Hurricane

di Kioto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Bill sfrecciò nervosamente da un corridoio all’altro, ripetendosi a bassa voce “5 minuti”. Entrò in una stanza dove non meno di cinquanta ragazze erano impegnate a sistemarsi gli abiti, il trucco e a dare un ultimo sguardo ai capelli.
« Ragazze è tutto ok? »
Annuirono tutte, voltandosi immediatamente a guardarlo.
« Mi raccomando, sorridete e siate sensuali, questa linea deve colpire tutti quanti! »
Si allontanò senza attendere risposta, fidandosi ciecamente delle sue modelle. Uscì dalla stanza lasciando la porta aperta mentre tuccatrici&co. entravano e uscivano in preda a crisi isteriche e nervose contemporaneamente.
Si avvicinò al palco, fissando con gli occhi colmi di trucco gli addetti alle luci e alla scena e pregando che andasse tutto bene. Spostò leggermente la tenda rossa e sbirciò un po’ il pubblico.
La sala era completamente piena di gente, i fotografi avevano già iniziato a bruciare i loro rullini con scatti ad ogni particolare, anche se il tendone rosso non era ancora stato tirato via.
Chiuse freneticamente ogni fessura che lo connetteva a quella visione ansiosa e fece un respiro profondo.
Guardò l’orologio. Mancava meno di un minuto.
Si schioccò il collo, dicendosi che sarebbe andato tutto bene e poi si lisciò l’abito, attendendo.
Dall’altro lato vide le prime modelle mettersi in fila e lentamente le luci si abbassarono e la gente smise di parlare e di mormorare fra sé.
La tenda si aprì e una luce blu illuminò il fondo della passerella. Uno dei tecnici fece partire la musica e la prima modella uscì con un abito rosso scuro. Avanzò nella passerella, sotto gli sguardi interessati dei presenti e i flash dei fotografi che avevano iniziato a scattare come cavalli imbizzarriti.
Una, due, tre, le modelle si susseguivano accolte ogni volta da sospiri meravigliati, da facce estasiate e da flash che non smettevano un solo istante. Arrivavano alla fine della passerella, mostravano il loro abito guardando un punto in fondo alla stanza non definito e poi tornavano indietro sui loro tacchi da 15 cm.
Bill aveva messo in quella linea tutte le sue ultime idee, senza lasciarne fuori nemmeno una.
Dalle ragnatele alle pochette in paillettes.
Dai veri e propri abiti fino agli abbinamenti in jeans e maglietta.
Si sentiva estremamente fiero del suo lavoro e la sua gioia aumentava e dilagava sul suo viso ogni volta che una modella veniva accolta dagli applausi.
Quasi ogni sua creazione era sempre piaciuta. E circa ogni artista aveva indossato un suo abito.
Da Lady GaGa, a cui aveva disegnato personalmente un abito a forma di ragno, a P!nk che si era innamorata di un completo fuxia e nero, passando anche per Nena che aveva indossato un suo abito per i Comet e Christina Aguilera a cui aveva fatto un intero set di abiti che l’artista aveva usato durante il suo ultimo tour mondiale.
Sì, Bill amava il suo lavoro e ne andava estremamente fiero.
Adorava avere nuove idee da mettere su carta, vedere i suoi modellini prendere vita e vederli indossati e sfilare davanti ai fotografi e ai giornalisti che avrebbero fatto recensioni su recensioni di quella sfilata, così come per le altre.
Il successo di Bill era arrivato lentamente, gradino per gradino e a lui la moda era sempre piaciuta. Fin da quando era un ragazzino faceva abbinamenti con ogni cosa gli capitasse sotto le mani, e sua madre aveva addirittura nascosto ogni set da cucito – forbici comprese – perché il piccolo Bill aveva il vizio di tagliare i pantaloni e le magliette che non gli stavano più o che non gli piacevano come prima. Così si creava da solo nuovi indumenti, accessori e quant’altro.
Bill Kaulitz era uno stilista famoso ormai in tutto il mondo.
Così tanto famoso da suscitare molta invidia fra i suoi rivali, alcuni dei quali andavano alle sue sfilate per rubargli le idee e copiarle, modificarle e applicarle ai loro marchi. Ma niente poteva battere l’originalità di Bill che era stato da subito criticato per il suo look trasgressivo, etichettato come omosessuale, ermafrodita o transessuale e solo dopo il suo primo vero lancio la gente si era concentrata di più sulla sua produzione e non sul suo aspetto. Le mani di Bill valevano più dell’oro.
Oro che risplendeva nei suoi occhi ambrati, oro che scintillava nell’ultimo abito che era uscito fuori, indossato da un’esile modella dai capelli rossi.
La ragazza sorrideva e splendeva in mezzo a quella seta scintillante e quando arrivò alla fine della passerella, i fotografi erano letteralmente impazziti.
Bill aveva fatto nuovamente centro e non poteva essere più felice di così.
La modella fece più volta un giro su sé stessa, lasciando che i fotografi potessero ammirare ogni piccolo dettaglio di quell’abito per la quale Bill aveva passato intere notti in bianco.
Sulla testa della modella uno scricchiolio fece sollevare il viso a diverse persone e qualcuno urlò: « Il lampadario! »
Bill sollevò lo sguardo e il lampadario prese improvvisamente fuoco, slacciandosi dal soffitto e cascando dritto sulla passerella e sul corpo della modella.
Lo stilista si catapultò sul palco mentre altri giornalisti e spettatori scappavano a gambe levate.
Bill si caricò il peso del lampadario addosso e poi lo buttò via, mentre la modella quasi piangeva di dolore.
Il suo viso era storto in smorfie di pena e l’abito aveva in parte preso fuoco.
Il ragazzo la chiamò per nome e qualcuno urlò di chiamare un’ambulanza.
« Come stai? »
« Mi fanno male le gambe. »
Bill spostò lo sguardo e vide le gambe della modella bruciate ma preferì non dirle niente.
« Stai tranquilla, adesso ti portiamo all’ospedale e vedrai che starai meglio. »
Le modelle uscirono nelle quinte per cambiarsi gli abiti in modo da non rovinarli e Bill rimase con la ragazza ferita.
Ma nel suo cuore, c’era qualcosa che gli diceva che non era stato solo un incidente.

I piedi poggiati sul tavolino in cristallo, i capelli bagnati raccolti in un asciugamano piccolo e un altro più grande legato in vita, con il riscaldamento acceso e una tazzina piena di caffè in mano.
Questa è Rebecca.
Poggiò la testa sul bordo del divano gustandosi quel momento di puro relax, dopo una doccia calda.
Rebecca aveva 24 anni e viveva in un quartiere ricco di Berlino.
Sulle pareti di casa sua stavano appesi diversi quadri d’arte naturalistica e vecchie foto di famiglia. A Rebecca piaceva l’arredamento moderno, fatto di cristalli e quadri eleganti e aveva solo qualche souvenir etnico o che richiamava quello stile.
Viaggiare era uno dei suoi hobby ma più che per piacere, lo faceva per lavoro.
Si alzò dal divano, poggiando la tazzina sul tavolino e tornò in bagno. Si slacciò l’asciugamano che aveva in testa e fece scivolare i lunghi capelli corvini lungo le sue spalle, per poi attaccare la presa del phon e iniziare ad asciugarli con l’aiuto di una spazzola.
Rebecca curava molto il suo aspetto fisico e le piaceva distinguersi fra le persone.
Sul corpo portava diversi tatuaggi, ognuno con un significato diverso.
Su una spalla aveva disegnati tre fiori, sulla nuca lo Ying e lo Yang e su un fianco, dalla parte della schiena, la scritta Never Surrender.
Amava tutto ciò che riguardava il pericolo, il fuoco, le armi e tutto ciò che poteva collegarsi ad esse.
Rebecca era forte.
Così tanto forte da aver riposto la fiducia solo su sé stessa e sulle sue capacità che cercava di migliorare e ampliare, cimentandosi in venti cose diverse nello stesso momento. Non era una sportiva ma le piaceva correre e quando ne aveva voglia si faceva un giretto quando il sole non era ancora sorto.
Lei non conosceva la paura, i sentimenti. Era cinica.
L’unico sentimento positivo che poteva provare l’aveva riservato per le poche amiche che aveva e con la quale stava ogni volta che poteva, che aveva un momento libero.
Come quella sera.
Mise al suo posto il phon e poi si sfilò di dosso l’asciugamano, camminando nuda per casa alla ricerca di qualcosa di carino da indossare.
Aveva una marea di abiti, riempiva quasi un intero armadio ma, come ogni donna, in quel momento le sembrava di non avere proprio nulla di decente da mettersi.
Ed era ridicolo contando che la maggior parte degli abiti erano firmati BK!
Fece almeno 6 abbinamenti diversi e poi scelse un abito bianco e un paio di scarpe dello stesso colore e successivamente si dedicò al trucco.
Circa mezz’ora dopo il campanello suonò e su una Mercedes grigia sedeva una testa bionda che chiamava Rebecca a gran voce.
Quest’ultima uscì dalla sua abitazione in uno scintillio di ombretti e creme per la pelle, portandosi dietro una scia di profumo alla vaniglia.
« Arrivo! Arrivo! Sempre tutta questa fretta! »
Salì nell’auto dell’amica che partì spedita.
« Non si sa mai, potresti addormentarti sul divano e non ricordarti di avere un appuntamento. »
Rebecca rise e abbassò lo specchietto nella macchina, sistemandosi i capelli e il trucco.
« Come vedi sono stata puntuale. »
« Miracolo! Qualcuno dovrebbe farti una statua per questo! »
« Molto divertente Daisy! »
Daisy aveva un anno in più rispetto a Rebecca e portava corti capelli biondi. I suoi occhi erano verdi e aveva una carnagione molto chiara. Lei e Rebecca erano amiche dai tempi della scuola ed erano sempre andate d’accordo. Daisy fumava come una ciminiera e Rebecca aveva più volte cercato di farla smettere ma senza troppi risultati. Daisy aveva solo diminuito.
L’amica al volante accese la radio; era solita viaggiare sempre con la musica ad alto volume e per Rebecca era assai strano che l’apparecchio fosse ancora spento, quindi non si sorprese molto quando sentì partire un CD dei Red Hot Chili Peppers.
CD che durò fino al loro arrivo al Grace, il locale dove anche Piper e Mulba le aspettavano.
Piper aveva i capelli rossi e neri e tutti la notavano soprattutto per il septum. Mulba invece era mulata e aveva una folta chioma riccia e scura e gli occhi color pece.
« Alla buon’ora! » esclamò la prima, agitando la sua pochette.
« Non guardate me, io ero puntuale! » precisò Rebecca, portando le mani avanti mentre scendeva dall’auto.
« Oh sì, sappiamo di chi è la colpa. » Mulba le si avvicinò e la circondò con le sue braccia. « Com’era Londra? »
Rebecca fece spallucce.
« Uggiosa. »
« Non ci hai portato nulla?! Nessun palazzo in miniatura, nessun autografo della regina visto che ti ha ingaggiata lei o cose del genere?! » sbottò Piper, la solita.
« Ero là per lavoro! Non stavo girando fra le bancarelle del mercato delle pulci, stavo cercando un attentatore alla famiglia reale. »
« Quindi neanche un Big Ben in miniatura? » mugolò Mulba.
Rebecca sospirò mentre Daisy chiudeva la macchina.
« E va bene, la prossima volta che parto vi porto un regalo. Adesso possiamo entrare che ho fame?! »
Piper applaudì gioiosa e tirò dentro Mulba.
Il Piper era un locale per accaniti fumatori e amanti dell’alcohol.
Rebecca ci andava solo con le sue amiche, mai da sola perché non le interessava ballare e bere tutta la notte. Ma ogni tanto poteva fare uno strappo alla regola e concedersi una serata di puro divertimento.
Serata che, tuttavia, venne presto interrotta.
Il suo cellulare prese a squillare quasi con insistenza, catturando la sua attenzione.
« Pronto? »
Dall’altro capo dell’apparecchio udì una voce agitata e innervosita dargli quasi degli ordini.
« Adesso?! »
« Sì, ora. »
Mulba e le altre si voltarono a guardarla mentre Rebecca si era già alzata in piedi e indossava la sua giacca, ancora con il cellulare attaccato all’orecchio.
Daisy aspettò che l’amica finisse la conversazione per domandarle cosa stesse succedendo.
« Il lavoro mi chiama. »
« Adesso?! »
« C’è stato un incidente a quanto ho capito ma penso mi spiegheranno tutto appena arrivo. »
« Vuoi un passaggio? » domandò Piper.
Rebecca scosse la testa.
« No grazie, prendo un taxi. Ci vediamo ragazze, scusatemi! »
Uscì velocemente dal locale e si avviò verso il primo taxi libero.
Bussò al finestrino finché l’autista aprì.
« E’ libero? »
L’uomo, un messicano con degli enormi baffi e uno stecchino in bocca, annuì lentamente e Rebecca salì nei sedili posteriori.
« Dove la porto? »
La ragazza tirò fuori la testa che aveva tuffato nella borsa alla ricerca del suo borsellino e fece mente locale.
« La casa di moda di Bill Kaulitz, grazie. »

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Rebecca bussò insicura alla porta targata “Bill Kaulitz” e poi qualcuno le disse di entrare.
Una cresta nera spuntava da dietro una poltrona nera. La ragazza si chiuse la porta alle spalle.
« Mi ha chiamato. »
La poltrona si voltò e comparve un Bill col volto nervoso e per niente tranquillo.
« Qui le cose si mettono male. » bisbigliò. « Hai sentito cos’è successo? »
Rebecca scosse la testa e attese che Bill continuasse a parlare.
Il suo ufficio era un rifugio di bozze e di scarabocchi vari. La scrivania era piena di fogli, gomme e matite colorate, le pareti tappezzate di scotch, puntine e cartoncini con modellini abbozzati e sugli scaffali che circondavano la stanza c’era ogni tipo di giornale di moda.
« Il lampadario è saltato giù. Durante la sfilata. »
Rebecca strabuzzò gli occhi, perplessa.
« Cosa?! »
Bill annuì con la testa.
« Proprio così. La sfilata si è trasformata in un vero fiasco, i giornalisti sono fuggiti e una modella si è ferita non lievemente. Adesso è all’ospedale. »
Il ragazzo si alzò e si avvicinò al caminetto, fissandolo.
« Tu sai che io non credo alle casualità e che voglio scavare a fondo nelle questioni, no? »
« Sì. »
« E’ per questo che ti ho chiamata. »
Avvicinò una mano ad una sfera di vetro trasparente e la fece voltare un poco in senso orario.
Il caminetto fece un rumore simile ad un terremoto e poi si voltò smuovendo una grossa quantità di polvere. Al suo posto, c’erano delle scale che andavano in un corridoio illuminato di blu.
Bill scese per primo e Rebecca lo seguì velocemente, senza fiatare.
Entrambi sapevano perfettamente dove conducevano quelle scale.
Dopo l’ultimo gradino arrivarono in una grossa stanza dove un secondo caminetto bruciava e scoppiettava e un’altra decina di persone si era riunita in gruppetti e parlavano fra loro. Quando Bill entrò nella stanza, si zittirono tutti. Aspettavano una sua parola.
Il ragazzo si sistemò al centro della stanza e li fissò uno ad uno.
« Io non penso che voi siate stupidi. Finora mi avete sempre aiutato, avete sempre svolto i compiti che vi ho assegnato e vi ho pagato con le dovute cifre. Il vostro lavoro è pericoloso e io lo so. Lo so bene. Fare la spia non è semplice. »
Fece una lunga pausa che passò lasciando scorrere lo sguardo su ogni viso presente.
« Non posso impiegarvi tutti, anche se stavolta sono io ad essere in pericolo. O meglio, la mia azienda. Ci sono volontari? »
Prima che qualcuno potesse rispondere, dalle scale sbucò un’altra figura.
Muscoli ben piazzati, il ragazzo indossava una canottiera bianca e dei jeans scuri oversize. In testa portava un berretto nero ma sulle spalle gli ricadeva qualche cornrows scuro. Gli occhi erano gli stessi di Bill.
« Tom. » lo chiamò quest’ultimo.
Il ragazzo fece dei passi avanti mentre la luce blu si rifletteva sul suo labret argentato. Rebecca lo guardò in modo sprezzante.
Lei e lui non erano mai andati d’accordo.
Bill adorava come Rebecca lavorava e per quello le assegnava sempre casi particolari, perché lui si fidava di lei. E Tom aveva iniziato a non sopportarla quando Bill aveva affidato a lei un caso che prima era suo. E per aumentare la sua antipatia, Rebecca l’aveva risolto in breve tempo, con pochi mezzi a disposizione e senza farsi del male. Anche se non si parlavano e non lo dicevano apertamente, fra i due era guerra.
Tom arrivò al fianco del ragazzo.
« Scusa il ritardo. »
Bill non gli rispose e spostò lo sguardo altrove.
« Allora? Nessun volontario? »
Tom incrociò le braccia sul petto e attese insieme al fratello.
Poi da un lato un ragazzo paffutello sollevò una mano.
« Gustav! » esclamò Bill.
« Posso usare i miei computer. »
Bill assottigliò gli occhi, pensando.
Certo, la tecnologia di Gustav era fondamentale per una missione di quel tipo. Non sapevano nemmeno chi aveva messo la trappola sul lampadario. Ma Gustav da solo non sarebbe mai riuscito a fare una cosa del genere. Serviva qualcuno in grado di maneggiare bene le armi, che sapesse travestirsi bene e che fosse abbastanza bravo nel suo mestiere.
Qualcuno come…
« Perfetto Gustav. Nessun altro? »
Nessuno si mosse e gli occhi di Bill vagavano da una parte all’altra. Poi si puntarono su una sola persona.
« Rebecca? »
Tom guardò prima Bill e poi la ragazza, perplesso.
« Io? »
« Sei brava, no? »
« E’ un caso impegnativo, non so se ci riuscirò da sola… » mormorò imbarazzata.
« Non sarai sola. Gustav ti aiuterà con i suoi computer. Insieme sono sicuro che sarete un’ottima squadra. E poi, nel caso ti trovassi in difficoltà posso sempre mandarti qualche rinforzo. »
Rebecca spostò lo sguardo sul pavimento. Non aveva scelta, doveva accettare.
Annuì con la testa senza guardarlo.
« Bene! » esordì Bill. « Perdonatemi per avervi disturbato. Se ci sarà bisogno di voi vi chiamerò. »
Rebecca si voltò per uscire.
« Quindi ora siamo una squadra? »
Al suo fianco era comparso Gustav, con i suoi occhiali rettangolari e i suoi corti capelli biondi.
« Immagino di sì. »
« Penso che il capo voglia che iniziamo subito a lavorare. »
« Non stanotte, credimi. »
« Sì certo non stanotte. »
Gustav si fermò più indietro e Rebecca pensò di esser stata un po’ fredda.
« Gustav, » lo chiamò. « tu hai la macchina? »
Il ragazzo sollevò lo sguardo e annuì con la testa.
« Mi potresti dare uno strappo fino a casa? »

Bill si risedette sulla sua poltrona mentre Tom misurava il suo ufficio a grandi passi.
« Fammi capire: hai messo l’azienda nelle mani di quella?! »
« Rebecca è una buona spia, sa come lavorare e io mi fido di lei, lo sai. »
« Oh certo, certo. E’ per questo che le hai passato la mia missione, no? »
Bill sbuffò e buttò la testa all’indietro, contro la poltrona.
« Ancora con questa storia?! Ti ho già spiegato i miei motivi. Era per metterla alla prova e come hai visto non era nulla di speciale. »
« Non mi interessa, quel caso era mio! »
« Suvvia Tom, ne troveremo un altro adatto a te, ora non piangere. »
Il fratello non rispose, continuando a camminare con il passo da elefante e a maledirsi per non essere fra gli agenti preferiti di Bill.
« Comunque continuo a non capire perché assegnarlo a lei. Un tipo come Viktor non andava bene? »
« Viktor non sa usare le pistole. Rebecca sì. »
« Allora Tamara. Lei le sa usare. »
« Tamara non sa nuotare. »
« C’è Fred. »
« Fred soffre di vertigini e non vuole volare. »
« Hai una squadra di handicappati dove l’unico agente decente è questa dannata Rebecca?! »
Bill socchiuse gli occhi, le tempie che iniziavano a pulsargli da quanti pensieri gli frullassero in testa.
« Rebecca sa usare le pistole, sa nuotare, non soffre di vertigini, non ha paura di volare, è intelligente, carina, fa degli ottimi travestimenti e con l’aiuto di Gustav non dobbiamo preoccuparci. Sono due menti favolose. »
« Mi fa piacere vedere che poni tutta la tua fiducia in lei e non in me. »
« Non si tratta di fiducia, Tom! »
Tom si allontanò verso la porta, seccato.
« Ah no? E di cosa si tratta allora?! »
Bill non rispose.
« Vuoi avere un caso? Vuoi salvare l’azienda? Bene, fallo. Mettiti pure in mezzo con Gustav, vai con lui già da stanotte se è necessario. Sei incaricato anche tu stavolta. Contento? »
« Non voglio un caso solo per pena. »
« No, è tuo. Ora non puoi più tirarti indietro, Tom. Vai pure e non tornare finché non hai qualcosa di interessante da dirmi a riguardo. »
Tom si voltò trattenendo un sorriso di vittoria e posò una mano sulla maniglia della porta.
« C’è una precisazione. »
Il ragazzo si fermò, attendendo.
« Ovviamente lavorerai anche con Rebecca. »

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La sveglia iniziò a suonare freneticamente e Rebecca si svegliò maledicendosi.
La spense buttandola a terra e gettò di nuovo la testa fra i cuscini.
Il lavoro chiamava.
Scese dal letto massaggiandosi la testa e si chiuse in bagno, concedendosi una doccia rigenerante.
Una camicia, un paio di jeans, una coda veloce, un filo d trucco e un caffè per colazione prima che il suono di un clacson arrivò fino alle sue finestre.
Aprì il videocitofono e vide il viso di Gustav semicoperto da un paio di occhiali da sole fissare dritto nella tele camerina e aprì il cancello.
Afferrò una borsa con dentro lo stretto necessario e poi aprì la porta d’ingresso, azionando l’antifurto.
Si voltò e scese i gradini dell’ingresso, fino ad arrivare al mezzo.
Gustav era sceso e teneva lo sportello aperto con una mano.
« Buongiorno! » salutò.
« Buongiorno. » ricambiò Rebecca aggiungendo un cenno della testa.
Fece per aprire lo sportello del passeggero affianco a lei ma Gustav scosse la testa.
« Dietro, ci sono i divani ed è più comodo. Ci sistemeremo in una piazza un po’ isolata che ho trovato ieri sera. »
Le si avvicinò e aprì lo sportello scorrevole.
Rebecca mise dentro un piede e un rumore continuo simile ad una mucca che ruminava ricopriva la stanza.
Sollevò lo sguardo e, seduto in fondo, affianco ad un computer, vide l’ultima persona che desiderava incontrare.
Tom la fissò per niente contento, con mezzo panino infilato nella mascella che gli allargava la guancia di tre volte la sua normale grandezza e l’altra parte del pasto stretta fra le mani.
« Ti avevo detto di non mangiare qua dentro, potresti rovinarmi le attrezzature! » lo rimproverò Gustav, seccato.
Spinse bruscamente dentro Rebecca e poi chiuse lo sportello, andando poi a sedersi alla guida.
« Lui cosa ci fa qui?! » domandò lei perplessa.
Gustav aprì la finestrella che dava alla loro parte del furgone e mise in moto.
« E’ con noi. »
Accelerò e Rebecca si trovò catapultata su un divano, mentre il mezzo sbandava.
« Cosa?! » sbottò. « Eravamo solo io e te! »
« Adesso ci sono anche io. » s’intromise Tom, ancora con la bocca piena.
Rebecca lo fissò stupita ma non aggiunse altro.
Tom Kaulitz avrebbe lavorato con lei. Non era ammissibile!
Non l’avrebbe sopportato, quel ragazzo gli stava sulle palle solo a vederlo.
Incrociò le braccia sul petto e poggiò la schiena sullo schienale del divano, restando in silenzio e attendendo che Gustav si fermasse.
Qualche minuto dopo il ragazzo accostò e parcheggiò davanti ad una piazza con solo qualche vecchietto ambulante e si intrufolò nel retro del furgone.
« Spero non abbiate saltato troppo ma la strada non era il massimo. » si scusò.
Poi si avvicinò al computer e ai suoi aggeggi tecnologici e si sedette su una sedia saldamente piantata sul fondo del mezzo, davanti a Tom.
« Sono riuscito ad avere i filmati delle videocamere di sorveglianza e ho trovato un video che potrebbe interessarci. »
Frugò un po’ nel computer e Rebecca gli si avvicinò non appena sullo schermo partì un video dove in primo piano si vedeva il lampadario che sarebbe servito per la sfilata.
Un ragazzo si avvicinò e posizionò una grande scala sotto di esso.
Indossava una tuta blu con un cartellino sulla sinistra e da una grande tasca sbucava fuori uno strofinaccio bianco.
Arrivò all’altezza del lampadario e si frugò nelle tasche.
Rebecca aguzzò la vista.
Quello che aveva tirato fuori non somigliava affatto ad uno spray per i cristalli. A dire il vero non si vedeva granché ma sembrava che il ragazzo stringesse una specie di insetto fra le mani, di medie dimensioni. Grande forse quanto una noce.
La attaccò sul lampadario e poi ripulì leggermente i cristalli.
Gustav fermò il video e si voltò verso la ragazza.
« Ho provato a zoomare sul viso di questo tipo ma non ci riesco, la risoluzione è troppo bassa. »
« Dovrò dire a Bill di mettere migliori telecamere. » borbottò Tom tornando a sedersi.
Rebecca si passò una mano sul mento, pensierosa.
« Hai provato invece a leggere cosa c’è scritto sul suo cartellino? »
Gustav scosse la testa e si voltò di nuovo verso l’apparecchio.
Fece un paio di manovre e poi l’immagine si allargò e si ingrandì sul cartellino.
Il video era leggermente più sgranato rispetto a prima ma si intravedeva qualche lettera.
« I.. N.. G.. R.. » lesse Rebecca mentre Gustav stampava la foto ingrandita.
« Ingr?! Non vuol dire niente! » sbottò Tom, stravaccato sul divano.
« Sono solo delle lettere. » rispose lei fulminandolo con lo sguardo.
Tom fece una smorfia mentre si voltava.
« Sappiamo qual è la ditta di pulizie dell’azienda? » domandò Gustav, come se non avesse sentito i due. O probabilmente non li aveva sentiti sul serio.
« La Clear&Clean. » rispose Tom accartocciando la carta del suo panino.
« Che fantasia! »
Gustav digitò il nome dell’azienda su Internet e tentò di cercare i nomi dei dipendenti ma per la tutela non ne trovò manco uno.
« Credo sia il caso di intrufolarsi come addetti alle pulizie. Potrei procurarvi degli abiti identici e fare dei microchip nel giro di qualche ora, così domani uno di voi entra e cerca di capire chi può essere questo INGR. »
Rebecca si risedette e annuì con la testa.
« Buona idea. »
« Bene! Ora scusatemi ma devo andare al bagno. »
Si alzò velocemente e scese dal mezzo, richiudendosi lo sportello alle spalle.
No. Lei era sola con Tom nel retro di un furgone che aveva le sembianze di un bunker da mafioso.
Voleva decisamente dargli un pugno in faccia per cambiargli quei connotati che in realtà scrivevano la parola “Faccia di merda”.
Tom si alzò e si sedette sulla sedia davanti al computer, iniziando a frugarlo.
« Lascia stare, non è roba tua. »
Si voltò verso Rebecca che era seduta a gambe accavallate.
« Non ho chiesto un tuo commento. »
« Il mio non era un commento. »
« E che cos’era, un ordine? »
« Esattamente. »
Tom scattò in piedi, arrivando quasi a toccare il soffitto del furgone.
« Chi ti credi di essere? Qua dentro non comandi tu! »
« Se è per questo non comandi nemmeno tu. » replicò lei. « Bill non aveva incaricato solo me e Gustav? Se non sbaglio una volta mi ha rifilato un caso che prima era tuo, forse perché non eri abbastanza capace. »
Tom fece un lungo passo in avanti e le andò vicino, puntandole un dito contro il viso.
« Bill ha più fiducia in me che in te, visto che stiamo parlando di mio fratello! »
Rebecca si alzò di scatto, dandogli una pacca secca alla mano e spostandola.
« Evidentemente non deve aver avuto così tanta fiducia per averla riposta in me subito dopo che tu hai iniziato il tuo lavoro! »
« Era solo per metterti alla prova! »
« E come ti spieghi il fatto che su 40 i casi, quelli che normalmente mi affida siano 30? Guadagnerei anche più di te se non fosse che probabilmente vai a fare lo gigolò in qualche sobborgo di Amburgo! »
Tom strabuzzò gli occhi e sentì una pentola d’acqua calda bollire nel suo cervello.
Stava per rispondere quando Gustav aprì di nuovo lo sportello.
« Ho interrotto qualcosa? » domandò bloccandosi.
« No. » rispose secco Tom.
Rebecca tornò a sedersi incrociando le braccia e accavallando di nuovo le gambe mentre Tom la inceneriva con la mente.
Gustav fece spallucce e rientrò.
« Piuttosto, portami da Bill. »
La voce di Tom era atona.
Gustav lo guardò un attimo.
« A-adesso? »
« Adesso. »

Tom sbatté violentemente la porta dell’ufficio del fratello, con il viso rosso dalla rabbia e le narici allargate.
« E’ successo qualcosa? » domandò Bill, sollevando lo sguardo dai suoi disegni, un paio d’occhiali da vista con la montatura rettangolare poggiati sul suo naso.
« Io con quella non ci lavoro! »
Bill sbuffò e roteò gli occhi.
« Ti rendi conto che mi ha dato del puttano?! »
Bill sommesse una risata e si nascose le labbra incurvate in un sorriso divertito dietro una mano.
« Non è divertente! » esclamò Tom esasperato.
« Fammi capire: lei ti sta sulle palle perché ti ha dato del puttano? »
« No, lei mi sta sulle palle a prescindere! »
« E perché? »
« Perché… » Tom smise di gesticolare e si bloccò. « Perché sì! »
Bill sospirò e si tolse gli occhiali.
« So che non riuscirò mai a farti cambiare idea, ma ci devi lavorare e se continui a fare il pavone e lo scassa minchia con lei, non riuscirete a combinare niente. Rebecca non si farà mettere i piedi in testa da te e Gustav esploderà a sentirvi sempre litigare. Piuttosto, avete scoperto già qualcosa? »
Tom incrociò le braccia sul petto.
« Nella ditta delle pulizie c’è qualcuno che ha messo la bomba. »
La mina della matita di Bill, perfettamente appuntita, si spezzò all’improvviso e lo stilista rimase in silenzio, con la schiena curva.
« Come scusa? »
Tom sciolse le braccia, lasciandole cadere sui fianchi.
« C’è un ragazzo, o almeno sembra un ragazzo, che ha messo qualcosa nel lampadario mentre faceva le pulizie. Questo poco prima della sfilata. »
Bill sollevò lentamente lo sguardo e fissò il gemello.
« Mi stai dicendo che negli addetti alle pulizie c’è il bastardo che ha messo Jolanda su una sedia a rotelle?! »
Tom guardò Bill sbigottito.
« Cosa?! Jolanda… ?! »
Bill lanciò via la matita e si passò una mano fra i capelli scompigliati, arruffandoli ulteriormente.
« Sì, Jolanda ha perso l’uso delle gambe, il lampadario le è caduto addosso e non c’è stato nulla da fare. Non potrà più sfilare. »
Bill era affezionato ad ogni singola modella ma sapere che Jolanda non avrebbe mai più toccato una passerella l’aveva quasi ucciso.
Tom si accorse dell’espressione malinconica del fratello e si pentì di essere entrato in quella stanza solo per lamentarsi.
Tossì imbarazzato.
« Mi dispiace. »
Bill fece spallucce.
« Ti lascio lavorare. »
Tom si voltò e uscì dalla stanza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il campanello suonò ripetutamente e Rebecca aprì la porta stringendo fra le mani il cellulare.
« Buongiorno! »
La testa di Gustav spuntava da oltre una tuta blu incelophanata e sul suo viso si era allargato un grosso sorriso.
« Gustav?! »
« Ti avevo detto che ti avrei portato la tuta per infiltrarti, no? »
« Oh. Sì, è vero. »
« Perciò eccola! »
Gliela porse quasi appiccicandogliela al naso.
« Devo metterla ora? »
« Certo! Prima iniziamo, meglio è! »
Gustav sembrava così entusiasta di quel lavoro che dirgli no sarebbe stato come privare un bambino della sua festa di compleanno.
« O-ok, va bene. Allora.. vieni, accomodati. »
Rebecca allargò l’apertura dell’uscio e fece passare Gustav che entrò nella casa e iniziò a guardarsi attorno, come un turista.
« Siediti pure, io vado a cambiarmi e se ti serve qualcosa da bere o da mangiare, trovi tutto in cucina, la seconda stanza a destra. »
Gustav annuì con la testa, ancora perso fra gli arredamenti dell’abitazione e Rebecca si chiuse in camera sua, studiando la tuta.
La tolse dalla busta e poi iniziò a spogliarsi per indossarla.
Nel frattempo Gustav si era concentrato a guardare i divani in pelle scura e i quadri appesi alle pareti.
Wow. Rebecca doveva essere proprio brava nel suo lavoro per guadagnare il tanto necessario da avere una casa di quel tipo.
Dopotutto, Gustav abitava in un appartamento. Ok, era un pentavano con una vista meravigliosa, ma niente a che vedere con la casa di Rebecca.
Era curata nei minimi dettagli, arredata minuziosamente e perfettamente in ordine. Non c’era uno spillo fuori posto.
La porta della camera da letto si aprì e Rebecca uscì con la tuta addosso.
« Direi che sembri proprio una di loro. » commentò Gustav, fermamente convinto. « Ho pensato che una S potesse andarti bene, ci ho visto giusto? »
« Direi più che giusto. »
Rebecca si avvicinò allo specchio del bagno e si sistemò un po’.
« Possiamo andare. »
Gustav uscì per primo e la fece sedere sul sedile del passeggero.
Bene, pensò lei: Tom non c’era.
Una seccatura in meno per iniziare meglio la giornata.
Gustav mise in moto e partì spedito verso l’azienda di Bill. Accese la radio e mise un CD dei Metallica. A giudicare da quanti ne aveva nel furgoncino, Rebecca dedusse che ne era appassionato.
Gustav era cresciuto con quel tipo di musica, la amava e non ne avrebbe mai fatto a meno. Era la sua adrenalina quotidiana.
« Ti ho mai detto che se non fossi diventato una spia, mi sarebbe piaciuto diventare un musicista? »
« Ah sì? »
Gustav annuì con la testa e iniziò a tamburellare con le dita sul volante.
« Adrenalina pura! »
Rebecca trattenne un sorriso divertito e voltò lo sguardo oltre il finestrino oscurato del furgoncino. Solo Gustav poteva passare da timido e impacciato a rockettaro sfegatato e Rebecca capì perché Bill l’aveva preso con sé, e non era solo per il fatto che fosse un genio con la tecnologia. Gustav era una lampadina che si illuminava in continuazione, aveva ogni cosa sotto il suo controllo e quando meno te lo aspetti, riesce a sorprenderti.
Passò un po’ prima che arrivassero all’azienda, e Gustav parcheggiò nel retro, cercando di nascondere il furgoncino da occhi indiscreti; l’edificio era circondato da un giardino con alti alberi potati che lo separavano dall’esterno.
Gustav prese una bustina trasparente e tolse fuori un auricolare, sistemandolo poi nell’orecchio di Rebecca e nascondendolo con i suoi capelli. Poi estrasse un altro aggeggio di dimensioni minuscole.
« Questa – disse tenendolo con due dita e mettendolo davanti agli occhi della ragazza – è una telecamerina che mi permette di vedere dove sei in qualsiasi momento e di collocare la tua posizione attraverso un piccolo radar che gli ho inserito. Una volta che sarai all’interno, ti darò le dritte per arrivare all’area addetti e poi farai il tuo lavoro. »
Rebecca annuì con la testa. Gustav le sistemò la telecamerina e poi alzò un dito in aria.
« Oh! Quasi mi dimenticavo! »
Si voltò di nuovo e frugò nella sua giacca, per poi tirare fuori un cartellino lucido con una foto di Rebecca ed il suo nome stampato sopra.
« E’ un cartellino di riconoscimento, ho cercato di farlo il più simile possibile ma tiralo fuori solo in casi disperati, ok? »
« Ok, va bene. »
« Bene, adesso puoi andare. Fai attenzione! »
Rebecca scese dal furgone, dirigendosi a passo svelto verso l’ingresso secondario.
La porta era chiusa ma pensò che forzarla un po’ sarebbe bastato per aprirla, così prese la maniglia e la abbassò. Ma la porta non si aprì.
Fece più forza e iniziò a spingere e tirare la maniglia sperando che la porta si aprisse, poi iniziò a dare spallate, una più forte dell’altra.
Fece un passo indietro e si lanciò contro la porta. Poi ne fece due e la colpì di nuovo con la spalla.
Nulla da fare.
Si guardò attorno ma non c’era niente che potesse aiutarla.
Tornò indietro di ben 10 passi e si decise a prendere la rincorsa. Se non avesse aperto la porta, si sarebbe rotta una spalla ma almeno ci aveva provato.
Espirò velocemente e poi iniziò a correre.
A qualche passo dall’entrata, la porta si aprì e Rebecca strisciò a terra, alzando un polverone e fermandosi a qualche centimetro di distanza dalla persona che le aveva aperto.
« Che diavolo ci fai qui?! »
Tom la guardò perplesso e solo allora Rebecca notò che aveva una tuta identica alla sua.
« Ti devo ricordare che ora lavoriamo insieme?! »
« Tu.. tu non eri con noi! Non eri nel furgone! »
Rebecca iniziò a gesticolare.
« Che ci facevo nel furgone se ero già in azienda?! » replicò Tom. « Dai muoviti, non ho voglia di perdere altro tempo. »
Si voltò e iniziò a percorrere il corridoio.
« Comunque la porta è blindata, perciò è inutile che prendi la rincorsa per darle spallate. Non sei un ariete medioevale. »
La ragazza grugnì e lo seguì chiudendosi la porta alle spalle.
« Vedo che vi siete trovati! » la voce di Gustav arrivò dritta alle orecchie di entrambi e Rebecca sussultò.
« Che cavolo… ?! »
« E’ Gustav. Sai, dall’auricolare?! »
Tom indicò l’apparecchio nel suo orecchio, spostando la piega della bandana verde che aveva in testa.
« Sì, certo che lo so! »
Rebecca lo superò con fare altezzoso e arrivò alla fine del corridoio che si diradava in altri due; uno a destra e uno a sinistra.
« Sinistra. »
Gustav parlò di nuovo e Rebecca vide la figura di Tom superarla e svoltare nel corridoio di sinistra.
« Di qua. »
Quanti schiaffi avrebbe voluto dargli? Parecchi.
Lo seguì stando alla larga finché Gustav parlò di nuovo indirizzandoli a destra.
« Tu che sei dell’azienda, non sai dove siano gli armadietti degli addetti? »
Tom scosse la testa.
« Io sto ai piani alti. »
« Oh, giusto giusto. »
Il ragazzo si fermò e si voltò a guardarla.
« Ascoltami una volta per tutte. Nemmeno a me piace collaborare con te e non credo di avertelo nascosto. Ma dobbiamo farlo, ok? Io non mi ritiro e penso che nemmeno tu lo faresti perché si parla di soldi e di fare buona figura con Bill che ripone in noi tutta la sua fiducia. Perciò evita di smerigliarmi i maroni e proviamo almeno a lavorare ignorandoci a vicenda, ok? »
Tom solo allora notò il taglio dei suoi occhi, che non aveva mai visto così concentrati su di lui. Nemmeno durante la lite sul furgoncino. Quella volta era così preso dalla rabbia che pensava di avere davanti a sé un muro. In quel caso però, aveva visto chiaramente gli occhi grandi di Rebecca. Occhi che, forse, nascondevano qualcosa dietro quella maschera di prepotenza.
La ragazza incrociò le braccia.
« Volete anche dei pasticcini?! »
Rebecca avrebbe voluto ribattere alla ramanzina di Tom, ma questo si voltò e riprese a camminare, privandola di qualsiasi possibilità di replica.
Dio quanto lo detestava!
« La terza porta a destra è quella della stanza agli addetti alle pulizie. Mi raccomando, siate veloci. Dovete solo leggere un nome. »
Tom contò le porte alla destra e poi aprì la terza.
La stanza era illuminata da lampade al neon e c’erano tre file di panche in legno. Per ogni lato, attaccati al muro c’erano degli armadietti grigi con delle targhette sopra.
Erano forse mille.
Tom sospirò, abbassando le spalle.
« Io vado a sinistra, tu a destra, ok? »
Si voltò ma Rebecca era già sparita a controllare i nomi. La ignorò e si allontanò verso sinistra.
Quella ragazza sembrava essere una bomba a mano. Più passava del tempo con lei meno la sopportava.
Dal canto suo, Rebecca pensava la stessa cosa. Tom era così presuntuoso!
Superò l’armadietto di una sua omonima e scartò tutti quelli femminili. A loro serviva un ragazzo.
Davanti a lei si apriva un serpente di armadietti grigi che trasmettevano ansia, considerando che il tempo a disposizione era davvero minimo.
Un Fred, un Oliver, un Paul, un Christian, un Udo.
Niente da fare, nessun nome che somigliasse a INGR.
Tom era così assorto nei suoi pensieri contorti da aver passato una fila di armadietti senza nemmeno guardarli.
Com’era possibile che…
Si fermò di botto e fece qualche passo indietro, leggendo un nome su uno degli armadietti.
« Quali erano le lettere? »
« INGR. »
Nell’armadietto davanti a lui apparivano esattamente le stesse lettere. Ma fra di esse, altre che formavano un nome ben preciso.
Ian Graf.
Tom prese l’anta dell’armadietto e la smosse un po’, il tanto giusto da far traballare tutta la fila facendo un casino.
Rebecca lo raggiunse.
« Che cavolo stai facendo?! »
Tom indicò la targhetta col nome.
« INGR. »
Lo sguardo di Rebecca si spostò da lui all’armadietto e boccheggiò.
« L’hai trovato?! »
No, non poteva essere vero. Tom doveva aver avuto una grossa botta di culo per riuscire a trovarlo così in fretta!
« Qualcosa non va? »
La domanda di Gustav suonava parecchio inutile visto che non potevano rispondergli, ma Tom si voltò e iniziò a scassinare l’armadietto.
« Che diavolo stai facendo?! Dovevamo solo leggere un nome! »
« Questo Ian Graf ha messo una bomba sul lampadario la sera della prima della nuova linea di mio fratello. Ti sembra che me ne stia con le mani in mano a leggere il suo nome a dire “Toh, eccolo qui”?! A causa sua una delle nostre migliori modelle non potrà più sfilare, perciò non mi limiterò ad annuire davanti a questa maledetta targhetta! »
Tom aveva continuato a smuovere l’armadietto e quando finì di parlare diede un calcio all’anta, piegandola.
Prese il ferro e lo tirò via con forza, allargando l’apertura.
Spostò lo sguardo dentro l’armadietto il tanto giusto da vedere scintillare qualcosa.
Infilò la mano fra le lamiere.
« Tom cosa stai facendo?! »
La mano di Tom tornò fuori con una collana scintillante poggiata fra le dita.
Si voltò e la fece penzolare davanti agli occhi di Rebecca, lo sguardo corrucciato e le labbra serrate.
« Sei contento ora?! »
« Questo – disse – non è altro che uno degli ultimi prodotti di Bill, uno di quelli della linea di gioielli che sta cercando di lanciare. E questa persona, questo pulitore di cessi, ce l’aveva nel suo armadietto. »
Rebecca si sorprese di vedere lo sguardo di Tom trasformarsi in quell’espressione.
Non lo conosceva, ma a giudicare dalla forma dei suoi occhi e delle sue sopracciglia che ricordavano dei tappeti persiani, non doveva avergli fatto piacere trovare quell’oggetto. La superò e uscì dalla stanza con la stessa forza di una tempesta. Rebecca lo seguì velocemente, ma Tom non stava andando da Gustav.
« Tom, che stai facendo?! Dove stai andando?! »
Non rispose.
« Hey dove cazzo state andando?! »
Tom superò una porta spalancandola, con Rebecca alle spalle.
Si infilarono velocemente in un ascensore e Gustav parlò di nuovo.
« Mi state prendendo per il culo?! L’uscita è dall’altra parte! »
« Ti sei rimbambito?! »
Tom ignorò sia la frase di Gustav che la domanda di Rebecca e appena l’ascensore si aprì, si fiondò sul corridoio tappezzato di rosso fino a spalancare la porta in fondo.
Bill sedeva sulla sua scrivania con un bozzetto in mano e una penna fra i denti.
Aggrottò le sopracciglia, guardando Tom che boccheggiava.
« Qualcosa non va? »
Il gemello tirò fuori la collana e la fece penzolare davanti ai suoi occhi, mentre Rebecca gli si avvicinava.
Bill poggiò sia il bozzetto che la penna sul tavolo e fece qualche passo in avanti.
« Dove l’hai preso? »
« Ian Graf. » espirò Tom, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente. « L’abbiamo trovato nel suo armadietto. Lavora nelle pulizie. »
Bill spostò lo sguardo dall’oggetto al viso di Tom e poi su Rebecca, che non aveva detto nulla.
Poi si voltò e prese velocemente il telefono.
« Maggie? Voglio parlare immediatamente con chiunque sia incaricato delle pulizie. No, non voglio un colloquio per gli orari, voglio cambiare ditta. Licenziarli, sbatterli fuori, definiscilo come ti pare. Entro stasera non voglio più vedere quella divise girovagare per la mia azienda, intesi? »

« Si può sapere che cavolo ti è preso?! » sbottò Gustav staccando tutte le apparecchiature.
Tom si lanciò sul divano.
« Dovevo dirlo a Bill. »
« Ed era necessario correre come un forsennato?! »
Fece spallucce, senza guardarlo.
« Bill ha deciso di cambiare ditta di pulizie. » si intromise Rebecca.
Gustav sbuffò.
« Bene, adesso dovremo fare il doppio del lavoro per ritrovare questo simpaticone di.. come si chiama?! »
« Ian Graf. »
« Ian Graf. Che nome di merda. »
« Sappiamo il nome, sei bravo al computer e su, cerca qualcosa! » lo incitò Tom.
« Non posso mica digitare il nome sul primo motore di ricerca che trovo! »
Mentre Gustav pronunciava la frase, aveva già scritto il nome al pc e questo stava lavorando.
Tom si mise bene a sedere.
« Ringrazia che ho i dati dell’azienda. »
La faccia di Ian, con un’espressione attonita, fissava con insistenza tutti e tre i presenti.
Gustav spostò il mouse un po’ più in basso ed evidenziò i dati anagrafici e più importanti di Ian. Compreso il luogo di provenienza.
« Bingo! » esclamò Tom.
« Gustav, tu sei un genio! » commentò Rebecca, sorpresa dal lavoro del ragazzo.
Lui arrossì un po’ sulle gote e fece un cenno distratto con la testa.
« Grazie Rebecca. »
La ragazza gli posò una mano sulla spalla, facendolo voltare e allargò un grosso sorriso.
« Chiamami Becky. »
Tom si voltò di scatto e trattenne goffamente una risata.
« Mi dispiace interrompere le vostre smancerie, ma dobbiamo organizzarci per capire chi diavolo è questo tizio. »
Lo sguardo di Rebecca saettò sul viso del ragazzo che lo sostenne tranquillamente.
« Sentiamo, cosa avresti in mente? »

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Gustav suonò il campanello una seconda volta e attese battendo prima un piede e poi l’altro per terra.
Aspettò un po’ e poi bussò, con scarsi risultati.
« Oh andiamo, la casa è vuota! »
Tom sbucò da un cespuglio là dietro e allargò le braccia, facendo sbuffare Gustav.
« E va bene, ho capito che vuoi scassinarla a tutti i costi! »
Il ragazzo si frugò nelle tasche del giubbotto e si avvicinò velocemente alla porta, tirando fuori una forcina.
« Wow, che metodi all’avanguardia! »
Tom ignorò il commento seccato di Gustav e si chinò sulla toppa dell’uscio.
Infilò la forcina e iniziò a muoverla da una parte e dall’altra, corrugando la fronte.
Uno scatto, poi un altro e la porta si aprì. Tom si voltò verso Gustav rigirandosi la forcina fra le dita e un ghigno comparve sul suo viso.
« Dicevi? »
Gustav lo fulminò con lo sguardo e lo superò dentro l’abitazione.
I muri erano color crema e l’arredamento riprendeva lo stile etnico.
C’erano quadri in ogni stanza, lampade dalle forme inimmaginabili e un corridoio che partiva dal soggiorno e portava ad altre tre stanza.
Il salone era abbastanza grande, con un divano bianco al centro della sala, un tavolino in legno scuro davanti ad esso e una TV spenta messa in un angolo.
Oltre il corridoio c’era una porta chiusa, una stanza dove si intravedeva un lavandino e un’altra stanza ben illuminata dove si scorgeva chiaramente una cucina.
« Io controllo in cucina, tu dai un’occhiata qui. » disse Gustav, allontanandosi nel corridoio.
Tom si diede una scrollata al giubbotto e poi si guardò attorno.
La stanza era abbastanza illuminata anche se nelle finestre c’erano delle tende scure.
Tom mosse qualche passo in avanti e si avvicinò ad un ripiano, scrutandolo attentamente.
Un piccolo vaso di chissà quale posto, polvere e un piccolo centrino bianco.
Allungò una mano incuriosito dalle decorazioni del vaso e ne accarezzò la superficie. Forse con un po’ troppa forza, perché il vaso barcollò quasi fino a cadere e Tom si cagò letteralmente addosso.
Fortuna che Gustav non l’aveva visto, sennò Dio solo sapeva quante ramanzine gli avrebbe rifilato.
Si assicurò che il vaso fosse in una posizione stabile e si spostò con cautela, avvicinandosi al divano.
Su un braccio c’era un telecomando nero e sul tavolino un posacenere con delle cicche di sigaretta e, affianco ad esso, un giornale con la programmazione televisiva della sera.
Nulla di interessante, si disse con una scrollata di spalle.
« Tom. »
Gustav lo chiamò dalla cucina e il ragazzo si fiondò con la stessa delicatezza di una mandria di zebre in fuga da un leone.
« Che c’è? »
« Conosci questo indirizzo? »
Gustav stava fissando con insistenza un post-it giallo attaccato sul frigorifero e circondato da diverse calamite di pesci e animali tropicali.
Tom gli si avvicinò e lo lesse.
Le sue pupille si dilatarono così tanto da imprimergli l’immagine di quel foglietto come un marchio a fuoco.
« Lo conosci? » Gustav si voltò e vide la sua espressione sbarrata.
Tom indicò il foglietto e iniziò a muovere la mano con nervosismo.
« Questo.. questo è l’indirizzo di casa di Bill! »
Iniziò a tremare e indietreggiò, andando a sbattere contro il tavolo al centro della stanza.
« Ne sei sicuro? »
Tom annuì freneticamente con la testa.
Gustav lo prese per un braccio e lo tirò fuori da quella casa, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Risalì velocemente sulla sua macchina e Tom si sedette al posto del passeggero, mentre tirava fuori il cellulare e cercava il nome di Bill nella rubrica.

« Rebecca, io mi fido di te. E voglio che tu sia sincera. »
La ragazza annuì e lui fece il giro della scrivania, poggiandosi poi col fondoschiena su di essa.
« Abbiamo solo trovato la collana e Tom è corso qua. »
Bill scosse la testa.
« Non mi riferivo a quello. Mi riferivo a te e Tom. »
« Oh. »
Rebecca scrollò le spalle, con fare disinvolto.
« E’ tutto nella norma. »
« So che non andate d’accordo. Lui me ne ha parlato. »
« Cos’ha fatto?! »
« Tranquilla, conosco il carattere di mio fratello così bene da poterne prevedere le azioni in ogni singolo momento. » mormorò prendendo dal tavolo il suo pacchetto di Lucky Strike. Lo aprì e prese una sigaretta. « E non è una cattiva persona. »
« Non l’ho mai pensato. » si affrettò a dire la spia, mentre Bill avvicinava la sigaretta alle labbra e la accendeva.
« Ogni tanto diventa rompipalle, ma dipende da come lo prendi. Ha bisogno di fidarsi e… »
Il cellulare iniziò a squillare e Bill dovette fermarsi. Socchiuse gli occhi e tirò fuori l’apparecchio dalla tasca.
« E’ Tom, scusa un attimo. »
Si portò il cellulare affianco all’orecchio e non fece nemmeno in tempo a rispondere.
« Dove sei? »
Bill quasi trasalì dal tono che aveva usato il gemello.
« In azienda, perché? »
« Non muoverti di lì, sto arrivando! »
Bill non riuscì a rispondere che Tom aveva già chiuso la chiamata.
Rebecca lo fissò interrogativa ma l’espressione di Bill mostrava chiaramente un uragano di domande. Tante forse quanto le sue.
« Lui e Gustav erano insieme, giusto? »
« Sì, dovevano andare a casa di Ian Graf. »
Bill tornò dietro la scrivania e si sedette.
« Ha detto che sta arrivando. »
Quando pronunciò quella frase, dal parcheggio si udì lo sgommare di una macchina. Bill si alzò di scatto dalla sedia e guardò dalla finestra. Riconobbe la vettura di Gustav e attese.
Tom entrò spalancando le porte e col fiatone.
Rebecca lo guardava perplessa.
Circa cinque secondi dopo, lo raggiunse anche Gustav.
« Potevi anche aspettarmi al posto di farmi fare le scale! »
« Abbiamo un problema. » lo ignorò Tom, rivolgendosi direttamente a Bill.
Questo gli si avvicinò.
« Che tipo di problema? »
Tom si lasciò cadere sulla poltrona lì vicino, sganciandosi il giubbotto.
« Sa dove abiti. » espirò. « Abbiamo trovato un foglietto con il tuo indirizzo. »
Bill aveva già la mano pronta sul telefono.
« Allora è me che vuole. »
Gustav annuì ma nessuno, oltre Rebecca, lo guardò.
« Ma chi cazzo è questo dannato Ian Graf?! »
« Sei sicuro di non conoscerlo? » domandò la ragazza.
Bill scosse la testa.
« Mai sentito. »
« Non ha mai fatto qualcosa per diventare modello o magari ti ha fatto un favore e non l’hai ripagato a dovere? »
Bill sollevò lo sguardo verso Rebecca.
« Io non sapevo nemmeno gli orari della ditta di pulizia! » si giustificò.
Tom si mise bene a sedere.
« Chiama la polizia, digli di controllare casa tua. Io non mi fido a lasciarti andare lì da solo. »
Bill alzò la cornetta del telefono e avvertì la polizia.
« La linea potrebbe aver suscitato delle gelosie. » suggerì Gustav, parecchi minuti dopo.
Tom si era versato da bere nei lindi bicchieri di cristallo che stavano nell’ufficio di Bill. Quest’ultimo temperava continuamente la matita. Rebecca era poggiata alla finestra, le braccia incrociate sul petto.
Bill aveva avvertito la polizia e loro si erano immediatamente mossi verso casa sua. Gli avevano promesso una telefonata nel caso avessero trovato qualcosa, ma ancora non si erano fatti sentire.
Tom beveva un bicchiere ogni 2-3 minuti e non era nemmeno pienamente sicuro di cosa stesse bevendo.
Sapeva solo che il sapore era buono e gli piaceva.
« Non avete trovato altro in quella casa? » domandò Rebecca ignorando l’osservazione di Gustav e rompendo il lieve silenzio che si era creato, interrotto solo dal tracannare di Tom.
Gustav fece spallucce, desolato.
« Siamo usciti subito. »
« Capisco. »
Bill batté il temperino sulla scrivania.
« Non posso stare qui immobile ad aspettare la telefonata di un poliziotto. » sbottò.
Si alzò e fece il giro della scrivania.
« Dove stai andando? » lo assalì Tom, mollando il bicchiere sul tavolino e seguendo il fratello con lo sguardo.
« Dò solo un’occhiata in giro per vedere se le modelle hanno problemi, come va la riproduzione dei bozzetti e se ci sono altri tipi di difficoltà. L’azienda è più sicura di casa mia, a questo punto. »
Tom sapeva che non poteva fermare Bill, perché quando questo si metteva in testa un’idea niente e nessuno riusciva a fargliela cambiare.
« Ti ricordo che è partito tutto da qui. » fu l’unica cosa che disse, prima che Bill aprisse la porta per sparire dietro di essa.

Gustav misurava la stanza a grandi passi, Tom aveva deciso di poggiare i piedi sul tavolino e Rebecca puntellava con la matita super temperata di Bill, seduta sulla sua poltrona.
« Io non capisco, sul serio. »
Gustav e Tom sollevarono lo sguardo verso Rebecca, che aveva parlato.
Lei li fissò uno ad uno e poi allargò le braccia.
« Una persona mai vista e mai sentita che improvvisamente decide di farti fuori. »
Tom tolse i piedi dal tavolino e si sedette composto, sistemandosi poi il colletto della camicia a quadri neri e blu che indossava, mentre Gustav riprese a camminare in lungo e in largo.
« E’ quello che mi domando anch’io. » disse poi. « Mi sembra alquanto strano. »
« Bill dice di non conoscerlo. » gli ricordò Tom, puntato a difendere il fratello.
« Ma Ian conosce lui. » ribatté Rebecca.
« Chi nel mondo non conosce Bill?! E’ uno dei più famosi stilisti del millennio, ci manca poco che sostituiscano la statua della Libertà con una sua! »
Gustav roteò gli occhi, lasciando perdere la frase di Tom.
« Ian potrebbe essere chiunque. Anche una spia come noi. »
« Io non credo che in quella casa non ci fosse nulla. » protestò Rebecca, poggiando la schiena sulla poltrona.
« Potrebbe avere un’altra abitazione. Io ne ho tre. » disse Tom.
Gustav lo guardò. Era solo lui il demente ad avere un appartamento?!
« Se non è una spia potrebbe essere un serial killer. » continuò Rebecca, seguendo il filo ipotetico di Gustav.
« Serial killer ingaggiato da chi? » domandò quest’ultimo.
La ragazza fece spallucce.
« Concorrenza, nemici d’infanzia, qualche ex ragazza o semplicemente una stalker, un pazzo schizzato di mente, un alieno. Chiunque. Nessuno resta vivo se hai i soldi per farlo ammazzare. »
Gustav si passò una mano sul mento, pensieroso, e poi si sedette sulla poltrona che aveva occupato anche prima.
« Ma Ian ha fatto cadere il lampadario addosso ad una modella di Bill. »
Tom si mise bene a sedere, seguendo quell’incontro di cervelli.
Rebecca annuì con la testa.
« E noi l’abbiamo scoperto. »
Tom inarcò le sopracciglia, non capendo. Rebecca prese di nuovo in mano la matita e iniziò a spiegare la sua teoria facendo disegni immaginari nell’aria.
« Lo scopo di Ian era quello di far fallire Bill come stilista e così ha attaccato la sua ultima premiere. Ma poi noi abbiamo scoperto che era stato lui ad architettare il tutto e così Bill ha deciso di cambiare azienda di pulizie. Ian ha perso l’unica opportunità che aveva per realizzare il suo piano. A quel punto ha deciso di farlo direttamente fuori. »
Gustav sembrò andare d’accordo, ma Rebecca continuò il suo discorso.
« Oppure, qualcuno l’ha pagato per fare questo. Se Bill davvero non conosce questo Ian Graf, non vedo altre alternative più allettanti. »
« E se “Ian Graf” fosse solo una copertura? » domandò Tom.
Gli sguardi di Rebecca e Gustav si posarono su di lui.
« Se Ian Graf non esistesse e fosse solo un nome a caso? »
« Impossibile, era nell’archivio degli addetti alle pulizie. » protestò Gustav.
« Quante volte ci siamo infiltrati con nomi falsi?! »
Nessuno ribatté e Tom si mise meglio a sedere, riordinando le idee.
« Abbiamo quattro alternative: Ian è pazzo e vuole fare fuori Bill; Ian è stato pagato da qualcuno per fare fuori Bill; Ian non esiste; Ian è una copertura per il vero pericolo di Bill. »
« Cioè un bersaglio per attirare l’attenzione su Ian mentre il vero assassino resta coperto? » domandò Rebecca.
« Esatto. »
Gustav sospirò.
« Siamo punto e a capo, sembra che sia un vicolo cieco. »
« Più che un vicolo cieco direi un incrocio con troppe strade e solo una è quella giusta. » lo corresse Tom, che si sentiva potente per aver fatto un ragionamento in grado di aver attirato la loro attenzione. E in grado di avergli incasinato ulteriormente il cervello, ovviamente.
Rebecca si passò una mano sul viso.
« L’unica cosa certa sembra solo che Bill debba fare attenzione. » continuò Gustav, e nessuno ribatté.
« A proposito, dov’è? Non è ancora tornato. » constatò Rebecca.
Tom sembrò risvegliarsi da un sonno profondo e si guardò attorno, irrequieto.
Fece per alzarsi quando il telefono sulla scrivania squillò.
Lo guardarono tutti e tre ma nessuno ebbe il coraggio di prendere la cornetta.
« Sei suo fratello, rispondi tu! » fece Gustav, incitando Tom.
Questo avvicinò la mano alla cornetta e poi la tirò su, avvicinandosela al viso.
« Pronto? »

« Una bomba?! »
La segretaria si voltò e osservò Bill da capo a piedi.
« Fai piano! » lo rimproverò il gemello.
Bill era sbiancato e poi era diventato viola dallo spavento.
« Mi stai dicendo che questo tizio è entrato in casa mia e ci ha messo una bomba?! »
Tom annuì con la testa e poi prese Bill per le braccia.
« Rebecca e Gustav sono già andati per cercare qualcosa ma tu devi stare calmo e non agitarti come tuo solito. Puoi venire a dormire da me, ok? »
Bill non rispose e guardò altrove.
« Che sta succedendo, Tom? Chi è questa persona, cosa vuole da me e perché? »
Tom si limitò a guardarlo e non riuscire a rispondergli fu come ingoiare un boccone amaro.
Era sicuro che Bill non conoscesse quella persona, perché non gli aveva mai mentito in tutta la vita.
Ma non sapeva perché Ian ce l’avesse con lui e voleva scoprirlo. Ad ogni costo.
Rebecca e Gustav erano già arrivati a casa di Bill e stavano alle spalle dei poliziotti, cercando di non toccare nulla e di non creare fastidio.
« Una bomba! » continuava a ripetere Gustav, rimettendosi ogni tanto a posto gli occhiali.
Il discorso che aveva fatto nell’ufficio di Bill risuonava ancora nella mente di Rebecca.
Perché Ian faceva tutto quello?
Le opzioni di Tom non sembravano essere poi tanto sbagliate, ma la verità pareva ancora nascosta e difficile da trovare.
La casa di Bill era circondata da un giardino e sembrava difficile entrarci, soprattutto a causa dell’allarme che Bill si era premurato di installare.
Rebecca osservava tutto con estrema attenzione, badando di non tralasciare nemmeno un particolare e di fotografarlo mentalmente.
C’era qualcosa, in tutta quella storia, che non la convinceva.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Bill prese il suo bagaglio a mano e scese dal jet con un paio di occhiali da sole, mentre alle sue spalle Gustav litigava con il suo zaino.
Tom aveva insistito così tanto che alla fine Bill aveva ceduto e aveva portato a Parigi per una sfilata di moda anche lui, Gustav e Rebecca.
Quest’ultima uscì dal jet tirandosi indietro i capelli e alle sue spalle sopraggiunse Tom, superandola in altezza.
« Ti spiace scendere? Sai, mi ostruisci il passaggio. »
Rebecca voltò lo sguardo e lo vide con due borse, una per mano e gli occhi puntati su di lei.
Tom giurò che lei gli avrebbe fatto lo sgambetto e che gli avrebbe risposto a tono, ma Rebecca si spostò e gli fece spazio per scendere dalla scaletta.
Tom inarcò le sopracciglia e la fissò qualche secondo ancora, finché lei gli fece segno di scendere.
« Grazie. »
Non sentì risposta e si affrettò ad arrivare giù.
Bill era già entrato nell’aeroporto e parlava animatamente in francese al telefono.
Attese l’arrivo di Rebecca e di Tom e poi uscì, scortato da qualche bodyguard. La folla non era tanta ma Bill passò spedito e uscì, entrando poi in una limousine nera.
Lo seguì Gustav, poi Tom e infine Rebecca.
« Ritzt Carlton. » disse Bill all’autista e quello partì quasi subito.
« Non sono mai stato a Parigi! » commentò euforico Gustav. « Com’è? »
Bill si accese una sigaretta, fregandosene del fumo.
Poi fece spallucce.
« Romantica, come dicono tutti. Piena di luci, di attività e di consigli. Il posto ideale per schiarirsi le idee. »
Gustav cercò di guardare fuori, ma i vetri oscurati gli facevano vedere ben poco.
« Per quanto riguarda la sfilata », continuò poi Bill « non voglio nessuna interruzione di alcun tipo, intesi? Per me è molto importante parteciparvi. ».
« Quindi se stanno per spararti dobbiamo lasciarli fare? » lo stuzzicò Tom.
Bill lo fulminò da oltre gli occhiali e poi se li sfilò.
« Il punto è che nessuno deve avvicinarsi a me. E’ chiaro il concetto? »
Tom odiava quando Bill gli dava degli ordini. Ma era a lui che doveva tutto quello che aveva. Così voltò semplicemente lo sguardo e incrociò le braccia, mentre il gemello si rimetteva gli occhiali, nascondendo il suo viso completamente struccato.

Tom era sceso alla reception perché una valigia di Bill era stata smarrita all’aeroporto ed era arrivata in quel momento. Ovviamente Bill non poteva scendere a prenderla perché si stava preparando per la sfilata, anche se era uno spettatore. Dal canto suo, Tom era già pronto dentro uno smoking che Bill aveva confezionato su misura per lui. L’aveva obbligato a indossarlo ma nonostante le ripetute proteste, Tom aveva dovuto cedere.
E così si trovò a litigare con la valigia di Bill che sembrava contenere un elefante. E quell’abito di sicuro non aiutava. Tom era così abituato ad usare abiti larghi che stare dentro quel paio di pantaloni stretti e dentro quella giacca gli riusciva molto difficile.
Prese la valigia di Bill con entrambe le mani sperando che le cuciture della giacca non si rompessero e se la caricò addosso, avviandosi poi verso l’ascensore, fra un’imprecazione e l’altra.
Una volta chiamato l’ascensore, poggiò il bagaglio a terra e attese che quello arrivasse dal quindicesimo piano, sistemandosi nel frattempo le maniche del completo.
Sollevò lo sguardo e, per poco, gli occhi non gli uscirono dalle orbite.
L’aveva lì, a qualche metro da sé.
Ian Graf.
Sussultò leggermente e si appiattì sul muro, sperando che Ian non decidesse di prendere l’ascensore.
Sbirciò un poco e lo vide affiancato da un’altra persona.
« Ho capito. » fece il bastardo.
« Non voglio avere nessuno tra i piedi, intesi? Nessuno. »
Fu la persona affianco ad Ian a pronunciare la frase e Tom dedusse fosse un maschio.
Deglutì a fatica, disagiato, e prego con tutta la sua poca fede che l’ascensore arrivasse il prima possibile.
Sollevò lo sguardo verso il piccolo monitor.
Decimo piano.
Si avvicinò ulteriormente al muro, quasi sperando di diventarne parte e sentì i passi dei due farsi sempre più vicini.
Poi si fermarono.
« Nessuno deve sapere che ci sono in mezzo io, ok? Tu tieni fuori quel ficcanaso del fratello e io mi occuperò personalmente di Bill. »
Tom strinse i denti a labbra serrate e chiuse la mano destra in un pugno.
« Va bene. »
Li sentì riprendere a camminare, ma l’ascensore era ancora su.
Ricacciò una bestemmia mentre l’ascensore affianco si apriva e due signore vestite in abito elegante uscivano parlando in una lingua simile al russo.
Tom fece strisciare velocemente la valigia e la spinse con un calcio dentro l’ascensore, per poi chiuderlo velocemente e schiacciare il tasto del quinto piano.
Poggiò la testa sulla parete in legno e chiuse gli occhi.
Ian era anche lì. Ringraziò il cielo o chiunque altro per aver fatto sì che Bill li portasse con sé.
L’ascensore si aprì al terzo piano e Tom traballò, preso alla sprovvista.
Poi riconobbe Gustav che lo guardava perplesso mentre si sistemava gli occhiali.
Tom lo prese per il lembo dell’abito scuro che anche lui indossava e lo tirò dentro l’ascensore, affrettandosi a chiuderlo.
« Vedo che anche tu sei già pronto. Dovevo andare da Beky, non pensavo di.. »
« Senti un po’. » lo zittì Tom che aveva smesso di ascoltarlo appena aveva sentito il nome Beky. « Si dia il caso che il signor Ian Graf il quale stiamo spiando in ogni maniera ci venga possibile, è qui a Parigi, nel nostro stesso albergo, in questo preciso istante! »
Gustav spalancò gli occhi da oltre la montatura quadrata che reggeva sul naso ma Tom si affrettò a dire il pezzo forte, prima che parlasse.
« E non era solo. »
L’ascensore si aprì e uscirono mentre Tom si caricava addosso la valigia e Gustav lo seguiva perplesso.
« Stava parlando con qualcuno, non ho la minima idea di chi fosse perché non l’ho visto. Mi sono nascosto per paura di essere scoperto. »
« Che si son detti? »
« Il secondo ha detto che non mi vuole fra i piedi. Che vuole fare fuori Bill. Avevo ragione io, Ian è solo una copertura! »
Gustav lo guardò ancora più perplesso di prima, finché arrivarono davanti alla camera di Bill.
« Io devo andare da Rebecca. » disse Gustav mentre Tom poggiava la valigia di Bill in terra e si preparava a bussare.
Lo guardò con la coda dell’occhio.
« Non si sa vestire da sola? »
« No, deve sistemarmi la cravatta. »
Tom voltò il viso verso Gustav che si rimise gli occhiali a posto, per la quindicesima volta in un minuto.
Non rispose e gli fece cenno di andare via, mentre bussava alla porta di Bill.
Bill che si presentò con tre matite diverse in mano e un trucco da far invidia ai modelli della serata.
« Oh, eccoti finalmente! »
« Fammi entrare, spostati. »
« E’ successo qualcosa? »
Bill si scansò e Tom lanciò la valigia dentro la stanza.
« Hey fai piano! »
« Ian è qui. »
Bill si irrigidì e guardò Tom.
« Scusa?! »
« Non so come abbia fatto a sapere che anche noi siamo qui. Ma una cosa è certa: non è da solo. »
« Come non è da solo?! »
Bill lasciò cadere una matita sulla moquette rossa della stanza.
« Non è da solo! C’è un altro tizio con lui ma non so chi sia, non l’ho visto. Ero nascosto. »
Bill si passò una mano su un fianco, poi si chinò per prendere la matita e iniziò a sbuffare, dirigendosi verso il bagno.
Tom lo seguì ma Bill si chiuse dentro. Il fratello si sedette sul suo letto.
« Hai almeno sentito cosa si son detti? »
Tom annuì con la testa, anche se Bill non poteva vederlo.
« Il tizio ha ordinato a Ian di tenermi impegnato. A quanto ho capito voleva occuparsi lui personalmente di te. »
« Personalmente di chi?! Ma stiamo impazzendo?! Avevo detto che non volevo casini almeno questa sera! » sbraitò Bill da dentro il bagno.
« E io che posso farci?! L’ho scoperto solo ora! »
Bill grugnì e poi imprecò, prima di aprire la porta e uscire con un’espressione poco rassicurante dal bagno.
« Cosa dobbiamo fare? »
Bill rimase immobile e inspirò profondamente.
Poi abbassò le spalle.
« Andiamo, faremo tardi. »
Bill si avviò verso la porta quando qualcuno bussò e Tom si affrettò a raggiungerlo. Lo prese per un braccio e lo bloccò.
« Apro io. »
Bill lo lasciò fare e il gemello aprì la porta della camera.
Rimase qualche istante imbambolato come se qualcuno l’avesse pietrificato e non sbatté nemmeno gli occhi.
Il fratello lo vide paralizzato e fece capolino.
« Oh Rebecca! »
La ragazza spostò lo sguardo da Tom a Bill e lo fissò velocemente da capo a piedi, per poi curvare le sue labbra rosse in un sorriso.
« Dov’è Gustav? »
« Lui… »
« Eccomi! »
Il paffutello arrivò di tutta fretta sistemandosi qualcosa nella tasca della giacca e poi sorrise a tutti e tre.
Che si stesse rimettendo a posto gli occhiali è scontato.
« Andiamo? »
Bill annuì con la testa e superò Tom, iniziando a percorrere il corridoio.
Lo sguardo di Tom non si era allontanato un istante dal viso di Rebecca.
I suoi capelli erano raccolti ma il suo viso era diverso. Quel rossetto rosso catturava lo sguardo di Tom e quegli occhi marcati da quel profondo ma semplice trucco la rendevano ancora più misteriosa di quanto lui avesse pensato potesse essere.
Rebecca si dileguò velocemente mente Gustav si fermava ad aspettare Tom. Questo si affrettò a chiudere la stanza.
« Allora? » domandò Gustav. Tom lo guardò.
« Cosa? »
La testa di Gustav dondolò verso la figura di Rebecca che fluttuava sui suoi tacchi e dentro quel lungo cappotto bordeaux.
Tom guardò Gustav perplesso e fece un gesto fugace con la mano mentre seguiva il gemello.

Bill si guardava attorno con ansia. Il timore di sentire una pallottola attraversargli il cervello aveva iniziato a tormentarlo da quando era arrivato nella hall dell’albergo.
Tom era al suo fianco, poi c’erano Rebecca e Gustav.
Gustav si era preoccupato di raccontare a Rebecca quello che Tom gli aveva riferito e lei non si era espressa. Aveva solo metabolizzato e assorbito tutto quanto.
Ma in quel momento, a quella sfilata, in mezzo a tutta quella gente, la paura di essere attaccati e scoperti aumentava in continuazione.
Le luci si abbassarono e la sfilata iniziò in un tripudio di flash e applausi.
Gli abiti catturarono quasi subito l’attenzione di Bill che teneva sempre la guardia alta.
Tom era immobile.
Da una parte suo fratello indugiava sui vestiti che sfilavano davanti a lui, dall’altra Rebecca si contorceva da una parte all’altra controllando la situazione.
Tom notò che aveva ancora il cappotto. Non che gli importasse sapere com’era vestita là sotto, non gli era mai importato nulla degli abiti femminili.
Ma alle sue narici arrivava una lieve scia di profumo che confondeva i suoi sensi e lo distoglieva sia dalla sfilata dal controllare che Bill non fosse preso di mira da chissà quale cecchino.
Rebecca catturava gran parte della sua attenzione più di quando lui potesse ammettere.
Gustav, dalla sua postazione, non aveva minimamente preso in considerazione la sfilata e faceva zigzagare gli occhi da una parte all’altra, assicurandosi che fosse tutto a posto.
Tom non capì quanto tempo era passato quando Bill iniziò a battere le mani entusiasta. Lo imitò notando solo allora che la sfilata era giunta al termine e Rebecca al suo fianco si affrettò ad alzarsi in piedi e a chiedere a Gustav di farla passare.
« Dove vai? » le domandò.
La ragazza non rispose e si dileguò velocemente. Tom guardò Gustav interrogativo ma quello non gli rispose.
« Stai con Bill. »
Tom si alzò dal suo posto e cercò di seguirla.
La gente attorno a lui si stava sistemando per raggiungere il buffet ma lui cercò lo stesso di districarsi come meglio gli riusciva.
La stanza principale del palazzo era già stata imbandita con dolci e ogni tipo di pietanze e c’era già chi si stava abbuffando. Tom si fermò e cercò Rebecca con gli occhi.
La vide in un angolo che si guardava attorno e la raggiunse.
« Si può sapere che stai facendo?! » la aggredì.
Lei trasalì e lo guardò perplessa.
« Tom! »
« Sì, sono Tom! Sbaglio o dovevamo stare tutti uniti per evitare casini?! »
« Ian è uscito prima di tutti. Per questo sono andata via anche io, stavo cercando di seguirlo. »
Tom si guardò attorno.
« E’ qui? »
Rebecca scosse la testa.
« Non lo so. Non l’ho ancora visto. Tom non puoi restare qua, devi andare da Bill! Ian ti conosce, sa che deve occuparsi di te e non si metterà di certo dei problemi. »
Tom non rispose e continuò a guardarsi attorno.
« Dov’è Bill? » domandò più a sé stesso che a lei. Non sentì risposta e abbassò lo sguardo. Rebecca stava guardando oltre le sue spalle e anche lui fece per voltarsi.
« No! » la ragazza gli prese il viso con le mani e non lo fece voltare. « Non girarti o ti vedrà. »
Gli occhi di Tom erano puntati dentro quelli nocciola di Rebecca che stringeva il viso del ragazzo fra le sue gracili e gelide mani.
« Dove sta andando? »
« Sta uscendo. »
« Uscendo?! »
Rebecca lasciò andare il viso di Tom e questo si voltò verso l’ingresso principale. Si incamminò ma Rebecca lo bloccò di nuovo.
« Che cazzo vuoi fare?! Vuoi forse farti ammazzare?! »
« Io devo tenere d’occhio Ian! Devo capire cosa c’è dietro tutto questo! »
« Da solo non combinerai nulla! Lui è dieci volte più furbo di noi. »
« Bene, allora vieni con me! » l’aveva buttata lì, come un ricatto. O una beffa.
Rebecca strinse i denti e si slacciò il cappotto.
Quando se lo sfilò l’espressione incazzosa di Tom si affievolì in una di ohmioDiocosadiavolostafacendo?!.
Le spalle di Rebecca restavano scoperte e sul suo corpo si annodava un abito bianco con una fascia nera in vita. La sua pelle bianca risplendeva fra quella seta così luminosa.
« Io non ho paura. »
Lo superò con fare altezzoso e Tom dovette quasi correre per starle dietro.
« Hai un piano? » gli domandò lei.
Lui non rispose.
« Tu seguimi. »
Varcarono il portone principale e un giardino fatto di alti e grossi alberi che affiancavano un labirinto si apriva prima del cancello in ferro battuto.
Nessuno era a guardia della porta, c’erano solo loro due sulle scale.
Rebecca iniziò a scendere le scale con Tom alle spalle quando la sua attenzione venne attratta da un movimento alla sua destra.
Spostò gli occhi fino al più estremo bordo e lo vide.
« Corri! » strillò.
Prese Tom per un braccio e iniziò a correre giù dalle scale in marmo bianco, mentre da una siepe sbucava l’alta e esile figura di Ian che gli puntava contro una pistola.
Le scarpe di Rebecca quasi affondavano nell’erba. Tom la superò e la tirò per una mano dentro il labirinto. Svoltò alla prima a destra e lei si fermò per togliersi le scarpe.
Ian comparve alle loro spalle con la pistola fumante ancora tra le mani.
« Muoviti! »
Tom prese Rebecca, ancora curva, per la vita e la trascinò con sé mentre una pallottola gli sfiorava l’orecchio sinistro. Svoltò di nuovo e si frugò nella tasca interna della giacca. Poi estrasse una pistola e si fermò. Voltandosi vide Ian correre per inseguirli e sparò ma prima che la pallottola potesse colpirlo, il biondo si spostò dietro un’alta siepe.
« Corri, muoviti! » Rebecca lo tirò di nuovo per un braccio, incitandolo ad andare via. I bordi del suo vestito erano diventati ormai verdi e anche i suoi capelli avevano iniziato a ricaderle sul viso e qualche ciuffo si era depositato anche sulle sue spalle nude.
Tom la seguì stringendo fra le sue mani la pistola calda.
Svoltarono di nuovo ma Ian era davanti a loro. Tom sparò di nuovo e Rebecca si rifugiò dietro il suo corpo.
Sollevò il vestito fino alla coscia ed estrasse la sua pistola.
Tom aveva iniziato a sparare a casaccio, anche se Ian non era più davanti a lui. La schiena di Rebecca premeva contro la sua.
Poi abbassò l’arma e si ritrovò ad avere il fiatone.
Si voltò lentamente e vide il vestito di lei strappato.
« Tutto ok? » le domandò.
Lei annuì col volto basso e poi si passò un ciuffo dietro le orecchie.
« Dobbiamo tornare indietro. »
Sollevò lo sguardo e vide il viso stravolto di Tom. Respiravano entrambi con l’affatto e Tom sentiva caldo sotto quegli abiti.
« Non ci siamo persi, vero? » gli domandò.
Tom sollevò lo sguardo e guardò le siepi attorno a lui. Non conosceva quel posto, non l’aveva mai visto in vita sua.
« No, tranquilla. »
Rebecca sospirò e spostò lo sguardo oltre le sue spalle. Sollevò velocemente la pistola e sparò un colpo, facendo trasalire Tom che si voltò in tempo per vedere la figura di Ian correre via.
Rebecca sfrecciò verso quella direzione quasi ruzzolando a terra e Tom la seguì stringendo le dita attorno alla sua arma.
Svoltarono a destra e un’apertura li portava in un’altra zona del giardino, con alberi sparsi.
Ian saettava da un albero all’altro.
Tom e Rebecca lo seguirono col fiatone.
Dalla pistola di Ian partirono altri tre colpi. Uno si fiondò su un albero, uno andò a vuoto e il terzo sfiorò il corpo di Rebecca.
La ragazza ruzzolò in avanti e si aggrappò alla schiena di Tom, il quale cadde all’indietro e finì ai piedi di un albero. Il corpo di Rebecca era finito a peso morto sul suo.
« Cazzo! » imprecarono all’unisono.
Rebecca lasciò andare la pistola e si fece forza con la braccia, mentre il petto di Tom si alzava e abbassava velocemente sotto il suo.
« Stai bene? » le domandò.
Lei annuì ma una smorfia di bruciore la tradì e il suo abito si colorò di rosso su un fianco.
Tom abbassò lo sguardo e vide che la pallottola aveva strisciato sull’abito e sulla carne di Rebecca, provocandole un taglio sul fianco sinistra.
« Non è niente. » si affrettò a dire lei poggiandoci sopra una mano. Tom gliela scostò, ancora sdraiato a terra e fissò la strisciata di sangue che diventata sempre più accesa.
Poi sollevò il viso su Rebecca e lei lo posò su di lui.
Il rossetto aveva iniziato a sbiadirsi e il trucco era leggermente sbavato, ma giurò di non aver mai visto nessun altra ragazza in quelle condizioni attraente quanto lei.
Sembrava che le labbra di Rebecca fossero state fatte apposta per essere baciate.
Tom si era quasi lasciato andare a quella scena che gli aveva annebbiato la mente e aveva già proteso il suo viso verso quello di Rebecca quando un rumore alla sua destra lo fece voltare e di scatto prese la pistola.
« Hey hey hey! Sono io! »
Gustav sollevò le mani in aria e indietreggiò un poco, spaventato.
Tom sospirò e buttò la testa all’indietro, mentre Rebecca si poggiava sul suo petto con entrambe le mani.
« Non farlo mai più. » sillabò.
« Che è successo? » domandò Gustav avvicinandosi.
Tom sollevò la testa.
« Ian. »
Cercò di mettersi a sedere ma Rebecca gemette.
« Oh Dio! » esclamò Gustav vedendo il taglio della ragazza.
« Non è nulla, è solo un graffio. » giustificò lei.
« Una pallottola l’ha presa di striscio. » precisò Tom.
Rebecca lo guardò minacciosamente ma lui la ignorò e le prese la vita con una mano, aiutandola e aiutandosi ad alzarsi.
Gustav si rese utile portandosi un braccio di Rebecca sulle sue spalle.
« Bill? » domandò Tom mentre si chinava a prendere la pistola della ragazza.
Gustav indicò il palazzo con la testa.
« Intervista. »
Tom non rispose e si caricò l’altro braccio di Rebecca sulle spalle.
« Chiamalo, ce ne andiamo. »
« Ce la fai? » domandò Gustav riferendosi a Rebecca.
Tom annuì e cercò di non farle del male mentre Gustav correva verso l’ingresso.
Tom trascinò Rebecca con sé in silenzio, senza dire una parola. Era ancora troppo immerso in quel vortice di immaginazioni e di strane vibrazioni che si era trovato a provare e a pensare poco prima.
« Grazie. »
La voce di Rebecca lo riportò alla realtà e abbassò lo sguardo verso il suo viso, contorto in una smorfia fra il dolore e lo sforzo.
Poi lo risollevò.
« Figurati. »

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quando Bill aveva visto Rebecca in quelle condizioni aveva quasi lanciato un urlo e si era precipitato fuori a prendere il primo taxi. In quel momento, invece, stringeva fra le mani vecchi bozzetti in bianco e nero e alla sua sinistra c’erano una serie di abiti appena fatti che dovevano solo essere mostrati al mondo intero.
Aveva deciso di dare un altro sguardo a quei bozzetti che avevano costituito la disastrosa sfilata di cui tutti i giornali avevano parlato. L’aveva fatto più volte, per convincersi che non era colpa sua e per trovare cosa potesse aver suscitato tutto quello.
Trovò che in alcuni punti la linea della matita era più forte ma non era quello, a lui non importava nulla. Forse l’abito doveva essere più lungo o le spalline un po’ basse. Ma a Bill piaceva così, andava così fiero di quella collezione e soprattutto di quell’abito color oro.
I suoi pensieri furono interrotti dal bussare alla porta.
Sollevò lo sguardo.
« Avanti. »
Tom fece capolino e Bill poggiò il disegno sulla scrivania.
« Che stai facendo? » gli domandò.
« Davo un’occhiata ad alcuni disegni. » Bill si voltò e indicò alcuni fogli ammucchiati sulla sua scrivania. « Come sta Rebecca? »
Tom fece spallucce e poi si dondolò da una parte all’altra.
« Si è ripresa subito, Gustav è andata a trovarla stamattina. »
Bill annuì con la testa senza dire nulla, e lo sguardo di Tom si spostò alla sua destra, verso gli abiti ancora coperti.
« E’ la nuova collezione? »
Bill sollevò lo sguardo e poi annuì. Si avvicinò al telo nero e lo tirò via, mostrando al gemello l’ammasso di seta dai colori freddi che aveva creato.
Tom fissò un po’ la collezione e Bill si avvicinò e sfiorò gli abiti uno ad uno. Poi ne prese uno argentato e lo tirò via da quel mucchio. Lo mise in modo che Tom lo vedesse e lo fece roteare da una parte all’altra.
Il retro era quasi completamente scoperto mentre il davanti si apriva su una scollatura a V.
« Wow. » commentò Tom.
« Stavo pensando che sostituire Jolanda è una scelta difficile. Voglio dire, lei era la miglior modella che potevamo avere e non mi sento pronto per chiamarne una nuova dalla Russia o da qualche altro posto. »
Tom sollevò lo sguardo verso il gemello, il quale si sedette sulla scrivania, spostando col sedere una foto di sua madre.
« Perciò pensavo.. e se chiedessi a Rebecca di indossarlo? »
Nella mente di Tom si fece strada l’immagine di Rebecca che sfilava sulla passerella con addosso quell’abito, i capelli lunghi sulle sue spalle e un sorriso fiero sul volto mentre i fotografi si davano alla pazza gioia.
Poi cacciò quelle immagini e tornò a fissare Bill, che attendeva una risposta.
« Rebecca? »
« Sì, Rebecca. Pensi che sia una cattiva idea? »
Tom si affrettò a scuotere energicamente la testa.
« No per niente, anzi. » aggiunse. « Solo che forse dovresti parlarne con lei. »
« Certo, certo. Volevo solo sapere il tuo parere. »
Bill si voltò e rimise l’abito al suo posto, mentre gli occhi di Tom si posarono sui fogli e sui bozzetti poggiati sulla scrivania.
« Ci stai ancora pensando, vero? »
« A cosa? » domandò Bill di rimando, mentre sistemava gli abiti in ordine cromatico.
« A tutto questo. » rispose il gemello.
Bill si fermò e guardò un punto indistinto in mezzo a quei vestiti.
« A Jolanda, alla tua carriera, alle sfilate, ai tuoi modelli, a Rebecca, a tutta la faccenda. Ci pensi in continuazione, non è così? »
« Perché non dovrei? Voglio dire: è di me che si tratta. Sono io il problema dopotutto. »
Bill sollevò le braccia in aria e poi le fece ricadere di nuovo sui suoi fianchi, tornando dietro la scrivania. Prese velocemente i disegni e li raccattò tutti insieme in un unico fascio.
« Non è colpa tua. Hai fatto tutto seguendo un tuo sogno. »
« Avrei dovuto capire che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a mettermi i bastoni fra le ruote. »
« Non è la prima volta, no? Hai sempre avuto concorrenza. »
Bill sollevò lo sguardo e i suoi occhi colmi di forte trucco nero trafissero quelli del gemello, come se avesse appena bestemmiato.
« Qui non si tratta solo di concorrenza, Tom! Qui si parla di mettere in pericolo delle vite per salvare il mio culo! »
Tom si avvicinò al tavolo e ci poggiò sopra le mani.
« Noi siamo qui per te, Bill. Siamo qui per darti una mano. E sai bene che puoi contare non solo sul mio aiuto ma su quello di tutta la squadra. »
Bill abbassò lo sguardo e riprese a trafficare con i suoi fogli, quando la mano di Tom si posò sulla sua, bloccandolo senza il minimo sforzo.
Il ragazzo fu costretto a risollevare lo sguardo, e Tom abbozzò un sorriso.

Per quanto potesse averci provato, Bill era stato così entusiasta solo proponendoglielo, che Rebecca non aveva avuto altra scelta se non quella di accettare.
E nonostante conoscesse bene come funzionava una sfilata, il fatto di dover indossare uno degli abiti più importanti le metteva una certa ansia.
Sul suo fianco era rimasta una sottile cicatrice ma Rebecca si era ripresa in fretta e camminare su quei tacchi pari a trampoli non sembrava poi così impossibile.
« 5 minuti. »
Alle sue spalle alcune modelle fluttuarono via immerse nelle loro vesti mentre sul suo viso una truccatrice russa si dava da fare con cipria, ombretti e rossetto.
« La modella è pronta? »
La voce di Gustav la fece sobbalzare e aprì un occhio per guardarlo in faccia.
Aveva sempre i suoi soliti occhiali rettangolari ma indossava uno smoking e si era messo gelatina sui capelli biondo cenere. Sul suo viso trapelava un mezzo sorriso.
« Insomma. »
« Oh suvvia, là fuori aspettano tutti te! »
« Grazie Gustav, tu sei sempre molto tranquillizzante. »
La truccatrice si allontanò con una salvietta in mano e mormorò un “Finito” assonnato mentre si allontanava.
Rebecca si alzò dalla poltroncina e con quei tacchi superava Gustav, che la guardò dal basso verso l’alto.
« Dov’è Bill? »
Gustav indicò con la testa l’uscita.
« Dietro le tende, come sempre. Credo che l’ansia lo stia divorando. »
« Non lo biasimo. »
Rebecca uscì dai camerini e seguì le altre ragazze nel retro del palco della sfilata. Intravide Bill nell’angolo opposto al suo.
« Io sono di troppo, perciò vado a sedermi. In bocca al lupo! »
La ragazza si limitò ad un sorriso tirato e sentì lo stomaco sciogliersi lentamente per via dell’ansia. Gustav sparì in qualche misero istante.

Un ultimo ritocco alla cravatta mentre camminava a passo sicuro nella sala quasi gremita di gente.
Fece un cenno agli omoni scuri poggiati ai muri che gli risposero con un’alzata della testa e poi si piazzò in un angolo, come al solito.
Contò i presenti e perse il conto un paio di volte. Infondo era un bene che la sfilata di Bill potesse avere tutta quell’attenzione.
Si staccò dal muro solo quando riconobbe una testa bionda. Un paio di occhiali da sole gli coprivano gli occhi ma Tom riconobbe lo stesso chi era dalla forma aquilina del suo naso e dal suo mento pronunciato.
Ian.
Il suo corpo prese a tremare e iniziarono a sudargli le mani, mentre le chiudeva a pugno. Come diamine aveva fatto ad entrare?!
Il biondo spostò lo sguardo verso la sua sinistra e si chinò leggermente mentre un’altra persona gli sussurrava all’orecchio. Tom riconobbe pure quella.
Bill aveva già denunciato quello stilista per avergli rubato dei bozzetti e la sua carriera era andata in fallimento. Ma evidentemente, non gli era bastato.
« Georg. » pronunciò a denti stretti.
I capelli lunghi, lisci e castani che gli ricadevano sulle spalle coperte da un giubbotto in pelle, la fronte larga, le labbra sottili e il naso a punta. Quante volte si era trovato faccia a faccia con lui, in quel tribunale? Quante volte aveva detto a Bill di lasciar perdere perché poteva essere pericoloso?
« Hey Tom! »
Trasalì e si preparò a sganciare un pugno mente Gustav fece un balzo indietro, in difesa.
« Ah sei tu. »
« Abbiamo le difese alzate, eh. »
Tom lo prese per un braccio e lo tirò verso sé, poi gli voltò il viso verso il posto di Ian.
« Vedi quello che vedo io? »
« Oh cazzo! »
« Hai detto bene. Sai chi c’è seduto affianco a lui? »
Gustav sbatté un po’ le ciglia.
« Eva Longoria? »
Tom sollevò lo sguardo e vide l’attrice dai capelli scuri chiacchierare animatamente con Ian e Georg.
« Alla sua sinistra, idiota! »
Gustav aguzzò la vista fra quelle teste agghindate.
« Un tipo a forma rettangolare? »
Tom sospirò e lasciò il viso di Gustav.
« Si chiama Georg, tempo fa lui e Bill hanno avuto uno scontro in tribunale perché lui ha rubato alcuni nostri bozzetti. »
« Sul serio?! »
Tom annuì.
Gustav si grattò un po’ la fronte mentre continuava a fissare i due, poi si frugò nella tasca interna della giacca e tolse fuori un fiore finto che mise all’occhiello. Si frugò in un’altra tasca dei pantaloni e tolse fuori un auricolare, che manipolò per qualche secondo e che poi porse a Tom con un mezzo sorriso. Lui lo guardò interrogativo.
« Avanti, prendi. Vado in missione! »
Glielo mollò sul palmo della mano e si diresse a passo sicuro verso un posto libero là vicino, sistemandosi uno ad uno i bottoni della giacca.
Tom si mise l’auricolare nell’orecchio destro ma tutto ciò che inizialmente udì fu Gustav che chiedeva permesso. Si poggiò con la schiena contro il muro, e attese.
Gustav trovò un posto libero dietro Eva Longoria e si sedette senza pensarci su. Si sistemò il fiore e cercò di assumere un’aria da intenditore.
Le porte vennero chiuse silenziosamente e le luci si abbassarono, mentre fra gli ospiti calava il silenzio.
Tom attese.
Le prime modelle fecero il loro ingresso in abiti azzurri e neri e la testa di Georg seguiva il loro passaggio con interesse.
Gustav si sporse un po’ in avanti, quasi ficcando la testa fra quella di Georg e Ian.
Il primo fece uno scatto con il collo e Gustav balzò sul posto, facendo voltare il vecchio alla sua destra che lo guardò quasi indignato.
Tom sentì un leggero frastuono e si domandò che diavolo stesse facendo quel ragazzo.
Gustav tornò nuovamente in avanti con tutto il busto, inclinandosi leggermente verso sinistra per stare più vicino alle loro teste, facendo finta di essere interessato alla modella in abito bianco che sfilava in quel momento.
« Hai fatto come ti ho detto? » domandò Georg.
Tom si premette l’auricolare contro l’orecchio con tutta la mano.
Ian annuì ma Tom non lo vide.
« Certo, l’abito cool della serata come mi avevi detto tu. »
« E sei proprio sicuro che non ti abbia visto nessuno? »
« Al 100%. Ho disattivato tutte le telecamere e l’ho manomesso. »
Sul viso di Georg comparve un ghigno diabolico.
« Perfetto. Voglio proprio vedere cosa scriveranno i giornalisti quando l’abito bomba di questa serata salterà in aria e con esso anche la modella. »
Tom spalancò gli occhi e si staccò immediatamente dal muro. Dal suo posto, Gustav lo intravide sfrecciare via e passare oltre la security e dietro il palco.
Bill era al suo solito posto che controllava la sfilata, con le mani unite davanti al viso e gli occhi che brillavano di emozione.
« Bill! » lo chiamò Tom, ma lui lo zittì con una mano.
« Bill per favore, ascoltami. Qual è l’abito migliore che tu hai creato per questa sfilata? Quello più bello, quello che farà impazzire i fotografi? »
Bill continuò ad osservare le cose.
« Cosa? » si voltò.
Tom sospirò e cercò di sembrare calmo.
« Qual è l’abito icona di questa sfilata? »
« Quello argentato, perché? »
« Chi lo indossa? »
Bill guardò Tom stranito.
« Tom, ma… »
« Chi lo indossa, Bill? »
Il gemello lo guardò e capì che c’era qualcosa che non andava.
« Rebecca. »
Tom guardò le modelle in fila dietro di lui.
« Ne sei sicuro? »
Bill annuì con la testa e diede uno sguardo alla passerella.
« Vedrai, sarà una bomba! »
Tom sentì un vulcano esplodere nel suo petto e la paura lo abbracciò in pieno.
Si ritrasse e corse dall’altra parte, nell’altra fila di modelle.
« Rebecca! Dov’è Rebecca? Amy, hai visto Rebecca? »
Tom fermò una modella bionda prendendola per le braccia e lei lo guardò perplessa.
« E’ dietro, l’ultima. Perché? »
Tom non rispose e corse in fondo alla fila, dove Rebecca  si stava lisciando l’abito.
Sollevò lo sguardo e vide Tom arrivare verso di lei spedito.
« Tom, cosa ci fai qui? »
Il ragazzo la prese per un braccio e la tirò via.
« Vieni con me. »
« Cosa?! Hey! »
Rebecca si dimenò ma Tom si voltò a guardarla. Nei suoi occhi, Rebecca riuscì a vedere per la prima volta una paura smisurata.
« Devi seguirmi! »
« Ma la sfilata… »
« Per favore! »
Tom rimase a fissarla quasi implorandola di seguirlo e dopo un iniziale smarrimento, Rebecca decise di fidarsi.
Tom le strinse la mano così forte che lei quasi poteva sentire le sue vene pulsare e il battito del suo cuore non era assolutamente tranquillo.
Il ragazzo la tirò fuori da là e finirono nei corridoi dei camerini. Aprì la prima porta e la fece entrare, poi se la richiuse alle spalle.
« Allora? »
« Spogliati. »
La ragazza strabuzzò gli occhi.
« COSA?! »
« Non è come pensi! »
« Mi hai tirata via dalla sfilata, stai rischiando di mandare a monte i sogni di tuo fratello perché vuoi che mi spogli davanti a te?! »
« No, ascoltami! »
« Sei veramente uno schifoso opportunista! »
Rebecca pestò i piedi per terra e si allontanò superandolo, ma Tom le prese di nuovo il braccio e la fece voltare, facendo involontariamente avvicinare i loro visi fino a sfiorarsi.
« Non è come pensi. » balbettò, cercando di distogliere lo sguardo dalle sue labbra infuocate. « Là fuori c’è Ian e.. ha fatto qualcosa al vestito, non so precisamente cosa ma credo che ci abbia messo dentro una bomba e se non te lo togli.. beh, ci arrivi da sola, no? »
« Ian è qui?! »
Tom annuì.
« E ho una bomba addosso?! »
Il ragazzo annuì di nuovo.
Rebecca trattenne il fiato, sentendosi un pericolo e contemporaneamente in pericolo.
« E tu sai dov’è questa bomba? »
Tom scosse la testa.
« Dovrei controllare. »
Rebecca abbassò lo sguardo e annuì con la testa.
« Va bene, fallo. »
Sollevò le braccia in aria e Tom posò le mani appena sotto di esse, facendole poi scendere lentamente sui fianchi e verso le gambe. Si tirò di nuovo su e Rebecca si voltò, mentre le mani di Tom si posavano sulla sua schiena e sul fondoschiena, fino ad arrivare alle gambe.
« Allora? »
Tom scosse la testa.
« Rifallo. »
Rebecca sollevò di nuovo le braccia.
Tom prese fiato e ripeté l’azione con più lentezza.
Poi scosse di nuovo la testa.
« Prova in pancia. »
Tom posò le mani sulla pancia della ragazza e poi le fece scendere un po’ più giù, senza esagerare.
« Nulla, non so che dire. »
« Ancora. »
« Rebecca, forse non è questo l’abito che.. »
« Ancora! »
La ragazza sollevò lo sguardo e Tom le vide tremare gli occhi.
Poi lei lo abbassò di nuovo e con esso abbassò le braccia.
« Mi.. mi dispiace, io… »
Tom si zittì non appena vide che Rebecca si stava spogliando.
« Hey no, non ce n’è bisogno, ho già.. »
« Taci. »
Si sfilò una spallina, poi l’altra, fino a lasciarsi scivolare di dosso l’abito.
Tom indugiò sulle sue curve che rasentavano la perfezione. Il suo seno era racchiuso in un reggiseno color carne e gli slip le percorrevano le curve dei fianchi, scoprendo poi due esili ma formate gambe.
Rebecca gli porse l’abito, arrossendo.
Tom allungò una mano per prenderlo, ma prima di farlo si tolse la giacca e gliela porse cercando di fare un sorriso.
Rebecca la prese e la indossò.
Le mani di Tom strinsero l’indumento argentato e mentre Rebecca si abbottonava quella giacca nera che era quasi tre volte la sua taglia, osservò con attenzione la parte interna dell’abito e lo portò verso la luce.
Fece scivolare un pollice nei bordi, fino a sentire un qualcosa di ovale oltre la stoffa.
Osservò alla luce della stanza il piccolo e quasi invisibile rigonfiamento e poi prese un paio di forbicine messe sopra uno dei tavoli del camerino. Alle sue spalle, Rebecca lo fissava ansiosa, mentre si stringeva in quella giacca che profumava di Tom.
Il ragazzo aprì una fessura e con la punta delle forbicine prese un oggetto blu scuro, grande quanto un’unghia. Ancora una volta, si stupì di quanto lontano potesse arrivare la mente di quel fannullone.
Si voltò e, racchiuso fra le due dita, mostrò l’oggetto a Rebecca, che trattenne leggermente il fiato e mutò la sua espressione in profondo ribrezzo.
Tom aprì la finestra alle sue spalle e lasciò entrare un po’ di vento, prima di lanciare fuori l’oggetto, con tutta la forza che aveva.
« Ma che fai?! »
« Non me ne frega niente. » disse richiudendo la finestra. « Hanno già rovinato abbastanza. »
Le porse il vestito.
« Tieni, questo è tuo. Là fuori ti aspettano. »
Cercò di mostrare un sorriso, ma tutto quello che ottenne fu un sincero abbracciò da parte di Rebecca.
« Grazie, ancora. »

Bill guardò oltre le due modelle che mancavano e l’ansia si aggrappò al suo collo come un polpo.
Dove diamine era Rebecca?! E per quale fottuto motivo Tom l’aveva portata via con sé?
Sbuffò per la millesima volta e diede uno sguardo fugace alla passerella.
Un battito di ciglia e Rebecca era al suo posto, alla fine della fila con un grosso sorriso stampato sul viso.
Una grossa mano si posò sulla spalla di Bill che quasi trasalì e quando si voltò vide un Tom sorridente e lucido in viso.
« Si può sapere dove cazzo eri?! »
« A controllare che tutto fosse al suo posto. »
« Tu e Rebecca siete spariti, mi avete fatto preoccupare! »
« Cosa vuoi che sia?! » domandò Tom in una risata. « Toh, guarda! »
Bill si voltò e Rebecca salì sulla passerella, sfoggiando un leggero sorriso ai fotografi che triplicarono i loro scatti.
Gustav si mosse nella sedia, temendo il peggio. Davanti a lui Georg si voltò verso Ian con un sorriso sulle labbra serrate, e gli occhi di Ian brillarono nella penombra.
Rebecca arrivò a fine passerella e sopraggiunse Bill che le cinse la vita e ringraziò tutti i presenti.
La ragazza si voltò e tornò sui suoi passi.
Gustav vide Tom fare capolino e aiutarla a scendere i pochi gradini che portavano alla passerella e trattenne una risata di vittoria.
Sotto i suoi occhi, Georg si voltò verso Ian con gli occhi che lanciavano saette, ma il suo amico biondo aveva lo sguardo perso nel vuoto, non capendo.
Gustav si alzò dal suo posto e, senza penarci troppo su, strinse la mano al vecchio che era seduto di fronte a lui.
« Ottimi abiti, non trova? »

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Bill non aveva creduto alle sue orecchie quando Tom e Gustav gli avevano raccontato cos’era successo.
Aveva sbraitato il nome di Georg in 30 modi diversi e ogni volta realizzava sempre più l’accaduto.
« Ho messo in pericolo la vita di Rebecca. » disse poi lasciandosi cadere sulla sua poltrona.
Tom sbuffò.
« Non dire idiozie, tu non lo sapevi. »
« E comunque si è aggiustato tutto. » aggiunse Gustav, ripulendosi le lenti degli occhiali.
« Esatto. »
Bill scosse la testa e la voltò alla sua destra, posandosi poi una mano sulle labbra.
« Avrei dovuto immaginare che sarebbe tornato. Lui e quella sua presunzione del cavolo. »
Tom ispirò profondamente, ricordandosi quanto Bill avesse patito qualche anno prima.
« Adesso però sappiamo che è lui, quindi possiamo fermarlo. »
« E come?! » sbuffò Bill, per metà innervosito e per metà agitato.
Gustav lo guardò aggrottando leggermente la fronte.
« Lo incastriamo. » rispose in tono ovvio.
Bill lo guardò con la coda dell’occhio e poi si alzò, avvicinandosi alla finestra.
« Avete già in mente qualcosa? »
Gustav e Tom si guardarono un po’, e il primo si affrettò a rimettersi gli occhiali sul naso, come se quello sarebbe servito per fargli avere una risposta.
« Veramente se ne sta occupando Rebecca. » disse Tom.
Bill fece un verso fra uno sbuffo ed una risata e si portò le mani dietro la schiena, unendole.
« Non dovreste aiutarla? Mi sembra che abbia già rischiato abbastanza, non trovate? »
Gustav si voltò di nuovo verso Tom e fece per alzarsi quando qualcuno bussò alla porta.
« Avanti. » disse Bill, girandosi verso essa.
Rebecca fece capolino con un mezzo sorriso.
« Posso? »
« Certo. » la invitò Bill. « Stavamo giusto parlando di lavoro. »
La ragazza si voltò verso la stanza e vide Tom e Gustav.
« Oh ciao. Non vi avevo visti. »
Gustav sorrise e Tom si limitò ad un cenno della mano.
« Non so se ti può interessare, ma ho fatto delle ricerche su questo Georg e ho scoperto che ha una nuova casa di moda chiamata Temptation. »
« Di nuovo?! » esclamò Bill.
Rebecca annuì con la testa.
« Ma non solo. »
Gli mostrò i fogli che aveva in mano, e Bill lesse solo qualche scritta qua e là.
« Ha programmato una sfilata in Italia per dopodomani. A Milano. »
Il viso di Bill sbiancò e Gustav se lo immaginava già ricoverato in ospedale, così si alzò.
« Andiamo a fargli una visitina, no? »
Bill lo guardò e aggrottò la fronte. Poi spostò lo sguardo su Tom, che non aveva detto nulla.
« Cosa ne pensi? »
Tom fece spallucce.
« Che mi fa schifo, ma questo lo sai. E che sono d’accordo con Gustav. »
Bill sospirò e strinse il foglio che gli aveva dato Rebecca fra le mani.
« Penso di avere già in mente qualcosa. » mormorò Gustav fra sé e sé.
« E va bene, va bene. » accettò Bill. « Mi avete convinto. »
Piegò il foglio in quattro parti e poi se lo mise in tasca.
« Vado ad avvertire il capitano, partite domani mattina. » fece per uscire quando poi si bloccò sulla soglia. « Non voglio colpi di scena, sparatorie o chissà cosa, intesi? Ne ho abbastanza dei casini. »
Nessuno obiettò e Gustav si alzò.
« Devo assolutamente andare a sistemare un paio di auricolari, credo di avere in mente un piano… »
« Sì sì Gustav. » lo interruppe Tom massaggiandosi le tempie. « Vai. »
Il ragazzo saltellò fuori dall’ufficio di Bill lasciando che la porta gli si chiudesse alle spalle e Tom lo sentì fischiare nel corridoio.
Sospirò e poggiò la schiena sulla poltrona nera. Rebecca gli si avvicinò.
« Qualcosa non va? »
Lui trattenne il fiato, pensando a riordinare le idee.
« E’ tutta la faccenda che mi mette ansia. Insomma, vedere coinvolto Bill è più… più… »
« …preoccupante? »
Tom sollevò lo sguardo posandolo su quello di Rebecca e annuì.
« Sì. »
La ragazza si sedette al posto di Gustav.
« E’ che… Bill e io siamo cresciuti sempre insieme e io sono sempre stato quello che lo proteggeva, fin da bambini. E non mi è mai piaciuto vederlo stare male, che fosse pure per il motivo più stupido del mondo. Ho sempre voluto che Bill fosse felice. »
« E questo è bello, significa che gli vuoi davvero bene. »
Tom non rispose, e vide la mano di Rebecca poggiarsi sulle sue, chiuse in un pugno unico.
Sollevò il viso e Rebecca sorrideva leggermente.
« Sono sicura che Bill sa che ce la stai mettendo tutta, e sa anche che farai un ottimo lavoro. » lo rassicurò.
Tom provò a dire un “grazie”, ma non ci riuscì. Per evitare di fare una figuraccia, strinse la mano di Rebecca con una sua, e poi tornò a guardarla in viso.
Averla vista ferita, aver tentato di salvarla rimuovendo la bomba dal suo vestito, averci litigato ed esserne attratto, gli creavano uno scompiglio immenso. E lei non era di certo d’aiuto.
Con quelle sue labbra rosee, quegli occhi che lo guardavano con chissà quale mondo dentro, quelle mani calde che stringevano le sue e quel corpo che sembrava dipinto da un dio.
Perfino il suono del suo nome gli risuonava bello, mentre prima avrebbe voluto incenerirla. Non che quella sensazione gli fosse completamente passata, ma era come se fosse stata sostituita da qualcosa di più forte.
Non disse niente, e lo stesso fece lei, ma Tom si allungò oltre la sua poltrona e verso il suo viso. Toccò le labbra di Rebecca con le sue, e fece lentamente più pressione, sentendo poi una risposta da parte sua.
Le inumidì le labbra con la lingua, desiderando di approfondire quel bacio quando la serratura della porta scattò ed entrambi trasalirono, scattando in piedi.
Gudrun, la segretaria di Bill, fece capolino con i suoi piccoli e acquosi occhi verdi, e poi si scusò.
« Cercavo Bill! »
« E’ andato a preparare il jet per domani. » spiegò Tom, colorandosi in viso.
La donna annuì con la testa e si scusò di nuovo, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Rebecca, che aveva trattenuto il respiro per lo spavento, espirò profondamente.
Tom le dava le spalle, e si voltò sentendo le labbra improvvisamente secche.
« Io… » balbettò.
« Perché l’hai fatto? »
Tom fissò l’arredamento alle spalle della ragazza che non lo guardava.
« Io.. non lo so. »
« Sembrava un’azione premeditata. »
Rebecca sollevò lo sguardo verso quello di Tom che, tuttavia, non riuscì a trattenerlo. Si limitò a sollevare le braccia in aria.
« Non lo so, davvero. Io.. fino a un po’ di tempo fa non ti sopportavo e adesso… »
« Lo rifaresti? »
Tom si sentì con le spalle al muro. Avrebbe potuto voltarsi e fuggire, iniziando a correre via da quella stanza. Stava sperando che Bill tornasse in fretta, ma in cuor suo sapeva che suo fratello avrebbe impiegato ancora un po’ di tempo prima di tornare in quell’ufficio.
Abbassò di nuovo lo sguardo sentendosi privo di corde vocali e vide le gambe di Rebecca muoversi verso sé, e poi una sua mano gli sollevò il viso.
« Lo rifaresti? »
Quelle labbra si muovevano in modo ipnotico, lo mandavano totalmente in tilt.
Non rispose, perché ancora le sue corde vocali sembrava non esistessero. Perciò avvicinò velocemente il viso a quello di Rebecca, una seconda volta. Se lei voleva una risposta, lui voleva dargliela.
E sì, l’avrebbe rifatto e lo stava rifacendo.
Incatenò le labbra di Rebecca fra le sue, quella volta sapendo già a che cosa andava incontro. Si lasciò trasportare dalla foga e giocò con la lingua, sentendo la tensione che fino a poco prima aveva addosso sciogliersi come neve. Sollevò le mani sul viso della ragazza la quale si ritrovò spinta verso la scrivania di Bill che traballò non appena lei ci sbatté. Ma Tom non si staccava, non si allontanava e non separava la bocca da quella di Rebecca se non per qualche millesimo di secondo necessario ad entrambi per assicurarsi di avere ancora le proprie labbra.
Finché poi Tom si fermò, allontanando lentamente il suo viso e le sue mani dal volto di Rebecca.
Lei manteneva lo sguardo basso e le sue labbra erano d’un rosso fiammante che nemmeno il più bel rossetto avrebbe saputo riprodurre perfettamente.
Tom inspirò il suo profumo, e poi aprì la bocca, sentendo ancora il suo sapore fra le sue papille gustative.
« Questo era premeditato. »

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Tom non aveva detto niente a Bill di quello che era successo nel suo ufficio. Né si era preoccupato di dare alte spiegazioni a Rebecca e non ne sentiva alcun bisogno. Per quello che gli importava, lui stava lasciando che le cose lo travolgessero. E non gli era mai successo, aveva sempre tenuto sotto controllo tutta la sua vita, nei minimi dettagli. E Rebecca l’aveva sconvolto.
Gustav dormiva nell’aereo diretto verso l’Italia, aveva gli occhiali storti sul naso e la bocca chiusa, ma faceva un rumore strano, quasi come se non riuscisse a russare.
Tom voltò lo sguardo fuori dal finestrino, mentre la Luna illuminava il mondo sotto di lui.
Era come stare in procinto di una tempesta, quando il vento inizia a scombussolarti l’esistenza e tocca a te decidere cosa salvare.
Si mosse sul suo sedile e incrociò le braccia sul petto, continuando a guardare fuori dall’oblò.
Era inutile nasconderlo, Tom aveva continuamente pensato a quel bacio. Quel gesto gli pesava nella mente, faceva sentire il suo cervello più presente e pesante del solito. E il fatto che stesse volando verso l’Italia, verso una buona parte dei suoi problemi, lo rendeva ancora più nervoso.
Insomma, se Georg fosse rimasto in disparte e per i fatti suoi, lui non avrebbe dovuto collaborare con Rebecca. Non si sarebbe mai trovato a fronteggiare dei pericoli con lei, a battersi col suo cervello e tantomeno ad esserne attratto. Ma la cosa ancora più fondamentale restava il fatto che senza Georg, nulla di tutto quello sarebbe successo e lui e lei sarebbero rimasti eterni nemici.
Invece no.
Cos’erano, in effetti? Due amanti? No, per quanto lo riguardava, Tom si definiva solo un cretino.
Bill dormiva in chissà quale parte del jet e di Rebecca nemmeno l’ombra. L’aveva vista passeggiare con un libro in mano ma non si erano scambiati una parola.
Molto probabilmente il ghiaccio sarebbe stato meno freddo di loro.
Tom sospirò per forse la ventesima volta in un minuto e Gustav ebbe un sussulto, voltando poi tutto il corpo in modo alquanto goffo.
Quando l’aereo atterrò, Bill era in perfetta forma e i suoi nervi perfettamente tesi. Tom non aveva chiuso occhio e Gustav si era svegliato solo durante l’atterraggio. Rebecca non si era ancora fatta vedere.
Gli sportelli degli aerei vennero aperti e Bill scese per primo. Tom si fermò sulla soglia mentre Gustav gli pungeva la valigia sullo stinco destro.
« Beh, non scendi? »
Tom non gli rispose e lo fece passare avanti, tornando dentro l’aereo.
Sentì una porta sbattere e poi vide Rebecca tirare via il suo trolley blu elettrico. Si fermò di botto e girò i tacchi prima di essere visto, tornando poi davanti alle scalette. Bill era già in mezzo alla pista, e Gustav quasi alla fine delle scalette.
Tom scese i gradini badando a non ruzzolare per terra e poco più indietro sentì le scarpe di Rebecca battere sulla scala in ferro.
Quando entrò nell’aeroporto, Bill e Gustav stavano parlando davanti al rullo delle valigie, che partì qualche minuto dopo.
I bodyguard li scortarono in limousine e fino all’albergo.
Non una parola. Non un saluto. Non uno sguardo.
Fra lui e Rebecca sembrava essersi creato un muro chilometrico.
Né Bill né Gustav badarono a loro due, il primo troppo preso dalle sue preoccupazioni e il secondo troppo intento ad ammirare Milano dai finestrini dell’auto.
Tom pregò con tutta la poca fede che gli era rimasta, di finire quella missione il prima possibile e di tornare in fretta alla vita che stava conducendo prima.

Rebecca stava piegando una camicia bianca quando il telefono squillò.
« Pronto? » rispose con la cornetta stretta nella mano destra.
« Rebecca? Sono Bill. »
« Oh sì, ciao Bill. Dimmi tutto. »
Bill iniziò a farfugliare qualcosa riguardo a qualche abito e Rebecca capì soltanto che doveva andare in camera sua.
« Adesso? »
« Appena puoi. »
« Finisco di sistemare la valigia e sono da te, ok? »
« Perfetto! » Bill riattaccò subito dopo.
Rebecca mise giù la cornetta e poi si voltò a prendere un’altra maglietta.
I suoi pensieri vorticavano continuamente in un’unica parte, attorno ad un unico pensiero.
Non riusciva a toglierselo dalla mente, nemmeno con tutta sé stessa.
Tom.
Cosa aveva fatto quel ragazzo per abbindolarla così?
E cosa aveva fatto lei per lasciarsi trasportare da tutta quella marea di casini?
Appese un paio di jeans e poi chiuse l’armadio. Chiuse la zip della valigia e la mise in un angolo, accanto ad un paio di scarpe scure.
Rebecca aveva sempre tenuto la guardia alta, donando la sua fiducia solo ai suoi amici più stretti.
Ma ora?
Volgendo un attimo lo sguardo oltre la finestra vide Milano illuminata dalle luci artificiali, il Sole ormai era già calato da tempo.
Riempì i polmoni d’aria e poi si decise a raggiungere Bill, chiudendosi la porta della camera alle spalle.
Nel corridoio c’era un silenzio che metteva ansia e l’unico rumore erano i passi di Rebecca che venivano attutiti dalla moquette rossa.
Superò tutto il corridoio e poi svoltò a destra, fino a fermarsi davanti alla camera numero 540.
Bussò due volte e poi Bill aprì con un grosso sorriso stampato in viso.
« Vieni, coraggio! »
Le prese una mano e la portò dentro la sua camera, lasciando che la porta si chiudesse da sola. La camera di Bill era una suite che si estendeva su due piani. Al piano superiore c’era una specie di piccolo studio, con un PC acceso e impostato sulla home page del suo sito. Al piano di sotto, invece, c’era la camera con un plasma, un bagno con vasca, un enorme sala con un divano, due poltrone, TV e diversi mobili che Bill aveva già provveduto a riempire e poi un’altra stanza chiusa da due porte scorrevoli. Bill si diresse proprio verso quella, ancora tenendo Rebecca per una mano. La lasciò solo per aprire la stanza e gli occhi della ragazza divennero grandi come due palle di Natale.
Era un armadio. Nient’altro che un enorme armadio che, inutile dirlo, traboccava di abiti firmati BK.
Bill si diresse spedito verso un angolo e tirò fuori un lungo abito nero, smanicato e con la scollatura a V.
Lo porse a Rebecca con un sorriso raggiante.
« Ho pensato che non avessi abiti per la sfilata di domani e visto che sarete spie in borghese, mi sono preoccupato di fartene uno io in persona. Anche perché mi stai aiutando parecchio. »
Rebecca guardò prima l’abito poi Bill, aggrottando la fronte con leggero stupore.
« Bill, ma… è il mio lavoro, tu mi paghi per questo e non è giusto che… »
Il ragazzo la bloccò sollevando una mano in aria.
« Sapevo che avresti detto questo, ma è più forte di me. Avanti, cosa aspetti ad indossarlo? »

Tom lanciò i boxer in un angolo e aprì il getto dell’acqua che si riscaldò in qualche istante.
Entrò nella doccia, chiuse le ante e tirò la testa indietro, sotto il getto che gli colpì la faccia e le treccine.
L’acqua scese poi lungo il suo collo e sul suo petto, fino ad arrivare al bacino e raggiungergli le gambe.
Tirò tutto il corpo per bagnarsi meglio e nel mentre chiuse gli occhi, immaginando di essere a casa sua, nella sua vita normale.
Ma la verità era che non c’era quasi più niente di normale in tutto quello. Perfino lui si definiva ridicolo, semplicemente per il fatto che era rimasto tutto il tempo a pensare a Rebecca.
Al suo profumo, a quando lei gli avesse stretto la mano, al suo corpo seminudo nel camerino, alle sue labbra e a quanto avrebbe dannatamente voluto baciarla un’altra volta.
Prese la spugna e il sapone, e iniziò a lavarsi il corpo.
Il vapore dell’acqua iniziò ad appiccicarsi alle pareti della doccia mentre l’acqua manteneva la sua temperatura.
Tom si sciacquò e poi si lavò i capelli, badando di non disfarsi le treccine e quindi massaggiandosi la testa lentamente.
Con gli occhi ancora chiusi la sua mente vagò nel passato, verso quello che era successo negli ultimi tempi.
Rivide il viso di Georg e per qualche istante sentì di nuovo il cuore balzargli in petto quando udì che Rebecca aveva addosso una bomba.
Rivide la gioia di Bill alla fine di quella sfilata ma questa venne sostituita dall’incidente di Jolanda.
Poi rivide la sparatoria nel giardino con Ian e fu come se la pallottola che aveva preso Rebecca in realtà avesse preso lui, portandolo a toccarsi un fianco.
Si sciacquò la testa e il viso, chiudendo poi la doccia. Lasciò che i primi brividi comparissero sul suo corpo e poi si decise ad uscire, legandosi un asciugamano attorno alla vita.
Si passò un'altra salvietta in testa, asciugandosi i capelli in superficie, ma si fermò non appena sentì qualcuno bussare alla porta.
Rimase un po’ interdetto vista l’ora tarda e visto che non aveva richiesto nessun servizio in camera. Decise di non badarci e riprese a passarsi l’asciugamano sul viso, quando sentì bussare di nuovo.
A quel punto lasciò l’asciugamano in bagno e si diresse ad aprire.

Rebecca camminava agitata nel corridoio, con quel grosso abito fra le mani.
Per un attimo si chiese se Bill l’aveva presa per fattorino, ma la sua rabbia svanì nel nulla appena vide la stanza che cercava. Si guardò un po’ intorno e, prendendo fiato, bussò.
Restò impalata davanti alla porta, con quell’abito nero incelophanato tra le braccia e attese, battendo nervosamente un piede a terra.
Nessuno venne ad aprire. Pensò di aver sbagliato stanza o che addirittura non ci fosse nessuno dentro, ma bussò di nuovo.
Passarono 3 secondi esatti, e Rebecca dovette trattenere il fiato.
Tom la guardò sorpreso e poi spostò lo sguardo su quello che reggeva fra le mani.
Rebecca, attraverso la fessura della porta che Tom teneva con una mano, lo vide seminudo. Il suo petto bronzeo era ancora leggermente bagnato ma lui non sembrava farci caso. Non c’era un brivido di freddo nella sua pelle.
Rebecca scosse leggermente la testa, tornando in sé, e gli porse l’abito senza guardarlo in faccia.
« Che cos’è? » chiese lui.
« E’ un abito. Per domani. L’ha fatto Bill. Mi ha detto di portartelo. »
« Ti senti bene? »
Lei sollevò lo sguardo.
« Hai spezzato una frase per quattro volte, non è normale. »
Non sapeva se era ironico o meno, così decise di abbassare di nuovo il viso e gli porse ulteriormente il vestito.
Tom non lo prese e restò a fissarla, facendola sentire in imbarazzo.
« Entra, dai. »
Allargò l’apertura per farla passare e Rebecca ci mise un po’ prima di decidersi.
La camera di Tom era diversa da quella di Bill. Anche questa aveva camera da letto divisa dal resto della stanza, però non aveva il piano superiore.
« Accomodati pure, io vado un attimo a cambiarmi. »
Tom si allontanò velocemente verso il bagno, quando la voce di Rebecca lo fermò.
« No. » disse. « Non c’è bisogno, io… sono venuta solo per portarti questo. »
Tom era a metà strada e si voltò a guardarla.
« Sicura? »
Una goccia d’acqua gli colò dal collo in mezzo al petto e fino alla pancia e Rebecca annuì soltanto, quasi incapace di intendere e di volere.
Poi gli porse di nuovo l’abito e stavolta lui lo prese, senza staccare lo sguardo da lei.
Lo poggiò su una sedia là vicino mentre lei gli dava le spalle.
« Sicura di stare bene? »
Rebecca si immobilizzò e si voltò. Sulle braccia di Tom c’era qualche brivido di freddo e lei non poté non osservare i suoi muscoli. I suoi pettorali e addominali abbastanza scolpiti per un ventenne. Restò quasi paralizzata e temendo che lui si fosse accorto, scosse la testa.
« No, io… cioè sì, sì. Sto bene grazie. »
Lo disse più a sé stessa che a lui, ma Tom non era particolarmente convinto. Le si avvicinò ulteriormente e lei fece un passo indietro, senza accorgersene.
« Sicura? »
« Sì, è tutto… » notò le labbra di Tom, notò la loro forma e il loro colore. Notò il suo collo, nudo e macchiato da qualche neo. Notò anche la sua mascella leggermente pronunciata e i suoi occhi, la loro forma e le loro sfumature.
Notò anche che le batteva forte il cuore.
« …tutto a posto. » si affrettò a dire.
Si voltò di nuovo e fece per andarsene, quando qualcosa nella sua testa le disse di non farlo. Così si fermò a metà. Dio solo sapeva la stronzata che stava per fare, ma sarebbe impazzita se fosse uscita da quella stanza senza aver combinato qualcosa.
« Puoi chiudere gli occhi? » gli domandò.
Tom la guardò, o meglio guardò le sue spalle e la sua schiena, perplesso.
« Come, scusa? »
Rebecca non si voltò, già pensando di andare via immediatamente.
« Devo chiudere gli occhi? Sicura che non mi uccidi? »
La ragazza voltò leggermente lo sguardo e vide Tom in piedi, alle sue spalle, con gli occhi chiusi.
Dio solo poteva dire quant’era bello in quel momento, con il petto scoperto e luminoso.
Rebecca fece un respiro profondo e gli si avvicinò. Non sapeva nemmeno perché sentiva la necessità di compiere quell’azione.
Si mise in punta di piedi, tenendosi con una mano alla parete, e osservò il viso di Tom da vicino. Respirava con regolarità, il suo petto si alzava e abbassava ritmicamente. La ragazza chiuse gli occhi e inspirando sentì l’odore del suo bagnoschiuma. Decise di agire prima di svenire lì davanti a lui e così, con molta attenzione a non sfiorarlo nemmeno con un capello, avvicinò il suo viso alle labbra di Tom. Le toccò con le sue, senza fare pressione.
Tom sussultò. Non se l’aspettava e rimase sorpreso.
Rebecca si allontanò e Tom ne approfittò per tirarla a sé. Le legò un braccio attorno alla vita e catturò di nuovo le sue labbra, stavolta con più sentimento.
La fece sua in un battibaleno, senza nemmeno impegnarsi troppo. Il petto di Rebecca si scontrò contro quello di Tom e le sue gambe quasi cedevano a quel contatto.
Tom lasciò le sue labbra controvoglia, per paura di spaventarla, e aprì gli occhi per guadarla.
Gli occhi di Rebecca erano immersi nei suoi e giurò di non aver mai visto un paio di occhi belli come quelli.
La ragazza spostò lo sguardo sulle labbra di Tom e le toccò con il pollice, prima di avvicinarsi lentamente e baciarle. Tom lasciò che fosse lei a decidere, non prese alcuna iniziativa.
Posò le mani sulla sua schiena e sentì quelle di Rebecca farsi strada sul suo collo e una gli accarezzò una guancia.
Non sapeva esattamente perché, ma non voleva lasciarla, non voleva separarsi dal suo corpo. Il che era strano considerando che aveva cercato di evitarla in ogni modo possibile.
Ma in quel momento, sentiva che lei era l’unica cosa che volesse con sé.
Spostò le mani mentre le loro labbra erano ancora unite e le portò sul petto di Rebecca, concentrandosi sui bottoni della sua camicetta bianca. Li slacciò uno ad uno, sentendo qualcosa crescere dentro di sé mentre lei non lo fermava. Scostò le mani dal suo collo e dal suo viso solo per levarsi di dosso l’indumento e restò in reggiseno.
Un tuono squarciò il silenzio che c’era nella stanza e Tom portò velocemente una mano verso la tessera che teneva le luci accese. La estrasse e il buio calò nella stanza.
Il suo viso e quello di Rebecca erano talmente tanto vicini da poter sentire l’uno il respiro dell’altro, ma le loro labbra non si toccavano più.
Tom rimase a fissarla alla poca luce che entrava da fuori, la luce della luna e quella artificiale di Milano.
Rebecca gli legò le braccia attorno al collo, prima di avvicinare le loro labbra. Leccò quelle di Tom, soffermandosi particolarmente sul suo piercing alla sinistra e lui si sentì incendiare.
Spostò le mani sul fondoschiena della ragazza e poi più giù fino a fare forza e a prenderla in braccio, lasciando che Rebecca legasse le gambe attorno alla sua vita.
Si voltò mentre Rebecca gli prendeva di nuovo il viso fra le mani e lo baciava, e si mosse verso la stanza da letto, facendo sedere la ragazza sul materasso.
Rebecca si slacciò i pantaloni ma prima che li potesse togliere si alzò in piedi e si avvicinò al corpo seminudo di Tom. Lo baciò sulle labbra un paio di volte, lasciandolo desideroso di altro finché lui lasciò scivolare le labbra sul suo collo, sul suo petto e si abbassò sempre di più, fino ad arrivare alla sua pancia.
Le sfilò i jeans e lei li tolse con i piedi, prima di trovarsi avvinghiata di nuovo al corpo di Tom.
L’asciugamano gli cadde di dosso ma non ci badò, anche se il suo pene cominciava ad irrigidirsi.
Si sdraiò sul corpo di Rebecca che si adagiò sul letto e con una mano percorse una linea immaginaria che andava dalla sua gamba sinistra fino al suo viso.
Quello che accadde nelle due ore successive non era nella mente di nessuno dei due.
Le gocce d’acqua che prima luccicavano sul corpo di Tom si erano trasformate in sudore e nella stanza si udivano solo gemiti sommessi e sospiri.
Tom adorava soffermarsi con le mani sui fianchi di Rebecca e poi risalire fino al suo viso, era rimasto a guardarla con gli occhi chiusi mentre lui la penetrava con delicatezza, come non aveva mai fatto con nessuna ragazza prima.
Lei gli stringeva le braccia e ad ogni spinta la sua schiena si curvava sempre di più, finché Tom la baciò e lasciò nascere un orgasmo fra le loro labbra.
I suoi muscoli seguivano i movimenti dei loro corpi che non si staccavano nemmeno un momento e ogni tanto gli piaceva adagiare la testa affianco al collo di Rebecca per inspirare il suo profumo. Un odore che sapeva di libertà e di paura contemporaneamente. Un odore che lo aveva circondato per tutta la notte, per tutta la durata della loro passione che si era consumata lentamente e con precisione.
Rebecca gli piaceva. Gli piaceva fisicamente, caratterialmente e spiritualmente.
La vide stringere con una mano il lenzuolo sotto i loro corpi e mordersi un labbro mentre lui, sopra il suo corpo, si tratteneva il più possibile per continuare a guardarla, per lasciar durare quei momenti il più possibile.
E poi lei, sul suo corpo. Lo baciava, sembrava torturarlo da quanto era buono il suo sapore, quasi Tom volesse mangiarla.
La pioggia batteva forte contro le finestre e Rebecca lo osservò attraverso quella poca luce e i fulmini che comparivano regolarmente.
Il suo viso era sudato così come il resto del corpo e respirava con la bocca, mentre i suoi occhi restavano attaccati a quelli di Tom. Lui era sdraiato, le mani poggiate sul fondoschiena di lei, la bocca aperta per riuscire a respirare e il petto sudato e lucido che si alzava e abbassava seguendo il ritmo del suo respiro.
Aveva addosso una stanchezza carica di adrenalina. Le braccia di Rebecca erano tese affianco al suo viso ma tutto ciò che riusciva a vedere erano i suoi occhi.
Tom si fece forza con le braccia e avvicinò il suo viso a quello di Rebecca, baciandola.
Poggiò di nuovo la testa sul cuscino e lei lo seguì, adagiando poi il suo petto a quello di Tom e lasciandosi cadere su di lui come una foglia secca.
Tom le passò una mano lungo la schiena e poi attraverso i suoi capelli, trascinandola al suo fianco e cingendole il corpo con l’altro braccio libero.
Si diede del coglione mentalmente, ma non poté negare di aver assaporato tutto come mai prima d’allora.
Come per scacciare quei pensieri, portò il suo corpo più vicino a quello di Rebecca e lei sospirò poggiandosi sulla sua spalla.
Un tuono squarciò il silenzio che c’era nella stanza. Erano entrambi dentro un uragano.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quando Tom si svegliò non c’era nessuno al suo fianco. Il braccio che per tutta la notte aveva stretto il corpo di Rebecca ora giaceva sul materasso senza alcuna figura da toccare. Si girò verso il bagno ma la luce era spenta e dalla porta aperta non si vedeva nessuno. Degli abiti di Rebecca nemmeno una traccia.
Tom si mise a sedere sul letto, leggermente stordito. Pensò a chiamarla, ma non sapeva nemmeno il numero della sua stanza.
Scese dal letto e si infilò sotto la doccia, lasciandosi cadere addosso un getto d’acqua fredda.
Se non fosse stato per il fatto che si era trovato nudo con un letto disfatto e i muscoli distrutti, avrebbe pensato di essersi sognato tutto. Ma effettivamente era stato tutto troppo reale per essere semplicemente un sogno. O un incubo.
Quando uscì dalla doccia cercò di sistemare un po’ quel casino e si vestì per fare colazione. Al tavolo c’erano solo Bill e Gustav, il primo con un paio d’occhiali da sole e il secondo che sfogliava un quotidiano probabilmente senza capirci nulla.
« Buongiorno. » lo salutò il gemello.
« Dov’è Rebecca? » domandò di getto, sedendosi.
Gustav sollevò lo sguardo dal giornale.
« Becky ha detto che non scende. »
« E perché? »
Gustav fece spallucce e bevve un sorso di caffè.
« Non si sente bene. »
Tom afferrò una fetta biscottata e ci spalmò sopra del burro.
« Spero che per stasera sia in forma. » disse Bill.
Nessuno gli rispose.

Tom aspettava nella hall, mentre Bill picchiettava con un piede sul pavimento, le braccia incrociate in petto. Era tremendamente in ansia, sbuffava ogni 5 secondi e continuava a guardare l’orologio, ripetendo la domanda “Dov’è Rebecca?!”.
Tom non rispondeva, sapendo che era la stessa cosa che si stava chiedendo anche lui.
Gustav era uscito per controllare che la macchina fosse pronta ma non era ancora rientrato.
L’ascensore si aprì ma uscì una coppia di anziani, lei arricchita da gioielli in oro che brillavano anche al buio e lui che la seguiva con il volto fisso davanti a sé.
Tom si lasciò cadere seduto su una poltrona lì vicino e fissò Bill.
Se Rebecca non fosse comparsa entro qualche istante, Bill sarebbe impazzito. Ne era sicuro.
Si aprì anche l’altro ascensore ma non uscì nessuno.
« Ma insomma! » sbuffò Bill, sollevando le braccia in aria e abbassandole subito dopo.
« L’hai chiamata? » gli domandò Tom.
« Sì, mi ha detto che stava scendendo. Non è possibile che ci metta così tanto, gli ascensori ora sono liberi! »
Tom non rispose.
Un ascensore venne chiamato da un altro piano e si chiuse.
Bill espirò pesantemente e si guardò attorno, cercando Gustav.
Tom picchiò per terra con un piede e si torturò il piercing con i denti, lasciando che l’idea di andare a controllare se Rebecca stesse bene si concretizzasse sempre più nel suo cervello.
« Non si vede nemmeno Gustav! » si lamentò ancora Bill.
« Sei troppo agitato, rilassati. »
« Né lui né Rebecca si sono ancora fatti vivi! »
« Lo so, ma se entri nel pallone non combineremo nulla. Rilassati. »
Tom aveva un grosso potere su Bill perché era l’unica persona di cui si fidava ciecamente. Ma Tom non aveva mai approfittato di quella situazione perché la cosa era reciproca. Anche lui riponeva tutta la sua fiducia in Bill, di qualsiasi cosa si trattava. Ed era per quello che se l’era presa con Rebecca, si era sentito in un certo modo tradito.
Bill percorse un paio di volte un minuscolo tragitto immaginario e poi un ascensore si aprì. Sollevò lo sguardo ed espirò tutta l’aria che aveva trattenuto.
« Oh, finalmente! »
Tom seguì la voce di Bill e lo vide che guardava gli ascensori, allora voltò il viso anche lui.
Rebecca uscì da un ascensore con addosso un abito nero e uno scialle che le copriva le spalle. I capelli erano sciolti e guardava per terra.
« Come stai? » le chiese Bill.
Lei sollevò lo sguardo ma lo posò su Tom, ancora seduto nella poltrona della hall. Si alzò frettolosamente, rimettendosi poi a posto la cravatta.
« Bene, grazie. »
Distolse velocemente lo sguardo ma Tom rimase ad osservarla, chiedendosi che diamine fosse successo.
Perché Rebecca era andata via? Perché non era scesa a colazione? Perché si comportava in quel modo?
Non era forse stata lei a baciarlo? E non era forse stata lei a rispondere alle provocazioni di Tom?
Insomma, avevano fatto le cose in due, non era soltanto Tom ad aver vissuto quella notte.
Gustav arrivò con le guance rosse e richiamò l’attenzione di tutti.
« La macchina è fuori, è tutto pronto. Andiamo? »
Bill annuì e fece un passo avanti.
« Oh ciao Becky! »
Rebecca fece un mezzo sorriso e Bill proseguì. Gustav lo seguì trotterellando allegramente ma Tom non si mosse. Rimase a fissare la ragazza.
Rebecca lo superò col volto basso. Tom avrebbe voluto fermarla, farle tutte quelle domande, avere delle risposte ai suoi perché e contemporaneamente stringerla di nuovo a sé, sentirla respirare sulla sua pelle e sentire le sue labbra sul suo collo.
Ma non si mosse e aprì la bocca lasciando uscire solo fiato con parole congelate.
Non restò altro che seguirla silenziosamente fino all’auto guidata da Gustav.

Bill seguiva con lo sguardo i movimenti in sala. L’aveva riconosciuto diversa gente ma lui non si era fermato a parlare con nessuno. Aveva uno strano presentimento che l’aveva assalito da quando aveva messo piede là dentro. Tom sedeva al suo fianco e un po’ più in là stavano Rebecca e Gustav.
La sfilata non era ancora iniziata ma le luci si erano già abbassate.
« Tu e Rebecca non riuscite proprio ad andare d’accordo, eh? » domandò Bill.
Tom s’irrigidì e non rispose. Bill lo guardò.
« Abbiamo un rapporto così fitto che parlarci è assai complicato. »
Bill non ribatté e si limitò ad osservarlo e a studiarlo.
« C’è qualcosa che devo sapere? »
Tom lo guardò dritto negli occhi, poi spostò lo sguardo sulla passerella.
« Sta iniziando. » fu l’unica cosa che disse.
Bill rimase a guardarlo aspettando che dicesse altro. Ma non accadde.
Tom restò immobile a fissare la passerella ancora vuota mentre la musica si espandeva in tutta la sala e i primi modelli iniziavano a comparire dal fondo.
Bill li osservò attentamente e già al secondo modello si era quasi conficcato le unghie oltre i pantaloni.
Tom seguiva i movimenti dei modelli, riconoscendo che c’era qualcosa che non andava in loro e nei loro abiti. Era come se avesse già visto quella collezione da qualche altra parte.
Bill emise un verso sbigottito e Tom guardò prima lui e poi seguì la linea del suo sguardo.
La modella sulla passerella sfilava con un abito rosso fiammante fatto con la stessa tecnica e le stesse forme di quelli di Bill.
Le sue nocche erano bianche da quanto forte stringeva i pugni. Sembrava non respirasse e le sue labbra erano serrate quasi col lucchetto.
Tom diede uno sguardo fugace alla passerella e poi tornò a guardare il fratello, muovendosi sulla sedia.
« Bill, tutto ok? »
« Trovalo. »
Tom lo guardò sbigottito, pensando di aver capito male nel trambusto della musica e dei fotografi.
« Come, scusa? »
Bill lo guardò e nei suoi grandi occhi, Tom riconobbe un oceano di lacrime pronte a solcargli il viso. Suo fratello stava per piangere dalla rabbia. Tutto il suo lavoro era stato messo a rischio e ora gli abiti che aveva sognato stavano sfilando davanti ai suoi occhi con qualche modifica e sotto il nome di un altro stilista.
« Trovalo, ho detto. » ripeté.
Tom restò a guardarlo un istante, sperando che cambiasse idea. Ma poi fu costretto ad alzarsi e a eseguire l’ordine.
Si fece strada fra la gente e uscì dal pubblico, mischiandosi poi nell’oscurità.
Uscì dalla stanza e cercò una via secondaria per arrivare nel backstage, trovando una piccola porta di servizio. Si intrufolò e controllò di non essere seguito da nessuno.
Sbagliato. Aveva qualcuno alle calcagna.
Percorse un piccolo corridoio e poi si nascose in un angolo e attese.
La persona non ci mise molto a comparire davanti a lui e Tom fece un passo avanti per stordirla, ma poi si accorse che non era un bodyguard o qualche altra spia.
« Rebecca?! » domandò perplesso. « Che ci fai qui?! »
« E’ la stessa cosa che mi chiedo anch’io per te. Perché sei andato via nel bel mezzo della sfilata? »
Tom si ricompose, rimettendo a posto la giacca.
« Ordini di Bill. »
« Bill sa che siamo una squadra, no? »
« Sì ma stavolta non c’entra. E’ una questione personale e penso che Bill voglia sbrigarsela con meno gente possibile. Per questo si è rivolto solo a me, ora. Cos’è, siamo gelose? »
Rebecca assottigliò gli occhi, facendo diventare due fessure.
« Per niente, Tom. »
Tom.
Gli sembrava di non udire il suo nome pronunciato da quelle labbra da un’eternità, e una vampata di calore lo avvolse, costringendolo a guardare altrove.
« Devo trovarlo. » fu l’unica cosa che disse.
Rebecca annuì con la testa.
« Allora non perdiamo tempo. »
« Non ho usato il plurale! »
Rebecca aveva già avanzato di qualche passo e gli dava le spalle. Lo guardò appena.
« Ma io sì. »
Tom odiava quando faceva così ma non poteva negare che gli piaceva tantissimo.
Era come se dentro di lui ci fossero due parti in continua collisione.
Percorsero insieme il corridoio e non incontrarono nessuno. Superarono un’altra porta senza rivolgersi una parola, Rebecca davanti a lui, finché un grosso omone bianco gli comparve davanti e disse velocemente qualcosa all’auricolare.
Rebecca rimase come pietrificata e Tom si affrettò a tirare fuori la pistola e a sparare, ferendolo in modo da stordirlo.
Rebecca guardò il corpo adagiarsi a terra.
« Muoviti, prima andiamo via, meglio è. »
Tom proseguì velocemente e Rebecca lo seguì col fiatone, ancora scossa da quella scena improvvisa.
Un altro uomo, ma stavolta di colore, comparve dal nulla e saltò addosso a Tom. Questo cercò come gli riusciva di scollarselo di dosso ma fu Rebecca a prendere un vaso lì vicino e a spaccarglielo in testa.
L’uomo crollò a peso morto e un casino rimbombò nel corridoio.
Si udì il rumore di una porta e poi Tom vide Georg sbucare dal fondo.
« Eccolo! » disse più a sé stesso che a Rebecca.
Georg si voltò verso di lui e lo vide avvicinarsi velocemente a sé.
« Eccolo, è lui! »
Quattro agenti di polizia sbucarono alle sue spalle e seguirono il dito di Georg, puntato su Tom.
Questo si immobilizzò a metà e non appena vide i poliziotti corrergli incontro si voltò.
« Scappa, muoviti! »
Prese Rebecca per mano e la tirò via con sé, uscendo da quel corridoio. Imboccò di nuovo la strada precedente ma una volta tornato all’ingresso principale lo vide gremito di poliziotti e di bodyguard.
Frenò con i piedi e Rebecca iniziò a guardarsi attorno. Vide un’altra porta e lo spinse verso quella parte, mentre agli iniziali 4 agenti se ne aggiungevano altri.
Attraversarono la porta e seguirono le scale antincendio. Un gradino dopo l’altro fino ad arrivare al piano terra e spalancare la porta di sicurezza.
L’aria era fredda e si sentiva ancora l’umidità della sera prima.
« Da questa parte. » Rebecca lo tirò per una macchina verso destra.
Tom la seguì e lei lo condusse alla macchina, tirando fuori le chiavi dalla sua pochette.
« Gustav le ha lasciate a me. » spiegò.
Tom le prese.
« Aspetta, Bill! »
« Non possiamo, Tom! Se rientriamo ci arrestano! »
« Ma non posso lasciare Bill qui! Io.. non so nemmeno com’è fatta Milano! »
Dalla porta di sicurezza sbucarono gli agenti di polizia e urlarono “Li ho visti!”.
Tom sbiancò e si decise ad aprire il mezzo. Rebecca si sedette al posto del passeggero e Tom alla guida. Accese il veicolo e pigiò freneticamente sull’acceleratore, sperando che Bill capisse.
Lasciò una scia di fumo alle sue spalle e spruzzò l’acqua delle pozzanghere al suo passaggio.
Dallo specchietto retrovisore controllava la situazione ma non gli sembrò di avere poliziotti alle calcagna.
Rebecca teneva d’occhio lo specchietto dalla sua parte.
La luna era alta e illuminava la notte di Milano, ma si gelava.
Tom accese il riscaldamento e guardò i cartelli, senza capire un misero piffero.
Svoltò in un vicolo abitato e parcheggiò lì.
Dove fosse, non lo sapeva.
Rebecca si guardò attorno.
« Li abbiamo seminati. »
Tom annuì senza parlare.
Non riusciva nemmeno ad immaginare una possibile espressione di Bill quando avrebbe saputo che suo fratello era scappato.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Avevano passato l’intera giornata chiusi in quella macchina. Tom aveva comprato qualcosa da mangiare con i pochi soldi che aveva in tasca ma non si erano mossi da quell’auto. Non sapevano nemmeno dove andare.
Faceva freddo anche quella notte. Quella precedente Rebecca si era addormentata solo quando il sole stava sorgendo e Tom ne aveva approfittato per osservarla. Per provare a capire perché avesse agito in quel modo. Ma non trovò alcuna risposta scritta sulla sua pelle.
I vetri della macchina erano appannati per il freddo e Rebecca si stringeva nelle spalle, trattenendo i tremiti.
Tom la guardò. Non si erano rivolti la parola neanche un istante, ma avevano guardato il parabrezza davanti a loro congelarsi ancora di più.
Lui sospirò e il suo fiato diventò sottile nebbiolina.
Aprì lo sportello e Rebecca lo guardò.
« Vado a fare un giro. » disse prima di chiudere.
Si voltò e iniziò a camminare con le mani infilate nelle tasche della giacca del completo.
Il cielo di Milano era stellato ma c’era qualche nuvola scura sparsa qua e là. Per terra era pieno di pozzanghere e Tom slittava fra esse, camminando verso chissà quale posto.
A dire il vero non gli interessava sapere dove diavolo stesse andando, il suo unico scopo era quello di allontanarsi il più possibile da Rebecca, che improvvisamente aveva assunto le vesti del diavolo tentatore.
Tom strinse i pugni dentro le tasche e inspirò a pieni polmoni, immerso nei suoi pensieri.
Perché tutto quello? Perché si era trovato chiuso in una macchina con lei?
Svoltò senza rendersene completamente conto e continuò a camminare sul marciapiede, fino a trovarsi davanti una cabina telefonica.
Non ne aveva vista nemmeno una nei paraggi, quella era la prima.
Si guardò intorno, per vedere se era solo, ma molto probabilmente era così tardi che non poteva essere altrimenti. Si frugò in tasca e tolse fuori qualche moneta.
Si avvicinò speranzoso alla cabina ma non andava a monete. Serviva la tessera.
Imprecò a mezza voce e si allontanò velocemente da quella via, tornando indietro con un diavolo per nervo.
La macchina era ferma nello stesso punto, l’unica differenza era il parabrezza leggermente più congelato di prima.
Quando aprì lo sportello, Rebecca quasi trasalì. Tuttavia, non disse nulla.
Rimase sul suo sedile a contorcersi per il freddo.
Tom si sedette nel sedile del conducente, facendole arrivare una ventata gelida che sembrò farla impallidire ulteriormente. E lui se ne accorse.
Chiuse lo sportello con un tonfo, e calò il silenzio.
Era come se fra loro ci fosse un enorme muro invisibile il cui unico scopo era separarli.
Rebecca tremò un altro po’.
« Si è fatto sentire qualcuno? »
Lei scosse la testa, senza parlare e senza guardarlo, col volto che cercava di ripararsi da quel freddo.
Tom stava perdendo la pazienza.
Si sfilò la giacca di dosso e gliela porse.
Rebecca lo guardò e si ritrasse, facendo ‘no’ con la testa.
« Andiamo, non fare la preziosa. Io non la voglio. » mentì, sentendo il freddo pungergli la pelle oltre la camicia bianca.
Lei allungò una mano pallida e tremante e la prese, sistemandosela poi sulle sue spalle.
« Grazie. » mormorò.
Tom non rispose.

Quanto poteva essere passato? Forse un’eternità. Eppure la situazione non cambiava.
Tom era solo più congelato di prima, ma niente di grave dopotutto.
« Hai freddo? » gli domandò Rebecca.
Scosse la testa, sapendo che in realtà era prossimo all’ibernamento.
« Sicuro? »
« Sì. »
« Dobbiamo morire qui al freddo? »
« Perché te ne sei andata? »
Tom si voltò lentamente e Rebecca aveva la fronte aggrottata, gli occhi puntati sul suo viso.
« Rispondi alla mia domanda. » lo incalzò.
Tom espirò prima di rispondere.
« Qualcuno ci chiamerà e se così non fosse, troveremo un modo per tornare in Germania. »
Rebecca non parve sicura della risposta, ma non obiettò.
« Ora tocca a te. » si affrettò ad aggiungere lui. « Perché te ne sei andata? »
Lei non rispose, spostando lo sguardo da un’altra parte.
« Non lo so… »
« Fai le cose e non sai perché?! »
Rebecca non rispose e socchiuse leggermente gli occhi, pentendosi di aver dato quella risposta.
Tom pensò di esser stato troppo irruento.
Si girò e incrociò le braccia sul petto.
« Mi dispiace. » sentì.
Non disse niente e non si voltò nemmeno. Forse era meglio se iniziava a fregarsene di Rebecca. Forse era meglio se pensava solo a sé stesso o almeno ad un modo per andare via da quella città che gli aveva portato solo guai. Forse sarebbe stato meglio per entrambi se non si fossero mai incontrati.
Rebecca sospirò così forte che Tom fu costretto a guardarla.
« Io non lo perché me ne sono andata. So solo che quando mi son svegliata mi sentivo… uno schifo. »
Lui non rispose, anche se lei stava attendendo una sua parola.
« Credo di essere l’ultima persona che può consolarti. »
« Non voglio che mi consoli, non fare l’idiota! Sto solo cercando di spiegarti. »
« Hai una motivazione? Bene, io voglio quella. » la interruppe in tono brusco. « Non me ne frega niente di come ti sei allacciata il reggiseno, né di come eri messa quando ti sei svegliata. Vorrei solo sapere perché diavolo mi hai lasciato lì come un minchione. Perché, Rebecca? »
Lo sguardo di lei saettò da una parte all’altra, come se Tom l’avesse scoperta da una corteccia.
Ma non sapeva perché l’aveva fatto. Non ne aveva la minima idea, sapeva solo che quando si era svegliata aveva avuto paura. Paura che Tom potesse essere troppo o troppo poco. Paura di immergersi più del dovuto e paura per quello che avevano trascorso quella notte. Paura per lei e per lui.
Ma come dirglielo? Come fargli capire tutto quello?
Sapendo che Tom temeva per il fratello più di quanto temesse per sé stesso?
Non poteva. Non poteva assolutamente rivelargli quei pensieri che l’avrebbero ridicolizzata.
Lei e Tom non stavano nemmeno insieme, si erano solo baciati ed erano andati a letto. Ma non avevano una vera e propria relazione, contando che litigavano la maggior parte delle volte. Come in quel momento.
Rebecca continuava a guardare da una parte all’altra, finché Tom annuì rassegnato e poggiò la schiena sul sedile della macchina.
« Io non mi pento di quello che è successo quella notte. » disse lei.
Tom la ignorò.
« Ma non so che risposta darti. L’ho fatto senza un motivo preciso. Non a causa tua. E non pensavo nemmeno di trovarti così arrabbiato. »
« Non sono arrabbiato. » mentì. « Sono perplesso. »
« Scusa. » disse di nuovo lei, stringendosi ulteriormente nelle spalle.
Poi notò che aveva ancora la giacca di Tom e se la levò di dosso, porgendogliela.
« Che fai? Tienila, fa freddo. »
« Appunto, devi riscaldarti. »
Tom rifiutò spostandole le mani ma Rebecca insistette.
« Non fare l’idiota! » la ammonì ma lei gliela poggiò sulle gambe, incrociando poi le braccia scoperte sul petto.
Tom allora prese la giacca con una mano e la strinse, prima di sporgersi e di poggiarla di nuovo sulle spalle di Rebecca, con quasi tutto il corpo volto sopra il suo.
Lei rimase immobile, fissando il viso di Tom concentrato per sistemarle la giacca. Finché lui spostò gli occhi, guardandola.
Lo sguardo di Tom era qualcosa che giurava di non aver mai visto in nessun altro uomo.
Questo si passò la lingua sulle labbra, sfiorandosi appena le sferette del piercing, pregando di poter sentire ancora una volta il sapore delle labbra di Rebecca, ma sulle sue non c’era più.
Avrebbe voluto imprimerselo ancora una volta, baciarla di nuovo come se fosse stata la prima volta semplicemente per il fatto che non sapeva se l’avrebbe più potuto fare. Se avesse potuto avrebbe riportato tutto indietro e avrebbe fatto il possibile per non farla andare via.
Ma prima che potesse accorgersene, le sue labbra stavano sfiorando quelle di Rebecca, ancora una volta.
Com’è che un attimo prima stavano discutendo e quello dopo i loro visi erano uniti da un bacio? Era quasi impossibile spiegarlo.
Tom aveva gli occhi chiusi, ma quasi poteva immaginarsi il viso di Rebecca. Probabilmente aveva ripreso il colorito che il freddo le aveva tolto.
Sentì solo le sue mani farsi strada sul suo viso, accarezzandolo, e ne approfittò per spostare le labbra sul suo collo. Sì, il profumo era esattamente come se lo ricordava. L’odore di Rebecca lo mandava più in tilt di qualche altra droga.
Si slegò la cravatta mentre Rebecca gli accarezzava il collo. Il freddo gli attraversò il petto in superficie, piazzandosi sulla sua pelle come una patina invisibile, da sotto gli abiti.
Per quanto potesse odiarsi, stare con lei era una delle poche cose che volesse in quel momento.
Rebecca si legò al suo corpo come un nastro si lega ad un pacco e le labbra di Tom presero fiamma sulla sua pelle.
Non ammetteva che Rebecca era qualcosa di cui aveva bisogno. Non lo ammetteva con sé né a sé stesso. Preferiva intralciare quella visione dipingendo la ragazza solo come una tentazione. Un po’ come la mela di Eva; un frutto da mordere. E con quella visione impressa nella mente si spinse più in basso, baciandole il petto scoperto a causa dell’abito e le passò la lingua tra i seni, sentendo un sospiro levarsi dalle sue corde vocali.
Stava stretto in quella macchina che sembrava essersi rimpicciolita ulteriormente e così passò una mano verso la manovella del sedile, abbassandolo lentamente e risalendo sulle labbra delle ragazze.
« Almeno son sicuro che stavolta non te ne andrai. » ironizzò scostandosi dalle sue labbra e aprendo gli occhi per studiare ancora la forma dei suoi.
Lei sorrise appena.
« Non l’avrei fatto comunque. »

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quel sedile sembrava munito di spilli e il freddo gli aveva bloccato la mascella.
Tom fu svegliato dalla suoneria del suo cellulare e si frugò in tasca con una mano, tenendo gli occhi ancora chiusi. Li aprì solo quando trovò l’apparecchio e lo tolse fuori. Nello schermo lesse “Gustav”.
« Pronto? »
« Tom, sei tu? » riconobbe la sua voce.
« Sì sì certo che sono io! »
« Meno male, pensavo che avessi perso il telefono! »
Rebecca sul suo petto mosse la testa e ispirò.
« Sei con Rebecca? »
« Sì, siamo insieme. »
« E dove siete? »
« Ancora a Milano, abbiamo preso la macchina e… » deglutì. « …siamo fuggiti.. »
« Immaginavo, avete fatto bene. »
Anche se Gustav gli aveva risposto così, non poté non sentirsi una bestia per aver lasciato Bill.
« Sai dove vi trovate, precisamente? »
Tom cinse il corpo di Rebecca da oltre la giacca che si erano poggiati addosso per riscaldarsi un po’, e si sporse verso il finestrino ghiacciato. Con una mano lo pulì un po’, ghiacciandosi ulteriormente le dita, e vide un cartello non molto distante.
« Via Fog… Fogazzaro.. credo.. »
Sentì qualche rumore dall’altra parte del telefono e Rebecca sollevò il viso assonnato guardandolo dal basso. Tom si riappoggiò al sedile.
« Perfetto, non vi muovete. Ci metterò un po’ ma vengo a prendervi. »
« Come?! »
« Non ti muovere. » ripeté Gustav.
Tom non rispose e Gustav chiuse la chiamata.
Rebecca, ancora sdraiata sul suo petto, mugugnò qualcosa e sollevò lo sguardo.
« Chi era? »
Tom rimise il cellulare in tasca.
« Gustav. »
« Che ha detto? »
La ragazza si fece forza con una mano, sollevando il corpo da quello di Tom e facendo così cascare la giacca via da entrambi.
« Che sta arrivando a prenderci. »
Tom la riprese e gliela poggiò di nuovo sulle spalle.
« E come? » la voce di Rebecca risuonava ancora assonnata.
Tom fece spallucce e scosse la testa.
« Non ne ho la più pallida idea. So soltanto che non dobbiamo muoverci. »
Rebecca si poggiò di nuovo sul petto caldo di Tom coperto solo da quella camicia e socchiuse gli occhi, sospirando. La sua pancia mugolò.
« Hai fame? »
Annuì con la testa, tenendo gli occhi chiusi e una mano poggiata sui pettorali del ragazzo.
« Sì ma non preoccuparti. Va bene così. »
Tom restò sorpreso ma non poté negare a sé stesso che quella situazione un po’ gli piacesse.
Stare in quella macchina solo con Rebecca sdraiata sul suo corpo, anche se c’era abbastanza freddo da permettere ad un gelato di stare in ottime condizioni, non lo infastidiva più. E sapere che Gustav stava tornando, gli aveva fatto passare ogni tipo di timore.
L’unico problema, sembrava Bill. Non sapeva nulla di lui, di come stava, di cosa pensava, di come aveva preso il fatto che lei e lui fossero scappati via insieme. Non sapeva niente di niente. Gustav non aveva nemmeno accennato ad una sua possibile reazione.
Ma, si disse, era solo questione di tempo. Presto Gustav sarebbe arrivato.

Milano era di nuovo buia. Tom aveva finito tutti i soldi e non aveva comprato nulla da mangiare; la sua pancia e quella di Rebecca mugolavano a intervalli irregolari ma con costanza, e il gelo aumentava.
« Quanto ci metterà Gustav? » domandò lei, stringendosi nelle spalle e tremando.
Tom scosse la testa dal suo sedile, cercando di non far trapelare il suo stato di semi-congelamento, visto che Rebecca aveva ancora la sua giacca.
« Non lo so. » balbettò lentamente.
« Arriverà prima che uno di noi muoia? »
Tom sbuffò.
« Rebecca, dai! »
« Sono seria! » sbottò lei. « Io non mi sento più le mani e la tua faccia è blu. C’è un freddo boia, diamine! »
Le passò una mano sulle spalle , immaginando il freddo come un fantasma che in quel momento lo abbracciava ancora più di prima.
Lei poggiò la testa sulla sua spalla, nascondendo il viso affianco al suo collo e sospirò.
« Georg è proprio uno stronzo. » mormorò. « Perché non fa qualcosa che sa fare invece che rubare i modelli agli altri stilisti? »
Tom scosse la testa.
« Non lo so. »
« E’ irritante. »
« Già. »
Rebecca prese fiato, sentendo pugnali affondarle lentamente i polmoni ad ogni boccata d’aria.
« Non mi piace nemmeno di faccia. E non è stato molto carino con me, dal momento che voleva uccidermi. »
« Per fortuna sono arrivato io. » ironizzò lui.
La ragazza sollevò lo sguardo e lo fissò dalla luce della luna che entrava dal vetro semi-ghiacciato dell’auto; sorrise.
« Già, per fortuna sei arrivato tu. »
Tom non capì più nulla. Rebecca aveva solo cambiato il soggetto, eppure quella frase l’aveva mandato in tilt.
Avvicinò cautamente il suo viso a quello della ragazza e…
…una luce li colpì in pieno, costringendo entrambi a chiudere gli occhi. Davanti a loro c’era una macchina.
Tom spostò il braccio dal corpo di Rebecca, la quale si allontanò cercando di capire chi fosse.
I fari dell’auto si spensero e si udì il rumore di uno sportello.
La ragazza lanciò uno sguardo fugace a Tom, il quale aprì il suo sportello e uscì al gelo italiano con soltanto la camicia addosso.
Aggrottò le sopracciglia, mentre il suo respiro si condensava non appena usciva dalle sue labbra, e vide una figura incappucciata avvicinarsi all’auto.
Un lampione gli illuminò il viso.
« Tom? »
« Gustav! »
Tom gli corse incontro e lo abbracciò quasi facendolo cadere, sentendo poi il suo giubbotto trasmetterli calore.
Il ragazzo rimase leggermente sorpreso e gli batté qualche pacca sulla schiena, prima di capire che aveva ben pochi abiti addosso.
« Dov’è Rebecca? »
« In macchina, ti stavamo aspettando e… »
« Che diavolo hai addosso?! O meglio: che diavolo non hai addosso?! »
« Lascia stare, dobbiamo andare via. »
Gustav si diresse verso la sua macchina.
« Salite, dai. Mollate qui questa macchina. »
Tom corse verso lo sportello di Rebecca e lo aprì.
« Rebecca muoviti, stiamo andando via. Rebecca? »
Lei lo guardò con gli occhi semichiusi, il suo viso tremendamente pallido.
Tom vide il suo corpo accasciarsi in avanti e la resse per un pelo.
« Gustav! » chiamò.
Lui batté uno sportello e si avvicinò velocemente, mentre Tom si caricava il peso di Rebecca addosso.
« Che è successo? »
« Credo abbia preso troppo freddo. »
Gustav chiuse lo sportello della macchina mentre Tom trasportava Rebecca nell’altra vettura e la sdraiava nei sedili posteriori, sedendosi poi al suo fianco.
Lei aprì gli occhi, mentre il suo corpo tremava sotto le braccia di Tom, anche lui infreddolito.
« Hey, che c’è? » le domandò lui.
Gustav salì alla guida e mise velocemente in moto. Rebecca si mosse lentamente, poggiando la testa sulle gambe di Tom e raggomitolandosi su sé stessa. Non rispose e Gustav partì.
Tom coprì ulteriormente Rebecca con la sua giacca, anche se nella macchina di Gustav c’era leggermente più caldo.
« Dove andiamo? » gli domandò.
« In albergo, Bill ci sta aspettando per andare in aeroporto. »
Tom deglutì sentendo il nome del fratello.
« Come sta? »
« Bene, ma era preoccupato. »
« Non è arrabbiato? »
Gustav lo guardò dallo specchietto.
« Perché dovrebbe esserlo? »
Tom non rispose e abbassò lo sguardo verso il viso di Rebecca, che teneva gli occhi chiusi.
Si sentì incredibilmente più leggero ad aver udito quelle parole, ma contemporaneamente passò una mano sul viso di Rebecca per farle aprire gli occhi.
« Stai sveglia, ok? »
Lei annuì con la testa, riscaldandosi lentamente.
Gustav guidava seguendo un navigatore montato sulla macchina, e in breve arrivarono all’albergo.
Bill era nella hall seduto in completa solitudine. Gustav andò velocemente e chiamarlo e uscirono con una fretta assurda. Bill si sedette davanti.
Si voltò e guardare prima Tom e poi Rebecca.
« Come state? » domandò mentre Gustav metteva in modo e poi partiva.
Tom annuì con la testa.
« Vivi. »
Gli occhi di Bill lo scrutarono attentamente, e Tom continuò a sentirsi un minimo in colpa.
« Mi dispiace… » mugolò.
Bill scosse la testa.
« Hai fatto la cosa più giusta. Ora dobbiamo solo sistemare queste ultime cose. »
Si voltò verso la strada, mentre Gustav continuava a seguire il TomTom.
Tom aggrottò la fronte.
« Quali cose? »
Bill abbassò lo sguardo sulle sue mani, stuzzicandosi le unghie rifatte. Poi sospirò.
« Ne parliamo una volta arrivati in aereo. »
Tom poggiò la schiena nel sedile e non rispose.
Ne aveva abbastanza di tutta quella storia.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Tom chiuse la porta della stanza di Rebecca e vide Bill seduto in un angolo con una rivista fra le mani.
Gli si avvicinò stringendosi nel maglione di lana che aveva recuperato dalla sua valigia e si sedette nella poltrona davanti a lui. Bill lo guardò da oltre gli occhiali da lettura.
« Come sta? » domandò riferito a Rebecca.
Tom annuì con la testa.
« Ora meglio, ha mangiato e dorme al caldo. »
Bill abbozzò un sorriso e Tom si strofinò le mani.
« Di cosa parlavi prima in macchina? »
Bill lo guardò ancora, poi spostò lo sguardo altrove. Poggiò la rivista in grembo e poi si decise a chiuderla, lanciandola in un tavolino lì affianco. Si sfilò gli occhiali e si passò distrattamente una mano sul viso struccato, sospirando. Tom s’irrigidì.
« Ho sbagliato. » cominciò. « Non dovevo dirti di andare da Georg, di trovarlo e di fare quello che dovevi fare. Ho sbagliato e mi dispiace, ma questo non è abbastanza… »
Tom si protese in avanti.
« Andiamo Bill non è successo niente di grave, sono ancora vivo e vegeto dopotutto. »
Bill scosse la testa ma non lo guardò in faccia.
« Non è di questo che parlo. Io sono estremamente felice di vederti, Tom. »
« E allora qual è il problema? »
Il gemello sollevò lo sguardo corrugato in un’espressione preoccupata e iniziò a contorcersi le mani.
« Sei ricercato. »
Tom osservò Bill senza dire niente, impassibile. Il suo viso perse lentamente colore e sentì i battiti del suo cuore accelerare senza contegno.
Bill scosse la testa.
« Io non so che diavolo mi sia preso quando ti ho chiesto di trovarlo, ma non volevo che andasse così! Io non volevo metterti in mezzo in questo modo! » mormorò.
Tom si poggiò con la schiena sulla poltrona, prendendo fiato lentamente.
« Chi mi cerca? »
« Tutti. La tua faccia sta girando nei notiziari come “l’attentatore dello stilista Listing”. » rispose. « Ma quale stilista. »
Tom si leccò le labbra secche.
« Non ho alcuna intenzione di farti trovare, perciò cercheremo di nasconderti da Gustav. »
« Rebecca, è ricercata anche lei? »
Bill scosse la testa.
« No, solo tu. »
Tom tirò un leggero sospiro di sollievo.
« Penso che Georg abbia voluto accanirsi solo su me e te. »
« L’azienda non ha subito danni, no? »
Bill non rispose.
Tom lo guardò per un po’ ma gli occhi di Bill zigzagavano sul pavimento del jet privato, senza dargli alcuna risposta.
« Cristo santo! » esclamò capendo che erano nel bel mezzo di un casino.
« Sistemerò tutto io, non preoccuparti! »
« Ti terranno d’occhio! » sbottò Tom. « Sono tuo fratello gemello, diamine! Pensi che la polizia non ti pedinerà mattina e sera sperando che tu li porti da me?! »
Bill non rispose nemmeno a quella domanda e chiuse definitivamente gli occhi.
« Lo so. » sussurrò. « Purtroppo lo so. »
Tom non aggiunse altro, non sapendo che diavolo dire. Era tutto troppo strano e troppo incasinato per tentare di trovare una soluzione in quel momento. Per di più Gustav e Rebecca non erano con loro e quattro cervelli avrebbero lavorato meglio di due senza ombra di dubbio.
Tuttavia, Tom non poté fare a meno di sentirsi in pericolo.
Si alzò dalla poltrona con uno sbuffo e si diresse verso la stanza dove coricava Rebecca.
« Dove vai? » gli domandò Bill.
Tom si fermò a metà strada e gli rispose senza voltarsi.
« Da Rebecca. »
« Oh, vedo che il vostro rapporto è migliorato. »
Tom deglutì; Bill non sapeva niente. Di lui, di Rebecca, di loro due insieme. Nulla di nulla.
Aveva agito come se il fratello fosse a conoscenza di tutto e invece no, si era completamente dimenticato che né lui né Gustav sapevano che cosa c’era fra di loro. Beh, non che i diretti interessati fossero più sapienti a riguardo.
« Direi ‘evoluto’, non ‘migliorato’. »
Bill aggrottò le sopracciglia, riprendendo gli occhiali in mano.
« E questo che significa? »
Tom fece spallucce, riprendendo a camminare.
« Niente, sono solo aggettivi. »
Era assolutamente la risposta più stupida che poteva dare.

Bill si strofinò un’ultima volta le mani, sentendo il brusio oltre quella porta già aperta.
Gustav lo guardò dalla montatura dei suoi occhiali e gli fece segno di entrare.
Lo stilista mosse un piede dopo l’altro, sentendo la paura farsi strada nei suoi organi, prendendoli con sé uno dopo l’altro.
Quando fece il suo ingresso nella sala, sul palchetto che lo sopraelevava rispetto a tutti i giornalisti, il silenzio calò. Solo poco dopo, quando si voltò a guardarli, qualcuno dal fondo iniziò ad applaudire, ma non tutti si unirono a quel piccolo scroscio.
Bill li fermò tutti sollevando una mano in aria. Sotto il suo sguardo solo un tavolino in legno rettangolare con un microfono sopra. Si sedette e sospirò.
I giornalisti lo guardavo come fossero avvoltoi e partirono i primi flash, mentre le telecamere erano già accese da un pezzo.
« So perché siete qui. » disse Bill. « Ma non ho le risposte che cercate, purtroppo. Non so dov’è mio fratello né cosa stia succedendo esattamente. Tutto ciò che so è che gradirei essere lasciato in pace, per una volta. »
« E’ vero che era alla sfilata di Listing quando suo fratello ha cercato di ucciderlo? » domandò una signora con i capelli corti e un paio di occhiali rotondi poggiati sul naso, sollevando di poco la mano in aria per prendere parola.
« Mio fratello probabilmente non voleva nemmeno ucciderlo. » precisò prima di rispondere, « ma comunque sì, eravamo entrambi alla sfilata. Se così si può chiamare. ».
Un uomo barbuto sollevò la mano e Bill gli diede la parola con un cenno della testa.
« In che senso “se così si può chiamare”? »
Bill sospirò e si studiò le mani.
« Ho visto diversi abiti che riprendevano lo stile delle mie ultime due collezioni e questa cosa mi ha infastidito non poco. Si sa che il rapporto fra me e il signor Listing non è mai stato buono e questo suo azzardo non ha di certo migliorato le cose. »
« Pensa che suo fratello abbia voluto difenderla? »
Bill fece spallucce.
« Probabilmente sì. »
« E’ sicuro di non sapere dove ora sia? » domandò un altro giornalista con i capelli rossi.
Bill scosse la testa.
« E’ scappato nel bel mezzo della sfilata e non l’ho più visto. » mentì.
« Era solo? » domandò una ragazza al fianco del rosso, con parecchie lentiggini sul viso e gli occhi verdi.
Bill fece spallucce.
« Non lo so. »
« Se la polizia dovesse chiederle di aiutarli nella ricerca di suo fratello, lei lo farebbe? »
Bill non rispose e trafisse la ragazza con il suo sguardo.
« Non lo so. » anche quella era una bugia.

Rebecca picchiettava con una penna sulla scrivania di Bill, la testa inclinata da un lato e le maniche della camicetta a righe bianche e azzurre sollevate fino al gomito.
Tom era seduto in un angolo della stanza, torturandosi il piercing.
« Lo stanno massacrando di domande, me lo sento! »
Rebecca non rispose e continuò a tamburellare con la penna sul legno.
« Non possiamo farci nulla, lo sai. »
Il ragazzo sospirò e poi si passò una mano sul viso. Si alzò e iniziò a camminare nella stanza.
« Cosa possiamo fare per risolvere questa situazione? »
« Tu sicuramente nulla. » rispose Rebecca. « Non sarebbe prudente lasciarti gironzolare per il mondo, visto come sei messo. »
« Oh grazie, molto motivante come risposta! » sbottò Tom.
Rebecca smise di pungere il tavolo con la penna e lo guardò di traverso.
Tom si fermò e le lanciò un’occhiata, prima di sbuffare.
« Scusa. » mormorò. « Mi sto lasciando coinvolgere troppo. »
Rebecca non rispose e lui si avvicinò, avvolgendola fra le sue braccia.
Lei rispose alla stretta con meno entusiasmo.
« Credo che tutti siamo coinvolti un po’ troppo da questa storia. »
Tom si allontanò.
« Sarebbe meglio se ci facessimo aiutare dagli altri agenti. »
La ragazza scosse la testa.
« Rischieremmo di mettere in pericolo anche loro. E non penso che Bill sarebbe d’accordo vista l’attuale situazione. »
Tom sospirò e le accarezzò le braccia.
« Pensi che ce la faremo? » gli domandò.
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
« Io sono fiducioso. »
Rebecca inarcò gli angoli delle labbra, formando un leggero sorriso; le labbra di Tom stavano per posarsi sulle sue quando sentì il rumore di una sirena farsi fin troppo vicino.
Si immobilizzò e spalancò gli occhi a qualche centimetro dal viso della ragazza che aveva avuto la sua stessa reazione.
Rebecca lo spinse via e si avvicinò velocemente alla finestra. Tom la raggiunse; una pattuglia di polizia stava facendo irruzione nell’azienda.
« Cazzo! » imprecò Tom indietreggiando velocemente.
Aprì la porta dell’ufficio di Bill e si tuffò nel corridoio, Rebecca alle sue spalle.
Scese freneticamente le scale rischiando perfino di cadere e arrivò al piano terra. Dalla stanza delle conferenze vide Bill accerchiato di poliziotti e il cuore gli balzò in petto.
Rebecca lo tirò per un braccio verso l’uscita ma due poliziotti si voltarono e lo videro. Tom iniziò a correre più veloce che poteva.
Uscirono nel parcheggio e si diressero entrambi verso la macchina di Bill di cui Tom aveva un doppione, ma questo fermò Rebecca prendendola per le braccia.
« Tom, ma che… »
« Non puoi. »
Lei cercò di dimenarsi ma lui spostò le mani sul suo viso colorato di rosso. La guardò dritta negli occhi.
« Non vogliono te, vogliono me. »
« Questo non significa nulla Tom, io voglio venire con te! »
« Non se ne parla. » si rifiutò lui scuotendo energicamente la testa ma continuando a tenerle il viso. « Bill e Gustav hanno bisogno di te, tu lavori per Bill e io rischierei di metterti in pericolo. »
Rebecca non riuscì a rispondere, mentre i suoi occhi si dipingevano di una velatura che Tom non aveva mai visto prima d’allora.
La strinse a sé e le stampò un bacio sulle labbra, imprimendosi il suo sapore addosso.
Lei cercò invano di tenerlo a sé ma poi la mano di Tom sfilò via dalla sua e lo vide salire su quella macchina.
Poco dopo, Tom non era più lì.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Quando Rebecca rientrò in azienda, Bill era circondato dai poliziotti. Le rivolse uno sguardo fugace e lei abbassò il viso, insicura.
Gustav arrivò dalla sua sinistra e la tirò per un braccio, nascondendola agli occhi della polizia che stava interrogando Bill.
« Che è successo?! »
Rebecca tenne lo sguardo basso, mentre una rana balzava nella sua gola quasi impedendole di parlare.
« Non lo so… » riuscì a soffiare.
Gustav aggrottò la fronte, abbassandosi poi per guardarla meglio in viso.
« Tom? Dov’è? »
Quella volta Rebecca sollevò lo sguardo e Gustav riuscì a vedere i suoi grandi occhi tremare.
« E’ andato via. »
« Via dove? »
La ragazza scosse la testa e fece spallucce.
« Io non lo so, è salito nella macchina di Bill ed è uscito dal parcheggio. Non so dove sia andato né cosa abbia intenzione di fare ma non mi ha lasciato andare con lui. »
Le labbra di Rebecca tremavano ad ogni parola e non riusciva a guardare Gustav mentre gli raccontava cos’era successo.
L’agente davanti a lei allargò le braccia e la abbracciò, sospirando.
« Tom sa cosa può e non può fare. Lo ritroveremo, vedrai. »
Rebecca non rispose e si limitò ad annuire, poggiando la testa sul petto di Gustav.
I giornalisti uscirono dalla stanza e dall’edificio mormorando tra di loro e poco dopo Bill venne scortato dalla polizia.
Gustav lo guardò perplesso e preoccupato contemporaneamente ma lui gli fece segno con lo sguardo che era tutto apposto e due agenti salirono nell’ascensore con lui.
Rebecca sciolse l’abbraccio e osservò dove andava l’ascensore.
« Sono nel suo ufficio. » constatò Gustav.
Rebecca spostò lo sguardo da un’altra parte, pensando.
« Io e Tom eravamo lì. »
« Spero che Bill si sia fatto venire in mente qualcosa. » sussurrò Gustav, mentre altri poliziotti uscivano dalla sala.
Rebecca iniziò a salire i gradini a gruppi di tre e arrivò al piano dell’ufficio di Bill. La scrivania della segretaria era vuota così ne approfittò e si sedette lì, legandosi velocemente i capelli in una coda di cavallo per non destare sospetti.
Dalle porte chiuse dell’ufficio di Bill si udivano le due voci dei poliziotti confabulare qualcosa, ogni tanto Bill rispondeva alle loro domande e poi si udiva qualche rumore sommesso.
Gustav uscì dall’ascensore nell’esatto momento in cui gli agenti uscirono dall’ufficio di Bill e a Rebecca bastò un’occhiata all’altro agente per capire che dovevano parlare con il loro capo.
Bill era seduto dietro la sua scrivania, nella sedia in pelle nera.
Si voltò a malapena quando li vide entrare.
« Hanno ricevuto una chiamata. » disse. « Me l’hanno riferito poco fa. »
Gustav e Rebecca si guardarono sbigottiti.
« Chi può avergli detto che Tom era qui se lo sapevamo solo noi tre? » domandò lui.
Bill non rispose, fissando il vuoto.
Gustav sospirò, sapendo qual era la risposta.
« C’è un altro infiltrato, quindi. »
Bill annuì guardandolo. Poi spostò lo sguardo su Rebecca.
« Cos’è successo? »
Lei inspirò profondamente, sperando di non apparire fragile agli occhi di Bill.
« Eravamo qui nel tuo ufficio, stavamo parlando. Poi abbiamo sentito il rumore di una sirena e abbiamo visto un’auto della polizia parcheggiarsi qui giù. Tom è corso fuori, l’ho seguito ma ha preso la tua macchina e non ha voluto che andassi con lui. »
Bill sbuffò e poi batté un pugno sulla scrivania in legno.
« Porca puttana, dovevi fermarlo! » sbraitò.
Rebecca lo fissò perplessa.
« Ho cercato di farlo ma non mi ha ascoltato! » replicò.
« Hai idea di cosa significhi adesso sapere che Tom sta girando da solo mentre mezzo mondo lo cerca?! »
Gli occhi di Rebecca si colorarono di un rosso intenso.
« Pensi di essere l’unico che tiene a Tom qui dentro?! Credi forse che sei solo tu quello che non ci dorme la notte, quello che si preoccupa per la sua incolumità e che spera che tutto vada per il verso giusto, Bill? Beh mi spiace deluderti ma non lo sei! Ci siamo in mezzo tutti quanti e anche io ho paura per Tom, forse tanta quanta la tua. »
Lo stilista non rispose e rizzò la schiena che aveva incurvato quando aveva battuto il pugno sulla scrivania.
Gustav guardò prima lui poi Rebecca, entrambi con la fronte aggrottata e pronti a sputarsi qualsiasi cosa addosso.
« Ragazzi, facciamo così. Adesso ci sediamo tutti, niente pugni, niente strillate e troviamo un modo per salvare il culo di Tom così siamo tutti più tranquilli, mh? »
Rebecca spostò lo sguardo sul pavimento e poi su Gustav, annuendo.

Bill si sedette sul divano della sua casa, la schiena a pezzi.
Tirò la testa indietro con un sospiro e il viso di Tom gli comparve per qualche istante.
Dove diavolo era?
Aprì di nuovo gli occhi e cercò con lo sguardo il telecomando. Lo vide nel tavolino davanti a sé, lo prese e poi accese la TV, iniziando a fare un po’ di zapping.
Maledizione, non era possibile che le cose peggiorassero giorno dopo giorno. Ora dopo ora.
Il giorno prima Tom era appena tornato e in quel momento era sparito di nuovo, rifugiatosi in chissà quale losco posto.
Bill scosse la testa pensando fra sé e sé. Una situazione come quella non era stata prevista nemmeno pensando al peggiore dei casi, eppure era successa. C’erano dentro tutti ormai e mettere in mezzo anche altri agenti non gli sembrava il caso. Lui, dopotutto, voleva solo trovare Tom in quel momento.
E Rebecca, per l’amor del cielo. Che diavolo era successo fra Tom e Rebecca per cambiare il loro rapporto così tanto? Non si odiavano fino a qualche tempo prima?
Era tutto un incredibile casino, era come se Bill si trovasse in mezzo a un ciclone. O almeno la sua testa sembrava esserlo. Un vortice di pensieri che lo trascinava sempre più giù ogni secondo che passava. Poteva forse andare peggio? La risposta arrivò con un servizio alla TV.
Non era vero che le cose potevano peggiorare solo ora dopo ora ma anche istante dopo istante.
Bill afferrò freneticamente il telecomando e alzò il volume per poter udire meglio.
« Non è possibile.. » biascicò.
« Possibile che la security non sia in grado di svolgere il proprio lavoro? Stamattina è stato trovato il cadavere di Georg Listing. A dare l’allarme la sua segretaria che era entrata nel suo ufficio per consegnargli delle lettere. La polizia ha già iniziato le indagini ma non è sconosciuta a nessuno la fuga del fratello gemello dello stilista Bill Kaulitz, Tom. Kaulitz aveva cercato in precedenza di aggredire Listing nel backstage di una sua sfilata alla quale anche il fratello aveva assistito. Tom ora è ricercato dagli agenti della polizia come possibile assassino; per ora non ci sono altri sospetti. »
Bill lasciò andare il telecomando e si fiondò a prendere il telefono. L’ora non era delle migliori e lui lo sapeva bene, ma nemmeno la situazione era da trascurare.
Il telefono fece qualche squillo, poi qualcuno rispose.
« Gustav? »
« Bill? »
Questo fece un mezzo sospiro di sollievo.
« Ho bisogno di te e di Rebecca. Ora. »
Gustav restò in silenzio qualche istante.
« Dove sei? »
« A casa mia. Ma ci troviamo in azienda fra mezz’ora ok? »
Gustav annuì con un mugugno.
« Avviso Beky. »
L’agente riattaccò senza aspettare risposta e Bill lasciò il telefono su un mobile, andando poi ad infilarsi una giacca e a prendere le chiavi della macchina.
Doveva esserci stato uno sbaglio. Tom non poteva assolutamente aver ucciso Georg. Con che mezzi poi?
Quando era uscito dall’azienda non aveva niente o almeno Rebecca non aveva accennato a nessuna arma in suo possesso. Che in macchina ci fosse qualcosa? No, Bill conosceva ogni singolo centimetro del suo mezzo.
Entrò in macchina, mise in moto e poi partì verso la sua azienda.
Doveva esserci un malinteso. Ne era perfettamente sicuro.

Rebecca entrò per ultima nell’ufficio di Bill.
Le luci dell’azienda erano tutte spente eccetto quella che illuminava la loro stanza.
Bill la scrutò.
« Io non ci credo. » proclamò Gustav. « E’ impossibile. »
Rebecca inspirò e incrociò le braccia sul petto.
« Tom aveva qualche arma con sé? » le chiese Bill, ignorando le frasi di Gustav.
La ragazza scosse la testa.
« Non aveva nulla, qui si sentiva al sicuro. »
« E’ altamente impensabile che Tom sia andato di là a fare fuori Georg! Sarebbe venuto prima qui da noi o almeno avrebbe cercato di avvertirci! »
« Avvertirci di cosa? Che voleva sbarazzarsi di Georg una volta per tutte? » sbottò Bill, guardando Gustav di traverso. Lui restò quasi paralizzato mentre Rebecca scioglieva le braccia.
Avanzò lentamente verso Bill.
« Non crederai davvero che Tom abbia potuto fare una cosa del genere. »
Bill lasciò saettare lo sguardo su di lei e poi sulla sua scrivania in quel momento vuota.
« Cristo santo, Bill! Stiamo parlando di Tom! »
« Stiamo parlando di Tom che fugge da qui perché qualcuno fa la spia. Un Tom incazzato a morte con Georg per tutto quello che ha combinato fin’ora. Un Tom probabilmente fuori di sé. »
« Un Tom ricercato da quasi mezzo mondo! » aggiunse Gustav, colorandosi in viso. « Pensi che tuo fratello sia così stupido?! »
Bill scosse freneticamente una mano in aria.
« Io non penso che Tom sia stupido, penso solo che… ah, ma che diavolo sto dicendo.. »
Si passò una mano sul viso e poi la premette contro la fronte, trattenendo il respiro. La sua testa stava per scoppiare, ne era sicuro.
Le pareti di quella stanza sembrarono essere tremendamente piccole e quasi gli pareva che si stessero restringendo sempre di più. Bill sentì quasi l’impulso di alzarsi e scappare da quell’azienda per uscire e prendere una boccata d’aria fredda, in modo da riordinargli le idee. Ma Gustav parlò per lui.
« Dobbiamo trovarlo e in fretta. Soprattutto prima della polizia. »
Rebecca annuì.
« Come? » domandò Bill, ancora con le mani davanti al viso e gli occhi chiusi.
Quella domanda vagava nella stanza come un fantasma e tutti e tre sapevano che era praticamente impossibile trovare Tom.
« Un modo lo troveremo. » sentenziò Rebecca.
Bill si levò le mani dagli occhi e sollevò lo sguardo, osservandola da capo a piedi.
Perché Tom? Perché suo fratello e non Rebecca?
Si sentiva una bestia a fare quel ragionamento, ma il fatto che fosse Tom quello in pericolo gli annebbiava ulteriormente la mente. E senza i consigli di Tom, sentiva che l’azienda poteva andare perduta.
« Che c’è? » gli domandò la ragazza. Bill l’aveva fissata tutto il tempo.
Lui spostò lo sguardo da un’altra parte.
« Siete sicuri che potremmo farcela? »
« Ti abbiamo mai deluso? » replicò Gustav.
Bill poggiò lo sguardo su di lui e abbozzò un sorriso tirato.
Era vero, non l’avevano mai deluso. Perché dubitare di loro proprio in quel momento? Dopo che si erano dimostrati pronti a tutto e dopo che avevano rischiato così tanto per lui e per l’azienda?
Non era giusto che dubitasse di loro. Doveva fidarsi.
E decise di farlo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Tom tossì rumorosamente, stringendosi negli unici abiti che aveva con sé.
Quella sera faceva abbastanza freddo e si era nascosto in un parcheggio sotterraneo, sapendo che la polizia lo stava cercando in lungo e in largo. L’unica cosa che lo distraeva un po’, era la radio.
La sua testa era un vortice di mille pensieri diversi.
Non poteva di certo stare in quel parcheggio tutta la vita ed era sicuro che ci fossero delle telecamere di sicurezza e che prima o poi qualcuno avrebbe notato la sua presenza. Ma girare con l’auto di Bill era ancora meno prudente e rubarne un’altra era assolutamente fuori discussione.
Lui non era un criminale.
Non capiva ancora che diavolo fosse successo; perché la polizia avesse fatto irruzione nell’ufficio e come facevano a sapere che lui era lì? Cosa sarebbe accaduto a Bill, allora? Avrebbero iniziato ad indagare anche su di lui?
Scosse la testa cercando di scacciare quel pensiero, ma come spostò la mano verso il sedile accanto al suo, non poté non pensare al fatto che fosse estremamente solo. Isolato da tutto e da tutti.
Rebecca non c’era. Non era lì con lui ed era solo colpa sua; lui le aveva detto di non seguirlo e sempre lui era fuggito via da solo.
L’aveva fatto per proteggerla, certo, ma in quel momento sentiva che la presenza di Rebecca sarebbe stata decisamente più confortante di quella radio.
Radio che, manco a farlo apposta, non stava trasmettendo affatto buone notizie.
« Ed ora passiamo alla cronaca nera. E’ un giallo quello della morte dello stilista Georg Listing. »
Tom si irrigidì e fissò imperterrito e stupito la radio.
« La sua segretaria dichiara di aver trovato il suo cadavere nel suo ufficio, ma del colpevole nessuna traccia. »
Ci fu un momento di pausa dove il giornalista si schiarì la voce e Tom alzò il volume, con un pessimo presentimento.
« Gli agenti della polizia non escludono un possibile coinvolgimento di Tom Kaulitz, fratello gemello del noto stilista Bill. Tom è ricercato per tentato omicidio verso Listing, il quale ha subito sporto denuncia. Il ricercato ha lasciato perdere le sue tracce ma la polizia è stata avvisata della sua presenza nell’azienda del fratello. Quando gli agenti sono arrivati, Bill stava dando una conferenza e Tom sembrava essere nel suo ufficio a rovistare fra la sua roba. Bill dichiara di non aver aiutato suo fratello e quest’ultimo è fuggito rubando l’auto dello stilista. Che abbia voluto completare il suo macabro desiderio? »
Tom si lasciò sprofondare nel sedile mentre alla radio cambiavano argomento parlando del meteo.
Com’era possibile tutto quello?
Sentì il cuore battergli veloce in petto; quell’ansia era snervante e per di più aveva paura.
Non poteva stare lì imbambolato. La polizia lo stava cercando, sì, ma almeno Bill doveva sapere.
Era sicuro che Bill avrebbe potuto fare ben poco, ma dirglielo, fargli sapere che lui era innocente era di vitale importanza. Più importanza della sua libertà stessa.
Si mise il cappuccio in testa e aprì lo sportello, uscendo poi dal mezzo. Il parcheggio era immenso e i suoi passi echeggiavano infinitamente.
Era tutto tremendamente sconvolgente.

Gustav entrò a passo sicuro nell’azienda, dentro la sua tuta mimetica. Il cartellino “Arold” era attaccato nel taschino sinistro della parte superiore della divisa e Gustav girava indisturbato nel palazzo.
C’era un via vai mostruoso di stilisti, fotografi, modelle e segretarie ma nessuno sembrava far troppo caso a lui.
Aveva già una scusa pronta nel caso qualcuno l’avesse bloccato, ma non ci pensava nemmeno. Era troppo impegnato a girare con un paio di lenti a contatto colorate e graduate, ammirando quanto più riusciva a vedere senza la montatura sul suo naso.
Si intrufolò nell’ascensore e avvicinò il viso al bordo della divisa, trovandosi solo.
« Non mi hanno ancora fermato, adesso controllo negli uffici. »
Dal furgoncino blu, Rebecca era seduta davanti al pc e anche se non vedeva niente, udì le parole di Gustav. Al suo fianco c’era Viktor, un agente proveniente dalla Russia che Bill aveva temporaneamente affiancato a Rebecca mentre Gustav era andato in ispezione.
Viktor le fece segno con il viso che era una cosa buona e Rebecca annuì con la testa. Era una situazione completamente ridicola. Aveva lavorato così tanto tempo da sola che ci aveva messo un po’ per abituarsi alla collaborazione con Tom e Gustav. E adesso, stare fianco a fianco con Viktor non era di certo più rilassante o entusiasmante.
Gustav uscì dall’ascensore e si trovò in un corridoio completamente isolato. Si sentivano delle voci da oltre le porte ai suoi lati, ogni tanto qualche risata ma nulla di più.
Si voltò a destra e poi a sinistra e vide il bancone della segretaria lasciato al proprio destino. Sopra c’erano dei fogli.
Gustav si avvicinò e iniziò a dare un’occhiata ai documenti sparsi la sopra.
Qualche delega, pubblicità varia e poi… un momento.
Avvicinò le mani verso un pezzo di carta leggermente più spesso degli altri e vide che era un fascicolo. Sembrava una proposta di pubblicità o roba del genere. Gustav non ci capiva tanto di quella roba. Lo sfogliò un po’, leggendo qualche parolina qua e là e poi arrivò all’ultima pagina. Strabuzzò gli occhi per via delle lenti a cui non era decisamente abituato e vide la firma di Georg che autorizzava tutto. Era datata il giorno stesso.
Com’era possibile che Georg avesse firmato se era morto?
Sentì dei rumori provenire dall’angolo alla sua destra e si allontanò velocemente dal bancone, nascondendosi dietro un pilastro.
Udì dei passi uscire dall’altro corridoio e trattenne il respiro, per paura di essere scoperto.
« Perfetto Margaret, grazie mille. Mi raccomando, ricordati di non rivelare il nostro segreto a nessuno, intesi? »
« Certo signor Listing, lo terrò presente. »
Gustav ebbe quasi un sussulto.
Signor Listing.
C’erano due risposte a quelle due paroline: Georg poteva avere un figlio o un parente, oppure Georg non era mai morto. Un po’ inspiegabile come ipotesi, ma a Gustav rimaneva in mente come un grosso punto di domanda.
Si sporse leggermente da oltre il pilastro e vide un uomo incurvato sulla scrivania che controllava dei documenti. La segretaria stava andando nell’ascensore.
Gustav corse velocemente in un altro corridoio lì vicino, badando di non essere visto. Ma i suoi movimenti non erano propriamente leggiadri, e l’uomo voltò il viso da una parte e dall’altra.
Gustav lo vide perfettamente.
Somigliava troppo a Georg per essere un suo parente, a meno che lui non avesse un fratello gemello come i Kaulitz.
C’era solo una differenza: questo nuovo Georg aveva i capelli corti. Non c’era più la chioma lunga e liscia per la quale tutti lo conoscevano.
L’uomo si voltò i nuovo sui fogli e poi ne prese una manciata in mano, allontanandosi verso gli ascensori.
Gustav tirò un sospiro di sollievo e cercò il microfono nel bordo della divisa ma cambiò subito idea, ritenendo più saggio trovare un altro luogo più isolato.
Sentì l’ascensore aprirsi; l’uomo probabilmente ci stava entrando in quel momento.
« Salve Karl. »
« Buongiorno Georg. »
Bingo!
L’ipotesi più improbabile era appena stata confermata: Georg era vivo e vegeto e controllava ancora l’azienda.
Lasciò il corridoio e Gustav si trovò completamente solo. Si avvicinò con passo svelto verso l’ascensore e lo chiamò. Quello arrivò poco dopo e Gustav si infilò subito dentro. Non voleva dare la notizia bomba tramite microfono, preferiva darla a voce a tutti quanti.
Non restava far altro che uscire da quell’edificio, no?
L’ascensore si aprì e Gustav fu investito da una marea di gente che camminava avanti e indietro. Si immischiò fra di essa e si diresse verso la porta secondaria dalla quale era entrato.
Era quasi arrivato, quando una mano lo afferrò per una spalla, voltandolo con forza.
« Dove credi di andare? »
Chi gli parlava era un uomo alto e con una chioma corta e brizzolata.
« Ehr… io? »
« Sì, tu. I vetri del secondo piano sono ancora da fare, muoviti! »
Piombò di nuovo dentro l’ascensore, trovandosi affianco una donna che teneva fra le mani un secchio verde scuro e due stracci.
Avrebbe dovuto avvertire Rebecca che faceva tardi.

Bill era tartassato dalle telefonate ma in quel momento le aveva bloccate tutte per parlare con la polizia che era venuta a fargli un’altra delle loro calorose visitine.
Continuava a dire che non aveva visto Tom, che non aveva avuto notizie sue e che sì, aveva denunciato la macchina che il fratello aveva rubato.
La polizia non gli credeva, ne era sicuro, ma lui non poteva farci nulla: non aveva davvero avuto notizie di Tom, né sapeva che diavolo fosse realmente successo nell’azienda di Georg.
Rebecca entrò di soppiatto nell’ufficio spalancando la porta e si immobilizzò alla vista dei due agenti. Uno di questi era in piedi mentre l’altro stava seduto davanti alla scrivania di Bill. Si voltarono entrambi a guardarla.
« Lei chi è, prego? » le chiese quello in piedi, con i capelli corti e neri e gli occhi scuri.
Rebecca lo fissò ammutolita e non seppe cosa rispondere. Lanciò uno sguardo a Bill che la guardò con le sopracciglia inarcate, visibilmente provato dalla discussione con i due.
Rebecca spostò di nuovo lo sguardo sull’agente, leccandosi le labbra improvvisamente secche.
« La sua ragazza. »
Il poliziotto corrugò un poco la fronte e Bill la fissò perplesso.
« La sua ragazza? » domandò il secondo agente, che poi si voltò a guardare Bill.
Questo annuì con la testa e poi si grattò un sopracciglio.
« Sì, io e Ivy stiamo insieme da un po’ ma lo sanno solo pochi amici intimi. »
Rebecca annuì con la testa, imprimendosi nella mente il fatto di essere temporaneamente Ivy.
I due agenti non sembrarono proprio convinti, ma non dissero nulla a riguardo e si limitarono ad annuire con la testa.
Seguì qualche istante di silenzio, interrotto poi da Bill che si alzava dalla sua poltrona.
« Se non vi spiace, gradirei che ora lasciaste il mio ufficio. Vi ho già detto tutto quello che so. »
L’agente seduto si alzò con uno scatto.
« Certo, non si preoccupi. La ringraziamo per il suo aiuto. » disse quello in piedi.
I due abbandonarono la stanza con un cenno del capo e si chiusero la porta alle spalle.
Rebecca aspettò un po’ prima di avvicinarsi alla scrivania di Bill e piantarci sopra i pugni chiusi.
« Gustav non è ancora rientrato. » sibilò a denti stretti, fissando Bill negli occhi.
« Viktor è ancora giù? »
« Sì e non siamo venuti a capo di niente. Gustav non s’è più fatto sentire, sembra essersi perso nel nulla. »
Bill si risedette nella poltrona e socchiuse leggermente gli occhi. Rebecca lo guardò preoccupata.
« Ti hanno fatto sempre le stesse domande, vero? »
Bill sospirò e si voltò da un’altra parte, spostando le mani dal suo viso stanco.
« Sì, le solite cose. E le solite risposte. Se solo sapessi come aiutare Tom… »
« Ci stiamo provando e troveremo un modo, vedrai. Non abbiamo mai fallito e non accadrà neanche questa volta. »
Bill annuì senza guardarla e stava per risponderle, quando il telefono squillò. Chiuse leggermente le palpebre prima di risponde in modo annoiato.
« Ok, arrivo subito. »
Si alzò dalla sedia e si allontanò verso la porta.
« Problemi? »
« Sono pronti i nuovi modelli, vado a dargli una controllatina. Tu stai qui, torno fra 10 minuti e andiamo insieme da Viktor. »
Rebecca annuì e Bill lasciò la stanza.
Dio quanto odiava quella situazione. Sapere che Tom era da qualche parte la fuori ma contemporaneamente non avere la minima conoscenza di dove diavolo si fosse cacciato. Vedere Bill in quelle condizioni, l’azienda avere sempre più problemi. E poi non sapere che diavolo stesse facendo Gustav, perché non si era ancora fatto sentire.
Erano troppe preoccupazioni e troppi punti di domanda che andavo risolti il prima possibile.
Rebecca osservò la scrivania incasinata di Bill. C’era una foto di sua madre incorniciata, un’altra di lui e una marea di stilisti accanto e una terza con lui e Tom da piccoli. Al centro della scrivania c’erano dei fogli bianchi e qualche disegno qua e là. I cassetti erano tutti chiusi e c’era una lampada spenta e staccata dalla corrente posta in un angolo.
Rebecca si spostò di nuovo per guardare le foto ma la porta si aprì ed entrò un uomo incappucciato. Era molto alto e aveva il fiatone. Chiuse di botto la porta e Rebecca prese di scatto la lampada con l’intento di difendersi spaccandogliela in testa. Ma poi la figura si voltò togliendosi il cappuccio e vide chiaramente dei cornrows neri e due occhi ambrati illuminati dal sole che entrava dalle grandi finestre dell’ufficio di Bill.
Lasciò andare la lampada poggiandola di nuovo sulla scrivania.
« Tom » soffiò.
Il ragazzo non disse nulla ed emise un verso simile ad un sospiro. Rebecca gli si fiondò addosso, legando le braccia attorno al suo corpo. Era gelido.
Le loro guance si strofinavano l’una con l’altra e poteva sentire chiaramente la pelle fredda di Tom. Da dove era arrivato? E perché?
« Come stai? » gli domandò prendendogli il viso fra le mani. Lui le strinse con le sue, riscaldandosi.
« Non è questo che importa, non ho molto tempo, credo mi abbiano visto. »
Fissò Rebecca negli occhi, impaurito.
« Non sono stato io. » mormorò.
Lei capì a cosa si riferiva e in cuor suo ammise di averci sempre sperato.
« Non ho ucciso io Georg, non ho fatto nulla di tutto quello che dice la gente. Sono rimasto tutto il tempo nascosto in un parcheggio e ti giuro che non ho mosso un passo verso di lui o verso la sua stupida casa di moda. »
Rebecca lo abbracciò di nuovo, stringendolo a sé.
« Lo so Tom, lo so. Sapevo dal principio che non potevi essere stato tu, per questo Gustav è andato a scoprire qualcosa. »
Tom le prese le mani e le strinse forte.
« Qualsiasi cosa accada, promettimi che non farai cazzate, intesi? Dovrai pensare a metterti in salvo e non voglio che nessuno rischi la pelle per me. »
« Non vorrai scappare di nuovo. » mormorò lei.
« Che altre alternative ho? »
Rebecca scosse energicamente la testa.
« Tutto ma non questo! Non ti lascerò andare via un’altra volta, non senza di me! »
Tom sospirò, ma Rebecca lo zittì in partenza.
« O vengo con te o tu resti con me. »
Il ragazzo la guardò, sperando che cambiasse idea. Ma Rebecca era testarda e quello lo sapeva molto bene. Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
Stava per rispondere, quando la porta venne aperta di nuovo da Bill.
Tom gli sorrise ma lo sguardo del fratello era tutt’altro che sereno; alle sue spalle c’erano due agenti di polizia.
Rebecca lasciò immediatamente le mani di Tom e gli si piazzò davanti.
Bill rimase impalato mentre i due agenti estrassero le pistole.
« No! » strillò Tom, sollevando le mani in aria. Prese poi Rebecca per le braccia e la spostò. Lei lo guardò perplessa e spaesata contemporaneamente.
« Che diavolo stai facendo?! »
Tom non le rispose e la allontanò, spostandola verso Bill.
I due agenti abbassarono le pistole. Tom si stava davvero arrendendo?
Bill lo guardava col cuore in gola; lui e gli agenti erano uno di fronte all’altro, entrambi disarmati.
Tom fece un passo verso di loro, uno dei due aveva già le manette pronte, ma poi scattò verso la porta aperta e fuggì nel corridoio.
Rebecca lo seguì precedendo i poliziotti e Bill urlò invano il nome del gemello.
Tom schizzò nel corridoio e cercò di chiamare gli ascensori ma non ne trovò uno libero, così scese per le scale. Arrivò nel secondo corridoio e si lanciò fra la gente che lo guardava perplessa, ma poi rallentò: era pieno zeppo di agenti di polizia e non c’era nessuna porta che lo conducesse alla libertà.
Rebecca arrivò come un lampo e lo tirò via per un braccio, ma Tom la fermò.
« Non posso, devono prendermi! » disse. « Tu sai, avverti Bill, Gustav, chiunque puoi e tirami fuori. Ok? »
Rebecca non capì subito perché Tom faceva così, ma annuì.
Tom stava per baciarla quando venne scaraventato via da alcuni poliziotti che lo lanciarono contro un muro. Lo fecero girare, ammanettandolo.
« Lei è in arresto per tentato omicidio, furto e latitanza. » disse un agente. « Le consiglio di trovarsi un buon avvocato o tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei. »
Tom si vide spinto via, in mezzo a tutta quella gente. Rebecca lo guardò senza parole, mentre la polizia lo portava via.
Bill raggiunse la scena mentre Tom usciva a testa bassa, con le manette alle mani e un poliziotto per braccio. Gustav arrivò in quel momento e rimase alquanto perplesso.
« Tom? »
Il ragazzo sollevò lo sguardo e lo vide, ma non disse nulla. Scosse solo la testa, e poi gli agenti lo portarono via dagli occhi di tutta quella gente.
Gustav vide Rebecca muta in un angolo e poi Bill da un’altra parte, chiedendosi cosa diavolo fosse successo. I mormorii attorno a lui iniziarono a dargli fastidio e si districò in mezzo alla gente. Prese Rebecca per un braccio e spinse Bill per la schiena.
Dovevano parlare. Urgentemente.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Gustav chiuse con un tonfo la porta dell’ufficio di Bill e quando si voltò lo vide in piedi, distante da Rebecca che si stringeva nelle braccia. Entrambi avevano il volto basso.
« Che diavolo è successo?! »
Lei sospirò.
« E’ tornato perché voleva che noi sapessimo che non è stato lui ad uccidere Georg. »
Bill la guardò.
« Grazie al cielo! » esclamò, visibilmente sollevato.
« Certo che non è stato lui! » sbottò Gustav, diventando rosso in viso. « Georg non è mai morto! »
Bill e Rebecca lo guardarono sorpresi.
« Come?! » domandarono all’unisono.
Gustav si schiarì la voce e riordinò le idee.
« Sono stato in azienda da Georg, per vedere se scoprivo qualcosa, qualsiasi cosa. Arrivato all’ultimo piano, presumibilmente quello del suo ufficio, ho trovato la scrivania della segretaria vuota ma sopra c’erano dei documenti. In uno di questi c’era una sua firma, datata la mattina stessa. »
Rebecca sbuffò e sollevò le braccia in aria.
« Come puoi dire che è vivo basandoti su una firma?! Sai bene anche tu che ci vuole ben poco per falsificarla. »
Gustav le puntò un dito contro.
« Ed è qui che ti sbagli. »
Nei suoi occhi brillava un barlume d’astuzia e ingegno che Rebecca non riusciva a decifrare.
« L’ho visto con i miei occhi. »
Bill trasalì.
« Hai visto Georg? »
Gustav annuì con la testa.
« Stai scherzando?! » sbottò Rebecca, più stupita di prima.
Gustav scosse la testa, ammiccando un leggero sorriso.
« E’ sbucato da un corridoio e si è messo a parlare con la segretaria. Ho pensato che potesse essere un parente perché aveva i capelli corti e una notevole somiglianza col Georg che conosciamo noi. Ma mi sbagliavo, è davvero lui. L’ho sentito parlare con qualcuno e quel qualcuno l’ha chiamato per nome: Georg. »
« Incredibile » mormorò Bill, lasciandosi cadere sulla poltrona lì affianco. « Quindi Tom è indagato per un reato che non ha commesso. »
« E se non lo tiriamo fuori di là il prima possibile, potrebbero anche condannarlo. Se Georg è riuscito ad inscenare il suo omicidio quando invece stava dal barbiere, potrebbe riuscire a far incastrare Tom. »
Rebecca sentì un groppo in gola.
« Dobbiamo fare qualcosa e alla svelta. Tom deve uscire da là e Georg deve pagarla cara. »
« Non lasceranno mai andare Tom dopo quello che è successo. »
« Nemmeno con una cauzione? » domandò Bill.
Gustav fece spallucce.
« Questo non lo so. »
La situazione era precipitosamente degenerata. Tom era in prigione e probabilmente sarebbe stato condannato per un reato che non era stato commesso.
Erano tre cervelli. Dovevano trovare una soluzione e alla svelta.

Tom era stato bruscamente trasportato nella cella e si trovava solo.
Sentiva dei lamenti e dei mormorii provenire dalle altre celle e in quella davanti a lui c’erano due ragazze che lo provocavano.
« Prostitute » aveva mormorato lentamente, la prima volta che le aveva viste.
Gli agenti giravano controllando ogni singola cella e Tom aveva ormai imparato anche i nomi. Erano tre giorni che stava lì dentro e non sapeva nemmeno per quanto ancora ci sarebbe rimasto. Sapeva solo che voleva uscire di lì il prima possibile.
I muri della cella erano piastrellati di quello che una volta doveva essere bianco e la stanza era terribilmente fredda. La brandina sulla quale dormiva era scomodissima e di certo lui non era abituato a quei pochi metri quadri di spazio.
Nessuna visita in tre giorni, nessun messaggio da nessun luogo se non gli ordini degli agenti.
Tom sedeva sul ‘letto’, le braccia poggiate sulle gambe piegate e il volto che fissava il nulla, perso fra i suoi pensieri.
Doveva trovare un modo per uscire da la. Doveva trovare una via per far capire che non era un criminale.
Il punto era: come?
Se solo avesse potuto parlare con Gustav o Rebecca…
« Kaulitz. »
La voce era di Abo, uno dei due agenti che girava sempre nel corridoio.
Tom si alzò dalla brandina e si avvicinò alle sbarre. Abo era seguito da altri due agenti, uno di questi aveva due manette aperte.
« Hai visite. » proclamò Abo, facendo tintinnare le chiavi sulla serratura della cella.
L’agente con le manette entrò nella cella per primo e ammanettò Tom, badando che non potesse tentare di fuggire nemmeno col pensiero. Poi lo scortarono fuori, richiudendo la sua cella.
Mentre camminava nel corridoio, Tom sentiva le altre persone parlare e qualcuna gli rivolgeva sguardi quasi assassini. Non era un posto che lo faceva stare tranquillo.
Uscì per entrare in un’altra stanza, e poi lo portarono oltre un’altra porta. Lì c’erano due file di tavoli messi a specchio e divisi da grosse lastre di vetro. I detenuti sedevano da un lato, prendevano il telefono e potevano parlare con chi gli aveva fatto visita, che sedeva dalla parte opposta.
Tom perse un battito quando vide Rebecca con i gomiti poggiati sul tavolino che attendeva guardandosi da una parte all’altra, spaesata.
Chiusero la porta alle sue spalle e lei sollevò lo sguardo, vedendolo.
Abo gli levò le manette e Tom si catapultò ad afferrare il telefono. Rebecca prese il suo.
« Tom » sussurrò, come se stesse pronunciando un segreto.
Lui abbozzò un sorriso.
« Come stai? »
Fece spallucce.
« Me la cavo. » tralasciò. « Tu? »
Lei rispose con un cenno della testa.
« Stiamo cercando di tirarti fuori. »
Tom scosse la testa.
« Non dovete fare nulla di pericoloso, lo sai.. »
« Ci serve il tuo aiuto. »
Il ragazzo stette ad ascoltare e Rebecca strinse la cornetta fra le mani, coprendosi un po’ la bocca.
« Riesci a spiegarmi come sono fatte le celle? »
Tom aggrottò la fronte, cercando di fare memoria.
« Si aprono con la chiave, come tutte le celle del mondo. »
« E chi ha la chiave? »
« Di solito Abo. » lanciò uno sguardo fugace alle sue spalle. « Vedi quell’uomo enorme con pochi capelli in testa neri? »
Rebecca annuì spostando lo sguardo verso la figura che controllava gli altri detenuti.
« Quello è Abo. Ha lui la chiave per la mia cella, sempre. »
Rebecca abbozzò un sorriso e abbassò lo sguardo.
« Vedo che hai capito cosa volevo sapere. »
« Abbiamo fatto lo stesso lavoro, no? »
Lei annuì: « Già. »
Lo sentì sospirare e, indecisa, sollevò una mano verso il vetro. La poggiò sopra di esso e spostò lo sguardo verso Tom. Lui fece lo stesso, piazzando la sua mano sopra quella di Rebecca. Era molto più grande, avrebbe potuto inglobarla ma nonostante ci fosse uno spesso strato di vetro fra di esse, gli sembrava di poterla toccare.
Rebecca spostò la sua mano e poco dopo Tom fece lo stesso. C’erano le loro impronte impresse sopra.
« Come sta Bill? » domandò lui.
« E’ preoccupato, ma sta bene. L’azienda sta andando avanti e sta sistemando tutto con più facilità di quanto credesse. »
« Almeno qualcosa di positivo c’è. »
Rebecca avvicinò il viso al vetro per vederlo meglio e si portò il telefono estremamente vicino alle labbra.
« Ti faremo uscire. Te lo prometto. »
Tom stava per rispondere, quando Abo sovrastò la scena e gli poggiò una mano sulla spalla.
« Tempo scaduto, amico. »
Tom annuì con la testa e rivolse un ultimo sguardo a Rebecca. Lei gli sorrise e chiuse il telefono dopo di lui.

Poteva essere passata un’eternità, ma Tom non lo ricordava.
Rebecca non era più andata a trovarlo e non aveva alcuna notizia dal mondo là fuori. Soltanto Abo sembrava voler instaurare un rapporto con lui. In quel momento era poggiato alle sbarre, mentre Tom era seduto sul suo letto, in completa solitudine.
« Allora, chi è la ragazza che è venuta a trovarti? La tua fidanzata? »
Tom deglutì.
« Una specie. »
« Come una specie?! O lo è o non lo è. »
Tom ci pensò, sentendosi in imbarazzo.
« Non lo è ancora. »
Abo sbottò in una piccola risata.
« Come vi siete conosciuti? »
« Colpa di mio fratello, come al solito. Io e lei ci odiavamo fin dal primo momento e lui ha cercato di mettere le cose a posto. »
« Beh, tuo fratello ci vede bene, no? »
Tom non rispose.
« Te la sei già portata a letto? »
Il ragazzo rise per la prima volta dopo giorni.
« Dai ma che domande sono! »
« Hey ti sto salvando dal suicidio per noia, andiamo! » esclamò. « Te lo dico perché, se fossi stato in te, l’avrei già fatto. »
« Sai che invece è stata tutta opera sua? »
« Ma il maschio è lei o sei tu? »
Tom gli fece il verso con una smorfia non divertita e Abo scoppiò a ridere.
« Lasciatelo dire amico, se quella è venuta fin qua solo per vederti, ne vale la pena! »
« Viene qui solo perché sa che sono innocente. »
« Anche io so che sei innocente. »
Tom trasalì.
« Scherzo, ovviamente! »
Avrebbe voluto sganciare un pugno sul viso di Abo per quel minimo di speranza che gli aveva acceso, ma si trattenne.
« Molto divertente, dovresti fare il comico anziché il poliziotto. »
« Lo dicono in diversi. »
Tom non rispose, portando la testa all’indietro.
Una porta si aprì e si chiuse subito dopo e Abo si rizzò in piedi.
« Abo? » domandò chi era appena entrato.
« Sì, sono io. »
« Kaulitz è richiesto per un interrogatorio. »
Abo tirò fuori le chiavi e Tom si preparò, sollevandosi dal letto.
« Andiamo amico, devono spremerti ancora un po’ finchè non urlerai che sei tu il colpevole. »
Tom uscì dalla cella senza rispondere a quella provocazione, e si trovò a sbarrare gli occhi.
Gustav lo ammanettò e lo spinse via.
« Me ne occupo io. » disse ad Abo, strizzandogli l’occhio. Quello annuì con la testa e richiuse la cella di Tom.
Gustav lo spinse verso la porta e quando la richiuse, Tom lo guardò dall’alto verso il basso.
« Da quando fai queste entrate in scena? »
« Stai zitto e fai finta almeno una volta. » lo ammonì, continuando a recitare la sua parte da poliziotto, ancora una volta senza occhiali.
Vagò per un po’ da un corridoio all’altro con Tom al guinzaglio finchè poi arrivò davanti ad un’uscita d’emergenza. Guardò prima a destra, poi a sinistra e infine si decise ad aprire la porta.
« Hai un piano oppure dobbiamo correre? » gli chiese Tom, accecato dalla luce.
Gustav si coprì gli occhi con una mano e si guardò intorno.
« Ho un furgone, questo basta? »
Tom sorrise vedendo il furgone messo in un angolo semi-nascosto.
Guardò Gustav, battendogli poi una pacca su una spalla con le mani ammanettate.
« Ti devo la vita. »

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Rebecca era seduta sul divano rosso, quando Gustav aprì la porta d’ingresso, facendo capolino con uno sbuffo. Lei si alzò di scatto e fissò l’uscio. Gustav entrò vestendo una divisa della polizia e dopo di lui Tom barcollò goffamente dentro la stanza, ancora con gli abiti da detenuto.
Rebecca gli saltò addosso stringendo le braccia attorno al suo collo e Tom per un attimo pensò di aver sbattuto contro un materasso. Poi però realizzò che non era un oggetto quello che si stringeva premurosamente al suo collo, ma era lei.
« Ti abbraccerei anche io, ma credo di non poterlo fare. » borbottò, sconsolato.
Rebecca si scostò e gli fissò le mani ammanettate, poi sollevò di nuovo lo sguardo.
« In realtà le mani non servono a molto. »
Lo baciò di soppiatto, senza lasciargli alcun tempo per ribattere o per realizzare che le sue labbra erano di nuovo con le sue.
Tom sentì le manette estremamente ingombranti; avrebbe voluto abbracciarla e spogliarla, toccarle la pelle e i capelli ancora una volta.
Gustav alle loro spalle tossì molto rumorosamente e Tom si sentì sprofondare in una voragine di vergogna.
Rebecca aprì gli occhi di scatto, le labbra ancora premute contro quelle di Tom.
Si allontanò lentamente, voltandosi verso Gustav che li guardava attonito.
Rebecca arrossì spaventosamente e si allontanò da Tom. Gustav aveva un paio di tenaglie in mano.
« Posso toglierti le manette o preferisci il sadomaso? »
Tom guardò Gustav rassegnato e superò Rebecca, seguendolo verso il divano. Gustav si sedette e Tom si mise al suo fianco, tendendogli le manette. L’agente gli avvicinò le tenaglie e poi spezzò la catena.
« Grandioso, adesso ho due bracciali. »
Gustav gli prese una mano, trafiggendolo con lo sguardo, e con una serietà inaudita avvicinò le tenaglie ai polsi di Tom, che li ritirò indietro immediatamente, alzandosi poi dal divano.
« Ma sei pazzo?! Quella cosa non entrerà mai fra il mio polso e la manetta! »
Gustav sbuffò e fissò le tenaglie.
« Hai altre idee? »
« Io sì. » disse Rebecca.
Si sfilò una forcina dai capelli e prese il polso destro di Tom, cercando di aprire la manetta. Dopo qualche movimento, la serratura scattò e Tom si trovò con una mano libera.
« Visto? » la sventolò davanti a Gustav, mentre Rebecca apriva anche l’altra manetta.
L’agente con gli occhiali sollevò le mani in aria, arreso.
« Va bene, avete vinto voi. Niente tenaglie. Ma almeno levati quella sporca divisa di dosso. »
« Non ho vestiti. »
« Bill ha portato un po’ di roba, è tutto in bagno. »
Gustav gli indicò la stanza e Tom ci entrò, lasciando la porta socchiusa.
« Abbiamo un piano? »
Rebecca si sedette accanto a Gustav, che rispose alla domanda di Tom.
« Noi sì, tu no. »
« E questo cosa significa?! »
« Significa che resterai chiuso qui in modo che nessuno venga a scoprire che ti abbiamo aiutato a fuggire, mentre noi ci occuperemo di trovare un modo per scagionarti. Georg non starà fermo a lungo, sapendo che sei fuori e sapendo che tu sai che non l’hai ucciso. »
Tom decifrò il gioco di parole di Gustav e annuì a sé stesso.
« E se mi trovano? »
« Non ti troveranno. » tagliò corto Gustav.
« Ma metti il caso che mi trovano. »
« E tu metti il caso che non ti trovano, invece. »
Tom sbuffò, infilandosi i jeans e allacciandosi la cerniera.
« E’ meglio se tu resti in un posto chiuso, al sicuro e dove nessuno può trovarti. »
Si infilò anche la maglietta, uscendo poi dal bagno.
« In pratica sono passato da una prigione ad un’altra, no? »
« Tom, lo facciamo per te. » s’intromise Rebecca.
« Sì, lo so. » annuì. « Ma credete davvero che qualcosa possa cambiare? »
« Ci stiamo provando. »
« Tenendomi chiuso qui? »
« Senti, vuoi farti arrestare di nuovo? Ok, fallo. Ma stavolta ci resti in prigione e non verrò di nuovo a riprenderti, chiaro? » sbottò Gustav, alzandosi in piedi.
Tom inspirò nervosamente.
« Non era di questo che parlavo, mi riferivo al fatto di incastrare Georg. »
« A questo ci penseremo noi. » intervenne di nuovo Rebecca.
Seguì un momento di silenzio che fu interrotto dal citofono.
Gustav si spostò e controllò dal video.
« E’ Bill. » disse rivolto a Tom. Poi aprì il cancello del palazzo e lo vide entrare.
Poco dopo Bill suonò il campanello; Rebecca era seduta in un angolo, Tom in un altro che si massaggiava i polsi, e Gustav gli aprì la porta.
Bill fece capolino e quando vide Tom sano e salvo seduto davanti a sé, si lasciò sfuggire un sorriso rassicurato.
I due si abbracciarono, Tom stringeva Bill a sé.
« Tuo fratello sta programmando di farsi riprendere dalla polizia. » sentenziò Gustav.
Bill si allontanò e guardò Tom interrogativo.
« Oh andiamo! Ho solo detto che lasciarmi chiuso qua dentro non migliorerà le cose! »
« Intanto sei qui e non lì, e questo migliora di molto le cose. » replicò Bill, stizzito.
Tom sollevò le braccia in aria, roteando poi gli occhi.
« Va bene, non mi muovo da qui. »
Gustav sospirò e mormorò un “Era ora” sollevato, dirigendosi verso la cucina.
« Qualcosa da bere? »
Nessuno rispose, solo Rebecca scosse la testa e Bill si sedette al suo fianco.
« Ho bisogno di chiederti un favore. »
Lei lo guardò un po’ preoccupata.
« Non sono ancora riuscito a sostituire Jolanda e tu sai che tengo molto ad ogni linea che creo.. mi hanno chiesto di fare una seconda sfilata per le reti televisive e gioverebbe molto all’azienda e alla sua immagine. Anche perché ultimamente… »
« Sì, ho capito. »
« Mi chiedevo se ti andasse di sfilare di nuovo per me. Mi saresti di grande aiuto. »
Rebecca abbozzò un sorriso e abbassò lo sguardo, pensandoci su.
« Va bene, certo. »
Bill sfoggiò un enorme sorriso e la abbracciò, inaspettatamente.
« Ti ringrazio, sei la mia ancora di salvataggio! »
Tom vide l’espressione stupita di Rebecca e trattenne una risata, mentre Gustav sembrava essere sparito in cucina.
Rebecca batté più volte la mano sulla schiena ossuta di Bill che si scostò con un sorriso, rimettendosi al suo posto. Gustav riuscì con un bicchiere scuro fra le mani, che poi portò alle labbra, sorseggiandolo.
« Ho bisogno di voi domani in azienda. » disse Bill, guardandolo. « Di te e di Rebecca. »
« E di me? » s’intromise Tom.
Bill lo guardò.
« Tu non ti muovi da qui. »
Tom aprì bocca per ribattere, ma Gustav lo trafisse con lo sguardo e allora si zittì.
« Starai da Gustav finché la situazione si sarà sistemata. E con sistemata intendo finché Georg sarà dietro le sbarre. »
« Oh fantastico! » sbuffò Tom.
Gustav represse una decina di ramanzine.
« Io comunque un’idea l’avrei. »

Tom aveva cercato di sistemare l’appartamento di Gustav, abbandonato ad una terribile noia, chiuso da solo in quelle quattro mura. Rebecca e Gustav erano in azienda da Bill per chissà quale piano messo su in qualche ora e lui si sentiva tremendamente inutile.
Dopo essersi assicurato che ogni spillo della casa fosse al proprio posto, si concesse un bagno caldo, per rilassare i nervi e magari per trovare qualcos’altro da fare.
Così si era lasciato andare a quella goduria, immerso in una nuvola di schiuma e di aromi che probabilmente solo Gustav conosceva.
Apprezzava il fatto che si stessero tutti interessando a lui, ma quella situazione non gli piaceva; stare chiuso in una casa che non era nemmeno la sua senza poter uscire nemmeno per fare la spesa lo faceva sentire tremendamente inutile e imprigionato in una situazione che sembrava essere senza via d’uscita.
Si sciacquò e poi uscì dalla vasca portandosi un asciugamano attorno alla vita e fissandosi allo specchio. Doveva farsi la barba.
Cercò nei vari mobili di Gustav qualche lametta e la schiuma da barba e quando la trovò si piazzò davanti al vetro appannato dello specchio, iniziando a passarsi la schiuma sulle guance.
Il freddo del prodotto risvegliava i suoi sensi, al contrario del calore sospeso nella stanza.
Tom armeggiò con cura la lametta che scorreva sulla sua pelle, e quando fu soddisfatto del risultato, si sciacquò di nuovo il viso. Poi prese i jeans e iniziò a vestirsi.
Aveva già infilato i pantaloni, quando sentì la serratura scattare, e si fermò.
« Gustav? » chiamò, ma nessuno rispose.
Aprì la porta e il vapore iniziò ad uscire dalla stanza, mentre l’aria fresca della casa si poggiava sulla sua pelle ancora umida.
Fece qualche passo avanti, guardandosi attorno.
« Gustav sei tu? »
Ancora nessuno risposta. Pensò di aver udito male, e scrollò le spalle.
Fece per rientrare in bagno, quando sentì dei passi sommessi nel salotto; c’era davvero qualcuno allora.
Deglutì leggermente agitato, e si infilò velocemente la maglietta, uscendo poi dal bagno.
Camminò nel corridoio e guardò dentro le due stanze da letto; la sua e quella di Gustav. Erano vuote e sembrava che non ci fosse entrato nessuno.
Poi fece capolino in soggiorno e a primo impatto non vide nessuno. Così fece qualche passo dentro la stanza, ma sembrava vuota. Si avviò verso la cucina e vide un’ombra muoversi alle sue spalle.
Si voltò di scatto e vide una figura saettare nel corridoio oltre il soggiorno. Tom velocizzò il passo e la seguì.
Svoltò, ma non vide nessuno.
Camminò lentamente, controllando che nessuno sbucasse davanti a lui. Superò la stanza di Gustav e si diresse verso la sua. Qualche istante dopo due mani si strinsero attorno al suo collo e Tom si trovò strozzato, l’aria che non arrivava più ai suoi polmoni.
« Così facciamo i furbi eh » sentì una voce calda e maschile pronunciargli la frase all’orecchio e d’istinto portò velocemente indietro il braccio, colpendo l’uomo con il gomito. Questo mollò la presa e Tom si allontanò velocemente, riprendendo a respirare. Si voltò e lo vide.
« Ian. » soffiò.
Quello lo guardò con i suoi piccoli occhietti e poco dopo gli si scaraventò addosso.
Tom attutì il colpo e contrattaccò, spingendo via Ian. Questo sbatté contro un mobile di Gustav, rovesciando un vaso di fiori che andò in frantumi.
Dal soggiornò si udì la porta aprirsi e successivamente chiudersi di nuovo e la voce di Rebecca arrivò dritta alle orecchie di entrambi.
« Tom? »
Ian si immobilizzò e si voltò, seguito da Tom.
Rebecca si pietrificò alla vista di Ian, che le andò incontro con un’audacia mai vista. Le prese il viso con una mano, guardandola poi negli occhi.
« No! Lasciala! »
Tom corse contro Ian, ma prima che potesse fare alcuna mossa, Ian era già fuori dall’appartamento, e Rebecca era crollata a terra.
Tom le andò incontro, facendola rialzare.
« Come ha fatto a venire qui? » domandò.
Tom scosse la testa, fissando la porta chiusa.
« Non lo so. »
« Devi andare via. Non puoi più stare qui. »
« Dov’è Gustav? »
Rebecca frugò nella borsetta.
« In azienda. »
Tolse fuori il cellulare e chiamò il terzo agente.
Tom si guardò attorno. Quella casa gli incuteva più timore di quanto in realtà avesse già.
Come aveva fatto Ian a scoprire che lui era là? Ok, era abbastanza palese che la squadra di Bill c’entrasse qualcosa, ma come era arrivato a sapere di Gustav? C’erano almeno una cinquantina di agenti, non poteva aver avuto solo fortuna, scovandolo subito.
Rebecca parlava freneticamente al telefono con Gustav, poggiata al muro.
Tom si allontanò, guardando oltre le finestre dell’appartamento e controllando che non ci fosse nessuno a spiarli.
Il corridoio era un disastro, per non parlare del vapore che c’era ancora in bagno.
Rebecca riattaccò il telefono.
« Gustav sta arrivando. »
Si staccò dalla parete e raggiunse Tom, che gli dava le spalle.
Lui la guardò e le prese il viso con le mani.
« Stai bene? »
Lei annuì, poi Tom si guardò attorno. La baciò, felice che non ci fosse nessun altro oltre a loro due, ma Rebecca si ritrasse dopo un po’.
« Prendi la roba e mettila in una borsa, vieni a stare da me. »
Tom annuì e si allontanò.

Casa di Rebecca gli sembrava abbastanza accogliente, ma continuava a guardarsi attorno con la paura che Ian sbucasse da un momento all’altro.
Rebecca era rientrata dall’azienda dove Bill le stava misurando di nuovo l’abito e lui aveva preparato la cena. Lei ne era rimasta entusiasta, e l’aveva abbracciato.
Sentiva Rebecca distante, ma era sicuro che fosse solo per via della situazione.
Avevano sparecchiato insieme, senza dirsi una parola e lanciandosi soltanto qualche sguardo che andava oltre gli occhi.
Il fatto che non si fossero visti per un po’ e che in quei momenti fossero soli, lo mandava quasi in tilt. La notte prima avevano dormito nello stesso letto, ma niente di più. Ma Tom vibrava ogni volta che Rebecca gli passava accanto.
Lei stava ripulendo la cucina; aveva i capelli legati in una crocchia fatta distrattamente, una canottiera nera e un paio di pantaloni da ginnastica, ma a Tom sembrava una visione celestiale, in tutta la sua naturalezza.
Le si avvicinò con calma, e con un mezzo sorriso le accarezzò le spalle nude, lasciando adagiare il suo petto alla sua schiena.
Lei spostò leggermente il viso, senza guardarlo e Tom vide le sue labbra arricciarsi. Allora si chinò e iniziò a baciarle il collo. Lei rise sommessamente e gli passò una mano sulla testa, spingendolo contro il suo collo, che Tom morse delicatamente. Lasciò scendere le mani e le infilò sotto la sua maglietta.
Rebecca si voltò e Tom catturò le sue labbra, mentre le sue mani si legavano sul suo collo.
Il petto di Rebecca premeva contro il suo, ma poi furono separati dalle mani di lei che gli abbassarono la cerniera della felpa.
« Questa non serve, giusto? » domandò sfilandogliela dalle spalle.
Lui non rispose e tornò a baciarle il collo, passando poi alle spalle scoperte.
Lei si aggrappò di nuovo al suo collo e lui passò le mani sulla sua schiena e poi sul suo sedere, facendo forza e sollevandola da terra, legandosela addosso.
Rebecca gli sollevò il viso, baciandolo sulle labbra. Tom indietreggiò e uscì dalla cucina, spostandosi poi verso la camera da letto e sentì Rebecca sorridere mentre si baciavano.
Tom aprì la porta e la richiuse alle loro spalle, lasciandoli nell’ombra della stanza. Adagiò Rebecca sul letto e poi continuò a baciarla, stando in piedi al suo fianco.
Lei si sfilò la canottiera e Tom ne approfittò per saltare sul letto e mettersi a cavalcioni su di lei.
Rebecca gli accarezzò le spalle che anche lui aveva scoperte per via della canottiera bianca che indossava e Tom si tuffò di nuovo sul suo collo, mordendolo con delicatezza e poi si spostò sempre più giù, fino ad arrivare alla sua pancia, stampandole piccoli baci.
Rebecca gli sfilò la canottiera e poi lo fece sdraiare al suo fianco, lasciando i segni del loro passaggi sulle lenzuola.
Fece la stessa cosa che aveva fatto lui, baciandogli il collo e poi il petto e si mosse sopra di lui, sentendo l’erezione da oltre i suoi pantaloni. Tom strinse le mani sulla sua vita, sollevandola e portando i loro visi ad unirsi ancora una volta. Spostò una mano e le slacciò il reggiseno, lasciandolo poi scivolare giù dal letto.
Lei si passò una mano in testa e si slegò lo chignon, lasciando che i suoi capelli cadessero sui loro corpi, quasi coprendoli.
Tom li accarezzò e spinse il viso di Rebecca contro il suo, prima di sedersi con lei in grembo. Le baciò il petto e poi si spostò in mezzo ai seni, mandandola in estasi.
Lei gli accarezzò la testa con una mano mentre l’altra viaggiava sulla sua schiena nuda e respirò a pieni polmoni, muovendo il bacino sopra quello di Tom, che sembrava respirare a fatica, mentre lasciava scivolare le labbra sulla pelle di lei.
Lei gli strinse le treccine con forza e gli spostò il viso, guardandolo negli occhi.
« Mi sei mancato… » sussurrò, abbassando lo sguardo.
Tom si lasciò sfuggire un sorriso e baciò delicatamente le labbra di Rebecca.
« Tu di più. »
Sollevò il viso e sfiorò il naso di Rebecca con il suo, facendola sorridere.
La fece sdraiare al suo fianco e le accarezzò i fianchi, mentre la baciava.
Era vero, Rebecca gli era mancata quasi da morire e stare con lei in quei momenti lo faceva sentire al settimo cielo.
Le abbassò i pantaloni e si leccò le labbra, mentre ammirava di nuovo il suo corpo seminudo davanti a sé.
« Smettila di guardarmi così! » soffiò lei, imbarazzata, tappandogli gli occhi. Tom rise e nascose il viso nell’incavo della spalla destra, portando poi le mani oltre le sue mutande e accarezzandole il sesso.
Rebecca perse un battito e quasi sprofondò nel letto al solo tocco di Tom. Si affrettò a fermarlo abbassandogli i pantaloni e lasciando che fosse lui a levarseli completamente di dosso.
Con pochi e scaltri movimenti si trovarono entrambi nudi. Tom respirava a fatica ed era completamente sudato. Si leccò le labbra secche e, col massimo della concentrazione, avvicinò il suo pene al sesso di Rebecca, spostando poi lo sguardo sul volto di lei, quando penetrò.
La ragazza batté le palpebre freneticamente e tirò la testa all’indietro, lasciando l’opportunità a Tom di baciarle il petto.
Tom iniziò a muoversi sentendosi percorso da scariche elettriche in tutto il corpo, e si poggiò con i pugni chiusi al letto. Rebecca sotto di lui gli accarezzò le braccia muscolose e iniziò ad ansimare.
Sapeva che ogni istante c’era qualcosa che cresceva in lui, come se si fosse insidiato un virus che lentamente si propagava fra i suoi organi. Lo faceva quando lei era con lui e quando non c’era. Costantemente.
Forse, Rebecca si era adagiata in lui più di quanto volesse ammetterlo. Lo capiva ogni istante che la vedeva; c’era qualcosa di diverso.
Ma di una cosa era certo: in quei momenti e in quella situazione così dannatamente incasinata, era l’unica persona che voleva con sé.
Rebecca sembrò leggergli la mente e gli passò le braccia sulla schiena, attorcigliandole poi sul suo collo.
« Non lasciarmi. » sussurrò.
Tom inspirò a pieni polmoni, stringendola a sé.
« Non lo farò. »

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Tom era rimasto tutto il giorno solo. Rebecca era in azienda da Bill e Gustav non si era fatto sentire. Sapeva che Bill aveva un diavolo per capello perché la sfilata sarebbe stata quella sera, ma si sentiva terribilmente inutile e messo da parte.
Era stravaccato sul divano e faceva distrattamente zapping. Non c’era niente che lo distraesse da quella noia preoccupata.
Controllava insistentemente l’orologio ma le lancette sembrava non si spostassero mai. Pareva una tortura.
Aveva rimesso a posto casa di Rebecca da cima a fondo, per quello che aveva potuto fare, perché sembrava che Rebecca non la vivesse molto.
Il telefono squillò; Rebecca si era dimenticata di mettere la segreteria, nella fretta di prepararsi.
Tom prese la cornetta e lesse Piper. Si guardò attorno come se ci fossero delle telecamere che potessero riprenderlo e poi rispose.
« Pronto? »
« Reb? »
« No mi spiace, Rebecca non è in casa. »
La ragazza dall’altro lato della cornetta restò qualche istante in silenzio.
« Con chi parlo? »
Tom si schiarì la voce.
« Sono Tom, non ci conosciamo. »
« E dov’è Rebecca? »
« A lavoro. »
Piper fece qualche altro istante di silenzio.
« Può dirle che ho chiamato? »
« Certo. »
« Grazie. »
Tom si trovò il telefono chiuso in faccia e sollevò le sopracciglia.
Riprese il telecomando e continuò a fare zapping da un canale all’altro.
Il telefono squillò di nuovo e brillava sempre lo stesso nome.
« Pronto? » rispose, stavolta un po’ più scocciato.
« Tom chi? »
Lui guardò la cornetta perplesso.
« Come?! »
« Tom chi?! » ripeté Piper con più enfasi. « Cosa ci fa lei a casa di Rebecca mentre lei è a lavoro?! »
Dirle che era ricercato per tentato omicidio, latitanza ed evasione non gli sembrava proprio appropriato.
« Io sono.. sono.. il giardiniere. Sono il giardiniere. »
« E Rebecca le ha dato il permesso di rispondere al telefono? »
« Beh, lei si fida. »
Piper non rispose.
« Capisco. »
Tom non aggiunse altro e aspettò che fosse lei a parlare.
« A maggior ragione, le dica che ho chiamato, giardiniere Tom. »
« Sì, lo farò. »
Quella volta fu Tom a chiudere senza aspettare risposta, e mise il telefono il più lontano possibile.
Senza ombra di dubbio, non ci teneva a conoscere le amiche di Rebecca.
Fu il campanello che catturò la sua attenzione. Sperò che Rebecca non avesse davvero un giardiniere con qualche altro strambo nome e che non fosse nessun’altra sua amica. Guardò dallo spioncino e vide la faccia di Gustav che lo fissava, attonito.
Aprì la porta e l’agente entrò senza fiatare.
« Ciao anche a te. » lo salutò Tom.
Gustav si sedette nel divano e tirò fuori il suo laptop, poggiandolo sul tavolino in cristallo davanti a sé.
« Dov’è Rebecca? »
« In azienda, con Bill. » si guardò l’orologio, sistemandosi poi la montatura degli occhiali. « La sfilata inizia fra 10 minuti. »
Tom si sedette al suo fianco e spense la TV.
« C’è lo streaming sul sito, perciò ho pensato che ti facesse piacere vedere come andavano le cose. »
Tom lo guardò con un mezzo sorriso soddisfatto e annuì, battendogli poi una pacca sulla schiena.
« Complimenti amico, mi hai pensato! »
« Nah, Rebecca mi ha minacciato di tenerti a bada, tutto qui. »
L’euforia di Tom si spense immediatamente.
Gustav tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne accese una.
« Allora » disse in tono annunciante. « Quindi tu e Rebecca state insieme? »
Tom aggrottò la fronte, guardandosi da una parte all’altra con lo sguardo.
« E’ la stessa domanda che mi ha fatto Abo. »
« Oh già, il tizio della prigione. Bell’idiota. Non avevo nemmeno un cartellino d’identificazione. » ricordò Gustav, facendo poi un altro tiro. « Però non hai risposto alla mia domanda. »
« Più o meno. »
« Più o meno? O lo è o non lo è. »
Tom lo fissò.
« Smettila di darmi le stesse risposte di Abo! »
Gustav arricciò le labbra in avanti, fissando la sigaretta fra le sue dita.
« Forse non è poi così tanto stupido questo Abo. »
Tom ignorò l’affermazione di Gustav e spostò lo sguardo sul PC, dove la telecamera in streaming riprendeva il backstage.
Vide diverse ragazze sedute con i team di make-up artist e altri giornalisti schizzare da una parte all’altra.
Dopo un po’ la scena cambiò e nello streaming si vide la sala che si riempiva.
Gustav si stravaccò sul divano e poco dopo entrambi videro che le luci nella stanza della sfilata si erano abbassate, per lasciare spazio solo alla passerella illuminata.
« Immagino che tu e lei vi siate dati alla pazza gioia da soli. »
« Gustav! » lo richiamò Tom, arrossendo.
Quello scoppiò a ridere e prese il portacenere accanto al laptop, buttandoci la cenere della sigaretta.
« Sta iniziando. » cambiò discorso Tom, visibilmente perplesso dalla scioltezza di Gustav.
Entrambi si concentrarono sullo schermo del laptop che trasmetteva le immagini che avrebbero cambiato ulteriormente l’immagine dell’azienda di Bill. Tom sperava con tutto il cuore che niente andasse storto, che le modelle non sbagliassero, che le luci e la musica non s’intoppassero, che i giornalisti e i tele giornalisti scrivessero e parlassero di Bill in maniera sublime. E sperò anche che Rebecca riuscisse a smorzare il fiato a tutti.
Bill aveva scelto gli abiti migliori, su alcuni aveva apportato qualche modifica e aveva fatto un lavoro ancora migliore di quello precedente, per quanto fosse possibile.
Tom pensò che probabilmente era dietro le quinte con le mani chiuse in due pugni che respirava ansioso.
Si ricordò di quando anche lui era là dietro con suo fratello, e non poté non pensare a quando aveva scoperto grazie a Gustav della bomba su Rebecca.
Flash della serata gli attraversarono di nuovo la mente e lo accompagnarono durante tutta la serata.
Lui, Rebecca, Bill, Gustav, Ian, Georg.
Lui era vivo diamine! E chissà dove si nascondeva e se, soprattutto, aveva un altro attacco pronto per quella sera. Lui e Gustav stavano seduti e se fosse successo qualcosa a Bill o a Rebecca non se lo sarebbe mai perdonato. Avrebbe preferito farsi arrestare piuttosto che stare a guardare.
Il tempo passava veloce e sentiva l’ansia attorcigliarsi sempre più sul suo petto.
« Vado a fare altri popcorn. » disse Gustav alzandosi dal divano.
« Non sporcare la cucina. »
Gustav fece un verso che Tom non riuscì a decifrare, e tornò a guardare la sfilata.
Fu in qualche misero istante che lo vide. Non era sicuro di quello che i suoi occhi avevano guardato, ma si spaventò comunque.
Guardò verso la cucina e Gustav stava canticchiando, preparando i popcorn.
Tom tornò a guardare il computer ma la telecamera riprendeva solo la passerella in quei momenti.
Eppure gli sembrava di averlo visto fra il pubblico.. con i suoi occhi verdi e le labbra fini..
Gustav tornò battendo i piedi per terra e Tom trasalì un poco.
« Tutto ok? »
« Mi è sembrato.. no, niente. »
Gustav si sedette al suo fianco, passandogli il vassoio con i popcorn. Tom nemmeno li toccò, riprendendo a guardare lo schermo del PC.
« Quando hai visto Georg aveva qualcosa di diverso? »
Gustav lo guardò con la coda dell’occhio.
« Aveva i capelli corti. »
« I capelli corti?! »
Gustav annuì di nuovo.
« E credimi, non l’avrei riconosciuto se non fosse stato per il fatto che l’hanno chiamato per nome. Pazzesco, quello mi stupisce in continuazione! »
Tom non lo ascoltava, era troppo impegnato a guardare lo streaming.
Un’altra ripresa del pubblico.
Quella volta ne era sicuro.
Gustav iniziò a tossire, facendo trasalire ulteriormente Tom.
« L’hai visto anche tu? »
Gustav lo guardò senza rispondere e poco dopo lo vide sfrecciare oltre il divano.
« Hey no che fai?! »
Tom si lanciò verso il mobile affianco all’ingresso e prese le chiavi che Gustav ci aveva lasciato sopra.
« Vieni o resti? »
Gustav lo guardò perplesso.
« Come sarebbe a dire?! E’ la mia macchina! »
Tom si voltò e aprì la porta di casa di Rebecca, uscendo di corsa; Gustav lo seguì sbuffando.
Il primo salì in macchina, aspettò che Gustav avesse chiuso lo sportello e partì spedito verso l’azienda.
Non c’era un minuto da perdere.
« Dovevamo sapere che Georg si sarebbe rifatto vedere, Cristo! »
« No invece! » sbottò Gustav. « Non potevamo prevedere che si presentasse di nuovo alla sfilata di Bill! E’ da pazzi fare una cosa del genere! »
« Pensi che a lui importi qualcosa di girovagare là in mezzo con un taglio di capelli nuovo? » ribatté Tom. « Lui vuole rovinare Bill! In ogni modo! »
Superò un incrocio senza rispettare la precedenza e segna degnarsi di osservare il semaforo e mirò dritto all’azienda di Bill che non distava molto da casa di Rebecca.
Gustav respirava col fiatone e si martellava le gambe con le dita, agitato.
« Hai un piano almeno? »
Tom non rispose, concentrato nella guida.
Gustav gli ripeté la domanda con più enfasi e Tom non gli rispose di nuovo.
« Bene, stiamo andando a farci ammazzare. »
L’altro lo guardò torvo.
« Tu hai un’idea? »
Gustav non rispose.
« Allora siamo sulla stessa barca. Nessuna ramanzina. »
L’agente con gli occhiali non replicò e spostò lo sguardo oltre il finestrino, mentre l’azienda si faceva sempre più vicina.
Una volta che Tom vi fu arrivato, lasciò la macchina in mezzo al parcheggio e balzò fuori.
« Tom! Aspetta! » gli urlò dietro Gustav, rincorrendolo. Ma lui non lo ascoltò e piombò nell’azienda.
Spalancò le porte e si diresse verso la sala delle sfilate.
Aprì la porta con molta calma e si intrufolò, badando di restare nell’ombra.
La sicurezza era piazzata nei muri, Tom la vedeva chiaramente dalla sua posizione. E vedeva anche la passerella. Si spostò da un lato, mentre Gustav entrava nella stanza col fiatone; tentò di ricomporsi per non destare sospetti e cercò Tom con lo sguardo.
Quando lo trovò, lo vide guardare attentamente fra la gente seduta. Ce n’era tantissima e il fatto che ci fossero anche le reti televisive non migliorava di certo la situazione.
Il ragazzo si avvicinò al backstage e ci si intrufolò.
Le modelle erano in agitazione, correvano da una parte all’altra, ma Tom cercava Rebecca con lo sguardo. Era l’unica che potesse aiutarlo in quel momento.
Tom avanzò ancora un po’ fra le modelle; alcune lo riconobbero e rimasero sorprese.
« Tom?! »
Si voltò e Bill era davanti a lui, lucido in viso per il sudore e alquanto sorpreso di vederlo lì.
« Dico io, ma ti sei rincoglionito?! »
Tom lo prese per le spalle, guardandosi attorno.
« Dov’è Rebecca? »
« Che cazzo di domanda è?! Cosa ci fai qui?! Dovevi rimanere al sicuro! E’ pericoloso, vuoi farti arrestare di nuovo?! »
« Bill, c’è Georg! » sbottò il gemello.
Bill lo fissò perplesso.
« Tom, non può esserci Georg, l’avrei visto! »
« Tu dimmi dov’è Rebecca. »
« Cosa vuoi da Rebecca? »
« Mi serve. »
« A fare cosa?! »
« Tom! Bill! »
Gustav li raggiunse e Tom si prese la testa fra le mani, in panico. Si voltò e si avvicinò alla passerella, mentre Bill cercò di fermarlo prendendolo per un braccio.
Tom riuscì a sbirciare e vide Rebecca salire sulla passerella con il suo abito.
Un tuffo al cuore che lo fece tremare di terrore e vide chiaramente il sorriso spuntare sul viso di Georg seduto qualche metro più in là e leggermente in ombra, ma non abbastanza da non essere visto dai suoi occhi che sembrava avessero una calamita per il viso del nemico.
Bill non riuscì ad afferrarlo in tempo, e Tom saltò sulla passerella, catturando l’attenzione di tutti. Rebecca, che sorrideva ai riflettori, vide i loro volti esterrefatti e si voltò.
Tom le correva incontro e in breve si piazzò davanti a lei.
« Tom, ma che… ?! »
Lui non rispose e puntò un dito contro Georg che si era alzato e si stava spostando.
« E’ qui! E’ vivo! » strillò.
La security avanzò contro di lui e iniziarono a salire sulla passerella.
Rebecca vide Georg svignarsela.
« Listing è qui! E’ qui! » strillò.
Georg si immobilizzò e si voltò verso la passerella con gli occhi sbarrati.
Le luci si accesero su tutta la sala e lo illuminarono perfettamente. Sbiancò.
Qualche istante dopo, nel totale silenzio, iniziò a correre e scansò l’unico bodyguard che non si era mosso verso Tom, dirigendosi verso l’uscita.
Il ragazzo dai cornrows neri balzò giù dalla passerella e lo seguì.
« Tom! » lo richiamò Rebecca. Lo seguì senza esitare, levandosi i tacchi per rincorrerlo meglio.
Georg uscì dalla sala, trovandosi nel corridoio; scaraventò via una segretaria e si diresse verso le scale antincendio. La porta era chiusa e si poteva aprire solo dal lato opposto. Diede un calcio, poi un altro ma niente; Tom e Rebecca erano sempre più vicini, seguiti poi dalla polizia che capiva poco e niente della situazione. Provò con una spallata ma non ci riuscì, bensì la porta fu aperta dall’interno, da un addetto che lo fissò perplesso. Georg lo prese per il colletto e lo trascinò via, infilandosi velocemente oltre la porta. Tom lo seguì e riuscì ad arrivare prima che la porta si chiudesse, subito seguito da Rebecca. Georg saliva velocemente i gradini, sperando di arrivare ad un punto di uscita che, tuttavia, sembrava non esistere o non arrivare mai.
« Tom, ti prego, fermati! » lo chiamò Rebecca, ma lui non l’ascoltò. « Non risolviamo niente così! »
Tom la guardò qualche istante e poi riprese l’inseguimento, trovando le parole di Rebecca altamente ridicole.
« E’ qui, ce l’ho in pugno. » mormorò più a sé stesso che a lei.
Rebecca gli prese un braccio e lo fece voltare.
« Vattene, ti prego. »
Tom la guardò, vedendo nei suoi occhi una scia che non aveva mai visto. Non riusciva nemmeno a decifrarla. Stava per risponderle con una domanda che non aveva ancora formulato, quando sentì un botto sopra le loro teste e di getto guardò il soffitto.
Rebecca mollò la presa e Tom scattò di nuovo su.
Alla fine delle scale c’era una porta e Tom la aprì senza esitare; erano sul tetto dell’azienda.
Il vento li colpiva in pieno: la giacca di Tom si gonfiava sotto le sue braccia mentre il vestito e i capelli di Rebecca fluttuavano seguendo il movimento del vento.
Tom avanzò, ma Rebecca lo bloccò di nuovo, prendendolo per una mano. Gli si piazzò davanti, poggiandogli la mano libera sul petto.
« Vattene. »
Tom la fissò inarcando le sopracciglia.
« Che stai dicendo?! »
« Tom, ti prego. Vattene. Ci penso io. »
« Non se ne parla nemmeno! »
« Quando hai deciso di scappare senza portarmi con te non mi hai lasciato altra scelta. » Rebecca sollevò lo sguardo, trafiggendo gli occhi di Tom con i suoi. « Ora tocca a te non avere altra scelta. »
Tom aprì la bocca pronto a ribattere.
« Bene bene! »
Rebecca si voltò trasalendo; Georg era davanti a loro.
« Chi abbiamo qui! Il signor Tom Kaulitz! »>
Tom si piazzò davanti a Rebecca, proteggendola con un braccio.
« Tu! »
« Sì, sono io. E credimi, puoi stare tranquillo: non farò nulla alla tua amica. »
Georg spostò lo sguardo su Rebecca, che teneva il suo basso.
« Reb? »
Tom guardò Georg, poi si voltò verso Rebecca alle sue spalle. Lei fissava il suolo.
« Coraggio, non essere timida! »
Tom si voltò completamente verso Rebecca.
Lei lo guardò appena. I suoi occhi tremavano.
« Che significa? »
Rebecca scosse la testa.
« Mi dispiace… avrei dovuto dirtelo ma.. non ne avevo il coraggio.. »
« Dirmi cosa, Rebecca? »
Lei prese fiato ma non rispose.
« Faccio io. » s’intromise Georg. « Rebecca è un’ottima attrice, sai? Per tutto questo tempo non ha fatto altro che recitare la parte dell’agente segreto di Bill Kaulitz. Quando invece ha lavorato per me, riferendomi informazioni dettagliate e altamente segrete. Geniale, non trovi? »
Tom guardò prima lui e poi la ragazza, che teneva ancora lo sguardo basso.
Restarono entrambi in silenzio, mentre Georg sbottava in una sonora risata.
« Mi hai mentito.. » mormorò. « Mi hai usato! »
Lei sollevò il viso e scosse la testa.
« No! Non ti ho mai usato, questo no! »
« Ti sei approfittata di me! Hai fatto sì che mi affezionassi per levarmi dal gioco, mettendomi in prigione! Perché tu sapevi ogni singola mossa di Georg! »
Rebecca scosse la testa, terrorizzata.
« No! Io non sapevo come sarebbero andate le cose! »
« Sì invece! » la contraddisse Tom, allontanandosi. « Tu eri al corrente di tutto quello che c’era sotto, sapevi bene i piani ed è per questo che ci hai portati su questa strada! Per questo avevi quelle illuminazioni e davi gli spunti per trovare una risposta alle nostre domande: tu sapevi! »
Improvvisamente il mondo sembrò crollargli addosso.
Rebecca stava dalla parte di Georg e non dalla sua. Si era fidato della persona sbagliata.
« Ho cercato di starti lontana, di non farti affezionare ma non ci sono riuscita! Io non volevo fare del male a nessuno, Tom! »
« Io mi sono fidato di te! Ti ho dato tutto quello che potevo darti, mi sono ricreduto e… diamine! »
Tom si prese la testa fra le mani e cammino all’indietro.
« Molto commovente. » Georg si avvicinò e prese Rebecca per un braccio. « Sei sempre più brava come attrice. »
La trascinò affianco a sé e poi lei scostò il braccio dalla sua presa.
Tom li guardò e Georg abbozzò un ghigno sul viso.
« E adesso come la mettiamo? Sei solo, Tom. Non c’è più nessuno con te. E cosa dirai per difenderti davanti al tribunale? Dopo tutto quello di cui sei accusato? Cosa dirai per salvarti, stavolta? »
Tom iniziò a sentirsi oppresso, come se fosse in una stanza e le pareti si stessero restringendo.
« Guarda. » Georg iniziò a girare attorno a Rebecca. « Lei non ti può più salvare. »
Tom strinse i pugni, mentre Rebecca seguiva i movimenti di Georg con lo sguardo.
« Sapeva che era stato Ian a mettere la bomba sul lampadario. Sapeva dove si trovava la collana che Ian aveva rubato. Doveva trovarla lei, non tu. Sapeva della bomba a casa di Bill e di quella nel suo abito; era innocua. Non sarebbe mai scoppiata. Ma tu ci sei cascato lo stesso, insieme al tuo amico. Sapeva perfettamente dove Ian stava andando quella sera della sfilata a Parigi. E sapeva anche che lui non l’avrebbe mai beccata per ucciderla. Sapeva dove Bill teneva i suoi bozzetti e conosceva ogni via di fuga per farmi entrare ad assistere alle sfilate. Rebecca sapeva tutto, Tom. E tu nemmeno te ne sei accorto. »
Tom sentì la gola secca.
Rebecca sollevò lo sguardo e lo fissò. Immune e muta, quasi priva di vita. Come una statua.
« Deludente, non trovi? Una così bella ragazza che si finge un’aiutante quando invece fa parte della squadra nemica. E tu non hai sospettato di niente, non è così? »
Tom non rispose; continuava a fissare Rebecca.
Georg si fermò al suo fianco.
« Forse è ora di mettere fine a questi giochi, non credi? »
Rebecca spostò lo sguardo oltre il viso di Tom e i suoi occhi si allargarono spaventosamente.
« Tom, scappa! »
Tom si voltò e alle sue spalle vide Ian che gli puntava contro una pistola. Si scansò appena in tempo e cercò di disarmarlo.
Georg prese Rebecca per un braccio e la trascinò via.
« Lasciami! »
« Che diavolo fai?! Dobbiamo salvarci la pelle! La polizia sta per arrivare! »
« No! Io non voglio venire con te! »
La ragazza cercò di dimenarsi, ma Georg le prese il viso con una mano e con l’altra le tirò indietro la testa, prendendola per i capelli. La ragazza si trovò immobile.
« Non una mossa azzardata, o finirai come il tuo amico. »
Rebecca spostò lo sguardo e con la coda dell’occhio vide Tom in difficoltà contro un Ian armato di pistola.
Con un calcio veloce, Tom riuscì a disarmarlo e Ian si toccò istintivamente il polso dolente, lasciando l’opportunità a Tom di attaccare.
La pistola cadde a terra e Georg mollò la ragazza per andare a recuperarla.
Lei lo rincorse, ingombrata da quell’abito, ma Georg fu più scaltro di lei e afferrò l’arma.
« Adesso basta! »
Quando Tom si voltò, Rebecca era stretta al corpo di Georg, e questo le puntava la pistola alla tempia.
Il ragazzo si immobilizzò, trovandosi ad avere il fiatone, e guardò la scena davanti ai suoi occhi. Rebecca teneva gli occhi chiusi.
Ian gli tirò un pugno in pieno viso e Tom si trovò ad indietreggiare senza nemmeno sapere dove stava andando.
Sentì Rebecca urlare il suo nome, mentre Georg la trascinava via.
Avrebbe voluto soccorrerla, anche se la rabbia e la delusione gli dicevano di non farlo, ma Ian lo teneva troppo occupato. Tom non riusciva più ad alzarsi da terra; un pugno, un calcio e un altro pugno, Ian sembrava divertirsi sempre più.
« Questo è per avermi messo nei casini. » gli sferrò un calcio in pieno stomaco. « Questo è per esserti messo in mezzo anche quando non dovevi. » Tom ricevette un altro calcio.
Ian lo prese per la giacca e lo fece sollevare, quasi moribondo. Lo guardò in viso, digrignando i denti.
« E questo.. questo, amico mio, è per Rebecca. Per avermela rubata. »
Tom sentì perfettamente il pugno di Ian affondargli la carne all’altezza della bocca dello stomaco e gemette, strizzando contemporaneamente gli occhi.
Ian lo lasciò andare e si voltò, raggiungendo Rebecca e Georg. Tom giaceva a terra, in ginocchio.
« E tu, lurida puttana! » esclamò. Schiaffeggiò Rebecca in viso un paio di volte.
« Hey, vacci piano! » lo rimproverò Georg, spostando la pistola dal viso di Rebecca a quello di Ian.
« La tua cara amichetta ha aiutato questo poveretto ad uscire di prigione, nel caso tu non lo sappia. E quando sono andato a casa di quell’altro decerebrato, quello dagli occhiali squadrati, lei era lì. Sapeva dov’era e nonostante tutto non ci ha aiutati! Lo ha coperto e non penso fosse la prima volta. »
Ian guardava Rebecca con un misto di odio e di disprezzo.
Lei aveva il viso basso, con i capelli che le ricadevano addosso. Lo sollevò lentamente e guardò Ian torva.
« Tu non sarai mai come Tom. »
Ian caricò la mano ma Georg lo fermò, tirando indietro Rebecca con uno strattone.
« Basta così voi due! Questa situazione sta facendo male a tutti. Prima lo facciamo fuori, meglio è. » disse, spostando poi il viso su Tom ancora accasciato. « Tu prendi lei, a lui ci penso io. »
Rebecca guardò Georg terrorizzata, mentre questo si girava la pistola fra le mani. Ian la prese con sé.
« No! Non farlo! Non puoi! Lui non c’entra niente! »
Ian le tappò la bocca con una mano e la tirò via con sé, cosciente di avere una forza che avrebbe controllato Rebecca senza preoccupazioni.
Georg camminò lento verso il corpo di Tom. Questo sollevò il viso verso di lui; un labbro era spaccato e aveva un occhio leggermente chiuso.
« Così siamo giunti alla fine, Kaulitz. »
Lui non rispose, continuando a guardarlo. Poi spostò il viso oltre le sue gambe e vide Rebecca che veniva trascinata via.
« Ti dirò, non sei così male come ti immaginavo. Hai fegato. Peccato però che tu sia dalla parte sbagliata della situazione. Tu perdi. »
Tom non lo ascoltava nemmeno, ancora perso a guardare Rebecca che si allontanava sempre di più.
« Allora, » Georg caricò l’arma, puntandola poi sul viso di Tom, a qualche metro da sé. « c’è qualcosa che vuoi dire prima di morire? »
Tom lo guardò con gli occhi infuocati.
« Vai al diavolo. » soffiò, raucamente.
Georg sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorriso.
« Poco originale. »
Digrignò i denti, pronto a sparare e Tom abbassò la testa, stordito.
« Le spalle, Listing. Guardati sempre le spalle. »
Georg non replicò e venne scaraventato a terra in qualche secondo, senza nemmeno avere il tempo di realizzare.
Gustav, seduto sopra il suo corpo, iniziò a prendergli il viso a pugni con forza e con rabbia.
Ian si voltò di scatto e appena vide la situazione capovolta mollò Rebecca a terra e si mise a correre velocemente per soccorrere Georg.
La ragazza lo seguì più veloce che poteva.
Tom si alzò rapidamente e si parò davanti a Gustav, bloccando Ian con un pugno. Questo però non rimase particolarmente stordito e contrattaccò, prendendo la rincorsa come un toro inferocito.
Tom si trovò spinto verso il bordo del tetto, ma cercò comunque di respingere l’attacco.
Georg riuscì a sferrare un pugno sul viso di Gustav e a difendersi, capovolgendo la situazione. I due rotolavano sull’asfalto e nel frattempo si colpivano a vicenda.
Tom prese la testa di Ian con le mani e scostandone una riuscì a sferrargli un pugno in viso.
Rebecca che correva verso di loro catturò la sua attenzione e fu in quel momento che Ian lo spinse di nuovo, quasi facendolo cadere dal tetto. Tom sembrava essere bloccato.
« Sei fottuto, Tom. » disse. « Hai perso tutto quello che potevi avere e presto perderai anche quello che non hai mai avuto. Mandami una cartolina quando arrivi all’inferno. »
Ian alzò una gamba per dargli un calcio che l’avrebbe sicuramente fatto cascare di sotto, ma Tom vide Rebecca avvinghiarsi al corpo di Ian, spingendolo via. Questo indietreggiò verso Tom, cercando di levarsi le mani di Rebecca dal viso che lo graffiavano. Indietreggiò troppo, fino a non sentire più alcun suolo sotto i suoi piedi. Cadde all’indietro, con l’espressione sbarrata di chi sa che non ha alcuna via d’uscita. Allungò una mano e afferrò Rebecca per il vestito; la ragazza seguì Ian giù dal bordo del tetto.
« No! » urlò Tom, come pietrificato.
Si lanciò a terra, affacciandosi al bordo del tetto, e afferrò Rebecca per un braccio. Lei si aggrappò a lui, il volto terrorizzato, mentre Ian si teneva al suo vestito.
« Tieni duro! » le strillò Tom.
« Non ce la faccio! » gemette lei, un braccio penzoloni e l’altro stretto dalla mano di Tom.
Il ragazzo cercò di tirarla su ma era troppo pesante, avendo Ian aggrappato al suo abito.
« Aggrappati a me anche con l’altro braccio. »
Rebecca cercò di allungare il braccio ma il peso era troppo e in breve gli scivolò via dalle mani di Tom che rischiò di perdere del tutto la presa.
Entrambi sentirono un rumore simile ad uno scratch e Rebecca abbassò lo sguardo: il vestito si stava strappando per via del peso di Ian. Lui vide chiaramente la stoffa spezzettarsi e sgranò gli occhi.
« Dammi la mano, forza! »
Ian scosse la testa e cercò ulteriormente di aggrapparsi all’abito della ragazza. Lo strappo si ingrandiva sempre di più a Ian era così agitato che non migliorava la situazione.
« Dammi la mano, Ian! » gli urlò di nuovo Rebecca.
Il ragazzo, avvolto dal panico, allungò freneticamente una mano verso il braccio di Rebecca, ma fu troppo tardi. Il pezzo di abito a cui stava aggrappato si spezzò immediatamente e non riuscì nemmeno a sfiorare le dita di Rebecca.
« Ian! » urlarono lei e Tom, all’unisono.
Il ragazzo cadde a una velocità inaspettata e prima che potesse toccare il suolo, Rebecca si voltò per non vedere, sentendo solo un tonfo muto.
« Dammi la mano, dai. »
La voce di Tom le fece sollevare lo sguardo.
Allungò l’altro braccio e si aggrappò a quello teso di Tom, che la tirò su con uno sforzo nettamente minore a quello di prima.
« Grazie. » ansimò lei, ancora spaventata.
Lui non rispose. In un’altra situazione l’avrebbe baciata o l’avrebbe stretta a sé. Ma non in quel momento. La delusione era così tanta che non riusciva nemmeno ad immaginarsi di baciarla. Per questo restò in silenzio.
Un silenzio che, tuttavia, venne interrotto da un botto che fece trasalire entrambi.
« Gustav! » urlò Rebecca rimettendosi di nuovo in piedi e correndo verso il ragazzo steso a terra.
Georg era in piedi e gli puntava la pistola contro.
Rebecca si gettò addosso al corpo dell’agente, mentre Tom si scaraventò su Georg, facendolo cascare a terra e disarmandolo con un solo movimento.
La porta che dava al tetto si aprì con un botto e una serie di agenti armati uscì, puntando le armi contro Tom e Georg.
Rebecca aveva iniziato a tremare davanti a Gustav.
Lui aprì gli occhi e le sorrise.
« Mi dispiace.. » mormorò lei, scossa.
Gustav abbozzò un sorriso e le accarezzò una guancia.
« Non devi preoccuparti, Beky. Io sto bene. »
Il ragazzo si portò una mano sulla cerniera del giubbotto e lo sganciò. Rebecca spalancò gli occhi.
« Antiproiettile. Sono un genio, lo so. »
La ragazza gli saltò addosso, legandogli le braccia attorno a collo e lo abbracciò stringendolo a sé. Gustav rimase visibilmente stupito e sorrise.
Tom si trovò trascinato da una parte e ai suoi occhi apparve di nuovo Abo.
« Ma che cazzo fai?! Potevi uscire di prigione senza fare tutto sto casino! Ora minimo ti danno l’ergastolo! » lo rimproverò, ammanettandolo.
Gustav si alzò da terra.
« Lui non ha fatto niente, se c’è qualcuno che dovete arrestare è quel farabutto lì. Ho visto la scena con i miei occhi e ho seguito la vicenda silenziosamente ma minuziosamente. Se avete bisogno di un testimone, lo avete davanti. »
Rebecca aveva assistito alla scena da lontano, ma provò un immenso orgoglio nei confronti di Gustav.
L’agente lo guardò.
« E lei sarebbe? »
« Gustav Schäfer, piacere di conoscerla signor Abo. »
« Ci siamo già visti? »
« Che mi ricorda no. » mentì con tanto di spallucce.
« E come fa a sapere il mio nome? »
Tom tossì.
« Il cartellino, Abo. Il cartellino. »
L’agente si guardò il cartellino di riconoscimento e non obiettò.
« E la ragazza? »
Rebecca si trovò chiamata in causa; Gustav si voltò a guardarla. Tom pure.
Lei prese fiato, pronta a raccontare la verità.
« Lei era un ostaggio. »
La voce di Tom catturò l’attenzione di tutti.
« Listing l’ha presa come ostaggio. »
Abo lo guardò con la coda dell’occhio.
« Hey! Sbaglio o quella è la gnoccona che è venuta a trovarti in carcere?! »
Tom arrossì.
« Non me la ricordavo così bella! Beh, hai fatto un bell’affare, amico! »
Rebecca abbassò lo sguardo imbarazzata, mentre Abo smanettava Tom. Altri agenti avevano fatto alzare Georg che non aveva detto nulla e si era lasciato arrestare.
Gustav si avvicinò a Rebecca, che fissava il Listing quasi con disprezzo.
« E’ finito tutto, finalmente. »
La ragazza abbassò lo sguardo.
« Già, finalmente. »
Gustav si allontanò, chiamato da un agente. Un secondo si avvicinò a Rebecca porgendole una coperta che lei prese e si poggiò sulle spalle.
« C’è stato un incidente, un uomo è caduto. » disse Tom, rivolgendosi ad un poliziotto che gli passava accanto. Questo lo fissò perplesso. Si allontanò verso il bordo del tetto e quando vide il corpo di Ian di sotto, richiamò velocemente alcuni agenti. Uno di questi fece segno a Tom di avvicinarsi e lui si mosse verso di lui. Rebecca lo bloccò per un braccio, costringendolo a guardarla.
« Tom, io… »
« Non dire niente. » la bloccò lui. « Non voglio sentire nulla da te. »
Si scansò bruscamente per andare verso una poliziotta già provvista di taccuino e Rebecca voltò il viso, sentendo gi occhi bruciarle.
Un agente le poggiò una mano su una spalla.
« Tutto ok? »
Si affrettò ad annuire.
« Venga, la porto al caldo. »
Era finito tutto così, sul tetto dell’azienda dalla quale era partita ogni cosa.
Tom si sentiva vuoto. Aveva ceduto a Rebecca tutto quello che poteva regalarle senza chiedere nulla in cambio e si era trovato pugnalato alle spalle. Si odiava per aver creduto in lei e per essersi ricreduto quando da subito aveva sospettato che lei non fosse una persona per bene. Ma contemporaneamente non rinnegava niente di quello che era successo fra di loro. C’era qualcosa che non gli permetteva di odiare Rebecca, nonostante l’avesse deluso.
Probabilmente Bill aveva imprecato e buttato a terra mezzo ufficio per quello che era successo quella sera, ma a Tom non importava più. Era come se il fuoco che l’aveva tenuto attivo per tutto quel tempo si fosse spento quella sera stessa e non bruciava più.
Georg passò al suo fianco, mentre lo portavano via.
Era finito proprio tutto. La carriera di Georg, il complotto contro Bill.
Lui e Rebecca.
Sospirò. Finchè l’agente gli fece un’altra domanda.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Bill era seduto alla scrivania quando Tom bussò nell’ufficio.
« Disturbo? »
« Certo che no. » gli sorrise.
Tom entrò chiudendosi la porta alle spalle.
« Come va con tutte quelle cose da firmare? »
Bill fece spallucce.
« Non c’è male, ho finito giusto ora. »
« Quindi libero? »
Bill rise.
« Vorrei, ma… » tirò fuori una manciata di bozzetti. « Ho l’ispirazione in corpo! »
Tom roteò gli occhi.
« Come tuo solito! »
Bill rimise a posto i bozzetti, poi tornò a guardare il gemello.
« Tutto ok? »
Tom si affrettò ad annuire, aggiungendo poi un sorriso che pareva tirato.
« Sicuro? »
« Che problemi dovrebbero esserci?! » sbottò, voltandosi verso la vetrata.
Bill batté la matita sulla scrivania.
« Mh non so, una certa Rebecca, ti dice niente? »
Tom si pietrificò a metà strada e sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
« Bill, ne abbiamo già parlato e sai come la penso. »
« Sì, certo che lo so: lei ti ha deluso e tu sei così arrabbiato che non riesci proprio a fartene una ragione e a metterci una pietra sopra, nonostante tu ci tenga a lei. »
« Andiamo, mettiti nei miei panni! » Tom allargò le braccia, voltandosi.
« Mi sto mettendo nei tuoi panni! La sola differenza è che io non me ne starei qua a parlottare con mio fratello sapendo che la ragazza che amo sta per lasciare Amburgo per sempre. »
« Io non amo Rebecca! »
« Forse no, ma di sicuro provi qualcosa per lei che dovrebbe distruggere la barriera che ti sei creato. »
Tom non rispose, voltandosi di nuovo.
Bill rimase a guardare le sue spalle, poi si alzò e lo raggiunse.
« Sai anche tu che ho ragione, Tom. Lo sai perfettamente. »
Il fratello non rispose nemmeno quella volta e non si voltò nemmeno a guardarlo. Era la prova che Bill aveva ragione. Tom sembrava davvero affranto da quello che era successo ed era arrabbiato con Rebecca, ma contemporaneamente non voleva perdonarla; aveva paura che lei avrebbe fatto qualcosa in grado di ferirlo di nuovo. Un’idea forse stupida, si disse, ma che lo tormentava costantemente.
Sospirò e Bill aprì di nuovo bocca, prima che qualcuno bussasse alla porta, interrompendolo in partenza. Si voltarono entrambi.
« Avanti. » disse lo stilista.
La porta si aprì e il viso di Rebecca sbucò da dietro essa. Tom sbiancò, girandosi di nuovo verso la finestra.
« Scusa Bill, non pensavo fossi occupato.. volevo solo salutarti. »
Lui le andò incontro sorridente.
« Tranquilla, non crei alcun problema! »
La fece entrare nella stanza, chiudendo poi la porta e l’abbracciò.
« Mi spiace che tu abbia deciso di trasferirti, ma spero che vada tutto bene. »
Rebecca annuì con la testa.
« Ti ringrazio. Ti auguro il meglio anche io, prometto che seguirò con costanza il tuo operato. »
Bill sghignazzò.
« Non c’era bisogno lo dicessi, sapevo già che l’avresti fatto! » ironizzò. Poi si voltò verso Tom, che dava le spalle ad entrambi. « Tom, tu non la saluti? »
Rebecca si affrettò a scuotere la testa.
« No, io devo davvero andare, credo di essere già in ritardo e forse non è la cosa migliore da… »
Bill la bloccò scuotendo a sua volta il capo e sollevando una mano all’altezza della sua bocca, come per farla tacere.
« Vi lascio soli. »
Lo stilista si allontanò e uscì mentre Rebecca mormorava: « No, Bill, veramente… ».
Dopo lo scatto della maniglia, calò il silenzio. Nessuno dei due parlava e non si guardavano. Rebecca fissava la moquette per terra e Tom il cielo scuro sopra la Germania.
« Io… » cominciò lei. « …credo di doverti delle scuse, mi sono comportata male e lo so. »
« Buon per te. » rispose Tom freddo, ancora di spalle.
Rebecca si trovò quasi soffocata da quella situazione e si passò distrattamente una mano fra i capelli, tesa.
« All’inizio ero completamente dalla parte di Georg. Non me ne fregava niente di cosa facevo, erano soldi e li volevo. Così ho iniziato a lavorare intrufolandomi qua dentro. Quando poi hanno messo in atto il progetto per mandare in rovina l’azienda entravo davvero in gioco io ed ero l’unica persona in cui Georg riponesse le proprie speranze. Ian era un pochino geloso, come te all’inizio. Solo che la sua gelosia poi s’è trasformata in possessione. Era convinto che, un giorno, io e lui avemmo avuto una vita insieme e così si è messo a farmi la corte per mesi e mesi. Nel frattempo, dovevo badare anche alla missione che avevo per conto di Georg e recitare la parte di Rebecca, l’agente segreto di Bill Kaulitz. Poi sei arrivato tu. Georg ha sempre provato un odio immenso più per te che per Bill, perché tu eri sempre con lui e farlo fuori era più complicato. Mi aveva descritto la tua personalità in modo così cinico che mi ero fatta un’idea su come potevi essere… ma mi sbagliavo. Non avevo fatto i conti col “conoscerti davvero”. Col passare del tempo, Ian si è accorto che non gli rivolgevo più le dovute attenzioni e ha iniziato a fare un po’ più di testa sua, coalizzandosi con Georg in maniera spaventosa e minacciandomi se qualcosa sarebbe andata male. Da lì partì l’idea della bomba nel mio vestito e non fu un caso quando la sua pallottola beccò me anziché te. Georg andò su tutte le furie quando lo seppe e Ian rischiò davvero grosso quella volta. La notte a Milano, la nostra prima notte insieme, Ian sentì tutto. Per quello sono andata via senza dirti niente: non volevo metterti ulteriormente nei casini. Ho raccontato a Ian che era stato tutto a causa mia e Georg ha messo in avanti l’idea di farti cadere ai miei piedi. Ma io non volevo usarti per far crollare Bill.. e Ian lo capì. Capì che per me non era un gioco quello che c’era fra di noi, capì che lo stavo lentamente sostituendo con te e che le sue possibilità con me diminuivano sempre più. Quando siamo rimasti nella macchina a Milano, Georg era così furioso che per poco non fece fuori sia me che Ian. Nel piano lui doveva tenerti occupato, ma io ti ho seguito e questo l’ha fatto imbestialire; Ian è un tipo molto impulsivo e irascibile. Per tutto il tempo non ha fatto altro che minacciarmi alle spalle di Georg che non ne sapeva niente. Ben presto, la situazione mi portò a difendere te e accadde che Ian decise di agire da sé, agganciandomi un microchip che trasmettesse ai suoi computer ciò che dicevo. Fu così che entrambi scoprirono che eri venuto in azienda da Bill e quando poi hanno inscenato la morte di Georg, era la fine per me. Tu sei scappato lasciandomi qui da sola e loro mi avevano in pugno. Non sapevo dove fossi, ero preoccupata e per di più soggetta a continue minacce da parte loro. Non seppero mai che aiutai Gustav a farti uscire di prigione, né che andai a trovarti. Non glielo raccontai. E non mi dissero nemmeno che sarebbero stati presenti all’ultima sfilata, così io non sapevo nulla di quello che avrebbero fatto. Ho cercato di fermarti, di convincerti a lasciare andare me ma.. è stato tutto inutile. Mi dispiace, Tom… mi dispiace davvero tanto per tutto quello che è successo e.. cazzo, non riesco nemmeno a spiegarmi. Hai tutti i diritti per essere arrabbiato con me e lo capisco. Volevo solo farti sapere come sono andate le cose. »
Rebecca non aveva preso fiato nemmeno un attimo, aveva parlato e raccontato tutto svuotandosi come una brocca piena d’acqua. Tom l’aveva ascoltata dandole sempre le spalle e solo quando lei ebbe finito si voltò lentamente.
Non sapeva tutto quello che Rebecca gli aveva detto e non l’aveva mai minimamente pensato; per lui la colpa era di lei e basta e invece no. C’era dell’altro in mezzo e capì, con immensa gioia, che anche Rebecca era stata una vittima di Georg.
« Questo dovrebbe farmi cambiare idea su di te? »
Lei lo guardò con il suo solito sguardo minaccioso.
« Non ho detto questo. Volevo solo farti sapere come sono andate le cose, niente di più. »
Tom non la guardò e poi lasciò scivolare lo sguardo in basso. Varie immagini di tutto quello che era successo gli passarono per la mente e il silenziò calò di nuovo nella stanza. Rebecca lo ruppe di nuovo.
« Comunque devo andare. Almeno mi sono tolta un peso raccontandoti tutto. » fece spallucce. « Addio, Tom. »
Non avrebbe mai voluto pronunciare quelle parole, soprattutto rivolgendole a Tom. Ma la situazione sembrava non richiedere altro.
Si voltò lentamente, sperando con tutte le sue forze che lui la fermasse.
Ma la porta si faceva sempre più vicina e solo quando la aprì sentì la voce di Tom.
« Reb.. » la chiamò.
Lei si voltò col cuore in gola. Tom non riuscì a sostenere il suo sguardo.
« Stammi bene. »
Rebecca lo fissò da capo a piedi e annuì.
« Grazie. » mormorò, prima di uscire.
Tom guardò la porta.
L’aveva davvero lasciata andare così?
Rebecca si poggiò alla porta, chiudendo gli occhi e sospirando. Non poteva credere che fosse finito tutto in quel modo.
Si staccò debolmente dalla porta e chiamò l’ascensore da cui uscì la segretaria di Bill, Gudrun. Questa la salutò e lei rispose con un sorriso stretto. Si infilò velocemente nell’ascensore e arrivò rapidamente al piano terra. Inforcò un paio d’occhiali da sole e uscì dall’azienda.
« Hey Becky! »
Rebecca si voltò e vide Gustav correrle incontro.
« Sono passata a casa tua ma non c’eri, non sapevo fossi qui. »
« Stai davvero andando via? » ignorò lui.
Rebecca abbassò lo sguardo.
« Ho altra scelta? »
« Sì che la hai! Puoi restare, lavorare qui come hai sempre fatto. »
La ragazza scosse la testa.
« Non posso Gust.. non posso.. »
Lui sospirò.
« E’ per Tom, vero? »
« No, è per me. Mi sono comportata male con tutti voi e probabilmente non riuscirei nemmeno a guardarvi in faccia. »
« Potresti almeno provarci. »
Rebecca sorrise.
« Apprezzo i tuoi tentativi, ma non credo sia possibile. »
Gustav sospirò di nuovo.
« Hai parlato con Tom? »
La ragazza voltò lo sguardo da un’altra parte, come per evitare l’argomento.
« Più o meno. »
« Più o meno cosa significa? »
« Significa che gli ho raccontato tutto e lui non ha detto una parola. »
L’amico sbuffò.
« Becky, lo sai com’è lui.. ha bisogno di tempo.. »
« No, io non lo conosco affatto e lui non conosce me. Ho cercato di farmi perdonare ma evidentemente non è possibile. Ognuno andrà avanti per la propria strada. »
Gustav non seppe più cosa dire. Rebecca controllò l’ora sull’orologio che aveva al polso.
« Devo andare.. »
Gustav allargò le braccia e si abbracciarono.
« Abbi cura di te. » le sussurrò.
« E tu non cacciarti nei guai. »
Lui sorrise un poco e poi Rebecca si allontanò entrando nella sua macchina. Mise in moto e si allontanò, uscendo dal parcheggio. Alle sue spalle, Gustav la salutava e l’azienda si allontanava sempre di più.
Tom aveva osservato tutto dalla vetrata dell’ufficio di Bill, e questo era appena rientrato. Sedeva alla scrivania, ma fissava Tom.
« L’hai davvero lasciata andare? »
Lui non rispose.
Dentro sé si fece strada una strana sensazione di vuoto e la domanda di Bill non fece altro che aumentare quella sensazione.
« Tom, diamine! »
« Bill non è facile! Quello che ha fatto è.. »
« E’ più importate ciò che ha fatto di ciò che entrambi provate? Lei sta aspettando te! »
Tom sbuffò e si prese la testa fra le mani.
Perché cavolo era lì? Poteva ancora cambiare il corso delle cose, no?
Bill sembrò leggergli nel pensiero.
« Il suo treno parte fra 20 minuti. »
Tom lo guardò con la coda dell’occhio e lo vide chinarsi nuovamente sui suoi bozzetti.
Strinse un pugno, mentre vide in lontananza un bagliore illuminare una parte di cielo; come un uragano.
Gli era perfettamente chiaro cosa doveva fare, e non esitò.
Una volta arrivata in stazione, Rebecca tirava il trolley con aria assente. Un altro zaino pendeva sulla sua schiena e aveva una borsa bianca poggiata sul trolley. Con l’altra stringeva l’ombrello che aveva aperto quando aveva iniziato a piovere.
Aveva guardato il tabellone una ventina di volte e per una ventina di volte si era dimenticata qual era il binario.
La gente attorno a lei si muoveva con fretta e impazienza, ma lei più tempo ci metteva meglio era. Poteva sempre dire di aver perso il treno, tornare da Bill e chiedergli se poteva restare ancora per un po’.
No, si disse scuotendo la testa. Doveva andare via di lì. Nonostante sentisse voci chiamarla.
Il suo treno venne annunciato per la prima volta e Rebecca velocizzò il passo.
La pioggia scrosciava attorno a lei e la gente cercava di ripararsi come meglio poteva.
« Rebecca! »
Si voltò sentendo qualcuno pronunciare il suo nome, ma non vide nessuno. Probabilmente non cercavano lei.
Cercò il binario con lo sguardo e quando lo trovò aumentò ulteriormente il passo, cercando di non scontrarsi con le altre persone che percorrevano la sua stessa strada o quella contraria.
« Reb! »
Quella volta lo sentì più vicino e si voltò completamente.
Il cuore le salì rapidamente in gola e davanti a lei si fermò un Tom completamente fradicio, da capo a piedi.
Respirava a bocca aperta e a pieni polmoni.
« Non puoi andare. »
« Cosa? Tu.. »
« No! » sollevò una mano in aria, bloccandola. « Lasciami parlare. »
La ragazza serrò le labbra e stette ad ascoltarlo.
« Non puoi andare via. Non adesso che so veramente chi sei e non dopo tutto quello che c’è fra di noi. Perché entrambi sappiamo che siamo legati più di quanto vorremmo ammettere. E mi scuso per il mio fottuto orgoglio che non mi ha permesso di dirti queste cose prima, ma ti chiedo col cuore in mano di.. non andare. »
Lei scosse la testa in maniera quasi impercettibile e poi si guardò attorno. Tom stava ancora sotto la pioggia.
« Mi mandi a fanculo dopo che ho rischiato la vita per te, ti ho raccontato tutto quello che è successo e ho messo in gioco i miei sentimenti a causa tua, e tutto ciò che ho avuto è stato un “stammi bene”. Ora arrivi qui con chissà quale mania di eroismo, magari suscitata da qualche sermone arabo di Bill e ti permetti di dirmi che non posso andare per il semplice fatto che ti sei svegliato adesso?! »
Tom lasciò zigzagare gli occhi sull’espressione stravolta della ragazza.
« Sì. » ammise spudoratamente.
Lei restò basita e poi mollò il trolley.
« Lurido figlio di puttana! » lo spinse via. « Farabutto! Egocentrico! Egoista! Spocchioso! Vanitoso! Orgoglioso! Testardo! Bugiardo! E stronzo! » ad ogni parola gli dava un colpo che lo faceva indietreggiare. « Come osi venire qui e dirmi cosa devo o non devo fare dopo che mi hai lasciata agonizzare nel mio brodo per questi giorni sapendo che ero seriamente pentita?! Razza di.. »
Tom le bloccò la mano con un solo gesto e con l’altra l’avvicinò a sé, piazzandosi poi sotto l’ombrellone con lei e baciandola. Rebecca non riuscì più a parlare.
Le labbra di Tom erano umide, sapevano di pioggia. Quel contatto le era mancato per troppo tempo e di colpo tutta la rabbia che le era salita in corpo svanì come polvere. Infondo, in quel momento lei non voleva davvero andare via; voleva solo stare con Tom.
« Resta per me. Resta con me. » mormorò lui, sentendo che lei si era calmata.
Rebecca lo fissò a quella distanza minima. Le sue gambe non avrebbero retto ancora molto.
Il suo treno venne annunciato di nuovo e un fischio echeggiò nella stazione. Voltandosi, lo vide in partenza.
Voltò di nuovo lo sguardo verso Tom che continuava a stringerla a sé; poggiò la testa sul suo petto, socchiudendo lentamente gli occhi.
Tom trattenne un sorriso felice e non avrebbe mai voluto slegare quell’abbraccio.
« Mi dispiace.. » mormorò lei.
Lui bloccò qualsiasi altra parola semplicemente stringendola a sé.
« Andiamo a casa. » le sussurrò allora.
Lei annuì ancora poggiata alle sue spalle, poi si scostò lentamente e riprese il trolley con la borsa sopra, ormai quasi completamente bagnati.
Lo tirò via e mise l’ombrello in modo che potesse coprire anche lei e Tom.
« Sai, non ci speravo più. » bisbigliò.
« In cosa? »
« Nel vederti arrivare per chiedermi di restare. »
Tom sfoggiò un ghigno sul viso.
« Però l’ho fatto. »
Rebecca nascose un sorriso soddisfatto e represse un “grazie al cielo”.
Era felice di essere con Tom ed era felice che quella storia si fosse conclusa in quel modo. Georg era in prigione e lei stava continuando la sua vita in compagnia di Tom. Passo dopo passo, oltre ad essere sempre più vicini all’uscita della stazione, ad entrambi sembrava di diventare sempre più forti e uniti.
Era come se l’uragano nella quale erano stati risucchiati, si fosse dissolto.
Tom le cinse una spalla, aggrottando le sopracciglia.
« Mi sono sempre chiesto una cosa. »
Rebecca lo guardò.
« Cosa? »
Il ragazzo si voltò ad osservarla, fermandosi di botto. Gli abiti gli aderivano sempre più alla pelle ed era sicuro che si sarebbe ammalato se non si fosse riscaldato in fretta. Ma non era quello il punto; aveva Rebecca davanti a sé.
Si strinse nelle spalle, pensando di essere tremendamente idiota, e si convinse sempre più di aver fatto la scelta giusta.
Lei attendeva ancora una risposta.
« Tom, allora? »
Tom si schiarì la voce e poi la baciò di nuovo. Poi, si avvicinò al suo orecchio.
« Posso chiamarti anche io Becky? »

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