Adesso e per sempre

di ChiaraPs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Scappavo da troppo tempo, da troppo tempo non mi nutrivo.
Erano giorni che correvo nella foresta sperando di liberarmi di loro.
La sete che sentivo bruciarmi la gola era fortissima, un tizzone ardente che mi incendiava, che mi annebbiava i sensi.
Le forze mi stavano venendo a mancare, avevo assoluto bisogno di placare quella sensazione di sofferenza.
La mia vista percepiva l’ambiente circostante in una tonalità di rosso, acceso, ardente, la mia natura rivendicava di essere saziata.
Stavo percorrendo i boschi, per cui non mi sarebbe stato facile trovare qualcuno che servisse a placare quel bisogno insistente.
Invece il destino pose un’abitazione sulla mia strada, una piccola casa in pietra, situata al limitar del bosco, vicino c’era la cittadina di Lengs, ma non avevo la forza di proseguire oltre, dal camino della casa usciva del fumo, per cui la casa era abitata, solo questo mi interessava.
Mi ero avvicinato veloce e avevo distintamente sentito un cuore battere, pompava sangue, dolce sangue, dal profumo soave.
Aggirai l’abitazione per raggiungere il punto esatto in cui quel battito pulsava, attirandomi come il canto di una sirena, ero totalmente schiavo dei miei istinti, dominato da impulsi forti, naturali, sicuri, la ragione non mi apparteneva più da troppo tempo.
Dietro la casa trovai la mia preda, era nel giardino che tagliava legna, era un uomo, ed aveva un profumo invitante, delizioso, pregustavo già il sapore dolce che avrebbe posto fine alla mia sofferenza. Mi avvicinai non indugiando oltre, mi avventai su quell’uomo corpulento, robusto, ma indifeso,  indifeso, perché ero io ad attaccarlo.
Lo afferrai da dietro stringendolo nella morsa delle mie braccia, per lo spavento un’ondata di caldo sangue si riversò nel suo corpo, trafelato, impaurito, incatenandomi.
Fu un attimo, giusto il tempo di sentirgli sussurrare Lily disperato, poi conficcai i miei denti aguzzi nella sua carne debole, nel massiccio collo che si lacerò subito al contatto con i miei canini bramosi, e avvelenati.
Succhiai quel dolce fluido con avidità, con desiderio, mi dissetai sentendo il sangue scendermi in gola, e poi più in basso, dove lasciava una scia di calore, nel mio corpo freddo e immutabile.
Bevvi con la bocca satura di sangue e veleno fino a quando fui abbastanza sazio da riuscire a ritirare i denti e allontanarmi da quel corpo riverso a terra.
Solo in quel momento mi resi conto di un altro cuore, era più piccolo, potevo sentire che batteva lento ma regolare, potevo persino percepire che il sangue che immetteva in circolo nel corpo era poco, ma riusciva ad essere ancora più invitante di quello appena tracannato, era mielato, zuccherino.
Come un flash mi attraversò la mente un sussurro Lily, l’ultima parola che aveva pronunciato l’indifesa vittima prima di perire per mano mia.
Lily ripetei nella mia mente, sorridendo, mi sentivo sazio, l’uomo era alto e robusto e il suo sangue aveva quietato il mio bisogno, però quel dolce aroma mi invitava a entrare nella casa.
Con passo lento, mi diressi nell’abitazione che era composta da sole due stanze, una piccola cucina e una stanza più grande con un letto nel centro, da cui proveniva quel profumo delizioso.
Alzai la coperta che avvolgeva qualcosa di inaspettato, qualcosa a cui ero estraneo da troppo tempo, due occhi di un azzurro intenso mi guardavano, un volto pallido e minuscolo conteneva quelle due piccole stelle di luce, la testolina era incorniciata da corti riccioli biondi e il naso era così piccolo che quasi non si notava. Ma la cosa che più mi lasciò basito fu la piccola bocca a forma di cuore, che prima si era chiusa a formare una O e poi si era distesa in un sorriso sdentato incredibilmente ilare.
Era una bambina di pochi mesi, o almeno così mi sembrava, aveva davanti un mostro, desideroso di ucciderla, avevo appena assassinato suo padre poco distante da lei e..
lei sorrideva.
Era ovvio che non potesse avere consapevolezza dei suoi movimenti, della mia presenza o della morte del padre, era troppo piccola, ma qualcosa mi lasciò paralizzato, era surreale che sorridesse gioiosa.
Il suo cuoricino pulsava, ma io non mi ero avventato su di lei, la stavo osservando.
Da anni non guardavo nulla di quello che mi circondava, ero un mostro determinato dagli istinti, schiavo della sete, la mia unica reazione era scattare, uccidere, placare il bisogno, ma fermarmi e osservare, non facevano parte di me, non in quel momento di sicuro, e forse nemmeno prima di allora, anche se di una vita precedente alla trasformazione non avevo nessun tipo di ricordo.
Stavo pensando, qualcosa che per tanto tempo non avevo fatto, pensare può far male, le riflessioni di un mostro possono far male.
Chi vive in superficie, invece, come avevo fatto io fino a quel momento, non rischia di sprofondare in pensieri dolorosi.
Confuso da quelle sensazioni, non riuscii ad uccidere la bambina di nome Lily, uscii da quella casa e scappai lontano per non tornare più.

**********************


Ero lontano da non più di due giorni, ma qualcosa mi lacerava, era una sensazione strana, sconosciuta, mi dava un senso di smarrimento, che per la mia natura non poteva appartenermi.
Ero nella foresta, ero tornato a cacciare animali, più disteso, convinto di non essere più seguito da Maria e i suoi seguaci. Mi ero abbandonato alla mia natura, seguivo i miei infimi istinti come sempre avevo fatto, mi dedicavo alla caccia, alla perlustrazione nella zona, ma qualcosa era cambiato in me.
Non riuscivo ad essere lucido, un pensiero mi tormentava, mi confondeva, ma non ne capivo il motivo, il pensiero sovrastava i miei impulsi, faceva scappare le prede prima che riuscissi ad afferrarle, e ciò non aveva una logica, io ero un predatore, ero metodico, preciso, nessuno mi era mai sfuggito.
Il pensiero che mi tormentava, era Lily, ma non fu facile capirlo, perché non sapevo comunicare con me stesso, perché non mi conoscevo, perché non sentivo più di appartenermi da tempo, solo gli istinti avevano il controllo su di me.
Una consapevolezza mi inondava la mente, Lily era sola nella casa, con un cadavere in giardino e nessuno che la nutrisse, non sarebbe sopravvissuta, io non l’avevo morsa, ma l’avevo condannata a morte certa, uccidendo suo padre.
Era improbabile che qualcuno si fosse avventurato fin lì, al limitar del bosco, quindi era improbabile che qualcuno si fosse accorto della sua presenza e l’avesse tratta in salvo.
Mi dissi che non mi importava, che sarebbe stata solo un’altra delle mie vittime, ma non trovavo tregua, non era vero che non mi interessava.
Probabilmente convinto dal fatto che la sete per un po’ non mi avrebbe logorato, e che forse potevo controllare il mostro come la volta precedente, la sera del terzo giorno, mi diressi alla casa della bambina.
Trovare la strada fu facile, grazie ai miei infallibili sensi, in poche ore la raggiunsi.
Mi avvicinai e per prima cosa notai che non c’era più il cadavere nel giardino, per un secondo sperai che qualcuno avesse trovato la bambina e l’avesse portata via, ma mi resi subito conto che il suo cuore batteva; entrai nella stanza grande e Lily era lì, non sorrideva come la prima volta, e mi stupii di quanto mi facesse male quella consapevolezza.
Aveva gli occhi arrossati e la bocca era screpolata, era ovvio che aveva pianto molto e che aveva fame, la bocca era arida, per fortuna dormiva e non mi notò, non avrei sopportato che mi guardasse con quegli occhi lucidi e sfiniti.
Non riuscivo a capire come mai chi aveva portato via il cadavere non si fosse preoccupato di portar via quella creatura, possibile che non si fosse accorto della sua presenza?
La guardavo e non sapevo cosa fare, il mio istinto mi diceva di allontanarmi il più in fretta possibile e di non preoccuparmene, ma c’era una nuova vocina insistente nella mia testa-la mia coscienza forse?-che mi urlava di non abbandonarla.
Poteva un mostro avere una coscienza o qualcosa di simile, poteva un mostro farsi intenerire da una neonata in fasce, poteva un mostro desiderare di salvare un’umana?
La presi in braccio avvolta nella coperta per non congelarla con il mio corpo freddo, e mi sembrò qualcosa di surreale, di sbagliato: era contro natura che un vampiro accogliesse tra le braccia un neonato, io ero stato creato per uccidere.
Mi avvicinai alla cittadina di Lengs con le complici tenebre a mascherare la mia natura, sapevo che in quella città c’era un orfanotrofio che forse poteva accoglierla, stavo aspettando che la zona fosse sgombera, per lasciare il fagotto che avevo tra le mani davanti all’entrata, quando una scena mi distolse dalla mia intenzione.
Da una finestra al primo piano si poteva notare uno stanzone dove almeno cinquanta bambini erano ammucchiati come topi, aspettando la proprio razione di cibo, avevano occhi spenti e tristi, versavano nell’abbandono.
Quella non era la sorte che avrei inflitto a Lily, l’avevo privata del padre, di un futuro, dovevo fare in modo che avesse di più.
Girai per la città semi deserta cercando in qualche dimora un posto che mi sembrasse adatto a lei, ma nulla rispondeva alle mie esigenze, forse perché già allora mi rendevo conto che avevo più bisogno io di lei che lei di me.
Quella bambina con la sua sola presenza aveva risvegliato una parte di me che era assopita da lungo tempo, era la parte umana di me, di quello che ero stato.
Avevo dovuta nasconderla, confinarla, rigettarla, perché sentirsi un mostro mi dilaniava, e spingersi a riflessioni su una morale che avevo stracciato e calpestato, a favore della sete, mi avrebbe fatto impazzire.
Fatto sta che quella sera non trovai un posto adatto a Lily e decisi che per solo per quella sera mi sarei preso io cura di lei, per quanto ciò avesse dell’assurdo, glielo dovevo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Un anno dopo

Un anno dopo quella notte la bambina era ancora con me, sera dopo sera avevo giurato a me stesso che l’indomani l’avrei portata in città sperando che qualcuno potesse prendersi cura di lei, ma l’alba arrivava e io non trovavo la forza di allontanarmene.
Il pensiero di tornare a vivere come un mostro mi tormentava, non volevo più quella vita, anche se per la bambina stare con me non era giusto.
Ero un egoista, cercavo mille giustificazioni per fare ciò che più mi premeva, per non allontanarmi da lei.
I primi giorni erano stati difficili, faticosi, non sapevo come curare quella creatura così piccola, ma soprattutto, non sapevo come difenderla da me stesso.
L’aroma del suo sangue dolce e appetitoso a volte copriva completamente qualsiasi altro pensiero e io mi ritrovavo con gli occhi neri e i denti scoperti davanti a quel fagotto, schiavo ancora una volta di istinti mostruosi. Solo la visione di quegli occhi chiari e luminosi mi facevano riaffiorare dall’oblio, e mi permettevano di confinare il mostro.
Dopo un po’, però mi abituai alla sua presenza e starle vicino fu più facile, anche se innaturale.
La cosa più assurda fu la decisione che presi, iniziai a cacciare solo animali, nei paraggi della casa, ma sempre a distanza sufficiente dalla bambina, se l’avessi avuta vicina al momento della caccia l’avrei uccisa senza scrupoli, anche se poi mi sarei condannato per il resto dell’esistenza.
Per rispetto nei suoi confronti e per la mia rinata coscienza non cacciai più gli umani, credo che la mia dieta si potesse definire vegetariana.
Una sera però la mia sete, mi tradì, stavo rimandando la caccia da troppo tempo, perché temevo che la bambina fosse malata, si dimenava e piangeva e non sapevo più cosa fare, rimanevo lì a guardarla senza capire.
Quella sera Lily piangeva e piangeva e piangeva, e io ero esasperato da quel suono forte e insistente che chiedeva di essere placato senza tregua, avevo provato di tutto ma niente era servito. 
Mi irritai e il mostro approfittò di quel momento di debolezza, per venir fuori, la sollevai con troppa forza e avvicinai il naso alle sue guance paffute, stavo per saziare la mia sete a sue spese quando Lily allungò le manine e le strinse dietro il mio collo, si accucciò tra le mie braccia e, smettendo di piangere si assopì.
Quel gesto, così naturale per lei, così inaspettato per me, mi riportò alla realtà, a  quello che stavo per fare, mi maledissi in tutte le lingue che conoscevo, mi odiai intensamente, mentre cullavo quella piccola creatura tra le braccia.
La bambina voleva solo un contatto, una dimostrazione di affetto che io non potevo darle.
Ancora una volta mi si presentava davanti agli occhi tutta la nostra diversità, e ancora una volta mi colpiva come un pugno allo stomaco; le nostre nature non potevano convivere, io ero nato per uccidere quelli come lei, lei era nata per vivere inconsapevole dell’esistenza dei mostri.
Quella sera capii che la bambina non poteva stare un attimo in più lì con me e mi avviai a velocità disumana alla cittadina di Lengs.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3:

Vagavo in cerca di una casa per la seconda volta, ma per la seconda volta, non trovando il coraggio di lasciarla andare, non riuscivo ad essere soddisfatto di nessuno dei luoghi che visitavo, sentivo il suo corpicino pesarmi tra le braccia, il suo respiro leggero accarezzarmi una guancia e la  volontà di affidarla a qualche sconosciuto diminuiva inesorabile, come se ad ogni suo respiro la mia intenzione venisse annientata.

Confinato il mostro potevo tornare ad illudermi che non l’avrei uccisa, che non sarebbe diventata un’altra delle mie vittime. Trovavo mille giustificazioni, alcune davvero poco convincenti, ma cercare un appiglio per stare con lei mi riusciva fin troppo facile.

Ovviamente erano solo scuse, chiunque sarebbe stato meglio di me, chiunque che non fosse stato un mostro, come lo ero io.

Per quanto mi sentissi diverso, da quando stavo con lei, il mio autocontrollo era stato facilmente  annientato da un pianto più insistente del solito, era bastato pochissimo e la belva era affiorata, pronta a portarle la morte, ad aggredirla, la mia bocca era bramosa del suo sangue.

Ferirla era stato semplice, inevitabile, lei era delicata e fragile, io ero un demone invincibile, potevo vedere due grandi lividi neri formarsi sulle sue braccia nude, lì dove l’avevo strattonata per sollevarla, furente.

Mi rendevo conto che per quanto in quel momento non mi sovrastasse, la sete mi stava ancora bruciando la gola, percepivo nettamente il gusto delizioso che mi solleticava, che mi invitava.

Eppure ero lì e la tenevo tra le braccia sicuro, deciso, non volevo farle del male, volevo proteggerla da me stesso più di quanto volessi ucciderla.

Stavo continuando a vagare per la città, immerso nei miei pensieri contrastanti, quando una risata leggera proveniente dall’interno di una casa, attirò la mia attenzione, mi affacciai alla finestra da cui proveniva quel suono gaio, e osservai ciò che stava accadendo.

C’era una bella donna, china su un piccolo letto da cui spuntava una testa rossa, riccia, la donna stava posando un bacio sulla fronte del suo bambino, sorridendo.

Si alzò e posò un libro di fiabe sul comodino affianco al letto, prima di spegnere la luce e allontanarsi dalla mia vista.

Ebbi un fremito, il destino mi stava offrendo una possibilità, mi mostrava la vita che avrei potuto concedere alla bambina. Forse se avessi lasciato Lily davanti a quella casa, quella donna si sarebbe presa cura di lei, l’avrebbe allevata insieme al bambino dai capelli rossi.

Forse sarebbe stata amata, e sarebbe cresciuta nella convinzione di avere una famiglia.

Un moto nuovo di speranza mi sfiorò appena prima di lasciare posto alla tristezza.

Non avevo più scuse, avevo trovato una casa per Lily, una famiglia, l’avrei lasciata lì e le avrei concesso una vita migliore, sarei andato via e non avrei più interferito con la sua esistenza.

Mi convinsi che era la cosa giusta da fare, e capii per la prima volta il sentimento che prova chi è combattuto tra il desiderio e il dovere, tra chi desidera ciò che non è giusto fare.

Lasciai la bambina sul ciglio della porta posandola delicatamente, con la sua coperta, sul terriccio freddo, le girai le spalle e feci un passo soltanto, prima di girarmi di nuovo verso di lei, sembrava che le mie gambe avessero vita propria, non volevano andarsene.

Notai che Lily si era svegliata forse disturbata dai miei movimenti indecisi,

mi guardava, la guardavo.

Dilaniato da una decisione che non sapevo prendere, le sorrisi triste

“Lily vuoi restare con me?” chiesi tormentato, più a me stesso che a lei.

Chiusi gli occhi sconfortato, il peso di quella decisione era troppo grande,

“Dam-mia-gn” Lily pronunciò quella parola, sorridendo e allungando le manine verso di me, aveva pronunciato il mio nome: Damian, era la sua prima parola.

Avevo ripetuto il mio nome tante volte, parlandole, perché imparasse a dirlo, ma non avevo mai ottenuto risultati, non aveva mai parlato prima.

Proprio in quel momento, invece, quasi a voler rispondere alla mia domanda, quasi a volermi alleggerire di un peso altrimenti insostenibile emise quel suono tanto melodioso per le mie orecchie.

Non potevo interpretarlo come un segno del destino, perché già l’avevo tirato in causa quando avevo visto la donna nella casa, non potevo aggrapparmi a niente, però mi resi conto che ormai facevo parte della sua vita, che la decisione l’avevo già presa tanto tempo prima, quando non l’avevo abbandonata a una fine certa; in quel preciso istante avevo legato le nostre vite irrimediabilmente, e che fosse giusto o no la decisione era già stata presa.

“Lily” sussurrai, ancora confuso, ma più deciso “resterai con Damian, anche se un giorno mi odierai per questo”.

Le sorrisi, e lei fece altrettanto mentre la sollevavo per accoglierla tra le mie braccia gelide, voltai le spalle alla casa, che le avrebbe potuto garantire una vita vera e mi inoltrai nella foresta.

Appena arrivato nella nostra piccola dimora, la adagiai sul letto, e  le raccontai una favola, così come avevo visto fare alla donna, poco prima.

Non sapevo per quale assurdo motivo conoscessi quel racconto, sapevo solo che le parole fluivano sicure, come se quella favola l’avessi raccontata altre mille volte, come se già la conoscessi.

Non mi soffermai a pensare a niente, le raccontavo quella storia, guardandola adorante e lei, silenziosa, non sembrava desiderare altro.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4:

9 anni dopo

Nove anni dopo, la mia decisione era stata del tutto annientata dalla voglia che avevo di stare con Lily, di vederla crescere, di passare ancora un’ora davanti a quegli occhi belli e luminosi.

Cresceva e ogni giorno diventava più incantevole, i riccioli biondi che le incorniciavano il viso, le arrivavano ormai alla schiena e, un piccolo nasino alla francese era adornato da minuscole lentiggini chiare, gli occhi grandi e azzurri, erano il riflesso della purezza.

Era la bambina più bella che avessi mai visto, o forse ero io a vederla come un angelo venuto a salvarmi.

Passavamo le giornate, insieme, lei era serena e vivace, io cercavo di essere meglio di quanto fossi in realtà. Di notte quando Lily dormiva, mi congedavo da lei e mi allontanavo furtivo nella notte per quietare la mia sete, per non rischiare al suo risveglio di essere attratto dal suo sangue.

Non potevo permettere che Lily andasse a scuola, non avevo la capacità di accompagnarla in mezzo a tutti quegli umani e non potevo lasciarle raggiungere la città da sola.

E poi Lily non aveva un cognome, un documento, per il mondo non esisteva, ed era assurdo: il mondo popolato di mostri e di sporcizia non sapeva dell’esistenza di quella gemma preziosa, che risplendeva in mezzo a tutto quel fango.

Io sapevo solo che quella era Lily, la mia unica ragione per vivere, il motivo per cui non ero più un mostro o perlomeno mi sforzavo di non esserlo.

Per rimediare alla sua mancata frequentazione della scuola, le avevo insegnato a leggere e scrivere, e cercavo di impartirle le conoscenze più svariate, conoscevo bene la storia e la geografia, perché ero stato in molti dei luoghi di cui le parlavo, perché avevo combattuto in alcune delle guerre che le raccontavo.

Lei apprendeva in fretta, le piaceva leggere, nelle sere autunnali davanti al camino acceso, passava ore immersa nella letture più disparate.

Era intelligente e molto precoce per la sua età, si interessava a tutto quello che le raccontavo, chiedeva spiegazioni se non capiva, non era mai annoiata o svogliata, le piaceva sapere, imparare, non ne aveva mai abbastanza.

Io più di quello non potevo darle, la stavo condannando all’isolamento e me ne rendevo perfettamente conto.

Lei era una bambina e le andava bene così, ma non era giusto, era come condannarla a non vivere, era confinata in una casa con un mostro, che pur di non perderla giocava a fare la tata, senza riuscirci neanche particolarmente bene.

Giocavo con lei, la facevo studiare, ma per quanto cercassi di convincermi non ero la scelta giusta per lei, non ero mai stato convinto della decisione presa, e continuavo a non esserlo, anche se cercavo di non pensarci.

Una sera però mentre era assorta in una delle sue letture mi guardò incerta.

“Com’erano i miei genitori?” mi chiese decisa e capricciosa, io rimasi immobile, dandole le spalle, quella domanda mi colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Doveva aver letto qualcosa che le aveva fatto pensare alla sua famiglia.

“Lily ne abbiamo già parlato, io ti ho trovato qui, eri sola e abbandonata, avevi pochi mesi e io mi sono preso cura di te, non so che aspetto avessero o chi fossero” mezza verità, non sapevo chi fossero, ma suo padre l’avevo conosciuto, era robusto e alto, un bell’uomo immaginavo, per quel poco che mi ero soffermato sul suo aspetto.

Suo padre, che si prendeva cura di lei da solo, non era mai venuto nessuno a cercarlo.

Ma quei pensieri scomodi li tenni per me, ben nascosti dove non potessero nuocerle.

“Perché a me non è consentito sapere chi fossero, perché non li ho potuti conoscere?” Lily, triste, gettò il libro, che teneva tra le mani lontano.

“Lily non fare così, ne abbiamo parlato mille volte” dissi brusco alzando la voce, pentendomene all’istante.

Mi rendevo perfettamente conto che volesse conoscere la verità e che soffrisse per il vuoto che sentiva, ma le sue parole mi ferivano, mi ricordavano di quanto fossi stato egoista a credere che potessi essere abbastanza per lei.

Lily scoppiò a piangere, era pur sempre una bambina, e io non sapevo ancora una volta come comportarmi, sentivo la sofferenza mista alla rabbia riempirmi la testa.

“Lily, so che ti sarebbe piaciuto avere la tua famiglia, e che io non sono all’altezza, ma non ho potuto fare di più” la lasciai lì con quelle parole, allontanandomi velocemente dalla casa, dalle sue lacrime che mi ferivano, l’avevo condannata a un’esistenza vuota e misera.

Mi sdraiai sotto un albero sbriciolando una roccia che giaceva lì vicino, sentivo gli occhi pungere, credevo che da un momento all’altro le lacrime potessero uscire da quei pozzi scuri che erano i miei occhi, ma non sarebbe successo, non poteva succedere, io ero un mostro e per quanto ci provassi non potevo rinnegare la mia natura.

“Damian dove sei?” Lily mi chiamava da qualche parte della foresta, ma non volevo tornare, non sapevo cosa dirle.

“Damian” la sentii gridare forte, disperata, e mi scossi controvoglia dal mio torpore per raggiungerla.

Ci misi un secondo a mettermi sulle sue tracce.

“Lily, sono qui” le dissi affranto non appena la raggiunsi

“Non andartene mai più” mi disse urlando con voce rotta dal pianto, le lacrime a incorniciarle il viso.

“Lily, ascoltami” le dissi, mantenendomi a distanza “potremmo andare in città a cercarti una famiglia vera, un padre e una madre che sappiano prendersi cura di te come meriti, che siano dei bravi genitori per te..” mentre le parlavo le avevo voltato la schiena, per non perdermi nei suoi occhi tristi.

“Smettila subito” gridò spaventata e ferita, interrompendomi, “io intendevo dire che avrei voluto conoscere i miei veri genitori, le persone che mi hanno dato la vita, non che tu non sia la mia famiglia, o che tu non sia in grado di esserlo.”

“Lily, tu sei solo una bambina, e non ti rendi conto dei rischi che corri con me, tu hai bisogno di qualcuno che ti possa garantire una vita vera, sei in questo bosco, sola con me, da troppo tempo, tu non ti rendi di quali pericoli ti circondano.” Il vero pericolo ero io, ma non potevo dirglielo,  “Io ci ho provato a lasciarti a qualcuno che fosse più adatto di me ma non ci sono mai riuscito, perché credevo di poterti dare quello che ti serviva, perché non riuscivo a staccarmi da te”

Vidi la sua espressione cambiare, se era possibile divenne ancora più triste

“Tu mi volevi abbandonare? Neanche tu mi volevi?” mi pentii all’istante di quello che le avevo detto.

“No Lily io non ho mai desiderato di abbandonarti, mai, neanche per un istante, ho solo pensato che tu  meritassi di più di quello che ti posso dare io”

“Perché nessuno mi vuole, cosa ho fatto di male?” non mi stava ascoltando, mi avvicinai a lei e le strinsi le spalle scuotendola “Lily tu non hai fatto proprio niente, tu sei una bambina adorabile, che merita il meglio che ci sia al mondo, io non sono il meglio, non sono neanche lontanamente vicino al meglio, perciò non vado bene per te, lo capisci questo?”

“Damian, io sto bene qui, tu sei la mia famiglia e lo sei sempre stato. Io non ho ricordi di nessuno che non sia tu, tu mi hai cresciuta e io non voglio nessun altro” stava tremando per l’agitazione, era davvero scossa.

Alzai gli occhi per guardarla in volto e fu un errore, perché quello che vidi mi dilaniò.

La sua espressione era diventata di puro terrore, e le lacrime ricominciarono a scendere a fiumi sulle sue guance arrossate.

Le sue parole furono il colpo di grazia

“Damian, ti prego, non abbandonarmi anche tu, io ho solo te, non lasciarmi, ti prego, sarò brava, farò quello che vuoi, ma non lasciarmi”

Non dovette dire altro, la guardai serio negli occhi, prendendole le manine.

 “Va bene, Lily ascoltami, finchè mi vorrai io resterò, ma arriverà un giorno in cui vorrai lasciarmi per scoprire il mondo, per farti una famiglia tua, e allora io ti lascerò andare e tu vivrai la tua vita, è chiaro?”

“Io non vorrò mai lasciarti” mi disse, già più serena

“Lo vorrai”

“Quando arriverà il momento ne parleremo” mi disse decisa prima di stamparmi un bacio su una guancia e correre verso casa.

Io rimasi impietrito mentre lei si allontanava. Mai, da quando stava con me, mi ero permesso di sfiorarla, se non per cullarla o per abbracciarla, quando si svegliava in lacrime per l’ennesimo incubo.

Mai mi ero sognato di posare le mie sudice labbra sulla sua pelle di velluto, e lei neanche aveva mai azzardato un contatto tanto intimo con me, forse condizionata dal mio comportamento freddo e distaccato. Ma in quel momento, quando aveva temuto di perdermi, si era lasciata andare a quel contatto così piacevole per la mia pelle di ghiaccio che un brivido mi aveva fatto fremere nel profondo, fin dentro le ossa.

Rimasi intontito da quella sensazione sconosciuta.

Era la solita decisione sbagliata, ma poco mi importava, ne avevo parlato con lei, perché era giusto che sapesse che in qualsiasi momento poteva decidere di andarsene e io non l’avrei fermata.

Lily non poteva soffrire per causa mia, non poteva credere per la seconda volta di venire abbandonata, quando in realtà non lo era mai stata, neanche da suo padre.

Però sapevo una cosa, se voleva stare con me, doveva sapere, conoscere la mia vera natura.

Per lei era l’”età dei perché”, perché il sole ci scalda, perché la luna viene solo di notte, perché non ho potuto conoscere i miei genitori? Quanto ci sarebbe voluto prima che facesse una domanda a cui non avrei saputo rispondere, come perché non invecchi o perché non mangi?

Non potevo farmi prendere in contropiede dovevo rivelarle ciò che ero, senza spaventarla, ma senza mascherare il pericolo che rappresentavo, così forse se ne sarebbe voluta andare da sola, il solo pensiero mi faceva rabbrividire.

“Damian” sentivo Lily che mi chiamava, perciò decisi di rimandare quelle riflessioni a un altro momento.

Stavo tornando verso casa, ancora scosso, quando un rumore, proveniente dal folto della foresta, catturò la mia attenzione.

Poteva essere un animale qualunque, eppure mi resi subito conto, che non era stato il rumore ad allarmarmi, ma la scia che l’aveva seguito per un attimo soltanto.

Era un odore familiare, che non sentivo da tempo, ma che era impresso in me come un marchio.

Ispezionai la foresta, a lungo, attraversandola in tutta la sua larghezza più volte, per trovare quella scia, per capire da dove venisse quell’odore, ma non la trovai.

Ogni rumore mi faceva digrignare i denti, ero attento a qualsiasi odore, anche al più lieve, i miei sensi erano tesi, attenti, ogni movimento mi faceva sussultare, era assurdo che mi spaventassi, che temessi quell’aroma, capii che non avevo paura per me ma per Lily.

Decisi di avvicinarmi alla nostra casa, sempre attento ai rumori intorno.

Alla fine mi convinsi che dovevo essermelo immaginato, anche se era impossibile, dovevo aver scambiato qualche altro odore per quello.

Tornai a casa e Lily era lì ad aspettarmi, mi bastò guardare i suoi occhi di nuovo sereni, per dimenticarmi del mondo intorno.

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