L'Eredità

di yliean
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Prigioniera ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 PROLOGO
Negli ultimi anni la mia vita si è ripetuta uguale, di giorno in giorno. Ogni mattina per me è diventato indispensabile correre tra gli alberi, sentire il vento, nei capelli, che investe il viso con tutta la sua potenza, ascoltare il bosco respirare e crescere e assaporare la sensazione dei piedi nudi sull’erba, soffice, bagnata dalla rugiada mattutina: essere un’unica cosa con la natura. Io sento la natura, sono un tutt’uno con essa, lo sono sempre stata, fin da quel giorno di 16 anni fa, quando aprii i miei grandi occhi marroni sul mondo.
Ho sempre vissuto nel bosco, prima con il mio villaggio, poi con le ninfe. Gli alberi sono perciò i miei unici veri amici e le ninfe le mie sorelle. Io non sono una ninfa però. Io appartengo a una razza ormai estinta, unica discendente di una stirpe eliminata dalla faccia della terra. Quegli stessi esseri che condividono una parte del mio sangue ne hanno fatto piazza pulita. Non esisto che io a ereditare  e testimoniare ciò che loro hanno combinato. Grava sulle mie troppo giovani spalle il peso dell’odio, del desiderio di vendetta, del voler vedere scorrere il sangue di quegli assassini. Strano che siano considerati la razza eletta dalla natura, la più raffinata e la più sensibile. D’altro canto nessuno sa o ricorda il loro atroce delitto. Si è persa memoria già da molto tempo dell’esistenza della mia razza mista, e tutto per colpa loro che ci hanno distrutti senza che il resto del mondo potesse immaginare gli scempi che compivano.
Mio nonno che era il re di una tribù, era stato catturato da quella razza infame, che desiderava conoscere i piani del mio popolo. Ma il mio popolo non aveva  piani malvagi. Noi vivevamo in pace,con i villaggi, le tribù, la famiglia e le altre razze di Alagaesia. Poi arrivarono loro: saccheggiarono, uccisero e distrussero. Io non ho assistito che all’ultimo di questi delitti, ma mia madre me ne narrava sempre. Dopo la sua morte io sono rimasta sola in questa terra in cui l’unica cosa che possa ricordare la mia specie sono io e la catenina che porto al collo. Il suo ciondolo, una M cancellata e circondata da un cerchio, è l’ultimo simbolo della mia stirpe. È quello stesso simbolo che si trova sulle uniformi dei soldati di Galbatorix. Il mio simbolo puro è, in questo modo, reso oscuro e malvagio, da quel tiranno che da secoli sta distruggendo Alagaesia.
Io non posso protestare, far conoscere al mondo il vero significato del mio simbolo, e neanche provare a salvare la mia terra. Abito nel territorio dell’impero, uscire dalla foresta significherebbe farsi ammazzare o essere catturati, torturati e costretti a servire quel mostro. Potrei fuggire dai Varden e aiutarli, anche se non si fiderebbero mai di me, portando il simbolo, divenuto di Galbatorix, al collo. Non voglio recarmi da loro: abbandonerei la mia pacifica e sicura vita nella foresta, tra le ninfe, la razza migliore di Alagaesia nel nascondersi e proteggersi. Ma fattore più importante: nella guerra contro Galbatorix,  i Varden sono i principali alleati degli sterminatori della mia razza. Non oso pensare cosa succederebbe se mi vedessero. Non immaginano che ci sia ancora io a ricordare la loro vergogna, che hanno cercato di nascondere con tanta attenzione: infatti, non hanno solo ucciso la mia gente, uomini, donne e bambini; lo hanno letteralmente cancellato, alfabeto, lingua, cultura e tradizioni.
Io non devo morire per mano loro, io resterò, come testimonianza.
E comunque, anche se potessi essere accettata dai Varden, persino dai loro alleati più cruenti, sarebbe impossibile vederli e  non tentare di ucciderli, ma combattere con loro sarebbe un’azione suicida. Inoltre io non voglio e non posso combattere.
Il giorno che vidi quell’ultima azione criminale contro il mio popolo, decisi che non avrei mai preso in mano un’arma, me lo promisi. Come la razza infame sarei potuta, benissimo, cadere in tentazione, uccidere, distruggere e sentirmi immensamente potente. Allora non sarei più stata la testimone di una catastrofe, ma avrei contribuito a crearla. Sarei diventata come loro, un’assassina. Avrei stroncato delle vite, quei doni così importanti regalati dalla natura ad ognuno, distruggendo persone con sentimenti, idee, esperienze; con un passato, un presente e, fino a pochi attimi prima, un futuro.
La mia situazione era quindi di stasi: non potevo fare assolutamente niente per salvare Alagaesia.
Mi costava ammetterlo, ma il popolo eletto dalla natura, con le sue armi e la sua magia, era forse l’unica possibilità di salvezza per Alagaesia e le sue razze. Avevo sentito dire anche dell’arrivo di un nuovo cavaliere dei draghi schierato con i Varden. Era però solo una diceria che circolava tra le ninfe.
Le informazioni riguardo la guerra di Alagaesia giungono rade nel bosco: le ninfe hanno paura ad esporsi troppo al di fuori del bosco, e hanno perciò pochi contati con il resto della terra. Sono solo in contatto tra di loro: ninfe del bosco di sud, nord, est e ovest, con le ninfe dell’acqua sparse, anch’esse, per tutta Alagaesia. E le ninfe della terra sono veramente poche. Tra loro non sono mai avvenute guerre civili, sono tutte unite, tutte si considerano sorelle, motivo per cui sono la razza più protetta da Galbatorix e dai peccati umani.
Io ho vissuto con loro per 12 anni, i primi tre anche con mia madre, poi da sola. La mia vita insieme alle ninfe trascorreva felice, pacifica e serena. Mi sentivo libera stando a contatto con la natura e le ninfe.
Purtroppo arrivò il giorno in cui tutto sarebbe finito. La mattina di quel fatidico dì, correvo, come mia abitudine, serena e felice, tra gli alberi del bosco. Non avevo mai prestato attenzione  a dove e come correvo, perché i miei piedi non scivolavano mai, non si impigliavano nelle radici e mi conducevano sempre nella direzione esatta. La natura mi proteggeva. Così mi parve strano inciampare e sentire il piede impigliarsi a qualcosa. Dopodiché sentii subito un fortissimo giramento di testa e una presente sensazione di smarrimento. Mi ritrovai intrappolata in una rete da caccia, a testa in giù. Come caspita ero finita in una trappola del genere? Sono ben pochi coloro che si azzardano a cacciare in quel bosco, conosciuto da tutti come la dimora di esseri potentissimi e spietati: le ninfe!( Già la gente inventa cose strane. Causa di tutte quelle leggende e tradizioni vudoo!) chi aveva posizionato quella rete? A chi era destinata la cattura? Una cosa era certa: dovevo trovare il più velocemente possibile il modo di liberarmi, magari chiedendo a qualche scoiattolo. Dubitavo fortemente che le ninfe mi avrebbero aiutato!
Sfortunatamente non feci neanche in tempo a mettere in moto il cervello che mi ritrovai davanti un ragazzo, poco più grande di me. Anche se ero a testa in giù vidi benissimo l’espressione sorpresa e curiosa. In effetti per chiunque non fosse abituato alla mia vista dovevo apparire un essere strano: avevo grandi occhi castani, capelli arcobaleno lucenti, pelle olivastra, lineamenti delicati e strane orecchie. E nessuno, a parte le ninfe, era abituato alla mia vista, perlomeno non in Alagaesia. Il suo viso si fece però spaventato quando notò la catenina, che, da quella posizione, mi pendeva sulle labbra. Fui io che lo guardai dura, sorpresa e spaventata, quando notai i suoi strani lineamenti delicati, ma un poco virili, i suoi occhi castani e leggermente a mandorla e le sue orecchie. Tutto, a eccezione degli occhi, mi faceva pensare agli assassini del mio popolo, sia dal remoto ricordo che conservavo del loro ultimo massacro, che dalle accurate descrizioni dei racconti di mia madre: sembrava in tutto e per tutto un elfo.
 Salve a tutti! Questa è la prima  unica ff che ho scritto, circa un anno fa. Non sono mai stata eccessivamente brava a comporre temi e testi e la mia prof mi ripete continuamente che non so scrivere… perciò… insomma… ho un po’ timore a pubblicare questa storia. Tuttavia  vorrei vedere le vostre recensioni, anche critiche.
Come avete potuto notare la mia storia modifica un po’ Alagaesia… spero non vi dispiaccia eccessivamente ma, come ho scritto nell’introduzione, questa è la mia personale interpretazione della magica terra. È la mia Algaesia.
Salve a tutti, baci
Yliean

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


 Cap 1                           L’  INCONTRO

Notai nel ragazzo caratteristiche che facevano barcollare seriamente la mia osservazione. Come già detto, gli occhi erano ben diversi da quelli elfici. Mia madre me ne narrava sempre dei colori splendidi dei loro occhi turchini, argentei o dorati. Raramente poteva capitare, che nascesse, in un’annata speciale, anche un bambino con gli occhi arcobaleno, come mio padre. Ma mai mi erano giunte voci di elfi con gli occhi marroni o scuri. Le iridi stupende di quel ragazzo erano profonde, come pozzi, venate di mille striature e tonalità diverse di marrone. Il secondo motivo riguardava la sua espressione: non aveva la più pallida idea di chi io potessi essere. I giovani elfi avrebbero sicuramente studiato e appreso la storia del massacro del mio popolo causato dai loro avi. Poteva essere anche un ottimo mito da raccontare ai più piccoli, per insegnare loro la potenza degli elfi e il loro predominio universale. Oppure non ne andavano fieri e avevano cercato di dimenticare quella storia per loro vergognosa. Sarebbe comunque risultato impossibile cancellare la storia dello sterminio del mio popolo: un avvenimento così cruento è molto difficile da dimenticare. E la loro ultima azione criminale è molto recente, appena 12 anni, e gli elfi vivono per secoli e secoli. Il ragazzo che mi ero trovata davanti appariva poco più che ventenne, ma impossibile capire l’età di un elfo basandosi sull’aspetto esteriore   (dimostrano 30 anni ma ne hanno trecento!), motivo per cui avrebbe dovuto sapere chi ero e a che razza appartenevo. E se invece, fosse appartenuto a quella razza infame, e non mi avesse riconosciuto, significava che avevo ancora la possibilità di salvarmi la vita.
Chi era quel ragazzo? Era un elfo? Era schierato con i Varden? Probabilmente sì, a giudicare dall’espressione dura che aveva acquisito alla vista del mio ciondolo.  Intanto, i suoi occhi si spostavano velocemente dalla mia catenina ai mie capelli, poi, si posarono sul mio viso. Improvvisamente si fermarono nei miei occhi e li perforarono, con la forza di un uragano.
<< Chi sei? >> mi chiese quasi cattivo
<< Chi sei tu!!?? >> ebbi il coraggio di ribattere, dopo essermi ripresa dallo sguardo ipnotico dei suoi occhi. Se era un elfo non avrei certamente potuto rivelare la mia identità.
<< Mi chiamo Eragon, figlio di Brom, cavaliere dei draghi .>> quelle sole parole fecero scaturire nella mia testa un sacco di domande, dubbi e ricordi.
Era stato un certo Brom a rivelare agli elfi la posizione del mio villaggio, l’ultimo della mia stirpe, in cui io ho vissuto felice per quattro anni insieme ai miei genitori.
Era forse quel Brom che aveva distrutto la mia famiglia? Il ragazzo che avevo davanti era suo figlio? Un moto di odio e di rabbia mi salì al petto, trapassandomi il cuore come una spada. Possibile che il probabile figlio di colui che mi aveva distrutto la vita fosse un cavaliere dei draghi? L’ultimo, quello di cui parlavano le voci sparse dalle ninfe? Ma le ultime tre uova non erano in possesso di Galbatorix?
<< Chi sei? >> mi domandò di nuovo, più nervoso e cattivo di prima. Ma io non potevo rivelarmi, non sapevo ancora se mi potevo fidare. E soprattutto se era il figlio di quel Brom non gli avrei certo detto chi ero.
<< Ti ho fatto una domanda!! >>disse insistente, quasi urlando. Io rimasi muta, con le labbra serrate, per diversi minuti.
Infine il ragazzo si stancò e la rabbia gli salì al cervello:<< Bhè, visto che non vuoi collaborare ti porterò all’accampamento. Forse lì troverai un motivo per parlare! >> All’accampamento??!! La paura mi invase.
<< Di chi??! >> urlai, quasi disperata. Fece un sorrisetto sbieco e malizioso:<< Dei Varden. >>
Eragon portava una camicia bianca sotto una sottile corazza di cuoio borchiata e un paio di pantaloni di pelle, stretti in una cintura, da cui pendeva il fodero di una spada dall’impugnatura meravigliosa. L’arco a tracolla e la faretra confermavano che quel ragazzo era un cacciatore e aveva posizionato la trappola, in cui ero caduta, per catturare un animale enorme. Il cavaliere, allora, da cacciatore esperto, prese un pugnale dalla cintura, tagliò i nodi alti delle corde e le catturò velocemente con la mano sinistra. Intanto con la destra estrasse dalla cintura delle manette di metallo di fortuna, lasciò le corde e si diresse verso di me, legandomi i polsi. Mi fece alzare, tirandomi a forza, maleducatamente e sgarbatamente.( La rete, che mi aveva catturato rimase abbandonata per terra. ) Mi girava un po’ la testa a causa del tempo che avevo trascorso a testa in giù e lui tirandomi in quel modo mi faceva male. Alla fine caddi, ma i suoi modi cattivi non cessarono. << Non sono un animale!! >> sbottai infine. Ma il ragazzo rimase impassibile e dopo poco ci fermammo in una radura circolare, tra gli alberi. Quel luogo lo conoscevo fin troppo bene, sicuramente meglio di quel cavaliere. Avevo la possibilità di fuggire, correre lontano, quando dal cielo si calò, volando in circolo, un drago. Le mie intenzioni si sgretolarono e io non ricordai più niente. Ero semplicemente bloccata a osservare quell’essere meraviglioso, mitico e potete, che si era fermato davanti a noi. Il drago mi guardava, con i suoi grandi occhi gialli intelligenti. Le sue squame erano di un blu meraviglioso, che sfumavano in tante tonalità diverse, a seconda della luce e del posto in cui si trovavano. Il drago chiuse le ali e mi si avvicinò. Per una frazione di secondo provai paura, poi osservandolo mi sentii a mio agio, quasi rilassata. Quando fui quasi per sfiorare le sue squame con il viso << Sei bellissimo >> mi scappò detto. Lui emise un rumore gutturale, rimbombante. E vidi Eragon che stava sorridendo malizioso.
Mamma non mi aveva mai parlato molto dei draghi. Aveva accennato alla loro bellezza , maestosità e intelligenza. Diceva che chi parlava con un drago era una persona speciale, ma, più che altro si era soffermata sulle ultime tre uova di drago purtroppo nelle mani di Galbatorix. Diceva anche che i draghi sono i capolavori della natura, decimati da quel mostro di Galbatorix, che ne pretende persino il possesso. Un uovo, fortunatamente, doveva essere uscito dal palazzo del tiranno a Uru’baen e finito nelle mani di quel giovane dalla parte dei Varden.
<< Non è un lui, è una lei. Si chiama Saphira e per tua sfortuna è molto permalosa. >> disse un po’ più rilassato, rispetto a prima, il cavaliere. Sembrava che il ragazzo facesse di tutto per mettermi paura: un drago arrabbiato sarebbe stato uno spettacolo raccapricciante. Compresi poi che il rumore gutturale di Saphira doveva essere una specie di ristata, quindi non si era arrabbiata ma l’aveva presa sul ridere.
<< Scusami Saphira >> le dissi dolcemente.
Sentivo che di lei potevo fidarmi, ma non ero altrettanto sicura riguardo al suo cavaliere. Mia madre mi raccontava che i draghi avevano una specie di contatto telepatico con i propri cavalieri, perciò dire qualcosa a Saphira significava rivelarlo anche a Eragon.
Dopo questo breve scambio di battute in un’atmosfera abbastanza rilassata, Eragon, più a suo agio, disse: << Andiamo, devi salire su Saphira. >> Il tono della sua voce  era meno duro e cattivo, forse iniziava a capire che io non stavo dalla parte di quel mostro.
Salire sul dorso di Saphira si rivelò un’azione alquanto complessa. Non era semplice salire sulla sua enorme schiena senza usare le mani, ancora legate. Eragon salì dietro di me, per slegarmi, quando fossimo saliti tra le nuvole e reggermi a lui e alla sella.
Infine la dragonessa spiccò il volo. Ben presto rimasi incantata a osservare il panorama: dall’altezza a cui ci trovavamo si poteva scorgere l’intera area coperta dalla mia foresta,i villaggi e le città lontane, i campi coltivati che apparivano di mille colori, i fiumi, i laghi, la grande dorsale e l’orizzonte che correva infinito sul mare. Per quegli istanti sentii i nervi sciogliersi, tra le braccia di Eragon e sul dorso di Saphira mi sentivo al sicuro. Fu in quel momento che sentii una  presenza entrare nella mia coscienza e una sensazione di calore mi avvolse.
<< Eih, ragazza! Sai che hai una mente impenetrabile!? >> sentii rimbombarmi nella testa. Era una voce femminile. Il mio cuore si riempii di gioia, quando mi resi conto che era Saphira.
<< Davvero? >>risposi laconica. Non sapevo neanche che cosa significava avere “una mente impenetrabile!”
<< Mi dici come ti chiami? Almeno non dovrò più chiamarti “ragazza!” >>
Ci pensai sopra.
<< Ti puoi fidare, tranquilla! >>
Non sarei stata in pericolo rivelandole il mio nome.
<< Kiara >> le dissi sicura.
<< Che bel nome melodico! >>
<< Grazie! Anche Saphira è bello! Te lo ha dato Eragon? >>
<< Già…ma anche lui mi aveva scambiato per un maschio…poi tutti i nomi femminili che mi suggeriva erano terribili! Finché finalmente, l’ultimo nome, fu perfetto! Non senti come suona bene? S-A-P-H-I-R-A… >>
<< Sì!! >>confermai e mi misi a ridere… Il mio scoppio di ilarità destò Eragon dai suoi pensieri, e il cavaliere mi guardò cupo.
<< Non sembra che il tuo cavaliere sia molto gioioso, lo sono io che sto andando al macello!! >> mi feci sfuggire mentalmente.
<< Non stai andando al macello!! I Varden sono ottime persone! >> disse irritata. Poi aggiunse:<< Eragon ha altri pensieri, adesso. E uno di questi sei tu! Inoltre ha paura di ciò che potrei dirti sul suo conto. Non sono solo io quella permalosa! >> disse in tono scherzoso e inizialmente un po’ accusatorio, che mi irritò.
<< Tra poco saremo dai Varden >> disse Eragon, rinsavito dai propri pensieri.
La sua affermazione mi fece tornare alla realtà. Ad un certo punto non sentii neanche più il dolce calore della coscienza di Saphira. Avevamo rotto il contatto.
L’accampamento era sempre più vicino. Potevo vedere bene le tende e il posto in cui saremo dovuti atterrare. Era ghermito di gente. Presto mi sarei ritrovata in mezzo ai Varden.

 
N.D.A.
Grazie mille per le vostre  recensioni!! Spero in futuro di riceverne di più ^^.
Mi scuso per l’html del prologo ma non sono molto brava ad utilizzarlo…L
Mi scuso per aver modificato un po’ la trama  di Paolini, a  chi non fosse piaciuta l’idea. L
Mi scuso anche per il nome della mia protagonista, certo un nome comune, ma devo confessare che mi piace tanto!! L
Mi scuso per il ritardo con cui ho pubblicato il primo capitolo; ma devo avvertirvi, con molto dispiacere, che non posterò un capitolo ogni 10 giorni. Questo sarà il minimo lasso di tempo, poiché tra poco inizia anche la scuola. L
CHIEDO VENIA E PERDONO PER QUESTA NOTIZIA!! :D
Sono un po’ lenta a scrivere un capitolo, anche corto, ma non preoccupatevi perché ho già scritto un lungo abbozzo per la trama. Vi voglio comunicare inoltre che i capitoli diventeranno più lunghi…XD
Eh be’, devo confessare che sono ancora molto emozionata per la pubblicazione della mia ff. Un po’ titubante ma emozionantissima.
Baci,
Yliean

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Capitolo 3
*** Prigioniera ***


 Cap 3                             PRIGIONIERA

Come avevo previsto, atterrammo in uno spiazzo di terra battuta, dove trovai ad attenderci, ad una decina di metri circa, un gran numero di persone. La figura più appariscente era, però, una donna dalla pelle stranamente nera, circondata da urgali, nani, maghi, paggi e guardie. Tutti furono investiti dalla tempesta di sabbia che Saphira aveva provocato con le sue ali, mentre atterrava. Passato il vento rosso, Eragon mi rimise le manette, poi scese dal dorso del suo drago e, infine, aiutò me, prendendomi malamente per un braccio e tirandomi verso terra.
Fu quando poggiai i miei piedi nudi sulla sabbia, che la vidi. I miei occhi corsero veloci tra i visi delle persone, ma si fermarono schifati su di lei. Stavo proprio cercando le fattezze di quel viso. Tra la folla c’era un’elfa bellissima dagli occhi dorati (*), che mi guardava insistente. In quell’attimo mi si offuscò il cervello e una rabbia ceca mi colpì al cuore, come una freccia avvelenata. Quelli erano gli occhi di un’assassina, che, come chiunque appartenesse alla sua razza, aveva distrutto la mia vita. Un lampo attraversò i suoi occhi stupendi, che acquisirono la luce della consapevolezza. Mi aveva riconosciuto. E la mia comparsa doveva farle paura. Ora tutti avrebbero conosciuto la loro vergogna, il loro inutile massacro di una razza di Alagaesia. Magari, i Varden li avrebbero condannati a morte, e loro, sarebbero spariti, cancellati, come fecero con la mia stirpe. E se non li avessero sterminati i Varden, allora, lo avrei fatto io, torturandoli e facendoli soffrire. Mi sentii malvagia, cattiva come non lo ero mai stata. Sentii il dolce sapore della vendetta, assaggiai un ipotetico sapore di sangue e, per poco, ne provai piacere. Ciò mi fece schifo. Ero caduta in tentazione. Sarei diventata come loro, se non fossi fuggita dai Varden in tempo. Sarei diventata io stessa il mio nemico e avrei fatto la cosa che più disprezzavo: avrei ucciso.
Distolsi il mio sguardo da quello dell’elfa e lo posai sul viso di Eragon, che, assistito da un paggio, stava scaricando dal dorso di Saphira le borse e le provviste. Quando lo osservai negli occhi notai subito la differente impressione che procuravano, rispetto a quella gelida delle iridi dell’elfa: il loro colore scuro li rendeva più caldi e affidabili, anche se sembravano stanchi e rassegnati. Il mio intuito mi urlava che lui non apparteneva a quella terribile razza.
Mentre Eragon e le persone tra la folla erano occupate, o a parlare tra loro o, come il cavaliere, a finire di disfare i bagagli, io ero ancora immobile e poco considerata. Se volevo scappare quello era il momento giusto. Dove, però? Il più lontano possibile dall’accampamento, naturalmente!
Allora le mie gambe si mossero da sole. Mi misi a correre nella direzione opposta alle tende. Dopo poco, sulla terra battuta, iniziai a sentire fili d’erba che mi carezzavano la pianta del piede, infine c’era solo erba. Il terreno era della stessa consistenza di quello del bosco, di cui sentivo già abbondantemente la mancanza. Per fortuna stavo scappando per farvi ritorno, e per arrivarvi il più velocemente possibile, costrinsi i muscoli delle gambe a fare gli straordinari. Il mio desiderio di tornare nella foresta era incontenibile, così accelerai come mai avevo fatto in precedenza. Ma corsi per poco, perché davanti a me atterò maestosa Saphira e subito dopo mi ritrovai schiacciata sull’erba, da un corpo. Esso si alzò e mi strattonò con malagrazia. Solo Eragon sapeva essere così sgarbato. Il ragazzo sospirò esausto ed esclamò ironico:<<  Come corri veloce ragazzina! >>  lo guardai spietata e a stento trattenei il mio commento cattivo:“ Merito del mio desiderio di liberarmi al più presto di te e dei Varden!! ” Pronunciare una frase così puntigliosa avrebbe potuto seriamente mettermi in una spiacevole situazione, anche più pericolosa di quanto già non fosse, in particolar modo se il cavaliere si fosse rivelato molto permaloso, come  sosteneva Saphira.
Mentre tornavamo insieme a Saphira nello spiazzo di terra battuta, la signora dalla pelle nera mandò due Kull enormi a sorvegliarmi. Lei doveva essere sicuramente la regina. Il suo portamento autoritario e il numero di guardie di cui era circondata lo confermavano. Ma era una donna molto giovane (25 anni) e, soprattutto, molto bella. Indossava un vestito rosa chiaro, che risaltava molto sulla sua pelle scura, bordato da fili e disegni in oro e argento, e  i suoi capelli, scurissimi, erano tenuti ordinati in treccia, arrotolata sull’alta nuca. Con la schiena ritta si avvicinava a noi, insieme al suo plotone di guardie, e all’elfa. Quando ci trovammo a meno di un metro di distanza, Eragon s’inchino valorosamente e anche Saphira abbassò leggermente la testa. Ebbi l’innata sensazione di trovarmi davanti ad una grande regnante, che si faceva amare dai suoi sudditi.
<< Nasuada, Arya, Orik, Jurmundur, Nar Garzhvog, Orrin… piacere di rivedervi.>> annunciò Eragon, però, furono ben poche le persone che prestarono attenzione alle sue parole perché erano tutte impegnate a squadrarmi. Solo l’elfa mi guardava diretta, negli occhi, e io tornai a sentire l’odio e il desiderio di vendetta. Poi la regina notò il mio ciondolo e anche lei mi guardò negli occhi.
<< Chi sei? >> mi domandò la regina, scura in volto. Quella domanda era diventata monotona… come la mia risposta inesistente. Rimasi muta, come sempre.
<< Non penso te lo dica >> Intervenne Eragon, che le era accanto.
<< l’ha detto solo a Saphira, che, oltretutto, non me lo vuole rivelare… >> continuò poi. La mia sensazione era esatta: di Saphira ci si poteva fidare e, a quanto pareva, la dragonessa poteva nascondere qualche informazione al suo cavaliere.
<< Mi ha solo annunciato che non è pericolosa. >> finì il moro.
<< Sai quanto mi fidi del tuo parere Saphira, ma io devo garantire il bene dei Varden. >> disse la regina rivolgendosi direttamente a Saphira.
<< Non posso evitare di sottoporti all’esame della mente, avendo come prova della tua bontà solo l’opinione di Saphira. Invece, visto che porti quel simbolo al collo ed eviti di rispondere alla mia domanda, dovrò sottoporti a controlli più accurati. >>annunciò, poi, rivolgendosi a me.
<< Portatela nell’area prigionieri. >> ordinò agli urgali.
<< Se collaborerai e ti lascerai esaminare, potrai essere libera. Ma dobbiamo assolutamente capire chi tu sia realmente, in qualunque modo. È per il bene di tutta Alagaesia, capito? >> mi consigliò a pochi centimetri dal viso. Mi aveva appena minacciato, per caso? Era seriamente un modo per dire “ O confessi spontaneamente, o lo farai comunque sotto tortura ”? Oppure me lo aveva detto solo per impaurirmi? Tuttavia quella frase sembrava contraddire le sue precedenti parole rivolte a Saphira. Non sembrava fidarsi davvero del giudizio della dragonessa.
Al comando ricevuto dalla regina, gli urgali enormi mi portarono nella tenda adibita a prigione. Prima di giungervi, però, attraversammo buona parte dell’accampamento e io fui esposta agli sguardi curiosi, spaventati e, alcuni, anche spietati della popolazione Varden. Sicuramente avevo un aspetto penoso, con il vestito verde stropicciato e sporco, i capelli incrostati di sabbia e, probabilmente, puzzavo anche di sudore! Gli alleati contro Galbatorix, però, mi disprezzavano come se fossi stata un mostro, un essere degno solo di morire, e, allo stesso tempo, un’attrazione turistica indecente.
Quando arrivammo nella tenda, i due esseri enormi, (e loro puzzavano davvero), mi legarono i polsi al palo di legno, che sorreggeva la tenda in mezzo alla stanza. Terminata l’operazione uscirono dalla mia prigione, senza dire una parola, abbandonandomi a me stessa. Rimasi completamente sola in quella tenda tetra. Cosa ci facevo legata e imprigionata lì, io? Non avevo commesso alcun crimine! Dovevano imprigionare gli elfi! Erano loro i criminali! Erano gli assassini! Loro avevano distrutto, ucciso e massacrato! Loro si erano resi pari a quel mostro di Galbatorix!  Se la regina mi avesse lasciato in quella tenda avrebbero ucciso anche me! Ero io la vittima! Loro avevano distrutto la mia famiglia! Era colpa loro se non avevo più un padre e una madre!
Le lacrime mi salirono agli occhi e piansi. Piansi a dirotto. I miei singhiozzi erano disperati: avevo perso tutto. Io, non avevo più nulla. La mia casa era lontana chilometri, i miei unici amici, pure. Mi avevano sradicato già due volte dalla mia casa, prima, bruciando il mio villaggio e costringendomi a fuggire, poi, rapendomi dalla mia dimora nella foresta. Ora, ero sola. Non sarei potuta sopravvivere a lungo in quel luogo, infestato da elfi, che, probabilmente, mi volevano morta. O sarei, come già era successo, caduta in tentazione, ne avrei ucciso uno e sarei stata condannata a morte. Sarei passata all’altro mondo, e avrei incontrato il mio popolo, se non fossi scappata. Da sola, però, non sarei mai riuscita a slegarmi o a eludere le guardie. Forse Saphira mi poteva aiutare. Aveva già dimostrato di essere una dragonessa affidabile e fedele, se le avessi chiesto un aiutino, forse, me lo avrebbe dato… Ma Saphira era parte dei Varden, avrebbe rivelato il mio presunto tentativo a loro, i quali, avrebbero aumentato la sorveglianza, e io, allora, non avrei avuto neanche una minima possibilità riandarmene di nascosto. Non avevo speranze.
Mentre la tristezza e la disperazione si impossessavano del mio corpo, della mia mente e del mio cuore, udii dei passi all’interno della tenda. Mi voltai verso l’entrata e osservai con terrore quell’essere nell’ombra. Mi stava aspettando la morte: l’elfa mi si era avvicinata, mi sovrastava e, intanto, mi guardava truce.
<< Che vuoi? >> chiesi con finto coraggio.
<< Cosa sei? >> ribatté lei con voce quasi tremante. Mi osservava intensamente con i suoi grandi occhi dorati, che, in quel momento, sembravano appartenere a una pazza nevrotica. Sembrava proprio che l’eletta dalla natura avesse paura di me. Forse era una di quegli elfi a cui era stata narrata la presunta pericolosità della mia stirpe, inventata, però, dai loro avi per giustificare il massacro. Se mi credeva in grado di compiere terribili magie, significava che era terrorizzata da me, e quindi non sarei morta. Perlomeno, finché non avesse saputo quanto false fossero davvero le sue credenze. Ma, ahi me, la mia speranza era mera illusione perché il tic nevrotico che colpiva i suoi occhi faceva pensare che, presto, avrebbe avuto un collasso dovuto all’ansia, e che, in uno scatto pazzoide-omicida, avrebbe estratto un oscuro pugnale da una qualche tasca nascosta del suo bell’abito porpora, e che, infine, con esso, mi avrebbe squartato. Oppure, in maniera più semplice, mi avrebbe torturato con una formula magica, o, da vera primitiva, strozzata con le sue manine delicate.
In seguito all’oscuro terrore che mi aveva portato a immaginare una mia ipotetica morte, mi misi a cercare un modo per sopravvivere alla nera strada senza speranza che avevo imboccato: se non avessi ritrovato in fretta le mie facoltà mentali, sarei impazzita di dolore. L’odio che avevo provato verso lei e la sua razza, non era mai stato tanto vero e profondo come in quel momento, in cui l’elfa dagli occhi dorati torreggiava sopra di me con tutta la sua altezza, mentre io ero legata, rannicchiata e indifesa. Era terribilmente straziante vedere l’assassino potente, il quale, al contrario, avrebbe dovuto essere legato come un animale al posto mio. Se non fossi riuscita ad aggrapparmi a una sensazione diversa dall’odio, non sarei mai più tornata dal pozzo  senza fondo in cui ero precipitata. Fu allora che la sentii nascere nel profondo del mio cuore, e allora, mi dedicai intensamente a cercare di alimentarla. Pensai ai miei genitori, morti a causa di una guerra inutile, al mio villaggio e ai miei amici, tutti bruciati, e al mio bosco da cui mi avevano rapito. La sensazione che provavo non era certamente migliore dell’odio ma mi permise di ritornare dal pozzo terribile in cui l’elfa mi aveva gettato. Era stato il mio potente desiderio di vendetta a salvarmi, che mi permise di prendere la giusta dose di coraggio per affrontare al situazione. Raccolsi, quindi, le mie energie e trovai la forza di ripercorrere la strada nera e tornare nel lume della ragione. E finalmente, con l’intenzione di spaventarla ulteriormente, le sputai in faccia la mia identità:
<< Sono l’ultima della razza che voi esseri immondi avete distrutto.>> 
Infine mi preparai moralmente a soccombere. Attesi, a occhi chiusi, la morte, certa che sarebbe arrivata. In quel lungo momento non provai nessun terrore verso l’oblio che mi aspettava. Se mi avesse ucciso, la storia della terribile guerra scatenata dagli elfi contro la mia stirpe sarebbe inevitabilmente venuta alla luce, e il mio popolo sarebbe almeno stato conosciuto da tutta Alagaesia. Avrei quindi ricevuto, almeno in parte, una rivincita. Una piccola luce di speranza si era accesa nel mio cuore, dopo il primo momento tremendamente sconfortante. Ora avevo un obbiettivo. Finalmente avevo terminato di piangermi inutilmente addosso. Io, Kiara, avrei fatto conoscere a tutto il mondo la mia stirpe. Quello sarebbe stato il mio obbiettivo, l’ultima cosa e la più importante che avrei fatto. E sarebbe stata la migliore.
Percepii che, in quel momento, la morte non sarebbe giunta, ma se la mia sensazione si fosse rivelata errata, la avrei almeno guardata negli occhi.
Vidi invece il colorito di quell’elfa splendida diventare pallido pallido, aprì leggermente le labbra e spalancò i suoi occhi. Era chiaro che provasse un immenso terrore. Secondo me era spaventata anche a causa dell’ espressione decisa e spietata che avevo assunto dopo essermi ripresa dal pozzo in cui ero caduta. Poter osservare la paura che le provocavo era un sogno divenuto realtà.
Dopo avermi reso un poco di giustizia, l’assassina, tornò lentamente nell’ombra da cui era venuta, e uscì dalla mia prigione.
Tornai più volte, nell’arco della giornata, a rimuginare su tutte le situazioni che avevo vissuto. Avevo scoperto di avere un obbiettivo che consisteva nel poter osservare crudelmente la sofferenza degli elfi. Era stato bellissimo constatare il terrore cieco che l’assassina dagli occhi dorati provava verso di me, e avrei avuto piacere di poterlo scorgere, allo stesso modo, anche sui visi di tutte le altre persone appartenenti alla stessa razza. La mia vendetta non sarebbe stata sanguinaria, ma psicologica e morale. Io avrei fatto conoscere, a tutti, in Alagaesia la tragica vicenda del mio popolo, e gli elfi sarebbero stati disprezzati, umiliati ed emarginati. Se in seguito fossero stati, o no, condannati a morte, per me non aveva più alcuna importanza. Sarei stata semplicemente contenta di assistere alla scoperta mondiale sulla razza eletta dalla natura, creduta magica e favolosa, che, grazie a prove concrete, sarebbe risultata finalmente terribile e infame.
Il mio sogno era rappresentato, quindi, non solo dall’umiliazione totale degli elfi, ma anche da una rivoluzione ideologica negativa verso la loro specie. Speravo, persino, che tutte le razze di Alagaesia li cancellassero dalla loro memoria per evitare la nausea che saliva naturalmente udendo il solo nome di quella stirpe violenta, che ne aveva eliminato un’altra, al contrario, pacifica. Che gli elfi potessero essere dimenticati totalmente, era un obbiettivo troppo ambizioso, concretamente irrealizzabile, poiché avevano, da sempre, svolto un ruolo fondamentale nella regolazione del funzionamento della vita di tutti Alagaesia. La speranza di umiliarli non sarebbe stata vana: ero decisa a rendere la mia idea un’azione concreta, anche se fosse diventata reale solo in un futuro molto lontano.
Ciò che era molto incerto, stranamente, era il presente.
Quel dì era apparso lunghissimo, il più pesante della mia vita, e, a causa, proprio, delle emozioni, delle sensazioni e degli incontri che avevo fatto, ero esausta, affamata e molto preoccupata.
“ Cosa succederà domani? ” mi chiedevo continuamente e, esattamente per colpa sua, non riuscii a prendere sonno e neanche a toccare cibo. Eppure era tutta la giornata che non mangiavo, e se non lo avessi fatto subito sarei svenuta, invece appena posavo lo sguardo sul cibo portatomi a mezzogiorno, mi si chiudeva lo stomaco. Decisi infine di impiegare le mie ultime forze a cercare l’entrata del mondo dei sogni, in cui sarei stata, tutto sommato, abbastanza tranquilla.
Ma purtroppo la mia dura giornata non era ancora giunta al termine.
Nel cuore della notte, quando stetti quasi per addormentarmi, nella mia tenda entrò una persona. Quando la sentii avvicinarsi, aprii gli occhi di scatto e vidi Eragon.
 

(*) Arya probabilmente non ha gli occhi dorati, ma è una caratteristica inventata per render la mia storia, d’altra parte questa è una “ What if…? ”, no? ^^
Ecco qua il terzo faticato capitolo, spero che vi si piaciuto.
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE per le recensioni a  BloodyVampire e dreamover e a tutti coloro che mi seguono e leggono questa storia!!
(Piccolissimo spoiler: nel prossimo capitolo si capirà un po’ meglio la vicenda dello sterminio e si scoprirà definitivamente la razza, anche se immagino l’abbiate già ampiamente intuita…
<< Io so cos’ è… >> disse, Arya sussurrando cupa.
Tutti si scambiarono degli sguardi spaventati, in particolare gli elfi.
<< E chi sarebbe, di grazia? >> urlò re Orrin alzando le mani al cielo, spazientito.
<< È un…
AL PROSSIMO CAPITOLO!!)
 

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