Setsugekka

di Hyakkaryouran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il sogno, la dichiarazione, la spada e il pozzo ***
Capitolo 3: *** Un lupo, una casa, un demone serpente e una tomba vuota ***
Capitolo 4: *** L'odore del sangue ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Setsugekka

雪月花

 

 

 

Mikatzuki wo daita kimi ni tsubuyaita

"kona yuki to odoru kimi ni aitai"

datta hitotsu dake no omoi wo nosete

akaku somaru yuki wo sora ni chiribameta.


Ho sussurrato a te, che impugnavi una falce di luna:
"Voglio danzare con te in questa neve polverosa."
Ho dato via l'unico amore che avevo
e sparso in cielo la neve tinta di cremisi.

 

Setsugekka – The end of silance - Gackt

 

 

 

Silenzio.

L'eco del vento, distante, arrivava fino lì, nel cuore più nascosto di quei monti.

Protetto, lontano dagli occhi innocenti degli umani e da quelli maliziosi e viscidi dei demoni minori, il tempio restava immobile, nonostante il vento del primo autunno non offrisse pietà agli alberi e alla vegetazione circostante.

Il lago, pochi metri più in basso rispetto al tempio, era illuminato come uno specchio colpito dai ragi del sole e rifletteva la sagoma limpida del primo quarto di luna. La superficie, nonostante l'inclemenza del vento, restava piatta e calma, lasciando trapelare la sua natura magica.

Era un luogo sacro, quel tempio, un luogo che nessun essere poteva raggiungere da solo ma solo accompagnato dagli abitanti del tempio o, qual’ ora fosse stato presenza gradita, gli veniva insegnato come raggiungerlo dopo un rituale per garantire che non avrebbe mai insegnato ad altri quella via.

Gli aceri gemevano mentre le loro foglie rosse lottavano per restare aggrappate ai rami sottili.

Riusciva a sentire tutto, nonostante si trovasse nella stanza più remota del tempio, protetta, assorta nel suo compito di preghiera.

I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda alta, resa più raffinata da un’elegante acconciatura adornata con dei kanzashi floreali. Crisantemi bianchi.

Gli occhi chiusi sfiorati dalla frangia che ricadeva in avanti, seguendo la sua postura, leggermente inclinata verso l'altare di pietra.

Il viso pallido era adornato dai simboli che ne testimoniavano l'appartenenza alla stirpe demoniaca: due strisce di un rosso pallido partivano dall'attac

catura di ciascun orecchio, interrompendosi a metà guancia, come fossero graffi.

Sulla fronte, una falce di luna crescente.

 

Guardò con un moto di rabbia la luna, nel cielo terso di quella notte piena di stelle.

Digrignò i denti, quasi sentisse il bisogno di balzare in cielo e azzannarla.

Riportò gli occhi davanti a sè, continuando a correre sulle cime degli alberi, silenzioso e agile.

Bellissimo.

Il vento correva assieme a lui e gli animali notturni gridavano, annunciandone l'arrivo a chilometri di distanza.

I capelli bianchi brillavano come una moltitudine di fili d'argento, mossi selvaggiamente dall'impeto della sua corsa e dal vento.
Erano stretti in una coda che li teneva lontani dal viso. Tipico di chi brandisce una spada e si definisce un guerriero.

Assottigliò gli occhi dorati, scrutando davanti a sé nel buio cupo della notte.

Le montagne erano vicine, poteva sentire l'odore dell'aria farsi via via più fresco e pungente.

Deviò improvvisamente direzione, decidendo di scalare il sentiero montuoso da un'altra parte.

"Mio signore, non è una buona idea e lo sapete benissimo anche voi!" protestò una vocina al suo orecchio.

Fece finta di non averla sentita e cominciò a saltare sulle prime rocce alle pendici dei monti.

"Interrompere una cerimonia sacra verrà considerato un atto di terribile nefandezza! Mi state ascoltando?"
Con un sorriso e lo sguardo fiero di chi non teme nulla e nessuno, si diede una forte manata sul collo e riprese il suo cammino lungo un sentiero nascosto tra la vegetazione.

 

Il kimono che vestiva era di un blu scuro come la notte e decorato finemente con motivi che richiamavano l'autunno. Un furisode, dalle maniche lunghe ed eleganti che si appoggiavano sulla stuoia di seta sulla quale era inginocchiata.

Le mani con i palmi giunti all'altezza del petto, erano legate assieme da un lungo rosario di perle violacee. Se anche avesse voluto muoverle, non ci sarebbe riuscita.

Liberarsi, però, non era quello che voleva fare, anzi, restare a pregare le avrebbe fatto bene, l'avrebbe aiutata a schiarirsi la mente da quei pensieri che continuavano a tormentarla.

L'odore acre e pungente dell'incenso che era stato fatto bruciare, le arrivò alle narici come un ondata, facendole storcere le labbra sottili in una smorfia insofferente.

Era un incenso speciale e le sarebbe servito per adempiere meglio al compito per la quale si trovava lì: doveva divinizzare, predire, scrutare il futuro tramite le allucinazioni che la preghiera forzata e le sostanze che aleggiavano nell'aria le avrebbero presto fatto apparire.

Era una droga potentissima, quella utilizzata per creare quell'incenso e non se ne stupiva: i demoni maggiori non subivano facilmente l'effetto di veleni e polveri stordenti, perciò chi aveva creato quel particolare incenso doveva aver trovato una dose adatta per far crollare anche i sensi del più inossidabile demone.

Un umano, ad ogni modo, non sarebbe sopravvissuto a quelle esalazioni.

A malincuore, respirò a fondo, inalando l'aria dolciastra e calda della stanza.

Si trattenne del tossire ma strinse con più forza gli occhi, accumulando delle piccole lacrime sui bordi esterni degli occhi. L'incenso e le sostanze in esso contenuto stavano cominciando a fare effetto.

Sentiva caldo, molto caldo e questo era il primo sintomo che stava per perdere i suoi sensi di demone. Conosceva bene la sensazione, faceva parte del suo allenamento da quando aveva appena 40 anni. Era una sensazione di calore insopportabile, per alcuni – invece - di freddo intenso, che le entrava nei polmoni e nel cuore, quasi soffocandola.

Di lì a poco, infatti, si ritrovò a respirare pesantemente, con la bocca semi aperta, cercando disperatamente l'aria ma continuando a inalare l'oppiaceo, facendolo entrare in circolo ancora più velocemente.

In pochi minuti, il suo corpo emetteva così tanto calore da far comparire piccole perle di sudore sulla fronte e sul viso.

Con un rantolo gutturale, lasciò ciondolare la testa a lato, fino a reclinarla all'indietro, facendo strisciare abbondantemente i capelli a terra.

Aprì piano gli occhi.

Specchi argentei privi di iride e luce.

Era cominciata la trance.

 

Non si era illuso di trovare la strada senza sentinelle o guardie.
Non era un problema, lui poteva raggiungere quel luogo in qualsiasi momento, non aveva bisogno di nessun permesso.

Quando le guardie che incontrava lo guardavano, riusciva a percepire il tuffo dei loro cuori e l'irrigidimento dei muscoli dei loro corpi.

Lo riconoscevano subito, sia per la spaventosa aura demoniaca che emetteva, sia per tre elementi che qualsiasi demone avrebbe fatto bene a imprimersi nella mente: le sue tre spade, la stola di pelliccia che portava sulla schiena e il simbolo che spiccava sulla sua fronte.

Una falce di luna calante.

Dopo qualche minuto di camminata, il sentiero si aprì su una valle incastonata tra i monti, sul cui fondo dominava un lago incantevole e su un crinale, un grande tempio dalle decorazioni rosse e nere.

Percorse la strada per il tempio, un lungo ponte di legno rosso sotto cui scorreva un torrente che portava l'acqua al lago.

Quel luogo aveva la capacità di mettere calma nel suo animo turbolento. Gli alberi mossi dal vento, il profumo dei fiori che sia alternavano, sempre diversi, ogni stagione.

E la luna, immobile e spietata, con il suo sorriso canzonatorio, che sembrava enorme e sul punto di riversarsi nelle acque limpide del lago.

Se fosse caduta l'avrebbe addentata al volo e l'avrebbe sbranata.

Salì le scalinate che portavano all'ingresso del tempio. Trecentotrentatre scalini.
Un numero magico.

Appena mise piede sull'ultimo gradino, una potente aura demoniaca si avvicinò, proveniente dal tempio.
Un demone femmina, anziana anche per essere uno youkai.

"Non potete entrare nel tempio, i riti del primo quarto di luna sono già cominciati." proferì con una voce così remota da sembrare distante migliaia di metri.

"Non posso, dite?"
"No, non potete. Potete attendere, ma non avete il permesso di varcare la soglia del tempio. Rischiereste di alterare le percezioni del tramite."

Respirò con forza, quasi soffiando e alzò gli occhi versi il tempio. Percepiva la sua aura demoniaca ma era sempre più fioca.
Guardò la demone che lo fissava, inespressiva, avvolta in un kimono completamente nero.
Sorrise.
"Vedremo."

 

 

Il sole illuminava tutto, riempiendo l'immagine di una luce bianca accecante, oltre la quale era difficile scorgere qualcosa.
Un suono, però, melodioso e dolce. Un canto, forse.
Lentamente la luce lasciò spazio alle figure, sempre lievemente sfuocate.

Una donna, con in braccio un neonato.

Una donna che cantava al suo bambino.

Era un'immagine così bella e calda. Un sorriso.

Si riconobbe nella donna che cantava, sorridendo con le labbra e con gli occhi, mentre guardava il fagotto che stringeva fra le braccia.

Era una bambina. Non la vedeva ma ne era certa. Sua figlia.

Dietro l'immagine di sé stessa, apparve una figura bianca, alta, avvicinandosi a loro.

Udì solo un nome, prime che l'immagine sparisse in un vortice per lasciare spazio ad un'altra visione.

Yomimaru.

Una nebulosa grigia e fredda prima di riuscire a scorgere il profilo di un viso.

Un uomo. Un umano. Non sapeva chi fosse, né l'aveva mai visto prima di quel momento.

Era un contadino, forse, visti i poveri abiti che aveva indosso.

Camminava per un sentiero, un sentiero di montagna che sembrava il sentiero nascosto che portava al tempio. L'immagine tremò fino quasi a dissolversi per poi ritornare, limpida e vivida.

Il tempio e il suo interno, l'Ooku dove si trovava in quello stesso momento. Dov'erano custoditi i due tesori.

Improvvisamente percepì subito cosa stava per accadere. Vide l'uomo avvicinarsi ai tesori e impossessarsene, avido di una ricchezza mai sperimentata. Non era solo, però.

L'immagine era fin troppo nitida per potersi confondere.

Si riconobbe nel tentativo di far desistere l'uomo dal prendere i due tesori. Una discussione. La collera e la disperazione tipica degli uomini che hanno paura di perdere ciò di cui si sentono padroni, lo sguaino della spada sacra e in un istante solo, la scena culminò in un grido di paura e si vide riversa a terra, senza vita.

Rantolò a lungo, ondeggiando la testa e il corpo, imperlato di sudore. Una giovane demone, accanto a lei, finì di scrivere tutte le parole che aveva profetizzato su una pergamena.

Aveva il viso coperto da una maschera per non venir affetta dall'oppiaceo. Dopo aver arrotolato la pergamena, la sigillò e si alzò di corsa, riponendola in una cassa che fu portata subito via.

La giovane demone aprì qualche shoji per permettere all'aria di depurarsi.

Il rito era concluso.

Ma la trance non ancora.

I suoi sensi stavano per tornare, eppure la sua mente era ancora annebbiata e incapace di uscire dalla trance.

Percepiva qualche suono, nessun odore data l'intensità dell'incenso.

Sentiva delle voci. O forse le sognava.

Vedeva Yomimaru, il suo amato Yomimaru. Le sembrava di sentire il suono della sua voce, lontana.

Yomimaru.

"Yomi..."

Non aveva più voce. Sentiva la gola secca. Cos'aveva sognato?

Non ricordava nulla.

Sentiva l'aria mancarle. Le mani ancora giunte, abbandonate sulle gambe.

Il corpo molle, inconsistente.

Si sentì cadere all'indietro, sfinita e poi un profumo, diverso, il primo che riusciva a percepire e che non fosse contaminato dall'incenso.

Odorava di muschio, ruggine e aria fresca.

Tōga.

 

Fece per voltarsi, accettando la sconfitta ma non era così.
Con uno scatto che nessuno avrebbe potuto fermare, si precipitò all'ingresso del tempio, avanzando inclemente al suo interno, abbattendo gli shoji di carta.

L'anziana chiuse gli occhi, sorridendo amaramente, mentre l'immagine dell'uomo davanti a lei sbiadiva. Si era mosso così velocemente che un immagine di lui era rimasta lì, davanti a lei.

Il vento si mosse, rabbioso, ululando tra le vette sbiancate dalla neve.

Nel tempio, il demone raggiunse l'ultima stanza, scavata dentro un pezzo della montagna e avvertì subito l'odore pungente e intenso dell'oppiaceo che vi aleggiava.

Si spinse in avanti con un balzo e prese l'esile figura ciondolante fra le braccia.

"Yōen! Rispondimi!"

Il viso della demone era rilassato, quasi stesse dormendo; gli occhi chiusi, orlati da folte ciglia scure si muovevano impercettibilmente, come se stesse lottando per svegliarsi.

La prese saldamente fra le braccia e la sollevò da terra, ripercorrendo i propri passi con fretta. Diverse giovani ancelle lo guardavano, spaventate, mentre si nascondevano dietro alle pareti sottili di carta. Il signore delle terre dell'Ovest era davvero come lo descrivevano: il viso solcato da segni blu sulle guancie, occhi intensi e dorati che potevano paralizzare con un solo sguardo. Era bello e terribile, come un fulmine che squarcia l'orizzonte lontano.

Ed era anche furibondo.

Raggiunse l'uscita con grandi falcate e appoggiò la demone a terra, scuotendola delicatamente per farla riprendere.

"Yōen, svegliati..."

La demone strinse le labbra e aprì piano gli occhi. Profonde ametiste, umide di pianto.

Il demone sospirò, rassicurato e si concesse un mezzo sorriso.

"Respira a fondo, ti riprenderai subito."
Yōen obbedì e fece un lungo respiro, sentendo i polmoni riempirsi dell'aria fredda della sera. Le doleva la testa.

"Tōga... Cosa ci fai qui?" domandò, confusa.

Lui alzò le spalle.

"Sono venuto a vegliare su di te. Ti dispiace?"

Lei scosse la testa e si tirò su a sedere, sospirando a lungo. I suoi sensi stavano tornando lentamente, troppo lentamente per i suoi gusti. I profumi della notte erano così tanti e i rumori così forti che sentiva la testa esploderle.

"Non saresti dovuto venire. Lo sai che non si possono interrompere i riti del primo quarto di luna. Cosa ti passa per quella testa, Tōga?" si accarezzò la fronte, sentendola umida di sudore diventato freddo.

Lui si alzò e le porse una mano, invitandola a fare altrettanto. Gli occhi viola di lei incontrarono i suoi e dopo un istante di titubanza, accettò la sua premura, tirandosi su.

"Devi andartene." continuò.

"Non ho intenzione di farlo, al momento."

"Devi."
"No."
Yōen sospirò ancora e fece qualche passo per allontanarsi da lui. Non molto lontano da loro, l'anziana demone li stava guardando con un espressione severa.

Perché doveva essere così ostinato? Perchè non poteva sottostare alle decisioni che le persone intorno a lui prendevano?

"Perché non riesci a capire quello che provo? " la giovane youkai si girò a guardarlo.

"Perché non credo che sia quello che vuoi veramente."

Yōen scosse la testa, spazientita. Odiava quando si comportava così, era peggio di un cucciolo ostinato e viziato.

Alzò lo sguardo alla luna, sempre più bassa nel cielo. Una falce brillante, identica a quella che spiccava sulla sua fronte.

Come il marchio simbolo del suo clan.

"Io amo tuo fratello, perché non sei disposto a credermi? Siamo cresciuti insieme, Tōga, perché non hai fiducia nelle mie parole?"

Tōga, lentamente, le si avvicinò. Non era vero che non le credeva. Semplicemente, preferiva convincersi che le sue parole potessero essere vere.
Si fidava di lei completamente, come faceva solo con pochissime altre persone e non era una questione di fiducia.
Era solo che il suo cuore non poteva accettare di lasciarla andare, semplicemente, come se averla vicina non avesse significato, per lui.

Avrebbe voluto spiegarglielo così, con le parole giuste, quelle che lei sapeva sempre usare con lui ma non ne era capace.

Le sue mani avevano la forma e la grandezza esatta per brandire con abilità innata una spada, non erano mani capaci di accarezzare i fogli sottili di una pergamena.

Quello che sentiva partiva dal cuore, un cuore che lei gli aveva insegnato ad ascoltare e veniva pompato nelle vene e nelle arterie fino alla parte più remota del suo corpo.

Lui sentiva ma non era capace di esprimerlo chiaramente.

"Se anche fosse vero, perchè unirvi in modo così definitivo?" sbottò con rabbia.

Yōen sospirò ancora.

"Ti lascia così sconvolto il fatto che due demoni cane decidano di legarsi in un matrimonio?"
Tōga annuì, con un impeto che lasciava trapelare i sentimenti turbolenti che aveva nel cuore.

"Non è necessario che succeda, in 3000 anni non è mai successo!"
"Ma è quello che vogliamo, in più coincide con la volontà del tempio e non riesco a capire perché tu sia così ostinato a..."
Le parole le morirono in gola quando sentì le labbra di Tōga premere contro le sue. Erano morbide, anche se il loro sapore aveva un sentore di sangue. Erano dolci ma stavano forzando le sue a compiere qualcosa che non voleva fare.

Con uno spintone, lo allontanò da sé e lo guardò con gli occhi sconvolti.

Tōga si passò il dorso della mano sulle labbra, digrignando i denti dietro le labbra serrate.

Yōen annaspò, respirando con la bocca l'aria fredda della sera.

"Devi andartene. E' per il bene di entrambi, è per il bene della nostra amicizia e dell'affetto che nutriamo l'uno per l'altra. Devi andare via, Tōga, perché per me sei come un fratello e questo non potrà mai cambiare. Né per me, né per Yomimaru."
Gli occhi della demone erano umidi di lacrime, uno spettacolo che raramente si era in grado di vedere.  Un demone non poteva esprimere sentimenti, perché non ne possedeva. Era quello che tutti continuavano a ripetere, tramandandolo di generazione in generazione.

Peccato che non fosse così semplice, vivere.

Forse per le lacrime che stavano per scenderle dagli occhi tristi o per le ultime parole che aveva detto con la voce rotta, Tōga, il demone cane signore delle terre dell'Ovest, indietreggiò nell'ombra della notte e con un balzo, scomparve sulle cime degli alberi.

Yōen fece un passo in avanti, quasi volesse chiamarlo ma si bloccò.

Alle sue spalle, la vecchia demone la richiamava e lei annuì, chiudendo gli occhi e lasciando rotolare lungo le guancie qualche lacrima.

Si asciugò il viso e si incamminò verso il tempio.

 

*°*

Settecentocinquanta anni dopo, un grido squarciò la notte calma che vegliava sul tempio. Una scossa di terremoto ruggì per diversi secondi, facendo sussultare la terra con una devastante forza.

 

Lontano, nella pianura, un demone cane che viaggiava con un piccolo demone al suo seguito, si fermò nella foresta, girando lo sguardo verso ovest. Gli era parso di sentire un grido e l'esplosione, distante, di un aura demoniaca così forte da far tramare la terra.

 

In un villaggio, durante la scossa di terremoto, un mezzo-demone e una miko si svegliarono di soprassalto, guardandosi negli occhi pieni di domande.

"Hai sentito anche tu, quella spaventosa aura demoniaca...?" domandò lei mentre si stringeva fra le braccia del mezzo-demone.

"Sì, l'ho percepita chiaramente."

 

*°*

Il rumore della sveglia che cadeva a terra?

Si svegliò di colpo mettendosi a sedere, come se si fosse risvegliata da un brutto sogno.

Cos'era stato?

Sentì il letto oscillare con forza.

Prese il cellulare da sotto il cuscino e si alzò, mettendosi a sedere sotto un muro sgombero da quadri e mensole. Avvolse le ginocchia con le braccia e nascose il viso fra di loro.

Fuori, la città dalle mille luci, tramava.

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Capitolo 2
*** Il sogno, la dichiarazione, la spada e il pozzo ***


Capitolo 1

Il sogno, la dichiarazione, la spada e il pozzo

 

Il rumore della porta che si apriva le giunse remoto, come se facesse parte del sogno che stava facendo.

Stava camminando lentamente lungo la superficie di uno specchio d'acqua, un lago, forse.

Le gambe, nude fino a metà coscia, venivano coperte da un kimono nero come la notte, allargato e appesantito nella parte bassa a causa dell'acqua che cercava di trattenerlo, mentre lei procedeva il suo cammino.

Disegni di canneti e crisantemi lungo tutto l'orlo inferiore, si rincorrevano verso l'alto, quasi fino alla schiena, fermati solo dall'alto obi dorato, il cui fiocco dondolava dolcemente, seguendo i suoi movimenti. I suoi passi creavano innumerevoli cerchi sul pelo dell'acqua, eppure riusciva a camminare sulla superficie, senza affondare come faceva invece il suo abito.

Al suo fianco, una strisciata nell'acqua, creata da un oggetto che teneva in mano, la cui estremità solcava la superficie cristallina e luminosa. Sembrava il fodero di una spada.

Non riusciva a vedersi in volto, eppure era certa che quella figura fosse lei stessa. Intravedeva solo il proprio sorriso, leggermente incurvato in un’espressione maliziosa e divertita. Labbra dipinte di rosso si muovevano lentamente, senza suono.

"Ayami! Ayami, cosa ci fai per terra?" si sentì scuotere con forza e sollevò la testa dalle ginocchia, intontita.

"Eh? Cosa succede?" chiese con la voce impastata dal sonno.

Suo padre la guardava come se davanti agli occhi avesse un'altra persona.

"Cosa succede? Stai dormendo seduta sul pavimento, ecco che succede. Non hai sentito la sveglia, sta mattina?" chiese accucciandosi vicino a lei.

La ragazza sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano e si guardò in giro: la sua camera era completamente in disordine con i libri caduti a terra assieme ai suoi peluches e le foto.

Strinse gli occhi, cercando di ricordare cos'era successo e stendendo le gambe indolenzite, colpì col piede la sveglia, rotolata lontano dal comodino.

Ora ricordava.

"Mi sono messa qui quando ho sentito la scossa di ieri notte e devo essermi addormentata..." biascicò mentre riprendeva a stiracchiarsi.

Suo padre sospirò, sconsolato e si rimise in piedi, offrendole una mano.

"Coraggio, sei ancora in tempo per fare colazione!" le sorrise e la guardò dolcemente da dietro gli occhiali con la montatura sottile.

Ayami alzò la testa per guardarlo e gli sorrise di rimando, accettando l'aiuto che le offriva e rimettendosi in piedi. Sentì tutte le ossa scricchiolare e mugugnò dolorante quando la circolazione prese a scorrere di nuovo anche nei piedi, dandole una fastidiosa sensazione di formicolio.

Mentre suo padre scendeva le scale, lei si avvicinò alla propria scrivania e appoggiò il cellulare che stringeva ancora fra le mani.

Notò che era scarico e, sbuffando, decise di lasciarlo a casa in carica. Non aveva tempo per aspettare che si caricasse, era già in ritardo per andare a scuola.

Inforcò il bagno e dopo essersi lavata e sistemata, rientrò in camera, infilandosi la divisa della sua scuola superiore: calzettoni al ginocchio neri, gonna a metà coscia scozzese, rossa e blu, camicia bianca a maniche corte e pullover senza maniche, blu scuro. A chiudere il collo della camicia, un cravattino che richiamava la fantasia della gonna. Liceo privato, secondo anno di scuola superiore.

Si pettinò i lunghi capelli neri, sistemando la frangia su un lato del viso, borbottando qualcosa sull'idea di accorciarla un po'.

Con un sospiro, prese la cartella e scese di corsa le scale di legno, entrando di corsa nella piccola cucina. Sul tavolo, una ciotola di riso bianco, una tazza fumante di tè e le bacchette.

Mentre si sedeva, guardò la schiena di suo padre, intento a lavare i piatti.

Le maniche bianche del kimono legate col tasuki, oscillavano appena mentre le pieghe dell'hakama azzurro si aprivano ogni volta che si piegava leggermente in avanti per riporre i piatti sciacquati a sgocciolare.

"Papà, c'è qualche funzione importante, oggi?" gli domandò mentre avvicinava le bacchette e la ciotola di riso.

"Sì, c'è un matrimonio ma non ti preoccupare, mi aiuteranno Tomoe e Nioi! E poi hai un compito in classe, non è vero?"
Ayami spalancò gli occhi e per poco non si soffocò col riso. Mentre beveva a grandi sorsate il tè, si ricordò del compito di algebra alla prima ora.

Come una furia, si alzò dal tavolo, lasciando che le bacchette rotolassero sulla superficie e prese al volo il pranzo che suo padre le aveva appoggiato lì accanto.

"Papà, devo scappare! Ci vediamo questo pomeriggio, va bene?" all'entrata, inforcò le scarpe e aprì di corsa la porta, scappando fuori.

Suo padre sospirò di nuovo e sorrise fra sé e sé.

Ayami si sistemò la borsa a tracolla e cominciò a correre con tutte le sue forze. Passò davanti all'entrata del tempio gestito dalla sua famiglia e si precipitò come una furia lungo il marciapiede, correndo verso il sottopassaggio della metro.

Si fece largo tra la folla di pendolari e riuscì a passare oltre i cancelletti, strisciando il fondo della borsa (dove teneva la tessera elettronica dell'abbonamento) sul lettore di schede e scattando in avanti appena la spia divenne verde.

Scese ancora delle scale, arrivando alla banchina dove stava giungendo la sua corsa. Si appoggiò le mani sulle ginocchia e riprese lentamente fiato mentre le persone si mettevano in coda dietro delle righe gialle, segnate a terra.

Si avvicinò anche lei e respirò l'aria fresca che arrivava dai tunnel della metro. Era settembre e fuori faceva ancora molto caldo, soprattutto nelle prime ore pomeridiane.

Fece per prendere il cellulare ma si ricordò di averlo lasciato a casa. Sbuffò e si augurò di non essere troppo in ritardo.

Improvvisamente, sentì una folata d'aria farsi più intensa. Pochi secondi dopo, il rumore dell treno rimbombava lungo la galleria buia, rallentando fino a fermarsi davanti alle file composte.

 

Il rumore della campanella della quarta ora suonò come una liberazione per tutti.

Ayami appoggiò la matita in mezzo al libro e si stiracchiò mentre i suoi compagni si alzavano per andare a comprare il pranzo.

"Ayami, com'è andato il compito di algebra?"

"A me sarà sicuramente andato malissimo...!"
Due ragazze le si avvicinarono. Erano Ruka e Yuko, le due sue migliori amiche. Ayami sorrise e scrollò le spalle.

"Discretamente bene, spero di prendere un voto abbastanza alto da mantenere la media del primo trimestre!" confessò mentre tirava fuori dalla borsa il pranzo.

Ruka, la più bassa delle due, la guardò con aria fintamente saccente, imitandone la voce.

"'Discretamente bene...' ma sentitela quanto fa la modesta! Vorrei avere io i tuoi voti, Ayami! Mio padre non mi farebbe andare ai corsi pomeridiani e potrei uscire più spesso con Sawada..." brontolò, crucciandosi.

Yuko, che a differenza dell'amica era più alta e portava i capelli più lunghi, rise sonoramente, prendendola in giro.

"Non succederà mai, Ruka, arrenditi all'evidenza dei fatti!"

"Ma cosa dici?! Posso migliorare i miei voti in qualsiasi momento!" protestò Ruka mentre anche Ayami rideva.

"Allora cosa aspetti, il momento propizio? Se vuoi, la prossima volta che vieni da me al tempio, ti farò leggere la mano da Tomoe, è molto brava in questo tipo di predizioni!" alzò un indice e sorrise.

Ruka si illuminò e annuì ripetutamente, entusiasta.

"A proposito, Ayami, come procede la ristrutturazione del tempio?" si incamminarono fuori dall'aula dirigendosi verso il cortile esterno.

"Bene, ormai i lavori sono quasi ultimati! Oggi mio padre officiava un matrimonio, quindi i lavori devono essere quasi finiti!"

I corridoi brulicavano di studenti che si prodigavano verso il banchetto dei panini. Il sole filtrava dalle vetrate dei corridoi, proiettando le loro ombre sui muri, lunghe e grottesche.

Uscirono, percorrendo il vialetto coperto che portava alle palestre e si sedettero sui gradini della palestra, all'ombra.

"Ahh, che caldo insopportabile...! Non vedo l'ora che arrivi l'autunno!" proclamò Ruka mentre si stiracchiava.

"Scusate, ragazze, ieri notte avete sentito quella scossa ti terremoto spaventosa?" domandò Yuka mentre apriva il proprio bento.

Ayami annuì e si sporse un po' in avanti per guardarla meglio.

"Sì, era davvero forte. Pensa che mi sono addirittura svegliata e messa a dormire a terra, sotto il muro portante e stamattina, mio padre mi ha trovata ancora lì!"

Ruka la guardò, preoccupata.

"Non sarai mica sonnambula, vero? Lo sai che la prossima settimana andremo finalmente in gita e condivideremo la stanza..."
Ayami arricciò le labbra e le diede un piccolo spintone con la spalla.

"Smettila di dire stupidaggini, non sono sonnambula! Ho semplicemente fatto automaticamente quello che ci hanno sempre insegnato... Il particolare della mia semi incoscienza è del tutto irrilevante..." finì in un borbottio imbarazzato mentre le amiche ridevano.

Stava per aprire il coperchio del suo bento, quando si ritrovò ad alzare la testa e ad appoggiare velocemente la schiena al muro della palestra.

Pochi istanti dopo, una palla da calcio sfrecciò esattamente dove prima stava la sua faccia.

Ruka e Yoko trasalirono, percependo il movimento di qualcosa solo con la coda dell'occhio.

Ayami si riscosse, scuotendo piano la testa e la voltò verso la direzione da dove proveniva la pallonata.

Kitagawa Shū, il capitano della squadra di calcio del liceo, si avvicinò trafelato verso di loro.

"Jutsuka! Stai bene?" chiese preoccupato ad Ayami che lo guardava, visibilmente scossa.

Ruka si alzò in piedi e prese a picchiarlo su una spalla.

"Kitagawa ma se pazzo? Lo sai che potevi colpirci con quella maledetta palla?"

Il ragazzo si riparò con un braccio e balbettò mille scuse, mortificato.

"Jutsuka, perdonami, ho tirato in porta ma la palla ha preso il palo ed è schizzata da questa parte senza che lo volessi..."

Ayami lo guardò e annuì, sorridendogli.

"Non ti preoccupare, Kitagawa, non mi sono fatta niente..."

"La prossima volta, vedi di tirare in porta e non mirare al palo!" rimbeccò Ruka, adirata.

Lui s’inchinò più volte, chiedendo ripetutamente scusa e una volta che tutte e tre gliel'accordarono, corse a recuperare la palla e tornò nel vicino campo di calcio.

"Mi chiedo come abbia fatto a diventare capitano se non è nemmeno in grado di calciare come si deve una palla!"

"Avanti, Ruka, non esagerare, Kitagawa non l'ha fatto apposta emi sembrava molto dispiaciuto..." obbiettò Yuko da dietro gli occhiali.

"Infatti e poi Kitagawa è un bravo calciatore! Lo vedo spesso allenarsi nel cortile di casa e si impegna molto! Se è diventato capitano significa che se lo merita sicuramente!" finì Ayami.

Ruka sbuffò e incrociò le baraccia al petto.

"Lo dite solo perché sembra un Idol." proferì acida mentre le altre due sorridevano.

Poi, tutte e tre guardarono i rispettivi cestini del pranzo e sospirarono, sconsolate.
Alzarono gli occhi al cielo e ammisero, in coro:

 "Per lo spavento, mi è passata la fame..."

 

Al suono dell'ultima campanella, tutti sospirarono di gioia.

Il fine settimana stava per cominciare.

Mentre sistemava le cose nella borsa, Ayami si mise d'accordo con le amiche di vedersi a Shibuya domenica mattina, per andare a fare compere tutte insieme.

Avrebbero pranzato fuori e, perché no, magari sarebbero andate al cinema a vedere l'ultimo film di Kenichi Matsuyama.

"Ci vediamo davanti ad Hachiko!" urlò prima di salutarle con la mano e sparire nel corridoio.

Scese le scale e arrivò al suo armadietto, dove riponeva le scarpe e se le cambiò.

Mentre finiva di infilarsi i mocassini neri, sentì una voce tossire forzatamente per attirare la sua attenzione.

"Kitagawa, cosa ci fai ancora qui? Pensavo che una volta finiti gli allenamenti per la partita di domani, saresti tornato a casa..."
Il ragazzo sorrise, imbarazzato e si massaggiò la nuca.

"A dire il vero mi sentivo ancora in colpa per l'incidente di oggi e così ho pensato che il minimo fosse riaccompagnarti a casa, sempre che per te non sia un fastidio..."

Ayami sbatté più volte le folte ciglia nere e lo guardò, lievemente stupita.

"Hai aspettato un'ora, qui fuori, solo per accompagnarmi a casa?"

Kitagawa deglutì a vuoto. Era stato troppo sfacciato?

Fece per balbettare delle scuse ma Ayami gli sorrise e fece qualche passo verso di lui.

"Non dovevi disturbarti, ma ti ringrazio lo stesso, non mi piace fare la strada da sola, al ritorno! Andiamo?" domandò, sempre sorridendo.

Kitagawa annuì e la seguì, caricandosi in spalla il borsone del club sportivo.

Lui e Ayami erano vicini di casa fin da piccoli: quando aveva cinque anni, i suoi genitori si trasferirono nella casa dove viveva ora, proprio accanto al tempio e alla casa di Ayami.

La famiglia della ragazza era molto gioviale e gentile, soprattutto dopo il loro trasferimento, proponendosi di aiutarli nel caso avessero bisogno di qualunque cosa, dal fare la spesa per loro a figli da babysitters.

Lui aveva passato l’infanzia a giocare con Ayami e le sue due cugine, Tomoe e Nioi, più grandi di loro di qualche anno.

Per quanto ne sapeva lui, la madre di Ayami e i genitori delle due ragazze, erano morti in un incidente stradale quando Ayami era molto piccola.

Il padre della ragazza, il signor Jutsuka Junichirō, era il sacerdote del tempio e aveva tirato su la figlia e le nipoti con l'aiuto dell'anziana suocera.

Nonostante le disgrazie che erano capitate alla sua famiglia, aveva cresciuto le ragazze con forza e passione, mantenendo la sua schietta giovialità e il suo modo di fare sempre premuroso.

Mentre camminavano, Kitagawa spostò lo sguardo sulla ragazza.

Era davvero strana, Ayami.

Aveva una bellezza che poche ragazze della sua età potevano vantare, eppure sembrava sempre disperatamente attenta a non dare troppo nell'occhio e lasciava banco alle sue numerose amiche, molto più in cerca di luce sotto cui mettersi in mostra.

Kitagawa Toyoaki, ovvero suo nonno, diceva sempre che una donna davvero bella non aveva bisogno di sbattere la sua bellezza in faccia agli altri ma avrebbe dovuto, al contrario, premurarsi di non esaltarla mai e di restare sempre umile di fronte ai complimenti. Era quello che suo nonno definiva "fascino".

Ayami era affascinante e nessuno poteva negarlo. Aveva una bellezza d'altri tempi, nonostante portasse la frangia su un lato del viso o non disdegnasse di mettersi del trucco quando usciva con le amiche.

Eppure, la prima volta che si accorse di tutti questi particolari su Ayami fu quando la vide con indosso l'hakama da miko, intenda ad aiutare suo padre nella purificazione del suolo del tempio.

"Kitagawa, hai l'abbonamento?"
Il ragazzo si ridestò dai suoi pensieri e annuì, cercando il portafoglio nella tasca dei pantaloni.

Non si era nemmeno accorto che erano già arrivati alla stazione della metro.

Entrarono e trovarono il solito affollamento di persone.

"Jutsuka, non ti allontanare troppo, rischiamo di perderci di vista..."
Ayami annuì e gli rimase vicino finché non arrivò il treno. Una volta entrati in carrozza, Kitagawa la lasciò sedersi in un posto vuoto e lui rimase in piedi.

"Sei proprio un tipo galante, Kitagawa! La tua fidanzata deve essere molto felice di te!" commentò con un ammiccamento lei mentre lui arrossiva.

"Sì, beh, io e Uemura non stiamo più insieme..."

Ayami aprì la bocca e lo guardò, sconvolta.

"Cosa? Tu e Minako non state più insieme? E da quando?" domandò alzando leggermente la voce.

"Non alzare la voce, per favore... comunque da qualche settimana, ormai..."
Ayami lo guardò, rattristata.

"Ma com'è possibile? Stavate insieme dalle medie..."
"Forse il motivo è proprio che stavamo insieme da troppo tempo."
Il treno rallentò e una voce annunciò la prossima fermata.
Rimasero in silenzio per un po', finché la maggior parte della carrozza non si fu svuotata.

"La prossima fermata sarà un inferno, meglio se ti siedi anche tu." nonostante ormai la carrozza fosse vuota, Ayami si appoggiò la borsa sulle gambe e fece spazio a Kitagawa perché si sedesse vicino a lei.

Lui accettò e mise il borsone a terra, tenendolo fra i piedi.

Rimasero in silenzio per diversi minuti.

Perché quella notizia l'aveva scioccata così tanto? Kitagawa cominciò a rimuginare fra sé e sé.

Da quando la conosceva, aveva sempre avuto l'impressione che Ayami avesse sempre la testa assorbita dai suoi pensieri. Era una ragazza molto aperta e solare ma non era raro che se ne stesse in disparte, pensierosa o con la testa fra le nuvole.

Era divertente e quando era in compagnia sapeva sempre dire le cose giuste per far ridere tutti, persino facendo dell'autoironia.

Quando era da sola, sembrava sempre lontana mille anni luce, con la testa. Aveva partecipato a diversi club sportivo durante la sua carriera scolastica ma si stufava ogni volta che riusciva a portare a termine un obbiettivo specifico. Aveva fatto vincere il torneo delle superiori alla squadra di pallavolo, poi era uscita dal club. Stessa storia per il club di atletica e quello di tiro con l'arco. Suo padre l'aveva mandata a danza, da piccola. Nonostante fosse molto brava, aveva deciso di smettere di punto in bianco.

Non dava l'idea di essere svogliata, ma non sembrava davvero interessata a nulla. Alle medie, si erano spesso scambiati cd di musica o manga e aveva notato che ascoltava e leggeva cose molto diverse tra loro. Anche le sue amiche facevano fatica a scegliere cos regalarle per il compleanno o per altre feste.

Eppure lei sorrideva con entusiasmo a tutto quello che le si presentava, non aiutando proprio per nulla a svelare i misteri dei suoi gusti e del suo carattere.

Nonostante l'apparente incostanza, era sempre molto gentile e premurosa con tutti e spesso si prodigava più del necessario in ogni attività nel quale veniva coinvolta.

Jutsuka Ayami era una ragazza davvero "strana" e questo lo pensavano in molti. Gli stessi "molti" che trovavano questa combinazione assolutamente affascinante.

Soprattutto i ragazzi dei vari club sportivi. I suoi compagni di squadra, poi, dall'incidente fortuito di quella mattina avevano cominciato a tartassarlo durante tutti gli allenamenti.

Ripensandoci, gli venne in mente una cosa importante da dirle.

Il treno si fermò di nuovo e quando le prote si aprirono, una folla si precipitò dentro la carrozza e, in meno di un minuto, erano tutti appiccicati come sardine.

Kitagawa sospirò, lievemente a disagio.

"Jutsuka, devo chiederti una cosa..." cominciò ma la ragazza lo interruppe.

"Ti ha lasciato per un altro, non è così?" domandò secca e innocente, attirando l'attenzione dei pendolari nelle loro vicinanze.

Kitagawa arrossì fino alla punta delle orecchie.

"Oddio, povero Kitagawa, allora è proprio così! Mio padre lo dice sempre: 'Kitagawa, quel caro ragazzo, ha un viso così pulito e ingenuo che sicuramente qualcuno finirà per approfittarsene!' "

Il ragazzo deglutì lentamente, imbarazzato a morte.

"Jutsuka, cosa ti salta in mente, così, all'improvviso...?" voleva sprofondare.

"Non devi vergognarti, Kitagawa! Dopo tutto, sono sicura che tu non hai fatto nulla per mancarle di rispetto o per indurla a correre tra le braccia di un altro! Sei troppo buono e premuroso, dev'essere sicuramente per colpa della sua indole frivola. Tomoe l'ha sempre detto e aveva ragione." Ayami appoggiò una mano su quella di Kitagawa che si sentì andare a fuoco, mentre il desiderio di venir risucchiato in una voragine si faceva sempre più spazio nella sua mente.

Come poteva dire cose così imbarazzanti senza nemmeno rendersene conto?

Per fortuna il treno rallentò ancora e chiamò la loro fermata. Ayami si alzò e si fece spazio verso le porte. Lui cercò di seguirla ma la sua borsa era troppo ingombrante, così dovette aspettare a una certa distanza.

Si guardarono e lei gli sorrise, facendolo imbarazzare di nuovo.

Quando il treno si fermò, molti cominciarono a scendere. Si ritrovarono sulla banchina e s’incamminarono verso l'uscita della stazione.

Mentre facevano scorrere l'abbonamento, Ayami borbottò.

"Sono quasi sicura che qualcuno mi abbia palpata mentre scendevo dal treno."

Kitagawa si girò di scatto a guardarla.

"Davvero?"

Lei annuì e si incamminò per le scale, al suo fianco.

"Non è la prima volta, per questo non mi piace prendere la metro da sola, al ritorno. A quest'ora escono molti dipendenti delle banche e di altri uffici e se è vero che i manga si basano su cliché..." lasciò in sospeso la frase per fargli intuire il seguito.

"Anche mio padre lavora in banca..." commentò Kitagawa, continuando a camminare.

"NON ERA QUELLO CHE INTENDEVO!" si affrettò a chiarire lei, guardandolo con imbarazzo.

Kitagawa la guardò negli occhi: aveva gli occhi di un blu profondo, abissale, che a stento si distingueva dal nero della pupilla ma, colpiti dalla luce o al sole, sembravano quasi violacei.

Prima le sorrise, poi si mise a ridacchiare, divertito. Era davvero strana ma a lui piaceva così. Stava bene in sua compagnia, anche se a volte si sentiva inadeguato.

"Lo so, lo so, ti prendevo un po' in giro!" ammise facendo una linguaccia.

Lei sospirò sollevata, poi gli assestò un pugno sul braccio, non troppo forte.

"Ah, sì, eh? E' così che ci si comporta con una ragazza che ha detto che sei adorabile e premuroso?"  si sporse verso di lui, fingendo di guardarlo male.

"A dire il vero hai anche spiattellato i fatti miei a metà carrozza, ma..."

"Non è vero, non essere esagerato!"
"Non esagero!"

Ayami sbuffò e incrociò le braccia, fingendosi offesa.

"Beh, ora che ti sei vendicato, siamo pari, ok?"

Kitagawa sorrise e annuì.
Camminarono in silenzio per un po' mentre il sole cominciava a scendere, pur non toccando l'orizzonte.

"Ah, Kitagawa, prima volevi chiedermi qualcosa, no?" Ayami si ricordò di averlo sentito dire qualcosa riguardo a fargli una domanda.

Kitagawa deglutì e si accarezzò la nuca con una mano.

"Ah, sì, vedi... Alcuni miei compagni di squadra... hanno insistito perché io intercedessi con te da parte loro."
Ayami continuò a guardarlo, incuriosita.

"Intercedere per cosa?"

"Ecco, beh... vorrebbero che io ti dessi i loro numeri... nel caso tu fossi interessata a uscire con uno di loro."

Kitagawa si fece improvvisamente serio e infilò le mani in tasca.

Ayami guardò davanti a sé e non disse nulla. Salirono lentamente la scalinata che portava alla collina del tempio.

"Beh, non ho il mio telefono con me, al momento ma se vuoi puoi scrivermeli da qualche parte, magari su un quaderno. Non ti assicuro che li chiamerò ma almeno potrai dirgli di aver assolto il compito che ti hanno affidato, ok?"

Ayami sorrise, allegra e continuò a salire le scale.

Kitagawa, però, rimase fermo qualche gradino più in basso e tirò fuori le mani dalle tasche dei pantaloni.

"A dire il vero, Ayami, non è questo che ti volevo chiedere..." cominciò.

Ayami si fermò e si girò a guardarlo. Notando che era fermo e cogliendo il suo disagio, scese i gradini che li separavano.

Inclinò un po' la testa a lato, curiosa e lo guardò con attenzione.

Kitagawa inspirò profondamente.

"Questo era quello che ti dovevo riferire ma quello che ti volevo chiedere è... se ti è possibile, ovviamente... di non chiamare nessuno di loro." finì, guardandola negli occhi, serio.

Ayami si stupì un po' della richiesta e lo guardò senza capire.

"Va bene, se ti da fastidio non lo farò. Va bene?" domandò, cercando risposte nei suoi occhi.

Era strano che Shū si comportasse così. Non riusciva a capire la sua richiesta. Forse pensava che interessarsi a una ragazza distraesse troppo i suoi giocatori e quindi le stava chiedendo di non "ostacolare" il suo lavoro di capitano. Ma perché non dirlo chiaramente?

Kitagawa intuì dal suo sguardo che la ragazza non aveva capito le sue intenzioni. Così si schiarì la voce e cercò di spiegarsi.

"Intendo dire che... Vorrei che tu non uscissi con altri."
"Con 'altri'?"

"Sì, con altri. Perchè, vedi, Ayami, vorrei che tu prendessi in considerazione l'idea di uscire con me."

Si stupì sinceramente della facilità con la quale gli uscirono quelle parole. Si era immaginato imbarazzato e impacciato così tante volte, mentre fantasticava sul momento opportuno per dirglielo.

Era da qualche mese che aveva capito di non essere innamorato della sua ex ragazza. Non che fosse una cattiva ragazza (nonostante Jutsuka avesse centrato in pieno com'era finita la loro storia) ma non era la ragazza di cui sentiva di potersi innamorare. Anzi, il fatto stesso che dopo tre anni ancora stesse aspettando di innamorarsene, gli aveva chiarito che quella storia doveva finire.

Peccato che non aveva trovato il coraggio per farlo e intanto aveva cominciato a trascurarla per il club di calcio e con mille scuse trovava il modo di vederla sempre di meno. Non l'aveva stupito la voce che aveva cominciato a circolare sul fatto che lei vedesse anche un altro ragazzo, anzi.

Aveva colto la palla al balzo, l'aveva chiamata, si erano dati appuntamento e avevano chiuso lì la loro storia. Lei lo aveva rimproverato e lui aveva abbassato la testa e incassato.

'Tanto è evidente che sono anni che non hai occhi che per la tua vicina di casa, Shū!'

Con queste parole, Uemura l'aveva piantato in asso ma gli aveva anche aperto gli occhi.

Era vero, se s'immaginava con qualcuno, s'immaginava solo con Ayami a guardare un film insieme, a ridere per un programma televisivo divertente, a studiare per un compito in classe, con lei che gli dava ripetizioni e gli sorrideva in quel suo modo dolce e caldo. S'immaginava a guardarla mentre lei lasciava che il suo sguardo si perdesse, insieme ai suoi pensieri di cui, ne era certo, non l'avrebbe mai messo al corrente ma non gli importava.

Gli bastava che nel momento in cui si sarebbe risvegliata da quei pensieri, gli avrebbe di nuovo sorriso e gli avrebbe permesso di starle vicino.

Sospirò e sorrise, un po' amaramente e cominciò a salire i gradini, lentamente.

Ayami era rimasta a fissare il punto dove prima stava Kitagawa, imbarazzata.

Conosceva Shū da quando erano bambini.  Dire tutta la verità, il ricordo più vecchio che aveva era proprio il ricordo della prima volta che aveva incontrato Shū.

La famiglia Kitagawa si era appena trasferita lì da Yokohama ed erano passati a presentarsi in una serata con la neve, in primavera.

Lei era in salotto, insieme alle sue cugine e stava disegnando appoggiata al tavolino basso mentre loro guardavano gli anime in tv.

Quando sentì il campanello suonare, suo padre andò ad aprire e li fece accomodare in salotto.

'Questa è mia figlia Ayami e queste sono le mie nipoti, Nioi e Tomoe! Bambine, questi sono i nostri nuovi vicini, i Kitagawa! Coraggio, fate le bambine educate!'

Ricordava di aver borbottato meccanicamente una formula che suo padre le aveva insegnato da poco e poi aveva guardato il bambino che il signor Kitagawa teneva in braccio.

Quando il padre lo mise giù, lui si avvicinò subito a lei e guardò i disegni che stava faticosamente colorando.

Ripensandoci, fin da piccolo, Shū era un bambino adorabile e gentile. Si sedette vicino a lei e lei gli offrì un foglio e le matite. Disegnarono tutta la serata, finché non dovettero andare a casa.

Lui era di nuovo in braccio al padre, lei in ginocchio sul tappeto del salotto.

Ondeggiarono le manine per salutarsi e, da quel giorno, diventarono amici.

Poteva dire che Kitagawa era l'unico, escluso suo padre e le sue cugine, a conoscerla veramente. E il fatto che fosse così, le piaceva.

Le piaceva che potesse esserci qualcuno disposto a sostenere i suoi silenzi e a condividere i suoi sorrisi.

E, ancora di più, le piaceva che a fare questo fossero i begli occhi nocciola di Kitagawa, che fossero le sue premure e le sue gentilezze a strapparle continuamente dei sorrisi involontari.

Con imbarazzo, si morse le labbra.

"Va bene!" proruppe ad alta voce.

Kitagawa, che ormai era in cima alla scalinata, si voltò a guardarla.

Era ancora laggiù, dove l'aveva lasciata, piccola e con le guancie rosse che lo guardava con quei suoi fenomenali occhi scuri e cercava di sorridergli per camuffare l'imbarazzo.

Sorrise anche lui, sentendosi arrossire.

Aspettò che lei lo raggiungesse, poi continuarono a camminare uno fianco all'altro, fino alla porta della casa di lei.

Si salutarono e senza il minimo preavviso, lei gli baciò una guancia prima di sparire di corsa in casa.

Kitagawa rimase imbambolato per un po', poi, massaggiandosi la nuca, proseguì verso casa, sentendosi stupidamente felice.

 

"Ayamii~!" la voce di Tomoe le arrivò alle orecchie come un accusa.

Possibile che sapesse già tutto?!

Sbuffando, Ayami andò ad aprire la porta della sua camera e fissò la cugina con un cipiglio scocciato.

"Che vuoi, Tomo-chan?"

Tomoe la guardò con una faccia che non prometteva niente di buono e si infilò nella sua stanza, ridacchiando come una pazza.

Si sedette sul letto mentre Ayami si accontentò della sedia della sua scrivania, che girò verso sua cugina.

Tomoe era più grande di lei di quattro anni, mentre sua sorella era più grande di cinque.

Erano entrambe molto belle: Nioi aveva i capelli lunghi come quelli di Ayami mentre Tomoe li portava corti fin sopra le spalle, tagliati in un taglio pari e con la frangia.

Andavano entrambe all'università ma avevano degli orari molto flessibili che gli permettevano di aiutare suo padre con le faccende del tempio quando lei doveva andare a scuola.

Tomoe era molto maliziosa e vivace e aveva una spiccata capacità di predizione del futuro, mentre Nioi era molto più calma e dolce ma era un despota quando si trattava di adempiere ai propri doveri. Perfino suo padre non si salvava dalle sue prediche.

Nonostante questi caratteri molti diversi, le due sorelle andavano molto d'accordo e anche il loro rapporto con Ayami era forte.

"Dimmi un po', non era forse il giovane Shū quello che ho visto allontanarsi da qui poco fa?"

Ayami sospirò e roteò gli occhi al cielo.

"Sì, era proprio lui! Mi ha riaccompagnata a casa, c'è qualcosa di male?"

Tomoe scacciò quelle parole con un gesto della mano.

"Di male non c'è nulla, non viviamo più in un mondo dove è sconveniente che una donna si faccia accompagnare a casa da un uomo non appartenente alla sua famiglia! Piuttosto... mi sembravi abbastanza sconvolta quando ti ho vista salire le scale... c'è niente che dovrei sapere?" sorrise maliziosa e si sporse in avanti con gli occhi felini all'erta per registrare ogni sua reazione.

"Non c'è nulla che DOVRESTI sapere, Tomoe..." Ayami spostò lo sguardo e fece per darle le spalle, girando sulla sedia girevole ma la cugini la fermò con una mano.

"AH! Si è dichiarato, finalmente?!" esordì illuminandosi.

Ayami ringraziò di avere il viso praticamente voltato dall'altra parte perché sentì le guancie andare a fuoco come se qualcuno avesse appiccato un incendio sulla sua faccia.

"Non scherzare, Tomoe..." biascicò, sperando di convincerla.

"Non mi puoi mentire, io lo sapevo che sarebbe successo! L'amore trionfa sempre su tutto!" Tomoe si mise a saltellare per la stanza, facendo gonfiare i pantaloni dell'hakama che stava ancora vestendo.

Ayami provò a deviare il discorso.

"Beh, sai che su una cosa avevi ragione? Minako l'ha tradito e si sono lasciati." prese distrattamente in mano la matita che aveva sulla scrivania, fingendo di interessarsi gli esercizi di inglese che avrebbe dovuto consegnare lunedì.

Tomoe si accucciò ai suoi piedi, la voltò verso di sé e le prese le mani, sorprendendola.

"Ayami, nonostante mi offenda il fatto che tu non abbia ancora fiducia nelle mie doti di veggente, sappi che questo momento è fondamentale per te. Se non cogli la palla ora, mentre sta rimbalzando, potresti non avere più l'occasione di coglierla."

Ayami piegò la testa.

"Cosa intendi?"

Tomoe sorrise, raggiante.

"Che devi accettare i suoi sentimenti e dirgli che li ricambi, ovviamente! Avete solo un anno e mezzo prima degli esami per il diploma e quelli per entrare all'università! Un amore ha bisogno dei teneri germogli dei ciliegi per poter sbocciare in tutto il suo splendore!" annunciò sognante.

Ayami ridacchiò, nevrotica.

"Hai per caso bevuto?"

Tomoe spinse la sedia da ufficio lontano, facendola finire quasi addosso alla finestra.

"Ma non capisci? Poi sarete pieni di impegni, tu la scuola, lui il Campionato Nazionale! E poi gli esami, l'università...! Dovete consolidare il vostro amore ora che avete tempo da potergli dedicare!"

"Se poi lui parte per andare a giocare in Spagna dovrò cambiare il mio nome in Sanae?" domandò, ironica mentre Tomoe sbuffava.

"Ok, prendimi in giro ma ti accorgerai col tempo che ho ragione!" si finse offesa per un po', poi la guardò aprendo solo un occhio.

"Però questo significa che si è dichiarato, vero?"

Ayami sbuffò e tornò con la sedia alla scrivania, trafficando con i libri.

"Sì, sì si è dichiarato e sì, gli ho detto che sarei uscita con lui, contenta?" brontolò, imbarazzata.

Tomoe tremò tutto, mordendosi le labbra per poi emettere un gridolino acutissimo e scalciare come una bambina.

"Lo sapevo, lo sapevo, LO SAPEVO!!! Tomoe non sbaglia mai, Tomoe è la migliore!"

"Sì, ma non urlare e soprattutto non farne parola con nessuno, soprattutto con papà e Nioi, ok?"

Tomoe annuì e tornò a sedersi sul letto, eccitata.

Ayami sospirò, stanca. Non si era ancora tolta la divisa scolastica.

Guardò il cellulare, spento e lo prese in mano, accendendolo. Dopo aver inserito il pin, controllò se le erano arrivate nuove email.

Si bloccò improvvisamente, nascondendo al petto il telefono.

"TOMOE." proferì ad alta voce, mentre la cugina, che nel frattempo si era alzata e affacciata sopra la sua spalla per spiare il telefono, tornava a sedersi sul letto con fare innocente.

Riprese il telefono che le notificò una nuova email. La lesse e sorrise. Era di Kitagawa. Anzi, di Shū.

'Spero che tu sia ancora dello stesso parere di poco fa perché potrei non avere la forza di uscire più di casa, se dovessi cambiare idea. Domani possiamo andare a prendere un gelato insieme?'

Fece per rispondere ma sentì bussare alla porta.

"Ayami, sei in camera?" la voce di Nioi.

Ayami sospirò e mise giù il telefono.

"Sì, c'è anche Tomoe!"

Nioi entrò tenendo in mano un oggetto molto lungo, fasciato in un tessuto scuro.

"Scusa se ti disturbo ma ci sarebbe una cosa importante che dovresti fare." cominciò, offrendole un sorriso a cui Ayami rispose.

"Certo, se posso..."

Nioi portò davanti a sé, con due mani, il lungo fagotto. Ayami lo guardò con curiosità.

"Lo so che sei tornata da scuola da poco e che sta per fare sera ma ci sarebbe un'importante commissione da fare per conto del tempio."

Ayami la guardò, stupita. Era strano che ci fossero delle commissioni da fare, soprattutto così urgenti.

"Di cosa si tratta?"

Nioi cominciò a togliere la stuoia scura dall'oggetto, rivelando una katana dal fodero ed elsa completamente bianchi.

Sembrava molto antica ed usurata.

"Una katana?"
"Sì. Durante i lavori di ristrutturazione è stata trovata questa spada dagli operai. Sembra essere un antico cimelio del tempio ma le sue condizioni non sono buone."

Ayami annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dalla spada.

"Cosa dovrei fare, esattamente?"

Nioi guardò Tomoe che abbassò mestamente gli occhi.

"Tuo padre vuole che la porti immediatamente al tempio della famiglia Higurashi, dal sacerdote del tempio. Sembra che possa aiutarci a manutenzionare a spada e a scoprire la sua provenienza."

Ayami emise un gemito.

"Fino a Roppongi? Saranno almeno 30 minuti di metro! Davvero ci devo andare adesso, non possiamo aspettare domani?"

Nioi le sorrise, accondiscendente.

"Se domani non hai altri impegni, certo che puoi farlo."
Ayami fece per accettare ma si ricordò del messaggio di Shū a cui, tra l'altro, non aveva ancora risposto.

Con un lungo sospiro e un brontolio, si alzò di scatto.

"Va bene, vado adesso... Spero almeno che questo signore sappia cosa fare!"

Nioi annuì con un sorriso e ricoprì con il tessuto la spada, consegnandogliela.

"Mi raccomando, fai attenzione, va bene?" si raccomandò, accarezzandole dolcemente la testa.

"Mh. Dì a papà che come minimo voglio il suo stufato di carne, domani sera! Ok?" sorrise e uscì dalla stanza, scendendo velocemente le scale.

Inforcò le scarpe e prese la borsa, uscendo da casa con una certa fretta. Prima andava, prima tornava.

Mentre percorreva lo spiazzo che univa casa sua col tempio, guardò verso la casa di Shū che si intravedeva fra gli alberi, la luce di camera sua era accesa. Chissà se stava aspettando la sua risposta.

Con un sorriso, strinse fra le braccia la spada e si mise a correre. Voleva fare presto, così sarebbe tornata a casa e gli avrebbe risposto.

Chissà dove l'avrebbe portata, l'indomani. Magari al Milkyway, la sua gelateria preferita.

Arrivata in stazione, fece mente locale su quale linea le sarebbe convenuta prendere, optando per la Yamanote.

Avrebbe dovuto pagare il biglietto di più ma avrebbe impegnato meno tempo.

Dopo aver comprato il biglietto, scese a cercare la sua banchina che era semi deserta.

Solo dei giovani stranieri un po' spaesati e dei ragazzi.

Quando il treno arrivò, annunciato da una musichetta inquietante, salì su una carrozza dove trovò posto a sedere e controllò sul monitor le varie fermate. Non erano molte, per fortuna ma sapeva di avere un pezzo di strada da fare a piedi.

Mentre il treno correva, ripensò al viaggio fatto con Kitagawa quel pomeriggio. Era strano come il semplice fatto che lui le avesse confessato i suoi sentimenti, le avesse aperto gli occhi su qualcosa a cui non aveva mai neppure pensato seriamente.

Forse si era lasciata condizionare dal momento? No, quello che aveva sentito era un turbamento nel cuore, quando lui le aveva detto quelle parole. Non poteva essersi convinta di una cosa importante come quella. Era vero, le aveva solo chiesto di uscire con lui, non certo di sposarla, eppure sapeva che se gliel'aveva chiesto era perché c'era qualcosa di più che il semplice interesse.

Si ridestò quando la voce elettronica del treno ricordava che erano in arrivo alla sua fermata. Si alzò e si avvicinò alle porte, tenendosi ben stretta contro la spada.

Era una spada davvero strana non ne aveva mai vista una che fosse completamente bianca.

Le venne la curiosità di sfoderarla per controllare se anche la lama fosse bianca, per quanto le sembrasse ridicolo.

Fortunatamente, il treno si fermò e lei riuscì a uscire dal treno prima di mettersi a sfoderare una katana nel mezzo di una carrozza.

Uscì velocemente dalla stazione e quando risalì le scalinate, il cielo era blu e pieno di stelle.

Il sole era finalmente tramontato e l'aria si era fatta più vivibile.

Respirando profondamente l'aria, s’incamminò.

Era stata al tempio della famiglia Higurashi altre volte, insieme al padre e ricordava bene come arrivarci. Il pezzo da fare a piedi non era molto lungo.

Camminò per un po', finché non intravide, completamente illuminata, la Tokyo Tower. Era davvero stupenda.

Ruka e Sawada, il suo ragazzo, andavano spesso a passeggiare sotto la torre oppure entravano e salivano fino alla stazione panoramica per godersi la vista.

Quando c'era andata con suo padre e le sue cugine, Tomoe si era messa ad urlare "Fūma" e "Kamui" come un invasata, facendo morire di vergogna suo padre e Nioi.

Camminò per diversi minuti, finché non arrivò sotto la scalinata del tempio. Finalmente, non ne poteva più.

Con un sospiro, si fece coraggio e cominciò a salire le scalinate. Erano molto ripide e strette.

Arrivata in cima, fece qualche passo e si fermò a guardare il tempio. Non era molto grande ma era tenuto con cura. Probabilmente la stessa cura che il sacerdote avrebbe messo nel sistemare quella spada.

Dietro al tempio c'era la casa della famiglia Higurashi. Un po' le dispiaceva piombare in casa loro a quell'ora ma probabilmente suo padre si era già accordato telefonicamente con loro, quindi non doveva preoccuparsi.

Mentre camminava, passò vicino a un grande albero su cui era stata legata una shimenawa, ovvero una corda sacra che indica un luogo sacro o con una forte potenza spirituale.

Si fermò a fissarlo con attenzione. Riusciva, in qualche modo che non comprendeva, a sentire un odore famigliare, accanto a quell'albero ma non riusciva a ricollegarlo a nulla.

Stava per proseguire quando sentì la spada che teneva fra le mani, tremare.

La impugnò con forza ma la spada riprese a vibrare.

Cosa stava succedendo?

Improvvisamente, da una rimessa poco più avanti, cominciò a scorgere un bagliore pulsante, come una luce che sembrava accendersi e spegnersi.

Si avvicinò e man mano che lo faceva, la spada cominciava a vibrare con più forza, cominciando tintinnare dentro al fodero.

Ayami aprì lentamente la porta della rimessa e guardò dentro, timorosa: una piccola scala in legno portava a un pozzo da cui scaturiva quella luce.

Sentiva di non dover avvicinarsi ma non era quello che in realtà voleva. Voleva guardare dentro quel pozzo. Prendendo il coraggio a due mani, scese lentamente la scala fino ad arrivare al bordo del pozzo.

La luce sembrò scomparire appena fu abbastanza vicina al bordo.

Rimase immobile, in attesa, per un po', quasi senza respirare. Vedendo che non succedeva nulla si rilassò e fese per allontanarsi, quando la spada cominciò a muoversi da sola. Era attirata dal pozzo.

Ayami fece appello a tutte le sue forze per cercare di trattenerla, puntandosi con i piedi alla roccia del pozzo ma la spada sembrava attirata come da una potente calamita.

Pensò di chiedere aiuto e fece per gridare quando un nuovo bagliore scaturì dal pozz. Non era semplicemente una luce, era una forza.

La spada tremò ancora e lei stava mollare la presa quando quella luce la avvolse. Era calda e non faceva paura.

Ayami fece per resisterle ma non poté fare altro che abbandonarsi a esso. Lasciò la spada e cadde con lei dentro quella luce, attraversando bagliori violacei e brillanti come stelle.

Gli occhi le si chiusero.

Rivide nella sua mente l'immagine del sogno, quello dove lei camminava sul pelo dell'acqua e mormorava qualcosa, qualcosa che prima non poteva ma ora udiva benissimo.

"Tornerai a casa e presto ti sveglierai."

 

Inuyasha distolse il viso dalla ciotola di zuppa che Kaede gli stava offrendo e guardò fuori dall'ingresso della piccola dimora di Kaede.

Sentiva un odore, un odore che non aveva mai sentito ma che, allo stesso tempo, gli era famigliare. In direzione del pozzo.

"Inuyasha, cosa succede?" domandò Kagome mentre Kaede e Rin lo guardavano, interrogative.

Il mezzo-demone annusò l'aria per un po'.

"Sento un odore strano provenire dal Pozzo Mangia Ossa..."

Kagome si allarmò.

"E' qualcosa di ostile?" domandò mentre allungava le mani verso il suo arco.

Inuyasha scosse la testa.

"No, ma è certamente un odore che ho sentito altre volte."

Rin si illuminò.

"Potrebbe essere che il passaggio per il mondo di Kagome si sia riaperto?"
Kaede borbottò.

"E' impossibile, il passaggio si era aperto solo grazie alla volontà della Sfera dei Quattro Spiriti."
Inuyasha si alzò in piedi e mise Tessaiga alla cintola.

"E cosa ci dice che non possa essere un'altra 'volontà' in grado di riaprirlo? Io vado a controllare!"
"Vengo con te!" Kagome prese il suo arco e uscì con lui di corsa, in direzione del pozzo.

 

Sesshomaru stava percorrendo da giorni i sentieri montuosi a Ovest, cercando di risalire al luogo dove aveva avvertito l'esplosione di una potentissima aura demoniaca ma non riusciva ad accedere alle valli interne né in volo, né a piedi.

Il fatto di non riuscirci, però, poteva solo significare che era sulla strada giusta.

"Padron Sesshomaru, sono giorni che cerchiamo di oltrepassare questa catena montuosa! Non potremmo lasciare perdere?" domandò Jaken.

Sesshomaru non lo degnò di una sguardo né di una risposta. Stava per mettere mano a Bakusaiga quando cominciò ad avvertire fievoli braci di diverse energie demoniache, sparse in molte direzioni e a distanze diverse. Nonostante la loro debolezza, Sesshomaru poteva riconoscere tratti famigliari in alcune di esse.

Come se non bastasse, a chilometri di distanza, percepì un odore famigliare che, però, non era in grado di ricondurre a nessuno di sua conoscenza. Un odore simile vicino al villaggio dove aveva lasciato Inuyasha.

"Jaken, andiamo." con un balzo, spiccò il volo, seguito dal suo fedele servitore, appeso alla sua pelliccia.

Nel cielo, la luna si allargava.

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Capitolo 3
*** Un lupo, una casa, un demone serpente e una tomba vuota ***


Capitolo 2

Un lupo, una casa, un demone serpente e una tomba vuota

 

Ayami si accorse che aprire gli occhi era molto più difficile di quanto sembrasse.

Sentiva un dolore fortissimo prenderle la testa ogni volta che cercava di muoverla e il dolore aumentava quando cercava di muovere le palpebre.

Doveva aver battuto la testa. Ma dove e quando?

Quelle domande la stupirono quasi più del dolore stesso.

Effettivamente non riusciva a immaginare come poteva essersi procurata quella botta, né poteva dire quando se la fosse fatta.

Improvvisamente, sentì la necessità di alzarsi e guardarsi intorno perché non aveva idea di dove si trovava, né del perché ci si trovasse.

Allungò le mani, accarezzando con i polpastrelli il terreno intorno a lei. Era fresco e umido, ricoperto d’erba.

Era all’aperto, dunque. Sopra e intorno a sé sentiva il sibilo del vento che accarezzava le fronde degli alberi, fresco, mentre i grilli cantavano. Era sera.

Mentre le sue dita proseguivano l’ispezione di ciò che la circondava, quelle della mano sinistra arrivarono a toccare qualcosa di solido. Era qualcosa avvolto in un tessuto.

L’altra mano, invece, si scontrò con del legno, del legno che si alzava verso l’alto, liscio, come un pannello che ricopriva qualcosa.

Ayami sospirò e decise che non le era proprio più possibile rimanere a terra senza fare nulla, così aprì lentamente gli occhi, mugolando di dolore e fissò il cielo indaco sopra di lei.

Non aveva mai visto così tante stelle risplendere nel cielo e ne rimase estasiata. Brillavano come miriadi di fuochi tremolanti, lasciandole una sensazione di pace e meraviglia nel cuore.

Accantonò quei pensieri e cominciò a tirarsi su, aiutandosi con le braccia e puntando i gomiti a terra. Con fatica, raggiunse la posizione seduta e appoggiò una spalla al legno umido accanto a lei.

Girò il viso lentamente per guardare cosa fosse e riconobbe un pozzo. Sospirò e guardò dall’altra parte, scrutando la vegetazione che s’infittiva sempre di più, scura e piena di ombre.

L’aria era pulita e fresca e non riusciva a percepire nessun odore che potesse aiutarla a capire dove si trovava.

Improvvisamente si ricordò dell’oggetto che aveva trovato accanto a sé. Lo afferrò cominciò a spogliarlo della tela che lo copriva, rivelando una katana dall’aspetto malconcio.

Ayami non aveva idea del perché fosse lì accanto a lei, ma non era l’unica domanda a cui non sapeva dare una risposta, così sospirò e strinse con entrambe le mani la katana, puntandola a terra e aiutandosi ad alzarsi con essa.

Quando si rimise in piedi, sentì il proprio corpo tremare e la testa pulsare con forza, come se volesse esplodere. Si appoggiò al pozzo e ci guardò dentro. Un nero abissale che sembrava non avere fine.

Rabbrividì e si girò, sedendosi sul bordo del pozzo e riprendendo a guardarsi intorno.

Non c’erano luci se non quelle che il cielo le stava fornendo e il sole era già tramontato, quando si era svegliata. Stava calando una tetra notte e lei non sapeva cosa fare, né dove andare.

Si passò una mano su un braccio nudo, infreddolita e decise che la cosa migliore da fare era rimanere dove si trovava, aspettando il mattino e la luce per cercare di ispezionare i dintorni.

Si lasciò scivolare con la schiena contro il pozzo, sedendosi sull’erba e distendendo le gambe. Appoggiò la punta della katana per e terra si appoggiò la spada contro la spalla.

Si augurò di addormentarsi il più in fretta possibile, prima di cominciare a far caso a ogni rumore che sentiva provenire dalla vegetazione circostante.

Chiuse gli occhi e sospirò di nuovo.

Fece solo in tempo a calmarsi un po’, quando avvertì un rumore secco provenire dal bosco davanti a lei. Cercò di convincersi che non era nulla di cui dovesse preoccuparsi, ma il rumore si ripeté un’altra volta, dandole l’impressione di farsi sempre più vicino.

Aprì gli occhi e guardò febbrilmente davanti a sé: niente. Non riusciva a vedere nulla.

Crack.

Era un rumore simile al legno che si spaccava, come se qualcuno calpestasse e spezzasse dei rami secchi, mentre camminava.

“C’è qualcuno?” domandò, titubante mentre piegava le gambe, stringendosi le ginocchia al petto.

Ovviamente non ebbe risposta, se non un altro rumore, sempre più vicino. Questa volta, però, riuscì a sentire anche un altro suono, simile al rumore di qualcuno che ansimava.

Ayami sentì il cuore schizzarle in gola dalla paura. Istintivamente, strinse con forza l’elsa della katana e rimase in attesa.

Sempre più vicino, sempre più forte, l’ansito si trasformò in un ringhio gutturale e dalla boscaglia uscì un grosso lupo dagli occhi gialli. I denti in mostra, la lingua a penzoloni.

Ayami deglutì piano, quasi sperasse che non muovendosi non l’avrebbe vista ma sapeva bene che non sarebbe bastato quello a tenerlo lontano.

Il lupo aveva il pelo irto sulla schiena e continuava a ringhiare, nonostante avesse deciso di fermarsi a una decina di metri da lei.

“Stai fermo lì, non ti avvicinare, ok?” mormorò mentre provava ad alzarsi. Forse era tardi per scappare, ma era sempre meglio lottare che lasciarsi mangiare senza provarci.

Il lupo ringhiò con più forza e lei si bloccò, non più seduta ma nemmeno totalmente in piedi.

Stava per alzarsi di più quando vide il lupo scagliarsi verso di lei.

Ayami riuscì solo a pensare che era finita, quando udì una voce urlare: “Kaze no Kizu!”.

Come se fosse stato di carta, vide il lupo venir scaraventato via da tre ondate di energia spaventosa.

Si accucciò a terra coprendosi il viso con le braccia. Cos’era quella forza sovraumana?

Pochi istanti dopo, due figure stavano in piedi davanti a lei. Scostò lentamente le braccia e risalì con lo sguardo fino ai loro volti: una ragazza e un ragazzo. Avevano degli strani abiti e brandivano rispettivamente un arco e una spada dalla lama enorme.

“Tsk, c’è mancato un pelo e l’avrebbe divorata in un solo boccone!” esordì lui, appoggiandosi la grossa spada su una spalla.

La ragazza davanti a lei si accucciò e le rivolse un sorriso.

“Stai bene? Sei ferita?” chiese gentilmente. Ayami la guardò a lungo, poi scosse la testa, negando.

Stava bene ma solo perché qualcuno aveva eliminato quel lupo in tempo, altrimenti, con tutta probabilità, non sarebbe stata in grado di rispondere a quella domanda.

“Cos’era quella cosa?” chiese, titubante.

“Quello? Diavolo, era un lupo, mi sembra che fosse evidente!” sbottò il ragazzo. Guardandolo, Ayami notò che aveva dei capelli incredibilmente chiari e lunghi e camminava scalzo. Una cosa singolare.

“Inuyasha, penso si stesse riferendo al Kaze no Kizu…” obbiettò la ragazza con una faccia sconsolata.

Inuyasha si accucciò e guardò Ayami negli occhi, con un ghigno orgoglioso.

“E’ stata la mia spada a emanare quel colpo!”

Ayami annuì, colpita e continuò a fissarlo.

“Dico male o quelle sono orecchie? Sono carine…” e fece per toccarle ma il ragazzo si allontanò di slancio, imbarazzato.

“Ehi, nessuno può toccare le mie orecchie, hai capito?!”
“Coraggio, - interruppe la ragazza con l’arco – non possiamo rimanere qui tutta la notte e poi ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare!” disse mettendosi in piedi e offrendo una mano amichevole ad Ayami.

Quest’ultima accettò e si tirò su in piedi, pulendosi i vestiti alla bene e meglio. Inuyasha notò subito la lunga spada che la ragazza teneva stretta in una mano, ma decise di aspettare prima di interrogarla a dovere sull’accaduto.

Le spiegarono che l’avrebbero portata al vicino villaggio e si presentarono a lei come Kagome e Inuyasha.

Una volta presentata a loro, Ayami si sentì subito a suo agio e li seguì senza esitazione, pur non sapendo dove l’avrebbero condotta.

Dopo un po’ di strada, intravidero delle luci di fuochi accesi e gliele indicarono come la casa dell’anziana Kaede, una sacerdotessa.

Qualche passo prima di entrare nella piccola casa di legno, una ragazzina sbucò fuori e sorrise nel vederli.

“Finalmente siete tornati, ci stavamo preoccupando!” esordì per poi restare a bocca aperta nel vedere con loro quella sconosciuta.

“Va dentro Rin e prepara un’altra ciotola di riso e zuppa!” disse Kagome e la ragazzina sparì dentro la piccola dimora.

Ayami strinse istintivamente entrambe le mani sulla spada e sospirò. Era spaesata, non conosceva il posto in cui si trovava e non sapeva cosa ci faceva, né se esisteva un luogo che conosceva, visto che non ricordava da dove veniva. Era una sensazione frustrante, soprattutto perché doveva per forza fidarsi di chi si trovava davanti, senza conoscere le loro reali intenzioni.

Kagome sembrò accorgersi del suo disagio e, poco prima di entrare in casa le sorrise amichevolmente, rassicurandola sulle loro buone intenzioni.

Una volta entrati, Ayami si tolse le scarpe e rimase in piedi all’ingresso, guardandosi intorno. La casa era davvero piccola, con un'unica stanza dove tutti si raccoglievano in centro, alla luce di alcune lanterne.

Kagome la incitò ad avvicinarsi a loro.

“Così, questa ragazza era al Pozzo Mangia-Ossa? Kagome, pensi che possa provenire dalla tua epoca?” domandò un’anziana donna con una benda sull’occhio. Era vestita proprio come Kagome, con un hakama rosso e un kosode bianco.

“Sì, senza dubbio, quella è una divisa scolastica di un liceo…” confermò Kagome, invitando Ayami a sedersi accanto a lei.

Ayami annuì e s’inginocchiò accanto a lei, appoggiando a terra la spada.

Kaede la adocchiò subito, emettendo un lungo mugolio contemplativo.

La giovane Rin, invece, non sembrava minimamente interessata alla sua spada, anzi, dopo aver offerto una ciotola di riso e una di zuppa alla nuova arrivata, cominciò subito a tartassarla di domande.

“Piacere, io sono Rin, e tu come ti chiami? Vieni anche tu dal posto da dove viene Kagome-chan? Come hai fatto a venire fin qui?” chiese con entusiasmo, impaziente di sentire le risposte.
Ayami aprì la bocca e rimase in silenzio a guardare la ragazzina e passò lo sguardo anche sugli altri che aspettavano le sue risposte.
“Mi chiamo Ayami… E sono mortificata, ma non sono in grado di rispondere a nessuna di queste domande perché non ricordo assolutamente nulla di ciò che è successo prima di svegliarmi qui, ai piedi di quel pozzo.” ammise con dell’imbarazzo e cominciò a mangiare il riso, tenendo basso il viso e lo sguardo.

Rimasero tutti in silenzio a guardarla: Kagome aveva un’espressione preoccupata e pensierosa; Kaede la scrutava con attenzione per cercare una qualsiasi traccia di forza spirituale o aura demoniaca; Rin sbatteva le palpebre ritmicamente e aveva una faccia decisamente stupita, mentre Inuyasha annuiva lentamente e storceva la bocca, irritato.

“Questo significa che non abbiamo la minima idea di quello che sta succedendo, dico bene? Tsk!” e prese in mano la sua ciotola del riso, cominciando a divorarla con gusto.

Kaede emise un altro lungo mugolio e si dedicò alla sua cena, seguita da Rin che cercava sempre di imitarla.

L’unica che sembrava non darsi pace era Kagome.

‘Forse è perché anch’io sono capitata in questo mondo come lei, che mi sento così in pensiero per la sua sorte?’ pensò.

In fondo, le sembrava che fosse ieri il giorno in cui era finita nell’epoca Sengoku ed era diventata la protettrice della Sfera dei Quattro Spiriti.

Mentre attraversava il tempo, cadendo in quel pozzo, non avrebbe mai immaginato le fatiche, le paure, i pericoli e le insidie che l’avrebbero aspettata. Era stata fortunata a trovare degli amici e delle persone su cui poter contare ma l’esperienza di Ayami poteva non avere un futuro altrettanto roseo.

Non sapeva per quale motivo e grazie a quale forza, il pozzo si fosse aperto ma sapeva che non si sarebbe data mai pace se fosse successo qualcosa a quella ragazza. L’avrebbe protetta e aiutata a scoprire tutte le risposte alle domande alle quali non era in grado di rispondere.

Era questo che i suoi amici avevano fatto con lei ed era il minimo che lei stessa avrebbe potuto fare.

“Kagome, mangia prima che si raffreddi e non ti preoccupare, penseremo a tutto domani, con calma.” Disse la vecchia Kaede, tenendo gli occhi chiusi.

“Mh.” Annuì la ragazza e prese a mangiare.

Ayami la guardò con la coda dell’occhio e sospirò silenziosamente, guardandosi nel riflesso della sua zuppa.

 

 

Quando si svegliò, nella tarda mattinata del giorno seguente al suo arrivo, Ayami si sentì molto più tranquilla e rilassata rispetto alla sera precedente.

Sapeva bene che era merito della gentilezza e dell’aiuto di chi l’aveva trovata e salvata, dandole un rifugio e offrendole aiuto. Anche se il sole sembrava già alto da un po’, decise di restare ancora sotto la leggera coperta che le avevano offerto e cominciò a ripensare a quello che era successo la notte appena passata, prima di addormentarsi.

Aveva dormito accanto a Kagome e Rin su dei futon srotolati. Avevano parlato un po’ prima di addormentarsi e Ayami aveva confermato, se pur a malincuore, di non ricordare nulla di quella che era stata la sua vita prima di quella sera.

Rin, allora, le aveva chiesto se sapeva che cos’aveva indosso e lei le aveva risposto che era una divisa scolastica, che sapeva cosa rappresentava e a cosa serviva ma non sapeva perché ne era a conoscenza.

Così, parlando piano per non farsi sentire dalla vecchia Kaede che stava applicando dei fuda attorno alla casa, Kagome le aveva spiegato che, probabilmente, aveva attraversato il tempo utilizzando un passaggio aperto nel pozzo e che proveniva dal futuro.

Ayami l’aveva guardata con faccia scettica ma Kagome aveva rincarato la dose confessandole di provenire lei stessa dal futuro e di essere finita nell’epoca Sengoku (l’epoca nella quale si trovavano in quel momento), grazie alla volontà di un oggetto dalla grande aura spirituale.

“Una magia, quindi?” le aveva chiesto Ayami e Kagome aveva annuito.
“Una specie.” cominciò, tirandosi su sui gomiti: “Ma diciamo più che era per l’energia spirituale e la volontà di quell’oggetto. Io penso che tu sia qui per lo stesso motivo e cioè perché la spada che hai portato con te dal tuo mondo, voleva tornare qui, nell’epoca Sengoku e voleva che ci venissi anche tu.”

Ayami e Rin ascoltarono attentamente Kagome, affascinate dalla sua deduzione.

“Quindi, tu pensi che sia la spada a essere legata in qualche modo a questo mondo, giusto?” le aveva chiesto Ayami, girandosi a pancia in giù e puntellando i gomiti al futon.

“Sì, ne sono quasi certa! E quando avremo scoperto quali sono i poteri e i natali di quella spada, sono sicura che troveremo altre risposte ai nostri interrogativi! Ora non ti preoccupare di nulla e rilassati, dormi bene e rimettiti in sesto! E’ questo l’importante, ora come ora!” la giovane sacerdotessa aveva fatto un bel sorriso incoraggiante, mentre sia Ayami sia Rin annuivano e si mettevano giù a dormire.

“Grazie, davvero.” aveva sussurrato prima di chiudere gli occhi.

Prima di addormentarsi, poté solo sentire la risposta di Inuyasha, accucciato per tutto il tempo all’entrata della casa:

“Tsk.”

 

Quando si sentì pronta, si alzò e sistemò il futon, arrotolandolo e riponendolo vicino agli altri.

Intravedeva la luce del sole entrare dalle fessure della tenda che copriva l’entrata ed ebbe subito voglia di uscire all’aperto.

Fece qualche passo verso la porta quando sentì il fruscio della tenda che si alzava e la figura di Rin che si affacciava dentro.

“Sei sveglia, finalmente!” esclamò allegra.

Ayami le sorrise e annuì.

“Sì, mi sono riposata per bene e adesso mi sento in forma! Dove sono gli altri?”

“Kagome-chan e Kaede-sama sono andate in un villaggio qui vicino per officiare alcuni riti! Inuyasha invece è rimasto qui a fare la guardia a te!”

Ayami si rabbuiò, ripensando all’atteggiamento contrariato che il ragazzo aveva tenuto con lei dal suo arrivo e si rabbuiò.

S’infilò le scarpe e uscì timidamente dalla casa, venendo colpita in viso dai raggi del sole.

“Torna dentro, non è ancora il caso che scorrazzi in giro da sola!” abbaiò Inuyasha, seduto al fianco della casa, all’ombra, con la schiena appoggiata al muro di legno.

Ayami si chiese come aveva fatto a vederla, dato che lei non aveva anche solo faticato a capire da dove provenisse la voce.

Si avvicinò e si accucciò vicino a lui, guardandolo. Inuyasha aprì un occhio e si allontanò un pelo, temendo che volesse di nuovo attentare alle sue orecchie.

“Non ti preoccupare, non intendo molestare le tue orecchie…” puntualizzò lei. Questo sembrò bastare al mezzo demone per abbassare la guardia.

“Senti, Inuyasha…” aveva cominciato Ayami, accucciandosi vicino a lui e guardandolo con profondo dispiacere: “Mi dispiace molto di non essere utile in alcun modo, a soddisfare le tue domande. Ho cercato di sforzarmi ma non riesco nemmeno a ricordare il mondo da cui Kagome è convinta che io venga…”

Inuyasha la guardò e si sentì leggermente in colpa.

“Ehi, non ti devi preoccupare, se non ricordi nulla, non c’è molto che tu possa fare. In effetti, è già di per sé sorprendente che tu abbia appreso la notizia di essere tornata indietro nel tempo con così tanta serenità! Ricordo che per Kagome fu un bel problema, all’inizio!”

Ayami sorrise e piegò un po’ a lato la testa.

“Deve essere perché, non ricordando nulla, non ho pregiudizi su quello che sta accadendo ora…”

Inuyasha annuì gravemente, chiudendo gli occhi.

“Beh, se è così, non voglio aspettare oltre: rispondimi, cosa credi che io sia?” la guardò con la coda dell’occhio.

Ayami sembrò rifletterci per un po’, poi indicò con l’indice le sue orecchie e le sue mani.

“Direi che sei umano, ma che ci sono delle cose nel tuo aspetto che non sono del tutto umane. Quelle splendide orecchiette morbide, per esempio…”

“Dannazione, questa cosa sta diventando sempre più strana, ma si può sapere che hanno le mie orecchie che ti attirano tanto?” il mezzo-demone arrossì e si mise accucciato.

“Sono carine e sembrano morbide! E’ normale che a una ragazza piacciano!” protestò Ayami.

Inuyasha si sollevò in piedi, con un pugno chiuso.

“Beh, non faccio di certo toccare le mie orecchie a tutti quelli che passano! Ci sono demoni che sono morti per molto meno, lo sai?!”
Ayami alzò lo sguardo su di lui.

“Quindi sei un demone?” chiese con curiosità.

Inuyasha sbatté le palpebre più volte.

“Un mezzo-demone, per essere sinceri.” come mai questo non la spaventava per niente?

“E quindi la tua spada, quella che hai usato ieri contro quel lupo, è una spada demoniaca?” Ayami si rimise in piedi e guardò l’elsa malconcia di Tessaiga. Sembrava una spada molto usata ma Inuyasha non sembrava avere molti anni più di lei. Forse i mezzo-demone vivevano una vita molto più lunga degli umani, pensò.

“Ne conosci di cose, per essere una che non ricorda neanche il posto da dove viene.”

“Kagome pensa che sia la spada che avevo con me quando mi avete trovato, ad aver manifestato la volontà di tornare in quest’epoca, perciò se ho capito bene i racconti che mi ha fatto sulla sua avventura, penso che quella spada possa avere qualche potere demoniaco o spirituale. Se tu sei un mezzo-demone, la tua spada sarà una spada per demoni, giusto?”

Inuyasha la guardò, abbastanza sorpreso dalla calma con cui aveva espresso un ragionamento che poco aveva a che fare con la vita che doveva aver vissuto fino al giorno prima. Quando era stato nel mondo di Kagome, aveva visto quanto poco veniva preso sul serio il mondo spirituale. Tutti erano troppo attenti a vivere in un mondo che limitava i pericoli, sempre pieni d’impegni e totalmente ignari delle presenze demoniache con cui si trovavano a vivere.

Anche nell’epoca Sengoku le persone comuni cercavano solo di vivere in pace la loro vita ma erano consapevoli che i demoni, gli spiriti e le divinità li stavano guardando.

Dal suo punto di vista, l’ingenuità di Ayami nell’apprendere l’esistenza di quel mondo che, per ovvie ragioni, doveva aver sempre ignorato quando era dall’altra parte del pozzo, lo insospettiva non poco.

Eppure indagare era difficile, dato che non sembrava mentire quando sosteneva di non ricordare nulla.

Inuyasha sospirò: non aveva ancora risposte ma voleva fidarsi del suo istinto. Voleva fidarsi di lei.

“In realtà, Tessaiga è una spada che solo un mezzo-demone può brandire. Era… Una delle zanne di mio padre, che fu un grande guerriero, nonché un demone completo.” Spiegò, appoggiando la mano sull’elsa di Tessaiga.

Appena la sfiorò, sentì la spada emettere dell’energia.

Ayami lo guardò, curiosa.

“Cosa succede?”

Inuyasha guardò la spada, che continuava a essere irrequieta.

“Non ne ho idea, qualche giorno prima di trovarti al pozzo, c’è stata una fortissima emanazione di aura demoniaca. Da allora, Tessaiga sembra essere irrequieta.”

Ayami scrutò negli occhi ambrati del mezzo-demone. Era preoccupato, era evidente e questo traspariva dal mondo ansioso in cui respirava e dalle occhiate che continuava a lanciare al sentiero che si allontanava dal villaggio.

Cercava di non darlo a vedere, ma era preoccupato e lei immaginò di sapere anche per chi lo fosse.

“Perché non la raggiungi? Da quello che ho sentito da Rin, non è molto distante il villaggio in cui si sono recate!” esordì con entusiasmo.

Inuyasha si sentì avvampare. La sua ansia era così palese da farsi scoprire perfino da una semi sconosciuta?

Abbassò lo sguardo e ghignò, spavaldo.

“Non ti preoccupare, Kagome sa cavarsela benissimo anche senza di me e poi sono soltanto andate a sposare una giovane coppia, non corrono rischi!”

“Lo dici ma sei comunque preoccupato…”

“Non sono preoccupato!”

“Lo sei.”

“Non è vero!”

“Sì che è vero.”

“Ti dico di no!”

“Allora sei un abile bugiardo, eh?”

“Non sto mentendo!!!”

“…”

“Va bene, sono preoccupato ma tu non dirglielo, quando torna, siamo intesi?” sbroccò, mentre Ayami sorrideva, vittoriosa.

“Va bene, sarà il nostro segreto!”

Rin comparve alle spalle di Ayami, incuriosita dalle urla di Inuyasha.

“Ehi, cosa state facendo voi due?” domandò mentre Inuyasha le andava in contro.

“Niente, niente! Vado a pescare del pesce per pranzo, voi entrate in casa e non muovetevi da lì!” e si allontanò, stizzito.

Rin sorrise, contenta e prese per mano Ayami, portandola dentro.

“Non devi preoccuparti per lui, ha un carattere difficile ma in realtà è buono come un dolce di riso!” commentò allegra la ragazzina mentre prendeva un pentolone di ferro più grande di lei.

Ayami lo prese per lei e le chiese come poteva aiutarla. Così, in due, accesero il braciere e misero a bollire il riso nell’acqua che Rin era andata a prendere nel pozzo del villaggio.

“Rin, tu quanti anni hai?” domandò curiosa Ayami mentre prendeva le ciotole per il pranzo.

Rin si fece pensierosa e dopo un attento calcolo mentale, le rispose.

“Ne ho 10! E tu, Ayami-chan?”

“Ne ho…” ma non finì la frase, bloccandosi completamente, come se qualcuno l’avesse congelata.

“Ayami-chan?” Rin si girò a guardarla, non avendo ricevuto risposta e la vide così, come pietrificata.

“Ayami-chan, cosa c’è?” cercò di scuoterla, ma la ragazza sembrava una statua. Rin si alzò in piedi e si guardò intorno, spaventata. Cosa stava succedendo?

Si mise davanti ad Ayami e la chiamò ripetutamente ma non ebbe risposta se non il movimento delle pupille della ragazza, che si spostarono come se volesse guardare alle sue spalle.

Rin sbirciò sopra la sua spalla e vide la spada bianca tremare, avvolta da un bagliore bluastro.

Decise di provare a fare qualcosa e corse verso la spada prendendola in mano e portandola alla ragazza.

Le tolse di mano la ciotola e le fece impugnare l’elsa.

Ayami, dopo pochi istanti, sembrò riprendere possesso di sé e riprese anche a respirare, a grandi boccate, mentre si girava verso la porta. Una figura si stagliava, alta e minacciosa.

Un mostro con la testa di serpente e una lunga lingua sibilante, in piedi come un cobra che stava per attaccare, le guardava con freddi occhi bianchi.

“Rin, stai indietro.” Ayami appoggiò le mani sulle spalle di Rin e la spinse piano contro l’angolo, mettendosi davanti a lei, guardando negli occhi il demone.

Dunque, quello era un demone. Era la prima volta che ne vedeva una ma non aveva dubbi sulla sua natura. Emanava un odore simile all’odore di qualcosa che stava marcendo e sentiva una strana forza provenire da lui. Non aveva idea di come le fosse possibile percepirla, ma sapeva che quell’aura era ostile e stava cercando lei.

Strinse con forza la spada che teneva davanti a sé con le mani alle due estremità, una sull’elsa, l’altra sul fodero.

Se è per la tua volontà che sono qui, allora fa qualcosa.’ pensò mentre sfoderava l’arma, rivelando una lama nera come il carbone.

Il demone spalancò le fauci e si lanciò contro di loro. Rin urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e Ayami chiuse gli occhi, tenendo la spada puntata contro il demone.

Ayami sentì un rumore sordo e aprì gli occhi, vedendo il demone respinto da quella che sembrava essere una barriera.

Il demone serpente, però, non si arrese e spalancando ancora di più le fauci, riprese a gettarsi contro la barriera, ripetutamente e con forza.

Ayami sentiva le mani tremare ogni volta che il demone si abbatteva su di loro. Cercava di farle lasciare la presa sulla spada, abbattendosi sulla barriera senza mai fermarsi e ci stava riuscendo. Ogni volta che la barriera la respingeva, il contraccolpo veniva incassato dalla spada e di, di conseguenza, da Ayami che la brandiva.

Rin si strinse a lei, impaurita e questo diede ad Ayami nuova forza, permettendole di rinsaldare la presa sulla spada. Doveva proteggere Rin ad ogni costo.

Nonostante s’imponesse di resistere, la barriera le si stava stringendo contro, diventando sempre più piccola. La forza della spada, da sola, non bastava a tenerlo lontano.

“Ayami-chan, il tuo braccio…!” pianse Rin, guardando un rivolo di sangue scendere lungo l’avambraccio della ragazza.

Non sarebbe resistita ancora per molto. Dovevano sperare che Inuyasha stesse tornando indietro o avesse avvertito l’odore del demone.

Il serpente si era stancato di sbattere la testa contro la barriera e aveva cominciato a schizzare veleno dai canini affilati. La barriera cominciò a fondere nei punti in cui il veleno la toccava.

Il demone serpente si alzò di nuovo e spalancò le fauci, scagliandosi contro la barriera ormai spezzata. Ayami e Rin chiusero gli occhi, aspettandosi il peggio, ma un bagliore di luce verde squarciò il demone, disintegrandolo in pochi istanti.

Quando Ayami guardò davanti a sé, incontrò due occhi d’oro colato a pochi centimetri dai suoi.

 

Inuyasha corse come il vento, più veloce che poté, tenendo le sacche piene di pesci legate in vita. Si era accorto di un odore intenso di demone solo mentre stava tornando indietro. Imprecò, mettendo subito mano a Tessaiga, non appena intravide la casa della vecchia Kaede.

C’era un odore strano, però.

“Ayami, Rin!” scostò la tenda e quando entrò nella casa, l’immagine che gli si palesò davanti, per poco non gli fece cadere a terra la spada.

Sesshomaru era accovacciato con un ginocchio a terra e si lasciava stringere al collo da Rin mentre Ayami lo guardava con riconoscenza.

“Se-Sesshomaru?” Inuyasha gli rivolse uno sguardo stupefatto mentre il fratellastro si separava da Rin per rinfoderare Bakusaiga.

“Dimmi, Inuyasha, da quando non sei in grado di percepire un odore tanto fetido come quello di un demone serpente?” domandò, sprezzante.

Rin gli scodinzolò intorno, saltellando contenta.

“Per fortuna che siete arrivato voi, Sesshomaru-sama! Io e Ayami non ce l’avremmo sicuramente fatta! Oh!” la ragazzina sembrò ricordarsi improvvisamente la ferita di Ayami e cercò subito qualcosa con cui fasciarle il braccio.

Sesshomaru spostò lo sguardo sulla ragazza che lo stava ancora fissando: teneva ancora in una mano la spada, mentre l’altro braccio era abbandonato al suo fianco, sanguinante.

Aveva cercato di proteggersi e difendere Rin ad ogni costo, perfino ferendosi.

Fu lui, quindi a guardarla negli occhi e ad annuire, con riconoscenza. Ayami si sentì arrossire abbassò lo sguardo su Rin, chinata accanto a lei e intenta a fasciarla.

Sesshomaru si alzò e si mosse verso Inuyasha.

“Dimmi che cosa sta succedendo.” gli ordinò, secco.

Inuyasha rimise Tessaiga nel fodero.

“Ieri abbiamo trovato quella ragazza, Ayami, accanto al Pozzo. Aveva con sé quella spada e viene dal futuro, come Kagome. Non so quanto questo possa centrare con l’esplosione di aura demoniaca di qualche giorno fa.” ammise, incrociando le braccia.

Sesshomaru scostò la tenda dell’ingresso e uscì. Inuyasha lo seguì fuori.

“Non m’interessa molto della ragazza ma se questo posto diventerà insicuro per Rin, la porterò via.” Dandogli le spalle, fece un balzo in cielo, levandosi in volo.

“Sesshomaru, aspetta!” urlò Inuyasha.

Sesshomaru voltò appena il viso per guardarlo.

“Hai sentito anche tu quell’odore, vero? Come di qualcosa di familiare! Che cos’era?”

Sesshomaru si voltò e continuò la sua salita nel cielo.

“Dannato…” sibilò Inuyasha e tornò in casa.

 

Quella sera, al suo ritorno, Kagome si fece raccontare tutto e rimproverò Inuyasha di non essere stato abbastanza attento ma si limitò, dato che era particolarmente turbato da quanto era successo.

 

Miyoga saltellò sulla spalla di Totosai, mentre si avvicinavano al luogo sacro. La tomba dove riposava il Grande Demone Cane.

“Totosai, hai avuto anche tu l’impressione che qualcosa sia cambiato?” chiese il demone pulce, scuotendo le piccole mani.

Il vecchio fabbro mugugnò. Sapeva bene dove voleva arrivare il discorso di Miyoga ma non voleva credere a quell’idea prima di avere le prove concrete.

Appena percepita quell’esplosione di energia demoniaca, Miyoga aveva lasciato Inuyasha e si era messo in cammino, saltando di animale in animale, fino a raggiungere Totosai, il suo vecchio amico.

Anche lui aveva capito chiaramente cos’era accaduto, riconoscendo a chi apparteneva quell’aura demoniaca ma non voleva crederci. Quella donna non poteva essere morta.

Così, si erano messi in viaggio e avevano raggiunto la tomba del loro defunto padrone, per constatare se quello che pensavano potesse essere vero, oppure no.

“Totosai, guarda!” saltellò indemoniato Miyoga.

Più avanti, nell’antro dove riposava l’enorme scheletro del loro padrone, non v’era più nulla, neanche la polvere.

“Per tutti i fulmini…” esclamò il fabbro che, per lo stupore non cadeva dalla groppa del suo mulo.

“Allora è proprio come pensavo, quella donna è morta! E’ una tragedia, una vera tragedia!” piagnucolò la vecchia pulce.

“Calmati, Miyoga, disperarsi non serve a nulla, anzi. Devi tornare da Inuyasha e spiegargli tutto, prima che si trovi coinvolto in qualcosa di più grande di lui.” detto questo, Totosai fece alzare in volo il suo mulo, verso casa.

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Capitolo 4
*** L'odore del sangue ***


Capitolo 3

L’odore del sangue

 

Acqua.

Il rumore dell’acqua che scorre velocemente. Era un rumore continuo, come il brontolare di un grosso animale che, nel sonno, sogna qualcosa che lo infastidisce.

Sentiva il suo scorrere incessante, proprio sopra la sua testa.

La grotta di roccia bianca, testimonianza dell’onnipresente presenza dell’acqua, era uno stretto e lungo cunicolo che seguiva il letto di un torrente montano.

L’acqua correva sopra il soffitto della grotta e la rendeva un luogo umido e gelido, freddo come un inverno e bagnato come un prato estivo dopo una forte pioggia.

Lì, seduto a terra, lui ascoltava.

Non solo il rumore dell’acqua, anche i suoni che provenivano dall’esterno, dal mondo. Il sibilo minaccioso del vento, il grido senza pace dei falchi, il camminare lento e stanco dei monaci erranti che percorrevano la valle in pellegrinaggio.

Giù, oltre le pendici della montagna sacra, nella pianura che toccava anche il mare, udiva indistinto il brulicare frenetico e laborioso della città dove risiedevano gli imperatori umani.

Appoggiò la testa alla parete di roccia e aprì lentamente gli occhi. Ambra rossa e intensa, come un tizzone di fuoco che ancora lottava per rimanere vivo.

Occhi pieni di fuoco che sarebbero stati in grado ardere il mondo e avvolgerlo nel suo dolore e nella sua sete di vendetta.

I lunghi capelli neri scivolavano oltre le spalle, fino a metà schiena, imprigionati in una stretta fasciatura che li racchiudeva dalle spalle fino a pochi centimetri dalle punte.

Un nastro rosso come il sangue.

La casacca del kimono maschile era azzurra come il cielo terso dell’estate mentre il resto del suo abbigliamento ricordava gli indumenti del continente, stretti pantaloni bianchi e bassi calzari a punta. Anche la sua armatura proveniva dal continente e alla cintola, portava due lunghe katane.

Il suo viso era giovane ma i suoi occhi lasciavano trapelare la maturità della sua età. Sulle gote, due strisce scarlatte e sulla fronte, una luna crescente.

L’elegante figura si alzò, avvicinandosi alla parete che costituiva il fondo della grotta. Udiva un rumore di passi, in direzione opposta. Qualcuno si stava pesantemente avvicinando a quel luogo.

Il suo fiuto gli permise di riconoscere subito chi era l’intruso.

“Kumagi, non porti con te ciò che ti avevo chiesto.” proruppe senza voltarsi. La sua voce profonda riempì di echi la camera, risuonando lungo tutto il corridoio della grotta.

Da dietro l’angolo, un enorme demone orso avanzò, inginocchiandosi con rispetto al suo cospetto.

“Sono mortificato, nobile Nenbou ma a quanto pare recuperare la spada non è così semplice come avevate predetto.” proferì con la voce pesante il demone orso.

Aveva l’aspetto di un grosso orso bruno ma era vestito come un guerriero umano, con un’armatura rossa e diverse spade allacciate a essa.

Non era un demone maggiore ma apparteneva al clan Yū dei grandi Orsi del Nord ed era un guerriero formidabile, conosciuto e temuto nella stirpe demoniaca delle regioni più a nord.

Il demone orso alzò la testa per guardare il suo padrone.

Nenbou sì girò a guardarlo e gli si avvicinò con passo lento. Non emetteva rumore, quando camminava come se non avesse peso.

“La ragazza è un’umana, com’è stato possibile non sottrarle una spada demoniaca?” domandò facendogli cenno di alzarsi.

Kumagi si rimise in piedi e i suoi movimenti fecero tremare le pozze d’acqua sul pavimento.

“Sembra che la spada reagisca a ogni tentativo di prenderla con la forza.” cominciò.

“In più, ho potuto scorgere qualcuno che non avrei mai pensato di poter incontrare, in un villaggio umano.” aggiunse con un ghigno.

Nenbou lo guardò, incuriosito.

“Di chi parli, Kumagi?”

Il grosso demone orso fece una risata e appoggiò una mano sull’elsa di una delle sue sei spade.

“Non solo la spada è protetta da un mezzo-demone che puzza di cane ma a dare il colpo di grazia al sicario che avevo mandato, è stato il cucciolo di InuTaishō!”

Nenbou sorrise e scosse la testa, incredulo.

“Sesshomaru, è il suo nome e se quel han’yō era un cane, deve trattarsi sicuramente del figlio bastardo di Tōga. Due amorevoli fratelli, invero.”

“A dire il vero, mio signore, non credo che fra i due scorra buon sangue, però potrebbe essere un problema doverli affrontare subito.”
Nenbou annuì e incrociò le braccia al petto.

“I figli di quel maledetto potrebbero ostacolare i miei piani, senza volerlo. Mi chiedo cosa spinga Sesshomaru a intrattenersi con degli umani, conoscendo l’avversione che il suo clan ha sempre avuto per quella debole razza.”
Kumagi annuì gravemente e fece due passi verso il Nenbou.

“Mio signore, ho sognato per secoli di potermi scontrare con Sesshomaru. Vi scongiuro, concedetemi l’onore di poterlo uccidere!” ruggì con eccitazione il demone orso mentre l’altro rimuginava sul da farsi.

“Potrai combattere con Sesshomaru a tempo debito, ora è più importante recuperare la spada prima che sia troppo tardi.” Nenbou gli diede le spalle e tornò verso il fondo della grotta.

Tese una mano verso la parete e una luce violacea cominciò a scaturire da un punto, nella roccia.

Dopo qualche istante, la luce si fece più intensa e dalla parete fuoriuscì una pietra, grande come un pugno chiuso, di un colore simile all’ametista.

Sprigionava una forte aura demoniaca ed era così tetra e cupa che Kumagi si sentì rabbrividire come un cucciolo spaventato.

Nenbou sorrise e prese fra le mani la pietra che cominciò a pulsare con violenza.

“Fra tre giorni la luna arriverà al suo primo quarto.” iniziò, parlando con calma. “Allora sarà troppo tardi per prendere la spada, poiché l’incantesimo sulla ragazza si spezzerà. Questa è la nostra unica occasione per entrarne in possesso, poiché se riuscisse a tornare in possesso del Tempio, sarebbe praticamente impossibile prenderla.”

Nenbou strinse la presa sulla pietra che sembrava pulsare come un cuore umano.

“Richiamerò per te, dal sud, i demoni del cotone. Portali con te e sottrai la spada a quella ragazza prima che scada il tempo, sono stato chiaro? E’ di vitale importanza che tu la porti qui senza farti scoprire.”
Kumagi s’inchinò di nuovo e uscì lentamente dalla grotta.

Nenbou attese di non udire più i suoi passi per guardare la pietra che teneva in mano. Al suo interno, si percepiva il rumore del vento che lambiva l’Oltretomba e i gemiti senza fine di miriadi d’anime.

“Fa attenzione, Kumagi, per entrare in possesso di questa pietra ho dovuto stravolgere l’intero ordine del mondo. Ci sono antichi pericoli pronti a risvegliare il loro altrettanto antico potere.”

Con un gesto lento della mano, Nenbou lasciò cadere a terra il cristallo, rompendolo in mille pezzi. Improvvisamente, dai frammenti del cristallo si alzò un terribile vento demoniaco che si cominciò a vorticare con una forza spaventosa.

Il soffitto della grotta si spezzò e l’acqua che scorreva sopra di esso si riversò con violenza nella grotta, cercando una nuova strada verso la valle.

Nenbou si appoggiò alla parete dietro le sue spalle e ammirò con attenzione il suo capolavoro. Nel vento, si udivano miriadi di grida e voci e centinaia di piccole luci vorticavano senza tregua.

“Andate! Andate e ricongiungetevi a questo mondo! Tornate a vivere e gettate il mondo nel caos!” urlò con forza, con un sorriso inquietante sulle labbra.

Il piccolo tornado violaceo esplose, spezzando la cascata dell’acqua e tutte le luci che erano contenute nel vortice si diressero fuori, percorrendo il cunicolo della grotta e schizzarono fuori dalla montagna, in direzioni diverse.

Nenbou sorrise, soddisfatto e allungò una mano davanti a sé, richiamando tutti i frammenti del cristallo ancora ai suoi piedi. Questi si riunirono nella sua mano, riformando il cristallo che però appariva vuoto e senza bagliore.

Il demone lo ripose all’interno della roccia e sigillò quel luogo con la sua aura demoniaca.

Camminò sul pelo dell’acqua irrequieta, senza però toccarla davvero e si diresse fuori dalla grotta, continuando a camminare nell’aria anche quando l’acqua del torrente dovette seguire la gravità.

“Sorella mia, non disperare. Il tuo sacrificio non sarà vano.”

 

Erano passati tre giorni dall’aggressione del demone serpente e Inuyasha era talmente deciso a non perderla di vista per anche solo un istante, che doveva implorare Kagome di accompagnarla al fiume per lavarsi, altrimenti l’avrebbe fatto lui.

Kagome rideva e annuiva, intimando a Inuyasha di fare la guardia alla spada e di lasciare a lei il compito di sorvegliare Ayami in certe circostanze.
Quando lui rimbrottava che poteva essere pericolosa anche per lei, non solo per Ayami, Kagome gli sorrideva con ancora più dolcezza del solito e gli indicava le frecce e l’arco che portava in spalla. Inuyasha allora si calmava e la lasciava andare, non senza esprimere ripetutamente la sua disapprovazione in merito.

“Non dovresti sottovalutare l’apprensione che sente nei tuoi confronti, Kagome…” pigolò all’improvviso Ayami, sbottonando la camicia della sua divisa.

Kagome sospirò ed emise un mugolio soddisfatto.

“Oh, non ti preoccupare! Inuyasha riesce a essere carino solo quando è preoccupato e a me non dispiace ricevere qualche attenzione in più!” rispose con un sorrisino malizioso la giovane sacerdotessa.

Ayami la guardò e sorrise, finendo di togliersi la divisa e infilando un piede nell’acqua.

“Com’è fresca! Kagome, vieni anche tu, dai!” la incoraggiò la ragazza, addentrandosi nelle acque calme e limpide. In quel punto, il fiume che attraversava quella regione creava un’ansa, dove la corrente era quasi immobile e l’acqua non era profonda più di un metro e venti centimetri. Era ideale per fare un bagno, d’estate.

Kagome scosse la testa e si sedette sulla riva, concedendosi solo di mettere a mollo i piedi.

“Prima fallo tu, poi lo farò io, così ci diamo il cambio!”

Ayami annuì e s’immerse, nuotando liberamente per diversi minuti, senza allontanarsi troppo per non essere portata via dalla corrente che si faceva più forte, più si allontanava dalla riva.

“Kagome, tu e Inuyasha state insieme, vero?” domandò improvvisamente mentre si riavvicinava alla riva.

Kagome arrossì vistosamente e balbettò in assenso, stropicciandosi la stoffa degli hakama.

Ayami sorrise e nuotò ancora un po’, prima di alzarsi e tornare sulla terra ferma.

Kagome le offrì degli abiti per cambiarsi. Era una veste da miko, proprio come quella che indossavano Kagome e la vecchia Kaede. Ayami la accettò e cominciò a vestirsi mentre l’amica faceva il contrario.

“Quindi non è un problema, per te che sei una sacerdotessa, stare con un mezzo-demone? Le persone al villaggio non sembrano spaventate da lui.”

Kagome piegò la propria veste ed entrò in acqua, rabbrividendo appena per il contatto con l’acqua fresca.

“Inuyasha è ben conosciuto dalla gente del villaggio e dopo la sconfitta di Naraku, la gente non ha più dubbi su di lui, nonostante abbia un caratteraccio e sia scorbutico da morire!” rise la sacerdotessa mentre s’immergeva.

Ayami si allacciò l’hakama e la casacca in pochissimo tempo, stupendosi dell’abilità con cui era riuscita a farlo. Era come se i gesti compiuti fossero impressi nella sua testa, come un’esperienza. Era come se avesse indossato e allacciato quegli abiti da tutta la vita.

Strizzò i capelli bagnati e se li appoggiò su una spalla, mentre prendeva la divisa scolastica e si avvicinava alla riva, cominciando a pulirla e strofinarla nell’acqua.

“Kagome, posso chiederti chi è Sesshomaru? Rin sembrava così felice di vederlo, eppure Inuyasha è restio anche solo a nominarlo…”

La miko si avvicinò alla riva e guardò Ayami.

“Devi sapere che Sesshomaru è il fratello maggiore di Inuyasha. E’ un demone completo, quindi è il figlio di due demoni completi. Inuyasha, come sai, è un mezzo-demone, figlio di una donna umana e di un demone. Hanno lo stesso padre ma non sono assolutamente in sintonia uno con l’altro.”

Ayami annuì gravemente e riprese a lavare la divisa.

“Quindi, si odiano perché hanno madri diverse?”

“Non proprio: in realtà è Sesshomaru ad aver avuto sempre un atteggiamento ostile verso Inuyasha, questo per via dell’eredità che il padre ha lasciato loro.”

Kagome uscì dall’acqua e prese i propri vestiti, cominciando a vestirsi.

“Che tipo di eredità?”

“Spade, o come le chiamano loro, zanne.”

Il vento di fine estate arrivò come una folata fresca, accarezzò le fronde degli alberi che stavano cominciando a ingiallirsi e andò a danzare sul pelo dell’acqua.

Kagome finì di vestirsi e alzò gli occhi al cielo che s’intravedeva fra le fronde degli alberi.

“Faremo meglio a muoverci verso il villaggio.”

Ayami alzò la testa e la guardò, sorpresa.

“Di già? Ma siamo fuori da pochissimo!” si lamentò Ayami, tirando fuori i vestiti dall’acqua e cominciando a strizzarli.

Kagome si voltò di scatto, ascoltando i rumori attorno a sé. Uccelli?

“Ayami, muoviamoci.” Le intimò inforcando l’arco e la faretra.

Ayami annuì e prese le sue cose, affiancandola velocemente. Se Kagome assumeva quel tono, era sicuramente per un motivo più che valido, ne era certa. Forse aveva avvertito una presenza ostile o forse era stato il suo sesto senso a metterla in allerta.

D’alta parte, se era una sacerdotessa, doveva per forza possedere qualche potere speciale, no?

Camminarono velocemente, seguendo il sentiero che avevano preso all’andata. Kagome sembrava attenta a ogni più piccolo rumore, cosa che riuscì a spaventare Ayami. Doveva esserci qualcosa di seriamente pericoloso, nell’aria.

“Kagome, cosa succede?” chiese la ragazza, al limite.

La sacerdotessa si fermò, facendole cenno di non aggiungere altro. Sentiva una presenza ostile, vicino a loro. Le stava seguendo.

Prese l’arco e inforcò una freccia, tendendolo e puntandolo in basso, in attesa di capire dove si nascondeva quella presenza.

Ayami guardò febbrilmente intorno a sé. Era spaventata e non riusciva a controllarlo. La prima volta che le era successo di trovarsi in pericolo, in quel mondo, era a causa di un lupo affamato.

Anche allora era spaventata ma non come lo era ora. Era lucida e sapeva cosa le sarebbe potuto accadere. La stessa cosa quando lei e Rin erano state attaccate da un demone serpente.

Avrebbe voluto gridare ma non l’aveva fatto. Anche quella volta era consapevole che sarebbe potuta morire, ma la lucidità le aveva permesso, quantomeno, di provare a resistere alla morte.

Ora, però, si sentiva completamente schiacciata dalla terribile sensazione di essere senza scampo.

Cosa c’era di diverso? Stava rischiando esattamente come le altre volte, anzi, forse di meno, contando che non riusciva nemmeno a vedere chi le stava minacciando.

Cosa cambiava?

“Non può essere…” mormorò fra sé Kagome, puntando la freccia contro un cespuglio lontano.

Scoccò con decisione e la freccia si caricò di un bagliore rosato e finì esattamente dove la ragazza aveva mirato. Ci furono un fruscio e un rumore, poi la sensazione di ostilità sembrò aumentare.

Stavano ancora cercando con gli occhi fra quei cespugli, quando un rumore alle loro spalle le fece trasalire.

Si voltarono e Kagome spalancò gli occhi. Non era possibile.

“TU, MALEDETTA RAGAZZINA!!! TU DEVI MORIRE!!”

Ayami sentì il cuore schizzarle in gola: un enorme demone con il busto da donna e il corpo da millepiedi le stava attaccando.

“Non è possibile…” bisbigliò Kagome prima di spingerla a terra.

Ayami finì a terra a pochi metri da loro. Kagome riusciva a tenere il demone lontano con il proprio arco che sembrava farle da scudo ma aveva bisogno del suo aiuto.

La ragazza fece per alzarsi ma il suo corpo non sembrava rispondere ai suoi comandi. C’era qualcosa che la paralizzava, come nella capanna di Kaede e le si stava anche stringendo attorno al collo.

Kagome riuscì a estrarre un fuda dalla cintura dell’hakama e con un rapido movimento, lo attaccò sulla testa del demone che la stava attaccando.

Il millepiedi urlò e cominciò a dimenarsi, cercando in ogni modo di togliersi il fuda dal viso. Kagome ne approfittò per avvicinarsi ad Ayami, quando scorse qualcosa di terribilmente familiare.

Capelli.

Ayami era completamente avvolta da una grossa massa di capelli neri. Kagome continuò a ripetersi che non era possibile, quando percepì una presenza maligna alle proprie spalle.

“Quanto tempo, ragazzina, sembra passata un’eternità, invece ci ritroviamo ancora a combattere. Peccato che, questa volta, sarai tu a morire!” Yura, il demone dei capelli, levò velocemente la sua corta spada contro Kagome.

Ayami chiuse gli occhi e pregò con tutta se stessa che qualcuno accorresse a salvarle.

Come a esaudire i suoi desideri, un lampo pallido sembrò squarciare il tempo e lo spazio. Kagome stava ancora guardando, incredula, gli occhi della demone che la stava per uccidere, quando la vide dissolversi in un bagliore azzurro. Anche il millepiedi svanì, come dilaniato in mille pezzi.

Kagome si lasciò cadere sulle ginocchia, confusa e spaesata.

Ayami sentì la presa addosso al suo corpo svanire e si ritrovò coperta da infiniti capelli corvini, senza riuscire a capire da dove provenissero. Tossì più volte, riprendendo fiato.

Sesshomaru scrollò la mano ricoperta di sangue di demone e si chinò a controllare i capelli che ricoprivano Ayami.

“Un demone dei capelli.” constatò mentre Ayami se li scrollava di dosso.

Sesshomaru guardò di sottecchi la ragazza, con un moto di fastidio, come se il ritrovarsi di nuovo a salvarle l’osso del collo gli desse la noia. Chi diavolo era quella ragazza e cos’aveva di così speciale da attirare tutti i demoni delle vicinanze?

“Kagome!” Ayami si alzò di corsa e si avvicinò all’amica, ignorandolo completamente.

Sesshomaru si rimise in piedi, scocciato e si avvicinò alla miko, ancora a terra.

“Kagome.” proferì, serio.

“Io proprio non capisco…” borbottò la sacerdotessa mentre si faceva aiutare da Ayami a rimettersi in piedi.

“Com’è possibile che tu non sia riuscita a sconfiggere dei demoni tanto miseri?” continuò, incurante il demone.

Kagome scosse la testa e si voltò a guardarlo.

“Sesshomaru, ti ringrazio per quello che hai fatto.”

“Non ho fatto niente, se non evitarmi il fastidioso perseguitarmi della voce di Inuyasha, nel caso tu fossi morta.”

Kagome deglutì a vuoto e strinse forte l’arco.

“Sesshomaru! Quei demoni... Quei demoni io li ho già visti, li conosco! Yura dei capelli e il Millepiedi Jōrō!”

Lui la guardò come se questo non cambiasse molto ma lei insistette, facendo un passo verso di lui.

“Io li conosco perché li ho uccisi, insieme a Inuyasha, cinque anni fa!”

Come se questo dipanasse le nubi nella sua mente, Sesshomaru assottigliò gli occhi dorati, senza dire niente. Kagome abbassò lo sguardo e si voltò verso Ayami, prendendola per un braccio.

“Andiamo, dobbiamo subito tornare al villaggio, non c’è un minuto da perdere.”

Ayami annuì e la seguì, guardando la figura di Sesshomaru davanti a loro. Kagome aumentò il passo e la figura svanì poco prima che la sacerdotessa ci passasse attraverso, rivelando che il demone era già lontano da qualche minuto.

Ayami non disse nulla finché non arrivarono al villaggio, dove furono accolte da Inuyasha, Kaede, Sango e Miroku.

“Kagome, che cos’è successo?” domandò febbrilmente Inuyasha. Era fuori di sé.

Kagome sospirò e lo guardò negli occhi.

“Siamo state attaccate da due demoni.”

“Di che demoni parli?” chiese allora Sango, facendosi avanti.

Kagome fece una smorfia sofferente e chiuse gli occhi.

“Di Yura dei Capelli e il Millepiedi Jōrō.”

“Ne sei sicura?” domandò Kaede, sconvolta, mentre Inuyasha sgranava gli occhi.

“Sì, ne sono certa, erano loro, non posso sbagliarmi.”

Tutti si guardarono, allarmati. Non era possibile che due demoni fossero tornati in vita così, da un giorno all’altro.

“Sesshomaru ci ha salvate, io non sono stata in grado di fare nulla, ero troppo sconvolta…” mormorò in scusa.

Kaede emise un lunghissimo gemito pensieroso.

“Questo spiegherebbe perché Sesshomaru ha portato via Rin.”

Kagome e Ayami si allarmarono.

“Rin? E dove? Perché?”

Kaede scosse la testa e le guardò con aria grave.

“Non so dove l’abbia portata. So solo che è stato qui e se n’è andato con Rin poco prima che voi compariste dal bosco.”

 

“Dannazione.” Inuyasha sferrò un pugno al pavimento, rompendo le assi di legno.

Kaede sospirò, guardandolo con sconforto.

“Inuyasha, non fare così, vedrai che le cose si risolveranno.” cercò di calmarlo Miroku.

Il mezzo-demone gli riservò un’occhiata che non lasciava intendere nulla di buono e tornò nel suo angolo, abbracciato a Tessaiga.

Non sopportava l’idea di aver fallito per ben due volte il tentativo di proteggere le persone a cui teneva.

Prima Rin e Ayami, poi Kagome. Come poteva non sentirsi responsabile, soprattutto quando era stato suo fratello a compiere quello che lui non era stato in grado di fare?

Non era sorpreso che Sesshomaru avesse portato via Rin, lo aveva avvertito che l’avrebbe ripresa con sé se avesse trovato insicuro l’ambiente in cui l’aveva lasciata.

Anche per questo si sentiva in colpa. Era colpa sua se Rin non era più con loro.

Sango teneva in braccio un bel bambino che giocava con un lembo del suo kimono, mentre Ayami giocava con le due gemelle. Il clima era pesante e la sterminatrice appoggiò una mano su quella di Ayami, per ridestarla dai suoi pensieri.

“Così tu vieni dalla stessa epoca di Kagome-chan, vero? Com’è stato ritrovarti in epoca Sengoku?” domandò con un sorriso la bella sterminatrice.

Ayami la guardò e sorrise timidamente.

“Beh, è stato meno traumatico del previsto, se solo non fossi stata attaccata da lupi e demoni di ogni sorta… Però sto bene qui!” aggiunse con entusiasmo.

Sango inclinò leggermente la testa.

“Non vorresti tornare nel tuo tempo?” chiese, curiosa.
Ayami si stupì, a quell’affermazione. Perché non aveva mai pensato, neanche per un solo istante, di poter tornare indietro? Forse perché non conservava memoria di quel luogo e non ne sentiva la nostalgia o forse perché sapeva, in cuor suo, che se fosse tornata indietro, si sarebbe probabilmente sentita spaesata e sola, proprio come quando era capitata lì, nell’epoca Sengoku.

“Sango, la ragazza non si ricorda nulla del mondo futuro dal quale proviene.” tagliò corto Inuyasha, sempre chiuso nel suo malumore.

“Perché non provate a riportarla al pozzo? Magari tornare alla sua epoca potrebbe aiutarla a ricordare.”

Miroku annuì gravemente e Inuyasha mosse le orecchie più volte, considerando l’ipotesi.

“Potrebbe essere la soluzione migliore, quella di farti tornare nella tua epoca.” considerò il mezzo-demone mentre si alzava.

Ayami rimase in silenzio ad ascoltarli. Non sapeva perché, ma si sentiva ferita da quelle parole.

“Sarà solo lei a decidere se tornare o no nella sua epoca, sono stata chiara?” Kagome appoggiò con forza una ciotola sul pavimento, emettendo un rumore secco, come la sua voce.

Era infastidita da quei discorsi e poteva chiaramente leggere il disagio sul volto di Ayami. Come poteva, Inuyasha, essere così cieco da non accorgersi di quanta paura aveva, Ayami, di ritrovarsi nuovamente sola?

“No, Inuyasha ha ragione, è solo colpa mia se siete stati attaccati da questi demoni ed è sempre colpa mia se Rin è stata portata via da qui. Non era più un posto sicuro, per lei, vero?” Ayami alzò lo sguardo verso Inuyasha che la guardava con la coda dell’occhio, leggermente voltato in sua direzione.

“Ma cosa credi, che non sia stato lo stesso per me, quando sono arrivata in questa epoca portando con me un oggetto tanto potente come la Sfera dei Quattro Spiriti? E allora, pensi che mi abbiano cacciata perché attiravo i demoni su questo villaggio? No, non è mai successo e non succederà nemmeno a te, io non ti caccerò da qui e se te ne andrai sarà perché lo vuoi tu, non per altri motivi!”

“Ora basta, smettetela.” Kaede alzò la voce, spezzando la tensione che si era venuta a creare.

“Ayami resterà sotto la protezione del tempio di questo villaggio e il discorso può chiudersi qui. Ci siamo riuniti qui per consumare insieme un pasto, in serenità e con spirito di amicizia. Smettetela di urlare e battibeccare.”

Tutti, perfino i bambini, si zittirono senza emettere un suono. L’unico a non farlo, come al solito, fu Inuyasha.

“Ehi, vecchiaccia! Passi da momenti in cui sembri morta a momenti in cui sai ancora tirare fuori la voce, eh?” ghignò, canzonatorio.

Kaede mugugnò, infastidita e guardò Kagome.

“Kagome, a te.”

La giovane miko sorrise e annuì, riprendendo a distribuire la cena a tutti.

“A CUCCIA!”

 

“Allora noi andiamo.” Miroku s’inchinò e alzò la tenda, lasciando passare Sango e i bambini.

“Venite a trovarci, mi raccomando!” aggiunse la sterminatrice, salutandoli con una mano.

Inuyasha, Kagome, Kaede e Ayami li salutarono e rimasero davanti al fuoco del piccolo braciere.

Dopo aver sistemato le ciotole e le bacchette in una grossa tinozza piena d’acqua, Ayami si alzò in piedi e si diresse alla porta, calzando degli zori.

“Dove stai andando?” chiese Inuyasha, curioso.

“Volevo controllare se i miei vestiti si sono asciugati.” rispose lei abbassando lo sguardo e uscendo.

Kagome fece cenno a Inuyasha di seguirla e lui, brontolando, obbedì.

Appena uscito, la vide ferma a pochi passi dalla capanna, intenta a guardare il cielo stellato brillare sopra le loro teste. Era una notte meravigliosa, le stelle brillavano con un’intensità che Ayami non aveva mai visto.

Non scorgeva ancora la luna, ma doveva essere nascosta dietro alle colline, perché c’era un bagliore tenue che si poteva scorgere, all’orizzonte.

“Ayami.”

La ragazza si voltò e incontrò il viso serio di Inuyasha.

“Inuyasha, cosa c’è?” chiese, mentre lui le si avvicinava.

Il mezzo-demone si fermò al suo fianco e sospirò, cominciando a massaggiarsi la nuca.

“Mi dispiace se prima ti ho lasciato intendere che non volevo rimanessi, non era quello che pensavo.” proruppe, in evidente difficoltà, il ragazzo.

Lei lo guardò e scosse la testa, gentilmente.

“Non ti preoccupare, io capisco come ti devi sentire in questo momento.”

Questa volta fu Inuyasha a guardarla, stupito da quelle parole. In che senso capiva il suo stato d’animo e, soprattutto, perché?

Ayami portò lo sguardo al cielo, sorridendo, malinconica.

“Facciamo due passi?” chiese, cominciando a camminare. Inuyasha annuì e la seguì, guardando anche lui il cielo stellato.

“Sai, Inuyasha, non so per quale motivo, ma da quando sono qui, sento come un’oppressione al petto, come se avessi addosso il senso di colpa per non essere riuscita a proteggere qualcuno.”
“Cosa intendi dire?” chiese lui, curioso.

Ayami abbassò lo sguardo sull’orizzonte, davanti ai suoi occhi.

Già, cosa voleva dire? Era un mistero. Lei stessa era un mistero e non riusciva a capire perché si trovasse lì o perché non ricordasse nulla. Si sentiva inutile e sapeva di essere solo un peso per le persone che si stavano prendendo cura di lei.

“Non lo so, davvero. Non capisco, non riesco a trovare spiegazione, so solo che forse hai ragione tu, forse dovresti riportarmi a quel pozzo e dovrei tornare da dove sono venuta, qualunque luogo sia, ovunque esso sia.”

“No, tu appartieni a questo mondo, ormai.”

Gli alberi muovevano pigramente le fronde ricolme di foglie. C’era un leggero vento fresco che arrivava da lontano. Strinse i lembi delle maniche del suo kosode e guardò il ragazzo.

“Perché? Perché adesso dici queste cose? Non è forse a causa mia che Kagome e gli altri hanno dovuto compromettere la loro incolumità? Inuyasha, io non so cosa devo fare, lo capisci?”

Gli occhi erano lucidi e colmi di lacrime che stavano per rigarle il volto. Inuyasha, guardandola, sentì qualcosa che non era in grado di esprimere. Quella donna, quella ragazza umana portava con sé un alone, una traccia di odore così familiare che lo stordiva.

“Io credevo che fosse la tua spada a portare quell’odore, eppure nonostante ci sia una traccia anche su di essa, è da te che proviene. E’ nel tuo sangue e non capisco come sia possibile ma quell’odore è simile, terribilmente simile al mio.”

Ayami lo guardò, sbalordita. Cosa stava dicendo? Che il loro sangue aveva lo stesso odore?

Inuyasha pestò più volte un piede a terra e si scompigliò i capelli, frustrato.

“Dannazione, non riesco proprio a capire come sia possibile! E’ debole e si sente appena ma quell’odore è l’odore del sangue demoniaco di mio padre, ne sono certo!”

Ayami era confusa e le sembrava di capire tutto sempre di meno, anziché di fare chiarezza. Inuyasha si calmò e si accucciò a terra, pensieroso.

“L’unico problema, è che mio padre era un demone completo, mentre tu sei solo un’umana e in te non è percettibile neanche un’aura spirituale, figurarsi una demoniaca. Non riesco a capire come sia possibile.”

La ragazza si accucciò vicino a lui e appoggiò una mano sul suo braccio.

Inuyasha voltò il viso a guardarla e la vide sorridergli, nonostante gli occhi fossero ancora lucidi. Com’era idiota. Era lei ad aver bisogno di essere rassicurata, non lui.

Il mezzo-demone le sorrise, rassicurante. Aveva ragione Kagome, quella ragazza misteriosa non poteva essere lasciata da sola, non tanto per i demoni e i pericoli che avrebbe potuto correre, quanto perché, ormai, faceva parte del loro gruppo e loro dovevano prendersene cura.

“Coraggio, togliti quell’espressione piagnona dalla faccia e torniamo indietro!” intimò lui, alzandosi in piedi e invitandola a fare altrettanto.

Ayami annuì e guardò alle spalle del mezzo-demone, alzandosi.

E quello cos’era?

“I-Inuyasha…” mormorò, guardando spaventata alle spalle del giovane.

Il mezzo-demone comprese, dalla faccia che stava facendo, che qualunque cosa ci fosse alle sue spalle, non era nulla di buono.

Ora che i suoi sensi erano in allarme, percepì con chiarezza delle presenze demoniache tutto intorno a loro.

Appoggiò la mano sull’elsa di Tessaiga e si girò, sfoderandola.

Erano circondati da dei demoni che nona aveva mai visto, sembravano innocui ma la loro aura demoniaca era ostile. Quei demoni erano delle lunghe fasce di garza bianca, fluttuanti, con piccoli occhi gialli minacciosi che stonavano con l’aspetto non propriamente spaventoso.

“Tsk, e voi cosa dovreste essere, precisamente?” domandò sprezzante Inuyasha, scagliando contro di loro un Kongōsōha. I demoni travolti dal colpo svanirono all’istante.

“Cosa pensavate di fare, deboli come siete?” ringhiò con derisione Inuyasha, brandendo altri colpi contro di loro. Erano inutili ma sembravano non finire mai.

“I…nu…ya-sha…”

Il mezzo-demone trasalì e si voltò di scatto verso Ayami, ancora dietro di lui.

Alcuni di quei demoni le si erano avvolti intorno al collo, altri le tenevano le braccia aderenti al corpo, impedendole di potersi liberare.

Si sentiva soffocare e stritolare nello stesso tempo. Un altro demone cominciò ad avvolgersi attorno al suo viso, impedendole completamente di respirare e di vedere.

“Ayami!” Inuyasha le si avvicinò e provò a colpire i demoni con le proprie unghie ma non sembravano cedere.

“Maledizione!” tentò di strapparli via con la forza ma più tirava, più la presa su Ayami si faceva più forte.

“Ahahahah, non avrei mai pensato che potesse essere così facile!” una voce, alle sue spalle, lo fece voltare.

Un enorme demone orso stava avanzando verso di loro. In mano, reggeva la katana di Ayami, quella che era custodita nella capanna della vecchia Kaede.

Un’immagine di Kagome attraversò la mente di Inuyasha come una scarica elettrica. Stava bene?

Ayami rantolò, sotto il tessuto bianco che le avvolgeva la testa.

“E io che temevo questa notte, convinto che il suo risveglio potesse compromettere la mia missione, invece è stato molto più semplice rubare la spada oggi!”

“Tu chi sei?!” intimò Inuyasha, brandendo con rabbia Tessaiga.

Il demone orso lo guardò con sufficienza e avanzò verso di lui.

“Tu puzzi di cane e di uomo insieme, quindi devi essere il figlio immondo di quel cane rognoso.” comincio, fermandosi a guardarlo con disgusto.

“Non mi sembra il caso di sprecare l’occasione di uccidere anche te, quindi, dato che morirai, ti concedo di conoscere il nome del tuo assassino, piccolo mezzo-demone! Il mio nome e Kumagi, Signore del clan Yū delle terre del Nord e tu, Inuyasha, stai per morire assieme a quell’inutile donna!”

Il grande demone orso si lanciò contro di loro, brandendo tre spade per mano. Inuyasha prese Ayami per la vita e balzò a lato, schivando il terribile colpo con cui Kumagi gli si era lanciato contro.

L’orso creò un’enorme voragine sul terreno, nel punto dove prima c’erano Inuyasha e Ayami, alzando un grosso polverone.

Quando si rialzò, estraendo dal suolo le lame conficcate nel terreno, Kumagi si mise a ridere.

“E’ inutile che tenti di fuggire, allungherai solo la tua agonia, per non parlare del fatto che quegli Ittan-Momen avranno sicuramente già ucciso quella donna!” sbraitò, divertito.

Inuyasha digrignò i denti e controllò Ayami che sembrava svenuta. Accostò l’orecchio al suo petto. Nessun battito.

“Ayami!” urlò, scuotendola. Gli Ittan-Momen, i demoni del cotone, si allontanarono da lei, abbandonando il suo corpo senza vita fra le braccia di Inuyasha.

“Ahahah, finalmente è morta, dunque! Il mio padrone sarà così felice che mi ricompenserà con tesori inimmaginabili!”

Inuyasha strinse a sé il corpo della ragazza. Non era possibile, non così. Non mentre cercava di proteggerla.

Non poteva aver fallito di nuovo, portando alla morte una ragazza innocente.

“Lei non meritava di morire così. Non per mano tua, non per colpa di quella stupida spada e non di certo per MIA NEGLIGENZA!” Inuyasha lasciò a terra il corpo di Ayami e brandì con due mani Tessaiga, la cui lama divenne nera come la notte. Lanciò un Meidō Zangetsuha con una rabbia e una disperazione che aveva provato poche volte.

Kumagi si stupì ma non indietreggiò, anzi, prese in mano la katana dal fodero bianco e se la tenne davanti. Questa assorbì il colpo lanciato da Tessaiga come se non fosse stato altro che uno scherzo.

“Che cosa credevi di fare, stupido e immondo mezzo-demone? Osi scagliare contro di me una tecnica simile?”

Kumagi ripose la katana e riprese le sue spade, pronto a colpire, quando un bagliore oscuro, alle spalle di Inuyasha, lo fece immobilizzare.

“Non è possibile, avevo mandato dei demoni a rallentarle…” borbottò, prima di usare le spade per pararsi da una devastante onda oscura.

Inuyasha guardò alle proprie spalle, percependo due aure demoniache spaventose.

Dal buio profondo della foresta, proprio dal sentiero che conduceva al pozzo, due ringhi violenti si alzarono, facendo vibrare tutta la vegetazione intorno a loro.

Occhi rossi come il sangue, si avvicinavano lentamente verso di loro, grandi e rabbiosi. Inuyasha riconosceva l’odore: erano cani.

Kumagi ordinò ai demoni del cotone di attaccare e questi si scagliarono contro le figure, ancora indistinte, nell’ombra. Bastò un istante e con un’altra ondata di potere demoniaco, tutti i demoni del cotone svanirono, distrutti.

Quando furono abbastanza vicini, Inuyasha li riconobbe subito: due grandi demoni cane dal pelo nero e corvino come la notte senza luna, gli occhi rossi, spietati e un simbolo di luna crescente sulla fronte.

Kumagi ringhiò e si preparò ad attaccare.

Uno dei due cani demoniaci si voltò verso Inuyasha, guardandolo fisso negli occhi. Inuyasha comprese che erano amici e che non volevano attaccarlo, anzi, erano lì per aiutarlo. Con un ringhio, il cane demoniaco più grosso fece dei passi verso Kumagi mentre quello più piccolo si avvicinò a Inuyasha e Ayami.

Con l’enorme muso, il cane demoniaco che aveva guardato Inuyasha annusò il corpo di Ayami e alzò di scatto la testa al cielo, ululando come se fosse un lupo. Un latrato disperato. Un latrato triste.

“Ormai è troppo tardi!” urlò Kumagi, scagliandosi contro il demone cane che gli ringhiava di fronte.

Questo balzò in aria, schivando il colpo e morse con forza una spalla del demone orso, facendolo urlare dal dolore. Dalle zanne del demone cane uscì un veleno nero che fece urlare ancora di più Kumagi. Quest’ultimo, utilizzò tutta la sua forza per scrollarsi di dosso l’avversario, lanciandolo lontano da sé.

Inuyasha non poteva restare a guardare. Brandì di nuovo Tessaiga e scagliò contro Kumagi un altro Kongōsōha.

“Non farmi ridere, lurido mezzo-demone!” Kumagi si parò dal colpo e si preparò a colpire verso Inuyasha, quando una luce saettante andò a conficcarsi nell’armatura del demone orso.

Inuyasha s’illuminò in volto.

“Kagome!” urlò mentre la sacerdotessa incoccava un’altra freccia sacra.

Inuyasha corse da Kagome, mettendosi in sua difesa.

“Ora mi sono stancato dei vostri giochetti.” sibilò Kumagi e si avvolse  nella sua stessa aura demoniaca, accrescendo lentamente il proprio potere.

I due cani demoniaci guardarono la spada dal fodero bianco al fianco del demone orso. Stava tremando.

Anche Kumagi se ne accorse e si fermò subito, guardando la spada al suo fianco. Era avvolta da un’aura bluastra e continuava a tintinnare con forza, dentro al fodero.

“Cosa sta succedendo?” domandò Kagome, abbassando l’arco.

Inuyasha guardò la spada e poi, istintivamente, alzò gli occhi al cielo. La luna era comparsa, enorme come se fosse solo a qualche metro di distanza dalle loro teste. Un sottile spicchio di luce bianca nel buio della notte. Neanche le stelle si vedevano più, tanta era la luce che emetteva. Un quarto di luna crescente.

La spada bianca cominciò a muoversi con così tanta forza da strappare la fibbia che la teneva al fianco di Kumagi e schizzò in cielo, verso la luna.

Il demone orso imprecò e fece un balzo, pronto a raggiungerla. L’aveva quasi presa quando la terra cominciò a tremare.

Kagome si avvinghiò a Inuyasha che la tenne stretta a sé, protettivo.

“Inuyasha, è proprio come l’aura di sei giorni fa!” pigolò Kagome, stringendosi di più a lui.

Inuyasha si guardò intorno, cercando di capire cosa stesse succedendo e sgranò gli occhi quando capì qual era la fonte dell’aura demoniaca che stava facendo tremare il suolo.

Il corpo di Ayami era avvolto dalla stessa aura bluastra che avvolgeva la spada e Inuyasha si accorse solo in quel momento che si trattava di un’aura demoniaca.

Kumagi guardò in basso qualche istante, sempre all’inseguimento della spada. Quando guardò giù, due occhi verdi e chiari come il ghiaccio lo fissavano da giù, dal suolo.

“Non è possibile…” bisbigliò prima di venir colpito dalla spada che, per tornare a terra, lo trapassò come se fosse fatto di burro. Era ancora nel fodero.

Che forza straordinaria, pensò mentre si sfiorava il foro che la spada gli aveva fatto, trapassandolo da parte a parte, dal petto alla schiena.

Prima di venir recuperato da un vortice di vento oscuro, guardò la luna. Sembrava così vicina.

L’ultima cosa che vide, prima di essere portato via, fu il sorriso derisorio della luna.

La spada, intanto, precipitò di nuovo verso terra, puntando un punto preciso.

Un braccio di Ayami era alzato, proteso verso il cielo e verso la spada. Quest’ultima si bloccò a pochi centimetri dalla mano della ragazza, rimanendo verticale, in piedi.

Inuyasha e Kagome si avvicinarono.

“Ayami! Ayami, cosa sta succedendo?”

La spada uscì dal fodero, rivelando a tutti la sua lama nera e si avvicinò al petto della ragazza. Solo allora, Kagome e Inuyasha notarono che Ayami aveva gli occhi aperti.

Kagome fece per dire qualcosa, ma la spada si conficcò nel petto della ragazza, facendole raggelare il sangue nelle vene.

“No!! No, Ayami!!” urlò, cercando di avvicinarsi al corpo della ragazza ma l’aura demoniaca la teneva lontana.

Il corpo di Ayami ebbe degli spasmi, contorcendosi piano mentre la ragazza sembrava ansimare pesantemente. Un’altra ondata violenta di aura demoniaca scosse il terreno.

I due cani demoniaci ulularono e furono avvolti dalle rispettive aure demoniache, riprendendo le loro sembianze umane.

Erano due donne, una dai capelli lunghi e l’altra dai capelli corti fino alle spalle. S’inginocchiarono a terra a guardare il corpo di Ayami, visibilmente in ansia.

Improvvisamente, le due donne li guardarono, allarmate.

“Allontanatevi, presto!”

Inuyasha prese di peso Kagome che cominciò a protestare e la portò al riparo, dietro alcune rocce.

Poco dopo, un enorme fascio di aura demoniaca, partendo da terra, squarciò il cielo verso l’alto. Il boato fu così forte che sia Inuyasha sia Kagome dovettero tapparsi le orecchie.

Durò interminabili minuti e fu straziante. Era come un’energia che li schiacciava al suolo, togliendogli il respiro.

Quando cessò, Inuyasha ci mise diverse minuti a riprendere padronanza dei propri sensi. Kagome, invece, sembrava stare molto meglio di lui, infatti si alzò subito e corse verso Ayami.

“Ayami! Ayami!” urlò, gettandosi in ginocchio al suo capezzale. Con  le lacrime a offuscarle la vista, Kagome ci mise un po’ a vedere i segni sul volto della ragazza.

Quando si strofinò gli occhi sulle maniche del proprio kimono, Kagome si trovò davanti agli occhi il sorriso di Ayami che la guardava con infinita tenerezza. Era diversa, però.

“Ayami, cos’è successo?” domandò, senza capire e cominciando ad accarezzarle piano i capelli.

La ragazza le sorrise ancora e socchiuse gli occhi.

Erano diversi da prima, erano diventati chiarissimi, come la neve ma non erano privi di colore. Erano verdi, chiarissimi come l’acqua cristallina di un ruscello di montagna e la pupilla non era più piccola e rotonda come quella degli umani, era più simile a quella di Inuyasha, assottigliata, come quella di un animale. Anche il suo viso era diverso: sembrava più grande, i lineamenti erano meno rotondi e più adulti ma, ancora più evidenti, sui suoi zigomi c’erano due sottili strisce rosate e sulla sua fronte una falce di luna crescente.

“Kagome…” la voce di Ayami era più calma e bassa del solito. Era morbida e sembrava poter sciogliere tutte le parole che pronunciava.

Kagome si sentì arrossire, sentendo il suo nome pronunciato così.

Ayami riaprì piano gli occhi e la guardò, sempre dolcemente.

“Fate attenzione, stanno arrivando…” bisbigliò e guardò verso Inuyasha che si stava avvicinando.

“Chi, chi sta arrivando?” domandò Kagome, agitandosi. Non poteva permettere che succedesse altro a quella ragazza.

Ayami la guardò negli occhi, facendola rabbrividire.

“Kagome tu stai pensando di proteggermi ma, in realtà, sei tu che devi essere protetta, ora…” mormorò girando la testa dall’altra parte, verso le due donne che erano ancora inchinate al suo capezzale.

“Tomoe, Nioi…” le guardò e le due sussultarono.

Ayami sorrise di nuovo, divertita.

“Che stupida… Volevo dire, Reiya, Reimei, nascondetevi nelle vicinanze insieme a Kagome e Inuyasha.”

“Ma Ayami-sama…” obbiettò Reiya, la più piccola delle due.

“Stanno venendo per la spada, ma sia lei e il mio potere non sono stati ancora completamente ristabiliti, perciò gliela lascerò prendere, tant’è che il potere della spada può ristabilirsi solo finché è conficcata nel mio petto. La prendano pure, sarà inutilizzabile ma io avrò tempo di ristabilire il mio potere e potrò riprenderla prima che la portino dove non potrò più toccarla.” spiegò e le due demoni annuirono, alzandosi.

“Aspetta un momento, Ayami, cosa sta succedendo?” domandò Kagome mentre Reiya e Reimei la prendevano per le braccia.

“Aspetta e capirai da te, Kagome-chan.”

Inuyasha guardò Ayami e rimase in silenzio. Lei gli sorrise ma lui non rispose e seguì Kagome e le due demoni.

Calò un silenzio inquietante, nel bosco. Nulla si muoveva, neppure il vento.

Gli animali sembravano troppo spaventati anche solo per spostarsi.

Si nascosero non molto distanti da lì, dietro degli alberi e dei cespugli.

Kagome era irrequieta e Reiya le spiegò che era necessario non emettere un solo suono, per il bene loro e di Ayami. Così, in silenzio, restarono in attesa.

Ayami provò a muoversi e constatò che il suo corpo era quasi totalmente mutato. Poteva muoversi, eccetto per il busto, bloccato a terra dalla spada. Già, la spada.

La guardò con attenzione, scorrendo lo sguardo sulla lama che sembrava farsi più lucente ogni istante che passava.

‘Padre…’, pensò con nostalgia, poco prima di percepire un’aura demoniaca avanzare verso di lei.

Era un unico demone ed era molto grande e veloce.

Inuyasha lo percepì allo stesso modo e intimò a tutti di fare attenzione. Dal fitto del bosco, videro gli alberi essere travolti da qualcosa che avanzava, inarrestabile.

Pochi istanti dopo, un enorme demone metà donna, metà ragno si avvicinò al corpo di Ayami.

“Dunque sei qui, fetida cagna!” urlò per scherno la demone ragno.

“Jorōgumo… Che sorpresa vederti. Sei qui per la spada?” domandò Ayami, guardando con un sorriso ironico la donna-ragno.

“Brillante deduzione, d’altronde non sono di certo venuta per vedere la tua orrenda faccia, signorina! Vedo che non hai ancora recuperato tutti i tuoi poteri, interessante… Cosa ne dici se ti divorassi?”

Ayami ridacchiò e la guardò con aria di sfida.

“Perché non ci provi, se ne sei in grado, ovviamente.” la canzonò.

Jorōgumo si avvicinò, muovendo le lunghe zampe da ragno e si chinò su di lei, guardandola con curiosità.

“Che bella scena, vederti infine trafitta dalla tua stessa spada. Provo quasi dispiacere all’idea di doverti divorare e rovinare quest’immagine sublime!” la demone ragno spalancò l’enorme bocca e cercò di addentare Ayami ma una barriera le impedì di avvicinarsi, ustionandole il volto da donna.

Jorōgumo gridò e urlò di dolore, dimenandosi mentre si copriva il viso con le mani.

“Maledetta!!! Tu sia maledetta!!!” sbraitò con rabbia mentre Ayami rideva.

“Quanto sei patetica, vecchia Jorōgumo. Avanti, prendi questa spada e vattene, non è forse questo che ti è stato ordinato di fare?” chiese, sprezzante.

La demone ragno digrignò i denti e allungò una mano, prendendo la spada con una mano.

“Quando la estrarrò, ti ucciderò e ti mangerò in un sol boccone, maledetta!”

Ayami sorrise e la incitò a farlo.

Jorōgumo non se lo fece ripetere e le strappò dal petto la spada, fiondandosi contro il suo corpo.

Inuyasha si alzò in piedi, insieme a Kagome e alle due demoni.

Stava già per mettere mano a Tessaiga quando percepì come un brivido.

Ayami guardò negli occhi la demone ragno e ghignò. Teneva un braccio teso e la mano serrata attorno al collo di Jorōgumo che la guardava con rabbia.

“Maledetta…” sibilò il ragno, cercando di divincolarsi.

“L’hai già detto.”

Ayami richiamò il suo potere demoniaco e in un istante, il suo corpo fu avvolto da una nube nera. Quando si diradò, Inuyasha e gli altri poterono vedere con i loro occhi un gigantesco e nero Inu-yōkai, mordere con forza il corpo del demone ragno.

Jorōgumo si divincolò e cominciò a colpire il grande cane con le zampe, per scrollarselo di dosso ma con poco successo. Così, piegando i busto fino a toccare per terra, riuscì ad alzare la parte posteriore del suo corpo e lanciare un liquido biancastro e filamentoso tutto intorno a sé, colpendo anche il grande cane.

Ayami guaì e lasciò la presa mentre le ragnatele cominciavano a ustionarla. Si scrollò di dosso i filamenti e ringhiò con rabbia mentre Jorōgumo rideva e ingoiava la spada che le aveva rubato.

“Sei troppo debole per contrastarmi, piccola stupida che non sei altro e mi dispiace dovermene andare, ora che potevo darti il colpo di grazia… Ma ci sarà un’altra occasione, ne sono certa!” il demone ragno lanciò altre ragnatele per impedire a chiunque di seguirla e corse lontano, portando con sé la spada.

Ayami la guardò andare via ed emise un lungo ringhio prima di accucciarsi a terrà, guaendo per il dolore. Improvvisamente, perse la sua forma demoniaca, ritornando nella sua forma umana e si lasciò cadere in ginocchio, stremata.

“Ayami-sama!” le due demoni corsero fuori dai cespugli, avvicinandosi alla giovane che respirava affannosamente.

Kagome e Inuyasha le seguirono, restando a qualche passo di distanza. Kagome, soprattutto, era molto scossa.

Non riusciva a credere a quello che aveva visto. Ayami era…

“Tu, chi sei?” Inuyasha domandò, secco, senza aspettare un minuto di più. Aveva domande che chiedevano risposte.

Ayami alzò la testa e guardò Inuyasha, in piedi vicino a lei.

Era serio ma non sembrava arrabbiato con lei, semplicemente, sembrava meravigliato ed emozionato nello stesso tempo. Ayami si ricordò del discorso che stavano facendo, poco prima che gli Ittan-Momen gli attaccassero.

L’odore del sangue.

La giovane si alzò in piedi, a fatica e lo guardò negli occhi.

“Hai ragione, devo presentarmi ora che possiedo la conoscenza per farlo.” si fece aiutare da Reiya e Reimei, facendo qualche passo verso di loro.

Guardò entrambi, sia Kagome, sia Inuyasha e sorrise.

Entrambi capirono che era sempre la stessa persona che avevano conosciuto pochi giorni prima.

“Il mio nome è Mikazuki no Ayami. Sono un Inu-DaiYōkai per linea di sangue e faccio parte del clan Mikazuki, i cani demoniaci dei monti Akimori.”

Inuyasha si rabbuiò.

“I monti Akimori, dici? Nessuno li ha mai trovati, sono considerati una leggenda persino nel mondo demoniaco.”

Reimei fece un passo verso di lui.

“Non lasciamo il passaggio aperto a chiunque, i sentieri che portano al nostro rifugio sono conosciuti solo da chi ha il permesso di raggiungerlo.” spiegò, seria la demone.

Kagome guardò Ayami.

“E la tua spada? Perché quei demoni la volevano?”

Ayami sospirò e guardò la ragazza e poi Inuyasha.

“Quella spada è un potente cimelio che apparteneva a mio padre. Io ne sono la custode.”

Il vento riprese a soffiare, dolcemente.

“Inuyasha, per quanto riguarda il discorso che stavamo facendo prima, devi sapere una cosa importante.”

Il mezzo-demone sentì il cuore balzargli nel petto e non distolse per un solo istante gli occhi da quella della demone.

“Mio padre apparteneva al clan Misoka, era una Demone Maggiore ed era il fratello d’arme e di sangue di Tōga, tuo padre.”

 

 


 

Non riesco a credere di aver scritto questo capitolo in 24 ore. Sono sconvolta! XD
Non vedevo l'ora di postare, lo ammetto e spero davvero che questo capitolo abbia placato almeno un po' la vostra curiosità! Ovviamente, tutto continuerà nei prossimi capitoli, quindi, fatemi sapere cosa ne pensate, ok?

Nel prossimo capitolo, altre rivelazioni, altri incontri inquietanti e - cosa davvero importante - molto più Sesshomaru! XDD *impazzisce*

Mi interessa molto mettervi la traduzione di alcuni nomi che ho dovuto inventare e creare per questa storia, ma lo farò alla fine del prossimo capitolo!
Qui voglio solo aggiungere una piccola precisazione: non ho inventato io gli 一反木綿 (いったんもめん - Ittan-Momen) ovvero i "fantasmi del cotone", né 女郎蜘蛛 (じょろうぐも - Jorōgumo) alias "la prostituta-ragno" ma sono due O-bakemono ovvero due mostri o demoni, del folklore giapponese!

I primi sono degli spettri all'apparenza innocui, che hanno l'aspetto di lunghe strisce di stoffa bianca fluttuante. si dice che soffochino la gente avvolgendosi alle loro teste e al loro collo. ò__ò *paura*

Il secondo, ovvero la donna-ragno, ha testa e busto di donna ma il resto del corpo è di ragno. Il nome Jorōgumo, oggi, indica anche una specie zoologica di ragno. Si dice che i Jorōgumo siano spesso associati ai proprietari di cascate e di piscine naturali. *molto, molto inquietante*

Bene, ora basta sproloqui!
Vi aspetto nelle recensioni. ù__ù
Ancora auguri di buon anno a tutti! <3

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