lei, che continuava a
guardare dritto dinanzi a sé – mi pareva fossimo
d'accordo.
- Credevo che le cose fossero cambiate, dopo
stasera.
Toshi l'afferrò per un braccio,
fermandosi bruscamente e costringendola a fare altrettanto.
- Cosa ti aspettavi? Che dopo aver scoperto che
indaghi su Sannan-san ti lasciassi continuare nelle tue assurde uscite
notturne?
Skiri lo guardò incredula.
- Come...?
- E' stato un caso. - le rispose mostrandole un
biglietto su cui erano annotate date e luoghi.
- Come?
- Mi è bastato fare due più
due. Sono i suoi spostamenti negli ultimi mesi. E sembri saperne molto
più di me. Come è possibile tutto ciò?
Skiri si limitò a sondarne lo sguardo
per un attimo, abbassando poi la testa sotto il peso del rimprovero che
leggeva in quegli occhi violetti. Erano bastati 10 giorni per
instaurare tra di loro un rapporto di fiducia, quasi di amicizia.
Avevano lavorato gomito a gomito, erano usciti insieme durante le
ronde. Si erano persino ubriacati assieme. Ma lei non avrebbe mai
potuto rivelargli il segreto per cui era lì, lo stesso per
cui teneva d'occhio Sannan-san.
- Skiri, dannazione! - le urlò contro,
strattonandola e costringendola con una mano a sollevare gli occhi su
di lui.
La ragazza prese un sospiro, preparandosi a
rispondere.
- Una volta al quartier generale ti
spiegherò tutto, Toshi, te lo prometto. Fidati di me.
- E' proprio per questo che voglio sapere.
Perché mi fido di te. Ma mi fido anche di Sannan-san e... -
fu la risposta dell'uomo, gli occhi attraversati da qualcosa di strano,
disperazione, forse, mentre con il pollice le carezzava la guancia.
- E questo è il motivo per cui sto
indagando su di lui. Ti dirò tutto appena arrivati.
Ci fu un momento in cui Skiri, sorpresa, lo vide
abbassare gli occhi sulle sue labbra, per poi avvicinare lentamente la
testa alla sua.
- T...Toshi?! - sospirò incredula, la
voce ridotta ad un soffio, spezzato dall'aspettativa.
L'uomo si immobilizzò con le proprie
labbra talmente vicine a quelle di lei tanto che la giovane poteva
assaggiarne il respiro caldo.
Poi tutto finì come era iniziato:
improvviso.
- Scusami. Ti ho mancato di rispetto. Perdonami.
Non accadrà mai più - le disse allontanandosi da
lei bruscamente, una mano a massaggiarsi la fronte.
Skiri si sentì abbandonata.
- Andiamo – le ordinò,
superandola e lasciando che lo seguisse in silenzio, mentre lei, con le
braccia attorno al corpo cercava di scacciare quella sensazione di gelo
che l'aveva avvolta.
Quando arrivarono alla base, Toshi si diresse
silenziosamente nelle stanze di Skiri, precedendola.
La ragazza continuò ad osservarne le
spalle ampie, lo sguardo fisso sulle pieghe che prendeva la giacca
sulla sua schiena ad ogni suo passo. Era bello, Toshi. Di una bellezza
fine e maschia al contempo. Il volto aveva sempre un'espressione tesa e
gli occhi, di un incredibile sfumatura violetta, erano sempre
inespressivi. Tranne quando si posavano con affetto sui suoi uomini. E
su Chizuru.
Skiri invidiava le attenzioni che il bel Hijikata
riservava alla ragazza. Si passò una mano sul volto,
stancamente, cercando di scacciare il senso di fastidio che quella
consapevolezza le accendeva in corpo ogni volta che si trovava sola con
l'uomo per cui, ed ormai vi sie era rassegnata, aveva inevitabilmente
iniziato a provare qualcosa.
Era ancora persa nei propri pensieri che non
notò Toshi fermarsi all'improvviso, andando così
a sbattere contro la sua schiena.
- Scusami.... ero distratta.
Non poteva rivelargli che, in quella assurda
situazione in cui si trovavano, lei si perdeva a ripensare al quasi
bacio di pochi minuti prima.
- Colpa mia: non avrei dovuto cercare di baciarti
– le rispose distaccato, come se parlasse del clima.
Skiri si bloccò sul posto,
osservandolo incredula.
Cazzo! Perfetto!
- Adesso, però, vedi di dimenticare
tutto e riprenderti: mi devi delle spiegazioni. E che siano convincenti.
Fanculo, stronzo!
L'uomo le afferrò delicatamente un
polso, attirandola dentro la sue stessa camera da letto, per poi
chiudere lo shoji alle loro spalle.
- Adesso parla: ti ascolto.
Skiri lo guardò negli occhi, cercando
di ignorare disperatamente il calore di quelle dita attorno al suo
braccio.
Inutilmente.
- Potremmo andare nel salone, Toshi? - chiese
speranzosa: la sua stanza non le era mai sembrata così
piccola.
L'uomo la scrutò con attenzione,
inclinando lievemente la testa di lato, senza lasciar trasparire niente.
- Mi pare di averti detto che non
accadrà più.
- Già... ma non è
conveniente per un uomo del tuo rango intrattenersi nelle stanze di una
donna. - improvvisò.
- Prima di essere donna sei un mio soldato. - fu
la risposta atona dell'uomo.
- Però, quando parli con Heisuke non
mi sembra tu lo tenga per mano – borbotto lei, contrariata
dalla sua risposta ed in imbarazzo per la presa delle dita di Hijikata,
intrecciate alle sue.
L'uomo continuò a studiarla in
silenzio per alcuni secondi, senza mollare la presa, mentre un sorriso
sghembo andava ad increspare le labbra, tirate fino a pochi attimi
prima.
- Ho forse frainteso i tuoi desideri? - le chiese
sornione, gli occhi ridotti a due fessure, mentre, serrata la presa, se
la attirava al petto, lasciandola sbalordita.
- Credevo di aver capito che volessi evitare il
ripetersi di quanto è accaduto prima... evidentemente sei
contrariata perché mi sono fermato.
Solo quando la vide arrossire realizzò
ciò che stava facendo e dicendo, dandosi dello stupido.
La verità era che quella donna gli era
entrata nel sangue: la sua bellezza delicata, i lineamenti fini e gli
occhi color muschio sempre sorridenti nascondevano una forza di
carattere ed una pericolosità incredibili.
Ed adorava vederla arrossire. Gli occhi le si
dilatavano, divenendo ancor più lucidi, accesi da strane
sfumature dorate; le guance le si imporporavano delicatamente; il suo
profumo diveniva più forte e sensuale, eccitandolo.
- Non credo a Chizuru farebbe piacere sapere che
ci troviamo qui, da soli... - gli disse lei, riportandolo con
i piedi per terra.
Merda!
Voleva baciarla. Moriva dalla voglia di farlo. Da
quella dannata ultima sera in cui si erano ubriacati e l'aveva vista
senza giacca, la camicia di cotone bianca a fasciarle il petto e con un
paio di bottoni slacciati, tanto da mostrargli la curva generosa del
seno.
- Tra me e Chizuru non c'è niente. -
le disse, infilandole tra i capelli la mano che non stringeva quella di
lei, in cerca del nastro che li teneva legati, per poi scioglierlo una
volta trovato.
Skiri si sentiva annegare in quegli occhi viola,
smossi da un qualcosa che non vi aveva mai visto.
- Da... da come la... la guardi... non... non si
direbbe – balbetto, mentre le dita affusolate dell'uomo le
afferravano delicatamente i capelli sulla nuca, costringendola a
piegare la testa all'indietro.
- E come la guarderei? - le chiese, la voce
bassa, lievemente roca.
- Come... con affetto... - rispose in un sussurro.
- Non come sto guardando te adesso? - le chiese,
sprofondando il naso nel collo della giovane.
Skiri sussultò sorpresa dall'audacia
di Toshi.
- N...no... come... come i tuoi... Heisuke
– furono le sole parole che la ragazza riuscì a
mettere assieme.
- Mh... quindi dal momento che non ho mire
romantiche su Heisuke... - si interruppe per baciarle la pelle tesa
sotto l'orecchio – e che riservo a Chizuru lo stesso
trattamento che riservo a lui...- si interruppe ancora, altro bacio,
stavolta alla gola – mi pare evidente che tra me e Chizuru
non ci sia niente.
Bacio sulla mandibola.
Skiri aveva compreso da tempo che non sarebbe
stata in grado di reagire. Neanche lo voleva.
Sollevò la mano libera posandola sul
petto dell'uomo, mentre con un sospiro si lasciava andare contro il suo
corpo.
- E poi non ho mai desiderato baciarla. Invece,
se non bacio te, sento che potrei impazzire... - le disse, senza
smettere si sfiorarle il volto con le labbra.
- Toshi...- sospirò lei.
- Posso? - le chiese a fior di labbra, gli occhi
violetti sprofondati in quelli verde muschio, che in risposta si
chiusero.
Sapevano entrambi che con ogni
probabilità il giorno dopo si sarebbero pentiti di
ciò che sarebbe avvenuto tra loro di lì a breve,
ma in quel momento nessuno dei due ebbe la forza per allontanarsi
dall'altro. C'erano troppe cosa in sospeso, troppi segreti taciuti.
Ma quel bacio era diventato vitale, come l'aria
per respirare.
E respirarono l'una dell'altro.
Quando l'uomo le sfilò la giacca, lei
lo aiutò a fare altrettanto.
Quando la ragazza iniziò a
sbottonargli la camicia, lui l'aiutò a toglierla.
Senza mai smettere di baciarsi.
Si ritrovarono sdraiati sul tatami, avvinghiati
come due amanti.
Quando le dita fredde di lui le sfiorarono il
seno con il chiaro intento di liberarlo dalla costrizione della
camicia, Skiri riacquistò un minimo di lucidità.
- Toshi... Sannan-san...
- Domani, Skiri. Domani. - le rispose,
riprendendo a baciarla e facendo volare la camicia di lei dietro le sue
spalle.
E non ci fu più posto per le parole,
ma solo gemiti e sospiri.
***********************************************************
Stavano arrivando alla
tempio e fu con un sospiro che Souji si trovò a pensare per
l'ennesima volta alla giovane europea.
Aveva trascorso il viaggio di ritorno assistendo
divertito ai continui battibecchi fra Saitou e Reiseki, battibecchi dai
toni sempre più accesi ma di una comicità unica:
vedere l'impassibile ronin stuzzicare la giovane Oni, la quale gli
rispondeva per le rime, riuscendo a tenergli testa come solo
Hijikata-san sapeva fare, era uno spettacolo più unico che
raro. Ma ciò che lo divertita maggiormente era l'evidente
tensione sessuale che traspariva da ogni loro atteggiamento. Salito-san
aveva sempre vantato un discreto successo con le donne, a cui
però era interessato solo come valvola di sfogo, limitandosi
a frequentare quelle che dell'amore facevano il proprio lavoro: era
solito ripetere di non aver ancora trovato la femmina che lo stimolasse
mentalmente, pertanto per il momento si limitava alla compagnia a
pagamento.
Souji tornò ad osservare le spalle del
compagno d'armi, scuotendo il capo nel sentirlo provocare nuovamente la
ragazza, da cui ricevette l'ennesima risposta al vetriolo. Saitou non
lo aveva ancora compreso, ma Reiseki era quella femmina che stava
cercando, la sola in grado di accendere e smuovere quegli occhi sempre
freddi ed impassibili. Reiseki era lo stimolo di Saito.
Per un momento si ritrovò ad invidiare
il compagno, esattamente come gli era già accaduto con Sano:
Harada-san aveva Gin, Saito-san, sebbene sembrasse non saperlo, aveva
Reiseki...e lui?
Due caldi occhi marroni tornarono a tormentarlo.
Io?
Chibi-chan?
Si dette dello stupido. Gli mancavano i loro
continui battibeccarsi, non lei.
Bugiardo. Se così fosse, non
smanieresti per rivederla.
Nel frattempo, Ginny osservava il proprio
riflesso sulle acque del fiume, chiedendosi come avesse mai potuto
pensare di riuscire a cambiare sé stessa ed il proprio
destino, tornando a darsi della stupida.
Che idiota a credere che un paio di calzoni
potessero renderla diversa agli occhi degli altri così come
ai suoi.
Era solo ridicola.
Non aveva la forza di Gin. Non l'avrebbe mai
avuta.
E quella lettera, arrivatale miracolosamente da
suo padre, glielo aveva ricordato con violenza.
Chiuse gli occhi cercando di scacciare il senso
di impotenza che le stava attanagliando lo stomaco, provocandole una
nausea fortissima.
Il bisogno di rimettere la costrinse a piegarsi
su sé stessa, mentre i conati le squassavano l'addome.
Fu così che la trovò
Shinpachi, andato a cercarla per annunciarle l'arrivo di Souji, Saitou
e Raiseki.
- Ginny, state bene? - le chiese dolcemente,
posandole una mano sulla spalla, facendola sussultare.
Gli rispose affermativamente, con un lieve cenno
del capo, certa che se avesse aperto la bocca sarebbe scoppiata in
lacrime.
- Ginny...?
- Non è niente. Veramente.
L'uomo non si lasciò convincere, ma
finse di crederle, cambiando discorso.
- Souji è rientrato con gli altri.
Ginny si irrigidì sul posto, evitando
lo sguardo dell'uomo.
- Ginny... siete certa...?
- Andate avanti... io... arrivo subito...
Shinpachi abbassò lo sguardo sulle
mani della giovane, strette in maniera convulsa attorno ad una lettera.
E fu certo che si trattasse di quella inviatale dal padre.
Si chiese cosa le avesse scritto di tanto grave
da renderla strana in quel modo.
Ma non fece domande, limitandosi ad alzarsi per
andarsene.
- Fate presto. Souji ha chiesto di voi. - le
disse ormai di spalle, costringendosi a non voltarsi quando la
sentì mormorare una frase sibillina.
- Come se potesse significare qualcosa. Come se
potesse cambiare qualcosa...
Souji, intanto, cercava la ragazza da quando era
arrivato al tempio. Non sapeva bene il perché, ma voleva
vederla in tutti i modi, il prima possibile.
Quando la vide avanzare verso di sé,
mentre rientrava dal fiume, passargli accanto come se niente fosse,
degnandolo di un debole ed anonimo saluto, si sentì ferito
da tanta indifferenza. Ma si rese conto subito che il tutto era dovuto
a qualcosa che non andava.
Era priva della solita vitalità che
l'accompagnava in ogni suo gesto, quasi apatica.
- Ehi, Chibi-chan, è così
che si saluta? - le chiese con fare strafottente con il chiaro intento
di suscitare una qualche reazione.
- Vi chiedo scusa, Okita-san... ma non sono
dell'umore – gli disse con tono spento, guardandolo,
sì, ma evitando accuratamente di incrociarne lo sguardo, e
continuando per la sua strada.
- Souji, sempre più preoccupato, la
seguì a ruota, imbattendosi in Gin, che gli
annunciò che entro un'ora avrebbero servito la cena.
Il ragazzo decise quindi di abbandonare
l'inseguimento e di andare a darsi una lavata alle terme.
Avrebbe parlato con Ginny dopo cena.
***********************************************************
Quando un'ora più tardi Saitou
entrò in sala da pranzo si fermò stupito dinanzi
a Reiseki, di cui riuscì a scoprire l'improbabile colore dei
capelli: lasciati sciolti, lunghi fino alle anche, di un incredibile
colore azzurro, davano ancor più risalto agli occhi gialli.
- Che c'è? Non siete ancora avvezzo
alle particolarità di noi Oni, umano? - gli chiese la
ragazza, sogghignando.
Saitou continuò ad osservarla in
silenzio, per poi avvicinarlesi e prendere tra le dita una ciocca di
capelli lucidi e morbidi come la seta.
- Sei bellissima, gattina. - le disse senza mai
abbandonarne gli occhi, mentre si portava i capelli al volto,
sfiorandoli con le labbra.
Reiseki arrossì improvvisamente,
facendolo sorridere dolcemente.
- Siete più umana di quanto vogliate
ammettere, Reiseki – le disse.
La reazione della ragazza lo colse di sorpresa:
si allontanò bruscamente, senza rispondere alla sua
provocazione, gli occhi improvvisamente spenti ed i lineamenti tirati.
- Ma cosa...?
- Con permesso. - lo interruppe, prendendo posto
a terra, tra la seduta di Gin e quella di Kazama, ignorandolo
bellamente.
Saitou continuò a guardarla per pochi
istanti ancora, poi si decise a sedersi accanto ad Okita, entrando
pochi attimi prima, seguito a ruota da tutti gli altri.
Lo sguardo di Saitou fu catturato dalla giovane
che aveva fatto il suo ingresso abbracciata ad Harada e comprese
immediatamente come il compagno potesse essersi innamorato di lei. Ed
il fatto che fosse ricambiato era palesato dai sorrisi che la ragazza
gli rivolgeva.
Pochi istanti dopo si trovò a guardare
stupito Souji che, stranamente silenzioso, non toglieva gli occhi dalla
ragazza europea seduta al suo fianco, la quale sembrava persa in un
mondo tutto suo.
E bravo Okita!
Aveva già avuto modo di scambiare due
chiacchiere con Shiranui e Amagiri, e sapeva che Kazama si sarebbe
unito a loro, ma quando lo vide entrare non poté reprimere
una sensazione di fastidio.
- Salito-san
- Kazama-san
L'aria si fece elettrica quando l'Oni
portò gli occhi sull'europea, Ginny, senza che questa se ne
rendesse conto. Ma non fu così per Souji.
- Non osare, Kazama.
- Tranquillo, non te la tocco – gli
sorrise sghembo il biondo, sedendosi.
Gin prese prontamente la parola.
- Kaz, piantala. Salito-san, prima mangiamo, poi
vi spiegherò tutto.
- Chiamatemi semplicemente Saitou. - le disse,
portandosi poi da bere alle labbra nel tentativo di nascondere il
sorriso dovuto alla reazione di Kazama, che si era prontamente calmato.
Si chiese se le donne Oni fossero tutte come Gin
e Reiseki: belle e risolute.
Il pasto si volse in un clima strano, fatto di
scambi di sguardi e silenzi.
Una volta terminata la cena, come promesso Gin
mise Saitou al corrente di tutto.
L'uomo continuò ad indossare la
maschera di impassibilità fino alla fatidica domanda.
Accettate?
- Va contro i miei principi.
- Che intendi, Saitou? - chiese Shinpachi.
L'altro guardò uno per uno i presenti,
per poi fissare gli occhi in quelli di Gin.
- Non è mia intenzione offenderti,
Gin. Ma sono nato umano ed intendo morire come tale. Mi sono sempre
detto contrario ad assumere l'Ochimizu: non volevo trasformarmi in
mostro. E, chiedo scusa a tutti voi, ma il divenire un mezzo-Oni o
Oni-imperfetto, qualunque sia il nome che gli date, non cambia le cose:
sempre mostro è. Non esiste in natura ed io non lo
accetto.
Uno scatto improvviso alla mia destra
attirò la mia attenzione: Reiseki si era alzata in piedi e,
dopo aver mormorato un flebile “scusate”, aveva
infilato lo shoji, abbandonando la stanza.
- Reiseki, aspetta!!! - le grido dietro Gin,
alzandosi a sua volta per inseguirla.
- Saitou, non hai mai brillato in tatto, ma
stavolta hai esagerato. - furono le parole di Harada, accompagnate da
un sospiro, mentre l'altro sentiva lo sguardo di Shiranui trapassarlo
da parte a parte.
- Non capisco.
Fu Kazama ad intervenire, ghignando.
- Reiseki è un mezzo Oni per nascita:
suo padre è uno di noi, sua madre era umana.
- Merda! - esclamò allora Saitou,
alzandosi con un balzo ed inseguendo le due donne fuori dalla stanza.
Calò il silenzio, spezzato dalla voce
di Kazama.
- L'ho sempre detto che avrebbero portato solo
guai.
- Kaz, piantala – gli disse Amagiri.
Il biondo lo ignorò bellamente,
riportando la sua attenzione sull'umana presente nella sala.
- E tu, umana? Hai niente da dire?
- Kazama... - fu la velata minaccia di Souji.
- Ehi, non scaldarti Okita, non ne vale la pena
è solo una donnetta insignificante e piagnucolona. L'unica
cosa di valore che ha è il suo sangue – concluse
leccandosi le labbra.
- Sta lontano da lei – gli
sibilò contro Okita, mentre Ginny realizzava la situazione
che le si stava creando attorno.
- Calmatevi – intervennero Harada e
Shiranui.
- Prova a fermarmi, ronin – lo
provocò Kazama, per svanire nel nulla e ricomparire alle
spalle di Ginny, pronto a morderla.
Ma tra il collo della ragazza ed il suo era
spuntata la lama della katana di Okita, pronto a decapitarlo.
- Ti ho detto di lasciarla in pace –
gli sibilò contro, strattonando la ragazza, sollevandola di
peso e portandola alle sue spalle.
Ginny si trovò a stringere la camicia
di Souji tra le dita, il corpo appiattito contro la schiena dell'uomo.
Kazama, con un movimento improvviso, estrasse la
katana, deciso a staccare di netto la testa del suo avversario che, con
un movimento rapido si spostò all'indietro, portando con
sé Ginny.
Solo l'intervento di Amagiri impedì ai
due di portare avanti lo scontro.
Una volta che Kazama si fu allontanato, Souji si
voltò verso Ginny per controllare come stesse e se la
ritrovò attaccata al collo, tremante.
- Ehi, Chibi-chan, tutto bene?
Ginny si limitò a fare un cenno con la
testa, senza staccarsi da lui, rafforzando anzi la stretta attorno ai
suoi fianchi e sprofondandogli il volto nel torace.
- Capito. Venite. - le disse dolcemente,
trascinandola nella propria stanza.
Non appena si richiuse lo shoji alle spalle,
Souji le si rivolse pacatamente.
- State bene?
- Sì- gli rispose, sollevando gli
occhi sul volto dell'uomo.
- Ma voi... sanguinate!- esclamò
allora, portandogli una mano alla guancia sinistra, dove un graffio
sottile si stava già sanando.
- Non è niente.
- Va disinfettato.
- Vi dico che...
- Per una volta... almeno una volta...
accontentatemi.
Lui la scrutò per un attimo con
espressione seria, poi si sciolse in un sorriso.
- E sia.
Pochi istanti e Ginny era già pronta a
medicargli la ferita, ormai delle dimensioni di un graffio.
- Brucerà un po'...
- Ehi! - esclamò Souji, tirandosi
indietro nel tentativo di evitare il disinfettante.
- Non fate il bambino – gli rispose
lei, riprendendo a medicarlo.
Souji si trovò a trattenere il respiro
quando la vide avvicinare il volto al suo, le labbra lievemente
arricciare per soffiare sopra la ferita e ridurre il bruciore.
Ginny sollevò gli occhi sul volto
dell'uomo, restando intrappolata in quelle meravigliose pozze verde
foglia. Souji si spostò verso di lei con il chiaro intento
di baciarla. E per un momento Ginny prese in considerazione l'idea di
assecondarlo. Ma il ricordo di quella dannata lettera la
riportò bruscamente alla realtà.
Si scostò di scatto, tirandosi
indietro e balzando in piedi come una molla, per poi dirigersi verso il
mobile basso, su cui prese a sistemare l'occorrente per la medicazione.
- Finito. Adesso vado.
Souji ne fissava la schiena sbattendo le
palpebre, stordito dal repentino cambiamento di umore.
Quando la vide tremare, la testa incassata nelle
spalle, si alzò silenziosamente, andando a mettersi alle sue
spalle.
- Se è quello che volete, non
oserò mai più provare a baciarvi ma adesso voglio
sapere cosa avete. E' da quando sono arrivato che vi vedo strana.
- Niente – rispose lei con un filo di
voce.
- Niente... allora dov'è il vostro
spirito? Che fine ha fatto? Quando sono partito eravate un tripudio di
vitalità. Adesso siete smorta.
Ginny lo ignorò bellamente, fissando
gli occhi sul tavolinetto alla sua destra, su cui la katana dell'uomo
faceva bella mostra.
- Sto aspettando...
- Fa... male...?
- Cosa? - le chiese Souji, dopo un attimo di
smarrimento.
- Morire...
- Che diavolo state dicendo? - le chiese l'uomo
allarmato, afferrandola per le spalle e costringendola a voltarsi verso
di lui.
- Forse fa meno male che non morire dentro a poco
a poco... - mormorò lei mentre gli occhi le si riempivano di
lacrime.
- Cosa state farneticando? - le sibilò
in volto, mentre le affondava le dita nelle spalle, cercandone gli
occhi, che ostinatamente lo sfuggivano.
- Devo tornare a casa.
- E questo che c'entra con il morire?
Ginny sollevò la testa a guardarlo,
sorridendogli tristemente, per poi portare le proprie mani sul petto
dell'uomo e scostarlo da sé con dolcezza.
- Grazie, Okita-san. Di tutto.
Souji la lasciò andare, troppo stupito
per reagire. Ne osservò la schiena dritta, immobile,
nonostante le lacrime ne bagnassero il volto.
- Chibi-chan?
Non ottenne risposta e la guardò
uscire e richiudersi lo shoji alle spalle.
Okita rimase nella stanza, smarrito, frastornato
dall'atteggiamento della giovane, fino a che gli occhi non incapparono
nel foglio bianco dinanzi ai suoi piedi.
Si chinò a prenderlo e quando vi vide
scritto il nome della giovane europea pensò di
restituirglielo. Ma qualcosa lo spinse a leggere.
Era del padre di lei, stranamente scritto in
giapponese; forse per evitare accuse di tradimento e/o cospirazione.
Quando arrivò alla fine della lettera,
comprese: l'atteggiamento di lei, la sua domanda sul morire dentro, le
lacrime.
Accartocciò la lettera nel pugno,
correndo fuori dalla stanza come se avesse il diavolo alle calcagna, in
cerca della giovane, trovandola poco dopo, nella sua stanza.
- Okita-san?
- E' per questa, vero? - l'aggredì,
mostrandole la lettera.
- Io...
- Da quanto... da quanto lo sapevate?
- Da sempre, forse. E' stato così
anche per mia madre. Ma forse... forse speravo che per me fosse
diverso. Invece... - si portò le mani al volto, cercando di
nascondere le lacrime all'uomo, incapace di sostenerne lo sguardo
verde, adombrato.
Quando Souji la prese tra le braccia,
stringendosela contro, Ginny scoppiò in lacrime, cercando di
soffocare i singhiozzi contro il suo torace.
- Non sappiamo come andrà la guerra...
forse non potrete più tornare a casa.
- Il fatto è che non voglio tornarci.
Voglio restare qui.
- Ginny...
- Non... non voglio sposarmi con un uomo che non
amo, che potrebbe essermi nonno. Voglio stare qui. Voglio stare qui,
con te.
Souji, colpito da quelle parole, serrò
la stretta, cercando il modo migliore per dirle che non poteva, che la
sua vita era altrove.
Aprì bocca per farlo, ma non vi
riuscì. Non fu in grado di mentire: non a lei, non a
sé stesso.
Ne inspirò il profumo dei capelli,
infilandovi una mano, alla base della nuca, cercando nuovamente il
coraggio per farlo.
Ma le parole che uscirono dalle sue labbra furono
altre.
- Non posso prometterti niente. Sono un soldato.
Non sono neanche più umano. Ho un pessimo carattere: sono
strafottente, arrogante e sarcastico. Sono privo di scrupoli. Non posso
garantirti che cambierò: ti mentirei. Ma sei vuoi stare qui
con noi... con me.... non tornare indietro. Resta.
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