The First Order

di Wild Dragon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Figlio del Generale ***
Capitolo 3: *** Scelta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


the

First

Order

 

- Prologo

Una lieve brezza fece ondeggiare gli aghi di pino, coccolando le rigogliose chiome degli alberi nel gentile sussurro del vento. Il timido sole dell'alba si mostrava pian piano nel suo roseo splendore alla terra di Alagaesia, le nubi candide che lentamente si schiudevano per lasciarlo affiorare.

La tenue luce filtrava appena fra le ombre della Du Weldenvarden e accarezzava quella smeraldina vegetazione lussureggiante in modo delicato, come per darle il buongiorno.

Oromis camminava lentamente fra gli alberi, lasciando che i raggi gli baciassero il viso e godendo di quel calore rassicurante. L'inverno era finito da poco: l'erba e gli aghi di pino erano ancora lievemente cosparsi di brina, la quale, sciogliendosi, stava rapidamente cedendo il passo a cristallina rugiada.

L'elfo fischiettava allegramente un'antica ballata elfica, assaporando la pace di quel luogo e la piacevole giornata primaverile. Al suo canto si unirono i cinguettii armonici di diversi uccelli.

Oromis tese un braccio davanti a se ed una ghiandaia color cielo si appollaiò sulle sue dita scrutandolo con occhi vispi e scuri. L'elfo sorrise e le accarezzò il piumaggio con un dito. "Flauga" mormorò dolcemente, e la ghiandaia volò via cinguettando.

L'elfo uscì dalla profondità della foresta e sbucò in una radura dalla forma irregolare tagliata da un torrente indisciplinato e gorgogliante. Una volta fuori dall'ombra delgli alberi, la luce del sole lo investì, portandogli calore ed una sensazione di serenità. Chiuse gli occhi un istante.

Un poderoso ruggito rimbombò nel cielo mattutino facendo sussultare le piante. Nel cielo roseo, Oromis scorse una macchia brillante che si avvicinava. Poco dopo si poteva benissimo distinguere un maestoso drago d'oro solcare i cieli sbattendo le possenti ali. Le squame del drago riflettevano i raggi solari, creando una vera e propria armatura di luce attorno alla creatura. Si trattava di qualcosa di una bellezza incommentabile.

Il drago portava fra le zampe anteriori un fagotto di panni bianchi.

Eccoti qui, Glaedr, disse allegramente Oromis. 

Glaedr ruggì di nuovo e chiudendo le ali, si gettò in un'avventata discesa in picchiata ad una velocità vertiginosa. Una volta all'altezza degli alberi, dispiegò le enormi ali per frenarsi e scese in circolo sulla radura. Oromis sentiva chiaramente lo spostamento di aria attorno a se.

Glaedr atterrò sull'erba con una delicatezza impensabile per una creatura della sua mole. Posò delicatamente il fagotto a terra ed alzò fiero il capo, le squame luccicanti e lo sguardo limpido. Oromis si concesse un istante per ammirare per l'ennesima volta il suo spettacolare compagno e si avvicinò sorridendo.

Quante uova abbiamo quest'anno? Domandò l'elfo.

Giusto un paio. Rispose la profonda voce di Glaedr, la quale rimbombò per la mente del suo Cavaliere. Quest'ultimo disfece il fagotto rivelando due rilucenti uova di drago. Le uova catturarono all'istante i riflessi del sole, brillando come pietre preziose. Una era blu oltremare, mentre l'altra rosso sangue. Glaedr chinò il collo muscolso e sfiorò l'uovo rosso col muso. Questo, disse. E' figlio di Fundor, il drago nero dell'arcipelago di Beirland e di Miremel, dragonessa del Cavaliere Lindor.

Ah, la bellissima Miremel, disse Ormis assorto. Ha un pessimo carettere, non è così?

Assolutamente, borbottò Glaedr in riposta. L'uovo blu è figlio Rash dei Monti Beor ed un'altra dragonessa selvaggia...Reisa.

Non conoscevo Rash e Reisa prima di oggi, ma per quanto riguarda Fundor e Miremel... si interruppe un istante, pensieroso. Beh, sono draghi eccezionali. Ci si aspetterà molto dal cucciolo scarlatto.

Promette bene, assentì Glaedr. Ma se ha il carettere della madre, siamo fregati.

Oromis ridacchiò e poggiò una mano sulla possente spalla di Glaedr. In tal caso, preghiamo di non essere noi a doverlo addestrare.

Glaedr grugnì divertito e prese ad agitare la coda. L'elfo raccolse le uova e montò agilmente in groppa al suo compagno. Amico mio, è ora di andare dalla nostra incantevole regina.

Il drago dispiegò le ali e si piegò sulle zampe. Con un unico, enorme, balzo, spiccò il volo e cominciò a prendere quota rapidamente. Una volta alti nel cielo, Oromis sorrise al sole, godendo della compagnia del suo compagno di vita, col quale, dopo tutti quegli anni, aveva raggiunto un'intesa perfetta. Gli diede una pacca affettuosa ed insieme si avventurarono nel cielo, il quale cominciava appena a perdere le sfumature rosate dell'alba.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 2
*** Il Figlio del Generale ***


-Il figlio del Generale

La riva settentrionale del lago Isenstar era baciata dal sole estivo, le acque luminose e limpide perfettamente piatte. La riva composta da sabbia spessa e bruna era solcata dalle leggere impronte di un ragazzo alto e slanciato, i capelli neri come inchiostro ondulati e lunghi fino alle spalle. Camminava con passo distratto, lo sguardo perso nell'orizzonte in direzione della Valle Palancar. 

Morzan camminava a petto scoperto e piedi nudi, le mani sprofondate nelle tasche delle braghe ed un'espessione assente stampata in volto. Si grattò distrattamente il mento liscio carezzando le acqua calme del lago con lo sguardo. Solo.

Gli piaceva stare solo: non sopportava avere gente che gli ronzasse attorno. 

Si avvicinò al lago, saggiando l'acqua col piede: era piacevolmente tiepida.

Morzan si immerse fino alla cintola, trovando pace dal caldo della giornata. Fece due profondi respiri e scomparve senza quasi un rumore nell'acqua, per poi riaffiorare alzando una miriade di goccioline. Respirò a pieni polmoni e si passò una mano fra i capelli fradici. Nuotò per qualche minuto prima di uscire dall'acqua sentendosi rinfrancato e soddisfatto.

Recuperò camicia e stivali dietro ad un arbusto ancorato ad una piccola duna, li indossò e si avviò suo malgrado verso la città.

Il cielo stava pian piano assumendo le sfumature rossastre del tramonto, anche se il sole aveva appena comnciato la sua discesa. Le prime luci di Gil'ead erano già state accese e Morzan le seguì per tornare a casa.

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Si ritrovò sull'uscio che il sole era appena più basso. Le ombre si stavano lentamente allungando sulla città, creando un'atmosfera leggermente spettale.

Morzan bussò con un paio di sonori colpi. Solo la fame lo aveva convinto a tornare: si sarebbe volentieri trattenuto fuori più a lungo.

Sulla porta comparve la minuta figura di Johanna, la loro umile servetta. Johanna era una donna giovane e graziosa dai grandi occhi color nocciola ed i capelli racchiusi in un fazzoletto arancione. Portava una semplice veste bruna ed un grembiule bianco macchiato in diversi punti.

"Padron Morzan" disse sorpresa con la sua vocina incerta.

"Per favore, evita di chiamarmi padrone." sibilò Morzan con una smorfia. "Mi sa di falsità e mi infastidisce."

"Perdonatemi." sussurrò chinando il capo e facendosi da parte per lasciarlo passare.

"Mio padre è in casa?" domandò il giovane mentre entrava gocciando acqua dai capelli bagnati.

"Sì, ed ha ospiti."

Morzan imprecò, ed una volta all'ingresso si fiondò su per le scale che portavano al piano di sopra, ma fece troppo rumore.

"Morzan?" chiamò una voce severa.

Il giovane si bloccò a metà delle scale e digrignò i denti. Scuro in volto, si girò e prese a scenderle lentamente, tentando di sistemarsi il più possibile i capelli umidi. Entrò nel grande salone circolare illuminato da una luce calda ed accogliente. Tre uomini erano sedutti attorno ad un tavolo sorseggiando qualche alcolico. Erano tutte persone vestite spartanamente ed armate. Uno aveva una folta barba bionda, il volto solcato da numerose cicatrici ed una pipa fumante fra i denti. I suoi occhi lo scrutavano con muto interesse, cosa che innervosì non poco Morzan. 

Il padre del giovane si alzò. Aveva corti capelli brizzolati, barba leggera e curata. La sua espressione severa dava l'idea di disciplina ed inflessibilità. Una cicatrice gli sfregiava una guancia. Il suo sguardo scuro ed intimidatorio era fisso sul figlio.

Gunner era un generale dell'armata imperiale che da pressocchè tutta la vita combatteva in prima fila, fedele al re. Le innumerevoli guerre avevano profondamente inciso il suo animo, rendendolo forte, saggio, ma non propenso alle emozioni.

"Morzan." disse con voce seccata. Si avvicinò e, agguantandolo per un braccio, lo portò all'ingresso, in modo da potergli parlare a quattr'occhi. "Oggi è venuto il maestro, ed indovina un po', tu non c'eri." Era arrabbiato. Gunner arrabbiato era pericoloso.

Morzan lo fissò gelido, senza abbassare lo sguardo. Se ne stava perfettamente immobile, il volto attraversato da un'ombra di ostilità. "Ti avevo detto che non voglio più seguire quelle dannate lezioni."

"Ed io" ringhiò il generale. "ti avevo detto che le avresti seguite."

"Ed io faccio quello che voglio." Ben consapevole di essersi spinto troppo oltre, Morzan continuò a fissare sfacciato il padre, in attesa dell'esplosione che sapeva ci sarebbe stata molto presto.

"No che non lo fai!" latrò Gunner con furia. "Sono tuo padre e decido io quello che fai! Non osare contrastarmi ancora una volta, Morzan!" Morzan non abbassò lo sguardo. "Dopo essere stato tutto il giorno fuori ti presenti così, in casa mia, bagnato e spettinato! Che figura mi fai fare coi miei ospiti?"

"Se la gente ha una pessima opinione di te, padre, stai pur certo che non è colpa mia."

In uno scatto d'ira, Gunner tentò di colpire il figlio in viso, ma Morzan fu rapido a scostarsi ed in meno di un istante infilò il portone di casa, immergendosi fra le ombre di Gil'ead. Il sole era appena tramontato.

Corse con tutte le sue forze, sfogando una rabbia repressa in accumulo da anni col lavoro dei muscoli. Dietro di lui, Gunner urlava: "Morzan!"

Morzan accelerò.

"Morzan, torna subito qui!"

Neanche si voltò. Ma sapeva che quell'insubordinazione gli sarebbe costata molto cara. Ci sarebbero voluti giorni, forse, a far sbollire l'ira del generale e Morzan sapeva che sarebbe potuto tornare solo con le acque acquietate. Anche se ormai, ogni volta che usciva aveva meno voglia di tornare.

Andrò via di qui, si disse risoluto. Presto.

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Capitolo 3
*** Scelta ***


- Scelta

Morzan si fermò davanti all'uscio di casa. Era scappato via il giorno prima, ma non era tornato per restare.

Fece un profondo respiro e si passò una mano fra i capelli. Era tremendamente nervoso: l'aspettativa di affrontare suo padre era assai spiacevole. Ma lo doveva fare, non era un codardo.

Bussò esitante ed attese.

Johanna venne ad aprirgli e quando lo vide lasciò trasparire tutto il suo stupore. 

"Non fare domande." intimò Morzan  all'istante. Johanna serrò la bocca spalancata e lo fece passare.

Il giovane entrò, ben attento a fare il meno rumore possibile: Gunner ci sentiva meglio di una lepre.

Salì lentamente le scale e si ritrovò al piano di sopra. Da una finestra spalancata entrava un grande fascio di luce, nel quale turbinavano granelli di polvere. In un angolo stava un comodino con una lampada sopra ed al centro vi era un tavolo rustico affiancato da due sedie. Due porte di legno interrompevano uno dei muri bianchi.

Morzan infilò una delle porte e si ritrovò nella sua modesta camera arredata da un letto, un armadio dalle ante intagliate e delle mensole ricolme di oggetti affisse alle pareti. Sopra al suo letto c'era una finestra socchiusa.

Il giovane recuperò degli abiti puliti e si cambiò. Da una mensola, prese un coltello la cui lama - avvolta da una fodera di pelle - misurava poco meno di un palmo. Il manico era di legno finemente lavorato. Morzan se lo infilò nello stivale e con un ultima, fugace occhiata alle sue spalle, uscì dalla stanza e tornò al piano di sotto. Scese una seconda rampa di scale e sbucò nella piccola armeria personale di Gunner. Quattro spade erano appese ad una rastrelliera attaccata alla parete di pietra ed un manichino di legno indossava un'armatura degna di un guerriero glorioso. Radunate di un barile stavano alcune lance dalla punta accuminata rivolta verso l'alto. 

Gunner aveva una vera e propria passione per le armi, una delle poche cose che il figlio aveva ereditato da lui assieme allo strabiliante talento per il combattimento.

Morzan si impossessò di un arco, una faretra e qualche freccia. Aveva la tentazione di portarsi via qualcos'altro, giusto per farsi beffe di suo padre, ma si trattenne.

Tornò al piano terra. Dopo una breve esitazione, entrò in salone. Gunner era seduto in una poltrona di velluto violetto, lo sgaurdo immerso fra le pagine di un libro. Morzan lo fissò immobile e suo padre alzò lo sguardo su di lui. Non sembrava nè sorpreso nè furioso: semplicemente impassibile.

Per quasi un minuto, fu una lotta di sguardi. L'uno tentava di intimorire l'altro facendolo abbassare gli occhi, pur sapendo che era inutile. Altra caratteristica che avevano in comune: l'orgoglio.

"Vado via." Morzan ruppe quelsilenzio ostile ed opprimente, la voce calma e risoluta.

"E dove andrai?" domandò Gunner indifferente. La cosa sembrava non toccarlo minimamente. O forse davvero non gli importa, pensò il ragazzo con amarezza. "Ad Ilirea." rispose. "Lì potrò finalmente farmi una vita."

"E che vita pensi di farti tu, da solo, a quattordici anni?" lo schernì il generale.

"Di certo una migliore di questa." la voce di Morzan era fredda e tagliente.

Contro ogni logica aspettativa, Gunner scoppiò a ridere. Una risata fragorosa che non aveva nulla di allegro, solo cupa ironia. Morzan era congelato al suo posto, basìto.

"Una vita migliore, eh?" commentò Gunner fra le risate. "Una vita migliore! Cosa mai ti ho fatto mancare, eh? Da quando la malattia ci ha portato via tua madre, mi sono assicurato che non ti mancasse niente, e niente ti è mai mancato. Hai un tetto sopra la testa, cibo e acqua, abiti puliti, un maestro che ti insegna la storia ed un insegnante di scherma. Cosa ti manca, eh?" la sua era una pura sfida a rispondere.

"Mi manca un padre!" urlò Morzan. "Mi manca una famiglia! Tu mi hai sempre trattato come un insetto, come una mosca fastidiosa che ronza nella tua vita di guerra, gloria ed onori. Non mi hai mai riconosciuto niente di quello che facevo. Niente!" riprese fiato, gli occhi colmi di rancore.

Gunner fece una smorfia. "Sei indisciplinato, Morzan. Non mi ubbidisci mai e ti ostini a fare di testa tua come una capra. Con te ci vuole e ci è sempre voluto il pugno di ferro."

"Il pugno di ferro!" gridò il ragazzo fuori di se. Tutte quelle parole taciute per anni finalmente venivano a galla. "Tu mi soffochi con la tua stramaledetta autorità. E' sempre stato così. Ed io non sono ai tuoi ordini, padre!"

"Sei un figlio. Devi solo rispettarmi ed ubbidirmi."

Morzan liberò una nuova andata di ira con un grido. In uno scatto, colpì la lampada ad olio, la quale rovinò fragorosamente a terra. Voltò le spalle a suo padre e si avviò verso la porta.

"Te ne pentirai, Morzan." disse Gunner. "Te ne pentirai. E non osare tornare."

"E chi tornerebbe mai..." ringhiò a bassa voce Morzan. Uscì di casa e si allontanò senza mai voltarsi indietro, senza degnare la casa in cui era nato e cresciuto di un altro sguardo. Voleva solo cancellare il suo passato e costruirsi un futuro. Senza mai più tornare indietro.

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