Hurt him to save him di GwenCassandra (/viewuser.php?uid=30347)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo - Away and back home ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo - Invincible madness ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo - Share the darkness ***
Capitolo 4: *** Epilogo - Everything to save you ***
Capitolo 1 *** Primo capitolo - Away and back home ***
o
Hurt
him to save him
Primo
capitolo – Away and back home.
Londra,
20 dicembre 2004
Ore
23.55
Casa
Bellamy
Un
uomo camminava per il viale di casa Bellamy, quella sera. Mentre a passo lento
si avvicinava alla porta, il suo impermeabile veniva leggermente mosso dal
vento: lo sguardo basso era nascosto da un mantello scuro e, bussando alla
porta, la pelle nera dei guanti scricchiolò.
Concerto Earls
Court
Lo stadio gremito di ragazzi eccitati, le luci colorate in
contrasto con il nero profondo della notte: migliaia di coriandoli argentati
volavano nell’aria, quella sera. Ad accompagnare quella scena, le dolci note di
Blackout.
Don’t kid
yourself and don’t fool yourself this love’s too good to last and I’m
too old to dream.
Casa Bellamy
Una donna castana aprì
la porta, pensando a chi potesse essere a quell’ora di notte. “Salve.” Disse
la donna. “Posso fare qualcosa per lei?” Continuò, aprendo leggermente la porta.
L’uomo, d’impeto, le si avventò contro.
Concerto Earls
Court
Don’t grow up too
fast and don’t embrace the past this life’s too good to last and I’m
too young to care.
Casa Bellamy
Le mani dell’uomo,
chiuse in una morsa fatale intorno al collo della donna, la spinsero a terra. I
vani tentativi di ribellione morirono, soffocati da quelle mani troppo forti per
essere spinte via.
Concerto Earls Court
Don’t kid yourself and don’t fool
yourself this life could be the last and we’re too young to see.
Casa Bellamy
Il
corpo senza vita giaceva appena fuori la porta: l’uomo in nero si chinò sul
corpo esanime e con un gesto fulmineo le strappò dal collo il ciondolo
d’ametista. Lo ripose nella tasca dell’impermeabile, si accese una sigaretta e
tranquillamente scomparve nel buio.
Backstage
del concerto
Ore
00.21
I
passi erano leggeri, scendendo da quel palco: aveva appena fatto uno dei
concerti più belli della sua carriera. Finalmente, eccolo lì: il successo che
tanto aveva agognato, fra le quattro mura della sua casa a Teignmounth, era
finalmente lì. Sorrise, guardando le facce soddisfatte dei suoi amici: di
loro era sicuro. Forse erano l’unica cosa sicura della sua vita. Li guardò
asciugarsi la fronte con gli asciugamani gentilmente offerti dallo staff e
sorrise: avevano vissuto praticamente una vita insieme, quello era il loro
destino. Poteva sentire ancora le urla rimbombare nella sua testa, acclamarli
come déi. Avvertiva ancora la sensazione dei tasti del pianoforte scivolare
sotto le sue dita esperte e quel lieve piacere del lasciarsi trasportare
completamente dalla musica. Camminava a passo calmo, seguito dai suoi amici,
verso il camerino. Bel concerto, sì. Quando abbassò la pesante maniglia
del camerino, Dominic come posseduto lo sorpassò, saltando ancora con le scarpe
sul divano. Come facesse ad avere tanta energia, mi dispiace, non c’è dato
saperlo. Insomma, dopo un concerto – specialmente se si è batteristi - si dovrebbe essere stanchi! O almeno, un
po’ provati. Lui no. Usciva dal concerto ancora più carico di quando aveva
cominciato. Era una delle cose che Matthew adorava di Dominic, una delle
cose di cui non avrebbe potuto fare a meno – soprattutto dopo un concerto - .
Chris, sicuramente il più provato di tutti, chiuse la porta e si buttò letteralmente sul frigo, alla ricerca di
una birra. “Non cambierà mai…” Pensò Matthew, sedendosi su una poltroncina,
passandosi una mano sugli occhi stanchi. “Dominic! Ma quanti anni hai,
tredici?” Urlò al batterista, ancora intento a saltare sul divano. “Ma… Ma…
C’era un fottio di gente! Non vi sentite… estremamente carichi ed eccitati?”
Urlò, continuando a saltare ed agitando un asciugamano per aria. No. Non
sarebbe cambiato mai, nemmeno a quarant’anni. “Io sto per morire e questo
salta sul divano… No, dimmi, ma ti sembra normale?” Bisbigliò Matthew a Chris.
Il bassista rise, massaggiandosi il collo: il risultato di due ore di head
banging. “Bella serata, già.” Sussurrò, buttandosi indietro su una poltroncina.
Chris amava andare in tour: certo, c’erano degli inconvenienti, ma il tour era
sicuramente la soddisfazione più grande che la carriera da musicista potesse
dare.
In
quel momento la porta si aprì e ne sbucò fuori Tom Kirk. Chiamarla espressione stravolta è un eufemismo. Il
volto grigio di chi ha appena ricevuto una pessima notizia era rigato da una
bocca tristemente curvata all’ingiù. Lo sguardo basso, il capo leggermente
chino, lasciavano intravedere gli occhi lucidi. Lentamente entrò nella stanza,
chiudendosi la porta alle spalle e sospirò, portandosi una mano al volto. Nel
vedere i suoi occhi, Chris e Matt si alzarono. Cosa diavolo era successo?
Matthew, zampettando fino ad arrivare da lui, gli pose una mano sulla spalla.
“E che è quella faccia!” Rise. “Non fai un cazzo dalla mattina alla sera e
sembri più stanco di noi!” Ridacchiò.
Silenzio.
Il manager non
rispose: prese un bel respirò, aprì la bocca come per dire qualcosa ma si limitò
a guardare i membri della band, uno per uno.
“Tom? È successo qualcosa?”
Chiese Chris, apprensivo. Sembrava davvero sconvolto e ce ne voleva per
sconvolgere Tom! “Forse è meglio che vi sediate.” Rispose, cercando di
mantenere una certa calma. “No, io sto in piedi.” Disse serio Matthew,
accigliandosi. “Ti prego, Matt.” Lo stava supplicando. Fu questo a far cambiare
subito idea al cantante: supplicare, per Tom, non era sicuramente un’azione
tanto usuale. “Oi! Ci stai facendo preoccupare!” Esclamò Dominic, continuando
a saltare sul divano. “Dominic. Siediti, è una cosa seria.” Lo ammonì,
guardandolo in cagnesco: certi lati del batterista – soprattutto quelli così
infantili - potevano risultare
simpatici, certo, ma non in un momento come quello. Improvvisamente Dominic
smise di saltare. “Beh, se ti degnassi di dirci cosa è successo, potremmo
anche prenderci la premura di reagire in modo consono.” Rispose, sedendosi, un
po’ stizzito per essere stato ripreso così bruscamente.
“Si tratta di Gaia.” Soffiò via Tom, insieme a tutta
l’aria che aveva nei polmoni. A sentire quelle parole Matt, che fino a quel
momento era rimasto seduto, balzò in piedi.
“E?” Lo incitò Chris a
continuare, alzandosi anche lui. Non
ricevette nessuna risposta.
“Parla!” Urlò Matthew. “Che cazzo è successo?” Continuò, fiondandosi addosso a Tom. Le mani
strette sul collo della camicia lo strattonarono con violenza. “Matt. Hanno
ritrovato poco fa il corpo di Gaia.” Bisbigliò, chiudendo gli occhi.
Lentamente la presa intorno al suo colletto svanì e Matt barcollò
all’indietro, fino a toccare il muro.
Il corpo.
“Si pensa ad un
tentativo di rapina finito male. Non aveva più il ciondolo che le hai regalato
per il compleanno.”
Matthew spalancò gli occhi e Chris si portò una mano
alla bocca. Dopo pochi secondi il cantante cominciò ad avvertire un senso di
vuoto nello stomaco. Nella sua testa, come trottole impazzite, correvano le
parole sentite poche attimi prima. Sentì la terra mancargli sotto i piedi e
il cuore fermarsi. A dir la verità la sensazione era diversa: era come un
battito unico. Il cuore aveva cominciato a pompare sangue così velocemente da
non poter distinguere i battiti, come le eliche di un elicottero che,
sfrecciando a tutta velocità, divengono una cosa sola. Prese un respiro
profondo, si passò una mano sul collo e cadde svenuto.
“Mattew!” Urlò
Dominic, accorrendo subito dal suo amico. “Cosa volete, l’invito? Aiutatemi,
porca troia!” Continuò, prendendo fra le mano il viso del cantante. “Allora!”
Urlò ancora, voltandosi verso Tom e Chris. I due, sicuramente più forti di
Dominic, lo sollevarono e lo portarono nel Tour Bus, facendolo sdraiare sul
divano rosso del living space. Dominic, sempre più preoccupato, si mise a
sedere ai piedi del divano: le gambe incrociate e le braccia intorno al collo.
Scuoteva lentamente la testa e, facendo attenzione a non fare movimenti troppo
bruschi, Chris gli si avvicinò. “Io ho bisogno di un caffè, Dom. Io e Tom lo
andiamo a prendere prima di ripartire. Vieni con noi?” Domandò, ricevendo in
risposta solo dei flebili cenni di dissenso. “Vuoi che ti porti qualcosa?”
Continuò, non ricevendo questa volta alcun tipo di risposta.
Sceso dal
bus, Chris cercò ansiosamente il cellulare nella tasca e chiamò il primo numero
della rubrica. “Amore?” Dio, come gli era mancata quella voce.
“Amore mio. È successa una cosa.” Sussurrò per non farsi sentire da Dominic.
“Ah, Tom ti ha già chiamata. Ecco, non lo so. Il Tour riprende ad aprile, non so
cosa faremo.” Fece una piccola pausa. “Pensano sia stata una rapina. Appena so
qualcosa ti chiamo. Sì, ti amo anche io.” Chiuse la chiamata e, a passo
lento, raggiunse Tom qualche metro più avanti.
Quando Matthew aprì gli
occhi, si ritrovò sdraiato sul divano rosso del living space. La testa gli
faceva male, male da morire: era come avere centinaia di aghi piantati nelle
tempie. Centinaia, migliaia di aghi. Si guardò intorno: la vista era
appannata e il silenzio che regnava nel bus in movimento gli suggerì, per sua
disgrazia, che non era stato tutto un sogno. Alzò gli occhi e incontrò quelli di
Dominic, trovandoli quasi vuoti, seduto ancora nella posizione di qualche ora
prima. Chris, invece, si era seduto sul divanetto accanto a lui. “Matthew?”
Lo chiamò il bassista. Nessuna risposta.
“Matt?” Insistette. Il cantante, ignorando la voce dell’amico, puntò
i suoi occhi vuoti su un punto indefinito del soffitto: cosa avrebbe dovuto
fare? Piangere, ecco. Quello sì che sarebbe stato un passo avanti. Verso
l’accettazione, almeno. Ma nulla: l’unica cosa che sembrava venirgli bene, in
quel momento, era ignorare i suoi amici, guardando il susseguirsi di nuvole
scure al di fuori del finestrino. Riconobbe quella strada: la strada di casa. “Forse è meglio lasciarlo
solo.” Sussurrò il batterista, alzandosi e andando verso la zona letto.
“Dominic.” Continuò, poggiando una mano sulla spalla del batterista. “Io”
Cominciò, digrignando i denti e assottigliando lo sguardo “Io resto con
lui.”
Rassegnato e, diciamocelo, stanco Chris si voltò e si chiuse nel
suo bunk. In fondo, lui aveva fatto
il possibile.
PurpleMally’s
Notes Buonsalve,
bella gente! Allora, un paio di cose:
questa storia altro non è che un remake di una one-shot pubblicata nell’agosto
del 2008. L’altro giorno la stavo rileggendo e ho deciso di modificarla, sia
nella forma che nei contenuti, e di renderla una long. Vi avviso che i capitoli
saranno pochi, tre o quattro al massimo. Sono molto legata sentimentalmente a
questa storia, sia per una questione artistica (è stata la prima cosa scritta e
progettata sui Muse in vita mia), sia dal punto di vista affettivo: è stata,
infatti, la prima storia che ha visto la collaborazione fra me e una persona a
me veramente molto cara. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e
vi invito -non vi prego, non vi obbligo, non vi esorto: semplicemente, mi
farebbe piacere – avere un vostro
parere. Baci baci. Mally.
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Capitolo 2 *** Secondo capitolo - Invincible madness ***
Hurt
him to save him
Secondo
capitolo – Invincible madness
Providence,
17 aprile 2005
Ore
14.00
Tour
bus
Quattro
lunghi mesi erano ormai passati dalla morte di Gaia e quella mattina, sul tour
bus, l’aria era decisamente tesa. In quei mesi erano successe parecchie cose
e il comportamento di Matthew, in alcuni momenti, aveva più che fatto
preoccupare i suoi amici. Era tornato a casa sua, per l’ultima volta:
l’aveva chiusa, senza spostare neanche un oggetto. Aveva raccolto le sue cose ed
era scappato da quelle mura: sinceramente, non aveva idea di cosa ne avrebbe
fatto. Venderla, tenerla per tornarci o semplicemente lasciarla marcire lì: in
quel momento la cosa poteva benissimo essere messa in secondo piano. L’unica
cosa certa, però, era che non ci sarebbe tornato subito: l’idea di tornare in
quella casa, fra i loro oggetti e i loro ricordi, gli faceva scorrere brividi
freddi per tutto il corpo. Si era sistemato da Dominic, come quando erano
giovani: un po’ di distrazione sarebbe stata sicuramente l’ideale, in una
situazione come quella. Poi, ne siamo consapevoli tutti, Dominic era il mago
delle distrazioni, con quei lati giocosi e un po’ infantili della sua
personalità. Fu però proprio il batterista ad accorgersi dei suoi strani
comportamenti, durante questa convivenza: naturalmente non era plausibile
neanche prendere in considerazione una completa “guarigione” del ragazzo in
pochi mesi, ma certe volte Matthew assumeva degli strani comportamenti, la
maggior parte dei quali non aveva assunto nel periodo più vicino alla notizia
della morte di Gaia. Era come se fossero nati con il tempo, giorno per giorno,
accompagnando forse la consapevolezza della sua morte. Certe volte si
perdeva a guardare fuori dal finestrino, di punto in bianco: qualsiasi fosse la
situazione, anche durante una conversazione, i suoi occhi venivano attratti da
qualche particolare al di fuori del bus e si perdevano nel paesaggio. Oppure
passava dall’essere estremamente amichevole, all’urlare senza un apparente
motivo o comunque usando scusanti che poco riguardavano la situazione che si era
creata. Tutti erano più che preoccupate ma, più per una questione di
sopravvivenza che altro, cercavano di non darlo a vedere: se c’era una cosa, una
sola cosa che Matthew proprio non poteva soffrire, era quella di avere addosso
la pena o le preoccupazioni degli altri.
Questa presa di posizione,
però, morì l’otto aprile a Boca Raton, primo concerto della ripresa del tour.
Dopo i primi quaranta minuti di spettacolo, non appena le prime note di
Blackout avevano cominciato a farsi spazio nell’aria, Matthew improvvisamente
aveva lasciato il palco. Era corso su per le scale, fino ad arrivare in
camerino, con tutta la forza che possedeva in corpo, lasciando così i due amici
a gestire la situazione e scusarsi con il pubblico. Quando Chris, Dominic e
Tom corsero in camerino, lo trovarono seduto sul divano, le gambe incrociate e
lo sguardo di chi non ha coscienza delle proprie azioni e reazioni. Era stato
come se le note di quella canzone gli avessero immesso nel cervello un allarme:
scappa, fuggi via. Per quei pochi
ultimi secondi di lucidità riuscì a pensare solo quello. Correre.
“Si può sapere che cazzo ti è preso?” Urlò Tom,
entrando e sbattendo la porta. Matthew lo guardò senza vederlo veramente: era
come se tutto intorno a lui fosse così tremendamente grigio da non riconoscere
più i contorni delle cose. “Scusa Tom, io non so cosa sia successo.” Rispose
con voce flebile, sperando che quelle parole potessero in qualche modo bastare
al suo manager. Tom si gonfiò di rabbia e frustrazione. “Scusa? Scusa un
cazzo, Bellamy!” Urlò ancora. “Hai detto d’essere pronto. –Sì, ragazzi,
ricominciamo il tuor! Non possiamo certo deludere così tante persone solo perché
io sono un po’ giù!- Cazzate! Cazzate su cazzate, Bellamy! E ora? Credi di non
aver deluso tutte quelle persone? Credi che ci porterà buona pubblicità, tutto
questo? Prima di fare cazzate, pensaci la prossima volta. E pensa soprattutto a
quelli che porti giù con te.” Probabilmente, pensò Matthew, Tom aveva
ragione. Ma ormai era fatta. “Adesso tu stai qui e ti calmi con Chris. Al
pubblico ci penso io.” Disse solamente Dominic, non riuscendo nemmeno a
guardarlo negli occhi. Così come era arrivato, attraversando la porta quasi
sperando di essere invisibile, così torno indietro: in silenzio.
Sedevano l’uno davanti all’altro, in silenzio: tutto intorno a loro
sembrava essere in attesa. Un attesa pesante, insopportabile per la mente già
provata di Matthew. Chris, le pareti, il mondo intorno a lui tacevano, pronti ad
ascoltare una spiegazione che il cantante non era in grado di dare nemmeno a se
stesso. Cercando di respirare più silenziosamente possibile – per paura che
Chris potesse alzare gli occhi e parlare, immagino – Matt si portò una mano alla
bocca e cominciò a mangiarsi le unghie con foga.
Se c’era una cosa, una
sola cosa, che Chris non poteva sopportare era il mangiarsi le unghie. L’idea,
sinceramente, gli faceva anche un po’ schifo. Con uno scatto felino – e
ricordate di chi stiamo parlando: “felino” nel modo in cui Chris potesse esserlo
– afferrò il polso del suo amico e lo riportò giù. Matthew lo guardò
spalancando gli occhi: non era certo da lui reagire con gesti così bruschi.
Vedete, nei tre, Chris era sempre stato il tipo calmo. Era il tipo razionale,
quello che fa programmi e segue sempre ciò che dice, seguendo un filo logico.
Sapeva prendere ogni situazione esattamente come andava presa, dando alle cose
il giusto valore. In effetti, era rassicurante per Matthew averlo intorno.
“Matthew, ascoltami. Quello che è successo oggi non è sano.” Disse con
voce calma, quasi apprensiva. “Sono molto preoccupato per te, Matt. So che hai
passato un momento difficile: è stato orrendo per noi, figuriamoci per te, e
questo lo capisco. Quindi se vuoi interrompere il tour, o rimandarlo o quello
che ti pare, insomma. Basta dirlo, ok? Non voglio che ti prenda un esaurimento
nervoso.” Continuò, cercando di trovare le parole giuste, per non sembrar dire
“Matt, sembravi un pazzo psicotico, porco cazzo.” Matthew si portò una mano
alla nuca, sospirando. “Chris. Non è che non ce la faccio. Anzi, direi che
devo farcela. Non m’è rimasto nient’altro, capisci? Ci sono solo delle cose
che…” Disse, portandosi una mano al volto. Fece per dire qualcos’altro ma Chris
lo interruppe. “Capisco, sì. La morte di Gaia, il cambio di casa, il nuovo
tour…” Sospirò, annuendo lentamente. “Veramente io Gaia la volevo già
lasciare da un po’.” Sussurrò, alzandosi e correndo via.
Lasciare. Come lasciare?
Chris
si alzò di scatto, si passò una mano sul viso e lanciò un pugno al
muro. Senza un apparente motivo.
Era
per questo che quel giorno – 17 aprile 2005 – l’atmosfera non era delle
migliori. Matthew sembrava parecchio agitato e “fuori”, lo stesso comportamento
che aveva assunto quel giorno a Boca Raton. Tutti i ragazzi rimasero sorpresi:
quando erano andati via, l’otto aprile, Matthew sembrava essere tornato normale.
Non c’erano più stati casi come quello – o almeno non così gravi. Certo, ogni
tanto durante i concerti smetteva di cantare o si limitava a fare il suo
lavoro. Quella passione, quella fiamma che l’aveva guidato nel suo lavoro per
tutti quegli anni si era ridotta ad una flebile fiammella – come una candela
priva d’ossigeno, troppo stanca e consumata per continuare a brillare. Il
concerto di Providence, infatti, andò come doveva andare: non ci furono nemmeno
più le ormai consuete situazioni di silenzio. Semplicemente, Matthew fece c’ho
che c’era da fare e accontentò così il pubblico. Nelle ore successive sembrò
tornare tutto normale: Matthew era anche tornato a sorridere agli strani
comportamenti di Dominic o alle battute di Chris. Sembrava andare tutto
bene.
Sembrava.
PurpleMally’s
Note Buonsalve! Beh,
beh, beh! Non pensavo che il primo capitolo sarebbe stato così ben accolto!
Spero che anche il secondo – piccolo, corto, cortissimo secondo capitolo-
v’aggradi così. Ps. Maledetta
me, ho scoperto solo pochi giorni fa la possibilità di rispondere alle
recensioni direttamente sotto le stesse. Quindi lascio i ringraziamenti a questa
sera, quando mi metterò lì e risponderò alle recensioni una per una. Grazie
mille per le vostre opinioni, Baci baci. Mally.
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Capitolo 3 *** Terzo capitolo - Share the darkness ***
Hurt
him to save him
Terzo
Capitolo – Share the darkness
Ore 4
AM
Tour
bus
Dominic
si rigirò ancora una volta nel minuscolo spazio vitale che tutti si ostinavano a
chiamare letto: un minuscolo bunk con tendina, il cuscino poco più grande della
sua testa, la punta dei piedi che toccava il muro e si ostinavano ancora a
chiamarlo letto. “Gabbia” sembrava un termine molto più appropriato, nella mente
di Dominic. A stento si portò un braccio a coprire gli occhi, sbattendo –
come ogni volta – con il gomito contro il muro. Maledetta gabbia. Ripensò a
quello che aveva fatto o – se proprio vogliamo dire – a quello che non aveva
fatto: ripensò a Boca Raton, alla folle corsa nei camerini e alla sua incapacità
nel fare qualsiasi cosa a parte chiudersi la porta alle spalle, in silenzio.
Cosa aveva fatto? In una situazione come quella, con una persona importante come
solo Matthew poteva essere, cosa aveva fatto? Nulla. Né quella sera né nei giorni
successivi: a dirla tutta, lui ci aveva provato. Nei pochi giorni passati dal
concerto di Boca Raton – e stiamo parlando di nove giorni – aveva provato ad
instaurare un minimo di rapporto con il suo migliore amico, cosa che
quest’ultimo, invece, non aveva fatto altro che evitare. Matthew lo stava evitando. Poteva esistere qualcosa
di peggiore? Sospirò e qualcosa attirò la sua attenzione: odore di fumo. “Maledetto bassista.”
Commentò a denti stretti, uscendo senza non poche difficoltà dalla sua gabbia.
Chris aveva ripreso a fumare nei bunks! Già era un ambiente estremamente piccolo e claustrofobico!
“Chris!” Urlò, tirando la tendina del bunk del bassista e con suo sommo
stupore, lo trovò addormentato. E allora da dove veniva quella puzza
insopportabile di fumo? Che fosse successo qualcosa al motore? “Chris.” Lo
chiamò, poggiando una mano sulla sua spalla. Nessuna risposta. “Chris!” Riprovò,
cominciando a scuotere l’amico, nella speranza di svegliarlo – o almeno di
ricevere un grugnito in segno di vita, ecco. “Christopher Anthony
Wolstenholme! Svegliati, porca puttana!” Urlò in fine e un leggero grugnito
risuonò nel bunk.
Ok. A
mali estremi, estremi rimedi, no? E allora Dominic decise di passare al piano B
che, a differenza di ciò che immaginate, non è il successivo al piano A: il
piano B è in realtà… Il piano Birra. “Oh mio Dio, Chris! La tua
scorta di birra!” Fece una pausa, giusto per creare un po’ di suspense e poi
bisbigliò al suo orecchio: “Distrutta!”
E improvvisamente, esattamente
com’era previsto, gli occhi di Chris si aprirono di scatto, colmi di un terrore
che solo in casi come quello poteva affliggere un uomo calmo e razionale come
lui. “Cosa?” “Oh, niente.” Rispose Dominic, facendo il vago. “Non senti
anche tu puzza di fumo?” Chris lo guardò torvo: eppure era sicuro d’aver
sentito le parole “birra” e “distrutta” nella stessa frase. Comunque, si
concentrò per qualche secondo e poi annuì: sì, c’era effettivamente una strana
puzza di fumo. “Prega che non sia il motore” sussurrò “O siamo fottuti. L’ultima
cosa che ci serve è un guasto a questo catorcio.” Si alzò, indossò le sue
ciabatte a forma di panda – un vecchio regalo di Matthew – e, seguito da
Dominic, si avviò verso il living space. Qui trovarono Matt seduto sul divano,
una coperta a coprirgli le gambe incrociate e una sigaretta consumata a metà fra
le dita. “Hey, Matt. Da quando fumi?” Chiese Dominic, avvicinandosi
all’amico.
Cazzo. Non sarebbe
dovuta andare così! Non dovevano essere lì!
Il
cantante, spaventato dai suoi amici, spense velocemente la sigaretta in un
bicchiere sul tavolino e nascose le braccia sotto le coperte, tirandole fino
alle spalle. Chris aggrottò la fronte, sospettoso. Cosa stava
succedendo? “Che nascondi?” Domandò, avvicinandosi lentamente, come se avesse
avuto paura di vederlo scappare da un momento all’altro. Matthew non
rispose, limitandosi ad alzare le coperte fino al mento. Il cuore sembrava
impazzito: batteva così veloce da poterlo sentire sbattere contro la sua stessa
pelle e gli occhi – come cavalli impazziti – correvano da una parte all’altra
della stanza, alla ricerca di un punto in cui lo guardo indagatore dei suoi
amici non lo colpisse. “Matt?” Lo chiamò ancora Chris e, non ricevendo
risposta, afferrò saldamente la coperta e la buttò a terra. I secondi che
seguirono furono, per tutti i presenti, i più lunghi delle loro vite. Quando la
coperta cadde per terra, accasciandosi su se stessa come una montagna di foglie
morte e ingiallite, il braccio destro di Matthew rimase scoperto. Una serie
interminabile di bruciature era presente sulla sua pelle: precise, concentriche,
perfettamente allineate in quattro colonne. Sembravano uno schema di qualche
gioco da tavolo, tanta era la precisione con la quale erano stati fatti.
“Porca troia.” Bisbigliò Chris, portandosi una mano alla bocca.
Era
un malinteso, sicuramente. Va bene, Matthew era una persona piena di piccole
fisse e manie, ma nonostante questo non era il tipo da fare… quello. Non poteva
aver perso la sanità fino a questo punto! E a giudicare dallo stato di quel
braccio, la sanità, l’aveva persa da un pezzo. “Porca troia!” Urlò questa volta
Chris, voltandosi e dando un calcio ad una sedia lì vicino. Dominic, invece,
era rimasto lì, immobile, esattamente nella stessa posizione di pochi minuti
prima: i suoi occhi, di solito così pieni di vita, in quel momento erano velati
da leggere lacrime. Lacrime che non caddero, però, come se fossero state troppo
orgogliose per lasciarsi andare e scivolare lungo il viso del ragazzo.
“Chris. Lasciaci soli.” Ordinò al
bassista, non riuscendo a staccare gli occhi dal braccio di Matt. Dopo aver
aspettato che Chris sparisse nel suo bunk, Dominic si avvicinò a Matthew: gli
posò una mano sul braccio, accarezzandone le cicatrici con delicatezza,
percorrendone l’ordine preciso e maniacale. Matthew avrebbe davvero voluto
spostare il braccio - il tocco di Dominic sembrava far tornare le cicatrici
vive, come appena fatte – ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a mantenere quel
contatto, la cosa più delicata che quella pelle avesse provato negli ultimi
mesi. “Matt, che cazzo hai fatto?” Domandò, cercando di mantenere una calma
che in quel momento proprio non gli apparteneva. Matthew chiuse gli occhi,
sospirando, ma qualcosa lo costrinse a riaprirli: Dominic aveva stretto il suo
polso, cominciando a scuoterlo leggermente e sussurrando la stessa frase di
prima come un mantra. Matthew, in quei secondi, non pensò più al fatto
d’essere stato scoperto: Dominic stava piangendo e la colpa – tutta la dannata
colpa - era solo sua. Con delicatezza sciolse la presa di Dominic dal suo
polso e – dopo averlo guardato negli occhi per interminabili attimi – lo strinse
a sé, abbracciandolo come non aveva mai fatto e sperando quasi di poter
diventare tutt’uno con lui. “Da quanto tempo è che va avanti questa storia?”
Domandò Dominic, posando la fronte contro la spalla dell’amico. “Tre mesi e
mezzo, circa.” Tre mesi e mezzo. Tre fottutissimi mesi e mezzo. A sentire
quelle parole, Dominic sciolse l’abbraccio e lo guardò con lo sguardo più ferito
che sia mai esistito su questa terra. “Si può sapere come cazzo ti è venuto in
mente di fare una cosa del genere?” Domandò, non ricevendo alcuna risposta.
“Voglio proprio saperlo! Cazzo, e io cosa ci sto a fare qui?” Domandò più a se
stesso che a Matthew. “Sono sempre
stato con te. Potevi, non so, chiedere aiuto! Non mi vuoi nemmeno un po’ bene,
Matt?” E ancora, Matthew tacque: in fondo, non poteva certo dire che era quello, la causa di tutto.
Stanco e ormai stufo dei silenzi dell’altro, Dominic tornò da Chris,
spalancando la tendina del suo bunk. “Prendi il kit del pronto soccorso e
aiutami. Non ce la faccio da solo.” E senza commentare, Chris obbedì. Quando
tornarono nel living space trovarono Matt ancora a gambe incrociate, il braccio
ferito piegato così da avere la mano poggiata sul collo e l’altro braccio
piegato davanti a quello ferito, come a proteggerlo. Ondeggiava quasi
impercettibilmente avanti e indietro, come a volersi cullare. Chris lo bloccò
delicatamente, facendogli stendere il braccio e dicendo a Dominic di tenerlo
fermo: poi, con tutta la delicatezza che possedeva, cominciò a disinfettargli le
bruciature. Matthew, in quel momento, si estraniò completamente: i rumori e
le parole dei suoi amici gli risultavano quasi ovattate, tutto intorno a lui
sembrava stranamente sfocato. Era come se stesse osservando la scena dall’alto:
improvvisamente era un’altra persona, un semplice spettatore impietosito dalla
disgrazia in cui quell’omino magro e malaticcio era caduto grazie alle sue
stesse azioni. Perché, in fondo, non poteva accettarlo: non poteva credere
che tutto quello stesse accadendo a lui. Vedete, la parte peggiore quando si
è scoperti, non è l’attimo successivo alla scoperta, come tutti credono: no, la
parte peggiore è quando si comprende ciò che è successo. Al momento, neanche si
pensa. Non si capisce d’essere stati scoperti e si è quasi sorpresi, soprattutto
dalla reazione degli altri. Perché, in fondo, cosa può esserci di male? È una
cosa che ti entra, da non poterla concepire come negativa. Diventa una parte
delle tue abitudini, una pura e semplice valvola di sfogo. Serve a distrarsi,
serve a rilassare i nervi, come bere un caffè. Eppure è difficile comprendere
perché nessuno rimanga scioccato quando, invece di farsi del male, qualcuno beva
un caffè per rilassarsi. Il momento peggiore, quello che proprio non si può
sopportare, è quando si realizza che non si potrà più. Sapere che tutti
controlleranno, spieranno: non è tanto l’essere additato come “pazzo” – perché
arrivati a questo punto, di quello, non t’importa più nulla. Pensi solo a quanto
potrai sentirti perso e solo quando non potrai farlo più. E quella
sensazione uccide.
Matthew
sentì uno strano senso di nausea mentre veniva accompagnato a letto da Dominic:
il batterista lo teneva per mano, come se avesse paura di vederlo svanire da un
momento all’altro. Lo mise sotto le coperte e gliele rimboccò, lasciandogli un
bacio sulla fronte. Quando Dominic chiuse la tenda del suo bunk, Matthew restò a
fissare il buio per qualche minuto, domandandosi per quale ragione non avesse
pensato di chiedergli di restare con lui: ma ormai, era troppo tardi.
Il
buio, con Dominic, avrebbe fatto molta meno paura.
PurpleMally’s
Notes Buonsalve! Allora,
mi scuso con quelli che riterranno questo capitolo una schifezza. Davvero, mi
dispiace. Non so cosa avevo in mente quando ho creato questa trama, tre anni fa.
Questo, però, è uno di quei particolari che non posso cambiare e alla quale –
comunque- sono affezionata. In fondo, questa fan fiction è nata così, che ci
posso fare. Voglio ringraziare di cuore tutte le dolci personcine che
seguono questa fan fiction: non mi aspettavo di ricevere recensioni così
positive! Che posso dire, sono veramente felice che vi piaccia. Non potete
immaginare quanto. E mentre mi preparo a ricevere uova marce per questo
capitolo, vi avviso che sono le 5.05 di mattina e che domani risponderò a tutte
le recensioni. In questo momento, sinceramente, già è tanto che io sia in grado
di accendermi l’ultima sigaretta prima di andare a dormire.
Ps. Non
ricordo chi mi ha chiesto quando lo slash entrerà nel vivo: da questo capitolo
possiamo cominciare a notare i primi accenni, ma credo che per qualcosa di più
slash bisognerà aspettare il prossimo capitolo (che, se i miei calcoli non sono
errati, è anche l’ultimo – a meno che io non decida di fare un prologo fuori
programma.- )
Bacibaci,
Mally.
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Capitolo 4 *** Epilogo - Everything to save you ***
Hurt
him to save him
Epilogo
– Everything to save you
Dallas,
4 maggio 2005
Ore
17.30
Backstage
Dominic
camminava velocemente, diretto verso il camerino della band. Erano arrivati a
Dallas poche ore prima, per un concerto, ma questa – sicuramente – era l’ultima
delle sue preoccupazioni. Erano passate due settimane da quando avevano scoperto
il segreto di Matthew. Non erano stati giorni facili: effettivamente, con Chris,
avevano passato tutto il tempo a controllarlo, ignorando così le prove con la
band. Non che le due cose potessero essere messe sullo stesso piano, è ovvio.
E si sentiva responsabile: ogni particella di sé strideva e si contorceva
dal dolore e dal senso di colpa. Se si fosse comportato diversamente, se avesse
tenuto gli occhi più aperti, probabilmente, tutto quello non sarebbe successo. O
almeno, non avrebbe raggiunto certi livelli: solo Dio sapeva quanto Dominic
sarebbe stato disposto a fare per Matthew, in quella e in qualsiasi altra
situazione il ragazzo si fosse trovato nella sua vita. Solo Dio sapeva
quanto potesse tenere a lui: Matthew, sicuramente, questo lo ignorava.
Segreto. Quella parola, in quella
situazione, gli faceva ribrezzo: come aveva potuto nascondergli tutto il male
che stava provando? Come aveva potuto? Sentì l’improvviso bisogno di
sciacquarsi la faccia e così – invece di tirare dritto verso il camerino –
svoltò all’angolo a destra e spinse la porta del bagno degli uomini. E il
suo cuore, d’improvviso, si fermò. In piedi, poggiato al
lavandino, c’era Matthew: una sigaretta appena accesa fra le labbra e una mano
sull’orlo della manica. Provò a dire qualcosa, ma Dominic lo bloccò. “No,
senti. Fai come ti pare, ok? Staccatelo quel braccio, se vuoi. Io chiuso, sempre
che te ne importi qualcosa.” Disse scandendo bene le parole, per non lasciare
nessun dubbio: aveva chiuso. Del tutto. Voleva farsi del male ad ogni costo?
Ok, liberissimo. Gli aveva offerto il suo aiuto, gli era stato vicino, aveva
fatto tutto ciò che era in suo potere per bloccare la sua folle corsa
all’autodistruzione. Basta, non poteva fare altro. Non si aiuta chi non vuole
essere aiutato.
Nemmeno se è la persona che ami da quando hai
memoria.
Uscendo
andò a sbattere contro Chris: vedendo il batterista così, diciamo pure,
incazzato – fermandosi qualche secondo per riflettere – Chris si fiondò nel
bagno. Solo una cosa poteva aver ferito così Dominic: Matthew, l’unico uomo in
grado di poter controllare il suo umore. Entrò e trovò Matthew seduto sotto
il lavandino, le gambe strette al petto e la faccia nascosta fra le ginocchia.
“Si può sapere cosa è successo?” Domandò, sedendosi accanto a lui.
“Dominic non mi rivolgerà mai più la parola. È entrato e io stavo… fumando.”
Sussurrò, non riuscendo a pronunciare quella parola. “E tu digli che lo
ami.” Propose Chris, guardando un punto fisso davanti a sé.
Ok, aveva
sentito male. Cioè, non poteva essere! Sicuramente quello che Chris intendeva
era “E tu digli che ti lami.” Non che la cosa avesse molto senso, in
effetti: perché cambiare tipo di autolesionismo – passando dalle bruciature ai
tagli - avrebbe cambiato qualcosa? “Ho detto: e tu digli che lo ami, Matt.”
Ripeté. Santa pace. Allora aveva sentito bene. Sgranò gli occhi e si
girò verso il bassista. “Oh, non fare quella faccia!” Lo riprese lui, “Ho visto
come lo guardi. Come lo hai sempre guardato.” Cazzo, se aveva ragione. Aveva
ragione su tutto, come sempre. “Ma sono passati solo quattro mesi e io penso
al mio batterista, non è… sano.”
“Credo
che tu abbia un concetto del tutto personale della parola “sano”, signor “ho un
campo da battaglia navale cicatrizzato su un braccio”. È sicuramente la cosa più
sana che ti sia capitata nella vita. E poi, andiamo. Tu lo ami da sempre. Ammettilo. Da sempre. Scommetto
che se pensi ai momenti più belli della tua vita, in ogni immagine ci sarà la
sua faccia. O qualche cazzata da lui sparata, insomma. È dentro di te, ormai. E
non ti sentire in colpa per Gaia: ha vissuto sperando che tu fossi felice. Non
credo che da morta il desiderio sua cambiato.” Sorrise, dando una pacca sulla
spalla al cantante.
“Ma cosa dovrei fare?” “Muovi quel culo secco e
vallo a prendere.” Rispose, sorridendo ancora. Poi, mentre Matthew si stava
allontanando – ripensando all’ambiguità della frase precedente – continuò:
“Quando dico “vallo a prendere”, parlo di Dominic! Non di una sua qualche
appendice sessuale! Ti ricordo che abbiamo un concerto, non ti puoi
stancare!”
Ma per fortuna, Matthew riuscì a sentire solo la prima frase.
Quando lo sentì entrare, Dominic si girò di scatto. “Vaffanculo.”
Semplice, chiaro e coinciso. “Sei un idiota.” Continuò, passandosi una mano fra
i capelli. Idiota, idiota di un Bellamy! Lui e le sue… orrende e adorabili manie. “Perché te ne sei
andato?” Domandò Matthew, avvicinandosi di qualche passo. Dominic sgranò gli
occhi, alzando le mani: perché? Che
domanda del cazzo. Una fottutissima domanda del cazzo. “E tu perché mi hai
seguito? Non hai sentito quello che ti ho detto? Ho chiuso. Chiu-”
“Io
ti amo.” Lo interruppe. “Credo di amarti da sempre. E lo so che sono una testa
di cazzo. So che quello che ti ho
costretto a subire non è degno di perdono. Ma… Gaia è morta e io mi sono
spaventato. Ero così terrorizzato da non poter pensare e il dolore distrae, sai,
ti costringe a non pensare ad altro. Avevo così paura… perché ho realizzato che,
Gaia, l’ho sempre usata contro il terrore che avevo di innamorarmi veramente di
te. Perché se noi ci fossimo innamorati, allora, tutto sarebbe andato a puttane,
prima o poi. E io non voglio, io… tu sei l’unica costante della mia vita degna
d’essere tale. E ho paura, ho-”
Non riuscì a finire il
discorso. Improvvisamente il mondo si fermò, la terra smise di girare e tutti
i pianeti tacquero, come in contemplazione dell’amore che si stava sprigionando
nell’aria in quel momento. Dominic lo stava baciando con una dolcezza che mai
aveva provato in vita sua. Le loro labbra si stavano appena sfiorando ma, da
quel lieve tocco, nacque dentro Matthew un’esplosione di gioia così forte da
fargli tremare le mani. “Sei un idiota. Tutto questo casino per un amore che
non finirà mai.” Sussurrò Dominic, poggiando la propria fronte contro quella del
cantante. “Mai?” “Mai.”
“Ragazzi,
scusate ma – oh cazzo! Scusate!” Chris richiuse velocemente la porta, chiudendo
gli occhi. “Beh, dobbiamo fare il soundcheck! Quando volete!”
Matthew e
Dominic scoppiarono a ridere, guardandosi negli occhi: e per la prima volta si
videro realmente per ciò che erano e che sarebbero stati. Un uno in due corpi.
“Arriviamo!”
Quando uscirono, Matthew passò accanto a Chris e
bisbigliò “Grazie.” Alla fine, se non ci fosse stato lui, non sarebbe
successo nulla.
“Prego, Matthew.” Pensò Chris, mettendosi una mano in
tasca. “Sai che farei di tutto per te.” Cercò per qualche secondo e poi tirò
fuori dalla tasca un piccolo foglietto e un ciondolo. Il ciondolo di Gaia. “E in
effetti, l’ho già fatto.”
“Il
lavoro è stato svolto. R.” Recitava il biglietto.
Sì,
se non fosse stato per lui, tutto quello non sarebbe successo.
PurpleMally’s
Notes!
Here
we are, care. It’s over. Con un finale – credo – abbastanza inaspettato.
Seriamente, ve lo sareste immaginato? Perché si sarebbe potuto capire, da
qualche indizio qui e lì. Comunque, che dire. Mi sono divertita un sacco a
riscrivere questa fan fiction e mi sono divertita ancora di più a leggere le
vostre recensioni: siete fantastiche! Beh, spero che questo finale vi sia
piaciuto e spero di rincontrarvi in qualche altra storia, sperando che sia più
allegra e senza killer a pagamento.
Ps. Capisco che il finale possa
sembrare affrettato ma, come ho detto, volevo una fan fiction d’effetto.
Un’esplosione di fatti. Un bum! di
fan fiction, per intenderci. Quindi vi saluto.
È
stato un piacere scrivere per voi.
Baci.
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