Let the flames begin

di hellomelancholy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Non mi sono mai veramente resa conto quando abbiamo cominciato a esplodere, ma successe. Era come se fossimo predestinati da una vita al boom finale, come una bomba che ticchettava al centro della terra. La causa della nostra esplosione eravamo soltanto noi stessi. Noi cantavamo e suonavamo, il mondo ci seguiva a ritmo come se il cuore di ognuna di quelle persone che ci guardava ammirata pulsasse con il nostro, inevitabilmente. Eravamo fortunati, eravamo felici, avevamo l'adrenalina in corpo, sempre. Ma le cose cambiano, prima o poi, anche io me ne rendevo conto. Le mie dita si intrecciavano alle sue, di nascosto. Le mie dita erano desiderose di lui, anche troppo e la nostra band in quei momenti riusciva solo a trasformarsi in una setta che custodiva un segreto. Il segreto ormai di tutti per non distruggere ciò che avevamo faticosamente costruito. Ma se non avessi avuto loro, probabilmente quel segreto non avrebbe mai avuto più di due minuti di vita.

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Capitolo 2
*** Capitolo primo. ***


Entrare in scena davanti a tutte le persone che mi fissavano, che volevano solo noi all'inizio era difficile, sopratutto se eri una persona timida magari un po' impacciata come lo ero io. Ma devi adeguarti, devi far vedere a tutti che sei su quel palco per un motivo, devi far capire che sei lì per loro, devi auto convincerti che con la timidezza non guadagnerai nulla. Ma nulla succede da un momento all'altro, nessuno ha la fama facile. Tutti se la devono sudare.All'inizio nessuno sa il tuo nome, né quello dei componenti della band e tanto meno il nome della band stessa che tutti finiranno per confondere e storpiare in qualche strano modo. Nessuno sa chi sei e non sai se con quella tua passione per la musica riuscirai a realizzare qualcosa, sai che è difficile. Per far si che le persone si ricordino di te devi colpirle. Devi lasciare dentro di loro un immagine di te particolare, devi evocare in loro delle sensazioni, devi farti amare per ciò che sei. Se tenti di essere qualcun altro prima o poi ti stancherai e le persone si accorgeranno che non sei autentico. Devi distinguerti per qualcosa, per la tua voce, per la tua abilità nello suonare uno strumento, per la tua vitalità, la tua energia e la tua simpatia, per la disponibilità. Inizialmente ti ricorderanno per un particolare. Assoceranno il nome della band a un loro ricordo, a un numero, un colore, una parola o una frase. Poi, piano piano se hai fortuna, se ciò che fai è buono diventi famoso. Non per miracolo certo. Ci vuole del tempo. Non mi sono mai resa veramente conto quando abbiamo cominciato veramente ad esplodere, ma successe. Era come se fino a quel momento fossimo stati una specie di bomba, piazzata al centro della terra che ticchettava senza sosta. Era come se fossimo stati sin dall'inizio destinati al 'boom' finale. E la causa della nostra esplosione eravamo noi stessi. La cosa più gratificante era forse sapere che esprimendo ciò che sentivamo nel modo più semplice possibile eravamo riusciti ad arrivare sino a quel punto. Tutti lo chiamavano talento naturale. Dal momento in cui esplodemmo, almeno la metà degli abitanti della terra ci conoscevano. Tutti spendevano i loro soldi solo per vedere come ci muovevamo su quel palco, solo per sentire la mia voce rimbombare nelle loro orecchie. Potevamo vedere le nostre facce incorniciate da scritte e arcobaleni di colori ovunque: nei giornali, sui muri. Potevamo sentire gridare i nostri nomi da migliaia di persone che alzavano le mani, che sapevano i nostri testi a memoria, che li cantavano. Non mi sentivo mai così viva come quando ero sul palco. Le persone mi incitavano, le persone mi volevano. Noi eravamo fuoco, chi ci spingeva ad andare avanti ogni sera, i nostri ammiratori erano la benzina. Ecco, alla fine ti abituavi a essere al centro dell'attenzione, alla fine eri felice di essere desiderata. La cosa migliore di tutta quella faccenda erano i miei migliori amici. La notorietà era una cosa meravigliosa solo se riuscivi a raggiungerla con coloro che riuscivano a renderla un avventura divertente e piena di emozioni. Probabilmente se fossi arrivata sino a quel punto da sola non avrei avuto la forza di continuare. Mentre riflettevo i minuti scorrevano, prima di salire di nuovo su quel palco, dove le luci si sarebbero accese su me, Josh, Jeremy, Zac e Taylor. A quel punto non c'era più via di scampo. Mi sentivo sempre un po' agitata prima di iniziare, ma era una agitazione piacevole. Ogni mio senso era all'erta. Qualcosa si muovevano nella mia gola, la mia voce voleva esplodere. Non riuscivo a star ferma, non vedevo l'ora di iniziare a saltare fino a esaurire tutta l'energia che avevo in corpo. Sentivo la forza scorrermi dentro. Guardai l'orologio. Mancava poco. Alzai lo sguardo mentre ripassavo a mente il testo di una delle prime canzoni che dovevamo cantare. Trovai Josh che mi fissava, mentre mimavo le parole. Mi bloccai tutto d'un tratto. Non mi ero accorta che lui era lì a fissarmi mentre gli altri erano già sulla porta del camerino e ridevano e scherzavano tra loro. Quello era il momento di alzarmi e far vedere tutti quanto valevamo, ancora una volta, come se fosse la nostra prima volta, mentre era solo una delle tante. Guardai gli occhi di Josh che come sempre sapevano darmi forza. Lui era uno dei motivi fondamentali di quella band. Era il mio inizio, il mio coraggio, la mia ala protettrice. Feci un mezzo sorriso, desiderando per un attimo che ci fossimo solo io e lui in quella stanza e che non dovessi entrare in scena tra qualche secondo. Ma con noi c'erano altre persone, forse non era il caso di sbilanciarsi. Tese una mano verso di me e mi aiuto ad alzarmi. Mentre tutti ridevano mi guardò ancora una volta negli occhi con uno sguardo che non sapevo definire. Mi scostò i capelli dal viso, poi si staccò da me. Avevo voglia di pensare a lui, avevo voglia di pensare ai nostri momenti di solitudine, avevo voglia di dedicarmi a lui. Ma quello, oh quello non era il momento adatto e avrei dovuto farmene una ragione.

Dai ragazzi andiamo, non facciamo aspettare troppo tutte quelle persone” disse Jeremy ridendo, mentre si passava una mano tra i capelli e mi lanciava uno sguardo particolare che potevo comprendere solo io.

Sentite? Ci stanno chiamando!” esclamò Taylor, saltellando fuori dalla porta facendo muovere i suoi riccioli scuri per aria. Imitò il gesto dei nostri fans di saltare con le mani in alto facendo finta di gridare “Paramoreeee, Paramoreeee!”. Zac semplicemente rigirava le sue bacchette tra le mani, soddisfatto e sorrideva guardando la scenetta di Taylor.

La cosa più bella di tutta quella situazione era che loro si sentivano esattamente come me. Mi comprendevano e non vedevano l'ora di salire su quel palco. Eravamo una cosa sola. Loro erano la mia famiglia, la mia città, la mia ragione.

E' ora di far cominciare le fiamme” dissi. Mi avviai con loro per il corridoio che ci avrebbe portato sul palco. 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo. ***


Entrare in scena mi caricava, ma una volta finiti gli spettacoli mi sentivo stanca, anche se in modo piacevole. Ero soddisfatta di ogni mio minimo movimento su quel palco e vedevo che i ragazzi lo erano allo stesso modo. Eravamo sempre così sudati e alla fine degli spettacoli le nostre gambe quasi cedevano, ma finché i nostri fans ci chiedevano di andare avanti, lo facevamo. Li sentivano urlare, scoppiare con noi. Come potevamo deludere tutte quelle persone? Se mai avessi potuto, sarei scesa dal palco a ringraziarli uno a uno, anche se avessi impiegato giorni interi. Ognuno di loro doveva essere ringraziato perché era li, perché ci sosteneva. Chissà da dove arrivavano tutte quelle persone. Non credevo che tutti fossero del luogo, molti viaggiavano e anche questo fatto mi lasciava spiazzata, ogni volta. Erano disposti a fare di tutto per noi. Ricordavo ancora quando anche io avevo il tempo di viaggiare per andare in un posto lontano senza che questo implicasse il lavoro. Senza fraintendimenti; adoravo cantare, era la mia passione oltre che un semplice lavoro, ma a volte sentivo il bisogno delle semplici mura di casa, della mia stanzetta, di una chiacchierata con la mamma, delle giornate con papa o con le mie sorelle, magari portandole al concerto dei loro artisti preferiti. Per fortuna mi portavo sempre con me un pezzettino di casa, i miei migliori amici, erano una vera e propria benedizione. Ogni momento della mia vita ringraziavo Dio. Da quando eravamo diventati famosi, avevo visto tantissime città del mondo e ognuna era spettacolare. Portavo sull'anima i nomi di ogni città e i segni di ogni persona che avevo incontrato e che in qualche modo mi aveva aiutato. Eppure, non sapevo per quale ragione, c'era sempre qualcosa che mi turbava. Di carattere ero sempre stata una persona allegra e solare, eppure a volte alcune parole, alcuni avvenimenti mi si bloccavano in gola, formando un nodo che non riuscivo a sciogliere. Ma le mie labbra si piegavano sempre in un sorriso, non potevo fare a meno di rallegrarmi della vita e di ciò che mi offriva. Ciò che mi turbava era essenzialmente l'amore. Quel sentimento che turbava contemporaneamente milioni e milioni di adolescenti. Sapevo bene di essere giovane e di non dover prendere troppo sul serio le prime cotte della nostra età. Mi veniva difficile lo stesso ignorare il fatto che l'amore facesse male. In una situazione normale, ovvero senza la notorietà, con i piedi ben saldati al suolo e una città fissa in cui vivere, probabilmente sarebbe stato tutto più semplice. Le paure si sarebbero dissolte. Perché il nostro problema era il semplice fatto che eravamo sempre costretti a stare sotto pressione senza una vera e propria vita privata. I ragazzi cercavano di darci privacy intuendo la nostra situazione, ma c'era sempre qualche impegno come le interviste, i concerti, gli incontri con i fans e mantenere una vita privata fuori dalla band era un vero e proprio casino. Ecco cosa rimpiangevo; ciò che saremmo potuti essere io e lui fuori dal mondo dello spettacolo, senza essere Hayley la cantante e Josh il chitarrista. Senza essere Paramore. Solo Hayley e Josh, nella maniera più naturale possibile. Avevamo paura delle conseguenze delle nostre azioni in caso la notizia della nostra relazione fosse stata messa in giro. O meglio, io non avevo paura di niente, ma forse Josh un po' si. Aveva paura che la relazione avrebbe potuto rovinare l'armonia della nostra band, ormai compatta e indivisibile così com'era. Io restavo dell'idea che molte persone sospettassero già che c'era qualcosa tra noi due, ma tutti ci avrebbero sostenuto comunque. Quindi io non la pensavo come Josh, forse perché ero testarda e troppo innamorata come diceva Jeremy, lui che era il mio migliore amico e mi conosceva più di tutti. Senza di lui che mi controllava e aiutava, non sarei mai potuta crescere e diventare ciò che ero. Lo conoscevo da sempre, era come un terzo genitore, solo sempre con me. Avevo quindi un bel casino in testa oltre al continuo viaggiare verso nuove mete e città mai visitate.

Hayley, dobbiamo rientrare sul bus. Arrivi?” disse una voce dietro di me. Era proprio Josh.

” dissi, senza voltarmi. Continuai a fissare il mare della Florida con la consapevolezza che stavamo partendo un'altra volta verso nuove nuvole, nuovi soli, nuovi palchi e sopratutto nuovi divertimenti. Perché viaggiare con i propri amici in tour, nonostante la malinconia perché questo si avviava verso la fine, era anche divertimento. Era serate svegli sino a tardi, musica alta, negozi quando avevamo tempo e poi stare insieme. Era strano come ci eravamo trovati, così perfetti da poter stare insieme ogni minuto delle nostre giornate, così in sintonia. Non con molte altre persone mi sarei presa la stessa confidenza che avevo con Jeremy, Josh, Zac e Taylor.

Hayley, dobbiamo prendere un aereo! Vuoi restare in Florida?” Mi voltai, mentre l'autista metteva in moto, cercando di mettermi fretta.

Beh, non credo riuscireste a trovare un altra cantante come me!” urlai ridendo, mentre correvo verso il bus. Salii e partimmo a razzo. Mi accomodai in una poltroncina e mi allungai per strappare di mano a Jeremy, che era davanti a me, il panino che stava addentando. Ne strappai un morso sotto il suo sguardo deluso, poi glielo rimisi tra le mani. Josh si accomodò affianco a me, mentre Zac discuteva animatamente con Taylor che saltellava come una scimmietta sul suo stesso posto e gesticolava con le mani, come se volesse dimostrare a Zac qualcosa di molto, molto importante.

Josh mi cinse la vita e Jeremy si girò all'istante, forse per non essere di troppo. Appoggiò la testa al vetro del bus e sembrò addormentarsi. Josh, invece mi diede un lieve bacio sulla guancia, estremamente vicino alle labbra. Rischiava di incatenarmi ancora una volta e non sapevo se ero pronta a cedere. Cercai di distaccarmi.

Dove andiamo stavolta?” dissi, cercando di distrarlo.

Europa” disse, attirandomi a sé.

In quale stato?

Germania” mi sussurrò all'orecchio.

E..” iniziai a dire, ma non sapevo più cosa chiedere.

E ora zitta” concluse la mia frase. Non ribattei, ormai stava buttando giù le mie fragili mura di cartapesta, come sempre. Non potevo resistere.

Posso dire solo un altra cosa?” chiesi il permesso.

Sì, solo una

Tienimi al sicuro tra le tue braccia, come torri” dissi, citando una delle nostre canzoni, quella che si adattava di più al momento, poi chiusi gli occhi.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo. ***


Neve che cadeva sopra una casetta, una pista da pattinaggio di ghiaccio con un bambino incollato sopra, alberi e un pupazzo di neve, dentro a una pallina di vetro. Comprai quel piccolo souvenir in Germania, appena arrivammo nella città in cui avremmo svolto il nostro prossimo spettacolo. Non riuscivo a ricordare il nome di quella città, nonostante me l'avessero ripetuto svariate volte. Forse per la pronuncia difficile, forse perché visitavo così tante città che le lettere andavano a confondersi tra di loro, creando nuovi nomi. Avevo fantasia da vendere. Vidi la vetrina del negozio di manufatti già da quando ero sul bus e non potei fare altro che avvicinarmi e rimanere a guardare meravigliata. I ragazzi mi seguirono un po' intontiti dal lunghissimo viaggio in aereo e il trasferimento in bus. Era qualcosa di distruttivo dover stare seduti sulla poltroncina dell'aereo per ore e ore, alzarsi e sedersi subito dopo su quella del bus. Non che non fossero comode, ma dopo un po' il tuo sedere cominciava a prendere la forma di un cuscino imbottito e le gambe urlavano di volersi muovere, volevano sgranchirsi. Devastante. Saltellai di qua e di la ed entrai nel negozio di manufatti. Rimasi subito incantata dalle palline di vetro, quelle da agitare, contenenti una vera e propria vita al loro interno. Rimasi un po' di tempo, lì davanti a osservarle tutte. Ce n'erano di una gran varietà, tutte con personaggi diversi al loro interno, persino piccole riproduzioni di qualche monumento tedesco, ma alla fine comprai quella con la casetta, il bambino che pattinava sul ghiaccio e gli alberi. Continuai ad agitarla fino a che non salimmo nelle nostre stanze d'albergo e la posai sul comodino, affianco al letto.

Sarà la sua prossima fissazione per i prossimi tre mesi” disse Jeremy, mentre si avviava per il corridoio con la borsa in spalla verso la sua stanza. La verità era che quella piccola pallina da agitare per far scendere la neve, mi ricordava quando ero bambina. Quando andavo alla pista di pattinaggio e cercavo di stare in piedi sui pattini. Ma ero goffa e non mi riusciva poi così bene. Tuttavia era divertente, anche cadere e scivolare sul freddo e duro ghiaccio. Guardai il mio nuovo giocattolo per qualche secondo.

Sembri proprio una bambina davanti a un negozio di caramelle, Hayley” disse Josh, che era in piedi davanti alla porta della mia stanza, ma quando sollevai gli occhi si voltò e andò via. Corsi verso la porta, volendolo rincorrere lungo il corridoio per poterlo prendere per un braccio e trascinarlo nella mia stanza, ma rimasi dov'ero, sentendo altre parole provenienti dalla stanza dall'altro capo del corridoio.

Non so come fai a vestire così tanta innocenza” disse. Sentii la porta chiudersi e nessun altra parola provenire dall'interno della stanza. Sospirai e cominciai a sistemare la mia roba, con la consapevolezza che qualche giorno dopo avremmo di nuovo smontato le tende in fretta e furia. Almeno per un po' avrei potuto far finta che quella era la mia casa. L'unico dettaglio simile a casa mia era il letto semplice, con la testiera in legno e i muri bianchi. Ma la mia camera aveva tutto un altro odore. Per non pensare ai ricordi che ancora a volte mi sommergevano e a quelli che molto probabilmente erano i miei problemi, indirizzai la mia mente verso qualcosa di diverso. Sperai che in quei giorni in Germania, una città a parere di molti così bella, avremmo avuto qualche giorno di libertà per poter girare liberamente, andare nei negozi e quant'altro. In ogni nuova città che visitavo, mi piaceva guardare i posti più importanti e famosi e fare compere, perché dopotutto avevo sempre bisogno di indumenti nuovi e accessori. Ogni città che visitavo diveniva un pallino rosso sulla cartina che mi portavo dietro e un nuovo nome sul mio diario, quello in cui incollavo una particolare foto del tour con una piccola frase sotto. Dopo aver sistemato le cose per la camera, guardai l'orologio sul mio comodino. Almeno per quella sera non avevamo niente da fare. Non sino alle nove, quando saremmo andati a cena da qualche parte. Avevo decisamente paura di rimanere da sola in quella stanza, mentre tutti gli altri riposavano e la mia mente veniva affollata da pensieri non esattamente felici. Non volevo piangermi addosso. Allora, improvvisamente decisi che non potevo stare ferma a far nulla per le prossime tre ore. Mi infilai una giacca, una col cappello e prima di lanciarmi fuori dalla porta, nel corridoio, guardai il mio riflesso allo specchio della camera. Capelli rossi sbiaditi, fin troppo forse, avevano bisogno di essere ricolorati. Li nascosi sotto il cappello della giacca. Fuori da quella porta, purtroppo nessuno doveva riconoscermi, se ero da sola. Occhi verdi luminosi e spalancati pronti a vedere il mondo. Labbra che si inclinavano in un sorriso. Quella ero io. Hayley Nichole Williams non si piangeva addosso. Hayley non aveva tempo di sentirsi dispiaciuta o triste. Acchiappai la mia pallina di vetro, quella con dentro la neve, l'infilai in tasca e mi lanciai fuori dalla stanza, avviandomi lungo il corridoio. Ero perfettamente coperta, nessuno poteva riconoscermi, non se tenevo lo sguardo fisso sul pavimento, ovunque andassi. Controllai distrattamente che le porte dei ragazzi fossero chiuse e che nessuno fosse in giro, poi mi diressi verso l'uscita di quel posto. Evitai anche di passare davanti alla reception facendomi notare troppo, altrimenti qualcuno avrebbe potuto fermarmi, dicendomi che non potevo uscire da sola. Motivi di sicurezza. “Beh, al diavolo i motivi di sicurezza!” esclamai nella mia mente, come se qualcuno mi stesse davvero rimproverando. Uscii nella fredda atmosfera tedesca. La strada era essenzialmente vuota e cominciai a incamminarmi a testa bassa lungo il marciapiede grigio. Camminai a lungo, cominciando a pensare a cosa avremmo fatto io e i ragazzi dopo quel tour. Ogni giorno era un passo verso la fine. Quando avremmo finito probabilmente avremmo scritto nuove canzoni, nuovi suoni, avremmo inventato nuove emozioni. La mia mente cominciava già a frullare parole apparentemente senza significato insieme mentre un rumore di sottofondo le accompagnava e quasi riuscivo a vedere davanti ai miei occhi le dita di Josh che si spostavano e pizzicavano le corde. Pensai distrattamente che se mai avessi voluto creare dall'inizio un'emozione o una sensazione sarebbe stata quella di desiderare dei nuovi occhi. Occhi nuovi di zecca, per vedere il mondo con altre prospettive. Scossi la testa per mandare via il pensiero di Josh, sorprendendomi di quanto non riuscissi a pensare a me stessa neanche quando ero da sola, di quanto non riuscissi a essere minimamente egoista e guardai la città da sotto il mio cappuccio nero. Chissà come sarebbe stato vedere quella città dal nome impossibile con nuovi occhi. Forse i marciapiedi mi sarebbero sembrati più colorati e gli edifici meno maestosi e pungenti. Io in confronti mi sentivo quasi una bambolina di porcellana. Avrei voluto al più presto i miei occhi nuovi di zecca. Ma continuai a camminare fino a che non arrivai a un piccolo parco colmo di alberi. Le persone che mi passavano affianco non mi degnarono minimamente di uno sguardo quando mi lasciai cadere su una panchina a caso e tirai fuori la mia pallina colma di neve, cominciando ad agitarla. La neve roteava e cadeva intorno alla casetta, proprio come stava succedendo in quel momento intorno a me. La neve cominciò a cadere in piccoli fiocchi candidi e fragili, ma io non mi mossi di li. Rimasi del tempo a contemplare la neve cadere e ricoprirmi un poco.

Che ci fai qui, tutta sola?” chiese una voce profonda, accanto a me. Jeremy.

Guardo la neve” dissi, secca. Jeremy per me era come un fratello, il mio migliore amico da una marea di tempo, ma un po' mi infastidì la sua presenza in quel momento di intima solitudine con la mia mente vuota e la neve candida.

Cosa ti turba?” chiese, ignorando il mio tono non esattamente cordiale, in quel momento.

I sentimenti. I sentimenti mi turbano” dissi, senza pensarci troppi, osservando un fiocco di neve caduto sul palmo della mia mano che piano piano si scioglieva.

Josh non vorrebbe vederti così” iniziò “E in verità neanche io e nessun altro dei ragazzi

Cosa ti ha spinto a citare per primo il nome di Josh?” mi voltai a guardarlo. Sapevo già qual era la risposta, ma attesi. Volevo che le mie risposte venissero fuori dagli altri, non da me.

Il fatto che, Josh tenga a te più di qualsiasi altra cosa al mondo” disse “Sei vita, per lui

Menti” dissi, recuperando il tono di poco prima. Non ero sicura sul fatto che mentisse o meno, sapevo di essere importante per Josh, ma i miei sentimenti per lui e le sue uscite su come nascondere il nostro rapporto facevano andare il mio cervello in conflitto, come se i miei neuroni salissero sull'autoscontro.

Come potrebbe Jeremy mentire ad Hayley?” disse una voce alle mie spalle “Ti giuro sul mio Dio, che tutto ciò che ha detto è vero” Anche senza voltarmi, sapevo di chi era quella voce, frizzante e calda che rompeva l'aria fredda di quella sera. Jeremy si alzò e si avviò lungo la strada di ritorno verso l'albergo, mentre io rimasi sola con Josh. Quella sera, era una sera perfetta per farmi tormentare ancora dal suo profumo o dalle sue labbra anche se non ero del tutto in vena. Per quanto mi riguardava ero sul filo di un rasoio. Potevo cadere da una parte o dall'altra, avrei trovato due realtà diverse e uguali allo stesso tempo. Josh sarebbe stato nella mia vita in entrambe le realtà, con il cuore troppo vicino o troppo lontano dal mio, chi lo sapeva?

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto. ***


Durante le vacanze di Natale ci sentivamo tutti veramente più buoni. Con lo spirito vivace di quella festa e il cuore colmo di neve, tra le luci rosse e intermittenti della città, tornammo ognuno nella propria casa. Tornammo a casa per la solita pausa natalizia da tutti i nostri impegni e in generale persino da noi stessi, dalle nostre anime da palcoscenico vistose e conosciute. Per una ventina di giorni eravamo semplici cittadini, in una città in cui tutti ci conoscevano e non eravamo costretti a stare al centro delle attenzioni. Tutti erano abituati alla nostra presenza. Erano passati giorni dall'ultimo incontro con i nostri fans e dall'ultimo spettacolo. Si prospettavano dei giorni di festa tranquilli, tra le cioccolate calde, il terreno ghiacciato, i pupazzi di neve e il tepore della casetta della mia famiglia. Durante quelle vacanze, proprio come i ragazzi, avrei passato il Natale in famiglia, come era successo l'anno prima; durante l'anno era poco il tempo che potevamo passare con i familiari, perciò era bene sfruttare quello che ci veniva concesso. Con l'avanzare delle vacanze, iniziai a comprare dei regali per tutti, specialmente per i miei genitori e le mie sorelle, nelle città che visitavamo; un souvenir, qualcosa dal mondo che potesse dare l'impressione di aver visitato quel luogo con me. Per i ragazzi, sarebbe stata tutta un'altra storia; tutto sommato non ero così brava a fare regali e loro potevano avere tutto ciò che desideravano, non c'era bisogno che anche a loro comprassi un regalo in ogni città, contando anche il fatto che i fans ogni volta ci riempivano di ogni sorta di pensierini (peluche, lettere, sciarpe, berretti, bracciali e collane). Perciò mi sarei limitata a un piccolo regalino. Il ventitré Dicembre, ero la persona più felice del mondo. Dopo aver ricolorato i miei capelli di quel rosso fuoco tanto amato, mi sentivo quasi nuova, sotto il cielo cupo di Nashville. Ogni preoccupazione di quel periodo, lontano dalla pressione del palcoscenico e della notorietà era praticamente svanito. Mi sentivo leggera e libera. Nonostante il freddo, quel giorno, decisi comunque di avviarmi con le mie sorelle McKayla e Erica per i negozi della città; era da tempo che promettevo di portarle da qualche parte e avrei soddisfatto ogni loro piccolo desiderio e allo stesso tempo, in ritardo con i regali per i ragazzi, avrei cercato qualcosa anche per loro, costringendomi a trovare il regalo perfetto anche se all'ultimo momento. La cosa che più mi piaceva delle mie sorelle, era forse che continuavano a vedermi come una sorella maggiore e non come una persona famosa, e poi erano piene di energia, sempre vitali, come se avessero preso da me quel comportamento da uragano. Dimostravo di essere così persino con i ragazzi, durante i nostri viaggi per le città. Ero un po' la mascotte del gruppo, la persona che riusciva a dare gioia a tutti. Io un sorriso ce l'avevo sempre sul viso, e a stento riuscivo a stare fermare, ovunque andassi. La giornata con le mie sorelle, fu divertente. Era come se ci fosse una me triplicata, e questo non mi dispiacque. Trovammo divertimento nel provare i vestiti più brutti e assurdi, spruzzandoci addosso tester di profumi di ogni tipo, impiastricciandoci di creme per la pelle di ogni genere e colore. Sfilavamo tra gli scaffali del negozio di scarpe, con i tacchi alti, ostentando una camminata sexy, benché non fossimo affatto sensuali. Verso il pomeriggio ci calmammo, piene di buste e pacchettini quali eravamo, tutte cose che avevo acquistato per loro e per me, più i regali, così piccoli e stipati infondo alle buste. Il tempo passò troppo in fretta, in un vortice di sensazioni. Il ventiquattro di Dicembre, passai la mattina ad aiutare in famiglia con le ultime decorazioni, poiché desideravo molto addobbare almeno un po' la casa come ogni anno. Dopodiché ebbi a che fare con l'incarto dei regali, che fu la cosa che mi mise più in difficoltà; ma verso il pomeriggio, appena finii il mio faticoso lavoro (e non con scarsi risultati), ricevetti uno squillo di Jeremy, che mi segnalava che era sotto casa. Mi catapultai nel vialetto, trascinando la bustina con tutti i regali, cercando di non dimenticare nulla. Una volta in macchina, ad aspettarmi insieme a lui, c'era la sua ragazza, Kait (una delle tante!) e una delle mie migliori amiche, Beth, quella che conoscevo da più tempo e che riusciva a non dimenticarsi di me, come altre persone avevano fatto a causa della mia assenza. Ci incontrammo tutti a casa Farro per scambiarci i regali e passare insieme il tempo prima di tornare dalle nostre famiglie per la cena. La casa di Zac e Josh era sempre la stessa. Pure le loro camere lo erano; bloccate nei loro ricordi di quando ogni notte dormivano lì. C'erano le chitarre, le collezioni di CD immacolati, perlopiù intrappolati ancora nel cellophane, per non rovinarsi. Le bacchette che Zac utilizzava anni prima e le corde da chitarra spezzate, mischiate a magliette e plettri di Josh, sul letto, vicino ai fogli di carta colmi di parole e la matita sempre spuntata. Tutto aveva odore di esperienze vissute e un po' perse: solo qualche anno prima io e Josh ci chiudevamo in quella stanza a comporre, cantare, senza sapere cosa sarebbe successo in futuro. Come due adolescenti qualsiasi che hanno un sogno che li fa sentire in qualche modo più grandi. 

Hayley, che fai? Mi hanno mandato a chiamarti. Ti stanno aspettando tutti, di sotto”  Taylor si affacciò nella stanza di Josh, richiamando la mia attenzione. Mi disincantai. Ero lì, per posare la mia giacca, non per stare a fissare un punto buio della stanza. Un ciuffo riccio e ribelle cadde sul viso di Taylor. Lo spostò con disinvoltura, ma quello ricadde al posto di prima.

Arrivo” dissi, sorridendo. Quasi ebbi la tentazione di afferrare una delle magliette di Josh stipate sul letto e odorare il suo profumo. Ma seguii Taylor, trattenendomi e mi avviai di sotto, dove tutti mi stavano aspettando per lo scambio dei regali. Ne ricevetti sei. Erano tutti più o meno della stessa grandezza di quelli che avevo comprato a loro. Non troppo grandi, ma uno di essi mi incuriosì più degli altri: era rettangolare e rigido al tatto, perciò immaginai fosse una scatoletta. Tuttavia, anche se avrei voluto aprire quei regali subito, non lo feci, pensando che l'avrei fatto di lì a poco. Mancavano solo tre ore all'apertura dei regali e anche se a volte facevo i capricci come le mie sorelle, alla fine, rispettavo sempre l'orario. Erano ormai le nove, quando tutti cominciarono a tornare a casa e decisi anche io di fare lo stesso, accompagnata da Jeremy. Ma mentre uscivo dalla porta con lui, quando tutti erano già scappati, venni fermata da una mano che mi teneva per la spalla. Josh.

Ti riaccompagno io a casa” disse, appena mi voltai verso di lui “Puoi andare, Jeremy” aggiunse, dopo qualche secondo.

Okay” disse lui, con lo sguardo stranito e non del tutto convinto. Ma si avviò comunque verso la sua macchina e dopo qualche secondo, lo vidi sparire nella sua macchina, poi giù per il vialetto, sparendo nella strada.

Andiamo?” chiese Josh, sbrigativo, spingendomi fuori dalla porta e giù dagli scalini.

Torno subito” urlò dentro casa prima di chiudersi la porta dietro, probabilmente rivolto verso i suoi genitori o Zac. In tutto quel tempo, io non riuscii a dire una parola, come pietrificata. Presi posto nella macchina, nel posto del passeggero e Josh, si mise alla guida. Non riuscii a spiccicare parola neanche in macchina, inspiegabilmente taciturna, guardavo fuori dal finestrino. Forse quello era il nostro vero primo momento di solitudine dopo tanto, tantissimo tempo. Era forse questo che mi metteva in soggezione? I vetri della mia anima tornarono ad appannarsi. Avevo bisogno di dipanare i nodi della mia gola al più presto, mi sentivo a disagio. Prima che me ne accorgessi, eravamo già a casa mia, ma io stavo fissando ancora fuori dal finestrino come persa.

Hayley?” chiese Josh, calmo. Mi voltai a guardarlo “Che ti succede?” aggiunse. Non seppi rispondere, non trovai una risposta adatta, perché semplicemente non sapevo cosa mi stava succedendo. E inizia a non capire più nulla, perché la mia gola si attorcigliava, come lo stomaco e persino la mai mente. Tutto un groviglio. Passarono dei minuti. Lunghi minuti, mentre cercavo di riacchiappare un filo di pensieri che potesse andar bene per quel momento. Ma fu tutto inutile; fu inutile pensare, cercare di capire per l'ennesima volta il motivo di quella strana sensazione che mi stava travolgendo. Guardai lo specchietto retrovisore. Guardai il vischio appeso ad un gancetto, quasi sopra le nostre teste. Guardai lui allungarsi verso me. Le sue labbra erano incollate alle mie. La verità era che, quel giorno, in quella macchina, io cambiai. Invecchiai, morii, rinacqui, facendo spuntare sulla mia schiena delle ali, tra le sue labbra, un po' come una farfalla. Una vita nuova, destinata a morire in un secondo, il secondo successivo alla mia discesa dalla macchina. Le mie labbra erano ancora sporche del suo amore, anche a contatto con l'aria gelida del ventiquattro dicembre.

 

Se c'era una cosa che lui non sapeva ancora, era che, nonostante tutto quell'amore, non potevo continuare a essere l'amante invisibile della sua vita. Io non stavo dietro le quinte di un amore.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto. ***


Mi allontanai dalla sua macchina velocemente, raggiungendo la porta di casa a grandi passi, sotto la nevicata che aumentava la sua intensità. Sentii lo sportello della macchina aprirsi e chiudersi con un colpo secco e sperai all'istante, di riuscire a lasciarmi dietro dei fossati, per farlo precipitare dentro. Se c'era una cosa che lui non sapeva ancora, era che, nonostante tutto quell'amore, non potevo continuare a essere l'amante invisibile della sua vita. Io non stavo dietro le quinte di un amore. Mi sentivo confusa, e innamorata, probabilmente, ma quella situazione non poteva continuare ad andare avanti per tutta la vita. Tirai fuori dalla tasca le chiavi di casa, le girai nella serratura entrando dentro, desiderosa di restare da sola. Stranamente casa mia era vuota e buia. Mi aspettavo come minimo di trovare i miei familiari che già cenavano. Ma la luce dell'ingresso era spenta, come del resto quella della cucina e quella del salotto. Rimasi di stucco, ancora ferma all'entrata. La porta dietro di me, che avevo leggermente socchiuso, si stava aprendo lentamente. Mi voltai a guardare, ancora confusa sul perché i miei genitori, le mie sorelle e il resto dei miei parenti non fossero lì a festeggiare l'arrivo del Natale.

Vai via!” urlai, con tutto il coraggio e il fiato che riuscii a trovare nel mio corpo. Se c'era una cosa che dovevo fare, per non continuare a soffrire per una storia d'amore fantasma, era cominciare a tagliare i rapporti.

Hayley, aspetta” rispose Josh a bassa voce, per niente preoccupato o intimorito dalle mie urla. Cercai di chiudere la porta, ma lui era per metà già dentro casa, pertanto, con la mia piccola e fragile stazza non sarei mai riuscita a sbatterlo fuori. Entrai in casa, lasciandolo sull'uscio, senza degnarmi di accendere alcuna luce. Salii lungo le scale sino ad arrivare alla mia camera, dove mi nascosi, nello spazio tra il letto e l'armadio, sul tappeto. Lacrime calde iniziarono a cadere dai miei occhi. Volevo essere decisa, ma riuscivo solo a essere fragile. Quando riaprii gli occhi, tra i singhiozzi lui era davanti a me, inginocchiato sul tappeto. Si accomodò sul mio letto e mi tese una mano per raggiungerlo. Esitai, ma poi mi sedetti sul letto senza il suo aiuto.

Perché?” chiese “Perché tutto questo, Hayley? Che succede?” Non ebbi il coraggio di rispondere, non subito almeno.

E' così ovvio. Così ovvio che neanche riesci a rendertene conto” Mi limitai a rispondere.

Rendermi conto di cosa?” chiese, stupito. Mi asciugai gli occhi e mi misi forza davanti al suo non capire cosa stava succedendo davanti ai nostri occhi.

Mi tratti come se fossi una bambola. Un giocattolo segreto da mettere via davanti agli occhi altrui. Chissà perché, dobbiamo nasconderci dal mondo” mi bloccai, in cerca di altre parole con cui attaccarlo. Ma improvvisamente non ne trovai altre. Davanti a lui, ogni mia difesa si abbassava e le mie parole diventavano troppo dolci, mentre i propositi coraggiosi andavano a farsi benedire.

Stai zitta” mi sentii per un attimo ferita, dalla sua risposta. Come se non gli importasse niente, come se per uno strano motivo volesse veramente tenerci nascosti al mondo. Posò una delle sue mani sul mio viso. In quella frazione di secondo che mi separava da lui, contemplai il silenzio della stanza e della casa in generale. Poi mi lasciai andare. Quel contatto fisico, era tutto ciò che potessi desiderare in quella fredda nottata invernale.

 

Il risveglio del venticinque Dicembre non fu tragico. Fu stranamente tranquillo, dopo tanto tempo. La mia mente era ghiacciata come sepolta e addormentata da un bel pezzo nella neve. Distinsi a tratti la stanza in cui mi trovavo, con i muri a strisce bianche e rosa, l'armadio bianco, e il resto del mobilio, che poteva essere adatto solo a una ragazza. Poi cominciai a distinguere anche i poster appesi ai muri, e la mia camera prese ad avere la sua solita familiarità. Richiusi gli occhi, felice che la luce del giorno non potesse entrare dalle finestre, semplicemente perché quel giorno, non c'era luce. Solo nuvoloni e un sole nascosto dietro essi. Neve che scendeva già dal cielo, posandosi sul davanzale della finestra, delicata. Bloccai il flusso dei miei pensieri, tastando i miei fianchi nudi sotto la coperta, beandomi delle calde coperte sopra me. Allungai una mano nel letto, sino a scontrarmi contro un altro corpo nudo e caldo. Pelle liscia e immersa nel torpore del sonno. L'accarezzai, lievemente. Evitai di far tornare alla mente come ero arrivata sin lì, in quel letto con lui. Tuttavia, mi fu impossibile tenere del tutto alla larga i pensieri e fui costretta a ricordare.

Lui, dormiva beatamente sotto le mie coperte, respirando tranquillamente. Forse sognava.

Io, sperai invece di non sentirmi in colpa, almeno non quel giorno, non troppo presto.

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto. ***


“Tanti auguri, Hayley” diceva una bella grafia, su un biglietto sotto il mio albero di Natale. Il natale era passato da due giorni, ma quell'albero era di nuovo colmo di pacchettini. Potevo immaginare che anche tutti gli altri pacchetti portavano la solita scritta di auguri di buon compleanno. Nella luce del salotto della mia casa, ancora addormentata, presi i pacchetti e alcuni me li misi in grembo, altri sul divano accanto a me. Li smistai, guardando chi me li aveva lasciati. C'erano i regali di Jeremy, Taylor, Zac, quello dei miei genitori, quello delle mie sorelle. Rovistai ancora, sino a trovare quello che stavo cercando. Il pacchetto era piccolo e il bigliettino attaccato portava la scritta “Buon compleanno. Josh” scritto anch'esso in bella grafia. Agitai il pacchetto, sentendo dentro qualcosa di piccolo e leggero che sbatteva da una parte all'altra della scatolina facendo un leggero rumore. Li misi in un angolo, con il cuore in gola e iniziai a scartare gli altri regali. Alcuni rivelarono essere cd, pupazzi, capi d'abbigliamento che mi piacquero ma che in quel momento non attirarono troppo la mia attenzione. Il regalo di Josh continuava a guardarmi, con un fare severo, quasi spingendomi ad aprirlo. Così, non avendo altre scuse per rimandare quel momento, afferrai il pacchetto e lo aprii. Feci volare via la carta e il fiocco attentamente e perfettamente sistemati, non rispettando troppo l'impegno di chi aveva fatto il pacchetto, stracciando la carta. All'interno vi trovai una scatolina, una comune scatolina di gioielleria, nera e rigida, liscia e fredda sotto il tatto delle mie dita. Titubante, con lentezza, presi la forza di aprire la scatolina. Mi chiedevo perché avevo così poco coraggio. Era solo un regalo. Cosa mi aspettavo? Una dichiarazione d'amore non sarebbe uscita da quella scatolina, tanto meno Josh. Era una fantasia impossibile.

“Buongiorno” disse una voce assonnata alle mie spalle. Notai che era mia sorella, la più grande, che mi sbirciava da dietro il divano, alle mie spalle. Richiusi la scatolina semi aperta che avevo tra le mani, senza averne scoperto il contenuto. La infilai nella tasca della mia felpa.

“Buongiorno” risposi, ostentando un sorriso. Il mio umore non era dei migliori, ma non potevo certo dimostrare di essere triste per quei pochi giorni che passavo con la mia famiglia. Loro si aspettavano che, come minimo, fossi la stessa ragazza sorridente e scatenata che ero sempre. Eppure, nonostante dimostrassi di esserlo, le ombre mi inseguivano sempre.

“Vuoi che ti prepari la colazione?” chiesi a mia sorella che sbadigliava e si sfregava gli occhi.

“Sì, ho fame” rispose. Mi alzai, sentendo nella tasca la scatolina che mi premeva contro la pancia, e continuava a mandarmi messaggi severi durante tutto il tempo in cui la tenni in tasca, mentre preparavo la colazione. Per occupare il mio tempo, la preparai per tutta la famiglia che di li a poco si sarebbe alzata. Ma appena finii con la mia colazione, mi alzai da tavola e tornai nella mia camera. Lì, presi ancora la scatolina tra le mani e senza pensarci troppo, nella calma e nel silenzio del mattino e della mia camera, la aprii. Una collanina giaceva nella scatolina. Una collanina argentata, la catenina fine e il ciondolo a forma di cuore. La tirai fuori, prendendola con attenzione, quasi avessi paura di rovinarla. Qualcosa nella mia mente, mi fece andare in tilt.

“Ti odio” fu l'unico pensiero che riuscii a fare, senza molta fatica. Lanciai sul comodino la collana, e affondai il viso nel cuscino.

**

Il giorno di iniziare di nuovo il nostro tour, arrivò velocemente. I giorni di vacanza non furono altro che un vortice di felicità a volte finta a volte vera, un vortice di colori che già cominciavano ad appannarsi nella mia mente. Il capodanno passò lento e l'anno nuovo, a detta di tutti sarebbe stato un anno diverso, migliori. Mi chiesi in cosa potesse essere migliore o diverso, un anno che cominciava con il precedente e come il precedente sarebbe con tutte le probabilità finito allo stesso modo. Avevo preparato una lista di buoni propositi che non ero intenzionata a seguire. L'avevo fatto con le mie sorelle, per mantenere con loro le abitudini di sempre, di ogni anno, perché a loro piaceva. In quelle giornate fredde, prendere un quaderno e scrivere i nostri buoni propositi davanti al caminetto e con una cioccolata calda in mano era confortante, una routine. Alla fine, confrontavamo tutti i i buoni propositi degli anni precedenti e neanche uno era andato a buon fine. Il pensiero di affrontare un altro lungo viaggio con la mia band mi rallegrava. Mi rallegrava ma allo stesso tempo mi atterriva pensare che ci sarebbe stato anche Josh. Sempre lì, come un'ombra, sempre lì ad osservarmi, con i suoi pensieri confusi sul nostro “amore”. Era difficile definire amore una relazione del genere, la nostra. Mi confortava che i ragazzi e in particolare Jeremy fossero li a sostenermi quando le cose sarebbero andate male. In particolare, quell'anno, avevo deciso di iniziare un nuovo lavoro. Il nostro prossimo album sarebbe uscito alla fine di quell'anno e io avevo già buttato giù delle bozze delle canzoni che poi avrei sottoposto ai ragazzi. Un altro dei nostri sforzi, sarebbe poi stato ripagato con l'appoggio dei nostri fans.

“Sei pronta, Hayley?” chiese mio padre, sulla porta mentre raccoglieva la mia valigia.

“Sì” il viaggio ricominciava di nuovo da quel momento. Mio padre mi aiutò, portando la mia roba fuori. Avevo messo nelle valigie anche gli ultimi regali che mi erano stati fatti, tra cui i cd, i libri che sapevo non avrei avuto troppo tempo di leggere, l'abbigliamento che avevo avuto tempo di misurare e notare mi stesse a pennello, e infine la collana di nuovo nella sua scatolina. Jeremy aspettava già fuori casa, con la macchina. Mi aiutò a sistemare la roba nel cofano della macchina e insieme ci avviammo verso l'aeroporto. Verso il nostro aereo, verso un altra città, un altro palco, un'altra camera d'hotel lussuosa e povera di familiarità. Tenevo la collana nella tasca del giubbotto, toccandola di tanto in tanto. All'aeroporto, i ragazzi erano già tutti davanti all'entrata. Josh era leggermente in disparte, ma guardava nella mai direzione e ogni tanto abbassava lo sguardo. Taylor sembrava il più felice di vedere me e Jeremy arrivare. Si sfregava le mani, l'una contro l'altra per farsi calore.
“Finalmente siete arrivati!” esclamò, felice. Sorrisi. Una cosa buona dello stare con la mia band era che, c'era sempre qualcuno pronto a donare un sorriso. Taylor era sempre felice di partire, tutti insieme. E ritrovai quella gioia anche io, grazie a lui, pensando che sarebbe stata un'altra avventura. Nel momento in cui dovevamo entrare all'aeroporto, Jeremy, Zac e Taylor mi sorpassarono e cominciarono a camminare veloce, davanti a me. Era il giochetto che facevano di solito, quando per volere mio o di Josh volevano lasciarci da soli. Quella volta sembravano aver preso l'oro l'iniziativa, perché Jeremy prese la mia valigia e se la portò dietro e Zac trascinò via quella di Josh. Io e lui rimanemmo da soli, davanti all'entrata. Mi trattenne tenendomi per un braccio, per non farmi entrare.

“Non hai al collo la collana che ti ho regalato” disse. Sapevo che il suo sguardo su di me era più attento di quello di qualsiasi altro. L'avevo sempre pensato e quella non era che la conferma.
“Ce l'ho.. è qua” risposti, tirandola fuori dalla tasca, senza avere il coraggio, neanche per un attimo di guardarlo negli occhi. Mi prese la collanina dalle mani e, spostandosi alle mie spalle, me la mise al collo.

“Dovresti metterla sempre. Ho pensato subito a te, quando l'ho vista. E con questa, mi porterai sempre addosso. Vicini, sempre.”

“Vorrei fosse così facile” furono le uniche parole che riuscii a pronunciare, mentre fissavo i leggeri fiocchi di neve che riprendevano a cadere dal cielo. Non mi rispose, ma vidi che aveva un'espressione strana in volto. Come se volesse dirmi qualcosa e non ci riuscisse. Ma per quella volta, lasciai perdere. Mi abbandonai a un bacio e cercai di godermi quella poca calma che la neve mi donava, come stesse nevicando direttamente sul mio cuore.

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