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di Smirne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incipit ***
Capitolo 2: *** Prompt II ***
Capitolo 3: *** Monologo sulla paura ***



Capitolo 1
*** Incipit ***


"Cosa vedi davanti a te?"
Terra.
"Descrivila."
Bruna, spoglia, sterile.
"E poi?"
Un tronco. Spicca in mezzo ad uno specchio d'acqua sporca.
"Sopra l'orizzonte?"
Cime appuntite, bucano le nubi. Sono bianche.
"Muoviti."
Fù in questo modo che iniziò quest'altra giornata, fù così che il sole stette di nuovo ad osservare Oraf imparare dal cieco a
vedere, ad espandere la sua mente sino a non aver più bisogno del piano fisico, godendo e traendo nutrimento solamente dai
pensieri, dai sentimenti, dagli impulsi e da tutte quelle altre cose che una mente non preparata non riesce a cogliere.
Ma adesso basta divagare, inizierò col descrivervi il loro primo, forse fortuito, incontro.

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Oraf stava seduto ad un tavolo, nell'angolo più estremo della sala, a sorseggiare da un boccale dell'Ojo scuro, dall'odore e
gusto caratteristico, contemporaneamente nauseante e narcotico.
Non "vedeva", non "sentiva", non "assaporava" la vita, non godeva di nessun agio, di nessuna passione, la sua esistenza era
tremendamente vuota, riempita dal lavoro stancante, dal sesso e dall'alcol scadente.
Nato 31 anni fa, è cresciuto nello stesso paese dove ha vissuto tutta la sua vita, passata a nascondersi sotto le sottane delle
signorine, sia in tenera età che ora.
Qualche anno orsono ha ereditato la locanda del padre, subito ceduta per pochi spiccioli ad uno zio, dal nome inutile da citare,
a causa dela sua totale apatia.
Tornando al tavolo di Oraf, stava a sorseggiare dal suo bicchiere senza interessarsi minimamente alla folla circostante, quando
un viandante piuttosto curioso entrò nel locale.

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Capitolo 2
*** Prompt II ***


Alto, di pelle completamente melanea e di capelli d'un biondo cinereo che incuriosirono persino la lobotomizzata mente d'Oraf, ancora ignara del fatto ch'entro poche ore avrebbe iniziato a "vedere", ad apprendere, dopo 27 anni di attività puramente comune, futile. Enrato nella locanda, la sua curiosità venne catturata dal nostro protagonista, che ovviamente non conosceva, ma presentiva, non vedendone ancora il potenziale, l'indole buona e l'Ode addormentata in lui, cose ch'avrebbe visto in seguito. Ne rimase incuriosito per l'aspetto, molto raro a trovarsi in quella parte delle Sfintaldi, piccole isole a metà del corso del fiume Esio, il grande fiume che scorre nel Osideo, che è via di passaggio per gli universi e li collega tutti attraveso delle ripide salite degli affluenti del fiume, chiamate in gergo "Stringhe". Apparteneva alla razza dei Lasyan, immortali destinati a render brulla la terra sulla quale camminavano, a render sterili le donne che tentavano di fecondare, rugose le mani che stringevano e piangenti i visi che cercavano di consolare; per questi motivi la gente ne stava alla larga, ed egli era un ottimo esempio d'abbandonato da tutto e da tutti, persino dalla sua stessa personalità e coscienza, destinato a vivere un'esistenza dedicata allo svolger sistematiche inutilità. Il viandante era, probabilmente, un essere ancor più curioso, essendo un Saggio, più comunemente chiamato "cangiante" o "mutaforma": faceva parte di una razza famosa oltre che per la grande arguzia ed intelligenza, anche per la dominazione quasi totale dell'Ode, ch'in loro come in quasi nessun'altra razza magistralmente fluiva. Questo fluire però aveva i suoi effetti collaterali: tutti loro vengono tremendamente influenzati da alcuni fattori che legano l'Ode, chiamata Ismera nella loro lingua, alla loro natura tipicamente cangiante e politropa: la sua forma fisica era la stessa della sua forma mentale, spirituale e cognitiva; la sua anima era esposta al mondo nello stesso modo in cui sono esposte le viscere di un cervo alle mani ed agli occhi esperti d'un cacciatore. Per questo motivo era solito vagare per le Stringhe, avvolto completamente in un lungo mantello nero, in quale l'aiutava a mantenere una forma fissa grazie ad alcune "Odi" scritte su d'esso. Questo limitatore riusciva a mantenere la sua forma stabile, questo è senz'altro veritiero, ma la manteneva stabile in una forma che in una società prevalentemente umana veniva poco rispettata, misfrattata ed addirittura discriminata: quella d'un vecchio, con le caratteristiche prima descritte, piuttosto curioso ad un primo sguardo, se non fosse stato per l'aura di tremendo pericolo ch'emanava, certi giovanacci avrebbero potuto tentar di malmenarlo per divertimento e scherno, finendo con assoluta certezza in situazioni poco piacevoli, ne converrà anche il lettore.

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Capitolo 3
*** Monologo sulla paura ***


Tutti hanno paura di qualcosa, che sia cosa sciocca, allegoria o naturale. 
Tutte le paure sono giuste, nè buone nè malvagie, soltanto giuste.
Tutte hanno un ulitità.
Tutte sono da prendere sul serio.
Tutte sono da coltivare, combattere o abracciare.
Tutte provocano, in diversi modi, piacere, trascendentale e gaudioso, soltanto sano ed onesto piacere; esso non è mai né falso né sbagiato, se ha come fonte la paura.
Esso, come la paura dalla quale deriva, non è mai né falso né sbagliato.
Esso porta sempre ad un punto di non ritorno, un punto che cambia la nostra concezione delle cose radicalmente; nessuno che abbia mai provato piacere può continuare a guardare con gli stessi occhi, cosìccome nessun musicista ascolta mai con le stesse orecchie, nessun pittore dipinge mai con le stesse dita, nessun oratore elabora discorsi con la stessa mente e li espone con la stessa lingua, nessuno scrittore scrive mai con la stessa idea, e che d'idea ottenuta attraverso ragionamenti o attraverso ispirazione mistica indotta da cose materiali o no si tratti, deriva sempre dalla paura.
Non c'è idea migliore, come, ovviamente, non esistono solo i due estremi del terreno e del sovrannaturale, come non esistono il bianco ed il nero per l'uomo, ma soltanto infinite tonalità di grigio, sempre presenti nella mente dell'artista, come cromatismo, susseguirsi di toni, di lettere, di gusti, di pensieri, di immagini, diverse fra loro ma tutte collegate da un identico leit motiv: la paura.
Paura di non riuscire nel proprio intento, paura di non rimanere soddisfatti, paura di non soddisfare, paura del rimanere senza paura, senza la linfa dell'arte.
Attraverso la paura, filtro per l'infinito, l'artista riesce a mettere al mondo un essere di sola paura, formato da sola eternità, sconfinata, soluzione di terrore e sicurezza, bene e male, tristezza e felicità, indifferenza ed interesse.
Con qualsivoglia miscoglio, il rislutato è d'immenso valore, se non artistico, se non umano, se non morale, semplicemente il valore della paura traslata nella realtà.
Questo risultato, che quasi tutti gli uomini cercano e ripudiano, adorano e disdegnano, e nel contempo abbracciano con un amore quasi carnale, essendone assuefatti, pensando che faccia male.
Pur l'uomo più comune, più stupido e ignobile ama inconsciamente la paura, l'uomo buono ama sentirne la mancanza, l'uomo malvagio, qui sinonimo d'intelligente, ama fornirla al buono.
Ma solo colui che riesce a concepire la paura nel suo significato più puro, fuori da tutte le regole, fuori da tutti i canoni, in tutta la sua magnificenza, solo colui capace di far ciò attraverso l'Arte è degno di goderne pienamente, di berne l'essenza, d'assaorarla fino all'ultimo goccio, d'averne ultimo godimenti, d'aver paura e di provarne piacere nel provarla, nel provocarla e nel farla nascere.

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