Adesso e per sempre di ChiaraPs (/viewuser.php?uid=119626)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Scappavo
da troppo tempo, da troppo tempo non mi nutrivo.
Erano
giorni che correvo nella foresta sperando di liberarmi di loro.
La
sete che sentivo bruciarmi la gola era fortissima, un tizzone ardente
che mi
incendiava, che mi annebbiava i sensi.
Le
forze mi stavano venendo a mancare, avevo assoluto bisogno di placare
quella
sensazione di sofferenza.
La
mia vista percepiva l’ambiente circostante in una
tonalità di rosso, acceso,
ardente, la mia natura rivendicava di essere saziata.
Stavo
percorrendo i boschi, per cui non mi sarebbe stato facile trovare
qualcuno che
servisse a placare quel bisogno insistente.
Invece
il destino pose un’abitazione sulla mia strada, una piccola
casa in pietra,
situata al limitar del bosco, vicino c’era la cittadina di
Lengs, ma non avevo
la forza di proseguire oltre, dal camino della casa usciva del fumo,
per cui la
casa era abitata, solo questo mi interessava.
Mi
ero avvicinato veloce e avevo distintamente sentito un cuore battere,
pompava
sangue, dolce sangue, dal profumo soave.
Aggirai
l’abitazione per raggiungere il punto esatto in cui quel
battito pulsava,
attirandomi come il canto di una sirena, ero totalmente schiavo dei
miei
istinti, dominato da impulsi forti, naturali, sicuri, la ragione non mi
apparteneva più da troppo tempo.
Dietro
la casa trovai la mia preda, era nel giardino che tagliava legna, era
un uomo,
ed aveva un profumo invitante, delizioso, pregustavo già il
sapore dolce che
avrebbe posto fine alla mia sofferenza. Mi avvicinai non indugiando
oltre, mi
avventai su quell’uomo corpulento, robusto, ma indifeso, indifeso,
perché ero io ad attaccarlo.
Lo
afferrai da dietro stringendolo nella morsa delle mie braccia, per lo
spavento
un’ondata di caldo sangue si riversò nel suo
corpo, trafelato, impaurito,
incatenandomi.
Fu
un attimo, giusto il tempo di sentirgli sussurrare Lily disperato,
poi
conficcai i miei denti aguzzi nella sua carne debole, nel massiccio
collo che
si lacerò subito al contatto con i miei canini bramosi, e
avvelenati.
Succhiai
quel dolce fluido con avidità, con desiderio, mi dissetai
sentendo il sangue
scendermi in gola, e poi più in basso, dove lasciava una
scia di calore, nel
mio corpo freddo e immutabile.
Bevvi
con la bocca satura di sangue e veleno fino a quando fui abbastanza
sazio da
riuscire a ritirare i denti e allontanarmi da quel corpo riverso a
terra.
Solo
in quel momento mi resi conto di un altro cuore, era più
piccolo, potevo
sentire che batteva lento ma regolare, potevo persino percepire che il
sangue
che immetteva in circolo nel corpo era poco, ma riusciva ad essere
ancora più
invitante di quello appena tracannato, era mielato, zuccherino.
Come
un flash mi attraversò la mente un sussurro Lily,
l’ultima parola che aveva
pronunciato l’indifesa vittima prima di perire per mano mia.
Lily
ripetei nella mia mente, sorridendo, mi sentivo sazio, l’uomo
era alto e
robusto e il suo sangue aveva quietato il mio bisogno, però
quel dolce aroma mi
invitava a entrare nella casa.
Con
passo lento, mi diressi nell’abitazione che era composta da
sole due stanze,
una piccola cucina e una stanza più grande con un letto nel
centro, da cui
proveniva quel profumo delizioso.
Alzai
la coperta che avvolgeva qualcosa di inaspettato, qualcosa a cui ero
estraneo
da troppo tempo, due occhi di un azzurro intenso mi guardavano, un
volto
pallido e minuscolo conteneva quelle due piccole stelle di luce, la
testolina
era incorniciata da corti riccioli biondi e il naso era così
piccolo che quasi
non si notava. Ma la cosa che più mi lasciò
basito fu la piccola bocca a forma
di cuore, che prima si era chiusa a formare una O e poi si era distesa
in un
sorriso sdentato incredibilmente ilare.
Era
una bambina di pochi mesi, o almeno così mi sembrava, aveva
davanti un mostro,
desideroso di ucciderla, avevo appena assassinato suo padre poco
distante da
lei e..
lei
sorrideva.
Era
ovvio che non potesse avere consapevolezza dei suoi movimenti, della
mia
presenza o della morte del padre, era troppo piccola, ma qualcosa mi
lasciò
paralizzato, era surreale che sorridesse gioiosa.
Il
suo cuoricino pulsava, ma io non mi ero avventato su di lei, la stavo
osservando.
Da
anni non guardavo nulla di quello che mi circondava, ero un mostro
determinato
dagli istinti, schiavo della sete, la mia unica reazione era scattare,
uccidere, placare il bisogno, ma fermarmi e osservare, non facevano
parte di
me, non in quel momento di sicuro, e forse nemmeno prima di allora,
anche se di
una vita precedente alla trasformazione non avevo nessun tipo di
ricordo.
Stavo
pensando, qualcosa che per tanto tempo non avevo fatto, pensare
può far male,
le riflessioni di un mostro possono far male.
Chi
vive in superficie, invece, come avevo fatto io fino a quel momento,
non
rischia di sprofondare in pensieri dolorosi.
Confuso
da quelle sensazioni, non riuscii ad uccidere la bambina di nome Lily,
uscii da
quella casa e scappai lontano per non tornare più.
**********************
Ero
lontano da non più di due giorni, ma qualcosa mi lacerava,
era una sensazione
strana, sconosciuta, mi dava un senso di smarrimento, che per la mia
natura non
poteva appartenermi.
Ero
nella foresta, ero tornato a cacciare animali, più disteso,
convinto di non
essere più seguito da Maria e i suoi seguaci. Mi ero
abbandonato alla mia
natura, seguivo i miei infimi istinti come sempre avevo fatto, mi
dedicavo alla
caccia, alla perlustrazione nella zona, ma qualcosa era cambiato in me.
Non
riuscivo ad essere lucido, un pensiero mi tormentava, mi confondeva, ma
non ne
capivo il motivo, il pensiero sovrastava i miei impulsi, faceva
scappare le
prede prima che riuscissi ad afferrarle, e ciò non aveva una
logica, io ero un
predatore, ero metodico, preciso, nessuno mi era mai sfuggito.
Il
pensiero che mi tormentava, era Lily, ma non fu facile capirlo,
perché non
sapevo comunicare con me stesso, perché non mi conoscevo,
perché non sentivo
più di appartenermi da tempo, solo gli istinti avevano il
controllo su di me.
Una
consapevolezza mi inondava la mente, Lily era sola nella casa, con un
cadavere
in giardino e nessuno che la nutrisse, non sarebbe sopravvissuta, io
non
l’avevo morsa, ma l’avevo condannata a morte certa,
uccidendo suo padre.
Era
improbabile che qualcuno si fosse avventurato fin lì, al
limitar del bosco,
quindi era improbabile che qualcuno si fosse accorto della sua presenza
e
l’avesse tratta in salvo.
Mi
dissi che non mi importava, che sarebbe stata solo un’altra
delle mie vittime,
ma non trovavo tregua, non era vero che non mi interessava.
Probabilmente
convinto dal fatto che la sete per un po’ non mi avrebbe
logorato, e che forse
potevo controllare il mostro come la volta precedente, la sera del
terzo
giorno, mi diressi alla casa della bambina.
Trovare
la strada fu facile, grazie ai miei infallibili sensi, in poche ore la
raggiunsi.
Mi
avvicinai e per prima cosa notai che non c’era più
il cadavere nel giardino,
per un secondo sperai che qualcuno avesse trovato la bambina e
l’avesse portata
via, ma mi resi subito conto che il suo cuore batteva; entrai nella
stanza
grande e Lily era lì, non sorrideva come la prima volta, e
mi stupii di quanto
mi facesse male quella consapevolezza.
Aveva
gli occhi arrossati e la bocca era screpolata, era ovvio che aveva
pianto molto
e che aveva fame, la bocca era arida, per fortuna dormiva e non mi
notò, non
avrei sopportato che mi guardasse con quegli occhi lucidi e sfiniti.
Non
riuscivo a capire come mai chi aveva portato via il cadavere non si
fosse
preoccupato di portar via quella creatura, possibile che non si fosse
accorto
della sua presenza?
La
guardavo e non sapevo cosa fare, il mio istinto mi diceva di
allontanarmi il
più in fretta possibile e di non preoccuparmene, ma
c’era una nuova vocina
insistente nella mia testa-la mia coscienza forse?-che mi urlava di non
abbandonarla.
Poteva
un mostro avere una coscienza o qualcosa di simile, poteva un mostro
farsi
intenerire da una neonata in fasce, poteva un mostro desiderare di
salvare
un’umana?
La
presi in braccio avvolta nella coperta per non congelarla con il mio
corpo
freddo, e mi sembrò qualcosa di surreale, di sbagliato: era
contro natura che
un vampiro accogliesse tra le braccia un neonato, io ero stato creato
per
uccidere.
Mi
avvicinai alla cittadina di Lengs con le complici tenebre a mascherare
la mia
natura, sapevo che in quella città c’era un
orfanotrofio che forse poteva
accoglierla, stavo aspettando che la zona fosse sgombera, per lasciare
il
fagotto che avevo tra le mani davanti all’entrata, quando una
scena mi distolse
dalla mia intenzione.
Da
una finestra al primo piano si poteva notare uno stanzone dove almeno
cinquanta
bambini erano ammucchiati come topi, aspettando la proprio razione di
cibo,
avevano occhi spenti e tristi, versavano nell’abbandono.
Quella
non era la sorte che avrei inflitto a Lily, l’avevo privata
del padre, di un
futuro, dovevo fare in modo che avesse di più.
Girai
per la città semi deserta cercando in qualche dimora un
posto che mi sembrasse
adatto a lei, ma nulla rispondeva alle mie esigenze, forse
perché già allora mi
rendevo conto che avevo più bisogno io di lei che lei di me.
Quella
bambina con la sua sola presenza aveva risvegliato una parte di me che
era
assopita da lungo tempo, era la parte umana di me, di quello che ero
stato.
Avevo
dovuta nasconderla, confinarla, rigettarla, perché sentirsi
un mostro mi
dilaniava, e spingersi a riflessioni su una morale che avevo stracciato
e
calpestato, a favore della sete, mi avrebbe fatto impazzire.
Fatto
sta che quella sera non trovai un posto adatto a Lily e decisi che per
solo per
quella sera mi sarei preso io cura di lei, per quanto ciò
avesse dell’assurdo,
glielo dovevo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Un anno
dopo
Un anno dopo quella notte la bambina
era ancora con me, sera
dopo sera avevo giurato a me stesso che l’indomani
l’avrei portata in città
sperando che qualcuno potesse prendersi cura di lei, ma
l’alba arrivava e io
non trovavo la forza di allontanarmene.
Il pensiero di tornare a vivere come un mostro mi
tormentava, non volevo più quella vita, anche se per la
bambina stare con me
non era giusto.
Ero un egoista, cercavo mille giustificazioni per fare ciò
che più mi premeva, per non allontanarmi da lei.
I primi giorni erano stati difficili, faticosi, non sapevo
come curare quella creatura così piccola, ma soprattutto,
non sapevo come
difenderla da me stesso.
L’aroma del suo sangue dolce e appetitoso a volte copriva
completamente qualsiasi altro pensiero e io mi ritrovavo con gli occhi
neri e i
denti scoperti davanti a quel fagotto, schiavo ancora una volta di
istinti
mostruosi. Solo la visione di quegli occhi chiari e luminosi mi
facevano
riaffiorare dall’oblio, e mi permettevano di confinare il
mostro.
Dopo un po’, però mi abituai alla sua presenza e
starle
vicino fu più facile, anche se innaturale.
La cosa più assurda fu la decisione che presi, iniziai a
cacciare solo animali, nei paraggi della casa, ma sempre a distanza
sufficiente
dalla bambina, se l’avessi avuta vicina al momento della
caccia l’avrei uccisa
senza scrupoli, anche se poi mi sarei condannato per il resto
dell’esistenza.
Per rispetto nei suoi confronti e per la mia rinata
coscienza non cacciai più gli umani, credo che la mia dieta
si potesse definire
vegetariana.
Una sera però la mia sete, mi tradì, stavo
rimandando la
caccia da troppo tempo, perché temevo che la bambina fosse
malata, si dimenava
e piangeva e non sapevo più cosa fare, rimanevo
lì a guardarla senza capire.
Quella sera Lily piangeva e piangeva e piangeva, e io ero
esasperato da quel suono forte e insistente che chiedeva di essere
placato
senza tregua, avevo provato di tutto ma niente era servito.
Mi irritai e il mostro approfittò di quel momento di
debolezza,
per venir fuori, la sollevai con troppa forza e avvicinai il naso alle
sue
guance paffute, stavo per saziare la mia sete a sue spese quando Lily
allungò
le manine e le strinse dietro il mio collo, si accucciò tra
le mie braccia e,
smettendo di piangere si assopì.
Quel gesto, così naturale per lei, così
inaspettato per me,
mi riportò alla realtà, a
quello che
stavo per fare, mi maledissi in tutte le lingue che conoscevo, mi odiai
intensamente, mentre cullavo quella piccola creatura tra le braccia.
La bambina voleva solo un contatto, una dimostrazione di
affetto che io non potevo darle.
Ancora una volta mi si presentava davanti agli occhi tutta
la nostra diversità, e ancora una volta mi colpiva come un
pugno allo stomaco;
le nostre nature non potevano convivere, io ero nato per uccidere
quelli come
lei, lei era nata per vivere inconsapevole dell’esistenza dei
mostri.
Quella sera capii che la bambina non poteva stare un attimo
in più lì con me e mi avviai a
velocità disumana alla cittadina di Lengs.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
CAPITOLO
3:
Vagavo
in cerca di una casa per la seconda volta, ma per la seconda volta, non
trovando il coraggio di lasciarla andare, non riuscivo ad essere
soddisfatto di
nessuno dei luoghi che visitavo, sentivo il suo corpicino pesarmi tra
le
braccia, il suo respiro leggero accarezzarmi una guancia e la volontà di
affidarla a qualche sconosciuto
diminuiva inesorabile, come se ad ogni suo respiro la mia intenzione
venisse
annientata.
Confinato
il mostro potevo tornare ad illudermi che non l’avrei uccisa,
che non sarebbe
diventata un’altra delle mie vittime. Trovavo mille
giustificazioni, alcune
davvero poco convincenti, ma cercare un appiglio per stare con lei mi
riusciva
fin troppo facile.
Ovviamente
erano solo scuse, chiunque sarebbe stato meglio di me, chiunque che non
fosse
stato un mostro, come lo ero io.
Per
quanto mi sentissi diverso, da quando stavo con lei, il mio
autocontrollo era
stato facilmente annientato
da un
pianto più insistente del solito, era bastato pochissimo e
la belva era
affiorata, pronta a portarle la morte, ad aggredirla, la mia bocca era
bramosa
del suo sangue.
Ferirla
era stato semplice, inevitabile, lei era delicata e fragile, io ero un
demone
invincibile, potevo vedere due grandi lividi neri formarsi sulle sue
braccia
nude, lì dove l’avevo strattonata per sollevarla,
furente.
Mi
rendevo conto che per quanto in quel momento non mi sovrastasse, la
sete mi
stava ancora bruciando la gola, percepivo nettamente il gusto delizioso
che mi
solleticava, che mi invitava.
Eppure
ero lì e la tenevo tra le braccia sicuro, deciso, non volevo
farle del male,
volevo proteggerla da me stesso più di quanto volessi
ucciderla.
Stavo
continuando a vagare per la città, immerso nei miei pensieri
contrastanti,
quando una risata leggera proveniente dall’interno di una
casa, attirò la mia
attenzione, mi affacciai alla finestra da cui proveniva quel suono
gaio, e
osservai ciò che stava accadendo.
C’era
una bella donna, china su un piccolo letto da cui spuntava una testa
rossa, riccia,
la donna stava posando un bacio sulla fronte del suo bambino,
sorridendo.
Si
alzò e posò un libro di fiabe sul comodino
affianco al letto, prima di spegnere
la luce e allontanarsi dalla mia vista.
Ebbi
un fremito, il destino mi stava offrendo una possibilità, mi
mostrava la vita
che avrei potuto concedere alla bambina. Forse se avessi lasciato Lily
davanti
a quella casa, quella donna si sarebbe presa cura di lei,
l’avrebbe allevata
insieme al bambino dai capelli rossi.
Forse
sarebbe stata amata, e sarebbe cresciuta nella convinzione di avere una
famiglia.
Un
moto nuovo di speranza mi sfiorò appena prima di lasciare
posto alla tristezza.
Non
avevo più scuse, avevo trovato una casa per Lily, una
famiglia, l’avrei
lasciata lì e le avrei concesso una vita migliore, sarei
andato via e non avrei
più interferito con la sua esistenza.
Mi
convinsi che era la cosa giusta da fare, e capii per la prima volta il
sentimento che prova chi è combattuto tra il desiderio e il
dovere, tra chi
desidera ciò che non è giusto fare.
Lasciai
la bambina sul ciglio della porta posandola delicatamente, con la sua
coperta,
sul terriccio freddo, le girai le spalle e feci un passo soltanto,
prima di
girarmi di nuovo verso di lei, sembrava che le mie gambe avessero vita
propria,
non volevano andarsene.
Notai
che Lily si era svegliata forse disturbata dai miei movimenti indecisi,
mi
guardava, la guardavo.
Dilaniato
da una decisione che non sapevo prendere, le sorrisi triste
“Lily
vuoi restare con me?” chiesi tormentato, più a me
stesso che a lei.
Chiusi
gli occhi sconfortato, il peso di quella decisione era troppo grande,
“Dam-mia-gn”
Lily pronunciò quella parola, sorridendo e allungando le
manine verso di me,
aveva pronunciato il mio nome: Damian, era la sua prima parola.
Avevo
ripetuto il mio nome tante volte, parlandole, perché
imparasse a dirlo, ma non
avevo mai ottenuto risultati, non aveva mai parlato prima.
Proprio
in quel momento, invece, quasi a voler rispondere alla mia domanda,
quasi a
volermi alleggerire di un peso altrimenti insostenibile emise quel
suono tanto
melodioso per le mie orecchie.
Non
potevo interpretarlo come un segno del destino, perché
già l’avevo tirato in
causa quando avevo visto la donna nella casa, non potevo aggrapparmi a
niente,
però mi resi conto che ormai facevo parte della sua vita,
che la decisione
l’avevo già presa tanto tempo prima, quando non
l’avevo abbandonata a una fine
certa; in quel preciso istante avevo legato le nostre vite
irrimediabilmente, e
che fosse giusto o no la decisione era già stata presa.
“Lily”
sussurrai, ancora confuso, ma più deciso “resterai
con Damian, anche se un
giorno mi odierai per questo”.
Le
sorrisi, e lei fece altrettanto mentre la sollevavo per accoglierla tra
le mie
braccia gelide, voltai le spalle alla casa, che le avrebbe potuto
garantire una
vita vera e mi inoltrai nella foresta.
Appena
arrivato nella nostra piccola dimora, la adagiai sul letto, e le raccontai una favola,
così come avevo
visto fare alla donna, poco prima.
Non
sapevo per quale assurdo motivo conoscessi quel racconto, sapevo solo
che le
parole fluivano sicure, come se quella favola l’avessi
raccontata altre mille
volte, come se già la conoscessi.
Non
mi soffermai a pensare a niente, le raccontavo quella storia,
guardandola
adorante e lei, silenziosa, non sembrava desiderare altro.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO 4:
9 anni dopo
Nove anni dopo, la mia
decisione era stata del tutto
annientata dalla voglia che avevo di stare con Lily, di vederla
crescere, di
passare ancora un’ora davanti a quegli occhi belli e luminosi.
Cresceva e ogni giorno
diventava più incantevole, i riccioli
biondi che le incorniciavano il viso, le arrivavano ormai alla schiena
e, un
piccolo nasino alla francese era adornato da minuscole lentiggini
chiare, gli
occhi grandi e azzurri, erano il riflesso della purezza.
Era la bambina
più bella che avessi mai visto, o forse ero
io a vederla come un angelo venuto a salvarmi.
Passavamo le giornate,
insieme, lei era serena e vivace, io
cercavo di essere meglio di quanto fossi in realtà. Di notte
quando Lily
dormiva, mi congedavo da lei e mi allontanavo furtivo nella notte per
quietare
la mia sete, per non rischiare al suo risveglio di essere attratto dal
suo
sangue.
Non potevo permettere che
Lily andasse a scuola, non avevo
la capacità di accompagnarla in mezzo a tutti quegli umani e
non potevo
lasciarle raggiungere la città da sola.
E poi Lily non aveva un
cognome, un documento, per il mondo
non esisteva, ed era assurdo: il mondo popolato di mostri e di
sporcizia non
sapeva dell’esistenza di quella gemma preziosa, che
risplendeva in mezzo a tutto
quel fango.
Io sapevo solo che quella
era Lily, la mia unica ragione per
vivere, il motivo per cui non ero più un mostro o perlomeno
mi sforzavo di non
esserlo.
Per rimediare alla sua
mancata frequentazione della scuola,
le avevo insegnato a leggere e scrivere, e cercavo di impartirle le
conoscenze
più svariate, conoscevo bene la storia e la geografia,
perché ero stato in
molti dei luoghi di cui le parlavo, perché avevo combattuto
in alcune delle
guerre che le raccontavo.
Lei apprendeva in fretta,
le piaceva leggere, nelle sere
autunnali davanti al camino acceso, passava ore immersa nella letture
più
disparate.
Era intelligente e molto
precoce per la sua età, si
interessava a tutto quello che le raccontavo, chiedeva spiegazioni se
non
capiva, non era mai annoiata o svogliata, le piaceva sapere, imparare,
non ne
aveva mai abbastanza.
Io più di
quello non potevo darle, la stavo condannando
all’isolamento e me ne rendevo perfettamente conto.
Lei era una bambina e le
andava bene così, ma non era
giusto, era come condannarla a non vivere, era confinata in una casa
con un
mostro, che pur di non perderla giocava a fare la tata, senza riuscirci
neanche
particolarmente bene.
Giocavo con lei, la facevo
studiare, ma per quanto cercassi
di convincermi non ero la scelta giusta per lei, non ero mai stato
convinto
della decisione presa, e continuavo a non esserlo, anche se cercavo di
non
pensarci.
Una sera però
mentre era assorta in una delle sue letture mi
guardò incerta.
“Com’erano
i miei genitori?” mi chiese decisa e capricciosa,
io rimasi immobile, dandole le spalle, quella domanda mi
colpì come uno
schiaffo in pieno viso.
Doveva aver letto qualcosa
che le aveva fatto pensare alla
sua famiglia.
“Lily ne abbiamo
già parlato, io ti ho trovato qui, eri sola
e abbandonata, avevi pochi mesi e io mi sono preso cura di te, non so
che
aspetto avessero o chi fossero” mezza verità, non
sapevo chi fossero, ma suo
padre l’avevo conosciuto, era robusto e alto, un
bell’uomo immaginavo, per quel
poco che mi ero soffermato sul suo aspetto.
Suo padre, che si prendeva
cura di lei da solo, non era mai
venuto nessuno a cercarlo.
Ma quei pensieri scomodi
li tenni per me, ben nascosti dove
non potessero nuocerle.
“Perché
a me non è consentito sapere chi fossero, perché
non
li ho potuti conoscere?” Lily, triste, gettò il
libro, che teneva tra le mani
lontano.
“Lily non fare
così, ne abbiamo parlato mille volte” dissi
brusco alzando la voce, pentendomene all’istante.
Mi rendevo perfettamente
conto che volesse conoscere la
verità e che soffrisse per il vuoto che sentiva, ma le sue
parole mi ferivano,
mi ricordavano di quanto fossi stato egoista a credere che potessi
essere
abbastanza per lei.
Lily scoppiò a
piangere, era pur sempre una bambina, e io
non sapevo ancora una volta come comportarmi, sentivo la sofferenza
mista alla
rabbia riempirmi la testa.
“Lily, so che ti
sarebbe piaciuto avere la tua famiglia, e
che io non sono all’altezza, ma non ho potuto fare di
più” la lasciai lì con
quelle parole, allontanandomi velocemente dalla casa, dalle sue lacrime
che mi
ferivano, l’avevo condannata a un’esistenza vuota e
misera.
Mi sdraiai sotto un albero
sbriciolando una roccia che
giaceva lì vicino, sentivo gli occhi pungere, credevo che da
un momento
all’altro le lacrime potessero uscire da quei pozzi scuri che
erano i miei
occhi, ma non sarebbe successo, non poteva succedere, io ero un mostro
e per
quanto ci provassi non potevo rinnegare la mia natura.
“Damian dove
sei?” Lily mi chiamava da qualche parte della
foresta, ma non volevo tornare, non sapevo cosa dirle.
“Damian”
la sentii gridare forte, disperata, e mi scossi
controvoglia dal mio torpore per raggiungerla.
Ci misi un secondo a
mettermi sulle sue tracce.
“Lily, sono
qui” le dissi affranto non appena la raggiunsi
“Non andartene
mai più” mi disse urlando con voce rotta dal
pianto, le lacrime a incorniciarle il viso.
“Lily,
ascoltami” le dissi, mantenendomi a distanza
“potremmo andare in città a cercarti una famiglia
vera, un padre e una madre
che sappiano prendersi cura di te come meriti, che siano dei bravi
genitori per
te..” mentre le parlavo le avevo voltato la schiena, per non
perdermi nei suoi
occhi tristi.
“Smettila
subito” gridò spaventata e ferita,
interrompendomi, “io intendevo dire che avrei voluto
conoscere i miei veri
genitori, le persone che mi hanno dato la vita, non che tu non sia la
mia
famiglia, o che tu non sia in grado di esserlo.”
“Lily, tu sei
solo una bambina, e non ti rendi conto dei
rischi che corri con me, tu hai bisogno di qualcuno che ti possa
garantire una
vita vera, sei in questo bosco, sola con me, da troppo tempo, tu non ti
rendi
di quali pericoli ti circondano.” Il vero pericolo ero io, ma
non potevo
dirglielo, “Io
ci ho provato a
lasciarti a qualcuno che fosse più adatto di me ma non ci
sono mai riuscito,
perché credevo di poterti dare quello che ti serviva,
perché non riuscivo a
staccarmi da te”
Vidi la sua espressione
cambiare, se era possibile divenne
ancora più triste
“Tu mi volevi
abbandonare? Neanche tu mi volevi?” mi pentii
all’istante di quello che le avevo detto.
“No Lily io non
ho mai desiderato di abbandonarti, mai,
neanche per un istante, ho solo pensato che tu
meritassi di più di quello che ti posso dare
io”
“Perché
nessuno mi vuole, cosa ho fatto di male?” non mi
stava ascoltando, mi avvicinai a lei e le strinsi le spalle scuotendola
“Lily
tu non hai fatto proprio niente, tu sei una bambina adorabile, che
merita il
meglio che ci sia al mondo, io non sono il meglio, non sono neanche
lontanamente vicino al meglio, perciò non vado bene per te,
lo capisci questo?”
“Damian, io sto
bene qui, tu sei la mia famiglia e lo sei
sempre stato. Io non ho ricordi di nessuno che non sia tu, tu mi hai
cresciuta
e io non voglio nessun altro” stava tremando per
l’agitazione, era davvero
scossa.
Alzai gli occhi per
guardarla in volto e fu un errore,
perché quello che vidi mi dilaniò.
La sua espressione era
diventata di puro terrore, e le
lacrime ricominciarono a scendere a fiumi sulle sue guance arrossate.
Le sue parole furono il
colpo di grazia
“Damian, ti
prego, non abbandonarmi anche tu, io ho solo te,
non lasciarmi, ti prego, sarò brava, farò quello
che vuoi, ma non lasciarmi”
Non dovette dire altro, la
guardai serio
negli occhi, prendendole le manine.
“Va
bene, Lily
ascoltami, finchè mi vorrai io resterò, ma
arriverà un giorno in cui vorrai
lasciarmi per scoprire il mondo, per farti una famiglia tua, e allora
io ti
lascerò andare e tu vivrai la tua vita, è
chiaro?”
“Io non
vorrò mai lasciarti” mi disse, già
più serena
“Lo
vorrai”
“Quando
arriverà il momento ne parleremo” mi disse decisa
prima di stamparmi un bacio su una guancia e correre verso casa.
Io rimasi impietrito
mentre lei si allontanava. Mai, da
quando stava con me, mi ero permesso di sfiorarla, se non per cullarla
o per
abbracciarla, quando si svegliava in lacrime per l’ennesimo
incubo.
Mai mi ero sognato di
posare le mie sudice labbra sulla sua
pelle di velluto, e lei neanche aveva mai azzardato un contatto tanto
intimo
con me, forse condizionata dal mio comportamento freddo e distaccato.
Ma in
quel momento, quando aveva temuto di perdermi, si era lasciata andare a
quel
contatto così piacevole per la mia pelle di ghiaccio che un
brivido mi aveva
fatto fremere nel profondo, fin dentro le ossa.
Rimasi intontito da quella
sensazione sconosciuta.
Era la solita decisione
sbagliata, ma poco mi importava, ne
avevo parlato con lei, perché era giusto che sapesse che in
qualsiasi momento
poteva decidere di andarsene e io non l’avrei fermata.
Lily non poteva soffrire
per causa mia, non poteva credere
per la seconda volta di venire abbandonata, quando in realtà
non lo era mai
stata, neanche da suo padre.
Però sapevo una
cosa, se voleva stare con me, doveva sapere,
conoscere la mia vera natura.
Per lei era
l’”età dei perché”,
perché il sole ci scalda,
perché la luna viene solo di notte, perché non ho
potuto conoscere i miei
genitori? Quanto ci sarebbe voluto prima che facesse una domanda a cui
non
avrei saputo rispondere, come perché non invecchi o
perché non mangi?
Non potevo farmi prendere
in contropiede dovevo rivelarle
ciò che ero, senza spaventarla, ma senza mascherare il
pericolo che
rappresentavo, così forse se ne sarebbe voluta andare da
sola, il solo pensiero
mi faceva rabbrividire.
“Damian”
sentivo Lily che mi chiamava, perciò decisi di
rimandare quelle riflessioni a un altro momento.
Stavo tornando verso casa,
ancora scosso, quando un rumore,
proveniente dal folto della foresta, catturò la mia
attenzione.
Poteva essere un animale
qualunque, eppure mi resi subito
conto, che non era stato il rumore ad allarmarmi, ma la scia che
l’aveva
seguito per un attimo soltanto.
Era un odore familiare,
che non sentivo da tempo, ma che era
impresso in me come un marchio.
Ispezionai la foresta, a
lungo, attraversandola in tutta la
sua larghezza più volte, per trovare quella scia, per capire
da dove venisse
quell’odore, ma non la trovai.
Ogni rumore mi faceva
digrignare i denti, ero attento a
qualsiasi odore, anche al più lieve, i miei sensi erano
tesi, attenti, ogni
movimento mi faceva sussultare, era assurdo che mi spaventassi, che
temessi
quell’aroma, capii che non avevo paura per me ma per Lily.
Decisi di avvicinarmi alla
nostra casa, sempre attento ai
rumori intorno.
Alla fine mi convinsi che
dovevo essermelo immaginato, anche
se era impossibile, dovevo aver scambiato qualche altro odore per
quello.
Tornai a casa e Lily era
lì ad aspettarmi, mi bastò guardare
i suoi occhi di nuovo sereni, per dimenticarmi del mondo intorno.
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