Menelvagor

di elenelessar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scivolando lungo l'Anduin ***
Capitolo 2: *** Un nascondiglio ***
Capitolo 3: *** Veleno! ***
Capitolo 4: *** una curatrice ***
Capitolo 5: *** foglie e corteccia... ***
Capitolo 6: *** qualcosa di sconosciuto ***
Capitolo 7: *** sospetti ***
Capitolo 8: *** ricordi ***
Capitolo 9: *** nuovi amici ***
Capitolo 10: *** risveglio ***
Capitolo 11: *** rimpianti, sensi di colpa e dubbi... ***
Capitolo 12: *** elfi e nani ***
Capitolo 13: *** piccoli oggetti...umani ***
Capitolo 14: *** il tempo stringe ***
Capitolo 15: *** dubbi angosciosi ***
Capitolo 16: *** un addio... ***
Capitolo 17: *** ripensando alla partenza ***
Capitolo 18: *** Lettere ***
Capitolo 19: *** un giuramento ***
Capitolo 20: *** rumori di battaglia ***
Capitolo 21: *** ferite e disperazione ***
Capitolo 22: *** addio a Boromir ***
Capitolo 23: *** usare la testa, le gambe e le ali... ***
Capitolo 24: *** cattive notizie ***
Capitolo 25: *** ricrdi infranti ***
Capitolo 26: *** freddo, fatica e speranza ***
Capitolo 27: *** ultime speranze ***



Capitolo 1
*** Scivolando lungo l'Anduin ***


1) La compagnia aveva lasciato Lorien ormai da un giorno, e lasciandosi trascinare dalla corrente lungo il fiume Anduin ne aveva già trascorso un lungo tratto. Stava calando la sera quando gli otto compagni decisero di accostare le tre barche elfiche alla riva e di cercare un punto riparato nel quale trascorrere la notte. I quattro hobbit, per niente abituati al viaggiare sull’acqua, furono ben felici di toccare terra e di poter riposare. Il viaggio era stato per tutto il giorno così monotono e cupo, che tutti accolsero volentieri l’idea, anche se questa sosta li rendeva più vulnerabili. La decisione su quale strada intraprendere e su cosa fare pesava sull’animo di tutti, ma nessuno voleva ancora pensarci. Quasi in completo silenzio, scaricarono i loro leggeri bagagli dalle barche e allestirono un piccolo campo improvvisato. Gimli era attanagliato dalla nostalgia per la dama di lorien, e per togliersi di dosso quella triste sensazione decise di andare a raccogliere un po’ di legna per accendere il fuoco. Merry e Pipino preparando il cibo avevano ripreso a chiacchierare scherzosamente, Sam ciondolava per il sonno, e Frodo fissava il fiume con l’aria di non pensare a nulla. Mentre Aragorn e Boromir sedevano un po’ in disparte parlando sommessamente, Legolas camminava lentamente lungo la riva, cantando sottovoce una nenia dal suono dolce e triste insieme, e sembrava quasi che non vedesse i compagni. Lasciando Lorien si era sentito come se, dopo essere stato a lungo cullato da un sogno, fosse stato svegliato a forza e buttato fuori al freddo. Poi, come se fosse stato colpito da qualcosa, girò di scatto la testa nella direzione verso la quale si era allontanato Gimli, e dopo essere rimasto in ascolto un istante, corse dentro al bosco che costeggiava il fiume. Conoscendo i sensi finissimi dell’elfo, Aragorn e Boromir capirono subito che aveva sentito qualcosa al di là degli alberi, e si lanciarono anch’essi nella stessa direzione, urlando ai quattro hobbit di restare nascosti e di aspettarli lì. Quando però riuscirono a raggiungere l’elfo, Legolas e Gimli erano impegnati in una violenta battaglia con un folto gruppo di orchetti, e già alcuni di essi giacevano a terra, colpiti da frecce o dalla terribile ascia del nano che, sorpreso mentre tagliava legna, sfogava ora tutta la sua rabbia… I due uomini si lanciarono nella battaglia, e in poco tempo ebbero la meglio. Quando ormai il fragore delle armi era cessato, Legolas si accorse che non vedeva già da qualche minuto Gimli, e cominciò a percorrere il campo coperto dai corpi degli orchi. Un sorriso gli sfuggì, quando vide il nano circondato dai nemici abbattuti a tal punto da non riuscire ad uscirne. Si avvicinò, e gli porse una mano, cercando di sollevarlo. Gimli accettò l’aiuto, anche se già sapeva che gli sarebbe costato qualche parola di scherno, poiché considerava ormai Legolas uno dei suoi amici più cari. Fu in quel momento che un orchetto, ferito ad un braccio, ma ancora vivo, si alzò da terra dove si era finto morto e si scagliò verso di loro. “Legolas, attento!” gridò Gimli. L’elfo era scoperto, e cercando di sollevare l’amico, si era messo in una posizione dalla quale non seppe girarsi in tempo. L’orchetto brandiva un pugnale, e Legolas fece appena in tempo a vederlo avvicinarsi, ma non a balzare indietro. Il pugnale affondò nel suo fianco, e l’orchetto l’avrebbe colpito ancora, se Gimli, colto da una furia improvvisa, non gli avesse staccato la testa di netto con un colpo d’ascia. L’elfo cadde in ginocchio. I suoi occhi ora vitrei si incrociarono con quelli del nano, che si lanciò in avanti per prenderlo tra le braccia. In un attimo vide farsi notte, e gli sembrò di non poter respirare. Gimli si trovò così, mentre davvero scendeva la sera, con l’amico tra le braccia, bloccato tra i corpi di decine di orchetti, e maledicendo la propria statura piangeva senza accorgersene…

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Capitolo 2
*** Un nascondiglio ***


2) Aragorn e Boromir si guardarono intorno. L’intera radura nella quale si trovavano costituiva uno spettacolo assai macabro, e mentre ancora con il fiato grosso camminavano tra i cadaveri degli orchi, sentirono Gimli chiamare con tutta la sua voce. Dopo un attimo di disperazione, il nano era tornato subito in sé, e dopo aver adagiato il corpo di Legolas a terra con grande dolcezza, aveva cominciato a chiamare. In pochi istanti i due uomini furono lì, e ciò che videro li lasciò per un attimo immobili. Il corpo dell’elfo era a terra, e Gimli aveva il volto rigato di lacrime, sicchè credettero che fosse morto. Ma Aragorn si avvicinò deciso, e si chinò su Legolas, mentre Gimli raccontava cosa fosse accaduto. “E’ morto?” chiese Boromir che si era avvicinato. “No. respira e la ferita non mi sembra profonda, ma dobbiamo portarlo subito al campo, dove potrò controllare meglio. Ormai è completamente buio.” Lo sollevò tra le braccia e scese verso il fiume, mentre gli altri due compagni lo seguivano senza parlare. In poco tempo raggiunsero l’ansa del fiume dove avevano ancorato le barche, e con grande sorpresa videro che non vi era traccia dei quattro giovani hobbit. Boromir corse in avanti, cercando di scrutare nel buio, ma non si arrischiò a chiamare, poiché temeva di attirare nuovi orchetti. Prima però che vi fosse il tempo di preoccuparsi davvero, videro uscire Merry da un grumo di radici. “Siamo qua, venite!” disse con il tono divertito di chi sa di aver stupito. Ma appena Aragorn si avvicinò, poté vedere nella penombra qual’era il fardello che portava, e il viso gli si incupì. “Avete trovato un nascondiglio?” chiese Gimli chinandosi a guardare tra le radici “Venite, c’e spazio per tutti noi!” rispose Merry, e si infilò strisciando nel nascondiglio. Vi era una cavità piuttosto ampia, formata dalle grandi radici di due alberi vecchissimi. Esse per metà affondavano nel terreno, ma per la restante parte formavano un groviglio scoperto, poiché lo scorrere del fiume aveva trascinato via gran parte della terra su cui poggiavano inizialmente gli alberi. Entrarono, e Aragorn fu l’ultimo. Lasciò Legolas a Boromir, che lo trascinò dentro, e prima di entrare volle fare un breve giro di controllo nei dintorni. Tra le radici Gimli raccontò con un filo di voce ciò che era accaduto, e i quattro hobbit provarono un grande tristezza non solo a vedere legolas in quello stato, ma anche a sentire la voce del nano, di solito così potente, spezzata dal dolore. Da come parlava traspariva che si sentiva responsabile per ciò che era accaduto, e gli hobbit avrebbero voluto poter dire qualcosa, ma nessuno ne fu capace. Boromir nel frattempo aveva sollevato delicatamente le vesti lacerate dell’elfo e stava osservando il pugnale. Occorreva toglierlo, ma non vi era luce. Aragorn tornò, e chinandosi nel nascondiglio scoprì una piccola lanterna, che portava nascosta sotto il mantello. “Ho visto le barche, e ho preso una delle nostre lanterne. Speriamo che gli orchetti abbiano una vista peggiore della mia…” Gli hobbit arrossirono, sapendo di aver nascosto le barche male e frettolosamente. Aragorn se ne accorse. “in ogni caso ormai è notte, e non servirà celarle più di così…” Si chinò su Legolas, che aveva aperto gli occhi. Giaceva sul fianco, e Boromir gli teneva sollevata la testa. Il suo viso era pallido ma calmo. “come ti senti?” chiese il ramingo scoprendogli la ferita. L’elfo sorrise ma non rispose. “devo togliere il pugnale…” “fa’ quel che devi…non sento dolore…desidero solo riposare un po’ ” Allora Aragorn estrasse dalla sua borsa alcune bende, e chiese a Sam di accendere un piccolo fuoco e di far bollire un po’ d’acqua. Legolas, che sembrava oscillare tra sonno e veglia, si voltò: “così ci vedranno…non possiamo accendere un fuoco…” “non possiamo neanche fasciare una ferita senza averla lavata…cerca di non preoccuparti per noi e riposa. Fra poco verrò a medicarti.” Legolas chiuse allora gli occhi e sprofondò in uno strano sonno nebbioso. Aragorn si allontanò allora per quanto poteva e cominciò a tagliare la tela per le bende. Gimli si avvicinò timoroso all’elfo, poi lo coprì con il proprio mantello. Non appena l’acqua fu sterilizzata, e messa a raffreddare, Sam vi immerse alcune bende, e il fuoco fu spento. Aragorn si posizionò di fianco a Legolas. Boromir lo sollevò nuovamente e lo tenne fermamente per le spalle. Merry e Pipino si sedettero accanto alle radici più esterne, per controllare che nessuno si avvicinasse, e Frodo prese la lanterna e la tenne alta in modo da illuminare il più possibile. L’elfo aprì gli occhi, ma non si mosse. Granpasso prese allora il pugnale e lo estrasse, con un gesto veloce e deciso. Legolas emise un lamento soffocato, ma riuscì a non urlare. La ferita venne velocemente lavata e tamponata, e dopo averlo fasciato, Sam e Gimli lo stesero e lo coprirono. Sprofondò nuovamente nel sonno. Frodo vide Aragorn chiudere il pugnale in alcune bende e metterlo nella propria borsa con un’espressione seria.

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Capitolo 3
*** Veleno! ***


Pipino aprì gli occhi, e guardandosi attorno si chiese quanto tempo avesse dormito. In realtà si sentiva come se avesse chiuso gli occhi alcuni istanti prima. Era ancora buio, e accanto a lui gli altri tre amici dormivano un sonno inquieto, rannicchiati gli uni contro gli altri. Gimli, che vegliava accanto a Legolas si voltò verso di lui, e scosse la testa, in segno di preoccupazione. Pipino gli si avvicinò strisciando… “Ha la febbre…” disse Gimli togliendo una ciocca di capelli dal volto dell’elfo. “Aragorn è andato a prendere un po’ d’acqua fresca al fiume per bagnargli la fronte…” In quel momento alcuni passi leggerissimi si udirono al di là delle radici, e Pipino guardò fuori. Era il Ramingo, che si era fermato un istante a pochi passi da loro. L’hobbit lo vide tirar fuori qualcosa dalla borsa, ed osservarla alla luce della luna che finalmente era apparsa dietro alle nuvole. Rimase così per pochi istanti, nera figura contro i raggi della luna, poi l’Hobbit lo vide voltarsi di scatto stringendo il pugnale, e con un gesto d’ira colpire l’albero accanto a sè con un pugno…Pipino sussultò. Aragorn era sempre talmente controllato, che ora appariva evidente che fosse accaduto qualcosa. Il Ramingo aprì gli occhi. Si rese conto che per alcuni istanti la disperazione aveva preso il sopravvento, e di essere poggiato con la fronte al tronco dell’albero, trattenendo a stento un urlo di rabbia. Il giovane hobbit era accanto a lui, e lo osservava con la faccia spaventata, e Aragorn tornò subito in sé. “scusami Pipino, non volevo spaventarti…” Pipino sorrise.. “non ti preoccupare, non mi hai spaventato. Però il tuo volto serio mi sta preoccupando…cosa è accaduto?” “purtroppo quello che avevo temuto fin dall’inizio…ma torniamo dentro, vi spiegherò ogni cosa.” Strisciarono nuovamente nel rifugio, e Aragorn fece segno a Gimli di svegliare gli altri, mentre si chinava su Legolas. In breve tutti si raccolsero intorno a lui e videro che il volto del Ramingo era teso e scuro. “ Mi spiace, speravo che questa notte sarebbe stata una delle ultime in cui potessimo riposare, ma il fato ha voluto che neanche così lontano dalla nostra meta potessimo trovare ancora un po’ di pace. Sono uscito poco fa perché Legolas ha la febbre, e ho verificato ciò che già sospettavo. – estrasse da sotto il mantello il pugnale e lo mostrò agli altri – Quando l’abbiamo tolto il sangue era fresco, e la luce poca, e mi ero illuso che non vi fosse null’altro, ma ho deciso di tenerlo ugualmente per sicurezza.” Tutti osservarono il pugnale. Il sangue si era rappreso, ed ora si vedeva chiaramente sotto ad esso una sostanza oleosa e nera, anch’essa secca. Gimli si prese la fronte tra le mani “Veleno! Quelle immonde creature…” “cosa possiamo fare per curarlo?” chiese Frodo rabbrividendo. Aragorn non rispose. Gimli lo guardò incredulo “non conosci alcuna cura? Ti credevo esperto di erbe e medicine!” “conosco alcuni rimedi, e so riconoscere molte piante, ma non posso nulla contro un veleno che non conosco…so che gli orchetti usano spesso armi avvelenate, ma i loro immondi veleni sono un mistero per tutti coloro che non appartengono alla loro lurida razza!” “Gli elfi però sanno curare ogni cosa, no?- chiese Sam, che vedeva in essi una sorta di onnipotenza- portiamolo a Lorien, lì sapranno di certo cosa fare!” “Ci siamo già allontanati da Lorien da un giorno, sarebbe un cammino troppo lungo…” “Eppure almeno un giorno potrà resistere!” Aragorn scosse la testa: “ un giorno seguendo la corrente del fiume significa almeno due giorni via terra, e non possediamo nulla per trasportare un ferito…” “E risalendo il fiume?- chiese Pipino, che non riusciva a rassegnarsi- oppure potremmo metterlo in una barca e trascinarla da terra!” Boromir sorrise amaramente “voi hobbit non siete molto esperti di barche, vero? La corrente in questo tratto è forte, come pensi di trascinare una barca, a braccia? E poi la riva è irregolare, in alcuni punti non si riesce neanche ad avvicinarvisi!” Gimli stringeva i pugni “Basta! Meglio tentare che muoia lungo il tragitto, che aspettare qui la sua morte senza far nulla! Lo porterò a lorien, a costo di caricarmelo sulle spalle, se nessuno di voi mi aiuta!” “ non otterresti altro che di ucciderlo, Gimli! Cerchiamo di calmarci. Occorre pensare con calma…” Alle parole di Aragorn tutti tacquero, ma nessuno riusciva ad intravedere una soluzione. Legolas si agitava ora nel sonno, febbricitante, e i suoi lamenti stringevano il cuore di tutti. Aragorn sentiva il cuore più pesante di ognuno di loro. Non solo sulle sue spalle gravava la responsabilità di guidare la compagnia, ora che Gandalf era caduto, ma numerose scelte si erano poste lungo il cammino. Era giusto recarsi a Gondor come desiderava Boromir? Ed ora soprattutto, cosa poteva fare per l’amico ferito? Valeva forse la pena di tentare in ogni modo di portarlo a Lorien? egli giaceva accanto a lui, ma ugualmente accanto era il portatore dell’anello, e la missione che essi dovevano compiere era più importante di ogni altra cosa. Qualunque scelta avesse preso, era certo che avrebbe sbagliato. Se almeno Gandalf fosse stato con lui! Forse avrebbe anche saputo curare Legolas… Mentre tutti erano persi in tristi pensieri, si udirono alcuni passi al di là delle radici. Tutti sussultarono. Aragorn e Boromir, sguainati i pugnali, strisciarono verso le radici più esterne. Ciò che videro li lasciò per un attimo immobili per lo stupore. Una figura in piedi, avvolta in un mantello nero e con il capo coperto dal cappuccio, li osservava sorridendo. Si chinò verso di loro, reggendo in mano una piccola lanterna. Allora videro che era una fanciulla dai capelli bruni, dal viso serio e dolce allo stesso tempo. “finalmente vi ho trovato – disse – credevo che sarei arrivata troppo tardi!”

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Capitolo 4
*** una curatrice ***


Dopo un attimo di smarrimento Aragorn tornò in sè. Uscì dalle radici e fissò negli occhi la fanciulla, senza però riporre il pugnale. Ella non si scompose. “Avete con voi dei feriti, vero? Seguitemi, cercherò di aiutarvi.” Aragorn non si mosse. “Chi sei? E come fai a saperlo?” “ non vi è tempo per le spiegazioni. Vi prego di fidarvi di me…”
Aragorn si voltò verso i compagni, che erano usciti dal rifugio. Sentiva d’istinto di potersi fidare, ma in quella situazione gli sembrava di non poter rischiare azzardi.
Gimli gli si avvicinò “ Facciamo ciò che dice Aragorn, il tempo stringe!”
“d’accordo. Può darsi che io stia sbagliando, ma non abbiamo praticamente altra scelta. Ti prego di curare il nostro amico, se puoi farlo.”
La fanciulla si limitò ad annuire, poi si voltò e si addentrò nel bosco. La compagnia la seguì, cercando di non fare rumore. Il ramingo le si avvicinò e cercò di spiegarle rapidamente cosa fosse accaduto. “immaginavo qualcosa del genere.- rispose lei camminando velocemente- Ero nel bosco quando ho sentito rumore di battaglia. Mi sono avvicinata e ho trovato tutti quei cadaveri. Vi ho visto per un istante, poiché stavate già andando via. Mi è sembrato che portaste il corpo di un ferito, così ho deciso di cercarvi.” “Non sapevo che in questi luoghi vivesse qualcuno” “infatti ci sono solo io, e credo che solo gli elfi di lorien lo sappiano.” “Noi siamo otto, e siamo armati. Se davvero vivi sola come dici, non è imprudente accoglierci nella tua casa, senza conoscerci?”
“I nemici degli orchi sono miei amici- tagliò corto la ragazza, e si voltò verso Boromir, che portava in braccio Legolas- chi è il vostro compagno ferito, un uomo?” Boromir fece un passo avanti, portandosi alla luce della luna. “no, è un elfo.” La fanciulla guardò allora il ferito per la prima volta, e per un attimo impallidì. Scostò la giacca e diede una rapida occhiata alla fasciatura. “Hai detto che il pugnale era avvelenato, dunque? Venite. Occorre affrettarsi.”
Dopo poco arrivarono ai piedi di un albero secolare, uno dei più grandi di tutta la foresta, e la fanciulla vi si avvicinò. Cercò qualcosa con le mani tra la corteccia nodosa, e afferrò una corda grigia che nessuno aveva visto prima. La tirò, e dalle fronde dell’albero scese una scala di corda. “salite, presto!” si arrampicò, ed uno dopo l’altro i compagni la seguirono. Solo quando furono in cima videro che fra i rami dell’albero era stata costruita una piccola casa, simile alle abitazioni di lorien, ma molto più semplice e scura.
Entrarono. La casa era formata da due stanze, arredate con pochi mobili di legno, molto semplici ma assai belli. Al centro della prima stanza vi era un tavolo di legno scuro, coperto da un drappo grigio, finemente ricamato. La fanciulla vi fece adagiare Legolas. Si tolse il mantello, e accese una piccola lanterna, dopo aver chiuso le finestre con pesanti tende scure. Si avvicinò al tavolo con aria preoccupata, mentre tutti la osservavano senza sapere cosa fare. Ella aveva lunghi capelli scuri, raccolti in una semplice coda, e un abito grigio, con alcuni sottilissimi ricami argentati. Prese un velo da un baule, e se lo mise sul capo, legandolo dietro la nuca, in modo che i capelli non le dessero fastidio.
Scostò la casacca dell’elfo, e sciolse le bende. Quando vide la ferita, però, fece un passo indietro, con un’espressione di orrore e preoccupazione. “Questa ferita non è stata lavata?!” Aragorn si avvicinò “Certo, l’ho fatto io stesso non più di poche ore fa!” La ferita era gonfia e infetta, e tutta la carne attorno era livida. “ Allora questo è un brutto segno, e insieme una buona notizia.” Tutti la guardarono stupiti.
“E’ un brutto segno, perché il veleno sta agendo velocemente. Ma conosco un solo veleno in grado di fare simili danni, e sapere subito contro cosa stiamo lottando ci sarà di grande vantaggio.- si voltò verso Aragorn- hai tenuto il pugnale?” Il ramingo annuì, ed estrasse dalla borsa il pugnale. La fanciulla lo prese, e si avvicinò alla luce. Lo osservò per alcuni istanti, poi con un piccolo coltello staccò un po’ di veleno, che si sbriciolò, e lo annusò. Poi si voltò verso gli altri, con sguardo deciso. “Credo che sia proprio quello che pensavo. Occorre preparare un antidoto velocemente. Volete aiutarmi?”
“Certo!- rispose Gimli quasi urlando, felice di poter finalmente fare qualcosa.- Il mio nome è Gimli, figlio di Gloin. Dimmi cosa posso fare fanciulla!” Lei sorrise. “Il mio nome è Menelvagor, ma potete chiamarmi Menel. – prese da uno scaffale alcuni fogli miniati, nei quali erano rappresentate molte piante.- ora vi mostrerò quali piante mi occorrono per fare l’antidoto. Se andrete a cercarle, io intanto cercherò di ripulire la ferita.” Tutti allora si avvicinarono ai fogli, e si presentarono, accorgendosi solo in quel momento di non averlo ancora fatto.
Menel spiegò velocemente dove potevano trovarle, e come potevano riconoscerle con la poca luce della luna, descrivendone la consistenza ed il profumo. Dopo poco tutti si avvicinarono alla porta. Aragorn però non era tranquillo. “preferirei che Frodo restasse qui. Non vorrei che ciò che porta fosse in grado di attirare gli orchi.” “allora resterò anch’io- disse Sam- così potrò aiutare Menel.” Aragorn fu d’accordo, poi si avvicinò a Gimli. “sarei più tranquillo se anche tu restassi qui.” “Ma non puoi tenermi qui fermo, io voglio aiutarvi!” “e lasciare soli Legolas e il portatore dell’anello con una persona di cui non sappiamo nulla? E se anche Menel fosse sincera, chi li proteggerebbe se gli orchi li trovassero?” Allora Gimli acconsentì a restare, e tutti gli altri scesero nel bosco a cercare.
Menel mise dell’acqua a bollire, e gli hobbit la aiutarono a svestire Legolas e a tritare alcune piante dal potere disinfettante. Mentre lavoravano velocemente la fanciulla gli spiegò le proprietà di quelle erbe, e Gimli continuò a bagnare la fronte di Legolas e a parlargli con una voce così dolce e leggera che si faticava a credere che fosse quella di un nano.
Legolas apriva a tratti gli occhi, ma sembrava che non vedesse nulla. Tuttavia sembrava che la voce del nano lo tenesse lontano dagli angosciosi sogni in cui era piombato, e che si sforzasse di seguirla. Così Gimli continuò a chiamarlo ed a cantare strane nenie nella sua lingua, e non si mosse dal suo fianco per un attimo.


eccoci al quarto capitolo! sono tutti molto corti, ma prometto che aggiornerò spessissimo... un grazie a Jenny76 che ha recensito e mi ha fatto venire voglia di postare subito! ^__^

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Capitolo 5
*** foglie e corteccia... ***


5) Pipino e Merry camminavano lentamente, silenziosi come sanno essere gli hobbit quando è necessario. Cercavano i luoghi che Menel gli aveva descritto. “Ha detto di cercare un piccolo torrente che sfocia nel fiume…stiamo camminando verso est già da un po’, ma io non sento rumore d’acqua!” “Porta pazienza Pipino, siamo in giro da dieci minuti al massimo…ssst, mi sembra di sentire qualcosa!” Si fermarono, e udirono l’acqua scorrere alla loro destra. Fecero alcuni passi. “Eccolo, ed ecco anche il salice che si piega sull’acqua. Dobbiamo cercare tra le sue radici.” Corsero verso l’albero. La luce della luna era coperta dalle fronde, ma sentirono al tatto le foglioline tenere e profumate di una piccola pianta che cresceva tutto intorno all’albero, come un soffice tappeto. Velocemente se ne riempirono le tasche. Si stavano alzando per tornare, quando sentirono dei pesanti passi in lontananza. Merry tirò Pipino per un braccio, facendolo abbassare di nuovo tra le radici dell’albero. “cosa sarà?” “con tutto il rumore che fanno, di certo non elfi!”
Nel frattempo, nella casa sull’albero, Menel osservava l’acqua che bolliva. Vi aveva gettato le erbe preparate, ed ora stava aspettando che si raddensasse per farne un unguento. Si alzò e sentì la fronte di Legolas, che scottava ancora. I due hobbit erano seduti in un angolo, con le mani in grembo, e Frodo non riusciva ad alzare lo sguardo sull’amico ferito. Negli ultimi giorni, soprattutto dopo aver incontrato dama Galadriel, aveva sentito come un peso la presenza dei compagni. Si sentiva responsabile di averli coinvolti in un simile viaggio, e cominciava a sentire il desiderio di proseguire solo. Vedere poi l’elfo in quelle condizioni gli era insopportabile, era come la conferma di questi tristi pensieri. Avrebbe voluto che Legolas fosse tornato ai suoi boschi dopo il consiglio di Elrond, e così tutti gli altri che invece avevano deciso di accompagnarlo in questa missione disperata. Gimli cantava, sottovoce, di caverne scintillanti, di luci e fiaccole, di acqua che tintinna sulla pietra, di meravigliosi tesori…Una ad una le immagini si susseguivano, e Sam ascoltava incantato. “Perché canti nella lingua corrente e non in quella dei nani?” “Perché le canzoni dei nani sono canzoni di guerra o canzoni buffe. Non vi sono canzoni come quelle degli elfi.” “e questa che canti che cos’è?” Gimli arrossì leggermente, e abbassò la testa. “Questa…l’ho composta io…fu a Moria, mentre riposavamo. Rivedere quelle opere meravigliose mi aveva scaldato il cuore di meraviglia e nostalgia…non so, forse ho passato troppo tempo con gli elfi!” disse sorridendo imbarazzato.
Allora Sam cominciò a cantare una ninna nanna della contea, che parlava di campi dorati e di alberi frondosi, e di luna, di stelle, di dolcetti, di funghi, di muschio…ma dopo la seconda strofa gli venne talmente nostalgia della sua terra che non poté continuare.
Nel bosco Aragorn camminava silenzioso, ripensando al susseguirsi di cose successe nelle ultime ore. Era contento di aver trovato un aiuto così inaspettato, ma non riusciva ugualmente a sentirsi tranquillo. Poiché però ormai aveva deciso di lasciarsi aiutare da Menel, per far tacere la sua inquietudine si disse che tutto ciò che poteva fare era trovare in fretta le piante che cercava e tornare indietro, in modo da poter controllare la situazione. Trovò la rupe che Menel gli aveva indicato, e vi girò attorno. Sul fianco nord della roccia c’era del muschio, e in mezzo ad esso cresceva una pianta dalle foglie scurissime, quasi nere. Il ramingo ne raccolse quanta poté, poi tornò indietro. Mentre cercava di camminare più veloce che poteva, vide un’ombra passare a fianco di un albero. Si arrestò di colpo e mise la mano sull’elsa della spada, ma subito riconobbe in quella sagoma la figura di Boromir che si avvicinava. “Boromir -sussurrò- hai trovato quello che cercavi?” Boromir fece segno di sì, ed estrasse dalla borsa un ramo di una pianta nodosa, dalle foglie che scricchiolavano al tatto come carta. “andiamo allora, abbiamo poco tempo!” “Tieni tu queste piante, e portale alla ragazza. Io ho sentito qualcosa che mi preoccupa, e prima di tornare voglio controllare.” “orchi?” “non saprei…probabilmente niente, ma voglio controllare.” Aragorn rimase un attimo a guardarlo, chiedendosi se fosse prudente lasciarlo andare, ma sembrava che Boromir non avesse alcuna voglia di tornare nella casa sull’albero. Così decise di non chiedergli altro, e si affrettò.
Quando arrivò, per un attimo credette di essersi perso, poiché, anche ora che vi era stato dentro, ugualmente non riusciva a vedere la casa di Menel, che era completamente mimetizzata tra i rami dell’albero. “Solo gli elfi sanno nascondere qualcosa in questo modo..” pensò tra sé, ed emise il fischio che avevano concordato come segnale.
Dalla cima dell’albero venne lanciata la scala di corda, e risalì velocemente. Menel gli andò in contro cercando di mostrarsi serena, ma il ramingo si accorse subito che aveva il volto teso. “Finalmente! Gli altri sono con te?” “Boromir è rimasto giù, ma ho io ciò che ha raccolto. Degli hobbit non so nulla. Credevo fossero già qui.” “Dovrebbero, poiché li ho mandati nel luogo più vicino. Credevo sarebbero tornati molto prima di voi!” dicendo così, prese ciò che Aragorn le porgeva, e chiamò Frodo e Sam perché la aiutassero di nuovo.
Il ramingo rimase sulla porta, indeciso su cosa fare. “Che si siano persi?” “Lo trovo strano. È un punto molto vicino, e facile da trovare. Vado a prendere l’acqua lì ogni giorno, e non ci metto più di dieci minuti.”
Mentre si parlava di loro, Merry e Pipino erano immobili, acquattati tra le radici del salice, e quasi non respiravano. I passi si facevano sempre più vicini, e insieme ad essi si poteva ora sentire il rumore dei rami spezzati e delle piante pestate senza alcun ritegno. Ormai era chiaro che potevano essere solo orchi. Quando li videro sbucare da dietro una piccola collina chiusero gli occhi, terrorizzati, e rimasero immobili, stringendo tra le mani il tesoro che portavano. Le piccole foglie profumate da cui dipendeva la vita di Legolas.



ed ecco svelto svelto un altro capitolo! visto? come promesso non vi farò aspettare tanto! ^__^
per Jenny76: anch'io sono perfettamente d'accordo con te: il Gimli del film è un bel personaggio, ma trovo riduttivo affibbiargli tutte le parti di sdrammatizzazione! quando ho cominciato a scrivere questa fic, volevo restare il più possibile fedele ai caratteri dei personaggi e (per quanto possibile) al linguaggio di Tolkien...chissà se almeno un po' mi è riuscito...^__^
per kessachan: sono molto contenta che questi primi capitoli ti siano piciuti! ^__^ non temere: presto si saprà molto sulla nostra guaritrice misteriosa! anche se non proprio tutto...^__-

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Capitolo 6
*** qualcosa di sconosciuto ***


Menel tolse dal fuoco l’unguento, e lo mise a raffreddare. Preparò dell’altra acqua, e vi gettò le foglie che le aveva portato Aragorn. Appena l’acqua cominciò a bollire, vi aggiunse una polvere che aveva preso da uno scaffale. Si fermò a pensare un attimo. Mancava un solo un ingrediente, ma gli hobbit non tornavano. Dopo un attimo di incertezza, Aragorn aveva deciso di andarli a cercare, ed ora era di nuovo sola con Gimli, Frodo e Sam.
“Aiutatemi, è ora di disinfettare la ferita.” Si avvicinarono, e tolsero la coperta in cui Menel aveva avvolto Legolas dopo avergli tolto casacca e camicia. Sotto le bende la ferita era peggiorata ancora. La carne era ormai tumefatta. Menel prese un panno bagnato, e spinse leggermente sul fianco gonfio dell’elfo. Uscì un liquido denso e scuro. “E’ ancora peggio di quel che pensavo. Occorre spurgarla. - si voltò verso Gimli - devi tenerlo fermo, adesso” Il nano prese Legolas per le spalle e lo tenne fermo contro il tavolo. Menel prese il panno con tutte due le mani e spinse. Legolas emise un grido e si contorse, ma lei continuò a premere sulla ferita e ad asciugare col panno ciò che usciva. L’elfo si agitava con tutte le sue forze, e aveva preso anche a scalciare. “Aiutatemi voi due! Tenetegli le gambe, presto!” Gli hobbit fecero ciò che diceva, ma erano terrorizzati. Per fortuna bastarono ancora pochi secondi, e poi Menel giudicò che la ferita fosse sufficientemente pulita. La cosparse velocemente con l’unguento disinfettante, poi coprì legolas con la coperta. Gimli tremava. Guardava fisso davanti a sé con la fronte imperlata di sudore. Incrociò il suo sguardo con quello dei due hobbit, anch’essi molto scossi. Menel fece un passo indietro, e si lasciò cadere su una panca. Era molto pallida. Sam le si avvicinò. “Stai bene?”. La fanciulla annuì, con gli occhi chiusi. “Speriamo di averla pulita per bene. Non vorrei ripetere questa cosa per nessun motivo al mondo…” Guardarono Legolas, che sembrava dormire profondamente. Menel si alzò, e gli bagnò le labbra.
Merry contava immobile gli orchi che passavano correndo a pochi passi dal loro nascondiglio. I due hobbit restavano acquattati contro le radici del salice, sperando che anche l’ultimo orchetto passasse senza vederli. Appena li avevano sentiti arrivare, si erano abbassati tra le radici, scivolando dietro l’albero. Ora non riuscivano a strisciare più lontano, perché alle loro spalle scorreva il torrente. “Ma questo dannato salice doveva proprio crescere a strapiombo sull’acqua?” “zitto Pipino, vuoi che ci sentano? Resta fermo, e forse non ci sarà bisogno di…” Si fermò di scatto, perché uno degli ultimi orchi, dopo essergli passato a fianco, si era fermato e stava tornando indietro. Si fermò proprio di fianco all’albero, annusando l’aria. Il cuore dei due hobbit batteva così forte che credettero che gli uscisse dal petto.
L’orco era diverso da quelli che avevano visto le altre volte. Era più alto e più robusto, e portava sull’elmo un simbolo, una mano bianca.
Merry e Pipino trattennero il fiato. L’orco si piegò verso le radici, avvicinandosi a tal punto che il suo tremendo fetore li inondò. Allungò una mano, ed afferrò Pipino per un braccio. Lo sollevò senza alcuno sforzo, benchè l’hobbit si dimenasse quanto poteva cercando di divincolarsi. Merry saltò in piedi, con la sua piccola spada in mano, e si scagliò contro l’orco. Riuscì a colpirlo al braccio, ma non a fargli mollare la presa.
Con un grido rabbioso spinse indietro Merry, e richiamò i compagni, che tornarono indietro in pochi attimi. I due hobbit si trovarono in breve circondati da numerosi orchi, che ridevano e grugnivano, scoprendo le fauci gialle e marce, e raggelandogli il sangue nelle vene.
Poco lontano Aragorn camminava a passo veloce, teso ad ascoltare qualsiasi rumore. Sentì le voci degli orchi, che dopo pochi istanti vennero coperte dal suono del corno di Gondor. Boromir! Pensò tra sé, e corse verso i compagni. Vicino al salice, Boromir stava combattendo, facendosi largo tra gli orchi e cercando di raggiungere Merry e Pipino, che, dopo averlo visto piombare all’improvviso tra i nemici, avevano ripreso coraggio. Ora, con le spade in mano, sgusciavano tra un orco e l’altro, cercando di colpirli.
Aragorn li raggiunse, gettandosi nel campo di battaglia con la spada in mano, e gridando con una furia tale che per un attimo gli orchi rimasero immobili per lo stupore. Il ramingo correva tra loro, con una rabbia e una furia negli occhi che terrorizzava chi se lo trovava davanti. Molti orchi caddero sotto la sua spada, paralizzati dal suo aspetto fiero e feroce. Merry e Pipino rimasero stupiti quanto gli altri nel vederlo così trasformato, e si resero conto di quanto poco sapevano di lui. Anche Boromir era turbato. Vedeva ora in lui l’aspetto di un re dal grande potere, e si rese conto che, in un modo o nell’altro, presto i giorni dei sovrintendenti di Gondor sarebbero finiti.
In poco tempo gli orchi furono dispersi, e molti di loro fuggirono tra gli alberi. Aragorn si fermò, ansimando, e si accorse che i tre compagni lo guardavano in modo strano. Vide allora di essere quasi coperto dal sangue degli orchi, e di stringere ancora la spada con un tale forza che le dita gli dolevano. Negli occhi degli hobbit vide un’ombra di paura. “State bene?-chiese Boromir, cercando di disperdere quella strana sensazione.- avete quello che cercavate?” “Sì, andiamo da Menel, presto!” Aragorn si poggiò con la schiena ad un albero, con gli occhi chiusi. “Andate, io vi raggiungerò tra poco”.
Pipino lo guardò preoccupato “stai male? Sei ferito?” “No, no…stai tranquillo. Ho bisogno di stare un attimo da solo. Ma voi andate, presto!”
“il corno di Gondor!- Gimli si avvicinò alla finestra, ascoltando preoccupato- è di certo successo qualcosa!” Menel si avvicinò al tavolo, osservando Legolas, il cui fiato era sempre più grosso e spezzato. “Se sono stati attaccati non c’è più speranza! Non arriveranno mai in tempo!”
Sam le toccò il braccio “non devi preoccuparti. Sono certo che faranno qualsiasi cosa per portarci quelle erbe in tempo, e non ci sono orchi che resistano ad Aragorn e Boromir. Ti posso assicurare che li ho visti fare cose che non immagini neanche, non so se mi spiego…” Menel gli sorrise tristemente “ti credo…ma non c’è più molto tempo, Sam…”



eccomi qua, avete visto che velocità? d'altronde, come si fa ad aspettare con delle recensioni così pucciose? ^___^ allora, un paio di risposte al volo:
per Frodomicina91: grazie per il commento e anche per la mail! non ti preoccupare, non hai affatto disturbato, anzi! e non temere, entro pochi capitoli Frodo avrà un ruolo importante e drammatico...

per kessachan: ^__________^ grazie! hai visto che non vi faccio aspettare tanto?

e dimenticavo: Jenny76, avevo dimenticato di dirti che hai proprio ragione, la compagnia è ridotta ad 8 componenti! appena capisco come si fa, correggo..^__-
ciao a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** sospetti ***


Aragorn immerse le mani nell’acqua fredda del torrente. La notte era ormai vecchia, e la luna cominciava a tramontare. Anche se al buio non riusciva a distinguere la propria immagine riflessa nell’acqua, sapeva di avere un aspetto spaventoso. Si sciacquò la faccia, poi si tolse la lunga casacca, e cercò di lavare via il sangue che la ricopriva. Cercava di riflettere su ciò che era accaduto poco prima, e non riusciva a trovare la calma. Era stanco. Cominciava a sentire il peso della responsabilità che si era dovuto prendere dopo la caduta di Gandalf, ma soprattutto era spaventato dalla furia che aveva scoperto in sé pochi minuti prima. La tensione delle ultime ore, la preoccupazione per Legolas, la sottile inquietudine che provocava in lui Menel…non si fidava ancora completamente della fanciulla, ma non riusciva a trovare la forza per tornare alla casa sull’albero. Si alzò in piedi, sospirando, e si chiese se poteva ancora riconoscersi, o se qualcosa in lui stava cambiando senza che potesse controllarla. Pensò ad Arwen, alla fiducia che lei nutriva in lui…ma non riuscì a trarne serenità. Si fermò di scatto, atterrito da un nuovo pensiero: e se l’anello avesse cominciato a corrompere la sua anima? Anche se era cresciuto tra gli elfi, e in molte cose era più forte di molti altri uomini, si rese conto di quanto la sua natura umana poteva portarlo alla rovina.
Provò a pensare se avrebbe desiderato l’anello, e che cosa ne avrebbe fatto se fosse stato suo, ma fu sollevato sentendo di non provare alcun desiderio per quel potere. Al contrario, l’unica cosa che desiderava in quel momento era di ritirarsi in un luogo sereno, nel quale nessuno si aspettasse qualcosa da lui. Sorrise tristemente, pensando che, comunque sarebbero andate le cose, difficilmente questo gli sarebbe stato concesso.


Menel armeggiava nervosamente attorno al fuoco, mentre tutti intorno a lei restavano in piedi, senza sapere cosa fare. Nella stanza regnava un silenzio pesante. Finalmente si sollevò, tenendo con un panno un piccolo tegame, e versandone il contenuto in una ciotola. “Ecco, finalmente è pronto, ora deve solo raffreddare.”
Immerse la ciotola in una più grande, piena di acqua fresca, e in poco l’infuso smise di fumare. In quel momento sentirono il fischio di Aragorn, e Sam uscì per lanciare giù la corda. Quando il ramingo entrò, però, Boromir guardò a terra, e Merry e Pipino furono piuttosto imbarazzati. Tutti se ne accorsero, chiedendosi cosa fosse accaduto, ma l’attenzione fu richiamata da Menel, che chiese aiuto per far bere l’infuso a Legolas.
Boromir si avvicinò all’elfo, e lo sollevò a sedere. Menel gli avvicinò la ciotola alla bocca. Non fu difficile fargliene bere il contenuto, poiché Legolas aveva la bocca riarsa dalla febbre, e , anche se non riprese conoscenza, trangugiò tutto il contenuto della ciotola in pochi sorsi. Menel trasse un sospiro di sollievo. “Ora non possiamo fare altro che aspettare. Boromir, potresti portarlo nell’altra stanza, sul mio letto?- poi si voltò verso tutti gli altri- E’ ora che riposiate un po’. Vi darò delle coperte, e potete dormire qui. Veglierò io il ferito. Mi dispiace di non potervi offrire niente di meglio, ma la mia casa è piccola, ed io sono abituata a starvi da sola…”
Dopo qualche momento di incertezza, tutti accettarono di dormire qualche ora, perché sentivano la stanchezza crescere, e perché Menel pareva irremovibile nel voler vegliare Legolas da sola. Si sistemarono un po’ come poterono. La fanciulla diede loro delle coperte, e dopo avergli augurato la buona notte, spense la lanterna e si ritirò nella camera da letto.
Gimli si rannicchiò contro una parete, pensieroso, ma dopo poco il sonno lo colse e si addormentò. Anche i quattro hobbit si addormentarono quasi subito, uno accanto all’altro sul grande tavolo. Aragorn li osservava, provando una grande inquietudine. Temeva che dopo quello che era accaduto vicino al salice, Merry e Pipino non si fidassero più di lui. Aveva colto i loro sguardi imbarazzati, e non sapeva cosa pensarne. Si avvicinò alla porta, e la aprì leggermente. La luna era ormai scomparsa, ma l’alba non era ancora giunta. Il bosco mandava in quell’ora mille profumi, e l’aria era fresca e piacevole.
Accanto a lui si era steso Boromir, sulla panca. Il suo sonno era turbato, e mormorava parole che Aragorn non riusciva a comprendere. Lo osservò. Si rammentò che anche lo sguardo del gondoriano, poco prima, era stato strano. Di nuovo l’incertezza lo prese.
Ma la sua attenzione fu attirata da un canto sommesso che proveniva dalla stanza accanto. Le due camere erano separate solo da una pesante tenda, e un po’ di luce filtrava. Cominciò ad ascoltare. Era una canzone in lingua elfica, ma non era nel linguaggio di lorien. Tuttavia non assomigliava a nessuna delle canzoni che il ramingo aveva ascoltato a granburrone, negli anni che vi aveva trascorso. Ascoltò con più attenzione, e capì da alcune parole che era una canzone del Bosco Atro. Aragorn fu molto stupito. Si rese conto di non aver chiesto nulla alla fanciulla su di lei, e di aver dato per scontato che appartenesse al popolo di Lorien.
Si avvicinò alla porta della camera da letto, e sentì Menel parlare sommessamente, con la voce rotta dal pianto. “Legolas…perché la sorte si beffa di me in questo modo? Perché dopo tutta la strada che ho percorso devo rivederti…e devo rivederti qui, sul mio letto…in questo stato…”
Aragorn rimase per un attimo immobile per lo stupore. Menel conosceva Legolas, ma non aveva detto nulla a nessuno! Scostò la tenda con impeto, e fissò Menel cercando di capire se poteva fidarsi di lei. La fanciulla trasalì, poi si asciugò le lacrime e riprese l'aspetto calmo di poco prima. Aragorn continuava a fissarla, ed il suo sguardo era quasi minaccioso. Le si avvicinò. "Chi sei tu, veramente?!"


ancora un altro capitolo al volo!!! grazie mille a chi ha commentato, ovvero kessachan, Frodomicina91 e nice92. un bacione ed alla prossima!

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Capitolo 8
*** ricordi ***


Menel e Aragorn erano uno di fronte all’altro, e i loro sguardi erano duri e freddi. Dopo un attimo di sorpresa, Menel aveva ripreso la sua espressione calma, mentre il ramingo continuava a fissarla con sospetto. La fanciulla si alzò, e si avvicinò a lui. “Cos’è questo tono con cui mi aggredisci nella mia casa? Non vi ho forse accolto qui, senza sapere nulla di voi, solo per aiutarvi? Vi ho forse chiesto qualcosa? – la sua voce era calma ma fredda come una lama, e dai suoi occhi non traspariva alcun sentimento – non aspettavo certo alcuna ricompensa per avervi aiutato, ma questa che mi mostri è davvero una ben strana riconoscenza!”
Aragorn fece un passo indietro, confuso. Sapeva di essere stato scortese, ma ugualmente aveva bisogno di sapere la verità. Nella situazione in cui erano, sentiva di non potersi fidare di nessuno.
“Ti chiedo perdono, le mie parole sono state di certo troppo dure. Ma ugualmente ho bisogno che tu risponda alla mia domanda. Ti prego di credermi se ti dico che devo guardarmi da ogni ombra.”
Il viso di Menel divenne meno duro, e si sedette. Indicò uno sgabello al ramingo, che però volle rimanere in piedi. “Mi chiedi chi sono…te l’ho già detto: il mio nome è Menel, e vivo qui sola come hai visto.” “Ti ho sentito cantare una canzone del bosco Atro. Non appartieni dunque al popolo di Lorien?”
Menel lo guardò alquanto stupita. “No, certo! E neanche a quello del reame boscoso, se è quello che intendi! - con un’espressione divertita si tose il velo che le cingeva la testa – Mi hai forse creduto un elfo?”
Aragorn la guardò, e fu come se la vedesse per la prima volta. Le sue orecchie non erano certo quelle di un elfo! Si rese conto solo in quel momento che la fanciulla era più bassa di lui, e anche se il suo viso era dolce a bello, non aveva nulla della regalità degli elfi.
“io...questa è di certo una casa costruita da elfi, e tu sai curare e conosci le erbe…”
Menel sorrise “certo! Anche gli abiti che indosso, i mobili di questa casa, ogni oggetto che uso…tutto mi è stato donato dagli elfi di Lorien, che mi aiutano, e ogni tanto vengono a trovarmi…ma io appartengo alla razza degli uomini…purtroppo…” Aragorn la guardò senza capire “vorresti forse l’immortalità? La sorte umana è un peso per te?”
Menel arrossì “no, non ascoltare ciò che dico…in realtà mi è stata data una vita che a pochi è permessa, e io non volevo certo lamentarmi… - sorrise, ma vi era un velo di tristezza nella sua voce. – sei dunque soddisfatto delle mie risposte?” “Quasi. Tu conosci Legolas?” Menel ebbe un sussulto, poi guardò a terra tristemente “mi hai sentito…ecco dunque il perché di tanto sospetto…Quello che mi chiedi di raccontarti è qualcosa che volevo dimenticare, ma immagino che non ti accontenteresti di questa risposta, vero?”
Aragorn si sedette sullo sgabello che poco prima la fanciulla gli aveva indicato. “se non ti è di troppo peso, ti sarei grato se mi rispondessi, in modo che il mio sonno in questa casa possa essere tranquillo…”
Menel sospirò. Guardò Legolas, accarezzandogli leggermente il viso. “ d’accordo. Quello che dici è vero, io conosco Legolas da molto prima che voi lo portaste qui. Fin da quando ero piccola.” Il ramingo la guardò stupito. “Quando avevo tre anni, la mia famiglia venne attaccata da una banda di orchetti durante un viaggio. I miei genitori, ed il padre di mio padre vennero massacrati. Mi salvai solo io, poiché era notte, e mia madre mi aveva avvolta in una coperta ed adagiata sul fondo del carro…probabilmente gli orchi mi avranno scambiato per un fagotto di poco valore… - Menel si alzò, e si avvicinò alla lanterna – alcuni elfi, che presidiavano i confini del bosco Atro, vennero attirati dal rumore, ed accorsero per aiutarci, ma non poterono fare altro che raccogliermi e portarmi nel loro reame. Poiché non vi era modo di sapere se avessi altri parenti, il re, il padre di Legolas, decise che sarei stata cresciuta dalla sua gente. Mi diedero il nome che porto, mi accudirono quasi come se fossi stata un elfo anch’io.”
Aragorn la guardò dolcemente “Menelvagor…significa Orione. Come mai porti il nome di una costellazione?” “Mi hanno raccontato che, quando mi trovarono, piangevo tra gli alberi guardando l’unico tratto di cielo che si intravedeva tra le fronde, fissando la costellazione di Orione…”
“così hai conosciuto Legolas…”
“Già…era il principe…era affezionato a me, e mi trattava come una sorella minore. Spesso, quando si trovava a palazzo, veniva a trovarmi, e passeggiavamo per le terrazze ombrose…gli elfi a cui ero affidata mi insegnavano molte cose, e Legolas si interessava sempre dei miei progressi…quando fui abbastanza grande decisi di studiare le proprietà curative delle piante, e lui mi incoraggiava sempre…era un grande stimolo per me…Mi impegnavo a fondo, perché mai avrei voluto deluderlo…” Menel sorrise dolcemente, ed il ramingo vide nei suoi occhi lo scorrere dei ricordi… “E perché ora non vivi più nel reame boscoso?”
Menel si sedette, col viso di nuovo triste. “di certo mi giudicherai sciocca…ma mi innamorai di Legolas…l’ammirazione e il rispetto che nutrivo per lui si trasformarono, e mi accorsi di pensare a lui in modo totalmente diverso…”
“perché dovrei considerarti sciocca?”
“Che domanda strana mi fai…come può sperare una donna, una creatura destinata alla morte, e soprattutto piena di difetti e di mancanze, diventare la sposa di un principe elfico? Ero già abbastanza grande da capire che era una follia, così decisi di lasciare Bosco Atro, e di cercare di dimenticare Legolas…”
Aragorn non parlò, con il cuore appesantito dalle ultime parole, e pensò ad Arwen con una stretta al cuore.
Menel si alzò di nuovo, passeggiando per la stanza irrequieta. “Vagai per la terra di mezzo alcune settimane, poi giunsi a Lorien, e gli elfi di questa terra mi accolsero. Non volevo però vivere tra loro…c’era qualcosa in ognuno di loro che risvegliava in me ricordi ancora troppo forti. Un giorno Dama Galadriel volle vedermi, e parlammo a lungo. Così fu deciso che avrei vissuto qui, a poche ore da Lorien, e mi sarei occupata del bosco…”
Aragorn la guardò perplesso. Menel si accorse di non essersi spiegata “Il bosco ha cominciato a seccarsi, le terre a valle del fiume sono aride, e questo si sta estendendo anche qui…Io cerco di contrastarlo, piantando, seminando e curando piante nuove. Ogni tanto vengono elfi e mi portano ciò che la dama mi dona: semi fecondi, terra di lorien, e tutto ciò che fa crescere le piante…a volte è faticoso, ma ho trovato pace ed uno scopo…sono serena, ora. – guardò Legolas – non è vero….lo ero prima di incontrarvi…”



ecco un altro capitolo, finalmente qualche mistero si svela!
grazie mille a Jenny76, (anch'io adoro Aragorn!), a Kessachan (eccoti accontentata, ora sai tutto su Menel!) e a Frodomicina (^___^ i tuoi complimenti mi fanno sempre arrossire...)
alla prossima!!!

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Capitolo 9
*** nuovi amici ***


La notte giungeva ormai al termine. Un soffuso bagliore cominciava a diffondersi tra i rami più alti degli alberi, e i primi canti delle tante specie di uccelli che abitavano la foresta si levarono.
Menel guardava Legolas, ed i suoi occhi erano di nuovo velati di lacrime. Aragorn si alzò, e le prese la mano con grande delicatezza. “ti prego di perdonarmi. Tutti noi ti siamo molto debitori, e non so come dirti quanto mi dispiaccia averti procurato fastidi e sofferenza…sono stato aggressivo e ingiusto…spero che tu possa dimenticare le mie parole di poco fa…” Menel alzò la testa, e nel suo sguardo vi era riconoscenza, ma soprattutto stupore. “Non c’è motivo che tu ti scusi così tanto, né tantomeno che mi ringrazi. Ho fatto solo ciò che dovevo. Se anche non si fosse trattato di Legolas, la creatura a cui devo di più da quando sono nata, il mio dovere di guaritrice mi avrebbe portato a fare esattamente ciò che ho fatto.”
Aragorn la guardò con benevolenza.
“Accogliendoci nella tua casa hai dimostrato molta fiducia, e forse anche un po’ di imprudenza…” La fanciulla sorrise “siete davvero una ben strana compagnia, ma non credo di aver sbagliato nel mio giudizio quando vi ho visto…e poi non dimenticare che indossate tutti mantelli che provengono da Lorien, e dama Galadriel non fa doni a persone che non li meritino… - Aragorn sorrise, pensando a quanto strana doveva apparire la compagnia dell’anello a chi la vedesse la prima volta. Menel prese di nuovo un’aria seria – la missione che dovete compiere è molto pericolosa e importante vero?”
Il ramingo sussultò, guardandola di nuovo con un velo di sospetto. La fanciulla si concesse una cristallina risata divertita.
“non temere, ho solo indovinato che sia una missione a guidarvi! Un ramingo, un nobile guerriero di Gondor, un principe elfico, un nano, e addirittura quattro hobbit, creature quasi leggendarie, di cui avevo a mala pena sentito parlare…di certo deve esservi un motivo importante per riunire un così insolito gruppo…”
“già – rispose Aragorn lasciandosi cadere di nuovo sullo sgabello, e chiudendo gli occhi – un motivo che grava sulle mie spalle come un macigno, e che mi impedisce il sonno molte notti…ma non ti posso svelare nulla, mi dispiace.”
Menel fece segno di non voler sapere altro, e si chinò su Legolas per sentire se scottasse ancora. “và a dormire ora, e non ti preoccupare di nulla. Penserò io a tutto, questa notte…”

Fumo…caldo, denso, che si sollevava in mille colonne per andare ad intorbidare l’aria…rocce nere, e piccole spaccature in esse dalle quali usciva una luce crepitante e vermiglia…e ovunque rovi, piante quasi morte, dalle spine lunghe e arcuate, che si agitavano…non mosse dal vento, inesistente, incatenato da quell’aria putrida, ma percorse da brividi e scricchiolii, lamenti interni al legno nodoso…quasi voci lontane…Legolas si guardava attorno, senza riuscire a provare altro che inquietudine…lieve, strisciante…camminava, senza sapere perché. Il sentiero si inoltrava tra i rovi, che si avvicinavano alle sue carni mangiandole…in poco non vi fu più sentiero, ma Legolas continuava a camminare…un bruciore di fuoco cominciò a dilaniargli il corpo, diffondendosi dal fianco…sentiva le carni consumate dalle spine, ma non poteva fare altro che camminare…finalmente uscì dal groviglio di rami, guardò in basso, e vide che le sue gambe non c’erano più. Il suo corpo finiva in brandelli sanguinolenti, dalla vita in giù…solo quando vide questo, cadde a terra urlando, e l’aria densa gli prese le narici, soffocandolo…

Aprì gli occhi…gli fu necessario lo stesso sforzo con cui avrebbe potuto aprire una pesante porta di ferro. La testa gli doleva così forte…una luce si muoveva attorno a lui, danzando. Cercò di pensare, ma troppe immagini ronzavano nella sua mente. Cercò di emergere dalla nebbia che lo avvolgeva. Guardò di nuovo quella strana luce, e vide che erano i raggi del sole, che filtravano attraverso mille foglie dal verde chiarissimo, mosse dal vento. Lentamente i sensi tornarono ad espandersi…sentì il profumo della foresta, e cercò di capire dove si trovasse. Era steso, e il fianco gli faceva un male continuo. Pensò che quella era l’unica sensazione costante che ricordava…respirò profondamente, ma il dolore si espanse dal fianco fino al petto, ed emise un basso lamento. Non riusciva proprio a capire come fosse arrivato lì, in una stanza che non aveva mai visto...ricordava gli orchi, e altre immagini che non sapeva collocare…la voce di una donna, e poi immagini di grotte scintillanti, e altre voci concitate…non provò nemmeno ad alzarsi a sedere, si accontentò di continuare a guardare l’alta finestra coperta da sottilissime tende perlacee, dalla quale entrava quella luce così pulita e mobile, che somigliava ad un canto…dopo poco, senza accorgersene, ricadde in un sonno pesante, ma molto più fresco e sereno del precedente…

Menel entrò in casa. La stanza era piena dei bagagli dei suoi ospiti, che all’alba erano scesi al fiume per nascondere meglio le barche e per portare al sicuro le proprie cose. La maggior parte degli oggetti, accatastati in fila lungo le pareti, erano armi…pensò che, quando aveva lasciato la sua casa per giungere fino a lì, di certo non immaginava di trovarsi un giorno in quella strana situazione. Era sola. I quattro hobbit erano scesi nuovamente per andare a cercare funghi e qualche piccolo animale, promettendo che, per sdebitarsi, avrebbero preparato quel giorno un pranzo con i fiocchi. Aragorn e Boromir, invece, stavano perlustrando il bosco lì attorno.
Perfino Gimli, che si era rifiutato per tutta la mattina di allontanarsi dalla stanza in cui dormiva Legolas, aveva accettato di andare a riempire un’anfora al fiume, per sollevare Menel da questa fatica, ma solo dopo che lei gli aveva assicurato che la febbre dell’elfo era calata molto, e che il suo aspetto era molto migliorato.
La fanciulla entrò nella stanza da letto e si chinò su Legolas per controllargli la temperatura. Era quasi normale. Si avvicinò alla finestra, e scostò le tende, facendo entrare un’aria fresca e profumata, ma quando si voltò di nuovo verso il letto, per un attimo rimase immobile, senza sapere cosa fare…l’elfo aveva aperto gli occhi, e la guardava…


aggiorno di gran fretta, perciò dico soltanto: un bacione a tutte voi che avete commentato!!!! ^______________^

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Capitolo 10
*** risveglio ***


Aragorn e Boromir camminavano silenziosi nella foresta. Il ramingo aveva chiesto a Boromir di accompagnarlo in quel giro di perlustrazione, sperando di capire qualcosa di più dello strano atteggiamento della sera prima, ma per il momento non aveva ottenuto molto. Benché fossero in giro da ormai un’oretta, si erano scambiati solo poche parole. Il Gondoriano appariva nervoso, quasi a disagio, e camminava davanti al compagno con passo spedito, guardando fisso davanti a sé. Ad un tratto si fermò, sulla riva di un altro piccolo torrente, che correva per congiungersi all’Anduin. “quando credi che potremo ripartire? Il mio ritorno a Gondor è stato rimandato ormai per troppo tempo!” Aragorn lo guardò stupito. Ebbe quasi la sensazione che Boromir cercasse un pretesto per litigare. “non appena Legolas sarà in grado di spostarsi…oggi Menel ha detto che sta meglio, ma non sappiamo se sia ormai fuori pericolo, e quanto tempo sarà necessario perché lasci il letto. Hai forse già dimenticato che solo stanotte temevamo per la sua sorte?”
“non l’ho dimenticato…ma non ho dimenticato neanche che il mio popolo sta vivendo momenti difficili…mio padre è vecchio, ormai, ed ha un grande bisogno di me. Gondor è sempre più debole, e sempre più esposta agli attacchi che provengono da Est…”
“lo so Boromir, non pensare che Gondor non sia nei miei pensieri…tuttavia tu sai bene quanto sia importante la missione che ci è stata affidata al consiglio…”
Boromir si voltò di scatto “Il consiglio! Con quanta speranza ho cavalcato fino a Granburrone! E’ per chiedere aiuto per il mio popolo che sono giunto fin là, e tutto ciò che ho ottenuto è stato farmi trascinare dietro ad uno stregone folle e ad un mezz’uomo che porta un tesoro inestimabile, e che deve distruggere! Su montagne gelate, dentro grotte colme di orrore, e poi fermi per giorni e giorni a Lorien, quando il tempo stringe! Per cosa? Per farmi rovistare nella mente da una fattucchiera!”
Aragorn lo guardò allibito. Da tempo immaginava che Boromir volesse tornare alla sua patria, ma non avrebbe certo creduto che in lui covasse una simile rabbia!
“Boromir! Come puoi parlare in questo modo di dama Galadriel, con tutto ciò che ha fatto per noi! Anch’io penso con ansia ai giorni trascorsi a Lorien, so benissimo che il nostro nemico non è certo rimasto inattivo…ma siamo giunti a Lorien logori di dolore e stanchezza, e ne siamo partiti colmi di nuove forze e speranza…”
“Basta! Sono stufo di questi discorsi! - Boromir parlava con rabbia, stringendo i pugni, e nei suoi occhi vi era una luce strana, colma di odio – sono stufo di dovere riconoscenza a tutti, agli elfi, a questa Menel…se avessimo fatto dall’inizio ciò che volevo, non avremmo avuto bisogno di farci aiutare da nessuno!”
Si voltò, e si allontanò continuando a mormorare tra sé parole rabbiose. Aragorn era pieno di sconcerto. Si chiese cosa doveva aspettarsi da Boromir. L’opera dell’oscuro signore, perpetrata attraverso la nefasta influenza dell’anello, cominciava a minare l’unità della compagnia. Aragorn lo percepiva ora chiaramente. Lo vedeva negli sguardi di Merry e Pipino, ora percorsi dal dubbio. Nei silenzi di Frodo, sempre più serio e solitario. Ed ora, soprattutto, nella rabbia di Boromir. Di nuovo la sua mente si trastullava col pensiero di utilizzare l’anello, invece di distruggerlo. Di nuovo il sospetto e l’incertezza cominciarono a tormentarlo. Si voltò, e tornò sui suoi passi.

Menel era ferma in mezzo alla stanza, senza riuscire a far altro che guardare il volto pallido di Legolas. L’elfo ricambiava il suo sguardo, e dai suoi occhi trasparivano confusione e stupore. Dopo qualche istante, la fanciulla riuscì a riaversi, e si avvicinò al letto. Si sedette sulla sedia sulla quale per tutta la notte aveva vegliato il ferito, e si rivolse a lui dolcemente, cercando di dominare l’emozione che le faceva tremare la voce. “Come vi sentite?” Legolas respirò profondamente, e cercò di rispondere, ma uscì solo un roco lamento. Solo in quel momento si accorse di avere la bocca talmente secca e riarsa da non riuscire nemmeno a parlare. Menel prese un po’ d’acqua fresca, e lo aiutò a sollevarsi per bere. Teneva il corpo dell’elfo tra le braccia, e lo sentì tremare per la debolezza…solo allora si accorse di non aver mai toccato Legolas in tutta la sua vita. Aveva passeggiato a chiacchierato con lui infinite volte, durante la sua infanzia e giovinezza, e ancora più infinite volte lo aveva osservato da lontano, mentre giungeva a cavallo da qualche luogo lontano, o mentre si esercitava con l’arco, ma… Legolas bevve lentamente, a piccoli sorsi, e con gli occhi chiusi cercò ancora una volta a mettere ordine tra la tempesta di immagini che si agitava nella sua mente. Brandelli di ricordi delle ultime ore si mischiavano alle cupe visioni che per tutta la notte lo avevano tormentato.
Menel si chiedeva se l’avesse riconosciuta. Di certo il suo aspetto era diverso da come lui la ricordava. Nel tempo trascorso lontano dal reame boscoso, il suo volto era divenuto più adulto, e la vita semplice e attiva che conduceva aveva scurito la sua pelle e indurito i suoi lineamenti, ma donato al suo sguardo maggiore saggezza e serenità.
Indugiò qualche secondo ancora in quella posizione, sentendo il tocco di quei finissimi capelli biondi sul suo collo, poi adagiò l’elfo sul cuscino, quanto più dolcemente poté. Legolas, ancora con gli occhi chiusi, respirò profondamente, e finalmente capì. Capì cos’era che gli trasmetteva immagini serene e lontane, e che pervadeva la stanza. Il profumo…il profumo fresco della fanciulla, che i suoi fini sensi avevano percepito così tante volte nella sua casa natale…aprì gli occhi e la guardò.
“Menel?”
“Principe…”



eh, mi sa che sono un poco cattivella, eh?

allora, consueti saluti e ringraziamenti:
grazie a Jenny76:vero, ecco i nostri due faccia a faccia...ma vi sospendo ancora un po'...mi perdonerete? non so se avrò finito quando tornerai, perchè la storia è piuttosto lunga... diciamo che al momento siamo a circa un terzo...

grazie a Frodomicina91: visto che non ti ho fatto aspettare? ^___^

grazie a kessachan: Legolas è ormai fuori pericolo, almeno per ora... come promesso ho smeso di farlo soffrire! ^__-

grazie ad Hareth: il tuo commento mi è piaciuto moltissimo, e sono proprio contenta che tu abbia apprezzato il modo in cui ho reso Aragorn e Gimli... anche perchè sono personaggi a cui tengo molto... non credo che l'oggetto dell'amore di Menel cambierà, è legata a Legolas praticamente da sempre... ma ci saranno risvolti molto inaspettati...

ciao a tutti ed alla prossima!

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Capitolo 11
*** rimpianti, sensi di colpa e dubbi... ***


Nella stanza regnava uno strano silenzio. La luce entrava dalla finestra, filtrata dalle foglie dell’albero che accoglieva tra le sue braccia la casa di Menel.
L’elfo era di nuovo steso accanto a lei, e la guardava…Menel ripensò alla sensazione provata alcuni istanti prima, ed arrossì…pensò con amarezza che gli anni trascorsi lontano dal reame boscoso non avevano cambiato di molto la sua inclinazione…possibile che fosse maturata così poco? Che dopo tutta la strada percorsa, si ritrovasse accanto a lui con la stessa morsa allo stomaco di quando era poco più di una ragazzina?
Si alzò, mossa da un impeto di rabbia, a si avvicinò alla finestra stringendo impercettibilmente la veste tra le dita. “dove mi trovo?”
si voltò, cercando di mostrarsi nuovamente calma “nella mia casa, principe, a poca distanza dal luogo in cui siete stato ferito…”
“ferito… - ogni suo gesto, persino ogni suo pensiero erano come rallentati dal veleno che ancora permeava il suo corpo, scorrendo nelle sue vene, intorbidando il suo nobile sangue – cosa è accaduto? Puoi raccontarmelo?”
“Siete stati attaccati da un gruppo di orchi, credo, e voi siete stato ferito al fianco da un pugnale avvelenato. I vostri compagni vi hanno portato qui, e siete stato curato…questa notte abbiamo temuto per la vostra sorte…”
“dove sono ora i miei compagni? Stanno bene?”
Menel annuì dolcemente “non dovete preoccuparvi, saranno qui tra poco…”
Legolas rimase alcuni istanti in silenzio, ripensando alla sera prima. Finalmente il turbinio della sua mente si calmò, e cominciò a ricordare con più chiarezza. Sorrise. “fu dunque un bene incoraggiare la tua decisione di studiare le proprietà curative delle piante…”
La morsa di tensione ed imbarazzo che le chiudeva lo stomaco si sciolse. Sorrise anch’essa, sentendo che la distanza e gli anni non avevano rotto quella sottile confidenza che avevano. Ricordò tutte le volte che avevano pacatamente scherzato, nonostante la grande differenza di rango e di età, e nel guardare il bel volto ora disteso dell’elfo, le sembrò quasi che anche la sua mente fosse corsa agli stessi ricordi.

L’erba, vicino al torrente, era verde e fresca, e dietro ad essa un grosso coniglio aveva fatto la sua tana, scavata tra le radici di un grande albero, ed ora se ne stava a poca distanza dal suo rifugio, brucando le foglioline più tenere. Merry e Pipino si lanciarono uno sguardo d’intesa, cercando di accerchiare il coniglio. Merry si appoggiò all’albero, mettendo i piedi ai lati della tana, proteso in avanti per bloccare l’animale se avesse cercato di rientrare, e Pipino cercò di avvicinarvisi strisciando.
Allungò le mani, bastavano ormai pochi passi…il coniglio alzò un’orecchia, poi scattò in avanti, e con un balzo delle poderose zampe sgaiattolò nella tana.
Merry si piegò con un istante di ritardo, e riuscì ad afferrarne solo la coda. Tutto quello che guadagnò furono due graffi e una caduta a faccia in giù in mezzo all’erba.
Pipino non la smetteva più di ridere… “complimenti Meriadoc Brandibuck!!! Gran bella figura per un membro della compagnia dell’anello!” Merry si alzò, brontolando. Aveva i capelli pieni di fili d’erba. Pipino si avvicinò, e gliene tolse un po’. “di questo passo porteremo a Menel un ciuffo di questa per pranzo!” si sedettero, sospirando. “avremmo fatto meglio a cercare funghi come Frodo e Sam…non siamo gran cacciatori!” “già…e neanche grandi guerrieri, temo. A volte mi chiedo se la nostra presenza qui abbia un senso…”
“Pipino! Proprio tu, che hai minacciato Elrond di seguire la compagnia di nascosto, se avesse provato a rimandarti a casa!”
Sorrisero entrambi, pensando alla loro sfacciataggine a Granburrone. “Forse se avessi saputo cosa ci aspettava, non sarei stato così spavaldo, sai? Ma in ogni caso non mi pento di averlo fatto, e non è la paura a farmi parlare così.”
“E cos’è dunque? Ti senti inutile?”
“un po’…non mi sembra che abbiamo fatto molto da quando siamo partiti, se non cacciarci nei guai…”
“Questo però non deve stupirti, Peregrino, è sempre stato nella nostra natura, no?”
“Forse è vero anche questo – sorrise, ma poi il suo viso si fece serio di nuovo – hai visto Aragorn ieri sera?”
Merry annuì “so cosa vuoi dire. Anch’io sono rimasto turbato. C’era qualcosa in lui…come una rabbia incontrollata. Mi ha spaventato…non voglio neanche pensare di non potermi più fidare, ma…”
Non riuscirono a dire altro. Rimasero seduti uno accanto all’altro, guardandosi i piedi in silenzio.

Sam si voltò verso Frodo, con le mani piene di grossi funghi bianchi, dall’aspetto davvero gustoso. “Guardate che meraviglia padron Frodo! Non state lì impalato con quel cesto, venite qui, che c’è da riempirlo! – Frodo si avvicinò silenzioso, portandosi dietro di malavoglia il grande cesto che gli aveva dato Menel – Non c’è niente da dire, se volete dei buoni funghi, mandate un Hobbit! Padron Frodo, cosa avete?”
Frodo si riscosse “scusami Sam. Non sono molto di compagnia, vero?”
“state sereno…Menel ha detto che Legolas stava meglio, e magari, quando torneremo lì, si sarà svegliato…è stata una vera fortuna trovare un aiuto come il suo in un luogo come questo!”
Frodo si limitò ad annuire. cominciava a non sopportare più la situazione. Qualcosa dentro di lui, qualcosa che non taceva mai, lo faceva sentire irrequieto in ogni luogo. Finchè la compagnia era stata in marcia, era riuscito a sopportare questo richiamo insistente che rovinava il suo sonno, e che troppo spesso faceva correre la sua mano verso i bottoni della sua casacca. Ma ora, costretto ad aspettare, turbato e preoccupato per ciò che era accaduto nelle ultime ore, si chiedeva se sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo al sordo richiamo che gli sussurrava di infilarsi l'anello e di fuggire via, da solo.
Perso in queste cupe riflessioni,si accorse di essersi allontanato, lasciando solo Sam senza dirgli niente. Pensò all'amico, che probabilmente ancora ciarlava allegramente, curvo sui funghi. La luce del sole, il miglioramento di Legolas, ed un cesto di funghi erano bastati per rendergli la sua solita naturale allegria, e Frodo pensò che avrebbe voluto poter essere ancora come lui.
"Frodo!"
Si voltò. Davanti a lui, con un'espressione strana, si trovava Boromir.
"Cosa ci fai qui, da solo? Sai meglio di me quanto sia pericoloso questo bosco,siamo stati attaccati due volte nel giro di poche ore! Molti degli orchi che abbiamo disperso stanotte si staranno raccogliendo da qualche parte qua attorno, per tornare a cercarci al più presto..."
Frodo non rispose. Si limitò a sedersi su una grossa radice, sospirando. Boromir si sedette accanto a lui, cercando di mostrarsi sereno, ma giocando nervosamente con l'impugnatura del corno di Gondor, che portava sempre appeso alla cintura. Rimasero in silenzio a lungo. Alla fine Frodo si alzò, guardando le foglie agitate dal vento. "Non sono l'unico a cercare la solitudine... Vedo che anche il tuo animo è agitato da qualcosa...qualcosa che vi cova profondamente da molti giorni, vero?" Boromir sobbalzò. "vedi oltre le apparenze giovane hobbit…è forse quell'anello che ti dà questa sensibilità?" Frodo sopirò nuovamente. Quasi senza accorgersene tolse l'anello da sotto la casacca, e rimase a girarlo fra le dita, con un'espressione assente. "sensibilità? Può darsi, ma solo alla sofferenza, credo...mi sembra di percepire il dolore di coloro che ho attorno, e tutto quello che vorrei è fuggirmene lontano e non sentirlo più!"
Alzò gli occhi, stupito di aver parlato in quel modo, e vide Boromir che lo guardava con un'aria strana. Dai suoi occhi, fissi sull'anello, traspariva una strana luce, che frodo non riusciva ad interpretare. rimasero così alcuni secondi, poi Boromir si alzò e si avvicinò a lui...

potevo farvi aspettare, dopo aver lascito il capitolo a quel punto?
no, e quindi procediamo svelte svelte!!!

Frodomicina91: hai visto, arriviamo alla parte della storia a cui tenevi di più!

kessachan: ^___^ grazie, ci tenevo molto a quella scena iniziale!

Hareth: eeeeeeeeeeh, mi sa che non accadrà nè l'una ne' l'altra cosa...spero troverai interessante anche la mia soluzione...

alla prossima!!

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Capitolo 12
*** elfi e nani ***


Gimli si avvicinò all'albero sul quale si posava, invisibile a molti occhi, la casa di Menel. Guardò su, già rassegnato al fatto che non l'avrebbe vista. "Elfi..." borbottò, ma in cuor suo sapeva bene che la sua rudezza ostentata era solo una maschera. Già da molti giorni, ormai, aveva imparato ad apprezzare queste creature, così diverse da lui... pensò che, da quando la compagnia aveva lasciato Granburrone, il suo animo era cambiato molto, e poteva dire di essere maturato velocemente. Guardando al Gimli che aveva seduto al consiglio di Elrond, accanto al proprio padre, gli sembrò di vedere un ragazzo, mille miglia lontano da ciò che si sentiva ora.
Cercò tra le fessure della corteccia la grigia corda elfica, e le sue dita forti e nodose sentirono al tatto la setosa eppure indistruttibile fune. Fece scendere la scala, e si arrampicò, con l’anfora legata sulla schiena.
Quando entrò nella casa, sentì alcune voci pacate provenire dalla seconda stanza, e grande fu la sua gioia, nel capire che una di esse apparteneva a Legolas. Posò l’anfora a terra con foga, non senza versare un po’ d’acqua, ed entrò nella stanza da letto.
Menel era seduta accanto al letto, e accanto a lei, pallido ma finalmente in sè, era steso l'elfo. "Legolas! come sono contento di vederti sveglio! dunque Menel aveva ragione, stai bene!" Legolas sorrise, quasi stupito di vedere nell'amico un simile impeto di gioia. "Bene...debole come un neonato, e intorpidito come se avessi dormito mille anni...ma sono qui..."
Menel si alzò. "Ed ora riposerete ancora. Gimli è stato accanto a voi ogni istante, dopo che siete stato ferito, e vi ha vegliato con grande devozione. Avete trovato un grande amico in lui - Mise una mano sulla spalla del nano, spingendolo dolcemente fuori dalla stanza - ma ora dovete dormire entrambi." Legolas guardò Gimli, ed il suo volto era pieno di stupore.
Pensò con disappunto a tutte le volte che aveva considerato i nani creature rozze e superficiali, incapaci di sentimenti e tenerezza. Gimli, dal canto suo, arrossì vistosamente alle parole di Menel, e borbottò qualcosa sul fatto che un paio d’ore di sonno gli erano più che sufficienti, senza però far cambiare idea alla fanciulla.
L’elfo sorrise a questa scena, e quando Menel si fu chiusa alle spalle la tenda che separava le due stanze, non potè fare a meno di riconoscere che, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, Gimli gli aveva insegnato qualcosa. La prima volta era stato a Lorien. Era rimasto profondamente colpito dal fiero orgoglio con cui il nano si era opposto al fatto di entrare a Lorien bendato. Dapprima l’aveva considerato inutilmente ostinato, ma poi nel lungo tragitto che tutta la compagnia aveva dovuto compiere senza poter vedere, aveva riflettuto. Ed aveva provato ad immaginare cosa potesse significare trovarsi tra gente diversa dalla propria, considerato indesiderato o pericoloso. Ed essere trattato diversamente dai compagni con cui era giunto fin lì, senza aver fatto nulla di male, senza altro appoggio delle fredde parole formali con cui Legolas stesso aveva garantito per lui.
E aveva provato vergogna.
Vergogna di non aver provato a conoscere meglio Gimli, nonostante tutta la strada percorsa insieme fino a quel punto, solo per via dell’antica inimicizia tra le due razze cui appartenevano.
Vergogna per aver avanzato pretese di diverso trattamento, quando non vi era alcuna differenza di fedeltà alla missione tra lui ed il nano.
Da quel momento aveva deciso di cambiare atteggiamento, e guardando Gimli con occhi diversi, aveva trovato in lui un amico leale.
Ed anche ora Gimli l’aveva stupito nuovamente, mostrandosi capace di sentimenti forti e insieme delicati…

Trascorsero così alcuni giorni, nei quali la compagnia rimase ospite di Menel. Le condizioni di Legolas miglioravano, lentamente ma con regolarità, sotto le cure costanti della fanciulla e l’occhio vigile del nano.
Sam, Merry e Pipino, ritrovata la loro naturale allegria, cercavano di rendersi utili quanto potevano, soprattutto procurando cibo, e consumandone molto più di quanto ne avessero trovato.
Aragorn appariva ora un po’ più sereno di quando per la prima volta era entrato nella casa sull’albero, ma ugualmente parlava poco, e spesso restava fuori per molte ore, percorrendo molte miglia nella foresta.
In ogni caso ognuno di loro traeva giovamento da quella inattesa e momentanea sosta, e i loro animi erano rasserenati.
E così, stretti nel poco spazio disponibile, affaccendati in mille piccole mansioni, riuniti spesso intorno al tavolo per mangiare, avevano portato nella vita di Menel un cambiamento strano ma piacevole, ed ella si era affezionata a ciascuno di essi.
La sera, quando i quattro hobbit, Gimli e Boromir dormivano nella sala da pranzo, e Aragorn sonnecchiava sulla terrazza tra i rami, Menel chiudendo la pesante tenda, pensava con malinconia a quando di nuovo sarebbe tornata a vivere sola.
Si stendeva sulla cassapanca ricoperta di bianchi cuscini di lino, sulla quale aveva improvvisato un secondo letto, e restava a guardare Legolas, con il cuore sempre un po’ alterato….
Dormire nell’altra stanza sarebbe stato impossibile, e restando nella camera da letto poteva controllare le condizioni dell’elfo…nonostante si ripetesse queste considerazioni, non poteva fare a meno di provare un grande imbarazzo ed una strana agitazione ogni volta che si stendeva a poca distanza da lui. Restava ferma, al buio, ad ascoltare il suo respiro, ancora faticoso e debole, e non riusciva a staccare gli occhi dal suo delicato profilo, illuminato appena dai raggi radenti della luna calante.
Cercava di ricacciare indietro il pensiero che, appena sarebbe stato meglio, sarebbe ripartito con i compagni…ad ogni segno del suo miglioramento, pur mostrandosi felice di vederlo guarire, non poteva fare a meno di sentire una stilla di dolore pensando che si avvicinava il momento della seconda separazione da lui, forse ancora più dolorosa della prima…

Vi erano però due persone che non partecipavano alla vita che si svolgeva nella casa sull’albero, e che spesso si allontanavano dai compagni, senza mai dare spiegazioni.
Boromir non restava volentieri con gli altri, e quando per qualche motivo era costretto a fermarsi a lungo con loro appariva teso e scontroso. Non partecipava ai discorsi, e spesso attraverso i suoi occhi, sempre rivolti a nord, pareva di vedere il suo animo allontanarsi da lì e vagare lontano.
Allo stesso modo, Frodo evitava spesso i compagni, sparendo spesso, vagando nel bosco senza una meta, e provocando in Aragorn una grande preoccupazione. Tuttavia il ramingo, indovinando la grande sofferenza che in quei giorni tormentava l’animo dell’hobbit, non osava fermarlo, limitandosi a tenerlo d’occhio quanto più poteva.
Solamente Sam non si dava pace. Ogni volta che vedeva Frodo allontanarsi, il suo viso prendeva un'espressione sospettosa, e guardava Boromir, che quasi mai sosteneva il suo sguardo. Aveva provato a parlare dei suoi sospetti agli altri due hobbit, ma era stato tacciato scherzosamente di gelosia, ed il discorso non aveva trovato terreno fertile.
Una sera, quando già gli altri dormivano, uscì sul ballatoio che circondava la casa. Aragorn era seduto in un angolo, la schiena poggiata ad una parete, le gambe incrociate su un grosso ramo. "Non sei a dormire con gli altri? Forse stasera avete mangiato così tanto che non riesci a prendere sonno?" Sam alzò le spalle, con un sorriso imbronciato. Non era in vena di scherzare. "E perché tu non sei in casa a dormire?"
"non mi piace stare chiuso lì dentro, un ramingo dorme più volentieri all'aperto che in una stanza piccola e piena di persone..." Sam lo guardò nuovamente di sbieco. " "Forse gli altri si bevono queste storie, ma io so che in realtà monti la guardia. - Aragorn lo guardò stupito. - non sono stupido quanto sembra..." Aragorn gli fece segno di sedersi accanto a lui. "Nessuno di noi pensa che tu sia stupido, Sam. cosa ti prende stasera? Se c'è qualcosa che ti preoccupa, vorrei che tu me ne parlassi." Sam prese un lungo respiro. Improvvisamente gli sembrò che in tutti i suoi sospetti non ci fosse niente di convincente.
"E' che...Frodo sta cambiando molto in questi giorni. Non resta mai con noi, e quando c'è, è ugualmente come se non ci fosse...non so se mi spiego..." "Non devi temere questo. io sono certo che il suo affetto per noi non sia cambiato. E' l'anello che lo tormenta..."
Sam scosse la testa "no...no...non è questo che mi preoccupa! E' che...non so...credo che quei due stiano preparando qualcosa di segreto...ma non riesco a capire cosa...e sono preoccupato, accidenti..." Aragorn sussultò. "Quei due?" Sam si alzò, spazientito. "Oh insomma, possibile che solo io mi sia accorto che Frodo e Boromir si incontrano di nascosto? Certo, non si allontanano mai insieme, ma dopo poco che uno dei due se n'è andato, l'altro lascia la casa per andare chissà dove. Non mi fido di Boromir - aggiunse poi abbassando la voce, gli occhi un po' lucidi - e ho paura che convinca il mio padrone a fare qualche sciocchezza con quel dannato anello..."
Aragorn rimase immobile, lo stupore sul suo volto divenne in breve preoccupazione. Possibile che fosse stato così ingenuo? ora che Sam gli aveva aperto gli occhi, vedeva chiaramente che ciò che gli aveva detto era vero. Lo sguardo del gondoriano, i silenzi di Frodo, tutto si combinava ora in maniera diversa. Si era illuso di aver capito il comportamento di Frodo, e invece..."Va' a dormire Sam. Ti prometto che da domani li terrò d'occhio io...Frodo non farà alcuna sciocchezza. Te lo prometto..."
Sam annuì, rasserenato.


kessachan: mi fa tanto piacere che tu sia affezionata a Menel...la mia creaturaaaa....^___^

Hareth: vedo che la pensi come me! a me non piace che alcuni personaggi diventino praticamente "trasparenti", per dare rilievo ad altri... mi piace tanto lasciare un po' di spazio un po' a tutti...^___^

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Capitolo 13
*** piccoli oggetti...umani ***


La mattina successiva Menel decise di scendere al torrente, per prendere acqua, e per dare un’occhiata ad alcuni giovani alberi che aveva messo a dimora in autunno. Sam, Merry e Pipino dormivano ancora sul grande tavolo, e metà dei cuscini che Menel aveva dato loro erano sparsi sul pavimento. La fanciulla sorrise. Solo dopo un istante si accorse che nella stanza vi era anche Frodo, che, seduto sotto il tavolo, si stava infilando gli stivali.
“Già in piedi anche stamattina? Devi andare da qualche parte?” Frodo la guardò, quasi indeciso su cosa dire. “Se non hai una meta precisa, puoi accompagnarmi al torrente…magari puoi mostrarmi dove trovate quei bellissimi funghi che avete portato…”
L’hobbit rimase un attimo in silenzio. Anche quella mattina si era svegliato in preda all’ansia, ed aveva desiderato di allontanarsi dalla casa e stare solo. Ma Menel aveva il potere di metterlo a suo agio. Forse, poiché non sapeva nulla della loro missione e tantomeno dell’unico, con lei si sentiva libero di essere di nuovo Frodo della contea, e non il portatore dell’anello.
Mentre passeggiavano per il bosco, non poté fare a meno di pensare che non si riconosceva più. Era come se si fosse scisso in queste due persone: il giovane hobbit che per tanti anni aveva vissuto nella contea desiderando di partire verso luoghi sconosciuti, e questo nuovo hobbit, triste, dall’animo pesante, curvo sotto il peso di una responsabilità che ancora faticava quasi a capire, ma che non avrebbe potuto lasciare a nessun altro.
Quello che però lo faceva stare male, non era questa responsabilità. Era la sensazione che questa parte stesse prendendo il sopravvento sull’altra. Una voce sottile e maligna che gli proveniva da dentro aveva cominciato a dirgli che lui era solo il portatore dell’anello. Non poteva più essere nient’altro. E per gli altri, non era nient’altro. Chissà se gli avrebbero prestato la stessa attenzione, se l’avrebbero protetto in quel modo, se lui non avesse avuto quel dannato anello al collo…
Si scosse dai suoi pensieri e alzò la testa. Menel lo fissava, con un misto di curiosità e tenerezza negli occhi. “Hai davvero molti pensieri, vero? Scommetto che non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto.”
Frodo arrossì vistosamente. “Io…ti chiedo scusa…è vero, non ti stavo ascoltando…” e chinò la testa, ancora più avvilito.
Menel scoppiò a ridere. “Non ti devi preoccupare, non stavo dicendo proprio niente! – Frodo la guardò, senza capire – Non ho detto una sola parola da quando siamo partiti…stavo godendo di questa bella mattina, ed osservavo il bosco. Stavo scherzando, volevo vedere fino a che punto eri perso nei tuoi pensieri!”
Finalmente Frodo sorrise, anche se quel velo di tristezza che copriva sempre i suoi occhi non passò. Passeggiarono ancora per un po’ assieme, chiacchierando…Menel raccontò a Frodo cosa faceva, gli mostrò il suo piccolo vivaio, vicino all’orto nascosto su un argine del fiume, e l’hobbit le parlò della contea, di casa Baggings, del Gaffiere e del suo giardino…
“Ora devo tornare a casa. Il principe…Legolas si sarà svegliato, e devo medicargli la ferita. Vieni con me?” Frodo scosse la testa. “rimango ancora un po’ in giro. Magari potrei portare qualche fungo per pranzo…” “D’accordo. A più tardi, allora…”

Legolas aprì gli occhi. Era solo. Provò a sollevarsi a sedere, e per fortuna vi riuscì. Il dolore al fianco era calato molto, grazie anche ad un impacco che Menel vi lasciava sempre sopra, e che lo calmava.
Cominciava ad essere insofferente. I primi giorni aveva accettato di buon grado di restare a letto. Era così debole che per la maggior parte del tempo aveva dormito, e anche quando era sveglio la sua mente era spesso intorpidita.
Ora, però, cominciava a sentirsi meglio. Anche se il suo corpo era ancora debole, la sua mente era lucida, e aveva cominciato anche a sentire lo stimolo della fame.
Così cominciava a soffrire del dover stare chiuso nella stanza, senza poter uscire nel bosco. Per fortuna, quella era una casa costruita da elfi, aperta e luminosa, e i rami frondosi che l’avvolgevano frinivano al vento, accarezzandola. Chiudendo gli occhi sentiva rifluire la vita dentro sé, mentre percepiva i profumi e i rumori della foresta.
Cominciò a guardarsi attorno. La stanza era semplice, con pochi mobili, ma in ogni angolo di essa si poteva vedere l’impronta di Menel. Era molto diversa dalla stanza in cui dormiva quando ancora abitava nel reame boscoso. La sua stanza di fanciulla era sicuramente più grande e bella, ma in confronto a questa appariva fredda e vuota, una sorta di stanza per ospiti. La camera in cui si trovava ora, invece, era piena di ricordi, di piccoli oggetti cui sicuramente era affezionata.
Il letto era posto su un lato della stanza, a destra della porta. Accanto ai piedi del letto si trovava un mobile di legno scuro, con alcuni cassetti, e su di esso, poggiato al muro, un piccolo specchio dalla cornice elaborata.
Sul mobile, raccolti in una ciotola di ebano, alcuni sassi di fiume, di diversi colori, percorsi da bellissime striature a contrasto. Alla cornice dello specchio era appeso un piccolo mazzo di erbe aromatiche seccate, legate con un nastro di raso lilla, dalle quali si sprigionava un profumo tenue e fresco.
Per terra, sotto la finestra, vi era un alto vaso di vetro, nella cui fattura era facile intuire mani elfiche. Esso conteneva alcuni rami scuri e sottili, sui quali erano disseminate gemme verdissime, pronte a schiudersi.
Accanto al vaso, composti un po’ disordinatamente a terra, pigne, bacche di ginepro, pezzi di corteccia e di radici dalla forma strana, piume nere e lucidissime, o marroni e maculate di bianco…
Su di una mensola, sul lato opposto al letto, una pianta in vaso, che ricadeva quasi fino al pavimento, con i suoi lunghi rami puntinati da piccolissimi fiori bianchi.
Mentre era intento ad osservare l’infinità di piccoli oggetti che decoravano la stanza, Legolas sentì dei passi nella stanza accanto. Era Menel, che dopo aver armeggiato un po’ attorno al camino, entrò in camera affannata, togliendosi il mantello.
“Oh, vi siete svegliato! Mi spiace…vi sarete annoiato qui da solo!” Legolas scosse la testa, sorridendo. “No, non ti preoccupare. Stavo osservando la tua camera. E’ davvero graziosa.”
Menel sorrise, con grande dolcezza. “E’ piccola e semplice, ma io la amo molto. Non so spiegarvi perché, ma sento che è questa la mia casa… - si voltò verso Legolas, che la guardava con l’aria di pensare a qualcosa – Oh, ho detto qualcosa che probabilmente vi ha offeso…”
“no…perché dovrebbe offendermi?”
“beh…voi e il vostro popolo mi avete salvato la vita, dandomi tutto ciò di cui avevo bisogno per così tanto tempo…ed io ho appena detto che qui sento di essere a casa più di quanto non lo fossi presso di voi…”
“ma è vero, no?”
“si, ma non intendevo…io sono stata molto felice a Bosco Atro…e non mi è mai mancato nulla…non voglio che mi consideriate un’ingrata! – si sedette accanto al letto - Ma qui, per la prima volta, ho sentito che potevo costruire la mia vita con le mie mani! Prima mi ero sempre sentita parte di un qualcosa di più grande, qualcosa di bellissimo, caldo e armonioso…ma non mio! Non nato da me…oh, non so come farvi capire, probabilmente vi sembrerò egoista, o piena di orgoglio!” rimase con le mani in grembo, guardandosi tristemente l’orlo della veste.
Legolas la guardò dolcemente, posandole una mano sulle sue. “no…mi stai sembrando solo umana…” Menel alzò gli occhi, stupita. “cosa volete dire?”
“Sei stata cresciuta come un elfo…ma appartieni alla razza degli uomini. Forse era destino che la tua natura emergesse, prima o poi…e forse siamo stati noi a sbagliare, a non chiederci quale dovesse essere la tua strada…” Menel scosse il capo. “no, voi non avete sbagliato in nulla. Doveva andare così, ed è stato un bene…”
Legolas chiuse gli occhi, sospirando. Si sentiva di nuovo stanco. Anche solo parlare per un po’ gli toglieva le forze. Menel si alzò, e lo aiutò a stendersi ancora. Quando fu sulla porta, pensando che stesse già dormendo, Legolas aprì nuovamente gli occhi. “E’ per questo che hai lasciato Bosco Atro?”
Le fanciulla si fermò. Una vampata di calore le colorò le guance, ed il cuore prese a batterle forte.
“io…sì, credo di sì…”
L’elfo la fissò, cercando di leggere la verità dai suoi occhi. “perché non me ne hai parlato, allora? Perché sei partita senza nemmeno salutarmi?”

allora, ecco veloce veloce l'ennesimo capitolo. Lo so, sono tremenda, vi ho lasciti ancora una volta in sospeso su un punto cruciale. mi perdonate?passiamo ai ringraziamenti!

kessachan: non preoccuparti, ogni tuo commento è graditissimo!!! ^__________^

Hareth: uhm...non direi proprio alleati... diciamo che ognuno di loro cerca la propria personale soluzione al problema...

Frodomicina91: eccoti accontentata!

un bacione a tutti e alla prossima!!!

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Capitolo 14
*** il tempo stringe ***


Menel rimase sulla soglia, senza riuscire a parlare. L’ultima frase di Legolas aveva avuto il potere di gettarla nel panico.
“Io…non so…voi non eravate a Bosco Atro in quei giorni, eravate in viaggio…”
In quel momento Aragorn entrò in casa. “Menel, sei qui?”
“Sì, sono qui in camera – rispose la fanciulla, e la voce le uscì come strozzata da un nodo – Hai forse bisogno di qualcosa?”
Il ramingo entrò nella stanza. “Oh, buongiorno Legolas! Come ti senti oggi?” L’elfo sorrise cordialmente. “Meglio. Per la prima volta mi sembra di vedere di nuovo il mondo con i miei occhi…ma cosa accade? Hai il volto scuro.”
“No, non devi preoccuparti. Stavo solo cercando Frodo. – poi, rivolto a Menel – Sai forse dov’è?”
“Nel bosco, credo. Abbiamo passeggiato assieme fino a poco fa, poi io sono rientrata e lui ha preferito restare fuori ancora un po’. E’ accaduto qualcosa?”
Aragorn fece segno di no con il capo, poi, quasi senza guardarli, uscì dalla stanza immerso nei suoi pensieri. Menel rimase un attimo a guardarlo, poi, vedendo che anche Legolas appariva ugualmente pensieroso per il comportamento di Aragorn, ne approfittò per allontanarsi con una scusa ed evitare che venisse ripreso il discorso di poco prima.
Il cuore le batteva ancora forte, e sapeva di avere il volto acceso dal rossore. Legolas le aveva parlato con tono serio, ed era certa che non avrebbe lasciato cadere il discorso tanto facilmente. Era necessario che trovasse qualche scusa convincente per quando l’argomento si sarebbe ripresentato.

Aragorn camminava velocemente nel bosco, scuro in volto.
Aveva seguito Frodo quella mattina, osservandolo senza farsi vedere mentre passeggiava con Menel, ma non appena i due si erano separati, l’hobbit lo aveva preso di sorpresa, seminandolo in pochi istanti.
E questo era motivo di grande preoccupazione per lui. Non era facile sfuggire ad un ramingo, e se Frodo vi era riuscito, doveva essersi servito dell’anello.
Ma perché? Più di una volta avevano potuto vedere che infilare l’anello era fonte solo di maggiori pericoli, se Frodo aveva deciso di rischiare, era evidente che qualche grave motivo lo spingeva a nascondersi. Dove poteva essere adesso? Aveva provato a cercarlo attorno alla casa, senza troppa fiducia, ma nessuno sapeva nulla.
Aragorn camminava a passo spedito, decisamente preoccupato. Ad un tratto si fermò, attirato da alcune voci. Le seguì, mentre l’angoscia dentro di lui cresceva…una di esse apparteneva a Frodo, e l’altra…a Boromir! Dunque Sam aveva visto giusto, cosa stava tramando il gondoriano?
Si avvicinò quanto più poteva, poi si nascose dietro ad un albero, e restò ad ascoltare.
“Allora Frodo? Hai pensato a ciò che ti ho detto? – la voce di Boromir era suadente, ma una nota metallica vi risuonava dentro – sono diversi giorni, ormai, che ne parliamo, e il tempo stringe…”
“Lo so, purtroppo…non so Boromir, non riesco a decidere cosa sia giusto fare. Desidero allontanarmi di qui prima possibile, ma ugualmente non riesco ad abbandonare il resto della compagnia con tanta leggerezza! Mi sembra quasi un tradimento…”
Il gondoriano si sedette accanto all’hobbit. “Tradimento? La compagnia è stata formata per te, per scortarti nel tuo cammino, non sei tu ad essere al suo servizio! E poi è per il loro bene…non sei stato tu stesso a dirmi che non sopporti più di vederli soffrire per causa tua? – Frodo annuì, pensieroso – ascolta Frodo, è l’unica cosa da fare, credimi. Partiremo insieme, stanotte. Prenderemo una delle barche, loro non ne avranno bisogno…seguiremo il fiume, poi deciderai se vuoi proseguire da solo o se vuoi seguirmi a Gondor. Lì potrei fare molto per aiutarti, molto di più di quello che posso fare qui…potrei darti una scorta, un esercito anche, oppure…”
Boromir si fermò. Si accorse che i suoi pensieri si stavano spingendo troppo avanti. Non capiva perché, ma aveva la sensazione che la sua mente vagasse a volte senza il suo controllo. Si ritrovava a vagheggiare cose che mai prima avevano attraversato la sua mente, e a volte i suoi pensieri raggiungevano la sua bocca più di quanto avrebbe voluto. Si alzò, irrequieto.
“cerca di decidere, Frodo, presto Legolas starà meglio, e la compagnia si muoverà. Allora non avrai più molta scelta!”
Aragorn sussultò. Era questo dunque che Boromir cercava di ottenere, allontanare Frodo dalla compagnia, forse per convincerlo ad utilizzare l’anello, o peggio ancora...per strapparglielo...Con un moto di rabbia, strinse il pugno attorno al ramo a cui si poggiava, ed il legno scricchiolò.
Boromir si voltò di scatto, ma non lo vide. “Ora vado, Frodo, temo che qualcuno ci possa sentire. – si chinò verso l’hobbit, stringendolo per le braccia - Ma tu promettimi che penserai a ciò che ti ho detto!”
Si allontanò a grandi passi, mentre Frodo lo guardava senza sapere cosa pensare. Immerso nei suoi pensieri, saltò quasi per la sorpresa, quando si trovò davanti Aragorn, col viso percorso dalla rabbia e dall’angoscia.
“Aragorn! Cosa succede?”
“Lo dovrei chiedere a te, non credi?” L’hobbit sbiancò.
Di certo doveva aver sentito.
“io...nulla, perché me lo chiedi?”
Aragorn si inginocchiò davanti a lui, stringendo l’elsa della sua spada. L’angoscia stava per sopraffarlo.
“Frodo, non mentirmi, ti prego! Ho sentito ciò che ti ha detto Boromir. Non lasciare la compagnia, non seguirlo, sarebbe una follia! – Frodo era senza parole, non sapeva proprio cosa fare. – Non rendere tutto vano, tutto ciò che abbiamo passato, tutto ciò che stiamo facendo...Io so che stai male, che l’anello ti tormenta, vorrei anch’io lasciare questi boschi e proseguire il nostro cammino, ma...ti prego di avere ancora un po’ di pazienza. Lascia partire Boromir, ma non seguirlo!”
Frodo si alzò, profondamente scosso. Non aveva mai visto Aragorn così. I suoi occhi erano gonfi, e la voce strozzata.
“Aragorn...io...credevo che fosse meglio così, anche per voi. Non sopporto più di restare qui, qualcosa mi divora da dentro...devo raggiungere il Monte Fato al più presto, o impazzirò. Ma non voglio che Legolas sia costretto a muoversi, non è ancora in grado. E non voglio che continuiate a soffrire e rischiare la vita per me...”
Prese tra le sue la mano del ramingo, e gli parve di sentirla tremare. “Se tu credi che non debba seguire Boromir, non lo farò, ma partirò ugualmente da solo. Non credere che non mi fidi di te, e non puoi immaginare...preferirei sprofondare nelle viscere della terra, piuttosto che andare da solo in quel luogo maledetto...ma devo farlo...ti prego...lasciami andare...”
“No, aspetta, ancora un giorno...concedimi un giorno, ti prometto che troverò un modo. Se domani non partiremo insieme, partirai da solo, e non cercherò di fermarti. Ma aspetta almeno fino a domani...me lo prometti?”
Frodo annuì, senza riuscire più a parlare.

Legolas era steso nel letto, di nuovo solo. Menel era uscita in fretta, borbottando una scusa, e l’aveva lasciato immerso nei suoi pensieri. Non gli era difficile capire che aveva evitato di proposito di rispondere, ma ciò che gli sfuggiva era il motivo.
Pensò al giorno in cui aveva saputo della sua partenza.
Era arrivato a palazzo, dopo alcune settimane trascorse ai confini del bosco. Era salito per parlare con suo padre, ma, poiché gli era stato chiesto di aspettare, aveva deciso di andare a cercare Menel, come faceva ogni volta che tornava da un viaggio. Ma aveva trovato la stanza vuota, e nessuno gli aveva saputo dire dove la fanciulla si trovasse.
Ricordava perfettamente il momento in cui aveva aperto le porte di suo padre, e lui l’aveva accolto, serio in volto. Anche se erano passati alcuni anni, aveva ancora chiara in mente la sensazione provata quando suo padre gli aveva detto che Menel era partita, probabilmente per non tornare.
Si era congedata da lui, ma non aveva aspettato che suo figlio tornasse. E se anche aveva detto il motivo della sua partenza al re di Bosco Atro, Legolas non l’aveva saputo. Perché non aveva voluto aspettare qualche giorno, almeno per salutarlo? Aveva sempre creduto che Menel provasse affetto per lui, aveva sbagliato? era passata a salutare tutti, coloro che l’avevano cresciuta, il suo maestro...lo stalliere del palazzo gli aveva perfino detto che aveva trascorso un pomeriggio a parlare con il suo cavallo, prima di lasciarlo. Ma non aveva parlato con lui, e Legolas si era chiesto più volte in quegli anni, perché...perché colei che considerava come una sorella...
Ed ora l’aveva ritrovata, e si disse, non sarebbe ripartito senza aver capito...

ancora mille ringraziamenti a voi tutte che commentate!
hai visto, Frodomicina, che il tuo Frodo è protagonista?
grazie anche a Jenny76, sono davvero contenta che tu apprezzi la mia resa dei personaggi, ci tenevo tanto!
e grazie mille a Kessachan: uhm...uhm... non so, sicura di volere spoiler? ^___-

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Capitolo 15
*** dubbi angosciosi ***


Soffiava una leggera brezza, quella mattina, ed un pallido sole scaldava gli ultimi giorni di febbraio.
Boromir, dopo aver lasciato Frodo, aveva vagato per il bosco, in preda ad un’ansia e una frenesia che non gli permettevano di pensare. Mille immagini lo tormentavano…vedeva suo padre, stanco in volto, e molto più vecchio di come l’aveva lasciato…suo fratello Faramir, che lo fissava con uno sguardo tradito…sembrava volerlo accusare di non essere lì, mentre Gondor cadeva…e la voce di Dama Galadriel, che così odiosa aveva risuonato nella sua coscienza…
Quasi inciampò in una radice, e si accorse di non sapere dove si trovava. Si passò una mano sulla fronte. Era madido di sudore, e ansimava. Si sedette ai piedi di un albero, sulla riva di uno degli innumerevoli torrenti che attraversavano quella regione. L’acqua scorreva veloce, brillando in quel sole ancora debole, e coprendo i suoni del bosco con un canto forte e continuo.
Mentre il suo respiro tornava regolare, gli parve quasi che il torrente gli parlasse. Quello scroscio limpido, e il mormorio delle foglie sul suo capo…respirò profondamente, chiudendo gli occhi.
“cosa sta accadendo? – mormorò – cosa mi accade?”
Perché voleva partire ad ogni costo senza gli altri? Mancava da Gondor ormai da troppo tempo, certo…vi era bisogno di lui…ma perché allora non partiva?
Sarebbe bastato parlare con Aragorn, dirgli che non poteva più aspettare…non l’avrebbe trattenuto…si passò le mani sul viso…no, non aveva promesso di accompagnarli oltre, fin dall’inizio si era detto che sarebbe tornato a Gondor…non vi erano vincoli, doveva partire! Certo, perché aspettare?
Se solo Frodo si fosse deciso, perché tentennava tanto, stupido Hobbit senza coraggio! Ma...Ma che motivo aveva? perché aspettava Frodo? Spalancò gli occhi, in preda ad un nuovo terrore. Già…perché aveva cercato di portare Frodo con sé?
No…non era per l’anello…non era possibile…
Sì, invece…l’aveva desiderato…solo in quel momento riuscì a guardare dentro di sé…aveva mentito a sé stesso, non si era mai rassegnato all’idea di distruggere l’unico anello...si piegò in avanti, prendendosi il viso tra le mani. Una morsa gli stringeva il cuore. Avrebbe pianto, se avesse potuto…se ci fosse riuscito…

Aragorn camminava, percorrendo la foresta a grandi passi, come era solito fare. Arrivò all’albero su cui posava la casa di Menel.
Ai suoi piedi, Sam, Pipino e Merry chiacchieravano, seduti tra le radici. Si avvicinò. “Oh, Aragorn! Meno male che sei tornato…bene, allora dichiaro ufficialmente che è ora di pranzo!”
“Peregrino! Possibile che tu non possa pensare ad altro? – Sam gli diede una significativa gomitata, poi guardando Aragorn – hai poi trovato Frodo?”
Il ramingo scosse la testa, pensò che fosse meglio non parlare a nessuno di ciò che aveva sentito...salì sull’albero, senza altre spiegazioni.
Merry e Pipino si guardarono, seri. “Hai visto? Da quel giorno non l’ho ancora visto sorridere...”
“già...è sempre scuro in volto, e non si capisce cosa pensa...”
Sam li guardò diffidente. “sentiamo, cosa vorreste dire? Aragorn ha i suoi pensieri, è naturale!”
“si, ma...insomma, tu non l’hai visto...” Merry fece segno a Pipino di non continuare. “Lascia stare...”

Aragorn entrò in casa. Nel camino crepitavano delle braci, e la stanza era pervasa da un odore resinoso. Era solo. Quasi senza pensare entrò nella stanza da letto. Quando lo vide entrare, Legolas gli sorrise dolcemente.
“Finalmente ti vedo...non si può dire che tu resti molto in casa...stai forse diventando un elfo?”
Aragorn sorrise. “No, no, perlustro spesso la zona...come ti senti?”
“La noia governa le mie giornate, e comincio a soffrire del dover restare qui chiuso. Ma il mio corpo sta molto meglio, e presto spero di poter uscire di qui. Ho proprio bisogno di vedere un po’ questo bosco. L’aria sta cambiando, la primavera è in arrivo...è una tortura non poterne godere...ma almeno adesso sei qui, amico mio. Vorresti tenermi un po’ di compagnia?”
“Certo...anch’io desidero fermarmi un po’ in pace. – poi un’idea attraversò la sua mente – credi di poter stare un po’ seduto?”
“sì, penso di sì...già da un paio di giorni mi stanco molto meno. A cosa stai pensando?”
Aragorn non rispose. Prese una coperta dai piedi del letto, la passò attorno alle spalle dell’elfo e lo prese in braccio, sollevando con esso anche le coperte del letto.
Legolas scoppiò a ridere. “Cosa fai? Mi sembra di essere un bambino!”
“Oggi c’è un po’ di sole, e l’aria non è più così fredda. Ti porto un po’ nella veranda, così potrai guardare il bosco...almeno finché non arriva Menel...poi credo che dovrò subire una bella sgridata!”
Lo portò in braccio attraverso la cucina, poi lo posò sulla veranda, in un punto che gli sembrò riparato dai rami. L’elfo chiuse gli occhi, assaporando finalmente tutti quei profumi così intensi. Poi non poté fare a meno di sorridere, mentre Aragorn gli avvolgeva bene la coperta attorno ai piedi. “Oh, basta! Sei quasi peggio di Menel!”
Finalmente anche Aragorn rise, e si sedette accanto all’amico. Per un po’ non parlarono.
L’elfo sembrava dormire, ma in realtà la sua anima si stava aprendo...distingueva il canto di ogni uccello, il mormorio delle foglie, l’eco di qualche ruscello lontano.
Ed osservava il ramingo.
“Allora? Non intendi dirmi quel che ti turba?”
Aragorn alzò il capo, sorpreso. “Forse avevo dimenticato che non posso mentire ad un elfo...”
“Non puoi mentire ad un amico...Dimmi cos’è accaduto. Una nuova preoccupazione offusca il tuo sguardo...”
“no...sono preoccupato per la nostra missione...sempre più orchi infestano questi boschi...sarà pericoloso attraversarli.”
“Non mi dici nulla che già non sapessimo prima di partire da Granburrone...non sono così debole che tu mi debba mentire...dimmi cosa ti angoscia veramente...”
Aragorn non rispose. Come poteva parlargli di ciò che aveva sentito?
“Negli ultimi giorni ho avuto molto tempo per pensare, e per osservare tutti voi altri, quando passavate a trovarmi...non è difficile vedere che Frodo sta male...è stanco ed irrequieto, l’anello lo sta di certo tormentando...è questo che ti preoccupa? Temi che l’unico abbia il sopravvento su di lui?”
Aragorn trasse un profondo respiro. Era esausto. Non poteva più tenere in sè il peso di tutti quei pensieri, così, quasi senza accorgersene, cominciò a parlare.
“Vuole andarsene, Legolas. Vuole partire, perché non sopporta più di aspettare...ha deciso di affrontare il viaggio da solo, ma io non credo che possa farcela...non so proprio come fare...gli ho promesso che entro domani... – si fermò. Si rese conto che senza volere stava chiedendo all’elfo di partire – no, forse so cosa fare. Domani partirò con lui. Per un tratto potrebbe venire con noi anche Boromir, che desidera andare a Gondor, e magari verrà anche Sam...credo sarebbe impossibile separarlo da Frodo...chiederò a Gimli di restare finché non sarai in grado di muoverti, e sarà più prudente se anche Merry e Pipino faranno lo stesso...”
L’elfo posò una mano sulla sua.
“No, partiremo tutti insieme. La compagnia non può essere spezzata...”
“Ma occorre partire al più presto. Non posso farti muovere, e nemmeno lasciarti qui da solo!”
Legolas scosse la testa, gli occhi chiusi in un’espressione serena. “Non devi preoccuparti. Partirò con voi. Di certo ci aspettano ancora cinque o anche sei giorni di navigazione, e finché saremo sul fiume potrò stare steso nella barca. Certo Gimli non sarà abile con il remo quanto con l’ascia, ma credo che riuscirà a seguirvi. Vedrai che nel frattempo migliorerò. Se quando arriveremo a terra non sarò in grado di camminare, troveremo qualche altro modo...”
Aragorn si alzò, cominciando a camminare nervosamente. “Non sono convinto. Hai ancora bisogno di cure, non otterrai nessun miglioramento in viaggio. Rischi di peggiorare...”
“Sono un elfo, lo dimentichi? Ho grandi capacità di ripresa...e poter attraversare queste terre di certo mi gioverà di più che stare chiuso in una stanza. Chiederò a Menel di lasciarmi l’unguento, e potrò medicarmi ogni sera... – Aragorn fece per dire ancora qualcosa, ma Legolas lo fermò – Intendi farmi stancare in una discussione inutile? Ho deciso, e non cambierò idea.”
Aragorn lo guardò senza sapere cosa dire. La voce dell’elfo era passata da un tono dolce ad uno deciso in pochi istanti, ed ora lo guardava di nuovo sorridendo. Aragorn lo conosceva troppo bene per illudersi di fargli cambiare idea.
“E sia! Ti porterò con noi, ma sarai tu a dirlo a Menel. Qualcosa mi dice che non sarà d’accordo...Ma Legolas, stai tremando...”
“Non è nulla - si strinse nella coperta – forse non sono più abituato a tutta questa aria...”
Aragorn lo sollevò, e si accorse che pesava davvero poco. In cuor suo sperò di non aver preso la decisione sbagliata. Se fossero stati avventati e Legolas fosse stato di nuovo male, cosa avrebbero fatto?


rieccomi qua!!! quante bellissime recensioni all'ultimo capitolo! grazie, grazie mille a tutte! e passiamo ai saluti personali:

Jenny76: ^__^ visto che velocità? che ne dici, va meglio con Boromir, vero? e vedrai che nei prossimi capitoli avrà il suo degno riscatto!

Frodomicina91: esagerata! povero boromir... prometto che nei prossimi capitoli farò in modo che tu possa perdonarlo, ok?

Wendy: caspita, grazie mille!!! un commento così da una non-appassionata dell'argomento ha ancora più valore per me! spero che tu continui ad apprezzare!

kessachan: eeeeh, saggia fanciulla, meglio non avere anticipazioni, fidati!

un bacione a tutte!

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Capitolo 16
*** un addio... ***


Menel era seduta, le mani in grembo. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo era lì, accanto al letto in cui dormiva Legolas.
Non sapeva perché, ma una sottile inquietudine l’attanagliava mentre percorreva con lo sguardo il viso chiarissimo dell’elfo.
Era l’ora del tramonto, e la luce dai riflessi rosei e dorati entrava dalla finestra inondando la stanza e scaldando il colore di ogni oggetto. Pensò che una strana, struggente malinconia l’aveva sempre colta a quell’ora, fin da bambina.
Da quando viveva sola aveva sempre fatto in modo di essere fuori casa al tramonto, perché solo così riusciva a sopportare quella sensazione dolce e amara insieme.
Le bastava passeggiare tra gli alberi, magari accanto ad un torrente, ed il suo scroscio la cullava, aveva quasi il potere di curarla. Ma se era in casa, quando la luce cambiava e le pareti prendevano quei riflessi caldi, non poteva fare a meno di sentirsi irrimediabilmente sola, e la malinconia si trasformava in angoscia...
Ma adesso riusciva a sopportarlo. Quella sera, mentre l’elfo dormiva accanto a lei, sentiva che una forza diversa la sorreggeva. Sentiva come due mani che le avvolgevano l’anima, proteggendola. Sospirò. “riuscirò a tornare a vivere da sola?” mormorò tra sè.
L’elfo steso accanto a lei, sfiorato da quella debole luce rosa, continuava ad incatenare il suo sguardo. I capelli chiarissimi e sottili erano stesi sul cuscino, e la treccia che portava alla sommità del capo era ormai disfatta dalla lunga permanenza a letto. Ne rimaneva solo una parte, da cui uscivano molte ciocche. Menel accarezzò soprappensiero i propri capelli, raccolti nella coda e poggiati sul suo petto.
Erano lucidi e forti, ma molto più grossi di quelli dell’elfo. Ricordò che da bambina li aveva considerati brutti, le sembravano il manto di un istrice a confronto di quelli di tutti coloro che aveva attorno. Ma ora le piacevano, e pensò che forse Legolas aveva ragione. In un certo senso, lasciando Bosco Atro, si era riappropriata di sè stessa e della propria natura.
“se fossi a letto da giorni, però, li avrei davvero come il pelo di un istrice, e non lisci e setosi come i suoi!” pensò sorridendo tra sè.
In quel momento Legolas si mosse, emergendo dal sonno con lentezza, voltandosi verso la fanciulla. La guardava con un’espressione seria.
“come vi sentite?”
“Bene. Ma da quanto sei qui?”
“da una mezz’ora, credo – si accorse di essere arrossita senza motivo – ero preoccupata per voi...”
Legolas la guardò stupito. “ Perché? Sto bene...”
“beh...dormite dall’ora di pranzo...mi è sembrato strano, perché già da un paio di giorni non eravate più così debole...”
“non devi preoccuparti. Sto bene, ho deciso di cercare di dormire il più possibile per accumulare le forze. Credo che nei prossimi giorni ne avrò bisogno...”
Lo sguardo di Menel si rabbuiò, mentre il cuore cominciava a batterle all’impazzata. Possibile che fosse già giunto il momento di separarsi?
“Cosa intendete dire? Pensate di partire? E’ presto, non siete ancora in grado di...” si fermò.
Legolas la guardava con un’espressione strana. In un istante si accorse che lo sguardo dell’elfo non ammetteva indecisione. Le bastò guardarlo per capire che sarebbe partito, qualsiasi cosa lei gli avesse detto...abbassò lo sguardo. Legolas sorrise tristemente, e le prese la mano. Le guance di Menel si imporporarono, ma la mano non le tremò, e la voce le tornò calma.
“E’ necessario che partiate, dunque? Non posso sperare che aspettiate ancora qualche giorno, vero?” Legolas scosse la testa.
“No, mi dispiace. Un’urgenza di cui non posso svelarti nulla ci costringe a non aspettare più, e domattina prenderemo le barche e ripartiremo lungo il fiume. Come vedi, non sarà necessario che io cammini, e quindi non devi preoccuparti. Vorrei però chiederti un favore.”
“Certo, se è qualcosa che posso fare...”
“potresti lasciarmi delle bende, e l’unguento con cui mi medichi la ferita?”
Menel sorrise. “Non era necessario neanche che me lo chiedeste...e vi darò anche un infuso nel caso vi torni la febbre. – respirò profondamente, poi guardò l’elfo negli occhi – ma anch’io ho qualcosa da chiedervi.”
“Dimmi...cosa posso fare per te?”
La fanciulla si alzò, e si avvicinò alla finestra. Scostò le tende ed emise un fischio, simile al gorgheggio di un uccello. Quando sentì provenire dalla cima dell’albero un battito d’ali, prese il lembo della propria manica e lo tirò in modo da coprirsi la mano. Poi, trattenendo la stoffa nel pugno, alzò il braccio, proprio nell’istante in cui dalla finestra entrava un bellissimo falco, che si andò a posare sulla sua mano.
Legolas si lasciò sfuggire un grido di stupore. “Un piccolo falco, che meraviglia!”
Menel si avvicinò al letto, tenendo sempre il braccio sollevato.
“Già...è davvero un bel esemplare. I falchi di questa razza non sono molto grandi, ma il loro aspetto è maestoso e il loro piumaggio magnifico. – l’elfo allungò una mano, ed il falchetto si lasciò accarezzare, chiudendo gli occhi – è un dono degli elfi di Lorien. Me lo lasciarono quando venni ad abitare qui, nel caso avessi avuto bisogno di mandare loro qualche messaggio.”
“E cosa devi chiedermi, che riguarda questo falco?”
Menel si alzò, un po’ agitata. Il falco, infastidito dal movimento brusco, lasciò la sua mano e si andò a posare sulla spalliera del letto, come fosse stata un ramo.
“Io…io non so cosa sta accadendo, e cosa dovete fare voi e i vostri compagni, ma non è difficile capire che si tratta di una cosa difficile e pericolosa. In questi anni, dopo che avevo lasciato Bosco Atro, vi ho sempre immaginato lì, al sicuro…beh, forse non era vero, ma… - continuava a girare per la stanza, senza riuscire a calmarsi – oh, insomma, perché mi perdo sempre tra le mie parole!”
L’elfo sorrise, guardandola con benevolenza. “Non sei la sola…”
La fanciulla prese un profondo respiro, poi tornò a sedersi accanto al letto. “Quello che voglio dirvi, e che ora che vi so impegnato lungo una strada così pericolosa…sarò sempre in ansia per voi! Già adesso, che vi ho qui davanti a me, non posso fare ameno di immaginarvi in pericolo. So già che non potrò più sentirmi tranquilla dopo che sarete partito, e quindi vorrei che prendeste questo falco, in modo da farmi sapere qualcosa di voi. Quando sarà possibile, naturalmente…”
Legolas guardò il falco, pensieroso, accarezzandogli il soffice petto col dorso delle dita.
“Non so nemmeno io dove ci porterà la strada che stiamo percorrendo, e quali pericoli la costelleranno. A volte vengo colto da una grande sfiducia, e tutto mi sembra vano…purtroppo viviamo in tempi pericolosi, ovunque la paura cresce e la speranza si affievolisce. Temo che non sarei meno in pericolo altrove, e che nessuno si possa più dire davvero al sicuro…”
Menel annuì, pensierosa. Sapeva bene che Legolas aveva ragione. Già da alcuni mesi il bosco era percorso da bande di orchetti, e più di una volta era rabbrividita trovando le tracce del loro passaggio. Ma per fortuna ciò accadeva più che altro di notte, quando lei era in casa. “Questo falco è importante per te che vivi sola. Se ti trovassi in pericolo, come potresti chiedere aiuto? Gli elfi di Lorien te lo hanno dato proprio per questo, è meglio che resti con te.”
La fanciulla scosse il capo. Sul suo volto vi era ora un’espressione decisa. “No…non dovete preoccuparvi, ho scritto ieri agli elfi di Lorien, dicendo cosa intendevo fare, e oggi ho ricevuto la loro risposta. Mi manderanno appena possibile un nuovo falco. Pensavo che sarebbe trascorso ancora qualche giorno prima che partiste, e che vi avrei lasciato il falco nuovo, ma ora non posso aspettare, dovrete prendere questo.”
“E sia, ma ad un patto – Menel guardò l’elfo, quasi preoccupata – devi promettermi che, se questo bosco dovesse diventare davvero pericoloso, lascerai questa casa ed andrai a vivere a Lorien.”
Menel promise, anche se di malavoglia, poi porse la mano al falco, che vi salì docilmente.
Mentre lo avvicinava alla finestra per farlo uscire, Legolas la osservò stupito. “Ma non hai il paramani di pelle da falconiere?” La fanciulla sorrise. “Si, dovrebbe essere nella cassapanca, ma è così scomodo...alla fine non lo uso mai.”
L’elfo scoppiò a ridere, guardando Menel con la manica nel pugno, tutta stropicciata, e la spalla dell’abito che le scopriva la spalla.
“Non sei cambiata affatto! Sei davvero buffa, così!” La fanciulla arrossì, poi cominciò a ridere
“Già...gli elfi di Lorien mi hanno lasciato tutto quello che mi poteva servire, non hanno certo immaginato che io fossi così approssimativa!”
Legolas rideva, guardandola con tenerezza, e mentre la tensione dei discorsi fatti l’abbandonava, Menel pensava che l’indomani sarebbe partito.
“L’ho lasciato andar via, e non ho detto nulla per fermarlo...sia ciò che vogliono i Valar...”


rieccomi con il nuovo capitolo!
Grazie, grazie mille a tutte voi, ho ricevuto commenti bellissimi!!! soliti saluti:

Frodomicina91: coraggio, prometto che frodo se la caverà, nonostante Boromir!

Jenny76: grazie per aver apprezzato il mio Boromir, ed il mio momento di tenerezza sull'albero...

kissme: grazie! ^___^

Lady Piton e Ronny92: grazie, carissime! tolkien fiero di me? ecco, ora mi commuovo...ç__________ç spero di non deludervi, un bacione!

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Capitolo 17
*** ripensando alla partenza ***


Le barche scivolavano silenziose sul pelo dell’acqua, e anche quella mattina il sole era uscito dalle nubi per dare il suo pallido conforto ai viaggiatori.
Aragorn remava, sulla prima barca, e con lui erano Frodo e Sam. Ripensava al momento della partenza, e non gli era difficile indovinare che anche gli altri compagni stessero facendo lo stesso. Anche se la separazione da Menel aveva portato a tutti tristezza, si sentiva sollevato.
Essere di nuovo in cammino lo faceva star meglio, e vedeva che anche Frodo era più sereno, anche se al momento di salire sulla barca era tornato indietro ed aveva abbracciato la fanciulla con le lacrime agli occhi.
Mentre remava senza troppa foga, il ramingo osservava i compagni. In quel momento, più di ogni altra cosa lo preoccupavano Boromir e Legolas.
Il Gondoriano remava nella barca alle sue spalle, e quella mattina aveva un volto diverso. Era molto cambiato dal giorno precedente. Sembrava stanco, provato da una grande sofferenza, che tuttavia sembrava averlo attraversato e finalmente abbandonato...negli occhi cerchiati di scuro aleggiava ora una nuova serenità...
Accanto a lui Merry e Pipino si guardavano attorno, osservando il paesaggio mutevole che scorreva accanto a loro.
Nell’ultima barca, leggermente staccata dalle altre, erano Legolas e Gimli. Il nano remava sbuffando, cercando di non farsi staccare troppo dalle altre barche. Da quando si era unito alla compagnia, più di una volta aveva rimpianto di non essere alto come i suoi compagni, e non ne era contento...un nano non era certo abituato a sentirsi basso! Ma ora la sua attenzione non era rivolta a questo, ma alle condizioni dell’amico, steso alle sue spalle.
Legolas era stato sistemato sul fondo della barca, avvolto in più coperte e protetto da cuscini, ed ora restava in silenzio, assorto.
Benché avesse desiderato a lungo di poter stare di nuovo all’aperto, ora non riusciva a godere dell’aria, del sussurro dell’acqua sotto di sè, dello stormire delle fronde degli alberi sulle rive...guardava il cielo, di un azzurro pallido e velato da nubi sottili, e con lo sguardo seguiva il volo di Faroth, il falco donatogli da Menel.
Lo splendido animale volteggiava sul loro capo, seguendo le barche per alcuni tratti. Poi scompariva, compiendo giri sempre più lunghi, per ritornare di tanto in tanto.
Ed allo stesso modo i pensieri dell’elfo vagavano, irrequieti, tornando indietro, alla casa sull’albero, ai giorni trascorsi lì, e poi nuovamente al passato, a quando Menel era ancora una bambina e lui andava a parlarle se sapeva che era stata sgridata...
La ricordava bene...sempre un po’ imbronciata, con quegli occhi grandissimi e i capelli scuri, arrampicata su qualche scala o su un parapetto a leggere...aveva un carattere difficile, e più di una volta i suoi tutori erano venuti da lui perché le parlasse.
Di certo non poteva ricordare nulla della morte dei genitori, eppure non era una bambina serena. I primi anni che era stata a Bosco Atro piangeva spesso, e invece di giocare e stare all’aria aperta, passava interi pomeriggi nella sua stanza, parlando sottovoce ad una bambola, o stesa per terra a fissare il soffitto intarsiato.
Legolas ricordava anche il momento in cui l’aveva raccolta dal carro, dopo aver trovato la sua famiglia massacrata. Non aveva mai voluto dirle di essere stato lì quella sera, e non sapeva dire il perché...forse temeva che lei gli facesse domande su ciò che era accaduto, o forse si sentiva in colpa per non essere arrivato qualche istante prima...
“come ti senti, mastro elfo? Hai freddo?”
L’elfo si scosse dai suoi pensieri. “No, certo! Non vedo come potrei, avvolto in questo modo! Sto bene...”
“eppure ti vedo pensieroso. Qualcosa non va?”
“Ripensavo a Menel...è la seconda volta che ci separiamo, e anche stavolta mi sento come se non ci fossimo salutati...” il nano lo guardò senza capire
“Menel mi ha detto di essere cresciuta a Bosco Atro. La conoscevi bene?”
Legolas annuì, sempre continuando a fissare il cielo. “E’ stata allevata al palazzo di mio padre, la conosco da quando era una bambina...”
“E’ una fanciulla molto dolce e coraggiosa. Doveva essere una bambina molto buona...”
“Al contrario! Era molto irrequieta, di certo i suoi tutori hanno penato ad allevarla... – Legolas sorrise – ma era intelligente e crescendo ha dato loro molte soddisfazioni...se l’avessi vista da ragazzina, mastro nano, avresti faticato a riconoscere in lei la fanciulla che ci ha accolto...”
“Ciò che mi dici me la rende ancora più cara. Temevo assomigliasse troppo a voi elfi, ma vedo che non è così...”
Legolas rise “No di certo! Nessun elfo sarebbe mai stato così testardo o orgoglioso...”
“Su questo ho i miei dubbi...” borbottò Gimli chinandosi nuovamente sul remo.

Menel rientrò in casa. Era da poco passata l’ora del tramonto.
Proprio come aveva temuto, trovare di nuovo la casa vuota e silenziosa fu molto triste. Cercò di impegnare la mente rimediando al disordine che regnava, ma la malinconia era insopportabile. Lasciò tutto com’era e si stese sul letto...la morsa che le serrava il cuore era così forte che per un attimo pensò di lasciare tutto e correre a Lorien. Non sopportava tutto quel silenzio, non sopportava di essere di nuovo sola...e soprattutto non sopportava l’idea di aver visto partire Legolas per non vederlo mai più...
Si alzò a sedere, con gli occhi gonfi di lacrime. Non voleva piangere, ma le lacrime che avevano premuto contro i suoi occhi per tutta la mattina, ora pretendevano di uscire...
Eppure era stata lei a scegliere di dimenticarlo, lei per prima era fuggita, e anche allora era convinta che non l’avrebbe più rivisto...non aveva pianto allora.
Era stato difficile lasciare tutto, e il principe di Bosco Atro le era mancato molto i primi tempi, ma era così strano poter ricominciare da capo, avere un futuro davanti a sè da poter costruire con le proprie mani...
La tristezza era stata coperta dall’entusiasmo, dalla sensazione inebriante di avere la propria vita in mano...ma ora era diverso.
Non era più così giovane, e tutto ciò che aveva costruito, ciò a cui si era dedicata in quegli anni era crollato miseramente quando la prima sera aveva visto Legolas nel proprio letto. Le era sembrato di essersi ingannata da sola per tutto quel tempo.
Cosa le importava della libertà, del futuro, davanti a quell’essere dalla bellezza pura e perfetta, che lottava con la morte accanto a lei? Il suo viso pallido, imperlato dal sudore e segnato dalla febbre le aveva fatto capire che, nonostante si fosse illusa, non l’aveva dimenticato...se quella notte fosse morto, sapeva che non sarebbe mai più potuta essere felice...
Ma poi Legolas si era ripreso, aveva aperto gli occhi, e di nuovo lei aveva potuto sentire la sua voce, vedere quegli occhi guardarla sempre con quello strano misto di tenerezza e rimprovero...non era più una bambina...chissà se lui se n’era accorto.
Si sentiva vecchia, come se avesse sprecato gli anni migliori della sua vita dietro a qualcosa che non le importava più...ma in fondo non era questo che le faceva male. Si alzò, prese il mantello ed andò e sedersi sulla veranda. Era una notte tiepida, e il cielo era sgombro dalle nuvole e pieno di stelle.
Respirò profondamente. No, non doveva mentire a sè stessa.
Sapeva di non aver sbagliato...amava sinceramente la sua vita, e sarebbe stata davvero felice, se Legolas non fosse tornato a turbare l’equilibrio che aveva creato con tanta fatica...ma era tornato, e lei aveva fatto appena in tempo ad essere felice di averlo lì, che la sorte glielo aveva di nuovo strappato via...
Ripensò a quella mattina, quando si era svegliata...

Quel sole pallido, che aveva sempre trovato così dolce, ora aveva per lei il sapore della partenza...si sentiva sciocca a pensarlo, ma se fosse piovuto a dirotto, sarebbero dovuti rimanere lì ancora un giorno...
Quando si era messa a sedere sul suo letto improvvisato, si era accorta che Legolas era sveglio e la fissava.
“Oh...buongiorno...”
“Buongiorno Menel. Stamattina partiremo...credi che non mi saluterai neanche stavolta?”
Non era nemmeno arrossita...era rimasta talmente sorpresa dal tono e dalle parole dell’elfo, che era rimasta a fissarlo a bocca aperta. Legolas era scoppiato a ridere, e Menel si era alzata, indispettita.
“Non capisco cosa abbiate da ridere...” ma subito si era stupita di ciò che era uscito dalla sua bocca. Era la prima volta che gli rispondeva male...anzi, no...era la prima volta da quando era cresciuta! Da bambina lo aveva fatto più di una volta, ma poi crescendo il suo carattere si era finalmente smussato, e quasi non si ricordava più di essere stata così...
“Scusami, non volevo offenderti...non ho mai capito perché te ne sei andata in quel modo, ma rinuncio a farlo...non è difficile capire che non ne vuoi parlare... – Menel si sedette sul letto, accanto a lui – ma stavolta vorrei che ci salutassimo, perché incerto è il cammino che devo compiere, e non so...”
Menel scosse la testa “questa volta non sparirò, ve lo prometto...ma non voglio sentirvi parlare così... – aveva alzato gli occhi e lo guardava dolcemente – non credevo di avervi offeso così, andandomene senza aspettarvi...”
“Non mi hai offeso...o forse sì, diciamo che hai offeso il mio amor proprio...credevo mi fossi affezionata, non pensavo mi avresti lasciato fuori da una decisione così importante per la tua vita...”
“oh...credevo vi sareste arrabbiato, ma...no, non dovete pensare che non mi importasse di voi...io...è proprio per questo... – si era alzata, di nuovo agitata - insomma, è possibile che con voi perda ogni sicurezza, e mi senta come quando ero una bambina?!”
Ma poi...non sapeva neanche dire come fosse successo...all’improvviso si era sentita di nuovo calma, ed era tornata a sedersi accanto all’elfo.
“Voi siete stato molto importante per me, e lo siete ancora...se non vi ho aspettato, è perché temevo che poi non avrei avuto il coraggio di partire...” e quasi senza accorgersene si era chinata su di lui, e aveva baciato la sua fronte.
“Addio principe Legolas...che i Valar vi proteggano...”

Menel rabbrividì sulla veranda, e si alzò. Il ricordo di quel bacio le imporporava le guance. Entrò in camera e si stese sotto le coperte, ancora pervasa dalla dolcezza di quei ricordi...non pensò più a nulla e si addormentò, cullata da quella sensazione...


ciao e grazie a tutte!!!
stavolta niente saluti personali, vado di fretta... alla prossima!

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Capitolo 18
*** Lettere ***


Menel aprì gli occhi. Per il terzo giorno di seguito, il sole era tornato a brillare debolmente fuori dalle sue finestre.
Febbraio era quasi finito, ed era insolito avere tutti quei giorni senza nubi in quella stagione. Si alzò, si avvolse nella morbida vestaglia rosso scuro che era stesa sui piedi del letto, ed andò ad accendere il fuoco nel camino.
Mentre mangiava qualcosa, pensò che le piogge primaverili non avrebbero tardato molto a venire, e che doveva fare un giro nell’orto a sistemare alcuni germogli, prima che il tempo peggiorasse.
Si vestì in fretta e scese. Era davvero una bella giornata, anche se ancora faceva abbastanza freddo, e le sembrò di sentirsi molto meglio del giorno precedente. L’unica cosa che le dispiaceva era non aver ancora ricevuto notizie dalla compagnia. D’altronde, si erano lasciati solo la mattina precedente, era inutile aspettare un messaggio prima di sera…

Legolas era steso sul fondo della barca, come il giorno precedente, ma nonostante i brontolii di Gimli, aveva sistemato i cuscini in modo da poter stare più sollevato.
Osservava le rive del fiume mentre la barca scivolava leggera sull’acqua, e sorrideva, ascoltando il nano che ancora sommessamente protestava.
“ecco! Siamo partiti da poco più di un’ora, e già ci hanno distaccati. Un nano non è fatto per remare, ma per combattere, o per cercare tesori nella roccia! Se questa barca fosse a misura mia, invece che a misura d’elfo…”
“Se quella barca non fosse stata costruita da elfi, mastro nano, non scivolerebbe così leggera sull’acqua, e faresti ancora più fatica…ma non temere, tra poco potrò darti il cambio con il remo. Mi sento già molto meglio.”
“Non se ne parla nemmeno! Devi riposare, finché non sarai completamente guarito. – Legolas fece per rispondere, ma il nano lo fermò – non dire altro! E’ già troppo che io abbia tollerato che tu stia seduto, mezzo scoperto, quando potresti stare sul fondo della barca, e dormire ancora un po’…”
“Gimli, noi elfi non dormiamo…se non in rari casi…da quando sono stato ferito ad oggi, ho dormito quasi quanto lo avessi fatto negli ultimi cento anni…non posso più tollerarlo! Non farai il mio bene se mi impedirai di respirare un po’ d’aria, e di vedere ciò che ci circonda!”
“Uhm…e sia, ma non camminerai e non remerai finché non sarà davvero necessario!”
Legolas alzò gli occhi al cielo, sorridendo, ma accettò le condizioni del nano…

Scese la sera sul fiume, e scese sulla casa di Menel.
Rientrò, con le gambe doloranti, e si sedette sulla panca. Aveva camminato molto, per cercare alcune piante che le occorrevano, ma soprattutto per tenersi occupata in attesa del ritorno di Faroth. Guardò fuori dalla finestra. Era quasi buio. Di certo la compagnia si era accampata a riva, e forse Legolas le aveva già scritto…o forse prima avrebbero mangiato, e poi…
si sentiva molto sciocca.
Nel momento stesso in cui aveva dato il falco a Legolas, sapeva che si sarebbe ritrovata a fare conti del genere, a fare mille supposizioni aspettando di sentire il battito d’ali di faroth.
Proprio come da bambina, quando il principe di Bosco Atro partiva per stare fuori qualche giorno, e lei si metteva a fare strani calcoli sulla distanza, su quanto gli sarebbe occorso per sbrigare le faccende per cui era partito...e se il giorno in cui lo aspettava pioveva...che brutto risveglio vedere le nuvole nere in lontananza, sulle cime degli alberi!
Di certo quel giorno non si sarebbe messo in viaggio sotto la pioggia, e anche se Menel se lo ripeteva guardando le gocce fare cerchi nelle pozzanghere, non poteva fare a meno di sperare di vederlo comparire dietro alla nebbia, sulla scalinata del palazzo.
Mentre era immersa in questi ricordi, sentì un fruscìo sui rami vicino alla finestra. Si affacciò, mentre il cuore le batteva forte. Era davvero Faroth, che, appollaiato su di un ramo, la guardava di sbieco. Legato alla zampa, un piccolo sacchetto di fine tela grigia.
Prese il falco sulla mano, lo posò sullo schienale di una sedia, e slegò il sacchettino. Stava per srotolare il foglio che conteneva, quando Faroth le saltò di nuovo sulla mano, guardandola dal basso verso l’alto.
“Piano Faroth, piano! Ahi! Scendi, avanti... – scrollò la mano, cercando di liberarsi - non devi salirmi in mano quando non ho le protezioni!”
Faroth si alzò in volo, protestando, e si andò a posare sullo schienale della sedia, stridendo.
Menel si massaggiò la mano. “Ecco! Guarda, mi hai riempito di graffi...” si alzò per prendere un po’ di unguento disinfettante dallo scaffale. Gli artigli dell’animale le avevano provocato delle piccole ferite, dalle quali usciva un po’ di sangue. Faroth continuava a guardarla.
“Sono proprio sciocca…non è certo colpa tua, chi ti ha addestrato portava il paramani, al contrario mio… - accarezzò la testa piumata dell’animale, che chiuse gli occhi – ora ti do qualcosa da mangiare…”

Finalmente aprì il sacchetto. Dentro vi era un foglio, piegato più volte. Su di esso, alcune righe in caratteri elfici, sottili ed eleganti.

Mia cara Menel E’ calata la sera, ed abbiamo accostato le barche alla riva, per passarvi la notte. Fino ad ora il viaggio è proseguito senza problemi, e credo che presto si porrà nuovamente la decisione su cosa fare.
per il momento, nessuno di noi ne parla, e credo sia meglio così.
Oggi mi sento molto meglio, e ho trascorso buona parte del viaggio seduto, nonostante i brontolii di Gimli. Credo che tu lo abbia conosciuto a sufficienza da poterlo immaginare.
Purtroppo, contrariamente a quanto speravo, il paesaggio lungo le rive è divenuto da alcune miglia brullo e spoglio, e solo pochi arbusti scuri e qualche rarissimo albero costeggiano il nostro cammino.
Per fortuna nulla può mutare l’aspetto delle stelle, che mi faranno compagnia mentre io ed Aragorn vegliamo sul sonno dei nostri compagni di viaggio.
Aspetto di rivedere Faroth in volo per sapere di te.
Namarie
Legolas


Menel sorrise. Nessun dono le sarebbe potuto essere più caro di quelle poche righe, in quel momento...Prese da uno scaffale un altro foglio di carta, e rispose brevemente.
Poi, prima di legare di nuovo il sacchetto alla zampa di Faroth, si affacciò ad una delle finestre e staccò una piccola foglia freschissima da uno di rami. Mise anche quella nel piccolo involto di tela, ed accarezzò il falco sul piccolo capo.
“Lo so che sei stanco, piccolo amico, ma temo che se non ripartirai subito, domattina si muoveranno, e forse non riuscirai a trovarli...perciò va’ da Legolas ora, e portagli questo...”
Aprì la finestra e lo liberò, e si sentì come se quelle poche parole l’avessero resa meno sola...

Trascorsero così alcuni giorni. Ogni sera Legolas scriveva, e a Menel sembrava quasi di essere con lui. A volte in sogno vedeva sotto di sè il corso dell’Anduin, come se lei stessa avesse preso l’aspetto di Faroth e volasse sulle tre barche grigie.
Una sera, dopo aver letto che la compagnia aveva passato le grandi statue degli Argonath, andò a letto irrequieta.
Non riusciva a capire il motivo. Forse perché sapeva che la decisione su cosa fare stava per porsi alla compagnia, e presto avrebbero lasciato il fiume per un cammino molto più difficile e pieno di incertezze. Si addormentò senza riuscire a tranquillizzarsi, e sognò a lungo.
Ma molto prima che la luna tramontasse, si svegliò all’improvviso, percorsa da un brivido di paura. Non riusciva a capire cosa l’avesse spaventata in quel modo. Ricordava solo di aver sognato Legolas. Era steso tra le sue braccia, con la testa poggiata sul suo petto, e piangeva, scosso da singhiozzi.
L’immagine la turbò molto, anche perché ricordava di aver sognato altre volte qualcosa di simile, ma opposta...fin da bambina, le era capitato più volte di sognare di piangere tra le braccia dell’elfo, ma mai il contrario...anche perché non aveva mai visto un elfo piangere...
Seduta sul letto, si strinse nella coperta, e rimase a lungo sveglia, al buio...

ok, lo so... questi capitoli sono uno più deprimente dell'altro... perdonatemi...
un bacio ed un grazie a Kessachan ed a Frodomicina!
alla prossima!

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Capitolo 19
*** un giuramento ***


Quella sera la compagnia tirò in secco le barche in una caletta sabbiosa formata da un’ansa del fiume. Alle spalle della piccola spiaggia, le sagome di alcuni alberi in parte spogli si stagliavano nere contro la luce rossastra del cielo.
Per tutto il giorno avevano costeggiato rive spoglie e brulle. A tratti, la terra scura e punteggiata solo da qualche cespuglio, era stata interrotta da circoscritte macchie di foresta come quella che si trovava ora alle loro spalle. Legolas aveva cercato a lungo con lo sguardo tra questi alberi nodosi, ma i suoi sensi non erano stati saziati dal suadente canto della natura, che tutto calma e tutto guarisce. In quei piccoli boschi non vi era vita alcuna...
La terra era secca, e spaccata in molti punti, benché si trovasse così vicina al fiume. Molti alberi erano morti. I loro rami si estendevano verso l’alto senza più foglie, e le loro radici nodose non trattenevano più il terreno, che in molti punti franava verso il fiume.
I cespugli, i rovi e tutto il tappeto verde muschioso che in ogni foresta lambisce le radici degli alberi erano scomparsi, lasciando solo grumi di rami secchi, e foglie morte ammucchiate dal vento.
L’elfo rabbrividì. Non un rumore, non un canto d’uccello...
Boromir, dopo aver spinto l’ultima barca sulla sabbia, alzò lo sguardo verso gli alberi. “Non mi piace questo posto. Non so perché, ma mi sentirò più tranquillo solo quando saremo ripartiti.”
Aragorn gli si avvicinò. “già…questo luogo è ancora più spoglio e lugubre di quello in cui ci siamo fermati la notte scorsa. Non offre riparo, e siamo visibili da molti punti…”
“credi che dovremmo ripartire subito, e cercare qualcos’altro?”
“Non so…tra poco sarà buio, e siamo stanchi…tu che ne pensi, Legolas?”
L’elfo fece alcuni passi lungo la spiaggia, e si spinse con lo sguardo quanto più poté lungo il corso dell’Anduin.
“Questo luogo non piace neanche a me, ma non mi sembra di vederne di migliori, di qui alle cascate…se non volete restare, l’unica alternativa è continuare a viaggiare…”
“No, domani dovremo lasciare il fiume per proseguire a piedi…è necessario che almeno stanotte dormiamo…soprattutto tu Legolas. Credi che domani potrai camminare?”
L’elfo annuì. “Sto bene…domani camminerò al vostro passo. – si avvicinò di nuovo ai due compagni - Poiché questo luogo non è sicuro, propongo di fare così: invece di rovesciare le barche e riporvi sotto i nostri bagagli, come facciamo di solito, le lasceremo pronte e piene, in modo da poter ripartire velocemente se ce ne fosse bisogno.”
I due uomini furono d’accordo, ed in breve dalle barche fu tolto solo ciò che occorreva strettamente per la notte. Legolas si allontanò alcuni passi, addentrandosi un po’ tra gli alberi.
Trovato un punto più alto degli altri, si mise in ascolto, mentre con lo sguardo percorreva la linea dell’orizzonte.
Non riusciva a scorgere nulla, eppure non riusciva a sentirsi tranquillo. Tornò indietro, e si sedette vicino al piccolo fuoco acceso dagli hobbit, avvolgendosi nel grigio mantello.
Gimli, chino sulle coperte che stava ammucchiando nell’incavo di una radice, si voltò a guardarlo.
“Stai male, Legolas? Hai freddo?” l’elfo scosse la testa. “No...non ti preoccupare” Il nano gli si avvicinò, con uno strano sguardo sospettoso. “Eppure sei pallido, e non hai un bell’aspetto. Di certo ti sei stancato troppo...”
Legolas non poté fare ameno di sorridere “Ma no! ora sembri davvero una balia!” ma il suo sorriso, già triste, si spense del tutto, e mormorò qualcosa, guardando a terra.
“Vi è qualcosa in questo luogo...l’aria...odora di morte...” Gimli, batté le palpebre, stupito da queste parole.
“Non ti ho mai sentito parlare così, Legolas. Le tue parole sono assai cupe...”
“Già...cupe come un presentimento...”

Frodo camminava tra gli alberi scuri, ma contrariamente a Legolas, non cercava nulla. L’aspetto del luogo in cui si trovava ben si adattava al suo stato d’animo. Ne era quasi una continuazione...
Si era allontanato dal campo, senza nemmeno far caso se gli altri se ne erano accorti. Ormai non vi era più nulla che riuscisse a preoccuparlo.
Si sedette contro un albero, tristemente, e si guardò le mani, pallide e magre. Gli sembrò di essere invecchiato di decenni, da quando era partito dalla Contea. Sospirò.
Chiuse gli occhi un attimo, e si sarebbe addormentato, se una voce non avesse risuonato alle sue spalle. “Sarei più tranquillo se restassi con gli altri, Frodo...”
Boromir, era accanto a lui, e lo guardava preoccupato.
“Non ho voglia di stare con gli altri...desidero stare da solo per un po’...”
“Ma sai meglio di me che non è prudente! Torna al campo, Frodo… - avrebbe continuato ad insistere, ma vide che l’hobbit non lo ascoltava nemmeno - E va bene, se desideri un po’ di pace, resterò io qui con te...non temere, non ti accorgerai nemmeno della mia presenza.”
Frodo non poté fare a meno di guardarlo con sospetto, ma gli sembrò che il volto del Gondoriano non nascondesse nulla. “No, va con gli altri Boromir, non devi preoccuparti.” E così dicendo si alzò, allontanandosi ancora.

Legolas si guardò attorno. Il colore rosso del cielo faceva sperare in una giornata senza nubi anche per l’indomani. Le giornate cominciavano ad allungarsi. Il mese di marzo, con le sue piogge primaverili, stava arrivando.
Ma non vi sarebbe stata primavera nel luogo in cui si trovavano. Le foglie non sarebbero tornate a rendere verdi le cime degli alberi, e dalla terra scura non sarebbero spuntati né erba né fiori.
L’elfo tornò a guardare il piccolo fuoco scoppiettante davanti a sé, e quasi senza pensare, estrasse dalla tasca della casacca una piccola foglia.
La guardò. Era un brandello di vita in mezzo al deserto che lo circondava. Ogni notte, quando Faroth tornava in volo al loro piccolo accampamento, portava nel sacchetto legato alla zampa, un foglio con alcune righe scritte da Menel, e una foglia.
Legolas sapeva bene che cosa significasse. Sapeva cosa significava per Menel, e cosa intendeva dirgli con quel piccolo dono. Lo aveva imparato quando lei era ancora una bambina, ed ogni volta che la portava con sé in qualche luogo, lei tornava a casa portandosi sempre qualche oggetto che aveva raccolto.
All’inizio si era chiesto perché lo facesse. Non riusciva a capire che senso avesse portarsi dietro un sasso, una pigna o un pezzo di corteccia, non molto diversi da quelli che avrebbe potuto trovare attorno al palazzo. Poi aveva deciso di chiederglielo, e la risposta della bambina lo aveva lasciato ancora più spiazzato.
“E' per avere sempre con me ogni luogo che ho visto...è un ricordo!”
Un ricordo…per un elfo non aveva senso un simile pensiero. Vi erano molti luoghi che amava, ma non capiva cosa volesse dire averli sempre con sè...sapeva che, quando ne avesse sentito il bisogno, sarebbe potuto tornare lì, e questo era il legame con essi. Il dialogo interrotto con quei luoghi sarebbe stato ripreso...

Frodo si fermò. La zona in cui si trovava era piuttosto collinosa, e camminando era in breve arrivato ad un punto rialzato, dal quale era possibile vedere un lungo tratto del fiume Anduin.
Risalendo con lo sguardo lungo la strada percorsa, vide stagliarsi sull’orizzonte le imponenti figure degli Argonath.
Com’erano belle nella poca luce della sera...si stagliavano contro il cielo ormai scuro con millenaria regalità. Ricordò la sensazione di vertigine provata mentre le barche vi erano passate in mezzo. La voce di Boromir lo scosse di nuovo.
“Finalmente ti ho ritrovato. Ti prego Frodo, torniamo al campo.”
“No. Torna se vuoi, io resterò qui.”
Boromir sospirò. Un’ombra di dolore passò nei suoi occhi.
“Non ti fidi di me, vero? – Frodo alzò gli occhi, sorpreso – no, non devi dire nulla, Frodo. So cosa ho fatto, e di certo lo sai anche tu. Stavo per portarti via dalla strada sicura, da coloro che ti amano e intendono davvero proteggerti, mentre io...io mi ero lasciato confondere da... – si passò una mano sugli occhi - sì, dall’anello!”
“Boromir, non mi hai certo costretto! Io per primo ti avevo parlato della mia irrequietezza...non desideravo nient’altro che andarmene da lì...”
“Sì, ma non era per il tuo bene che ti assecondavo...credevo di agire giustamente, ma mentivo a me stesso. Un velo nero era calato davanti ai miei occhi, e non sapevo più cosa facevo. Ma ora il velo si è squarciato, e finalmente una nuova aria giunge al mio animo che stava soffocando...”
Frodo guardò Boromir negli occhi. Finalmente gli parve di rivederlo così come lo aveva conosciuto, al consiglio di Elrond. Il suo sguardo era di nuovo limpido, e il suo volto, anche se segnato dal dolore passato, era di nuovo fiero e sereno.
Gli mise una mano sulla spalla.
“Il potere dell’anello è grande, e tutti noi ne siamo soggetti. Hai combattuto una grande battaglia con te stesso, Boromir...nulla di male è stato compiuto, se ora posso fidarmi di te...”
Boromir annuì. Sentì il cuore leggero come non lo era da settimane...si era tolto il peso più grosso, ed una nuova forza lo animò.
“Puoi fidarti, Frodo...ora ne sono certo. Posso giurartelo sul mio onore, e se...”
Frodo lo fermò. “non devi giurarmi nulla Boromir. Vedo nei tuoi occhi ciò che vorresti dirmi...”
Il gondoriano sorrise. “Ma ugualmente voglio giurarti qualcosa – si inginocchiò di fronte all’hobbit, e gli prese una mano – Frodo, rinnovo qui il giuramento fatto a Granburrone. Giuro di seguirti e proteggerti, e non vi lascerò per tornare a Gondor, quando sarà il momento...vi seguirò fino alla cima del Monte Fato, se sarà necessario e se mi sarà permesso...”
Frodo lo guardò, commosso, e strinse la mano del Gondoriano. “Boromir...grazie...ma come faranno a Gondor? Manchi da tanto, c’è bisogno di te...”
“Non vi sarà speranza per Gondor, né per nessun altro luogo, se la nostra missione fallisce...ora so cosa è davvero importante. E poi non conosco altro modo per cancellare ciò che ho fatto. Devo sdebitarmi, e lo farò in questo modo.”
Frodo sorrise dolcemente...le parole di Boromir avevano avuto il potere di scaldare il suo cuore per qualche istante. Con gli occhi velati di lacrime lo abbracciò, ed il Gondoriano ne approfittò per cingergli la vita e sollevarlo di scatto. Si alzò in piedi e se lo gettò su una spalla, come se si fosse trattato di un sacco.
“Ora però torniamo al campo, piccolo Hobbit, abbiamo rischiato anche troppo...e per essere sicuro che non ti vengano altre malinconie, ti ci porterò in spalla!”
Frodo rise insieme a Boromir “Mettimi giù, prometto che ti seguirò!”
“no, tanto non pesi molto! Dovresti prendere esempio ai tuoi amici e mangiare un po’ di più!”
Sempre tenendo Frodo in spalla, Boromir scese lungo il piccolo dirupo, quando alcuni rumori lo fecero fermare. Inizialmente non riuscì a capire di cosa si trattasse, ma dopo poco poté distinguere...erano tamburi! Tamburi di guerra, che scandivano il passo ordinato di un terribile esercito...
Cominciò a correre, urlando all’Hobbit di tenersi stretto, ma dopo poco dovette fermarsi. Non riusciva a capire come, ma in pochi istanti una grande quantità di orchi li aveva circondati, ed ora stavano stringendo il cerchio attorno a loro.
“Avanguardie...” sussurrò con rabbia posando Frodo a terra. Lo spinse dietro di sè, e sfoderò la spada, mentre con l’altra si portava alla bocca il corno che portava alla cintura.
Mentre gli orchi si avvicinavano minacciosamente, soffiò con tutto il fiato che aveva nel corno, facendolo risuonare per tutta la foresta, e sperando che fosse udito da chi poteva aiutarli...


aaaaaaaaaaaah, entriamo nel vivo dell'azione! dopo tanta malinconia, era ora! e avete visto che bel capitolo lungo?
passiamo ai consueti saluti:
hai visto, Frodomicina, un capitolo dedicato al tuo Frodo! che ne dici?

Kessachan, eccoti accontentata velocemente...anche se Menel stavolta non compare...^__^

Jenny, spero che anche questo capitolo ti piaccia come i precedenti...la malinconia si stempera, e ne succederanno diverse!

un bacio a tutti!!!

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Capitolo 20
*** rumori di battaglia ***


Il suono del corno di Gondor riecheggiò per tutta la foresta.
Ma non giunse alle orecchie dei compagni come lo conoscevano. La sua fierezza, attraversando quella terra desolata, sembrava spezzata.
Qualcosa di più simile ad un lugubre lamento, che non ad un canto di guerra…
Aragorn balzò in piedi. “E’ Boromir, ci sta chiamando!”
L’istante che trascorse tra il richiamo e la folle corsa in cui si gettarono fu così breve che non ebbero tempo nemmeno di guardarsi negli occhi. Ma non ne avevano bisogno. Ognuno di loro era certo che l’angoscia che provava in quel momento fosse dipinta uguale sul volto dei compagni...
Boromir fece suonare il suo corno tre volte, poi tacque. I compagni dovettero fermarsi, incerti sulla direzione da seguire. Aragorn si guardò attorno, ansimando leggermente. “Non lo sento più…dove può essere? Legolas, senti qualcosa?”
“Il corno non suona più…ma sento rumore di battaglia… - teso in ascolto, chiuse gli occhi un istante. Poi li riaprì deciso - là!”
Di nuovo si gettarono nella corsa, ma dopo poco furono fermati nuovamente dall’avanzare di molte decine di orchi, disposti in file come piccoli squadroni.
“Che orchi sono mai questi?!” urlò Legolas, sgranando gli occhi.

Boromir e Frodo erano in piedi, schiena contro schiena, circondati da orchi che stavano stringendo il cerchio attorno a loro.
Frodo estrasse Pungolo dal fodero. La lama era illuminata da una luce azzurra così forte che pareva urlare. L’intera spada era percorsa da un fremito, e all’hobbit parve per un istante che i caratteri elfici che vi erano incisi fossero mutati.
Alzò gli occhi. Ed incrociò quelli delle immonde creature che lo circondavano. Rossi come braci, feroci e beffardi, quegli occhi avrebbero fatto fermare il cuore nel petto a chiunque. Lo fissavano, e ridevano, scoprendo denti gialli e marci, come fauci di un vecchio animale.
Fecero ancora qualche passo, brandendo rozze spade, pugnali dalla lama arcuata, o anche semplici bastoni.
Boromir respirava velocemente, tenendo la spada alta davanti a sé, e con l’altra mano cercò Frodo. Trovò la sua spalla, e la strinse per un istante. In quel momento gli orchi cominciarono ad urlare, agitando in alto le armi, e si gettarono contro di loro.
Frodo chiuse gli occhi per un attimo, poi, quasi senza accorgersene, si gettò nella battaglia. Cercava di colpire i nemici, ma soprattutto di non farsi colpire. Brandendo la spada con entrambe le mani, la gettava contro tutto ciò che gli si avvicinava.
L’anello prese a bruciargli contro il petto…a pochi passi, dietro di sé, sentiva Boromir combattere e chiamarlo, ma non riusciva a dire una parola…Ben presto si sentì stordito. Vedeva solo tutte quelle orribili mani che si allungavano verso di lui, e con enorme ribrezzo cercava di rimandarle indietro…cominciò a sentire una rabbia terribile covare dentro di sé, e presto questa rabbia raggiunse la sua mano.
Cominciò ad urlare, e la lama di Pungolo urlava con lui, tagliando di netto tutte quelle mani, quelle braccia, e tutto ciò che trovava sul suo cammino.
Boromir combatteva con una forza che credeva di aver perduto. Sul suo scudo erano conficcate diverse frecce, e la sua spada aveva già abbattuto un gran numero di orchi, che giacevano attorno a lui. Ad ogni assalto che riusciva a respingere, faceva alcuni passi indietro, cercando di riavvicinarsi a Frodo, terrorizzato dall’idea che potessero ucciderlo. Ma per fortuna presto il rumore delle armi cessò. Il Gondoriano si voltò subito verso l’hobbit, e in pochi passi fu accanto a lui.
Frodo era in piedi, le braccia lungo i fianchi, il capo chino, e respirando affannosamente guardava nel vuoto.
Boromir si accovacciò davanti a lui. “Frodo! Stai bene?” Annuì lentamente. Guardò la spada insanguinata, poi si passò una mano sulla fronte. L’uomo lo abbracciò. “Oh, Frodo! Ho temuto che non ce l’avremmo fatta! Ma hai combattuto valorosamente...non credevo che voi hobbit aveste la stoffa del guerriero!”
“Neanch’io... - rispose mestamente Frodo senza alzare gli occhi... – Boromir, ma sei ferito!”
Il gondoriano guardò nel punto indicato da Frodo, e solo in quell’istante si accorse di avere un profondo taglio in una gamba. I pantaloni erano sporchi già di parecchio sangue, ma la ferita sembrava pulita.
“Oh, non me ne ero accorto...non ti preoccupare, non mi sembra nulla di grave. Ma ora torniamo dagli altri, è troppo pericoloso restare qui...” si alzarono, e cominciarono a ridiscendere velocemente il pendio della collina.

Aragorn sfilò la spada dal fodero, e si guardò attorno cercando di capire quanti orchi li avessero circondati. Anche tutti gli altri avevano estratto le armi, e si scambiavano sguardi tesi. Legolas estrasse una freccia dalla faretra, e dopo averla incoccata nell’arco, lo sollevò, tendendolo.
Mentre lo teneva puntato verso quello che sembrava il capo di uno degli squadroni, passò due dita lungo le piume che bilanciavano la coda della freccia. Cercò di raggiungere la concentrazione più assoluta. Dopo pochi istanti di questo tesissimo silenzio, uno degli orchi alzò un braccio, urlando, e tutti si gettarono avanti.
Erano creature orribili, in grado di incutere timore anche ai più forti guerrieri. Alti e forti, coperti da rozze armature, avanzavano con una furia spaventosa, e le loro urla erano così forti e selvagge che coprivano il rombo delle vicine cascate.
Aragorn gli si gettò contro, urlando a sua volta, e la sua spada seminava morte e terrore ovunque passasse, come animata da uno spirito proprio.
Gimli si era arroccato in un punto più alto, contro un grande albero morto, e Merry, Pipino e Sam erano dietro a lui. Vibrando colpi poderosi, era riuscito fino a quel momento a tenere lontani gli orchi che gli si erano avventati contro, proteggendo i tre Hobbit.
Poco lontano, Legolas aveva già abbattuto numerosi nemici, scagliando un gran numero di frecce con una precisione ed una velocità che raramente aveva mostrato.
La sua attenzione, tutti i suoi sensi erano tesi al massimo dello sforzo. Dopo tanti giorni di debolezza e riposo, era una strana sensazione sentirsi di nuovo così.
Negli ultimi giorni, temendo un simile pericolo, aveva raccolto tutte le energie, cercando di riposare il più possibile, rinunciando persino ad allenarsi...questa era la cosa che gli era pesata di più, ma non voleva rischiare di essere tradito dalla debolezza proprio nel momento in cui ci fosse stato maggiore bisogno di lui.
Ora provava quasi una sorta di eccitazione nel sentire di nuovo tutta la sua forza tornare in lui, richiamata così prepotentemente dall’infuriare della battaglia.
Ma non erano gli orchi a preoccupare i compagni. Erano forti, certo...più grandi e meglio armati degli orchi incontrati a Moria. Ma non tanto da non poter sperare di sconfiggerli.
Tuttavia lo erano abbastanza da tenerli lontani da Boromir e Frodo. Sam si guardava attorno, con un misto di terrore e preoccupazione, e gli sembrava che ovunque spuntassero nuovi nemici a rinfoltire le schiere e sostituire quelli abbattuti.
“Non è possibile...così non arriveremo mai in tempo...”
Stringendo la piccola spada con entrambe le mani, si gettò avanti verso Aragorn. “Sam, che fai? Torna indietro, sono troppo grandi per noi!” Pipino non fece in tempo a finire la frase, che Sam era accanto al ramingo, proprio nell’istante in cui un grosso uruk-hai si gettava verso entrambi. Pipino si portò le mani al volto, chiudendo gli occhi.
“Lo ammazza, lo ammazza!”
ma quando li riaprì, la prima cosa che vide fu l’espressione di totale stupore dipinta sul volto di Meriadoc. L’amico era accanto a lui, con la bocca aperta.
“non ci posso credere...”
A pochi passi da loro, Samvise era in piedi, le braccia alzate, e senza sapere come aveva infilato la spada nella gola del grosso orco. Se Merry era stupito, Sam lo era ancora di più, e mancò poco che anche Aragorn venisse ferito, perché era rimasto ugualmente senza parole.
“Samvise! Torna subito dagli altri, non puoi stare qui!”
“E’ questo il modo di ringraziarmi, signor Grampasso? – urlò l’hobbit mentre faceva un passo indietro e l’orco cadeva a terra. – pensate a voi! Ancora un attimo lì a bocca aperta, a vi sareste fatto infilzare!”
Aragorn sorrise nervosamente, mentre spingeva l’hobbit indietro e infilava ancora una volta la spada nel ventre di un nemico.
“Dovevo parlarti, Aragorn! – disse tornando serio – E’ da troppo che siamo qui, sono preoccupato per Frodo e Boromir!”
“Lo so, Sam, lo so! Ma non possiamo cercare di sfondare, restereste scoperti!”
“Non mi importa! Dobbiamo trovarli, non possono combattere da soli!” avvicinandosi ancora di più al ramingo, si voltò verso Merry e Pipino, ma i due hobbit non erano più dove li aveva lasciati. Un grido di stupore e preoccupazione gli sfuggì, quando li vide nella mischia, a pochi passi da Legolas, mentre, animati dal gesto di Sam, avevano deciso di imitarne l’imprudenza...
“Aragorn! Aragorn!”
“Che c’è, Sam?” si voltò facendo un passo indietro e trascinando l’Hobbit per un braccio, ma rimase di nuovo stupito nel vedere Merry e Pipino combattere tra gli orchi, per lo più protetti dalle frecce che l’elfo lanciava contro quei nemici che non riuscivano a contenere.
Il ramingo chiuse gli occhi un attimo, cercando di calmare l’agitazione e la rabbia che in quel momento erano risalite in lui. Richiamarli indietro era ormai impossibile, erano riusciti a mettersi in un punto che rendeva la ritirata più pericolosa del combattimento stesso...
“E va bene...non mi lasciate scelta... – si voltò verso Legolas e poi verso Gimli, poi alzò un braccio e fece risuonare la sua voce fiera e forte – Andiamo! Avanti! Dal portatore dell’anello!”
e urlando così si gettò avanti, seguito dai compagni, travolgendo ed uccidendo tutti gli orchi che si paravano sul loro cammino, resi furiosi ed insieme terrorizzati da questa disperata corsa guidata dalla luce di Anduril...


uuuuuuuh, eccone un altro!
potevo lasciarvi a lungo in un punto così cruciale?
bene, ci avviciniamo agli ultimi capitoli, è bene che cominci a dirvi una cosa: quello che avevo in mente, quando ho cominciato a scrivere questa storia, avevo un'idea. Volevo prendere il romanzo originale in un punto, inserire la mia storia, e reinserirmi nel romanzo poco più avanti.
E volevo farlo in modo che quello che viene dopo non sia in contrasto... insomma, diciamo che la mia storia non cambia nulla della storia di Tolkien... sono riuscita a spiegarmi? uhm, ho dei dubbi...
grazie a Jenny e Frodomicina. Mi avete lasciato dei commenti stupendi...ç_____________ç

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Capitolo 21
*** ferite e disperazione ***


Frodo e Boromir camminavano tra gli alberi, quanto più velocemente potevano. Il gondoriano aveva insistito perché cercassero di raggiungere subito i compagni e non aveva voluto medicarsi la ferita, limitandosi a fasciarla strettamente con una piccola benda. Frodo gli camminava accanto, preoccupato. Per quanto Boromir si sforzasse di camminare velocemente e facesse mostra di stare bene, l’hobbit poteva vedere chiaramente la smorfia di dolore disegnata sul suo volto, mentre la benda continuava ad inzupparsi di sangue. “Boromir, come ti senti? Sei sicuro di riuscire a camminare?”
“Certo! Non ti devi preoccupare, ti ho già detto che non è nulla di grave! Vorrei solo che non fosse così freddo...”
Frodo strinse le labbra, preoccupato. Anche se ormai era quasi buio, l’aria era tiepida, persino più calda dei giorni precedenti. Di certo sentiva freddo per la grande quantità di sangue che ormai aveva perso...doveva trovare un modo per medicarlo meglio, non poteva lasciarlo camminare ancora senza fermare l’emorragia.
Mentre camminava, preso in questi pensieri, la sua attenzione fu richiamata da alcuni rumori provenienti da poco lontano. Anche Boromir aveva sentito, e si era fermato poggiandosi ad un albero. “Rumori di battaglia...ci sono altri orchi qua attorno, e temo abbiano trovato i nostri compagni... – si sollevò dall’albero, ed il suo volto tradì una fitta di dolore – se è così, sarà meglio che tu corra alle barche e ti nasconda, Frodo...”
L’hobbit deglutì. Riunirsi agli altri, cosa che aveva sperato fortemente fino a quel momento, non era possibile. E la freddezza delle parole di Boromir lo preoccupava ancora di più.
“ Cosa intendi fare?”
“Da solo non posso difenderti, e non voglio nemmeno rallentarti fuggendo con te...temo che tu abbia ragione riguardo alla mia ferita...ma posso raggiungere gli altri e combattere”
“Boromir, non è possibile! Non vedi che sei già molto debole? Vieni! se resisti ancora un po’, scenderemo insieme al fiume e...”
Non poté finire la frase. Un gran numero di orchi, che sembrava disperdersi dalla battaglia, passò a poca distanza da loro, urlando di rabbia e paura.
Ma quando alcuni di loro videro i due compagni e richiamarono gli altri, ben presto Frodo e Boromir si trovarono circondati da creature orribili sul cui volto la paura aveva lasciato di nuovo il posto alla ferocia ed allo scherno.
Estrassero di nuovo le spade, ma ora la situazione era ben più grave di prima. Boromir era pallido e stanco, e Frodo sapeva di non aver speranze contro questi orchi, ben diversi dal gruppo di avanguardia col quale si erano scontrati. Gli orchi di Mordor, poco più alti di un’hobbit, sgraziati e poco abili come guerrieri, non erano paragonabili a queste nuove creature, mai viste prima.
Si strinsero istintivamente uno contro l’altro per un brevissimo istante, prima che la carica dei nemici li travolgesse e stordisse. Il gondoriano combatteva con tutte le forze rimaste, animato da una rabbia simile alla disperazione. Frodo, dal canto suo, cercava di restargli accanto il più possibile, facendo assaggiare a Pungolo le carni di chi si avvicinava più degli altri.
Ma gli orchi incalzavano con sempre maggiore ferocia, finché non li ebbero stretti contro un albero. Alle loro spalle, ancora pochi passi indietro, vi era un piccolo crepaccio, nudo e brullo, che forse un tempo aveva ospitato il letto di un torrente. Ora sulle sue pendici non vi era altro che terra scura e pochi cespugli di rovi contorti.
Boromir si appoggiò all’albero ansimando. Era pallido, e la mano che impugnava la spada era scossa da violenti brividi. Gli orchi erano fermi, a pochi passi da loro. Abbassarono le armi. Non avevano più bisogno di combattere, non vi era via di scampo.
Uno di loro fece un passo avanti, scoprendo le fauci in un sorriso ferino. Il gondoriano lo fissò negli occhi, pieno di odio. “E’ tempo che tu abbassi gli occhi, uomo! – grugnì allungando una mano verso Frodo – prendiamo ciò per cui siamo venuti!”
Afferrò il braccio dell’hobbit, che non potè fare a meno di chiudere gli occhi in una smorfia di terrore e disgusto. Tutti gli altri uruk-hai alzarono allora le mani e presero a gridare.
“Nooooooo!” gridò Boromir, e si rialzò fiero, tagliando con un colpo il braccio dell’orco, che cadde a terra gridando e contorcendosi.
Prima che ognuno di loro potesse accorgersi di cosa accadeva, afferrò Frodo e lo spinse giù nel crepaccio. In un istante gli orchi gli furono addosso, e mentre alcuni cercavano di aggirare la gola per andare a prendere l’hobbit, gli altri colpirono Boromir più volte, finché uno di loro, forse il capo, si avvicino all’uomo, che giaceva morente ai piedi dell’albero, e con una lunga spada lo trafisse, trapassandolo da parte a parte e conficcandola nel legno.

Aragorn correva tenendo alta la spada, ed i compagni lo seguivano. Molti orchi vennero travolti da questa corsa, e molti si dispersero, ma in breve tempo lo scompiglio creato cessò. I capitani degli squadroni, gridando a gran voce, furono presto in grado di raccogliere i soldati, che si pararono di nuovo davanti a loro, chiudendogli la strada.
L’unico modo per passare, ormai, era combattere. Aragorn e Gimli si gettarono avanti, brandendo le armi intrise di sangue. Ed esse ne chiedevano ancora altro, che presto riprese a scendere. Dietro a loro Sam cercava di restargli vicino, mentre Merry e Pipino erano poco indietro, vicino a Legolas che chiudeva la strada, cercando di coprire i compagni con le proprie frecce.
L’elfo portò una mano alla faretra, e rapidamente contò. Due…tre...quattro frecce…ne occorrevano molte altre…sguainò il pugnale, e arretrò alcuni passi, guardandosi attorno. Doveva recuperarne il più possibile.
Nei corpi dei nemici caduti a terra ve ne era molte, ma buona parte era stata spezzata o spuntata dalle rozze armature che indossavano. Merry e Pipino si voltarono per capire dove fosse, e vedendolo chino sul corpo di un nemico, capirono di cosa aveva bisogno. Tornarono indietro cercando di aiutarlo, ma estrarre le frecce dai corpi ancora caldi dei nemici era una cosa davvero spiacevole e difficile, tanto più che temevano da un momento all’altro di essere afferrati da uno di loro, tra quelli che ancora respiravano...
Così facendo, rimasero presto indietro rispetto ai compagni, ed alcuni orchi cominciarono ad avvicinarsi loro, separandoli da Aragorn e Gimli. Legolas trovò, sulle spalle di un uruk-hai una faretra piena di frecce, e le afferrò, riempiendo la sua.
Ne incoccò una nell’arco di Lorien. Erano più grosse e imprecise di quelle elfiche, ma avevano buone punte. Trafisse un orco al petto, proprio mentre si scagliava contro Meriadoc, e subito ne incoccò altre, che in poco raggiunsero il loro bersaglio.
La battaglia infuriava ancora, e sembrava che i nemici non dovessero finire mai...l’elfo mirò ad uno di loro, che brandendo una grande spada ricurva si stava avvicinando a Pipino, e fece partire la freccia.
Ma mancò il bersaglio.
L’orco, colpito ad un braccio, si voltò inferocito verso di lui, e prese a corrergli contro. Nell’arco di un istante una seconda freccia partì, appena in tempo per colpirlo tra gli occhi. Stramazzò a terra a pochi passi dall’elfo, che rimase un attimo immobile, con il cuore che batteva forte.
Aveva mancato il bersaglio...con così poca distanza...incoccò un’altra freccia, e mirò, ma si accorse che gli bruciavano gli occhi...non era possibile, non riusciva a concentrarsi...sentiva le braccia intorpidite e la mente pesante...la freccia partì, colpendo uno degli ltimi orchi che ancora combatteva. Legolas sorrise nervosamente, cercando di restare calmo.
Aragorn, Gimli e Sam erano lontani, trascinati dalla battaglia. Merry e Pipino erano ormai esausti...più che combattere, usavano le poche forze rimastegli per sgaiattolare tra gli orchi cercando di non farsi prendere...doveva proteggerli, non avrebbero potuto continuare a lungo così...
Ancora un’altra freccia, ancora un altro colpo...non riusciva nemmeno più a tendere l’arco completamente...se i nemici non fossero stati così impegnati a cercare di catturare gli hobbit, come gli era stato detto, avrebbero potuto aggredirlo alle spalle senza difficoltà...Merry colpì un’orco che aveva afferrato Pipino, e Legolas lo trafisse ancora con l’ultima freccia...portò la mano alla faretra, ma la riabbassò. La vista era appannata, non poteva rischiare...la debolezza lo stava prendendo ormai completamente...sguainò di nuovo il pugnale, e cercò di avvicinarsi ai due Hobbit con le ultime forze.
Non sapeva nemmeno più quanti nemici avessero attorno. Colpì al ventre un orco, e sentì il suo sangue caldo scorrergli lungo il braccio. Poi non vide più nulla. Cadde in ginocchio, e il corpo dell’uruk-hai lo trascinò a terra, cadendo su di lui...


eccomi di nuovo... ma voi dove siete finite?
parite tutte proprio ora che la fic mi sembrava migliorare?
un bacio a tutte, e sopratutto alla piccola Frodomicina che mi assilla! (in senso buono!!! ^_________-)

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Capitolo 22
*** addio a Boromir ***


Frodo Aprì gli occhi. Era intorpidito e dolorante. Si portò una mano alla testa...doveva aver perso i sensi per qualche istante...dove si trovava? Si guardò attorno. Era finito sul fondo della piccola gola, dentro ad un grosso roveto.
Provò a sollevarsi. Era pieno di lividi ed ammaccature, ma riusciva a muoversi...guardò su, ma tutto ciò che riuscì a vedere furono alcuni orchi che si allontanavano, mentre altri stavano correndo lungo quella che un tempo era stata la riva del torrente, probabilmente cercando un punto dal quale scendere per andarlo a prendere.
“Di certo sono ormai sicuri di avermi – pensò – se si prendono il lusso di scendere comodamente!”
Sapevano che ormai era solo, e probabilmente lo credevano svenuto, o ferito...cominciò a strisciare sotto il roveto, cercando di allontanarsi il più possibile.
Tenendo il cappuccio del mantello elfico sul capo, muovendosi come sa muoversi un hobbit che non vuole essere visto, uscì dai rovi, e cominciò a risalire il versante opposto dell’argine. Era stanco, e mani e piedi gli dolevano terribilmente, ma mai come in quel momento, fermarsi avrebbe significato la fine...
Lentamente, con gli ultimi sforzi, arrivò in cima. Si accoccolò tra le radici di un albero, ansimando, avvolto nel mantello come un piccolo fagotto...

Merry e Pipino si guardarono, atterriti. Erano soli, in mezzo ad un campo di battaglia capace di far rabbrividire chiunque. Cosparso di corpi di orchi, caduti ovunque, gli uni sopra agli altri...molti dei quali ancora vivi, che rantolavano, o agitavano le braccia in preda al delirio...
E a pochi passi da loro, avevano visto Legolas cadere a terra...
Per qualche istante non ebbero il coraggio di avvicinarvisi. “Sarà morto?” sussurrò Pipino, deglutendo rumorosamente. Meriadoc si passò una mano sulla fronte, esausto. Poi, con il cuore che batteva forte, si avvicinò all’elfo e si chinò su di lui. Scostò i capelli dal suo viso pallido, e vide che respirava ancora.
“E’ vivo! Ma non riesco a vedere se è ferito...questo dannato orco gli è caduto sopra, e non riesco a girarlo...”
Pipino si avvicinò. Legolas stringeva ancora nella mano destra il pugnale, e buona parte del braccio e della schiena erano bagnati del sangue nero dell’orco.
La casacca era così intrisa, che non vi era modo di vedere se mischiato ci fosse anche il sangue dell’elfo.
“Cosa possiamo fare? Dobbiamo portarlo via di qui, probabilmente ha bisogno di cure! Ma come possiamo muoverlo?”
“Non possiamo, Pipino...senza contare che questo per fortuna era l’ultimo orco ancora in grado di combattere, ma di certo presto ne potrebbero arrivare altri!”
Rimasero ancora qualche istante così, chini sull’elfo, senza sapere cosa fare. Poi cominciarono a giungere lontani rumori di battaglia, ed il passo pesante di orchi. Merry rovesciò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi.
“No…ancora…”
L’unica cosa possibile era nascondere Legolas alla vista degli orchi, e correre a cercare aiuto. Si guardarono attorno. Gli abiti dell’elfo erano scuri, e così sporchi erano ben mimetizzati tre i corpi dei nemici caduti, ma la pelle chiara del suo viso e i capelli di quel biondo dorato spiccavano come una lanterna in una grotta buia.
Pipino raccolse i capelli dell’elfo come meglio potè, poi gli coprì il capo con il cappuccio del mantello di Lorien.
“Ora vedremo se davvero questa strana tela elfica cela allo sguardo dei nemici – sussurrò. Poi, alzandosi – Andiamo Merry, dobbiamo trovare gli altri!” e correndo si allontanarono da quel macabro luogo.

Aragorn si passò una mano sulla fronte, allontanadosi di qualche passo dall’uruk-hai al quale Anduril aveva appena fermato il cuore, e si guardò attorno in cerca dei compagni.
Gimli era a pochi passi da lui, e tenendo ancora alta la sua ascia, si guardava attorno con aria di sfida. Ma nessuno rispose, ed i pochi orchi rimasti fuggirono a piccoli gruppi.
“Dove andate, vigliacchi! – gridò – tornate qui ad assaggiare la mia ascia!”
Il ramingo sorrise stancamente. “Gimli...non sei ancora stanco di sangue? Lascia che fuggano, e che corrano a riferire al loro padrone che sono stati sconfitti! Ma dove sono gli altri?”
Sam comparve da dietro un albero, dove si era tenuto ben nascosto durante tutta la battaglia.
“Sono qui... – chiamò con la voce tremante – non ce l’ho fatta gettarmi tra quei mostri...non ne potevo più...”
Aragorn gli mise una mano sulla spalla. “Hai fatto bene, Sam! Per oggi avevi già fatto abbastanza imprudenze da farmi invecchiare di dieci anni...preferisco quando ti tieni al sicuro e mi dai meno preoccupazioni! Ma Legolas, Merry e Pipino?”
“Uhm... – Gimli si avvicinò, correndo con lo sguardo tra gli alberi – è già da un po’ che non li vedo...saranno rimasti indietro! Bisogna andare a cercarli, potrebbero aver bisogno di aiuto...”
“Ma Bisogna andare a cercare anche Boromir ed il signor Frodo!” vociò Sam, preoccupato.
“Allora, Gimli, tu tornerai indietro, per cercarli, ed io e Sam andremo a cercare Frodo, intesi?” il nano annuì, ed in pochi istanti si separarono.

Merry e Pipino correvano, senza sapere bene dove andare. Alle loro spalle, passi di orchi sempre più vicini li spingevano a correre giù verso il fiume, ma ugualmente non volevano allontanarsi troppo...dovevano andare a cercare aiuto!
Correvano senza una direzione precisa, perchè i rumori sembravano provenire ogni volta da un punto diverso.
“Sembra che siano ovunque! – gridò Pipino con il fiato grosso – di questo passo non raggiungeremo mai gli altri!”
Merry si voltò per rispondere all’amico, ma la sua corsa fu fermata da qualcosa che un istante prima non era sul suo cammino. Cadde a terra all’indietro, e quando rialzò gli occhi, massaggiandosi la schiena, un’onda di terrore lo attraversò.
Tre, forse quattro orchi gli si erano parati davanti, e voltandosi indietro vide che non vi era modo di scappare. Ne stavano arrivando altri, probabilmente quelli che avevano sentito sulle proprie tracce fino a quel momento...
Si gettò di lato, fulmineo come un gatto, e senza nemmeno rimettersi in piedi del tutto, cominciò a correre. Ma prima di aver fatto pochi passi, una violenta manata in pieno volto lo gettò a terra, lasciandolo privo di sensi, mentre un profondo graffio cominciò a sanguinargli in fornte.
Uno degli orchi gli si avvicnò, e Pipino, pietrificato dalla paura e dall’orrore, non potè far altro che chiudere gli occhi. Ma, contrariamente a quanto si aspettava, non sentì rumore di armi, nè lame contro il proprio corpo.
Sentì però una forte stretta intorno alla vita, e prima ancora di capire cosa accadesse, si trovò trascinato via da uno degli orchi. Dopo essersi gettati i due hobbit in spalla, il drappello di uruk-hai si allontanò in una corsa che fece ben presto perdere i sensi anche a Pipino.

Aragorn si fermò di scatto. Seguendo a ritroso le tracce degli uruk-hai, era arrivato nel luogo in cui Boromir e Frodo erano stati attaccati per la seconda volta.
Chiuse gli occhi per un istante, quando vide qualcosa che gli fece raggelare il sangue nelle vene.
Decine di corpi di orchi sparsi a terra, in una piccola radura aperta tra gli alberi. In fondo, poggiato ad un albero, il corpo immobile di Boromir.
Il ramingo si avvicinò, seguito a poca distanza da Sam. A terra, con la schiena poggiata alle radici dell’albero, era Boromir. Le mani abbandonate lungo i fianchi, il viso di un pallre mortale, le labbra quasi nere.
Ovunque vi era sangue, suo e degli orchi, mischiato e sparso sui suoi abiti, sulle armi...anche la terra arida attorno a lui ne aveva bevuto.
Una grossa spada era piantata nel suo ventre, poco sotto lo sterno, e Aragorn chinandosi vide che respirava ancora, con grande fatica. Quando sentì l’amico avvicinarsi, Boromir aprì gli occhi, e sussurrò “Aragorn...liberami...”
Il ramingo si alzò, mentre una morsa di dolore e compassione gli serrava il cuore, e con quanta più delicatezza potè estrasse la spada dal corpo del gondoriano. Un nuovo, grosso fiotto di sangue uscì, ma Boromir riprese a respirare poco più profondamente.
Il ramingo si chinò nuovamente, tirò fuori delle bende, e cercò di tamponare la ferita. Boromir sorrise con grande fatica. “Arrivi tardi, ramingo…non tratterrai la vita in me…in questo modo… - respirò affannosamente e tossì – non vedi? E’ già uscita tutta…e la terra l’ha bevuta…”
Aragorn scosse la testa. “Sta delirando…” sussurrò a Sam, che si era avvicinato, gli occhi gonfi di lacrime.
Una luce guizzò negli occhi del gondoriano, che con forza afferrò la mano dell’amico.
“No…devi ascoltarmi…Frodo…l’ho lanciato giù nella gola…dovete cercarlo! Gli orchi…”
Il ramingo mise la mano su quella di Boromir, ancora stretta attorno alla sua con una forza simile alla disperazione.
“Non ti agitare. Riposa…troveremo Frodo, non devi preoccuparti.”
“Avevo promesso…ho cercato…”
“Ciò che hai promesso è stato mantenuto Boromir. Sei stato fedele alla compagnia, ed hai lottato con ogni tua forza per il portatore dell’anello. Hai mantenuto il tuo onore, e portato gloria alla tua stirpe.”
Boromir sorrise, e nel suo viso si mischiarono una profonda tristezza ed una grande serenità. A Sam parve che molti anni fossero stati tolti dalle sue spalle.
Boromir lasciò la mano di Aragorn, e quando sentì il gelo della morte salirgli dalle gambe alla schiena, cercò la sua spada.
Sam la vide, caduta a terra ai suoi piedi, e gliela pose nella mano.
La strinse, cercando si sussurrare ancora qualcosa, ma le parole rimasero sospese, impigliate tra le labbra aride. Chiuse gli occhi, e non li riaprì.
Aragorn allora si chinò su di lui, e mentre finalmente permetteva alle proprie lacrime di scorrere sulle guance, posò un bacio sul suo capo.


sniff... caspita, mi sento così cattiva a scrivere queste cose...
mi perdonerete?
Grazie mille come sempre a chi commenta:

kessachan: non temere, avevo paura che la storia non ti piacesse più, ma se hai continuato a leggerla sono contenta! ^___^
Frodomicina91: ma tu non mi assilli, piccola, era una battuta! tranquilla,sono felicissima quando commenti!
Jenny76: grazie mille per i tuoi commenti così curati! ^__^
sono contenta che ti piaccia il mio Boromir... ti sei commossa per la sua sconfitta... chissà per questo addio, allora...speriamo di aver mantenuto le promesse! ^_^
alla prossima, siamo ormai alla fine!

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Capitolo 23
*** usare la testa, le gambe e le ali... ***


23) Orchi, ancora orchi. Ovunque corpi di orchi, morti, feriti...a terra, ammassati gli uni sugli altri...Gimli si fermò, con il fiato grosso.
Da quanto correva?
Era tornato indietro lungo la strada fatta, seguendo le tracce lasciate, ed in più punti, dove la battaglia aveva infuriato, ne aveva trovato i resti.
Ma dei compagni, nessun segno. Forse anche loro si stavano spostando in cerca di Frodo, e quindi non si erano incrociati.
O forse...strizzò i piccoli occhi, scuotendo la testa. Si rifiutava anche solo di pensare che potessero essere morti.
Ma dove potevano essere? Ormai era notte fonda, e lui non possedeva certo la vista degli elfi! Mentre era perso in queste riflessioni, alzò il capo, e vide qualcosa in movimento, poco lontano.
Sembrava...sembrava il falco che Menel aveva regalato a Legolas! Volteggiava su una radura poco lontano, ed ogni tanto emetteva uno stridìo.
Gimli corse avanti, tra gli alberi, cercandolo. Ma quando arrivò ad averlo proprio sul capo, si fermò, deluso.
Era già passato di lì, e non aveva trovato nulla.
Faroth scese lentamente, e si posò su di un ramo, proprio di fronte al nano.
“Accidenti...ehm...Faroth, vieni qui... – chiamò incerto, porgendogli il braccio – uhm, ora mi metto anche a parlare con gli animali...su bello, vieni!”
il falco si alzò, e con grande stupore di Gimli, andò a posarglisi sul polso.
“oh...bhe...bene! Faroth, dov’è il tuo padrone? Lo hai visto? Vorrei che tu potessi capirmi, ma non sono un elfo...” sussurrò tristemente, carezzando il capo del falco.
Faroth piegò la testa di lato, fissandolo, poi aprì interamente le ali, ed emise uno schiocco.
“Sto perdendo tempo...tu non puoi dirmi nulla, ed io non so proprio dove cercare...”
In quel momento il falco si alzò in volo, e riprese a girare in cerchio.
“Eppure sono certo che...”
Si interruppe. Dopo qualche giro, Faroth si era abbassato, andando a posarsi proprio in mezzo agli orchi. Gimli deglutì. La paura tornò a fargli battere forte il cuore, mentre a passi incerti si avvicinava, temendo di trovarsi da un momento all’altro davanti al corpo di uno dei compagni.
“No...” sussurrò quando vide una delle bianche mani di Legolas, per metà nascosta dalla stoffa, illuminata debolmente dalla luce della luna.
Si abbassò quando riconobbe il grigio mantello di Lorien, e delicatamente lo scostò, scoprendo i capelli biondi dell’amico.
“Noooooooooo!” gridò, colto da una improvvisa rabbia. Si alzò, e con forza spostò il corpo dell’uruk-hai, che per metà copriva quello dell’elfo.
“Legolas...” provò a chiamare piano, mentre lo sollevava, girandolo sulla schiena.
Nell’incerta luce lunare gli parve che l’elfo avesse mosso impercettibilmente le labbra.
Si chinò su di lui, e grande fu la sua gioia, quando sentì, nel silenzio spettrale di quel luogo, il cuore dell’amico battere debolmente.

Aragorn si lasciò cadere a terra. Con il capo chino, sedeva accanto a Boromir, piangendo in silenzio. I lunghi riccioli scuri ricadevano avanti, coprendogli gli occhi, e nella poca luce della luna appariva vecchio e stanco, piegato dagli anni e dalla fatica.
Accanto a lui, in piedi, era Sam. Immobile, continuava a singhiozzare, senza riuscire a staccare gli occhi dall’amico morto.
Sentiva un dolore sordo, nel quale si mischiava tutto ciò che negli ultimi giorni aveva dovuto sopportare. Paura, preoccupazione, rabbia...ed ora Boromir era morto, ed insieme al dolore per averlo perduto, Sam sentiva anche il rimorso pungergli il cuore.
Aveva sospettato di lui. Per giorni l’aveva controllato, convinto di poter vedere in seno alla compagnia un nemico altrettanto pericoloso di quelli che provenivano dal nero cancello, o dall’alto della torre di Ortanch.
Era stato ingiusto nei confronti di chi aveva dato la vita per proteggere il portatore dell’anello, ed ormai non avrebbe potuto riparare in alcun modo…
I pensieri di Aragorn non erano meno cupi. Boromir era morto, Frodo scomparso…non sapeva dove fossero gli altri compagni, e Gandalf…Gandalf era caduto, lasciandoli soli.
Lasciando a lui quel compito nel quale sentiva di aver fallito.
Si sentiva irrimediabilmente solo. Solo davanti a questa grande responsabilità, davanti all’evidenza che la loro missione era sempre più appesa ad una bava di ragno…
Rimase a lungo così, stringendo la mano dell’amico. Poi si scosse. Lentamente, con fatica, si mise in piedi. Raccolse Anduril e la rimise nel fodero. Poi si voltò verso Samvise, che era seduto in un angolo, con la fronte sulle ginocchia.
“Andiamo, Sam. Su, alzati!”
L’hobbit alzò la testa, e fissò Aragorn con gli occhi rossi e gonfi. “No… - si voltò verso Boromir – non possiamo…”
“Torneremo dopo, Sam, ora dobbiamo andare.”
“Ma…”
“Non lasceremo Boromir insepolto, puoi starne certo. Riceverà ciò che ha meritato con il grande coraggio dimostrato. Ma non adesso. Frodo è qua attorno, da qualche parte, e dobbiamo trovarlo, prima che lo facciano gli orchetti.”
Al pensiero di Frodo, Samvise rimase un attimo a bocca aperta.
Come aveva potuto dimenticarlo? Il suo povero padrone, che ora probabilmente era in pericolo, forse ferito…
Balzò in piedi, asciugandosi gli occhi con una manica. “Andiamo, dunque!” e corse avanti, scendendo giù per la gola.

Frodo camminava, facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Avvolto nel grigio mantello, con il cappuccio ancora calato sul capo, era poco più di una piccola ombra silenziosa.
Tutto attorno a lui taceva. Probabilmente non vi erano orchi sulle sue tracce, o li avrebbe sentiti. Anche se il suo cuore batteva così forte che gli sembrava quasi che avrebbe potuto coprire ogni rumore…
Lentamente, con i piedi pieni di graffi, arrivò alla caletta in cui avevano tirato in secco le barche. Non c’era nessuno, come aveva immaginato. Si sedette accanto al piccolo fuoco spento frettolosamente, e sospirò.
Le barche erano pronte, vicino all’acqua. Sarebbe bastata una piccola spinta, e sarebbe potuto partire da quel luogo….ma perché pensava a queste cose? Si rese conto che di nuovo il desiderio di lasciare i compagni e proseguire da solo si stava facendo strada dentro di lui.
Non avrebbe saputo spiegare il perché. Si fidava dei compagni, era certo di poterlo fare…anche di Boromir, che aveva combattuto con ogni sua forza accanto a lui.
Dov’era ora? Frodo tremò al pensiero di ciò che poteva essergli accaduto, dopo che si erano separati.
Ancora una volta i suoi amici stavano soffrendo per causa sua, e lui non era in grado di fare nulla per aiutarli…si alzò, e lentamente si avvicinò ad una delle barche.
Lentamente le girò attorno, percorrendone con le dita il bordo levigato.

Gimli sollevò Legolas, facendo quanta più attenzione poteva. Lentamente, camminando tra i cadaveri degli orchi, lo portò fuori dalla radura in cui si era svolta la battaglia, e lo posò ai piedi di un albero.
Si tolse l’elmo, e si passò una mano sulla testa. Non c’era abbastanza luce per capire se l’elfo fosse ferito…
“Uhm.. – borbottò tra sé – non so proprio cosa fare, amico mio. Un nano non ha certo paura di portare del peso, ma temo a muoverti troppo, nè tantomeno intendo lasciarti qui solo...se almeno riuscissi a capire se sei ferito!”
Mentre era intento in queste riflessioni, sentì un battito d’ali sul proprio capo, e vide Faroth posarsi su un ramo.
Nei piccoli occhi scuri del nano balenò un’idea. Alzò il braccio e chiamò il falco, che andò a posarvisi docilmente.
“Vedo che io e te cominciamo a capirci, piccolo amico! – disse carezzando il petto del falco – ho bisogno del tuo aiuto, Faroth. Devi cercare Aragorn e portarlo qui, hai capito?”
Faroth emise uno stridìo, poi aprì le ali e si sollevò in volo, scomparendo in breve alla vista del nano.
“Avrà capito davvero? – borbottò chinandosi sull’amico ed aprendogli la casacca – spero proprio di sì...ed ora vediamo se riesco a capire se sei ferito...”

Aragorn camminava lentamente giù per il pendio, chino versa terra. Per fortuna aveva trovato subito le tracce lasciate dalla caduta di Frodo, e seguendole arrivò al punto in cui l’hobbit era atterrato tra i rovi.
Per fortuna, risalendo lungo il versante opposto, le tracce erano molto più nitide, ed in pochi balzi il ramingo fu all’albero ai cui piedi Frodo si era fermato. Sam arrancava dietro di lui.
Aragorn si guardò attorno. Le tracce proseguivano ancora per pochi passi, poi erano coperte e cancellate da moltissime orme di orchi.
“C’erano alcuni uruk-hai sulla tracce di Frodo, ma non lo hanno saputo seguire. Vedi, Sam – disse rivolgendosi all’hobbit che era arrivato alle sue spalle – qui si sono divisi...perché probabilmente non sapevano dove cercarlo.
Questo è un buon segno, significa che potrebbe essergli sfuggito. Tuttavia così facendo non sono più in grado di trovarlo...”
“Cosa possiamo fare allora?”
Rimase ancora un po’ fermo, a pensare, poi si mosse deciso.
“Di qua. Andremo da questa parte.”
“Pensi che Frodo abbia preso questa strada?”
“No, non ti so dire dove sia Frodo. Ma la maggior parte degli orchi è andata in questa direzione. Se Frodo è lontano, è probabile che ormai sia al sicuro. Ma se ha preso questa strada, ormai l’avranno trovato, ed è necessario correre là al più presto.”
E così dicendo prese a correre tra gli alberi, e di nuovo Sam gli si gettò dietro. Ma dopo poco si accorse di essere rimasto indietro. Si fermò ansimando. Non riusciva più a vederlo.
“Accidenti! – mormorò – dove può essere andato?”
Si sedette su una radice, tristemente. Non poteva certo mettersi a cercarlo...e in ogni caso, di che utilità gli sarebbe stato, se Aragorn avesse trovato gli uruk-hai? Si grattò la testa, pensieroso. In fondo, non era tanto convinto che Frodo fosse andato verso l’alto. Anzi, conoscendolo...scattò in piedi, battendosi la fronte con la mano.
“Samvise Gamgee, se non hai gambe, dovrai avere testa! Dove può essere andato il tuo caro padrone, se è libero e nessuno lo segue? Io credo che abbia cercato di tornare alle barche, dove forse spera di trovare ancora qualcuno...e dove andrò io!”
E detto questo, prese a correre con nuove energie giù, verso il corso del fiume.

Frodo era in piedi, sulla riva del fiume. Già da alcuni minuti fissava il riverbero della luce lunare sull’acqua, e non riusciva a decidere cosa fare.
Continuava ad essere tentato dall’idea di prendere una delle barche ed attraversare il fiume, e non avrebbe saputo neanche dire il perché...all’improvviso si mosse.
Si avvicinò ad una delle barche e la svuotò di ogni cosa non sua. Poi prese un paio di coperte e le sistemò sul fondo. Stava cominciando a spingere il piccolo scafo in acqua, quando sentì passi di corsa ed il respiro affannoso di qualcuno che si stava avvicinando.
Si voltò inquieto, ma vide subito che si trattava del suo fido Sam, che nell’ultimo tratto di strada aveva preso a correre così forte che sembrava quasi rotolasse.
“Sam!” gridò, mentre un sorriso gli illuminava il volto, e corse ad abbracciarlo.
“Oh, padron Frodo! State bene! Sono stato così in pena! Venite, andiamo a cercare gli altri!” e così facendo lo prese per un braccio, ma si accorse che Frodo non lo seguiva.
“Cosa c’è, ora?”
“Non vengo, Sam, ho deciso di andare.”
Samvise rimase un attimo senza parole, e Frodo si lasciò cadere a terra, prendendosi la testa tra le mani.
“Non ne posso più! Basta, non voglio più continuare in questo modo! State soffrendo tutti, ed è solo colpa mia! Non posso più vedervi così...cosa sarà accaduto a Boromir? E tutti gli altri? Non posso più permettere che continuiate a rischiare la vita per me...”
Sam rimase esterrefatto, davanti al suo povero padrone, piegato a terra, e con il volto rigato da grosse lacrime...forse aveva ragione. Forse non aveva più senso che la compagnia proseguisse con loro. Decise di non dire nulla della morte di Boromir, e prendendo Frodo per le braccia, lo sollevò dolcemente.
“Devo andare, Sam, lo capisci?”
“Certo, padron Frodo, lo so...è per questo che vi accompagnerò!”
“Sam, no...io...”
In tutta risposta Sam lo spinse verso la barca, per poi correre a prendere il proprio fagotto, ed un’altra coperta.
“Su, su, non state a parlare! Se aspettiamo ancora un po’, torneranno, e non vi sarà più modo di andare! E non guardatemi così...non mi importa cosa ci aspetta, non potete lasciarmi qua da solo a morire di paura per voi!”
Frodo tentò ancora una volta di opporsi, ma capì che sarebbe stato inutile. Il volto deciso ed allegro di Sam gli tolse ogni paura, e gettando nella barca il remo, la spinse in acqua.
Salirono, ed in poco la barca grigia fu in mezzo alla corrente, scivolando silenziosa verso la riva opposta.



eccomi ancora una volta qua! spero tanto vi sia piaciuto anche questo capitolo...
allora, innanzitutto, farò subito una premessa: forse dicendo che eravamo ormai alla fine ho fatto un po' di confusione, perciò sarò più chira, ok?
I capitoli della fic sono in tutto 27, quindi, oltre a questo, ne mancano ancora 4... mi spiace, ma nessuna storia è infinita, giusto?

ed ora i consueti saluti:

Kessachan: sono tanto contenta che la mia fic ti abbia fatto affezionare!!! stavolta ho aggiornato con un po' di ritardo, ma alla fine eccomi qua!

Jenny: grazie mille per tutti i complimenti... spero che questo capitolo ti piaccia, dato che ho cercato di dare spazio ai personaggi "secondari", come Sam e Gimli...

Frodomicina: le tue recensioni mi mancheranno, questo è certo, ma questa storia dovrà pur finire, prima o poi!!!! visto che il tuo Frodo sta bene? un bacione...

Narsil: evviva, una nuova lettrice!!! spero che almeno un po' la curiosità sia stata soddisfatta da questo capitolo! ma nei prossimi, ogni cosa si spiega...

un bacione a tutte, e come sempre...alla prossima!!!

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Capitolo 24
*** cattive notizie ***


Era una giornata nuvolosa. L’aria era più fredda dei giorni passati, e, benché fosse ormai mezzogiorno, i raggi del sole non si erano posati sull’Anduin e sulla foresta che lo lambiva. Una tetra foschia oscurava il grande astro, rendendo grigio ogni colore.
Menel si avvolse strettamente nel mantello ed uscì. Si diresse a passi veloci verso il piccolo orto, sfregandosi le mani. “Speriamo che una bella camminata mi riscaldi!” borbottò tra sé.
Quella notte aveva dormito poco e male, a causa dello strano sogno che l’aveva svegliata. La luce del mattino aveva in parte scacciato le brutte sensazioni della notte, ma in fondo Menel non riusciva a non essere un po’ inquieta.
La stanchezza e l’ansia l’avevano fatta svegliare pallida ed infreddolita, e , benché avesse progettato di stare il più possibile fuori per distrarsi, dopo poco più di un’ora che lavorava nell’orto dovette rassegnarsi a ritornare a casa.
L’umidità le era penetrata negli abiti e nelle ossa, e non era riuscita a scaldarsi nemmeno vangando una parte del terreno che intendeva seminare nei giorni successivi.
Entrò in casa, e una nuova fitta di ansia la prese, nel vederla così vuota e grigia.
“Per fortuna tra poco sarà primavera…” disse tra sé e sé, e togliendosi il mantello, si chinò sul camino per smuovere le braci ed aggiungere un po’ di legna.
Quando tornò in cucina, dopo avere indossato dei panni asciutti, un piacevole fuocherello crepitava già nel camino, e la luce dorata che spandeva nella stanza la fece sentire un po’ meglio.
Cominciò a preparare qualcosa per il pranzo, e presto la cucina fu pervasa dal buon odore della zuppa di verdure che bolliva sul fuoco.
Si era appena seduta davanti al camino, assaporandone il calore, quando le sembrò di veder passare un’ombra davanti alla finestra.
Si avvicinò, pregando in cuor suo che non si trattasse di Faroth, ma appena ebbe scostato la tenda, il falco entrò andando a posarsi sullo schienale di una sedia, come era solito fare.
Il cuore di Menel ebbe un sussulto, e cominciò a batterle forte.
“Faroth...come mai sei già qui? E’ presto...” mormorò, come se il falco le avesse potuto rispondere.
Con gesti impacciati slegò il sacchetto grigio, prese il foglio che vi era contenuto, e lo aprì.
La testa cominciò a girarle, e la vista per un istante le venne meno, quando vide che, al posto dell’ampia ed elegante scrittura di Legolas, vi erano caratteri piccoli e decisi, tracciati da un’altra mano.
Fece un passo indietro, e si lasciò cadere sulla panca. La paura provata quella notte ritornò in pochi istanti a farle martellare il cuore contro il petto, ma si impose di calmarsi e di leggere cosa fosse scritto sul foglio.
Corse con lo sguardo in fondo alla lettera, e vide che era firmata da Aragorn.

Cara Menel, conoscendo i tuoi sentimenti verso Legolas, ho immaginato quale fosse il motivo per cui gli hai donato questo bellissimo falco che ora è qui accanto a me.
Credo tu desideri avere notizie sul nostro viaggio, poiché temi per lui. Tra poche ore dovremo lasciare questi luoghi, e non so dirti nemmeno con quale destinazione, perciò ho creduto giusto scriverti al più presto. Non so infatti quando saremo in grado di farlo di nuovo.
Questa notte siamo stati attaccati da alcuni squadroni di Uruk-hai, e siamo stati dispersi. Solo questa mattina siamo riusciti a riunirci, anche se la compagnia è ormai ridotta a solo tre membri.
Gimli ha trovato Legolas privo di sensi in mezzo al campo di battaglia. Non sappiamo cosa sia accaduto, ma fortunatamente non è ferito.
Temo che la debolezza dovuta alla ferita subita giorni fa sia tornata a tradirlo durante la battaglia.
Ora è qui accanto a me, e non ha ancora aperto gli occhi. Non osiamo svegliarlo, nella speranza che riacquisti il più possibile le forze.

Menel dovette rileggere le ultime frasi più volte, prima di riuscire a calmarsi, e solo quando riuscì a convincersi che Legolas stava bene, riprese a leggere sollevata.

Di tutta la compagnia restiamo solo noi tre. Tornando al fiume, stamattina, abbiamo visto che mancava una delle barche, insieme ai bagagli di frodo e Samvise.
Credo abbiano attraversato il fiume e proseguito a soli. Non riusciamo a trovare ormai da molte ora ne’ merry ne’ Pipino, e temiamo che siano stati fatti prigionieri, e si trovino ora nelle mani degli orchetti.
Ciò che ci trattiene ancora dal seguirli e cercare di salvarli, è un compito doloroso e triste.
Occorre dare un degno addio a Boromir, caduto questa notte per mano degli orchi. Non potendo scavare o costruire un tumulo, è stato deciso che lo affideremo al fiume, perché lo accompagni alla sua ultima dimora.
Sperando che Legolas sia presto in grado di scriverti, ti saluto, in quest’ora in cui il dolore regna e la speranza si allontana.
Aragorn

Le ultime righe apparvero sbiadite a Menel, poiché due grosse lacrime le erano salite agli occhi.
Alzò il capo cercando di ricacciarle indietro.
Non era possibile...Boromir, l’uomo che fino a pochi giorni fa aveva seduto alla sua tavola, nei cui occhi stanchi aveva letto in quei giorni così tanti, combattuti sentimenti...non riusciva a credere che fosse morto...anzi, non riusciva proprio a capire cosa significasse...e poi Merry e Pipino, forse prigionieri, forse moti...la compagnia era dispersa.
Non sapeva perché fosse stata formata, ne’ quale fosse la loro meta. Ma sentiva uno strano dolore, che le spezzava il fiato.
Si era affezionata a tutti loro, per quanto breve fosse stata la loro convivenza, ed ora sentiva un grosso peso che le schiacciava il petto e le spalle.
Mentre grosse lacrime iniziavano a solcarle il viso, si rese conto di non aver mai avuto nulla a che fare con la morte.
Era cresciuta tra creature immortali, ed aveva visto così poco del mondo...non riusciva a governare questo strano dolore che la pervadeva, e che le era sconosciuto.
Non poteva piangere. Non in quella casa piccola e grigia che in quel momento sembrava chiudersi su di lei e soffocarla...
Si alzò, e si asciugò gli occhi. Si avvolse nuovamente nel mantello e, carezzando il capo del falco che era rimasto pazientemente ad aspettare, mormorò “Faroth...vieni, abbiamo una cosa da fare.”

Legolas aprì gli occhi. La luce rossa del tramonto formava strani aloni rosati nella nebbia grigia che si alzava dal fiume. Si sentiva vuoto e stanco. Le immagini di ciò che era accaduto quella notte rifluirono in lui un po’ alla volta, come onde che lambivano una spiaggia.
Voltò il capo, e vide accanto a sè Gimli. Sonnecchiava, seduto a terra con la schiena poggiata ad una roccia e le braccia incrociate sul petto. Poco lontano, seduto accanto ad una delle barche, era Aragorn. I capelli gli ricoprivano il viso, e restava così, immobile, tenendo qualcosa tra le mani.
“Gimli...” chiamò con un filo di voce.
“Legolas! Finalmente ti sei svegliato! Come ti senti?”
L’elfo scosse il capo. “Gimli, dove sono gli altri?”
Il nano abbassò lo sguardo.
“Pensiamo che Frodo e Sam abbiano deciso di proseguire soli. Hanno preso una delle barche, e probabilmente sono in viaggio lungo l’altra sponda. Merry e Pipino...non sappiamo nulla di loro, da quando siete rimasti indietro.”
“Erano con me. – rispose Legolas con voce greve – abbiamo combattuto insieme, finché...finché le forze non mi hanno abbandonato.”
Quasi senza accorgersene si portò una mano al fianco.
“Avevo creduto di aver recuperato le forze in tutti questi giorni, e invece...non sono riuscito a difenderli, e mi chiedo ancora come sia possibile che io non sia stato ucciso.”
“Su questo potrei risponderti che sei ancora vivo poiché non eri visibile. Non ti avrei mai trovato, se non fosse stato per il tuo falco.”
Legolas guardò il nano con aria interrogativa.
“Eri coperto dal mantello elfico, e se non ricordi nulla, allora credo che siano stati Merry e Pipino a nasconderti. – sorrisero entrambi tristemente, poi Gimli riprese più cupamente – non li abbiamo trovati in nessun luogo, perciò crediamo siano stati catturati.”
“Catturati...sono in mano agli orchi, e in chissà quale stato, solo perché non ho avuto forze per combattere! Sono stato incauto, ed ho sopravvalutato le mie forze...”
Rimasero entrambi in silenzio, poi l’elfo riprese. “E Boromir dov’è?”
Gimli borbottò qualcosa, ma fu Aragorn ad avvicinarsi. “Boromir è caduto, Legolas. Ha dato la vita per permettere a Frodo di fuggire.”
Il volto di Legolas rimase impassibile, ma un’ombra coprì i suoi occhi. “Caduto...dunque a questo siamo giunti. Cosa possiamo fare ora? Intendi seguire Frodo e cercare di raggiungerlo?”
“Non so Legolas. Non credo che Frodo abbia attraversato il fiume per sfuggire agli orchi. Credo che abbia compiuto una scelta, e forse dovremmo rispettarla. Da tempo covava questa idea, penso, e temo che ormai non potremmo più fare molto per lui.”
“La compagnia è dunque morta, e nulla rimane da fare...”
“No, Legolas! – disse Gimli alzandosi – possiamo ancora fare qualcosa. Non abbandoneremo Merry e Pipino al loro destino. Non appena potrai camminare, propongo di seguire le tracce lasciate da quelle creature, e di cercare di liberarli!”
Aragorn annuì “Credo anch’io che sia l’unica scelta giusta. Partiremo al più presto. Ma prima occorre fare un’ultima cosa.”
Legolas si alzò in piedi, immaginando a cosa si riferisse l’amico. “Dov’è?”
“Abbiamo pensato che l’unica cosa possibile fosse affidarlo al fiume” rispose il ramingo, indicando una delle due barche elfiche rimaste.
Legolas vi si avvicinò. Sul fondo era adagiato il corpo di Boromir, ed il suo viso era bianco e fiero come se fosse stato scolpito nel marmo.
Aragorn gli si avvicinò. “Questa mattina ho scritto a Menel, per farle sapere cosa era accaduto. Questa è stata la sua risposta. – disse porgendo a Legolas il sacchetto di tela grigia che Faroth aveva portato – credo che tu sappia cosa significa.”
L’elfo prese in mano il sacchetto, e vide che conteneva le corolle di alcuni fiori. Piccoli fiori di campo bianchi dall’odore selvatico, ed alcuni fiori rossi dai petali vellutati, tutti recisi appena sotto il calice.
Fu così che Boromir fu affidato all’Anduin, deposto in una piccola barca grigia. Sotto di sè le armi e gli elmi dei nemici abbattuti. Le mani congiunte sul petto, strette attorno all’elsa della propria spada, ed accanto il corno di Gondor spezzato e lo scudo rotondo. E tanti piccoli fiori selvatici, portati in volo da un falco.

Quella notte Menel andò a letto con il cuore gonfio. Si era sforzata per tutto il giorno di non lasciarsi andare alla tristezza, ed ora si sentiva insieme esausta ed irrequieta.
Guardandosi nel piccolo specchio, aveva visto un volto pallido e stanco. Si avvolse nelle coperte, e spense la piccola lanterna. Contrariamente a quanto temeva, si addormentò subito, presa da un sonno scuro e senza sogni.
Poco prima della mezzanotte, però, aprì gli occhi e si rese conto che il cuore le batteva forte. Non ricordava di aver sognato nulla di spaventoso, eppure si era svegliata di soprassalto.
Rimase immobile ad ascoltare, resa ancora più inquieta dallo spettrale silenzio che regnava nella foresta.
Poi, all’improvviso capì, ed il terrore la prese.
Passi, molti passi strisciati alle radici del suo albero, e sommessi mormorii di voci roche.
Si sollevò terrorizzata fino alla piccola finestra, e vide ciò che aveva temuto. Molti orchi si erano raccolti sotto la sua casa, e sembrava cercassero qualcosa a terra, o forse...seguissero tracce tra le foglie cadute...
Il cuore le si fermò, quando uno di essi indicò la cima dell’albero, grugnendo qualcosa agli altri...


sono perfida, lo so...
prometto che non vi lascerò sospese a lungo, e posterò presto anche il prossimo capitolo!
perdonatemi se non mi soffermo per i saluti...vado di frettissima ma volevo comunque aggiornare!
un bacio a tutte voi che mi fate felici leggendo questa storia!!!

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Capitolo 25
*** ricrdi infranti ***


Menel si allontanò dalla finestra, cercando di non fare il minimo rumore. La paura le faceva sentire ogni suono amplificato, e rimase immobile ad ascoltare, poggiata al muro.
Gli orchi che si erano raccolti sotto l’albero dovevano appartenere a razze diverse, poiché parlavano tra loro in Ovestron.
Nonostante l’accento gutturale e le parole strascicate, Menel riuscì a capire che stavano cercando qualcosa. Parlavano di tracce, dovevano averne trovate molte che portavano fino a casa sua ed ora sembravano piuttosto seccati dal fatto di non aver trovato nulla.
“Qui non c’è niente!” grugnì uno dei due che si erano avvicinati all’albero. Il capo si avvicinò, urlando imprecazioni e insulti, mischiando la propria lingua a quella corrente.
“Salite su, allora! A costo di tagliare l’albero o di scavarci sotto, dovete scoprire perché tutte queste tracce portano qui!”
Menel rimase per un istante pietrificata dal terrore. Due orchi stavano salendo sull’albero.
Per quanto la casa fosse praticamente invisibile da terra, una volta in cima se la sarebbero trovata di fronte.
Si guardò attorno. Accanto al letto c’erano i suoi stivali. Li infilò, ringraziando i Valar di essere stata troppo stanca per metterli a posto la sera prima.
Gli orchi, sbuffando ed imprecando, erano già arrivati a metà del tronco, non vi era tempo per fare altro che uscire dalla casa e cercare di scappare.
Corse in cucina, e da lì uscì nella veranda. Per fortuna era stato nuvoloso per tutto il giorno, e la luna era coperta. Un alito di vento freddo le mosse la veste e le portò alle narici l’odore nauseabondo degli orchetti. Avrebbe voluto piangere, ma non era il momento per farlo...
L’albero che ospitava la sua casa era stato scelto anche perché era strettamente circondato da altri alberi dalla folta chioma. Essi aiutavano la piccola casa grigia a rendersi invisibile. Uno di questi, in particolare, aveva alcuni grandi rami che si spingevano fino alle pareti.
Menel salì su uno dei rami, e tenendosi attaccata con braccia e gambe, cominciò a scivolarvi sopra. La veste da notte le risalì fino alla vita, lasciandole le gambe scoperte.
Pregò i Valar che gli orchetti non alzassero lo sguardo proprio in quel momento.
Non voleva neanche pensare a cosa sarebbe potuto succedere se l’avessero catturata. Lentamente, non senza graffiarsi in più punti, arrivò sull’altro albero, nel punto in cui molti rami grossi partivano dal tronco. Si rannicchiò contro di essi, ansimando. I due orchetti erano ormai arrivati alla casa, e non appena l’ebbero vista si abbandonarono ad urla e risate, cominciando a chiamare i compagni.
Era il momento. Se voleva provare a scappare, doveva farlo intanto che la loro attenzione era presa dalla casa e dal suo contenuto.
Cominciò a scivolare verso un ramo più basso, ma la lunga veste da notte la intralciava, e così bianca com’era, la rendeva troppo visibile. Nervosamente se la annodò in vita, e riprese a scendere.
Buona parte degli orchi era ora salita sull’albero e solo pochi erano rimasti a terra. Per fortuna, però, non guardavano in direzione della fanciulla, attirati dal clamore provocato dai compagni, che stavano rovistando per tutta la casa, litigandosi le cose preziose che vi avevano trovato, e sporgendosi ogni tanto dalle finestre per gettare giù qualcosa.
Arrivò a terra, mentre un silenzioso grido di rabbia le rimbombava dentro. Lentamente, restando il più possibile acquattata a terra, cominciò a muoversi tra i cespugli, allontanandosi.
Il cuore le batteva così forte che a tratti le sembrava di perdere conoscenza, ed insieme si sentiva estremamente lucida, ed ogni suo senso era teso al massimo, come quelli di un animale braccato in una battuta di caccia.
Dopo qualche minuto, nel quale gli orchetti avevano scempiato il più possibile la piccola casa, rompendo e lordando ogni cosa, furono richiamati a terra da uno di quelli rimasti giù.
Infarcendo il discorso di ogni volgarità ed insulto, quello che sembrava essere il capo riuscì a riunire in poco tempo i suoi uomini.
“Allora? – li apostrofò quando li ebbe davanti a sè – c’era qualcuno?”
Fecero segno di non con la testa, tenendo le lunghe braccia dinoccolate lungo il corpo e restando a capo chino.
“Però... – cominciò uno grattandosi una gamba – c’era cenere ancora calda, perciò deve essere vuota da poco...”
il capo gli si avvicinò, e gli sferrò un poderoso colpo, gettandolo a terra.
“Ah sì?! C’erano ceneri calde, e quindi chi stava in quella dannata casa non sarà andato lontano, giusto? Però voi, brutti idioti, siete rimasti lì a fare le vostre cose e a divertirvi, per vedere se nel frattempo riusciva a scappare, no?! – urlò scoprendo i denti – avanti, sparpagliatevi e trovatemelo, o vi farò pentire della vostra festicciola lassù!”

Menel era riuscita ad allontanarsi di qualche decina di passi, ma il discorso dell’orchetto le era giunto alle orecchie ben chiaro.
Non poteva più strisciare a quel modo, doveva alzarsi e correre via, anche a rischio di essere vista!
Si gettò tra gli alberi, cercando di correre più forte che poteva, sforzandosi di non farsi prendere alle gambe dalla paura. Dietro a sé sentiva le voci ed i passi degli orchi che, sfogando la rabbia per il rimprovero ricevuto, rompevano e strappavano ogni cosa fosse sul loro cammino, imprecando a gran voce.
Menel correva…non sentiva il freddo, né i graffi che rami e cespugli le stavano provocando. Correva e basta. Era già caduta due o tre volte, per una radice o per un pendio troppo scosceso, ma quasi non se ne era accorta.
La sua mente, i suoi sensi, i suoi muscoli sentivano solo due cose: la strada davanti a sé, e gli orchi dietro…

Aragorn si fermò. Si chinò a terra, leggendo nel terreno segni che per altri non avrebbero significato nulla. Era note fonda, e da qualche ora erano in cammino, cercando di raggiungere lo squadrone di orchi che aveva catturato Merry e Pipino.
Dietro a Lui erano legolas e Gimli, immobili.
Il ramingo sorrise nervosamente “Siamo sulle loro tracce, a meno di un giorno di cammino. Possiamo prenderli”
“Bene…” rispose Legolas ansimando, e si lasciò cadere a sedere. Il ramingo gli si avvicinò preoccupato. “Non credevo che avrei mai visto un elfo provato in questo modo dalla strada…come ti senti?”
Legolas fece segno di no con la testa, mentre il suo respiro tornava normale. “Sto bene, ho solo bisogno di riposare qualche minuto.”
“E questo non dispiace neanche a me – borbottò Gimli sedendosi poco più in là, incrociando le braccia sul petto e chiudendo gli occhi –chiamatemi quando sarete pronti…”
Legolas guardò il cielo notturno. Le stelle erano velate da qualche nuvola leggera, ed un vento freddo e umido soffiava a tratti. A pochi passi da sé poteva vedere Aragorn.
Era salito in un punto rialzato del terreno, ed osservava la vallata davanti a sé. Teneva una mano sull’elsa di Anduril, ed il suo mantello era sollevato a tratti dal vento.
La sua figura scura si stagliava fiera e forte contro il cielo, ma Legolas conosceva troppo bene l’amico, per non vedere la segreta sofferenza che piegava le sue spalle.
Era certo che non fosse la preoccupazione per la strada da percorrere ad indurire lo guado di Aragorn, ma la tagliente sensazione di aver fallito nella missione ricevuta.
Sapeva anche che cercare di parlargli non avrebbe portato a nulla. Non in quel momento, almeno. Si ripromise di stargli vicino, e di tenerlo d’occhio...

Menel cadde a terra, per l’ennesima volta. Rimase un istante così, in ginocchio, poggiata sulle mani. I lunghi capelli bruni le ricadevano avanti, ed il petto si sollevava e ricadeva velocemente, coperto solo dalla veste bianca, strappata ormai in più punti.
Sentì che qualcosa le stava bagnando il viso. Si portò una mano alle labbra, e si accorse che il naso le stava sanguinando copiosamente. Forse nel cadere aveva battuto la testa, o forse correndo in quel modo, l’aria fredda e lo sforzo le avevano ferito le narici...in ogni caso doveva fermare in qualche modo l’emorragia, che già le aveva macchiato di rosso la camicia all’altezza del petto.
Si sollevò, tenendo la testa leggermente reclinata all’indietro e tamponandosi il naso con la stoffa della manica.
Rimase un istante in ascolto, mentre il cuore cominciava finalmente a battere più lentamente. Silenzio. Non un rumore, non una voce...se erano ancora sulle sue tracce, in ogni caso era riuscita a lasciarli indietro.
Si guardò attorno, cercando di capire dove si trovasse.
Conosceva quella zona, era a pochi passi dal corso del fiume. Doveva cercare di nascondersi, in modo da poter riprendere un po’ fiato. Ma per non essere trovata, doveva smettere di lasciare tutte quelle impronte.
Cominciò a camminare cercando di toccare solo ciò su cui non poteva lasciare segni. Metteva i piedi sulle radici, sui sassi più grandi, sui punti in cui il muschio formava uno spesso tappeto...percorse così un lungo tratto, ma si rese conto di essere esausta.
Aveva bisogno di trovare un nascondiglio entro poco, non ce la faceva più...ma dove?
Cercò di ricordare se in quella zona ci fosse una grotta, o qualcosa del genere, e ad un tratto si rese conto di trovarsi poco lontano dal luogo in cui aveva incontrato la compagnia per la prima volta.
Raccolse le ultime forze, e scese giù verso la piccola spiaggia. Finalmente si trovò davanti all’albero le cui radici avevano offerto riparo agli otto compagni quella notte.
Tutto era ancora come allora.
Prese un lembo della propria veste e strappò dal fondo una striscia di stoffa. La bagnò nell’acqua del fiume, poi entrò nel piccolo rifugio.
Si rannicchiò in un angolo, usando la benda per bagnarsi i polsi e le tempie. In quel momento non aveva altro per cercare di fermare il sangue che continuava a scenderle giù dalle narici….gettò la testa all’indietro, e chiuse gli occhi, tenendo il naso tamponato con la stoffa.
Mentre sentiva il sapore ferroso del sangue scenderle nella gola, rimase in ascolto. Non sentiva più né passi né voci, e pensò che probabilmente dovevano essersi raccolti di nuovo sotto il suo albero. Non faticava ad immaginare cosa potessero aver fatto per sfogare la rabbia di non averla catturata.
Pensò alla sua povera casa, violata e distrutta da quelle bestie…tutto ciò che possedeva, che aveva raccolto, tutti i piccoli oggetti a cui teneva…i suoi ricordi, i doni ricevuti, le preziose pergamene su cui aveva studiato...
Una rabbia fortissima la prese pensando che tutto questo era caduto nelle mani di quelle creature…ed insieme si sentì terribilmente sola e debole...come se distruggendo tutto ciò che di più caro aveva, avessero quasi annullato lei e la sua vita.
Si rannicchiò ancora più stretta, nascondendo il viso tra le ginocchia, e grossi singhiozzi presero a scuoterla, rompendo il silenzio nero che si era posato sul bosco e sul fiume...


vi ho depresso? spero tanto di no...

kessachan: eh già, l'hanno proprio trovata... ma almeno è riuscita a scappare, no?

Jenny, anche questo capitolo ti ha messo i brividi? ^__________^ grazie mille per i complimenti, come sempre!

alla prossima!!!

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Capitolo 26
*** freddo, fatica e speranza ***


Menel fu svegliata da un brivido. Il livello del fiume era salito e dell’acqua era entrata tra le radici che la nascondevano, bagnandole la veste. Aprì gli occhi. Era passata da poco l’alba. Il cielo era grigio, e sembrava che per quel giorno il sole non sarebbe comparso tra le cime degli alberi.
Strisciò fino all’imbocco del suo piccolo rifugio, e guardò fuori. Nessun rumore sembrava provenire dalla foresta, così decise di uscire. Strizzò la gonna, impregnata d’acqua, e lentamente si massaggiò la spalla ed il collo. Si era addormentata rannicchiata contro le radici, ed era tutta indolenzita.
Le acque dell’Anduin erano scure e correvano veloci. Pensò che a monte del luogo in cui si trovava doveva aver piovuto, anche perché l’aria era molto più fredda dei giorni precedenti.
Risalì lentamente il piccolo pendio. Arrivata tra gli alberi, si poggiò ad uno di essi e si fermò a riflettere.
Cosa poteva fare? Di certo non tornare a casa. Temeva troppo che vi fossero ancora orchi, ed in ogni caso non vi avrebbe trovato più nulla di utile. Gli unici in grado di aiutarla erano gli elfi di Lorien, ma come raggiungerli?
Faroth era lontano, ed il nuovo falco non le era ancora stato portato…doveva cercare di arrivare da sola fino al reame di dama Galadriel.
Cercò di ricordare. Distava almeno due giorni di cammino, ed era sola, poco vestita, senza cibo...
Non erano certo le condizioni migliori per attraversare una foresta probabilmente ancora infestata da orchi, ma non aveva altre alternative.
Cominciò a camminare tra gli alberi, guardando tristemente la propria veste. Era bagnata, lacerata in più punti, sporca di sangue...pensò che il proprio aspetto ben poteva rappresentare il modo in cui si sentiva in quel momento...
mentre camminava tra gli alberi a passo spedito, per farsi coraggio cominciò ad immaginare il momento in cui sarebbe giunta ai confini di Lorien, e sfregandosi le mani per il freddo pensava alle pelli ed alle calde coperte in cui si sarebbe potuta avvolgere su uno dei primi flet di vedetta...

Legolas alzò il capo, correndo. La luce del sole stava divenendo sempre più fioca e rosata. Presto il grande astro si sarebbe trasformato nella rossa sfera su cui si potevano posare gli occhi senza ferirli, e si sarebbe andato ad adagiare sulle colline all’orizzonte.
Avevano corso per tutto il giorno, cercando di raggiungere lo squadrone di orchi, e quasi non si erano accorti del tempo del era trascorso.
Aragorn si fermò. “E’ già l’ora del tramonto – disse, spaziando con lo sguardo tra le colline – tra poco dovremo fermarci” “Allora arriviamo fino a quelle rocce laggiù – indicò l’elfo – così potremo riposare in un luogo riparato.”
Ripresero a correre, mentre Faroth volava sopra al loro capo. Quando arrivarono nel punto stabilito, poggiarono le armi e si sedettero. Legolas alzò il braccio chiamando il falco, che docilmente andò a posarvisi, tenendo un topolino nel becco.
“Vedo che sei andato a caccia, Faroth – gli sussurrò carezzandogli il petto – allora riposa qui accanto a me e mangia la tua preda, perché tra poco dovrai compiere un nuovo viaggio. Da troppo non diamo notizie alla tua padrona!”
Lo fece posare poco lontano, e prese da una tasca ciò che gli occorreva per scrivere. Quando ebbe messo su carta poche righe, le affidò al falco, sussurrandogli qualcosa, e lo vide volar via.

Menel si sedette su una radice. Era davvero stanca. I piedi e le gambe cominciavano a dolerle molto, perché aveva camminato tutto il giorno. E per tutto il giorno aveva sofferto per il freddo pungente che le aveva martoriato la pelle e le si era insinuato fin nelle ossa.
La sua veste era troppo leggera, e non si era ancora asciugata del tutto, per via dell’aria così fredda ed umida.
La fanciulla era riuscita a percorrere un lungo tratto, ma ora aveva bisogno di riposare. In tutta la giornata aveva mangiato solo alcuni grappoli di piccole bacche succose che aveva raccolto da una grande siepe.
Ora doveva trovare qualcos’altro, o il giorno successivo non sarebbe riuscita a camminare. Cercando tra gli alberi ed i cespugli, riuscì a trovare dopo poco alcune radici amare, e una manciata di piccoli funghi. Li pulì con la veste, consumò la sua magra cena, rannicchiata contro le radici di un grande albero, e subito si addormentò, esausta.

Legolas scrutava il cielo notturno, ed il suo volto era serio e cupo.
Aragorn gli si avvicinò. “Cosa c’è, Legolas? Vedi qualcosa che ti preoccupa?”
L’elfo scosse il capo. “E’ ciò che non vedo a preoccuparmi. Faroth non è ancora tornato.”
“Oggi abbiamo percorso molta strada, gli occorrerà tempo per tornare.”
“No...è già trascorso almeno il doppio del tempo che impiegherebbe. Temo sia accaduto qualcosa.” Mentre parlava, però, vide la figura del falco comparire piccolissima in cielo, ed avvicinarsi velocemente.
“Eccolo...” mormorò sollevato, e si alzò in piedi per chiamarlo. Ma ciò che prese dal sacchetto che il falco recava con sè, disegnò sul suo volto un’espressione ancora più cupa.
“Cosa vi è scritto? Il tuo viso mi fa temere...”
“Non l’ha trovata. Questo è il messaggio che gli ho affidato io poche ore fa. È certamente successo qualcosa.”
“Forse Menel era fuori casa per qualche motivo...non è detto che sia necessario preoccuparsi...”
Legolas scosse nuovamente il capo “No. In tal caso avrebbe aspettato tra i rami dell’albero. Se è tornato indietro, è solo per portare cattive notizie.”

Menel aprì gli occhi. Mancava poco all’alba, o forse il sole si era già affacciato all’orizzonte, ma era impossibile stabilirlo, perché grosse nuvole coprivano il cielo.
Erano cariche d’acqua, che presto avrebbero scaricato sul bosco e sul fiume. Già le prime gocce avevano cominciato a cadere, svegliandola. Cominciava a non sopportare più il freddo continuo che la indeboliva. Prese subito a camminare, cercando di scaldarsi. Al contrario del giorno prima, però, si accorse presto di non riuscire a camminare velocemente.
Sentiva una grande debolezza che la rallentava, e spesso era scossa da colpi di tosse. “Credo che occorrerà un giorno in più del previsto – mormorò tra sè – prima di poter riposare tra i mallorn di Lorien...”

Gimli aprì gli occhi, dopo il breve sonno necessario. Si alzò, raccogliendo le armi, e raggiunse i compagni, già pronti a ripartire. Aragorn scrutava nuovamente la strada davanti a sè, come già aveva fatto la sera prima, e la fioca luce del sole lo fece sperare.
“La strada mi appare meno lunga di ieri sera, e spero che fosse il buio ad ingannarmi, e non la luce a darmi inutili speranze...”
Legolas gli si avvicinò, tenendo Faroth poggiato sul braccio. “In che modo la luce può ingannarti?”
“In un modo che forse non tocca voi elfi. Scacciando la notte, stempera i timori che essa porta, e porta nuovo conforto...”
L’elfo alzò il braccio, per liberare il falco, e lo guardò volare via. La luce non gli aveva portato alcun conforto in questa nuova preoccupazione che si era aggiunta al suo animo...

Dama Galadriel si avvicinò ad una delle grandi aperture intarsiate che illuminavano la sua stanza. Come sempre una calda luce dorata baciava i flet disseminati come corolle di fiori tra i grandi rami dei Mallorn, ma la bianca dama sentiva come fuori il bosco si fosse svegliato in una giornata fredda e grigia.
Uscì lentamente dalle sue stanze, e scese a passeggiare nella grande radura ricoperta ogni giorno dell’anno da piccoli fiori.
Dopo poco il passo silenzioso e veloce di uno dei soldati messi a guardia del bosco dorato le si avvicinò, ed il piccolo falco lucente che portava con sè confermò l’irrequietezza che l’accompagnava dal risveglio.
“E’ giunto ai confini poco fa. Reca con sè un messaggio.” Faroth si alzò in volo, andando a poggiarsi a terra, ai piedi della signora di Lorien. Il soldato si inchinò leggermente, e si allontanò.
“Faroth... - mormorò Dama Galadriel guardando il piccolo falco che tempo prima aveva donato a Menel – che notizie porti?”
Aprì il sacchetto e cominciò a leggere il piccolo messaggio.

Mia cara Menel, ti scrivo nuovamente, poiché ieri sera Faroth è tornato indietro senza una tua risposta. Spero che questo messaggio ti giunga, e ti prego di farmi sapere al più presto come stai.
Namarie
Legolas


Menel si poggiò con un braccio ad un albero portandosi una mano alla gola. Una pioggerella sottile ma fitta la tormentava da quando si era svegliata.
Nel corso della mattinata aveva cominciato ad essere scossa da attacchi di tosse sempre più violenti e lunghi, ed ora le sembrava di non riuscire più a respirare a fondo.
Ogni volta che cercava di sollevare il petto, una forte fitta le spezzava il fiato, e i colpi di tosse che la scuotevano erano sempre più rochi e profondi. Sapeva bene cosa significava.
“Menel, se non trovi presto modo di scaldarti, il freddo ti prenderà la schiena! - mormorò, ricominciando a camminare – devi assolutamente arrivare a Lorien, o coverai un focolaio ai polmoni...”

Legolas chiuse il foglio che aveva appena letto, portandosi una mano sugli occhi, stancamente.
“Dunque ogni mio timore si è avverato, e non posso fare nulla per porvi rimedio...”
Il ramingo ed il nano, che erano rimasti fermi ad osservarlo da quando Faroth era sceso su di loro portando un messaggio, si guardarono preoccupati.
“Cosa vi è scritto?” chiese Aragorn.
L’elfo non rispose, continuando a guardare fisso davanti a se, e si limitò a porgere il foglio all’amico.

Legolas di Bosco Atro, la tua lettera è giunta stamane a Lorien, poiché Faroth non ha trovato Menel, ed è tornato dai suoi antichi padroni.
Purtroppo non ho buone notizie da darti, ed il mio cuore trema, poiché so di aggiungere angoscia ai vostri passi che già percorrono una strada difficile e dal termine incerto.
Poco dopo aver raccolto Faroth, ho parlato con l’arciere che si era recato alla casa di Menel per portarle il nuovo falco che ella ci aveva richiesto. Era appena rientrato, e mi ha riferito di non avervi trovato nessuno.
La casa stessa è distrutta ed abbandonata. I segni del passaggio di orchi sono fin troppo chiari, e si estendono per lunghi tratti attorno alla casa. L’unica certezza che abbiamo è di non aver trovato il corpo della fanciulla, e quindi spero che sia ancora viva. Forse è prigioniera, o forse è fuggita.
Ho inviato subito numerosi guerrieri per cercarla, e sono certa che avrò notizie non appena possibile.

Ripiegò il foglio, e pose una mano sulla spalla dell’elfo.
“Andiamo – mormorò Legolas, la voce strozzata da un nodo – non possiamo fermarci oltre.”
E riprese a correre verso le pianure di Rohan, che presto si sarebbero aperte ai loro occhi. Ma non era in quella direzione che correvano i suoi pensieri.


ok, l'ho riletto tutto, e mi rendo conto di essere davvero bastarda... ehm, che ci posso fare? ormai mi ero messa in testa questa storia...
vabbeh...ragazze, ci siamo quasi, il prossimo capitolo è l'ultimo!
quasi quasi mi dispiace...sigh!
ma passiamo ai ringraziamenti:

Frodomicina: non temere se vai di fretta, a me fa sempre piacere anche solo un saluto!

Jenny: mi sa che non ti ho sollevata molto, per la sorte di Menel, vero? ehm..

Narsil: sono stata abbastanza veloce? ho avuto parecchio da fare, ma ormai la storia è praticamente finita!

kessachan:capitolo triste anche questo, mi sa...vi sto deprimendo?

un bacione a tutte!!!

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Capitolo 27
*** ultime speranze ***


Sono in ritardo penoso, perdonatemi. non ho avuto un attimo libero in questi giorni!
eccoci arrivate all'ultimo capitolo. Vi lascio alla lettura, i commenti alla fine!

Un nuovo tramonto stava scendendo sul bosco che costeggiava le rive dell’Anduin. Come ogni sera, il rosso ed il giallo caldo dei raggi solari si erano posati e mischiati ai colori naturali di ogni foglia degli alberi, dei tronchi rugosi, del soffice tappeto d’erba e muschio del sottobosco...
Ed all’interno dei confini di Lothlorien, questo spettacolo aveva toni ancora più caldi e dorati, capaci di incantare ogni volta anche chi vi abitava da molti anni...
La bianca signora del bosco dorato annuì stancamente, quando alcuni guerrieri di ritorno dai confini ebbero finito di raccontare ciò che avevano visto. Alzò appena una mano, congedandoli, e quando questi si inchinarono sulla porta, per salutarla, li ringraziò dolcemente.
Rimase solo un giovane elfo, un falconiere vestito di grigio scuro. Era in piedi, vicino ad una delle grandi finestre, e teneva sul braccio alzato un piccolo falco dal piumaggio lucente.
Dama Galadriel si alzò dal grande seggio posto al centro della stanza, e si avvicinò pensierosa alla porta. “Sarò qui tra poco con un messaggio da affidarti.”
Scese alcune scale, accompagnata dall’unico impercettibile rumore della sottilissima veste bianca, che accarezzava gli scalini un ad uno.
Entrò in uno dei grandi terrazzi che si affacciavano sul suo silenzioso reame. Era un grande spazio aperto, accolto dai rami dello stesso grande albero sul quale erano costruiti i suoi appartamenti. Si avvicinò alla ricca balaustra, e rimase a pensare, spingendo il proprio sguardo il più possibile lontano.
“Cos’è che ti turba, Signora della Luce?”
Si scosse dai suoi pensieri, sorpresa. Non erano molte le creature in grado di celarsi al suo sentire, ed una di queste era ora seduta poco distante da lei, su di una panca posta su un lato del terrazzo.
“Ho ricevuto cattive notizie, mio antico amico, e devo portarle a qualcuno...”
Si sedette accanto a lui, e rimasero a lungo in silenzio.
Due figure candide, antiche quanto la stessa terra di mezzo, immobili, probabilmente invisibili agli occhi di molti...
Poi l’uomo annuì, passandosi lentamente una mano sulla lunga barba candida.
“Già...nessuno ama recare cattive notizie...eppure ho dovuto farlo più di una volta, un tempo. Molti non amavano il grigio pellegrino, per questo...”
“Ma il grigio pellegrino non esiste più, e nemmeno il nome che portavi ti appartiene, ormai. Come ti senti oggi?”
“Debole e vuoto, ma comunque assai meglio di quando sono stato portato qui. Presto sarò in grado di muovermi, ed allora vi lascerò per raggiungere chi può aver bisogno del mio aiuto...”
La bianca signora sorrise, posando la sua mano su quella dell’istaro, poi si alzò, salutandolo con un cenno del capo.

Menel camminava lentamente. Non riusciva a compiere un percorso regolare, e si sentiva così debole che anche solo per scavalcare una grossa radice o scendere un piccolo pendio era costretta a fermarsi e poggiarsi a qualcosa. Era gelata. Il suo corpo era ormai divenuto così gelido da non sentire più il freddo. Sapeva di avere la febbre, poiché già da qualche ora era scossa da vampate di calore e da forti brividi.
Non appena compiva uno sforzo qualsiasi, anche solo un passo più lungo o veloce, la schiena le si ricopriva di infinite minuscole gocce di sudore, pronte a divenire gelate al passo successivo. Questo continuo tormento le provocava una nausea terribile, e sapeva che se non fosse stato così freddo, probabilmente il suo stomaco non avrebbe resistito a quelle contrazioni continue.
Guardò in alto, verso il cielo che da rosso stava diventando scuro. Di nuovo notte...un’ondata di terrore e di sconforto la prese...non poteva permettersi di dormire, non poteva esporsi ancora così tanto all’aria gelida della notte! Come avrebbe potuto superare un’altra nottata in quelle condizioni? Ma Lorien era ancora così lontana...non aveva percorso nemmeno la metà della strada che si era prefissa di coprire quel giorno, ed il giorno dopo sarebbe stato anche peggio. Sempre che il giorno dopo giungesse...
Sapeva che se avesse chiuso gli occhi, indebolita com’era, sarebbe stata in balia di ogni alito di vento, di ogni goccia di rugiada. Un’altra notte così, e non avrebbe riaperto gli occhi...
No, non si sarebbe fermata. Se doveva morire di freddo e di fame in quella foresta...se doveva chiudere gli occhi sola, senza che nemmeno il suo corpo ricevesse sepoltura...allora doveva morire in piedi! Avrebbe camminato finché fosse riuscita a mettere un passo avanti all’altro...non l’avrebbero trovata rannicchiata contro un albero, come un animale ferito...

Gimli si avvicinò a Legolas, posandogli una mano sulla spalla. L’elfo era seduto a terra, tenendo un piccolo foglio tra le mani, e Faroth era posato su un ramo, poco distante.
“Ancora nessuna notizia, amico mio?”
L’elfo chiuse il foglio, stringendolo con rabbia. “Non ricevere nessuna notizia sarebbe stato meglio di questo. – si passò una mano sugli occhi, abbassando la voce che era sfuggita al suo controllo – gli elfi di Lorien che erano stati mandati a cercare Menel hanno trovato il gruppo di orchi che aveva attaccato la sua casa. Li hanno sterminati, ma lei non era con loro...”
“Forse non si trattava dello stesso squadrone...ce ne saranno di certo molti sparsi per i boschi, in questo periodo...”
“No, no...erano loro. Molti avevano addosso oggetti rubati dalla casa...no, Gimli, non vi è più speranza. Se anche non l’hanno uccisa subito, come avevamo sperato non trovando il corpo, lo avranno fatto più tardi...forse l’hanno presa prigioniera, e poi...”
Non proseguì, chiudendosi il volto tra le mani. Il nano lo guardò in silenzio, senza sapere che dire. Se non avesse conosciuto bene l’amico, avrebbe detto che due grosse lacrime si fossero affacciate sui suoi occhi, per poi essere ricacciate indietro in un istante.

Dama Galadriel si avvicinò ancora una volta alle immobili acque nelle quali più di una volta aveva scorto cose lontane. Già il giorno prima vi si era affacciata, sperando di ricevere qualcosa, un aiuto per ritrovare la fanciulla che già una volta aveva accolto nel suo reame. Ma lo specchio era rimasto muto.
O meglio, non le aveva mostrato nulla di utile...tutto ciò che aveva visto, o meglio che aveva sentito, erano stati brividi di freddo ed una morsa d’angoscia, scioltasi nello scorrere di fiumi di sangue ferroso...
Non aveva raccontato a nessuno questa visione, limitandosi a raccomandarsi ai suoi soldati di compiere le ricerche con la maggior cura e velocità possibili...ma ancora non aveva ottenuto nulla.
In ogni caso non li avrebbe richiamati indietro finché non l’avessero trovata, o non avesse avuto la certezza che fosse morta, anche se sapeva bene che col passare delle ore la prima delle due possibilità avrebbe ceduto sempre più alla seconda...
Chiuse gli occhi, ed aspettò che ancora una volta la misteriosa forza che governava lo specchio e le sue visioni si risvegliasse. Vide Menel, pallida e stanca, camminare nella notte simile ad un’anima perduta...sentì ancora freddo, e paura...ma la visione svanì presto, lasciandole solo nelle orecchie il rombo dell’Anduin in piena.
Sospirò, poggiandosi al freddo bordo della vasca. Ancora nulla...
Tutto ciò che poteva aver raccolto da questa visione, era che forse Menel stava cercando di tornare a Lorien risalendo le rive del fiume...ma in quale punto? Avevano già immaginato che, nel caso fosse riuscita a fuggire, avrebbe fatto quel percorso, ma il tratto di fiume che li separava era lungo ed intricato, e probabilmente più di una volta si era dovuta allontanare dalla riva...
Non avrebbe scritto a Legolas di aver visto la fanciulla in fuga, perché non poteva governare ciò che lo specchio le mostrava...poteva essere qualcosa accaduto la notte in cui era stata distrutta la casa, ma cosa impediva che poi, di lì a pochi metri non fosse stata raggiunta e catturata, o peggio ancora uccisa? No...tutto quello che intendeva rivelargli erano fatti certi, solo cose realmente accadute...nessuna visione doveva giungergli...non vi era spazio per false illusioni.

Un elfo vestito di grossi panni grigi e di cuoio nero era in piedi accanto ad un albero, in un punto in cui la riva del fiume era più dolce e bassa. Aveva corso fino a quel punto, leggero e silenzioso come un’ombra. Ma ora che si trovava in un luogo aperto decise di approfittare delle prime luci dell’alba per spingere la propria vista acuta tutto attorno. L’aria era ancora fredda come la notte precedente, ed il suo fiato formava piccole nuvole di vapore. Un altro elfo, vestito allo stesso modo, era poco dietro di lui. “Vedi nulla?”
“No...non ancora...eppure ormai abbiamo percorso ogni tratto di questa foresta...”
stava per aggiungere altro, quando gli parve di vedere una piccola macchia chiara tra il muschio, ad una certa distanza. In poco fu lì, seguito dal compagno. A terra, bagnata dall’umidità della notte, era una fanciulla. I lunghi capelli bruni erano sparsi sulla schiena, scarmigliati e sporchi di fango e sangue. Indosso aveva solo una lunga veste da notte, strappata e macchiata in più punti...
Si chinò su di lei, girandola dolcemente per vederla in volto. Non sembrava ferita, ma era bianca e fredda come la morte. Le labbra e le palpebre erano nere, e dalla bocca non usciva neanche un debole respiro.
“E’ lei?” sussurrò il secondo elfo alle sue spalle.
“Sì... – annuì tristemente – è Menel.”

Aragorn aprì gli occhi. Il sole era sorto già da un po’, ed ora stava lentamente salendo al di sopra delle lontanissime colline che cingevano come un anello le verdi pianure di Rohan. Si sollevò a sedere, e vide che, come ogni notte, Legolas era rimasto sveglio accanto a loro, proteggendo le poche ore di riposo a loro concesse.
Gli si avvicinò. Il volto dell’elfo era teso e scuro, ed il ramingo si rese conto che stringeva tra le dita una piccola foglia, ormai secca. Si sedette accanto all’amico, che però non smise di fissare nel vuoto, davanti a sè.
“Hai ricevuto notizie?”
Non rispose. Si limitò ad abbassare lo sguardo.
Il ramingo non aggiunse altro. Non aveva parole di conforto per l’amico. Cosa poteva dire, sapendo che erano passati ormai troppi giorni perché Menel fosse sopravvissuta? All’inizio aveva sperato che fosse riuscita a fuggire, ma se non era stata catturata, e quindi mantenuta in vita dal putrido cibo e dalle lorde coperte degli orchi, l’essere sola in quel bosco era ancora peggio...ancora l’inverno non accennava a lasciare il posto alla primavera, e non vi era alcun luogo abitato lungo la strada per Lorien...
“Tu hai visto la stanza di Menel, Aragorn?”
Il ramingo si scosse dai suoi pensieri.
“Si...l’ho osservata...è davvero graziosa...”
“E’ parte di lei...ogni cosa che puoi trovarvi ha un preciso significato, sai? – si fermò, mentre il vento correva lungo le grandi praterie davanti ai loro occhi – all’inizio non riuscivo a capire perché lo facesse...per un elfo è così strano accumulare oggetti senza valore, legarsi a qualcosa fino a dargli significato...”
“Non le hai mai chiesto...”
“Sì...ed all’inizio capivo ancora meno...mi parlava di ricordi, di cose che sfuggono, di tempo che passa...poi ho parlato con uno dei suoi istitutori...e sai cosa mi ha raccontato?
Menel è cresciuta tra elfi, nessuno le aveva mai spiegato cosa significasse essere diversa da noi...quando è uscita dall’infanzia si è deciso che...io...io sono certo che abbiano usato ogni cura nel spiegarle cosa fosse ciò che ci divide...eppure scoprire cosa fosse la morte l’ha cambiata profondamente...”
Aragorn annuì.
“Si è resa conto di avere poco tempo...non avrebbe visto tutto ciò che a noi è concesso...non avrebbe raggiunto la nostra saggezza...Menel ha sentito il tempo scorrere come un fiume in piena...era poco, non le sarebbe mai bastato per tutti i sogni ed i progetti che aveva cullato nei suoi primi anni...è per questo che vive così... – strinse la piccola foglia nel pugno, sbriciolandola – ha vissuto così, perché doveva morire...”
Le ultime parole uscirono dalla bocca dell’elfo come un sussurro. Aprì la mano, ed un alito del vento che stava correndo sulla pianura catturò pochi piccoli frammenti verdi, trascinandoli via.


FINE

ecco, è finita. prima che mi linciate per aver ucciso la povera Menel, lasciate che vispieghi il perchè.
quando ho iniziato questa storia, volevo che fosse una sorta di "bolla" nel racconto originale. che prendesse la storia in un punto, la faccesse un po' "deviare", e la riportasse esattamente dov'era. Se ci fate caso, tutto quello che accade dopo nel romanzo è coerente anche con la "mia versione" della storia. (o almeno spero!)
Quindi, per me è stato quasi inevitabile eliminare l'unico elemento veramente estraneo che ho inserito, ovvero il nuovo personaggio.
mi perdonerete?

Per chi si aspettava un lieto fine, magari che vedesse legolas essieme a Menel, mi spiace, ma non riuscivo a vederlo come possibile.
Molte volte ho visto Fic in cui un elfo ed un mortale si innamoravano. Eppure io credo che nell'universo di Tolkien, quello originale, Legolas non si sarebbe mai innamorato della mia piccola e buffa Menel.
Tutto l'affetto fraterno che li lega non era sufficiente a superare la barriera tra le loro razze, che è forte e tangibile, ed è stata espressa così bene da Tolkien stesso. Non a caso esistono solamente due coppie per così dire "miste", e sono due coppie eccezionali, passate alla storia.
Diciamocelo, in fondo Menel sono io, e non ho certo il fascino di Aragorn!!!

basta delirare, e passiamo ai saluti!
grazie infinite a tutti coloro che sono arrivati in fondo a questa storia. è stato bellissimo sapere cosa ne pensavate, sentire i vostri commenti, sapere che ad ogni capitolo avrei trovato qualcuno che aspettava e leggeva...
un bacio speciale a tutte voi...
scappo... mi sta venendo malinconia a pensare che la storia è finita, e mica potrò farmi vedere così, no? sniff...

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