Lei non dimentica

di GiuUnderground
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"La Avril Lavigne Foundation. Uao! Sono senza parole. Grande iniziativa e una sola cosa,il nome. Lo trovo banale."
"Ahah sentiamo, avresti qualcosa di meglio da proporre?" Rispose lei maliziosa.
"Be'...Che ne dici di Avrilsty?" Chiese lui soddisfatto di quella pensata.
"Avrilsty?" Rispose la bionda perplessa.
"Esatto! E' un mix tra Avril e Amnesty! E' perfetto come nome.
Eh lo so, sono un genio." Disse sarcastico.
Avril esplose in una risata fragorosa, poi però tornò seria.
"Senti, bisogna essere originali e poi Amnesty tratta dei diritti degli uomini mentre la mia fondazione si occupa di giovani colpiti da gravi malattie.
"Ah già. Non ci avevo pensato."
"Quindi Avril Lavigne Foundation è aggiudicato." Rispose decisa Avril.
"Bah....Fai come vuoi. E poi, posso chiederti una cosa?"
Avril annuì.
"Da dove viene tutto questo amore per il prossimo, si può sapere?" Chiese Evan indagatore.
Avril rimase a fissarlo per più di dieci secondi quando rispose :" Siamo esseri umani o animali?". Il suo umore era cambiato ed Evan se ne accorse.
Cercò allora di rabbonirla e di farla rilassare.
"Stai facendo un' azione lodevole Av. Sai che se il tuo progetto riuscirà potrai aiutare un numero sempre più grande di persone?"
"E' il motivo per cui l'ho fondata" Rispose lei secca. 
"Già. Sono convinto che un cantante sia un modello da seguire, molti giovani si ispirano ai propri idoli perché vorrebbero essere proprio come loro. Stai sensibilizzando le persone ad aiutare chi è meno fortunato di noi. Veramente Av, tu meriti tutto il rispetto possibile". Le disse Evan sincero. 
"Lo so. E rispetto di cosa? Perché sto cercando di fare una buona azione? Ma per favore. Tutti siamo tenuti ad essere caritatevoli verso il prossimo. Ma ovviamente nessuno lo fa e quando qualcuno si interessa di queste spiacevoli situazioni viene visto come un martire. No, io non sono nessuno. Faccio solo quello che mi sento di fare. Basta."
Sentì un miscuglio di emozioni contrastanti dentro di sé. 
Corse fuori dalla cucina, si diresse in bagno e chiuse la porta a chiave. 
Quella conversazione con Evan l'aveva completamente distrutta. 
Si afflosciò sul pavimento, appoggiò la testa al muro candido, accanto al lavandino e si lasciò andare in un lungo pianto. 
Le lacrime le scendevano copiose sulle guance rosee e le lasciarono un segno nero intorno agli occhi, segno che la matita era completamente colata. 
Era stato toccato un tasto dolente che a distanza di anni ancora le faceva un male indicibile. Sapeva che se avesse creato questa fondazione il ricordo che per anni aveva cercato di rimuovere sarebbe riemerso, ma mai avrebbe pensato che le potesse procurare ancora questi dolori lancinanti.
"Av! Av! Ma che ti prende? Ho detto qualcosa di sbagliato?" Chiese preoccupato Evan dall'altra parte della porta.
Evan lasciami in pace, pensò tra sé e sé. 
Silenzio.
"Avril rispondimi, per favore! Cosa è successo?"
Tentò invano di aprire la porta. Sbirciò allora dalla serratura per controllare come stesse Avril, ma non riuscì a vedere niente. Vi era infatti infilata la chiave.
Vattene!.Silenzio.
"Senti, non costringermi a buttare giù la porta"
Oh questa poi! Se non hai neanche la forza per portarmi lo zaino e me lo devo caricare in spalla ogni volta! Non sei un gentiluomo.
Silenzio. Niente, non aveva ottenuto nulla. Decise allora di lasciarla in pace, sperava che gli avrebbe raccontato il motivo della sua azione più tardi. 
Scese al piano di sotto, andò in cucina e si preparò dei tramezzini. Erano le sei del pomeriggio e sentiva un certo languorino di stomaco.

Dopo mezz'ora non aveva più lacrime per piangere. 
Non aveva la forza per alzarsi e rimase seduta lì, a fissare il mobiletto color turchese con ben 7 cassettoni e al suo fianco la bella vasca con idromassaggio incorporato che aveva da poco comprato. Anche questa sempre turchese. Le era presa una fissa con questo colore. Le sembrava che trasmettesse felicità e voglia di vivere, ma era convinta di sbagliarsi. Un colore non può cambiare l'umore di una persona e di certo il suo non sarebbe stato condizionato da una tonalità vivace. 
Ci provava ad essere felice, ma la ferita era ancora scoperta e difficilmente si sarebbe rimarginata. Magari il tempo potrà cambiare le cose, dicono che con il passare degli anni i dolori che si sono provati spariscono o per lo meno perdono di intensità, ma era convinta che per lei questo detto non valesse. Se no dopo 10 anni da quell'accaduto non avrebbe più risentito di quei rimorsi che per due lustri l'hanno fatta sentire come un verme.
Un verme timoroso ed egoista.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


I giorni dopo passarono veloci.

I sensi di colpa che l'avevano assillata stavano pian piano svanendo, sembrava che tutto stesse ritornando come di consueto, ma era più che convinta che sarebbero ritornati.

Intanto aveva deciso di non dire nulla ad Evan, non voleva che lui sapesse.

Forse per vergogna o forse perché non amava sbandierare ai quattro venti i suoi affari privati. Quando si vedeva con lui faceva finta di niente, come se quello che fosse successo in realtà non fosse mai accaduto. A volte sperava di svegliarsi e dire a se stessa che era stato tutto un brutto sogno.

Ma come scappare ormai? Era stata proprio lei a voler creare questa società, la responsabilità era solo sua e adesso aveva paura di reagire alla stessa maniera nel momento in cui giornalisti le avrebbero fatto delle domande riguardo La [I]Avril Lavigne Foundation[/I]. Ma non voleva tirarsi indietro, questo no. Erano quasi due anni che meditava su questo progetto e ne andava fiera, ne era proprio orgogliosa.

Doveva solamente fingere. Fingere di fronte ai giornalisti di essere forte e imperturbabile e che, al di là della magnanimità, non ci fosse nient'altro.

 

“Vi prego lasciatemi! Non fatemi del male!

Aiuto!” Una ragazza mingherlina era stesa per terra con un labbro sbucciato ed il naso sanguinante ed implorava aiuto. Delle ragazze più grandi e di corporatura robusta la circondavano e poi buio totale.

Avril si rialzò di soprassalto, si passò una mano sulla fronte e si accorse di essere fradicia di sudore. Da quando aveva fondato la [I]Avril Lavigne Foundation[/I] faceva spesso questo sogno. Sapeva a cosa si riferiva e si chiedeva per quanto tempo ancora le cose sarebbero andate avanti così.

Scese dal letto scalza, si diresse in bagno, si sciacquò la faccia e visto che era stata scossa da quel sogno, decise di andare a fare colazione. Erano le 7.30 del mattino.

Dopo aver consumato una tazza di latte con i cereali al mais, si vestì.

Quel giorno si sentiva un po’ ribelle, perciò si infilò una minigonna rossa e nera, calze a righe, cintura con borchie, camicetta bianca e una cravatta nera, che non guasta mai.

Indugiò alcuni minuti nel suo salotto della casa di Los Angeles, poi si decise.

Prese il telefono e digitò il numero.

“Pronto?”

“Puoi farmi un favore?”

“Avril?”

“Sì, sorellina sono io. Non ti ricordi più di me?” Chiese scherzosa.

“No infatti. Non chiami mai a casa per sentire come stiamo e per farti sentire.” Disse scocciata.

“Miche, dai! Lo sai che c’è tanto da lavorare. Comunque ho bisogno del tuoi aiuto.”

“Sentiamo”

“Cerca nell’elenco telefonico Maggie Stradford e poi richiamami.”

“Eh? Perché?”

Riattaccò.

Stava facendo qualcosa che avrebbe dovuto fare 10 anni fa.

[I]Meglio tardi che mai[/I], pensò.

Magari una volta per tutte quei rimorsi sarebbero finiti definitivamente.

Lo sperava.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Erano già passati 20 minuti da quando aveva telefonato a sua sorella e lei non l’aveva ancora richiamata. Si sedette allora in soggiorno, appoggiando i gomiti sul tavolino in vetro rilegato che aveva comperato insieme a Deryck nell’autunno del 2008 e che lei si prese avidamente quando vennero compilati i dati per il divorzio.

Tamburellò le dita sul tavolino, guardò l’ora sullo Swatch bianco che le aveva regalato Brody e constatò che la lancetta non si era mossa di un millimetro.

Si alzò in piedi, prese a girare per la stanza, diede una sbirciatina fuori dalla finestra e si rimise a sedere. Prese in mano il telefonino ma non vi era nessuna chiamata persa.

Sentiva allo stomaco delle contrazioni, non riusciva a rimanere ferma per più di 20 secondi e stava sudando freddo. Non si era mai sentita così agitata, neanche prima di un concerto. Eh no, perché prima di salire sul palco, veniva travolta da una forte scarica di adrenalina che le dava quell’energia necessaria per scatenarsi e per fare scatenare il suo pubblico.

Non vi era né timore né insicurezza, solamente una grande voglia di divertirsi.

Ormai era passata una mezz’ora e per bloccare questa sua inarrestabile trepidazione, decise di scendere e di andare nello studio di registrazione che si trovava nel piano inferiore per ricontrollare qualche sua nuova canzone, anche se sapeva che oramai aveva apportato tutte le modifiche necessarie per renderle alle sue orecchie soddisfacenti.

Dunque, non potendo mettere più di tanto mano alle sue creazioni, prese in mano la chitarra classica e cominciò ad intonare [I]Nobody’s Home[/I], in quanto rifletteva il suo attuale stato d’animo.

 

Alle 19.30 già non ci sperava più nella telefonata di Michelle.

Era in casa da sola, si era messa ai fornelli e voleva cucinare una deliziosa torta al cioccolato, giusto così, per smorzare il tempo. Aveva preso tutto l’occorrente, dagli ingredienti agli attrezzi alla ricetta che aveva preso da Internet.

Mise la pizza dentro il forno e guardò l’ora: 19,50. Alle 20:05 doveva ricordarsi di toglierla altrimenti tutto l’impasto si sarebbe bruciato.

Appena posò le presine per i fornelli, sentì una musica provenire dal piano di sopra.

Si fermò un attimo ad ascoltare e riconobbe il ritornello di [I]Complicated.[/I]

[I]Oh cazzo è il mio telefono![/I]

Si precipitò per le scale, rischiando anche di cadere e di battere il mento, attraversò di gran corsa la mansarda, entrò in camera e si slanciò sul letto per rispondere in tempo al cellulare.

“Miche!”

“Av, ho controllato attentamente l’elenco telefonico per ben 3 volte, ma non ho trovato nessuna Maggie Stradford.”

“Ma come? Sei sicura?”

“Sì, sì, non esiste. Ho chiesto aiuto anche alla mamma e a qualche vicino, ma non l’hanno mai sentita nominare”

Ci fu una breve pausa.

“L’unica cosa che mi viene in mente sarebbe quella di controllare all’anagrafe”

“Inviami per posta l’elenco telefonico”

“Eh, sorellona, non ti fidi per caso?”

“Devo vedere delle cose”

“Cosa?”

“Affari miei” Rispose Av  scocciata.

“Simpatica come pochi” Disse sarcastica.

“Dai Miche, tu fai ciò che ti dico e io ti prometto che un giorno ti racconterò minuziosamente tutta la storia”

“Sì, okay. Lo farò”

“Grazie. Ti voglio bene”

Michelle chiuse la conversazione e gettò il telefono sul letto.

[I][Ruffiana[/I], pensò.

 

Avril era sollevata di questa chiamata, anche se però non aveva concluso granché, poteva comunque chiamare tutti gli Stradford della zona e chiedere a loro se conoscevano una certa Maggie Stradford. Era un lavoro di notevole impegno, ma lei otteneva sempre quello che voleva. Si stravaccò sul divano accanto alla porta-finestra  e cominciò a fissare il soffitto.

Aveva la testa in subbuglio, era presa da mille pensieri che riguardavano ricordi del passato, castelli in aria e lei, Maggie Stradford.

Si fermò un attimo a pensare su come potesse essere cambiata in tutti questi anni.

Forse era diventata alta più di un metro e ottanta,oppure poteva essere rimasta un metro e cinquantacinque. Poteva pesare 80 kg, come pesarne 56. Ma era sicura che l’avrebbe riconosciuta fra mille; per quei suoi occhi di un verde intenso, che l’avevano sempre affascinata. Non era un colore misto al marrone, questo era un verde puro e il ricordo era nitidissimo nella sua mente. L’immagine che aveva in testa non era affatto sfuocata, anzi, era luminosa. Ripensò con nostalgia a Maggie fin a quando sentì una puzza di bruciato provenire dal pianterreno. Scattò subito in piedi e si diresse rapida in cucina per tirar fuori dal forno la pizza che aveva con cura impastato quel tardo pomeriggio.

Alzò la pietanza per vedere se si era bruciata troppo e constatò che era carbonizzata.

Aprì allora lo sportello sotto il lavandino e gettò nel bidone la pizza che poteva essere tutto tranne che commestibile.

[I]Anche se cotta al punto giusto sarebbe stata ugualmente disgustosa[/I], pensò.

Prese in mano il telefono e chiamò ad un locale di pizza da trasporto.

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