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AVVERTIMENTO: Ho scritto
questa storia un paio d’anni fa. Il canovaccio è tratto da un telefilm poco
conosciuto, ma è solo ed esclusivamente il canovaccio: i personaggi sono
diversi e inventati dalla sottoscritta e di conseguenza ovviamente gli
avvenimenti sono diversi. Ho controllato il regolamento a questo proposito, e
chiesto anche un po’ in giro: non dovrei infrangere nessuna regola postando
questa storia tra gli originali, visto che è un’idea sviluppata prendendo un
telefilm solo comespunto. Se ho mal
interpretato qualche informazione e devo cancellare/spostare la storia, lo farò
senza problemi.
Il paese sotto la
montagna
Prologo
-No, Mary, le rose devono essere rosa chiaro, non rosa confetto!- esclamò Jane
scendendo dal taxi sotto casa di Dan, il suo fidanzato. Il suo futuro sposo, in
effetti: ormai mancavano due settimane al matrimonio, e tutto era ormai pronto.
La torta era stata ordinata, il testimone di Dan aveva ritirato le fedi, il suo
abito le sarebbe stato consegnato il giorno seguente, gli invitati avevano
risposto agli inviti e la luna di miele, due fantastiche settimane in California,
era stata prenotata.
-Jane, tesoro, il rosa confetto è chiaro.- cercò di farla ragionale la
sorella, nonché la sua damigella d’onore, che si trovava dal fioraio mentre
parlava al telefono con Jane.
-Si, è chiaro, ma non abbastanza. Te l’ho fatta
vedere la sfumatura, no?-
Mary sospirò: dopotutto sua sorella si era
comportata in modo abbastanza razionale, fino a quel momento. Poteva sopportare
un po’ di capricci da sposa isterica… forse
–Va bene, continuo a cercare. Stai andando da Dan?- domandò.
-Si.- rispose Jane aprendo il portoncino del
palazzo con la sua copia delle chiavi, pensando emozionata che due settimane
dopo quella casa sarebbe stata venduta e lui sarebbe andato a vivere nel suo
appartamento. Gran parte delle cose erano già state spostate e lì rimanevano
solo il letto, lo spazzolino da denti e qualcosa da mangiare –Gli ho ritirato
il vestito in tintoria.-
-Sarebbe perso senza di te.- rise Mary. Jane
confermò ridacchiando e iniziò a salire le scale che portavano a casa del
fidanzato –Allora, mi hai organizzato un addio al nubilato? Bada che non voglio
niente di esagerato, lo sai che Dan è un tipo geloso.-
-Non preoccuparti sorellina. Ho prenotato in
un locale per cena e poi a ballare…- mentre Mary raccontava, Jane aprì
silenziosamente la porta dell’appartamento: era ancora mattino ed essendo
domenica non voleva svegliare Dan. Attraversò il salotto, passò nel disimpegno
e, ascoltando la sorella che la informava sugli orari per l’addio al nubilato,
aprì la porta della camera da letto.
Un’ondata d’aria gelida le entrò nei polmoni
e tutti i colori divennero d’improvviso dolorosamente vividi –No…- sussurrò.
-No? Non va bene per le otto?- si accigliò
Mary.
-Come
hai potuto?- domandò Jane con voce flebile, senza riuscire a staccare gli
occhi dalla schiena nuda del suo fidanzato, del suo futuro marito, immerso in
un bacio passionale con una donna bionda, svestita, stretta a lui sotto le
coperte –Come hai potuto?- domandò a voce alta.
Dan si voltò di scatto, gli occhi sbarrati.
-Jane? Jane? Che succede?- la voce di Mary
giunse preoccupata dal telefono che Jane chiuse di scatto prima di rimetterlo
in borsetta per poi correre via dall’appartamento, resa quasi cieca delle
lacrime.
***
-Io… lo odio! Lo odio!- singhiozzò Jane il
giorno seguente, accendendosi con mani tremanti la quinta sigaretta del
pomeriggio e inspirando una boccata di fumo tanto lunga che, mescolata al
pianto, la fece tossire.
-Hai ragione.- confermò Mary passando un
fazzoletto alla sorella –Certo che lo odi. È uno schifoso bastardo.-
-Si! Ma… era anche il mio futuro marito,
Mary.- riprese a piangere Jane, asciugandosi gli occhi col fazzoletto che la
sorella le aveva passato prima di gettarlo sulla pila di quelli che aveva già
usato.
-Grazie al cielo ti sei accorta in tempo di
che razza di uomo è!- le fece notare Mary, cercando di incoraggiarla –Cosa
sarebbe successo se l’avessi sposato? È stato un bene che tu l’abbia scoperto
ora! Capito?- domandò poggiandole una mano sulla spalla.
Jane annuì tra le lacrime –Si… si, ma
adesso? Cosa devo fare adesso, Mary? Non so cosa…- s’interruppe e una nuova
ondata di pianto la travolse.
-Adesso lo dimentichi, Jane! Non merita che
tu stia così male per lui!- la rimproverò la sorella, triste –Non penserai più
a Dan Shabolt, chiaro?-
Jane annuì, e in quel momento suonarono alla
porta.
-Vuoi che risponda io?- domandò Mary, ma
Jane rifiutò –No… no grazie, faccio io.- disse per poi alzarsi e andare ad
aprire la porta. Si trovò davanti un fattorino con la divisa blu scura e una
grande scatola nera e lucida in mano –Lei è Jane Watson?-
-Sono io…- annuì Jane, domandandosi cosa
potesse essere.
-Bene! Firmi qui e può prendere il pacco.-
Jane firmò e prese la scatola: era piuttosto
pesante. Il fattorino se ne andò e lei, una volta chiusa la porta, si poggiò a
terra per vedere il contenuto della scatola.
Il tulle bianco della gonna e del velo si
sollevarono lievemente quando tolse il coperchio. Il diadema, piccolo e
sottile, brillò sotto la luce del lampadario. Le perle del corpetto
scintillarono come diamanti e vide il suo volto, deformato, riflesso sulle
scarpe lucide.
Il
cuore le si ruppe di nuovo, in mille pezzi, e scoppiò a piangere –Stupida,
stupida! Come ho fatto a dimenticarmi del vestito?- imprecò sbattendo il
coperchio della scatola contro il pavimento e lanciandolo poi il più lontano
possibile.
-Jane! Tesoro, calmati!- Mary, accorsa
sentendo il caos, abbracciò la sorella che ricambiò la stretta poggiando il
volto sulla sua spalla –Ehi… no, Jane, dai… non piangere, basta…-
-Mary, non capisci? Non è solo il mio matrimonio…
come faccio a scrivere, adesso? Io do
consigli alle donne per riuscire a trovare e tenersi un uomo! La mia vita è…
completamente distrutta.- sciogliendosi dall’abbraccio, Jane si appoggiò al
muro con la testa tra le mani.
-Ma no! Dai, tutto andrà a posto, Jane!- la
consolò Mary inginocchiandosi davanti a lei –Hai me, i tuoi amici, la tua casa…
tornerà tutto come prima e lo dimenticherai.-
-Ma che dici…- singhiozzò Jane –I miei amici? Erano tutti suoi amici,
amici di Dan… ieri sera quando tu eri a riunione ho provato a chiamare Diana,
Jessica e anche Hilary, ma sai cosa mi hanno risposto? Che non potevano venire
da me dopo che avevo lasciato Dan! Io l’avrei lasciato, capisci?- gridò
tremando per i nervi tesi –E la casa? Ho buttato i tre quarti delle mie cose
per lasciare spazio alle sue! Mi ha regalato lui le tende e abbiamo scelto
insieme il divano! I muri li abbiamo tinteggiati insieme!- la sua voce si fece
di botto flebile e sussurrò –Per non parlare del quartiere. Ci siamo conosciuti
qui, tutta la nostra storia è cresciuta in queste strade… non posso restare
qui, Mary.-
-No, hai ragione.- sorrise comprensiva Mary,
sedendosi accanto alla sorella e accarezzandole i capelli –Vuoi stare da me per
un po’? Vedrai che poi sarà meno doloroso.-
Jane nascose il volto tra le mani –Mi ha
chiesto di sposarlo nel ristorante sotto casa tua.- sussurrò –E abbiamo
comprato le fedi sotto la casa editrice che mi pubblica i libri… non posso
farcela. Devo andarmene.- decise.
-Una vacanza, ottima idea.- annuì Mary
–Vattene al mare, in un posto caldo! Riposati, vai alle feste…-
Jane scosse la testa –No. No. Saremmo dovuti
andare in California per la luna di miele… andrò in un posto freddo. Il più freddo che mi viene in mente.-
-Jane, andiamo, non puoi prendere e andare
il Alaska…-
-Alaska!- esclamò Jane con occhi brillanti,
un po’ per le lacrime e un po’ per l’idea –Si… l’Alaska è perfetta.-
Mary la fissò per qualche minuto –Alaska.-
ripeté, poco convinta –Bene. E quanto intendi restare in… Alaska?-
-Non lo so, Mary.- sospirò Jane –Non lo so.
Parecchio tempo. Magari per sempre… non lo so.-
-Per sempre? Jane, santo cielo!- esclamò
Mary saltando in piedi.
-Mary, per favore! Cerca… cerca di capirmi!
Non so dove sbattere la testa, in questo momento! Ho davvero bisogno di…
andarmene. Devo allontanarmi da qui, trovare un posto in cui non conosco
nessuno e ricominciare da zero. Non so quanto resterò, ma… voglio partire il
prima possibile. Puoi appoggiarmi, per favore? Ti prego.-
Mary sospirò, scuotendo la testa –E va bene.
Se credi che andare a congelare in un luogo dimenticato da Dio possa esserti
utile… essendo tua sorella, non posso fare altro che sostenerti. E dove pensi
di andare? A Juneau?-
Jane scosse la testa –No… no, non so ancora
dove voglio andare, ma… so che non voglio andare in una grande, incasinata
città.-
-Anche perché non ne troveresti, in Alaska.-
commentò Mary scuotendo il capo.
Jane la rimproverò con un sorriso –Cercherò
un paesino e troverò un posto dove stare, poi partirò. Il più presto
possibile.-
______Nota di Jane:
Ed eccomi qui. Conto di aggiornare abbastanza
rapidamente visto che la ff è tutta scritta, ma poiché l’ho scritta diverso
tempo fa devo per forza di cose correggere qua e là xD
Spero che vi piaccia e che vogliate lasciare qualche
commentino, positivo o negativo che sia!
Sull’autobus che aveva preso a Juneau erano
rimasti, oltre a lei, un ragazzo sui diciott’anni seduto in fondo e una coppia
anziana che si era sistemata nella prima fila di sedili.
Dopo un paio di ore dall’ultima fermata,
l’autobus si fermò sbuffando e i suoi tre compagni di viaggio si alzarono per
scendere. La città, però, non era ancora quella giusta, così Jane si mise più
comoda sul suo sedile e chiuse gli occhi. Si svegliò circa un’ora dopo, appena
in tempo per notare un cartello.
Era di legno scuro e su di esso si era
posato uno strato di neve, nonostante fosse ancora ottobre. La scritta era marrone
più scuro, quasi nero: Old Harbor.
Sotto, in piccolo, veniva precisato Kodiak
Island e accanto, in una calligrafia ancora più minuta, una parola seguita
da un numero: abitanti: 216.
Dopo un paio di minuti l’autista frenò su
una strada isolata e Jane scese. L’autista le fece segno di sbrigarsi a
prendere le valigie mentre la ragazza apriva il portellone laterale. Non appena
ebbe tirato fuori il suo trolley, la sacca e lo zaino, l’autobus chiuse le
porte e ripartì.
Aveva viaggiato leggera: tutti gli oggetti che
aveva comprato con Dan li aveva lasciati nell’appartamento di New York e così
ogni cosa che le ricordava l’ex fidanzato. Tuttavia lo zaino era stato
un’aggiunta dell’ultimo momento: conteneva l’abito da sposa, che non aveva
avuto il cuore di abbandonare anche se sapeva quanto potesse essere distruttivo
portarsi dietro quel simbolo di un sogno ormai infranto.
Ferma sotto la palina degli autobus prese il
cellulare per avvertire Mary del suo arrivo. Si accigliò: non prendeva, non
c’era nemmeno una tacca. Scosse le spalle. Decidendo che avrebbe avvertito Mary
una volta arrivata in albergo. Ora non restava che trovarlo Guardandosi
attorno, Jane avvistò qualcosa di simile a un bar poco lontano, dall’altra
parte della strada. L’insegna, nera, recava un disegno bianco stilizzato
rappresentante una tazza e un libro. Il nome che vi leggeva era Insonnia.
Guardò a sinistra e a destra prima di
rendersi conto che in quella strada non c’era nessuno, né a piedi né tanto meno
in auto, così attraversò e aprì la porta del locale.
La porta non emise alcun suono, come
accadeva nei locali di New York, ma sembrò che tutti fossero stati in qualche
modo avvertiti del suo ingresso e si trovò circa venti paia d’occhi puntati
addosso. Notando la ragazza dietro al bancone, con lunghi capelli biondi e il
fisico formoso, si rese conto che oltre a lei era l’unica donna. Tutto il resto
della clientela era formata da uomini.
Cercando di non sembrare eccessivamente
goffa, Jane trasportò i suoi bagagli fino al bancone e si rivolse alla bionda
–Ciao, scusa… cerco l’albergo… oddio, mi sfugge il nome, aspetta un attimo…- si
mise a frugare nella sacca, cercando il biglietto su cui aveva annotato tutto,
ma la barista la fermò –Qui c’è solo la locanda dei Kennett, quindi immagino
che sia quella.- disse –Non è lontana, ma Rob è uscito poco fa e ora non c’è
nessuno al check-in… Ti và una cioccolata, intanto? Poi Zac può indicarti la
strada.-
-In realtà…- disse Jane sedendosi ad uno
sgabello –Preferirei una sigaretta, ne avete?-
La barista scosse la testa –No. Qui non c’è
molta richiesta e il camion arriva solo una volta ogni tre mesi… è passato
ieri, ma non ne avevamo ordinate. Mi spiace.-
Jane sbarrò gli occhi, iniziando a sentire
l’astinenza da nicotina –Oh… non fa niente, aspetterò… tre mesi, allora.-
La bionda sorrise –Io sono Jud, comunque.
Lui è Zac…- presentò indicando un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi color
cielo che stava con lei dietro il bancone –E questo è la caffetteria, bar,
ristorante e libreria del paese.-
-Wow.- sorrise Jane –Io sono Jane Watson.-
si presentò. Jud si accigliò per un secondo, poi esclamò –Ma certo, sei quella
scrittrice! Rob sarà felice di averti come ospite, ha letto tutti i tuoi
libri.-
Jane si accigliò –Ah! Non sono molti gli
uomini che li leggono… fantastico.- sorrise.
-Allora, Jane, per quanto ti fermerai?-
domandò Zac.
-Oh…
non lo so, in realtà.- scosse le spalle la ragazza –Inizialmente pensavo di
trasferirmi qui, ora non so… probabilmente comprerò un alloggio, o lo
affitterò… mi fermerò il tempo necessario e se tutto và bene anche di più.-
-Il tempo necessario a cosa?- domandò Jud,
interessata –Scusami, ma in questo paese non succede mai nulla… e ci sono
talmente poche donne! Siamo in rapporto uno a dieci: c’è una donna per ogni
dieci uomini. Capirai che non c’è una grande possibilità di spettegolare.-
Jane sorrise –Beh…- si guardò attorno e
prima di andare avanti si assicurò che l’attenzione generale fosse spostata su
qualcosa di diverso da lei –Ecco, il mio matrimonio è andato a monte. E siccome
ci saremmo dovuti trasferire a casa mia e ogni cosa mi ricordava Dan… sono
venuta qui. Tra l’altro, devo finire il mio libro… anzi, iniziarlo, in
effetti.-
-Mi dispiace!- esclamò Jud con sincerità
–Posso chiederti come mai il matrimonio è andato a monte?-
Jane rimproverò sé stessa: ormai era passata
una settimana, non era proprio il caso di piangere. Eppure le lacrime le
bruciavano negli occhi e dovette mordersi la lingua per frenarle –Ecco… la
settimana scorsa l’ho trovato a letto con un’altra.- raccontò –Una… bionda e
bellissima fotomodella che lavorava con lui.- disse –Avremmo dovuto sposarci
questa settimana… domenica prossima.-
-Che bastardo!- lo insultò Jud –Sono sicura
che hai tutto da guadagnarci, non ti rattristare.- suonò così sinceramente
dispiaciuta per lei che a Jane sfuggì una lacrima: si affrettò a cancellarla
dal suo volto –Ripensandoci, la prenderei quella cioccolata.-
Sorseggiando l’ottima cioccolata che Jud le
preparò, continuò a chiacchierare con lei e con Zac, finché questi non giudicò
che fosse passato abbastanza tempo: a quel punto, Rob doveva essere di certo
tornato alla locanda –Aspettami fuori, ti raggiungo subito per farti vedere la
strada.- disse.
Jane annuì: tentò di pagare la cioccolata,
ma Jud glielo proibì –Non provarci. La prima cioccolata è gratuita e, visto il
motivo per cui sei qui, lo sarà anche la prossima.- sorrise. Jane la ringraziò
una ventina di volte, poi si voltò e fece per uscire. D’improvviso, però, si
trovò sommersa da una valanga di pelo bianco e cadde a terra, sbattendo la
testa contro il pavimento. Dopo pochi secondi riaprì gli occhi e li sbarrò
trovandosi faccia a faccia con un enorme cagnone bianco come la neve, che la
fissava con gli occhi azzurri e la lingua penzoloni tra i denti.
Tra i lunghi, affilati denti.
-Oddio…- mormorò terrorizzata.
-Stella! Stella, vieni subito qui! Erik fai
qualcosa!- esclamò la voce di Jud alle sue spalle.
-Vieni qui. Stella! Lasciala stare!- ordinò
una voce roca mentre qualcuno tirava via il cane. Libera dal peso dell’animale,
Jane si mise a sedere cercando di tornare a respirare regolarmente. Con la coda
dell’occhio vide qualcuno chinarsi al suo fianco –Tutto bene?- domandò la
stessa voce roca. Voltandosi, Jane si trovò di fronte un ragazzo sui
venticinque anni, coi capelli neri e gli occhi verdi che brillavano come smeraldi
incastonati nel volto dalla pelle chiara –Io… si, credo di si.- balbettò mentre
lui la aiutava ad alzarsi.
-Scusa, non sapevo che avessi paura dei
cani.- si scusò Jud. Jane sorrise, ancora agitata –Scusate voi. Ho paura di…
beh, di tutti gli animali con denti abbastanza grandi da cibarsi di me.- ammise
prima di rivolgersi all’uomo che l’aveva aiutata ad alzarsi, il cui nome doveva
essere Erik –Grazie mille per… beh, per avermi liberata. Ora vado fuori ad
aspettare Zac, sperando che il freddo mi faccia dimenticare la vergogna.- detto
ciò si voltò e uscì dal locale.
Erik osservò la porta per qualche secondo,
divertito, poi si voltò verso Jud –Sbaglio ho ha detto di aver paura di tutti
gli animali con grandi zanne?- domandò.
-Esatto.- annuì Jud –Perché?-
-Ricordavo bene. È meglio che la raggiunga,
allora, perché credo che farà presto un incontro con Bill.- proprio in quel
momento, un flebile grido giunse dall’esterno dell’Insonnia –Appunto.- confermò
Erik uscendo.
Raggelata dalla paura Jane rimase immobile
davanti all’enorme orso che si era sollevato sulle zampe posteriori emettendo
un ringhio gutturale. L’animale fece un passo verso di lei con la sua pesante
zampa e Jane, tremando, fece un passo indietro, cercando di fare chiarezza nel
suo cervello e decidere cosa fare. Doveva aver visto in qualche documentario il
comportamento adatto da tenere con un orso, ne era sicura…
Aveva appena deciso per la fuga e aveva già
fatto il primo passo quando si sentì afferrare saldamente dalle spalle –No,
stai tranquilla, non è pericoloso.- la rassicurò la voce di Erik.
-Non è peri… è un orso!- esclamò Jane sbalordita. L’uomo lasciò la presa su di lei,
le passò davanti e si avvicinò all’orso che, docile come un gattino, chinò la
grossa testa per farsi accarezzare il collo –Ti presento Bill. A volte viene a
farci visita in paese.- spiegò Erik.
Jane lo guardò a occhi sbarrati –Ma tu chi
sei, il Dottor Dolittle?- domandò un po’ infastidita: era alla seconda
figuraccia nel giro di pochi istanti.
-Più o meno.- rise Zac, appena uscito dal
locale –Erik è il veterinario del paese. E, Erik, lei è Jane, che potrebbe
diventare la scrittrice del paese.-
-Scrittrice. Interessante.- commentò l’uomo
–Quindi, hai intenzione di trasferirti qui?-
-Oh… non ho ancora deciso, in realtà. Per
ora sto alla locanda dei… ehm…-
-Kennett.- concluse per lei Zac –Le stavo
giusto mostrando la strada.-
-Sei carica.- notò Erik lanciando uno
sguardo ai bagagli di lei –Posso darti un passaggio.- aggiunse indicando un
furgoncino fermo poco lontano.
-Grazie ma… non dovresti occuparti di…Bill?-
Erik scoppiò a ridere –Già. Che tu ci creda
o no, una straniera in questa città è un affare più strano di un orso in un
cassonetto. Ad ogni modo, Bill sta dietro. Ho ancora due posti davanti.-
Jane sollevò le sopraciglia –Bill sta
dietro?- domandò.
-Già,
sta dietro. Avanti, sali. E tu, bestione, con me, su! Vai.- ordinò facendo
avanzare l’orso verso il furgoncino per poi farlo salire sulla parte scoperta.
-Ah, beh, se Bill sta dietro.- commentò sarcastica Jane, avvicinandosi al
furgoncino facendo in modo di non passare accanto all’orso.
___________Nota di Jane
Secondo capitolo, siamo giunti a Old Harbor xD Chi
vorrebbe vivere in una città così?
Ringrazio chi ha commentato il prologo e anche chi l’ha
solo letto: spero che questo primo capitolo vi piaccia e se volete lasciare un
commentino mi fa piacere, ovviamente xD
Jane passò il viaggio, che fortunatamente fu
brevissimo, a guardare l’orso alle sue spalle in modo da cogliere eventuali
movimenti minacciosi. Non che avrebbe saputo cosa fare, in caso ne avesse
fatti, ma almeno sarebbe stata pronta.
-Guarda che Bill mangia solo spazzatura.-
commentò Erik svoltando a destra.
-Beh, per come mi sento in questo momento,
potrebbe anche scambiarmi per spazzatura.- commentò Jane senza pensare,
poggiandosi al finestrino. Subito dopo aver pronunciato quelle parole se ne
pentì: non le aveva detto, Jud, che in quel paese i pettegolezzi giravano in
fretta? Non era il caso di far sapere a tutti quello che le era successo!
Erik si accigliò e la guardò per un istante,
per poi concentrarsi sulla strada –Non mi sembri spazzatura. Mi dispiace,
comunque.-
Sorpresa che anche lui, come Jud, suonasse
del tutto sincero, Jane lo ringraziò e tornò a guardare di sottecchi l’orso.
Erik sorrise e scosse la testa prima di fermarsi davanti alla locanda: era un
piccolo edificio di legno su due piani, deliziosamente campagnolo. Dietro una
casetta così piccola, decorata di piante rampicanti, le enormi montagne
innevate formavano un effetto davvero spettacolare.
-Wow.- mormorò scendendo dal camioncino e
pensando, per la prima volta da quando era scesa dal pullman, che forse aveva
scelto il posto giusto.
-Non male, eh?- le sorrise Erik.
-Decisamente.- commentò Jane con gli occhi
brillanti –Grazie mille del passaggio.- si riscosse poi, prendendo le sue
valige.
-Nessun problema. Hai bisogno di aiuto per
portare le valige?- si offrì.
-Ce la faccio, grazie. Occupati pure di
questo coso… cioè, di Bill.- si corresse, stranamente divertita –Immagino che
ci vedremo.-
-Credo proprio di si.- rispose Erik e,
salutandola con un gesto, mise in moto e si allontanò, portandosi dietro
l’orso.
Jane trascinò le valigie fino alla porticina
di legno e la aprì. Questa le diede il benvenuto con un cigolio e Jane entrò in
un piccolo corridoio che sboccava in una stanzetta che fungeva da hall. Dietro
a un banco coperto di una tovaglia rossa sedeva un ragazzo dai capelli color
cenere che, non appena entrò, alzò su di lei gli occhi castani e li sbarrò,
spalancando la bocca per la sorpresa.
-Ehm… salve.- salutò Jane incerta: era così
sbalordito per l’arrivo di una cliente? Non dovevano fare grandi affari in quel
posto –Io… vorrei una camera. Il mio nome è…-
-Jane Watson.- concluse per lei il ragazzo
guardandola con un sorriso incredulo –Sei… cioè, lei è Jane Watson, vero?-
-Ah… si. Il tu andava benissimo, comunque.-
precisò Jane poggiando il trolley e prendendo la carta d’identità.
-Io sono un suo… un tuo, un tuo grande fan. Ho letto tutti i tuoi libri.- rivelò il
ragazzo.
-Oh, ma certo, sei Rob!- esclamò Jane.
-Hai ricevuto la mia e-mail?- domandò il
ragazzo sbalordito –O hai guardato il tuo fun club?-
Jane si guardò attorno, cercando le parole
–Ecco, in effetti mi ha parlato di te Jud, della caffetteria, ma… sono certa di
aver letto l’e-mail, anche se in questo momento non mi viene in mente.-
-Certo, certo, è ovvio, devi riceverne
centinaia.-
Jane sollevò le sopraciglia: no, centinaia
proprio non ne riceveva, decisamente.
-Ma vorrai una stanza. Immagino che tu sia
stanca… per quanto tempo ti fermerai?- domandò Rob prendendo il registro degli
ospiti. Sbalordita per l’assenza di un computer, Jane rispose –Si, ecco, in
effetti non ne sono sicura. Due settimane, un mese, un anno… boh.- sollevò le spalle –Ti creo
problemi se non ti do una data precisa?-
-Assolutamente, certo che no!- le assicurò
Rob –Ecco, la nostra stanza migliore. Vieni, ti porto le valige.- disse e,
prima che lei riuscisse a protestare, le aveva afferrate e si era avviato su
per le scale. Jane lo seguì su per una scalinata stretta e quando arrivarono al
primo piano Rob aprì la prima porta –Ecco qui. Spero che ti piaccia.-
Jane entrò e si guardò attorno: senza dubbio
non era gigantesca, ma a chi importava? C’era un letto, una lampada e una
piccola scrivania. In bagno c’era anche la doccia: aveva tutto ciò che le
serviva –Bellissima, è perfetta. Grazie.-
Con un enorme sorriso, Rob andò sulla soglia
–Sono contento che ti piaccia. Ti lascio a sistemarti… per ogni cosa, sono di
sotto. Oh… facciamo solo colazione, ma per pranzo e cena c’è il locale di Jud e
Zac, vanno lì praticamente tutti.- rimase un secondo in silenzio, poi concluse
–Bene, vado. Ciao.-
Sorridendo, Jane aprì la sua valigia e tirò
fuori una canotta grigia, una felpa nera e dei jeans. Non vedeva l’ora di darsi
una lavata e di mettere a lavare quegli indumenti che erano durati per tutto il
viaggio. Prima, però, tirò fuori il cellulare.
-Maledizione, non prende.- sbottò. Aprì la
finestra e provò di nuovo, ma non cambiò nulla. Iniziò a vagare per la stanza,
alzando e abbassando il cellulare. Alla fine, trovò un punto: all’angolo prima
della porta, in basso, una cinquantina di centimetri dal pavimento. Si sedette,
poggiandosi al muro, e digitò il numero di sua sorella.
-Una volta arrivata lì ti sei resa conto di
non poter sopravvivere e vuoi tornare a casa?- domandò Mary non appena rispose
al telefono.
-Ciao, Mary, si stro bene grazie mille, il
viaggio è andato bene. E comunque no, non voglio tornare. La gente è simpatica,
qui, sono molto ospitali. Farei a meno degli orsi, ma…-
-Per orsi intendi uomini grossi, pelosi e scorbutici, vero?- la interruppe la
sorella.
-No.- rise Jane in risposta –No, c’è un vero
e proprio orso che a volte viene in città, pare. Pensa, lo chiamano Bill.-
Mary si mordicchiò un’unghia, seduta nel suo
ufficio a New York –Jane, in che diavolo di posto sei andata a ficcarti? Con
tutte le città che ci sono al mondo…-
-Non preoccuparti, Mary! Và tutto bene,
davvero! Magari mi ci vorrà un po’ per abituarmi ma… credo di poter
sopravvivere, davvero.-
-Lo spero. Senti…- Mary s’interruppe,
incerta –No, niente.-
-Cosa?-
-Ecco… non so se dovrei dirtelo, ma Dan è
stato qui oggi. Voleva sapere dove sei e non gliel’ho detto… ho fatto bene?-
-Certo che hai fatto bene.- rispose
rapidamente Jane con una fitta al cuore –Grazie, sei sempre la migliore.-
-Lo so.- sospirò Mary –Vedi di chiamarmi
regolarmente e di rispondere alle mie chiamate, chiaro?-
-Ecco, in realtà il cellulare non prende
quasi mai. In questo momento sono accucciata sul pavimento, è l’unico punto
della stanza in cui c’è campo.- ammise Jane.
-Oh poveri noi.- scosse la testa Mary –E va
bene. Lascia almeno all’albergo il mio numero. Voglio essere avvisata se vieni
sbranata da un orso o sepolta da una valanga.-
-Va bene, va bene.- scoppiò a ridere Jane
–Ti adoro.-
-Anche io, o avrei già smesso di
preoccuparmi per i tuoi colpi di testa.- commentò Mary roteando gli occhi
–Ciao.-
-Ciao.- rispose Jane con un sorriso un po’
malinconico per la distanza della sorella. Non erano abituate ad essere così lontane,
dopotutto erano gemelle e avevano sempre vissuto assieme.
Jane si fece una rapida doccia e, lasciando
asciugare i capelli all’aria, uscì dalla stanza. Infilando portafoglio e
cellulare nella borsa scese nella hall.
-Ciao.- la salutò Rob indossando una giacca
verde militare –Stai andando a cena?-
Jane gli rispose annuendo –Credo che andrò
all’Insonnia, è l’unico posto che conosco.-
-Beh, Jane, mi dispiace dirtelo ma è l’unico
posto che c’è. Ci sto andando anche io.- le sorrise il ragazzo –Se ti và,
possiamo andarci insieme.-
-Magari!- rispose la ragazza: era strano
essere lì da poche ore e conoscere già quattro persone. Strano in un modo
piacevole, decise. Così, i due uscirono assieme dalla locanda.
-Ti spiace se passiamo da Hope, prima?-
domandò Rob mentre imboccavano quella che, intuì Jane, doveva essere la strada
principale, ossia quella in cui si era fermata con l’autobus e in cui sorgeva
l’Insonnia.
-No, certo, andiamo pure… chi è Hope?-
domandò la ragazza.
-Giusto. L’estetista, parrucchiera nonché
barbiera del paese.- spiegò Rob –In realtà, di solito Joe si occupa delle
occupazioni da barbiere e Hope del resto, ma spesso si scambiano se c’è
bisogno.-
-Capito.- annuì Jane –Devi… tagliarti i
capelli?- domandò: i capelli di Rob le sembravano già abbastanza corti.
-No, prenoto la piega per mia madre, sai.
Sono i sacrifici che bisogna fare quando si vive con i genitori.- scosse le
spalle Rob.
-La locanda è loro?- s’informò Jane.
-Si. Io ci lavoro spesso, ma in realtà ho
una stazione radio. Beh… insomma, ho l’unica stazione radio del paese, in
effetti, quindi non è che io abbia molta concorrenza. Poche stazioni prendono
qui, per via delle montagne.- spiegò lui.
-Ovviamente.- ridacchiò Jane: mai avrebbe
pensato di potersi trovare in un posto tanto disperso.
-Il negozio è questo.- indicò. La vetrina
era assolutamente anonima e, in qualche modo, Jane la preferì a quelle di New
York, chiassose e colorate, zeppe di foto di tagli di capelli che in realtà i
parrucchieri non erano in grado di eseguire. Almeno, qui non mentivano: i tagli
delle poche foto erano tutti piuttosto semplici. Rob entrò nel negozio e Jane
lo seguì, guardandosi attorno. C’erano tre donne e un uomo: due erano in
attesa, una donna si stava facendo lavare i capelli da una ragazza dai
liscissimi capelli castani e l’uomo stava dicendo addio ai suoi capelli lunghi
fino alla schiena per dare il benvenuto ad un taglio decisamente più corto.
-Ehi Joe.- salutò Rob –Hope. Signor Darling, è sceso a valle prima quest anno.
Signorine…- Rob salutò tutti con un sorriso sulle labbra, dopodichè passò alla
presentazioni –Lei è Jane Watson. Rimarrà alla locanda per un po’.-
Due delle donne la riconobbero: avevano
letto i suoi libri –Come mai è venuta qui, signorina Watson? Non vive a New
York?- domandò una, quella che si stava lavando i capelli.
-Non fare queste domande.- la redarguì
l’altra signora –Non hai sentito che suo marito… oh! Mi perdoni, non ne vuole
parlare, immagino.- esclamò portandosi una mano alla bocca. Jane sbiancò,
sorpresa: come faceva a saperlo?
-Signore, non siamo qui per spettegolare.-
le rimproverò il ragazzo con le forbici in mano, che doveva essere Joe.
-E per fare cosa, allora?- sbottò l’uomo a
cui stava tagliando i capelli –Mi faccio tutta questa strada ogni sei mesi,
voglio almeno qualche novità.-
-Devi
scusare il signor Darling.- sorrise la parrucchiera, che Rob aveva presentato
come Hope –Vive sulla montagna est, proprio in cima. Quando viene qui vuole le
ultime novità… e non sa né tenere la bocca chiusa né comportarsi civilmente!-
lo rimproverò con allegria.
-Non c’è problema.- sorrise Jane, ma sentì
comunque le lacrime fare capolino: non aveva considerato che, in una piccola
città, tutti avrebbero saputo ciò che era successo. Forse la sua scelta non era
stata la migliore… si morse la lingua: no,
doveva smettere di farsi condizionare così.
-Volevo prenotare la piega per mia madre,
hai posto domani?- cambiò discorso Rob, lanciando un’occhiata a Jane che lo
ringraziò con un sorriso.
-Certo. Dille di venire nel pomeriggio.-
rispose Hope e, dopo essersi salutati, Rob e Jane uscirono. Non appena ebbe
sceso il gradino davanti al negozio, però, Jane dovette inchiodare, poiché era
quasi andata a scontrarsi con un ragazzo poco più alto di lei, dagli occhi
scuri e i capelli molto ricci.
_____________Nota di Jane
Eccoci al capitolo due, spero vi sia piaciuto e… ehi,
ho visto che le letture sono tante, quindi ringrazio tutti quelli che hanno
solo letto oltre a chi ha commentato! Spero che decidiate di lasciare un
commentino o una critica, ma l’importante è che continuiate a leggere!
-Jane Watson!- esclamò il ragazzo
rivolgendole un sorriso aperto –Finalmente ti incontro!-
-Ehm… sono qui da meno di quattro ore ma…
piacere!- disse Jane interdetta, cercando di dimostrarsi cordiale.
-Jerry Buster.- si presentò lui afferrandole
la mano e stringendogliela –Il fratello di Joe. E, ora che ti vedo dal vivo,
posso assicurarti che il tuo fidanzato è stato un vero pazzo.-
Jane sbarrò gli occhi, incerta se
ringraziarlo o tirargli un pugno. Fortunatamente, Rob la tolse dall’impaccio
rivolgendosi a Jerry –Tuo fratello è dentro, se cercavi lui.-
-Giusto, grazie. Che fate voi?-
-Andiamo a pranzo… all’Insonnia.- rispose
Jane.
-Fantastico, è la mia prossima tappa.- le
sorrise Jerry –Mi aspettate mezzo secondo?
Lascio questa roba a mio fratello…- disse sollevando la busta che teneva in
mano –…e torno.-
-Forse non…- cercò di dire Rob, ma Jerry era
già sparito all’interno del negozio –Scusalo.- sospirò Rob.
-No, dai, è solo… espansivo.- sorrise Jane.
Prima che Rob avesse il tempo di ribattere,
Jerry uscì dal negozio del fratello –Allora, Jane, ti fermerai molto?- domandò
immediatamente.
Jane alzò le spalle –Questi sono i piani.-
disse evitando di sbilanciarsi.
-Beh, spero che ci sia il tempo di
conoscersi.- disse Jerry rivolgendole un sorriso dolce ma forse un po’
allusivo.
Continuando a chiacchierare i tre si
incamminarono lungo la strada e in meno di un minuto raggiunsero l’Insonnia. Di
nuovo quando entrarono calò il silenzio e Jane ebbe la netta sensazione che
tutti avessero parlato di lei fino a un momento prima. Scacciò rapidamente
quella sensazione: dopotutto, per quanto la città fosse piccola, di certo non
lo sapevano ancora tutti.
-Vado a ordinare.- annunciò Jane e, dopo
aver ascoltato cosa volevano i due ragazzi, andò al bancone e aspettò che Jud
fosse libera sedendosi su uno sgabello. Alla sua destra era seduto un uomo di
colore, dalla barba ormai imbiancata –Sei Jane Watson, vero?- domandò.
-Si.- annuì lei.
-Si vede. Dalla faccia sconvolta, sai. Si
capisce al volo.-
Jane sollevò le sopraciglia, colpita da
quella poca mancanza di tatto –Ah, beh, grazie mille!- sbottò e si voltò
dall’altra parte. Sullo sgabello alla sua sinistra, con una bottiglia di birra
e un panino al salame, era seduto Erik, che la fissava in modo strano. A Jane
ci vollero solo pochi secondi per esplodere –Allora, tocca a te, no? Carica il
fucile e spara! Cosa vuoi commentare? Le occhiaie? No, un tocco di classe,
perché non noti il bel palco di corna con cui vado in giro per colpa del mio ex?
Tanto ormai lo sanno tutti!-
Erik la osservò con calma, senza alterare
minimamente la sua espressione –A dire il vero, io non lo sapevo. Grazie
dell’aggiornamento, comunque.-
Irritata, Jane si voltò verso Jud, che era
appena arrivata di fronte a lei.
-Ciao. Prima che tu dica qualsiasi cosa, mi
dispiace.- disse la ragazza –Ho scordato di avvertirti che è pericoloso parlare
quando Irvine, la nostra cuoca, è a portata d’orecchio. Deve aver sentito oggi
e… beh, ormai lo sanno tutti.-
-Non proprio tutti, ma pare che abbia
provveduto io a rimediare.- sbuffò Jane passandosi una mano tra i capelli –Non
importa, probabilmente l’avrebbero saputo tutti comunque, a breve.- scosse le
spalle.
-Probabile, anzi, sicuro.- le fece
l’occhiolino Jud –Allora, vuoi ordinare per te e quei due pazzi che ti
accompagnano?-
-Grazie. Uhm… Per Rob pollo con fagiolini,
per Jerry bistecca e patate al forno e io… pollo con patate. Oh, e una
bottiglia d’acqua naturale.-
-Non vuoi una caraffa del rubinetto?-
-Io… ecco…- ammise Jane arrossendo un po’
–In realtà, non bevo acqua del rubinetto.-
L’uomo accanto a lei soffiò una risata e
alzò gli occhi al cielo. Jane lo fulminò con uno sguardo e Jud sorrise
–Perfetto, allora ecco l’acqua. Vi chiamo quando sono pronti i piatti, ok?-
-D’accordo.- con un sorriso, Jane si voltò e
tornò al tavolo dove la aspettavano Rob e Jerry, seguita da una dose
preoccupante di sguardi.
-Non ho un cartello strano appeso dietro la
schiena vero? Tipo “prendimi a calci” o cose del genere…- domandò Jane ai due
ragazzi.
-No.- scosse la testa Jerry –Ma è come se tu
avessi un’insegna luminosa sopra la testa con scritto “Nuova cittadina, donna,
col cuore spezzato”. Qui attira molto di più dei calci nel sedere, te lo
assicuro.-
Jane scoppiò a ridere: dopotutto quel modo
da fare schietto la divertiva –Un peccato che io non sia alla ricerca di un
uomo.-
-Perché non mi conosci ancora bene.-
commentò Jerry in tono malizioso.
-Ma perché devi sempre…- balbettò Rob
–Vabbé, vado a prendere i piatti. Non dargli retta, Jane.-
-Quindi… immagino che non otterrei molto
chiedendoti di uscire stasera.- suppose Jerry quando furono rimasti soli l
tavolo.
-Per quanto mi incuriosisca scoprire in cosa
consista la vita mondana in questo paese, credo di dover rifiutare.- sorrise la
ragazza.
-Ecco le vivande!- annunciò Rob –Oh,
guardate, c’è Liz! Ehi!-
La ragazza che era appena entrata si voltò
verso il loro tavolo con un sorriso e, dopo aver ordinato a Jud “il solito”, si avvicinò.
-Ciao! Rob, ti ho portato i cuscini che
avevi chiesto, sono nella hall.- annunciò mentre Jane la studiava: era minuta,
coi capelli neri tagliati corti e grandi occhi scuri –Tu devi essere Jane
Watson. Liz Moore… mai letti i tuoi libri, ma li ho trasportati, qualche volta.
Belle copertine.-
-Ah… ehm… grazie, credo. Comunque, piacere.-
-Piacere.- rispose Liz sedendosi accanto a
lei –Io piloto un piccolo aereo a tre posti fino a Juneau, una volta ogni due
settimane, quindi se ti serve non hai che da chiedere.-
-Oh! Magari potresti portarmi con te la
prossima volta, a Juneau esistono delle tabaccherie, vero?- domandò Jane,
riavvertendo di colpo la mancanza del tabacco. E dire che non fumava a malapena
da un giorno.
-Fumatrice, eh?- rise Liz –Magari stando qui
riuscirai a smettere… anche se in effetti forse questo non è il momento adatto
per te, con tutto lo stress per il matrimonio fallito… beh, qui gli uomini
faranno la fila, vedrai. Siamo poche e loro sono molti.- commentò ridacchiando
–E scommetto che Jerry ha già preso il numerino.
-Già, ma pare che la nostra Jane non sia in
cerca di uomini al momento.- intervenne Jerry.
-Davvero?- si accigliò Liz –Non vuoi mettere
una toppa sullo strappo?-
-Immagine molto azzeccata, ma no.- rise
l’altra –Ho sempre vissuto cercando di fare tutto ciò che potevo per piacere
agli uomini. Magari è ora di cambiare le cose.- spiegò scuotendo le spalle.
-Capisco. Beh, non sarà difficile… qui la
quantità è alta, ma in quanto a qualità…- scosse la testa Liz facendo con la
mano un segno come a voler dire “nada”.
-Ehi!- esclamarono in coro Rob e Jerry.
-Con ovvie eccezioni.- si affrettò ad
aggiungere la ragazza ma, appena i due riportarono l’attenzione sui piatti,
sillabò “Le eccezioni non sono loro”
rivolta verso Jane, che cercò di non scoppiare a ridere.
In quel momento un cane bianco, alto dieci
centimetri, entro trotterellando nella sala e si avvicinò al loro tavolo.
-Jud, hai lavato il cane e si è ristretto?-
domandò Jane accigliandosi. Come a risposta, l’enorme cagnone di quel
pomeriggio raggiunse il piccolo, fermandosi proprio accanto a Jane che
s’irrigidì di botto.
-No, è il suo cucciolo.- rise Jud –Dai Jane,
dopo Bill ti fa ancora paura Stella?-
-Vuoi una risposta sincera?- domandò Jane
chiudendo gli occhi mentre Stella le annusava il braccio.
-Erik, le dai una mano?- sussurrò Jud
all’orecchio del ragazzo poggiandogli una mano sul braccio.
Proprio in quel momento, Zac uscì dalla
cucina e s’incupì, osservandoli.
-Un giorno ti occuperai dei tuoi cani al
posto mio?- ribatté Erik poggiando una mano su quella di Jud.
-Jud, Irvine ha bisogno in cucina.- sbottò
Zac poggiando con poca grazia un bicchiere accanto a Erik. Quest ultimo si alzò
e andò al tavolo, afferrando Stella per la collottola: questo fece si che i
suoi denti risultassero totalmente in mostra e Jane sobbalzò.
-Ehi, la porto via, rilassati.- la prese in
giro Erik, guadagnandosi un’occhiataccia.
-Non sapevo avessi paura dei cani.- commentò
Jerry poggiando i gomiti sul tavolo –Ti proteggo io d’ora in poi, non ti
preoccupare.-
-Sbruffone.- commentò Liz.
-Zac, ma che dici? Irvine non aveva bisogno
di nulla.- sbuffò Jud uscendo dalla cucina e avvicinandosi al cucciolo di cane
e prendendolo tra le braccia –Lui è Kevin. Fai ciao a Jane, Kev.- disse, e il
cane abbaiò con una vocina acuta come quella di un neonato.
-Oh, tu si che mi piaci.- sorrise Jane accarezzandolo.
Kevin però con un movimento improvviso tentò di morderla –Ehi! Possibile che
tutti gli animali ce l’abbiano con me?- sbottò Jane facendo ridere Rob, Jud e
Jerry. Nel locale alcuni risero e alcuni scossero la testa, così Jane capì: si
sarebbe dovuta abituare a condividere qualsiasi momento con ogni persona
presente e assente, in quel paese. Bene, poteva farcela…
Forse.
____________Nota di Jane
In ritardo vergognoso ma sono ricomparsa xD Spero che
il capitolo vi piaccia, i personaggi iniziano pian pianino a comparire tutti
spero che vi piacciano Liz e Jerry, i nuovi arrivati in questo capitolo xD Un
commentino è sempre ben gradito!!
Il sole entrò dalla finestra, trapassando senza difficoltà le tende
della stanza e colpendo gli occhi di Jane. La ragazza si stiracchiò e scese dal
letto, portandosi dietro il piumone e passandoselo sulle spalle. Arrivata alla
finestra scostò le tende e sorrise davanti a quel paesaggio fantastico.
Si vestì in fretta e uscì dalla stanza, insolitamente spensierata.
Quella notte aveva dormito benissimo, come non le era più successo da quando
aveva rotto con Dan. Il silenzio era tanto assordante, laggiù, che le impediva
di pensare.
Salutò Rob, il quale ricambiò e le indicò la stanza per la colazione.
Era un buffet e Jane prese un caffè con un pezzo di pane col miele. Lo
ingurgitò in fretta e uscì, decisa a godersi la giornata.
Seguendo la strada che aveva fatto il giorno precedente si diresse verso
la strada principale: era arrivata nel tardo pomeriggio, il giorno prima, ed
era certa che a quell’ora ci sarebbe stata più vita.
Si sbagliava, decisamente: la strada era completamente vuota a parte ad
eccezione di un paio di auto parcheggiate.
Un po’ demoralizzata, Jane alzò le spalle e si mise a camminare: avrebbe
trovato qualche negozietto, era sicura che la gente si vestisse anche in
Alaska.
Continuò ad andare avanti, ma trovò solo un paio di case. Superando il
negozio di Hope e Joe e poi l’Insonnia trovò un parco. Non c’erano giochi né
altalene: era un semplice gruppo di alberi recintati, con un sentiero in mezzo.
Jane non ne capiva il motivo: attorno al paese era tutto pieno di boschi
percorsi da sentieri sterrati, perché mai avevano deciso di recintare proprio
quel punto? Tuttavia, lì di certo non si sarebbe persa, così sorpassò il
cancello di legno e s’incamminò tra i tronchi.
Dopo una mezz’oretta vide un prato completamente al sole. Era
decisamente troppo allettante per resistere: lasciò il sentiero, si sedette e
si distese sul prato, le braccia a cuscino dietro la testa. Chiuse gli occhi e
si lasciò riscaldare dal sole, che era caldo ma non tanto da essere fastidioso.
Si assopì, cullata dalla quiete e dalla temperatura piacevole, ma si
svegliò di soprassalto sentendo una voce irritata poco lontano. Si sollevò
sulle braccia e, una volta seduta, si guardò attorno.
-Si tolga subito! Come le viene in mente?-
Trovata la direzione da cui proveniva la voce, Jane si voltò e vide una
donna sui ventotto anni coi capelli castani e la divisa da poliziotta. Una
donna che, per altro, le puntava contro una pistola.
Jane, sbarrando gli occhi, alzò le mani sbalordita.
-Venga subito via da lì!- ordinò la donna.
-Si, si arrivo, ma metta via quella pistola! Che avrò mai fatto?-
protestò Jane alzandosi cercando di non abbassare le mani.
-Piano!!!- gridò la donna quando Jane fece il primo passo –Sei qui da un
giorno e già crei problemi, Watson?-
-Fantastico, sono già schedata.- mormorò tra sé Jane –Mi spiega cosa
diavolo devo fare?-
-Uscire dal prato con passi leggeri e le mani in alto!-
Jane sbarrò gli occhi, ma tentò di seguire le istruzioni, con risultati
abbastanza comici. Grazie al cielo, in giro non c’era nessuno –Posso sapere
cos’ho fatto, adesso? O vuole arrestarmi?-
-Eviti il sarcasmo, è già nei guai! Cosa le è saltato in mente di uscire
dal sentiero?- abbaiò la poliziotta.
-Non sapevo che non si potesse…-
-Lei è l’unica scrittrice al mondo a non saper leggere?- la interruppe
la donna –C’è il cartello all’entrata! Questa zona è riserva naturale, ci sono
fiori molto rari e sa quanti ne ha calpestati? Eh?-
-Ehm… no…-
-Non lo so nemmeno io, perché per contarli dovrei arrivare al centro del
prato e ne pesterei altri! Perciò, ha fatto un danno incalcolabile!-
Sbalordita, Jane cercò di ragionare: lesse il cartellino –Senta… Chloe…
cosa devo fare, pagare una multa? Perché…-
-Oh, no, niente multa. Qui usiamo il lavoro per ripagare i danni. Oggi
pomeriggio farai qualche ora di lavoro sociale, signorina. E ora forza, sparisci.
Davanti alla centrale alle due.-
Sempre più stupefatta, Jane fece per dire qualcosa, ma cambiò idea, si
voltò e si allontanò bofonchiando tra sé.
Arrivata all’Insonnia, decise di entrare: tanto era ora di pranzo,
ormai.
-Ehi, Jane!- la salutò Jud vedendola aprire la porta. Erik, seduto al
bancone, si voltò e le rivolse un breve cenno.
-Ciao ragaz…- d’improvviso, Jane sentì la terra mancarle sotto i piedi:
poco prima di toccare il suolo, sentì due braccia afferrarla all’altezza della
vita e tirarla su con facilità.
-Tutto a posto?- domandò Jerry dopo averla rimessa in piedi.
-Ehi, mio fratello ci prova col nuovo arrivo?- domandò Joe a Hope, seduta
accanto a lui –Ti ha detto nulla su di lei, ieri sera?-
-Jane Watson, intendi? Ma dai, cosa ti dice quella testa vuota che ti
ritrovi?- rise Hope voltandosi verso il punto che Joe fissava. Quando li vide
abbracciati, però, il suo sorriso vacillò.
-Vedi
che ho ragione? Beh, è anche ovvio, visto che con voi non batte chiodo, che si
butti sulla nuova. In fondo è stato fortunato… non sarebbe male se arrivasse
una ragazza dalla città anche per me.-
-Già…- concordò Hope, ma non riuscì a suonare molto convincente –Hai
ragione, è normale che faccia un tentativo, visto che non interessa a nessuna
del paese…- accorgendosi dell’incertezza nella sua voce, scosse la testa: cosa
le prendeva? A lei non interessava Jerry, neanche lontanamente, infatti aveva
sempre respinto con decisione i suoi approcci… Eppure, quando Jane si allontanò
dal ragazzo, il cuore di Hope si fece più leggero.
-Grazie… ma che cosa ho…- voltandosi, Jane capì di aver inciampato su
una gamba, appartenente ad un ragazzo dai capelli castano chiaro e gli occhi
nocciola accucciato accanto alla porta con una chiave inglese in mano.
-Tom, sposta la gamba.- lo rimproverò Jerry –La gente inciampa quando
entra.-
-Lei inciampa. Il resto del
paese è in grado di scavalcare.- rispose con noncuranza Tom, senza spostare la
gamba.
-Gentile.- commentò Jane andando a sedersi al bancone, tra Jerry ed
Erik.
-Non badarci, Tom è lo zotico barbone del paese.- la informò Jud facendo
attenzione a farsi sentire dall’uomo.
-Ehi!- si ribellò Tom, farcendo la risposta con un sonoro rutto.
-Come volevasi dimostrare.- commentò Jud –Come va? Sei riuscita a
restare viva nonostante tu sia rimasta senza scorta l’intera mattinata?-
-In realtà, una poliziotta totalmente fuori di testa mi ha puntato la pistola
contro perché non ho letto il cartello che diceva che non si può pestare
l’erba.- raccontò Jane –Ha detto che oggi pomeriggio devo fare servizio civile
e devo trovarmi alle due in centrale… non è che è una pazza, vero?- s’informò
per sicurezza.
-In realtà è mia cugina.-
Maledicendosi per la milionesima gaffe, Jane si voltò verso Erik, rossa
in volto, mentre Jerry e Jud lottavano per trattenere una risata –Io… ecco… mi
dispiace, insomma… è che ho solo calpestato un prato e mi ha puntato la pistola
contro e… non volevo dire che…-
-Tranquilla, Jane.- intervenne Jud notando il suo imbarazzo –Lo sappiamo
tutti che Chloe a volte prende i divieti troppo sul serio. Anche io ed Erik
siamo ai lavori forzati, oggi.-
Immediatamente Zac comparve dalla cucina e si materializzò accanto alla
collega –Ah si?- domandò –Cosa avete combinato?-
-Atti osceni in luogo pubblico.- rispose la ragazza con sarcasmo.
-Andavamo troppo veloce in auto.- ammise Erik: appena in tempo, notò
Jane, perché gli occhi di Zac avevano assunto una preoccupante sfumatura rossa
–A 53, col limite di 50.- aggiunse rivolgendo un sorriso a Jane, che lei
ricambiò: probabilmente era per farle capire che non si era offeso per ciò che
aveva detto di sua cugina.
Dopo pranzo, Jane tornò alla locanda per cambiarsi e mettersi qualcosa
di più comodo. Nel frattempo, ne approfittò per chiamare sua sorella, seduta
nel solito angolino.
-Mary? Come va?-
-Benissimo, io non sono in
mezzo ai boschi.- rispose la sorella –Piuttosto, come va a te?-
-Diciamo bene… oggi pomeriggio devo scontare una pena.-
Mary si accigliò –In che senso?-
-Pare che io abbia calpestato un prato con fiori rari.- sbuffò Jane
–Quindi sono condannata a qualche ora di servizio civile non so dove.-
-Poveri noi…- scosse la testa Mary –Ieri l’orso, oggi la polizia… non
eri andata lì per avere un po’ di tranquillità?-
-In fondo è tranquillo.- rise Jane.
-E va bene. Senti…- s’interruppe un secondo –Cosa devo fare con i
preparativi per il matrimonio?-
Jane sospirò –Ti dispiace disdire tutto per conto mio?-
-Certo che no.- le assicurò Mary –Cerco di farti avere rimborsi dov’è
possibile… senti, tra poco più di una settimana ho qualche giorno di vacanza,
che ne dici se vengo a trovarti?-
-Sul serio?- domandò Jane, incredula ed entusiasta.
-Certo. Se ti va, ovvio.-
-Che domande sono? Non vedo l’ora!-
-Bene.- sorrise Mary –Almeno vengo ad assicurarmi che gli orsi non ti
abbiano sbranata. Chiamami, mi raccomando.-
-Certo.- le assicurò Jane, poi si salutarono e attaccarono.