Another point of views

di Scaldotto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beginning ***
Capitolo 2: *** Non è un addio. ***



Capitolo 1
*** The Beginning ***


Another Point of View

-The Beginning


 Il Ponte Vecchio era percorso da un carro, che lasciava cadere una manciata di mele a ogni scossone.

Che spreco, pensò Stefan, accovacciato su una balconata marmorea di un edificio antico. 

“Antico”, beh, non per quei tempi. Avrebbe potuto distinguere bene la luce fioca delle candele ancora accese nella bottega del Maestro Donatello.

Damon non era lì, non era nemmeno nei dintorni, constatò, lanciando un’ondata circoscritta di Potere sufficiente a scandagliare tutta la città. Non che voglia trovarlo, pensò con amarezza il giovane, scostandosi con la mancina un ciuffo di ondulati capelli scuri che gli ciondolava sulla fronte.

Nonostante cercasse di vedere intorno a sé, impressa nella mente c’era l’immagine di Katherine. Prima il suo delicato viso ridente, poi quell’orrendo mucchio di cenere e carne bruciata che era diventata.

Tirò un pugno al terreno, una smorfia rabbiosa si contrasse sul viso dai lineamenti perfetti.

Non mi devo distrarre, pensò poi, dilatando le narici e ispirando una zaffata di odore della notte.

Infatti, era fuori per nutrirsi.

Qualche piccione avrebbe fatto al caso suo, non affamato abbastanza da spingersi nelle campagne.

 

                                                                                  ***

 

Damon camminava lentamente in una Venezia tutt’altro che addormentata.

Le acque del canale erano mosse, e riflettevano in modo distorto l’immagine della luna piena, a causa dell’ennesima gondola che trasportava l’ennesimo nobile diretto al Palazzo Ducale, dove si sarebbe tenuto uno dei bellissimi balli in maschera organizzati settimanalmente dal Duca.

Infatti, sotto l’attaccamento dei capelli del vampiro era adagiata una maschera di velluto nero, con elaborate decorazioni di perline, legata da un nastro di raso nero tra i voluttuosi ricci di Damon.  Non faceva altro che esaltare la bellezza del giovane in abiti riccamente elaborati.

Dalla bocca fino al mento, la pelle era nuda e piacevolmente accarezzata dal delicato vento afoso di quella sera estiva, e le labbra erano stiracchiate nel suo solito sorriso beffardo.

Nessuna giovane bellezza locale lo stava accompagnando, stranamente.

Un gondoliere di passaggio si rivolse al giovane.

«Signore, signore!»

Il ragazzo smise di chiamarlo quando Damon volse lentamente il capo e rallentò l’andatura sciolta, puntando stancamente gli occhi neri prima sul ragazzo, poi sulla gondola vuota. Inarcò un sopracciglio.

«Sì?» Disse, svogliatamente, il sorriso pigro si allargò.

«Sto andando al Palazzo Ducale, solo due Zecchini per voi, signore!» disse con aria allegra, che fece irritare il vampiro, che si avvicinò lentamente alle scalette più vicine.

«Ma io non devo pagare, ragazzo.» Disse, puntando i suoi occhi di pece in quelli cristallini del giovane gondoliere.

«Lei non deve pagare!» ripeté il giovane soggiogato, e Damon schioccò la lingua, in segno di approvazione verso sé stesso, quindi salì sulla gondola, senza aver bisogno del braccio che il gondoliere gli aveva gentilmente offerto. Si sedette su un’asse retrostante della gondola, e per tutta la durata del tragitto ignorò bellamente le chiacchiere moleste del giovane, e stava quasi per perdere la pazienza quando la vista dell’imponente palazzo Ducale lo riscosse dal farsi i fattacci suoi.

L’affluire della gente al Palazzo era impressionante, come era impressionante il modo in cui le persone di medio ceto facevano a gara per ottenere più sguardi, nei vestiti più costosi dei sarti più costosi, che tuttavia non erano nulla in confronto alle vesti elaborate dei nobili.

Nobili come me, pensò tutto ringalluzzito il vampiro, in uno dei suoi più larghi sorrisi sornioni.

 

                                                                      ***

 

L’entrata di Damon nella Sala fu annunciata da un paggio con una voce considerevole per i suoi circa quattordici anni. Il brusio si interruppe per un istante, il tempo che i presenti ebbero per constatare chi fosse l’ospite, per poi ricominciare, più fitto.

Damon interruppe il sorriso, mostrando un’espressione che trasudava indifferenza pura.

Era ritenuto dalle belle fanciulle locali (e non solo da queste) lo stupendo straniero o l’avvenente fiorentino, e, come in ogni luogo dove era passato, aveva fatto strage di cuori.

Dai mastodontici lampadari la luce delle candele era moltiplicata infinite volte dai cristalli a forma di goccia, e gli occhi sensibili del vampiro ne furono infastiditi. Quindi volse lo sguardo verso alcuni divanetti di velluto ai piedi delle scale.

La Duchessa adagiata su uno di essi ammiccò verso di lui, e il giovane rispose con uno sguardo magnetico, seguito da un accennato sorrisetto che la fece arrossire, come tutte le damigelle presenti intorno ad essa.

Damon si diresse verso uno dei tavoli ai lati della Sala, dove dei maggiordomi servivano Champagne di alta qualità.

Il giovane vampiro prese un bicchiere di cristallo ricolmo del liquido e sentì una voce dietro di sé.

«Signor Salvatore, è un onore averla qui!» proferì il Duca con aria bonaria, sorridendo a Damon, che nel frattempo si era voltato in sua direzione.

«Tutto il piacere è mio, Duca.» rispose, accennando un inchino, e gli rivolse un freddo sorriso, che faceva a botte col tono volutamente cordiale con il quale gli si era rivolto.

«Se non vi dispiace.» disse poi Damon, gli occhi incollati a un punto indefinito nel mezzo del salone da ballo, adibito a “sala delle chiacchiere” prima che si iniziasse a suonare.

Aveva sentito una quantità di potere impressionante proveniente da una delle tante giovani chioccianti, e la fanciulla dimostrava più o meno diciassette anni. Gli era stato detto che Venezia ospitava le ragazze più avvenenti, ma non si aspettava altro che le mediocri ochette che catturavano l’attenzione degli insulsi umani, non certo questo.

E sì, non aveva mai conosciuto nessun umano con dei Poteri, ma cosa gli diceva che quella magnifica visione fosse umana? Non aveva la bellezza delicata ed esotica di Katherine, ma una più… aggressiva, o comunque più selvaggia, anche se Damon effettivamente non trovava le parole per descriverla.

Si diresse a passi misuratamente lenti verso quell’adorabile fanciulla, non prima di aver poggiato il calice ancora pieno su un vassoio di un maggiordomo di passaggio. Eseguì quel gesto senza degnare i saluti a lui rivolti di uno sguardo, i pozzi neri ormai persi nella sua contemplazione, tipica di quando individuava una possibile preda.

Aveva la carnagione color dell’avorio, e due occhi così neri li aveva visti solo riflesso in uno specchio, sì, come i suoi. Non sembrava bassa, ma era alta per quell’epoca, infatti spiccava sopra le compagne che ridacchiavano tra di loro. Il corpo, che sembrava tutto tranne che debole o fragile, era fasciato da un elaborato abito bordeaux, del colore del sangue, e pizzi neri in contrasto con la camicia e il sottogonna bianchi. Il brusio intorno a Damon si fece insopportabile.

Sangue pulsava caldo nelle carotidi di tutte quelle persone…Basta, si disse, e arrivò di fronte al gruppetto di giovani quasi trattenendo il respiro. Si passò la lingua sulle labbra, le stesse labbra piegate in un sorrisetto sardonico. Lei era estranea ai frivoli commenti e agli scandalosi apprezzamenti che le amiche stavano rivolgendo a Damon, indirettamente, senza sapere che lui poteva sentirle benissimo.

Si inchinò profondamente – molto più profondamente che prima, al Duca – in direzione della giovane, e sarebbe stato considerato un oltraggio se non fosse che era stato compiuto da Damon, che già tutti idolatravano.

«Potrei avere l’immenso piacere di conoscere il vostro nome, signorina?» La scelta della parole non era stata casuale, infatti la reazione di una persona normale, la reazione che ebbero le chiocce accerchiate intorno alla bella sconosciuta, avrebbe provocato arrossamento delle gote, risolini incontrollati e occhiate languide. Con non poca delusione il giovane vampiro notò che niente di tutto questo accadde nella sua fanciulla, che se ne stava a fissarlo, sì, fissarlo, con espressione criptica, nessun sorriso a illuminarle il volto.

Come se fosse intimorita da Damon. E a buon ragione, pensò questi, gli occhi neri che scivolavano sulle fanciulle dalle gote arrossate quasi non le vedesse, e che tornavano con insistenza sulla riccia. Lanciò quel poco di Potere che gli serviva a scandagliare la mente, e gli arrivarono i pensieri praticamente isterici delle ragazze, quelli caotici dei presenti nelle Sale, ma nessuno dalla sua fanciulla.

Diamine, pensò, crucciandosi. O quella dolce creatura – che doveva essere sua – aveva una personalità ferrea, o non aveva un cervello (impossibile, lo sguardo troppo enigmatico), oppure era una creatura della notte. Il non riuscire a scandagliarle la mente causò a Damon non pochi problemi, poiché non era solito incontrare ostacoli durante la sua “caccia”, anche la rendevano ancor di più intrigante. Non come quella di Stefan, una caccia che esprimeva il vero senso del termine, la caccia di Damon era più una riproduzione della caccia del ragno con le sue prede. Non vedeva l’ora di mettere le mani su quella fanciulla.  Già, non si nutriva da due giorni addietro, e alla vista di quelle gole candide gli provocava un immane dolore alle mandibole e ai canini, che tratteneva a stento di una lunghezza accettabile.

Non a caso aveva scelto quel luogo ricco di umani, per avere più scelta per le sue prede.

Ma i suoi Poteri non erano al massimo, era questo il vero problema.

«Catherine Accurso, messere.» fu la fredda risposta che arrivò da quelle dolci e rosee labbra.

Damon si irrigidì. Catherine. Come Katherine. Inspirò profondamente, perché nel rialzarsi avesse un’espressione il più controllata possibile.

«Bene Catherine, il mio nome è Damon Salvatore.» e sarai mia. Pensò, con un ghigno beffardo sulle labbra.

 

.Angolino dell'autrice

Dopo secoli nei quali non ho scritto nulla, mi è tornata l'ispirazione. Spero che non sia una completa catastrofe, visto che non sono più allenata, ma mi impegnerò per far arrivare al più presto il prossimo capitolo.

Recensiteee!

Baci, Scaldotto.

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Capitolo 2
*** Non è un addio. ***


-Non è un addio

 

Circa un anno dopo.

 

«Damon.» chiamò la giovane, notando una figura stagliata contro la luce della luna, alla finestra della biblioteca spaziosa. C’era odore di vecchiume in quella stanza, e i suoi “nuovi” occhi potevano distinguere ogni singolo granello di polvere che volteggiava nell’aria tra sé e il vampiro. L’odore di Damon era insopportabile. Colonia? Forse. Di una di quelle ragazze la quale si era divertito a mordicchiare.

Poggiò una nivea mano sullo stipite della porta, e si concentrò sul movimento delle sue dita, per evitare di incontrare il suo sguardo. Indossava una lunga veste a balze, di un color rosa pallido, indistinguibile dal bianco al chiarore della luna.

Dopo averla resa come lui, come poteva andarsene?

Merda.

La consapevolezza della realtà la investì come una terribile doccia fredda.

All’inizio non era che la vocina fastidiosa della coscienza, quella vocina che lui le aveva insegnato a spegnere con facilità.

«Catherine.» disse severo, le sopracciglia corrugate. No, Damon non sapeva assolutamente gestire quel genere di situazioni, era come un gigante che maneggia dei delicati bicchieri di cristallo.

E in un battito di ciglia era già a pochi centimetri da lei, e le sollevò il viso tenendole una mano sotto il mento, in modo che gli occhi neri potessero specchiarsi in quelli di lei.

«Non fare lo schifo di sdolcinato con me, Damon Salvatore.» soffiò lei tra i denti, cercando di divincolarsi.

L’aveva usata. Perché si annoiava. Perché si sentiva solo.

Damon non la lasciò andare, con espressione dura a celare l’animo leggermente affranto del non riuscire a gestire un banale addio.

Cielo, ne aveva inferti così tanti, di addii! Dov’era il vero Damon? Perché la sua stupida lingua si attorcigliava?

Era vulnerabile, e lo irritava non poco il fatto che lei potesse percepirlo benissimo.

In fondo, dopo tre anni dall’inizio della sua nuova vita si era abituato a far perdere la testa a un milione di ragazze, che aveva sedotto, ma non aveva mai avuto alcun problema ad abbandonarle.

«Me ne vado.» disse, scandendo le parole, e inchiodando le iridi negli occhi di lei, così sfuggenti, facendo scivolare la mancina a stringerle l’avambraccio.

«Perché?» Sbottò lei, come se facesse cadere un masso gigantesco a terra, con un’espressione glaciale, di tacita sfida. Damon sapeva bene che non c’era una risposta convincente che le potesse dare, nessuna che potesse in qualche modo argomentare per convincerla. Perché lei non era stupida. Era una domanda trabocchetto? Forse. La giovane voleva trovare una risposta alle due domande.

«Perché ci dev’essere sempre un perché, Catherine? Perché le cose non possono succedere e basta?» contrattaccò Damon, ben sapendo che non sarebbe sopravvissuto, metaforicamente parlando, a quella conversazione. A meno che non tirasse fuori il Damon crudele, quello spietato e terribilmente maligno. Non sapeva nemmeno se questo avrebbe potuto ferirla. Da lei ricevette solo un amaro silenzio che non poteva, o forse non voleva, interpretare.

«Perché mi va, va bene?» rispose poi, praticamente contraddicendosi, ma che importava ormai? Perché doveva essere costretto a quell’agonia? Nonostante quella sua malach fosse la persona alla quale teneva di più al mondo, anche se si teneva ben lungi dall’ammetterlo, perché lo stava costringendo a fare questo? Non poteva semplicemente capire?

Lei lo capiva sempre. Perché adesso no? Perché è egoista, proprio come te!, pensò amaramente.

Cercò di stringerla a sé, ma non era più una debole umana. Lo respinse con un’estrema facilità.

«Vattene, Damon.»

Fu colpito da quelle parole nello stesso modo in cui l’avrebbe colpito un sonoro schiaffo, che si sarebbe effettivamente meritato, lo ammetteva anche lui.

Beh, la vampira stava cercando di capirlo, a modo suo. Catherine faceva tutto a modo suo.

 

La finestra si spalancò, lasciando entrare il vento gelido novembrino che piegava Praga da giorni, ormai.

Damon era sparito.

«Non è un addio.» le parole le arrivarono flebili ma chiare.

Catherine sospirò. Per quanto si sforzasse, non riusciva a odiarlo. Voleva detestarlo, ma non ci riusciva.

 

                                                                                     ***

 

Nulla ammorbidì il salto che Damon compì dalla finestra al terzo piano, atterrando praticamente in ginocchio sulla strada deserta per quelle quattro di notte.

Si tirò diritto e si spolverò con noncuranza i pantaloni neri.

I suoi ricci scuri sfioravano il colletto della camicia coperto dal cappotto, che si sistemò in modo da avere una buona metà del viso celata, lasciando intravedere solo gli occhi neri. Non voleva certo essere infastidito da nessuno, e non è che avesse proprio una buona reputazione tra gli uomini della città.

Non gli era ancora mai capitato di trasformare un umano in un malach, anche se avevano detto che sarebbe successo.

Infilò le mani nelle tasche e, costeggiando gli edifici della strada principale, indirizzò lo sguardo su un punto indefinito del cielo tempestoso, aggrottando le sopracciglia.

Non era mai stato particolarmente emotivo, nemmeno nella sua vita passata, per quel che si ricordasse. Quello era il ruolo di Santo Stefan.

Non che provasse emozioni talmente sconvolgenti da farlo cambiare, anche solo per un secondo.

Era… turbato? Forse. Turbato per il fatto di essersi lasciato coinvolgere emotivamente, il che non era affatto un bene.

Qualunque emozione è uguale a una debolezza che i nemici potrebbero usare contro di te. Era una lezione che aveva imparato da tanto tempo.

La sua figura scura scomparve tra la nebbia che agguantava le strade vuote.

 

 

                                                                                   ***

 

 

Stefan salì di sopra in un attimo, appena sentì che la massa di potere di Damon fu scomparsa in lontananza.

La finestra era spalancata, e da essa entrava un vento gelido.

Lui, abituato ormai al sangue di animale, si era abituato a quelle piccole debolezze quasi umane come sentire freddo.

Chiuse le imposte e si voltò verso Catherine, che aveva le braccia incrociate sul petto e un’espressione indecifrabile.

«Stefan, se n’è andato.» disse, senza che la voce si spezzasse, senza tralasciare alcuna emozione da quel viso splendido.

«Tornerà…» cercò di consolarla lui, avvicinandosi un poco, le sopracciglia corrugate e lo sguardo affranto.

«E quando lo farà, io non ci sarò.» rispose secca, alzando il viso e inchiodando gli occhi trasparenti di Stefan.

Verdi e limpidi. Buoni. Come lui.

Quindi, decisamente, non il suo tipo.

Tuttavia era piacevole passare un po’ di tempo con lui, dato che si prendeva tutte le colpe ed era molto premuroso. Bastava far finta di non bere sangue umano e Santo Stefan era al settimo cielo.

«Dove andrai?» chiese, preoccupato, allungando una mano sul braccio esterno della giovane.

Lei si ritrasse, leggermente stizzita, andando a sbattere contro il muro retrostante. Non con forza, per fortuna del muro.

Stefan la abbracciò.

Lei si irrigidì, diventando come una specie di tronco, solo molto più morbida.

Spalancò gli occhi quando lui la strinse un po’ di più e affondò il viso nei suoi capelli sciolti.

Sospettosa, scandagliò per bene la sua mente, ma, per la fortuna di Santo Stefan, non c’era nessuna intenzione strana, e così andava a confermare la sua fama di Santo.

Era… affettuoso? Che strano. E pure senza motivo.

Damon non era mai affettuoso, forse giocoso.

Provò a stringerlo anche lei.

 

 

                                                                            ***

 

Quando si svegliò, era stravaccata sul divano del salotto, adagiata sotto una coperta di lana.

La scalciò via senza ritegno, e, una volta in piedi, fece un giro su sé stessa per controllare la stanza, non si ricordava un bel cavolo di cosa fosse successa la sera prima.

“Aspetta, sono andata a letto con Santo Stefan?”

“No, beh, me lo ricorderei di certo”, pensò, il volto piegato in una smorfia riflessiva.

«Stefaaaaaaan!» chiamò, con voce imperiosa, sapendo bene che sarebbe arrivato in un lampo.

Ed eccolo lì, con espressione corrucciata, che rivolse prima alla coperta arrotolata per terra, poi a lei, che ghignava soddisfatta.

«Ho intenzione di andarmene. Oggi.» disse, giusto per gustarsi la reazione del giovane.

Questi corrugo le sopracciglia ancor di più.

Mmmh, lui mi lascerà andare, pensò Catherine.

«Sì… Ma…»

«Non preoccuparti, Stefanuccio, non è certo un addio.» disse sogghignando, e Stefan vide in quel sorriso e in quegli occhi Damon. Sospirò.


Angolino dell'autrice.

Bene, qui si conclude l'"introduzione" della mia fanfiction.

D'ora in poi i capitoli saranno ambientati a Fell's Church, nel presente.

Grazie a tutti quelli che hanno letto Beginning e che hanno letto Non era un addio,

ma soprattutto grazie mille al betaggio Bonnie _85, per aver riguardato questo capitolo e per aver corretto cose delle quali forse non mi sarei mai accorta. 

Bene... Recensite!

Bacioni,

Scaldotto

 

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