Hurricane di Kioto (/viewuser.php?uid=61774)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Bill
sfrecciò nervosamente da un corridoio all’altro,
ripetendosi a bassa voce “5 minuti”. Entrò
in una stanza dove non meno di cinquanta ragazze erano impegnate a
sistemarsi gli abiti, il trucco e a dare un ultimo sguardo ai capelli.
« Ragazze
è tutto ok? »
Annuirono tutte,
voltandosi immediatamente a guardarlo.
« Mi
raccomando, sorridete e siate sensuali, questa linea deve colpire tutti
quanti! »
Si allontanò
senza attendere risposta, fidandosi ciecamente delle sue modelle.
Uscì dalla stanza lasciando la porta aperta mentre
tuccatrici&co. entravano e uscivano in preda a crisi isteriche
e nervose contemporaneamente.
Si avvicinò
al palco, fissando con gli occhi colmi di trucco gli addetti alle luci
e alla scena e pregando che andasse tutto bene. Spostò
leggermente la tenda rossa e sbirciò un po’ il
pubblico.
La sala era
completamente piena di gente, i fotografi avevano già
iniziato a bruciare i loro rullini con scatti ad ogni particolare,
anche se il tendone rosso non era ancora stato tirato via.
Chiuse freneticamente
ogni fessura che lo connetteva a quella visione ansiosa e fece un
respiro profondo.
Guardò
l’orologio. Mancava meno di un minuto.
Si schioccò
il collo, dicendosi che sarebbe andato tutto bene e poi si
lisciò l’abito, attendendo.
Dall’altro
lato vide le prime modelle mettersi in fila e lentamente le luci si
abbassarono e la gente smise di parlare e di mormorare fra
sé.
La tenda si
aprì e una luce blu illuminò il fondo della
passerella. Uno dei tecnici fece partire la musica e la prima modella
uscì con un abito rosso scuro. Avanzò nella
passerella, sotto gli sguardi interessati dei presenti e i flash dei
fotografi che avevano iniziato a scattare come cavalli imbizzarriti.
Una, due, tre, le
modelle si susseguivano accolte ogni volta da sospiri meravigliati, da
facce estasiate e da flash che non smettevano un solo istante.
Arrivavano alla fine della passerella, mostravano il loro abito
guardando un punto in fondo alla stanza non definito e poi tornavano
indietro sui loro tacchi da 15 cm.
Bill aveva messo in
quella linea tutte le sue ultime idee, senza lasciarne fuori nemmeno
una.
Dalle ragnatele alle
pochette in paillettes.
Dai veri e propri abiti
fino agli abbinamenti in jeans e maglietta.
Si sentiva estremamente
fiero del suo lavoro e la sua gioia aumentava e dilagava sul suo viso
ogni volta che una modella veniva accolta dagli applausi.
Quasi ogni sua
creazione era sempre piaciuta. E circa ogni artista aveva indossato un
suo abito.
Da Lady GaGa, a cui
aveva disegnato personalmente un abito a forma di ragno, a P!nk che si
era innamorata di un completo fuxia e nero, passando anche per Nena che
aveva indossato un suo abito per i Comet e Christina Aguilera a cui
aveva fatto un intero set di abiti che l’artista aveva usato
durante il suo ultimo tour mondiale.
Sì, Bill
amava il suo lavoro e ne andava estremamente fiero.
Adorava avere nuove
idee da mettere su carta, vedere i suoi modellini prendere vita e
vederli indossati e sfilare davanti ai fotografi e ai giornalisti che
avrebbero fatto recensioni su recensioni di quella sfilata,
così come per le altre.
Il successo di Bill era
arrivato lentamente, gradino per gradino e a lui la moda era sempre
piaciuta. Fin da quando era un ragazzino faceva abbinamenti con ogni
cosa gli capitasse sotto le mani, e sua madre aveva addirittura
nascosto ogni set da cucito – forbici comprese –
perché il piccolo Bill aveva il vizio di tagliare i
pantaloni e le magliette che non gli stavano più o che non
gli piacevano come prima. Così si creava da solo nuovi
indumenti, accessori e quant’altro.
Bill Kaulitz era uno
stilista famoso ormai in tutto il mondo.
Così tanto
famoso da suscitare molta invidia fra i suoi rivali, alcuni dei quali
andavano alle sue sfilate per rubargli le idee e copiarle, modificarle
e applicarle ai loro marchi. Ma niente poteva battere
l’originalità di Bill che era stato da subito
criticato per il suo look trasgressivo, etichettato come omosessuale,
ermafrodita o transessuale e solo dopo il suo primo vero lancio la
gente si era concentrata di più sulla sua produzione e non
sul suo aspetto. Le mani di Bill valevano più
dell’oro.
Oro che risplendeva nei
suoi occhi ambrati, oro che scintillava nell’ultimo abito che
era uscito fuori, indossato da un’esile modella dai capelli
rossi.
La ragazza sorrideva e
splendeva in mezzo a quella seta scintillante e quando
arrivò alla fine della passerella, i fotografi erano
letteralmente impazziti.
Bill aveva fatto
nuovamente centro e non poteva essere più felice di
così.
La modella fece
più volta un giro su sé stessa, lasciando che i
fotografi potessero ammirare ogni piccolo dettaglio di
quell’abito per la quale Bill aveva passato intere notti in
bianco.
Sulla testa della
modella uno scricchiolio fece sollevare il viso a diverse persone e
qualcuno urlò: « Il lampadario! »
Bill sollevò
lo sguardo e il lampadario prese improvvisamente fuoco, slacciandosi
dal soffitto e cascando dritto sulla passerella e sul corpo della
modella.
Lo stilista si
catapultò sul palco mentre altri giornalisti e spettatori
scappavano a gambe levate.
Bill si
caricò il peso del lampadario addosso e poi lo
buttò via, mentre la modella quasi piangeva di dolore.
Il suo viso era storto
in smorfie di pena e l’abito aveva in parte preso fuoco.
Il ragazzo la
chiamò per nome e qualcuno urlò di chiamare
un’ambulanza.
« Come stai?
»
« Mi fanno
male le gambe. »
Bill spostò
lo sguardo e vide le gambe della modella bruciate ma preferì
non dirle niente.
« Stai
tranquilla, adesso ti portiamo all’ospedale e vedrai che
starai meglio. »
Le modelle uscirono
nelle quinte per cambiarsi gli abiti in modo da non rovinarli e Bill
rimase con la ragazza ferita.
Ma nel suo cuore,
c’era qualcosa che gli diceva che non era stato solo un
incidente.
I piedi poggiati sul
tavolino in cristallo, i capelli bagnati raccolti in un asciugamano
piccolo e un altro più grande legato in vita, con il
riscaldamento acceso e una tazzina piena di caffè in mano.
Questa è
Rebecca.
Poggiò la
testa sul bordo del divano gustandosi quel momento di puro relax, dopo
una doccia calda.
Rebecca aveva 24 anni e
viveva in un quartiere ricco di Berlino.
Sulle pareti di casa
sua stavano appesi diversi quadri d’arte naturalistica e
vecchie foto di famiglia. A Rebecca piaceva l’arredamento
moderno, fatto di cristalli e quadri eleganti e aveva solo qualche
souvenir etnico o che richiamava quello stile.
Viaggiare era uno dei
suoi hobby ma più che per piacere, lo faceva per lavoro.
Si alzò dal
divano, poggiando la tazzina sul tavolino e tornò in bagno.
Si slacciò l’asciugamano che aveva in testa e fece
scivolare i lunghi capelli corvini lungo le sue spalle, per poi
attaccare la presa del phon e iniziare ad asciugarli con
l’aiuto di una spazzola.
Rebecca curava molto il
suo aspetto fisico e le piaceva distinguersi fra le persone.
Sul corpo portava
diversi tatuaggi, ognuno con un significato diverso.
Su una spalla aveva
disegnati tre fiori, sulla nuca lo Ying e lo Yang e su un fianco, dalla
parte della schiena, la scritta Never
Surrender.
Amava tutto
ciò che riguardava il pericolo, il fuoco, le armi e tutto
ciò che poteva collegarsi ad esse.
Rebecca era forte.
Così tanto
forte da aver riposto la fiducia solo su sé stessa e sulle
sue capacità che cercava di migliorare e ampliare,
cimentandosi in venti cose diverse nello stesso momento. Non era una
sportiva ma le piaceva correre e quando ne aveva voglia si faceva un
giretto quando il sole non era ancora sorto.
Lei non conosceva la
paura, i sentimenti. Era cinica.
L’unico
sentimento positivo che poteva provare l’aveva riservato per
le poche amiche che aveva e con la quale stava ogni volta che poteva,
che aveva un momento libero.
Come quella sera.
Mise al suo posto il
phon e poi si sfilò di dosso l’asciugamano,
camminando nuda per casa alla ricerca di qualcosa di carino da
indossare.
Aveva una marea di
abiti, riempiva quasi un intero armadio ma, come ogni donna, in quel
momento le sembrava di non avere proprio nulla di decente da mettersi.
Ed era ridicolo
contando che la maggior parte degli abiti erano firmati BK!
Fece almeno 6
abbinamenti diversi e poi scelse un abito bianco e un paio di scarpe
dello stesso colore e successivamente si dedicò al trucco.
Circa
mezz’ora dopo il campanello suonò e su una
Mercedes grigia sedeva una testa bionda che chiamava Rebecca a gran
voce.
Quest’ultima
uscì dalla sua abitazione in uno scintillio di ombretti e
creme per la pelle, portandosi dietro una scia di profumo alla vaniglia.
« Arrivo!
Arrivo! Sempre tutta questa fretta! »
Salì
nell’auto dell’amica che partì spedita.
« Non si sa
mai, potresti addormentarti sul divano e non ricordarti di avere un
appuntamento. »
Rebecca rise e
abbassò lo specchietto nella macchina, sistemandosi i
capelli e il trucco.
« Come vedi
sono stata puntuale. »
« Miracolo!
Qualcuno dovrebbe farti una statua per questo! »
« Molto
divertente Daisy! »
Daisy aveva un anno in
più rispetto a Rebecca e portava corti capelli biondi. I
suoi occhi erano verdi e aveva una carnagione molto chiara. Lei e
Rebecca erano amiche dai tempi della scuola ed erano sempre andate
d’accordo. Daisy fumava come una ciminiera e Rebecca aveva
più volte cercato di farla smettere ma senza troppi
risultati. Daisy aveva solo diminuito.
L’amica al
volante accese la radio; era solita viaggiare sempre con la musica ad
alto volume e per Rebecca era assai strano che l’apparecchio
fosse ancora spento, quindi non si sorprese molto quando
sentì partire un CD dei Red Hot Chili Peppers.
CD che durò
fino al loro arrivo al Grace, il locale dove anche Piper e Mulba le
aspettavano.
Piper aveva i capelli
rossi e neri e tutti la notavano soprattutto per il septum. Mulba
invece era mulata e aveva una folta chioma riccia e scura e gli occhi
color pece.
« Alla
buon’ora! » esclamò la prima, agitando
la sua pochette.
« Non
guardate me, io ero puntuale! » precisò Rebecca,
portando le mani avanti mentre scendeva dall’auto.
« Oh
sì, sappiamo di chi è la colpa. » Mulba
le si avvicinò e la circondò con le sue braccia.
« Com’era Londra? »
Rebecca fece spallucce.
« Uggiosa.
»
« Non ci hai
portato nulla?! Nessun palazzo in miniatura, nessun autografo della
regina visto che ti ha ingaggiata lei o cose del genere?! »
sbottò Piper, la solita.
« Ero
là per lavoro! Non stavo girando fra le bancarelle del
mercato delle pulci, stavo cercando un attentatore alla famiglia reale.
»
« Quindi
neanche un Big Ben in miniatura? » mugolò Mulba.
Rebecca
sospirò mentre Daisy chiudeva la macchina.
« E va bene,
la prossima volta che parto vi porto un regalo. Adesso possiamo entrare
che ho fame?! »
Piper
applaudì gioiosa e tirò dentro Mulba.
Il Piper era un locale
per accaniti fumatori e amanti dell’alcohol.
Rebecca ci andava solo
con le sue amiche, mai da sola perché non le interessava
ballare e bere tutta la notte. Ma ogni tanto poteva fare uno strappo
alla regola e concedersi una serata di puro divertimento.
Serata che, tuttavia,
venne presto interrotta.
Il suo cellulare prese
a squillare quasi con insistenza, catturando la sua attenzione.
« Pronto?
»
Dall’altro
capo dell’apparecchio udì una voce agitata e
innervosita dargli quasi degli ordini.
« Adesso?!
»
« Sì,
ora.
»
Mulba e le altre si
voltarono a guardarla mentre Rebecca si era già alzata in
piedi e indossava la sua giacca, ancora con il cellulare attaccato
all’orecchio.
Daisy
aspettò che l’amica finisse la conversazione per
domandarle cosa stesse succedendo.
« Il lavoro
mi chiama. »
« Adesso?!
»
«
C’è stato un incidente a quanto ho capito ma penso
mi spiegheranno tutto appena arrivo. »
« Vuoi un
passaggio? » domandò Piper.
Rebecca scosse la testa.
« No grazie,
prendo un taxi. Ci vediamo ragazze, scusatemi! »
Uscì
velocemente dal locale e si avviò verso il primo taxi libero.
Bussò al
finestrino finché l’autista aprì.
«
E’ libero? »
L’uomo, un
messicano con degli enormi baffi e uno stecchino in bocca,
annuì lentamente e Rebecca salì nei sedili
posteriori.
« Dove la
porto? »
La ragazza
tirò fuori la testa che aveva tuffato nella borsa alla
ricerca del suo borsellino e fece mente locale.
« La casa di
moda di Bill Kaulitz, grazie. »
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Rebecca bussò insicura alla porta targata “Bill Kaulitz”
e poi qualcuno le disse di entrare.
Una cresta nera spuntava da dietro una poltrona nera. La ragazza si
chiuse la porta alle spalle.
« Mi ha chiamato. »
La poltrona si voltò e comparve un Bill col volto nervoso e
per niente tranquillo.
« Qui le cose si mettono male. »
bisbigliò. « Hai sentito
cos’è successo? »
Rebecca scosse la testa e attese che Bill continuasse a parlare.
Il suo ufficio era un rifugio di bozze e di scarabocchi vari. La
scrivania era piena di fogli, gomme e matite colorate, le pareti
tappezzate di scotch, puntine e cartoncini con modellini abbozzati e
sugli scaffali che circondavano la stanza c’era ogni tipo di
giornale di moda.
« Il lampadario è saltato giù. Durante
la sfilata. »
Rebecca strabuzzò gli occhi, perplessa.
« Cosa?! »
Bill annuì con la testa.
« Proprio così. La sfilata si è
trasformata in un vero fiasco, i giornalisti sono fuggiti e una modella
si è ferita non lievemente. Adesso è
all’ospedale. »
Il ragazzo si alzò e si avvicinò al caminetto,
fissandolo.
« Tu sai che io non credo alle casualità e che
voglio scavare a fondo nelle questioni, no? »
« Sì. »
« E’ per questo che ti ho chiamata. »
Avvicinò una mano ad una sfera di vetro trasparente e la
fece voltare un poco in senso orario.
Il caminetto fece un rumore simile ad un terremoto e poi si
voltò smuovendo una grossa quantità di polvere.
Al suo posto, c’erano delle scale che andavano in un
corridoio illuminato di blu.
Bill scese per primo e Rebecca lo seguì velocemente, senza
fiatare.
Entrambi sapevano perfettamente dove conducevano quelle scale.
Dopo l’ultimo gradino arrivarono in una grossa stanza dove un
secondo caminetto bruciava e scoppiettava e un’altra decina
di persone si era riunita in gruppetti e parlavano fra loro. Quando
Bill entrò nella stanza, si zittirono tutti. Aspettavano una
sua parola.
Il ragazzo si sistemò al centro della stanza e li
fissò uno ad uno.
« Io non penso che voi siate stupidi. Finora mi avete sempre
aiutato, avete sempre svolto i compiti che vi ho assegnato e vi ho
pagato con le dovute cifre. Il vostro lavoro è pericoloso e
io lo so. Lo so bene. Fare la spia non è semplice.
»
Fece una lunga pausa che passò lasciando scorrere lo sguardo
su ogni viso presente.
« Non posso impiegarvi tutti, anche se stavolta sono io ad
essere in pericolo. O meglio, la mia azienda. Ci sono volontari?
»
Prima che qualcuno potesse rispondere, dalle scale sbucò
un’altra figura.
Muscoli ben piazzati, il ragazzo indossava una canottiera bianca e dei
jeans scuri oversize. In testa portava un berretto nero ma sulle spalle
gli ricadeva qualche cornrows scuro. Gli occhi erano gli stessi di Bill.
« Tom. » lo chiamò
quest’ultimo.
Il ragazzo fece dei passi avanti mentre la luce blu si rifletteva sul
suo labret argentato. Rebecca lo guardò in modo sprezzante.
Lei e lui non erano mai andati d’accordo.
Bill adorava come Rebecca lavorava e per quello le assegnava sempre
casi particolari, perché lui si fidava di lei. E Tom aveva
iniziato a non sopportarla quando Bill aveva affidato a lei un caso che
prima era suo. E per aumentare la sua antipatia, Rebecca
l’aveva risolto in breve tempo, con pochi mezzi a
disposizione e senza farsi del male. Anche se non si parlavano e non lo
dicevano apertamente, fra i due era guerra.
Tom arrivò al fianco del ragazzo.
« Scusa il ritardo. »
Bill non gli rispose e spostò lo sguardo altrove.
« Allora? Nessun volontario? »
Tom incrociò le braccia sul petto e attese insieme al
fratello.
Poi da un lato un ragazzo paffutello sollevò una mano.
« Gustav! » esclamò Bill.
« Posso usare i miei computer. »
Bill assottigliò gli occhi, pensando.
Certo, la tecnologia di Gustav era fondamentale per una missione di
quel tipo. Non sapevano nemmeno chi aveva messo la trappola sul
lampadario. Ma Gustav da solo non sarebbe mai riuscito a fare una cosa
del genere. Serviva qualcuno in grado di maneggiare bene le armi, che
sapesse travestirsi bene e che fosse abbastanza bravo nel suo mestiere.
Qualcuno come…
« Perfetto Gustav. Nessun altro? »
Nessuno si mosse e gli occhi di Bill vagavano da una parte
all’altra. Poi si puntarono su una sola persona.
« Rebecca? »
Tom guardò prima Bill e poi la ragazza, perplesso.
« Io? »
« Sei brava, no? »
« E’ un caso impegnativo, non so se ci
riuscirò da sola… » mormorò
imbarazzata.
« Non sarai sola. Gustav ti aiuterà con i suoi
computer. Insieme sono sicuro che sarete un’ottima squadra. E
poi, nel caso ti trovassi in difficoltà posso sempre
mandarti qualche rinforzo. »
Rebecca spostò lo sguardo sul pavimento. Non aveva scelta,
doveva accettare.
Annuì con la testa senza guardarlo.
« Bene! » esordì Bill. «
Perdonatemi per avervi disturbato. Se ci sarà bisogno di voi
vi chiamerò. »
Rebecca si voltò per uscire.
« Quindi ora siamo una squadra? »
Al suo fianco era comparso Gustav, con i suoi occhiali rettangolari e i
suoi corti capelli biondi.
« Immagino di sì. »
« Penso che il capo voglia che iniziamo subito a lavorare.
»
« Non stanotte, credimi. »
« Sì certo non stanotte. »
Gustav si fermò più indietro e Rebecca
pensò di esser stata un po’ fredda.
« Gustav, » lo chiamò. « tu
hai la macchina? »
Il ragazzo sollevò lo sguardo e annuì con la
testa.
« Mi potresti dare uno strappo fino a casa? »
Bill si risedette sulla sua poltrona mentre Tom misurava il suo ufficio
a grandi passi.
« Fammi capire: hai messo l’azienda nelle mani di quella?! »
« Rebecca è una buona spia, sa come lavorare e io
mi fido di lei, lo sai. »
« Oh certo, certo. E’ per questo che le hai passato
la mia missione, no? »
Bill sbuffò e buttò la testa
all’indietro, contro la poltrona.
« Ancora con questa storia?! Ti ho già spiegato i
miei motivi. Era per metterla alla prova e come hai visto non era nulla
di speciale. »
« Non mi interessa, quel caso era mio! »
« Suvvia Tom, ne troveremo un altro adatto a te, ora non
piangere. »
Il fratello non rispose, continuando a camminare con il passo da
elefante e a maledirsi per non essere fra gli agenti preferiti di Bill.
« Comunque continuo a non capire perché assegnarlo
a lei. Un tipo come Viktor non andava bene? »
« Viktor non sa usare le pistole. Rebecca sì.
»
« Allora Tamara. Lei le sa usare. »
« Tamara non sa nuotare. »
« C’è Fred. »
« Fred soffre di vertigini e non vuole volare. »
« Hai una squadra di handicappati dove l’unico
agente decente è questa dannata Rebecca?! »
Bill socchiuse gli occhi, le tempie che iniziavano a pulsargli da
quanti pensieri gli frullassero in testa.
« Rebecca sa usare le pistole, sa nuotare, non soffre di
vertigini, non ha paura di volare, è intelligente, carina,
fa degli ottimi travestimenti e con l’aiuto di Gustav non
dobbiamo preoccuparci. Sono due menti favolose. »
« Mi fa piacere vedere che poni tutta la tua fiducia in lei e
non in me. »
« Non si tratta di fiducia, Tom! »
Tom si allontanò verso la porta, seccato.
« Ah no? E di cosa si tratta allora?! »
Bill non rispose.
« Vuoi avere un caso? Vuoi salvare l’azienda? Bene,
fallo. Mettiti pure in mezzo con Gustav, vai con lui già da
stanotte se è necessario. Sei incaricato anche tu stavolta.
Contento? »
« Non voglio un caso solo per pena. »
« No, è tuo. Ora non puoi più tirarti
indietro, Tom. Vai pure e non tornare finché non hai
qualcosa di interessante da dirmi a riguardo. »
Tom si voltò trattenendo un sorriso di vittoria e
posò una mano sulla maniglia della porta.
« C’è una precisazione. »
Il ragazzo si fermò, attendendo.
« Ovviamente lavorerai anche con Rebecca. »
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
La sveglia iniziò a suonare freneticamente e Rebecca si
svegliò maledicendosi.
La spense buttandola a terra e gettò di nuovo la testa fra i
cuscini.
Il lavoro chiamava.
Scese dal letto massaggiandosi la testa e si chiuse in bagno,
concedendosi una doccia rigenerante.
Una camicia, un paio di jeans, una coda veloce, un filo d trucco e un
caffè per colazione prima che il suono di un clacson
arrivò fino alle sue finestre.
Aprì il videocitofono e vide il viso di Gustav semicoperto
da un paio di occhiali da sole fissare dritto nella tele camerina e
aprì il cancello.
Afferrò una borsa con dentro lo stretto necessario e poi
aprì la porta d’ingresso, azionando
l’antifurto.
Si voltò e scese i gradini dell’ingresso, fino ad
arrivare al mezzo.
Gustav era sceso e teneva lo sportello aperto con una mano.
« Buongiorno! » salutò.
« Buongiorno. » ricambiò Rebecca
aggiungendo un cenno della testa.
Fece per aprire lo sportello del passeggero affianco a lei ma Gustav
scosse la testa.
« Dietro, ci sono i divani ed è più
comodo. Ci sistemeremo in una piazza un po’ isolata che ho
trovato ieri sera. »
Le si avvicinò e aprì lo sportello scorrevole.
Rebecca mise dentro un piede e un rumore continuo simile ad una mucca
che ruminava ricopriva la stanza.
Sollevò lo sguardo e, seduto in fondo, affianco ad un
computer, vide l’ultima persona che desiderava incontrare.
Tom la fissò per niente contento, con mezzo panino infilato
nella mascella che gli allargava la guancia di tre volte la sua normale
grandezza e l’altra parte del pasto stretta fra le mani.
« Ti avevo detto di non mangiare qua dentro, potresti
rovinarmi le attrezzature! » lo rimproverò Gustav,
seccato.
Spinse bruscamente dentro Rebecca e poi chiuse lo sportello, andando
poi a sedersi alla guida.
« Lui cosa ci fa qui?! » domandò lei
perplessa.
Gustav aprì la finestrella che dava alla loro parte del
furgone e mise in moto.
« E’ con noi. »
Accelerò e Rebecca si trovò catapultata su un
divano, mentre il mezzo sbandava.
« Cosa?! » sbottò. « Eravamo
solo io e te! »
« Adesso ci sono anche io. » s’intromise
Tom, ancora con la bocca piena.
Rebecca lo fissò stupita ma non aggiunse altro.
Tom Kaulitz avrebbe lavorato con lei. Non era ammissibile!
Non l’avrebbe sopportato, quel ragazzo gli stava sulle palle
solo a vederlo.
Incrociò le braccia sul petto e poggiò la schiena
sullo schienale del divano, restando in silenzio e attendendo che
Gustav si fermasse.
Qualche minuto dopo il ragazzo accostò e
parcheggiò davanti ad una piazza con solo qualche vecchietto
ambulante e si intrufolò nel retro del furgone.
« Spero non abbiate saltato troppo ma la strada non era il
massimo. » si scusò.
Poi si avvicinò al computer e ai suoi aggeggi tecnologici e
si sedette su una sedia saldamente piantata sul fondo del mezzo,
davanti a Tom.
« Sono riuscito ad avere i filmati delle videocamere di
sorveglianza e ho trovato un video che potrebbe interessarci.
»
Frugò un po’ nel computer e Rebecca gli si
avvicinò non appena sullo schermo partì un video
dove in primo piano si vedeva il lampadario che sarebbe servito per la
sfilata.
Un ragazzo si avvicinò e posizionò una grande
scala sotto di esso.
Indossava una tuta blu con un cartellino sulla sinistra e da una grande
tasca sbucava fuori uno strofinaccio bianco.
Arrivò all’altezza del lampadario e si
frugò nelle tasche.
Rebecca aguzzò la vista.
Quello che aveva tirato fuori non somigliava affatto ad uno spray per i
cristalli. A dire il vero non si vedeva granché ma sembrava
che il ragazzo stringesse una specie di insetto fra le mani, di medie
dimensioni. Grande forse quanto una noce.
La attaccò sul lampadario e poi ripulì
leggermente i cristalli.
Gustav fermò il video e si voltò verso la ragazza.
« Ho provato a zoomare sul viso di questo tipo ma non ci
riesco, la risoluzione è troppo bassa. »
« Dovrò dire a Bill di mettere migliori
telecamere. » borbottò Tom tornando a sedersi.
Rebecca si passò una mano sul mento, pensierosa.
« Hai provato invece a leggere cosa c’è
scritto sul suo cartellino? »
Gustav scosse la testa e si voltò di nuovo verso
l’apparecchio.
Fece un paio di manovre e poi l’immagine si
allargò e si ingrandì sul cartellino.
Il video era leggermente più sgranato rispetto a prima ma si
intravedeva qualche lettera.
« I.. N.. G.. R.. » lesse Rebecca mentre Gustav
stampava la foto ingrandita.
« Ingr?! Non vuol dire niente! » sbottò
Tom, stravaccato sul divano.
« Sono solo delle lettere. » rispose lei
fulminandolo con lo sguardo.
Tom fece una smorfia mentre si voltava.
« Sappiamo qual è la ditta di pulizie
dell’azienda? » domandò Gustav, come se
non avesse sentito i due. O probabilmente non li aveva sentiti sul
serio.
« La Clear&Clean. » rispose Tom
accartocciando la carta del suo panino.
« Che fantasia! »
Gustav digitò il nome dell’azienda su Internet e
tentò di cercare i nomi dei dipendenti ma per la tutela non
ne trovò manco uno.
« Credo sia il caso di intrufolarsi come addetti alle
pulizie. Potrei procurarvi degli abiti identici e fare dei microchip
nel giro di qualche ora, così domani uno di voi entra e
cerca di capire chi può essere questo INGR. »
Rebecca si risedette e annuì con la testa.
« Buona idea. »
« Bene! Ora scusatemi ma devo andare al bagno. »
Si alzò velocemente e scese dal mezzo, richiudendosi lo
sportello alle spalle.
No. Lei era sola con Tom nel retro di un furgone che aveva le sembianze
di un bunker da mafioso.
Voleva decisamente dargli un pugno in faccia per cambiargli quei
connotati che in realtà scrivevano la parola
“Faccia di merda”.
Tom si alzò e si sedette sulla sedia davanti al computer,
iniziando a frugarlo.
« Lascia stare, non è roba tua. »
Si voltò verso Rebecca che era seduta a gambe accavallate.
« Non ho chiesto un tuo commento. »
« Il mio non era un commento. »
« E che cos’era, un ordine? »
« Esattamente. »
Tom scattò in piedi, arrivando quasi a toccare il soffitto
del furgone.
« Chi ti credi di essere? Qua dentro non comandi tu!
»
« Se è per questo non comandi nemmeno tu.
» replicò lei. « Bill non aveva
incaricato solo me e Gustav? Se non sbaglio una volta mi ha rifilato un
caso che prima era tuo, forse perché non eri abbastanza
capace. »
Tom fece un lungo passo in avanti e le andò vicino,
puntandole un dito contro il viso.
« Bill ha più fiducia in me che in te, visto che
stiamo parlando di mio fratello! »
Rebecca si alzò di scatto, dandogli una pacca secca alla
mano e spostandola.
« Evidentemente non deve aver avuto così tanta
fiducia per averla riposta in me subito dopo che tu hai iniziato il tuo
lavoro! »
« Era solo per metterti alla prova! »
« E come ti spieghi il fatto che su 40 i casi, quelli che
normalmente mi affida siano 30? Guadagnerei anche più di te
se non fosse che probabilmente vai a fare lo gigolò in
qualche sobborgo di Amburgo! »
Tom strabuzzò gli occhi e sentì una pentola
d’acqua calda bollire nel suo cervello.
Stava per rispondere quando Gustav aprì di nuovo lo
sportello.
« Ho interrotto qualcosa? » domandò
bloccandosi.
« No. » rispose secco Tom.
Rebecca tornò a sedersi incrociando le braccia e
accavallando di nuovo le gambe mentre Tom la inceneriva con la mente.
Gustav fece spallucce e rientrò.
« Piuttosto, portami da Bill. »
La voce di Tom era atona.
Gustav lo guardò un attimo.
« A-adesso? »
« Adesso. »
Tom sbatté violentemente la porta dell’ufficio del
fratello, con il viso rosso dalla rabbia e le narici allargate.
« E’ successo qualcosa? »
domandò Bill, sollevando lo sguardo dai suoi disegni, un
paio d’occhiali da vista con la montatura rettangolare
poggiati sul suo naso.
« Io con quella non ci lavoro! »
Bill sbuffò e roteò gli occhi.
« Ti rendi conto che mi ha dato del puttano?!
»
Bill sommesse una risata e si nascose le labbra incurvate in un sorriso
divertito dietro una mano.
« Non è divertente! » esclamò
Tom esasperato.
« Fammi capire: lei ti sta sulle palle perché ti
ha dato del puttano? »
« No, lei mi sta sulle palle a prescindere! »
« E perché? »
« Perché… » Tom smise di
gesticolare e si bloccò. « Perché
sì! »
Bill sospirò e si tolse gli occhiali.
« So che non riuscirò mai a farti cambiare idea,
ma ci devi lavorare e se continui a fare il pavone e lo scassa minchia
con lei, non riuscirete a combinare niente. Rebecca non si
farà mettere i piedi in testa da te e Gustav
esploderà a sentirvi sempre litigare. Piuttosto, avete
scoperto già qualcosa? »
Tom incrociò le braccia sul petto.
« Nella ditta delle pulizie c’è qualcuno
che ha messo la bomba. »
La mina della matita di Bill, perfettamente appuntita, si
spezzò all’improvviso e lo stilista rimase in
silenzio, con la schiena curva.
« Come scusa? »
Tom sciolse le braccia, lasciandole cadere sui fianchi.
« C’è un ragazzo, o almeno sembra un
ragazzo, che ha messo qualcosa nel lampadario mentre faceva le pulizie.
Questo poco prima della sfilata. »
Bill sollevò lentamente lo sguardo e fissò il
gemello.
« Mi stai dicendo che negli addetti alle pulizie
c’è il bastardo che ha messo Jolanda su una sedia
a rotelle?! »
Tom guardò Bill sbigottito.
« Cosa?! Jolanda… ?! »
Bill lanciò via la matita e si passò una mano fra
i capelli scompigliati, arruffandoli ulteriormente.
« Sì, Jolanda ha perso l’uso delle
gambe, il lampadario le è caduto addosso e non
c’è stato nulla da fare. Non potrà
più sfilare. »
Bill era affezionato ad ogni singola modella ma sapere che Jolanda non
avrebbe mai più toccato una passerella l’aveva
quasi ucciso.
Tom si accorse dell’espressione malinconica del fratello e si
pentì di essere entrato in quella stanza solo per lamentarsi.
Tossì imbarazzato.
« Mi dispiace. »
Bill fece spallucce.
« Ti lascio lavorare. »
Tom si voltò e uscì dalla stanza.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Il campanello suonò ripetutamente e Rebecca aprì
la porta stringendo fra le mani il cellulare.
« Buongiorno! »
La testa di Gustav spuntava da oltre una tuta blu incelophanata e sul
suo viso si era allargato un grosso sorriso.
« Gustav?! »
« Ti avevo detto che ti avrei portato la tuta per
infiltrarti, no? »
« Oh. Sì, è vero. »
« Perciò eccola! »
Gliela porse quasi appiccicandogliela al naso.
« Devo metterla ora? »
« Certo! Prima iniziamo, meglio è! »
Gustav sembrava così entusiasta di quel lavoro che dirgli no
sarebbe stato come privare un bambino della sua festa di compleanno.
« O-ok, va bene. Allora.. vieni, accomodati. »
Rebecca allargò l’apertura dell’uscio e
fece passare Gustav che entrò nella casa e iniziò
a guardarsi attorno, come un turista.
« Siediti pure, io vado a cambiarmi e se ti serve qualcosa da
bere o da mangiare, trovi tutto in cucina, la seconda stanza a destra.
»
Gustav annuì con la testa, ancora perso fra gli arredamenti
dell’abitazione e Rebecca si chiuse in camera sua, studiando
la tuta.
La tolse dalla busta e poi iniziò a spogliarsi per
indossarla.
Nel frattempo Gustav si era concentrato a guardare i divani in pelle
scura e i quadri appesi alle pareti.
Wow. Rebecca doveva essere proprio brava nel suo lavoro per guadagnare
il tanto necessario da avere una casa di quel tipo.
Dopotutto, Gustav abitava in un appartamento. Ok, era un pentavano con
una vista meravigliosa, ma niente a che vedere con la casa di Rebecca.
Era curata nei minimi dettagli, arredata minuziosamente e perfettamente
in ordine. Non c’era uno spillo fuori posto.
La porta della camera da letto si aprì e Rebecca
uscì con la tuta addosso.
« Direi che sembri proprio una di loro. »
commentò Gustav, fermamente convinto. « Ho pensato
che una S potesse andarti bene, ci ho visto giusto? »
« Direi più che giusto. »
Rebecca si avvicinò allo specchio del bagno e si
sistemò un po’.
« Possiamo andare. »
Gustav uscì per primo e la fece sedere sul sedile del
passeggero.
Bene, pensò lei: Tom non c’era.
Una seccatura in meno per iniziare meglio la giornata.
Gustav mise in moto e partì spedito verso
l’azienda di Bill. Accese la radio e mise un CD dei
Metallica. A giudicare da quanti ne aveva nel furgoncino, Rebecca
dedusse che ne era appassionato.
Gustav era cresciuto con quel tipo di musica, la amava e non ne avrebbe
mai fatto a meno. Era la sua adrenalina quotidiana.
« Ti ho mai detto che se non fossi diventato una spia, mi
sarebbe piaciuto diventare un musicista? »
« Ah sì? »
Gustav annuì con la testa e iniziò a tamburellare
con le dita sul volante.
« Adrenalina pura! »
Rebecca trattenne un sorriso divertito e voltò lo sguardo
oltre il finestrino oscurato del furgoncino. Solo Gustav poteva passare
da timido e impacciato a rockettaro sfegatato e Rebecca capì
perché Bill l’aveva preso con sé, e non
era solo per il fatto che fosse un genio con la tecnologia. Gustav era
una lampadina che si illuminava in continuazione, aveva ogni cosa sotto
il suo controllo e quando meno te lo aspetti, riesce a sorprenderti.
Passò un po’ prima che arrivassero
all’azienda, e Gustav parcheggiò nel retro,
cercando di nascondere il furgoncino da occhi indiscreti;
l’edificio era circondato da un giardino con alti alberi
potati che lo separavano dall’esterno.
Gustav prese una bustina trasparente e tolse fuori un auricolare,
sistemandolo poi nell’orecchio di Rebecca e nascondendolo con
i suoi capelli. Poi estrasse un altro aggeggio di dimensioni minuscole.
« Questa – disse tenendolo con due dita e
mettendolo davanti agli occhi della ragazza – è
una telecamerina che mi permette di vedere dove sei in qualsiasi
momento e di collocare la tua posizione attraverso un piccolo radar che
gli ho inserito. Una volta che sarai all’interno, ti
darò le dritte per arrivare all’area addetti e poi
farai il tuo lavoro. »
Rebecca annuì con la testa. Gustav le sistemò la
telecamerina e poi alzò un dito in aria.
« Oh! Quasi mi dimenticavo! »
Si voltò di nuovo e frugò nella sua giacca, per
poi tirare fuori un cartellino lucido con una foto di Rebecca ed il suo
nome stampato sopra.
« E’ un cartellino di riconoscimento, ho cercato di
farlo il più simile possibile ma tiralo fuori solo in casi
disperati, ok? »
« Ok, va bene. »
« Bene, adesso puoi andare. Fai attenzione! »
Rebecca scese dal furgone, dirigendosi a passo svelto verso
l’ingresso secondario.
La porta era chiusa ma pensò che forzarla un po’
sarebbe bastato per aprirla, così prese la maniglia e la
abbassò. Ma la porta non si aprì.
Fece più forza e iniziò a spingere e tirare la
maniglia sperando che la porta si aprisse, poi iniziò a dare
spallate, una più forte dell’altra.
Fece un passo indietro e si lanciò contro la porta. Poi ne
fece due e la colpì di nuovo con la spalla.
Nulla da fare.
Si guardò attorno ma non c’era niente che potesse
aiutarla.
Tornò indietro di ben 10 passi e si decise a prendere la
rincorsa. Se non avesse aperto la porta, si sarebbe rotta una spalla ma
almeno ci aveva provato.
Espirò velocemente e poi iniziò a correre.
A qualche passo dall’entrata, la porta si aprì e
Rebecca strisciò a terra, alzando un polverone e fermandosi
a qualche centimetro di distanza dalla persona che le aveva aperto.
« Che diavolo ci fai qui?! »
Tom la guardò perplesso e solo allora Rebecca
notò che aveva una tuta identica alla sua.
« Ti devo ricordare che ora lavoriamo insieme?! »
« Tu.. tu non eri con noi! Non eri nel furgone! »
Rebecca iniziò a gesticolare.
« Che ci facevo nel furgone se ero già in
azienda?! » replicò Tom. « Dai muoviti,
non ho voglia di perdere altro tempo. »
Si voltò e iniziò a percorrere il corridoio.
« Comunque la porta è blindata, perciò
è inutile che prendi la rincorsa per darle spallate. Non sei
un ariete medioevale. »
La ragazza grugnì e lo seguì chiudendosi la porta
alle spalle.
« Vedo che vi
siete trovati! » la voce di Gustav
arrivò dritta alle orecchie di entrambi e Rebecca
sussultò.
« Che cavolo… ?! »
« E’ Gustav. Sai, dall’auricolare?!
»
Tom indicò l’apparecchio nel suo orecchio,
spostando la piega della bandana verde che aveva in testa.
« Sì, certo che lo so! »
Rebecca lo superò con fare altezzoso e arrivò
alla fine del corridoio che si diradava in altri due; uno a destra e
uno a sinistra.
« Sinistra.
»
Gustav parlò di nuovo e Rebecca vide la figura di Tom
superarla e svoltare nel corridoio di sinistra.
« Di qua. »
Quanti schiaffi avrebbe voluto dargli? Parecchi.
Lo seguì stando alla larga finché Gustav
parlò di nuovo indirizzandoli a destra.
« Tu che sei dell’azienda, non sai dove siano gli
armadietti degli addetti? »
Tom scosse la testa.
« Io sto ai piani alti. »
« Oh, giusto giusto. »
Il ragazzo si fermò e si voltò a guardarla.
« Ascoltami una volta per tutte. Nemmeno a me piace
collaborare con te e non credo di avertelo nascosto. Ma dobbiamo farlo,
ok? Io non mi ritiro e penso che nemmeno tu lo faresti
perché si parla di soldi e di fare buona figura con Bill che
ripone in noi tutta la sua fiducia. Perciò evita di
smerigliarmi i maroni e proviamo almeno a lavorare ignorandoci a
vicenda, ok? »
Tom solo allora notò il taglio dei suoi occhi, che non aveva
mai visto così concentrati su di lui. Nemmeno durante la
lite sul furgoncino. Quella volta era così preso dalla
rabbia che pensava di avere davanti a sé un muro. In quel
caso però, aveva visto chiaramente gli occhi grandi di
Rebecca. Occhi che, forse, nascondevano qualcosa dietro quella maschera
di prepotenza.
La ragazza incrociò le braccia.
« Volete
anche dei pasticcini?! »
Rebecca avrebbe voluto ribattere alla ramanzina di Tom, ma questo si
voltò e riprese a camminare, privandola di qualsiasi
possibilità di replica.
Dio quanto lo detestava!
« La terza
porta a destra è quella della stanza agli addetti alle
pulizie. Mi raccomando, siate veloci. Dovete solo leggere un nome.
»
Tom contò le porte alla destra e poi aprì la
terza.
La stanza era illuminata da lampade al neon e c’erano tre
file di panche in legno. Per ogni lato, attaccati al muro
c’erano degli armadietti grigi con delle targhette sopra.
Erano forse mille.
Tom sospirò, abbassando le spalle.
« Io vado a sinistra, tu a destra, ok? »
Si voltò ma Rebecca era già sparita a controllare
i nomi. La ignorò e si allontanò verso sinistra.
Quella ragazza sembrava essere una bomba a mano. Più passava
del tempo con lei meno la sopportava.
Dal canto suo, Rebecca pensava la stessa cosa. Tom era così
presuntuoso!
Superò l’armadietto di una sua omonima e
scartò tutti quelli femminili. A loro serviva un ragazzo.
Davanti a lei si apriva un serpente di armadietti grigi che
trasmettevano ansia, considerando che il tempo a disposizione era
davvero minimo.
Un Fred, un Oliver, un Paul, un Christian, un Udo.
Niente da fare, nessun nome che somigliasse a INGR.
Tom era così assorto nei suoi pensieri contorti da aver
passato una fila di armadietti senza nemmeno guardarli.
Com’era possibile che…
Si fermò di botto e fece qualche passo indietro, leggendo un
nome su uno degli armadietti.
« Quali erano le lettere? »
« INGR. »
Nell’armadietto davanti a lui apparivano esattamente le
stesse lettere. Ma fra di esse, altre che formavano un nome ben preciso.
Ian Graf.
Tom prese l’anta dell’armadietto e la smosse un
po’, il tanto giusto da far traballare tutta la fila facendo
un casino.
Rebecca lo raggiunse.
« Che cavolo stai facendo?! »
Tom indicò la targhetta col nome.
« INGR. »
Lo sguardo di Rebecca si spostò da lui
all’armadietto e boccheggiò.
« L’hai trovato?! »
No, non poteva essere vero. Tom doveva aver avuto una grossa botta di
culo per riuscire a trovarlo così in fretta!
« Qualcosa
non va? »
La domanda di Gustav suonava parecchio inutile visto che non potevano
rispondergli, ma Tom si voltò e iniziò a
scassinare l’armadietto.
« Che diavolo stai facendo?! Dovevamo solo leggere un nome!
»
« Questo Ian Graf ha messo una bomba sul lampadario la sera
della prima della nuova linea di mio fratello. Ti sembra che me ne stia
con le mani in mano a leggere il suo nome a dire “Toh, eccolo
qui”?! A causa sua una delle nostre migliori modelle non
potrà più sfilare, perciò non mi
limiterò ad annuire davanti a questa maledetta targhetta!
»
Tom aveva continuato a smuovere l’armadietto e quando
finì di parlare diede un calcio all’anta,
piegandola.
Prese il ferro e lo tirò via con forza, allargando
l’apertura.
Spostò lo sguardo dentro l’armadietto il tanto
giusto da vedere scintillare qualcosa.
Infilò la mano fra le lamiere.
« Tom cosa stai facendo?! »
La mano di Tom tornò fuori con una collana scintillante
poggiata fra le dita.
Si voltò e la fece penzolare davanti agli occhi di Rebecca,
lo sguardo corrucciato e le labbra serrate.
« Sei contento ora?! »
« Questo – disse – non è altro
che uno degli ultimi prodotti di Bill, uno di quelli della linea di
gioielli che sta cercando di lanciare. E questa persona, questo
pulitore di cessi, ce l’aveva nel suo armadietto. »
Rebecca si sorprese di vedere lo sguardo di Tom trasformarsi in
quell’espressione.
Non lo conosceva, ma a giudicare dalla forma dei suoi occhi e delle sue
sopracciglia che ricordavano dei tappeti persiani, non doveva avergli
fatto piacere trovare quell’oggetto. La superò e
uscì dalla stanza con la stessa forza di una tempesta.
Rebecca lo seguì velocemente, ma Tom non stava andando da
Gustav.
« Tom, che stai facendo?! Dove stai andando?! »
Non rispose.
« Hey dove
cazzo state andando?! »
Tom superò una porta spalancandola, con Rebecca alle spalle.
Si infilarono velocemente in un ascensore e Gustav parlò di
nuovo.
« Mi state
prendendo per il culo?! L’uscita è
dall’altra parte! »
« Ti sei rimbambito?! »
Tom ignorò sia la frase di Gustav che la domanda di Rebecca
e appena l’ascensore si aprì, si fiondò
sul corridoio tappezzato di rosso fino a spalancare la porta in fondo.
Bill sedeva sulla sua scrivania con un bozzetto in mano e una penna fra
i denti.
Aggrottò le sopracciglia, guardando Tom che boccheggiava.
« Qualcosa non va? »
Il gemello tirò fuori la collana e la fece penzolare davanti
ai suoi occhi, mentre Rebecca gli si avvicinava.
Bill poggiò sia il bozzetto che la penna sul tavolo e fece
qualche passo in avanti.
« Dove l’hai preso? »
« Ian Graf. » espirò Tom, mentre il suo
petto si alzava e abbassava velocemente. «
L’abbiamo trovato nel suo armadietto. Lavora nelle pulizie.
»
Bill spostò lo sguardo dall’oggetto al viso di Tom
e poi su Rebecca, che non aveva detto nulla.
Poi si voltò e prese velocemente il telefono.
« Maggie? Voglio parlare immediatamente con chiunque sia
incaricato delle pulizie. No, non voglio un colloquio per gli orari,
voglio cambiare ditta. Licenziarli, sbatterli fuori, definiscilo come
ti pare. Entro stasera non voglio più vedere quella divise
girovagare per la mia azienda, intesi? »
« Si può sapere che cavolo ti è preso?!
» sbottò Gustav staccando tutte le apparecchiature.
Tom si lanciò sul divano.
« Dovevo dirlo a Bill. »
« Ed era necessario correre come un forsennato?! »
Fece spallucce, senza guardarlo.
« Bill ha deciso di cambiare ditta di pulizie. » si
intromise Rebecca.
Gustav sbuffò.
« Bene, adesso dovremo fare il doppio del lavoro per
ritrovare questo simpaticone di.. come si chiama?! »
« Ian Graf. »
« Ian Graf. Che nome di merda. »
« Sappiamo il nome, sei bravo al computer e su, cerca
qualcosa! » lo incitò Tom.
« Non posso mica digitare il nome sul primo motore di ricerca
che trovo! »
Mentre Gustav pronunciava la frase, aveva già scritto il
nome al pc e questo stava lavorando.
Tom si mise bene a sedere.
« Ringrazia che ho i dati dell’azienda. »
La faccia di Ian, con un’espressione attonita, fissava con
insistenza tutti e tre i presenti.
Gustav spostò il mouse un po’ più in
basso ed evidenziò i dati anagrafici e più
importanti di Ian. Compreso il luogo di provenienza.
« Bingo! » esclamò Tom.
« Gustav, tu sei un genio! » commentò
Rebecca, sorpresa dal lavoro del ragazzo.
Lui arrossì un po’ sulle gote e fece un cenno
distratto con la testa.
« Grazie Rebecca. »
La ragazza gli posò una mano sulla spalla, facendolo voltare
e allargò un grosso sorriso.
« Chiamami Becky. »
Tom si voltò di scatto e trattenne goffamente una risata.
« Mi dispiace interrompere le vostre smancerie, ma dobbiamo
organizzarci per capire chi diavolo è questo tizio.
»
Lo sguardo di Rebecca saettò sul viso del ragazzo che lo
sostenne tranquillamente.
« Sentiamo, cosa avresti in mente? »
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Gustav suonò il campanello una seconda volta e attese
battendo prima un piede e poi l’altro per terra.
Aspettò un po’ e poi bussò, con scarsi
risultati.
« Oh andiamo, la casa è vuota! »
Tom sbucò da un cespuglio là dietro e
allargò le braccia, facendo sbuffare Gustav.
« E va bene, ho capito che vuoi scassinarla a tutti i costi!
»
Il ragazzo si frugò nelle tasche del giubbotto e si
avvicinò velocemente alla porta, tirando fuori una forcina.
« Wow, che metodi all’avanguardia! »
Tom ignorò il commento seccato di Gustav e si
chinò sulla toppa dell’uscio.
Infilò la forcina e iniziò a muoverla da una
parte e dall’altra, corrugando la fronte.
Uno scatto, poi un altro e la porta si aprì. Tom si
voltò verso Gustav rigirandosi la forcina fra le dita e un
ghigno comparve sul suo viso.
« Dicevi? »
Gustav lo fulminò con lo sguardo e lo superò
dentro l’abitazione.
I muri erano color crema e l’arredamento riprendeva lo stile
etnico.
C’erano quadri in ogni stanza, lampade dalle forme
inimmaginabili e un corridoio che partiva dal soggiorno e portava ad
altre tre stanza.
Il salone era abbastanza grande, con un divano bianco al centro della
sala, un tavolino in legno scuro davanti ad esso e una TV spenta messa
in un angolo.
Oltre il corridoio c’era una porta chiusa, una stanza dove si
intravedeva un lavandino e un’altra stanza ben illuminata
dove si scorgeva chiaramente una cucina.
« Io controllo in cucina, tu dai un’occhiata qui.
» disse Gustav, allontanandosi nel corridoio.
Tom si diede una scrollata al giubbotto e poi si guardò
attorno.
La stanza era abbastanza illuminata anche se nelle finestre
c’erano delle tende scure.
Tom mosse qualche passo in avanti e si avvicinò ad un
ripiano, scrutandolo attentamente.
Un piccolo vaso di chissà quale posto, polvere e un piccolo
centrino bianco.
Allungò una mano incuriosito dalle decorazioni del vaso e ne
accarezzò la superficie. Forse con un po’ troppa
forza, perché il vaso barcollò quasi fino a
cadere e Tom si cagò letteralmente addosso.
Fortuna che Gustav non l’aveva visto, sennò Dio
solo sapeva quante ramanzine gli avrebbe rifilato.
Si assicurò che il vaso fosse in una posizione stabile e si
spostò con cautela, avvicinandosi al divano.
Su un braccio c’era un telecomando nero e sul tavolino un
posacenere con delle cicche di sigaretta e, affianco ad esso, un
giornale con la programmazione televisiva della sera.
Nulla di interessante, si disse con una scrollata di spalle.
« Tom. »
Gustav lo chiamò dalla cucina e il ragazzo si
fiondò con la stessa delicatezza di una mandria di zebre in
fuga da un leone.
« Che c’è? »
« Conosci questo indirizzo? »
Gustav stava fissando con insistenza un post-it giallo attaccato sul
frigorifero e circondato da diverse calamite di pesci e animali
tropicali.
Tom gli si avvicinò e lo lesse.
Le sue pupille si dilatarono così tanto da imprimergli
l’immagine di quel foglietto come un marchio a fuoco.
« Lo conosci? » Gustav si voltò e vide
la sua espressione sbarrata.
Tom indicò il foglietto e iniziò a muovere la
mano con nervosismo.
« Questo.. questo è l’indirizzo di casa
di Bill! »
Iniziò a tremare e indietreggiò, andando a
sbattere contro il tavolo al centro della stanza.
« Ne sei sicuro? »
Tom annuì freneticamente con la testa.
Gustav lo prese per un braccio e lo tirò fuori da quella
casa, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Risalì velocemente sulla sua macchina e Tom si sedette al
posto del passeggero, mentre tirava fuori il cellulare e cercava il
nome di Bill nella rubrica.
« Rebecca, io mi fido di te. E voglio che tu sia sincera.
»
La ragazza annuì e lui fece il giro della scrivania,
poggiandosi poi col fondoschiena su di essa.
« Abbiamo solo trovato la collana e Tom è corso
qua. »
Bill scosse la testa.
« Non mi riferivo a quello. Mi riferivo a te e Tom.
»
« Oh. »
Rebecca scrollò le spalle, con fare disinvolto.
« E’ tutto nella norma. »
« So che non andate d’accordo. Lui me ne ha
parlato. »
« Cos’ha fatto?! »
« Tranquilla, conosco il carattere di mio fratello
così bene da poterne prevedere le azioni in ogni singolo
momento. » mormorò prendendo dal tavolo il suo
pacchetto di Lucky Strike. Lo aprì e prese una sigaretta.
« E non è una cattiva persona. »
« Non l’ho mai pensato. » si
affrettò a dire la spia, mentre Bill avvicinava la sigaretta
alle labbra e la accendeva.
« Ogni tanto diventa rompipalle, ma dipende da come lo
prendi. Ha bisogno di fidarsi e… »
Il cellulare iniziò a squillare e Bill dovette fermarsi.
Socchiuse gli occhi e tirò fuori l’apparecchio
dalla tasca.
« E’ Tom, scusa un attimo. »
Si portò il cellulare affianco all’orecchio e non
fece nemmeno in tempo a rispondere.
« Dove sei? »
Bill quasi trasalì dal tono che aveva usato il gemello.
« In azienda, perché? »
« Non muoverti di lì, sto arrivando! »
Bill non riuscì a rispondere che Tom aveva già
chiuso la chiamata.
Rebecca lo fissò interrogativa ma l’espressione di
Bill mostrava chiaramente un uragano di domande. Tante forse quanto le
sue.
« Lui e Gustav erano insieme, giusto? »
« Sì, dovevano andare a casa di Ian Graf.
»
Bill tornò dietro la scrivania e si sedette.
« Ha detto che sta arrivando. »
Quando pronunciò quella frase, dal parcheggio si
udì lo sgommare di una macchina. Bill si alzò di
scatto dalla sedia e guardò dalla finestra. Riconobbe la
vettura di Gustav e attese.
Tom entrò spalancando le porte e col fiatone.
Rebecca lo guardava perplessa.
Circa cinque secondi dopo, lo raggiunse anche Gustav.
« Potevi anche aspettarmi al posto di farmi fare le scale!
»
« Abbiamo un problema. » lo ignorò Tom,
rivolgendosi direttamente a Bill.
Questo gli si avvicinò.
« Che tipo di problema? »
Tom si lasciò cadere sulla poltrona lì vicino,
sganciandosi il giubbotto.
« Sa dove abiti. » espirò. «
Abbiamo trovato un foglietto con il tuo indirizzo. »
Bill aveva già la mano pronta sul telefono.
« Allora è me che vuole. »
Gustav annuì ma nessuno, oltre Rebecca, lo guardò.
« Ma chi cazzo è questo dannato Ian Graf?!
»
« Sei sicuro di non conoscerlo? »
domandò la ragazza.
Bill scosse la testa.
« Mai sentito. »
« Non ha mai fatto qualcosa per diventare modello o magari ti
ha fatto un favore e non l’hai ripagato a dovere? »
Bill sollevò lo sguardo verso Rebecca.
« Io non sapevo nemmeno gli orari della ditta di pulizia!
» si giustificò.
Tom si mise bene a sedere.
« Chiama la polizia, digli di controllare casa tua. Io non mi
fido a lasciarti andare lì da solo. »
Bill alzò la cornetta del telefono e avvertì la
polizia.
« La linea potrebbe aver suscitato delle gelosie. »
suggerì Gustav, parecchi minuti dopo.
Tom si era versato da bere nei lindi bicchieri di cristallo che stavano
nell’ufficio di Bill. Quest’ultimo temperava
continuamente la matita. Rebecca era poggiata alla finestra, le braccia
incrociate sul petto.
Bill aveva avvertito la polizia e loro si erano immediatamente mossi
verso casa sua. Gli avevano promesso una telefonata nel caso avessero
trovato qualcosa, ma ancora non si erano fatti sentire.
Tom beveva un bicchiere ogni 2-3 minuti e non era nemmeno pienamente
sicuro di cosa stesse bevendo.
Sapeva solo che il sapore era buono e gli piaceva.
« Non avete trovato altro in quella casa? »
domandò Rebecca ignorando l’osservazione di Gustav
e rompendo il lieve silenzio che si era creato, interrotto solo dal
tracannare di Tom.
Gustav fece spallucce, desolato.
« Siamo usciti subito. »
« Capisco. »
Bill batté il temperino sulla scrivania.
« Non posso stare qui immobile ad aspettare la telefonata di
un poliziotto. » sbottò.
Si alzò e fece il giro della scrivania.
« Dove stai andando? » lo assalì Tom,
mollando il bicchiere sul tavolino e seguendo il fratello con lo
sguardo.
« Dò solo un’occhiata in giro per vedere
se le modelle hanno problemi, come va la riproduzione dei bozzetti e se
ci sono altri tipi di difficoltà. L’azienda
è più sicura di casa mia, a questo punto.
»
Tom sapeva che non poteva fermare Bill, perché quando questo
si metteva in testa un’idea niente e nessuno riusciva a
fargliela cambiare.
« Ti ricordo che è partito tutto da qui.
» fu l’unica cosa che disse, prima che Bill aprisse
la porta per sparire dietro di essa.
Gustav misurava la stanza a grandi passi, Tom aveva deciso di poggiare
i piedi sul tavolino e Rebecca puntellava con la matita super temperata
di Bill, seduta sulla sua poltrona.
« Io non capisco, sul serio. »
Gustav e Tom sollevarono lo sguardo verso Rebecca, che aveva parlato.
Lei li fissò uno ad uno e poi allargò le braccia.
« Una persona mai vista e mai sentita che improvvisamente
decide di farti fuori. »
Tom tolse i piedi dal tavolino e si sedette composto, sistemandosi poi
il colletto della camicia a quadri neri e blu che indossava, mentre
Gustav riprese a camminare in lungo e in largo.
« E’ quello che mi domando anch’io.
» disse poi. « Mi sembra alquanto strano.
»
« Bill dice di non conoscerlo. » gli
ricordò Tom, puntato a difendere il fratello.
« Ma Ian conosce lui. » ribatté Rebecca.
« Chi nel mondo non conosce Bill?! E’ uno dei
più famosi stilisti del millennio, ci manca poco che
sostituiscano la statua della Libertà con una sua!
»
Gustav roteò gli occhi, lasciando perdere la frase di Tom.
« Ian potrebbe essere chiunque. Anche una spia come noi.
»
« Io non credo che in quella casa non ci fosse nulla.
» protestò Rebecca, poggiando la schiena sulla
poltrona.
« Potrebbe avere un’altra abitazione. Io ne ho tre.
» disse Tom.
Gustav lo guardò. Era solo lui il demente ad avere un
appartamento?!
« Se non è una spia potrebbe essere un serial
killer. » continuò Rebecca, seguendo il filo
ipotetico di Gustav.
« Serial killer ingaggiato da chi? »
domandò quest’ultimo.
La ragazza fece spallucce.
« Concorrenza, nemici d’infanzia, qualche ex
ragazza o semplicemente una stalker, un pazzo schizzato di mente, un
alieno. Chiunque. Nessuno resta vivo se hai i soldi per farlo
ammazzare. »
Gustav si passò una mano sul mento, pensieroso, e poi si
sedette sulla poltrona che aveva occupato anche prima.
« Ma Ian ha fatto cadere il lampadario addosso ad una modella
di Bill. »
Tom si mise bene a sedere, seguendo quell’incontro di
cervelli.
Rebecca annuì con la testa.
« E noi l’abbiamo scoperto. »
Tom inarcò le sopracciglia, non capendo. Rebecca prese di
nuovo in mano la matita e iniziò a spiegare la sua teoria
facendo disegni immaginari nell’aria.
« Lo scopo di Ian era quello di far fallire Bill come
stilista e così ha attaccato la sua ultima premiere. Ma poi
noi abbiamo scoperto che era stato lui ad architettare il tutto e
così Bill ha deciso di cambiare azienda di pulizie. Ian ha
perso l’unica opportunità che aveva per realizzare
il suo piano. A quel punto ha deciso di farlo direttamente fuori.
»
Gustav sembrò andare d’accordo, ma Rebecca
continuò il suo discorso.
« Oppure, qualcuno l’ha pagato per fare questo. Se
Bill davvero non conosce questo Ian Graf, non vedo altre alternative
più allettanti. »
« E se “Ian Graf” fosse solo una
copertura? » domandò Tom.
Gli sguardi di Rebecca e Gustav si posarono su di lui.
« Se Ian Graf non esistesse e fosse solo un nome a caso?
»
« Impossibile, era nell’archivio degli addetti alle
pulizie. » protestò Gustav.
« Quante volte ci siamo infiltrati con nomi falsi?!
»
Nessuno ribatté e Tom si mise meglio a sedere, riordinando
le idee.
« Abbiamo quattro alternative: Ian è pazzo e vuole
fare fuori Bill; Ian è stato pagato da qualcuno per fare
fuori Bill; Ian non esiste; Ian è una copertura per il vero
pericolo di Bill. »
« Cioè un bersaglio per attirare
l’attenzione su Ian mentre il vero assassino resta coperto?
» domandò Rebecca.
« Esatto. »
Gustav sospirò.
« Siamo punto e a capo, sembra che sia un vicolo cieco.
»
« Più che un vicolo cieco direi un incrocio con
troppe strade e solo una è quella giusta. » lo
corresse Tom, che si sentiva potente per aver fatto un ragionamento in
grado di aver attirato la loro attenzione. E in grado di avergli
incasinato ulteriormente il cervello, ovviamente.
Rebecca si passò una mano sul viso.
« L’unica cosa certa sembra solo che Bill debba
fare attenzione. » continuò Gustav, e nessuno
ribatté.
« A proposito, dov’è? Non è
ancora tornato. » constatò Rebecca.
Tom sembrò risvegliarsi da un sonno profondo e si
guardò attorno, irrequieto.
Fece per alzarsi quando il telefono sulla scrivania squillò.
Lo guardarono tutti e tre ma nessuno ebbe il coraggio di prendere la
cornetta.
« Sei suo fratello, rispondi tu! » fece Gustav,
incitando Tom.
Questo avvicinò la mano alla cornetta e poi la
tirò su, avvicinandosela al viso.
« Pronto? »
« Una bomba?! »
La segretaria si voltò e osservò Bill da capo a
piedi.
« Fai piano! » lo rimproverò il gemello.
Bill era sbiancato e poi era diventato viola dallo spavento.
« Mi stai dicendo che questo tizio è entrato in
casa mia e ci ha messo una bomba?! »
Tom annuì con la testa e poi prese Bill per le braccia.
« Rebecca e Gustav sono già andati per cercare
qualcosa ma tu devi stare calmo e non agitarti come tuo solito. Puoi
venire a dormire da me, ok? »
Bill non rispose e guardò altrove.
« Che sta succedendo, Tom? Chi è questa persona,
cosa vuole da me e perché? »
Tom si limitò a guardarlo e non riuscire a rispondergli fu
come ingoiare un boccone amaro.
Era sicuro che Bill non conoscesse quella persona, perché
non gli aveva mai mentito in tutta la vita.
Ma non sapeva perché Ian ce l’avesse con lui e
voleva scoprirlo. Ad ogni costo.
Rebecca e Gustav erano già arrivati a casa di Bill e stavano
alle spalle dei poliziotti, cercando di non toccare nulla e di non
creare fastidio.
« Una bomba! » continuava a ripetere Gustav,
rimettendosi ogni tanto a posto gli occhiali.
Il discorso che aveva fatto nell’ufficio di Bill risuonava
ancora nella mente di Rebecca.
Perché Ian faceva tutto quello?
Le opzioni di Tom non sembravano essere poi tanto sbagliate, ma la
verità pareva ancora nascosta e difficile da trovare.
La casa di Bill era circondata da un giardino e sembrava difficile
entrarci, soprattutto a causa dell’allarme che Bill si era
premurato di installare.
Rebecca osservava tutto con estrema attenzione, badando di non
tralasciare nemmeno un particolare e di fotografarlo mentalmente.
C’era qualcosa, in tutta quella storia, che non la convinceva.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Bill prese il suo bagaglio a mano e scese dal jet con un paio di
occhiali da sole, mentre alle sue spalle Gustav litigava con il suo
zaino.
Tom aveva insistito così tanto che alla fine Bill aveva
ceduto e aveva portato a Parigi per una sfilata di moda anche lui,
Gustav e Rebecca.
Quest’ultima uscì dal jet tirandosi indietro i
capelli e alle sue spalle sopraggiunse Tom, superandola in altezza.
« Ti spiace scendere? Sai, mi ostruisci il passaggio.
»
Rebecca voltò lo sguardo e lo vide con due borse, una per
mano e gli occhi puntati su di lei.
Tom giurò che lei gli avrebbe fatto lo sgambetto e che gli
avrebbe risposto a tono, ma Rebecca si spostò e gli fece
spazio per scendere dalla scaletta.
Tom inarcò le sopracciglia e la fissò qualche
secondo ancora, finché lei gli fece segno di scendere.
« Grazie. »
Non sentì risposta e si affrettò ad arrivare
giù.
Bill era già entrato nell’aeroporto e parlava
animatamente in francese al telefono.
Attese l’arrivo di Rebecca e di Tom e poi uscì,
scortato da qualche bodyguard. La folla non era tanta ma Bill
passò spedito e uscì, entrando poi in una
limousine nera.
Lo seguì Gustav, poi Tom e infine Rebecca.
« Ritzt Carlton. » disse Bill all’autista
e quello partì quasi subito.
« Non sono mai stato a Parigi! »
commentò euforico Gustav. «
Com’è? »
Bill si accese una sigaretta, fregandosene del fumo.
Poi fece spallucce.
« Romantica, come dicono tutti. Piena di luci, di
attività e di consigli. Il posto ideale per schiarirsi le
idee. »
Gustav cercò di guardare fuori, ma i vetri oscurati gli
facevano vedere ben poco.
« Per quanto riguarda la sfilata »,
continuò poi Bill « non voglio nessuna
interruzione di alcun tipo, intesi? Per me è molto
importante parteciparvi. ».
« Quindi se stanno per spararti dobbiamo lasciarli fare?
» lo stuzzicò Tom.
Bill lo fulminò da oltre gli occhiali e poi se li
sfilò.
« Il punto è che nessuno deve avvicinarsi a me.
E’ chiaro il concetto? »
Tom odiava quando Bill gli dava degli ordini. Ma era a lui che doveva
tutto quello che aveva. Così voltò semplicemente
lo sguardo e incrociò le braccia, mentre il gemello si
rimetteva gli occhiali, nascondendo il suo viso completamente struccato.
Tom era sceso alla reception perché una valigia di Bill era
stata smarrita all’aeroporto ed era arrivata in quel momento.
Ovviamente Bill non poteva scendere a prenderla perché si
stava preparando per la sfilata, anche se era uno spettatore. Dal canto
suo, Tom era già pronto dentro uno smoking che Bill aveva
confezionato su misura per lui. L’aveva obbligato a
indossarlo ma nonostante le ripetute proteste, Tom aveva dovuto cedere.
E così si trovò a litigare con la valigia di Bill
che sembrava contenere un elefante. E quell’abito di sicuro
non aiutava. Tom era così abituato ad usare abiti larghi che
stare dentro quel paio di pantaloni stretti e dentro quella giacca gli
riusciva molto difficile.
Prese la valigia di Bill con entrambe le mani sperando che le cuciture
della giacca non si rompessero e se la caricò addosso,
avviandosi poi verso l’ascensore, fra
un’imprecazione e l’altra.
Una volta chiamato l’ascensore, poggiò il bagaglio
a terra e attese che quello arrivasse dal quindicesimo piano,
sistemandosi nel frattempo le maniche del completo.
Sollevò lo sguardo e, per poco, gli occhi non gli uscirono
dalle orbite.
L’aveva lì, a qualche metro da sé.
Ian Graf.
Sussultò leggermente e si appiattì sul muro,
sperando che Ian non decidesse di prendere l’ascensore.
Sbirciò un poco e lo vide affiancato da un’altra
persona.
« Ho capito. » fece il bastardo.
« Non voglio avere nessuno tra i piedi, intesi? Nessuno.
»
Fu la persona affianco ad Ian a pronunciare la frase e Tom dedusse
fosse un maschio.
Deglutì a fatica, disagiato, e prego con tutta la sua poca
fede che l’ascensore arrivasse il prima possibile.
Sollevò lo sguardo verso il piccolo monitor.
Decimo piano.
Si avvicinò ulteriormente al muro, quasi sperando di
diventarne parte e sentì i passi dei due farsi sempre
più vicini.
Poi si fermarono.
« Nessuno deve sapere che ci sono in mezzo io, ok? Tu tieni
fuori quel ficcanaso del fratello e io mi occuperò
personalmente di Bill. »
Tom strinse i denti a labbra serrate e chiuse la mano destra in un
pugno.
« Va bene. »
Li sentì riprendere a camminare, ma l’ascensore
era ancora su.
Ricacciò una bestemmia mentre l’ascensore affianco
si apriva e due signore vestite in abito elegante uscivano parlando in
una lingua simile al russo.
Tom fece strisciare velocemente la valigia e la spinse con un calcio
dentro l’ascensore, per poi chiuderlo velocemente e
schiacciare il tasto del quinto piano.
Poggiò la testa sulla parete in legno e chiuse gli occhi.
Ian era anche lì. Ringraziò il cielo o chiunque
altro per aver fatto sì che Bill li portasse con
sé.
L’ascensore si aprì al terzo piano e Tom
traballò, preso alla sprovvista.
Poi riconobbe Gustav che lo guardava perplesso mentre si sistemava gli
occhiali.
Tom lo prese per il lembo dell’abito scuro che anche lui
indossava e lo tirò dentro l’ascensore,
affrettandosi a chiuderlo.
« Vedo che anche tu sei già pronto. Dovevo andare
da Beky, non pensavo di.. »
« Senti un po’. » lo zittì Tom
che aveva smesso di ascoltarlo appena aveva sentito il nome Beky. «
Si dia il caso che il signor Ian Graf il quale stiamo spiando in ogni
maniera ci venga possibile, è qui a Parigi, nel nostro
stesso albergo, in questo preciso istante! »
Gustav spalancò gli occhi da oltre la montatura quadrata che
reggeva sul naso ma Tom si affrettò a dire il pezzo forte,
prima che parlasse.
« E non era solo. »
L’ascensore si aprì e uscirono mentre Tom si
caricava addosso la valigia e Gustav lo seguiva perplesso.
« Stava parlando con qualcuno, non ho la minima idea di chi
fosse perché non l’ho visto. Mi sono nascosto per
paura di essere scoperto. »
« Che si son detti? »
« Il secondo ha detto che non mi vuole fra i piedi. Che vuole
fare fuori Bill. Avevo ragione io, Ian è solo una copertura!
»
Gustav lo guardò ancora più perplesso di prima,
finché arrivarono davanti alla camera di Bill.
« Io devo andare da Rebecca. » disse Gustav mentre
Tom poggiava la valigia di Bill in terra e si preparava a bussare.
Lo guardò con la coda dell’occhio.
« Non si sa vestire da sola? »
« No, deve sistemarmi la cravatta. »
Tom voltò il viso verso Gustav che si rimise gli occhiali a
posto, per la quindicesima volta in un minuto.
Non rispose e gli fece cenno di andare via, mentre bussava alla porta
di Bill.
Bill che si presentò con tre matite diverse in mano e un
trucco da far invidia ai modelli della serata.
« Oh, eccoti finalmente! »
« Fammi entrare, spostati. »
« E’ successo qualcosa? »
Bill si scansò e Tom lanciò la valigia dentro la
stanza.
« Hey fai piano! »
« Ian è qui. »
Bill si irrigidì e guardò Tom.
« Scusa?! »
« Non so come abbia fatto a sapere che anche noi siamo qui.
Ma una cosa è certa: non è da solo. »
« Come non è da solo?! »
Bill lasciò cadere una matita sulla moquette rossa della
stanza.
« Non è da solo! C’è un altro
tizio con lui ma non so chi sia, non l’ho visto. Ero
nascosto. »
Bill si passò una mano su un fianco, poi si chinò
per prendere la matita e iniziò a sbuffare, dirigendosi
verso il bagno.
Tom lo seguì ma Bill si chiuse dentro. Il fratello si
sedette sul suo letto.
« Hai almeno sentito cosa si son detti? »
Tom annuì con la testa, anche se Bill non poteva vederlo.
« Il tizio ha ordinato a Ian di tenermi impegnato. A quanto
ho capito voleva occuparsi lui personalmente di te. »
« Personalmente di chi?! Ma stiamo impazzendo?! Avevo detto
che non volevo casini almeno questa sera! »
sbraitò Bill da dentro il bagno.
« E io che posso farci?! L’ho scoperto solo ora!
»
Bill grugnì e poi imprecò, prima di aprire la
porta e uscire con un’espressione poco rassicurante dal bagno.
« Cosa dobbiamo fare? »
Bill rimase immobile e inspirò profondamente.
Poi abbassò le spalle.
« Andiamo, faremo tardi. »
Bill si avviò verso la porta quando qualcuno
bussò e Tom si affrettò a raggiungerlo. Lo prese
per un braccio e lo bloccò.
« Apro io. »
Bill lo lasciò fare e il gemello aprì la porta
della camera.
Rimase qualche istante imbambolato come se qualcuno l’avesse
pietrificato e non sbatté nemmeno gli occhi.
Il fratello lo vide paralizzato e fece capolino.
« Oh Rebecca! »
La ragazza spostò lo sguardo da Tom a Bill e lo
fissò velocemente da capo a piedi, per poi curvare le sue
labbra rosse in un sorriso.
« Dov’è Gustav? »
« Lui… »
« Eccomi! »
Il paffutello arrivò di tutta fretta sistemandosi qualcosa
nella tasca della giacca e poi sorrise a tutti e tre.
Che si stesse rimettendo a posto gli occhiali è scontato.
« Andiamo? »
Bill annuì con la testa e superò Tom, iniziando a
percorrere il corridoio.
Lo sguardo di Tom non si era allontanato un istante dal viso di Rebecca.
I suoi capelli erano raccolti ma il suo viso era diverso. Quel rossetto
rosso catturava lo sguardo di Tom e quegli occhi marcati da quel
profondo ma semplice trucco la rendevano ancora più
misteriosa di quanto lui avesse pensato potesse essere.
Rebecca si dileguò velocemente mente Gustav si fermava ad
aspettare Tom. Questo si affrettò a chiudere la stanza.
« Allora? » domandò Gustav. Tom lo
guardò.
« Cosa? »
La testa di Gustav dondolò verso la figura di Rebecca che
fluttuava sui suoi tacchi e dentro quel lungo cappotto bordeaux.
Tom guardò Gustav perplesso e fece un gesto fugace con la
mano mentre seguiva il gemello.
Bill si guardava attorno con ansia. Il timore di sentire una pallottola
attraversargli il cervello aveva iniziato a tormentarlo da quando era
arrivato nella hall dell’albergo.
Tom era al suo fianco, poi c’erano Rebecca e Gustav.
Gustav si era preoccupato di raccontare a Rebecca quello che Tom gli
aveva riferito e lei non si era espressa. Aveva solo metabolizzato e
assorbito tutto quanto.
Ma in quel momento, a quella sfilata, in mezzo a tutta quella gente, la
paura di essere attaccati
e scoperti
aumentava in continuazione.
Le luci si abbassarono e la sfilata iniziò in un tripudio di
flash e applausi.
Gli abiti catturarono quasi subito l’attenzione di Bill che
teneva sempre la guardia alta.
Tom era immobile.
Da una parte suo fratello indugiava sui vestiti che sfilavano davanti a
lui, dall’altra Rebecca si contorceva da una parte
all’altra controllando la situazione.
Tom notò che aveva ancora il cappotto. Non che gli
importasse sapere com’era vestita là sotto, non
gli era mai importato nulla degli abiti femminili.
Ma alle sue narici arrivava una lieve scia di profumo che confondeva i
suoi sensi e lo distoglieva sia dalla sfilata dal controllare che Bill
non fosse preso di mira da chissà quale cecchino.
Rebecca catturava gran parte della sua attenzione più di
quando lui potesse ammettere.
Gustav, dalla sua postazione, non aveva minimamente preso in
considerazione la sfilata e faceva zigzagare gli occhi da una parte
all’altra, assicurandosi che fosse tutto a posto.
Tom non capì quanto tempo era passato quando Bill
iniziò a battere le mani entusiasta. Lo imitò
notando solo allora che la sfilata era giunta al termine e Rebecca al
suo fianco si affrettò ad alzarsi in piedi e a chiedere a
Gustav di farla passare.
« Dove vai? » le domandò.
La ragazza non rispose e si dileguò velocemente. Tom
guardò Gustav interrogativo ma quello non gli rispose.
« Stai con Bill. »
Tom si alzò dal suo posto e cercò di seguirla.
La gente attorno a lui si stava sistemando per raggiungere il buffet ma
lui cercò lo stesso di districarsi come meglio gli riusciva.
La stanza principale del palazzo era già stata imbandita con
dolci e ogni tipo di pietanze e c’era già chi si
stava abbuffando. Tom si fermò e cercò Rebecca
con gli occhi.
La vide in un angolo che si guardava attorno e la raggiunse.
« Si può sapere che stai facendo?! » la
aggredì.
Lei trasalì e lo guardò perplessa.
« Tom! »
« Sì, sono Tom! Sbaglio o dovevamo stare tutti
uniti per evitare casini?! »
« Ian è uscito prima di tutti. Per questo sono
andata via anche io, stavo cercando di seguirlo. »
Tom si guardò attorno.
« E’ qui? »
Rebecca scosse la testa.
« Non lo so. Non l’ho ancora visto. Tom non puoi
restare qua, devi andare da Bill! Ian ti conosce, sa che deve occuparsi
di te e non si metterà di certo dei problemi. »
Tom non rispose e continuò a guardarsi attorno.
« Dov’è Bill? »
domandò più a sé stesso che a lei. Non
sentì risposta e abbassò lo sguardo. Rebecca
stava guardando oltre le sue spalle e anche lui fece per voltarsi.
« No! » la ragazza gli prese il viso con le mani e
non lo fece voltare. « Non girarti o ti vedrà.
»
Gli occhi di Tom erano puntati dentro quelli nocciola di Rebecca che
stringeva il viso del ragazzo fra le sue gracili e gelide mani.
« Dove sta andando? »
« Sta uscendo. »
« Uscendo?! »
Rebecca lasciò andare il viso di Tom e questo si
voltò verso l’ingresso principale. Si
incamminò ma Rebecca lo bloccò di nuovo.
« Che cazzo vuoi fare?! Vuoi forse farti ammazzare?!
»
« Io devo tenere d’occhio Ian! Devo capire cosa
c’è dietro tutto questo! »
« Da solo non combinerai nulla! Lui è dieci volte
più furbo di noi. »
« Bene, allora vieni con me! » l’aveva
buttata lì, come un ricatto. O una beffa.
Rebecca strinse i denti e si slacciò il cappotto.
Quando se lo sfilò l’espressione incazzosa di Tom
si affievolì in una di ohmioDiocosadiavolostafacendo?!.
Le spalle di Rebecca restavano scoperte e sul suo corpo si annodava un
abito bianco con una fascia nera in vita. La sua pelle bianca
risplendeva fra quella seta così luminosa.
« Io non ho paura. »
Lo superò con fare altezzoso e Tom dovette quasi correre per
starle dietro.
« Hai un piano? » gli domandò lei.
Lui non rispose.
« Tu seguimi. »
Varcarono il portone principale e un giardino fatto di alti e grossi
alberi che affiancavano un labirinto si apriva prima del cancello in
ferro battuto.
Nessuno era a guardia della porta, c’erano solo loro due
sulle scale.
Rebecca iniziò a scendere le scale con Tom alle spalle
quando la sua attenzione venne attratta da un movimento alla sua destra.
Spostò gli occhi fino al più estremo bordo e lo
vide.
« Corri! » strillò.
Prese Tom per un braccio e iniziò a correre giù
dalle scale in marmo bianco, mentre da una siepe sbucava
l’alta e esile figura di Ian che gli puntava contro una
pistola.
Le scarpe di Rebecca quasi affondavano nell’erba. Tom la
superò e la tirò per una mano dentro il
labirinto. Svoltò alla prima a destra e lei si
fermò per togliersi le scarpe.
Ian comparve alle loro spalle con la pistola fumante ancora tra le mani.
« Muoviti! »
Tom prese Rebecca, ancora curva, per la vita e la trascinò
con sé mentre una pallottola gli sfiorava
l’orecchio sinistro. Svoltò di nuovo e si
frugò nella tasca interna della giacca. Poi estrasse una
pistola e si fermò. Voltandosi vide Ian correre per
inseguirli e sparò ma prima che la pallottola potesse
colpirlo, il biondo si spostò dietro un’alta siepe.
« Corri, muoviti! » Rebecca lo tirò di
nuovo per un braccio, incitandolo ad andare via. I bordi del suo
vestito erano diventati ormai verdi e anche i suoi capelli avevano
iniziato a ricaderle sul viso e qualche ciuffo si era depositato anche
sulle sue spalle nude.
Tom la seguì stringendo fra le sue mani la pistola calda.
Svoltarono di nuovo ma Ian era davanti a loro. Tom sparò di
nuovo e Rebecca si rifugiò dietro il suo corpo.
Sollevò il vestito fino alla coscia ed estrasse la sua
pistola.
Tom aveva iniziato a sparare a casaccio, anche se Ian non era
più davanti a lui. La schiena di Rebecca premeva contro la
sua.
Poi abbassò l’arma e si ritrovò ad
avere il fiatone.
Si voltò lentamente e vide il vestito di lei strappato.
« Tutto ok? » le domandò.
Lei annuì col volto basso e poi si passò un
ciuffo dietro le orecchie.
« Dobbiamo tornare indietro. »
Sollevò lo sguardo e vide il viso stravolto di Tom.
Respiravano entrambi con l’affatto e Tom sentiva caldo sotto
quegli abiti.
« Non ci siamo persi, vero? » gli
domandò.
Tom sollevò lo sguardo e guardò le siepi attorno
a lui. Non conosceva quel posto, non l’aveva mai visto in
vita sua.
« No, tranquilla. »
Rebecca sospirò e spostò lo sguardo oltre le sue
spalle. Sollevò velocemente la pistola e sparò un
colpo, facendo trasalire Tom che si voltò in tempo per
vedere la figura di Ian correre via.
Rebecca sfrecciò verso quella direzione quasi ruzzolando a
terra e Tom la seguì stringendo le dita attorno alla sua
arma.
Svoltarono a destra e un’apertura li portava in
un’altra zona del giardino, con alberi sparsi.
Ian saettava da un albero all’altro.
Tom e Rebecca lo seguirono col fiatone.
Dalla pistola di Ian partirono altri tre colpi. Uno si
fiondò su un albero, uno andò a vuoto e il terzo
sfiorò il corpo di Rebecca.
La ragazza ruzzolò in avanti e si aggrappò alla
schiena di Tom, il quale cadde all’indietro e finì
ai piedi di un albero. Il corpo di Rebecca era finito a peso morto sul
suo.
« Cazzo! » imprecarono all’unisono.
Rebecca lasciò andare la pistola e si fece forza con la
braccia, mentre il petto di Tom si alzava e abbassava velocemente sotto
il suo.
« Stai bene? » le domandò.
Lei annuì ma una smorfia di bruciore la tradì e
il suo abito si colorò di rosso su un fianco.
Tom abbassò lo sguardo e vide che la pallottola aveva
strisciato sull’abito e sulla carne di Rebecca, provocandole
un taglio sul fianco sinistra.
« Non è niente. » si affrettò
a dire lei poggiandoci sopra una mano. Tom gliela scostò,
ancora sdraiato a terra e fissò la strisciata di sangue che
diventata sempre più accesa.
Poi sollevò il viso su Rebecca e lei lo posò su
di lui.
Il rossetto aveva iniziato a sbiadirsi e il trucco era leggermente
sbavato, ma giurò di non aver mai visto nessun altra ragazza
in quelle condizioni attraente quanto lei.
Sembrava che le labbra di Rebecca fossero state fatte apposta per
essere baciate.
Tom si era quasi lasciato andare a quella scena che gli aveva
annebbiato la mente e aveva già proteso il suo viso verso
quello di Rebecca quando un rumore alla sua destra lo fece voltare e di
scatto prese la pistola.
« Hey hey hey! Sono io! »
Gustav sollevò le mani in aria e indietreggiò un
poco, spaventato.
Tom sospirò e buttò la testa
all’indietro, mentre Rebecca si poggiava sul suo petto con
entrambe le mani.
« Non farlo mai più. »
sillabò.
« Che è successo? » domandò
Gustav avvicinandosi.
Tom sollevò la testa.
« Ian. »
Cercò di mettersi a sedere ma Rebecca gemette.
« Oh Dio! » esclamò Gustav vedendo il
taglio della ragazza.
« Non è nulla, è solo un graffio.
» giustificò lei.
« Una pallottola l’ha presa di striscio.
» precisò Tom.
Rebecca lo guardò minacciosamente ma lui la
ignorò e le prese la vita con una mano, aiutandola e
aiutandosi ad alzarsi.
Gustav si rese utile portandosi un braccio di Rebecca sulle sue spalle.
« Bill? » domandò Tom mentre si chinava
a prendere la pistola della ragazza.
Gustav indicò il palazzo con la testa.
« Intervista. »
Tom non rispose e si caricò l’altro braccio di
Rebecca sulle spalle.
« Chiamalo, ce ne andiamo. »
« Ce la fai? » domandò Gustav
riferendosi a Rebecca.
Tom annuì e cercò di non farle del male mentre
Gustav correva verso l’ingresso.
Tom trascinò Rebecca con sé in silenzio, senza
dire una parola. Era ancora troppo immerso in quel vortice di
immaginazioni e di strane vibrazioni che si era trovato a provare e a
pensare poco prima.
« Grazie. »
La voce di Rebecca lo riportò alla realtà e
abbassò lo sguardo verso il suo viso, contorto in una
smorfia fra il dolore e lo sforzo.
Poi lo risollevò.
« Figurati. »
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Quando Bill aveva visto Rebecca in quelle condizioni aveva quasi
lanciato un urlo e si era precipitato fuori a prendere il primo taxi.
In quel momento, invece, stringeva fra le mani vecchi bozzetti in
bianco e nero e alla sua sinistra c’erano una serie di abiti
appena fatti che dovevano solo essere mostrati al mondo intero.
Aveva deciso di dare un altro sguardo a quei bozzetti che avevano
costituito la disastrosa sfilata di cui tutti i giornali avevano
parlato. L’aveva fatto più volte, per convincersi
che non era colpa sua e per trovare cosa potesse aver suscitato tutto
quello.
Trovò che in alcuni punti la linea della matita era
più forte ma non era quello, a lui non importava nulla.
Forse l’abito doveva essere più lungo o le
spalline un po’ basse. Ma a Bill piaceva così,
andava così fiero di quella collezione e soprattutto di
quell’abito color oro.
I suoi pensieri furono interrotti dal bussare alla porta.
Sollevò lo sguardo.
« Avanti. »
Tom fece capolino e Bill poggiò il disegno sulla scrivania.
« Che stai facendo? » gli domandò.
« Davo un’occhiata ad alcuni disegni. »
Bill si voltò e indicò alcuni fogli ammucchiati
sulla sua scrivania. « Come sta Rebecca? »
Tom fece spallucce e poi si dondolò da una parte
all’altra.
« Si è ripresa subito, Gustav è andata
a trovarla stamattina. »
Bill annuì con la testa senza dire nulla, e lo sguardo di
Tom si spostò alla sua destra, verso gli abiti ancora
coperti.
« E’ la nuova collezione? »
Bill sollevò lo sguardo e poi annuì. Si
avvicinò al telo nero e lo tirò via, mostrando al
gemello l’ammasso di seta dai colori freddi che aveva creato.
Tom fissò un po’ la collezione e Bill si
avvicinò e sfiorò gli abiti uno ad uno. Poi ne
prese uno argentato e lo tirò via da quel mucchio. Lo mise
in modo che Tom lo vedesse e lo fece roteare da una parte
all’altra.
Il retro era quasi completamente scoperto mentre il davanti si apriva
su una scollatura a V.
« Wow. » commentò Tom.
« Stavo pensando che sostituire Jolanda è una
scelta difficile. Voglio dire, lei era la miglior modella che potevamo
avere e non mi sento pronto per chiamarne una nuova dalla Russia o da
qualche altro posto. »
Tom sollevò lo sguardo verso il gemello, il quale si sedette
sulla scrivania, spostando col sedere una foto di sua madre.
« Perciò pensavo.. e se chiedessi a Rebecca di
indossarlo? »
Nella mente di Tom si fece strada l’immagine di Rebecca che
sfilava sulla passerella con addosso quell’abito, i capelli
lunghi sulle sue spalle e un sorriso fiero sul volto mentre i fotografi
si davano alla pazza gioia.
Poi cacciò quelle immagini e tornò a fissare
Bill, che attendeva una risposta.
« Rebecca? »
« Sì, Rebecca. Pensi che sia una cattiva idea?
»
Tom si affrettò a scuotere energicamente la testa.
« No per niente, anzi. » aggiunse. « Solo
che forse dovresti parlarne con lei. »
« Certo, certo. Volevo solo sapere il tuo parere. »
Bill si voltò e rimise l’abito al suo posto,
mentre gli occhi di Tom si posarono sui fogli e sui bozzetti poggiati
sulla scrivania.
« Ci stai ancora pensando, vero? »
« A cosa? » domandò Bill di rimando,
mentre sistemava gli abiti in ordine cromatico.
« A tutto questo. » rispose il gemello.
Bill si fermò e guardò un punto indistinto in
mezzo a quei vestiti.
« A Jolanda, alla tua carriera, alle sfilate, ai tuoi
modelli, a Rebecca, a tutta la faccenda. Ci pensi in continuazione, non
è così? »
« Perché non dovrei? Voglio dire: è di
me che si tratta. Sono io il problema dopotutto. »
Bill sollevò le braccia in aria e poi le fece ricadere di
nuovo sui suoi fianchi, tornando dietro la scrivania. Prese velocemente
i disegni e li raccattò tutti insieme in un unico fascio.
« Non è colpa tua. Hai fatto tutto seguendo un tuo
sogno. »
« Avrei dovuto capire che prima o poi sarebbe arrivato
qualcuno a mettermi i bastoni fra le ruote. »
« Non è la prima volta, no? Hai sempre avuto
concorrenza. »
Bill sollevò lo sguardo e i suoi occhi colmi di forte trucco
nero trafissero quelli del gemello, come se avesse appena bestemmiato.
« Qui non si tratta solo di concorrenza, Tom! Qui si parla di
mettere in pericolo delle vite per salvare il mio culo! »
Tom si avvicinò al tavolo e ci poggiò sopra le
mani.
« Noi siamo qui per te, Bill. Siamo qui per darti una mano. E
sai bene che puoi contare non solo sul mio aiuto ma su quello di tutta
la squadra. »
Bill abbassò lo sguardo e riprese a trafficare con i suoi
fogli, quando la mano di Tom si posò sulla sua, bloccandolo
senza il minimo sforzo.
Il ragazzo fu costretto a risollevare lo sguardo, e Tom
abbozzò un sorriso.
Per quanto potesse averci provato, Bill era stato così
entusiasta solo proponendoglielo, che Rebecca non aveva avuto altra
scelta se non quella di accettare.
E nonostante conoscesse bene come funzionava una sfilata, il fatto di
dover indossare uno degli abiti più importanti le metteva
una certa ansia.
Sul suo fianco era rimasta una sottile cicatrice ma Rebecca si era
ripresa in fretta e camminare su quei tacchi pari a trampoli non
sembrava poi così impossibile.
« 5 minuti. »
Alle sue spalle alcune modelle fluttuarono via immerse nelle loro vesti
mentre sul suo viso una truccatrice russa si dava da fare con cipria,
ombretti e rossetto.
« La modella è pronta? »
La voce di Gustav la fece sobbalzare e aprì un occhio per
guardarlo in faccia.
Aveva sempre i suoi soliti occhiali rettangolari ma indossava uno
smoking e si era messo gelatina sui capelli biondo cenere. Sul suo viso
trapelava un mezzo sorriso.
« Insomma. »
« Oh suvvia, là fuori aspettano tutti te!
»
« Grazie Gustav, tu sei sempre molto tranquillizzante.
»
La truccatrice si allontanò con una salvietta in mano e
mormorò un “Finito” assonnato mentre si
allontanava.
Rebecca si alzò dalla poltroncina e con quei tacchi superava
Gustav, che la guardò dal basso verso l’alto.
« Dov’è Bill? »
Gustav indicò con la testa l’uscita.
« Dietro le tende, come sempre. Credo che l’ansia
lo stia divorando. »
« Non lo biasimo. »
Rebecca uscì dai camerini e seguì le altre
ragazze nel retro del palco della sfilata. Intravide Bill
nell’angolo opposto al suo.
« Io sono di troppo, perciò vado a sedermi. In
bocca al lupo! »
La ragazza si limitò ad un sorriso tirato e sentì
lo stomaco sciogliersi lentamente per via dell’ansia. Gustav
sparì in qualche misero istante.
Un ultimo ritocco alla cravatta mentre camminava a passo sicuro nella
sala quasi gremita di gente.
Fece un cenno agli omoni scuri poggiati ai muri che gli risposero con
un’alzata della testa e poi si piazzò in un
angolo, come al solito.
Contò i presenti e perse il conto un paio di volte. Infondo
era un bene che la sfilata di Bill potesse avere tutta
quell’attenzione.
Si staccò dal muro solo quando riconobbe una testa bionda.
Un paio di occhiali da sole gli coprivano gli occhi ma Tom riconobbe lo
stesso chi era dalla forma aquilina del suo naso e dal suo mento
pronunciato.
Ian.
Il suo corpo prese a tremare e iniziarono a sudargli le mani, mentre le
chiudeva a pugno. Come diamine aveva fatto ad entrare?!
Il biondo spostò lo sguardo verso la sua sinistra e si
chinò leggermente mentre un’altra persona gli
sussurrava all’orecchio. Tom riconobbe pure quella.
Bill aveva già denunciato quello stilista per avergli rubato
dei bozzetti e la sua carriera era andata in fallimento. Ma
evidentemente, non gli era bastato.
« Georg. » pronunciò a denti stretti.
I capelli lunghi, lisci e castani che gli ricadevano sulle spalle
coperte da un giubbotto in pelle, la fronte larga, le labbra sottili e
il naso a punta. Quante volte si era trovato faccia a faccia con lui,
in quel tribunale? Quante volte aveva detto a Bill di lasciar perdere
perché poteva essere pericoloso?
« Hey Tom! »
Trasalì e si preparò a sganciare un pugno mente
Gustav fece un balzo indietro, in difesa.
« Ah sei tu. »
« Abbiamo le difese alzate, eh. »
Tom lo prese per un braccio e lo tirò verso sé,
poi gli voltò il viso verso il posto di Ian.
« Vedi quello che vedo io? »
« Oh cazzo! »
« Hai detto bene. Sai chi c’è seduto
affianco a lui? »
Gustav sbatté un po’ le ciglia.
« Eva Longoria? »
Tom sollevò lo sguardo e vide l’attrice dai
capelli scuri chiacchierare animatamente con Ian e Georg.
« Alla sua sinistra, idiota! »
Gustav aguzzò la vista fra quelle teste agghindate.
« Un tipo a forma rettangolare? »
Tom sospirò e lasciò il viso di Gustav.
« Si chiama Georg, tempo fa lui e Bill hanno avuto uno
scontro in tribunale perché lui ha rubato alcuni nostri
bozzetti. »
« Sul serio?! »
Tom annuì.
Gustav si grattò un po’ la fronte mentre
continuava a fissare i due, poi si frugò nella tasca interna
della giacca e tolse fuori un fiore finto che mise
all’occhiello. Si frugò in un’altra
tasca dei pantaloni e tolse fuori un auricolare, che
manipolò per qualche secondo e che poi porse a Tom con un
mezzo sorriso. Lui lo guardò interrogativo.
« Avanti, prendi. Vado in missione! »
Glielo mollò sul palmo della mano e si diresse a passo
sicuro verso un posto libero là vicino, sistemandosi uno ad
uno i bottoni della giacca.
Tom si mise l’auricolare nell’orecchio destro ma
tutto ciò che inizialmente udì fu Gustav che
chiedeva permesso. Si poggiò con la schiena contro il muro,
e attese.
Gustav trovò un posto libero dietro Eva Longoria e si
sedette senza pensarci su. Si sistemò il fiore e
cercò di assumere un’aria da intenditore.
Le porte vennero chiuse silenziosamente e le luci si abbassarono,
mentre fra gli ospiti calava il silenzio.
Tom attese.
Le prime modelle fecero il loro ingresso in abiti azzurri e neri e la
testa di Georg seguiva il loro passaggio con interesse.
Gustav si sporse un po’ in avanti, quasi ficcando la testa
fra quella di Georg e Ian.
Il primo fece uno scatto con il collo e Gustav balzò sul
posto, facendo voltare il vecchio alla sua destra che lo
guardò quasi indignato.
Tom sentì un leggero frastuono e si domandò che
diavolo stesse facendo quel ragazzo.
Gustav tornò nuovamente in avanti con tutto il busto,
inclinandosi leggermente verso sinistra per stare più vicino
alle loro teste, facendo finta di essere interessato alla modella in
abito bianco che sfilava in quel momento.
« Hai fatto come ti ho detto? » domandò
Georg.
Tom si premette l’auricolare contro l’orecchio con
tutta la mano.
Ian annuì ma Tom non lo vide.
« Certo, l’abito cool della serata come mi avevi
detto tu. »
« E sei proprio sicuro che non ti abbia visto nessuno?
»
« Al 100%. Ho disattivato tutte le telecamere e
l’ho manomesso. »
Sul viso di Georg comparve un ghigno diabolico.
« Perfetto. Voglio proprio vedere cosa scriveranno i
giornalisti quando l’abito bomba di questa serata
salterà in aria e con esso anche la modella. »
Tom spalancò gli occhi e si staccò immediatamente
dal muro. Dal suo posto, Gustav lo intravide sfrecciare via e passare
oltre la security e dietro il palco.
Bill era al suo solito posto che controllava la sfilata, con le mani
unite davanti al viso e gli occhi che brillavano di emozione.
« Bill! » lo chiamò Tom, ma lui lo
zittì con una mano.
« Bill per favore, ascoltami. Qual è
l’abito migliore che tu hai creato per questa sfilata? Quello
più bello, quello che farà impazzire i fotografi?
»
Bill continuò ad osservare le cose.
« Cosa? » si voltò.
Tom sospirò e cercò di sembrare calmo.
« Qual è l’abito icona di questa
sfilata? »
« Quello argentato, perché? »
« Chi lo indossa? »
Bill guardò Tom stranito.
« Tom, ma… »
« Chi lo indossa, Bill? »
Il gemello lo guardò e capì che c’era
qualcosa che non andava.
« Rebecca. »
Tom guardò le modelle in fila dietro di lui.
« Ne sei sicuro? »
Bill annuì con la testa e diede uno sguardo alla passerella.
« Vedrai, sarà una bomba! »
Tom sentì un vulcano esplodere nel suo petto e la paura lo
abbracciò in pieno.
Si ritrasse e corse dall’altra parte, nell’altra
fila di modelle.
« Rebecca! Dov’è Rebecca? Amy, hai visto
Rebecca? »
Tom fermò una modella bionda prendendola per le braccia e
lei lo guardò perplessa.
« E’ dietro, l’ultima. Perché?
»
Tom non rispose e corse in fondo alla fila, dove Rebecca si
stava lisciando l’abito.
Sollevò lo sguardo e vide Tom arrivare verso di lei spedito.
« Tom, cosa ci fai qui? »
Il ragazzo la prese per un braccio e la tirò via.
« Vieni con me. »
« Cosa?! Hey! »
Rebecca si dimenò ma Tom si voltò a guardarla.
Nei suoi occhi, Rebecca riuscì a vedere per la prima volta
una paura smisurata.
« Devi seguirmi! »
« Ma la sfilata… »
« Per favore! »
Tom rimase a fissarla quasi implorandola di seguirlo e dopo un iniziale
smarrimento, Rebecca decise di fidarsi.
Tom le strinse la mano così forte che lei quasi poteva
sentire le sue vene pulsare e il battito del suo cuore non era
assolutamente tranquillo.
Il ragazzo la tirò fuori da là e finirono nei
corridoi dei camerini. Aprì la prima porta e la fece
entrare, poi se la richiuse alle spalle.
« Allora? »
« Spogliati. »
La ragazza strabuzzò gli occhi.
« COSA?! »
« Non è come pensi! »
« Mi hai tirata via dalla sfilata, stai rischiando di mandare
a monte i sogni di tuo fratello perché vuoi che mi spogli
davanti a te?! »
« No, ascoltami! »
« Sei veramente uno schifoso opportunista! »
Rebecca pestò i piedi per terra e si allontanò
superandolo, ma Tom le prese di nuovo il braccio e la fece voltare,
facendo involontariamente avvicinare i loro visi fino a sfiorarsi.
« Non è come pensi. »
balbettò, cercando di distogliere lo sguardo dalle sue
labbra infuocate. « Là fuori
c’è Ian e.. ha fatto qualcosa al vestito, non so
precisamente cosa ma credo che ci abbia messo dentro una bomba e se non
te lo togli.. beh, ci arrivi da sola, no? »
« Ian è qui?! »
Tom annuì.
« E ho una bomba addosso?! »
Il ragazzo annuì di nuovo.
Rebecca trattenne il fiato, sentendosi un pericolo e contemporaneamente
in pericolo.
« E tu sai dov’è questa bomba?
»
Tom scosse la testa.
« Dovrei controllare. »
Rebecca abbassò lo sguardo e annuì con la testa.
« Va bene, fallo. »
Sollevò le braccia in aria e Tom posò le mani
appena sotto di esse, facendole poi scendere lentamente sui fianchi e
verso le gambe. Si tirò di nuovo su e Rebecca si
voltò, mentre le mani di Tom si posavano sulla sua schiena e
sul fondoschiena, fino ad arrivare alle gambe.
« Allora? »
Tom scosse la testa.
« Rifallo. »
Rebecca sollevò di nuovo le braccia.
Tom prese fiato e ripeté l’azione con
più lentezza.
Poi scosse di nuovo la testa.
« Prova in pancia. »
Tom posò le mani sulla pancia della ragazza e poi le fece
scendere un po’ più giù, senza
esagerare.
« Nulla, non so che dire. »
« Ancora. »
« Rebecca, forse non è questo l’abito
che.. »
« Ancora! »
La ragazza sollevò lo sguardo e Tom le vide tremare gli
occhi.
Poi lei lo abbassò di nuovo e con esso abbassò le
braccia.
« Mi.. mi dispiace, io… »
Tom si zittì non appena vide che Rebecca si stava spogliando.
« Hey no, non ce n’è bisogno, ho
già.. »
« Taci. »
Si sfilò una spallina, poi l’altra, fino a
lasciarsi scivolare di dosso l’abito.
Tom indugiò sulle sue curve che rasentavano la perfezione.
Il suo seno era racchiuso in un reggiseno color carne e gli slip le
percorrevano le curve dei fianchi, scoprendo poi due esili ma formate
gambe.
Rebecca gli porse l’abito, arrossendo.
Tom allungò una mano per prenderlo, ma prima di farlo si
tolse la giacca e gliela porse cercando di fare un sorriso.
Rebecca la prese e la indossò.
Le mani di Tom strinsero l’indumento argentato e mentre
Rebecca si abbottonava quella giacca nera che era quasi tre volte la
sua taglia, osservò con attenzione la parte interna
dell’abito e lo portò verso la luce.
Fece scivolare un pollice nei bordi, fino a sentire un qualcosa di
ovale oltre la stoffa.
Osservò alla luce della stanza il piccolo e quasi invisibile
rigonfiamento e poi prese un paio di forbicine messe sopra uno dei
tavoli del camerino. Alle sue spalle, Rebecca lo fissava ansiosa,
mentre si stringeva in quella giacca che profumava di Tom.
Il ragazzo aprì una fessura e con la punta delle forbicine
prese un oggetto blu scuro, grande quanto un’unghia. Ancora
una volta, si stupì di quanto lontano potesse arrivare la
mente di quel fannullone.
Si voltò e, racchiuso fra le due dita, mostrò
l’oggetto a Rebecca, che trattenne leggermente il fiato e
mutò la sua espressione in profondo ribrezzo.
Tom aprì la finestra alle sue spalle e lasciò
entrare un po’ di vento, prima di lanciare fuori
l’oggetto, con tutta la forza che aveva.
« Ma che fai?! »
« Non me ne frega niente. » disse richiudendo la
finestra. « Hanno già rovinato abbastanza.
»
Le porse il vestito.
« Tieni, questo è tuo. Là fuori ti
aspettano. »
Cercò di mostrare un sorriso, ma tutto quello che ottenne fu
un sincero abbracciò da parte di Rebecca.
« Grazie, ancora. »
Bill guardò oltre le due modelle che mancavano e
l’ansia si aggrappò al suo collo come un polpo.
Dove diamine era Rebecca?! E per quale fottuto motivo Tom
l’aveva portata via con sé?
Sbuffò per la millesima volta e diede uno sguardo fugace
alla passerella.
Un battito di ciglia e Rebecca era al suo posto, alla fine della fila
con un grosso sorriso stampato sul viso.
Una grossa mano si posò sulla spalla di Bill che quasi
trasalì e quando si voltò vide un Tom sorridente
e lucido in viso.
« Si può sapere dove cazzo eri?! »
« A controllare che tutto fosse al suo posto. »
« Tu e Rebecca siete spariti, mi avete fatto preoccupare!
»
« Cosa vuoi che sia?! » domandò Tom in
una risata. « Toh, guarda! »
Bill si voltò e Rebecca salì sulla passerella,
sfoggiando un leggero sorriso ai fotografi che triplicarono i loro
scatti.
Gustav si mosse nella sedia, temendo il peggio. Davanti a lui Georg si
voltò verso Ian con un sorriso sulle labbra serrate, e gli
occhi di Ian brillarono nella penombra.
Rebecca arrivò a fine passerella e sopraggiunse Bill che le
cinse la vita e ringraziò tutti i presenti.
La ragazza si voltò e tornò sui suoi passi.
Gustav vide Tom fare capolino e aiutarla a scendere i pochi gradini che
portavano alla passerella e trattenne una risata di vittoria.
Sotto i suoi occhi, Georg si voltò verso Ian con gli occhi
che lanciavano saette, ma il suo amico biondo aveva lo sguardo perso
nel vuoto, non capendo.
Gustav si alzò dal suo posto e, senza penarci troppo su,
strinse la mano al vecchio che era seduto di fronte a lui.
« Ottimi abiti, non trova? »
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Bill non aveva creduto alle sue orecchie quando Tom e Gustav gli
avevano raccontato cos’era successo.
Aveva sbraitato il nome di Georg in 30 modi diversi e ogni volta
realizzava sempre più l’accaduto.
« Ho messo in pericolo la vita di Rebecca. » disse
poi lasciandosi cadere sulla sua poltrona.
Tom sbuffò.
« Non dire idiozie, tu non lo sapevi. »
« E comunque si è aggiustato tutto. »
aggiunse Gustav, ripulendosi le lenti degli occhiali.
« Esatto. »
Bill scosse la testa e la voltò alla sua destra, posandosi
poi una mano sulle labbra.
« Avrei dovuto immaginare che sarebbe tornato. Lui e quella
sua presunzione del cavolo. »
Tom ispirò profondamente, ricordandosi quanto Bill avesse
patito qualche anno prima.
« Adesso però sappiamo che è lui,
quindi possiamo fermarlo. »
« E come?! » sbuffò Bill, per
metà innervosito e per metà agitato.
Gustav lo guardò aggrottando leggermente la fronte.
« Lo incastriamo. » rispose in tono ovvio.
Bill lo guardò con la coda dell’occhio e poi si
alzò, avvicinandosi alla finestra.
« Avete già in mente qualcosa? »
Gustav e Tom si guardarono un po’, e il primo si
affrettò a rimettersi gli occhiali sul naso, come se quello
sarebbe servito per fargli avere una risposta.
« Veramente se ne sta occupando Rebecca. » disse
Tom.
Bill fece un verso fra uno sbuffo ed una risata e si portò
le mani dietro la schiena, unendole.
« Non dovreste aiutarla? Mi sembra che abbia già
rischiato abbastanza, non trovate? »
Gustav si voltò di nuovo verso Tom e fece per alzarsi quando
qualcuno bussò alla porta.
« Avanti. » disse Bill, girandosi verso essa.
Rebecca fece capolino con un mezzo sorriso.
« Posso? »
« Certo. » la invitò Bill. «
Stavamo giusto parlando di lavoro. »
La ragazza si voltò verso la stanza e vide Tom e Gustav.
« Oh ciao. Non vi avevo visti. »
Gustav sorrise e Tom si limitò ad un cenno della mano.
« Non so se ti può interessare, ma ho fatto delle
ricerche su questo Georg e ho scoperto che ha una nuova casa di moda
chiamata Temptation. »
« Di nuovo?! » esclamò Bill.
Rebecca annuì con la testa.
« Ma non solo. »
Gli mostrò i fogli che aveva in mano, e Bill lesse solo
qualche scritta qua e là.
« Ha programmato una sfilata in Italia per dopodomani. A
Milano. »
Il viso di Bill sbiancò e Gustav se lo immaginava
già ricoverato in ospedale, così si
alzò.
« Andiamo a fargli una visitina, no? »
Bill lo guardò e aggrottò la fronte. Poi
spostò lo sguardo su Tom, che non aveva detto nulla.
« Cosa ne pensi? »
Tom fece spallucce.
« Che mi fa schifo, ma questo lo sai. E che sono
d’accordo con Gustav. »
Bill sospirò e strinse il foglio che gli aveva dato Rebecca
fra le mani.
« Penso di avere già in mente qualcosa.
» mormorò Gustav fra sé e sé.
« E va bene, va bene. » accettò Bill.
« Mi avete convinto. »
Piegò il foglio in quattro parti e poi se lo mise in tasca.
« Vado ad avvertire il capitano, partite domani mattina.
» fece per uscire quando poi si bloccò sulla
soglia. « Non voglio colpi di scena, sparatorie o
chissà cosa, intesi? Ne ho abbastanza dei casini. »
Nessuno obiettò e Gustav si alzò.
« Devo assolutamente andare a sistemare un paio di
auricolari, credo di avere in mente un piano… »
« Sì sì Gustav. » lo
interruppe Tom massaggiandosi le tempie. « Vai. »
Il ragazzo saltellò fuori dall’ufficio di Bill
lasciando che la porta gli si chiudesse alle spalle e Tom lo
sentì fischiare nel corridoio.
Sospirò e poggiò la schiena sulla poltrona nera.
Rebecca gli si avvicinò.
« Qualcosa non va? »
Lui trattenne il fiato, pensando a riordinare le idee.
« E’ tutta la faccenda che mi mette ansia. Insomma,
vedere coinvolto Bill è più…
più… »
« …preoccupante? »
Tom sollevò lo sguardo posandolo su quello di Rebecca e
annuì.
« Sì. »
La ragazza si sedette al posto di Gustav.
« E’ che… Bill e io siamo cresciuti
sempre insieme e io sono sempre stato quello che lo proteggeva, fin da
bambini. E non mi è mai piaciuto vederlo stare male, che
fosse pure per il motivo più stupido del mondo. Ho sempre
voluto che Bill fosse felice. »
« E questo è bello, significa che gli vuoi davvero
bene. »
Tom non rispose, e vide la mano di Rebecca poggiarsi sulle sue, chiuse
in un pugno unico.
Sollevò il viso e Rebecca sorrideva leggermente.
« Sono sicura che Bill sa che ce la stai mettendo tutta, e sa
anche che farai un ottimo lavoro. » lo rassicurò.
Tom provò a dire un “grazie”, ma non ci
riuscì. Per evitare di fare una figuraccia, strinse la mano
di Rebecca con una sua, e poi tornò a guardarla in viso.
Averla vista ferita, aver tentato di salvarla rimuovendo la bomba dal
suo vestito, averci litigato ed esserne attratto, gli creavano uno
scompiglio immenso. E lei non era di certo d’aiuto.
Con quelle sue labbra rosee, quegli occhi che lo guardavano con
chissà quale mondo dentro, quelle mani calde che stringevano
le sue e quel corpo che sembrava dipinto da un dio.
Perfino il suono del suo nome gli risuonava bello, mentre prima avrebbe
voluto incenerirla. Non che quella sensazione gli fosse completamente
passata, ma era come se fosse stata sostituita da qualcosa di
più forte.
Non disse niente, e lo stesso fece lei, ma Tom si allungò
oltre la sua poltrona e verso il suo viso. Toccò le labbra
di Rebecca con le sue, e fece lentamente più pressione,
sentendo poi una risposta da parte sua.
Le inumidì le labbra con la lingua, desiderando di
approfondire quel bacio quando la serratura della porta
scattò ed entrambi trasalirono, scattando in piedi.
Gudrun, la segretaria di Bill, fece capolino con i suoi piccoli e
acquosi occhi verdi, e poi si scusò.
« Cercavo Bill! »
« E’ andato a preparare il jet per domani.
» spiegò Tom, colorandosi in viso.
La donna annuì con la testa e si scusò di nuovo,
prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Rebecca, che aveva trattenuto il respiro per lo spavento,
espirò profondamente.
Tom le dava le spalle, e si voltò sentendo le labbra
improvvisamente secche.
« Io… » balbettò.
« Perché l’hai fatto? »
Tom fissò l’arredamento alle spalle della ragazza
che non lo guardava.
« Io.. non lo so. »
« Sembrava un’azione premeditata. »
Rebecca sollevò lo sguardo verso quello di Tom che,
tuttavia, non riuscì a trattenerlo. Si limitò a
sollevare le braccia in aria.
« Non lo so, davvero. Io.. fino a un po’ di tempo
fa non ti sopportavo e adesso… »
« Lo rifaresti? »
Tom si sentì con le spalle al muro. Avrebbe potuto voltarsi
e fuggire, iniziando a correre via da quella stanza. Stava sperando che
Bill tornasse in fretta, ma in cuor suo sapeva che suo fratello avrebbe
impiegato ancora un po’ di tempo prima di tornare in
quell’ufficio.
Abbassò di nuovo lo sguardo sentendosi privo di corde vocali
e vide le gambe di Rebecca muoversi verso sé, e poi una sua
mano gli sollevò il viso.
« Lo rifaresti? »
Quelle labbra si muovevano in modo ipnotico, lo mandavano totalmente in
tilt.
Non rispose, perché ancora le sue corde vocali sembrava non
esistessero. Perciò avvicinò velocemente il viso
a quello di Rebecca, una seconda volta. Se lei voleva una risposta, lui
voleva dargliela.
E sì, l’avrebbe rifatto e lo stava rifacendo.
Incatenò le labbra di Rebecca fra le sue, quella volta
sapendo già a che cosa andava incontro. Si lasciò
trasportare dalla foga e giocò con la lingua, sentendo la
tensione che fino a poco prima aveva addosso sciogliersi come neve.
Sollevò le mani sul viso della ragazza la quale si
ritrovò spinta verso la scrivania di Bill che
traballò non appena lei ci sbatté. Ma Tom non si
staccava, non si allontanava e non separava la bocca da quella di
Rebecca se non per qualche millesimo di secondo necessario ad entrambi
per assicurarsi di avere ancora le proprie labbra.
Finché poi Tom si fermò, allontanando lentamente
il suo viso e le sue mani dal volto di Rebecca.
Lei manteneva lo sguardo basso e le sue labbra erano d’un
rosso fiammante che nemmeno il più bel rossetto avrebbe
saputo riprodurre perfettamente.
Tom inspirò il suo profumo, e poi aprì la bocca,
sentendo ancora il suo sapore fra le sue papille gustative.
« Questo
era premeditato. »
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Tom non aveva detto niente a Bill di quello che era successo nel suo
ufficio. Né si era preoccupato di dare alte spiegazioni a
Rebecca e non ne sentiva alcun bisogno. Per quello che gli importava,
lui stava lasciando che le cose lo travolgessero. E non gli era mai
successo, aveva sempre tenuto sotto controllo tutta la sua vita, nei
minimi dettagli. E Rebecca l’aveva sconvolto.
Gustav dormiva nell’aereo diretto verso l’Italia,
aveva gli occhiali storti sul naso e la bocca chiusa, ma faceva un
rumore strano, quasi come se non riuscisse a russare.
Tom voltò lo sguardo fuori dal finestrino, mentre la Luna
illuminava il mondo sotto di lui.
Era come stare in procinto di una tempesta, quando il vento inizia a
scombussolarti l’esistenza e tocca a te decidere cosa salvare.
Si mosse sul suo sedile e incrociò le braccia sul petto,
continuando a guardare fuori dall’oblò.
Era inutile nasconderlo, Tom aveva continuamente pensato a quel bacio.
Quel gesto gli pesava nella mente, faceva sentire il suo cervello
più presente e pesante del solito. E il fatto che stesse
volando verso l’Italia, verso una buona parte dei suoi
problemi, lo rendeva ancora più nervoso.
Insomma, se Georg fosse rimasto in disparte e per i fatti suoi, lui non
avrebbe dovuto collaborare con Rebecca. Non si sarebbe mai trovato a
fronteggiare dei pericoli con lei, a battersi col suo cervello e
tantomeno ad esserne attratto. Ma la cosa ancora più
fondamentale restava il fatto che senza Georg, nulla di tutto quello
sarebbe successo e lui e lei sarebbero rimasti eterni nemici.
Invece no.
Cos’erano, in effetti? Due amanti? No, per quanto lo
riguardava, Tom si definiva solo un cretino.
Bill dormiva in chissà quale parte del jet e di Rebecca
nemmeno l’ombra. L’aveva vista passeggiare con un
libro in mano ma non si erano scambiati una parola.
Molto probabilmente il ghiaccio sarebbe stato meno freddo di loro.
Tom sospirò per forse la ventesima volta in un minuto e
Gustav ebbe un sussulto, voltando poi tutto il corpo in modo alquanto
goffo.
Quando l’aereo atterrò, Bill era in perfetta forma
e i suoi nervi perfettamente tesi. Tom non aveva chiuso occhio e Gustav
si era svegliato solo durante l’atterraggio. Rebecca non si
era ancora fatta vedere.
Gli sportelli degli aerei vennero aperti e Bill scese per primo. Tom si
fermò sulla soglia mentre Gustav gli pungeva la valigia
sullo stinco destro.
« Beh, non scendi? »
Tom non gli rispose e lo fece passare avanti, tornando dentro
l’aereo.
Sentì una porta sbattere e poi vide Rebecca tirare via il
suo trolley blu elettrico. Si fermò di botto e
girò i tacchi prima di essere visto, tornando poi davanti
alle scalette. Bill era già in mezzo alla pista, e Gustav
quasi alla fine delle scalette.
Tom scese i gradini badando a non ruzzolare per terra e poco
più indietro sentì le scarpe di Rebecca battere
sulla scala in ferro.
Quando entrò nell’aeroporto, Bill e Gustav stavano
parlando davanti al rullo delle valigie, che partì qualche
minuto dopo.
I bodyguard li scortarono in limousine e fino all’albergo.
Non una parola. Non un saluto. Non uno sguardo.
Fra lui e Rebecca sembrava essersi creato un muro chilometrico.
Né Bill né Gustav badarono a loro due, il primo
troppo preso dalle sue preoccupazioni e il secondo troppo intento ad
ammirare Milano dai finestrini dell’auto.
Tom pregò con tutta la poca fede che gli era rimasta, di
finire quella missione il prima possibile e di tornare in fretta alla
vita che stava conducendo prima.
Rebecca stava piegando una camicia bianca quando il telefono
squillò.
« Pronto? » rispose con la cornetta stretta nella
mano destra.
« Rebecca? Sono Bill. »
« Oh sì, ciao Bill. Dimmi tutto. »
Bill iniziò a farfugliare qualcosa riguardo a qualche abito
e Rebecca capì soltanto che doveva andare in camera sua.
« Adesso? »
« Appena puoi. »
« Finisco di sistemare la valigia e sono da te, ok?
»
« Perfetto! » Bill riattaccò subito dopo.
Rebecca mise giù la cornetta e poi si voltò a
prendere un’altra maglietta.
I suoi pensieri vorticavano continuamente in un’unica parte,
attorno ad un unico pensiero.
Non riusciva a toglierselo dalla mente, nemmeno con tutta sé
stessa.
Tom.
Cosa aveva fatto quel ragazzo per abbindolarla così?
E cosa aveva fatto lei per lasciarsi trasportare da tutta quella marea
di casini?
Appese un paio di jeans e poi chiuse l’armadio. Chiuse la zip
della valigia e la mise in un angolo, accanto ad un paio di scarpe
scure.
Rebecca aveva sempre tenuto la guardia alta, donando la sua fiducia
solo ai suoi amici più stretti.
Ma ora?
Volgendo un attimo lo sguardo oltre la finestra vide Milano illuminata
dalle luci artificiali, il Sole ormai era già calato da
tempo.
Riempì i polmoni d’aria e poi si decise a
raggiungere Bill, chiudendosi la porta della camera alle spalle.
Nel corridoio c’era un silenzio che metteva ansia e
l’unico rumore erano i passi di Rebecca che venivano attutiti
dalla moquette rossa.
Superò tutto il corridoio e poi svoltò a destra,
fino a fermarsi davanti alla camera numero 540.
Bussò due volte e poi Bill aprì con un grosso
sorriso stampato in viso.
« Vieni, coraggio! »
Le prese una mano e la portò dentro la sua camera, lasciando
che la porta si chiudesse da sola. La camera di Bill era una suite che
si estendeva su due piani. Al piano superiore c’era una
specie di piccolo studio, con un PC acceso e impostato sulla home page
del suo sito. Al piano di sotto, invece, c’era la camera con
un plasma, un bagno con vasca, un enorme sala con un divano, due
poltrone, TV e diversi mobili che Bill aveva già provveduto
a riempire e poi un’altra stanza chiusa da due porte
scorrevoli. Bill si diresse proprio verso quella, ancora tenendo
Rebecca per una mano. La lasciò solo per aprire la stanza e
gli occhi della ragazza divennero grandi come due palle di Natale.
Era un armadio. Nient’altro che un enorme armadio che,
inutile dirlo, traboccava di abiti firmati BK.
Bill si diresse spedito verso un angolo e tirò fuori un
lungo abito nero, smanicato e con la scollatura a V.
Lo porse a Rebecca con un sorriso raggiante.
« Ho pensato che non avessi abiti per la sfilata di domani e
visto che sarete spie in borghese, mi sono preoccupato di fartene uno
io in persona. Anche perché mi stai aiutando parecchio.
»
Rebecca guardò prima l’abito poi Bill, aggrottando
la fronte con leggero stupore.
« Bill, ma… è il mio lavoro, tu mi
paghi per questo e non è giusto che… »
Il ragazzo la bloccò sollevando una mano in aria.
« Sapevo che avresti detto questo, ma è
più forte di me. Avanti, cosa aspetti ad indossarlo?
»
Tom lanciò i boxer in un angolo e aprì il getto
dell’acqua che si riscaldò in qualche istante.
Entrò nella doccia, chiuse le ante e tirò la
testa indietro, sotto il getto che gli colpì la faccia e le
treccine.
L’acqua scese poi lungo il suo collo e sul suo petto, fino ad
arrivare al bacino e raggiungergli le gambe.
Tirò tutto il corpo per bagnarsi meglio e nel mentre chiuse
gli occhi, immaginando di essere a casa sua, nella sua vita normale.
Ma la verità era che non c’era quasi
più niente di normale in tutto quello. Perfino lui si
definiva ridicolo, semplicemente per il fatto che era rimasto tutto il
tempo a pensare a Rebecca.
Al suo profumo, a quando lei gli avesse stretto la mano, al suo corpo
seminudo nel camerino, alle sue labbra e a quanto avrebbe dannatamente
voluto baciarla un’altra volta.
Prese la spugna e il sapone, e iniziò a lavarsi il corpo.
Il vapore dell’acqua iniziò ad appiccicarsi alle
pareti della doccia mentre l’acqua manteneva la sua
temperatura.
Tom si sciacquò e poi si lavò i capelli, badando
di non disfarsi le treccine e quindi massaggiandosi la testa lentamente.
Con gli occhi ancora chiusi la sua mente vagò nel passato,
verso quello che era successo negli ultimi tempi.
Rivide il viso di Georg e per qualche istante sentì di nuovo
il cuore balzargli in petto quando udì che Rebecca aveva
addosso una bomba.
Rivide la gioia di Bill alla fine di quella sfilata ma questa venne
sostituita dall’incidente di Jolanda.
Poi rivide la sparatoria nel giardino con Ian e fu come se la
pallottola che aveva preso Rebecca in realtà avesse preso
lui, portandolo a toccarsi un fianco.
Si sciacquò la testa e il viso, chiudendo poi la doccia.
Lasciò che i primi brividi comparissero sul suo corpo e poi
si decise ad uscire, legandosi un asciugamano attorno alla vita.
Si passò un'altra salvietta in testa, asciugandosi i capelli
in superficie, ma si fermò non appena sentì
qualcuno bussare alla porta.
Rimase un po’ interdetto vista l’ora tarda e visto
che non aveva richiesto nessun servizio in camera. Decise di non
badarci e riprese a passarsi l’asciugamano sul viso, quando
sentì bussare di nuovo.
A quel punto lasciò l’asciugamano in bagno e si
diresse ad aprire.
Rebecca camminava agitata nel corridoio, con quel grosso abito fra le
mani.
Per un attimo si chiese se Bill l’aveva presa per fattorino,
ma la sua rabbia svanì nel nulla appena vide la stanza che
cercava. Si guardò un po’ intorno e, prendendo
fiato, bussò.
Restò impalata davanti alla porta, con quell’abito
nero incelophanato tra le braccia e attese, battendo nervosamente un
piede a terra.
Nessuno venne ad aprire. Pensò di aver sbagliato stanza o
che addirittura non ci fosse nessuno dentro, ma bussò di
nuovo.
Passarono 3 secondi esatti, e Rebecca dovette trattenere il fiato.
Tom la guardò sorpreso e poi spostò lo sguardo su
quello che reggeva fra le mani.
Rebecca, attraverso la fessura della porta che Tom teneva con una mano,
lo vide seminudo. Il suo petto bronzeo era ancora leggermente bagnato
ma lui non sembrava farci caso. Non c’era un brivido di
freddo nella sua pelle.
Rebecca scosse leggermente la testa, tornando in sé, e gli
porse l’abito senza guardarlo in faccia.
« Che cos’è? » chiese lui.
« E’ un abito. Per domani. L’ha fatto
Bill. Mi ha detto di portartelo. »
« Ti senti bene? »
Lei sollevò lo sguardo.
« Hai spezzato una frase per quattro volte, non è
normale. »
Non sapeva se era ironico o meno, così decise di abbassare
di nuovo il viso e gli porse ulteriormente il vestito.
Tom non lo prese e restò a fissarla, facendola sentire in
imbarazzo.
« Entra, dai. »
Allargò l’apertura per farla passare e Rebecca ci
mise un po’ prima di decidersi.
La camera di Tom era diversa da quella di Bill. Anche questa aveva
camera da letto divisa dal resto della stanza, però non
aveva il piano superiore.
« Accomodati pure, io vado un attimo a cambiarmi. »
Tom si allontanò velocemente verso il bagno, quando la voce
di Rebecca lo fermò.
« No. » disse. « Non
c’è bisogno, io… sono venuta solo per
portarti questo. »
Tom era a metà strada e si voltò a guardarla.
« Sicura? »
Una goccia d’acqua gli colò dal collo in mezzo al
petto e fino alla pancia e Rebecca annuì soltanto, quasi
incapace di intendere e di volere.
Poi gli porse di nuovo l’abito e stavolta lui lo prese, senza
staccare lo sguardo da lei.
Lo poggiò su una sedia là vicino mentre lei gli
dava le spalle.
« Sicura di stare bene? »
Rebecca si immobilizzò e si voltò. Sulle braccia
di Tom c’era qualche brivido di freddo e lei non
poté non osservare i suoi muscoli. I suoi pettorali e
addominali abbastanza scolpiti per un ventenne. Restò quasi
paralizzata e temendo che lui si fosse accorto, scosse la testa.
« No, io… cioè sì,
sì. Sto bene grazie. »
Lo disse più a sé stessa che a lui, ma Tom non
era particolarmente convinto. Le si avvicinò ulteriormente e
lei fece un passo indietro, senza accorgersene.
« Sicura? »
« Sì, è tutto… »
notò le labbra di Tom, notò la loro forma e il
loro colore. Notò il suo collo, nudo e macchiato da qualche
neo. Notò anche la sua mascella leggermente pronunciata e i
suoi occhi, la loro forma e le loro sfumature.
Notò anche che le batteva forte il cuore.
« …tutto a posto. » si
affrettò a dire.
Si voltò di nuovo e fece per andarsene, quando qualcosa
nella sua testa le disse di non farlo. Così si
fermò a metà. Dio solo sapeva la stronzata che
stava per fare, ma sarebbe impazzita se fosse uscita da quella stanza
senza aver combinato qualcosa.
« Puoi chiudere gli occhi? » gli domandò.
Tom la guardò, o meglio guardò le sue spalle e la
sua schiena, perplesso.
« Come, scusa? »
Rebecca non si voltò, già pensando di andare via
immediatamente.
« Devo chiudere gli occhi? Sicura che non mi uccidi?
»
La ragazza voltò leggermente lo sguardo e vide Tom in piedi,
alle sue spalle, con gli occhi chiusi.
Dio solo poteva dire quant’era bello in quel momento, con il
petto scoperto e luminoso.
Rebecca fece un respiro profondo e gli si avvicinò. Non
sapeva nemmeno perché sentiva la necessità di
compiere quell’azione.
Si mise in punta di piedi, tenendosi con una mano alla parete, e
osservò il viso di Tom da vicino. Respirava con
regolarità, il suo petto si alzava e abbassava ritmicamente.
La ragazza chiuse gli occhi e inspirando sentì
l’odore del suo bagnoschiuma. Decise di agire prima di
svenire lì davanti a lui e così, con molta
attenzione a non sfiorarlo nemmeno con un capello, avvicinò
il suo viso alle labbra di Tom. Le toccò con le sue, senza
fare pressione.
Tom sussultò. Non se l’aspettava e rimase sorpreso.
Rebecca si allontanò e Tom ne approfittò per
tirarla a sé. Le legò un braccio attorno alla
vita e catturò di nuovo le sue labbra, stavolta con
più sentimento.
La fece sua in un battibaleno, senza nemmeno impegnarsi troppo. Il
petto di Rebecca si scontrò contro quello di Tom e le sue
gambe quasi cedevano a quel contatto.
Tom lasciò le sue labbra controvoglia, per paura di
spaventarla, e aprì gli occhi per guadarla.
Gli occhi di Rebecca erano immersi nei suoi e giurò di non
aver mai visto un paio di occhi belli come quelli.
La ragazza spostò lo sguardo sulle labbra di Tom e le
toccò con il pollice, prima di avvicinarsi lentamente e
baciarle. Tom lasciò che fosse lei a decidere, non prese
alcuna iniziativa.
Posò le mani sulla sua schiena e sentì quelle di
Rebecca farsi strada sul suo collo e una gli accarezzò una
guancia.
Non sapeva esattamente perché, ma non voleva lasciarla, non
voleva separarsi dal suo corpo. Il che era strano considerando che
aveva cercato di evitarla in ogni modo possibile.
Ma in quel momento, sentiva che lei era l’unica cosa che
volesse con sé.
Spostò le mani mentre le loro labbra erano ancora unite e le
portò sul petto di Rebecca, concentrandosi sui bottoni della
sua camicetta bianca. Li slacciò uno ad uno, sentendo
qualcosa crescere dentro di sé mentre lei non lo fermava.
Scostò le mani dal suo collo e dal suo viso solo per levarsi
di dosso l’indumento e restò in reggiseno.
Un tuono squarciò il silenzio che c’era nella
stanza e Tom portò velocemente una mano verso la tessera che
teneva le luci accese. La estrasse e il buio calò nella
stanza.
Il suo viso e quello di Rebecca erano talmente tanto vicini da poter
sentire l’uno il respiro dell’altro, ma le loro
labbra non si toccavano più.
Tom rimase a fissarla alla poca luce che entrava da fuori, la luce
della luna e quella artificiale di Milano.
Rebecca gli legò le braccia attorno al collo, prima di
avvicinare le loro labbra. Leccò quelle di Tom,
soffermandosi particolarmente sul suo piercing alla sinistra e lui si
sentì incendiare.
Spostò le mani sul fondoschiena della ragazza e poi
più giù fino a fare forza e a prenderla in
braccio, lasciando che Rebecca legasse le gambe attorno alla sua vita.
Si voltò mentre Rebecca gli prendeva di nuovo il viso fra le
mani e lo baciava, e si mosse verso la stanza da letto, facendo sedere
la ragazza sul materasso.
Rebecca si slacciò i pantaloni ma prima che li potesse
togliere si alzò in piedi e si avvicinò al corpo
seminudo di Tom. Lo baciò sulle labbra un paio di volte,
lasciandolo desideroso di altro finché lui lasciò
scivolare le labbra sul suo collo, sul suo petto e si
abbassò sempre di più, fino ad arrivare alla sua
pancia.
Le sfilò i jeans e lei li tolse con i piedi, prima di
trovarsi avvinghiata di nuovo al corpo di Tom.
L’asciugamano gli cadde di dosso ma non ci badò,
anche se il suo pene cominciava ad irrigidirsi.
Si sdraiò sul corpo di Rebecca che si adagiò sul
letto e con una mano percorse una linea immaginaria che andava dalla
sua gamba sinistra fino al suo viso.
Quello che accadde nelle due ore successive non era nella mente di
nessuno dei due.
Le gocce d’acqua che prima luccicavano sul corpo di Tom si
erano trasformate in sudore e nella stanza si udivano solo gemiti
sommessi e sospiri.
Tom adorava soffermarsi con le mani sui fianchi di Rebecca e poi
risalire fino al suo viso, era rimasto a guardarla con gli occhi chiusi
mentre lui la penetrava con delicatezza, come non aveva mai fatto con
nessuna ragazza prima.
Lei gli stringeva le braccia e ad ogni spinta la sua schiena si curvava
sempre di più, finché Tom la baciò e
lasciò nascere un orgasmo fra le loro labbra.
I suoi muscoli seguivano i movimenti dei loro corpi che non si
staccavano nemmeno un momento e ogni tanto gli piaceva adagiare la
testa affianco al collo di Rebecca per inspirare il suo profumo. Un
odore che sapeva di libertà e di paura contemporaneamente.
Un odore che lo aveva circondato per tutta la notte, per tutta la
durata della loro passione che si era consumata lentamente e con
precisione.
Rebecca gli piaceva. Gli piaceva fisicamente, caratterialmente e
spiritualmente.
La vide stringere con una mano il lenzuolo sotto i loro corpi e
mordersi un labbro mentre lui, sopra il suo corpo, si tratteneva il
più possibile per continuare a guardarla, per lasciar durare
quei momenti il più possibile.
E poi lei, sul suo corpo. Lo baciava, sembrava torturarlo da quanto era
buono il suo sapore, quasi Tom volesse mangiarla.
La pioggia batteva forte contro le finestre e Rebecca lo
osservò attraverso quella poca luce e i fulmini che
comparivano regolarmente.
Il suo viso era sudato così come il resto del corpo e
respirava con la bocca, mentre i suoi occhi restavano attaccati a
quelli di Tom. Lui era sdraiato, le mani poggiate sul fondoschiena di
lei, la bocca aperta per riuscire a respirare e il petto sudato e
lucido che si alzava e abbassava seguendo il ritmo del suo respiro.
Aveva addosso una stanchezza carica di adrenalina. Le braccia di
Rebecca erano tese affianco al suo viso ma tutto ciò che
riusciva a vedere erano i suoi occhi.
Tom si fece forza con le braccia e avvicinò il suo viso a
quello di Rebecca, baciandola.
Poggiò di nuovo la testa sul cuscino e lei lo
seguì, adagiando poi il suo petto a quello di Tom e
lasciandosi cadere su di lui come una foglia secca.
Tom le passò una mano lungo la schiena e poi attraverso i
suoi capelli, trascinandola al suo fianco e cingendole il corpo con
l’altro braccio libero.
Si diede del coglione mentalmente, ma non poté negare di
aver assaporato tutto come mai prima d’allora.
Come per scacciare quei pensieri, portò il suo corpo
più vicino a quello di Rebecca e lei sospirò
poggiandosi sulla sua spalla.
Un tuono squarciò il silenzio che c’era nella
stanza. Erano entrambi dentro un uragano.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Quando Tom si svegliò non c’era nessuno al suo
fianco. Il braccio che per tutta la notte aveva stretto il corpo di
Rebecca ora giaceva sul materasso senza alcuna figura da toccare. Si
girò verso il bagno ma la luce era spenta e dalla porta
aperta non si vedeva nessuno. Degli abiti di Rebecca nemmeno una
traccia.
Tom si mise a sedere sul letto, leggermente stordito. Pensò
a chiamarla, ma non sapeva nemmeno il numero della sua stanza.
Scese dal letto e si infilò sotto la doccia, lasciandosi
cadere addosso un getto d’acqua fredda.
Se non fosse stato per il fatto che si era trovato nudo con un letto
disfatto e i muscoli distrutti, avrebbe pensato di essersi sognato
tutto. Ma effettivamente era stato tutto troppo reale per essere
semplicemente un sogno. O un incubo.
Quando uscì dalla doccia cercò di sistemare un
po’ quel casino e si vestì per fare colazione. Al
tavolo c’erano solo Bill e Gustav, il primo con un paio
d’occhiali da sole e il secondo che sfogliava un quotidiano
probabilmente senza capirci nulla.
« Buongiorno. » lo salutò il gemello.
« Dov’è Rebecca? »
domandò di getto, sedendosi.
Gustav sollevò lo sguardo dal giornale.
« Becky ha detto che non scende. »
« E perché? »
Gustav fece spallucce e bevve un sorso di caffè.
« Non si sente bene. »
Tom afferrò una fetta biscottata e ci spalmò
sopra del burro.
« Spero che per stasera sia in forma. » disse Bill.
Nessuno gli rispose.
Tom aspettava nella hall, mentre Bill picchiettava con un piede sul
pavimento, le braccia incrociate in petto. Era tremendamente in ansia,
sbuffava ogni 5 secondi e continuava a guardare l’orologio,
ripetendo la domanda “Dov’è
Rebecca?!”.
Tom non rispondeva, sapendo che era la stessa cosa che si stava
chiedendo anche lui.
Gustav era uscito per controllare che la macchina fosse pronta ma non
era ancora rientrato.
L’ascensore si aprì ma uscì una coppia
di anziani, lei arricchita da gioielli in oro che brillavano anche al
buio e lui che la seguiva con il volto fisso davanti a sé.
Tom si lasciò cadere seduto su una poltrona lì
vicino e fissò Bill.
Se Rebecca non fosse comparsa entro qualche istante, Bill sarebbe
impazzito. Ne era sicuro.
Si aprì anche l’altro ascensore ma non
uscì nessuno.
« Ma insomma! » sbuffò Bill, sollevando
le braccia in aria e abbassandole subito dopo.
« L’hai chiamata? » gli
domandò Tom.
« Sì, mi ha detto che stava scendendo. Non
è possibile che ci metta così tanto, gli
ascensori ora sono liberi! »
Tom non rispose.
Un ascensore venne chiamato da un altro piano e si chiuse.
Bill espirò pesantemente e si guardò attorno,
cercando Gustav.
Tom picchiò per terra con un piede e si torturò
il piercing con i denti, lasciando che l’idea di andare a
controllare se Rebecca stesse bene si concretizzasse sempre
più nel suo cervello.
« Non si vede nemmeno Gustav! » si
lamentò ancora Bill.
« Sei troppo agitato, rilassati. »
« Né lui né Rebecca si sono ancora
fatti vivi! »
« Lo so, ma se entri nel pallone non combineremo nulla.
Rilassati. »
Tom aveva un grosso potere su Bill perché era
l’unica persona di cui si fidava ciecamente. Ma Tom non aveva
mai approfittato di quella situazione perché la cosa era
reciproca. Anche lui riponeva tutta la sua fiducia in Bill, di
qualsiasi cosa si trattava. Ed era per quello che se l’era
presa con Rebecca, si era sentito in un certo modo tradito.
Bill percorse un paio di volte un minuscolo tragitto immaginario e poi
un ascensore si aprì. Sollevò lo sguardo ed
espirò tutta l’aria che aveva trattenuto.
« Oh, finalmente! »
Tom seguì la voce di Bill e lo vide che guardava gli
ascensori, allora voltò il viso anche lui.
Rebecca uscì da un ascensore con addosso un abito nero e uno
scialle che le copriva le spalle. I capelli erano sciolti e guardava
per terra.
« Come stai? » le chiese Bill.
Lei sollevò lo sguardo ma lo posò su Tom, ancora
seduto nella poltrona della hall. Si alzò frettolosamente,
rimettendosi poi a posto la cravatta.
« Bene, grazie. »
Distolse velocemente lo sguardo ma Tom rimase ad osservarla,
chiedendosi che diamine fosse successo.
Perché Rebecca era andata via? Perché non era
scesa a colazione? Perché si comportava in quel modo?
Non era forse stata lei a baciarlo? E non era forse stata lei a
rispondere alle provocazioni di Tom?
Insomma, avevano fatto le cose in due, non era soltanto Tom ad aver
vissuto quella notte.
Gustav arrivò con le guance rosse e richiamò
l’attenzione di tutti.
« La macchina è fuori, è tutto pronto.
Andiamo? »
Bill annuì e fece un passo avanti.
« Oh ciao Becky! »
Rebecca fece un mezzo sorriso e Bill proseguì. Gustav lo
seguì trotterellando allegramente ma Tom non si mosse.
Rimase a fissare la ragazza.
Rebecca lo superò col volto basso. Tom avrebbe voluto
fermarla, farle tutte quelle domande, avere delle risposte ai suoi
perché e contemporaneamente stringerla di nuovo a
sé, sentirla respirare sulla sua pelle e sentire le sue
labbra sul suo collo.
Ma non si mosse e aprì la bocca lasciando uscire solo fiato
con parole congelate.
Non restò altro che seguirla silenziosamente fino
all’auto guidata da Gustav.
Bill seguiva con lo sguardo i movimenti in sala. L’aveva
riconosciuto diversa gente ma lui non si era fermato a parlare con
nessuno. Aveva uno strano presentimento che l’aveva assalito
da quando aveva messo piede là dentro. Tom sedeva al suo
fianco e un po’ più in là stavano
Rebecca e Gustav.
La sfilata non era ancora iniziata ma le luci si erano già
abbassate.
« Tu e Rebecca non riuscite proprio ad andare
d’accordo, eh? » domandò Bill.
Tom s’irrigidì e non rispose. Bill lo
guardò.
« Abbiamo un rapporto così fitto che parlarci
è assai complicato. »
Bill non ribatté e si limitò ad osservarlo e a
studiarlo.
« C’è qualcosa che devo sapere?
»
Tom lo guardò dritto negli occhi, poi spostò lo
sguardo sulla passerella.
« Sta iniziando. » fu l’unica cosa che
disse.
Bill rimase a guardarlo aspettando che dicesse altro. Ma non accadde.
Tom restò immobile a fissare la passerella ancora vuota
mentre la musica si espandeva in tutta la sala e i primi modelli
iniziavano a comparire dal fondo.
Bill li osservò attentamente e già al secondo
modello si era quasi conficcato le unghie oltre i pantaloni.
Tom seguiva i movimenti dei modelli, riconoscendo che c’era
qualcosa che non andava in loro e nei loro abiti. Era come se avesse
già visto quella collezione da qualche altra parte.
Bill emise un verso sbigottito e Tom guardò prima lui e poi
seguì la linea del suo sguardo.
La modella sulla passerella sfilava con un abito rosso fiammante fatto
con la stessa tecnica e le stesse forme di quelli di Bill.
Le sue nocche erano bianche da quanto forte stringeva i pugni. Sembrava
non respirasse e le sue labbra erano serrate quasi col lucchetto.
Tom diede uno sguardo fugace alla passerella e poi tornò a
guardare il fratello, muovendosi sulla sedia.
« Bill, tutto ok? »
« Trovalo. »
Tom lo guardò sbigottito, pensando di aver capito male nel
trambusto della musica e dei fotografi.
« Come, scusa? »
Bill lo guardò e nei suoi grandi occhi, Tom riconobbe un
oceano di lacrime pronte a solcargli il viso. Suo fratello stava per
piangere dalla rabbia. Tutto il suo lavoro era stato messo a rischio e
ora gli abiti che aveva sognato stavano sfilando davanti ai suoi occhi
con qualche modifica e sotto il nome di un altro stilista.
« Trovalo, ho detto. » ripeté.
Tom restò a guardarlo un istante, sperando che cambiasse
idea. Ma poi fu costretto ad alzarsi e a eseguire l’ordine.
Si fece strada fra la gente e uscì dal pubblico,
mischiandosi poi nell’oscurità.
Uscì dalla stanza e cercò una via secondaria per
arrivare nel backstage, trovando una piccola porta di servizio. Si
intrufolò e controllò di non essere seguito da
nessuno.
Sbagliato. Aveva qualcuno alle calcagna.
Percorse un piccolo corridoio e poi si nascose in un angolo e attese.
La persona non ci mise molto a comparire davanti a lui e Tom fece un
passo avanti per stordirla, ma poi si accorse che non era un bodyguard
o qualche altra spia.
« Rebecca?! » domandò perplesso.
« Che ci fai qui?! »
« E’ la stessa cosa che mi chiedo anch’io
per te. Perché sei andato via nel bel mezzo della sfilata?
»
Tom si ricompose, rimettendo a posto la giacca.
« Ordini di Bill. »
« Bill sa che siamo una squadra, no? »
« Sì ma stavolta non c’entra.
E’ una questione personale e penso che Bill voglia
sbrigarsela con meno gente possibile. Per questo si è
rivolto solo a me, ora. Cos’è, siamo gelose?
»
Rebecca assottigliò gli occhi, facendo diventare due fessure.
« Per niente, Tom. »
Tom.
Gli sembrava di non udire il suo nome pronunciato da quelle labbra da
un’eternità, e una vampata di calore lo avvolse,
costringendolo a guardare altrove.
« Devo trovarlo. » fu l’unica cosa che
disse.
Rebecca annuì con la testa.
« Allora non perdiamo tempo. »
« Non ho usato il plurale! »
Rebecca aveva già avanzato di qualche passo e gli dava le
spalle. Lo guardò appena.
« Ma io sì. »
Tom odiava quando faceva così ma non poteva negare che gli
piaceva tantissimo.
Era come se dentro di lui ci fossero due parti in continua collisione.
Percorsero insieme il corridoio e non incontrarono nessuno. Superarono
un’altra porta senza rivolgersi una parola, Rebecca davanti a
lui, finché un grosso omone bianco gli comparve davanti e
disse velocemente qualcosa all’auricolare.
Rebecca rimase come pietrificata e Tom si affrettò a tirare
fuori la pistola e a sparare, ferendolo in modo da stordirlo.
Rebecca guardò il corpo adagiarsi a terra.
« Muoviti, prima andiamo via, meglio è. »
Tom proseguì velocemente e Rebecca lo seguì col
fiatone, ancora scossa da quella scena improvvisa.
Un altro uomo, ma stavolta di colore, comparve dal nulla e
saltò addosso a Tom. Questo cercò come gli
riusciva di scollarselo di dosso ma fu Rebecca a prendere un vaso
lì vicino e a spaccarglielo in testa.
L’uomo crollò a peso morto e un casino
rimbombò nel corridoio.
Si udì il rumore di una porta e poi Tom vide Georg sbucare
dal fondo.
« Eccolo! » disse più a sé
stesso che a Rebecca.
Georg si voltò verso di lui e lo vide avvicinarsi
velocemente a sé.
« Eccolo, è lui! »
Quattro agenti di polizia sbucarono alle sue spalle e seguirono il dito
di Georg, puntato su Tom.
Questo si immobilizzò a metà e non appena vide i
poliziotti corrergli incontro si voltò.
« Scappa, muoviti! »
Prese Rebecca per mano e la tirò via con sé,
uscendo da quel corridoio. Imboccò di nuovo la strada
precedente ma una volta tornato all’ingresso principale lo
vide gremito di poliziotti e di bodyguard.
Frenò con i piedi e Rebecca iniziò a guardarsi
attorno. Vide un’altra porta e lo spinse verso quella parte,
mentre agli iniziali 4 agenti se ne aggiungevano altri.
Attraversarono la porta e seguirono le scale antincendio. Un gradino
dopo l’altro fino ad arrivare al piano terra e spalancare la
porta di sicurezza.
L’aria era fredda e si sentiva ancora
l’umidità della sera prima.
« Da questa parte. » Rebecca lo tirò per
una macchina verso destra.
Tom la seguì e lei lo condusse alla macchina, tirando fuori
le chiavi dalla sua pochette.
« Gustav le ha lasciate a me. » spiegò.
Tom le prese.
« Aspetta, Bill! »
« Non possiamo, Tom! Se rientriamo ci arrestano! »
« Ma non posso lasciare Bill qui! Io.. non so nemmeno
com’è fatta Milano! »
Dalla porta di sicurezza sbucarono gli agenti di polizia e urlarono
“Li ho visti!”.
Tom sbiancò e si decise ad aprire il mezzo. Rebecca si
sedette al posto del passeggero e Tom alla guida. Accese il veicolo e
pigiò freneticamente sull’acceleratore, sperando
che Bill capisse.
Lasciò una scia di fumo alle sue spalle e spruzzò
l’acqua delle pozzanghere al suo passaggio.
Dallo specchietto retrovisore controllava la situazione ma non gli
sembrò di avere poliziotti alle calcagna.
Rebecca teneva d’occhio lo specchietto dalla sua parte.
La luna era alta e illuminava la notte di Milano, ma si gelava.
Tom accese il riscaldamento e guardò i cartelli, senza
capire un misero piffero.
Svoltò in un vicolo abitato e parcheggiò
lì.
Dove fosse, non lo sapeva.
Rebecca si guardò attorno.
« Li abbiamo seminati. »
Tom annuì senza parlare.
Non riusciva nemmeno ad immaginare una possibile espressione di Bill
quando avrebbe saputo che suo fratello era scappato.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Avevano passato l’intera giornata chiusi in quella macchina.
Tom aveva comprato qualcosa da mangiare con i pochi soldi che aveva in
tasca ma non si erano mossi da quell’auto. Non sapevano
nemmeno dove andare.
Faceva freddo anche quella notte. Quella precedente Rebecca si era
addormentata solo quando il sole stava sorgendo e Tom ne aveva
approfittato per osservarla. Per provare a capire perché
avesse agito in quel modo. Ma non trovò alcuna risposta
scritta sulla sua pelle.
I vetri della macchina erano appannati per il freddo e Rebecca si
stringeva nelle spalle, trattenendo i tremiti.
Tom la guardò. Non si erano rivolti la parola neanche un
istante, ma avevano guardato il parabrezza davanti a loro congelarsi
ancora di più.
Lui sospirò e il suo fiato diventò sottile
nebbiolina.
Aprì lo sportello e Rebecca lo guardò.
« Vado a fare un giro. » disse prima di chiudere.
Si voltò e iniziò a camminare con le mani
infilate nelle tasche della giacca del completo.
Il cielo di Milano era stellato ma c’era qualche nuvola scura
sparsa qua e là. Per terra era pieno di pozzanghere e Tom
slittava fra esse, camminando verso chissà quale posto.
A dire il vero non gli interessava sapere dove diavolo stesse andando,
il suo unico scopo era quello di allontanarsi il più
possibile da Rebecca, che improvvisamente aveva assunto le vesti del
diavolo tentatore.
Tom strinse i pugni dentro le tasche e inspirò a pieni
polmoni, immerso nei suoi pensieri.
Perché tutto quello? Perché si era trovato chiuso
in una macchina con lei?
Svoltò senza rendersene completamente conto e
continuò a camminare sul marciapiede, fino a trovarsi
davanti una cabina telefonica.
Non ne aveva vista nemmeno una nei paraggi, quella era la prima.
Si guardò intorno, per vedere se era solo, ma molto
probabilmente era così tardi che non poteva essere
altrimenti. Si frugò in tasca e tolse fuori qualche moneta.
Si avvicinò speranzoso alla cabina ma non andava a monete.
Serviva la tessera.
Imprecò a mezza voce e si allontanò velocemente
da quella via, tornando indietro con un diavolo per nervo.
La macchina era ferma nello stesso punto, l’unica differenza
era il parabrezza leggermente più congelato di prima.
Quando aprì lo sportello, Rebecca quasi trasalì.
Tuttavia, non disse nulla.
Rimase sul suo sedile a contorcersi per il freddo.
Tom si sedette nel sedile del conducente, facendole arrivare una
ventata gelida che sembrò farla impallidire ulteriormente. E
lui se ne accorse.
Chiuse lo sportello con un tonfo, e calò il silenzio.
Era come se fra loro ci fosse un enorme muro invisibile il cui unico
scopo era separarli.
Rebecca tremò un altro po’.
« Si è fatto sentire qualcuno? »
Lei scosse la testa, senza parlare e senza guardarlo, col volto che
cercava di ripararsi da quel freddo.
Tom stava perdendo la pazienza.
Si sfilò la giacca di dosso e gliela porse.
Rebecca lo guardò e si ritrasse, facendo
‘no’ con la testa.
« Andiamo, non fare la preziosa. Io non la voglio.
» mentì, sentendo il freddo pungergli la pelle
oltre la camicia bianca.
Lei allungò una mano pallida e tremante e la prese,
sistemandosela poi sulle sue spalle.
« Grazie. » mormorò.
Tom non rispose.
Quanto poteva essere passato? Forse un’eternità.
Eppure la situazione non cambiava.
Tom era solo più congelato di prima, ma niente di grave
dopotutto.
« Hai freddo? » gli domandò Rebecca.
Scosse la testa, sapendo che in realtà era prossimo
all’ibernamento.
« Sicuro? »
« Sì. »
« Dobbiamo morire qui al freddo? »
« Perché te ne sei andata? »
Tom si voltò lentamente e Rebecca aveva la fronte
aggrottata, gli occhi puntati sul suo viso.
« Rispondi alla mia domanda. » lo
incalzò.
Tom espirò prima di rispondere.
« Qualcuno ci chiamerà e se così non
fosse, troveremo un modo per tornare in Germania. »
Rebecca non parve sicura della risposta, ma non obiettò.
« Ora tocca a te. » si affrettò ad
aggiungere lui. « Perché te ne sei andata?
»
Lei non rispose, spostando lo sguardo da un’altra parte.
« Non lo so… »
« Fai le cose e non sai perché?! »
Rebecca non rispose e socchiuse leggermente gli occhi, pentendosi di
aver dato quella risposta.
Tom pensò di esser stato troppo irruento.
Si girò e incrociò le braccia sul petto.
« Mi dispiace. » sentì.
Non disse niente e non si voltò nemmeno. Forse era meglio se
iniziava a fregarsene di Rebecca. Forse era meglio se pensava solo a
sé stesso o almeno ad un modo per andare via da quella
città che gli aveva portato solo guai. Forse sarebbe stato
meglio per entrambi se non si fossero mai incontrati.
Rebecca sospirò così forte che Tom fu costretto a
guardarla.
« Io non lo perché me ne sono andata. So solo che
quando mi son svegliata mi sentivo… uno schifo. »
Lui non rispose, anche se lei stava attendendo una sua parola.
« Credo di essere l’ultima persona che
può consolarti. »
« Non voglio che mi consoli, non fare l’idiota! Sto
solo cercando di spiegarti. »
« Hai una motivazione? Bene, io voglio quella. » la
interruppe in tono brusco. « Non me ne frega niente di come
ti sei allacciata il reggiseno, né di come eri messa quando
ti sei svegliata. Vorrei solo sapere perché diavolo mi hai
lasciato lì come un minchione. Perché, Rebecca?
»
Lo sguardo di lei saettò da una parte all’altra,
come se Tom l’avesse scoperta da una corteccia.
Ma non sapeva perché l’aveva fatto. Non ne aveva
la minima idea, sapeva solo che quando si era svegliata aveva avuto
paura. Paura che Tom potesse essere troppo o troppo poco. Paura di
immergersi più del dovuto e paura per quello che avevano
trascorso quella notte. Paura per lei e per lui.
Ma come dirglielo? Come fargli capire tutto quello?
Sapendo che Tom temeva per il fratello più di quanto temesse
per sé stesso?
Non poteva. Non poteva assolutamente rivelargli quei pensieri che
l’avrebbero ridicolizzata.
Lei e Tom non stavano nemmeno insieme, si erano solo baciati ed erano
andati a letto. Ma non avevano una vera e propria relazione, contando
che litigavano la maggior parte delle volte. Come in quel momento.
Rebecca continuava a guardare da una parte all’altra,
finché Tom annuì rassegnato e poggiò
la schiena sul sedile della macchina.
« Io non mi pento di quello che è successo quella
notte. » disse lei.
Tom la ignorò.
« Ma non so che risposta darti. L’ho fatto senza un
motivo preciso. Non a causa tua. E non pensavo nemmeno di trovarti
così arrabbiato. »
« Non sono arrabbiato. » mentì.
« Sono perplesso. »
« Scusa. » disse di nuovo lei, stringendosi
ulteriormente nelle spalle.
Poi notò che aveva ancora la giacca di Tom e se la
levò di dosso, porgendogliela.
« Che fai? Tienila, fa freddo. »
« Appunto, devi riscaldarti. »
Tom rifiutò spostandole le mani ma Rebecca insistette.
« Non fare l’idiota! » la
ammonì ma lei gliela poggiò sulle gambe,
incrociando poi le braccia scoperte sul petto.
Tom allora prese la giacca con una mano e la strinse, prima di
sporgersi e di poggiarla di nuovo sulle spalle di Rebecca, con quasi
tutto il corpo volto sopra il suo.
Lei rimase immobile, fissando il viso di Tom concentrato per sistemarle
la giacca. Finché lui spostò gli occhi,
guardandola.
Lo sguardo di Tom era qualcosa che giurava di non aver mai visto in
nessun altro uomo.
Questo si passò la lingua sulle labbra, sfiorandosi appena
le sferette del piercing, pregando di poter sentire ancora una volta il
sapore delle labbra di Rebecca, ma sulle sue non c’era
più.
Avrebbe voluto imprimerselo ancora una volta, baciarla di nuovo come se
fosse stata la prima volta semplicemente per il fatto che non sapeva se
l’avrebbe più potuto fare. Se avesse potuto
avrebbe riportato tutto indietro e avrebbe fatto il possibile per non
farla andare via.
Ma prima che potesse accorgersene, le sue labbra stavano sfiorando
quelle di Rebecca, ancora una volta.
Com’è che un attimo prima stavano discutendo e
quello dopo i loro visi erano uniti da un bacio? Era quasi impossibile
spiegarlo.
Tom aveva gli occhi chiusi, ma quasi poteva immaginarsi il viso di
Rebecca. Probabilmente aveva ripreso il colorito che il freddo le aveva
tolto.
Sentì solo le sue mani farsi strada sul suo viso,
accarezzandolo, e ne approfittò per spostare le labbra sul
suo collo. Sì, il profumo era esattamente come se lo
ricordava. L’odore di Rebecca lo mandava più in
tilt di qualche altra droga.
Si slegò la cravatta mentre Rebecca gli accarezzava il
collo. Il freddo gli attraversò il petto in superficie,
piazzandosi sulla sua pelle come una patina invisibile, da sotto gli
abiti.
Per quanto potesse odiarsi, stare con lei era una delle poche cose che
volesse in quel momento.
Rebecca si legò al suo corpo come un nastro si lega ad un
pacco e le labbra di Tom presero fiamma sulla sua pelle.
Non ammetteva che Rebecca era qualcosa di cui aveva bisogno. Non lo
ammetteva con sé né a sé stesso.
Preferiva intralciare quella visione dipingendo la ragazza solo come
una tentazione. Un po’ come la mela di Eva; un frutto da
mordere. E con quella visione impressa nella mente si spinse
più in basso, baciandole il petto scoperto a causa
dell’abito e le passò la lingua tra i seni,
sentendo un sospiro levarsi dalle sue corde vocali.
Stava stretto in quella macchina che sembrava essersi rimpicciolita
ulteriormente e così passò una mano verso la
manovella del sedile, abbassandolo lentamente e risalendo sulle labbra
delle ragazze.
« Almeno son sicuro che stavolta non te ne andrai.
» ironizzò scostandosi dalle sue labbra e aprendo
gli occhi per studiare ancora la forma dei suoi.
Lei sorrise appena.
« Non l’avrei fatto comunque. »
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Quel sedile sembrava munito di spilli e il freddo gli aveva bloccato la
mascella.
Tom fu svegliato dalla suoneria del suo cellulare e si frugò
in tasca con una mano, tenendo gli occhi ancora chiusi. Li
aprì solo quando trovò l’apparecchio e
lo tolse fuori. Nello schermo lesse “Gustav”.
« Pronto? »
« Tom, sei tu? » riconobbe la sua voce.
« Sì sì certo che sono io! »
« Meno male, pensavo che avessi perso il telefono! »
Rebecca sul suo petto mosse la testa e ispirò.
« Sei con Rebecca? »
« Sì, siamo insieme. »
« E dove siete? »
« Ancora a Milano, abbiamo preso la macchina e…
» deglutì. « …siamo fuggiti..
»
« Immaginavo, avete fatto bene. »
Anche se Gustav gli aveva risposto così, non poté
non sentirsi una bestia per aver lasciato Bill.
« Sai dove vi trovate, precisamente? »
Tom cinse il corpo di Rebecca da oltre la giacca che si erano poggiati
addosso per riscaldarsi un po’, e si sporse verso il
finestrino ghiacciato. Con una mano lo pulì un
po’, ghiacciandosi ulteriormente le dita, e vide un cartello
non molto distante.
« Via Fog… Fogazzaro.. credo.. »
Sentì qualche rumore dall’altra parte del telefono
e Rebecca sollevò il viso assonnato guardandolo dal basso.
Tom si riappoggiò al sedile.
« Perfetto, non vi muovete. Ci metterò un
po’ ma vengo a prendervi. »
« Come?! »
« Non ti muovere. » ripeté Gustav.
Tom non rispose e Gustav chiuse la chiamata.
Rebecca, ancora sdraiata sul suo petto, mugugnò qualcosa e
sollevò lo sguardo.
« Chi era? »
Tom rimise il cellulare in tasca.
« Gustav. »
« Che ha detto? »
La ragazza si fece forza con una mano, sollevando il corpo da quello di
Tom e facendo così cascare la giacca via da entrambi.
« Che sta arrivando a prenderci. »
Tom la riprese e gliela poggiò di nuovo sulle spalle.
« E come? » la voce di Rebecca risuonava ancora
assonnata.
Tom fece spallucce e scosse la testa.
« Non ne ho la più pallida idea. So soltanto che
non dobbiamo muoverci. »
Rebecca si poggiò di nuovo sul petto caldo di Tom coperto
solo da quella camicia e socchiuse gli occhi, sospirando. La sua pancia
mugolò.
« Hai fame? »
Annuì con la testa, tenendo gli occhi chiusi e una mano
poggiata sui pettorali del ragazzo.
« Sì ma non preoccuparti. Va bene così.
»
Tom restò sorpreso ma non poté negare a
sé stesso che quella situazione un po’ gli
piacesse.
Stare in quella macchina solo con Rebecca sdraiata sul suo corpo, anche
se c’era abbastanza freddo da permettere ad un gelato di
stare in ottime condizioni, non lo infastidiva più. E sapere
che Gustav stava tornando, gli aveva fatto passare ogni tipo di timore.
L’unico problema, sembrava Bill. Non sapeva nulla di lui, di
come stava, di cosa pensava, di come aveva preso il fatto che lei e lui
fossero scappati via insieme. Non sapeva niente di niente. Gustav non
aveva nemmeno accennato ad una sua possibile reazione.
Ma, si disse, era solo questione di tempo. Presto Gustav sarebbe
arrivato.
Milano era di nuovo buia. Tom aveva finito tutti i soldi e non aveva
comprato nulla da mangiare; la sua pancia e quella di Rebecca
mugolavano a intervalli irregolari ma con costanza, e il gelo aumentava.
« Quanto ci metterà Gustav? »
domandò lei, stringendosi nelle spalle e tremando.
Tom scosse la testa dal suo sedile, cercando di non far trapelare il
suo stato di semi-congelamento, visto che Rebecca aveva ancora la sua
giacca.
« Non lo so. » balbettò lentamente.
« Arriverà prima che uno di noi muoia? »
Tom sbuffò.
« Rebecca, dai! »
« Sono seria! » sbottò lei. «
Io non mi sento più le mani e la tua faccia è
blu. C’è un freddo boia, diamine! »
Le passò una mano sulle spalle , immaginando il freddo come
un fantasma che in quel momento lo abbracciava ancora più di
prima.
Lei poggiò la testa sulla sua spalla, nascondendo il viso
affianco al suo collo e sospirò.
« Georg è proprio uno stronzo. »
mormorò. « Perché non fa qualcosa che
sa fare invece che rubare i modelli agli altri stilisti? »
Tom scosse la testa.
« Non lo so. »
« E’ irritante. »
« Già. »
Rebecca prese fiato, sentendo pugnali affondarle lentamente i polmoni
ad ogni boccata d’aria.
« Non mi piace nemmeno di faccia. E non è stato
molto carino con me, dal momento che voleva uccidermi. »
« Per fortuna sono arrivato io. »
ironizzò lui.
La ragazza sollevò lo sguardo e lo fissò dalla
luce della luna che entrava dal vetro semi-ghiacciato
dell’auto; sorrise.
« Già, per fortuna sei arrivato tu. »
Tom non capì più nulla. Rebecca aveva solo
cambiato il soggetto, eppure quella frase l’aveva mandato in
tilt.
Avvicinò cautamente il suo viso a quello della ragazza
e…
…una luce li colpì in pieno, costringendo
entrambi a chiudere gli occhi. Davanti a loro c’era una
macchina.
Tom spostò il braccio dal corpo di Rebecca, la quale si
allontanò cercando di capire chi fosse.
I fari dell’auto si spensero e si udì il rumore di
uno sportello.
La ragazza lanciò uno sguardo fugace a Tom, il quale
aprì il suo sportello e uscì al gelo italiano con
soltanto la camicia addosso.
Aggrottò le sopracciglia, mentre il suo respiro si
condensava non appena usciva dalle sue labbra, e vide una figura
incappucciata avvicinarsi all’auto.
Un lampione gli illuminò il viso.
« Tom? »
« Gustav! »
Tom gli corse incontro e lo abbracciò quasi facendolo
cadere, sentendo poi il suo giubbotto trasmetterli calore.
Il ragazzo rimase leggermente sorpreso e gli batté qualche
pacca sulla schiena, prima di capire che aveva ben pochi abiti addosso.
« Dov’è Rebecca? »
« In macchina, ti stavamo aspettando e… »
« Che diavolo hai addosso?! O meglio: che diavolo non hai
addosso?! »
« Lascia stare, dobbiamo andare via. »
Gustav si diresse verso la sua macchina.
« Salite, dai. Mollate qui questa macchina. »
Tom corse verso lo sportello di Rebecca e lo aprì.
« Rebecca muoviti, stiamo andando via. Rebecca? »
Lei lo guardò con gli occhi semichiusi, il suo viso
tremendamente pallido.
Tom vide il suo corpo accasciarsi in avanti e la resse per un pelo.
« Gustav! » chiamò.
Lui batté uno sportello e si avvicinò
velocemente, mentre Tom si caricava il peso di Rebecca addosso.
« Che è successo? »
« Credo abbia preso troppo freddo. »
Gustav chiuse lo sportello della macchina mentre Tom trasportava
Rebecca nell’altra vettura e la sdraiava nei sedili
posteriori, sedendosi poi al suo fianco.
Lei aprì gli occhi, mentre il suo corpo tremava sotto le
braccia di Tom, anche lui infreddolito.
« Hey, che c’è? » le
domandò lui.
Gustav salì alla guida e mise velocemente in moto. Rebecca
si mosse lentamente, poggiando la testa sulle gambe di Tom e
raggomitolandosi su sé stessa. Non rispose e Gustav
partì.
Tom coprì ulteriormente Rebecca con la sua giacca, anche se
nella macchina di Gustav c’era leggermente più
caldo.
« Dove andiamo? » gli domandò.
« In albergo, Bill ci sta aspettando per andare in aeroporto.
»
Tom deglutì sentendo il nome del fratello.
« Come sta? »
« Bene, ma era preoccupato. »
« Non è arrabbiato? »
Gustav lo guardò dallo specchietto.
« Perché dovrebbe esserlo? »
Tom non rispose e abbassò lo sguardo verso il viso di
Rebecca, che teneva gli occhi chiusi.
Si sentì incredibilmente più leggero ad aver
udito quelle parole, ma contemporaneamente passò una mano
sul viso di Rebecca per farle aprire gli occhi.
« Stai sveglia, ok? »
Lei annuì con la testa, riscaldandosi lentamente.
Gustav guidava seguendo un navigatore montato sulla macchina, e in
breve arrivarono all’albergo.
Bill era nella hall seduto in completa solitudine. Gustav
andò velocemente e chiamarlo e uscirono con una fretta
assurda. Bill si sedette davanti.
Si voltò e guardare prima Tom e poi Rebecca.
« Come state? » domandò mentre Gustav
metteva in modo e poi partiva.
Tom annuì con la testa.
« Vivi. »
Gli occhi di Bill lo scrutarono attentamente, e Tom continuò
a sentirsi un minimo in colpa.
« Mi dispiace… » mugolò.
Bill scosse la testa.
« Hai fatto la cosa più giusta. Ora dobbiamo solo
sistemare queste ultime cose. »
Si voltò verso la strada, mentre Gustav continuava a seguire
il TomTom.
Tom aggrottò la fronte.
« Quali cose? »
Bill abbassò lo sguardo sulle sue mani, stuzzicandosi le
unghie rifatte. Poi sospirò.
« Ne parliamo una volta arrivati in aereo. »
Tom poggiò la schiena nel sedile e non rispose.
Ne aveva abbastanza di tutta quella storia.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Tom chiuse la porta della stanza di Rebecca e vide Bill seduto in un
angolo con una rivista fra le mani.
Gli si avvicinò stringendosi nel maglione di lana che aveva
recuperato dalla sua valigia e si sedette nella poltrona davanti a lui.
Bill lo guardò da oltre gli occhiali da lettura.
« Come sta? » domandò riferito a Rebecca.
Tom annuì con la testa.
« Ora meglio, ha mangiato e dorme al caldo. »
Bill abbozzò un sorriso e Tom si strofinò le mani.
« Di cosa parlavi prima in macchina? »
Bill lo guardò ancora, poi spostò lo sguardo
altrove. Poggiò la rivista in grembo e poi si decise a
chiuderla, lanciandola in un tavolino lì affianco. Si
sfilò gli occhiali e si passò distrattamente una
mano sul viso struccato, sospirando. Tom
s’irrigidì.
« Ho sbagliato. » cominciò. «
Non dovevo dirti di andare da Georg, di trovarlo e di fare quello che
dovevi fare. Ho sbagliato e mi dispiace, ma questo non è
abbastanza… »
Tom si protese in avanti.
« Andiamo Bill non è successo niente di grave,
sono ancora vivo e vegeto dopotutto. »
Bill scosse la testa ma non lo guardò in faccia.
« Non è di questo che parlo. Io sono estremamente
felice di vederti, Tom. »
« E allora qual è il problema? »
Il gemello sollevò lo sguardo corrugato in
un’espressione preoccupata e iniziò a contorcersi
le mani.
« Sei ricercato. »
Tom osservò Bill senza dire niente, impassibile. Il suo viso
perse lentamente colore e sentì i battiti del suo cuore
accelerare senza contegno.
Bill scosse la testa.
« Io non so che diavolo mi sia preso quando ti ho chiesto di
trovarlo, ma non volevo che andasse così! Io non volevo
metterti in mezzo in questo modo! » mormorò.
Tom si poggiò con la schiena sulla poltrona, prendendo fiato
lentamente.
« Chi mi cerca? »
« Tutti. La tua faccia sta girando nei notiziari come
“l’attentatore dello stilista Listing”.
» rispose. « Ma quale stilista. »
Tom si leccò le labbra secche.
« Non ho alcuna intenzione di farti trovare,
perciò cercheremo di nasconderti da Gustav. »
« Rebecca, è ricercata anche lei? »
Bill scosse la testa.
« No, solo tu. »
Tom tirò un leggero sospiro di sollievo.
« Penso che Georg abbia voluto accanirsi solo su me e te.
»
« L’azienda non ha subito danni, no? »
Bill non rispose.
Tom lo guardò per un po’ ma gli occhi di Bill
zigzagavano sul pavimento del jet privato, senza dargli alcuna risposta.
« Cristo santo! » esclamò capendo che
erano nel bel mezzo di un casino.
« Sistemerò tutto io, non preoccuparti! »
« Ti terranno d’occhio! »
sbottò Tom. « Sono tuo fratello gemello, diamine!
Pensi che la polizia non ti pedinerà mattina e sera sperando
che tu li porti da me?! »
Bill non rispose nemmeno a quella domanda e chiuse definitivamente gli
occhi.
« Lo so. » sussurrò. «
Purtroppo lo so. »
Tom non aggiunse altro, non sapendo che diavolo dire. Era tutto troppo
strano e troppo incasinato per tentare di trovare una soluzione in quel
momento. Per di più Gustav e Rebecca non erano con loro e
quattro cervelli avrebbero lavorato meglio di due senza ombra di dubbio.
Tuttavia, Tom non poté fare a meno di sentirsi in pericolo.
Si alzò dalla poltrona con uno sbuffo e si diresse verso la
stanza dove coricava Rebecca.
« Dove vai? » gli domandò Bill.
Tom si fermò a metà strada e gli rispose senza
voltarsi.
« Da Rebecca. »
« Oh, vedo che il vostro rapporto è migliorato.
»
Tom deglutì; Bill non sapeva niente. Di lui, di Rebecca, di
loro due insieme. Nulla di nulla.
Aveva agito come se il fratello fosse a conoscenza di tutto e invece
no, si era completamente dimenticato che né lui
né Gustav sapevano che cosa c’era fra di loro.
Beh, non che i diretti interessati fossero più sapienti a
riguardo.
« Direi ‘evoluto’, non
‘migliorato’. »
Bill aggrottò le sopracciglia, riprendendo gli occhiali in
mano.
« E questo che significa? »
Tom fece spallucce, riprendendo a camminare.
« Niente, sono solo aggettivi. »
Era assolutamente la risposta più stupida che poteva dare.
Bill si strofinò un’ultima volta le mani, sentendo
il brusio oltre quella porta già aperta.
Gustav lo guardò dalla montatura dei suoi occhiali e gli
fece segno di entrare.
Lo stilista mosse un piede dopo l’altro, sentendo la paura
farsi strada nei suoi organi, prendendoli con sé uno dopo
l’altro.
Quando fece il suo ingresso nella sala, sul palchetto che lo
sopraelevava rispetto a tutti i giornalisti, il silenzio
calò. Solo poco dopo, quando si voltò a
guardarli, qualcuno dal fondo iniziò ad applaudire, ma non
tutti si unirono a quel piccolo scroscio.
Bill li fermò tutti sollevando una mano in aria. Sotto il
suo sguardo solo un tavolino in legno rettangolare con un microfono
sopra. Si sedette e sospirò.
I giornalisti lo guardavo come fossero avvoltoi e partirono i primi
flash, mentre le telecamere erano già accese da un pezzo.
« So perché siete qui. » disse Bill.
« Ma non ho le risposte che cercate, purtroppo. Non so
dov’è mio fratello né cosa stia
succedendo esattamente. Tutto ciò che so è che
gradirei essere lasciato in pace, per una volta. »
« E’ vero che era alla sfilata di Listing quando
suo fratello ha cercato di ucciderlo? » domandò
una signora con i capelli corti e un paio di occhiali rotondi poggiati
sul naso, sollevando di poco la mano in aria per prendere parola.
« Mio fratello probabilmente non voleva nemmeno ucciderlo.
» precisò prima di rispondere, « ma
comunque sì, eravamo entrambi alla sfilata. Se
così si può chiamare. ».
Un uomo barbuto sollevò la mano e Bill gli diede la parola
con un cenno della testa.
« In che senso “se così si
può chiamare”? »
Bill sospirò e si studiò le mani.
« Ho visto diversi abiti che riprendevano lo stile delle mie
ultime due collezioni e questa cosa mi ha infastidito non poco. Si sa
che il rapporto fra me e il signor Listing non è mai stato
buono e questo suo azzardo non ha di certo migliorato le cose.
»
« Pensa che suo fratello abbia voluto difenderla? »
Bill fece spallucce.
« Probabilmente sì. »
« E’ sicuro di non sapere dove ora sia? »
domandò un altro giornalista con i capelli rossi.
Bill scosse la testa.
« E’ scappato nel bel mezzo della sfilata e non
l’ho più visto. » mentì.
« Era solo? » domandò una ragazza al
fianco del rosso, con parecchie lentiggini sul viso e gli occhi verdi.
Bill fece spallucce.
« Non lo so. »
« Se la polizia dovesse chiederle di aiutarli nella ricerca
di suo fratello, lei lo farebbe? »
Bill non rispose e trafisse la ragazza con il suo sguardo.
« Non lo so. » anche quella era una bugia.
Rebecca picchiettava con una penna sulla scrivania di Bill, la testa
inclinata da un lato e le maniche della camicetta a righe bianche e
azzurre sollevate fino al gomito.
Tom era seduto in un angolo della stanza, torturandosi il piercing.
« Lo stanno massacrando di domande, me lo sento! »
Rebecca non rispose e continuò a tamburellare con la penna
sul legno.
« Non possiamo farci nulla, lo sai. »
Il ragazzo sospirò e poi si passò una mano sul
viso. Si alzò e iniziò a camminare nella stanza.
« Cosa possiamo fare per risolvere questa situazione?
»
« Tu sicuramente nulla. » rispose Rebecca.
« Non sarebbe prudente lasciarti gironzolare per il mondo,
visto come sei messo. »
« Oh grazie, molto motivante come risposta! »
sbottò Tom.
Rebecca smise di pungere il tavolo con la penna e lo guardò
di traverso.
Tom si fermò e le lanciò un’occhiata,
prima di sbuffare.
« Scusa. » mormorò. « Mi sto
lasciando coinvolgere troppo. »
Rebecca non rispose e lui si avvicinò, avvolgendola fra le
sue braccia.
Lei rispose alla stretta con meno entusiasmo.
« Credo che tutti siamo coinvolti un po’ troppo da
questa storia. »
Tom si allontanò.
« Sarebbe meglio se ci facessimo aiutare dagli altri agenti.
»
La ragazza scosse la testa.
« Rischieremmo di mettere in pericolo anche loro. E non penso
che Bill sarebbe d’accordo vista l’attuale
situazione. »
Tom sospirò e le accarezzò le braccia.
« Pensi che ce la faremo? » gli domandò.
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
« Io sono fiducioso. »
Rebecca inarcò gli angoli delle labbra, formando un leggero
sorriso; le labbra di Tom stavano per posarsi sulle sue quando
sentì il rumore di una sirena farsi fin troppo vicino.
Si immobilizzò e spalancò gli occhi a qualche
centimetro dal viso della ragazza che aveva avuto la sua stessa
reazione.
Rebecca lo spinse via e si avvicinò velocemente alla
finestra. Tom la raggiunse; una pattuglia di polizia stava facendo
irruzione nell’azienda.
« Cazzo! » imprecò Tom indietreggiando
velocemente.
Aprì la porta dell’ufficio di Bill e si
tuffò nel corridoio, Rebecca alle sue spalle.
Scese freneticamente le scale rischiando perfino di cadere e
arrivò al piano terra. Dalla stanza delle conferenze vide
Bill accerchiato di poliziotti e il cuore gli balzò in petto.
Rebecca lo tirò per un braccio verso l’uscita ma
due poliziotti si voltarono e lo videro. Tom iniziò a
correre più veloce che poteva.
Uscirono nel parcheggio e si diressero entrambi verso la macchina di
Bill di cui Tom aveva un doppione, ma questo fermò Rebecca
prendendola per le braccia.
« Tom, ma che… »
« Non puoi. »
Lei cercò di dimenarsi ma lui spostò le mani sul
suo viso colorato di rosso. La guardò dritta negli occhi.
« Non vogliono te, vogliono me. »
« Questo non significa nulla Tom, io voglio venire con te!
»
« Non se ne parla. » si rifiutò lui
scuotendo energicamente la testa ma continuando a tenerle il viso.
« Bill e Gustav hanno bisogno di te, tu lavori per Bill e io
rischierei di metterti in pericolo. »
Rebecca non riuscì a rispondere, mentre i suoi occhi si
dipingevano di una velatura che Tom non aveva mai visto prima
d’allora.
La strinse a sé e le stampò un bacio sulle
labbra, imprimendosi il suo sapore addosso.
Lei cercò invano di tenerlo a sé ma poi la mano
di Tom sfilò via dalla sua e lo vide salire su quella
macchina.
Poco dopo, Tom non era più lì.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Quando Rebecca rientrò in azienda, Bill era circondato dai
poliziotti. Le rivolse uno sguardo fugace e lei abbassò il
viso, insicura.
Gustav arrivò dalla sua sinistra e la tirò per un
braccio, nascondendola agli occhi della polizia che stava interrogando
Bill.
« Che è successo?! »
Rebecca tenne lo sguardo basso, mentre una rana balzava nella sua gola
quasi impedendole di parlare.
« Non lo so… » riuscì a
soffiare.
Gustav aggrottò la fronte, abbassandosi poi per guardarla
meglio in viso.
« Tom? Dov’è? »
Quella volta Rebecca sollevò lo sguardo e Gustav
riuscì a vedere i suoi grandi occhi tremare.
« E’ andato via. »
« Via dove? »
La ragazza scosse la testa e fece spallucce.
« Io non lo so, è salito nella macchina di Bill ed
è uscito dal parcheggio. Non so dove sia andato
né cosa abbia intenzione di fare ma non mi ha lasciato
andare con lui. »
Le labbra di Rebecca tremavano ad ogni parola e non riusciva a guardare
Gustav mentre gli raccontava cos’era successo.
L’agente davanti a lei allargò le braccia e la
abbracciò, sospirando.
« Tom sa cosa può e non può fare. Lo
ritroveremo, vedrai. »
Rebecca non rispose e si limitò ad annuire, poggiando la
testa sul petto di Gustav.
I giornalisti uscirono dalla stanza e dall’edificio
mormorando tra di loro e poco dopo Bill venne scortato dalla polizia.
Gustav lo guardò perplesso e preoccupato contemporaneamente
ma lui gli fece segno con lo sguardo che era tutto apposto e due agenti
salirono nell’ascensore con lui.
Rebecca sciolse l’abbraccio e osservò dove andava
l’ascensore.
« Sono nel suo ufficio. » constatò
Gustav.
Rebecca spostò lo sguardo da un’altra parte,
pensando.
« Io e Tom eravamo lì. »
« Spero che Bill si sia fatto venire in mente qualcosa.
» sussurrò Gustav, mentre altri poliziotti
uscivano dalla sala.
Rebecca iniziò a salire i gradini a gruppi di tre e
arrivò al piano dell’ufficio di Bill. La scrivania
della segretaria era vuota così ne approfittò e
si sedette lì, legandosi velocemente i capelli in una coda
di cavallo per non destare sospetti.
Dalle porte chiuse dell’ufficio di Bill si udivano le due
voci dei poliziotti confabulare qualcosa, ogni tanto Bill rispondeva
alle loro domande e poi si udiva qualche rumore sommesso.
Gustav uscì dall’ascensore nell’esatto
momento in cui gli agenti uscirono dall’ufficio di Bill e a
Rebecca bastò un’occhiata all’altro
agente per capire che dovevano parlare con il loro capo.
Bill era seduto dietro la sua scrivania, nella sedia in pelle nera.
Si voltò a malapena quando li vide entrare.
« Hanno ricevuto una chiamata. » disse. «
Me l’hanno riferito poco fa. »
Gustav e Rebecca si guardarono sbigottiti.
« Chi può avergli detto che Tom era qui se lo
sapevamo solo noi tre? » domandò lui.
Bill non rispose, fissando il vuoto.
Gustav sospirò, sapendo qual era la risposta.
« C’è un altro infiltrato, quindi.
»
Bill annuì guardandolo. Poi spostò lo sguardo su
Rebecca.
« Cos’è successo? »
Lei inspirò profondamente, sperando di non apparire fragile
agli occhi di Bill.
« Eravamo qui nel tuo ufficio, stavamo parlando. Poi abbiamo
sentito il rumore di una sirena e abbiamo visto un’auto della
polizia parcheggiarsi qui giù. Tom è corso fuori,
l’ho seguito ma ha preso la tua macchina e non ha voluto che
andassi con lui. »
Bill sbuffò e poi batté un pugno sulla scrivania
in legno.
« Porca puttana, dovevi fermarlo! »
sbraitò.
Rebecca lo fissò perplessa.
« Ho cercato di farlo ma non mi ha ascoltato! »
replicò.
« Hai idea di cosa significhi adesso sapere che Tom sta
girando da solo mentre mezzo mondo lo cerca?! »
Gli occhi di Rebecca si colorarono di un rosso intenso.
« Pensi di essere l’unico che tiene a Tom qui
dentro?! Credi forse che sei solo tu quello che non ci dorme la notte,
quello che si preoccupa per la sua incolumità e che spera
che tutto vada per il verso giusto, Bill? Beh mi spiace deluderti ma
non lo sei! Ci siamo in mezzo tutti quanti e anche io ho paura per Tom,
forse tanta quanta la tua. »
Lo stilista non rispose e rizzò la schiena che aveva
incurvato quando aveva battuto il pugno sulla scrivania.
Gustav guardò prima lui poi Rebecca, entrambi con la fronte
aggrottata e pronti a sputarsi qualsiasi cosa addosso.
« Ragazzi, facciamo così. Adesso ci sediamo tutti,
niente pugni, niente strillate e troviamo un modo per salvare il culo
di Tom così siamo tutti più tranquilli, mh?
»
Rebecca spostò lo sguardo sul pavimento e poi su Gustav,
annuendo.
Bill si sedette sul divano della sua casa, la schiena a pezzi.
Tirò la testa indietro con un sospiro e il viso di Tom gli
comparve per qualche istante.
Dove diavolo era?
Aprì di nuovo gli occhi e cercò con lo sguardo il
telecomando. Lo vide nel tavolino davanti a sé, lo prese e
poi accese la TV, iniziando a fare un po’ di zapping.
Maledizione, non era possibile che le cose peggiorassero giorno dopo
giorno. Ora dopo ora.
Il giorno prima Tom era appena tornato e in quel momento era sparito di
nuovo, rifugiatosi in chissà quale losco posto.
Bill scosse la testa pensando fra sé e sé. Una
situazione come quella non era stata prevista nemmeno pensando al
peggiore dei casi, eppure era successa. C’erano dentro tutti
ormai e mettere in mezzo anche altri agenti non gli sembrava il caso.
Lui, dopotutto, voleva solo trovare Tom in quel momento.
E Rebecca, per l’amor del cielo. Che diavolo era successo fra
Tom e Rebecca per cambiare il loro rapporto così tanto? Non
si odiavano fino a qualche tempo prima?
Era tutto un incredibile casino, era come se Bill si trovasse in mezzo
a un ciclone. O almeno la sua testa sembrava esserlo. Un vortice di
pensieri che lo trascinava sempre più giù ogni
secondo che passava. Poteva forse andare peggio? La risposta
arrivò con un servizio alla TV.
Non era vero che le cose potevano peggiorare solo ora dopo ora ma anche
istante dopo istante.
Bill afferrò freneticamente il telecomando e alzò
il volume per poter udire meglio.
« Non è possibile.. »
biascicò.
« Possibile
che la security non sia in grado di svolgere il proprio lavoro?
Stamattina è stato trovato il cadavere di Georg Listing. A
dare l’allarme la sua segretaria che era entrata nel suo
ufficio per consegnargli delle lettere. La polizia ha già
iniziato le indagini ma non è sconosciuta a nessuno la fuga
del fratello gemello dello stilista Bill Kaulitz, Tom. Kaulitz aveva
cercato in precedenza di aggredire Listing nel backstage di una sua
sfilata alla quale anche il fratello aveva assistito. Tom ora
è ricercato dagli agenti della polizia come possibile
assassino; per ora non ci sono altri sospetti. »
Bill lasciò andare il telecomando e si fiondò a
prendere il telefono. L’ora non era delle migliori e lui lo
sapeva bene, ma nemmeno la situazione era da trascurare.
Il telefono fece qualche squillo, poi qualcuno rispose.
« Gustav? »
« Bill? »
Questo fece un mezzo sospiro di sollievo.
« Ho bisogno di te e di Rebecca. Ora. »
Gustav restò in silenzio qualche istante.
« Dove sei? »
« A casa mia. Ma ci troviamo in azienda fra
mezz’ora ok? »
Gustav annuì con un mugugno.
« Avviso Beky. »
L’agente riattaccò senza aspettare risposta e Bill
lasciò il telefono su un mobile, andando poi ad infilarsi
una giacca e a prendere le chiavi della macchina.
Doveva esserci stato uno sbaglio. Tom non poteva assolutamente aver
ucciso Georg. Con che mezzi poi?
Quando era uscito dall’azienda non aveva niente o almeno
Rebecca non aveva accennato a nessuna arma in suo possesso. Che in
macchina ci fosse qualcosa? No, Bill conosceva ogni singolo centimetro
del suo mezzo.
Entrò in macchina, mise in moto e poi partì verso
la sua azienda.
Doveva esserci un malinteso. Ne era perfettamente sicuro.
Rebecca entrò per ultima nell’ufficio di Bill.
Le luci dell’azienda erano tutte spente eccetto quella che
illuminava la loro stanza.
Bill la scrutò.
« Io non ci credo. » proclamò Gustav.
« E’ impossibile. »
Rebecca inspirò e incrociò le braccia sul petto.
« Tom aveva qualche arma con sé? » le
chiese Bill, ignorando le frasi di Gustav.
La ragazza scosse la testa.
« Non aveva nulla, qui si sentiva al sicuro. »
« E’ altamente impensabile che Tom sia andato di
là a fare fuori Georg! Sarebbe venuto prima qui da noi o
almeno avrebbe cercato di avvertirci! »
« Avvertirci di cosa? Che voleva sbarazzarsi di Georg una
volta per tutte? » sbottò Bill, guardando Gustav
di traverso. Lui restò quasi paralizzato mentre Rebecca
scioglieva le braccia.
Avanzò lentamente verso Bill.
« Non crederai davvero che Tom abbia potuto fare una cosa del
genere. »
Bill lasciò saettare lo sguardo su di lei e poi sulla sua
scrivania in quel momento vuota.
« Cristo santo, Bill! Stiamo parlando di Tom! »
« Stiamo parlando di Tom che fugge da qui perché
qualcuno fa la spia. Un Tom incazzato a morte con Georg per tutto
quello che ha combinato fin’ora. Un Tom probabilmente fuori
di sé. »
« Un Tom ricercato da quasi mezzo mondo! » aggiunse
Gustav, colorandosi in viso. « Pensi che tuo fratello sia
così stupido?! »
Bill scosse freneticamente una mano in aria.
« Io non penso che Tom sia stupido, penso solo
che… ah, ma che diavolo sto dicendo.. »
Si passò una mano sul viso e poi la premette contro la
fronte, trattenendo il respiro. La sua testa stava per scoppiare, ne
era sicuro.
Le pareti di quella stanza sembrarono essere tremendamente piccole e
quasi gli pareva che si stessero restringendo sempre di più.
Bill sentì quasi l’impulso di alzarsi e scappare
da quell’azienda per uscire e prendere una boccata
d’aria fredda, in modo da riordinargli le idee. Ma Gustav
parlò per lui.
« Dobbiamo trovarlo e in fretta. Soprattutto prima della
polizia. »
Rebecca annuì.
« Come? » domandò Bill, ancora con le
mani davanti al viso e gli occhi chiusi.
Quella domanda vagava nella stanza come un fantasma e tutti e tre
sapevano che era praticamente impossibile trovare Tom.
« Un modo lo troveremo. » sentenziò
Rebecca.
Bill si levò le mani dagli occhi e sollevò lo
sguardo, osservandola da capo a piedi.
Perché Tom? Perché suo fratello e non Rebecca?
Si sentiva una bestia a fare quel ragionamento, ma il fatto che fosse
Tom quello in pericolo gli annebbiava ulteriormente la mente. E senza i
consigli di Tom, sentiva che l’azienda poteva andare perduta.
« Che c’è? » gli
domandò la ragazza. Bill l’aveva fissata tutto il
tempo.
Lui spostò lo sguardo da un’altra parte.
« Siete sicuri che potremmo farcela? »
« Ti abbiamo mai deluso? » replicò
Gustav.
Bill poggiò lo sguardo su di lui e abbozzò un
sorriso tirato.
Era vero, non l’avevano mai deluso. Perché
dubitare di loro proprio in quel momento? Dopo che si erano dimostrati
pronti a tutto e dopo che avevano rischiato così tanto per
lui e per l’azienda?
Non era giusto che dubitasse di loro. Doveva fidarsi.
E decise di farlo.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Tom tossì rumorosamente, stringendosi negli unici abiti che
aveva con sé.
Quella sera faceva abbastanza freddo e si era nascosto in un parcheggio
sotterraneo, sapendo che la polizia lo stava cercando in lungo e in
largo. L’unica cosa che lo distraeva un po’, era la
radio.
La sua testa era un vortice di mille pensieri diversi.
Non poteva di certo stare in quel parcheggio tutta la vita ed era
sicuro che ci fossero delle telecamere di sicurezza e che prima o poi
qualcuno avrebbe notato la sua presenza. Ma girare con l’auto
di Bill era ancora meno prudente e rubarne un’altra era
assolutamente fuori discussione.
Lui non era un criminale.
Non capiva ancora che diavolo fosse successo; perché la
polizia avesse fatto irruzione nell’ufficio e come facevano a
sapere che lui era lì? Cosa sarebbe accaduto a Bill, allora?
Avrebbero iniziato ad indagare anche su di lui?
Scosse la testa cercando di scacciare quel pensiero, ma come
spostò la mano verso il sedile accanto al suo, non
poté non pensare al fatto che fosse estremamente solo.
Isolato da tutto e da tutti.
Rebecca non c’era. Non era lì con lui ed era solo
colpa sua; lui le aveva detto di non seguirlo e sempre lui era fuggito
via da solo.
L’aveva fatto per proteggerla, certo, ma in quel momento
sentiva che la presenza di Rebecca sarebbe stata decisamente
più confortante di quella radio.
Radio che, manco a farlo apposta, non stava trasmettendo affatto buone
notizie.
« Ed ora
passiamo alla cronaca nera. E’ un giallo quello della morte
dello stilista Georg Listing. »
Tom si irrigidì e fissò imperterrito e stupito la
radio.
« La sua
segretaria dichiara di aver trovato il suo cadavere nel suo ufficio, ma
del colpevole nessuna traccia. »
Ci fu un momento di pausa dove il giornalista si schiarì la
voce e Tom alzò il volume, con un pessimo presentimento.
« Gli agenti
della polizia non escludono un possibile coinvolgimento di Tom Kaulitz,
fratello gemello del noto stilista Bill. Tom è ricercato per
tentato omicidio verso Listing, il quale ha subito sporto denuncia. Il
ricercato ha lasciato perdere le sue tracce ma la polizia è
stata avvisata della sua presenza nell’azienda del fratello.
Quando gli agenti sono arrivati, Bill stava dando una conferenza e Tom
sembrava essere nel suo ufficio a rovistare fra la sua roba. Bill
dichiara di non aver aiutato suo fratello e quest’ultimo
è fuggito rubando l’auto dello stilista. Che abbia
voluto completare il suo macabro desiderio? »
Tom si lasciò sprofondare nel sedile mentre alla radio
cambiavano argomento parlando del meteo.
Com’era possibile tutto quello?
Sentì il cuore battergli veloce in petto;
quell’ansia era snervante e per di più aveva paura.
Non poteva stare lì imbambolato. La polizia lo stava
cercando, sì, ma almeno Bill doveva sapere.
Era sicuro che Bill avrebbe potuto fare ben poco, ma dirglielo, fargli
sapere che lui era innocente era di vitale importanza. Più
importanza della sua libertà stessa.
Si mise il cappuccio in testa e aprì lo sportello, uscendo
poi dal mezzo. Il parcheggio era immenso e i suoi passi echeggiavano
infinitamente.
Era tutto tremendamente sconvolgente.
Gustav entrò a passo sicuro nell’azienda, dentro
la sua tuta mimetica. Il cartellino “Arold” era
attaccato nel taschino sinistro della parte superiore della divisa e
Gustav girava indisturbato nel palazzo.
C’era un via vai mostruoso di stilisti, fotografi, modelle e
segretarie ma nessuno sembrava far troppo caso a lui.
Aveva già una scusa pronta nel caso qualcuno
l’avesse bloccato, ma non ci pensava nemmeno. Era troppo
impegnato a girare con un paio di lenti a contatto colorate e graduate,
ammirando quanto più riusciva a vedere senza la montatura
sul suo naso.
Si intrufolò nell’ascensore e avvicinò
il viso al bordo della divisa, trovandosi solo.
« Non mi hanno ancora fermato, adesso controllo negli uffici.
»
Dal furgoncino blu, Rebecca era seduta davanti al pc e anche se non
vedeva niente, udì le parole di Gustav. Al suo fianco
c’era Viktor, un agente proveniente dalla Russia che Bill
aveva temporaneamente affiancato a Rebecca mentre Gustav era andato in
ispezione.
Viktor le fece segno con il viso che era una cosa buona e Rebecca
annuì con la testa. Era una situazione completamente
ridicola. Aveva lavorato così tanto tempo da sola che ci
aveva messo un po’ per abituarsi alla collaborazione con Tom
e Gustav. E adesso, stare fianco a fianco con Viktor non era di certo
più rilassante o entusiasmante.
Gustav uscì dall’ascensore e si trovò
in un corridoio completamente isolato. Si sentivano delle voci da oltre
le porte ai suoi lati, ogni tanto qualche risata ma nulla di
più.
Si voltò a destra e poi a sinistra e vide il bancone della
segretaria lasciato al proprio destino. Sopra c’erano dei
fogli.
Gustav si avvicinò e iniziò a dare
un’occhiata ai documenti sparsi la sopra.
Qualche delega, pubblicità varia e poi… un
momento.
Avvicinò le mani verso un pezzo di carta leggermente
più spesso degli altri e vide che era un fascicolo. Sembrava
una proposta di pubblicità o roba del genere. Gustav non ci
capiva tanto di quella roba. Lo sfogliò un po’,
leggendo qualche parolina qua e là e poi arrivò
all’ultima pagina. Strabuzzò gli occhi per via
delle lenti a cui non era decisamente abituato e vide la firma di Georg
che autorizzava tutto. Era datata il giorno stesso.
Com’era possibile che Georg avesse firmato se era morto?
Sentì dei rumori provenire dall’angolo alla sua
destra e si allontanò velocemente dal bancone, nascondendosi
dietro un pilastro.
Udì dei passi uscire dall’altro corridoio e
trattenne il respiro, per paura di essere scoperto.
« Perfetto Margaret, grazie mille. Mi raccomando, ricordati
di non rivelare il nostro segreto a nessuno, intesi? »
« Certo signor Listing, lo terrò presente.
»
Gustav ebbe quasi un sussulto.
Signor Listing.
C’erano due risposte a quelle due paroline: Georg poteva
avere un figlio o un parente, oppure Georg non era mai morto. Un
po’ inspiegabile come ipotesi, ma a Gustav rimaneva in mente
come un grosso punto di domanda.
Si sporse leggermente da oltre il pilastro e vide un uomo incurvato
sulla scrivania che controllava dei documenti. La segretaria stava
andando nell’ascensore.
Gustav corse velocemente in un altro corridoio lì vicino,
badando di non essere visto. Ma i suoi movimenti non erano propriamente
leggiadri, e l’uomo voltò il viso da una parte e
dall’altra.
Gustav lo vide perfettamente.
Somigliava troppo a Georg per essere un suo parente, a meno che lui non
avesse un fratello gemello come i Kaulitz.
C’era solo una differenza: questo nuovo Georg aveva i capelli
corti. Non c’era più la chioma lunga e liscia per
la quale tutti lo conoscevano.
L’uomo si voltò i nuovo sui fogli e poi ne prese
una manciata in mano, allontanandosi verso gli ascensori.
Gustav tirò un sospiro di sollievo e cercò il
microfono nel bordo della divisa ma cambiò subito idea,
ritenendo più saggio trovare un altro luogo più
isolato.
Sentì l’ascensore aprirsi; l’uomo
probabilmente ci stava entrando in quel momento.
« Salve Karl. »
« Buongiorno Georg. »
Bingo!
L’ipotesi più improbabile era appena stata
confermata: Georg era vivo e vegeto e controllava ancora
l’azienda.
Lasciò il corridoio e Gustav si trovò
completamente solo. Si avvicinò con passo svelto verso
l’ascensore e lo chiamò. Quello arrivò
poco dopo e Gustav si infilò subito dentro. Non voleva dare
la notizia bomba tramite microfono, preferiva darla a voce a tutti
quanti.
Non restava far altro che uscire da quell’edificio, no?
L’ascensore si aprì e Gustav fu investito da una
marea di gente che camminava avanti e indietro. Si immischiò
fra di essa e si diresse verso la porta secondaria dalla quale era
entrato.
Era quasi arrivato, quando una mano lo afferrò per una
spalla, voltandolo con forza.
« Dove credi di andare? »
Chi gli parlava era un uomo alto e con una chioma corta e brizzolata.
« Ehr… io? »
« Sì, tu. I vetri del secondo piano sono ancora da
fare, muoviti! »
Piombò di nuovo dentro l’ascensore, trovandosi
affianco una donna che teneva fra le mani un secchio verde scuro e due
stracci.
Avrebbe dovuto avvertire Rebecca che faceva tardi.
Bill era tartassato dalle telefonate ma in quel momento le aveva
bloccate tutte per parlare con la polizia che era venuta a fargli
un’altra delle loro calorose visitine.
Continuava a dire che non aveva visto Tom, che non aveva avuto notizie
sue e che sì, aveva denunciato la macchina che il fratello
aveva rubato.
La polizia non gli credeva, ne era sicuro, ma lui non poteva farci
nulla: non aveva davvero avuto notizie di Tom, né sapeva che
diavolo fosse realmente successo nell’azienda di Georg.
Rebecca entrò di soppiatto nell’ufficio
spalancando la porta e si immobilizzò alla vista dei due
agenti. Uno di questi era in piedi mentre l’altro stava
seduto davanti alla scrivania di Bill. Si voltarono entrambi a
guardarla.
« Lei chi è, prego? » le chiese quello
in piedi, con i capelli corti e neri e gli occhi scuri.
Rebecca lo fissò ammutolita e non seppe cosa rispondere.
Lanciò uno sguardo a Bill che la guardò con le
sopracciglia inarcate, visibilmente provato dalla discussione con i due.
Rebecca spostò di nuovo lo sguardo sull’agente,
leccandosi le labbra improvvisamente secche.
« La sua ragazza. »
Il poliziotto corrugò un poco la fronte e Bill la
fissò perplesso.
« La sua ragazza? » domandò il secondo
agente, che poi si voltò a guardare Bill.
Questo annuì con la testa e poi si grattò un
sopracciglio.
« Sì, io e Ivy stiamo insieme da un po’
ma lo sanno solo pochi amici intimi. »
Rebecca annuì con la testa, imprimendosi nella mente il
fatto di essere temporaneamente Ivy.
I due agenti non sembrarono proprio convinti, ma non dissero nulla a
riguardo e si limitarono ad annuire con la testa.
Seguì qualche istante di silenzio, interrotto poi da Bill
che si alzava dalla sua poltrona.
« Se non vi spiace, gradirei che ora lasciaste il mio
ufficio. Vi ho già detto tutto quello che so. »
L’agente seduto si alzò con uno scatto.
« Certo, non si preoccupi. La ringraziamo per il suo aiuto.
» disse quello in piedi.
I due abbandonarono la stanza con un cenno del capo e si chiusero la
porta alle spalle.
Rebecca aspettò un po’ prima di avvicinarsi alla
scrivania di Bill e piantarci sopra i pugni chiusi.
« Gustav non è ancora rientrato. »
sibilò a denti stretti, fissando Bill negli occhi.
« Viktor è ancora giù? »
« Sì e non siamo venuti a capo di niente. Gustav
non s’è più fatto sentire, sembra
essersi perso nel nulla. »
Bill si risedette nella poltrona e socchiuse leggermente gli occhi.
Rebecca lo guardò preoccupata.
« Ti hanno fatto sempre le stesse domande, vero? »
Bill sospirò e si voltò da un’altra
parte, spostando le mani dal suo viso stanco.
« Sì, le solite cose. E le solite risposte. Se
solo sapessi come aiutare Tom… »
« Ci stiamo provando e troveremo un modo, vedrai. Non abbiamo
mai fallito e non accadrà neanche questa volta. »
Bill annuì senza guardarla e stava per risponderle, quando
il telefono squillò. Chiuse leggermente le palpebre prima di
risponde in modo annoiato.
« Ok, arrivo subito. »
Si alzò dalla sedia e si allontanò verso la porta.
« Problemi? »
« Sono pronti i nuovi modelli, vado a dargli una
controllatina. Tu stai qui, torno fra 10 minuti e andiamo insieme da
Viktor. »
Rebecca annuì e Bill lasciò la stanza.
Dio quanto odiava quella situazione. Sapere che Tom era da qualche
parte la fuori ma contemporaneamente non avere la minima conoscenza di
dove diavolo si fosse cacciato. Vedere Bill in quelle condizioni,
l’azienda avere sempre più problemi. E poi non
sapere che diavolo stesse facendo Gustav, perché non si era
ancora fatto sentire.
Erano troppe preoccupazioni e troppi punti di domanda che andavo
risolti il prima possibile.
Rebecca osservò la scrivania incasinata di Bill.
C’era una foto di sua madre incorniciata, un’altra
di lui e una marea di stilisti accanto e una terza con lui e Tom da
piccoli. Al centro della scrivania c’erano dei fogli bianchi
e qualche disegno qua e là. I cassetti erano tutti chiusi e
c’era una lampada spenta e staccata dalla corrente posta in
un angolo.
Rebecca si spostò di nuovo per guardare le foto ma la porta
si aprì ed entrò un uomo incappucciato. Era molto
alto e aveva il fiatone. Chiuse di botto la porta e Rebecca prese di
scatto la lampada con l’intento di difendersi spaccandogliela
in testa. Ma poi la figura si voltò togliendosi il cappuccio
e vide chiaramente dei cornrows neri e due occhi ambrati illuminati dal
sole che entrava dalle grandi finestre dell’ufficio di Bill.
Lasciò andare la lampada poggiandola di nuovo sulla
scrivania.
« Tom » soffiò.
Il ragazzo non disse nulla ed emise un verso simile ad un sospiro.
Rebecca gli si fiondò addosso, legando le braccia attorno al
suo corpo. Era gelido.
Le loro guance si strofinavano l’una con l’altra e
poteva sentire chiaramente la pelle fredda di Tom. Da dove era
arrivato? E perché?
« Come stai? » gli domandò prendendogli
il viso fra le mani. Lui le strinse con le sue, riscaldandosi.
« Non è questo che importa, non ho molto tempo,
credo mi abbiano visto. »
Fissò Rebecca negli occhi, impaurito.
« Non sono stato io. » mormorò.
Lei capì a cosa si riferiva e in cuor suo ammise di averci
sempre sperato.
« Non ho ucciso io Georg, non ho fatto nulla di tutto quello
che dice la gente. Sono rimasto tutto il tempo nascosto in un
parcheggio e ti giuro che non ho mosso un passo verso di lui o verso la
sua stupida casa di moda. »
Rebecca lo abbracciò di nuovo, stringendolo a sé.
« Lo so Tom, lo so. Sapevo dal principio che non potevi
essere stato tu, per questo Gustav è andato a scoprire
qualcosa. »
Tom le prese le mani e le strinse forte.
« Qualsiasi cosa accada, promettimi che non farai cazzate,
intesi? Dovrai pensare a metterti in salvo e non voglio che nessuno
rischi la pelle per me. »
« Non vorrai scappare di nuovo. »
mormorò lei.
« Che altre alternative ho? »
Rebecca scosse energicamente la testa.
« Tutto ma non questo! Non ti lascerò andare via
un’altra volta, non senza di me! »
Tom sospirò, ma Rebecca lo zittì in partenza.
« O vengo con te o tu resti con me. »
Il ragazzo la guardò, sperando che cambiasse idea. Ma
Rebecca era testarda e quello lo sapeva molto bene. Non si faceva
mettere i piedi in testa da nessuno.
Stava per rispondere, quando la porta venne aperta di nuovo da Bill.
Tom gli sorrise ma lo sguardo del fratello era tutt’altro che
sereno; alle sue spalle c’erano due agenti di polizia.
Rebecca lasciò immediatamente le mani di Tom e gli si
piazzò davanti.
Bill rimase impalato mentre i due agenti estrassero le pistole.
« No! » strillò Tom, sollevando le mani
in aria. Prese poi Rebecca per le braccia e la spostò. Lei
lo guardò perplessa e spaesata contemporaneamente.
« Che diavolo stai facendo?! »
Tom non le rispose e la allontanò, spostandola verso Bill.
I due agenti abbassarono le pistole. Tom si stava davvero arrendendo?
Bill lo guardava col cuore in gola; lui e gli agenti erano uno di
fronte all’altro, entrambi disarmati.
Tom fece un passo verso di loro, uno dei due aveva già le
manette pronte, ma poi scattò verso la porta aperta e
fuggì nel corridoio.
Rebecca lo seguì precedendo i poliziotti e Bill
urlò invano il nome del gemello.
Tom schizzò nel corridoio e cercò di chiamare gli
ascensori ma non ne trovò uno libero, così scese
per le scale. Arrivò nel secondo corridoio e si
lanciò fra la gente che lo guardava perplessa, ma poi
rallentò: era pieno zeppo di agenti di polizia e non
c’era nessuna porta che lo conducesse alla libertà.
Rebecca arrivò come un lampo e lo tirò via per un
braccio, ma Tom la fermò.
« Non posso, devono prendermi! » disse. «
Tu sai, avverti Bill, Gustav, chiunque puoi e tirami fuori. Ok?
»
Rebecca non capì subito perché Tom faceva
così, ma annuì.
Tom stava per baciarla quando venne scaraventato via da alcuni
poliziotti che lo lanciarono contro un muro. Lo fecero girare,
ammanettandolo.
« Lei è in arresto per tentato omicidio, furto e
latitanza. » disse un agente. « Le consiglio di
trovarsi un buon avvocato o tutto ciò che dirà
potrà essere usato contro di lei. »
Tom si vide spinto via, in mezzo a tutta quella gente. Rebecca lo
guardò senza parole, mentre la polizia lo portava via.
Bill raggiunse la scena mentre Tom usciva a testa bassa, con le manette
alle mani e un poliziotto per braccio. Gustav arrivò in quel
momento e rimase alquanto perplesso.
« Tom? »
Il ragazzo sollevò lo sguardo e lo vide, ma non disse nulla.
Scosse solo la testa, e poi gli agenti lo portarono via dagli occhi di
tutta quella gente.
Gustav vide Rebecca muta in un angolo e poi Bill da un’altra
parte, chiedendosi cosa diavolo fosse successo. I mormorii attorno a
lui iniziarono a dargli fastidio e si districò in mezzo alla
gente. Prese Rebecca per un braccio e spinse Bill per la schiena.
Dovevano parlare. Urgentemente.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Gustav chiuse con un tonfo la porta dell’ufficio di Bill e
quando si voltò lo vide in piedi, distante da Rebecca che si
stringeva nelle braccia. Entrambi avevano il volto basso.
« Che diavolo è successo?! »
Lei sospirò.
« E’ tornato perché voleva che noi
sapessimo che non è stato lui ad uccidere Georg. »
Bill la guardò.
« Grazie al cielo! » esclamò,
visibilmente sollevato.
« Certo che non è stato lui! »
sbottò Gustav, diventando rosso in viso. « Georg
non è mai morto! »
Bill e Rebecca lo guardarono sorpresi.
« Come?! » domandarono all’unisono.
Gustav si schiarì la voce e riordinò le idee.
« Sono stato in azienda da Georg, per vedere se scoprivo
qualcosa, qualsiasi cosa. Arrivato all’ultimo piano,
presumibilmente quello del suo ufficio, ho trovato la scrivania della
segretaria vuota ma sopra c’erano dei documenti. In uno di
questi c’era una sua firma, datata la mattina stessa.
»
Rebecca sbuffò e sollevò le braccia in aria.
« Come puoi dire che è vivo basandoti su una
firma?! Sai bene anche tu che ci vuole ben poco per falsificarla.
»
Gustav le puntò un dito contro.
« Ed è qui che ti sbagli. »
Nei suoi occhi brillava un barlume d’astuzia e ingegno che
Rebecca non riusciva a decifrare.
« L’ho visto con i miei occhi. »
Bill trasalì.
« Hai visto Georg? »
Gustav annuì con la testa.
« Stai scherzando?! » sbottò Rebecca,
più stupita di prima.
Gustav scosse la testa, ammiccando un leggero sorriso.
« E’ sbucato da un corridoio e si è
messo a parlare con la segretaria. Ho pensato che potesse essere un
parente perché aveva i capelli corti e una notevole
somiglianza col Georg che conosciamo noi. Ma mi sbagliavo, è
davvero lui. L’ho sentito parlare con qualcuno e quel
qualcuno l’ha chiamato per nome: Georg. »
« Incredibile » mormorò Bill,
lasciandosi cadere sulla poltrona lì affianco. «
Quindi Tom è indagato per un reato che non ha commesso.
»
« E se non lo tiriamo fuori di là il prima
possibile, potrebbero anche condannarlo. Se Georg è riuscito
ad inscenare il suo omicidio quando invece stava dal barbiere, potrebbe
riuscire a far incastrare Tom. »
Rebecca sentì un groppo in gola.
« Dobbiamo fare qualcosa e alla svelta. Tom deve uscire da
là e Georg deve pagarla cara. »
« Non lasceranno mai andare Tom dopo quello che è
successo. »
« Nemmeno con una cauzione? » domandò
Bill.
Gustav fece spallucce.
« Questo non lo so. »
La situazione era precipitosamente degenerata. Tom era in prigione e
probabilmente sarebbe stato condannato per un reato che non era stato
commesso.
Erano tre cervelli. Dovevano trovare una soluzione e alla svelta.
Tom era stato bruscamente trasportato nella cella e si trovava solo.
Sentiva dei lamenti e dei mormorii provenire dalle altre celle e in
quella davanti a lui c’erano due ragazze che lo provocavano.
« Prostitute » aveva mormorato lentamente, la prima
volta che le aveva viste.
Gli agenti giravano controllando ogni singola cella e Tom aveva ormai
imparato anche i nomi. Erano tre giorni che stava lì dentro
e non sapeva nemmeno per quanto ancora ci sarebbe rimasto. Sapeva solo
che voleva uscire di lì il prima possibile.
I muri della cella erano piastrellati di quello che una volta doveva
essere bianco e la stanza era terribilmente fredda. La brandina sulla
quale dormiva era scomodissima e di certo lui non era abituato a quei
pochi metri quadri di spazio.
Nessuna visita in tre giorni, nessun messaggio da nessun luogo se non
gli ordini degli agenti.
Tom sedeva sul ‘letto’, le braccia poggiate sulle
gambe piegate e il volto che fissava il nulla, perso fra i suoi
pensieri.
Doveva trovare un modo per uscire da la. Doveva trovare una via per far
capire che non era un criminale.
Il punto era: come?
Se solo avesse potuto parlare con Gustav o Rebecca…
« Kaulitz. »
La voce era di Abo, uno dei due agenti che girava sempre nel corridoio.
Tom si alzò dalla brandina e si avvicinò alle
sbarre. Abo era seguito da altri due agenti, uno di questi aveva due
manette aperte.
« Hai visite. » proclamò Abo, facendo
tintinnare le chiavi sulla serratura della cella.
L’agente con le manette entrò nella cella per
primo e ammanettò Tom, badando che non potesse tentare di
fuggire nemmeno col pensiero. Poi lo scortarono fuori, richiudendo la
sua cella.
Mentre camminava nel corridoio, Tom sentiva le altre persone parlare e
qualcuna gli rivolgeva sguardi quasi assassini. Non era un posto che lo
faceva stare tranquillo.
Uscì per entrare in un’altra stanza, e poi lo
portarono oltre un’altra porta. Lì
c’erano due file di tavoli messi a specchio e divisi da
grosse lastre di vetro. I detenuti sedevano da un lato, prendevano il
telefono e potevano parlare con chi gli aveva fatto visita, che sedeva
dalla parte opposta.
Tom perse un battito quando vide Rebecca con i gomiti poggiati sul
tavolino che attendeva guardandosi da una parte all’altra,
spaesata.
Chiusero la porta alle sue spalle e lei sollevò lo sguardo,
vedendolo.
Abo gli levò le manette e Tom si catapultò ad
afferrare il telefono. Rebecca prese il suo.
« Tom » sussurrò, come se stesse
pronunciando un segreto.
Lui abbozzò un sorriso.
« Come stai? »
Fece spallucce.
« Me la cavo. » tralasciò. «
Tu? »
Lei rispose con un cenno della testa.
« Stiamo cercando di tirarti fuori. »
Tom scosse la testa.
« Non dovete fare nulla di pericoloso, lo sai.. »
« Ci serve il tuo aiuto. »
Il ragazzo stette ad ascoltare e Rebecca strinse la cornetta fra le
mani, coprendosi un po’ la bocca.
« Riesci a spiegarmi come sono fatte le celle? »
Tom aggrottò la fronte, cercando di fare memoria.
« Si aprono con la chiave, come tutte le celle del mondo.
»
« E chi ha la chiave? »
« Di solito Abo. » lanciò uno sguardo
fugace alle sue spalle. « Vedi quell’uomo enorme
con pochi capelli in testa neri? »
Rebecca annuì spostando lo sguardo verso la figura che
controllava gli altri detenuti.
« Quello è Abo. Ha lui la chiave per la mia cella,
sempre. »
Rebecca abbozzò un sorriso e abbassò lo sguardo.
« Vedo che hai capito cosa volevo sapere. »
« Abbiamo fatto lo stesso lavoro, no? »
Lei annuì: « Già. »
Lo sentì sospirare e, indecisa, sollevò una mano
verso il vetro. La poggiò sopra di esso e spostò
lo sguardo verso Tom. Lui fece lo stesso, piazzando la sua mano sopra
quella di Rebecca. Era molto più grande, avrebbe potuto
inglobarla ma nonostante ci fosse uno spesso strato di vetro fra di
esse, gli sembrava di poterla toccare.
Rebecca spostò la sua mano e poco dopo Tom fece lo stesso.
C’erano le loro impronte impresse sopra.
« Come sta Bill? » domandò lui.
« E’ preoccupato, ma sta bene. L’azienda
sta andando avanti e sta sistemando tutto con più
facilità di quanto credesse. »
« Almeno qualcosa di positivo c’è.
»
Rebecca avvicinò il viso al vetro per vederlo meglio e si
portò il telefono estremamente vicino alle labbra.
« Ti faremo uscire. Te lo prometto. »
Tom stava per rispondere, quando Abo sovrastò la scena e gli
poggiò una mano sulla spalla.
« Tempo scaduto, amico. »
Tom annuì con la testa e rivolse un ultimo sguardo a
Rebecca. Lei gli sorrise e chiuse il telefono dopo di lui.
Poteva essere passata un’eternità, ma Tom non lo
ricordava.
Rebecca non era più andata a trovarlo e non aveva alcuna
notizia dal mondo là fuori. Soltanto Abo sembrava voler
instaurare un rapporto con lui. In quel momento era poggiato alle
sbarre, mentre Tom era seduto sul suo letto, in completa solitudine.
« Allora, chi è la ragazza che è venuta
a trovarti? La tua fidanzata? »
Tom deglutì.
« Una specie. »
« Come una specie?! O lo è o non lo è.
»
Tom ci pensò, sentendosi in imbarazzo.
« Non lo è ancora. »
Abo sbottò in una piccola risata.
« Come vi siete conosciuti? »
« Colpa di mio fratello, come al solito. Io e lei ci odiavamo
fin dal primo momento e lui ha cercato di mettere le cose a posto.
»
« Beh, tuo fratello ci vede bene, no? »
Tom non rispose.
« Te la sei già portata a letto? »
Il ragazzo rise per la prima volta dopo giorni.
« Dai ma che domande sono! »
« Hey ti sto salvando dal suicidio per noia, andiamo!
» esclamò. « Te lo dico
perché, se fossi stato in te, l’avrei
già fatto. »
« Sai che invece è stata tutta opera sua?
»
« Ma il maschio è lei o sei tu? »
Tom gli fece il verso con una smorfia non divertita e Abo
scoppiò a ridere.
« Lasciatelo dire amico, se quella è venuta fin
qua solo per vederti, ne vale la pena! »
« Viene qui solo perché sa che sono innocente.
»
« Anche io so che sei innocente. »
Tom trasalì.
« Scherzo, ovviamente! »
Avrebbe voluto sganciare un pugno sul viso di Abo per quel minimo di
speranza che gli aveva acceso, ma si trattenne.
« Molto divertente, dovresti fare il comico
anziché il poliziotto. »
« Lo dicono in diversi. »
Tom non rispose, portando la testa all’indietro.
Una porta si aprì e si chiuse subito dopo e Abo si
rizzò in piedi.
« Abo? » domandò chi era appena entrato.
« Sì, sono io. »
« Kaulitz è richiesto per un interrogatorio.
»
Abo tirò fuori le chiavi e Tom si preparò,
sollevandosi dal letto.
« Andiamo amico, devono spremerti ancora un po’
finchè non urlerai che sei tu il colpevole. »
Tom uscì dalla cella senza rispondere a quella provocazione,
e si trovò a sbarrare gli occhi.
Gustav lo ammanettò e lo spinse via.
« Me ne occupo io. » disse ad Abo, strizzandogli
l’occhio. Quello annuì con la testa e richiuse la
cella di Tom.
Gustav lo spinse verso la porta e quando la richiuse, Tom lo
guardò dall’alto verso il basso.
« Da quando fai queste entrate in scena? »
« Stai zitto e fai finta almeno una volta. » lo
ammonì, continuando a recitare la sua parte da poliziotto,
ancora una volta senza occhiali.
Vagò per un po’ da un corridoio
all’altro con Tom al guinzaglio finchè poi
arrivò davanti ad un’uscita d’emergenza.
Guardò prima a destra, poi a sinistra e infine si decise ad
aprire la porta.
« Hai un piano oppure dobbiamo correre? » gli
chiese Tom, accecato dalla luce.
Gustav si coprì gli occhi con una mano e si
guardò intorno.
« Ho un furgone, questo basta? »
Tom sorrise vedendo il furgone messo in un angolo semi-nascosto.
Guardò Gustav, battendogli poi una pacca su una spalla con
le mani ammanettate.
« Ti devo la vita. »
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Rebecca era seduta sul divano rosso, quando Gustav aprì la
porta d’ingresso, facendo capolino con uno sbuffo. Lei si
alzò di scatto e fissò l’uscio. Gustav
entrò vestendo una divisa della polizia e dopo di lui Tom
barcollò goffamente dentro la stanza, ancora con gli abiti
da detenuto.
Rebecca gli saltò addosso stringendo le braccia attorno al
suo collo e Tom per un attimo pensò di aver sbattuto contro
un materasso. Poi però realizzò che non era un
oggetto quello che si stringeva premurosamente al suo collo, ma era lei.
« Ti abbraccerei anche io, ma credo di non poterlo fare.
» borbottò, sconsolato.
Rebecca si scostò e gli fissò le mani
ammanettate, poi sollevò di nuovo lo sguardo.
« In realtà le mani non servono a molto.
»
Lo baciò di soppiatto, senza lasciargli alcun tempo per
ribattere o per realizzare che le sue labbra erano di nuovo con le sue.
Tom sentì le manette estremamente ingombranti; avrebbe
voluto abbracciarla e spogliarla, toccarle la pelle e i capelli ancora
una volta.
Gustav alle loro spalle tossì molto rumorosamente e Tom si
sentì sprofondare in una voragine di vergogna.
Rebecca aprì gli occhi di scatto, le labbra ancora premute
contro quelle di Tom.
Si allontanò lentamente, voltandosi verso Gustav che li
guardava attonito.
Rebecca arrossì spaventosamente e si allontanò da
Tom. Gustav aveva un paio di tenaglie in mano.
« Posso toglierti le manette o preferisci il sadomaso?
»
Tom guardò Gustav rassegnato e superò Rebecca,
seguendolo verso il divano. Gustav si sedette e Tom si mise al suo
fianco, tendendogli le manette. L’agente gli
avvicinò le tenaglie e poi spezzò la catena.
« Grandioso, adesso ho due bracciali. »
Gustav gli prese una mano, trafiggendolo con lo sguardo, e con una
serietà inaudita avvicinò le tenaglie ai polsi di
Tom, che li ritirò indietro immediatamente, alzandosi poi
dal divano.
« Ma sei pazzo?! Quella cosa non entrerà mai fra
il mio polso e la manetta! »
Gustav sbuffò e fissò le tenaglie.
« Hai altre idee? »
« Io sì. » disse Rebecca.
Si sfilò una forcina dai capelli e prese il polso destro di
Tom, cercando di aprire la manetta. Dopo qualche movimento, la
serratura scattò e Tom si trovò con una mano
libera.
« Visto? » la sventolò davanti a Gustav,
mentre Rebecca apriva anche l’altra manetta.
L’agente con gli occhiali sollevò le mani in aria,
arreso.
« Va bene, avete vinto voi. Niente tenaglie. Ma almeno levati
quella sporca divisa di dosso. »
« Non ho vestiti. »
« Bill ha portato un po’ di roba, è
tutto in bagno. »
Gustav gli indicò la stanza e Tom ci entrò,
lasciando la porta socchiusa.
« Abbiamo un piano? »
Rebecca si sedette accanto a Gustav, che rispose alla domanda di Tom.
« Noi sì, tu no. »
« E questo cosa significa?! »
« Significa che resterai chiuso qui in modo che nessuno venga
a scoprire che ti abbiamo aiutato a fuggire, mentre noi ci occuperemo
di trovare un modo per scagionarti. Georg non starà fermo a
lungo, sapendo che sei fuori e sapendo che tu sai che non
l’hai ucciso. »
Tom decifrò il gioco di parole di Gustav e annuì
a sé stesso.
« E se mi trovano? »
« Non ti troveranno. » tagliò corto
Gustav.
« Ma metti il caso che mi trovano. »
« E tu metti il caso che non ti trovano, invece. »
Tom sbuffò, infilandosi i jeans e allacciandosi la cerniera.
« E’ meglio se tu resti in un posto chiuso, al
sicuro e dove nessuno può trovarti. »
Si infilò anche la maglietta, uscendo poi dal bagno.
« In pratica sono passato da una prigione ad
un’altra, no? »
« Tom, lo facciamo per te. » s’intromise
Rebecca.
« Sì, lo so. » annuì.
« Ma credete davvero che qualcosa possa cambiare? »
« Ci stiamo provando. »
« Tenendomi chiuso qui? »
« Senti, vuoi farti arrestare di nuovo? Ok, fallo. Ma
stavolta ci resti in prigione e non verrò di nuovo a
riprenderti, chiaro? » sbottò Gustav, alzandosi in
piedi.
Tom inspirò nervosamente.
« Non era di questo che parlavo, mi riferivo al fatto di
incastrare Georg. »
« A questo ci penseremo noi. » intervenne di nuovo
Rebecca.
Seguì un momento di silenzio che fu interrotto dal citofono.
Gustav si spostò e controllò dal video.
« E’ Bill. » disse rivolto a Tom. Poi
aprì il cancello del palazzo e lo vide entrare.
Poco dopo Bill suonò il campanello; Rebecca era seduta in un
angolo, Tom in un altro che si massaggiava i polsi, e Gustav gli
aprì la porta.
Bill fece capolino e quando vide Tom sano e salvo seduto davanti a
sé, si lasciò sfuggire un sorriso rassicurato.
I due si abbracciarono, Tom stringeva Bill a sé.
« Tuo fratello sta programmando di farsi riprendere dalla
polizia. » sentenziò Gustav.
Bill si allontanò e guardò Tom interrogativo.
« Oh andiamo! Ho solo detto che lasciarmi chiuso qua dentro
non migliorerà le cose! »
« Intanto sei qui e non lì, e questo migliora di
molto le cose. » replicò Bill, stizzito.
Tom sollevò le braccia in aria, roteando poi gli occhi.
« Va bene, non mi muovo da qui. »
Gustav sospirò e mormorò un “Era
ora” sollevato, dirigendosi verso la cucina.
« Qualcosa da bere? »
Nessuno rispose, solo Rebecca scosse la testa e Bill si sedette al suo
fianco.
« Ho bisogno di chiederti un favore. »
Lei lo guardò un po’ preoccupata.
« Non sono ancora riuscito a sostituire Jolanda e tu sai che
tengo molto ad ogni linea che creo.. mi hanno chiesto di fare una
seconda sfilata per le reti televisive e gioverebbe molto
all’azienda e alla sua immagine. Anche perché
ultimamente… »
« Sì, ho capito. »
« Mi chiedevo se ti andasse di sfilare di nuovo per me. Mi
saresti di grande aiuto. »
Rebecca abbozzò un sorriso e abbassò lo sguardo,
pensandoci su.
« Va bene, certo. »
Bill sfoggiò un enorme sorriso e la abbracciò,
inaspettatamente.
« Ti ringrazio, sei la mia ancora di salvataggio! »
Tom vide l’espressione stupita di Rebecca e trattenne una
risata, mentre Gustav sembrava essere sparito in cucina.
Rebecca batté più volte la mano sulla schiena
ossuta di Bill che si scostò con un sorriso, rimettendosi al
suo posto. Gustav riuscì con un bicchiere scuro fra le mani,
che poi portò alle labbra, sorseggiandolo.
« Ho bisogno di voi domani in azienda. » disse
Bill, guardandolo. « Di te e di Rebecca. »
« E di me? » s’intromise Tom.
Bill lo guardò.
« Tu non ti muovi da qui. »
Tom aprì bocca per ribattere, ma Gustav lo trafisse con lo
sguardo e allora si zittì.
« Starai da Gustav finché la situazione si
sarà sistemata. E con sistemata intendo finché
Georg sarà dietro le sbarre. »
« Oh fantastico! » sbuffò Tom.
Gustav represse una decina di ramanzine.
« Io comunque un’idea l’avrei. »
Tom aveva cercato di sistemare l’appartamento di Gustav,
abbandonato ad una terribile noia, chiuso da solo in quelle quattro
mura. Rebecca e Gustav erano in azienda da Bill per chissà
quale piano messo su in qualche ora e lui si sentiva tremendamente
inutile.
Dopo essersi assicurato che ogni spillo della casa fosse al proprio
posto, si concesse un bagno caldo, per rilassare i nervi e magari per
trovare qualcos’altro da fare.
Così si era lasciato andare a quella goduria, immerso in una
nuvola di schiuma e di aromi che probabilmente solo Gustav conosceva.
Apprezzava il fatto che si stessero tutti interessando a lui, ma quella
situazione non gli piaceva; stare chiuso in una casa che non era
nemmeno la sua senza poter uscire nemmeno per fare la spesa lo faceva
sentire tremendamente inutile e imprigionato in una situazione che
sembrava essere senza via d’uscita.
Si sciacquò e poi uscì dalla vasca portandosi un
asciugamano attorno alla vita e fissandosi allo specchio. Doveva farsi
la barba.
Cercò nei vari mobili di Gustav qualche lametta e la schiuma
da barba e quando la trovò si piazzò davanti al
vetro appannato dello specchio, iniziando a passarsi la schiuma sulle
guance.
Il freddo del prodotto risvegliava i suoi sensi, al contrario del
calore sospeso nella stanza.
Tom armeggiò con cura la lametta che scorreva sulla sua
pelle, e quando fu soddisfatto del risultato, si sciacquò di
nuovo il viso. Poi prese i jeans e iniziò a vestirsi.
Aveva già infilato i pantaloni, quando sentì la
serratura scattare, e si fermò.
« Gustav? » chiamò, ma nessuno rispose.
Aprì la porta e il vapore iniziò ad uscire dalla
stanza, mentre l’aria fresca della casa si poggiava sulla sua
pelle ancora umida.
Fece qualche passo avanti, guardandosi attorno.
« Gustav sei tu? »
Ancora nessuno risposta. Pensò di aver udito male, e
scrollò le spalle.
Fece per rientrare in bagno, quando sentì dei passi sommessi
nel salotto; c’era davvero qualcuno allora.
Deglutì leggermente agitato, e si infilò
velocemente la maglietta, uscendo poi dal bagno.
Camminò nel corridoio e guardò dentro le due
stanze da letto; la sua e quella di Gustav. Erano vuote e sembrava che
non ci fosse entrato nessuno.
Poi fece capolino in soggiorno e a primo impatto non vide nessuno.
Così fece qualche passo dentro la stanza, ma sembrava vuota.
Si avviò verso la cucina e vide un’ombra muoversi
alle sue spalle.
Si voltò di scatto e vide una figura saettare nel corridoio
oltre il soggiorno. Tom velocizzò il passo e la
seguì.
Svoltò, ma non vide nessuno.
Camminò lentamente, controllando che nessuno sbucasse
davanti a lui. Superò la stanza di Gustav e si diresse verso
la sua. Qualche istante dopo due mani si strinsero attorno al suo collo
e Tom si trovò strozzato, l’aria che non arrivava
più ai suoi polmoni.
« Così facciamo i furbi eh »
sentì una voce calda e maschile pronunciargli la frase
all’orecchio e d’istinto portò
velocemente indietro il braccio, colpendo l’uomo con il
gomito. Questo mollò la presa e Tom si allontanò
velocemente, riprendendo a respirare. Si voltò e lo vide.
« Ian. » soffiò.
Quello lo guardò con i suoi piccoli occhietti e poco dopo
gli si scaraventò addosso.
Tom attutì il colpo e contrattaccò, spingendo via
Ian. Questo sbatté contro un mobile di Gustav, rovesciando
un vaso di fiori che andò in frantumi.
Dal soggiornò si udì la porta aprirsi e
successivamente chiudersi di nuovo e la voce di Rebecca
arrivò dritta alle orecchie di entrambi.
« Tom? »
Ian si immobilizzò e si voltò, seguito da Tom.
Rebecca si pietrificò alla vista di Ian, che le
andò incontro con un’audacia mai vista. Le prese
il viso con una mano, guardandola poi negli occhi.
« No! Lasciala! »
Tom corse contro Ian, ma prima che potesse fare alcuna mossa, Ian era
già fuori dall’appartamento, e Rebecca era
crollata a terra.
Tom le andò incontro, facendola rialzare.
« Come ha fatto a venire qui? » domandò.
Tom scosse la testa, fissando la porta chiusa.
« Non lo so. »
« Devi andare via. Non puoi più stare qui.
»
« Dov’è Gustav? »
Rebecca frugò nella borsetta.
« In azienda. »
Tolse fuori il cellulare e chiamò il terzo agente.
Tom si guardò attorno. Quella casa gli incuteva
più timore di quanto in realtà avesse
già.
Come aveva fatto Ian a scoprire che lui era là? Ok, era
abbastanza palese che la squadra di Bill c’entrasse qualcosa,
ma come era arrivato a sapere di Gustav? C’erano almeno una
cinquantina di agenti, non poteva aver avuto solo fortuna, scovandolo
subito.
Rebecca parlava freneticamente al telefono con Gustav, poggiata al muro.
Tom si allontanò, guardando oltre le finestre
dell’appartamento e controllando che non ci fosse nessuno a
spiarli.
Il corridoio era un disastro, per non parlare del vapore che
c’era ancora in bagno.
Rebecca riattaccò il telefono.
« Gustav sta arrivando. »
Si staccò dalla parete e raggiunse Tom, che gli dava le
spalle.
Lui la guardò e le prese il viso con le mani.
« Stai bene? »
Lei annuì, poi Tom si guardò attorno. La
baciò, felice che non ci fosse nessun altro oltre a loro
due, ma Rebecca si ritrasse dopo un po’.
« Prendi la roba e mettila in una borsa, vieni a stare da me.
»
Tom annuì e si allontanò.
Casa di Rebecca gli sembrava abbastanza accogliente, ma continuava a
guardarsi attorno con la paura che Ian sbucasse da un momento
all’altro.
Rebecca era rientrata dall’azienda dove Bill le stava
misurando di nuovo l’abito e lui aveva preparato la cena. Lei
ne era rimasta entusiasta, e l’aveva abbracciato.
Sentiva Rebecca distante, ma era sicuro che fosse solo per via della
situazione.
Avevano sparecchiato insieme, senza dirsi una parola e lanciandosi
soltanto qualche sguardo che andava oltre gli occhi.
Il fatto che non si fossero visti per un po’ e che in quei
momenti fossero soli, lo mandava quasi in tilt. La notte prima avevano
dormito nello stesso letto, ma niente di più. Ma Tom vibrava
ogni volta che Rebecca gli passava accanto.
Lei stava ripulendo la cucina; aveva i capelli legati in una crocchia
fatta distrattamente, una canottiera nera e un paio di pantaloni da
ginnastica, ma a Tom sembrava una visione celestiale, in tutta la sua
naturalezza.
Le si avvicinò con calma, e con un mezzo sorriso le
accarezzò le spalle nude, lasciando adagiare il suo petto
alla sua schiena.
Lei spostò leggermente il viso, senza guardarlo e Tom vide
le sue labbra arricciarsi. Allora si chinò e
iniziò a baciarle il collo. Lei rise sommessamente e gli
passò una mano sulla testa, spingendolo contro il suo collo,
che Tom morse delicatamente. Lasciò scendere le mani e le
infilò sotto la sua maglietta.
Rebecca si voltò e Tom catturò le sue labbra,
mentre le sue mani si legavano sul suo collo.
Il petto di Rebecca premeva contro il suo, ma poi furono separati dalle
mani di lei che gli abbassarono la cerniera della felpa.
« Questa non serve, giusto? » domandò
sfilandogliela dalle spalle.
Lui non rispose e tornò a baciarle il collo, passando poi
alle spalle scoperte.
Lei si aggrappò di nuovo al suo collo e lui passò
le mani sulla sua schiena e poi sul suo sedere, facendo forza e
sollevandola da terra, legandosela addosso.
Rebecca gli sollevò il viso, baciandolo sulle labbra. Tom
indietreggiò e uscì dalla cucina, spostandosi poi
verso la camera da letto e sentì Rebecca sorridere mentre si
baciavano.
Tom aprì la porta e la richiuse alle loro spalle,
lasciandoli nell’ombra della stanza. Adagiò
Rebecca sul letto e poi continuò a baciarla, stando in piedi
al suo fianco.
Lei si sfilò la canottiera e Tom ne approfittò
per saltare sul letto e mettersi a cavalcioni su di lei.
Rebecca gli accarezzò le spalle che anche lui aveva scoperte
per via della canottiera bianca che indossava e Tom si tuffò
di nuovo sul suo collo, mordendolo con delicatezza e poi si
spostò sempre più giù, fino ad
arrivare alla sua pancia, stampandole piccoli baci.
Rebecca gli sfilò la canottiera e poi lo fece sdraiare al
suo fianco, lasciando i segni del loro passaggi sulle lenzuola.
Fece la stessa cosa che aveva fatto lui, baciandogli il collo e poi il
petto e si mosse sopra di lui, sentendo l’erezione da oltre i
suoi pantaloni. Tom strinse le mani sulla sua vita, sollevandola e
portando i loro visi ad unirsi ancora una volta. Spostò una
mano e le slacciò il reggiseno, lasciandolo poi scivolare
giù dal letto.
Lei si passò una mano in testa e si slegò lo
chignon, lasciando che i suoi capelli cadessero sui loro corpi, quasi
coprendoli.
Tom li accarezzò e spinse il viso di Rebecca contro il suo,
prima di sedersi con lei in grembo. Le baciò il petto e poi
si spostò in mezzo ai seni, mandandola in estasi.
Lei gli accarezzò la testa con una mano mentre
l’altra viaggiava sulla sua schiena nuda e respirò
a pieni polmoni, muovendo il bacino sopra quello di Tom, che sembrava
respirare a fatica, mentre lasciava scivolare le labbra sulla pelle di
lei.
Lei gli strinse le treccine con forza e gli spostò il viso,
guardandolo negli occhi.
« Mi sei mancato… » sussurrò,
abbassando lo sguardo.
Tom si lasciò sfuggire un sorriso e baciò
delicatamente le labbra di Rebecca.
« Tu di più. »
Sollevò il viso e sfiorò il naso di Rebecca con
il suo, facendola sorridere.
La fece sdraiare al suo fianco e le accarezzò i fianchi,
mentre la baciava.
Era vero, Rebecca gli era mancata quasi da morire e stare con lei in
quei momenti lo faceva sentire al settimo cielo.
Le abbassò i pantaloni e si leccò le labbra,
mentre ammirava di nuovo il suo corpo seminudo davanti a sé.
« Smettila di guardarmi così! »
soffiò lei, imbarazzata, tappandogli gli occhi. Tom rise e
nascose il viso nell’incavo della spalla destra, portando poi
le mani oltre le sue mutande e accarezzandole il sesso.
Rebecca perse un battito e quasi sprofondò nel letto al solo
tocco di Tom. Si affrettò a fermarlo abbassandogli i
pantaloni e lasciando che fosse lui a levarseli completamente di dosso.
Con pochi e scaltri movimenti si trovarono entrambi nudi. Tom respirava
a fatica ed era completamente sudato. Si leccò le labbra
secche e, col massimo della concentrazione, avvicinò il suo
pene al sesso di Rebecca, spostando poi lo sguardo sul volto di lei,
quando penetrò.
La ragazza batté le palpebre freneticamente e
tirò la testa all’indietro, lasciando
l’opportunità a Tom di baciarle il petto.
Tom iniziò a muoversi sentendosi percorso da scariche
elettriche in tutto il corpo, e si poggiò con i pugni chiusi
al letto. Rebecca sotto di lui gli accarezzò le braccia
muscolose e iniziò ad ansimare.
Sapeva che ogni istante c’era qualcosa che cresceva in lui,
come se si fosse insidiato un virus che lentamente si propagava fra i
suoi organi. Lo faceva quando lei era con lui e quando non
c’era. Costantemente.
Forse, Rebecca si era adagiata in lui più di quanto volesse
ammetterlo. Lo capiva ogni istante che la vedeva; c’era
qualcosa di diverso.
Ma di una cosa era certo: in quei momenti e in quella situazione
così dannatamente incasinata, era l’unica persona
che voleva con sé.
Rebecca sembrò leggergli la mente e gli passò le
braccia sulla schiena, attorcigliandole poi sul suo collo.
« Non lasciarmi. » sussurrò.
Tom inspirò a pieni polmoni, stringendola a sé.
« Non lo farò. »
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Tom era rimasto tutto il giorno solo. Rebecca era in azienda da Bill e
Gustav non si era fatto sentire. Sapeva che Bill aveva un diavolo per
capello perché la sfilata sarebbe stata quella sera, ma si
sentiva terribilmente inutile e messo da parte.
Era stravaccato sul divano e faceva distrattamente zapping. Non
c’era niente che lo distraesse da quella noia preoccupata.
Controllava insistentemente l’orologio ma le lancette
sembrava non si spostassero mai. Pareva una tortura.
Aveva rimesso a posto casa di Rebecca da cima a fondo, per quello che
aveva potuto fare, perché sembrava che Rebecca non la
vivesse molto.
Il telefono squillò; Rebecca si era dimenticata di mettere
la segreteria, nella fretta di prepararsi.
Tom prese la cornetta e lesse Piper.
Si guardò attorno come se ci fossero delle telecamere che
potessero riprenderlo e poi rispose.
« Pronto? »
« Reb? »
« No mi spiace, Rebecca non è in casa. »
La ragazza dall’altro lato della cornetta restò
qualche istante in silenzio.
« Con chi parlo? »
Tom si schiarì la voce.
« Sono Tom, non ci conosciamo. »
« E dov’è Rebecca? »
« A lavoro. »
Piper fece qualche altro istante di silenzio.
« Può dirle che ho chiamato? »
« Certo. »
« Grazie. »
Tom si trovò il telefono chiuso in faccia e
sollevò le sopracciglia.
Riprese il telecomando e continuò a fare zapping da un
canale all’altro.
Il telefono squillò di nuovo e brillava sempre lo stesso
nome.
« Pronto? » rispose, stavolta un po’
più scocciato.
« Tom chi? »
Lui guardò la cornetta perplesso.
« Come?! »
« Tom chi?! » ripeté Piper con
più enfasi. « Cosa ci fa lei a casa di Rebecca
mentre lei è a lavoro?! »
Dirle che era ricercato per tentato omicidio, latitanza ed evasione non
gli sembrava proprio appropriato.
« Io sono.. sono.. il giardiniere. Sono il giardiniere.
»
« E Rebecca le ha dato il permesso di rispondere al telefono?
»
« Beh, lei si fida. »
Piper non rispose.
« Capisco. »
Tom non aggiunse altro e aspettò che fosse lei a parlare.
« A maggior ragione, le dica che ho chiamato, giardiniere
Tom. »
« Sì, lo farò. »
Quella volta fu Tom a chiudere senza aspettare risposta, e mise il
telefono il più lontano possibile.
Senza ombra di dubbio, non ci teneva a conoscere le amiche di Rebecca.
Fu il campanello che catturò la sua attenzione.
Sperò che Rebecca non avesse davvero un giardiniere con
qualche altro strambo nome e che non fosse nessun’altra sua
amica. Guardò dallo spioncino e vide la faccia di Gustav che
lo fissava, attonito.
Aprì la porta e l’agente entrò senza
fiatare.
« Ciao anche a te. » lo salutò Tom.
Gustav si sedette nel divano e tirò fuori il suo laptop,
poggiandolo sul tavolino in cristallo davanti a sé.
« Dov’è Rebecca? »
« In azienda, con Bill. » si guardò
l’orologio, sistemandosi poi la montatura degli occhiali.
« La sfilata inizia fra 10 minuti. »
Tom si sedette al suo fianco e spense la TV.
« C’è lo streaming sul sito,
perciò ho pensato che ti facesse piacere vedere come
andavano le cose. »
Tom lo guardò con un mezzo sorriso soddisfatto e
annuì, battendogli poi una pacca sulla schiena.
« Complimenti amico, mi hai pensato! »
« Nah, Rebecca mi ha minacciato di tenerti a bada, tutto qui.
»
L’euforia di Tom si spense immediatamente.
Gustav tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne accese una.
« Allora » disse in tono annunciante. «
Quindi tu e Rebecca state insieme? »
Tom aggrottò la fronte, guardandosi da una parte
all’altra con lo sguardo.
« E’ la stessa domanda che mi ha fatto Abo.
»
« Oh già, il tizio della prigione.
Bell’idiota. Non avevo nemmeno un cartellino
d’identificazione. » ricordò Gustav,
facendo poi un altro tiro. « Però non hai risposto
alla mia domanda. »
« Più o meno. »
« Più o meno? O lo è o non lo
è. »
Tom lo fissò.
« Smettila di darmi le stesse risposte di Abo! »
Gustav arricciò le labbra in avanti, fissando la sigaretta
fra le sue dita.
« Forse non è poi così tanto stupido
questo Abo. »
Tom ignorò l’affermazione di Gustav e
spostò lo sguardo sul PC, dove la telecamera in streaming
riprendeva il backstage.
Vide diverse ragazze sedute con i team di make-up artist e altri
giornalisti schizzare da una parte all’altra.
Dopo un po’ la scena cambiò e nello streaming si
vide la sala che si riempiva.
Gustav si stravaccò sul divano e poco dopo entrambi videro
che le luci nella stanza della sfilata si erano abbassate, per lasciare
spazio solo alla passerella illuminata.
« Immagino che tu e lei vi siate dati alla pazza gioia da
soli. »
« Gustav! » lo richiamò Tom, arrossendo.
Quello scoppiò a ridere e prese il portacenere accanto al
laptop, buttandoci la cenere della sigaretta.
« Sta iniziando. » cambiò discorso Tom,
visibilmente perplesso dalla scioltezza di Gustav.
Entrambi si concentrarono sullo schermo del laptop che trasmetteva le
immagini che avrebbero cambiato ulteriormente l’immagine
dell’azienda di Bill. Tom sperava con tutto il cuore che
niente andasse storto, che le modelle non sbagliassero, che le luci e
la musica non s’intoppassero, che i giornalisti e i tele
giornalisti scrivessero e parlassero di Bill in maniera sublime. E
sperò anche che Rebecca riuscisse a smorzare il fiato a
tutti.
Bill aveva scelto gli abiti migliori, su alcuni aveva apportato qualche
modifica e aveva fatto un lavoro ancora migliore di quello precedente,
per quanto fosse possibile.
Tom pensò che probabilmente era dietro le quinte con le mani
chiuse in due pugni che respirava ansioso.
Si ricordò di quando anche lui era là dietro con
suo fratello, e non poté non pensare a quando aveva scoperto
grazie a Gustav della bomba su Rebecca.
Flash della serata gli attraversarono di nuovo la mente e lo
accompagnarono durante tutta la serata.
Lui, Rebecca, Bill, Gustav, Ian, Georg.
Lui era vivo diamine! E chissà dove si nascondeva e se,
soprattutto, aveva un altro attacco pronto per quella sera. Lui e
Gustav stavano seduti e se fosse successo qualcosa a Bill o a Rebecca
non se lo sarebbe mai perdonato. Avrebbe preferito farsi arrestare
piuttosto che stare a guardare.
Il tempo passava veloce e sentiva l’ansia attorcigliarsi
sempre più sul suo petto.
« Vado a fare altri popcorn. » disse Gustav
alzandosi dal divano.
« Non sporcare la cucina. »
Gustav fece un verso che Tom non riuscì a decifrare, e
tornò a guardare la sfilata.
Fu in qualche misero istante che lo vide. Non era sicuro di quello che
i suoi occhi avevano guardato, ma si spaventò comunque.
Guardò verso la cucina e Gustav stava canticchiando,
preparando i popcorn.
Tom tornò a guardare il computer ma la telecamera riprendeva
solo la passerella in quei momenti.
Eppure gli sembrava di averlo visto fra il pubblico.. con i suoi occhi
verdi e le labbra fini..
Gustav tornò battendo i piedi per terra e Tom
trasalì un poco.
« Tutto ok? »
« Mi è sembrato.. no, niente. »
Gustav si sedette al suo fianco, passandogli il vassoio con i popcorn.
Tom nemmeno li toccò, riprendendo a guardare lo schermo del
PC.
« Quando hai visto Georg aveva qualcosa di diverso?
»
Gustav lo guardò con la coda dell’occhio.
« Aveva i capelli corti. »
« I capelli corti?! »
Gustav annuì di nuovo.
« E credimi, non l’avrei riconosciuto se non fosse
stato per il fatto che l’hanno chiamato per nome. Pazzesco,
quello mi stupisce in continuazione! »
Tom non lo ascoltava, era troppo impegnato a guardare lo streaming.
Un’altra ripresa del pubblico.
Quella volta ne era sicuro.
Gustav iniziò a tossire, facendo trasalire ulteriormente Tom.
« L’hai visto anche tu? »
Gustav lo guardò senza rispondere e poco dopo lo vide
sfrecciare oltre il divano.
« Hey no che fai?! »
Tom si lanciò verso il mobile affianco
all’ingresso e prese le chiavi che Gustav ci aveva lasciato
sopra.
« Vieni o resti? »
Gustav lo guardò perplesso.
« Come sarebbe a dire?! E’ la mia macchina!
»
Tom si voltò e aprì la porta di casa di Rebecca,
uscendo di corsa; Gustav lo seguì sbuffando.
Il primo salì in macchina, aspettò che Gustav
avesse chiuso lo sportello e partì spedito verso
l’azienda.
Non c’era un minuto da perdere.
« Dovevamo sapere che Georg si sarebbe rifatto vedere,
Cristo! »
« No invece! » sbottò Gustav.
« Non potevamo prevedere che si presentasse di nuovo alla
sfilata di Bill! E’ da pazzi fare una cosa del genere!
»
« Pensi che a lui importi qualcosa di girovagare
là in mezzo con un taglio di capelli nuovo? »
ribatté Tom. « Lui vuole rovinare Bill! In ogni
modo! »
Superò un incrocio senza rispettare la precedenza e segna
degnarsi di osservare il semaforo e mirò dritto
all’azienda di Bill che non distava molto da casa di Rebecca.
Gustav respirava col fiatone e si martellava le gambe con le dita,
agitato.
« Hai un piano almeno? »
Tom non rispose, concentrato nella guida.
Gustav gli ripeté la domanda con più enfasi e Tom
non gli rispose di nuovo.
« Bene, stiamo andando a farci ammazzare. »
L’altro lo guardò torvo.
« Tu hai un’idea? »
Gustav non rispose.
« Allora siamo sulla stessa barca. Nessuna ramanzina.
»
L’agente con gli occhiali non replicò e
spostò lo sguardo oltre il finestrino, mentre
l’azienda si faceva sempre più vicina.
Una volta che Tom vi fu arrivato, lasciò la macchina in
mezzo al parcheggio e balzò fuori.
« Tom! Aspetta! » gli urlò dietro
Gustav, rincorrendolo. Ma lui non lo ascoltò e
piombò nell’azienda.
Spalancò le porte e si diresse verso la sala delle sfilate.
Aprì la porta con molta calma e si intrufolò,
badando di restare nell’ombra.
La sicurezza era piazzata nei muri, Tom la vedeva chiaramente dalla sua
posizione. E vedeva anche la passerella. Si spostò da un
lato, mentre Gustav entrava nella stanza col fiatone; tentò
di ricomporsi per non destare sospetti e cercò Tom con lo
sguardo.
Quando lo trovò, lo vide guardare attentamente fra la gente
seduta. Ce n’era tantissima e il fatto che ci fossero anche
le reti televisive non migliorava di certo la situazione.
Il ragazzo si avvicinò al backstage e ci si
intrufolò.
Le modelle erano in agitazione, correvano da una parte
all’altra, ma Tom cercava Rebecca con lo sguardo. Era
l’unica che potesse aiutarlo in quel momento.
Tom avanzò ancora un po’ fra le modelle; alcune lo
riconobbero e rimasero sorprese.
« Tom?! »
Si voltò e Bill era davanti a lui, lucido in viso per il
sudore e alquanto sorpreso di vederlo lì.
« Dico io, ma ti sei rincoglionito?! »
Tom lo prese per le spalle, guardandosi attorno.
« Dov’è Rebecca? »
« Che cazzo di domanda è?! Cosa ci fai qui?!
Dovevi rimanere al sicuro! E’ pericoloso, vuoi farti
arrestare di nuovo?! »
« Bill, c’è Georg! »
sbottò il gemello.
Bill lo fissò perplesso.
« Tom, non può esserci Georg, l’avrei
visto! »
« Tu dimmi dov’è Rebecca. »
« Cosa vuoi da Rebecca? »
« Mi serve. »
« A fare cosa?! »
« Tom! Bill! »
Gustav li raggiunse e Tom si prese la testa fra le mani, in panico. Si
voltò e si avvicinò alla passerella, mentre Bill
cercò di fermarlo prendendolo per un braccio.
Tom riuscì a sbirciare e vide Rebecca salire sulla
passerella con il suo abito.
Un tuffo al cuore che lo fece tremare di terrore e vide chiaramente il
sorriso spuntare sul viso di Georg seduto qualche metro più
in là e leggermente in ombra, ma non abbastanza da non
essere visto dai suoi occhi che sembrava avessero una calamita per il
viso del nemico.
Bill non riuscì ad afferrarlo in tempo, e Tom
saltò sulla passerella, catturando l’attenzione di
tutti. Rebecca, che sorrideva ai riflettori, vide i loro volti
esterrefatti e si voltò.
Tom le correva incontro e in breve si piazzò davanti a lei.
« Tom, ma che… ?! »
Lui non rispose e puntò un dito contro Georg che si era
alzato e si stava spostando.
« E’ qui! E’ vivo! »
strillò.
La security avanzò contro di lui e iniziarono a salire sulla
passerella.
Rebecca vide Georg svignarsela.
« Listing è qui! E’ qui! »
strillò.
Georg si immobilizzò e si voltò verso la
passerella con gli occhi sbarrati.
Le luci si accesero su tutta la sala e lo illuminarono perfettamente.
Sbiancò.
Qualche istante dopo, nel totale silenzio, iniziò a correre
e scansò l’unico bodyguard che non si era mosso
verso Tom, dirigendosi verso l’uscita.
Il ragazzo dai cornrows neri balzò giù dalla
passerella e lo seguì.
« Tom! » lo richiamò Rebecca. Lo
seguì senza esitare, levandosi i tacchi per rincorrerlo
meglio.
Georg uscì dalla sala, trovandosi nel corridoio;
scaraventò via una segretaria e si diresse verso le scale
antincendio. La porta era chiusa e si poteva aprire solo dal lato
opposto. Diede un calcio, poi un altro ma niente; Tom e Rebecca erano
sempre più vicini, seguiti poi dalla polizia che capiva poco
e niente della situazione. Provò con una spallata ma non ci
riuscì, bensì la porta fu aperta
dall’interno, da un addetto che lo fissò
perplesso. Georg lo prese per il colletto e lo trascinò via,
infilandosi velocemente oltre la porta. Tom lo seguì e
riuscì ad arrivare prima che la porta si chiudesse, subito
seguito da Rebecca. Georg saliva velocemente i gradini, sperando di
arrivare ad un punto di uscita che, tuttavia, sembrava non esistere o
non arrivare mai.
« Tom, ti prego, fermati! » lo chiamò
Rebecca, ma lui non l’ascoltò. « Non
risolviamo niente così! »
Tom la guardò qualche istante e poi riprese
l’inseguimento, trovando le parole di Rebecca altamente
ridicole.
« E’ qui, ce l’ho in pugno. »
mormorò più a sé stesso che a lei.
Rebecca gli prese un braccio e lo fece voltare.
« Vattene, ti prego. »
Tom la guardò, vedendo nei suoi occhi una scia che non aveva
mai visto. Non riusciva nemmeno a decifrarla. Stava per risponderle con
una domanda che non aveva ancora formulato, quando sentì un
botto sopra le loro teste e di getto guardò il soffitto.
Rebecca mollò la presa e Tom scattò di nuovo su.
Alla fine delle scale c’era una porta e Tom la
aprì senza esitare; erano sul tetto dell’azienda.
Il vento li colpiva in pieno: la giacca di Tom si gonfiava sotto le sue
braccia mentre il vestito e i capelli di Rebecca fluttuavano seguendo
il movimento del vento.
Tom avanzò, ma Rebecca lo bloccò di nuovo,
prendendolo per una mano. Gli si piazzò davanti,
poggiandogli la mano libera sul petto.
« Vattene. »
Tom la fissò inarcando le sopracciglia.
« Che stai dicendo?! »
« Tom, ti prego. Vattene. Ci penso io. »
« Non se ne parla nemmeno! »
« Quando hai deciso di scappare senza portarmi con te non mi
hai lasciato altra scelta. » Rebecca sollevò lo
sguardo, trafiggendo gli occhi di Tom con i suoi. « Ora tocca
a te non avere altra scelta. »
Tom aprì la bocca pronto a ribattere.
« Bene bene! »
Rebecca si voltò trasalendo; Georg era davanti a loro.
« Chi abbiamo qui! Il signor Tom Kaulitz! »>
Tom si piazzò davanti a Rebecca, proteggendola con un
braccio.
« Tu! »
« Sì, sono io. E credimi, puoi stare tranquillo:
non farò nulla alla tua amica. »
Georg spostò lo sguardo su Rebecca, che teneva il suo basso.
« Reb? »
Tom guardò Georg, poi si voltò verso Rebecca alle
sue spalle. Lei fissava il suolo.
« Coraggio, non essere timida! »
Tom si voltò completamente verso Rebecca.
Lei lo guardò appena. I suoi occhi tremavano.
« Che significa? »
Rebecca scosse la testa.
« Mi dispiace… avrei dovuto dirtelo ma.. non ne
avevo il coraggio.. »
« Dirmi cosa,
Rebecca? »
Lei prese fiato ma non rispose.
« Faccio io. » s’intromise Georg.
« Rebecca è un’ottima attrice, sai? Per
tutto questo tempo non ha fatto altro che recitare la parte
dell’agente segreto di Bill Kaulitz. Quando invece ha
lavorato per me, riferendomi informazioni dettagliate e altamente
segrete. Geniale, non trovi? »
Tom guardò prima lui e poi la ragazza, che teneva ancora lo
sguardo basso.
Restarono entrambi in silenzio, mentre Georg sbottava in una sonora
risata.
« Mi hai mentito.. » mormorò.
« Mi hai usato! »
Lei sollevò il viso e scosse la testa.
« No! Non ti ho mai usato, questo no! »
« Ti sei approfittata di me! Hai fatto sì che mi
affezionassi per levarmi dal gioco, mettendomi in prigione!
Perché tu sapevi ogni singola mossa di Georg! »
Rebecca scosse la testa, terrorizzata.
« No! Io non sapevo come sarebbero andate le cose! »
« Sì invece! » la contraddisse Tom,
allontanandosi. « Tu eri al corrente di tutto quello che
c’era sotto, sapevi bene i piani ed è per questo
che ci hai portati su questa strada! Per questo avevi quelle
illuminazioni e davi gli spunti per trovare una risposta alle nostre
domande: tu sapevi! »
Improvvisamente il mondo sembrò crollargli addosso.
Rebecca stava dalla parte di Georg e non dalla sua. Si era fidato della
persona sbagliata.
« Ho cercato di starti lontana, di non farti affezionare ma
non ci sono riuscita! Io non volevo fare del male a nessuno, Tom!
»
« Io mi sono fidato di te! Ti ho dato tutto quello che potevo
darti, mi sono ricreduto e… diamine! »
Tom si prese la testa fra le mani e cammino all’indietro.
« Molto commovente. » Georg si avvicinò
e prese Rebecca per un braccio. « Sei sempre più
brava come attrice. »
La trascinò affianco a sé e poi lei
scostò il braccio dalla sua presa.
Tom li guardò e Georg abbozzò un ghigno sul viso.
« E adesso come la mettiamo? Sei solo, Tom. Non
c’è più nessuno con te. E cosa dirai
per difenderti davanti al tribunale? Dopo tutto quello di cui sei
accusato? Cosa dirai per salvarti, stavolta? »
Tom iniziò a sentirsi oppresso, come se fosse in una stanza
e le pareti si stessero restringendo.
« Guarda. » Georg iniziò a girare
attorno a Rebecca. « Lei non ti può più
salvare. »
Tom strinse i pugni, mentre Rebecca seguiva i movimenti di Georg con lo
sguardo.
« Sapeva che era stato Ian a mettere la bomba sul lampadario.
Sapeva dove si trovava la collana che Ian aveva rubato. Doveva trovarla
lei, non tu. Sapeva della bomba a casa di Bill e di quella nel suo
abito; era innocua. Non sarebbe mai scoppiata. Ma tu ci sei cascato lo
stesso, insieme al tuo amico. Sapeva perfettamente dove Ian stava
andando quella sera della sfilata a Parigi. E sapeva anche che lui non
l’avrebbe mai beccata per ucciderla. Sapeva dove Bill teneva
i suoi bozzetti e conosceva ogni via di fuga per farmi entrare ad
assistere alle sfilate. Rebecca sapeva tutto, Tom. E tu nemmeno te ne
sei accorto. »
Tom sentì la gola secca.
Rebecca sollevò lo sguardo e lo fissò. Immune e
muta, quasi priva di vita. Come una statua.
« Deludente, non trovi? Una così bella ragazza che
si finge un’aiutante quando invece fa parte della squadra
nemica. E tu non hai sospettato di niente, non è
così? »
Tom non rispose; continuava a fissare Rebecca.
Georg si fermò al suo fianco.
« Forse è ora di mettere fine a questi giochi, non
credi? »
Rebecca spostò lo sguardo oltre il viso di Tom e i suoi
occhi si allargarono spaventosamente.
« Tom, scappa! »
Tom si voltò e alle sue spalle vide Ian che gli puntava
contro una pistola. Si scansò appena in tempo e
cercò di disarmarlo.
Georg prese Rebecca per un braccio e la trascinò via.
« Lasciami! »
« Che diavolo fai?! Dobbiamo salvarci la pelle! La polizia
sta per arrivare! »
« No! Io non voglio venire con te! »
La ragazza cercò di dimenarsi, ma Georg le prese il viso con
una mano e con l’altra le tirò indietro la testa,
prendendola per i capelli. La ragazza si trovò immobile.
« Non una mossa azzardata, o finirai come il tuo amico.
»
Rebecca spostò lo sguardo e con la coda
dell’occhio vide Tom in difficoltà contro un Ian
armato di pistola.
Con un calcio veloce, Tom riuscì a disarmarlo e Ian si
toccò istintivamente il polso dolente, lasciando
l’opportunità a Tom di attaccare.
La pistola cadde a terra e Georg mollò la ragazza per andare
a recuperarla.
Lei lo rincorse, ingombrata da quell’abito, ma Georg fu
più scaltro di lei e afferrò l’arma.
« Adesso basta! »
Quando Tom si voltò, Rebecca era stretta al corpo di Georg,
e questo le puntava la pistola alla tempia.
Il ragazzo si immobilizzò, trovandosi ad avere il fiatone, e
guardò la scena davanti ai suoi occhi. Rebecca teneva gli
occhi chiusi.
Ian gli tirò un pugno in pieno viso e Tom si
trovò ad indietreggiare senza nemmeno sapere dove stava
andando.
Sentì Rebecca urlare il suo nome, mentre Georg la trascinava
via.
Avrebbe voluto soccorrerla, anche se la rabbia e la delusione gli
dicevano di non farlo, ma Ian lo teneva troppo occupato. Tom non
riusciva più ad alzarsi da terra; un pugno, un calcio e un
altro pugno, Ian sembrava divertirsi sempre più.
« Questo è per avermi messo nei casini.
» gli sferrò un calcio in pieno stomaco.
« Questo è per esserti messo in mezzo anche quando
non dovevi. » Tom ricevette un altro calcio.
Ian lo prese per la giacca e lo fece sollevare, quasi moribondo. Lo
guardò in viso, digrignando i denti.
« E questo.. questo, amico mio, è per Rebecca. Per
avermela rubata. »
Tom sentì perfettamente il pugno di Ian affondargli la carne
all’altezza della bocca dello stomaco e gemette, strizzando
contemporaneamente gli occhi.
Ian lo lasciò andare e si voltò, raggiungendo
Rebecca e Georg. Tom giaceva a terra, in ginocchio.
« E tu, lurida puttana! » esclamò.
Schiaffeggiò Rebecca in viso un paio di volte.
« Hey, vacci piano! » lo rimproverò
Georg, spostando la pistola dal viso di Rebecca a quello di Ian.
« La tua cara amichetta ha aiutato questo poveretto ad uscire
di prigione, nel caso tu non lo sappia. E quando sono andato a casa di
quell’altro decerebrato, quello dagli occhiali squadrati, lei
era lì. Sapeva dov’era e nonostante tutto non ci
ha aiutati! Lo ha coperto e non penso fosse la prima volta. »
Ian guardava Rebecca con un misto di odio e di disprezzo.
Lei aveva il viso basso, con i capelli che le ricadevano addosso. Lo
sollevò lentamente e guardò Ian torva.
« Tu non sarai mai come Tom. »
Ian caricò la mano ma Georg lo fermò, tirando
indietro Rebecca con uno strattone.
« Basta così voi due! Questa situazione sta
facendo male a tutti. Prima lo facciamo fuori, meglio è.
» disse, spostando poi il viso su Tom ancora accasciato.
« Tu prendi lei, a lui ci penso io. »
Rebecca guardò Georg terrorizzata, mentre questo si girava
la pistola fra le mani. Ian la prese con sé.
« No! Non farlo! Non puoi! Lui non c’entra niente!
»
Ian le tappò la bocca con una mano e la tirò via
con sé, cosciente di avere una forza che avrebbe controllato
Rebecca senza preoccupazioni.
Georg camminò lento verso il corpo di Tom. Questo
sollevò il viso verso di lui; un labbro era spaccato e aveva
un occhio leggermente chiuso.
« Così siamo giunti alla fine, Kaulitz. »
Lui non rispose, continuando a guardarlo. Poi spostò il viso
oltre le sue gambe e vide Rebecca che veniva trascinata via.
« Ti dirò, non sei così male come ti
immaginavo. Hai fegato. Peccato però che tu sia dalla parte
sbagliata della situazione. Tu perdi. »
Tom non lo ascoltava nemmeno, ancora perso a guardare Rebecca che si
allontanava sempre di più.
« Allora, » Georg caricò
l’arma, puntandola poi sul viso di Tom, a qualche metro da
sé. « c’è qualcosa che vuoi
dire prima di morire? »
Tom lo guardò con gli occhi infuocati.
« Vai al diavolo. » soffiò, raucamente.
Georg sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorriso.
« Poco originale. »
Digrignò i denti, pronto a sparare e Tom abbassò
la testa, stordito.
« Le spalle, Listing. Guardati sempre le spalle. »
Georg non replicò e venne scaraventato a terra in qualche
secondo, senza nemmeno avere il tempo di realizzare.
Gustav, seduto sopra il suo corpo, iniziò a prendergli il
viso a pugni con forza e con rabbia.
Ian si voltò di scatto e appena vide la situazione capovolta
mollò Rebecca a terra e si mise a correre velocemente per
soccorrere Georg.
La ragazza lo seguì più veloce che poteva.
Tom si alzò rapidamente e si parò davanti a
Gustav, bloccando Ian con un pugno. Questo però non rimase
particolarmente stordito e contrattaccò, prendendo la
rincorsa come un toro inferocito.
Tom si trovò spinto verso il bordo del tetto, ma
cercò comunque di respingere l’attacco.
Georg riuscì a sferrare un pugno sul viso di Gustav e a
difendersi, capovolgendo la situazione. I due rotolavano
sull’asfalto e nel frattempo si colpivano a vicenda.
Tom prese la testa di Ian con le mani e scostandone una
riuscì a sferrargli un pugno in viso.
Rebecca che correva verso di loro catturò la sua attenzione
e fu in quel momento che Ian lo spinse di nuovo, quasi facendolo cadere
dal tetto. Tom sembrava essere bloccato.
« Sei fottuto, Tom. » disse. « Hai perso
tutto quello che potevi avere e presto perderai anche quello che non
hai mai avuto. Mandami una cartolina quando arrivi
all’inferno. »
Ian alzò una gamba per dargli un calcio che
l’avrebbe sicuramente fatto cascare di sotto, ma Tom vide
Rebecca avvinghiarsi al corpo di Ian, spingendolo via. Questo
indietreggiò verso Tom, cercando di levarsi le mani di
Rebecca dal viso che lo graffiavano. Indietreggiò troppo,
fino a non sentire più alcun suolo sotto i suoi piedi. Cadde
all’indietro, con l’espressione sbarrata di chi sa
che non ha alcuna via d’uscita. Allungò una mano e
afferrò Rebecca per il vestito; la ragazza seguì
Ian giù dal bordo del tetto.
« No! » urlò Tom, come pietrificato.
Si lanciò a terra, affacciandosi al bordo del tetto, e
afferrò Rebecca per un braccio. Lei si aggrappò a
lui, il volto terrorizzato, mentre Ian si teneva al suo vestito.
« Tieni duro! » le strillò Tom.
« Non ce la faccio! » gemette lei, un braccio
penzoloni e l’altro stretto dalla mano di Tom.
Il ragazzo cercò di tirarla su ma era troppo pesante, avendo
Ian aggrappato al suo abito.
« Aggrappati a me anche con l’altro braccio.
»
Rebecca cercò di allungare il braccio ma il peso era troppo
e in breve gli scivolò via dalle mani di Tom che
rischiò di perdere del tutto la presa.
Entrambi sentirono un rumore simile ad uno scratch e Rebecca
abbassò lo sguardo: il vestito si stava strappando per via
del peso di Ian. Lui vide chiaramente la stoffa spezzettarsi e
sgranò gli occhi.
« Dammi la mano, forza! »
Ian scosse la testa e cercò ulteriormente di aggrapparsi
all’abito della ragazza. Lo strappo si ingrandiva sempre di
più a Ian era così agitato che non migliorava la
situazione.
« Dammi la mano, Ian! » gli urlò di
nuovo Rebecca.
Il ragazzo, avvolto dal panico, allungò freneticamente una
mano verso il braccio di Rebecca, ma fu troppo tardi. Il pezzo di abito
a cui stava aggrappato si spezzò immediatamente e non
riuscì nemmeno a sfiorare le dita di Rebecca.
« Ian! » urlarono lei e Tom, all’unisono.
Il ragazzo cadde a una velocità inaspettata e prima che
potesse toccare il suolo, Rebecca si voltò per non vedere,
sentendo solo un tonfo muto.
« Dammi la mano, dai. »
La voce di Tom le fece sollevare lo sguardo.
Allungò l’altro braccio e si aggrappò a
quello teso di Tom, che la tirò su con uno sforzo nettamente
minore a quello di prima.
« Grazie. » ansimò lei, ancora
spaventata.
Lui non rispose. In un’altra situazione l’avrebbe
baciata o l’avrebbe stretta a sé. Ma non in quel
momento. La delusione era così tanta che non riusciva
nemmeno ad immaginarsi di baciarla. Per questo restò in
silenzio.
Un silenzio che, tuttavia, venne interrotto da un botto che fece
trasalire entrambi.
« Gustav! » urlò Rebecca rimettendosi di
nuovo in piedi e correndo verso il ragazzo steso a terra.
Georg era in piedi e gli puntava la pistola contro.
Rebecca si gettò addosso al corpo dell’agente,
mentre Tom si scaraventò su Georg, facendolo cascare a terra
e disarmandolo con un solo movimento.
La porta che dava al tetto si aprì con un botto e una serie
di agenti armati uscì, puntando le armi contro Tom e Georg.
Rebecca aveva iniziato a tremare davanti a Gustav.
Lui aprì gli occhi e le sorrise.
« Mi dispiace.. » mormorò lei, scossa.
Gustav abbozzò un sorriso e le accarezzò una
guancia.
« Non devi preoccuparti, Beky. Io sto bene. »
Il ragazzo si portò una mano sulla cerniera del giubbotto e
lo sganciò. Rebecca spalancò gli occhi.
« Antiproiettile. Sono un genio, lo so. »
La ragazza gli saltò addosso, legandogli le braccia attorno
a collo e lo abbracciò stringendolo a sé. Gustav
rimase visibilmente stupito e sorrise.
Tom si trovò trascinato da una parte e ai suoi occhi apparve
di nuovo Abo.
« Ma che cazzo fai?! Potevi uscire di prigione senza fare
tutto sto casino! Ora minimo ti danno l’ergastolo!
» lo rimproverò, ammanettandolo.
Gustav si alzò da terra.
« Lui non ha fatto niente, se c’è
qualcuno che dovete arrestare è quel farabutto
lì. Ho visto la scena con i miei occhi e ho seguito la
vicenda silenziosamente ma minuziosamente. Se avete bisogno di un
testimone, lo avete davanti. »
Rebecca aveva assistito alla scena da lontano, ma provò un
immenso orgoglio nei confronti di Gustav.
L’agente lo guardò.
« E lei sarebbe? »
« Gustav Schäfer, piacere di conoscerla signor Abo.
»
« Ci siamo già visti? »
« Che mi ricorda no. » mentì con tanto
di spallucce.
« E come fa a sapere il mio nome? »
Tom tossì.
« Il cartellino, Abo. Il cartellino. »
L’agente si guardò il cartellino di riconoscimento
e non obiettò.
« E la ragazza? »
Rebecca si trovò chiamata in causa; Gustav si
voltò a guardarla. Tom pure.
Lei prese fiato, pronta a raccontare la verità.
« Lei era un ostaggio. »
La voce di Tom catturò l’attenzione di tutti.
« Listing l’ha presa come ostaggio. »
Abo lo guardò con la coda dell’occhio.
« Hey! Sbaglio o quella è la gnoccona che
è venuta a trovarti in carcere?! »
Tom arrossì.
« Non me la ricordavo così bella! Beh, hai fatto
un bell’affare, amico! »
Rebecca abbassò lo sguardo imbarazzata, mentre Abo
smanettava Tom. Altri agenti avevano fatto alzare Georg che non aveva
detto nulla e si era lasciato arrestare.
Gustav si avvicinò a Rebecca, che fissava il Listing quasi
con disprezzo.
« E’ finito tutto, finalmente. »
La ragazza abbassò lo sguardo.
« Già, finalmente. »
Gustav si allontanò, chiamato da un agente. Un secondo si
avvicinò a Rebecca porgendole una coperta che lei prese e si
poggiò sulle spalle.
« C’è stato un incidente, un uomo
è caduto. » disse Tom, rivolgendosi ad un
poliziotto che gli passava accanto. Questo lo fissò
perplesso. Si allontanò verso il bordo del tetto e quando
vide il corpo di Ian di sotto, richiamò velocemente alcuni
agenti. Uno di questi fece segno a Tom di avvicinarsi e lui si mosse
verso di lui. Rebecca lo bloccò per un braccio,
costringendolo a guardarla.
« Tom, io… »
« Non dire niente. » la bloccò lui.
« Non voglio sentire nulla da te. »
Si scansò bruscamente per andare verso una poliziotta
già provvista di taccuino e Rebecca voltò il
viso, sentendo gi occhi bruciarle.
Un agente le poggiò una mano su una spalla.
« Tutto ok? »
Si affrettò ad annuire.
« Venga, la porto al caldo. »
Era finito tutto così, sul tetto dell’azienda
dalla quale era partita ogni cosa.
Tom si sentiva vuoto. Aveva ceduto a Rebecca tutto quello che poteva
regalarle senza chiedere nulla in cambio e si era trovato pugnalato
alle spalle. Si odiava per aver creduto in lei e per essersi ricreduto
quando da subito aveva sospettato che lei non fosse una persona per
bene. Ma contemporaneamente non rinnegava niente di quello che era
successo fra di loro. C’era qualcosa che non gli permetteva
di odiare Rebecca, nonostante l’avesse deluso.
Probabilmente Bill aveva imprecato e buttato a terra mezzo ufficio per
quello che era successo quella sera, ma a Tom non importava
più. Era come se il fuoco che l’aveva tenuto
attivo per tutto quel tempo si fosse spento quella sera stessa e non
bruciava più.
Georg passò al suo fianco, mentre lo portavano via.
Era finito proprio tutto. La carriera di Georg, il complotto contro
Bill.
Lui e Rebecca.
Sospirò. Finchè l’agente gli fece
un’altra domanda.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Bill era seduto alla scrivania quando Tom bussò
nell’ufficio.
« Disturbo? »
« Certo che no. » gli sorrise.
Tom entrò chiudendosi la porta alle spalle.
« Come va con tutte quelle cose da firmare? »
Bill fece spallucce.
« Non c’è male, ho finito giusto ora.
»
« Quindi libero? »
Bill rise.
« Vorrei, ma… » tirò fuori
una manciata di bozzetti. « Ho l’ispirazione in
corpo! »
Tom roteò gli occhi.
« Come tuo solito! »
Bill rimise a posto i bozzetti, poi tornò a guardare il
gemello.
« Tutto ok? »
Tom si affrettò ad annuire, aggiungendo poi un sorriso che
pareva tirato.
« Sicuro? »
« Che problemi dovrebbero esserci?! »
sbottò, voltandosi verso la vetrata.
Bill batté la matita sulla scrivania.
« Mh non so, una certa Rebecca, ti dice niente? »
Tom si pietrificò a metà strada e
sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
« Bill, ne abbiamo già parlato e sai come la
penso. »
« Sì, certo che lo so: lei ti ha deluso e tu sei
così arrabbiato che non riesci proprio a fartene una ragione
e a metterci una pietra sopra, nonostante tu ci tenga a lei. »
« Andiamo, mettiti nei miei panni! » Tom
allargò le braccia, voltandosi.
« Mi sto mettendo nei tuoi panni! La sola differenza
è che io non me ne starei qua a parlottare con mio fratello
sapendo che la ragazza che amo sta per lasciare Amburgo per sempre.
»
« Io non amo Rebecca! »
« Forse no, ma di sicuro provi qualcosa per lei che dovrebbe
distruggere la barriera che ti sei creato. »
Tom non rispose, voltandosi di nuovo.
Bill rimase a guardare le sue spalle, poi si alzò e lo
raggiunse.
« Sai anche tu che ho ragione, Tom. Lo sai perfettamente.
»
Il fratello non rispose nemmeno quella volta e non si voltò
nemmeno a guardarlo. Era la prova che Bill aveva ragione. Tom sembrava
davvero affranto da quello che era successo ed era arrabbiato con
Rebecca, ma contemporaneamente non voleva perdonarla; aveva paura che
lei avrebbe fatto qualcosa in grado di ferirlo di nuovo.
Un’idea forse stupida, si disse, ma che lo tormentava
costantemente.
Sospirò e Bill aprì di nuovo bocca, prima che
qualcuno bussasse alla porta, interrompendolo in partenza. Si voltarono
entrambi.
« Avanti. » disse lo stilista.
La porta si aprì e il viso di Rebecca sbucò da
dietro essa. Tom sbiancò, girandosi di nuovo verso la
finestra.
« Scusa Bill, non pensavo fossi occupato.. volevo solo
salutarti. »
Lui le andò incontro sorridente.
« Tranquilla, non crei alcun problema! »
La fece entrare nella stanza, chiudendo poi la porta e
l’abbracciò.
« Mi spiace che tu abbia deciso di trasferirti, ma spero che
vada tutto bene. »
Rebecca annuì con la testa.
« Ti ringrazio. Ti auguro il meglio anche io, prometto che
seguirò con costanza il tuo operato. »
Bill sghignazzò.
« Non c’era bisogno lo dicessi, sapevo
già che l’avresti fatto! »
ironizzò. Poi si voltò verso Tom, che dava le
spalle ad entrambi. « Tom, tu non la saluti? »
Rebecca si affrettò a scuotere la testa.
« No, io devo davvero andare, credo di essere già
in ritardo e forse non è la cosa migliore da…
»
Bill la bloccò scuotendo a sua volta il capo e sollevando
una mano all’altezza della sua bocca, come per farla tacere.
« Vi lascio soli. »
Lo stilista si allontanò e uscì mentre Rebecca
mormorava: « No, Bill, veramente… ».
Dopo lo scatto della maniglia, calò il silenzio. Nessuno dei
due parlava e non si guardavano. Rebecca fissava la moquette per terra
e Tom il cielo scuro sopra la Germania.
« Io… » cominciò lei.
« …credo di doverti delle scuse, mi sono
comportata male e lo so. »
« Buon per te. » rispose Tom freddo, ancora di
spalle.
Rebecca si trovò quasi soffocata da quella situazione e si
passò distrattamente una mano fra i capelli, tesa.
« All’inizio ero completamente dalla parte di
Georg. Non me ne fregava niente di cosa facevo, erano soldi e li
volevo. Così ho iniziato a lavorare intrufolandomi qua
dentro. Quando poi hanno messo in atto il progetto per mandare in
rovina l’azienda entravo davvero in gioco io ed ero
l’unica persona in cui Georg riponesse le proprie speranze.
Ian era un pochino geloso, come te all’inizio. Solo che la
sua gelosia poi s’è trasformata in possessione.
Era convinto che, un giorno, io e lui avemmo avuto una vita insieme e
così si è messo a farmi la corte per mesi e mesi.
Nel frattempo, dovevo badare anche alla missione che avevo per conto di
Georg e recitare la parte di Rebecca, l’agente segreto di
Bill Kaulitz. Poi sei arrivato tu. Georg ha sempre provato un odio
immenso più per te che per Bill, perché tu eri
sempre con lui e farlo fuori era più complicato. Mi aveva
descritto la tua personalità in modo così cinico
che mi ero fatta un’idea su come potevi essere… ma
mi sbagliavo. Non avevo fatto i conti col “conoscerti
davvero”. Col passare del tempo, Ian si è accorto
che non gli rivolgevo più le dovute attenzioni e ha iniziato
a fare un po’ più di testa sua, coalizzandosi con
Georg in maniera spaventosa e minacciandomi se qualcosa sarebbe andata
male. Da lì partì l’idea della bomba
nel mio vestito e non fu un caso quando la sua pallottola
beccò me anziché te. Georg andò su
tutte le furie quando lo seppe e Ian rischiò davvero grosso
quella volta. La notte a Milano, la nostra prima notte insieme, Ian
sentì tutto. Per quello sono andata via senza dirti niente:
non volevo metterti ulteriormente nei casini. Ho raccontato a Ian che
era stato tutto a causa mia e Georg ha messo in avanti l’idea
di farti cadere ai miei piedi. Ma io non volevo usarti per far crollare
Bill.. e Ian lo capì. Capì che per me non era un
gioco quello che c’era fra di noi, capì che lo
stavo lentamente sostituendo con te e che le sue possibilità
con me diminuivano sempre più. Quando siamo rimasti nella
macchina a Milano, Georg era così furioso che per poco non
fece fuori sia me che Ian. Nel piano lui doveva tenerti occupato, ma io
ti ho seguito e questo l’ha fatto imbestialire; Ian
è un tipo molto impulsivo e irascibile. Per tutto il tempo
non ha fatto altro che minacciarmi alle spalle di Georg che non ne
sapeva niente. Ben presto, la situazione mi portò a
difendere te e accadde che Ian decise di agire da sé,
agganciandomi un microchip che trasmettesse ai suoi computer
ciò che dicevo. Fu così che entrambi scoprirono
che eri venuto in azienda da Bill e quando poi hanno inscenato la morte
di Georg, era la fine per me. Tu sei scappato lasciandomi qui da sola e
loro mi avevano in pugno. Non sapevo dove fossi, ero preoccupata e per
di più soggetta a continue minacce da parte loro. Non
seppero mai che aiutai Gustav a farti uscire di prigione, né
che andai a trovarti. Non glielo raccontai. E non mi dissero nemmeno
che sarebbero stati presenti all’ultima sfilata,
così io non sapevo nulla di quello che avrebbero fatto. Ho
cercato di fermarti, di convincerti a lasciare andare me ma..
è stato tutto inutile. Mi dispiace, Tom… mi
dispiace davvero tanto per tutto quello che è successo e..
cazzo, non riesco nemmeno a spiegarmi. Hai tutti i diritti per essere
arrabbiato con me e lo capisco. Volevo solo farti sapere come sono
andate le cose. »
Rebecca non aveva preso fiato nemmeno un attimo, aveva parlato e
raccontato tutto svuotandosi come una brocca piena d’acqua.
Tom l’aveva ascoltata dandole sempre le spalle e solo quando
lei ebbe finito si voltò lentamente.
Non sapeva tutto quello che Rebecca gli aveva detto e non
l’aveva mai minimamente pensato; per lui la colpa era di lei
e basta e invece no. C’era dell’altro in mezzo e
capì, con immensa gioia, che anche Rebecca era stata una
vittima di Georg.
« Questo dovrebbe farmi cambiare idea su di te? »
Lei lo guardò con il suo solito sguardo minaccioso.
« Non ho detto questo. Volevo solo farti sapere come sono
andate le cose, niente di più. »
Tom non la guardò e poi lasciò scivolare lo
sguardo in basso. Varie immagini di tutto quello che era successo gli
passarono per la mente e il silenziò calò di
nuovo nella stanza. Rebecca lo ruppe di nuovo.
« Comunque devo andare. Almeno mi sono tolta un peso
raccontandoti tutto. » fece spallucce. « Addio,
Tom. »
Non avrebbe mai voluto pronunciare quelle parole, soprattutto
rivolgendole a Tom. Ma la situazione sembrava non richiedere altro.
Si voltò lentamente, sperando con tutte le sue forze che lui
la fermasse.
Ma la porta si faceva sempre più vicina e solo quando la
aprì sentì la voce di Tom.
« Reb.. » la chiamò.
Lei si voltò col cuore in gola. Tom non riuscì a
sostenere il suo sguardo.
« Stammi bene. »
Rebecca lo fissò da capo a piedi e annuì.
« Grazie. » mormorò, prima di uscire.
Tom guardò la porta.
L’aveva davvero lasciata andare così?
Rebecca si poggiò alla porta, chiudendo gli occhi e
sospirando. Non poteva credere che fosse finito tutto in quel modo.
Si staccò debolmente dalla porta e chiamò
l’ascensore da cui uscì la segretaria di Bill,
Gudrun. Questa la salutò e lei rispose con un sorriso
stretto. Si infilò velocemente nell’ascensore e
arrivò rapidamente al piano terra. Inforcò un
paio d’occhiali da sole e uscì
dall’azienda.
« Hey Becky! »
Rebecca si voltò e vide Gustav correrle incontro.
« Sono passata a casa tua ma non c’eri, non sapevo
fossi qui. »
« Stai davvero andando via? » ignorò lui.
Rebecca abbassò lo sguardo.
« Ho altra scelta? »
« Sì che la hai! Puoi restare, lavorare qui come
hai sempre fatto. »
La ragazza scosse la testa.
« Non posso Gust.. non posso.. »
Lui sospirò.
« E’ per Tom, vero? »
« No, è per me. Mi sono comportata male con tutti
voi e probabilmente non riuscirei nemmeno a guardarvi in faccia.
»
« Potresti almeno provarci. »
Rebecca sorrise.
« Apprezzo i tuoi tentativi, ma non credo sia possibile.
»
Gustav sospirò di nuovo.
« Hai parlato con Tom? »
La ragazza voltò lo sguardo da un’altra parte,
come per evitare l’argomento.
« Più o meno. »
« Più o meno cosa significa? »
« Significa che gli ho raccontato tutto e lui non ha detto
una parola. »
L’amico sbuffò.
« Becky, lo sai com’è lui.. ha bisogno
di tempo.. »
« No, io non lo conosco affatto e lui non conosce me. Ho
cercato di farmi perdonare ma evidentemente non è possibile.
Ognuno andrà avanti per la propria strada. »
Gustav non seppe più cosa dire. Rebecca controllò
l’ora sull’orologio che aveva al polso.
« Devo andare.. »
Gustav allargò le braccia e si abbracciarono.
« Abbi cura di te. » le sussurrò.
« E tu non cacciarti nei guai. »
Lui sorrise un poco e poi Rebecca si allontanò entrando
nella sua macchina. Mise in moto e si allontanò, uscendo dal
parcheggio. Alle sue spalle, Gustav la salutava e l’azienda
si allontanava sempre di più.
Tom aveva osservato tutto dalla vetrata dell’ufficio di Bill,
e questo era appena rientrato. Sedeva alla scrivania, ma fissava Tom.
« L’hai davvero lasciata andare? »
Lui non rispose.
Dentro sé si fece strada una strana sensazione di vuoto e la
domanda di Bill non fece altro che aumentare quella sensazione.
« Tom, diamine! »
« Bill non è facile! Quello che ha fatto
è.. »
« E’ più importate ciò che ha
fatto di ciò che entrambi provate? Lei sta aspettando te!
»
Tom sbuffò e si prese la testa fra le mani.
Perché cavolo era lì? Poteva ancora cambiare il
corso delle cose, no?
Bill sembrò leggergli nel pensiero.
« Il suo treno parte fra 20 minuti. »
Tom lo guardò con la coda dell’occhio e lo vide
chinarsi nuovamente sui suoi bozzetti.
Strinse un pugno, mentre vide in lontananza un bagliore illuminare una
parte di cielo; come un uragano.
Gli era perfettamente chiaro cosa doveva fare, e non esitò.
Una volta arrivata in stazione, Rebecca tirava il trolley con aria
assente. Un altro zaino pendeva sulla sua schiena e aveva una borsa
bianca poggiata sul trolley. Con l’altra stringeva
l’ombrello che aveva aperto quando aveva iniziato a piovere.
Aveva guardato il tabellone una ventina di volte e per una ventina di
volte si era dimenticata qual era il binario.
La gente attorno a lei si muoveva con fretta e impazienza, ma lei
più tempo ci metteva meglio era. Poteva sempre dire di aver
perso il treno, tornare da Bill e chiedergli se poteva restare ancora
per un po’.
No, si disse scuotendo la testa. Doveva andare via di lì.
Nonostante sentisse voci chiamarla.
Il suo treno venne annunciato per la prima volta e Rebecca
velocizzò il passo.
La pioggia scrosciava attorno a lei e la gente cercava di ripararsi
come meglio poteva.
« Rebecca! »
Si voltò sentendo qualcuno pronunciare il suo nome, ma non
vide nessuno. Probabilmente non cercavano lei.
Cercò il binario con lo sguardo e quando lo trovò
aumentò ulteriormente il passo, cercando di non scontrarsi
con le altre persone che percorrevano la sua stessa strada o quella
contraria.
« Reb! »
Quella volta lo sentì più vicino e si
voltò completamente.
Il cuore le salì rapidamente in gola e davanti a lei si
fermò un Tom completamente fradicio, da capo a piedi.
Respirava a bocca aperta e a pieni polmoni.
« Non puoi andare. »
« Cosa? Tu.. »
« No! » sollevò una mano in aria,
bloccandola. « Lasciami parlare. »
La ragazza serrò le labbra e stette ad ascoltarlo.
« Non puoi andare via. Non adesso che so veramente chi sei e
non dopo tutto quello che c’è fra di noi.
Perché entrambi sappiamo che siamo legati più di
quanto vorremmo ammettere. E mi scuso per il mio fottuto orgoglio che
non mi ha permesso di dirti queste cose prima, ma ti chiedo col cuore
in mano di.. non andare. »
Lei scosse la testa in maniera quasi impercettibile e poi si
guardò attorno. Tom stava ancora sotto la pioggia.
« Mi mandi a fanculo dopo che ho rischiato la vita per te, ti
ho raccontato tutto quello che è successo e ho messo in
gioco i miei sentimenti a causa tua, e tutto ciò che ho
avuto è stato un “stammi bene”. Ora
arrivi qui con chissà quale mania di eroismo, magari
suscitata da qualche sermone arabo di Bill e ti permetti di dirmi che
non posso andare per il semplice fatto che ti sei svegliato adesso?!
»
Tom lasciò zigzagare gli occhi sull’espressione
stravolta della ragazza.
« Sì. » ammise spudoratamente.
Lei restò basita e poi mollò il trolley.
« Lurido figlio di puttana! » lo spinse via.
« Farabutto! Egocentrico! Egoista! Spocchioso! Vanitoso!
Orgoglioso! Testardo! Bugiardo! E stronzo! » ad ogni parola
gli dava un colpo che lo faceva indietreggiare. « Come osi
venire qui e dirmi cosa devo o non devo fare dopo che mi hai lasciata
agonizzare nel mio brodo per questi giorni sapendo che ero seriamente
pentita?! Razza di.. »
Tom le bloccò la mano con un solo gesto e con
l’altra l’avvicinò a sé,
piazzandosi poi sotto l’ombrellone con lei e baciandola.
Rebecca non riuscì più a parlare.
Le labbra di Tom erano umide, sapevano di pioggia. Quel contatto le era
mancato per troppo tempo e di colpo tutta la rabbia che le era salita
in corpo svanì come polvere. Infondo, in quel momento lei
non voleva davvero andare via; voleva solo stare con Tom.
« Resta per me. Resta con me. » mormorò
lui, sentendo che lei si era calmata.
Rebecca lo fissò a quella distanza minima. Le sue gambe non
avrebbero retto ancora molto.
Il suo treno venne annunciato di nuovo e un fischio echeggiò
nella stazione. Voltandosi, lo vide in partenza.
Voltò di nuovo lo sguardo verso Tom che continuava a
stringerla a sé; poggiò la testa sul suo petto,
socchiudendo lentamente gli occhi.
Tom trattenne un sorriso felice e non avrebbe mai voluto slegare
quell’abbraccio.
« Mi dispiace.. » mormorò lei.
Lui bloccò qualsiasi altra parola semplicemente stringendola
a sé.
« Andiamo a casa. » le sussurrò allora.
Lei annuì ancora poggiata alle sue spalle, poi si
scostò lentamente e riprese il trolley con la borsa sopra,
ormai quasi completamente bagnati.
Lo tirò via e mise l’ombrello in modo che potesse
coprire anche lei e Tom.
« Sai, non ci speravo più. »
bisbigliò.
« In cosa? »
« Nel vederti arrivare per chiedermi di restare. »
Tom sfoggiò un ghigno sul viso.
« Però l’ho fatto. »
Rebecca nascose un sorriso soddisfatto e represse un “grazie
al cielo”.
Era felice di essere con Tom ed era felice che quella storia si fosse
conclusa in quel modo. Georg era in prigione e lei stava continuando la
sua vita in compagnia di Tom. Passo dopo passo, oltre ad essere sempre
più vicini all’uscita della stazione, ad entrambi
sembrava di diventare sempre più forti e uniti.
Era come se l’uragano nella quale erano stati risucchiati, si
fosse dissolto.
Tom le cinse una spalla, aggrottando le sopracciglia.
« Mi sono sempre chiesto una cosa. »
Rebecca lo guardò.
« Cosa? »
Il ragazzo si voltò ad osservarla, fermandosi di botto. Gli
abiti gli aderivano sempre più alla pelle ed era sicuro che
si sarebbe ammalato se non si fosse riscaldato in fretta. Ma non era
quello il punto; aveva Rebecca davanti a sé.
Si strinse nelle spalle, pensando di essere tremendamente idiota, e si
convinse sempre più di aver fatto la scelta giusta.
Lei attendeva ancora una risposta.
« Tom, allora? »
Tom si schiarì la voce e poi la baciò di nuovo.
Poi, si avvicinò al suo orecchio.
« Posso chiamarti anche io Becky? »
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