Capitolo 3
L’odore del sangue
Acqua.
Il rumore dell’acqua che
scorre velocemente. Era un rumore continuo, come il brontolare di un grosso
animale che, nel sonno, sogna qualcosa che lo infastidisce.
Sentiva il suo scorrere
incessante, proprio sopra la sua testa.
La grotta di roccia bianca,
testimonianza dell’onnipresente presenza dell’acqua, era uno stretto e lungo
cunicolo che seguiva il letto di un torrente montano.
L’acqua correva sopra il
soffitto della grotta e la rendeva un luogo umido e gelido, freddo come un
inverno e bagnato come un prato estivo dopo una forte pioggia.
Lì, seduto a terra, lui
ascoltava.
Non solo il rumore
dell’acqua, anche i suoni che provenivano dall’esterno, dal mondo. Il sibilo
minaccioso del vento, il grido senza pace dei falchi, il camminare lento e
stanco dei monaci erranti che percorrevano la valle in pellegrinaggio.
Giù, oltre le pendici della
montagna sacra, nella pianura che toccava anche il mare, udiva indistinto il
brulicare frenetico e laborioso della città dove risiedevano gli imperatori
umani.
Appoggiò la testa alla
parete di roccia e aprì lentamente gli occhi. Ambra rossa e intensa, come un
tizzone di fuoco che ancora lottava per rimanere vivo.
Occhi pieni di fuoco che
sarebbero stati in grado ardere il mondo e avvolgerlo nel suo dolore e nella sua
sete di vendetta.
I lunghi capelli neri
scivolavano oltre le spalle, fino a metà schiena, imprigionati in una stretta
fasciatura che li racchiudeva dalle spalle fino a pochi centimetri dalle punte.
Un nastro rosso come il
sangue.
La casacca del kimono
maschile era azzurra come il cielo terso dell’estate mentre il resto del suo
abbigliamento ricordava gli indumenti del continente, stretti pantaloni bianchi
e bassi calzari a punta. Anche la sua armatura proveniva dal continente e alla
cintola, portava due lunghe katane.
Il suo viso era giovane ma
i suoi occhi lasciavano trapelare la maturità della sua età. Sulle gote, due
strisce scarlatte e sulla fronte, una luna crescente.
L’elegante figura si alzò,
avvicinandosi alla parete che costituiva il fondo della grotta. Udiva un rumore
di passi, in direzione opposta. Qualcuno si stava pesantemente avvicinando a
quel luogo.
Il suo fiuto gli permise di
riconoscere subito chi era l’intruso.
“Kumagi, non porti con te
ciò che ti avevo chiesto.” proruppe senza voltarsi. La sua voce profonda riempì
di echi la camera, risuonando lungo tutto il corridoio della grotta.
Da dietro l’angolo, un
enorme demone orso avanzò, inginocchiandosi con rispetto al suo cospetto.
“Sono mortificato, nobile
Nenbou ma a quanto pare recuperare la spada non è così semplice come avevate
predetto.” proferì con la voce pesante il demone orso.
Aveva l’aspetto di un
grosso orso bruno ma era vestito come un guerriero umano, con un’armatura rossa
e diverse spade allacciate a essa.
Non era un demone maggiore
ma apparteneva al clan Yū dei grandi Orsi del Nord ed era un guerriero
formidabile, conosciuto e temuto nella stirpe demoniaca delle regioni più a
nord.
Il demone orso alzò la
testa per guardare il suo padrone.
Nenbou sì girò a guardarlo
e gli si avvicinò con passo lento. Non emetteva rumore, quando camminava come se
non avesse peso.
“La ragazza è un’umana,
com’è stato possibile non sottrarle una spada demoniaca?” domandò facendogli
cenno di alzarsi.
Kumagi si rimise in piedi e
i suoi movimenti fecero tremare le pozze d’acqua sul pavimento.
“Sembra che la spada
reagisca a ogni tentativo di prenderla con la forza.” cominciò.
“In più, ho potuto scorgere
qualcuno che non avrei mai pensato di poter incontrare, in un villaggio umano.”
aggiunse con un ghigno.
Nenbou lo guardò,
incuriosito.
“Di chi parli, Kumagi?”
Il grosso demone orso fece
una risata e appoggiò una mano sull’elsa di una delle sue sei spade.
“Non solo la spada è
protetta da un mezzo-demone che puzza di cane ma a dare il colpo di grazia al
sicario che avevo mandato, è stato il cucciolo di InuTaishō!”
Nenbou sorrise e scosse la
testa, incredulo.
“Sesshomaru, è il suo nome
e se quel han’yō era un cane, deve trattarsi sicuramente del figlio bastardo di
Tōga. Due amorevoli fratelli, invero.”
“A dire il vero, mio
signore, non credo che fra i due scorra buon sangue, però potrebbe essere un
problema doverli affrontare subito.”
Nenbou annuì e incrociò le braccia al petto.
“I figli di quel maledetto
potrebbero ostacolare i miei piani, senza volerlo. Mi chiedo cosa spinga
Sesshomaru a intrattenersi con degli umani, conoscendo l’avversione che il suo
clan ha sempre avuto per quella debole razza.”
Kumagi annuì gravemente e fece due passi verso il Nenbou.
“Mio signore, ho sognato
per secoli di potermi scontrare con Sesshomaru. Vi scongiuro, concedetemi
l’onore di poterlo uccidere!” ruggì con eccitazione il demone orso mentre
l’altro rimuginava sul da farsi.
“Potrai combattere con
Sesshomaru a tempo debito, ora è più importante recuperare la spada prima che
sia troppo tardi.” Nenbou gli diede le spalle e tornò verso il fondo della
grotta.
Tese una mano verso la
parete e una luce violacea cominciò a scaturire da un punto, nella roccia.
Dopo qualche istante, la
luce si fece più intensa e dalla parete fuoriuscì una pietra, grande come un
pugno chiuso, di un colore simile all’ametista.
Sprigionava una forte aura
demoniaca ed era così tetra e cupa che Kumagi si sentì rabbrividire come un
cucciolo spaventato.
Nenbou sorrise e prese fra
le mani la pietra che cominciò a pulsare con violenza.
“Fra tre giorni la luna
arriverà al suo primo quarto.” iniziò, parlando con calma. “Allora sarà troppo
tardi per prendere la spada, poiché l’incantesimo sulla ragazza si spezzerà.
Questa è la nostra unica occasione per entrarne in possesso, poiché se riuscisse
a tornare in possesso del Tempio, sarebbe praticamente impossibile prenderla.”
Nenbou strinse la presa
sulla pietra che sembrava pulsare come un cuore umano.
“Richiamerò per te, dal sud,
i demoni del cotone. Portali con te e sottrai la spada a quella ragazza prima
che scada il tempo, sono stato chiaro? E’ di vitale importanza che tu la porti
qui senza farti scoprire.”
Kumagi s’inchinò di nuovo e uscì lentamente dalla grotta.
Nenbou attese di non udire
più i suoi passi per guardare la pietra che teneva in mano. Al suo interno, si
percepiva il rumore del vento che lambiva l’Oltretomba e i gemiti senza fine di
miriadi d’anime.
“Fa attenzione, Kumagi, per
entrare in possesso di questa pietra ho dovuto stravolgere l’intero ordine del
mondo. Ci sono antichi pericoli pronti a risvegliare il loro altrettanto antico potere.”
Con un gesto lento della
mano, Nenbou lasciò cadere a terra il cristallo, rompendolo in mille pezzi.
Improvvisamente, dai frammenti del cristallo si alzò un terribile vento
demoniaco che si cominciò a vorticare con una forza spaventosa.
Il soffitto della grotta si
spezzò e l’acqua che scorreva sopra di esso si riversò con violenza nella
grotta, cercando una nuova strada verso la valle.
Nenbou si appoggiò alla
parete dietro le sue spalle e ammirò con attenzione il suo capolavoro. Nel
vento, si udivano miriadi di grida e voci e centinaia di piccole luci
vorticavano senza tregua.
“Andate! Andate e
ricongiungetevi a questo mondo! Tornate a vivere e gettate il mondo nel caos!”
urlò con forza, con un sorriso inquietante sulle labbra.
Il piccolo tornado violaceo
esplose, spezzando la cascata dell’acqua e tutte le luci che erano contenute nel
vortice si diressero fuori, percorrendo il cunicolo della grotta e schizzarono
fuori dalla montagna, in direzioni diverse.
Nenbou sorrise, soddisfatto
e allungò una mano davanti a sé, richiamando tutti i frammenti del cristallo
ancora ai suoi piedi. Questi si riunirono nella sua mano, riformando il
cristallo che però appariva vuoto e senza bagliore.
Il demone lo ripose
all’interno della roccia e sigillò quel luogo con la sua aura demoniaca.
Camminò sul pelo dell’acqua
irrequieta, senza però toccarla davvero e si diresse fuori dalla grotta,
continuando a camminare nell’aria anche quando l’acqua del torrente dovette
seguire la gravità.
“Sorella mia, non
disperare. Il tuo sacrificio non sarà vano.”
Erano passati tre giorni
dall’aggressione del demone serpente e Inuyasha era talmente deciso a non
perderla di vista per anche solo un istante, che doveva implorare Kagome di
accompagnarla al fiume per lavarsi, altrimenti l’avrebbe fatto lui.
Kagome rideva e annuiva,
intimando a Inuyasha di fare la guardia alla spada e di lasciare a lei il
compito di sorvegliare Ayami in certe circostanze.
Quando lui rimbrottava che poteva essere pericolosa anche per lei, non solo per
Ayami, Kagome gli sorrideva con ancora più dolcezza del solito e gli indicava le
frecce e l’arco che portava in spalla. Inuyasha allora si calmava e la lasciava
andare, non senza esprimere ripetutamente la sua disapprovazione in merito.
“Non dovresti sottovalutare
l’apprensione che sente nei tuoi confronti, Kagome…” pigolò all’improvviso
Ayami, sbottonando la camicia della sua divisa.
Kagome sospirò ed emise un
mugolio soddisfatto.
“Oh, non ti preoccupare!
Inuyasha riesce a essere carino solo quando è preoccupato e a me non dispiace
ricevere qualche attenzione in più!” rispose con un sorrisino malizioso la
giovane sacerdotessa.
Ayami la guardò e sorrise,
finendo di togliersi la divisa e infilando un piede nell’acqua.
“Com’è fresca! Kagome,
vieni anche tu, dai!” la incoraggiò la ragazza, addentrandosi nelle acque calme
e limpide. In quel punto, il fiume che attraversava quella regione creava
un’ansa, dove la corrente era quasi immobile e l’acqua non era profonda più di
un metro e venti centimetri. Era ideale per fare un bagno, d’estate.
Kagome scosse la testa e si
sedette sulla riva, concedendosi solo di mettere a mollo i piedi.
“Prima fallo tu, poi lo
farò io, così ci diamo il cambio!”
Ayami annuì e s’immerse,
nuotando liberamente per diversi minuti, senza allontanarsi troppo per non
essere portata via dalla corrente che si faceva più forte, più si allontanava
dalla riva.
“Kagome, tu e Inuyasha
state insieme, vero?” domandò improvvisamente mentre si riavvicinava alla riva.
Kagome arrossì vistosamente
e balbettò in assenso, stropicciandosi la stoffa degli hakama.
Ayami sorrise e nuotò
ancora un po’, prima di alzarsi e tornare sulla terra ferma.
Kagome le offrì degli abiti
per cambiarsi. Era una veste da miko, proprio come quella che indossavano Kagome
e la vecchia Kaede. Ayami la accettò e cominciò a vestirsi mentre l’amica faceva
il contrario.
“Quindi non è un problema,
per te che sei una sacerdotessa, stare con un mezzo-demone? Le persone al
villaggio non sembrano spaventate da lui.”
Kagome piegò la propria
veste ed entrò in acqua, rabbrividendo appena per il contatto con l’acqua
fresca.
“Inuyasha è ben conosciuto
dalla gente del villaggio e dopo la sconfitta di Naraku, la gente non ha più
dubbi su di lui, nonostante abbia un caratteraccio e sia scorbutico da morire!”
rise la sacerdotessa mentre s’immergeva.
Ayami si allacciò l’hakama
e la casacca in pochissimo tempo, stupendosi dell’abilità con cui era riuscita a
farlo. Era come se i gesti compiuti fossero impressi nella sua testa, come
un’esperienza. Era come se avesse indossato e allacciato quegli abiti da tutta
la vita.
Strizzò i capelli bagnati e
se li appoggiò su una spalla, mentre prendeva la divisa scolastica e si
avvicinava alla riva, cominciando a pulirla e strofinarla nell’acqua.
“Kagome, posso chiederti
chi è Sesshomaru? Rin sembrava così felice di vederlo, eppure Inuyasha è restio
anche solo a nominarlo…”
La miko si avvicinò alla
riva e guardò Ayami.
“Devi sapere che Sesshomaru
è il fratello maggiore di Inuyasha. E’ un demone completo, quindi è il figlio di
due demoni completi. Inuyasha, come sai, è un mezzo-demone, figlio di una donna
umana e di un demone. Hanno lo stesso padre ma non sono assolutamente in
sintonia uno con l’altro.”
Ayami annuì gravemente e
riprese a lavare la divisa.
“Quindi, si odiano perché
hanno madri diverse?”
“Non proprio: in realtà è
Sesshomaru ad aver avuto sempre un atteggiamento ostile verso Inuyasha, questo
per via dell’eredità che il padre ha lasciato loro.”
Kagome uscì dall’acqua e
prese i propri vestiti, cominciando a vestirsi.
“Che tipo di eredità?”
“Spade, o come le chiamano
loro, zanne.”
Il vento di fine estate
arrivò come una folata fresca, accarezzò le fronde degli alberi che stavano
cominciando a ingiallirsi e andò a danzare sul pelo dell’acqua.
Kagome finì di vestirsi e
alzò gli occhi al cielo che s’intravedeva fra le fronde degli alberi.
“Faremo meglio a muoverci
verso il villaggio.”
Ayami alzò la testa e la
guardò, sorpresa.
“Di già? Ma siamo fuori da
pochissimo!” si lamentò Ayami, tirando fuori i vestiti dall’acqua e cominciando
a strizzarli.
Kagome si voltò di scatto,
ascoltando i rumori attorno a sé. Uccelli?
“Ayami, muoviamoci.” Le
intimò inforcando l’arco e la faretra.
Ayami annuì e prese le sue
cose, affiancandola velocemente. Se Kagome assumeva quel tono, era sicuramente
per un motivo più che valido, ne era certa. Forse aveva avvertito una presenza
ostile o forse era stato il suo sesto senso a metterla in allerta.
D’alta parte, se era una
sacerdotessa, doveva per forza possedere qualche potere speciale, no?
Camminarono velocemente,
seguendo il sentiero che avevano preso all’andata. Kagome sembrava attenta a
ogni più piccolo rumore, cosa che riuscì a spaventare Ayami. Doveva esserci
qualcosa di seriamente pericoloso, nell’aria.
“Kagome, cosa succede?”
chiese la ragazza, al limite.
La sacerdotessa si fermò,
facendole cenno di non aggiungere altro. Sentiva una presenza ostile, vicino a
loro. Le stava seguendo.
Prese l’arco e inforcò una
freccia, tendendolo e puntandolo in basso, in attesa di capire dove si
nascondeva quella presenza.
Ayami guardò febbrilmente
intorno a sé. Era spaventata e non riusciva a controllarlo. La prima volta che
le era successo di trovarsi in pericolo, in quel mondo, era a causa di un lupo
affamato.
Anche allora era spaventata
ma non come lo era ora. Era lucida e sapeva cosa le sarebbe potuto accadere. La
stessa cosa quando lei e Rin erano state attaccate da un demone serpente.
Avrebbe voluto gridare ma
non l’aveva fatto. Anche quella volta era consapevole che sarebbe potuta morire,
ma la lucidità le aveva permesso, quantomeno, di provare a resistere alla morte.
Ora, però, si sentiva
completamente schiacciata dalla terribile sensazione di essere senza scampo.
Cosa c’era di diverso?
Stava rischiando esattamente come le altre volte, anzi, forse di meno, contando
che non riusciva nemmeno a vedere chi le stava minacciando.
Cosa cambiava?
“Non può essere…” mormorò
fra sé Kagome, puntando la freccia contro un cespuglio lontano.
Scoccò con decisione e la
freccia si caricò di un bagliore rosato e finì esattamente dove la ragazza aveva
mirato. Ci furono un fruscio e un rumore, poi la sensazione di ostilità sembrò
aumentare.
Stavano ancora cercando con
gli occhi fra quei cespugli, quando un rumore alle loro spalle le fece
trasalire.
Si voltarono e Kagome
spalancò gli occhi. Non era possibile.
“TU, MALEDETTA RAGAZZINA!!!
TU DEVI MORIRE!!”
Ayami sentì il cuore
schizzarle in gola: un enorme demone con il busto da donna e il corpo da
millepiedi le stava attaccando.
“Non è possibile…”
bisbigliò Kagome prima di spingerla a terra.
Ayami finì a terra a pochi
metri da loro. Kagome riusciva a tenere il demone lontano con il proprio arco
che sembrava farle da scudo ma aveva bisogno del suo aiuto.
La ragazza fece per alzarsi
ma il suo corpo non sembrava rispondere ai suoi comandi. C’era qualcosa che la
paralizzava, come nella capanna di Kaede e le si stava anche stringendo attorno
al collo.
Kagome riuscì a estrarre un
fuda dalla cintura dell’hakama e con un rapido movimento, lo attaccò sulla testa
del demone che la stava attaccando.
Il millepiedi urlò e
cominciò a dimenarsi, cercando in ogni modo di togliersi il fuda dal viso.
Kagome ne approfittò per avvicinarsi ad Ayami, quando scorse qualcosa di
terribilmente familiare.
Capelli.
Ayami era completamente
avvolta da una grossa massa di capelli neri. Kagome continuò a ripetersi che non
era possibile, quando percepì una presenza maligna alle proprie spalle.
“Quanto tempo, ragazzina,
sembra passata un’eternità, invece ci ritroviamo ancora a combattere. Peccato
che, questa volta, sarai tu a morire!” Yura, il demone dei capelli, levò
velocemente la sua corta spada contro Kagome.
Ayami chiuse gli occhi e
pregò con tutta se stessa che qualcuno accorresse a salvarle.
Come a esaudire i suoi
desideri, un lampo pallido sembrò squarciare il tempo e lo spazio. Kagome stava
ancora guardando, incredula, gli occhi della demone che la stava per uccidere,
quando la vide dissolversi in un bagliore azzurro. Anche il millepiedi svanì,
come dilaniato in mille pezzi.
Kagome si lasciò cadere
sulle ginocchia, confusa e spaesata.
Ayami sentì la presa
addosso al suo corpo svanire e si ritrovò coperta da infiniti capelli corvini,
senza riuscire a capire da dove provenissero. Tossì più volte, riprendendo
fiato.
Sesshomaru scrollò la mano
ricoperta di sangue di demone e si chinò a controllare i capelli che ricoprivano
Ayami.
“Un demone dei capelli.”
constatò mentre Ayami se li scrollava di dosso.
Sesshomaru guardò di
sottecchi la ragazza, con un moto di fastidio, come se il ritrovarsi di nuovo a
salvarle l’osso del collo gli desse la noia. Chi diavolo era quella ragazza e
cos’aveva di così speciale da attirare tutti i demoni delle vicinanze?
“Kagome!” Ayami si alzò di
corsa e si avvicinò all’amica, ignorandolo completamente.
Sesshomaru si rimise in
piedi, scocciato e si avvicinò alla miko, ancora a terra.
“Kagome.” proferì, serio.
“Io proprio non capisco…”
borbottò la sacerdotessa mentre si faceva aiutare da Ayami a rimettersi in
piedi.
“Com’è possibile che tu non
sia riuscita a sconfiggere dei demoni tanto miseri?” continuò, incurante il
demone.
Kagome scosse la testa e si
voltò a guardarlo.
“Sesshomaru, ti ringrazio
per quello che hai fatto.”
“Non ho fatto niente, se
non evitarmi il fastidioso perseguitarmi della voce di Inuyasha, nel caso tu
fossi morta.”
Kagome deglutì a vuoto e
strinse forte l’arco.
“Sesshomaru! Quei demoni...
Quei demoni io li ho già visti, li conosco! Yura dei capelli e il Millepiedi
Jōrō!”
Lui la guardò come se
questo non cambiasse molto ma lei insistette, facendo un passo verso di lui.
“Io li conosco perché li ho
uccisi, insieme a Inuyasha, cinque anni fa!”
Come se questo dipanasse le
nubi nella sua mente, Sesshomaru assottigliò gli occhi dorati, senza dire
niente. Kagome abbassò lo sguardo e si voltò verso Ayami, prendendola per un
braccio.
“Andiamo, dobbiamo subito
tornare al villaggio, non c’è un minuto da perdere.”
Ayami annuì e la seguì,
guardando la figura di Sesshomaru davanti a loro. Kagome aumentò il passo e la
figura svanì poco prima che la sacerdotessa ci passasse attraverso, rivelando
che il demone era già lontano da qualche minuto.
Ayami non disse nulla
finché non arrivarono al villaggio, dove furono accolte da Inuyasha, Kaede,
Sango e Miroku.
“Kagome, che cos’è
successo?” domandò febbrilmente Inuyasha. Era fuori di sé.
Kagome sospirò e lo guardò
negli occhi.
“Siamo state attaccate da
due demoni.”
“Di che demoni parli?”
chiese allora Sango, facendosi avanti.
Kagome fece una smorfia
sofferente e chiuse gli occhi.
“Di Yura dei Capelli e il
Millepiedi Jōrō.”
“Ne sei sicura?” domandò
Kaede, sconvolta, mentre Inuyasha sgranava gli occhi.
“Sì, ne sono certa, erano
loro, non posso sbagliarmi.”
Tutti si guardarono,
allarmati. Non era possibile che due demoni fossero tornati in vita così, da un
giorno all’altro.
“Sesshomaru ci ha salvate,
io non sono stata in grado di fare nulla, ero troppo sconvolta…” mormorò in
scusa.
Kaede emise un lunghissimo
gemito pensieroso.
“Questo spiegherebbe perché
Sesshomaru ha portato via Rin.”
Kagome e Ayami si
allarmarono.
“Rin? E dove? Perché?”
Kaede scosse la testa e le
guardò con aria grave.
“Non so dove l’abbia
portata. So solo che è stato qui e se n’è andato con Rin poco prima che voi
compariste dal bosco.”
“Dannazione.” Inuyasha
sferrò un pugno al pavimento, rompendo le assi di legno.
Kaede sospirò, guardandolo
con sconforto.
“Inuyasha, non fare così,
vedrai che le cose si risolveranno.” cercò di calmarlo Miroku.
Il mezzo-demone gli riservò
un’occhiata che non lasciava intendere nulla di buono e tornò nel suo angolo,
abbracciato a Tessaiga.
Non sopportava l’idea di
aver fallito per ben due volte il tentativo di proteggere le persone a cui
teneva.
Prima Rin e Ayami, poi
Kagome. Come poteva non sentirsi responsabile, soprattutto quando era stato suo
fratello a compiere quello che lui non era stato in grado di fare?
Non era sorpreso che
Sesshomaru avesse portato via Rin, lo aveva avvertito che l’avrebbe ripresa con
sé se avesse trovato insicuro l’ambiente in cui l’aveva lasciata.
Anche per questo si sentiva
in colpa. Era colpa sua se Rin non era più con loro.
Sango teneva in braccio un
bel bambino che giocava con un lembo del suo kimono, mentre Ayami giocava con le
due gemelle. Il clima era pesante e la sterminatrice appoggiò una mano su quella
di Ayami, per ridestarla dai suoi pensieri.
“Così tu vieni dalla stessa
epoca di Kagome-chan, vero? Com’è stato ritrovarti in epoca Sengoku?” domandò
con un sorriso la bella sterminatrice.
Ayami la guardò e sorrise
timidamente.
“Beh, è stato meno
traumatico del previsto, se solo non fossi stata attaccata da lupi e demoni di
ogni sorta… Però sto bene qui!” aggiunse con entusiasmo.
Sango inclinò leggermente
la testa.
“Non vorresti tornare nel
tuo tempo?” chiese, curiosa.
Ayami si stupì, a quell’affermazione. Perché non aveva mai pensato, neanche per
un solo istante, di poter tornare indietro? Forse perché non conservava memoria
di quel luogo e non ne sentiva la nostalgia o forse perché sapeva, in cuor suo,
che se fosse tornata indietro, si sarebbe probabilmente sentita spaesata e sola,
proprio come quando era capitata lì, nell’epoca Sengoku.
“Sango, la ragazza non si
ricorda nulla del mondo futuro dal quale proviene.” tagliò corto Inuyasha,
sempre chiuso nel suo malumore.
“Perché non provate a
riportarla al pozzo? Magari tornare alla sua epoca potrebbe aiutarla a
ricordare.”
Miroku annuì gravemente e
Inuyasha mosse le orecchie più volte, considerando l’ipotesi.
“Potrebbe essere la
soluzione migliore, quella di farti tornare nella tua epoca.” considerò il
mezzo-demone mentre si alzava.
Ayami rimase in silenzio ad
ascoltarli. Non sapeva perché, ma si sentiva ferita da quelle parole.
“Sarà solo lei a decidere
se tornare o no nella sua epoca, sono stata chiara?” Kagome appoggiò con forza
una ciotola sul pavimento, emettendo un rumore secco, come la sua voce.
Era infastidita da quei
discorsi e poteva chiaramente leggere il disagio sul volto di Ayami. Come
poteva, Inuyasha, essere così cieco da non accorgersi di quanta paura aveva,
Ayami, di ritrovarsi nuovamente sola?
“No, Inuyasha ha ragione, è
solo colpa mia se siete stati attaccati da questi demoni ed è sempre colpa mia
se Rin è stata portata via da qui. Non era più un posto sicuro, per lei, vero?”
Ayami alzò lo sguardo verso Inuyasha che la guardava con la coda dell’occhio,
leggermente voltato in sua direzione.
“Ma cosa credi, che non sia
stato lo stesso per me, quando sono arrivata in questa epoca portando con me un
oggetto tanto potente come la Sfera dei Quattro Spiriti? E allora, pensi che mi
abbiano cacciata perché attiravo i demoni su questo villaggio? No, non è mai
successo e non succederà nemmeno a te, io non ti caccerò da qui e se te ne
andrai sarà perché lo vuoi tu, non per altri motivi!”
“Ora basta, smettetela.”
Kaede alzò la voce, spezzando la tensione che si era venuta a creare.
“Ayami resterà sotto la
protezione del tempio di questo villaggio e il discorso può chiudersi qui. Ci
siamo riuniti qui per consumare insieme un pasto, in serenità e con spirito di
amicizia. Smettetela di urlare e battibeccare.”
Tutti, perfino i bambini,
si zittirono senza emettere un suono. L’unico a non farlo, come al solito, fu
Inuyasha.
“Ehi, vecchiaccia! Passi da
momenti in cui sembri morta a momenti in cui sai ancora tirare fuori la voce,
eh?” ghignò, canzonatorio.
Kaede mugugnò, infastidita
e guardò Kagome.
“Kagome, a te.”
La giovane miko sorrise e
annuì, riprendendo a distribuire la cena a tutti.
“A CUCCIA!”
“Allora noi andiamo.”
Miroku s’inchinò e alzò la tenda, lasciando passare Sango e i bambini.
“Venite a trovarci, mi
raccomando!” aggiunse la sterminatrice, salutandoli con una mano.
Inuyasha, Kagome, Kaede e
Ayami li salutarono e rimasero davanti al fuoco del piccolo braciere.
Dopo aver sistemato le
ciotole e le bacchette in una grossa tinozza piena d’acqua, Ayami si alzò in
piedi e si diresse alla porta, calzando degli zori.
“Dove stai andando?” chiese
Inuyasha, curioso.
“Volevo controllare se i
miei vestiti si sono asciugati.” rispose lei abbassando lo sguardo e uscendo.
Kagome fece cenno a
Inuyasha di seguirla e lui, brontolando, obbedì.
Appena uscito, la vide
ferma a pochi passi dalla capanna, intenta a guardare il cielo stellato brillare
sopra le loro teste. Era una notte meravigliosa, le stelle brillavano con
un’intensità che Ayami non aveva mai visto.
Non scorgeva ancora la
luna, ma doveva essere nascosta dietro alle colline, perché c’era un bagliore
tenue che si poteva scorgere, all’orizzonte.
“Ayami.”
La ragazza si voltò e
incontrò il viso serio di Inuyasha.
“Inuyasha, cosa c’è?”
chiese, mentre lui le si avvicinava.
Il mezzo-demone si fermò al
suo fianco e sospirò, cominciando a massaggiarsi la nuca.
“Mi dispiace se prima ti ho
lasciato intendere che non volevo rimanessi, non era quello che pensavo.”
proruppe, in evidente difficoltà, il ragazzo.
Lei lo guardò e scosse la
testa, gentilmente.
“Non ti preoccupare, io
capisco come ti devi sentire in questo momento.”
Questa volta fu Inuyasha a
guardarla, stupito da quelle parole. In che senso capiva il suo stato d’animo e,
soprattutto, perché?
Ayami portò lo sguardo al
cielo, sorridendo, malinconica.
“Facciamo due passi?”
chiese, cominciando a camminare. Inuyasha annuì e la seguì, guardando anche lui
il cielo stellato.
“Sai, Inuyasha, non so per
quale motivo, ma da quando sono qui, sento come un’oppressione al petto, come se
avessi addosso il senso di colpa per non essere riuscita a proteggere qualcuno.”
“Cosa intendi dire?” chiese lui, curioso.
Ayami abbassò lo sguardo
sull’orizzonte, davanti ai suoi occhi.
Già, cosa voleva dire? Era
un mistero. Lei stessa era un mistero e non riusciva a capire perché si trovasse
lì o perché non ricordasse nulla. Si sentiva inutile e sapeva di essere solo un
peso per le persone che si stavano prendendo cura di lei.
“Non lo so, davvero. Non
capisco, non riesco a trovare spiegazione, so solo che forse hai ragione tu,
forse dovresti riportarmi a quel pozzo e dovrei tornare da dove sono venuta,
qualunque luogo sia, ovunque esso sia.”
“No, tu appartieni a questo
mondo, ormai.”
Gli alberi muovevano
pigramente le fronde ricolme di foglie. C’era un leggero vento fresco che
arrivava da lontano. Strinse i lembi delle maniche del suo kosode e guardò il
ragazzo.
“Perché? Perché adesso dici
queste cose? Non è forse a causa mia che Kagome e gli altri hanno dovuto
compromettere la loro incolumità? Inuyasha, io non so cosa devo fare, lo
capisci?”
Gli occhi erano lucidi e
colmi di lacrime che stavano per rigarle il volto. Inuyasha, guardandola, sentì
qualcosa che non era in grado di esprimere. Quella donna, quella ragazza umana
portava con sé un alone, una traccia di odore così familiare che lo stordiva.
“Io credevo che fosse la
tua spada a portare quell’odore, eppure nonostante ci sia una traccia anche su
di essa, è da te che proviene. E’ nel tuo sangue e non capisco come sia
possibile ma quell’odore è simile, terribilmente simile al mio.”
Ayami lo guardò,
sbalordita. Cosa stava dicendo? Che il loro sangue aveva lo stesso odore?
Inuyasha pestò più volte un
piede a terra e si scompigliò i capelli, frustrato.
“Dannazione, non riesco
proprio a capire come sia possibile! E’ debole e si sente appena ma quell’odore
è l’odore del sangue demoniaco di mio padre, ne sono certo!”
Ayami era confusa e le
sembrava di capire tutto sempre di meno, anziché di fare chiarezza. Inuyasha si
calmò e si accucciò a terra, pensieroso.
“L’unico problema, è che
mio padre era un demone completo, mentre tu sei solo un’umana e in te non è
percettibile neanche un’aura spirituale, figurarsi una demoniaca. Non riesco a
capire come sia possibile.”
La ragazza si accucciò
vicino a lui e appoggiò una mano sul suo braccio.
Inuyasha voltò il viso a
guardarla e la vide sorridergli, nonostante gli occhi fossero ancora lucidi.
Com’era idiota. Era lei ad aver bisogno di essere rassicurata, non lui.
Il mezzo-demone le sorrise,
rassicurante. Aveva ragione Kagome, quella ragazza misteriosa non poteva essere
lasciata da sola, non tanto per i demoni e i pericoli che avrebbe potuto
correre, quanto perché, ormai, faceva parte del loro gruppo e loro dovevano
prendersene cura.
“Coraggio, togliti
quell’espressione piagnona dalla faccia e torniamo indietro!” intimò lui,
alzandosi in piedi e invitandola a fare altrettanto.
Ayami annuì e guardò alle
spalle del mezzo-demone, alzandosi.
E quello cos’era?
“I-Inuyasha…” mormorò,
guardando spaventata alle spalle del giovane.
Il mezzo-demone comprese,
dalla faccia che stava facendo, che qualunque cosa ci fosse alle sue spalle, non
era nulla di buono.
Ora che i suoi sensi erano
in allarme, percepì con chiarezza delle presenze demoniache tutto intorno a
loro.
Appoggiò la mano sull’elsa
di Tessaiga e si girò, sfoderandola.
Erano circondati da dei
demoni che nona aveva mai visto, sembravano innocui ma la loro aura demoniaca
era ostile. Quei demoni erano delle lunghe fasce di garza bianca, fluttuanti,
con piccoli occhi gialli minacciosi che stonavano con l’aspetto non propriamente
spaventoso.
“Tsk, e voi cosa dovreste
essere, precisamente?” domandò sprezzante Inuyasha, scagliando contro di loro un
Kongōsōha. I demoni travolti dal colpo svanirono all’istante.
“Cosa pensavate di fare,
deboli come siete?” ringhiò con derisione Inuyasha, brandendo altri colpi contro
di loro. Erano inutili ma sembravano non finire mai.
“I…nu…ya-sha…”
Il mezzo-demone trasalì e
si voltò di scatto verso Ayami, ancora dietro di lui.
Alcuni di quei demoni le si
erano avvolti intorno al collo, altri le tenevano le braccia aderenti al corpo,
impedendole di potersi liberare.
Si sentiva soffocare e
stritolare nello stesso tempo. Un altro demone cominciò ad avvolgersi attorno al
suo viso, impedendole completamente di respirare e di vedere.
“Ayami!” Inuyasha le si
avvicinò e provò a colpire i demoni con le proprie unghie ma non sembravano
cedere.
“Maledizione!” tentò di
strapparli via con la forza ma più tirava, più la presa su Ayami si faceva più
forte.
“Ahahahah, non avrei mai
pensato che potesse essere così facile!” una voce, alle sue spalle, lo fece
voltare.
Un enorme demone orso stava
avanzando verso di loro. In mano, reggeva la katana di Ayami, quella che era
custodita nella capanna della vecchia Kaede.
Un’immagine di Kagome
attraversò la mente di Inuyasha come una scarica elettrica. Stava bene?
Ayami rantolò, sotto il
tessuto bianco che le avvolgeva la testa.
“E io che temevo questa
notte, convinto che il suo risveglio potesse compromettere la mia missione,
invece è stato molto più semplice rubare la spada oggi!”
“Tu chi sei?!” intimò
Inuyasha, brandendo con rabbia Tessaiga.
Il demone orso lo guardò
con sufficienza e avanzò verso di lui.
“Tu puzzi di cane e di uomo
insieme, quindi devi essere il figlio immondo di quel cane rognoso.” comincio,
fermandosi a guardarlo con disgusto.
“Non mi sembra il caso di
sprecare l’occasione di uccidere anche te, quindi, dato che morirai, ti concedo
di conoscere il nome del tuo assassino, piccolo mezzo-demone! Il mio nome e
Kumagi, Signore del clan Yū delle terre del Nord e tu, Inuyasha, stai per morire
assieme a quell’inutile donna!”
Il grande demone orso si
lanciò contro di loro, brandendo tre spade per mano. Inuyasha prese Ayami per la
vita e balzò a lato, schivando il terribile colpo con cui Kumagi gli si era
lanciato contro.
L’orso creò un’enorme
voragine sul terreno, nel punto dove prima c’erano Inuyasha e Ayami, alzando un
grosso polverone.
Quando si rialzò, estraendo
dal suolo le lame conficcate nel terreno, Kumagi si mise a ridere.
“E’ inutile che tenti di
fuggire, allungherai solo la tua agonia, per non parlare del fatto che quegli
Ittan-Momen avranno sicuramente già ucciso quella donna!” sbraitò, divertito.
Inuyasha digrignò i denti e
controllò Ayami che sembrava svenuta. Accostò l’orecchio al suo petto. Nessun
battito.
“Ayami!” urlò, scuotendola.
Gli Ittan-Momen, i demoni del cotone, si allontanarono da lei, abbandonando il
suo corpo senza vita fra le braccia di Inuyasha.
“Ahahah, finalmente è
morta, dunque! Il mio padrone sarà così felice che mi ricompenserà con tesori
inimmaginabili!”
Inuyasha strinse a sé il
corpo della ragazza. Non era possibile, non così. Non mentre cercava di
proteggerla.
Non poteva aver fallito di
nuovo, portando alla morte una ragazza innocente.
“Lei non meritava di morire
così. Non per mano tua, non per colpa di quella stupida spada e non di certo per
MIA NEGLIGENZA!” Inuyasha lasciò a terra il corpo di Ayami e brandì con due mani
Tessaiga, la cui lama divenne nera come la notte. Lanciò un Meidō Zangetsuha con
una rabbia e una disperazione che aveva provato poche volte.
Kumagi si stupì ma non
indietreggiò, anzi, prese in mano la katana dal fodero bianco e se la tenne
davanti. Questa assorbì il colpo lanciato da Tessaiga come se non fosse stato
altro che uno scherzo.
“Che cosa credevi di fare,
stupido e immondo mezzo-demone? Osi scagliare contro di me una tecnica simile?”
Kumagi ripose la katana e
riprese le sue spade, pronto a colpire, quando un bagliore oscuro, alle spalle
di Inuyasha, lo fece immobilizzare.
“Non è possibile, avevo
mandato dei demoni a rallentarle…” borbottò, prima di usare le spade per pararsi
da una devastante onda oscura.
Inuyasha guardò alle
proprie spalle, percependo due aure demoniache spaventose.
Dal buio profondo della
foresta, proprio dal sentiero che conduceva al pozzo, due ringhi violenti si
alzarono, facendo vibrare tutta la vegetazione intorno a loro.
Occhi rossi come il sangue,
si avvicinavano lentamente verso di loro, grandi e rabbiosi. Inuyasha
riconosceva l’odore: erano cani.
Kumagi ordinò ai demoni del
cotone di attaccare e questi si scagliarono contro le figure, ancora indistinte,
nell’ombra. Bastò un istante e con un’altra ondata di potere demoniaco, tutti i
demoni del cotone svanirono, distrutti.
Quando furono abbastanza
vicini, Inuyasha li riconobbe subito: due grandi demoni cane dal pelo nero e
corvino come la notte senza luna, gli occhi rossi, spietati e un simbolo di luna
crescente sulla fronte.
Kumagi ringhiò e si preparò
ad attaccare.
Uno dei due cani demoniaci
si voltò verso Inuyasha, guardandolo fisso negli occhi. Inuyasha comprese che
erano amici e che non volevano attaccarlo, anzi, erano lì per aiutarlo. Con un
ringhio, il cane demoniaco più grosso fece dei passi verso Kumagi mentre quello
più piccolo si avvicinò a Inuyasha e Ayami.
Con l’enorme muso, il cane
demoniaco che aveva guardato Inuyasha annusò il corpo di Ayami e alzò di scatto
la testa al cielo, ululando come se fosse un lupo. Un latrato disperato. Un
latrato triste.
“Ormai è troppo tardi!”
urlò Kumagi, scagliandosi contro il demone cane che gli ringhiava di fronte.
Questo balzò in aria,
schivando il colpo e morse con forza una spalla del demone orso, facendolo
urlare dal dolore. Dalle zanne del demone cane uscì un veleno nero che fece
urlare ancora di più Kumagi. Quest’ultimo, utilizzò tutta la sua forza per
scrollarsi di dosso l’avversario, lanciandolo lontano da sé.
Inuyasha non poteva restare
a guardare. Brandì di nuovo Tessaiga e scagliò contro Kumagi un altro Kongōsōha.
“Non farmi ridere, lurido
mezzo-demone!” Kumagi si parò dal colpo e si preparò a colpire verso Inuyasha,
quando una luce saettante andò a conficcarsi nell’armatura del demone orso.
Inuyasha s’illuminò in
volto.
“Kagome!” urlò mentre la
sacerdotessa incoccava un’altra freccia sacra.
Inuyasha corse da Kagome,
mettendosi in sua difesa.
“Ora mi sono stancato dei
vostri giochetti.” sibilò Kumagi e si avvolse nella sua stessa aura demoniaca,
accrescendo lentamente il proprio potere.
I due cani demoniaci
guardarono la spada dal fodero bianco al fianco del demone orso. Stava tremando.
Anche Kumagi se ne accorse
e si fermò subito, guardando la spada al suo fianco. Era avvolta da un’aura
bluastra e continuava a tintinnare con forza, dentro al fodero.
“Cosa sta succedendo?”
domandò Kagome, abbassando l’arco.
Inuyasha guardò la spada e
poi, istintivamente, alzò gli occhi al cielo. La luna era comparsa, enorme come
se fosse solo a qualche metro di distanza dalle loro teste. Un sottile spicchio
di luce bianca nel buio della notte. Neanche le stelle si vedevano più, tanta
era la luce che emetteva. Un quarto di luna crescente.
La spada bianca cominciò a
muoversi con così tanta forza da strappare la fibbia che la teneva al fianco di
Kumagi e schizzò in cielo, verso la luna.
Il demone orso imprecò e
fece un balzo, pronto a raggiungerla. L’aveva quasi presa quando la terra
cominciò a tremare.
Kagome si avvinghiò a
Inuyasha che la tenne stretta a sé, protettivo.
“Inuyasha, è proprio come
l’aura di sei giorni fa!” pigolò Kagome, stringendosi di più a lui.
Inuyasha si guardò intorno,
cercando di capire cosa stesse succedendo e sgranò gli occhi quando capì qual
era la fonte dell’aura demoniaca che stava facendo tremare il suolo.
Il corpo di Ayami era
avvolto dalla stessa aura bluastra che avvolgeva la spada e Inuyasha si accorse
solo in quel momento che si trattava di un’aura demoniaca.
Kumagi guardò in basso
qualche istante, sempre all’inseguimento della spada. Quando guardò giù, due
occhi verdi e chiari come il ghiaccio lo fissavano da giù, dal suolo.
“Non è possibile…”
bisbigliò prima di venir colpito dalla spada che, per tornare a terra, lo
trapassò come se fosse fatto di burro. Era ancora nel fodero.
Che forza straordinaria,
pensò mentre si sfiorava il foro che la spada gli aveva fatto, trapassandolo da
parte a parte, dal petto alla schiena.
Prima di venir recuperato
da un vortice di vento oscuro, guardò la luna. Sembrava così vicina.
L’ultima cosa che vide,
prima di essere portato via, fu il sorriso derisorio della luna.
La spada, intanto,
precipitò di nuovo verso terra, puntando un punto preciso.
Un braccio di Ayami era
alzato, proteso verso il cielo e verso la spada. Quest’ultima si bloccò a pochi
centimetri dalla mano della ragazza, rimanendo verticale, in piedi.
Inuyasha e Kagome si
avvicinarono.
“Ayami! Ayami, cosa sta
succedendo?”
La spada uscì dal fodero,
rivelando a tutti la sua lama nera e si avvicinò al petto della ragazza. Solo
allora, Kagome e Inuyasha notarono che Ayami aveva gli occhi aperti.
Kagome fece per dire
qualcosa, ma la spada si conficcò nel petto della ragazza, facendole raggelare
il sangue nelle vene.
“No!! No, Ayami!!” urlò,
cercando di avvicinarsi al corpo della ragazza ma l’aura demoniaca la teneva
lontana.
Il corpo di Ayami ebbe
degli spasmi, contorcendosi piano mentre la ragazza sembrava ansimare
pesantemente. Un’altra ondata violenta di aura demoniaca scosse il terreno.
I due cani demoniaci
ulularono e furono avvolti dalle rispettive aure demoniache, riprendendo le loro
sembianze umane.
Erano due donne, una dai
capelli lunghi e l’altra dai capelli corti fino alle spalle. S’inginocchiarono a
terra a guardare il corpo di Ayami, visibilmente in ansia.
Improvvisamente, le due
donne li guardarono, allarmate.
“Allontanatevi, presto!”
Inuyasha prese di peso
Kagome che cominciò a protestare e la portò al riparo, dietro alcune rocce.
Poco dopo, un enorme fascio
di aura demoniaca, partendo da terra, squarciò il cielo verso l’alto. Il boato
fu così forte che sia Inuyasha sia Kagome dovettero tapparsi le orecchie.
Durò interminabili minuti e
fu straziante. Era come un’energia che li schiacciava al suolo, togliendogli il
respiro.
Quando cessò, Inuyasha ci
mise diverse minuti a riprendere padronanza dei propri sensi. Kagome, invece,
sembrava stare molto meglio di lui, infatti si alzò subito e corse verso Ayami.
“Ayami! Ayami!” urlò,
gettandosi in ginocchio al suo capezzale. Con le lacrime a offuscarle la vista,
Kagome ci mise un po’ a vedere i segni sul volto della ragazza.
Quando si strofinò gli
occhi sulle maniche del proprio kimono, Kagome si trovò davanti agli occhi il
sorriso di Ayami che la guardava con infinita tenerezza. Era diversa, però.
“Ayami, cos’è successo?”
domandò, senza capire e cominciando ad accarezzarle piano i capelli.
La ragazza le sorrise
ancora e socchiuse gli occhi.
Erano diversi da prima,
erano diventati chiarissimi, come la neve ma non erano privi di colore. Erano
verdi, chiarissimi come l’acqua cristallina di un ruscello di montagna e la
pupilla non era più piccola e rotonda come quella degli umani, era più simile a
quella di Inuyasha, assottigliata, come quella di un animale. Anche il suo viso
era diverso: sembrava più grande, i lineamenti erano meno rotondi e più adulti
ma, ancora più evidenti, sui suoi zigomi c’erano due sottili strisce rosate e
sulla sua fronte una falce di luna crescente.
“Kagome…” la voce di Ayami
era più calma e bassa del solito. Era morbida e sembrava poter sciogliere tutte
le parole che pronunciava.
Kagome si sentì arrossire,
sentendo il suo nome pronunciato così.
Ayami riaprì piano gli
occhi e la guardò, sempre dolcemente.
“Fate attenzione, stanno
arrivando…” bisbigliò e guardò verso Inuyasha che si stava avvicinando.
“Chi, chi sta arrivando?”
domandò Kagome, agitandosi. Non poteva permettere che succedesse altro a quella
ragazza.
Ayami la guardò negli
occhi, facendola rabbrividire.
“Kagome tu stai pensando di
proteggermi ma, in realtà, sei tu che devi essere protetta, ora…” mormorò
girando la testa dall’altra parte, verso le due donne che erano ancora inchinate
al suo capezzale.
“Tomoe, Nioi…” le guardò e
le due sussultarono.
Ayami sorrise di nuovo,
divertita.
“Che stupida… Volevo dire,
Reiya, Reimei, nascondetevi nelle vicinanze insieme a Kagome e Inuyasha.”
“Ma Ayami-sama…” obbiettò
Reiya, la più piccola delle due.
“Stanno venendo per la
spada, ma sia lei e il mio potere non sono stati ancora completamente
ristabiliti, perciò gliela lascerò prendere, tant’è che il potere della spada
può ristabilirsi solo finché è conficcata nel mio petto. La prendano pure, sarà
inutilizzabile ma io avrò tempo di ristabilire il mio potere e potrò riprenderla
prima che la portino dove non potrò più toccarla.” spiegò e le due demoni
annuirono, alzandosi.
“Aspetta un momento, Ayami,
cosa sta succedendo?” domandò Kagome mentre Reiya e Reimei la prendevano per le
braccia.
“Aspetta e capirai da te,
Kagome-chan.”
Inuyasha guardò Ayami e
rimase in silenzio. Lei gli sorrise ma lui non rispose e seguì Kagome e le due
demoni.
Calò un silenzio
inquietante, nel bosco. Nulla si muoveva, neppure il vento.
Gli animali sembravano
troppo spaventati anche solo per spostarsi.
Si nascosero non molto
distanti da lì, dietro degli alberi e dei cespugli.
Kagome era irrequieta e
Reiya le spiegò che era necessario non emettere un solo suono, per il bene loro
e di Ayami. Così, in silenzio, restarono in attesa.
Ayami provò a muoversi e
constatò che il suo corpo era quasi totalmente mutato. Poteva muoversi, eccetto
per il busto, bloccato a terra dalla spada. Già, la spada.
La guardò con attenzione,
scorrendo lo sguardo sulla lama che sembrava farsi più lucente ogni istante che
passava.
‘Padre…’, pensò con
nostalgia, poco prima di percepire un’aura demoniaca avanzare verso di lei.
Era un unico demone ed era
molto grande e veloce.
Inuyasha lo percepì allo
stesso modo e intimò a tutti di fare attenzione. Dal fitto del bosco, videro gli
alberi essere travolti da qualcosa che avanzava, inarrestabile.
Pochi istanti dopo, un
enorme demone metà donna, metà ragno si avvicinò al corpo di Ayami.
“Dunque sei qui, fetida
cagna!” urlò per scherno la demone ragno.
“Jorōgumo… Che sorpresa
vederti. Sei qui per la spada?” domandò Ayami, guardando con un sorriso ironico
la donna-ragno.
“Brillante deduzione,
d’altronde non sono di certo venuta per vedere la tua orrenda faccia, signorina!
Vedo che non hai ancora recuperato tutti i tuoi poteri, interessante… Cosa ne
dici se ti divorassi?”
Ayami ridacchiò e la guardò
con aria di sfida.
“Perché non ci provi, se ne
sei in grado, ovviamente.” la canzonò.
Jorōgumo si avvicinò,
muovendo le lunghe zampe da ragno e si chinò su di lei, guardandola con
curiosità.
“Che bella scena, vederti
infine trafitta dalla tua stessa spada. Provo quasi dispiacere all’idea di
doverti divorare e rovinare quest’immagine sublime!” la demone ragno spalancò
l’enorme bocca e cercò di addentare Ayami ma una barriera le impedì di
avvicinarsi, ustionandole il volto da donna.
Jorōgumo gridò e urlò di
dolore, dimenandosi mentre si copriva il viso con le mani.
“Maledetta!!! Tu sia
maledetta!!!” sbraitò con rabbia mentre Ayami rideva.
“Quanto sei patetica,
vecchia Jorōgumo. Avanti, prendi questa spada e vattene, non è forse questo che
ti è stato ordinato di fare?” chiese, sprezzante.
La demone ragno digrignò i
denti e allungò una mano, prendendo la spada con una mano.
“Quando la estrarrò, ti
ucciderò e ti mangerò in un sol boccone, maledetta!”
Ayami sorrise e la incitò a
farlo.
Jorōgumo non se lo fece
ripetere e le strappò dal petto la spada, fiondandosi contro il suo corpo.
Inuyasha si alzò in piedi,
insieme a Kagome e alle due demoni.
Stava già per mettere mano
a Tessaiga quando percepì come un brivido.
Ayami guardò negli occhi la
demone ragno e ghignò. Teneva un braccio teso e la mano serrata attorno al collo
di Jorōgumo che la guardava con rabbia.
“Maledetta…” sibilò il
ragno, cercando di divincolarsi.
“L’hai già detto.”
Ayami richiamò il suo
potere demoniaco e in un istante, il suo corpo fu avvolto da una nube nera.
Quando si diradò, Inuyasha e gli altri poterono vedere con i loro occhi un
gigantesco e nero Inu-yōkai, mordere con forza il corpo del demone ragno.
Jorōgumo si divincolò e
cominciò a colpire il grande cane con le zampe, per scrollarselo di dosso ma con
poco successo. Così, piegando i busto fino a toccare per terra, riuscì ad alzare
la parte posteriore del suo corpo e lanciare un liquido biancastro e filamentoso
tutto intorno a sé, colpendo anche il grande cane.
Ayami guaì e lasciò la
presa mentre le ragnatele cominciavano a ustionarla. Si scrollò di dosso i
filamenti e ringhiò con rabbia mentre Jorōgumo rideva e ingoiava la spada che le
aveva rubato.
“Sei troppo debole per
contrastarmi, piccola stupida che non sei altro e mi dispiace dovermene andare,
ora che potevo darti il colpo di grazia… Ma ci sarà un’altra occasione, ne sono
certa!” il demone ragno lanciò altre ragnatele per impedire a chiunque di
seguirla e corse lontano, portando con sé la spada.
Ayami la guardò andare via
ed emise un lungo ringhio prima di accucciarsi a terrà, guaendo per il dolore.
Improvvisamente, perse la sua forma demoniaca, ritornando nella sua forma umana
e si lasciò cadere in ginocchio, stremata.
“Ayami-sama!” le due demoni
corsero fuori dai cespugli, avvicinandosi alla giovane che respirava
affannosamente.
Kagome e Inuyasha le
seguirono, restando a qualche passo di distanza. Kagome, soprattutto, era molto
scossa.
Non riusciva a credere a
quello che aveva visto. Ayami era…
“Tu, chi sei?” Inuyasha
domandò, secco, senza aspettare un minuto di più. Aveva domande che chiedevano
risposte.
Ayami alzò la testa e
guardò Inuyasha, in piedi vicino a lei.
Era serio ma non sembrava
arrabbiato con lei, semplicemente, sembrava meravigliato ed emozionato nello
stesso tempo. Ayami si ricordò del discorso che stavano facendo, poco prima che
gli Ittan-Momen gli attaccassero.
L’odore del sangue.
La giovane si alzò in
piedi, a fatica e lo guardò negli occhi.
“Hai ragione, devo
presentarmi ora che possiedo la conoscenza per farlo.” si fece aiutare da Reiya
e Reimei, facendo qualche passo verso di loro.
Guardò entrambi, sia Kagome,
sia Inuyasha e sorrise.
Entrambi capirono che era
sempre la stessa persona che avevano conosciuto pochi giorni prima.
“Il mio nome è Mikazuki no
Ayami. Sono un Inu-DaiYōkai per linea di sangue e faccio parte del clan Mikazuki,
i cani demoniaci dei monti Akimori.”
Inuyasha si rabbuiò.
“I monti Akimori, dici?
Nessuno li ha mai trovati, sono considerati una leggenda persino nel mondo
demoniaco.”
Reimei fece un passo verso
di lui.
“Non lasciamo il passaggio
aperto a chiunque, i sentieri che portano al nostro rifugio sono conosciuti solo
da chi ha il permesso di raggiungerlo.” spiegò, seria la demone.
Kagome guardò Ayami.
“E la tua spada? Perché
quei demoni la volevano?”
Ayami sospirò e guardò la
ragazza e poi Inuyasha.
“Quella spada è un potente
cimelio che apparteneva a mio padre. Io ne sono la custode.”
Il vento riprese a
soffiare, dolcemente.
“Inuyasha, per quanto
riguarda il discorso che stavamo facendo prima, devi sapere una cosa
importante.”
Il mezzo-demone sentì il
cuore balzargli nel petto e non distolse per un solo istante gli occhi da quella
della demone.
“Mio padre apparteneva al
clan Misoka, era una Demone Maggiore ed era il fratello d’arme e di sangue di
Tōga, tuo padre.”
Non riesco a credere di
aver scritto questo capitolo in 24 ore. Sono sconvolta! XD
Non vedevo l'ora di postare, lo ammetto e spero davvero che questo capitolo
abbia placato almeno un po' la vostra curiosità! Ovviamente, tutto continuerà
nei prossimi capitoli, quindi, fatemi sapere cosa ne pensate, ok?
Nel prossimo capitolo,
altre rivelazioni, altri incontri inquietanti e - cosa davvero importante -
molto più Sesshomaru! XDD *impazzisce*
Mi interessa molto mettervi
la traduzione di alcuni nomi che ho dovuto inventare e creare per questa storia,
ma lo farò alla fine del prossimo capitolo!
Qui voglio solo aggiungere una piccola precisazione: non ho inventato io gli
一反木綿 (いったんもめん - Ittan-Momen) ovvero i "fantasmi del cotone", né 女郎蜘蛛 (じょろうぐも -
Jorōgumo) alias "la prostituta-ragno" ma sono due O-bakemono ovvero due mostri o
demoni, del folklore giapponese!
I primi sono degli spettri
all'apparenza innocui, che hanno l'aspetto di lunghe strisce di stoffa bianca
fluttuante. si dice che soffochino la gente avvolgendosi alle loro teste e al
loro collo. ò__ò *paura*
Il secondo, ovvero la
donna-ragno, ha testa e busto di donna ma il resto del corpo è di ragno. Il nome
Jorōgumo, oggi, indica anche una specie zoologica di ragno. Si dice che i
Jorōgumo siano spesso associati ai proprietari di cascate e di piscine naturali.
*molto, molto inquietante*
Bene, ora basta sproloqui!
Vi aspetto nelle recensioni. ù__ù
Ancora auguri di buon anno a tutti! <3
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