Alternative

di Kuruccha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terra e Fuoco ***
Capitolo 2: *** Stallo ***
Capitolo 3: *** Conquista ***
Capitolo 4: *** In gabbia ***
Capitolo 5: *** Fuori dalla gabbia ***
Capitolo 6: *** Quotidianità ***
Capitolo 7: *** Strategie ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti ***
Capitolo 9: *** Cenere ***
Capitolo 10: *** Arrivo ***
Capitolo 11: *** Piccole certezze ***
Capitolo 12: *** Burocrazia ***



Capitolo 1
*** Terra e Fuoco ***


Necessarie note introduttive:
Questa storia è una what-if. Il punto di partenza è il secondo libro; tutto è stato identico a come è presentato nel cartone animato, fino all'episodio 2x18, "Il re della Terra". Ve la ricordate? E' la puntata in cui Zuko si ammala e si risveglia rinsavito e accondiscendente. XD
Ecco, partite da quel presupposto, e pensate a cosa potrebbe essere successo dopo, se le cose fossero andate in un altro modo. Questa è la mia versione :3
Questa sarà una long-fic, e questo spiega il capitolo monotematico :) Spiegherò le cose con calma :P




Capitolo 1 - Terra e Fuoco

Era una mattina come tante altre, a Ba Sing Se. Quel caldo umido che penetrava nelle ossa, unito all'aria stagnante che circolava senza via di fuga tra le alte mura della città, accompagnava fino a sera gli abitanti impedendo loro di trovare refrigerio.
Con il dorso della mano, Zuko asciugò il sottile strato di sudore che gli si era condensato sulla fronte, attento a non sbilanciare il vassoio che reggeva con l'altra. Nonostante la cappa di calore opprimente, il Jasmine Dragon era come sempre pieno di persone. Le altre sale da tè avevano cercato di ostacolare il suo grande successo, iniziando a sperimentare nuove miscele di foglie e arrivando addirittura a proporre una freddissima bevanda refrigerante, ma i veri appassionati continuavano ad amare il tè preparato da Iroh, e pensavano che niente offrisse più sollievo della menta lasciata a riposare nell'acqua bollente.
 - Fa proprio caldo oggi, eh?
Zuko sollevò il viso, dopo aver appoggiato il vassoio sul tavolo della cliente che l'aveva ordinato.
 - Altrochè. Addirittura più di ieri, e non credevo fosse possibile - rispose lui.
 - Waaah! Li, mi hai portato anche dei dolcetti, grazie! - gridò la ragazza, riconoscente, osservando il piattino che accompagnava la tazza di tè al gelsomino.
Zuko sorrise. In quei tre anni e mezzo, Jin aveva continuato a venire quasi tutti i giorni al Jasmine Dragon. Lui, ricordando il loro primo appuntamento e lo stomaco senza fondo che quella ragazza sembrava avere, non le aveva mai fatto mancare il cibo per riempirlo; nonostante ciò, ogni volta lei lo ringraziava come se non fosse mai accaduto prima. Era un altro di quei motivi per cui aveva finito per volerle bene, dopotutto. Ancora si chiedeva cosa ci trovasse di particolare in lui, un povero profugo marchiato a vita, senza nessun dominio, con una costituzione ben più gracile di tutti i suoi coetanei che vivevano in città. Si era così abituato a quel nome, a quella vita, alla finzione che si era costruito intorno, che di giorno non pensava mai a quando ancora era Zuko, dominatore del fuoco, principe rinnegato della Nazione più potente del mondo. Solo la sera, quando rientrava a casa, stanco dalla lunga giornata di lavoro, permetteva a sè stesso di abbandonare per un po' i panni di Li, e finiva per ripensare a quei tempi. Più spesso di quanto avrebbe voluto, finiva per chiedersi come avrebbe potuto essere la sua vita se avesse compiuto delle scelte fondamentalmente diverse. Anni prima, aveva pensato che dopotutto quella vita normale, come la chiamava lo zio con amore - e come la considerava lui con odio, inizialmente - avrebbe finito davvero per lenire il suo cuore e per fargli dimenticare l'onore perduto. Aveva deciso quindi di rimanere con lui al Jasmine Dragon, e di far finta di essere un semplice profugo, scordandosi di tutto quello che era stato prima di quel giorno.
All'inizio non era stato facile. Il suo ego saltava fuori nei momenti più impensati, e il fuoco avvampava dentro di lui, e talvolta anche fuori. Ma era diventato bravo a controllarsi, più di quanto avrebbe mai immaginato di poter fare. Così, aveva finito per amalgamarsi con la gente che popolava quella grande città: quando i suoi capelli erano ricresciuti, aveva cominciato a legarli nel modo tipico degli abitanti del Regno della Terra, e i suoi abiti avevano finito per diventare sempre più verdi, seguendo la moda della Cerchia Alta in cui si trovavano. Ora sapeva addirittura mantenere in aria tre oggetti contemporaneamente, facendoli volteggiare tra le mani, per comprovare il suo alibi da ex-giocoliere - ma non era troppo bravo, e anche questo faceva tornare i conti, perchè doveva pur esserci un motivo per cui aveva abbandonato il circo - e niente più di questa semplice esibizione faceva divertire Jin.
Lei e lo zio - lo zio, soprattutto - erano stati, ed erano anche in quel momento, la coperta che soffocava il suo fuoco sul nascere. Quando qualcosa lo faceva arrabbiare e gli sembrava di poter esplodere nel giro di un secondo, il pensiero di loro due e delle conseguenze che i suoi gesti avrebbero provocato lo faceva desistere da ogni intento ribelle. Così, Li riaffiorava e Zuko tornava calmo.
Iroh era l'unico a sapere di questi suoi scatti d'ira, benchè lui non gliene avesse mai parlato. Forse da giovane aveva vissuto un conflitto simile al suo ma, visto che non ne aveva mai fatto parola, non aveva modo di verificare questa teoria. In ogni caso, appena Zuko avvampava, lo zio si voltava verso di lui con un'espressione davvero neutra in viso, come fosse fatto di pietra. Niente più dell'indifferenza di quella faccia poteva calmarlo.
Con Jin non aveva mai fatto parola nè del suo passato, nè del suo vero nome, nè di queste crisi che lo colpivano periodicamente. Non che non ce ne fosse stata l'occasione - in fondo era sicuro di aver commesso almeno qualche distrazione, e certamente qualche pezzo del puzzle non si incastrava come avrebbe dovuto nel quadro generale della sua falsa identità - ma il motivo principale era che lui stesso non voleva che lei sapesse. Per Jin doveva esistere solo Li, perchè era Li che lei conosceva, ed era Li quello di cui continuava a ripetere di essere innamorata. Dal canto suo, non era sicuro di provare per lei qualcosa che fosse realmente amore, perchè non era sicuro in primo luogo di poter sentire nel proprio cuore qualcosa del genere. I sentimenti così profondi non avevano più intaccato il suo animo, in tutto quel tempo. Una cosa sola aveva deciso: non l'avrebbe illusa, almeno fino a quando Zuko non fosse totalmente scomparso e fosse rimasto solo Li. Prima di allora, per quanto dolce potesse sembrare la prospettiva del tempo trascorso con lei, per quanto buono fosse il suo profumo ogni volta che si sporgeva verso di lui per afferrargli la mano, non avrebbe ceduto. Zuko non sarebbe rimasto sopito per molto, e Li non avrebbe sopportato di doverle spiegarle che tutto quello che aveva sempre creduto fosse in realtà una bugia bella e buona.
 - C'è ancora spazio in questa topaia, lurido gestore? - domandò una voce aggressiva, mentre la porta d'entrata sbatteva fragorosamente contro il muro.
 - Prego, signori, abbiamo un tavolo libero proprio qui - rispose lo zio, facendoli accomodare nel modo più gentile possibile, gettando un'occhiata a Zuko, che dal canto suo si era affrettato a sedersi al tavolo di Jin.
Ancora soldati della sua vecchia patria. Sentì di nuovo il fuoco accendersi dentro di lui. Da quando Ba Sing Se era stata conquistata, quei maledetti avevano cominciato a fare ciò che più aggradava loro all'interno delle mura interne. E in quella cerchia la situazione era, fortunatamente, migliore che in quelle inferiori, perchè vi vivevano tutte le personalità più eminenti, e il nuovo Signore del fuoco aveva trovato più conveniente mantenerle in vita fino a quando avrebbe potuto arrivare lì e giustiziarle personalmente. Una smorfia si dipinse sul suo viso, mentre il fuoco cresceva sempre più. Chissà quanto tempo ancora sarebbe riuscito a controllarlo.


*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
21-1-2011
La mia testa in questo momento è un calderone che bolle *_* Presto ci sarà un nuovo capitolo, e se Zuko non si intrometterà ancora vedremo dove sono finiti gli altri personaggi ù_ù
Però vi prego, VI PREGO, commentate! ;_; Anche solo per dire "qui c'è un errore di continuity, le cose non possono essere andate così!" o per chiedermi cosa ho fumato per iniziare a pensare a una storia del genere o_o
Detto ciò, buonanotte, che domani si lavora :D!
Kuruccha

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Capitolo 2
*** Stallo ***


Capitolo 2 - Stallo

 - Aang, Toph, è pronto in tavola! - gridò Katara, le mani raccolte a coppa ai lati del viso, rivolta verso il grande spiazzo vuoto davanti a lei.
 - Io sono già qui, Regina dello Zucchero. E dire che tu hai un paio di occhi funzionanti - la rimbeccò Toph, apparendole alle spalle senza ulteriore avvertimento. Si avvicinò al gigantesco tronco che fungeva da tavolo, dove già facevano bella mostra di loro tre piatti fumanti e un pentolone ancora pieno. Prese malamente un grosso ramo utilizzabile come sedia, lo scostò quel tanto che bastava e, con ben poca grazia, vi si sedette e sollevò un piede sul tavolo, poggiandolo vicino al proprio bicchiere.
 - Tira giù subito quel coso sporco e puzzolente! - la sgridò l'altra, le braccia subito conserte in petto.
 - Punto primo: non sei mia madre, e non mi dirai cosa posso o non posso fare - elencò, enumerando le proprie ragioni con le dita. - Punto secondo: il mio piede non sarà certo profumato, ma niente riuscirà mai ad eguagliare l'odoraccio di questa zuppa.
Katara strinse i pugni, mentre sentiva il cervello ribollire.
 - Ragazze, ragazze, basta! State litigando di nuovo? - le bloccò Aang, planando dall'esterno con il suo aliante e atterrando poco lontano da loro.
 - Ha cominciato lei! - dissero entrambe, incolpandosi a vicenda, le dita puntate l'una contro l'altra. La più veloce a riprendersi fu Toph.
 - Katara ha di nuovo cucinato la sua schifosissima zuppa!
 - Le prugne di mare fanno bene alla salute!
 - Però hanno un gusto oscenamente orrido - continuò, con una smorfia sul viso.
 - Non è vero!
 - E' verissimo invece! Anche ad Aang fanno schifo, solo che non ha mai avuto il coraggio di dirtelo!
Lo sguardo di Katara si diresse verso il povero ragazzo, che non sapeva già più che pesci pigliare. Sarebbe stata una lunga giornata. Sentì la mancanza di Sokka e della sua capacità di alleggerire l'atmosfera, e sospirò.
 - Adesso calmatevi. Katara, è vero, non mi piacciono le prugne di mare. Sono veramente disgustose - spiegò. Katara aprì la bocca per obiettare, ma fu bloccata da un cenno della mano di Aang. - Però le mangerò lo stesso. Toph, visto che è Katara a cucinare, si mangia quello che dice lei. Perciò, ora mettiamoci a tavola.
 - Sì, papà - rispose Toph, battendo un piede per terra e innalzando attorno ai due poveri ragazzi un possente cubo roccioso. Si strofinò le mani, come a togliere eventuali granelli di polvere rimasti, e si diresse verso la porta. - Vado a cercarmi del cibo vero - motivò, noncurante.
Dall'interno della loro stanzetta di terra e sassi, gli altri due sospirarono.
 - Stamattina deve essersi svegliata proprio di cattivo umore - borbottò Aang, osservando lo spazio attorno a sè per capire come abbattere quei muri con il dominio della terra. Toph era diventata davvero brava a creare quel genere di rompicapi pieni di muri sovrapposti, e gli sarebbe servito un po' di tempo per trovarne la soluzione. In realtà era vagamente felice del fatto che il momento del confronto con le odiate prugne si stesse allontanando almeno un po', ma prestò particolare attenzione a non farlo notare.
 - Di cattivo umore come ogni mattina, mi pare - sibilò Katara, sedendosi sull'erba.

Azione.
Ciò che più le mancava era l'azione. L'addestramento non faceva certo per lei.
Si rendeva benissimo conto del fatto che la sua missione fosse stare lì e insegnare ad Aang il dominio della terra, e che non avrebbe dovuto lamentarsi, vista la situazione in cui verteva il mondo in quegli anni. Aveva però moltissima nostalgia del primo periodo delle loro avventure. Inizialmente aveva trovato molto comodo non avere nessun obbligo, nessun dovere nei confronti di nessuno; non che ora li avesse, in effetti. Ciò che era cambiato era il contatto con la gente. Mentre prima viaggiavano molto, ma si fermavano in villaggi popolati e finivano sempre per conoscere qualcuno, ora continuavano pur sempre a viaggiare, ma dovevano nascondersi per non farsi trovare dalla Nazione del Fuoco, ed erano costretti a non entrare mai in contatto con anima viva. E non parlava solo degli abitanti delle varie terre, quanto piuttosto di quei maledetti soldati a cui avrebbe voluto spedire una roccia in faccia. Era stata nascosta in casa propria per troppo tempo; ora che avrebbe voluto finalmente uscire, la guerra glielo impediva. Già una volta era stata costretta ad avere un'identità segreta per riuscire a combattere; non voleva trovarsi costretta a farlo ancora. In realtà, avrebbe desiderato tantissimo riprendere i panni della Bandita Cieca, ma allo stesso tempo era cosciente di non poter mettere se stessa in pericolo, perchè ciò avrebbe significato per l'avatar la mancanza di un fondamentale maestro del dominio.
Accarezzò Appa, che le si era avvicinato in cerca di cibo. Gli grattò il muso, continuando a rimuginare.
Azione.
Aveva bisogno di azione.

 - Ragazzi, vi devo parlare - esordì, proprio nel momento in cui Aang riusciva ad abbattere l'ultimo strato del cubo.
I due prigionieri si guardarono, perplessi. Non si erano preparati all'eventualità di vederla prima di sera, visto che di solito si rintanava in grotte nascoste da cui non sarebbe uscita nemmeno se l'avessero implorata. Il ragazzo rivolse il viso verso di lei, la domanda già chiara in viso.
 - Quando tornerà Sokka, andrò con lui - tagliò corto Toph.
 - Cosa farai tu? - sibilò Katara, furiosa, finalmente voltandosi per guardarla. - E' fuori discussione.
Toph poteva sentire, tramite i piedi, la rabbia di Katara diffondersi nel suolo. Pensò che, se avesse voluto ottenere un qualche risultato, avrebbe dovuto smorzare i toni, o gli umori sarebbero solo peggiorati.
 - Sentite. Qui stiamo impazzendo tutti, mi pare. Io sono stufa di litigare con voi per ogni sciocchezza e in ogni secondo. Ciò di cui ho bisogno è spappolare quante più rocce possibili sulla testa di ogni soldato della Nazione del Fuoco che ci troviamo contro. Perciò, quando tornerà Sokka, andrò con lui.
 - E ad Aang non pensi? Chi gli insegnerà il dominio della terra? - gridò ancora l'altra ragazza, i pugni sempre più stretti.
 - No, Katara. Ha ragione lei - concluse Aang, uno sguardo serissimo in volto. - Toph, capisco benissimo i tuoi sentimenti. Anch'io vorrei spazzar via quell'esercito, ma non posso ancora riuscirci. Però, se tu pensi che questo possa aiutarti, sei libera di prendere le decisioni che credi più appropriate. Io non ti ostacolerò.
Aang non finiva mai di stupirla. La tranquillità che irradiava riusciva ad annientare perfino l'aura furiosa di Katara. Gli tese una mano, che lui afferrò prontamente.
 - Voglio andare a combattere. Lasciami andare con Sokka.
Lui non rispose, ma sorrise dolcemente e strinse di più la sua mano. Un sorriso fece capolino anche sull'altro volto.
Poi, improvvisamente, da lontano, Katara parlò.
 - Ti accompagneremo noi da lui. Non c'è motivo di rimanere qui, e in questo modo almeno per un altro po' potrete continuare gli allenamenti - disse. - Toph, scusami per prima. Aang, so bene che avete ragione. Scusate - continuò, avvicinandosi a loro e tendendo una mano per toccare le loro, ancora intrecciate.
 - Bene! Si va al Polo Nord! - concluse il ragazzo, entusiasta. Foche-pinguino, continuava a ripetere il suo cervello.

*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
23-1-2011
Yay, Polo Nord! :D Avete tremato per un attimo per la sorte di Sokka, eh? ù____ù XD
Toph-acida-da-troppa-vicinanza-con-Katara mi ha fatta sganasciare moltissimo :°D Diciamo che è così che la immagino dopo una convivenza forzata così lunga. à_à Però povera Katara, la maltratto sempre troppo anche se le voglio così bene ;_;
Grazie mille a chi ha letto e recensito, e anche ai lettori silenziosi, che temo non esistano, perchè in questa sezione ormai ci conosciamo tutti XD
Fatemi sapere se non si è capito qualcosa o se ho finito per sollevare dubbi imprevisti ò_ò

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Capitolo 3
*** Conquista ***


Capitolo 3 - Conquista


La sala del trono era ogni giorno più buia. I drappi rossi alle pareti si tingevano di un viola cupo; l'aria era calda e pesante.
Azula era seduta al centro della stanza. Era quello, il posto che spettava al Signore del Fuoco. Una carica che si era meritata, e che si era presa senza sotterfugi. Le piaceva quella postazione; aveva fatto disporre il soppalco proprio nel mezzo della sala, in modo tale da poter eventualmente ricevere i sudditi tutt'intorno a sè, per far notare che non temeva nessuno. Nessuno avrebbe osato attaccarla, mai, nemmeno alle spalle. Ispirava soggezione.
Le piaceva.
Le fiamme blu che la circondavano costantemente, silenziose, a tratti sibilanti, non erano altro che pura scenografia.
Non aveva paura di nulla.
Non aveva motivo di averne.

Da quando, due anni prima, era diventata la nuova regnante, mai nessuno aveva osato mettere in dubbio la sua autorità. Forse era la pazzia che si poteva scorgere in fondo ai suoi occhi; forse era l'aria di superiorità con cui trattava gli altri, e che non concedeva scampo a nessuno. Forse era l'abilità che aveva comprovato nella conquista di Ba Sing Se, roccaforte a cui aveva dovuto arrendersi anche il Dragone dell'Ovest, e che lei aveva espugnato con grande facilità ed infinita maestria.
Forse era solo la potenza che aveva dimostrato nel distruggere il proprio padre. Non un velo di pietà era calato durante quell'Agni Kai; Azula non aveva esitato per nemmeno un secondo. Semplicemente, come nulla fosse, come se la tensione non si fosse mai fatta sentire nelle sue vene, si era voltata e aveva ucciso. Nessuna remora. Nessun pentimento, mai, da quel lontano giorno.
Ozai era poi stato sepolto, in pompa magna e con gli onori che gli spettavano, perchè era stato un grande Signore del Fuoco e aveva fatto molto per portare la sua Nazione più in alto possibile. Azula aveva voluto che i suoi funerali fossero magnifici: non certo per onorare il padre, quanto per evitare che qualcuno potesse lamentarsi del trattamento che gli aveva riservato. Così, il popolo si era beato con l'immagine della grande e forte regina, pietosa nei confronti dell'amato padre, sconfitto in un combattimento giusto. Lo scettro doveva passare di mano in mano per rendere grande la Nazione del fuoco, ed era legittimo che fosse il più forte a regnare.
Nessuno pensò mai all'abominio che quella giovane principessa aveva compiuto, nè all'assurdità di quella sfida pubblica, che Ozai non aveva potuto rifiutare per orgoglio, e di cui era caduto vittima.
Forse nessuno vide, quel giorno, il terrore negli occhi di Ozai, grande Signore del fuoco, mentre si rendeva conto che sua figlia stava davvero per colpirlo con la sola intenzione di ucciderlo. E forse nessuno vide nemmeno la derisione che fiammeggiava in quelli di lei, al pensiero di quell'uomo che stava per essere eliminato; cancellato dallo stesso pretesto a cui era ricorso per cacciare l'unico figlio maschio che era riuscito a generare. L'ironia del caso, si disse lui. Ma quella non era più una fatalità: come era stato con Zuko, era pura premeditazione. Quel grande dominatore non potè far a meno di sorridere, nei suoi ultimi istanti, pensando che la figlia gli somigliasse più di quello che credeva possibile.

Da quel giorno lontano, Azula non aveva fatto altro che consolidare il proprio potere, e nel frattempo far scomparire tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarla nei suoi grandiosi piani. Poco per volta, erano stati imprigionati tutti i suoi vecchi nemici; anche i nobili di Ba Sing Se, con cui il padre aveva voluto essere accondiscendente - solo vagamente, perchè in fondo era lui il loro padrone, e l'obbedienza gli era più che dovuta - per evitare congiure e sommosse, dalla sua ascesa al trono erano intrappolati nelle mura interne in attesa di giudizio. Giudizio che avrebbe significato certamente la morte, e Azula fremeva d'impazienza ogni giorno di più al solo pensarci, e i fulmini le si accendevano tra le dita, e lì si spegnevano. Giorno dopo giorno, infatti, si era accorta di dover rimandareva un futuro sempre più lontano le questioni che riguardavano la conquista delle altre nazioni, e di doversi invece concentrare sui quei pochi focolai interni, che pure avrebbero potuto minare in maniera sostanziosa i tentacoli del suo piano di controllo. Meglio stroncare le opposizioni sul nascere, le avevano sempre detto.
Nel governo, era aiutata da pochi consiglieri, assolutamente fidati e continuamente ricambiati ed eliminati per garantire la riservatezza del suo comando. Alla difesa del palazzo - anche se non era mai stato attaccato, fino ad allora - pensava il Dai Li, un manipolo scelto di Dominatori della Terra, che aveva tradito il proprio Re dopo la conquista della grande capitale per schierarsi con il partito più forte. E tra Ozai e Azula, avevano notato subito chi fosse più potente. Azula ancora sorrideva, nel ricordare come quel gruppo di guerrieri l'avesse implorata di farli combattere per lei. Sapeva bene che dei mercenari non ci si poteva fidare; in quel momento, però, i loro interessi erano simili, e aveva deciso di sfruttare quell'improvvisa e falsa devozione, con la sicurezza di poter poi eliminare chi le avesse dato filo da torcere. All'interno del Dai Li si erano già contate alcune vittime; questo era bastato per scoraggiare qualsiasi ulteriore tentativo di sommossa.
Non fidarti di nessuno, tranne che di te stessa: questo era il suo unico credo. Così, aveva finito per allontanare - o eliminare, più generalmente, perchè è molto più facile cancellare adesso che correggere in un secondo momento - tutti coloro che conosceva, attorniandosi così di una cerchia di manichini: persone neutrali, intercambiabili, per niente essenziali.
Nessun legame. Nessuna debolezza.
Le piaceva.


Non che avesse mai avuto grandi vincoli con delle persone in particolare. Sua madre era scomparsa quando lei era piccola; suo padre era morto per mano sua; suo fratello era ancora disperso, ma lei non sarebbe certamente andata alla ricerca di quel traditore. Non le interessava. Se le fosse capitato tra le mani, l'avrebbe semplicemente giustiziato, eliminando così anche l'ultimo stretto legame di sangue che le rimaneva. C'era stato, a onor del vero, un periodo in cui era stata davvero ossessionata dalla ricerca di Zuko, e lo ricordava bene; ma la sua era sempre stata una gelosia di base, trasformatasi, nel capire quanto fosse futile desiderare l'amore assoluto del padre, in pura volontà di cancellare i deboli. Ora però il fratello non rappresentava più un pericolo; niente e nessuno era più una minaccia per lei. Perciò, anche se le sue guardie avevano sempre l'ordine di ricerca di Zuko stampato in testa, lui non era più una priorità. Come non lo erano più quelle due ragazzine che si professavano sue amiche e che l'avevano abbandonata proprio all'apice del successo, appena prima della sua incoronazione, poco dopo l'Agni Kai contro suo padre: la loro assenza aveva quasi fatto breccia nella roccia in cui si era trasformato il suo orgoglio. Ricordava di averle odiate profondamente, allora; e avrebbe voluto partire subito per andarle a cercare, ma non aveva potuto, perchè gli obblighi di corte la tenevano legata a quel posto. Ecco: era stata quella la prima volta in cui si era resa conto che forse uccidere Ozai era stato un errore; in un attimo, si era accorta che forse sarebbe stato meglio mantenere un manichino al potere, e continuare a muoversi come più le pareva fino ad eliminare tutti gli opponenti.
A quel tempo, aveva scosso la testa, come per scacciare quel pensiero; e la scosse anche in quel momento. Era troppo tardi ormai; non esisteva, nè sarebbe mai esistito, qualcuno in grado di sostituirla. Lei era unica.
No. Ora le cose essenziali da fare erano consolidare e uccidere. Due azioni strettamente legate, nella sua mente.
Non una rivolta, in quei due anni. Non un singolo attentato, nè un tentativo di attaccare il palazzo. Non un solo funzionario ucciso da una mano che non fosse la sua; non una persona che non la temesse e la venerasse.
Un'unica roccaforte rimasta, tra le alte mura di ghiaccio del polo. Un'unica nota stonata nell'armonia quasi perfetta che era andata creandosi nella sua mente, in quel globo in cui era l'unica sovrana indiscussa.
L'Avatar era disperso da anni; vivo, probabilmente, perchè non le era giunta voce che si fosse reincarnato. Vivo, e nascosto, o magari intrappolato in qualche ghiacciaio come era già successo un secolo prima. Ma nemmeno l'Avatar sarebbe stato un problema; nessuno avrebbe mai potuto batterla, nemmeno il padrone dei quattro elementi. Lei era invincibile, e nessuna certezza era più nitida di questa.
Ormai era giunta l'ora.
Sogghignò, al pensiero di Ba Sing Se che si avvicinava giorno dopo giorno, e di quella gente finalmente sterminata; rise, roca, ben sapendo che nessun ghiaccio avrebbe potuto resistere al suo fulmine.
Presto avrebbe potuto alzarsi da quel trono, e conquistare.



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25-1-2011
Ok, spero di aver tirato abbastanza nodi al pettine :D Molte cose sono state spiegate sull'attuale situazione mondiale, anche se forse alcune si erano già intuite nei capitoli precedenti. Sì, Azula è ora a capo della Nazione del Fuoco. Sono dell'idea che anche nella serie animata, se non fosse impazzita di gelosia per il fratello, avrebbe finito per prendersi il trono. è_é L'ho sempre pensato. Lei è troppo più forte di tutti XD Il prossimo capitolo sarà l'ultimo di quelli introduttivi in cui viene spiegata la situazione - perchè gli ambienti di movimento sono quattro in tutto, almeno nella mia testa - e poi finalmente cominceremo a muoverci. è_é Prevedo capitoli almeno un po' più lunghi, in seguito, anche se questo è venuto tutto sommato abbastanza ampio, quasi 1500 parole, molto più di quanto immaginassi o_o
Analizzare Azula è stato oltremodo stimolante. Non credevo sarebbe stato così bello. E' proprio vero che chi prova la nazione del fuoco non la lascia più :°D
Commenti? :D Commenti? :D :D :D

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Capitolo 4
*** In gabbia ***


Capitolo 4 - In gabbia

Ty Lee sospirò, chiusa nella sua cella di ghiaccio.
 - Che noia - borbottò, guardando il soffitto. Lo stesso soffitto di ogni giorno. Non una singola differenza - e non che ci fosse molta speranza di vederne, dato che per una minima novità avrebbe forse dovuto aspettare il disgelo.
Abbassò lo sguardo e fissò le stalattiti che, scendendo verso terra, formavano le sbarre, ben consapevole del fatto che molto probabilmente nascondevano un cuore di duro acciaio. Così, per sicurezza.
 - Che noiaaa - ripetè, con un tono più alto. - Noiaaaaa - continuò, strascicando le vocali finali. - Nooooooiiiiiiiaaaaaaa - provò ancora, concentrandosi sull'eco generato dalle parole appena pronunciate. - Si muore di noiaaaa - gridò, rivolta all'esterno. Non ottenendo risposta, adagiò il mento sui palmi delle mani, i gomiti posati sulle ginocchia. Era seduta su un blocco di ghiaccio malamente ricoperto con una pelliccia, e non potè fare a meno di notare come il suo fondoschiena stesse perdendo sensibilità minuto dopo minuto.
 - Che nooooiii-
 - La vuoi smettere una buona volta? - urlò Mai da una delle celle vicine, già esasperata, interrompendola.
 - Ma sto morendo di noiaaaa - motivò l'altra, avvicinandosi alle sbarre e afferrandole, per poi cambiare idea nell'attimo immediatamente successivo. Ritrasse le mani e le portò vicino alla bocca, tentando di scaldarle con il fiato.
 - Trovati qualcosa da fare - tagliò corto Mai.
 - Ma stavo facendo qualcosa. Provavo gli effetti dell'eco!
 - Sono tre settimane che provi gli effetti dell'eco. Tre - intere - settimane! - sibilò.
Ty Lee si risentì per un secondo, e ammutolì.
 - Perchè non torni a fare le tue acrobazie? - la rimbeccò Mai.
 - Il pavimento è troppo freddo qui - motivò lei, un'espressione triste in viso. - Mi si gelano le mani - spiegò ancora, fissandosi le dita.
Ci fu un attimo di silenzio. Mai non era mai stata una persona di molte parole; quando non doveva parlare per forza, preferiva stare zitta.
 - Ho un'idea! Chiediamo di uscire! - ricominciò l'altra, un gran sorriso in volto.
 - La nostra ora d'aria è stata poco fa. Saranno passati sì e no venti minuti - la demotivò, rimanendo seduta, a braccia conserte e gambe accavallate.
 - Magari ci faranno uscire ancora!
Mai sospirò, ormai senza un briciolo di pazienza. - Prova a domandarlo alla guardia. Almeno per un po' non dovrò sentire le tue farneticazioni.
 - Eh? Tu non vieni? - domandò l'altra, appiattendosi all'unico muro che la sua cella e quella dell'amica avevano in comune. - Non è divertente se non vieni anche tu!
 - Sono irremovibile. - tagliò corto, seccata.
Ty Lee si imbronciò. Per fortuna non puoi vedermi, pensò, facendo una linguaccia in sua direzione.
 - Signora guardia! - chiamò infine. - Signora guardiaaaa....
Mai si tappò le orecchie con i palmi delle mani, alzando gli occhi al cielo.
 - Signor guardiaaaaanoooooooo - gridò ancora, e la solfa ricominciò.

Bato della Tribù dell'Acqua del Sud sospirò divertito, e sorrise da dietro la porta aperta nel corridoio che dava alle celle. Era la terza volta che quella scenetta si ripeteva, quella mattina - o forse la quarta, non ne era sicuro. Era raro che i turni di guardia toccassero a lui, perchè con le sue competenze era di solito molto più utile altrove; però, per il quieto vivere della comunità, e per quanto le rotazioni nei compiti fossero abbastanza flessibili, certe volte anche un uomo della sua importanza doveva arrendersi a quelle incombenze. Non che fosse così spiacevole; era divertente poter staccare un po' la spina dall'organizzazione della roccaforte, soprattutto se il suo ruolo era quello di sorvegliare quelle due ragazzine. Mosse il piede sinistro, e si avviò.
 - Signor guardiaaaaaanooooooo - chiamò Ty Lee, a volume sempre più alto, le mani raccolte a coppa attorno alla bocca.
 - Sono qui! Sono io - rispose, camminando lentamente e spostando il peso da una gamba all'altra, per far risuonare di più i propri passi nel lungo corridoio.
 - Signor Bato! - esclamò la ragazza, saltellando di felicità, riconoscendo quella sua strana abitudine. - E' tornato a trovarci!
Bato rise.
 - Non è certo una visita di cortesia, Ty Lee, lo sai bene - disse, sorridendo, infilando le mani in tasca.
 - Non importa! Come sta? Com'è la situazione fuori? - domandò lei, sempre più entusiasta.
 - Sai bene che non dovrei parlare di politica con un prigioniero - la rimbeccò ancora.
 - Su, signor Bato, le abbiamo salvato la vita! Almeno un po' di riconoscenza dovrebbe dimostrarla, non pensa?
Bato sorrise ancora. Quello era uno dei punti dolenti su cui avrebbe sempre potuto far leva.
 - E sentiamo, perchè mi hai chiamato?
Ty Lee sorrise, con espressione furba.
 - Posso uscire, signor guardiano? - domandò, portandosi una mano alla guancia, uno sguardo seducente in viso, le labbra a cuore. - Qui fa così freddo...
Bato rise di nuovo, questa volta sguaiatamente.
 - Questa piccola scimmia in gabbia dimentica che sono sposato e con figli - si giustificò, puntandole il dito contro e avvicinando il viso alle sbarre.
 - Oh? Nelle tribù dell'acqua non esiste il divorzio? - continuò, innocente, la mano davanti alle labbra e le sopracciglia corrugate di dispiacere. Poi non potè più resistere, e scoppiò a ridere a sua volta.
Mai, dalla sua cella, sospirò. Quella scenetta si ripeteva ogni volta che quel Bato faceva il turno di guardia. E già sapeva come sarebbe andata a finire.
 - Solo cinque minuti, signor Bato - chiese ancora, sorridendo.
 - E sia - le concesse, afferrando il mazzo di chiavi. Quella ragazza gli stava simpatica; inoltre, conosceva bene il motivo per cui non aveva mai tentato di scappare da lì, ed era lo stesso per cui non avrebbe mai nemmeno provato a fuggire. Il clic della serratura, il tonfo del chiavistello che cadeva, e la porta era aperta. Per pura cortesia, come ogni volta, formulò quella domanda.
 - Vuole uscire anche lei, signorina Mai? - disse, cercando di essere rassicurante.
 - Se la porti pure via - rispose l'altra, secca, come ogni volta.
Ty Lee saltellò ancora, impaziente, dietro di lui.
 - Agli ordini, capo - concluse Bato, voltandosi e incamminandosi mentre l'acrobata, fremente, lo seguiva nel cortile, entusiasta.

Appena i due furono abbastanza lontani, Mai inspirò profondamente l'aria fredda della sua cella, ed espirò, lasciando finalmente riposare i muscoli della sua schiena, rimasta rigida fino ad allora per mantenere una posizione piena di contegno. Non che qualcuno la stesse guardando, ma era un'abitudine dura da abbandonare.
Si alzò in piedi, con tutta l'intenzione di stendersi nella sua brandina di pellicce e schiacciare un pisolino mentre c'era ancora silenzio. Non poteva dire di star male, chiusa lì dentro; a lei, al contrario di Ty Lee, non davano fastidio nè la mancanza d'aria nè l'impossibilità di muoversi. Per quanto fossero nemiche di quel popolo, e prigioniere a tutti gli effetti, la tribù dell'Acqua del Nord non le stava trattando affatto come tali. Le loro gabbie, nei limiti del possibile, erano spaziose e comode; senza finestre, come era ovvio fosse, ma questo particolare le rendeva molto simili a un qualsiasi palazzo della Nazione del fuoco, e ciò spiegava la familiarità con cui si era adeguata in fretta alla sua nuova condizione di reclusa. L'unica cosa a poterla infastidire era la massiccia presenza di pelli e pellicce tutt'intorno; tuttavia, si era presto resa conto della necessità di quel rivestimento, che avrebbe loro permesso di non morire assiderate, perlomeno; perciò, aveva finito per adeguarsi anche a quello. Le celle non erano nè buie nè luminose; pur non avendo nessuna dotazione a riguardo per la notte - mettere una torcia in un igloo con un membro della Nazione del Fuoco non sarebbe stata un'idea molto brillante - di giorno la debole luminescenza che filtrava dal ghiaccio era sufficiente a rischiararle. La quantità di luce desiderata era poi facilmente manovrabile posizionando delle pelli in punti strategici.
Sollevò uno degli strati di coperte malamente ammucchiate sul suo letto, e cercò di infilarsi sotto il peso di tutto quel pelo - la sua strana consistenza era qualcosa a cui forse non si sarebbe mai abituata, alla luce di tutti gli anni passati ad usare a malapena un lenzuolino. Posò la testa sul cuscino, e come sempre i pensieri la assalirono. Perchè mai aveva deciso di seguire Ty Lee in quella pazzia? Non sarebbe stato più semplice rimanere a palazzo?
No, non lo sarebbe stato, rimuginò. Saremmo entrambe già morte da un pezzo.

Quando aveva visto lampeggiare di furia gli occhi di Azula, mentre uccideva il proprio padre, Mai aveva capito che anche loro avrebbero presto fatto la stessa identica fine. Il lungo sguardo scambiato con Ty Lee, e passato inosservato dalla loro amica che si stava beando della perfetta riuscita del suo piano, era stato sufficiente a farle capire come entrambe stessero pensando la stessa cosa.
Per la prima volta nella loro vita, avevano capito che avrebbero dovuto lottare per sopravvivere.
Quella era stata l'ultima volta che avevano visto Azula; erano troppo turbate per incontrarla ancora una volta, e il loro timore sarebbe risultato evidente da ogni affannato respiro. Il macigno improvvisamente posatosi sullo stomaco di Mai le aveva fatto capire che l'unica soluzione possibile sarebbe stata la fuga. Sì, fuggire, ma dove? Non c'era nessun luogo sicuro, sulla faccia della terra. Tuttavia, il senso di sopravvivenza le suggeriva che questa era l'unica opzione possibile.
Fu Ty Lee ad elaborare l'unica soluzione che sembrasse attuabile in quel contesto. Pur avendo preparato il piano in fretta e furia, la piccola acrobata aveva ponderato ogni minima mossa con attenzione certosina, proprio come le era stato insegnato all'Accademia.
Poche ore dopo la sconfitta di Ozai, mentre Azula non si era ancora accorta della loro assenza, si erano dirette alla Roccia Bollente e avevano prelevato i prigionieri di guerra più importanti. Visto che la notizia del trionfo di Azula si era già diffusa di bocca in bocca, non fu difficile far credere ai guardiani - i quali, dopotutto, obbedivano allo zio di Mai, il quale, ricordando il rapporto tra la nipote e la neoeletta regnante, aveva garantito la loro buona fede - che la prima volontà del nuovo Signore del Fuoco fosse giustiziare in pubblico gli incarcerati più pericolosi. Avrebbero provveduto loro due a scortarli, dopo averli storditi a sufficienza; nessuno pensò quindi alla potenziale pericolosità dell'azione che stavano per facilitare.
Portati i prigionieri fuori dalla Roccia Bollente, attesero il recupero della loro lucidità, osservandoli da lontano. I primi a riprendersi furono gli uomini più muscolosi, che si rivelarono poi essere i capi della forze ribelli delle Tribù dell'Acqua del Sud. Bato era tra loro, ed era uno dei pochi - ma non certo il solo - ad avere ricordi abbastanza chiari sul modo in cui quelle due ragazzine, ora ben nascoste tra i rami degli alberi, li avessero tirati fuori da quell'inferno. In fretta e furia organizzarono il gruppo, che contava almeno una ventina di persone; erano consci del fatto che presto, molto presto, qualcuno avrebbe notato come l'intera faccenda puzzasse di bruciato. Senza nemmeno riposare, pur essendo stremati, si misero in marcia verso il Polo Nord, sperando di ottenere assistenza da quello che notoriamente era l'ultimo baluardo della resistenza.
Ci volle un bel po' di tempo ad arrivare fin laggiù; quel lontano paese non era certo dietro l'angolo. In più, dovettero impadronirsi di provviste e mezzi di trasporto; per quanto fossero abituati a continue privazioni, non tutti loro erano in grado di sopportare un viaggio così lungo e, allo stesso tempo, così precipitoso.
Quelle due ragazzine continuavano a pedinarli. Dopo un po' di tempo, Bato ne parlò agli altri, e scoprì che quasi tutti avevano già notato la loro presenza. Alcuni erano addirittura certi che quell'inseguimento fosse finalizzato a scoprire se realmente il Polo Nord fosse l'ultima roccaforte rimasta, o se magari ci fossero altre basi segrete sparse per il mondo. Spie, insomma. Bato non era d'accordo; in quel caso, non sarebbe stata necessaria la liberazione di così tante persone; e poi, notava qualcosa di davvero disperato nel loro modo di rincorrerli. No, si ripeteva, scuotendo la testa: la loro sembrava più una fuga. Ma una fuga da cosa? Se nemmeno due ragazzine della Nazione del fuoco potevano più essere al sicuro, come potevano, loro, sperare di mettersi in salvo?
Dal canto loro, Mai e Ty Lee si erano presto rese conto che mai, prima di allora, avevano capito quale fosse il vero significato della parola scappare; per quanto Azula fosse presa dalle sue nuove incombenze, in un paio di giorni era riuscita a lanciare un intero manipolo di Dominatori del Fuoco all'inseguimento delle sue amiche, con tutta l'intenzione di riportarle a palazzo. E solo lei sapeva cosa avrebbe fatto dopo. In un lampo, fu chiaro ad entrambe che non avrebbero più potuto tornare indietro.
La verità sulle due misteriose inseguitrici si fece chiara solo all'arrivo al Polo Nord. L'intero gruppo era braccato su due lati: da una parte c'era un intero esercito della Nazione del fuoco occupato ad attaccare le massicce mura di ghiaccio; dall'altra, c'era il piccolo ma esperto gruppo di dominatori lanciati al loro inseguimento. Stretti in quella morsa, non c'era alternativa alla lotta; e quelle due ragazzine avevano combattutto come alleate dei ribelli, contro la loro stessa nazione.
Mentre le osservava lanciare pugnali e annientare domini, era riuscito, per la prima volta, ad intravedere un barlume di speranza. Improvvisamente, la possibilità di poter concludere quella guerra gli era sembrata meno lontana.
Alla fine di quel lunghissimo assedio, a cui la città era riuscita a resistere, era stata presa la decisione di farle entrare in città, ma come prigioniere. La loro morte sarebbe stata un sacrificio inutile; la loro vita, invece, poteva essere essenziale per le negoziazioni. Con le opportune misure di sicurezza, erano state chiuse in carcere.
Così, il piano di Ty Lee si era avverato nella sua completezza: la ragazza aveva capito fin da principio che l'unico posto in cui Azula non sarebbe arrivata in tempi brevi era il Polo Nord, e che avrebbero potuto entrarci solo come prigioniere. Era risaputo che i dominatori dell'acqua non amavano fare vittime, se non era strettamente necessario - tutte le nazioni avevano questo credo, a dire il vero, prima dell'ascesa al potere di Sozin. Una volta lì, avrebbero avuto almeno un po' di tempo per pensare al da farsi.

Mei si sforzò di inalare l'aria a grosse boccate, bloccando quei pochi e affannati respiri che si era ritrovata a fare durante tutta la durata di quei ricordi . Non era mai riuscita a dormire bene, da quando era lì dentro. Il pensiero di Azula era onnipresente; la paura che lei le trovasse la paralizzava. Non sarebbe riuscita ad addormentarsi nemmeno allora.
Su una sola previsione Ty Lee si era sbagliata: la presenza dell'Avatar in quel palazzo. In quei due anni di prigionia, nessuna delle due ne aveva mai avuto notizia. E, se non c'era l'Avatar, non c'era nemmeno una traccia di speranza rimanente, per quanto quella gente si affannasse a combattere.
Azula era troppo potente. Nessuno era alla sua altezza.
Rabbrividì, stringendosi più forte nella pelliccia.

Udì Ty Lee rientrare e correre nel corridoio, seguita dal singolare passo di quell'uomo. Percepì la sua presenza davanti alla porta della propria cella. Riusciva quasi ad immaginarsela, mentre si sporgeva verso le sbarre per controllare se lei stesse dormendo sul serio. Si sforzò di fare dei respiri regolari, finchè non la sentì allontanarsi, tornando al proprio posto dopo aver ringraziato Bato per la passeggiata.



*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
28-1-2011
Ok, questo capitolo mi sembra francamente ETERNO o_o
So bene di aver detto, giusto nel capitolo precedente, che il quarto sarebbe stato l'ultimo dell'introduzione; alla fine, però, sono giunta alla conclusione che fosse meglio farne cinque. Avevo altre due scene da descrivere - e sì, in una c'è Sokka, lo so che lo state aspettando XD - ma, essendo questo capitolo già di 2500 parole ed essendo abbastanza pesante come contenuti, ho preferito bloccarlo qui e continuare nel prossimo. La famosa quinta parte non tarderà quindi ad arrivare, perchè devo solo metterla per iscritto :D, ma vi avviso che ho la febbre e questo potrebbe ritardare un po' la pubblicazione - anche se spero di no :)
Che dite? Ci sono stati errori di continuity troppo evidenti?
So bene che Bato non era intrappolato nella Roccia Bollente, nel cartone animato; tuttavia, essendo uno dei capi della ribellione, ho trovato più giusto che stesse lì insieme ad Hakoda e agli altri. Cioè, se mi vengono a dire che il dominatore del fuoco che ha tentato di scappare con un frigo era più pericoloso di Bato, potrei non crederci :°D Questo motiva la mia scelta. è_é
Domande? Si è capito abbastanza bene il piano di Ty Lee? Dubbi?
Sono convinta del fatto che Mei, se non fosse stata Ty Lee ad insistere e ad elaborare una strategia, non sarebbe fuggita così in fretta, perchè mi sembra più in linea col suo modo di fare che, pur cogliendo il pericolo, starebbe a vedere come si evolveva la situazione. Proprio per questo motivo, però, finisce per trovare insopportabile la situazione in cui si è cacciata - e devo ammettere che chiunque avrebbe problemi a stare nello stesso blocco di celle di una tipa rumorosa come Ty Lee, e ciò spiega anche il suo esaurimento nervoso :°D
Sono di nuovo diventata prolissa in un capitolo pieno di gente della Nazione del fuoco. T_T Vi prometto che non lo faccio più ;_;
Commenti? Vi prego? :D Commenti? :D
Buona serata a tutti :D
Kuruccha

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Capitolo 5
*** Fuori dalla gabbia ***


Capitolo 5 - Fuori dalla gabbia

 - Signor Bato?
L'uomo sollevò lo sguardo, distogliendo l'attenzione dalla sensazione di beatitudine derivatagli dal fumo della pipa, stretta tra le labbra e le dita. Osservò Ty Lee, rannicchiata su un blocco di ghiaccio nel centro esatto del cortile, le mani infilate tra le ginocchia per evitare di perdere qualche falange con il freddo.
 - Non dovrebbe fumare, lo sa? - lo redarguì. - Fa male alla salute.
Bato sorrise. Per lui, quello del tabacco non era un vizio irrinunciabile; piuttosto, trovava gradevole aspirare qualche saporita boccata d'aria calda, specialmente nei lunghi turni, appena si presentasse la possibilità di uscire all'aperto.
 - Oh, dai, solo per questa volta - giustificò, scrollando le spalle.
La ragazza sorrise. Diceva la stessa cosa a ogni turno di guardia. Strinse più forte le gambe, rabbrividendo, e tornò a guardare il cielo.
Quel cortile era spazioso, probabilmente progettato per ospitare molti detenuti durante l'ora d'aria; tuttavia, restava quasi sempre inutilizzato per la mancanza effettiva di prigionieri. Le gigantesche pareti di ghiaccio, liscissime, si allungavano verso l'alto e sembravano non finire mai. Anche quello era parzialmente un effetto ottico; l'intero spiazzo era almeno un paio di metri sotto il livello del resto della prigione, come si poteva ben notare dalla luce che riusciva a filtrare attraverso gli spessi muri, molto più fioca; e i muri veri e propri erano alti altri tre o quattro metri. Proprio per questo motivo, in quel cubicolo faceva molto più freddo che altrove; tuttavia, Ty Lee lo sopportava volentieri, pur di non essere costretta ad avere un basso e soffocante soffitto sopra la testa. Cominciava ad apprezzare ogni giorno di più le massicce ma slanciate architetture tipiche delle tribù dell'Acqua, che finivano sempre per ricordarle quel circo in cui aveva trovato un po' di felicità. Mai gliel'aveva appena tornare in mente.
Avrebbe voluto avere un trapezio. Avrebbe voluto fare delle acrobazie.
Si guardò intorno, e non vide niente su cui poter prendere un appiglio. Ovvio. Che razza di prigione sarebbe stata, se ci fossero state delle maniglie sui muri?
 - Signor Bato?
 - Dimmi - rispose, alzandosi in piedi e infilando una mano in tasca.
 - Che lavoro faceva, prima di questa guerra? - domandò.
L'uomo la guardò con espressione interrogativa.
 - Cosa intendi con lavoro? - chiese, con il fumo caldo della pipa che gli usciva involontariamente dalla bocca a ogni parola.
 - Uhm... cosa faceva per vivere, tipo - spiegò lei, meravigliandosi che un termine del genere potesse avere significati fraintendibili.
 - Ah... beh... cacciavo. Non è che ci sia molto altro da fare, al Polo, oltre a cacciare, pescare e conciare pelli, e quest'ultimo è un compito prettamente femminile - rispose, - Ma questo ovviamente è stato prima dei miei sedici anni. Quando sono diventato un uomo, sono partito per la guerra, come tutti.
Ty Lee si sentì in colpa, pur non avendo avuto un ruolo diretto in quella triste realtà.
 - Oh - fu l'unica cosa che riuscì a dire. L'aria si era fatta pesante.
 - E tu, cosa facevi? Andavi a scuola? - domandò Bato, interessato, accorgendosi di sapere ben poco della cultura della Nazione del Fuoco.
 - Signor Bato, non sono certo una bambina! - gli rispose, il tono tra l'indignato e il divertito, le braccia ora conserte in petto. - Quando sono arrivata qui avevo già finito l'accademia da un pezzo - continuò, - anche se ammetto di essere stata sempre un elemento un po'... anomalo, ecco - concluse.
 - Perchè? - la interrogò ancora, incamminandosi verso di lei. Il tabacco della pipa aveva appena smesso di bruciare.
 - Il mio modo di rapportarmi con la società non era molto ortodosso, per così dire - motivò ancora.
 - Non capisco - disse lui, sedendosi poco distante da lei.
 - Dopo la scuola, da noi, tutto ciò che ci si aspetta da una ragazza è che lei trovi un buon marito, si sistemi e cominci a procreare, grossomodo - spiegò. - Io ho tante sorelle, e volevo distinguermi da loro, e così sono entrata in un circo - concluse, non sapendo bene se esserne fiera o se sentirsi imbarazzata.
 - In un circo? - domandò ancora Bato, con un gran sorriso in volto. - Hai avuto dei trascorsi molto originali - continuò, con tutta l'intenzione di farti un complimento. - E poi? Perchè ora non sei più lì?
 - Azula è venuta a prendermi, e da allora sono sempre stata con lei, fino al nostro arrivo qui al Polo Nord - spiegò.
Questa volta fu il turno dell'uomo di dire solo un "oh", con voce piena di rammarico e imbarazzo. Seguì un altro attimo di silenzio.
 - Signor Bato. Ci sono notizie di Azula? - chiese lei, per la seconda volta. L'uomo sapeva bene di non poterle dire nulla che riguardasse la guerra, ma quell'informazione era quasi dovuta.
 - E' ancora nella capitale, stando ai nostri informatori - raccontò, - Non si è mai mossa di lì. E speriamo che ci rimanga. Quella ragazza fa paura anche a me - ammise, rabbrividendo - E il giorno in cui deciderà di attaccarci sul serio potrebbe davvero essere l'ultimo.
 - E l'Avatar dov'è? - chiese lei, curiosa. - Lui è forse l'unico che potrebbe metterle i bastoni tra le ruote.
Bato si voltò verso Ty Lee, ed incrociò il suo sguardo per un secondo. - Non lo sappiamo. Ma tornerà. Sokka ne è sicuro.
Ty Lee sorrise, ricordando quel tipo carino, sempre con il codino e sempre senza maniche.
 - E la ragazza di Sokka come sta?
 - In salute - rispose ancora, ricordandosi di come Suki fosse effettivamente malconcia, dopo i mesi di prigionia e la loro precipitosa fuga. - Si è ripresa, e ora combatte insieme agli altri - concluse, sorridendo, e vedendo un sorriso anche sul viso della ragazza.
 - Bene! - esclamò, balzando in piedi e stiracchiandosi, le braccia allungate al massimo verso l'alto. - Ora possiamo rientrare, Signor Bato, se è stanco di stare qui - suggerì, guardandolo in viso.
 - Per me va bene anche rimanere all'aperto, se non hai fretta di tornare in cella - le rispose, alzando il viso per scaldarsi con i pochi raggi che arrivavano nel cortile. Ty Lee tornò a sedersi, seguendo il suo esempio e voltando il viso verso il sole, con gli occhi chiusi.
Per un po' si godettero, zitti, il vago tepore emanato dal disco incandescente, e inaspettatamente fu Bato a prendere la parola per primo.
 - Perchè non mi mostri cosa sai fare? - la provocò. - Ricordo bene di averti visto fare delle acrobazie pazzesche, anni fa, durante quell'attacco. Quasi mi ero incantato, a vederti fare così tante capriole su te stessa.
Ty Lee fece un gigantesco sorriso.
 - Molto volentieri! - accettò. - E' così tanto tempo che non mi sgranchisco! - esclamò, balzando nuovamente in piedi e saltellando sul posto, agitando contemporaneamente le braccia per scaldare i muscoli intorpiditi. - Però non so se sono ancora capace, è tanto tempo che non mi alleno più - spiegò, aprendo e chiudendo freneticamente le dita.
Bato si bloccò, perplesso. - E perchè?
 - E' impossibile fare acrobazie, se non posso poggiare le mani per terra. Il suolo è troppo freddo, qui, e mi si ghiacciano. Non riescono a reggere il peso del corpo. E poi, per quanto la cella sia spaziosa, è ancora troppo piccola - motivò.
L'uomo le lanciò un paio di guanti. - Usa questi, sono miracolosi!
Ty Lee osservò quel paio di manopole, con solo il pollice e l'indice staccati dalle altre dita. Pelo raso dipinto di blu, con un interno di peluria  lunga ed incredibilmente morbida. Li infilò. Le erano enormi, e in ogni dito c'era spazio per almeno un'altra falange, però erano davvero caldissimi, visto che lui li aveva appena sfilati ed avevano un potere isolante davvero notevole. Si beò in quel tepore, sentendo le mani scaldarsi davvero per la prima volta dopo mesi. Provò a piegare le dita, e si sentì di nuovo una bambina piccola con addosso i vestiti di papà.
 - Non vanno bene?
 - No, anzi, sono davvero perfetti - lo tranquillizzò, dandosi uno slancio in avanti e posando le mani a terra, rimanendo in posizione, dritta in una verticale perfetta. Piegò le ginocchia e cominciò a fare dei piccoli passi, in equilibrio sui palmi. Il suo cuore gioì, nel sentire finalmente i piedi così lontani da terra.
 - Come sei brava! - si complimentò lui, battendo le mani nude.
 - E non ha ancora visto la parte migliore - rispose lei, curvando la schiena e posando di nuovo le piccole scarpe sulla neve, slanciandosi per tornare in posizione eretta. Da lì, sollevò di nuovo le braccia e partì in una serie di velocissime capovolte, posando alternativamente mani e piedi e contando mentalmente i giri fatti dal suo corpo. Era una bella sensazione, dopo tutto quel tempo passato in un'immobilità pressochè totale, soprattutto se paragonata alle sue abitudini precedenti. Arrivata alla decima capriola, flettè i gomiti e si adagiò lentamente al suolo, posando ogni centimetro dalla nuca ai talloni. Era già accaldata; sono proprio fuori allenamento, pensò. Era così felice che trovò addirittura piacevole il freddo che le raggiungeva la pelle anche attraverso il cappotto pesante. Ansimò, il viso rivolto al cielo, le nuvolette del caldo fiato che salivano verso l'alto.
 - Tutto bene? - sentì dire, e la testa di Bato entrò nella sua visuale.
 - Mai stata meglio - lo rassicurò, sorridendo. Ed era proprio vero.
Le porse una mano per aiutarla a sollevarsi, che lei afferrò prontamente. Peccato che la presa su quel guanto non fosse sufficientemente ferma; ragion per cui resse per un po', ma alla fine la manopola si sfilò e Ty Lee diede una sonora capocciata al suolo. Risero entrambi, perchè la situazione era davvero comica come poche, e i momenti così divertenti erano sempre più rari. Riprovarono, pelle contro pelle, a ruoli invertiti: quella fredda di lui e quella incredibilmente calda di lei.
Una volta in piedi, Ty Lee si sfilò anche l'altro guanto e glielo porse.
 - Grazie mille - gli disse, chinando la testa in un gesto di riconoscenza.
 - Tienili pure - rispose lui, offrendole l'altra manopola. - Ti serviranno, se vorrai fare altre acrobazie.
Un altro sorriso, l'ennesimo di quella giornata. A volte bastava così poco per dare felicità. Afferrò ciò che lui le porgeva, e si portò al viso le mani di nuovo coperte, riscoprendo la bella sensazione del pelo raso sulla pelle fredda delle guance arrossate.
 - Così il mio debito nei vostri confronti diminuirà almeno un po' - spiegò ancora, sospirando, ma con un tono tutt'altro che triste.
 - Di quale debito parla, signor Bato? E' stato lei a salvarci, piuttosto!
Sorrise anche lui. - Allora prendilo come un regalo e basta - risolse, poggiandole una mano sulla testa e scompigliandole i capelli.


Sokka strinse più forte gli occhi, e si posò un avambraccio sulle palpebre chiuse. Non sapeva che ora fosse, ma si rifiutava categoricamente anche solo di pensare che fosse già tempo di alzarsi. Le giornate libere erano così rare che andavano sfruttate fino all'ultimo minuto, e niente era più bello che dormire fino a tardi. Benchè non fosse un dominatore dell'Acqua, aveva finito per assumere i ritmi capovolti della gente del Polo Nord, il cui cervello funzionava meglio a notte inoltrata; sonnecchiare fino a ora di pranzo, tuttavia, era un lusso concesso solo a pochi eletti, e rigorosamente a turno, perchè erano in guerra con gente che si alzava col sole - come si ripetè ghignando, ricordandosi le grasse risate provocate, in età pre-adolescenziale, da quel doppio senso ben noto a tutti i ragazzini - e che all'alba era già pronta a bombardare le mura, impietosa. Le riunioni strategiche venivano fatte sempre dopo il tramonto, momento in cui i dominatori del Fuoco si ritiravano, e spesso si protraevano fino a tarda notte, permettendo così solo poche ore di sonno effettivo.
Si rigirò nel sacco a pelo, portandosi a pancia in giù. Nel muoversi socchiuse gli occhi, e quello fu l'errore più grande, perchè una volta che apri gli occhi il sonno fugge via. Rassegnato, sbadigliò, e mosse un braccio fuori dalle coperte di pelliccia. Era freddo, ma non troppo. Lo ricordava peggio; ragion per cui si ostinava a dormire in canottiera. Si voltò sul fianco.
Allungò la mano verso Suki e le accarezzò i capelli arruffati. Stava ancora dormendo. Certo che la gente del Regno della Terra, invece, non ha proprio orari, eh, pensò. Lei si mosse, e mugugnò qualcosa; poi, si girò a testa in giù sul cuscino.
 - Guarda che così ti soffochi - le disse, punzecchiandole una guancia col dito.
 Come unica risposta ottenne un mmh fffh, di cui ignorava il significato. La sentì respirare a fondo, e poi buttar fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni.
Sorrise. Strane abitudini che aveva imparato a conoscere.
Ufficialmente, anche se Sokka godeva del privilegio di una stanza singola, loro due non avrebbero potuto dormire insieme. Le tradizioni delle tribù dell'Acqua erano molto rigide a riguardo: per fare quel genere di cose bisognava essere sposati. E loro non lo erano.
Però - forse perchè Suki non era un membro a tutti gli effetti della tribù, pur valendo la regola del "E qui comando io, e questa è casa mia"; forse per il fatto che mai nessuno aveva fatto questa scoperta eclatante; forse perchè loro stessi facevano di tutto per salvare le apparenze; o forse semplicemente perchè in tempi così bui anche le vecchie bigotte erano disposte a soprassedere - non erano mai stati redarguiti per il loro comportamento poco consono. Questo tuttavia spiegava bene perchè quella fosse la camera di Sokka, e ci fossero - almeno parlando degli oggetti in bella vista di giorno - un solo sacco a pelo, un solo cuscino e un solo bicchiere. Prima o poi devo decidermi, si disse. Se lo ripeteva un po' troppo spesso, ultimamente.
Continuò a tormentare la sua guancia, finchè lei non si stufò e voltò la testa dall'altra parte. Iniziò a punzecchiarle la nuca.
Visto che nemmeno quello faceva effetto, giunse alla misura definitiva: quella che lui aveva ribattezzato con orgoglio freddo pungente e inaspettato.
Sollevò la coperta.
Nessuna reazione.
Ci rimase male, e si sollevò sul gomito per controllare che fosse ancora viva - perchè mai fino ad allora lo scherzo non gli era riuscito, e un fallimento così clamoroso esigeva una scusa davvero seria.
Lei, rapidissima, rotolò su se stessa e gli spinse il braccio. Sokka mollò una craniata al mucchio di pelli che faceva da materasso. Colpito e affondato.
 - Buongiorno - disse lei, con tono da saputella.
Nessuna risposta dall'ammasso confuso di lisci capelli che si era schiantato poco prima.
 - Dillo, dai, dillo - insistette lei, punzecchiandogli la pelle morbida del viso, su cui era cresciuto giusto un filo di barba.
 - Buongiorno - scandì Sokka, senza alzarsi dalla posizione in cui ancora si trovava.
 - No, non quello, non quello - continuò, - Sai benissimo cosa voglio sentire - lo provocò.
Un attimo di silenzio.
Capì che non l'avrebbe scampata in nessun caso.
 - Hai vinto tu, d'accordo - concesse, lanciandole un'occhiatacchia tra i ciuffi dei capelli.
Suki rise, soddisfatta. Gli posò un bacio sulla nuca, trovandola inaspettatamente caldissima, e gli accarezzò i capelli.
 - Dai, pelandrone, in piedi! - ordinò, sfilandogli via il sacco a pelo. Tutto ciò che ottenne in risposta fu un lamentoso gemito.


*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
31-1-11
Ultimo aggiornamento del mese (incredibile, eh? XDDD)
Questo capitolo è lunghissimo, più di 2500 parole o_o Sono sconvolta! Però è molto più leggero degli scorsi quattro, perchè a parte lo sproloquio di Sokka sulla bigotteria delle tradizioni delle Tribù dell'Acqua non c'è molto XD A parte il discorso sui dominatori del Fuoco che si alzano col sole.... :°°°°°°°°°D Avrò anche una mente deviata, ma mi ha fatto ridere dalla prima volta che ho visto quell'episodio. XD
Mi rendo conto che il pezzo con Ty Lee e Bato è lunghissimo, ma mi sono accorta di aver creato un nuovo crack!pairing. :°D Scherzi a parte, non prevedo implicazioni sentimentali, in fondo Bato è un uomo sposato di una tribù bigotta, suvvia ù____ù Però mi piace molto come interagiscono tra loro, quindi ben venga è_é
Sokka e Suki si comportano molto da coppia-che-sta-insieme-da-una-vita :°D Anche loro mi piacciono molto, ma questo già si sapeva.
Se questo capitolo è pieno di smancerie è perchè sono una femmina, quindi perdonatemi XD Nel prossimo mi tratterrò, lo giuro è_é
Comunque, almeno nelle mie intenzioni, questo era l'ultimo capitolo introduttivo in senso stretto. Dal prossimo ci si muove. Si spera. :°D
Grazie mille per aver letto e per ogni eventuale commento :3
Buona serata a tutti :D
Kuruccha

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Capitolo 6
*** Quotidianità ***


Capitolo 6 - Quotidianità

Era una sera calda ed afosa, preludio di quella che si sarebbe rivelata un'altra notte eterna e terribile. Con tutta quell'umidità, riuscire ad addormentarsi sarebbe stato un miracolo; l'unica speranza di sollievo proveniva dalle nere nubi in lontananza, dentro cui borbottavano cupi tuoni. Speranza non troppo vana, forse; tutto sommato, però, un tempo che ispirava malumore. Nell'aria, un vago odore di pioggia che penetrava tra le tende, tirate per isolare il salone dalla rumorosa strada esterna; suoni di gente affaccendata, che si affrettava verso casa sperando in un buon piatto già pieno.
Pur senza sapere esattamente che ora fosse, Zuko poteva rendersi conto che il tempo di cenare era ormai vicino. Era il momento in cui il suo stomaco galleggiava in uno stato di incertezza, non ancora svuotato del tutto ma prossimo ad esserlo, e in cui iniziava perciò a reclamare delle cibarie consistenti, ben diverse dal tè sorseggiato durante il pomeriggio. Poteva sentire, nella stanza accanto, i suoni ben noti dello zio Iroh che armeggiava con mestoli e pentoloni, nel tentativo di preparare qualcosa che andasse oltre il semplice concetto di commestibilità. Quella sera ci sarebbero stati ospiti e, se l'esperienza non lo ingannava, era sicuro che si sarebbe impegnato al massimo per fare un figurone. Proprio per quel motivo, si trattenne dall'andare verso la cucina per cercare qualcosa da spiluccare: avrebbe finito solo per rovinarsi l'appetito, in prospettiva dell'ottima cena che lo attendeva.
Udì i passi veloci di qualcuno che si avvicinava alla veranda; lo sentì prendere fiato, e dopo un secondo l'inconfondibile trillo della campanella d'ingresso lo distrasse da ogni pensiero. Lo zio era ancora in cucina, e stava cantando. Sicuramente non l'aveva notato. Sospirando, si alzò, ed andò ad aprire la porta.
 - Avanti - si limitò a borbottare.
 - Oh, ciao, Li! - lo salutò Jin, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo come niente fosse.
Espansiva come al solito, pensò lui, sorridendo lievemente e poggiandole una mano sulla schiena.
 - Guarda! - esclamò lei, allontanandosi e porgendogli una scatola avvolta in un panno - Ho portato dei dolci!
 - Grazie mille. Lo zio ne sarà felice.
Iroh, sentendosi nominato, si affacciò dalla cucina con in mano un mestolo fumante e con addosso il solito grembiule. - Ben arrivata!
 - Buonasera, zio! I miei genitori arriveranno tra poco, sono stati trattenuti in negozio - spiegò, avvicinandosi a lui, - Perciò io sono venuta ad avvertirvi. Questi sono dei dolci - continuò, porgendogli l'incarto.
 - Molto gentile da parte vostra - rispose Iroh, afferrando la scatola ed esaminando la decorazione impressa sulla stoffa. - La zuppa è quasi pronta, ma aspettare non è un problema. E' il bello delle minestre, dopotutto - concluse, ridacchiando, forse per qualche ricordo noto solo a lui. - Perchè voi ragazzi intanto non bevete un tè, di là nel salone? Nel frattempo io posso finire di preparare la cena - disse, armeggiando con una teiera e una coppia di tazzine che sembravano già pronte all'uso.
Fin troppo bravo a premeditare, pensò Zuko.
Jin sembrava entusiasta, ma bere un tè era l'ultima cosa che lui avrebbe voluto fare.
 - Ti serve una mano, zio? - propose, evasivo.
 - Assolutamente no, ho quasi finito. Vai pure a divertirti - concluse, secco, sorridendo, porgendogli un vassoio e posandogli un'inequivocabile pacca sulla spalla.
Zuko sospirò, vagamente divertito. Lo zio non cambiava proprio mai; i suoi tentativi di spingerlo tra le braccia di quella ragazza erano sempre stati innumerevoli. Non poteva biasimarlo; dopotutto, tentare di costruire dei rapporti era nella natura di qualsiasi essere umano, che la sua identità fosse fasulla o meno, e proprio per questo Iroh continuava ad organizzare quelle cene.
Afferrò il vassoio dalla sua mano tesa, e decise di provare ad accontentarlo, per quella volta.



 - Avete preso tutto? Siete sicuri?
Katara osservò Aang, intento a stringere una cinghia della sella del povero Appa, carico come un mulo degli oggetti più disparati; il suo sguardo si posò poi su Toph che, dal canto suo, era già comodamente seduta a bordo, le braccia incrociate dietro la nuca, intenta a muovere le dita del piede destro, poggiato sull'altro ginocchio. Non roviniamoci la giornata, fino ad ora è andato tutto bene, vietato innervosirsi, pensò. Prese una consistente boccata d'aria, chiuse gli occhi e contò fino a dieci.
Aang notò quello strano atteggiamento - di cui aveva già ricevuto una spiegazione, e che sembrava ripetersi più spesso, ultimamente - e sorrise sotto i baffi.
 - E' tutto a posto. Non manca niente - la rassicurò, appena la sentì espirare rumorosamente. - Possiamo partire quando vogliamo.
Lei alzò lo sguardo, e gli sorrise. Poi si voltò, e osservò quello che era stato il loro campo base nelle scorse quattro settimane. Erano abituati - o meglio costretti - a cambiare spesso postazione per non essere individuati dalla Nazione del Fuoco; era pur vero, però, che quella radura si era rivelata inaspettatamente comoda e isolata, ragion per cui avevano potuto restarci più a lungo del solito. Le sarebbe mancata, in qualche modo; da troppo tempo sentiva il bisogno di avere una base fissa, e per troppo tempo era stata invece obbligata dalle circostanze a vagabondare più di quanto avrebbe desiderato. La tristezza per questo distacco, tuttavia, era molto mitigata dalla felicità che si faceva sempre più spazio in fondo al suo stomaco. Dopo un anno e mezzo, praticamente un'eternità, avrebbe potuto rivedere Sokka. Non aveva mai passato così tanto tempo lontana da suo fratello - e mai avrebbe pensato di poterlo passare, dopotutto - e, per quanto non volesse ammetterlo, le mancava terribilmente - e non era l'unica. Non solamente per le sue battute e i suoi improbabili soprannomi; in generale, per l'aria più spensierata che una volta si poteva respirare all'interno del gruppo, e per la sua capacità di amalgamare ogni componente e renderlo più tollerabile agli altri. Rimpiangeva i bei tempi in cui riusciva ancora ad andare quasi d'accordo con Toph. Benchè Sokka si facesse sentire periodicamente mediante un falco messaggero - chissà dove l'aveva trovato, poi, - tra una missiva e l'altra passava sempre troppo tempo; senza contare, poi, che probabilmente anche il povero animale passava i suoi brutti quarti d'ora a cercare di rintracciarli.
Ora avevano deciso di andare da lui, certo; nell'ultima lettera aveva scritto, tra le altre cose, di trovarsi al Polo Nord, ma c'era da sperare che nel frattempo non si fosse mosso da lì. In ogni caso, piano piano, avrebbero provato a raggiungerlo, pur costretti a tappe forzate per non farsi notare troppo, e per riposare.
 - Sarà un viaggio difficile - intervenì Aang, atterrandole vicino e intuendo i suoi pensieri.
Aveva ragione. L'unico modo per far passare inosservato un enorme bisonte volante come Appa, tra l'altro carico di persone e cose, sarebbe stato quello di mantenere costantemente una cortina di vapore acqueo sospesa tutt'intorno a lui. Ciò, però, oltre a richiedere uno sforzo notevole e continuativo da parte sia di Aang che di Katara, vista la necessità dei domini sia dell'Aria che dell'Acqua, non era particolarmente piacevole per nessuno di loro. Era infatti inevitabile ritrovarsi fradici nel giro di una decina di minuti; in più, la combinazione di vestiti bagnati e aria fredda causata dalla velocità non era per niente salutare.
 - Andiamo - affermò lei, riscuotendosi. - Temporeggiare è inutile, e questa è l'ora perfetta per viaggiare, no?
Era vero. Dopo il tramonto, quasi nessuno guardava più le nuvole in cielo; era meglio sfruttare quei residui di luminosità per fare più strada possibile.
 - Verso Nord, allora - le disse, sorridendo.
 - Verso Nord - confermò, decisa, sorridendo a sua volta.
 - Yahoo, e Nord sia! Si parte! - gridò Toph, agitandosi da sopra alla sella, seguita da un verso esultante di Appa.



 - Zio, era tutto buonissimo! - affermò convinta Jin, le mani congiunte davanti al viso.
Iroh sorrise. Probabilmente non era vero - non si era mai reputato un grande cuoco, a dir la verità, - ma pur non potendo apprezzare la sincerità di quel commento, sicuramente elogiava la buona volontà di fargli piacere che ne stava alla base.
 - E' proprio vero, era delizioso - confermò la madre di Jin, il tovagliolo ancora davanti alle labbra. - Specialmente quel contorno di funghi... Davvero meraviglioso. Deve assolutamente passarmi la ricetta!
Iroh rise, non credendo davvero possibile un tale dispiegamento di lodi.
 - E' l'ora del dolce - disse, evasivo. - O meglio, dei vostri biscotti - continuò, afferrando il piatto in cui li aveva disposti.
 - Io sono piena! Noi andiamo a passeggiare! - gridò Jin, esultante, alzandosi di scatto dalla sedia e lanciando il tovagliolo sul tavolo. - Vero, Li? Vero che sei pieno anche tu? Andiamo a passeggiare! - continuò, afferrandogli il braccio e tentando di sollevarlo. Zuko era davvero spiazzato da tutto quell'entusiasmo. Lanciò un'occhiata interrogativa allo zio, che si limitò a sorridere.
 - Ah, la gioventù - fu l'unica cosa che gli sentì dire, rivolto ai genitori della ragazza, prima di essere definitivamente trascinato fuori dalla sala da pranzo.

L'aria si era fatta leggermente più fresca - non se n'era accorto, stando chiuso in casa, ma lo notò subito appena uscito - e il temporale sembrava sempre più vicino. C'erano ancora alcune persone che camminavano verso casa, ma erano perlopiù veloci e silenziose; l'unico rumore era ora il tintinnìo dei piatti che venivano svuotati o lavati, nelle abitazioni così come nei tanti locali di Ba Sing Se. Perfino i soldati della Nazione del Fuoco erano impegnati a mangiare, e le pattuglie sembravano essersi dileguate.
Jin continuava a camminare tenendolo stretto per un braccio, silenziosa come l'ambiente tutt'intorno, ma apparentemente felice. Era quasi contento anche lui, a vederla così - e gli sarebbe piaciuto restare in quello stato di grazia, ma la verità tornava sempre a galla in pochi secondi, e gli ricordava chi fosse in realtà, impedendogli di godere appieno di quella spensieratezza.
 - Dove andiamo? - domandò, tanto per dire qualcosa.
 - Dove vuoi tu - rispose subito lei, stringendosi più forte al suo braccio.
Avrebbe dovuto allontanarla, ma proprio non ci riusciva - e si riscoprì a pensare che il calore che si irradiava dalla sua mano, aggrappata a lui, opposta all'aria fresca, fosse incredibilmente piacevole.
Non aveva in mente nessun luogo in particolare - non c'era un posto che gli piacesse più degli altri, in quella città - e così finì per percorrere a memoria la strada che portava al Jasmine Dragon. Una volta lì, però, non seppe più cosa fare.
 - Ehm... - fu l'unica cosa che riuscì a dire, vagamente imbarazzato.
 - Sediamoci, ti va? - gli domandò, indicando con un cenno del mento gli scalini che conducevano alla sala da tè.
Come al solito, si fece trascinare. Jin gli si sedette un po' troppo vicino, come faceva sempre, e inizio a parlare del più e del meno, apparentemente senza nemmeno curarsi di essere ascoltata, e Zuko lasciò navigare i pensieri. Non che non le stesse badando - solo, partendo da un pensiero, arrivava ad analizzarne un secondo che non c'entrava assolutamente niente.
Poi, improvvisamente, la ragazza si bloccò e lo fissò.
Per un attimo, Zuko temette di essersi perso una domanda. Si maledì mentalmente per la distrazione.
 - Li - comiciò, - E' da un po' che volevo chiederti una cosa, ma non so se posso.
Lui la guardò, interrogativo. - Dimmi.
 - Puoi anche non rispondere, se non ti va - continuò, guardandolo negli occhi.
 - Dimmi pure.
Avrebbe voluto sentirlo parlare ancora della sua vita passata; avrebbe voluto sapere cosa aveva fatto tutto il tempo prima del suo arrivo in quella città. Avrebbe voluto chiedergli dello zio, e del perchè non vivesse con i suoi genitori. Aveva paura, però, che fosse una ferita ancora aperta, E poi, non sono cose che si chiedono così, chiacchierando, si disse. Cambiò domanda all'ultimo momento.
 - Quanti... Quanti anni hai?
Ok, potevo sforzarmi di trovarne una migliore, si sgridò mentalmente.
Zuko la fissò, perplesso per l'ennesima volta quella sera, sollevando un sopracciglio.
 - Non sai se puoi chiedermi quanti anni ho? - domandò.
 - Beh, non me l'hai mai detto, in fondo - cercò di arrabattarsi lei, distogliendo lo sguardo.
Gli venne da ridere, ed era tanto tempo che non succedeva. Era riuscito a farla imbarazzare, e non credeva ne sarebbe mai stato capace.
 - Diciannove - rispose, divertito. - Diciannove, ormai.
 - Come sarebbe a dire ormai? Mi stai indirettamente dando della vecchia - protestò.
Zuko rise per il tono furioso che traspariva dalla voce dell'amica.
 - Non intendevo dire questo - la rassicurò, posando le mani sullo scalino e alzando lo sguardo al cielo. - E' solo che questi ultimi anni mi sembrano passati in un lampo, e improvvisamente mi sono ritrovato adulto. Ma senza capire realmente come sono arrivato fin qui.
Jin lo guardò, felice. Poche volte, prima d'allora, lui aveva intrapreso un discorso che andasse oltre la mera quotidianità; proprio per questo motivo, anche un pensiero quasi banale come quello - addirittura un luogo comune, come l'avrebbero considerato in molti; in fondo, chi non aveva provato la sensazione di trovarsi grande da un giorno all'altro? - era per lei un passo in avanti. Forse le domande di prima non sarebbero state così fuori luogo. Ma è troppo presto, ancora, si ripetè, trattenendosi. Si limitò ad annuire all'affermazione del ragazzo.
 - E' lo stesso per me. Siamo in due a non saper cosa ci riserverà il destino, temo - disse poi.
Zuko si voltò verso di lei. - Hai detto bene, siamo in due.
 - Oh, beh, però alcune cose le so per certo. Ad esempio, vorrei aprire una sala da tè come quella dello zio. E poi vorrei sposarmi con te ed avere tanti bambini - concluse, punzecchiandogli una spalla col dito teso. Zuko fece finta di non aver sentito l'ultima parte.
 - Allora tu sai già come sarà la tua vita - rispose, evasivo.
 - Ti sbagli. Questo non è come sarà, ma come vorrei che fosse. E' diverso. Le mie sono solo speranze. Fantasie - motivò. - Il mio destino è un altro. So bene che probabilmente dovrò lavorare nel negozio dei miei genitori, ed ereditarlo quando avrò l'età giusta.
 - Ma tu non lo vuoi - le disse. - Non devi farlo, se non lo desideri. Dovresti lottare per avverare i tuoi desideri - continuò, infervorandosi. Tu meriti di essere felice, pensò.
 - Io lo sto facendo - rispose, decisa. - Sto lottando. Ma a volte mi sembra di non arrivare da nessuna parte. Dubito che da un momento all'altro ti inginocchierai e chiederai la mia mano, ad esempio - spiegò, tra l'innervosito e l'imbarazzato, ben conscia che non avrebbe dovuto lasciarsi scappare una lamentela del genere.
Zuko si morse un labbro, punto sul vivo del suo senso di colpa.
 - Scusa - fu l'unica cosa che fu capace di dire, voltandole le spalle. Si alzò e si incamminò verso casa, conscio che lei l'avrebbe seguito a pochi passi di distanza, pur senza dire nulla nè pretendere nessuna spiegazione. Maledizione, imprecò tra sè e sè.




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8/2/2011
Aggiornamento dopo più di una settimana G_G ARGH! Scusate ;_; Ci ho messo davvero una vita, e per tanti motivi differenti. Prima di tutto, sono stata ammalata - e lo sono tuttora, per quanto io mi ostini a negarlo e ad andare a lavorare lo stesso; - in secondo luogo, la genesi di questo insieme di parole è stata lunghissima, e ciò a cui volevo arrivare in realtà è quello che andrà a costituire il prossimo capitolo (il problema è, appunto, che ci ho messo più del previsto ad arrivare alla sostanza - anche se devo dire di essermela goduta XD). Avrei voluto farne solo uno, ma avrebbe finito per allungarsi all'inverosimile, visto che solo per arrivare fin qui mi ci sono volute più di duemila parole; personalmente, da lettrice, trovo che i capitoli troppo lunghi siano troppo noiosi, e così si è sdoppiato. è_é
Questo capitolo ha finito quindi per essere forse un po' vuoto di contenuti, ma ha tanti pezzi che mi piacciono davvero. Soprattutto la fine, perchè sono sempre più convinta che la persistenza di Jin sia una sua grande dote, e non finirò mai di apprezzarla *_* Mi piace come si stanno delineando i personaggi secondari - tipo Jin appunto, e Bato - anche se immagino sia una goduria comprensibile solo dall'autore, e che per i lettori sia solo una noia XD
Mi ero ripromessa di trattare più di un'ambientazione all'interno di ogni capitolo, ma alla fine ho come l'impressione che il pezzo dedicato a Katara-Aang-Toph-Appa sembri solo una parentesi. Non era mia intenzione; semplicemente, la questione di Zuko è molto più centrale per la storia, in questo momento - senza nascondere poi che le paranoie di questo ragazzo sono pane per i miei denti XD. Cercherò di trattenermi, giuro, ma non garantisco nulla XD

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Capitolo 7
*** Strategie ***


Capitolo 7 - Strategie



Manovrare una parte di quella combinazione di elementi le era sempre piaciuto molto.
La nebbiolina, impalpabile e capace di penetrare fino alle ossa, prodotto di quell'unione, le era odiosa e cara allo stesso tempo.
Per quanto il risultato finale fosse sgradevole - i vestiti fradici, e tutto il resto - e il dominio richiedesse uno sforzo notevole se prolungato così a lungo, non poteva fare a meno di pensare, ogni singola volta, che l'armonia che riusciva ad instaurare con Aang valesse tutti quegli sforzi. Era una di quelle esperienze in cui non conta il risultato finale, quanto il processo in sè, insomma; e ciò che glielo rendeva più caro era appunto che fosse Aang l'altra controparte attiva.
Quello non era, infatti, l'unico amalgama a cui era abituata. Molte volte aveva fatto allenamenti combinati con Toph, e creato del viscidissimo fango - sicuramente peggio della nebbia, come consistenza, ma molto più divertente da maneggiare; - tuttavia, interagire con l'elemento dell'amica non era facile. Non solo per via della sua cecità, e quindi del modo diverso di approciarsi al dominio; il problema, piuttosto, era la loro scarsa affinità quando si trattava di collaborare, e la tendenza di Toph a idolare la Terra come l'elemento più forte. Ragion per cui era costretta a un controllo meno equilibrato dell'Acqua, più sottomesso; la Terra travolgeva e costringeva, l'Acqua si incanalava e obbediva. Il loro non era un rapporto paritario; in quella fusione, lei era solo una minoranza.
Con Aang era diverso. Con lui, poteva davvero sentirsi una delle due metà dell'insieme. Con lui, Aria ed Acqua non erano solo un miscuglio confuso, ma diventavano un impasto omogeneo, una fusione. Nel dominio di Aang c'erano attenzione e rispetto. L'Aria soffiava e rinfrescava, l'Acqua scorreva e inumidiva.
Spesso temeva di non meritare un grado di considerazione così alto. Anche Aang aveva avuto dei dubbi simili ai suoi - gliel'aveva confermato, quando aveva provato a parlargliene - ma dopo un po' avevano capito che, se erano capaci di interagire così bene tra loro, era solo perchè entrambi tenevano in ugual misura al rapporto che legava l'una all'altro.
Quando i loro occhi si incrociavano, in quei momenti in cui erano soli al mondo, e lei lo vedeva sorridere attraverso la nebbia, finiva per pensare che la felicità fosse contagiosa, e che mai e poi mai avrebbe rinunciato a quei momenti di pura gioia in cui poteva sentirsi il centro di un piccolo universo.



 - No, così non va! Dobbiamo agire! - gridò Hahn, sbattendo il pugno chiuso sulla grande tavolata di ghiaccio.
Sokka sospirò. Le riunioni serali erano già di per sè abbastanza snervanti, e il ragazzo urlante che pretendeva di aver ragione era davvero la ciliegina sulla torta di quella terrificante giornata. Si abbandonò contro il solido e freddo muro, incrociando le braccia al petto. Chiuse gli occhi, ben conscio che sarebbe stato inutile tentare di spiegare le proprie ragioni.
 - Ascolta, Hahn - ribattè Hakoda, - Non ho detto che la tua non sia una buona idea. Però è davvero troppo pericolosa, e non possiamo permetterci di correre un simile rischio.
Ammirò la professionalità del padre che, pur dopo una dura e lunghissima giornata, era in grado di mantenere un grado così alto di diplomazia. Se si fosse trattato di lui, gli sarebbe saltato subito al collo - come aveva già fatto più di una volta, in effetti.
Quel ragazzo lo irritava. Dal loro primo incontro non era cambiato di una virgola: sempre il solito spaccone, con lo stesso identico desiderio di essere al centro dell'attenzione e dell'ammirazione di tutti quanti. La morte di Yue non l'aveva minimamente sfiorato - un sacrificio necessario per sopravvivere a quell'assedio, l'aveva definita, e quella era stata una delle volte in cui non aveva potuto trattenersi dal prenderlo a pugni - e in quegli anni non era certo diventato più adulto, pur essendo addirittura diventato padre, nel frattempo.
Gli faceva prudere le mani.
Sokka era riuscito a diventare un po' più controllato, in quegli anni; con Hahn, però, nessuna tecnica funzionava.
 - Non possiamo nemmeno limitarci solo a difendere le mura! Moriremo come topi! - continuò il ragazzo, imperterrito, scattando in piedi.
L'assemblea tacque, mentre lui ansimava.
Fu infine Arnook, il capo tribù, a prendere la parola.
 - Ne abbiamo già parlato molte volte, Hahn. Tutto ciò che voglio fare è garantire la sopravvivenza di questa gente - spiegò, calmo. - Dovresti capire il mio punto di vista. Ora hai anche tu qualcuno da difendere, dopotutto.
Hahn ammutolì per un secondo, ma ricominciò subito ad urlare.
 - Ma i dominatori della Nazione del Fuoco aumentano ogni giorno! Spuntano come funghi!
Funghi, pensò Sokka, colto da un ricordo molto divertente. Pensò che fosse meglio non condividerlo, vista la situazione.
 - Presto, molto presto, la nostra difesa non sarà più sufficiente. Non possiamo pensare che ricostruire ogni notte le mura abbattute sia una soluzione! - gridò, ancora più forte, il viso sempre più scarlatto.
 - Me ne rendo conto. Ce ne rendiamo tutti conto - continuò Arnook, ponendo le mani avanti. - Ma non abbiamo modo di controbattere, se non in un attacco diretto. E uno scontro richiederebbe delle vittime. Non voglio sacrificare nessuno, tra la mia gente.
 - Andrò io, allora. Qui nessuno sembra avere abbastanza fegato! - ricominciò, battendo i palmi aperti sul duro ghiaccio del tavolo.
 - Smettila di voler fare l'eroe a tutti i costi! - sbottò Sokka, scattando in piedi e stringendo i pugni.
 - Parla la ragazzina - lo provocò Hahn.
Sokka scattò in avanti verso il coetaneo, ma venne bloccato dal braccio del padre davanti al suo petto. Sentì i muscoli tendersi ancora di più, appena sotto la pelle.
 - Tu non farai niente e non andrai da nessuna parte senza l'approvazione di questo consiglio - li interruppe Arnook. - Qualcun altro ha qualcosa da aggiungere, a questo riguardo? - domandò, guardando negli occhi ognuno di loro.
Ancora una volta, il silenzio calò nella sala.
Le schiene, tese, si rilassarono; le spalle si fecero meno dritte.
 - Altre comunicazioni importanti? - chiese Bato, intervenendo per la prima volta.
 - Le mura a Est hanno bisogno di più dominatori in difesa. Pare ieri sia stato rafforzato l'attacco in quel punto, sono arrivate almeno un paio di nuove navi della Nazione del Fuoco - intervenne uno degli altri membri dell'assemblea.
 - Sposterò qualcuno dal settore sud - rispose Pakku, - Anche se preferirei non muovere i miei allievi dalle loro postazioni, francamente.
Adattarsi a un nuovo gruppo è sempre difficile, pensò, già domandandosi a chi sarebbe stato meglio chiedere quel favore.
 - Grazie, maestro Pakku - disse Arnook. - Altre notizie?
 - Le donne della zona Nord hanno detto che la carne comincia a scarseggiare - intervenne Hakoda - e anche le riserve di pesce stanno ormai per esaurirsi. Se non vogliamo trovarci costretti a mangiare solo prugne di mare, sarà il caso di organizzare una spedizione - concluse.
 - Ne terremo conto per l'organizzazione dei turni di domani. Grazie, Hakoda - gli rispose ancora Arnook. - C'è altro?
 Tutti rimasero in silenzio, osservandosi gli uni con gli altri.
 - Possiamo andare, allora - concesse, alzandosi in piedi. - Buona cena e buona notte a tutti - disse infine il capo tribù.
Chiacchierando e sbadigliando, tutti si avviarono verso la propria casa.



Era già il loro quinto giorno di viaggio. O, per meglio dire, la quinta notte.
Inizialmente, non avevano previsto di muoversi solo ed unicamente nelle ore buie; tuttavia, presto si erano resi conto che sarebbe stato meglio così. Di notte viaggiavano; di giorno scendevano a terra e riposavano.
Per Toph, tutto ciò rappresentava una incredibile noia. Prima di tutto, ovviamente, perchè la sua parte attiva nella faccenda era davvero pari a zero. Senza dimenticare il fatto, poi, che la creazione della nebbia da parte degli altri pretendeva un loro coinvolgimento pressochè totale, e quindi assolutamente nessuna distrazione. In quegli sdolcinati momenti, in cui quei due erano così schifosamente in simbiosi, non poteva permettersi di scambiare con loro nemmeno una parola.
E poi, volare non le era mai piaciuto.
Avrebbe voluto raggiungere la testa di Appa, ma aveva troppa paura di muoversi dalla sella. Capire dove fosse il solido sotto i suoi piedi era ancora impossibile, per lei.
Si sporse dal bordo di cuoio, l'unica cosa che ad impedirle di cadere nel vuoto. Desiderò di avere un paio di occhi funzionanti per poter guardare il cielo, e scorgere lontano il primo bagliore dell'alba, che le avrebbe permesso di ricongiungersi al proprio elemento.
Avrebbe voluto scaricare tutta quell'energia in un allenamento combinato con Aang. Sono pur sempre qui per insegnargli. Peccato che sia lui che Katara non avessero nemmeno le energie per srotolare i loro sacchi a pelo, una volta atterrati, e si limitassero ad addormentarsi sulla sella senza nemmeno mangiare un boccone. Almeno non devo sorbirmi le prugne di mare, pensò.
Si abbandonò all'indietro, stiracchiandosi e allungando le gambe quanto più potesse. Rotolò su un fianco, e poi a pancia in giù, e sull'altro fianco, fino a trovarsi di nuovo a pancia all'aria.
La nebbiolina che le irritava il naso era fresca, ma non ancora abbastanza fredda.
Il Polo Nord era ancora lontano.
Speriamo di arrivare presto.
Sospirò, raccogliendo le braccia dietro la testa.



Sokka si stiracchiò nella penombra del corridoio, appena uscito dalla stanza delle riunioni.
Carne. Vorrei della carne, pensò, sognando una fumante bistecca, ricordo pieno di nostalgia dei tempi di Ba Sing Se e di quando ancora viaggiava con gli altri. Sapeva bene, in ogni caso, di non potersi aspettare molto più della secca carne affumicata, tipica delle tribù del Nord.
Sospirò, mentre si dirigeva verso la propria camera. Si era appena ricordato che a Suki era stato assegnato il turno di sorveglianza notturna, per quella settimana, e che non avrebbe perciò potuto cenare con lei. Magari andrò a elemosinare della zuppa dalla nonna. L'idea di mangiare da solo non lo entusiasmava per niente. Camminando a occhi bassi, non notò fino all'ultimo momento il ragazzo che lo aspettava, appoggiato alla parete, davanti all'ingresso della sua stanza.
Hahn. Come se non avessimo già discusso a sufficienza, per stasera.
Lo guardò di soppiatto e provò ad ignorarlo, cercando di afferrare un lembo della pesante tenda, unico ostacolo che lo separava dall'agognato e meritato riposo notturno.
Venne bloccato, per la seconda volta quella sera, da un braccio messo di traverso davanti a lui.
 - Lasciami passare. Non ho niente da dirti - disse Sokka, cercando di rimanere calmo.
 - Tu non mi piaci - si limitò ad affermare Hahn, fissandolo negli occhi.
 - Non pretendo certo di piacere a tutti. E, in ogni caso, non mi interessa di quello che pensi di me - ribattè.
Momo, avendo sentito la voce di Sokka, si affacciò dalla tenda. Le sue grandi orecchie erano spalancate, pronte a captare ogni suono. Veloce, si arrampicò fino alla sua spalla, aggrappandosi alla sua casacca e mantenendo un alto grado di attenzione.
 - Smettila di mettermi i bastoni tra le ruote. Questo è un avvertimento - continuò imperterrito il ragazzo.
 - Sei solo un gradasso. Ti credi il centro del mondo, ma non è così - lo interruppe Sokka, cominciando a perdere la pazienza.
 - Ti odio dal primo momento che ti ho visto - disse ancora Hahn.
Questo è reciproco, almeno, pensò.
 - E sono convinto del fatto che non avresti mai potuto entrare nel consiglio, se Hakoda non fosse tuo padre e se tu non fossi amico dell'Avatar - concluse.
Sokka stava per scattare in avanti per la seconda volta in quella sera, le scintille di rabbia che già brillavano davanti agli occhi. Si trattenne solo al pensiero di Momo sulla sua spalla, che avrebbe potuto farsi male, ma non potè far a meno di caricare inconsciamente un pugno.
Vennero interrotti da una voce.
 - Se Sokka è nel consiglio, è perchè conosce l'attuale situazione mondiale molto meglio di quanto non facciamo noi, figliolo. Ora smettila di provocarlo e torna nella tua stanza. Non voglio ulteriori battibecchi, o sarò costretto a fare rapporto ad Arnook.
Hahn provò a ribattere, ma dopo aver visto lo sguardo deciso del padre non potè far altro che abbassare gli occhi. Lentamente, senza degnare nessuno di uno sguardo, si allontanò lungo il corridoio.
 - Quanto a te, Sokka - continuò l'uomo, voltandosi verso di lui. - Conosciamo bene il tuo valore, ma dovresti imparare a restare al tuo posto.
Il ragazzo stava per ribattere, conscio della propria innocenza, ma all'ultimo pensò fosse meglio restare zitto.
Augurò frettolosamente la buonanotte al padre di Hahn ed entrò finalmente nella propria stanza, senza nemmeno un briciolo di appetito. Si lanciò sul suo sacco a pelo, e dovette lottare un bel po' con Momo, che insisteva a volergli infilare le dita nelle orecchie.
Chissà come stanno Katara, Aang e Toph.
Gli mancavano parecchio, in quel periodo. Avrebbe voluto rivederli tutti, ma allo stesso tempo, avrebbe voluto tenere sua sorella il più lontano possibile da quel branco di bigotti. Aveva già compiuto sedici anni, dopotutto, e aveva paura anche solo di pensare a cosa avrebbe potuto capitarle.
Si alzò dal letto, con somma gioia di Momo, che si era già aggrappato alla sua testa e stava tentando di sciogliergli i capelli.
Prese della carta dal tavolo, recuperò una penna e dell'inchiosto, e cominciò a scrivere una lettera per loro.




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12-2-2011
Yeee, quattro giorni :D! Così SI' che si ragiona. ù_ù
Premetto che ero molto indecisa sul pezzo iniziale - cioè, mi piace tantissimo, ma ho paura che possa non piacere a chi legge. ò_ò E' in assoluto quello che mi ha creato più scompensi, fino ad ora. XD
Sono felice che finalmente Sokka si sia preso un po' di spazio. Quando bisogna, è capace addirittura di fare il serio XD E poi, poverino, è mega-stressato ;_; Mi dispiace tanto!
Questi quattro non stanno bene divisi, comunque ò_ò Non vedo l'ora che la Gaang si riunisca, francamente. à_à Toph è fin troppo sola, comunicare con gli altri non le riesce, ed essere inattiva non le fa bene. Questo viaggio è stancante per gli altri due, ma snervante soprattutto per lei ò_ò
Ma quanto irritante è Hahn? (Il nome non me lo sono inventata, giuro, ho cercato tutto su AvatarWiki ù_ù)
E... sì, Momo è con Sokka. Avevate notato la sua assenza? XD Questi due interagiscono in modo esilarante nel cartone animato, e Aang e gli altri non avrebbero mai lasciato partire Sokka da solo. :)
Concludo ringraziando davvero TUTTI per i graditissimi commenti, non credevo davvero che questa storia avrebbe potuto raggiungere un grado di attenzione così alto. Spero solo di mantenermi all'altezza delle vostre aspettative, ormai ho l'agitazione ogni volta che pubblico. XDDDD
Buona serata a tutti <3
Kuruccha

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Capitolo 8
*** Cambiamenti ***


Capitolo 8 - Cambiamenti


Da una mezz'ora a quella parte, come succedeva tutti i pomeriggi fin dal primo giorno d'apertura, il Jasmine Dragon straripava di persone.
La gente che, al solito, affollava le strade, riempiendo l'aria di quel brusio di fondo che caratterizza le folle, sembrava ancora più rumorosa rispetto al mattino già trascorso. Ba Sing Se prolificava, nonostante i soldati della Nazione del Fuoco fossero ovunque; nessuna città era così popolosa, nè lo era mai stata. Apparentemente, niente la accumunava ai tanti paesi fantasma dell'ex Regno della Terra.
Esattamente come in strada, anche il vociare all'interno della sala da tè era più chiassoso del dovuto.
Strano, sono solo le tre del pomeriggio, pensò Zuko, come se l'ora potesse giustificare il mancato silenzio - e come se quella fosse un'osteria, e ci si potesse aspettare che i clienti si trasformassero col semplice passare del tempo in un branco di ubriaconi urlanti.
Poi, mentre con precisione millimetrica allineava le sedie ai tavoli corrispondenti, notò che lo zio, intento a versare l'acqua nelle teiere, stava stringendo i manici ben più di quanto avrebbe dovuto. E, nel farlo, guardava lontano, fuori dalla porta aperta, come fosse concentrato nell'ascolto di qualcosa di remoto; fremeva, i nervi tesi e gli occhi socchiusi.
D'improvviso, Zuko vide, all'altezza del negozio di fronte, un uomo che correva come un forsennato, evitando abilmente la miriade di persone che gli si parava davanti.
Sembrava che scappasse, rimuginò, le mani ancora strette al legno dello schienale di una delle sedie.
Un altro uomo si precipitò lungo il viale, seguito a poca distanza da una terza persona, questa volta una donna, con la stessa concitazione dei due che l'avevano preceduta.
Sentì, alle spalle, l'inequivocabile rumore della ceramica che veniva poggiata sul legno, e poi udì lo zio parlare.
 - Prego, buon uomo. Beva pure il suo tè senza preoccuparsi.
Benchè fossero tutto sommato cordiali, trovò molto insolite le sue parole; si voltò per osservarlo. Lo vide slacciarsi il grembiule in tutta fretta e abbandonarlo insieme al vassoio sul bancone laterale.
Lo zio si avvicinò alla porta spalancata e guardò il cielo ad ovest. Scese un paio di gradini dell'entrata, e invece di fermarsi e rientrare - come Zuko si aspettava avrebbe fatto - continuò nella discesa, e mosse i primi passi in direzione del quartiere vicino.
Nel frattempo Zuko si era a sua volta avvicinato alla finestra che dava sulla strada, perplesso dal comportamento di Iroh; lo vide annusare l'aria - e solo in quel momento si accorse dell'inequivocabile odore acre che aleggiava tutt'intorno, e si chiese come i suoi sensi avessero potuto peggiorare così tanto, nel suo essere Li.
Fuoco.
Spalancò gli occhi, spaventato.
In lontananza, a ovest, nubi nere cariche di cenere, gonfie e veloci, vorticavano ripiegandosi su se stesse; un vento caldo - ancora più caldo di quell'aria bollente che sempre ristagnava tra le mura - soffiava e arroventava, irritante a contatto con la pelle nuda. Tra tutto quel nero, calde fiamme si stavano sollevando dagli edifici bassi, così tipici di quel posto.
Sentì lo sguardo di Iroh posarsi su di lui. I loro occhi si incrociarono per un solo istante, che fu sufficiente.
Io vado.
E mentre lo zio si allontanava con passo veloce, benchè nel suo cervello si stessero facendo spazio mille domande - E la sala da tè? Non possiamo lasciarla incustodita! E' piena di clienti! - non esitò un solo istante, e lo seguì.
Andiamo, si disse, e corse dietro di lui senza curarsi di nulla.



 - Sveglia, ragazze!
Suki si sentì fissare da due paia d'occhi.
 - Ma io non sto dormendo - risposero due voci, all'unisono.
 - Oh... Scusate - si giustificò, incrociando le braccia al petto e stringendo le spalle. Spostò lo sguardo da Mai a Ty Lee, ridacchiando imbarazzata. - Non sono pratica, si vede, eh? - continuò.
Le altre due si sarebbero guardate a vicenda, perplesse, se non fosse stato per il muro di ghiaccio posto tra loro; non potendolo fare, continuarono a fissarla.
 - Venite a fare colazione?
Seguì un momento di silenzio.
 - Ty Lee?
 - Dimmi, Mai.
 - E' impazzita per il freddo? - domandò.
Ty Lee e Suki risero sonoramente, in coro.
 - No, non sono pazza - rispose, sporgendosi verso la serratura che chiudeva la cella di Mai. - Sono qui in sostituzione. Penso solo che mangiare fuori da questo buco vi migliorerebbe l'umore - motivò, girando la chiave nella toppa.
Mai ammutolì, perplessa.
 - Cosa vuoi da noi?
Suki spalancò la porta.
 - Assolutamente nulla. Dovrei, forse?
 - E cosa ti assicura che non cercheremo di scappare? - le domandò, ancora seduta sul letto tra le comode pellicce, guardandola negli occhi.
Ty Lee si avvicinò alle sbarre della propria cella, cercando inutilmente di infilare la testa tra una stalattite e l'altra per poter assistere a quel dialogo.
 - So che non proverete a scappare. Ricordo quello che avete fatto per noi - continuò, sostenendo il suo sguardo - e inoltre avete delle ottime referenze. Mi hanno parlato molto bene di voi.
Ora mi ricordo di lei. Era tra quelli che abbiamo fatto evadere dalla Roccia Bollente, concluse finalmente Mai, ricostruendo i pezzi.
 - Il tuo è un debito di riconoscenza, quindi? - le chiese, immobile nella cella, indecisa se uscire o meno.
 - E' riconoscenza, sì, ma senza debiti. So bene di dovervi molto, ma non ho modo di ripagarvi - rispose, volgendole le spalle per aprire l'altra serratura. - Ho sentito dire che siete scappate da Azula.
A quel nome, sia Mai che Ty Lee si pietrificarono.
 - Ci ho pensato molto, in tutto questo tempo. Per saldare il mio debito, potrei liberarvi e lasciarvi andare; ma non conosco un posto più sicuro di questo, francamente. Stare qui è la scelta migliore che possiate fare - consigliò, facendo cigolare la porta ghiacciata della gabbia sui cardini, sentendo il rumore della neve secca che grattava contro altra neve. - Questa è la ragione per cui non vi lascerò scappare, e per cui vi suggerisco di non farlo - disse ancora.
Nessuno aveva mai parlato loro in maniera così diretta, nei due anni che avevano trascorso lì. Ne rimasero colpite.
 - Certo, forse non sono in grado di impedirvelo. Ma vi garantisco che vi darò del filo da torcere, e sarà unicamente per il vostro bene - concluse.
Ty Lee sorrise.
 - Tregua? - propose Suki, spostando lo sguardo dall'una all'altra.
Ty Lee era già fuori dalla sua cella, baldanzosa come al solito, e si avvicinava a braccia spalancate come se volesse abbracciarla. Anche Mai, dal canto suo, sebbene molto più esitante, si era ormai alzata dal letto.
 - Io ci sto! - affermò decisa Ty Lee, decidendo all'ultimo che sarebbe stato più consono procedere per gradi e afferrandole le mani. - Diventiamo amiche! - continuò, con un sorriso incredibilmente grande.
Suki sorrise a sua volta. Non aveva davvero sperato di poter interagire con loro così presto. Poi si voltò verso Mai, che non aveva ancora detto nulla, ma la cui espressione si era, almeno leggermente, distesa.
 - Avete fame? Ho notato delle vere leccornie, nei vostri piatti - disse, riprendendo il discorso originario.
 - Una fame incredibile - confermò Ty Lee, decisa. - Mangiamo in cortile? - propose, fremente.
Sia lei che Suki alzarono gli occhi verso Mai.
 - E cortile sia - concesse, con un gesto della mano, e la sua aria da snob le fece sorridere tutte sotto i baffi.



 - Zio, aspetta!
Iroh, imperterrito, non accennava a diminuire la velocità del suo passo.
 - Zio! - provò a chiamarlo ancora Zuko, ma non ottenne nemmeno un minimo cenno che facesse intendere che le sue parole erano state udite.
Gli doleva un fianco. Dovette fermarsi, ansimante, per riprendere fiato. Li non era certo molto allenato.
Alzò il viso, cercando in lontananza nel fumo grigio la figura dell'uomo che continuava ad allontanarsi. Il suo abito era già diventato poco più di una macchia confusa.
Strizzò gli occhi che già bruciavano, poi li riaprì di scatto. Strinse i pugni, e cercò di andare nella sua stessa direzione.



 - E questo? Ne sei capace? - urlò Ty Lee, curvando la schiena all'indietro e lanciandosi in una serie di salti capovolti.
Chissà come può fare queste cose senza vomitare dopo aver appena mangiato, si chiese Mai, addentando quello che sembrava essere un brandello di carne secca.
 - Altrochè! - le rispose Suki di rimando, infervorandosi, già in piedi e scattante.
 - In effetti, ricordo di avervi visto fare delle acrobazie niente male, una volta - disse l'altra, poggiando le mani sulle gambe tese e fisse a terra, riprendendo fiato.
 - Se non ricordo male, tu eri in grado di bloccare il controllo del dominio, giusto? - le chiese, le mani poggiate sui fianchi.
 - Esatto! - rispose Ty Lee, riavvicinandosi alle altre con una spettacolare serie di acrobazie.
 - Ora, per favore, siediti e finisci di mangiare. Mi viene la nausea al solo vederti volteggiare così - la implorò Mai, sempre intenta a masticare la sua porzione di carne secca.
 - Non posso! Non voglio sprecare questo momento, mangerò più tardi - si giustificò, allontanandosi di nuovo. Infilò meglio gli enormi guanti che le aveva regalato Bato, e corse via.
 - Certo che è proprio piena di energie, eh? - commentò Suki, rivolta all'altra.
 - E' sempre così. Lo è sempre stata, da quando la conosco - disse, mettendo in bocca quel che rimaneva della carne. - Sarebbe il caso che si desse una calmata, piuttosto.
 - No, non è vero. E' bene che sia così. E' bello che sorrida anche in una situazione del genere, non trovi?
Parli di sorrisi con la persona sbagliata, avrebbe voluto dirle.
Per tutto quel tempo, in cui le giornate passavano uguali una dopo l'altra, non aveva fatto altro che evitare di pensare a cosa sarebbe stato del suo domani. Da quanto tempo non alzava gli occhi a quel cielo luminoso che sovrastava le mura della prigione, ma si limitava a guardare il soffitto della cella e lamentarsi del freddo?
Mentre guardava l'amica esibirsi nell'ennesima combinazione di volteggi, e mentre osservava quella strana ragazza ridere e battere le mani urlandole miriadi di complimenti, pensò che avrebbe voluto avere anche solo un briciolo dell'ottimismo che pervadeva quelle due.
Ma aveva ragione lei: con un solo sorriso, il domani le sembrava già meno cupo. Con una risata, la paura di Azula sembrava almeno un po' più lontana. Aspettare di essere uccisa per mano sua non era più l'unica cosa che potesse fare.
Valeva la pena di fare almeno un tentativo.
 - Tregua - le sussurrò, come se non le interessasse di essere ascoltata.
Suki si voltò, e sorrise ancora.



 - Zio!
Iroh si era fermato a pochi passi da quella che sembrava l'ultima casa ai margini dell'area dell'incendio. Un intero blocco di abitazioni del quartiere ovest stava bruciando; l'aria era quasi irrespirabile, ed ovunque c'era gente che scappava da quell'inferno, arrancando e tossendo; molte persone si sorreggevano a vicenda - e non tutti erano abitanti di quella zona: molti erano semplicemente dei curiosi, richiamati come mosche dalle disgrazie che non li riguardavano. Si era scontrato con più di qualche uomo, arrivando fino a quel punto; avrebbe voluto aiutare tutti, ma era troppo preoccupato all'idea della gente che conosceva e che poteva ancora essere imprigionata in quel braciere.
L'area in cui si trovava la loro casa sembrava essersi salvata; tuttavia, molti negozi e molte case erano ancora in piena combustione, e nessuno sembrava poterci fare nulla. Strizzando ancora gli occhi, dopo essersi portato la manica della maglia a coprire il naso, ripassò mentalmente le posizioni delle abitazioni di tutti i clienti fissi del locale, nonchè dei negozi di fiducia da cui comprava le merci ogni settimana. Lo sguardo di Zuko, all'unisono con quello dello zio, si diresse oltre uno dei tanti ristoranti per controllare se la bottega dei genitori di Jin si fosse salvata. La posizione non era certo rassicurante.
Corsero, o meglio arrancarono, verso il negozio, ostacolati da un'orda di persone che improvvisamente si era diretta contro di loro.
Non trovarono Jin, ma furono trovati; lei li notò prima che potessero farlo loro.
 - Li! Zio! - gridò, correndo in loro direzione. Era sporca di fuliggine, e i suoi vestiti erano pieni di bruciature.
 - Jin! State bene? - le domandò lo zio, abbracciandola non appena fu abbastanza vicina.
 - Io e la mamma sì, ma papà è rimasto dentro l'edificio - disse.
Zuko vide gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime, e due strisce di pelle luminosa e pulita che andavano a formarsi piano piano su quel viso poggiato sulla spalla di suo zio. Lo vide scomparire vicino a quel colletto verde, mentre le mani sembravano stringere sempre più fermamente la veste da lavoro dell'uomo.
La schiena dello zio si irrigidì, drizzandosi. Accarezzò con entrambi i palmi le spalle di Jin, ma la afferrò con decisione, allontanandola. Poi si lanciò di scatto verso il negozio in fiamme.
 - Zio! - urlarono Zuko e Jin all'unisono.
Iroh si fermò a poca distanza dal primo focolaio, e portò le mani, serrate in due pugni, davanti al viso.
Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Poi, con un gesto netto, aprì le mani portandole verso terra. Le fiamme si allontanarono quel tanto che bastava a farlo passare.
Jin si coprì la bocca, evidentemente sconvolta.
Iroh si lanciò attraverso quella che una volta era stata la porta del negozio.
Zuko guardò Jin, che ancora fissava il varco vuoto aperto dallo zio, come un tunnel in mezzo a quelle fiamme. Poi, lei cercò i suoi occhi, come a chiedere conferma di ciò che aveva appena visto.
Addio, Li, fu la sola cosa che Zuko fu in grado di pensare, lanciandosi dietro lo zio e dominando a propria volta il fuoco.



*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
19-2-2011
Mi arrendo all'evidenza di non riuscire a mettere online più di un capitolo a settimana ._. I miei innumerevoli lavori mi portano via troppo tempo. ;_; Scusate ;_;
Comunque sia, questo capitolo è stato veramente difficilissimo da scrivere XD Ringrazio sia F13 che Talpy per averlo letto prima della pubblicazione, e per avermi segnalato errori e problemi vari *_*
Che dite? C'era abbastanza azione? Le cose si sono mosse un po'?
E... sì, ho dato fuoco a Ba Sing Se T_T Non volevo! Lo giuro!
Ok, stranamente non ho niente di particolare da dire in queste note - o almeno, non mi viene in mente niente di rilevante - tranne il fatto che ce lo vedo troppo, Zuko, ad allineare le sedie ai tavoli facendo attenzione ai millimetri che le separano le une dalle altre e dal tavolo XD Non so perchè, ma ad immaginarmelo mi diverto un sacco. XD
E... Lo zio è davvero un figo è_é
Passo e chiudo XD A prestoooo <3
Commenti? Commenti? ;3;

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Capitolo 9
*** Cenere ***


Capitolo 9 - Cenere

Era incredibilmente caldo, là dentro. Il fumo impregnava tutte le stanze, rendendo irrespirabile l'aria e facendo lacrimare gli occhi; carico di cenere e colorato appena di rosso, impediva di vedere più distante di un palmo dal proprio naso; sempre più denso mano a mano che saliva, era bloccato dal basso soffitto senza trovare via di scampo.
Zuko ansimò, riportandosi la manica davanti alla bocca, già affaticato.
Chissà dov'è lo zio.
Poco distante da lui, l'inequivocabile suono di legno che si spezza e cede.
Qualcosa di indefinito rotolò ai suoi piedi. E' solo un tizzone. Mantieni la calma, si disse mentalmente, allontanandolo con un debole calcio.
Concentrò i sensi altrove. Provò ad ascoltare i pochi suoni udibili oltre al crepitio, che si faceva sempre più spaventoso col passare dei secondi. Gli parve di udire la voce di Iroh in prossimità di quella che una volta era stata la cucina della casa di Jin.
Sapeva benissimo dove avrebbe dovuto dirigersi; tuttavia, l'impossibilità di vedere dove metteva i piedi - e il terrore di fare un passo falso e di trovarsi sotto un ammasso di legno rovente - gli impediva di procedere di un solo metro. Avrebbe voluto appoggiare una mano alla parete e procedere seguendola, ma ormai anche dei muri rimaneva ben poco. Gli prese una gran voglia di tornare sui propri passi.
Scosse la testa.
Non posso abbandonare lo zio.
Si accucciò, tossendo sommessamente con la stoffa poggiata alla bocca, ben conscio che avrebbe dovuto trattenere il fiato il più possibile. A terra il fumo era un po' meno denso; notò finalmente dei movimenti che potevano definirsi umani, e si diresse in quella direzione.
Aveva visto giusto. Erano i piedi di Iroh.
 - Zio, sono qui!
Iroh sembrava star bene; giusto un velo di fuliggine impregnava le sue vesti, e le sue mani erano leggermente annerite. Voltò appena il viso, senza distrarsi da quel che stava facendo.
 - Aiutami! Dobbiamo spostare questo tavolo! - disse, rivolto al nipote.
 - Li? - chiese una voce terrorizzata da poco distante.
 - Signor Gon? - domandò lui, riconoscendo immediatamente l'inconfondibile tono del padre di Jin. - Sono io! Ora la tireremo fuori di lì!
Si avvicinò ad Iroh e afferrò l'altro lato della grossa tavola di legno che sembrava bloccare il passaggio. Non senza sforzi, riuscirono a smuoverla, spargendo scintille nell'aria già satura mentre la lasciavano cadere al suolo.
Il padre di Jin era rimasto bloccato in uno spazio vuoto, una specie di bozzolo che l'aveva salvato da tutti i crolli; tuttavia, era molto pallido e respirava ansimando. Guardò Zuko con occhi provati ma pieni di gratitudine, e lui non potè fare a meno di afferrare entrambe le braccia che gli venivano tese e di caricarselo sulle spalle, rinunciando all'essenziale filtro della manica del vestito e cercando di respirare il meno affannosamente possibile nonostante la fatica - fin da quando l'aveva conosciuto, il signor Gon non era mai stato un fuscello.
Iroh allontanò, utilizzando il dominio, il fuoco scatenato dalle scintille rilasciate poco prima, che già aveva iniziato a lambire i pochi mobili della stanza salvatisi in precedenza. Nonostante il signor Gon fosse esausto e si fosse letteralmente accasciato come un peso morto sulla schiena di Zuko, il ragazzo lo sentì fremere per la sorpresa, e ne percepì le mani stringersi leggermente attorno alle proprie spalle.
Avvertì un sinistro scricchiolio sopra la propria testa, e non potendo raddrizzare la schiena per guardare verso l'alto decise che la scelta migliore fosse spostarsi da lì. D'istinto, si accostò allo zio.
 - Dobbiamo uscire di qui - si limitò a dire Iroh, aiutando il nipote a caricarsi meglio l'uomo sulle spalle.
Zuko si guardò intorno, cercando di ricordare quale fosse la forma originaria della stanza.
Perchè non sono venuto qui più spesso?, si rimproverò.
Chiuse gli occhi, concentrato, e solo allora notò di avere un colossale malditesta. Contro il proprio dorso sentì una vibrazione cupa che nasceva dalla gola del signor Gon: stava tentando di dire qualcosa, ma la sua voce era coperta dall'implacabile crepitìo.
 - Sta dicendo qualcosa!
Iroh avvicinò l'orecchio alla bocca del padre di Jin.
 - Le finestre... - si sforzò di suggerire l'uomo, riuscendo appena a mormorare per via della gola secca.
I due si guardarono intorno, come colpiti da una fulminazione improvvisa. Sul lato a ovest c'erano una serie di lucernari, era vero, ma erano molto alti e perciò irraggiungibili, e attraverso cui, vista la loro dimensione, non sarebbero mai e in nessun caso riusciti a passare.
Ma nel salone c'era una porta che dava sul giard-
 - Zio! Il salotto! Là c'era un'uscita!
Reggendo il signor Gon con un solo braccio e tossendo per la mancanza di ossigeno nell'aria che respirava, Zuko allontanò le fiamme con un gesto secco dell'unica mano libera; si affrettò poi verso l'apertura sull'altra stanza. L'architrave della porta avrebbe retto ancora per poco. Si appiattì al muro per evitare un mucchio di macerie in fiamme - quello che rimaneva del soffitto crollato poco prima - sempre seguito dallo zio, che con gesti abili utilizzava il proprio dominio per aprire un passaggio in quell'inferno di calore e cenere.
Se possibile, nell'altra sala faceva ancora più caldo; il soffitto era curvo verso il basso, carico del peso di ciò che rimaneva del piano superiore. Gli occhi di Zuko vagarono implacabilmente attraverso il denso fumo rossastro, in cerca del varco che li avrebbe salvati.
La testa continuava a dolergli terribilmente. Si passò una mano sul viso, e lo trovò innaturalmente caldo.
Laggiù. Era laggiù, si ripetè. Strizzò forte le palpebre.
 - Sei pronto a correre? - disse tutt'a un tratto Iroh, arrivato in quel momento al suo fianco.
Si voltò appena per cercare il suo sguardo. Si intesero in un attimo.
Zuko afferrò più forte le gambe del signor Gon, strette ai suoi fianchi.
Iroh portò le braccia davanti al viso ed inspirò profondamente, con energia. Con un gesto secco - proprio come aveva fatto appena prima di entrare, benchè quei pochi minuti fossero parsi un'eternità - le aprì portando i palmi aperti verso terra, con tutta l'energia che gli era rimasta in corpo.
Tutte le fiamme sembrarono ritirarsi verso i muri laterali portando con sè buona parte del fumo grazie all'onda d'urto. Il soffitto, però, come se all'improvviso avesse perso tutti i suoi supporti, scricchiolò ancora più forte.
 - VIA! - gridarono entrambi, sfrecciando verso lo spiraglio appena più luminoso che si poteva vedere in lontananza, augurandosi che quello fosse davvero l'ambito passaggio.
Grazie alla rincorsa e al peso complessivo dei loro tre corpi, riuscirono a sfondare quel che rimaneva della porta, già annerita dal fumo.
Furono finalmente fuori.
Mai aria sembrò loro più fresca e pura di quella.

 - Oddio, state bene? Vi prego, ditemi che state bene! Papà! - gridò Jin, frenetica, tuffandosi verso di loro. Reggeva la madre - che apparentemente doveva essersi ferita a una gamba - tenendole un braccio stretto in vita, ansiosa quanto lei di verificare che fossero tutti in salute.
Il signor Gon rotolò via dalla schiena di Zuko, che giaceva prono schiacciato dal suo peso, e si portò pancia all'aria cercando di prendere qualche boccata di aria buona. Sua moglie, accompagnata da Jin, si precipitò subito su di lui, liberandogli il viso dai capelli e pulendolo come poteva con la manica già lercia del vestito. Fece loro intendere che avrebbe voluto dell'acqua, ed entrambe si guardarono intorno per verificare se il pozzo fosse ancora in piedi.
Zuko si mise a sedere di scatto, cercando di respirare a pieni polmoni l'aria che, pur essendo fumosa, era incredibilmente più dolce di quella che gli saturava i polmoni. La testa gli martellava a ogni fiato, e gli girava così tanto che pensò fosse meglio distendersi di nuovo.
Iroh si passò le mani aperte sul viso, strofinando appena gli occhi e spostando dalla fronte i pochi capelli che erano scappati all'elastico.
Sono tutti sani e salvi, pensò osservando prima il nipote e poi la famiglia degli amici, e sospirò di sollievo.
 - Tutto bene? - domandò a Zuko, avvicinandosi a lui e passandogli un morbido palmo sugli occhi, salendo poi fino alla fronte e all'attaccatura dei capelli.
Zuko alzò appena lo sguardo per incrociare i suoi occhi preoccupati.
 - E' sempre stato così dannatamente caldo?
La domanda risvegliò in Iroh un principio di risata.
 - Sempre - rispose semplicemente, rilassando finalmente le spalle. - E' fuoco.
 - Li! Zio! - chiamò Jin, strisciando verso di loro sulle ginocchia, incurante del terreno polveroso e del vestito già rovinato e delle ginocchia sbucciate, - Siete feriti? - domandò, la voce incrinata.
 - Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Mia figlia è rimasta là sotto! - urlò una donna in lacrime, poco distante da loro.
Gli sguardi di Iroh e di Zuko si diressero insieme verso l'autrice di quella richiesta, per incrociarsi poco dopo. Entrambi si diedero una spinta a terra per alzarsi in piedi.
Zuko fissò Jin con espressione colpevole. Lo zio, serissimo, abbassò la testa e le spalle in direzione della ragazza, e si scusò sottovoce. Senza aggiungere altro, si incamminò voltandole la schiena, e Zuko lo seguì senza dire una parola.

Jin li guardò allontanarsi e sparire quasi totalmente nel fumo che ancora avvolgeva il quartiere.
Pensò che, se li avesse lasciati andare in quel momento, non li avrebbe visti mai più.
Guardò i genitori, ancora accovacciati a terra vicino al pozzo; sua madre stava aiutando suo padre a bere. Alle loro spalle, il grigio della cenere che vorticava nel cielo ancora colorato di rosso.
 - Torno presto! - gridò loro, e corse in direzione di Li e dello zio.

Fu un pomeriggio molto lungo. Per ogni persona che il terzetto riusciva a tirar fuori dalle macerie, ce n'erano almeno altre due che ne rimanevano schiacciate; così, mentre il gruppo si allargava con nuovi superstiti che volevano dare una mano, e mentre la stanchezza si faceva sentire ogni minuto di più, piano piano le fiamme finirono di divorare tutto ciò che di combustibile c'era nel quartiere e poi, dissolvendosi progressivamente come non fossero mai esistite, iniziarono finalmente ad estinguersi. Fili di fumo, a volte sottili e a volte grossi come colonne, si allungavano verso il cielo dalle macerie disseminate ovunque; l'acre odore del legno trasformato in carbone si diffondeva tutt'intorno.
L'aria si era fatta leggermente meno satura, portando però - sotto forma di quell'odore inconfondibile - la notizia dell'incendio attraverso tutta Ba Sing Se. In nessuna zona della superficie interna alle mura si poteva respirare dell'aria che si potesse definire pulita; la cenere era già arrivata in ogni angolo, trasportata dal vento bollente generato dal fuoco, e in alcuni tratti era giunta anche fuori dalle mura interne.
Jin si asciugò la fronte con il dorso della mano, pensando solo poco dopo alla possibilità che il suo viso fosse totalmente annerito. Aveva la gola secca.
Chissà se c'è un pozzo qui intorno, si domandò, facendo vagare lo sguardo da destra a sinistra, e nella sua mente si risvegliò per l'ennesima volta il ricordo dei propri genitori. Ti prego, ti prego, fa' che stiano bene.
Scorse finalmente un serbatoio, e si avvicinò ai bordi di pietra semidistrutti. Era pieno d'acqua, ma non c'era modo di tirarla su - probabilmente il secchio preposto a tale scopo era stato utilizzato per tentare di spegnere l'incendio, o era bruciato a sua volta. Sospirò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e sentendosi improvvisamente ancora più stanca. Le ginocchia le cedettero. Appoggiando la schiena al pozzo, decise che sarebbe stato meglio aspettare di riprendere un po' di forze prima di provare a rialzarsi.
Da quel punto di vista leggermente più basso, provò di nuovo a guardarsi intorno. Non era certo l'unica a trovarsi in quelle condizioni; molte persone erano sdraiate a terra, chi assistito dai propri cari e chi lasciato a se stesso. Un uomo - i cui capelli non erano apparentemente sopravvissuti alle fiamme - si avvicinò al punto in cui si trovava lei, sicuramente con lo stesso miraggio di trovare qualcosa da bere; non ottenendo nessun risultato, si incamminò verso est, nella speranza di avere più successo nella sua ricerca.
Udì, in lontananza, il suono di qualcosa che franava rovinosamente - forse un tetto annerito che era improvvisamente caduto. I suoi sensi si acuirono per un secondo, per tornare poi lentamente nello stato di catalessi da cui erano usciti.
Poi, tra il fumo che si faceva piano piano meno denso, vide Li avvicinarsi a lei e si chiese come avesse potuto essere così cieca, fino ad allora. Il suo modo di camminare, con quella tendenza a non appoggiare a terra tutta la superficie del piede, che sempre aveva apprezzato tanto; il suo modo di stringere i pugni, così insolito alla loro gente; il modo in cui teneva le spalle, non dritte, ma impercettibilmente piegate in avanti, come a voler attaccare. Nulla in lui richiamava l'atteggiamento di un abitante del Regno della Terra. Nemmeno il suo viso, pensò, mentre lui le si avvicinava per controllare che stesse bene, e ne notava la forma, e il taglio degli occhi, e il perenne pallore, vedendolo sul serio per la prima volta.
 - Sei ferita? - le chiese, afferrandole le spalle con entrambe le mani.
Incrociò gli occhi di Li. Guardando i suoi capelli arruffati, che lo rendevano così diverso dal Li che lei conosceva, e la cicatrice che, immutata, ne percorreva il viso, non potè far altro che chiedersi chi fosse in realtà quel ragazzo che fino a poche ore prima credeva di poter dire di conoscere, e a cui voleva bene.
E mentre lui se la caricava in spalla per portarla via di lì, Jin non potè fare a meno di appoggiarsi a quella schiena che tante volte aveva sognato di stringere, cullandosi in quel profumo che per tutto quel tempo aveva sentito solo da lontano - e che i suoi vestiti emanavano ancora, pur misto all'odore di bruciato - e di versare sommessamente lacrime bollenti per la sua casa distrutta, per il dolore dovuto alla bruciatura che le percorreva l'avambraccio, per i suoi concittadini che non sembravano volersi rialzare da terra, ma soprattutto per quel Li che non sarebbe più tornato.



*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
27-2-2011
OTTO GIORNI sono un tempo troppo lungo per un capitolo. Non ne potevo davvero più. XD Non vedevo l'ora di passare oltre. Nel prossimo capitolo non vedremo Zuko, ve lo giuro XD
Grazie mille a Talpy e alla Podda per i betaggi vari, e alla Podda anche per il titolo <3
Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare ._. Spero di far meglio la prossima settimana.
Nel frattempo ho anche fatto una traduzione, andatevela a cercare :D! Si chiama "Ambizioni" :D
Fatemi sapere come vi è parso questo capitolo, ne ho davvero bisogno ò_ò Vi prego! Ho scritto su cose che non avevo mai trattato prima, e spero sia almeno vagamente verosimile :)
Buona serata a tutti :D
Kuruccha

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Capitolo 10
*** Arrivo ***


Capitolo 10 - Arrivo


Sokka sbuffò, alzandosi dal lungo tavolo della mensa. Quel giorno sembrava andare tutto storto. Già il fatto di essere arrivato in ritardo a richiedere il proprio pranzo, e trovarsi perciò costretto a mangiare ancora prugne di mare - non che comunque ci fosse della carne; carne vera, s'intendeva - era una ragione più che sufficiente per provare odio verso il mondo; come se tutto ciò non fosse bastato, l'unico posto disponibile dell'intera tavolata era quello esattamente di fronte ad Hahn. Neppure con il supporto del maestro Pakku, seduto alla sua destra e disposto a controbattere a qualsiasi provocazione, sarebbe riuscito a sopportare un intero pranzo incastrato lì. Aveva già provato una volta, e sapeva cosa volesse dire: Hahn era consapevole di non poterlo tormentare, e proprio per questo agiva nei modi più subdoli. Quella volta si era limitato a fissarlo per tutto il tempo, mentre mandava giù prugna dopo prugna, e ogni singolo boccone che gli si era irrimediabilmente bloccato in gola. Proprio per quella ragione, tra il mangiare senza alcuna voglia di farlo e il non mangiare affatto, aveva scelto la seconda possibilità; e anche questa volta, mollò lì il vassoio, si alzò ed andò via.
Peccato che il suo stomaco non fosse molto d'accordo con quella sua scelta.
Carne, carne, carne vera. Cosa darei per avere della foca-leone arrostita, pensava, rientrando in camera. Va bene anche un airone-dugongo. Anche una lepre-furetto.
Quando la coda di Momo, innocentemente salito sulla sua spalla, si trasformò davanti ai suoi occhi in una salsiccia, decise che durante il Consiglio di quella sera avrebbe sostenuto l'assoluta necessità di organizzare quella famosa battuta di caccia rimandata così tante volte.

In lontananza sentì il suono della campana della zona Est. Ancora un quarto d'ora e sarebbero state le due, e il suo turno sarebbe ricominciato. Quel giorno era di guardia sulle mura a Sud: un compito tranquillo, tutto sommato, perchè gli attacchi a quel settore erano sempre stati, seppur continui, abbastanza deboli. Cercò di ricordare la tabella dei turni per scoprire con chi avrebbe avuto a che fare quel pomeriggio. Hipak era a capo dei soldati semplici - è divertente, quel tipo, pensò - e non gli avrebbe certo dato del filo da torcere; piuttosto lo preoccupava Koho, a capo dei dominatori, che era diventato il più irritante tra tutti gli allievi di Pakku - pur essendo il livello di antipatia di Hahn ancora ben lontano. Niente di troppo difficile, insomma, tirando le somme.
Si adagiò senza troppa grazia sulle pellicce del suo letto, e il rumore del suo stomaco che ancora brontolava attirò Momo. Il lemure gli salì sulla pancia e poggiò una delle grandi orecchie all'altezza dello sterno, indicandogli con la minuscola mano il punto esatto da cui proveniva quello strano suono.
Sokka alzò appena la testa per controllare cosa stesse facendo.
 - No, Momo, non c'è nessun animale lì dentro - spiegò, gesticolando in aria con la mano destra. - Magari ce ne fosse uno.
Lo vide alzare la testolina e spalancare di nuovo quegli enormi padiglioni, voltando poi il capo verso la tenda che chiudeva la porta. Pochi attimi dopo, mentre Momo si slanciava verso la soglia con tutta l'energia che aveva in corpo - mozzando momentaneamente il fiato al povero ragazzo - vide Suki entrare, e fu come un raggio di sole tra tutto il malumore di quella mezza giornata.
Anche se il suo stomaco non la pensava allo stesso modo.
 - Sukiii! - chiamò, mettendosi a sedere.
 - Ah, ma sei qui! - disse lei, un gran sorriso in volto. - E dire che sono entrata furtivamente per non farmi vedere da nessuno - spiegò, accarezzando il candido pelo di Momo, che già le era salito su una spalla. Si avvicinò all'ammasso di coperte, da cui Sokka ancora la fissava.
 - Che c'è? - gli domandò lei, sedendoglisi vicino. Momo tornò sul grembo del ragazzo.
 - Niente, ti guardo. Non ti vedo da giorni, sai com'è - motivò lui, cercando di afferrare le sue mani coperte dai guanti. - Non da sveglia, perlomeno.
I loro turni, nell'ultimo periodo, erano stati davvero mal congeniati. Incrociarsi e poter trovare qualche minuto da trascorrere insieme erano sempre più delle vere imprese. Lei al mattino iniziava molto presto con il pattugliamento delle mura a ovest, e man mano che le ore passavano non desiderava altro che un caldo letto per dormire; Sokka, dal canto suo, era impegnato ogni sera fino a tardi per via del Consiglio di guerra. Senza contare, poi, che ufficialmente non dovevano quasi nemmeno vedersi.
Lei gli sorrise, e gli posò un rapido bacio sulle labbra.
 - Sei gelida! - le disse.
 - Sai com'è... il vento, la neve, il Polo Nord... Non è esattamente come stare dentro un vulcano - motivò lei, sarcastica.
Sokka rise. Si sfilò una delle manopole, e le appoggiò il palmo bollente sul naso freddo. Sulla pelle della mano, sentì la sua bocca tendersi in un sorriso, e la vide chiudere gli occhi per crogiolarsi in quella beatitudine. Che carina, pensò.
Inaspettatamente, non fu Momo a rovinare la magia del momento, bensì lo stomaco di Sokka. Un sonorissimo gorgoglio partì dal suo addome, allarmando per la seconda volta il lemure, che di nuovo accorse a vedere cosa fosse stato.
 - Hai ancora fame? - lo canzonò Suki.
 - Una gran fame. Non ho mangiato - spiegò.
Suki alzò gli occhi al cielo, immaginando quale fosse la causa del suo digiuno. - Ancora quel tipo? Vuoi che vada a picchiarlo?
Le gettò un'occhiataccia. - Posso fare da solo, non preoccuparti.
 - Sì, so che sei in grado di farlo, ma forse non lo fai abbastanza spesso - concluse.
Lontano, ancora una volta, risuonò il lungo rintocco della campana della zona Est.
 - Ma è tardissimo! - gridò lei, riscuotendosi e scattando in piedi. Iniziò a frugare tra le pellicce su cui era seduto Sokka. Vedendo che lui si limitava a guardarla senza capire, decise che sarebbe stato meglio spiegare. - Ti dispiace alzarti? Sto cercando il mio elastico per i capelli, credo di averlo dimenticato qui, e avevo detto alle ragazze che sarei tornata subito - disse.
 - Ah... Ah, era tuo allora - affermò, indicando la propria coda di cavallo.
Suki si mise le mani sui fianchi, la bocca tirata.
 - Il mio l'ha rubato Momo - si giustificò lui, alzando le spalle e sfoderando l'espressione più innocente del mondo. - Non ho colpe.
Momo si limitò a rovistare nella propria cuccia - una specie di elaboratissima amaca a forma di sacco, fissata al soffitto come un bozzolo, ovviamente opera di Sokka, - riemergendone con l'elastico trasformato in una collana decisamente originale.
 - Momo, me lo presti solo per oggi pomeriggio? Ti prometto che entro stasera lo riavrai - gli chiese Suki, alzando la testa verso l'apertura di quel nido. Il lemure la guardò ad occhi spalancati, facendo oscillare la testa da destra a sinistra. Poi, senza emettere un verso, si ritirò nella propria casetta.
 - Quello era inequivocabilmente un no, vero? - domandò lei retoricamente, rattristendosi. Si voltò verso Sokka, che già si stava sciogliendo i capelli per restituire il fermaglio alla legittima proprietaria.
 - Tieni - disse semplicemente, porgendoglielo. Suki afferrò l'elastico e, raccogliendo i capelli che prima le ricadevano sugli occhi, gli schioccò un sonoro bacio sul naso.
 - Sei gelida - le disse ancora, stringendo gli occhi in una smorfia felice.
 - Stasera ti aspetto sveglia, promesso - gli sussurrò, senza interrompere il contatto.
Apprezzo lo sforzo, pensò. Le sorrise. - Buon pomeriggio - si limitò a dirle, baciandola ancora una volta.

 La campana delle tre lo risvegliò dal sonno in cui era scivolato, e lo fece sobbalzare dallo spavento nell'ammasso di coperte tra cui ancora si trovava. Maledizione, è tardissimo!, si rimproverò, sgusciando fuori dalla calda tana e cercando di infilarsi le scarpe il più rapidamente possibile. Saltellò su un piede, e con l'altro rovesciò il contenitore delle pergamene arrotolate. Momo, spaventato, uscì dal proprio bozzolo per controllare cosa stesse succedendo. Vide Sokka rovistare nelle sua borsa e, cogliendone la frenesia e pensando di sapere cosa stesse cercando, tornò nella cuccia a recuperare l'elastico che poco prima aveva così strenuamente difeso; si arrampicò lungo la sua schiena e glielo porse con due delle minuscole dita.
 - Grazie, amico - gli disse Sokka, rassettandosi il cappuccio e sistemandosi la casacca, abbottonandola di nuovo fino in fondo. Prese il fermaglio, si legò velocemente i capelli, si diresse verso la porta ed uscì in tutta fretta, con Momo ancora in spalla.

Che stupido. Come ho potuto addormentarmi? Ci mancava solo questa!, imprecò mentalmente, stringendo i denti. Ora sì che non avrò più scusanti con Koho! Cosa posso inventarmi? Aspetta che Hahn lo venga a sapere e poi non avrò più pace, continuò.
Correndo, imboccò il viale che portava alla Piazza Centrale. Qui c'era una scorciatoia, rimuginò, notando una stradina laterale. Senza pensarci un'altra volta, deviò la propria traiettoria e vi si infilò. Dopo dieci passi, notò che la viuzza terminava improvvisamente; davanti a lui, solo una barca che passava nel freddo canale. Sbuffò, si voltò e tornò sui propri passi, con Momo che gli si aggrappava più forte al cappuccio per non scivolare giù. Ci mancava solo che mi perdessi, si sgridò ancora.
A passo ancora più sostenuto, si infilò di nuovo nell'affollata strada principale, piena in quel momento di ragazzini che avevano appena finito le loro lezioni. Così, mentre rimproverava mentalmente quelle piccole lumache-tartaruga, pensò ancora una volta che in effetti quella avrebbe potuto essere annoverata definitivamente nella categoria "brutte giornate".
E, tutto preso dai suoi rimuginamenti e dalla sottile ira che provava verso il mondo, non alzò gli occhi al cielo per vedere quella nuvola che si muoveva un po' troppo velocemente rispetto alle altre; e non notò fino all'ultimo la folla che si imbottigliava sul ponte proprio davanti a lui, puntando con gli indici il grande ammasso di nebbiolina bianca.
Fu Momo il primo dei due ad accorgersi di quella stranezza; improvvisamente, annusò l'aria, aprì le grandi orecchie e iniziò a emettere degli strani suoni ad una velocità strabiliante e ad un volume altissimo, come se volesse gridare a gran voce.
 - Momo, stai calmo! Che c'è? - chiese Sokka, infastidito, coprendosi le orecchie.
Il lemure, dopo aver strattonato i capelli del ragazzo fino a fargli male, improvvisamente usò la testa di Sokka come trampolino di lancio e si tuffò verso la candida nuvola, spiegando le ali dopo tantissimo tempo, continuando a gridare.
A Sokka parve di sentire in lontananza un verso familiare che non udiva tantissimo tempo.
Non può essere, si disse, alzando finalmente il viso verso il cielo, e riconoscendo immediatamente quel banco di nebbia in cui anche lui si era nascosto tante volte. Lo vide scomparire oltre un alto edificio, in direzione nord.
Il suo cervello non riuscì a pensare nulla di razionale, e l'intera mente sembrò andare in tilt; davanti agli occhi niente, solo bianco.
Le gambe gli si mossero da sole, e cominciò a inseguire Momo più veloce che potè, lo stomaco in subbuglio.

Quando finalmente raggiunse il grande spiazzo davanti al Palazzo Reale - il luogo in cui Aang e Katara avevano preso lezioni sul Dominio dell'Acqua dal maestro Pakku - la nebbia era già scomparsa, e Appa era già visibile in tutta la sua maestosa pelosità. La gente tutt'intorno si teneva a distanza di sicurezza, timorosa nei riguardi di quello strano animale letteralmente apparso dal nulla; un gruppo di uomini si era già allontanato per domandare l'aiuto di qualche addetto alla sicurezza della città.
Sentì Momo atterrargli ancora una volta sulla testa, anche lui misteriosamente ammutolito.
Vide Toph - era lei, senza ombra di dubbio - alzarsi in piedi sulla sella di Appa e stiracchiarsi, alzando le braccia al cielo. Si è irrobustita ancora, si disse, notando che la ragazzina aveva perso quell'aspetto infantile in favore di una massa di muscoli degna di un vero Dominatore della Terra. Dovrò stare ancora più attento ai suoi pugni, era già capace di rovesciarmi prima, figurarsi cosa può fare adesso!, continuò, un principio di immensa gioia che gli si faceva strada all'altezza del cuore. Toph si voltò verso la propria destra, accompagnata da un sonoro verso proveniente dal fondo della gola di Appa.
Apparve Aang, che saltò via accompagnato dal dominio e planò sulla testa di Appa per grattargli il ciuffo di peli sulla fronte, mormorandogli qualcosa. Almeno lui è rimasto piccolo come al solito, commentò, sorridendo nel riconoscere quella testa pelata e quella freccia blu, e sentendo il petto incredibilmente leggero.
Poi vide Katara.
Come al solito - proprio come se la ricordava, e come la vedeva ogni volta che pensava a lei - aveva le mani sui fianchi, e stava battibeccando con qualcuno, probabilmente Toph, per qualcosa che non aveva fatto o che stava facendo. Anche se era troppo lontano per sentire chiaramente cosa dicesse, la sua voce gli risuonò nelle orecchie come se si fosse trovato lì al suo fianco. Aveva il solito cipiglio deciso, con le sopracciglia arcuate in quel modo così tipico di lei, e il busto leggermente sporto in avanti - e solo nel vederla si rese conto davvero di quanto gli fosse mancata, lei più di tutti gli altri. E fu proprio Katara a voltarsi per prima e a vederlo in mezzo a tutta quella gente, come se i loro sguardi fossero ancora legati da quel filo invisibile che si era spezzato nel momento in cui era partito per andare a cercare il loro padre; lo vide, e immediatamente sorrise.
Sokka sentì le lacrime salirgli agli occhi. Deglutì e ricacciò indietro, con lo sguardo che gli si appannava e le guance che gli si facevano incredibilmente calde. Sorrise, e prese fiato a bocca aperta.
 - GRUPPO DELL'AVATAR AL COMPLETO! - gridò a gran voce, correndo verso di loro, mentre anche Aang e Toph si voltavano nella sua direzione.

Si lanciò verso di loro in uno di quegli abbracci collettivi che mai aveva apprezzato, ma che ora gli parve la cosa più calda dell'universo, e non potè fare a meno di godersi quel vortice di profumi - di vento, con un fondo di odore di bruciato, e di legno, e di sapone e di miele - e di riconoscere la familiarità di ognuno di essi; e quando si separarono, dopo un tempo che sembrò un attimo, notò che in effetti Aang era cresciuto almeno un po', ma che Toph era ormai più alta di lui; e Katara somiglia sempre più alla mamma, pensò, osservandone i tratti più femminili, e le dita allungate, e gli occhi grandi. L'abbracciò ancora una volta. Anche gli altri due si unirono ancora a quella dimostrazione d'affetto, quasi schiacciati dalla schiena di Appa, che voleva partecipare, e tormentati dai gridolini di felicità di Momo.
 - Come siete cresciuti - bisbigliò, strofinando il naso sui capelli della sorella e sentendosi ancora una volta il grande del gruppo.
 - Tu invece non sei cambiato di una virgola - disse Toph con fare deciso, strattonandogli i capelli raccolti nella coda.
 - Come sarebbe a dire? - le rispose in tono indignato, voltandosi verso di lei - Ho la barba, ora!
Gli altri tre ammutolirono.
 - Ha la barba? - chiese Toph, voltandosi in direzione di Aang, non potendo effettivamente vedere quel particolare.
 - Quale barba?
 - A me non sembra - concluse Aang.
 - Ma come no, è proprio qui! - spiegò, strofinando la faccia sulle guance dei compagni. Momo li guardò, in equilibrio sul naso di Appa, piegando la testolina.
 - Io non sento nulla - disse ancora Toph.
Sokka si allontanò con espressione delusa, abbassando le spalle.
 - Piuttosto, mi vuoi spiegare perchè Momo ha un cappottino di pelliccia? - domandò Aang, notando solo in quel momento lo strano indumento grigio che ornava il piccolo lemure. - Questo va contro le leggi della natura! Lui ha già una pelliccia! - continuò, tendendo le mani a Momo, che nel frattempo aveva iniziato a vantarsi della giacca dopo aver sentito che si parlava di lui.
 - Aveva freddo - motivò Sokka, - L'ha cucito Suki.
 - Suki è qui al Polo Nord? - chiese Katara, sorridendogli.
 - Togliglielo subito! - insistette Aang.
Momo si strinse più forte nel proprio cappottino, guardando Sokka.
 - Momo è abbastanza grande per decidere da solo - gli rispose, in tono deciso. Ottenne un verso d'approvazione da parte del lemure.
 - Sì, Suki è qui - le rispose, voltandosi verso Katara. - E' una storia lunga, e ci sono tante cose che devo spiegarvi. Innanzitu-
 - No! Fermo! - gli gridò Aang - Non ora! Prima c'è una cosa che devo chiederti - continuò, facendosi serio.
 - Quale cosa? - domandò Sokka, prevedendo guai.
 - Dove sono le foche-pinguino?
 - Come, scusa? - replicò, allibito.
 - Ho detto, dove sono le foche-pinguino?
Sokka ammutolì.
 - Scusami. Non ho avuto il coraggio di dirglielo - spiegò Katara, poggiando una mano sulla spalla destra del fratello.
 - Dire cosa? - chiese Aang, innocente.
Seguì un altro attimo di silenzio.
 - Aang - cominciò Sokka, poggiando a propria volta entrambi i palmi sulle spalle di Aang, che lo guardava serissimo - Non ci sono foche-pinguino al Polo Nord. Vivono solo al Polo Sud.
Negli occhi del povero ragazzo si fece spazio la disperazione più viva.
 - Non è possibile. Sono sicuro che- cioè, voglio dire- non è possibile- Katara! - farfugliò, disperato.
Tutti risero. Nel sentirli felici, anche la voce di Appa si unì alla loro, assordandoli.
Come mi siete mancati, fu l'unica cosa che Sokka riuscì a pensare, e guardandoli ridere ricacciò indietro ancora una volta quelle lacrime di felicità.



*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
8.3.2011
Finalmente il gruppo è di nuovo unito, e Sokka può smettere di farsi maltrattare ;_;! O almeno lo spero. In tutto ciò ho capito che Sokka non sa stare da solo. XD Ora sarà finalmente un po' più allegro <3
Sono riuscita a non far apparire Zuko-prezzemolino nemmeno in questo capitolo. Ne sono fiera. XD
Questo è stato un capitolo di passaggio, ma oltremodo divertente da scrivere. Le scene finali - i pinguini, il cappottino, la barba - erano nella mia testa dal secondo capitolo, e aspettavano solo il momento giusto per venire fuori. XDDD
Passo e chiudo... e nel prossimo capitolo, Zuzu ci sarà di sicuro ù_ù
Buona festa della donna a TUTTE :D
Kuruccha

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Capitolo 11
*** Piccole certezze ***


Capitolo 11 - Piccole certezze


Jin guardò fuori dalla finestra. Poteva udire distintamente, nella quiete di quella grande stanza - il cui silenzio era interrotto solo dal russare sommesso di suo padre e dal respirare leggero di sua madre - le gocce che, lievi, cadevano addosso ai vetri socchiusi, raccogliendosi senza alcun suono in rivoli sporchi. Si alzò dal sottile materasso su cui era seduta e fece alcuni passi in direzione dello spiffero fresco, notando che l'acqua grigiastra, carica di cenere e polvere, aveva già formato una piccola pozza sul pavimento. D'istinto, si chinò sulle ginocchia con tutta l'intenzione di asciugare quella pozzanghera con la manica del vestito da camera che indossava - già sono stati così gentili ad ospitarci, e il minimo che possiamo fare è tenere in ordine, pensò tra sè - ricordando solo un attimo dopo averlo fatto che nemmeno quel vestito era suo. Guardò sconsolata la macchia che si espandeva, all'altezza del suo polso, sulla stoffa verdognola della migliore qualità che fosse possibile comprare a Ba Sing Se, che profumava incredibilmente di Li. Il grigio cupo aveva già raggiunto il ricamo, che nel buio non troppo intenso della città appariva di un viola spento. Provò a strofinarlo con le dita, ottenendo come solo risultato il propagarsi di un dolore sordo proveniente dalla bruciatura sull'avambraccio. Rimboccò la manica, e notò come anche la benda si fosse macchiata seguendo la stessa sagoma dello strato superiore.
Il vestito, prima di tutto, pensò, e si sollevò dalla posizione accovacciata in cui ancora si trovava.
Fuori dalla finestra, una pioggia fitta sembrava inzuppare fino al midollo qualunque cosa in cui si imbattesse. Nonostante l'ora tarda, un uomo stava ancora correndo, affrettandosi, senza nemmeno un ombrello; tentava di ripararsi con un pezzo di stoffa, ma il risultato finale non era certo dei migliori. Lo vide sparire in un vicolo, e tutto fu di nuovo deserto.
Si riscosse sentendo l'umidità della manica sulla mano. Si voltò piano, attenta a non calpestare il braccio del padre, scivolato fuori dal materasso poggiato a terra. La sua solita abitudine di occupare tutto lo spazio disponibile, pensò, e poi sorrise, nel vedere che almeno lui era sempre lo stesso. Sua madre era stesa sull'unico letto vero e proprio disponibile nella stanza di Li, e le dava le spalle, ma poteva avvertirne l'impercettibile movimento della cassa toracica ogni volta che respirava.
Infilò il piede nudo nello spiraglio di pavimento ancora sgombero, e socchiuse silenziosamente la porta scorrevole di quel tanto che bastasse per uscire. Piano, attenta a non schiacciarsi le dita, la chiuse dietro di sè e venne colpita da una ventata d'aria umida e pesante. Anche la finestra della cucina era spalancata, e le tende ondeggiavano nella corrente. Si sporse oltre il lavello e socchiuse anche quella.
L'aria tornò immobile.
Subito allo scroscio della pioggia si unì quello dell'acqua corrente, mentre Jin tentava invano di togliere la macchia. Ogni sfregamento era una fitta di dolore alla bruciatura e, vista la mancanza di risultati, presto decise di smettere anche di provare. Svuotò il catino che aveva utilizzato e strizzò come meglio poteva la manica zuppa, preparandosi mentalmente un discorso di scuse per l'indomani.
Si voltò per tornare nella stanza dove dormiva con la propria famiglia, ma avvertì la presenza di qualcuno sulla soglia che conduceva al salone, e trasalì.
 - Scusa, non volevo spaventarti - disse Zuko, gesticolando. - Avevo sentito dei rumori, e così sono venuto a controllare, tutto qua.
Jin lo guardò senza rispondergli.
 - Come stai? - chiese lui, ancora immobile sui propri piedi.
 - Meglio. E tu?
 - Anch'io sto meglio. Come mai sei in piedi?
Jin si morse un labbro, sollevando piano il braccio destro. Osservò ancora una volta la chiazza scura sulla stoffa verdognola.
 - Ho macchiato il tuo vestito - spiegò, senza alzare lo sguardo. - Ho provato a lavarlo, ma non viene via - continuò. - Mi dispiace tantissimo.
 - Figurati, per così poco. Ci sono cose ben peggiori - rispose lui, tentando di tranquillizzarla. - E poi sono sicuro che lo zio è in grado di farla venire via senza problemi, lui è una provetta massaia - spiegò, avvicinandosi con un sorriso colpevole in volto. Afferrò il lembo di stoffa tra l'indice e il pollice, e provò a strofinare a propria volta.
 - Non sembra troppo grave, vedrai che tornerà come nuovo - disse, un sorriso rassicurante in volto, incrociando gli occhi di Jin che finalmente lo stavano guardando. - Piuttosto, questa roba è fradicia, e anche la benda. Aspetta, ti dò qualcosa di pulito.
 - Non serve, davvero - gli rispose, scuotendo la testa. - Fa caldo. Si asciugherà subito, e non voglio sporcare altro.
Le sorrise ancora.
 - Non preoccuparti di questo. A ogni modo, lascia almeno che ti cambi la medicazione - continuò, imperterrito.
Jin rimuginò. Sapeva bene di non poter sottovalutare la ferita. Prima era stata sua madre a bendarla, e avrebbe potuto benissimo chiederle di farlo ancora; ma sapeva bene quanto tutti avessero bisogno di riposare, dopo una giornata come quella, e non avrebbe mai voluto svegliarla per chiederle un favore del genere - proprio perchè sapeva che lei l'avrebbe guardata con quegli occhi carichi di amore materno e le avrebbe detto "Ma certo, tesoro"; - accettare la proposta di Li sarebbe certo stata la scelta migliore, ma aveva davvero paura di quel faccia a faccia che fino ad allora aveva sempre desiderato tanto. Qualche ora prima, indossando quel vestito così intriso del suo profumo, non aveva potuto non notare l'assenza di quel batticuore che sempre l'aveva accompagnata quando si trattava di lui. Quello stesso batticuore che si era però fatto sentire un attimo prima, quando lui le si era avvicinato.
 - Ho una certa esperienza, credimi - disse ancora Zuko, cercando di convincerla.
Lo guardò negli occhi. Era stanca, stanchissima, ma ancora quella prospettiva le sembrava incredibilmente dolce.
E poi, è ora di capire, si disse, come a giustificarsi, seguendolo nel salotto.


 - Se ti faccio male, dimmelo - sussurrò Zuko, svolgendole il bendaggio sul braccio con una sola mano, mentre con l'altra le sosteneva il polso.
Erano seduti sul divano del salotto, uno di fronte all'altra, entrambi ad occhi bassi e concentrati sulla fasciatura. Jin decise di spostare altrove l'attenzione, convinta del fatto che se avesse guardato sarebbe stato ancora più doloroso.
Osservò il grande salone, tramutato nella stanza provvisoria di Li. Era arredato secondo il gusto dello zio, e in modo incredibilmente simile al Jasmine Dragon - le stesse tende, la stessa tappezzeria, perfino lo stesso profumo; - c'era un basso tavolinetto in centro alla stanza, vicino ad una coppia di poltrone, e sopra vi era posata una zuccheriera, completa di cucchiaino, insieme a quello che aveva tutta l'aria di essere un contenitore per i biscotti. I vestiti da giorno di Li erano appoggiati sullo schienale di una delle sedie, ordinatissimi.
 - Li ha piegati lo zio - spiegò lui, intuendo dove fosse diretto il suo sguardo. - Io non sono così ordinato, di solito. Ma abbiamo ospiti - continuò, - e perciò ci tiene a mantenere un certo decoro, ha detto.
Jin sorrise, al pensiero dello zio che rimproverava Li per aver lanciato i vestiti qua e là.
La benda era stata rimossa del tutto, ormai. Zuko la lasciò cadere sul tappeto, e con la destra afferrò il contenitore della pomata poggiato su uno dei cuscini, senza lasciare andare il suo polso. Le porse la scatoletta, e lei lo aiutò a svitarne il tappo.
Zuko osservò attentamente la bruciatura rossa che si estendeva lungo gran parte dell'avambraccio di Jin.
 - Speriamo non ti resti un segno troppo vistoso - commentò, avvicinando leggermente il viso.
Solo in quel momento si fece evidente ai suoi occhi la cicatrice che gli percorreva metà del volto, come se fino ad allora fosse stata parte del suo essere Li; come una di quelle cose a cui si finiva per abituarsi, e a cui non si faceva più davvero caso.
 - Cos'è successo al tuo viso? - chiese lei, prima ancora che il cervello potesse filtrare quella domanda. Avrebbe voluto chiederglielo innumerevoli volte, prima di allora; e innumerevoli volte si era trattenuta dal farlo.
Questo è il momento giusto, si disse poco dopo, appena prima che un macigno le scendesse sullo stomaco al pensiero di essere stata inopportuna.
Zuko alzò gli occhi e incontrò quelli della ragazza, che subito vi si fissarono.
 - E' stato mio padre - spiegò, ancor prima di rendersi conto di aver risposto.
 - Oh - fu l'unica cosa che Jin potè dire, non osando chiedere altro, al pensiero di quanto doloroso potesse essere stato, e non tanto per la cicatrice in sè, quanto per l'autore della stessa.
 - E' acqua passata - aggiunse lui.
Non è vero, pensò Jin, notando come la presa sul suo polso si fosse fatta più decisa. Lo sentì prendere fiato a pieni polmoni, per poi espirare piano. Avrebbe voluto accarezzargli la testa - e il pensierò stupì anche lei, e si trattenne dal farlo.
Li iniziò a passarle le dita cariche di unguento sulla bruciatura, il più lievemente possibile. Le piccole scosse elettriche dovute al dolore provocato da quei gesti le fece socchiudere gli occhi più e più volte.
 - Ti sto facendo male? - domandò lui, sollevando i polpastrelli dalla bruciatura.
 - Un po'. Solo un po'. Continua pure - lo rassicurò, mordendosi il labbro.
 - Sei stata molto coraggiosa, oggi - disse, ricordando bene come fosse meglio distrarsi dal dolore, in momenti come quelli. - Il tuo aiuto è stato davvero fondamentale, nella casa del venditore di frutta - continuò. - Senza di te non avremmo mai capito in che punto fosse rimasto schiacciato dalle macerie.
 - Oh. Grazie - gli rispose, stupendosi di quanto aveva appena detto. Era il primo complimento sincero che gli sentiva uscire di bocca. - Ma il grosso l'avete fatto tu e lo zio, quindi non ho grandi meriti.
 - Mi dispiace che tu ti sia fatta male. Una bruciatura così, poi... per voi ragazze certi segni sono ben più duri che per noi uomini - continuò ancora.
Jin si guardò il braccio coperto di quella strana pomata. Passerà, si disse.
Osservò la mano di Li, che ora si era diretta verso le bende poggiate sul cuscino. Sempre sostenendo il polso di Jin, ne bloccò un lembo con il pollice, e iniziò ad avvolgere il braccio coprendo la ferita.
 - Fermami se è troppo stretta - disse, e si concentrò nell'operazione.
Jin lo osservò mentre, con tutto il suo impegno, Li cercava di essere il più leggero possibile. I capelli di lui, lasciati sciolti, le coprivano la visuale dei suoi occhi.
 - Ah - si riscosse ad un tratto, - a proposito. Grazie di averci lasciato usare la tua stanza. Mi dispiace che la mia famiglia ti abbia spodestato dal tuo letto.
 - Figurati. Era il minimo che potessimo fare. Piuttosto, mi dispiace di avervi potuto concedere solo uno spazio così ristretto - farfugliò, - la camera dello zio era ancora più piccola. Non so cosa avesse in mente chi ha progettato questa casa, ma sono certo che avrebbe potuto distribuire meglio gli spazi, invece di fare questo salone enorme - motivò, posando gli occhi sul tavolo isolato, sul grande divano e sui mobili più disparati.
 - Ma qui è carino. E' una bella casa, c'è tanto spazio - spiegò, guardandosì attorno ancora una volta. - A casa mia, invece - disse, e subito si bloccò. Si fermò anche Zuko, e sollevò lo sguardo.
La guardò mentre tratteneva le lacrime e si asciugava gli occhi nell'incavo nel gomito sinistro; poi, imperterrita, continuò il discorso come se niente fosse.
 - Quando avremo una casa nuova, vorrei che la mia stanza fosse carina come la tua - disse ancora, tirando su rumorosamente con il naso, gli occhi ancora nascosti. - Dovrò chiedere allo zio di aiutarmi ad arredarla. Dici che lo farà?
Zuko sorrise.
 - Ne sarà felicissimo, ne sono certo - le rispose, stringendole le dita tra le sue.
Nel sentire quel calore, il cuore di Jin perse un battito. I suoi occhi riemersero finalmente dalla stoffa della manica.
 - Ecco, finito - disse lui, fissando la benda nel miglior modo possibile. Contemplò il lavoro ultimato, soddisfatto.
 - Oh - commentò lei, - E' molto meglio di prima. Sei stato molto bravo - si complimentò.
 - Ero abituato a farlo spesso - spiegò lui, - Una volta. Prima. - aggiunse.
 - E non c'entra nessun circo, vero? - domandò Jin, stringendosi nelle spalle, senza guardarlo direttamente.
 - No, nessun circo.
 - Non sei mai stato un bravo giocoliere - continuò, - perciò questo l'avevo già capito anche senza che me lo dicessi - ammise, con un'espressione vagamente ironica in volto.
Sorrisero entrambi al ricordo della sua scarsa abilità.
 - C'è altro che devi dirmi? - continuò lei.
 - Più di quanto immagini - le rispose, guardandola finalmente negli occhi.
Rimasero entrambi immobili per qualche secondo.
 - Prima o poi... mi racconterai tutto?
 - Ci proverò. Te lo prometto.
Jin sorrise, serena.
 - Tu e lo zio siete fuggiti dalla Nazione del Fuoco, quindi?
 - Sì.
 - E siete dominatori.
 - Sì.
 - E' per quello che lo zio fa un tè così buono? E' una qualche abilità segreta?
 - Non credo proprio - rispose Zuko, perplesso. - Credo sia semplicemente un fanatico. E' sempre stato così, da quando lo conosco.
 - Anche mamma e papà sono fuggiti da un qualche paesino del Regno della Terra, prima ancora che io nascessi - aggiunse lei, cambiando discorso improvvisamente - e non ne hanno mai parlato volentieri. L'ho saputo quasi per caso.
Zuko ammutolì.
 - Era solo per dirti che non sei l'unico ad avere dei segreti, qui. Quasi tutta la gente di Ba Sing Se ne ha - continuò. - Ricorda che non devi per forza dirmi tutto quello che ti chiedo - aggiunse, - ma solo quello che vuoi dirmi. Sarà già abbastanza - concluse.
Lo vide abbassare gli occhi, puntandoli sulle maioliche intrecciate nel tappeto.
Jin guardò ancora una volta la benda sul proprio braccio, e avvertì gli occhi stanchi e la testa che si faceva pesante.
 - Abbiamo bisogno di dormire - disse, alzandosi in piedi. - E' meglio che io torni in camera.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei.
 - Aspetta - sussurrò, - C'è una cosa che devo dirti.
Jin si bloccò, muta, in attesa. Zuko le strinse delicatamente le punte delle dita della mano destra.
 - Io - cominciò, - io... - e di nuovo distolse lo sguardo. Sentì il suo respiro accelerare, come se fosse agitato.
Dimmi, pensò Jin, senza emettere un suono.
 - Io non mi chiamo Li - disse tutt'a un tratto, frettoloso, rafforzando la presa sulle sue unghie.
Jin sorrise. Sciolse la stretta in cui era chiusa la sua mano. Si abbassò appena, per poi posargli il palmo caldo sulla sua guancia, i polpastrelli appena in contatto con quella bruciatura sempre rovente - che ancora scottava, come quel ricordo mai dimenticato.
 - Un giorno ti chiamerò con il tuo vero nome, allora. Aspetterò.
Sollevò di nuovo lo sguardo verso di lei, portandosi una mano al viso per sfiorare quella di Jin.
 - Un nome è solo un nome. L'importante è che tu sia sempre tu.
Sorrise - e questa volta fu Zuko a farlo, e non Li, e gli parve fosse passata un'eternità dall'ultima volta che era successo.
 - Sì - fu l'unica cosa che disse, ma niente avrebbe potuto esprimere quanto il suo cuore si fosse fatto più leggero.



*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
22.03.2011
Ce l'ho fatta *_*!
Questo capitolo si è delineato nella mia testa mano a mano che scrivevo i precedenti dieci, anche se ha subito dei rimaneggiamenti in corso d'opera, e anche se ammetto di essermi bloccata più volte per capire dove effettivamente questi personaggi volessero arrivare. Spero risultino sufficientemente IC, perchè nella mia mente lo sono. ò_ò
E con questo, per la gioia di Talpy, diamo definitivamente l'addio al disturbo dissociativo della personalità di Zuko! Olè! XD
Ancora una volta, non avrei voluto trattare solo questa scena, ma si è fatta più lunga di quanto avessi pensato all'inizio. Però... è giusto così. In effetti, se avessi inserito degli episodi con un'altra ambientazione sarebbero stati fuori luogo, in fondo. Perciò, vada così. :)
E nel prossimo capitolo, il Polo. Assolutamente. :D Lascerò in pace Zuko per un po'. Forse. XD
Ciao a tutti, domattina parto per la Spagna, torno venerdì sera *w*
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto *_*!
Buonanotte :D
Kuruccha

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Capitolo 12
*** Burocrazia ***




Capitolo 12 - Burocrazia


 - Avatar Aang - disse semplicemente Arnook, - E' un piacere riaverti tra noi.
Il capo tribù si inchinò al gruppo appena arrivato, le mani congiunte e tese davanti al viso in segno di rispetto. L'intero consiglio imitò il suo gesto.
Aang fissò per un secondo quella miriade di forti spalle piegate verso di lui e si inchinò a propria volta. Nell'alzare gli occhi, poco dopo, non potè non incrociare gli sguardi degli uomini della Tribù dell'Acqua del Sud, sollevati verso di lui, e notò immediatamente i loro sorrisi. Una cordialità che, in mezzo a tutte quelle formalità, gli fece molto piacere.
 - Capo tribù Arnook - rispose Aang, - vi ringrazio per questo caloroso benvenuto, e vi chiedo di scusarci per l'apparizione improvvisa.
Gli occhi grigi del ragazzo erano immobili e fissavano il suo viso con estrema serietà. Arnook pensò che fosse proprio cresciuto dall'ultima volta che l'aveva incontrato.
 - Viaggiare in incognito è l'unico modo per poter passare inosservati, al giorno d'oggi. Non c'è alcuna necessità di scusarsi. - replicò, accondiscendente. Volse lo sguardo verso gli altri componenti del gruppo - una ragazzina che non aveva mai visto, e che dall'abbigliamento doveva appartenere al Regno della Terra; la nipote di Kanna; e poi Sokka, schierato con loro - e non potè fare a meno di pensare che fossero tutti esageratamente giovani, quasi dei bambini.
 - Avatar Aang - chiamò ancora, - immagino che tu e il tuo gruppo sarete molto stanchi per il lungo viaggio. Vi prego di riposarvi, ma vi chiedo di essere presenti al consiglio di stanotte. Conoscere le vostre intenzioni e ascoltare delle notizie veritiere sul resto del mondo potrebbe essere di vitale importanza per noi.
L'espressione del ragazzo si addolcì un po', ma i suoi occhi rimasero fissi in quelli di Arnook.
 - Può contare su di noi. Ci saremo tutti quanti.
 - Vi ringrazio - concluse il capo tribù, sorridendo cordialmente. L'atmosfera si fece meno tesa. - Vi farò preparare un alloggio nel più breve tempo possibile.
 - Capo Arnook, non ce n'è bisogno - li interruppe Sokka. - Le stanze che mi sono state assegnate sono grandi a sufficienza per tutti noi.
Aang si voltò verso il ragazzo con un gran sorriso in volto.
 - Penso che una sistemazione del genere non sarebbe sufficientemente dignitosa per l'Avatar, e-
 - Va bene così. - lo bloccò subito Aang. - La casa di Sokka andrà bene per tutti, se lui è d'accordo - disse, rivolto verso l'amico.
Sokka sorrise, annuendo.
Arnook li guardò ancora una volta, certo che, nonostante la necessità di essere formali, quella fosse - dopotutto - la scelta migliore.
 - E sia - concluse.
 - Allora smettiamola con tutte queste cerimonie e vediamo di sbrigarci - esclamò Toph, le braccia incrociate al petto e la testa stretta tra le spalle. - Sto letteralmente morendo di freddo.
 - Vi farò recapitare anche dei vestiti adatti al clima - si giustificò l'uomo, - perdonatemi per non averci pensato fino ad ora.
 - Possiamo anche andarceli a prendere da soli - rispose Toph, strofinandosi gli avambracci.
 - Capo Arnook - intervenne Sokka, cercando di evitare un incidente diplomatico, - penserò io a tutto. Non ce ne sarà bisogno.
Arnook gli sorrise con gratitudine.
 - Mi fido di te, Sokka - rispose semplicemente.
Sokka chinò la testa, risollevandola poco dopo.
Sorrisero entrambi, e il consiglio d'emergenza fu sciolto.

 - Finalmente si respira! - esclamò una seccatissima Toph, mani sui fianchi, appena fuori dalla tenda in cui il consiglio era stato improvvisato.
Gli altri tre osservarono le spalle larghe rivolte verso di loro.
 - Sai, Toph, penso che dovresti essere vagamente più rispettosa con il Capo Tribù - farfugliò Aang, torcendosi le mani, a occhi bassi.
Sokka e Katara si scambiarono un'occhiata perplessa, per poi fissare Aang. Il suo sguardo era ancora posato su Toph, zitta e immobile, nella stessa posizione di poco prima.
 - Tsk! - si limitò a dire, voltandosi su se stessa. - Non pensare di potermi dire quello che posso o non posso fare! - intimò, gridando e tendendo il braccio destro davanti a sé.
Sokka fissò il dito della ragazza, puntato verso un'abitazione poco distante. Una delle donne della città ghiacciata, vedendosi indicata, si immobilizzò, timorosa, con un cesto tra le mani.
 - Ehm, Toph - mormorò Katara, - credo tu abbia dei problemi di localizzazione...
 - Come sarebbe a dire, problemi di localizzazio-
Non riuscì a terminare la frase. Spostò energicamente il braccio, quasi decapitando il povero Sokka, che fece appena in tempo ad abbassarsi; la sua mano si bloccò addosso alla testa calva di Aang.
 - Ahio. - udì solamente.
 - Come hai fatto ad arrivare ?
 - Veramente sono sempre stato qui... - spiegò, perplesso.
Ci fu un attimo di silenzio.
 - Maledetto ghiaccio - fu tutto ciò che Toph fu in grado di articolare, sbattendo furiosamente un piede per terra.


 - Maestro Hoto?
L'uomo si voltò al richiamo di Sokka. Aggrottò le sopracciglia, perplesso dalla presenza del ragazzo nella zona ovest. Cercò di ricordare a memoria a quale sezione fosse stato assegnato quel pomeriggio, e si chiese vanamente che razza di animale fosse quello appollaiato sulla sua spalla.
 - Dimmi, Sokka. Ci sono forse problemi alle mura della zona Sud? - domandò, apprensivo.
 - Oh, no, assolutamente no. Non sono stato mandato dal Maestro Koho - spiegò, agitando una mano. - Oggi ci sono stati dei contrattempi, perciò non ho potuto prendere parte al turno di guardia.
Osservò, oltre la spalla del ragazzo, il gruppo variopinto raccolto poco dietro di lui.
 - Pssst! - gli sussurrò Sokka.
Hoto osservò con perplessità sempre crescente il ragazzo, che ora aveva una mano poggiata alla propria guancia.
 - Psssst! - gli sussurrò ancora, facendogli cenno di avvicinarsi. Hoto si arrese, porgendogli l'orecchio.
 - Lui... lui è l'Avatar! - rivelò, con enfasi.
L'uomo alzò appena gli occhi per osservare il ragazzino con la testa pelata e la freccia azzurrognola che ne percorreva la superficie. Vesti arancioni da dominatore dell'Aria, ragionò. Però me lo immaginavo più alto, concluse, abbassando nuovamente gli occhi.
 - Perché l'Avatar è qui alle mura Ovest, Sokka? Sta per succedere qualcosa di grave?
Avevo dimenticato quanto quest'uomo fosse paranoico, pensò Sokka, sospirando.
 - Oh, no, Maestro. L'Avatar Aang ha l'assoluta necessità di parlare con la guerriera Kyoshi assegnata quest'oggi al suo distaccamento, e io sono stato incaricato di accompagnarlo - spiegò brevemente.
L'espressione di Hoto si distese.
 - Ora la situazione mi è chiara - disse, convinto. - Ovviamente, non c'è nessun problema. Avatar Aang - chiamò poi.
Il ragazzo si voltò, inchinandosi. Hoto piegò la testa a propria volta.
Toph trattenne a stento una risata. Quella serie di convenevoli, che sarebbe stata imbarazzante già di per sé in una situazione normale, lo era ancora di più dopo tre anni di isolamento pressochè totale; senza contare, poi, che stentava a credere che il piano di Sokka per sequestrare Suki fosse filato così liscio. Conosco i miei polli, aveva detto loro Sokka poco prima, quando gli avevano espresso le loro perplessità; e ora, se in questi anni le cose non sono cambiate, continuerà ad atteggiarsi a professionista della situazione per un bel po', rimuginò Toph, divertita.
 - Maestro Hoto - disse Aang, semplicemente.
 - Conti pure sulla mia collaborazione per ogni eventuale necessità - esclamò l'uomo, gli occhi ancora puntati sul duro ghiaccio attorno ai suoi piedi.
 - La cosa è certamente reciproca, Maestro - lo rassicurò.
Hoto si tranquillizzò.
 - Farò subito chiamare la guerriera Kyoshi, allora.
 - Non ce n'è bisogno - udirono. Con un solo balzo, la ragazza si portò vicino al Maestro Hoto. - Ehi, quanto tempo! - esclamò, un gran sorriso in volto.
 - Suki! - chiamarono in coro tutti gli altri, coinvolgendosi a vicenda nel secondo grande abbraccio collettivo.
Toph non poté resistere, e le colpì la spalla con un pugno amichevole.


 - E così siete apparsi nella piazza centrale da un momento all'altro, facendovi beffe di tutto il sistema di sicurezza delle mura? - domandò Suki, seriamente impressionata.
Aang, porgendo a Katara - già salita sulla sella legata alla schiena di Appa - le borse contenenti i vestiti pesanti appena comprati, scoccò a quest'ultima un'occhiata interrogativa; temeva che l'evidenziare in modo così clamoroso una tale inefficienza del sistema di sicurezza di cui faceva parte la loro amica ne avrebbe in qualche modo offeso l'orgoglio. Katara lo esortò a rispondere con un cenno della testa.
 - Beh, sì... si potrebbe dire di sì - rispose, incerto, le sopracciglia corrucciate.
 - Oh, ma questo è fantastico - esclamò, ammirata. - Avrei voluto assistere a quella scena. Chissà che facce avranno fatto quelli della sicurezza! Oh, come avrei voluto essere stata assegnata al pattugliamento interno, questa settimana! - continuò, gesticolando.
Momo, appollaiato sulla testa di Toph, emise uno dei suoi soliti suoni - un verso dal tono alto, decisamente contento.
 - Ma come siamo felici oggi, eh? - domandò Sokka, poggiando un braccio sulle spalle di Suki.
 - Oh, altroché! - rispose lei, esultante.
 - Per favore. Di coppietta vomitevolmente affiatata me ne basta una! - esclamò Toph, incrociando le braccia sul petto.
 - La verità, Toph, è che hai evidentemente bisogno di più affetto e-
 - Cosa stai dice-
Vennero interrotti entrambi da una invadente leccata di Appa, desideroso di dimostrare il proprio amore verso i ragazzi.
Aang e Katara, gli unici incolumi, risero. Sokka gettò loro un'occhiataccia.
 - Bene, ora è proprio il caso di cambiarci, direi - aggiunse, passandosi una mano sulla fronte appiccicosa. - Andiamo a casa.


Il sole stava già tramontando; il cielo si era tinto di rosso. A intervalli irregolari, Aang poteva vedere scie di bagliori luminosi che risalivano la superficie delle mura in lontananza, scaricando il loro calore verso il cielo. Le fiamme dei Dominatori del Fuoco venivano subito contrastate da pareti di ghiaccio sottile, che si scioglievano con la stessa velocità con cui erano state create; l'acqua galleggiava per un attimo sotto forma di nebbiolina sottile, per poi ricadere al suolo in goccioloni pesanti.
Erano tre interi anni che la guerra non gli sembrava così vicina.
Osservando l'ennesimo bagliore, molto più potente di quelli dell'ultima serie, deglutì rumorosamente.
Pensò con ansia crescente al consiglio che li aspettava quella notte, e afferrò la mano di Katara.




*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
26.05.2011
Non vi aspettavate questo aggiornamento, eh? XD
Ebbene sì, ci ho messo più di due mesi. ._. Chiedo davvero perdono.
Questo capitolo è, nel complesso, un po' noioso - in fondo lo si poteva intuire già dal titolo XD - ma contiene scene "di passaggio" che andavano scritte per spiegare bene la situazione. Sappiate, comunque, che questi capitoli scollegati tra loro dureranno ancora poco; presto si entrerà nel vero e proprio vivo dell'azione.
La buona notizia è che oggi mi sono schematizzata le vicende fino ad arrivare al ventesimo capitolo, e ora sto verificandone l'attuabilità concreta. XD Progetto di scrivere presto il capitolo 13 - e già so che sarà una stesura complicata, ma arriverà. Non voglio assolutamente lasciar perdere questa storia. >_<
Grazie alla Podda e alla sua gigantesca pazienza, a Talpy e alla sua fiducia infinita, a Fede che mi sopporta sempre, a Max che si è letto e commentato tutti i capitoli precedenti in pochissimo tempo, e a Scrapheap che ha insistito tantissimo per vedere questo online. XD
Spero, a ogni modo, che questa dodicesima parte tanto attesa fosse abbastanza godibile. Nel caso contrario, ditemelo, vi prego. XD
Buona serata a tutti <3
Kuruccha

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