Red Lemon di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rei/Yuichiro I ***
Capitolo 2: *** Usagi/Mamoru I ***
Capitolo 3: *** Ami/Alexander I ***
Capitolo 4: *** Rei/Yuichiro II ***
Capitolo 5: *** Usagi/Mamoru II ***
Capitolo 6: *** Rei/Yuichiro III ***
Capitolo 7: *** Ami/Alexander II ***
Capitolo 8: *** Usagi/Mamoru III ***
Capitolo 1 *** Rei/Yuichiro I ***
Red Lemon
Red
Lemon
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
1
- Rei/Yuichiro I
Seguito della
scena
Rei/Yuichiro nel capitolo 12 di 'Verso l'alba'
«Hmm...»
Non aveva mai emesso suono più soddisfatto.
Espirò piano, rilassando la schiena
inarcata fino a
riappoggiarla sul futon, sentendosi meravigliosamente spossata,
incredibilmente viva.
Vitale era il suo respiro ancora irregolare, il calore del
peso premuto
contro il suo torso, la gamba abbracciata a quella di lui e la
mano che era risalita a massaggiargli una spalla. Addirittura vibrante
era il soffio
caldo sotto l'orecchio, sulla sua
pelle appena umida,
ancora in grado di farle ricordare l'ultimo degli
spasmi che le avevano fatto aprire la bocca in un muto lamento di
piacere. O forse era rimasta in silenzio solo metà delle
volte.
Ora sapeva che il bollore, nato e cresciuto dove
continuava la
migliore delle unioni, si era espanso dentro di lei fino a toccare la
punta di ogni suo singolo dito, spingendola a dissolversi in un mondo
paradisiaco di pura freschezza dei sensi. Certo,
poteva essere il freddo generato dalla mancanza di coperte a creare
l'effetto, ma per lei era fresco e gradito anche il calore che
persisteva, intenso, sopra il suo corpo e dentro il suo
corpo.
Avrebbe potuto vivere
per sempre in quel modo, preda di contrastanti temperature, una cosa
unica e sola con l'amore della sua vita.
Il romanticume della smanceria mentale la fece sorridere, ma
non come
il bacio che arrivò sulla sua guancia.
Usò le mani per incorniciare il volto di Yuichiro.
Si
riempì di un sorriso
pigro,
di
un sussurro ricco di sensazioni. «Perché le
mordevi tanto?»
Sollevò la testa, di quel tanto che
bastava a posare un bacio leggero sulle labbra di lui, più
scure
proprio a causa del tormento subito. Colpita da un nuovo
brivido, vi indugiò
più di quanto avesse voluto, ma Yuichiro ricambiò.
«Per farmi un po' male.» Parole soffiate
contro la
bocca ancora
sensibile. «Per distrarmi.»
Distrarsi?
«Da me?»
Lui scosse piano la testa. «Da questo.»
Premette in
avanti le
anche.
Rei trasformò il respiro mozzato in un sorriso ma
Yuichiro
non
fece in tempo a imitarla: spalancò gli occhi di
colpo, infilando una mano tra di loro e scostandosi rapidamente.
Rei si sollevò sui gomiti. «Cosa
c'è?»
«Questo.» Le mani di lui trafficarono con
la
protezione che aveva
usato, sfilandola. «Avrei dovuto farlo subito.»
«Bisogna farlo subito?»
Lo
osservò
mentre si dirigeva verso il
cestino all'angolo della stanza.
«Sì, altrimenti...» Prima di
tornare
indietro, lui rimase a
guardare la propria mano. «Non ti ho fatto male,
vero?»
«No» sbuffò lei. Quante volte
doveva
ripeterlo?
Yuichiro si sfregò le dita preoccupato,
poi si
diresse
verso la scrivania. Nel momento in cui iniziò a usare un
fazzoletto, Rei comprese il problema; saltò in ginocchio e
fissò il punto del futon su cui si era sdraiata. Le
scappò una smorfia.
Lui tornò indietro. «Non è
niente.»
Non era quello il problema. «Diventerà
qualcosa se
rimango
sdraiata.»
Gonfiò le guance per contenere lo
sbuffo. «Che
noia!» Si
allungò a prendere i vestiti dal pavimento.
Yuichiro fu cauto. «Cosa?»
Lei si buttò addosso la felpa. «Dovermi
alzare
adesso!» Avrebbe voluto riposare beata! Tornò in
piedi e
cercò la gonna a pieghe, trovandola alle sue spalle.
Per solidarietà, Yuichiro iniziò a
sua
volta a
raccattare i propri indumenti.
«No, tu sta' qui.» Rei allacciò
la
gonna. «Vado
in bagno e torno.»
Finì di dirlo e rimase a guardare il futon non
più
immacolatamente bianco. Sospirò, scocciata e
quasi depressa.
«Lo
cambio.»
Yuichiro sorrideva, con l'ovvio intento di
consolarla. «Ne
ho un altro.»
«Va bene» disse lei, aggrottando la
fronte.
Uscì a passi
pesanti
nel corridoio.
Certo che era davvero una noia! Come si poteva essere
costretti a
pensare a cose tanto materiali in momenti come quello? Fino a poco
prima aveva ignorato il mondo intero, proprio come doveva essere e
ora... Roteò gli occhi al cielo. Uffa. Era stata
così bene sotto le coperte, al caldo. Invece ora era
fuori a congelarsi le gambe nude.
«Aspetta.»
Si girò e trattenne una risata. Senza l'hakama, la
tunica era un capo di vestiario piuttosto ridicolo.
Yuichiro la teneva unita con una mano sul fianco. La raggiunse in
quello stato. «L'ho già trovato.»
«Cosa?»
«L'altro futon.»
Lei emise un sospiro sconsolato. «Non è
quello il
problema. Mi ha dato fastidio
doverci
interrompere.»
Attese di sentirlo concordare con lei, ma non udì
altro che
silenzio. Cercò il suo sguardo e trovò
un'espressione
dubbiosa.
«... ci siamo interrotti?»
Rei rese gli occhi sottili.
«Stupido.»
Lui si irrigidì. «Scusa.»
«Non sai neanche per cosa ti stai
scusando!»
«Per averti fatta arrabbiare.»
Lei serrò gli occhi. No, non
voleva arrabbiarsi adesso. «Vado
in bagno.»
Fu trattenuta per un polso. «Mi dispiace.»
Lui ancora non aveva capito niente e forse fu per quello che
il suo
pentimento le sembrò particolarmente onesto. «Sei
fortunato solo perché sono ancora di
buon
umore.» E
perché lo doveva a lui.
Lo circondò con le braccia, premendosi felicemente
contro la sua
tunica slacciata. Si ritrovò a desiderare di non avere
addosso
la felpa. «Dammi un bel bacio e ti perdono.»
Con le labbra piegate all'insù, lui unì
la bocca alla sua.
Il bacio
fu lento, languido. Tenero, tutto quello che lei avrebbe voluto nella
pace dei sensi di poco prima, loro due stanchi e ancora uniti, a
riposare insieme sotto un'unica coperta.
Lo perdonò completamente, ma proprio
perciò lo
bloccò
appena tentò di allontanarsi da lei. «Pensavo
più a un
bacio
come quelli... di prima.» Tirandolo giù per il
collo, iniziò a dimostrare
cosa
intendeva.
A Yuichiro tornò l'acume adoperato con grande
ingegno nella
sua
stanza, sul futon. Nel bagno, qualche giorno addietro. Sul letto di
lei, coi vestiti ancora indosso. Le infilò la mano sotto la
felpa e non perse tempo a toccarla
esattamente dove le serviva.
Rei mordicchiò le sue labbra, le leccò.
«Sembra
quasi troppo facile.»
«Che
cosa?»
Lui fece andare il pollice
avanti e indietro sullo stesso giustissimo punto, sfiorandola di
proposito con l'unghia.
Lei serrò gli occhi, mangiandosi un gemito.
«Sai
da quanto
volevo che lo facessi?» Lui aveva una minima idea di
quanto
le fossero
sembrati
lunghi i mesi trascorsi a desiderare che le sue mani la toccassero
dappertutto?
«Da agosto.» Yuichiro si fermò
e sorrise trionfante.
«Dalle vacanze?»
Lui annuì. «Da quella volta sulla
spiaggia. Ho
immaginato
tante volte di poterla continuare.»
Rei fece entrare una mano dentro la
sua tunica
aperta. Passò le dita sulla sua schiena.
«Anche io,
però...
no.
Lo volevo da prima.» Per quanto fosse stato quell'episodio ad
amplificare l'intensità del suo bisogno.
Stringendola forte per la vita, a diretto contatto con la sua
pelle, Yuichiro riprese il bacio e la carezza.
«Dall'inizio?»
Non proprio, ma l'ombra del pentimento che aveva
agognato di
sentire quasi la convinse a dire di sì. La
verità era
un'arma
migliore. «Avrebbe potuto succedere dall'inizio. Non avrei
detto
di no.» O
un rifiuto si sarebbe trasformato in un assenso nel giro di un'ora al
massimo.
Yuichiro rilasciò un lamento. Abbandonò
la sua
bocca
solo per andare a tormentarle la mascella. Vicino all'orecchio le
premette i
denti sulla pelle, vorace.
Rei si morse le labbra. «Anche prima.»
«Cosa?»
Le scappò un sorriso. «Solo in
un
momento di
assoluta
pazzia, però...» Prese il suo viso tra le
mani:
voleva
vedere la reazione di lui fin nella più piccola sfumatura.
«Una
notte ho fatto questo strano sogno. Un anno fa, più o meno,
in estate.
C'ero io che dormivo
nel mio letto e mi svegliavo perché qualcuno era con me e mi
stava...
toccando. Sotto il pigiama. Non sapevo chi, non m'importava.»
Yuichiro aggrottò la fronte in un'espressione
talmente
gelosa da
strapparle una breve risata.
«Su, era un sogno. Continuava con lui che mi
accarezzava dove
non
avrei fatto mettere le mani a nessuno. Forse per questo
era
così... eccitante.» Un sogno erotico in piena
regola, che
lei
non aveva né cercato né voluto, giunto dal nulla.
Lo aveva capito anche Yu, ma continuò
ad
ascoltarla ritroso. Non era certo di voler sentire la storia fino
alla fine.
Lei era talmente sicura che la conclusione gli sarebbe
piaciuta che
decise apposta di accentuare la piccola tortura. «Sai, l'ho
lasciato fare.
Anche quando si è messo sopra di me: volevo che continuasse.
Persino nel sogno trovavo incredibile che stesse per succedere sul
serio.» Prima di allora non si era mai addentrata con tanto
dettaglio
nell'esperienza del sesso o, quantomeno, nelle sensazioni che avrebbe
potuto provare nel mentre; nel sogno erano state oniricamente
impalpabili e, proprio perciò, particolarmente intense.
Yuichiro strinse la labbra tra loro. «Vuoi dire che
il
giorno dopo
sarebbe
stato
facile avvicinarti?»
«No. Voglio
dire che
quando lui ha... iniziato,
è stato fantastico.»
Il braccio che la teneva per la vita
s'irrigidì con chiara impazienza.
Il divertimento di lei
crebbe
di un altro grammo. «Così tanto che finalmente ho
voluto
vederlo
in faccia e... be', eri tu.»
Yuichiro perse ogni tensione. «Come?»
Il sorriso crebbe fino a prendergli metà
faccia.
«Io non
ridevo. Mi
sono
svegliata di colpo, con un'incredibile voglia di prendere a schiaffi
prima me e poi te. Ma te più forte.» Infatti il
giorno
seguente
lo aveva trattato talmente male da farlo scappare dal tempio prima
dell'ora di pranzo.
In quel momento invece lo colpì al petto con
l'indice.
«Non
gonfiarti troppo. Avrò scelto te perché mi stavi
sempre
intorno e non mi dispiacevi.» Se l'era spiegato in quel modo
per
tantissimo tempo e, oggi come allora, era ancora convinta che fosse la
verità, salvo una piccola parte che nascondeva un'altra
spiegazione. Un anno addietro per lei era stata insignificante, ma
adesso
quella ragione che non aveva voluto vedere era diventata la sua
realtà.
Yuichiro aveva ancora l'espressione di uno che aveva scalato
l'Everest.
«È
successo
una volta sola?»
«Be'...»
Lui nascose una risata contro il suo collo, riprendendo a
stuzzicarla su quel punto ma soprattutto sotto la felpa.
Rei spezzò un sospiro.
«Un'altra volta
solamente.
E non siamo andati tanto in là.»
«Ma ci andremo dopo. Di nuovo.»
Quella sì che era una buona idea.
Si librò un'aria un gorgoglio di protesta.
Yuichiro
si
staccò da lei, ma si beccò lo stesso una spinta
giocosa.
«Tu e il tuo stomaco!»
Lui si massaggiò la nuca, colpevole. «Ho
fame.»
In fondo anche lei era un po' affamata. «Allora vai
a servirci da
mangiare.»
«Agli ordini!» Yuichiro portò
la sua
allegria oltre l'angolo
del corridoio.
Serena, lei si diresse con calma
verso il
bagno.
Dopo mangiato, si sentiva una Rei nuova.
Sistemò nel lavello le
ciotole sporche e tornò in salotto, stiracchiandosi
sulla soglia. Strofinò un polpaccio nudo con l'altra gamba:
aveva indossato gli slip ma le calze le erano sembrate superflue.
«Dormiamo nel mio letto stanotte. Anche se è
stretto,
è
più comodo.»
«Va bene.» Yuichiro si era sdraiato, la
schiena
contro il
pavimento e le braccia dietro la testa. Per lui quella era la posizione
del relax. Aveva legato senza troppa attenzione la tunica al petto e si
era rimesso i pantaloni.
Lei andò a sedersi accanto a
lui, le
gambe
incrociate. Con dita leggere, giocherellò con la frangia
disordinata sulla sua fronte. «Davvero non trovi
scomodo il tuo futon?»
Lui chiuse le palpebre, sereno. «No. Però
se vuoi
posso
comprarne uno più imbottito.»
Sarebbe stata una mossa sfacciata. «Il
nonno
troverebbe
sospetto
vedertelo cambiare all'improvviso.» Il pensiero della
reazione la fece sorridere.
Yuichiro annuì, divertito quanto lei ma per fortuna
non
più
tanto preoccupato di fronte a quell'eventualità.
«Forse
sì» le disse.
Rei si sporse sopra di lui, facendogli ombra. «Come
pensi di
fare
quando tornerà?» Naturalmente avrebbero dovuto
usare
maggiore
discrezione, ma sperava di evitare momenti di frustrazione come
quelli dei giorni precedenti. Anzi, voleva assicurarsene già
ora.
Pensieroso, Yuichiro sollevò entrambe le
sopracciglia.
«I
pomeriggi?»
La domanda di lei era stata più ampia,
ma la
mente di lui si era chiusa su un'unica questione. Sin da
prima, sorrise.
«Cos'ho detto?»
«Niente.» Si sdraiò accanto a
lui e per comodità
sollevò le gambe, sistemandole sopra il tavolo basso.
Osservò il soffitto. «È un
peccato non poter dormire
sempre
insieme.» Come aveva scoperto solo da poco, potersi
addormentare
stretta a lui era particolarmente riposante per lei,
nonostante la durezza del pavimento
sotto il
futon. Forse voleva troppo dalla vita, ma doversi limitare in desideri
tanto naturali le sembrava insensato.
La vera insensatezza, si
rese conto, stava nel non voler tener conto del resto del mondo.
Yuichiro si girò su un fianco, circondandole lo
stomaco con
un
braccio. «Abbiamo questi giorni.»
Questo sì.
«E poi una vita intera.»
Anche quello sì.
Eppure, riuscire a pensare con
tanta
tranquillità a quanto mancava perché quel giorno
arrivasse... «Certo che ne hai di pazienza.» Ma di
che si
stupiva? Lui era campione nell'attendere.
Yuichiro abbassò la fronte sulla sua, gli occhi
chiusi.
«Fino ad
ora pazientare mi ha portato le cose migliori.»
Lei, loro. Sì. Il meglio.
Nelle narici le entrò l'odore del viso di lui: non
aveva mai
tentato di
paragonare quell'essenza a niente, poiché nulla le faceva
provare l'impulso
di strofinare il naso e... aspirare; chiudere gli occhi e aspirare,
felice solamente di poterlo fare.
Gli sfiorò il naso col proprio.
«Perché
hai aspettato?» Persino in assenza di promesse, di speranze.
No, le
cose non
erano andate proprio così. «È vero che
all'inizio
ti avevo
fatto capire che c'era... qualcosa. Ma dopo no. Non
più.»
Per
niente, o quasi. «Perché hai continuato ad
aspettare?»
A lui bastò una breve riflessione.
«Pensavo
di essere quello giusto.»
Lei inclinò la testa.
«Sentivo che... Vedevo
che
con
me stavi bene, Rei. Quando parlavamo. Quando non dicevamo niente. Tu
eri
quella giusta perché ti capivo. Sentivo di comprenderti e
di sapere
quello che provavi, sempre. Non quello che sentivi per me, ma tutto il
resto... sì. Ho aspettato perché...» Le
liberò la
fronte dai capelli. «Mi cercavi. Per dirmi com'era andata la
tua
giornata, per chiedermi com'era andata la mia. Non era niente di
importante, però eri contenta di poterlo fare, di avermi
con
te. Ti rendevo felice. Continuavo ad aspettare perché
pensavo
che nessun altro ti avrebbe reso così felice e... be', era
più
realtà che fantasia, ma io la trattavo come una fantasia
irraggiungibile.»
Rei gli accarezzò la guancia. «Non
è
più
una fantasia.»
«No.» Sereno, lui
tornò ad appoggiarsi sul fianco, usando un braccio per
portarla con
sé. «Poi... c'era un'altra cosa. Volevo
essere
quello che ti avrebbe convinto.»
Convinto? «Di cosa?»
«Volevo convincerti che non dovevi fare niente per
farti
amare, che potevi fare
tutto il contrario: sgridarmi, arrabbiarti o ignorarmi e io non ti
avrei
mai trattata nello stesso modo.»
Poche parole che le aprirono un mondo di chiarezza.
Ricordando,
sospirò. «Mi faceva male
quando ti arrabbiavi con me, anche solo un poco e... ti
allontanavi.»
Piuttosto che farlo notare a qualcuno, se stessa compresa, a quel tempo
avrebbe preferito la morte. Non si era detta che era stata lei a
provocare una qualsiasi reazione di fastidio in
Yuichiro, aveva sempre dato la colpa a
lui: la colpa di averle dimostrato che era in grado di non tenere
più a lei, anche di pochissimo, proprio come lei aveva
sempre
sospettato... temuto. Però...
Modellò la mano su un
lato del suo viso. «Era... assurdo
accontentarti di
sacrificarti in
quel modo.»
«Già. Non andava bene, per questo verso
la fine
avevo iniziato a
deprimermi.»
Da lì era nata la rabbia del momento del loro quasi
saluto,
quello che avrebbe potuto separarli per sempre e farle più
male di
quanto
avesse potuto immaginare. Il pensiero di rimanere da sola -
perché le
era sembrato di rimanere da
sola -
era diventato un focolaio di tristezza che si era nascosta con
coraggio, pronta ad affrontare la partenza di lui, a rispettare
ciò che aveva deciso per il futuro che gli apparteneva.
Yuichiro non aveva spostato lo sguardo da lei. Più
che un
sorriso,
le
sue labbra increspate le ricordarono una lontana amarezza.
«Tu
avevi
iniziato a uscire con altri e io avevo cominciato a sentirmi tradito,
anche se non ti avevo mai chiesto nulla.»
«Basta.» Lo baciò.
«Non dovevi
sentirti così, perché qui» gli prese
una
mano e se
la
portò sul
petto, premendola, «qui c'era posto solo per
te. Quando
sono
stata tanto stupida da provare a farci entrare qualcun altro, non ha
funzionato.» Amava molte persone, ma era innamorata di una
sola di loro.
A lui spuntò in volto quel misto di
sorpresa e
assoluta
gioia nato solo in pochi altri momenti. Quello stessa sera ad esempio,
dopo che lei gli aveva detto...
"Quando non sei
con me,
mi ricordo di quello che fai o dici e penso... 'quanto lo amo'."
Yuichiro accoglieva frasi come quella come se fossero una
continua rivelazione,
un dono.
In realtà l'unico regalo lo aveva ricevuto lei, per
la
fortuna di avere lui nella
sua vita.
Ogni frase melensa, romantica e sdolcinata che avesse mai
immaginato smise di avere una minima qualità negativa: le
sentì sulle labbra come fossero parte di lei.
«Sarà vero per
sempre.» Catturò la sua bocca, immergendosi in
loro due,
staccandosi solo un momento. «Ti
amo, ti amerò sempre.» Infilò le
mani dentro
la sua tunica, scostandola di forza, per toccarlo e sentirlo sotto
le
mani e le dita, caldo e vero e lì, lì.
«Non
smetterò mai ed ero felice solo perché c'eri
tu-» Non
riuscì più a parlare, la bocca intrappolata,
consumata
d'amore.
Mi fido e non
voglio che
mi provi più niente.
Lo schiacciò contro il pavimento, sotto di
sé,
mentre le
braccia di lui coprivano per intero la sua schiena nuda, sfilandole poi
di fretta la felpa da sopra la testa.
Lei affondò i fianchi contro il suo bacino e gli
ricadde
sopra, i seni contro il suo petto, i seni nelle sue mani,
l'ansito nella sua bocca e di nuovo i fianchi premuti forte
verso
il basso, contro di lui.
Ti appartengo e
tu
sei mio.
Tenendola salda, Yuichiro fece scattare le anche verso l'alto.
Non
le
abbassò più, usò le mani aperte per
muoverla
contro di lui, la presa salda sui suoi fianchi. Rei usò il
proprio peso per sfregare
più
forte e meglio e di più, ancora. Prigioniera
delle sensazioni, gli passò una mano su e
giù per lo stomaco teso. Le
sue
dita, rese
esperte dal bisogno, lo graffiarono appena, si diressero di sotto, a
slacciare un dannato bottone - o per caso era più
semplice
abbassare la cerniera?
Con un colpo di reni, Yuichiro girò entrambi di
lato.
Trafficò da solo,
ancora
sdraiato su un fianco, fino a che non scattò in
ginocchio per
levare l'impaccio dei pantaloni. Sembrò sul punto di
abbassarli
solo a metà coscia quando d'improvviso la vide lavorare alla
propria
gonna;
usò quell'attimo per sedersi e liberare completamente le
gambe.
Si scontrarono a metà strada, ma a Rei
sfuggì la
volontà di lottare e si abbandonò
all'indietro. Lo
catturò per la vita con una gamba, massaggiò
la parte
bassa della sua schiena, sul centro, scese di poco e aprì il
palmo su ciò
che era completamente suo.
Lui si spinse contro le sue gambe, e se non fosse
stato per la
stoffa
sottile degli slip- Non ci fu più, ci furono le sue dita,
dentro, che la trovarono pronta, ardente e stretta, tanto stretta
perché due
sole bastarono a farla sentire così-
Tolsero insieme l'impedimento degli slip, le gambe di lei
prime
sollevate in alto,
quindi piegate e poi aperte.
Si afferrarono l'un l'altro con le braccia, si
tennero
stretti. Con un affondo si completarono.
Rei abbandonò la testa all'indietro, il respiro
perso, il
bassoventre in fiamme. Era
così diverso da
prima, tanto più spontaneo, il
contatto
tra loro finalmente diretto, senza alcun ostacolo a-
Si irrigidì come una tavola. Iniziò a
dimenarsi,
acquisendo rapidamente convinzione.
Yuichiro si sollevò sulle braccia tese, allarmato.
«Cosa?»
Lei gli piantò i palmi sul petto.
«Togliti!»
Tentò di
scivolare all'indietro, ma ci riuscì solo quando fu lui a
spostarsi.
Yuichiro rimase a fissarla, il respiro veloce e gli occhi
sgranati.
«No, non-» Col fiato corto, lei
agitò
una
mano tra loro. «Non stavamo usando-» Chiuse la
bocca aperta,
inspirando un'ultima volta. «Niente.» Che idiota!
Lui si raggelò. Come attraversato da una
scossa, scosse convulsamente la testa. «Mi
dispiace! Non ci ho pensato, veramente!»
Inorridì. «Non l'ho fatto apposta!»
«Finiscila, lo so!» Rei si premette le
mani sugli
occhi, piegandosi in
avanti e rannicchiandosi nel tentativo di fermare il tremolio
che partiva in mezzo alle gambe. Era quasi doloroso.
«Che
frustrazione!» Sbatté
un pugno sul pavimento.
Yuichiro si lasciò sfuggire una
risata stentata.
«Cos'hai da ridere?!»
Lui si allungò ad afferrarle un polso.
«Niente,
corriamo. Di
là.» Si alzò in piedi, senza lasciarla
andare.
Rei si ostinò a rimanere seduta. «Ora
sì che ci
siamo
interrotti! Non sarà la stessa cosa!» Lei rivoleva
il
momento di
prima, dannazione!
Lui sorrise apertamente.
Indietreggiò
piano,
quasi trascinandola. «Sarà meglio, vedrai.
Per te
subito,
prometto. Devi solo alzarti.»
La stava prendendo per stupida? «Dovremo
ricominciare
daccapo!» Si
alzò, riprendendosi il braccio con uno strattone.
«Non sarà come qui.» E
lì era stato perfetto,
senza inibizioni e pensieri, puro bisogno e amore.
«Cavolo» sbuffò sconsolata. Gli
girò
attorno e
uscì
mestamente nel corridoio.
Yuichiro le camminò davanti, i lembi della tunica
aperta che
gli
svolazzavano intorno. «In ogni caso vinci tu, non vedi?
Potrai
dimostrarmi che hai ragione, ma se lo dimostrerò io sarai
più contenta.»
«Come fai a essere così
allegro?»
Non sentiva anche lui il dolore
fisico
dell'interruzione? A guardarlo pareva di no.
«Facile.» Yuichiro accelerò il
passo. «Tempo un
minuto e riprendiamo da dove ci eravamo fermati!»
Sparì oltre l'angolo del corridoio, quasi di
corsa.
Tra la risata e l'esasperazione Rei scelse una via di mezzo.
Avanzando si sfregò le braccia con le mani,
tentando di
proteggere il corpo nudo dal freddo del
corridoio. A pochi metri dalla stanza di lui pregò che
Yuichiro
avesse
ragione,
perché lei aveva un'insaziabile necessità di una
singola volta
dove non ci fosse una sola interruzione - né prima,
né dopo, e di certo non durante.
Oltrepassò la porta della camera, trovandosi
davanti la
luce spenta e il
futon vuoto. Girò la testa di lato e sussultò,
placcata di sorpresa. «Ah-!»
«Presa!» Yuichiro la afferrò
per la
vita e non
fece nulla per
fermare
lo slancio.
Ricaddero entrambi sul
futon, su un fianco. A lei uscì l'aria dal corpo.
Appena ritrovò
il respiro, lei riuscì solo a ridere. «Quanto sei
stupido!»
Anche lui era scosso dalle risa.
«Sì.»
Le lasciò scivolare
la coda
bassa dalle spalle e si avvicinò.
«Stupido per
sempre»
sussurrò, prima di serrarle le labbra con le sue.
Rei si dondolò contro di lui, pervasa
più
dall'affetto
che dall'eccitazione. Ugualmente, non si stupì di
non
sentirsi più scontenta.
Si sentì prendere una mano, piano. Lentamente,
Yuichiro se
l'appoggiò sul petto. «Anche qui ci sei solo
tu.»
Fu dolce il calore che iniziò a riversarsi dentro
di lei. La
portò ad accarezzare la pelle sotto le sue dita col solo
tocco
dei
polpastrelli.
«Da tanti anni e per tanti anni ancora.»
Anche nella penombra riusciva a vedere che Yuichiro
stava cercando altre parole. La luce fioca si rifletté su
una sua
piccola scrollata di spalle,
sui denti scoperti da un
sorriso. «Sono solo contento che mi ami anche tu. Mi sento lo
stupido
più fortunato dell'universo.»
Macché
stupido, sorrise lei. Aveva ricostruito l'atmosfera di prima.
«Voglio
farti sentire
ancora più fortunato.» Sfregò una gamba
contro la
sua.
«Sì.» Lui le
accarezzò la
schiena, dal collo fino
alle
natiche, creando una scia di brividi. «Però devo
dirti che
non
aspetterò per questo.»
Ma certo che no. «Non aspettare.»
«No,
non ora.
Sempre. Il resto, parole e gesti, li aspetterò per sempre.
Voglio aspettarli, ma questo no.»
Rei non comprese del tutto, ma sentì il sangue
scaldarsi.
«Di questo ho bisogno.» Yuichiro la fece
ricadere sulla
schiena, con tanta
naturalezza da farle pensare di averlo deciso da sola. Ma fu una totale
sorpresa, un rapido e felicissimo trauma, sentirlo entrare dentro di
lei fino in fondo e senza pause, quasi fosse semplicemente tornato al
proprio posto. L'unione non fu più diretta, ma per lei
fu difficile rendersene conto. Ansimò
e appoggiò un lungo
bacio sulla mascella di lui.
Alle parole di Yuichiro mancò l'equilibrio, il
respiro.
«Che
idiota ad aspettare.» Nascose il viso nei suoi capelli e non
si allontanò, si
limitò a spingere piano, a premere.
Rei sentì ogni muscolo vibrare, tendersi e
agognare.
Fissò le piante dei piedi sul futon, tentando di trovare un
appoggio per- Essere preceduta di nuovo fu favoloso.
Per errore un bacio di lui le arrivò sul naso.
«Questo
è vivere.» Sulla bocca. «Quando prendo
te, prendo noi.»
Rei non desiderò altro che appropriarsi di
quello che
creavano
insieme, sensazioni a cui non furono più necessarie parole.
Abbandonando la testa di lato, si torturò il labbro
inferiore, trovando un ritmo lento e intenso per le proprie anche che
si
sollevano, ogni movimento un'esplosione controllata dei sensi. Le
deviazioni improvvise dall'ordine le causavano scosse
interne di tale potenza da spingerla a creare sorprese proprie.
Giocarono uniti e giocarono bene, così
meravigliosamente che
per lunghi
istanti lei si ritrovò a ridosso di quell'orlo che prima
aveva sfiorato. Non andò avanti, ma
soprattutto
non
tornò indietro e la tensione pronta a sciogliersi, stretta e
rovente
dentro il suo corpo, rimase lì, a permetterle di godersi il
massimo
piacere possibile a mente ancora lucida. Yuichiro tentò di
farla
saltare oltre, ma lei si affezionò talmente a quel
momento
da
aggrapparvisi inconsciamente: era fantastico poter
assorbire e gustare anche la più forte e intensa delle
ondate,
sapendo che ci voleva un niente per andare più in
là. Ma
ancora no, non ancora.
Yuichiro le soffiò sugli occhi una domanda incerta.
«Va
bene?» Non
smise di premere contro il suo corpo.
Muta, lei si limitò
ad annuire velocemente, persistendo
nel sollevare i fianchi contro i suoi.
Lui si fermò all'improvviso, alzandosi sulle
braccia e allungandosi di fianco.
Rei gli artigliò la schiena.
«Nonono...»
Basta interruzioni,
basta per favore.
«Un attimo.» Ansimava anche lui, il fiato
corto e
il respiro
difficoltoso. Le trascinò qualcosa prima accanto e poi sotto
il
bacino, cercando di sistemarlo sotto le sue natiche.
«Che cosa-?» Col solo scopo
di riprendere subito Rei lo aiutò a
farle sollevare i
fianchi sopra il
voluminoso cuscino, ma quando vi si
appoggiò trovò scomoda la nuova posizione,
il
baricentro del suo corpo sbilanciato. «No» si
lamentò,
mentre
lui tornava a modellarsi sopra di lei.
«No?» si sentì chiedere,
proprio quando
i vantaggi della
nuova angolazione divennero chiari.
Non gli rispose a parole; puntò le dita dei piedi
sul
futon
e tirò su il ventre. Il piacere acuto e infinito
uscì nel
gemito di un'unica sillaba. Sentendosi precipitare, si
afferrò
al corpo sopra il suo con entrambe le braccia.
Con un disperato ansito di sollievo e puro godimento, Yuichiro
si
incastrò dentro di lei più a fondo, in modo quasi
sconosciuto. Si ritrasse e poi trovò di nuovo il centro
ignoto,
ma soprattutto il punto sopra e fuori, che massaggiò
involontariamente con l'intero corpo e peso.
Dentro di lei si bloccò ogni funzione, sopra di lei
ci fu il
suono di denti che scattarono a stringersi.
Yuichiro prese a muoversi come se volesse plasmarla, spingendo
in
continuazione senza più strategia, ordine o pensiero. Ne
dimostrò un ultimo solo quando le afferrò
confusamente
l'incavo di un ginocchio, spostandolo verso l'alto e fuori.
«Ah-Ahh...!» Rei si tenne al pavimento
sotto il
futon, entrando nel
mondo dove contava solo che fosse lì,
così e più
forte e di più, perché al diavolo la
roba di prima, ora lei doveva
andare oltre. Doveva arrivare là sopra, annegarci, pulsare
non
più dentro in fondo ma dentro lì-
Si tese con tutto il corpo e catturò il primo
spasmo con un
grido sordo, un sussulto improvviso. Gli altri catturarono lei,
incatenandola a se stessa su un unico punto, fino a che non la
intrappolò di forza anche il braccio sotto il suo bacino,
quello
che
la tenne ferma per spinte che assecondarono, vinsero e conquistarono
ogni singola contrazione, con indomabile certezza.
Le ci volle qualche
lungo istante di indimenticabile piacere per tornare a udire il respiro
imprigionato nel petto di lui, per capire che Yuichiro aveva
semplicemente
iniziato a perdersi in lei. Lo circondò con le
gambe alte, godendosi le ultime fitte di
delizioso oblio, donandogli se stessa.
Lo accolse, prese lui e prese
loro, insieme. Domò l'impeto di entrambi, lo visse appieno
fino
all'ultimo momento.
Già stretto com'era tra le sue braccia, lui non le
cadde
addosso. Fermandosi, rimase semplicemente nella stessa posizione,
stremato.
Lei si dissolse nel calore della calma. Lasciò
scorrere
lentamente il naso sulla guancia di lui, inspirando. Inspirando e
sorridendo.
Sollevando la testa, Yuichiro le regalò
un'espressione
felice e
stremata, ma fece pressione sulle braccia e si allontanò
come la prima volta.
Delusa, Rei ne comprese il motivo. Si
aspettò
di vederlo in piedi, che attraversava la stanza, ma lui non si
alzò: si limitò a girarsi di fianco, verso il
lato opposto del futon.
Seguì un
suono di plastica e di carta leggera e poi... basta. Yuichiro
tornò
da
lei.
Rei fece rivivere il sorriso. «Che hai
fatto?»
Lui terminò di sdraiarsi. «I fazzoletti.
Prima li
avevo
messi per
terra.»
Oh. Ottima soluzione.
«Così non mi devo alzare.»
Lei lo abbracciò.
«Così non
dobbiamo più interromperci.»
Per qualche attimo lui rimase in silenzio. Infine, gli nacque
una
risata bassa nel petto. «Allora intendevi questo.»
Eh, già. Gli sfiorò
la bocca con
un bacio. «Eh, sì.» Lo
strinse più forte e
riposò
accanto a lui, sazia, quietata.
Nel silenzio della stanza
giocò a sfiorarlo
con
le dita sulla parte alta del braccio, disegnando piccole curve senza
significato. Dopo un po' cominciò a tracciare le linee degli
ideogrammi
del suo nome, riempiendosi d'amore alla fine di ogni breve segmento.
Come riscuotendosi, Yuichiro inspirò
con improvvisa
energia. «Posso dormire?»
La scosse una risatina bassa. «Come?»
«Mi è venuto sonno, ma tu sembri
sveglia...»
Sì, ma non voleva quel sacrificio sciocco da parte
sua.
«Dormi.» Gli
scostò la frangia dalla fronte
Le palpebre di lui si serrarono, serene.
Stringendolo, Rei posò le labbra su una sua spalla.
Dormi, lasciami
vegliare.
E ringraziare,
perché sei qui.
«Ehi, sei qui.»
Yuichiro si voltò verso l'ingresso del bagno. Sulla
porta stava Rei, con indosso una tunica bianca.
«Ti sei svegliata.» Si mosse verso di lei
nell'acqua calda.
Rei avanzò nella sua direzione. «Non
credevo di
addormentarmi.»
«Non hai dormito.» Lui stesso non
aveva riposato per più
di mezz'ora.
Rei si sedette sullo sgabellino del bagno. «Credevo
che mi
sarei
svegliata sentendo lo stomaco pesante invece...
no.» Ridacchiò. «Abbiamo mandato
giù la cena con la ginnastica.»
Gli allenamenti nella strada verso un'aldilà di
pace? Sicuro.
«E tu?» Rei appoggiò i gomiti
sul bordo
in ceramica della vasca. «Come mai hai deciso di farti un
bagno?»
L'aveva avuto in mente da prima.
«Pensavo di
farmi una
doccia, ma poi... ho voluto
rilassarmi.» E fare qualcosa mentre lei riposava.
Rei fece dondolare un dito nell'acqua. «Te la prendi
sempre
comoda...»
Sorrise. «Ma è bello fermarsi, concordo.»
Lui lo sapeva bene: pur essendo molto attiva, Rei si riservava
lunghi
momenti di tranquillità in ciascuna giornata, per fermarsi a
riflettere e pensare. Forse lo stava facendo anche ora: aveva posato
gli occhi calmi sull'acqua chiara, sulle increspature che causava coi
movimenti lenti della mano. Le contemplava serena.
Lui
contemplò lei, i capelli che le erano sfuggiti alla coda
e che incorniciavano con leggerezza il suo viso, le labbra
rese ancora
più rosee e soffici dal vapore della stanza, le guance che
parevano quasi lucenti sotto la luce, gli occhi viola brillanti di
pacata gioia. Le stava davvero bene la sua tunica: Rei l'aveva
allacciata alla vita con
più cura di quanto non avesse fatto lui quella sera, ma per
lei
era larga e lo scollo sul petto era molto ampio. Lasciava intravedere
le curve rotonde dei suoi seni, una vista su cui lui si era concentrato
spesso negli ultimi mesi. Ma li aveva tenuti d'occhio da
così tanto che
avrebbe saputo dire con esattezza com'erano cambiati negli ultimi
quattro anni, come si erano lievemente ingrossati, come lei avesse
preso ad andarne più fiera col passare del
tempo, tanto da
lasciarne intravedere le linee e le curve più di frequente,
soprattutto in estate.
Rei aveva fatto un paio di sogni su loro due, ma non aveva la
minima
idea di quante notti avesse passato lui in quel modo, a immaginare che
gli fosse permesso di vederla, di toccarla, di adorarla.
Finché
non si erano messi insieme, lui aveva indugiato nella fantasia
impossibile di lei che gli permetteva una sola volta di baciarla,
un'azione che la stupiva e la portava ad abbandonarsi in maniera
irreale. Eppure, persino la Rei dei suoi sogni era sempre rimasta lei:
aveva
continuato a negarsi a ogni passaggio. Il suo io immaginario,
infinitamente più coraggioso di quanto era stato lui, era
sempre riuscito a convincerla ad andare avanti.
In quella lontana sera di aprile perciò era stato
straordinario e
sconvolgente scoprire che a Rei bastava davvero un semplice bacio. E
che lei non si negava; al massimo esitava, ma soprattutto dava e si
donava.
«Mi fai venire voglia di entrare» gli
disse Rei,
mordicchiandosi un labbro.
Entrare? Il pensiero lo fece diventare rigido al bassoventre.
Lei si tirò indietro e si alzò,
sedendosi sul
bordo della vasca. «A cosa stavi pensando mentre mi
guardavi?»
Accarezzò un lembo della propria tunica, sul petto.
«Non
mi hai
già visto?»
«Non mi stancherò mai.» O forse
solo tra
mille anni e un
momento, ma giusto perché sarebbe passato a miglior vita.
Lei inclinò la testa, sorridendo.
«Perché sono
molto bella?»
«Sì.» Bella, perfetta.
Rei lo fissò con occhi divenuti scuri, caldi.
Portò una mano alla vita e iniziò a sciogliere il
grosso nodo improvvisato.
Lui si tese, tentò di anticipare la vista, ma nulla
lo
preparò all'immagine di lei seduta sulla vasca, la tunica
aperta a rivelare ogni cosa: seni soffici e turgidi che pregavano
un
tocco, pelle candida e morbida sulla vita sottile, sulle gambe; era
proprio una di quelle a nascondere l'ombra scura che
lui aveva conosciuto solo quella notte.
Rei lasciò cadere una mano pigra nell'acqua.
«Pensavi a me
così?»
Lui non articolò parola, ma lei lo
osservò in
faccia solo per un attimo. Trovò la risposta più
sotto, dentro l'acqua trasparente.
«Hai mai pensato a me così?» Si
sfiorò lo stomaco.
Gli mancò l'aria.
«Sì.» E
quella cosa sulla
realtà che superava la fantasia? Era vero, lui non aveva che
conferme.
«E...» Gli occhi di Rei si riempirono di
curiosità. «Che cosa facevi?» Si
spiegò ulteriormente con una sola
occhiata nella giusta direzione. «Smettevi di
pensarmi?»
Quella era una soluzione a cui era stato costretto a ricorrere
migliaia
di volte. Ma un altro migliaio... «No.»
Lei si riempì di un silenzio... interessato.
«Fammi vedere.»
Farle vedere?
Lo disarmò un sorriso timido. «Vorrei
imparare.
Per te.»
L'implicazione minacciò di non rendere necessario
il
minimo contatto per farlo arrivare al culmine. La
sincerità venne in suo aiuto. «Io vorrei
solo che tu
entrassi in acqua.»
Gli occhi di lei divennero pozze profonde. «Anche
io.» Rei si
levò in piedi e lasciò scivolare la tunica bianca
a terra.
Fu un istante, ma lui trovò ugualmente il tempo di
memorizzarla
per sempre nella sua testa.
Rei entrò nella vasca con un
brivido; si
lasciò affondare nell'acqua calda, vicino a lui.
Sorrise, dolce e provocante. «Non toccarmi, va
bene?»
«Cosa?» Se non la toccava subito sarebbe
morto.
«Mi distrai.» Rei posò
il palmo
aperto su una
sua spalla. «In modo fantastico, ma mi distrai. Adesso voglio
pensare a te.» Gli stuzzicò la bocca con le
labbra. Più che un bacio, una tortura. Rei la fece
proseguire lungo tutto il suo collo; con la mano era scesa
al
centro del suo petto, facendolo tremare. Lei lo saggiò coi
polpastrelli, lo stimolò con la punta delle unghie. Scese
piano, inesorabilmente. Con un pollice saldo
disegnò la linea
più bassa del suo ventre. Vi passò sopra il dito
una
seconda volta, indugiando, graffiando pianissimo. Yuichiro seppe che
non avrebbe
resistito, che- Si sentì prendere. No, avrebbe
resistito.
Rei guardava in basso, sorpresa.
«È
così... strano.» Lo accarezzò piano,
troppo piano. «Diverso da quando sei dentro di me.»
Lui strinse i denti e cercò di immobilizzare i
muscoli di
tutta la parte inferiore del corpo.
«Non dirlo.» Simili immagini - simili ricordi -
rischiavano di portarlo a una rapida e ingloriosa fine.
Lei rimase a guardarlo. Sorrise impercettibilmente.
«Faccio e
basta?»
Prima di poter annuire lui recuperò il respiro.
Rei si sporse in avanti, gli occhi bassi, concentrati.
«Provo.»
Provò con successo. Ogni suo
tocco - per quanto inesperto - fu presente, nuovo, volenteroso e fu
quello, quello, a
spingerlo a chiudere gli occhi, felice di poter sentire ogni cosa e
impazzire.
Rei fu più esigente di lui: provò e
imparò. Studiò le sue reazioni,
percepì e
capì. La carezza di lei si fece totale, salda,
lunga nel
movimento.
Yuichiro ansimò contro la sua tempia e,
dopo altre
due
carezze piene, lo fece anche Rei. «Scusami.»
Allontanò la mano e si
scostò di fretta.
L'interruzione lo lasciò di sasso. Rei si stava
sporgendo oltre il bordo della vasca.
«Che...?»
«Ora lo trovo.» Lei trafficò
con una
mano sul pavimento. «Eccolo.» Scivolò
nella vasca, tornando da lui. Gli
lanciò un'occhiata e scosse velocemente la testa.
«Mettilo
tu.» Piantò sul suo petto il quadrato di plastica,
lasciandolo andare solo quando lui lo prese in mano, più per
riflesso che per convinzione.
«Scusami» gli ripeté lei,
contrita.
«Non ce la facevo
più. Per favore, mettilo.» Gli fece spazio.
«Poi continuo io, sul serio.»
Fu quella frase a risvegliarlo. «Continui
tu?» Si
sollevò fino a non stare più nell'acqua,
appoggiandosi alla parete.
Si alzò in piedi anche lei e con gli occhi gli
mostrò tutto il suo bisogno. «Sì,
sopra.»
Lui scivolò con un piede, riuscendo a mantenersi
dritto solo
grazie all'appoggio del braccio sul muro. Conobbe un attimo di
smarrimento prima
di riprendere a funzionare. Espirò e dovette guardarsi le
mani per strappare la confezione senza romperla. Fortunatamente,
indossare l'involucro fu veloce e automatico.
Appena terminò, Rei appoggiò le
mani
sulle sue
spalle, premendo verso il basso. Scivolarono entrambi
nell'acqua, di nuovo, lui per metà sulle ginocchia. Rei si
affrettò a circondargli le spalle con le braccia, salendogli
sopra.
«Il fatto è che ti
immaginavo...»
Cercò di posizionarsi contro di lui, riuscendo solo a
strofinarsi deliziosamente. Per un istante, bastò a
entrambi. «Ti
immaginavo qui» concluse lei. Gli permise di catturarle
la bocca, ma
la staccò subito. «Aiutami.»
Lui iniziò a farlo e Rei cercò di
assisterlo con
una mano, ma rinunciò nel momento stesso in cui non fu
più necessario. Con le labbra lievemente aperte, si
abbassò piano su di lui, aprendosi, inglobandolo.
Yuichiro la intrappolò per la vita, trattenendosi a
stento
dal gettare la testa all'indietro. Fu la stessa reazione di lei e
per questo, alla fine, Rei serrò le palpebre e gemette
contro la
sua
bocca. Lui scese a baciarle il collo, la leccò
sotto
l'orecchio.
Le mani di Rei cercarono contemporaneamente di scostarlo e di
tenerlo
fermo. «Adesso...» le tremò la voce,
«provo.» Le mancò la forza per
sollevarsi fino a che
non
trovò l'appoggio giusto, le mani posate sulle sue spalle. Si
tirò su. E tornò
giù, rimanendo cauta solo fino a metà spinta.
Lui si morse un labbro: la pressione, la pressione della
stretta che si
apriva lo avrebbe ucciso. Era dannatamente- di nuovo, nuova.
Rei iniziò ad abbandonarsi con movimenti intensi
non sufficientemente ritmati, non abbastanza
incisivi.
Lui separò le mani sui suoi fianchi, afferrandola,
per tentare di controllare la
direzione.
Lei scosse la testa. «No, ci penso io, non
toccare.» Quando si
abbassò di nuovo, lo strinse coi muscoli, di proposito.
Lui sussultò sul posto e si rassegnò.
«Scusami,
no.» Un po' la tenne per la vita, ma soprattutto fece forza
sulle
ginocchia piegate e spinse verso l'alto.
Se mai le era venuta voglia di protestare, sparì in
quel
momento; Rei spinse di rimando contro di lui e in quel modo trovarono
un ritmo
immediatamente.
Yuichiro nascose la faccia contro il suo collo.
Non sarebbe durato più di un altro minuto, anzi, trenta secondi,
e lei non era ancora- Per nulla certo che avrebbe funzionato,
infilò una mano tra loro e cercò a caso quel che
gli
serviva.
Lo aiutò a capire un fremito inconsulto di lei.
Continuò
a
stimolarla con un dito e finalmente seppe di non dover
più aspettare.
Aprì gli occhi e si concentrò su di
loro, sul
corpo di lei, bagnato e smanioso, che tremava e si muoveva per averlo
dentro, sui suoi
stessi fianchi che si fondevano con lei, con Rei che era davvero
lì nell'acqua con lui a- Esplose. E lo fece anche lei e fu
come
svuotarle l'anima dentro. Si mosse violentemente e senza
controllo, tra i brividi, per
darle
tutto e non avere più
nulla da dare.
Rei tremò dappertutto, le
guance
arrossate,
la bocca che non riusciva a rimanere chiusa, le palpebre abbassate.
Per lui baciarla fu un modo per cercare di saziarsi
completamente di
lei.
Alla fine, fu lei a spostarsi verso l'alto, piano, e poi
indietro.
Si rannicchiò, affondando nell'acqua. Rise.
«Pensavo che niente avrebbe battuto il cuscino.»
«Niente batte te.» Quella per lui era
l'unica
verità, e vederla sorridere in quel modo - ancora preda
della
soddisfazione - gli fece venire voglia di riprenderla tra le braccia
e... non lo sapeva, aveva mille idee. Le mise tutte in pausa quando si
ricordò di doversi disfare di quello che ancora indossava.
«Perché ne avevi uno?» Mentre
iniziava a
togliere la protezione, scorse la carta igienica non lontano dalla
vasca.
Rei nascose il viso tra le ginocchia.
«Non
volevo
più
essere impreparata, ma non avevo intenzione di usarlo qui. Stavo solo
andando in
camera mia a rivestirmi.»
I suoi piani erano stati stravolti.
«Per fortuna
ti
sei
fermata a trovarmi.»
«Per fortuna.» Il sospiro felice di lei si
tramutò in confusione.
Rei girò la testa e si lasciò sfuggire
un ansito. «No! I capelli.»
«Cosa c'è?»
Lei tirò su la coda zuppa d'acqua,
sciogliendola dal nastro.
«Si sono bagnati. Devo lavarli di nuovo o sembreranno
paglia.»
A lui sembrava un fastidio insignificante.
«Ti
aiuto.»
Lei annuì, come se fosse scontato. Andò
verso il
bordo della vasca e afferrò il primo shampoo che si
trovò davanti. «Ah... 'Scusami,
no'?»
Lui preferì fissare l'acqua. «'Scusami' lo hai
detto anche tu.»
«Eh, già.» Rei
ridacchiò di
nuovo
e colmò la distanza tra loro come se non potessi stargli
lontana. Lui si sentì navigare nella felicità.
«Vedi cosa mi fai fare?
È
perché sono pazza di te.»
Lo beccò mortalmente da qualche parte dentro il
petto.
«Tu non sei pazzo di me?»
La sua Rei. La strinse più forte. «No, io
sono
lucido. E vivo
per te.»
Lei si intenerì deliziosamente. «Tu devi
solo
vivere con
me.» Sotto l'acqua, una sua mano
cercò e
trovò quella di lui. La tirò su. «Per
sempre.» Rei
intrecciò le loro dita. «E sempre.
Prometti.»
«Prometto.»
Lei si commosse. «Allora ci dichiaro
innamorati.»
Nell'abbraccio, Rei si
dondolò contro di lui e Yuichiro la tenne stretta e vicina -
la sua Rei, a cui voleva dare tutto e non far mai mancare niente.
Lei si allontanò incerta, cercando di
non
fargli vedere la patina lucida negli occhi. Si voltò.
«Come
prima cosa, aiutami coi capelli.»
Lui li accarezzo. «Agli ordini.»
FINE.
NdA - ...uhh.
Prima un'analisi tecnica? :D
In questa storia ho provato a confondere un po' la voce
narrante
interna-esterna con una specie di discorso diretto (in certe
particolari parti che avrete sicuramente notato :D). L'avevo
già
fatto altre volte, qui l'ho trovato ancora più appropriato
per
via del forte accento sulla passione.
Io non sono affatto un'esperta e non so neanche il nome della
tecnica
che sto usando (né se la uso bene), però
è questo
che voglio fare con queste scene lemon: esercitarmi a descrivere la
passione. Ovviamente mentre scrivo non lo vedo in sé come un
esercizio, però alla fine imparo mentre cerco di farvi
vivere
questi momenti :) Imparo cosa tralasciare, quali particolari
menzionare, cosa non dire o come far capire senza essere specifica,
come strutturare le frasi per mantenere il ritmo... In fase di stesura
mi vengono in mente sempre nuovi problemi e soluzioni, sta
lì
l'apprendimento. Mi piace :)
E ora basta con la lagna e passiamo a cose più
divertenti.
Primo. Sapete che per scrivere alcune frasette io ho chiuso
gli occhi e
ho lasciato che fossero le dita da sole a digitare? (non per la prima
volta, ho fatto così anche per altre scene 'rosse' di mia
creazione) :D Giusto un paio di brevi passaggi, ma questo per farvi
comprendere quanto sono scema :D Non per forza nei momenti
più
caldi, ma proprio quando usavo certe espressioni che mi sembravano un
po' troppo audaci o palesi.
Secondo. Se vi state domandando dove abbia imparato Yuichiro
certi
trucchetti la risposta è abbastanza semplice: la storiella
del
cuscino la deve alla sua prima ragazza, quella più grande di
lui, che cercava di facilitarsi le cose con un metodo che per lei
funzionava bene e che dava qualche risultato con un ragazzino che non
ne sapeva nulla. In ogni caso, chiusa questa parentesi, sappiate che il
povero Yu sta consumando tutte le sue cartucce all'inizio :D
Il suo bagaglio di conoscenze l'ha illustrato praticamente
tutto a
questo punto della sua esperienza con Rei quindi imparerà
assieme a lei d'ora in poi (l'idea gli fa lanciare urli di gioia). La
sua fortuna in tutto ciò sta che per certe questioni
l'importante è essere coinvolti (amarsi aiuta parecchio) ed
essere un po' disinibiti (per Rei come si è capito non
è
un problema).
Perciò, come diceva ggsi, mia fedele recensionista,
il
tempio è diventato davvero un Moulin Rouge :D:D:D:D
Per quanto riguarda i prossimi episodi, ho in mente due scene
specifiche. Una per Usagi e Mamoru (da collocarsi in effetti prima di
Verso l'alba) e una per Ami e Alexander (una delle famose volte a casa
di lei che poi causeranno sudori freddi).
Ero partita con questa specie di raccolta con l'idea di
scrivere scene
molto meno contestualizzate e lunghe, quindi può essere che
le
prossime siano più incentrate solo su... ehm, quello. :D
Spero che abbiate gradito. Se sì o se avete
critiche o
perplessità, fatemi sapere, sapete che amo qualunque
opinione.
Alla prossima!
ellephedre
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Capitolo 2 *** Usagi/Mamoru I ***
Red Lemon
Red
Lemon
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
2 -
Usagi/Mamoru I
Scena
ambientata tra Interludio (episodio 3) e Verso l'alba
Era tutto il giorno che si sentiva... strana.
Frustrata,
troppo allegra, irritabile, facile alla risata. Un misto di
contraddizioni che ricordava di aver provato una sola volta nella sua
vita, un mese e mezzo prima, in un caldo e
indimenticabile pomeriggio di piena estate.
Si era rifiutata di indugiare nei ricordi nell'esatto istante
in cui
aveva identificato il motivo dell'inquietudine che la seguiva sin dalla
mattina. D'altronde, non poteva certo andare in
autocombustione in classe. O
durante la pausa pranzo. E nemmeno in autobus o davanti alla sua
famiglia.
La consapevolezza di quanto sarebbe accaduto non l'aveva
aiutata.
Appena entrata in casa era dovuta salire in camera a
cambiare gli slip. Ne aveva messi un paio nuovi, felice di sapere che
molto presto li avrebbe tolti di nuovo. Il cotone
bianco
tra le sue gambe aveva rapidamente iniziato a non essere più
tanto
asciutto.
«Mamma!» Era corsa di sotto, saltellando
sulle
scale.
Impegnata tra i fornelli, sua madre le aveva lanciato
un'occhiata distratta. «Sì, Usagi-chan?»
«Vado al cinema.»
«Così, all'improvviso?»
«No, l'avevamo programmato, mi ero dimenticata di
dirtelo.» Bugia, non
avrebbe potuto prevedere quello.
«E ceno fuori.» Tempo, aveva bisogno di un mucchio
di tempo.
«Allora esci con Mamoru-san?»
Solo sentire il suono di quel nome talmente carezzevole,
languido,
eccitan... Si era morsa il labbro
superiore, forte. «Sì.»
«Hm. Anche se domani non hai scuola, non rincasare
troppo
tardi.»
«Va bene.» Rischiava di essere una
menzogna anche
quella,
poiché non aveva alcun controllo sulla situazione, come
aveva
sperimentato in passato.
Prima di tradirsi, se n'era tornata di sopra.
Cinque minuti dopo era uscita dalla porta di casa.
Aveva buttato la chiave dell'appartamento di
Mamoru sul
divano. La
giacca leggera pure, dopo averla raccolta da terra. La
borsa l'aveva fatta cadere in corridoio, solo per tornare a prenderla
non appena si era accorta che Mamoru non era ancora rincasato.
E ora se ne stava lì, appollaiata sul bracciolo del
divano,
a scrutare come un falco la porta d'ingresso.
Iniziò a battere ritmicamente la pianta del piede
contro la
pesante stoffa verde. Strofinò tra loro le labbra.
Affondò disperata la
faccia tra mani.
Oh, e se questa volta lui non si sentiva nello stesso modo?
Avrebbe fatto la figura della maniaca! Non avrebbe nemmeno
potuto
fermarsi perché si sentiva così-
Così... Ma perché?!
Perché si sentiva in quel modo all'improvviso,
perché
provava gli stessi incontrollabili impulsi dell'altra volta? Cosa
le
stava succedendo, come mai non riusciva a controllarsi?
Emise un sospiro incerto, tremulo.
Forse aveva sbagliato a non preoccuparsi prima: quelle
sensazioni non erano normali.
Forse non erano neanche sane: chi avrebbe potuto dire per quanto tempo
avrebbe avuto voglia di andare avanti questa volta?
Il pensiero le bloccò il respiro, costringendola a
rannicchiarsi
su se stessa. Il languore che aveva pervaso il suo corpo sembrava
essersi di nuovo concentrato in un unico punto, in mezzo alle sue gambe.
Espirò. Inspirò. Piano piano,
controllandosi.
Era inquieta solo perché non aveva ancora avuto la
possibilità di calmarsi. Presto Mamo-chan sarebbe arrivato
e...
e l'avrebbe presa tra le braccia, mentre lei si sarebbe
modellata
addosso a lui, alzando la testa per mordicchiargli la spalla, baciargli
il
petto, assaggiandogli la pelle salata. A mani aperte si sarebbe
riempita del calore della sua schiena, percorrendola dal collo fino
alla base, senza tralasciare un solo centimetro. Gli avrebbe torturato
la bocca con la propria e alla fine avrebbe
affondato le unghie nei suoi bicipiti, spingendolo a usare le braccia
per
prenderla - sollevarla o spostarla, quello che voleva lui.
Mamoru l'avrebbe stretta a sé come se volesse
inglobarla,
sistemandosi tra le sue gambe e insinuandosi in lei senza
più aspettare. Non sarebbe stato attento, solo bisognoso,
ardente e veloce in ogni movimento, i dolci colpi precisi nell'arrivare
fino in fondo e lei...
A lei sembrava di sentirli già ora. Con un labbro
tra i
denti e
le palpebre chiuse, permise ai propri muscoli interni di stringersi da
soli
sul nulla, prendendo piacere dallo stesso movimento.
... era impazzita.
Hentai, hentai,
hentai!
Non era divertente, non si riconosceva in tanta smania. La
disperazione
e la mancanza di soddisfazione le facevano venire voglia di
piangere.
La porta di casa produsse un rumore metallico di chiavi.
Usagi scattò a fissare l'ingresso.
Mentre la serratura girava a vuoto, saltò via dal
divano.
Era
a quattro metri dall'uscio quando
Mamoru entrò, quasi inciampando in avanti. Lui la scorse e
inspirò rapidamente, sbattendo con forza la porta
dietro di sé. Con un balzo Usagi gli finì
addosso,
aggrappandosi a lui. Mamoru serrò le braccia
attorno
alla sua schiena; non catturò la sua bocca solo
perché
fu lei
a pensarci per prima. Più che un bacio, espressero insieme
ordini e necessità. Prendimi,
prendiamoci.
Usagi ringraziò ogni dio mai esistito: non era solo
lei!
Gli sfilò violentemente la giacca aperta,
buttandola a
terra.
L'orribile camicia di lui aveva quei dannati bottoncini che non si
toglievano mai. Afferrò la
stoffa tra le dita, tirandola fino a strattonarla via dai pantaloni.
Gemette. Mamoru la sentì e non smise di lambire il suo seno
ora
esposto
all'aria, di suggerlo. Abbassò una mano fino a infilarla
sotto la sua gonna. Invece che toccare lei, trovò
con le dita l'elastico
delle sue mutandine. Le tirò giù confusamente,
senza
fermarsi.
Usagi si allontanò solo per aiutarlo, ma con le
mani rimase
sulla cintura dei pantaloni di lui: l'aveva slacciata a tempo di
record. Via dall'asola l'unico bottone e giù anche la
cerniera.
Ormai inginocchiata, finì col sedersi a terra mentre lo
liberava
dai pantaloni. I suoi slip finirono oltre i suoi piedi e non ebbe
più
modo di spogliarlo di quello che mancava: Mamoru si mise sopra
di lei,
costringendola a piegare all'indietro la schiena. Lui le
alzò
la gonna e si svestì da solo dell'ultima barriera, i boxer.
Esitò per il millesimo di secondo che
impiegò ad
accorgersi che lei era totalmente pronta ad accoglierlo. Poi, in due
ebbero un unico corpo.
Il piacere fu tanto intenso da strapparle un grido. Oh, finalmente.
Oh, sì, sì!
Per non essere spinta all'indietro sul pavimento e farselo
mancare, si
strinse a lui
con tutta la forza che aveva. Aprì la bocca per
ansimare, ma non
riuscì. La voce le mancò, svanì.
Lo incitò con la schiena inarcata, il bacino
inclinato e
premuto insistentemente verso l'alto, verso di lui.
Era troppo, troppo, voleva
tutto, fino alla fine.
Schiacciò il naso contro una sua guancia, gioiendo
per la
sensazione
di infinite e minuscole punture contro la faccia. Si sarebbe
dimenticata
persino di chi era se non si fosse aggrappata alla realt- Se non si-
Il suo intero basso ventre divenne un'unica
morsa
stretta, pulsante e
viva, smaniosa di sentire il prossimo affondo.
Ogni forza perduta, sbatté con la nuca a terra, le
braccia
prive di volontà. Alitò a bocca aperta contro la
propria mano, la testa voltata di lato.
I suoi fianchi non avevano mai smesso di muoversi e prendere.
Prendevano e catturavano, impossessandosi di tutto il piacere che
poteva
dare anche il più piccolo sfregamento, simile a una lingua
di
fuoco da cui voleva farsi bruciare.
Si tenne al pavimento, al nulla.
Ora.
Un battito di muscoli e la morsa restò
lì, crebbe.
Ora, ora.
La pulsione continuò a esistere, a stringersi oltre
l'impossibile.
Ora! pregò.
Ritrovò forza e voce. «Ahhhn-!»
Gli
afferrò il
collo,
travolta. Emise un ininterrotto e cadenzato mugolio, incapace di
trattenersi, libera
e preda allo stesso tempo. Voleva incatenarsi a quell'istante, proprio
a quel momento, per l'eternità intera. Nonono, a quel momento, ora
che Mamoru si era perso anche lui, intensamente quanto lei.
Il lamento basso e roco di lui si interruppe a pochi centimenti
dalla sua faccia, ma Usagi lo fece continuare nella propria bocca,
assieme
al suo.
Smisero di muoversi piano, senza fretta.
Assieme al torpore che mancava della giusta stanchezza,
arrivò
la coscienza. Si ricordò di tremare. Fece scivolare
la
mano su una spalla di lui, chiedendogli di esserci. La
trovarono occhi blu scuro, frastornati ma più sicuri dei
suoi.
Accennarono un sorriso timido. «Ciao.»
Lei tornò in un pieno equilibrio di
felicità e
certezza. «Ciao.» Lo abbracciò,
nascondendo il viso nella sua spalla. «Ciao»
sussurrò di
nuovo, in un soffio.
Mamoru le mise un braccio sotto la testa. «Il saluto
doveva venire prima.» Si lasciò scuotere da una
lieve risata.
Usagi non gli rispose, restò rintanata dov'era.
L'attraversavano
ancora languidi brividi, ma era nato tutto da
qualcosa che non comprendeva e... non le piaceva più.
«Allora...»
rimuginò lui. «Sta succedendo di nuovo,
vero?»
Succedendo.
Sì, non era affatto finita. «Che
cos'è?»
Mamoru spostò la testa e la guardò.
«Non lo so. Io ho iniziato a sentirmi...»
esitò «così,
da
questo pomeriggio.»
Usagi trasalì. «Io dalla
mattina.»
Dipendeva da lei?
Mamoru giunse alla stessa conclusione.
Iniziò a
scostarsi, sollevandosi. «Credo...» Si mise in
ginocchio e le
riabbassò la gonna. «Credo che possiamo
pensare
agli
indizi più tardi.»
Dopo? Usagi si tirò su.
«Non... non ti
dà fastidio?»
Lui si fece attento.
«Che cosa?»
«Sapere che non lo stiamo
controllando?»
L'osservazione lo sorprese. «Non eri tu
quella che diceva che
non c'era da preoccuparsi?» Tornò in
piedi, riallacciando
i
pantaloni. «L'unico effetto collaterale sarà un
po' di stanchezza.»
Era sola nel suo disagio.
«Cosa c'è?»
«Io...» Scosse la testa.
«Hmm... vado a
farmi una doccia rapida.» Aveva
bisogno di qualche minuto per far pace completa con
ciò
che sarebbe avvenuto.
«Una doccia? Adesso?»
«Sì, ecco...»
Spalancò gli
occhi. «Non ne faccio
una da quasi tre giorni!»
A lui scappò un sorriso incredulo.
«Non
importa.»
Usagi sentì le guance calde.
«Importa a
me.» Voleva
essere
pulita per la varietà di esperienze che avrebbero condiviso.
Indietreggiò verso il salotto. «Ci metto poco,
faccio
subito.»
Mamoru fu sul punto di replicare - o suggerire
qualcosa - ma lei lo
fermò in tempo. «Non seguirmi.» Non era
ancora salda nel
camminare, figurarsi se era pronta a ripetere una cosa sotto la doccia
come
quella dell'altra volta. Indugiò nel ricordo per un secondo
fatale. «Forse dopo.» Arrossì di colpo.
Sparì in corridoio prima di fare pazzie.
Mamoru roteò il manico della finestra,
tirandola verso di
sé e aprendola sulla parte alta. L'estate stava per
finire
e in giro si percepiva ancora una brezza calda, ideale da far entrare
in casa.
Si voltò a guardare la porta della
camera, pensieroso.
Usagi non la stava prendendo come l'altra volta. La
metteva a disagio
non potersi controllare.
E pensare che lui aveva passato le ultime ore a
immaginare un
entusiasmo simile a quello dello scorso luglio, ripetendosi da solo che
non c'era alcuna ragione di chiedersi cosa gli fosse preso. In
fondo, i
risultati li conosceva. I risultati li voleva, tutti, dal
primo all'ultimo. Ma se lei-
«Ecco.» Usagi entrò
nella stanza.
«Ho fatto.» Teneva l'accappatoio chiuso, con le
braccia
incrociate.
Lui sapeva che sotto la stoffa di spugna pesante
c'era solo il corpo
leggero e nudo di lei, reso fresco dalla doccia. Ne aveva
sentito
le forme sotto le mani, ne conosceva la morbidezza. Sapeva che
bastavano due o tre tocchi di pollice per ritrovarsi a giocare con seni
turgidi, che in verità gli era sufficiente avvicinarsi con
quelle intenzioni per eccitarla. Sempre. Adesso poi lei sarebbe stata
già umida e pronta a-
Serrò le palpebre e appoggiò i
gomiti
sul davanzale. Doveva darsi un contegno. «Perché
non poterti controllare ti
preoccupa
tanto?»
Lei si morse un labbro, turbata. «Non
è che mi
preoccupa...»
Giocò con l'orlo dell'accappatoio bianco. «So che
noi due
faremo
solo...» Accarezzò la spugna ed emise un
lievissimo sospiro,
insinuando le dita tra i lembi. Iniziò a separarli, solo per
bloccarsi di colpo. «Vedi, non riesco neppure a
parlare!»
Come la capiva. «Dillo in due
parole.»
Frustrata e triste, lei aggrottò le
sopracciglia.
«È
come se... non
ci amassimo.»
Cosa?
Quasi perse l'eccitazione.
Usagi scosse veloce la testa. «Non
lo facciamo
perché
ci
amiamo, ma perché...» Non trovò le
parole. «Non
si sa
perché! E invece tutte le altre volte è bello
perché voglio starti vicina e tu pure, non è
solo una
cosa... fisica.»
Mamoru fece scorrere la lingua contro i denti,
riflettendo.
«Non lo
è neanche adesso. Sarebbe solamente fisico se non ci
importasse
con chi stiamo e...» L'ipotesi lo disturbò
talmente tanto che bloccò il pensiero sul nascere.
«Invece non è così. Io
riesco a lasciarmi andare solo perché sei tu.
È
te che
voglio.»
Lei si intenerì, rilassandosi.
«Anche
io.»
Mamoru avanzò fino a raggiungerla.
«Allora...» Le prese la
testa
tra le mani. «Siamo sempre noi. Noi perché
è solo
noi che
vogliamo. Più del normale, ma... solo noi.»
Usagi si sollevò e lo travolse con
un bacio, un braccio
attorno
al suo collo. Lui infilò una mano aperta nell'accappatoio
di lei e...
tremò. Rabbrividì mentre si riempiva le dita di
un suo seno,
mentre le accarezzava tutto lo stomaco caldo e trepidante.
L'attirò contro di sé per sentire ogni curva e
rientranza del suo ventre. Sulla schiena, sul sedere, la
percepì con le mani. Usagi si divincolò tra le
sue braccia, tirandole indietro
per togliergli la camicia.
Già.
Anche l'accappatoio di lei cadde a terra. Se la
ritrovò, rosea e morbidamente bionda, di nuovo addosso.
Ondeggiò contro il suo corpo mentre se la caricava sul
bacino.
Usagi
si dimenò delicatamente, spingendosi contro di lui.
Mamoru si spostò di lato, sbattendo un ginocchio
contro il letto.
Vi si
lasciò ricadere, sobbalzando assieme a lei. Usagi sorrise
contro la sua bocca e si
allungò su di lui, strofinando contro il suo corpo persino
la punta dei piedi. Mamoru le tolse le mani dai fianchi solo
per
spogliarsi del tessuto
elastico che gli fasciava le anche; provò
il momentaneo
impulso di
fermarsi
a metà coscia quando sentì
Usagi che si riadagiava
su di
lui. Le sfuggì un gemito e lui mosse rapidamente le gambe,
liberandosi di tutto. La spinse di lato, facendola scivolare
verso l'alto
sul materasso.
La sorpresa di lei si fece rapido desiderio, ma per
il motivo sbagliato. Mamoru posò una mano
sul suo collo; da
lì, fece
scorrere le dita in direzione del suo ventre, piano.
Lei chiuse gli occhi in un sospiro felice,
inarcandosi verso il suo tocco. «Stai provando a frenare un
po'?»
Poteva essere.
«Ma io ti amo.»
Mamoru si permise un sorriso. «Anche
io.» Con
l'indice,
disegnò un piccolo cerchio sopra l'ombelico di lei.
«E
quindi?»
«Quindi sono d'accordo. Che siamo solo
noi.» Lei
gli
accarezzò
il
polso con decisione, afferrandolo. «Non devi
frenarti.»
«Non mi sto frenando.» Non
veramente, almeno.
Posò le labbra
dov'era arrivato con le dita, sul lembo di pelle a qualche centimetro
dal biondo; leccò a bocca aperta.
«Oh...» inspirò
Usagi.
Ansimò. «Hm, forse...
Girati.»
Il suggerimento arrivò dritto al
cuore del suo basso ventre.
Respirò in abbondanza. «No.»
Più che mai, questa
volta
non stava cercando di controllarsi per il gusto di farlo, ma come
esperimento vero e proprio. Voleva verificare la forza di un
impulso che non aveva ancora provato a contrastare.
«Ma io voglio fare qualcosa» si
lamentò
lei.
«Rimani sdraiata.» Scese con le
dita. E fu
naturalmente impaziente,
perché invece di stuzzicare e massaggiare,
affondò subito.
Usagi sollevò il bacino in un ansito
lungo, divaricando le
gambe.
Lui la afferrò per la vita, voltandola
nella sua
direzione e liberando il dito che aveva trovato rifugio in lei: lo
aveva
sentito come un'altra parte di sé, quella che ora protestava
vivacemente.
Non era possibile che fosse incapace di
trattenersi: non lo aveva pensato neanche nei momenti di perdizione
più assoluti. Aveva fatto sempre e solo ciò che
si
era
concesso, no?
Cercò di dimostrarselo.
Abbassò la testa e
posò le labbra umide sul bagnato di lei, indugiando.
Usagi artigliò il dorso della
sua mano, gli occhi
serrati,
sofferenti. Parlò in mugolio di piacere. «Devo...
devo fare qualcosa.»
Sì, sentiva di doverlo fare anche lui,
ma...
«Proviamo a
controllarlo.»
«Così?»
Torturare lei era meglio che torturare se stesso.
Tornò sulla sua carne e, piano, leccò verso
l'alto,
dall'inizio fino alla deliziosa fine.
Usagi sussultò con violenza.
«No, vieni
qui.» Sfiorò la sua fronte con la mano,
muovendo le dita convulsamente.
«Sto facendo una prova.»
Lui trovò il punto
giusto e lambì tutto attorno con colpi agili, leggeri.
Lei abbandonò la testa all'indietro,
facendo sbattere i
denti. «Quale prova?!» Per metà gemito,
la
sua non fu una rabbia
molto
credibile.
«Voglio controllarmi.» Mamoru si
limitò a un
nuovo e delicato bacio, ma Usagi ne
fu trafitta.
«Prima dicevi che-» Lei cercò
di bloccargli
la testa tra le
gambe, ma
lui tenne le sue cosce separate, continuando a baciare.
«Controllare era
inutile
e ora-» Usagi emise un lunghissimo sospiro, tremulo.
«Ora
serve?!» Strinse
i denti e iniziò a ondeggiare coi fianchi, involontariamente.
Mamoru staccò le labbra per un solo
attimo. «Ti
piace.» Come
sempre.
Lei infilò le dita tra i suoi
capelli,
massaggiandogli
disordinatamente la nuca. «Sto impazzendo,
Mamo-chan.»
La protesta languida lo infiammò a tal
punto che, per non
alzarsi e accogliere l'offerta, fu costretto a raddoppiare gli sforzi -
se sforzo si poteva chiamare dar fuoco a carni soffici che gli facevano
conoscere grandi e infinite soddisfazioni.
Usagi sobbalzò sul posto, emettendo un
misto indecifrabile
di suoni prima di qualche parola a malapena comprensibile.
«Non- Hmm-
Non ce la...» Sussultò di nuovo.
Singhiozzò.
Mamoru allontanò la bocca da lei.
«Cosa
c'è?»
«Fa quasi male» gli rispose Usagi
in un brivido.
«Non riesco
così.»
Non-?
Si
sentì in colpa. «Faccio
piano.» Non aveva mai
sbagliato in quel modo, aveva creduto che-
«No, forte,
ma devi essere tu.» A dimostrazione, Usagi scivolò
verso il basso, circondandogli il torso con le gambe. «Tu per favore.
Vieni qui.»
L'impulso prepotente di spingersi in avanti e
prendere fu
violento, inaspettato. Mamoru strinse le lenzuola tra i pugni.
«Aspetta.»
Lo disse anche a se stesso.
Controllo,
controllo.
Non ne ebbe a sufficienza da spingerla dove si era trovata; le
piegò invece le gambe all'indietro, verso il torso.
Riabbassando la bocca aperta, affondò.
Usagi divenne un blocco unico di membra che si
sciolse istantaneamente.
«Oh!» Al grido successivo, spezzò
un'altra vocale.
Mamoru trovò un sollievo minimo
negli assaggi profondi
e continui; dovette lottare strenuamente col suo stesso corpo per non
sollevarsi e sostituirsi di forza alla propria lingua. Lo sforzo
iniziò a generare in lui tremori violenti, ma la sua
volontà di trattenersi aumentò di pari passo.
I
sussulti bollenti contro le sue labbra acquisirono un ritmo
inconfondibile,
divennero improvvise convulsioni tenaci che coinvolsero ogni fibra del
corpo di lei. Si espansero facendosi gemiti pulsanti di agognata
follia, mani che gli tirarono i capelli, polpacci che gli strinsero le
spalle in un abbraccio.
La gratificazione per l'esperimento riuscito fu
sepolta dalla
soddisfazione per i suoni che penetrarono nelle sue orecchie, mai tanto
vicini al completo delirio.
Scattò verso l'alto senza nemmeno
deciderlo, scivolandole
sopra, scivolandole dentro. Il piacere fu insopportabile, una ferita
d'intensità.
Sotto di lui la voce di Usagi divenne un'ansimante
e bassa cantilena di
una sola parola, concatenata a se stessa. Sì. La
intonò persino il pulsare del ventre di lei.
Lui prese forza dalle gambe piegate e premette ancora
più in fondo, schiacciandola. Sì.
Inarcò la schiena, aprì la bocca alla ricerca
d'aria, si ritrasse e
rientrò. Sì.
Divenne un'unica massa di nervi, nato solo per farsi
bruciare da lei.
A nessuno dei due rimase più la forza
per produrre suono.
Nel silenzio che gridava, ogni energia fu spesa solo per spingere,
ricevere, affondare, intrappolare. Allargare le gambe, incastrarsi tra
loro, aprirsi, riempire.
Sussultare, vibrare, dimenarsi, unirsi. E trovarsi, ricongiungersi
nella maniera
più perfetta.
Come una cosa sola, si tesero in un'unica curva di
piacere.
Mamoru iniziò a infliggere colpi secchi
coi fianchi,
abbracciandola e perdendo il controllo della voce. Usagi
sovrastò tutto quello che gli venne strappato dalla gola con
un
lunghissimo e sommesso grido di godimento, accompagnando con
picchi più alti ciascuna delle loro ultime unioni.
Ricaddero sul materasso.
«Ooh.» Lei gli
afferrò la faccia tra
mani tremanti, rubandogli un bacio. «Oh,
Mamo-chan...» Premette le gambe contro i suoi fianchi.
«Oh.»
A lui sarebbe piaciuto rispondere, ma il suo cervello
elaborò solo... Oh.
O meglio, Oh
sì.
Usagi strofinò una
guancia contro la sua, abbracciandolo. Non parlò
più, ma
respirò felice. Forse stava soffocando lentamente con lui
che le pesava sopra, ma per farlo spostare avrebbe prima dovuto
chiedere aiuto. Perdonami.
Una risatina lo raggiunse all'orecchio.
Lui sorrise a occhi chiusi. «Come fai
a...?»
Lei lo baciò su una guancia.
«Non mi
lamenterò più. Stupida, che stupida.»
Liberò un'altra piccola risata. Iniziò a
massaggiargli la schiena.
La carezza lo risvegliò dall'improvviso
sonno mentale.
«Non...?» Forse non era ancora del tutto sveglio.
«Non c'è stranezza in
questo.» Usagi sfiorò il suo orecchio con
le labbra. «Avevi ragione,
siamo solo noi.» Abbandonò la testa all'indietro,
appagata.
Solo loro? Be'... sì. Nella pazzia dei
comportamenti e delle
reazioni, sembravano veramente solo... loro. La sensazione
era indefinita, ma profondamente reale.
Mamoru trovò la forza per girare la
testa. Toccò la fronte di lei con le
labbra. «Già.» Già cosa?
... Un po' tutto.
Aprì gli occhi e trovò
l'espressione pacifica di
Usagi, simile al sonno innocente di una felicissima bambina. Con una
mano, le sollevò i capelli umidi e fini dalla fronte.
Gli occhi di lei erano aperti, vigili.
«Non abbiamo
finito.»
Lui si appoggiò sui gomiti, con
un'energia tornata troppo in
fretta. «No.»
Il sorriso di lei fu malizioso.
«Più tranquilli
dopo, va bene?» Usagi si morse un labbro.
«Una seconda volta come questa mi farebbe svenire.»
Lui annuì, senza riuscire a nascondere
una seconda reazione.
Usagi si sciolse in una risata, appoggiandogli le
mani contro il
petto. «Diventi una palla se ti gonfi di più. E
poi tu sei quasi svenuto già adesso.»
«Riposavo dopo una grande fatica.»
Lei gli scostò i capelli dalla fronte.
«Dopo faticherò io per entrambi,
promesso.» Si inarcò verso l'alto, appena, e
Mamoru
capì che voleva spostarsi. Si scostò da lei,
sdraiandosi di lato.
Usagi lo imitò nella posizione, posando
la testa nell'incavo
del gomito piegato. «Parliamo.»
Il suggerimento lo divertì.
«Parliamo.»
«Oggi mi comportavo da pazza, come
l'altra volta. Minako mi
ha detto che ero intrattabile, ma anche che non mi aveva mai sentito
tirare
fuori battute tanto divertenti. Ami e Makoto si tenevano a
debita distanza.» Ridacchiò. «E
tu?»
Lui scosse la testa. «Ero da solo in
quell'ufficio che mi
hanno assegnato da poco.» Ricordò il pomeriggio
appena passato. «Per fortuna. Non sarei stato a mio... agio,
tra gli altri.»
Usagi colse al volo la situazione.
«Povero
Mamo-chan.»
«Sì, povero.» Ma
aveva saputo che a casa
avrebbe trovato la sa ricompensa.
«Ah!»
«Cosa c'è?»
«Mi ero dimenticata!»
L'entusiasmo di lei si
riempì d'orgoglio. «Ricordi cosa stavo provando a
fare da un po', vero?»
«Dove?»
Lei lo picchiò su un braccio. «La
spilla!»
Ah, sì. «Hai fatto dei
progressi?»
Usagi annuì rapida.
«Ti direi di
chiudere gli occhi ma la sorpresa sta nel tenerli aperti.»
Aprì un palmo tra loro. «Guarda bene.»
Mamoru concentrò lo sguardo sulle sue mani.
Possibile che-?
La spilla Sailor si materializzò sotto i
suoi occhi.
Scattò a sedere. «Ce l'hai
fatta!»
Usagi balzò in ginocchio.
«Ce
l'ho fatta! Era tutta la settimana che sentivo di essere a tanto così
dal farcela, perciò ieri sera mi ci sono messa d'impegno
e... puf!» Rise. «Ora il mio potere è
sempre con me!»
Lei lo aveva desiderato per talmente tanto tempo...
Mamoru condivise la
sua
felicità e l'abbracciò. «Sei stata
bravissima.»
Usagi strofinò la faccia contro
la sua spalla.
«Grazie.»
Lui udì un lievissimo clic e si
ritrovò a osservare il cuore di potere aperto.
Usagi ne disegnò i contorni con le dita,
dolcemente.
«Sai come ci sono riuscita?»
«Come?»
«Era il mio cuore.» Se lo
portò al
petto, premendolo tra i seni. «Il cuore del mio potere, il
cuore di me stessa.» Gli sorrise, pacifica e matura come la
regina che un giorno sarebbe diventata. «Ho richiamato e dato
forma al mio amore. Per la vita, per tutti coloro a cui voglio bene.
Per te che rendi ancora più magnifico tutto quello che mi
circonda...» Lo contemplò, abbandonando difese e
riserve che già non aveva, quasi che le creasse solo per
permettergli di vederle cadere. Gli prese una mano e vi
posò la spilla. «Tu sei amore per me, Mamo-chan.
Tieni il mio cuore.»
Lui lo accolse tra le mani, lo cullò tra
i palmi.
«Credo che queste» toccò le ali ai lati,
«ti aiutino a volare.»
Lei navigò in un mare di tenerezza.
«Tu le tocchi
e io volo.»
«Allora non lo faccio. Devi restare a
terra
con me.»
Usagi si accoccolò contro di
lui, su un fianco,
cingendogli la
schiena con un braccio. «Secondo me, insieme, voliamo in
terra. È possibile, no?»
Lui le rese la spilla, indugiando nello sfiorare
l'oro del coperchio.
«No, è certo.»
Lei la chiuse nel palmo e, con una pausa, la fece
svanire nel nulla.
Sollevò la testa per guardarlo, la nuca contro la sua
spalla. «Usagi ama il suo Mamo-chan.»
Ridacchiò, preda di una piccola e preziosa
gioia. «Sai
che l'ho scritto in
tanti quaderni?»
Una cosa così... da Usagi.
«Poi non ho mai il coraggio di
cancellarlo, perciò
ti ho dedicato una pagina in quasi ogni quaderno, altrimenti imbratto i
compiti.»
Il pensiero gli causò un sorriso.
«Cosa ridi, è un problema. Mi
vieni in mente quasi
sempre quando mi distraggo e di questo passo finirò a
scrivere la stessa cosa anche su qualche documento ufficiale tra un
centinaio di anni.»
Mamoru lasciò scoppiare la risata.
Lei gli balzò addosso, atterrandolo
sulla schiena.
«Non ridere!»
Il rimprovero divertito gli fece serrare la bocca,
ma non
fermò i
sussulti. Sopra di lui, Usagi era ancora più allegra. Lo
picchiò sulla fronte con lo schiocco di un dito.
«Così impari.»
Mamoru tornò giocosamente serio.
«Imparato.»
Lei rimase in silenzio. Poi si sistemò
meglio contro di
lui, sedendosi nel punto giusto del suo bassoventre con un sospiro
flebile.
Sorrise e gli
accarezzò il petto. «Usagi ama il suo
Mamo-chan.»
Lui le trovò il collo con la mano.
«E Mamoru Chiba
ama una certa Usako Tsukino. Anche in momenti come questi, non lo
dimentica mai.»
Lei brillò di passione felice.
«È per
questo che
faremo l'amore.» Gli accarezzò il polso che la
teneva, premendosi deliziosamente contro di lui. «Di
nuovo.»
Mamoru si tirò su con uno
scatto. «Mi
piace cominciare così.» Trovò l'unione
di un bacio.
In quel momento, all'inizio.
E, diverso tempo dopo, anche alla fine.
FINE
NdA
- Alloora... lo sapevo io che dovevo aspettare il momento
giusto per
scrivere sta cosa :D La prima scena (d'amore intendo) era pronta da
tempo, l'altra non mi veniva... ovvero, l'idea c'era, ma non riuscivo a
buttarla giù in modo decente, quindi senza sentire di cadere
nel meccanico.
Ora penso di avercela fatta, sono soddisfatta. Mi
piace soprattutto la
parte finale.
L'esperimento qui è stato descrivere un
certo particolare
atto di cui finora non avevo mai parlato (blush) :D E descriverlo dal
punto di vista di un uomo, anche se c'è tanto Usagi
lì dentro, a livello di sensazioni. Niente da fare, ho
ancora bisogno di esercizio :D
Comunque, vi regalo lo sforzo :)
Risposte
alle recensioni
chichilina
-
so che Usagi e Mamoru sono i tuoi preferiti. Spero che ti sia rimasta
della saliva dopo questo episodio, è indispensabile nella
vita e non vorrei averti stroncata :D Hai ragionissima, figurati se Rei
e Yuichiro si annoieranno da quel punto di vista. Ne inventeranno
sempre di nuove :D Nella stesura di questo capitolo sono stata
coraggiosa, non ho chiuso gli occhi :) È stato lucidissimo :D
Giuly23
-
Oh, sono contenta che ti piaccia la coppia :) A me Rei e Yuichiro
piacciono tantissimo insieme e per me è sempre un piacere
scrivere su di loro (ehmm... senza doppi sensi :D:D:D:D:D) Rispondendo
alla domanda, al momento non so con precisione, però
parlerò sicuramente ancora di loro due e mi intriga poter
descrivere le difficoltà di questi incontri col nonno di Rei
in casa. Il vecchio Hino sta per tornare in 'Verso l'alba'
perciò sarà difficile non menzionare la
questione. Sì, già mi piace :D
Oh, grazie per i complimenti (blush=rossore). I
miei non sono
chissà che livelli, ma trasmettere è lo scopo di
chiunque scriva, quindi il tuo è uno dei migliori
complimenti possibili.
pingui79
-
alè, anche questo capitolo probabilmente lo leggerai di
mattina. Spero che allieti l'inizio settimana :D Oh, sì, fai
bene a non preoccuparti per Yuichiro: vedi, sono già entrata
nella testa di Rei e lei è una di quelle curiose, una
ragazza che si documenta un po' su tutto, soprattutto su ciò
che le piace. Per quanto riguarda Yuichiro in sé,
è pieno di entusiasmo e quando non gli arriveranno
suggerimenti, se li inventerà :D
bunny1987
-
ecco Usagi e Mamoru, per la tua gioia e attesa. L'ora scoccò
anche per questi due e ho scelto di far vedere apposta uno di quelle
famose volte di cui poi parlano anche in Verso l'alba (e che avevo
sommariamente descritto in Interludio 3).
Morea
- che
giornataccia fu la tua -_-. Spero che domani sia una giornata
più bella e che questo capitolo ti faccia un effetto
identico nonostante tutto :D
Grazie a te per la recensione. Quando so di avere
questo effetto nella
vita quotidiana di qualcun altro, mi illumino come Usagi.
Nicoranus83
- :) Forse devo augurarmi di aspettare di nuovo per la
recensione, se
ti ci vuole più tempo per elaborare a seconda di quanto ti
ha colpito il testo :D:D Sai, credo che questo capitolo sia da beccare
in faccia, potrebbe essere una sorta di caffè istantaneo.
Spero non afrodisiaco, perché altrimenti in effetti
è meglio starsene a casa e non da sole :D:D
A riguardo della pillola... il mio maledetto
realismo
ucciderà la povera Rei. La pillola è stata
introdotta in Giappone solo nel 1999 e ancora adesso è
utilizzata solo da una percentuale bassissima delle donne giapponesi.
Sono andata a cercare queste informazioni per avere un'idea su quanto
potesse essere comune o facile nel paese asiatico per una ragazza
ricorrere a questi metodi contraccettivi. Ho scoperto quindi che non lo
è affatto e addirittura al tempo dei nostri
(cioè, di 'Verso l'alba') era proprio illegale. Rei
dovrà soffrire purtroppo (ad avercele tutte queste
sofferenze :D:D:D:D:D:D:D)
maryusa
- Yu
lo adoro anche io. Il misto di imbranataggine e istinto che
è lui (secondo la mia visione) mi piace molto. Non escludo
di descrivere altre scene tra lui e Rei (qui in questa raccolta
intendo), mentre per ora c'è Usagi/Mamoru. E mi sa che la
tua reazione sarà amplificata, ma dimmi pure se mi sbaglio ;)
ggsi -
'Voulez vous coucher avec moi? Ce soir?' dice Rei,
ancheggiando e
ballando.
'Je ne le sais pas. Ce soir?' risponde Yuichiro,
allontanandosi ('Non
lo so. Stasera?' Dal francese :D)
'Voulez vous, vou-lez avec moi, ce soir?' prosegue
Rei, danzando
minacciosa.
Yuichiro fa per prendere la porta, ma Rei gli balza
addosso e lo
atterra.
Da quel punto in poi, è tutto un coucher
e basta coi 'voulez
vous?' perché lì nessuno chiede più.
Fine della tormentata vicenda Rei-Yuichiro.
:D:D:D:D:D:D:D:D:D
Perdona la stupidaggine, mi è proprio
venuta :D:D:D
Rei apprezza maggiormente il paragone con Eros che
con Siffredi :D Ma
certo che continuano a darci dentro (siamo pure hentai! :D) dopo gli
eventi del capitolo precedente. Se facessi vedere i giorni seguenti mi
sa che potrei vendere la sceneggiatura per i film del signor Siffredi
ed è meglio di no :D
Muahahahahah! Hai ragione! Giustamente Yuichiro
doveva imparare
qualcosa dal pervertito del nonnino. Sesso!, povero ragazzo, non aveva
applicato la lezione fondamentale!
Da un po' di tempo ho in mente di scrivere una
scena di 'Ovviamente...
impossibile?' che riguardi questa storia del sogno probito di Rei :)
Naturalmente ce ne vorrà di tempo per arrivare fino a
lì, ma alla fine era come diceva lei (anche in 'L'indole del
fuoco'): lei era una ragazza a cui iniziavano ad andare in subbuglio
gli ormoni e avere sempre intorno un certo qualcuno che avrebbe fatto
di tutto per condividere un po' di quegli ormoni con lei era... beh,
ormonale :D
Sigh, voglio scrivere quella scena.
Tornando a noi, uso spesso i trattini per i termini
più
audaci, è vero. Non è tanto un metodo per
nasconderli (ma anche :) ) quanto perché è
proprio in istanti come quelli che il cervello si sottomette alle
sensazioni. Quindi cerco di rendere questo effetto, ma è
tutta una questione di stile. Conosco altri stili che rendono
ottimamente le scene erotiche, ma ognuno ha il suo.
Ohh, spero che tu senta prevalere il sentimento
anche in questo
capitolo Usagi/Mamoru. Perché qui di fisico c'è
taaanto :D
lucy6
- *_*
una nuova lettrice! Grazie per aver commentato, sono sempre felicissima
quando sento qualcuno di nuovo.
La passionalità di Rei aiuta sempre un
mondo in scene come
queste, a lei posso far fare di tutto, è molto divertente.
Certo poi ci sono gli stratagemmi per far fare di tutto ad altre
coppie, tipo quello che ho usato in questo capitolo :) Come si
sarà inteso, non è che fossero prime esperienze
né per Usagi né per Mamoru. I due si conoscevano
in maniera più che biblica da due anni oramai :D
Io adoro chi adora Yuichiro :D Perciò,
un kiss di rimando e
spero che l'aggiornamento ti sia piaciuto.
Alla prossima a tutti!
ellephedre
|
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Capitolo 3 *** Ami/Alexander I ***
Red Lemon
Note (da leggere prima della storia)
Alcune traduzioni necessarie :)
- undress = spogliare, verbo riflessivo.
- properly = nel modo giusto.
- just = solo.
- well = bene; come intercalare può essere paragonato a
'beh'.
- still = fermo, immobile (aggettivo).
Red
Lemon
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
2
- Ami/Alexander I
Scena ambientata tra le
parti 11 e 13 di 'Verso l'alba'
... finito.
Aveva terminato l'ultimo esercizio presente nel libro.
Ami sfogliò il volume fino alle pagine finali, arrivando
alla sezione dedicata alle soluzioni.
Le pagine arancio pastello emanavano il buon profumo dei testi
nuovi. I contenuti si erano dimostrati all'altezza delle aspettative
che si era formata in libreria: il testo aveva promesso di mettere
a dura prova anche la migliore delle preparazioni in materia
di studio di funzioni ed era esattamente ciò che si
era
dimostrato in grado di fare. Gli esercizi l'avevano regolarmente
sfidata e intrattenuta; oramai era certa che nessuna domanda d'esame
avrebbe mai potuto sorprenderla.
Era stato quasi un peccato non averlo trovato prima: se avesse avuto
modo di esercitarsi su quel libro, sicuramente non avrebbe sbagliato il
problema presente nel test d'ingresso alla Todai.
Non era stata informata su quale fosse stato l'errore che le aveva
impedito di raggiungere il punteggio pieno, ma lei era sicura che
c'entrasse
quell'unico studio di funzione su cui si era ritrovata a spendere due
minuti oltre il tempo necessario per ogni domanda. Naturalmente non vi
erano state indicazioni su tempi da seguire o rispettare per fornire
ciascuna risposta; era stata lei stessa ad elaborarli dopo un rapido
calcolo, appena aperto il test e una volta verificato l'effettivo
numero di domande per ciascuna tipologia. Secondo la sua esperienza,
organizzarsi
con una tabella di marcia indicativa era il metodo migliore per dare
l'assalto ad una prova elaborata per non poter essere completata. A
tal fine, era indispensabile essere abituati a una simile
modalità di lavoro e sapersi
cronometrare mentalmente durante lo svolgimento di ciascun esercizio,
ma, se
si era calmi, precisi, preparati e metodici, il successo era
assicurato.
Confrontò la soluzione con lo svolgimento sul proprio
quaderno e sorrise di soddisfazione:
dominio, derivate, limiti, punti stazionari e di flesso.
Tutto giusto, compreso l'elaborato grafico. Metodo, non ci
voleva altro.
Chiuse delicatamente il volume e accarezzò con un dito il
tomo posato
all'estremità della scrivania. Dopo tanti esercizi
matematici,
un ripasso di storia era l'ideale: ricostruire le logiche dietro gli
avvenimenti passati era quasi come raccontarsi la trama di un libro.
Mancava il fattore imprevedibilità, ma imperava il realismo
e ciò bastava a renderne interessante lo studio.
Nella stanza risuonò un acuto e supplicante miagolio.
Imprimendo una lieve spinta alla sedia, Ami si
voltò.
Ale-chan era salito sul letto e si stava strusciando con affettuoso
entusiasmo alle lunghe gambe lì distese. Dopo aver allungato
brevemente una mano oltre i voluminosi cuscini posati sulle ginocchia,
Alexander iniziò a spostare di lato l'ingombro, assieme al
testo
d'esame di Fisica II.
Ami si alzò e raggiunse il gatto prima di lui, sollevandolo
tra
le mani. «No no, non devi disturbarlo.»
Accarezzò il pelo
morbido sulla
piccola pancia.
«No.» Alexander recuperò il proprio
libro e
terminò
rapidamente un ultimo appunto. «Ho finito un capitolo. Faccio
una
pausa.»
Ami contemplò il gattino che si dimenava tra le sue
mani. «Me ne prendo una anche io.» In fondo, era
una
buona idea.
Alexander allungò le braccia in avanti, stiracchiandosi
lievemente. «Hai già terminato gli
esercizi?»
«Sì. Era un buon libro.» Piccole e
affilate unghie
trovarono
la pelle sul dorso della sua mano, costringendola a posare il suo nuovo
felino sul materasso. Secondo il veterinario, Ale-chan aveva
all'incirca tre mesi e il
continuo desiderio di giocare era tipico della sua giovane
età.
Alexander liberò un suono divertito. «Se fosse un
cane lo
porterei a fare una passeggiata, ma lui si accontenta di molto
meno.»
Lo dimostrò chinandosi in avanti e lasciando dondolare per
aria
i lunghi fili spessi che sporgevano dal cappuccio della sua felpa
sportiva. Ale-chan si precipitò ad attaccarne uno, solo per
saltare immediatamente di lato e dare l'assalto all'altro.
Sorridendo, Ami si sedette sul letto. «È per
questo che
viene da te.
Lo fai giocare.»
«Per forza.» Una mano di lui andò a
nascondersi
per bene dentro la
manica della felpa. «Guardalo, è troppo
comico.» Col braccio
protetto Alexander finse un attacco improvviso verso l'ignaro felino.
Ale-chan finì sul letto con la schiena, afferrando con tutto
il
corpo il pugno nella felpa e mordendolo come se ne andasse della sua
stessa vita. Ebbe luogo una lotta feroce.
Ami strinse le labbra tra loro, gli angoli puntati verso l'alto: il
gattino era buffo, ma di veramente comico c'era solo il modo
in cui Alexander si divertiva a giocarci.
Allungò una mano
per
tentare di calmare uno dei due contendenti. «È
stato bravo
ad
aspettare per tutto questo tempo.» Usò il pollice
sulla
fronte
di Ale-chan, avendo imparato che un movimento circolare su quel punto
tendeva a rilassarlo.
Alexander gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino.
«Sono
già le sette.»
Sì. Avevano studiato per quattro ore di fila, concentrandosi
a dovere. «Hai fame?»
«Non ancora. Tu sì?»
Lei scosse la testa. «Forse tra un'altra ora. Pensavo di
iniziare un
ripasso generale di storia.»
Ale-chan aveva abbandonato la testa all'indietro. La mano sullo stomaco
aveva smesso di tormentarlo, iniziando invece ad accarezzarlo.
«Secondo me dovremmo fare come lui.»
Ami osservò il gattino. «Dormire?»
Perché era
quello che
stava per fare Ale-chan, il cui spirito combattivo si era esaurito con
la rapidità di una fiammella.
«Pensavo più a rilassarci.»
L'inflessione nel tono la spinse ad alzare lo sguardo.
Con le sopracciglia lievemente sollevate, Alexander stava contemplando
il
gatto tra le loro mani come se avesse in mente tutt'altro.
«Anche se
non credo che tu ti rilasseresti, se ti facessi la stessa
cosa.»
Massaggiò apertamente la pancia di Ale-chan.
Ami evitò il rossore propendendo per un sospiro rassegnato.
«Sei
sex-obsessed.»
«Se non lo sei anche tu, ho sbagliato da qualche
parte.»
«A me piace moderatamente.»
Lui fermò ogni movimento, d'improvviso immobile.
Ami si morse le labbra. «Voglio dire che mi piace nel giusto
e il
giusto è moderato.»
«In questo caso il giusto è passionale.»
La passione non era il suo forte, però... «Non
volevo dire
che mi piace moderatamente. Con te.» Sarebbe stata una bugia.
Alexander trasformò l'espressione pensosa in un sorriso
furbo solo sugli angoli. «Me n'ero già
accorto.» Diede un
buffetto col pollice al muso di Ale-chan, ormai caduto nel mondo dei
sogni felini. «Però se tieni a rassicurarmi,
non mi
oppongo.»
Ami raccolse le mani sul grembo e lo osservò
attentamente. «Mi sembri già abbastanza
sicuro.» Ne aveva tutte le
ragioni, lo
sapevano entrambi.
«Può darsi, ma il moderatamente
ha colpito duro.»
Era una finta per incastrarla. «Mi dispiace. È
stato un
lapsus.»
Lui tornò dritto, ridendo sommessamente.
«Dimostrarlo ti
spaventa ancora?»
Spaventare non era il verbo corretto; era più giusto dire
che
la imbarazzava fino alla radice del più piccolo bulbo
pilifero. «Non dovrebbe trattarsi di dimostrare
nulla.»
Alexander smise di divertirsi. «Certo che no.» Con
uno sguardo ad
Ale-chan,
si spostò di lato, scendendo in parte dal letto per sedersi
di
nuovo accanto a lei. «È una presa in giro, so che
lo sai. E
so anche che
ieri ti sei sentita un po' a disagio, però-»
Ami sentì il bisogno di specificare. «Quello
è
sparito subito.»
Lui annuì. «È solo per questo che
insisto. Mi
piace
imbarazzarti in senso buono, non crearti un disagio serio. Vorrei
essere sicuro che non succeda mai.»
Ami fissò l'aria tra loro: Alexander se n'era assicurato a
tal
punto da finire col trattarla coi guanti per quasi un anno intero.
«Se una cosa mi infastidisce, lo chiarisco.» La
perplessità
che
ricevette in risposta la costrinse a specificare. «Lo
chiarisco a voce.
Altre reazioni... sono naturali per me, ma non significa che-»
«Che tu non voglia?»
«Più o meno.» A quelle conclusioni erano
arrivati entrambi
dopo
le più recenti esperienze, ma metterle giù a
parole era
sempre la scelta migliore.
Lui le passò una mano tra i capelli, dietro l'orecchio.
«Beh, la sfida insita nella contraddizione mi
attira.»
Oh, ne era perfettamente cosciente. «Ti piace farmi uscire
dal guscio
delicato senza rischiare di romperlo.» Quello era lo scopo
delle
battute varie di... sempre, un po' la base del loro rapporto fino a
quel momento.
Alexander inclinò la testa, solo lievemente sorpreso.
«Sì. Perché so che sei delicata fuori e
forte
dentro.»
Ami annuì. «E quando una cosa non mi piace dico di
no.
Siccome
non ti ho mai detto no, non devi pensare che non mi piaccia.»
Le rispose un sorriso. «Stai sabotando una miriade di
reazioni future.»
«No, so che le terrai in considerazione, voglio solo
assicurarti che...
il mio non sarà mai un disagio vero. Con te provo un
imbarazzo... piacevole.» Se esisteva una cosa del genere.
«Ti prendo in parola.» Lui si sporse in avanti,
tanto che arretrare
fino a sdraiarsi per lei fu inevitabile.
Erano tornati a giocare.
Ami liberò un sorriso. «Da questo lato
sarà
scomodo.»
Alexander voltò la testa, fissando l'attenzione sul felino
addormentato al centro del letto. «Ora mi libero
dell'intruso.» Si
alzò e lo prese piano tra le mani a coppa, portandoselo
contro
il petto.
Senza quasi fare rumore, uscì dalla stanza.
Ami lisciò le coperte, serena. Avrebbe fatto
una
pausa più lunga di quella che aveva avuto in mente, ma un
po' di
relax condito d'amore non faceva mai male. Senza alzarsi, si
allungò verso la sedia, sistemandovi sopra il gilet blu
indossato fino ad un attimo prima. Si chinò,
eliminando
con due gesti tranquilli le calze basse.
Forse stava facendo davvero dei progressi: l'imbarazzo assassino del
giorno precedente sembrava quasi un mero ricordo.
Ci rifletté un
attimo. E arrossì.
No, non era del tutto passato. Nonostante le intenzioni, neppure il
giorno precedente aveva sperimentato cosa volesse dire
esattamente stare... sopra.
Alexander non era rimasto né sdraiato né fermo,
perciò era difficile sostenere che la
situazione fosse stata del
tutto
nelle mani di lei. Eppure, era stato proprio il faccia a faccia,
seduti, a
rendere l'atto ancora più intimo. L'imbarazzo non le era
derivato tanto dalle necessità di comandare movimenti che di
fatto non aveva controllato, ma dal modo in cui era stata guardata. Sguardi da cui si era protetta
con baci. Toccata. Sulla
schiena, sui seni, a piene mani. Accarezzata. Dappertutto.
La invase una vampata di pudore in fuga.
«Pensi a cose belle?»
Sobbalzò.
Dietro di lei Alexander rideva, le mani appoggiate sul letto.
«Capito, a cose piacevoli.»
Ami deglutì. «Non si è
svegliato?» Cambiare
discorso in quel momento le sembrava quasi vitale.
Lui scosse la testa. «Il mio omonimo conosce l'arte della
discrezione.
Dorme pacificamente.» Si ritrasse, tornando dritto e
completamente in
piedi. Senza perdere altro tempo, usò entrambe le braccia
per
sfilarsi la felpa nera da sopra la testa.
Ami fissò di proposito lo sguardo sui cuscini: non aveva
ancora imparato
a
godersi apertamente altre viste. Le sembrava sfacciato, anzi,
addirittura sfrontato guardare
una persona con l'intensità che si poteva dedicare ad un
oggetto
che non si riusciva a smettere di fissare. Poiché avrebbe
fatto
così con Alex, le pareva più educato-
«Undress
yourself.»
Gli scrupoli se li metteva solo lei. Sospirò. «Non
preferisci farlo tu?»
«Mi diverte, ma io ho già pensato a me
stesso.»
O quasi, visto che indossava ancora i jeans blu, per quanto aperti.
Ami portò le dita alla camicia e iniziò a
estrarre i bottoni dalle asole con rapida efficienza.
Lo sentì farsi vicino. «Non
così.» La risata
bassa le cadde vicino all'orecchio in un bacio leggero.
Il sorriso le si allargò. «Se ti aspettavi che
accogliessi
l'ordine in un modo diverso, correvi troppo.»
«Infatti era un sogno proibito.» Lui la
aiutò
con i rimanenti bottoni, calmo. «Ma se si fosse
avverato, sarei andato direttamente in paradiso.»
Ami gli accarezzò il collo. «Un giorno.»
Percorse la linea
calda della sua clavicola.
Alexander le infilò le mani dentro la camicia aperta,
cingendole
la
vita. «Il paradiso è adesso.» Le
aprì la bocca
con la
propria.
Immergersi nel bacio che esaltava ogni senso per lei fu semplice,
naturale come
sempre. Potersi abbandonare su un fianco, sdraiarsi e accarezzarsi, era
invece un nuovo tipo di sollievo di cui non era più certa di
poter fare a meno. Come una calamita, non poteva e non voleva
allontanarsi da lui,
prendeva energia dalla loro stessa vicinanza. Lo toccava e diventava un
tutt'uno con le sensazioni che le attraversavano il corpo, con la
desiderata tensione che iniziava a farle fremare l'animo, con i brividi
che partivano dalla pelle nuda del suo stomaco, che andavano
intensificandosi man mano che le dita di lui massaggiavano
più in
alto,
piano, percorrendo attentamente ogni centimetro, sempre un po'
più su e un po' più...
Un pollice solleticò per ben due volte la cucitura
inferiore
della coppa
del reggiseno, nel punto in cui il tessuto incontrava la pelle. La
terza volta, il
contatto si fece di proposito più leggero.
Il piacevole tormento le provocò un debole mugugno di
protesta, soffocato tra le labbra di entrambi.
Lui portò la bocca al suo orecchio e la mano sulla sua
schiena.
«Quando fai così» mormorò con
un soffio da
brividi, «it's
very» le catturò il lobo tra le
labbra, «very
sensual.» Armeggiò senza fretta col
gancio del reggiseno.
Per non far tremare troppo la voce, Ami dovette controllarla.
«Così come?» Si spostò per
guardarlo in faccia.
Per un brevissimo istante, lui parve soprattutto concentrato; quello
dopo, il reggiseno si allargò, slacciato.
La risposta arrivò quando il pollice e l'indice di
lui iniziarono
insieme uno scrupoloso lavoro sul più vicino dei seni
liberati.
Le si bloccò in gola il respiro. Fu inchiodata alle
sensazioni dagli stessi
occhi chiari che la fissarono per tutto il tempo, come se non volessero
perdersi nemmeno un istante di ciò che lei stava provando.
La forza del proprio respiro minacciò di assalirla e per
fermarla Ami chiuse le labbra. Non abbastanza in fretta.
«Hmm...»
«Così.» Alexander le trovò di
nuovo la bocca con
la
propria, circondandole la schiena per intero prima con un braccio e poi
con l'altro. Prima che lei potesse fare altro, lui si sdraiò
sulla
schiena, portandola sopra di sé.
Infilandogli le dita tra i capelli, Ami perse qualche lungo momento ad
accarezzargli la nuca: Alex non lo aveva mai detto, ma quel tipo di
carezze lo trasformavano in un essere molto simile ad Ale-chan. O
quasi, a giudicare dalle mani che erano scese lungo il suo corpo, ad
insinuarsi dal basso sotto la sua gonna corta.
Sorridendo, lei si staccò dal bacio. «Let's undress
properly.»
Lui non si disturbò nemmeno ad annuire: alzò il
bacino e tirò giù i pantaloni. Finì il
lavoro col solo movimento delle gambe.
Lievemente sbalzata in avanti, Ami ridacchiò sommessamente.
Tirandosi un po' indietro, iniziò a togliere la camicia per
una
manica.
«Forse non dovresti.» Una mano le salì
dallo stomaco al
petto,
sotto il reggiseno che non teneva più nulla.
«Questo look mi
piace.»
Lei si perse in un momento di divertimento e imbarazzo. Per riuscire a
parlare, abbassò le palpebre.
«Pensavo...» Percorsa da
piacevolissimi tremolii, strinse le coperte tra le dita. «Non
pensavo
che... ti sarebbe piaciuto tanto.»
Lui si fermò. «Cosa?»
Sentendo le guance accaldate, Ami posò le dita sopra la mano
che la toccava. «Questo.» Massaggiò
appena.
Lui alzò un sopracciglio.
«Questo?» Catturò completamente il suo
seno sinistro nel palmo.
Lei annuì, serena. «Non è molto
grande.» La sua
non era
mai stata una paura vera e propria, e nemmeno vergogna, ma non avrebbe
mai
immaginato che quella parte del suo corpo avrebbe finito col suscitare
un tale
interesse in lui.
Alexander continuò a dimostrarglielo spostando verso il
basso il
reggiseno che ancora lo ostacolava, impigliandolo per metà
nella
camicia e nelle braccia. I suoi occhi verde-azzurro si scurirono fino a
farsi quasi turchesi sotto la luce della finestra, mentre lui
andava a
riempirsi tutte e due le mani di lei. «Anche quando non
l'avevo ancora
visto, io lo trovavo elegante.»
Ami lo distolse dal suo gioco spostandosi allegramente di lato. Si
sdraiò su un fianco. «Elegante
è un po' come
moderatamente, no?» Nel mondo degli scherzi
almeno,
perché in realtà era un complimento bellissimo
nella sua sincerità.
Lui annuì con un sorriso largo. «Stavo solo
cercando di non
farti avvampare, ma visto che ho il via libera con gli
aggettivi...» Aprì il bottone della sua manica e
cominciò a
sfilarle l'ultima parte della camicia. «È...
invitante.
Provocante.
Splendido.
Da mordere.»
Il sangue le salì pericolosamente vicino al naso.
«Non
è un aggettivo.»
Lui si sbarazzò del reggiseno. «Lo è
'gustosa'.
Dopo
averti assaggiato, era l'unica parola che avevo in
mente.» Si
chinò a baciarle il collo.
L'istinto la spinse a tentare di fermarlo nella discesa. Ci mise poca
convinzione e non servì a niente. Quasi subito
sentì il
seno destro sparire in una morsa umida e bollente.
Si tese come una corda di violino, bloccata dal braccio attorno alla
vita.
«Se...» La bocca di lui si strinse sulla sola
punta. «Se fosse stato
veramente piccolo, avrei potuto mangiarlo tutto. Invece...»
Schioccò un bacio leggero sul turgore nato solo per lui.
«È
piccolo solo questo.» Lo prese tra le labbra, dando vita al
meraviglioso supplizio di una lenta suzione e, poco dopo, alla tortura
tentatrice di un continuo contatto col dorso della lingua, mai ferma.
Trattenendo a fatica i pesanti sospiri, lei avvolse le braccia
attorno alla sua testa, pervasa dalla sensazione di proteggersi e
concedersi insieme. Scese con le mani, trovandogli le spalle, il
braccio. Lo toccò e lo
accarezzò attentamente proprio lì, avanti e
indietro, dove di
sottile e
delicato non vi era nulla. Sfiorò l'incavo appena sotto,
generando in lui un brivido e forse una risata, che si
trasformò in
lieve morso.
Lei gli sobbalzò tra le braccia.
«Fa male?»
«C-cosa?» Fu un ansito.
«Non qui.» Forse per pietà, il bacio
morbido
si posò solo su una curva lontana dal punto tormentato. La
mano che invece si
intromise sotto la sua gonna, indugiando sulla linea dell'inguine, fu
meno
clemente. «Qui.»
Ami gli cercò il polso alla cieca, trovandolo subito.
«No,
è meglio di... no.»
Lui spostò la testa abbastanza da
guardarla. «La prima volta ti aveva fatto...»
sorrise, «male
lì.»
Un piacevole e intenso dolore generato dalla mancanza di contatto,
ma... Scosse
il capo. «È già tanto quello che...
stai
facendo.»
Aggrottò la fronte, nervosa. «Credo di riuscire a
reggere
una
cosa sola alla volta.»
La risposta persistette nel tono leggero. «Senza provare non
puoi
saperlo.»
Oh, invece lo sapeva: stava morendo di caldo già ora e non
in una maniera del tutto confortevole.
Gli occhi chiari di lui persero serenità e tornarono al suo
livello. «È solo... pleasure,
Ami. Sarà solo quello.»
Lei considerò a lungo la risposta migliore e Alexander ebbe
il tempo di precederla. «Cosa c'è di diverso da
ieri?»
Le uscì un sorriso. «Tu sei completamente
lucido,
adesso.»
Anche se il fatto stesso che gli fosse sfuggita l'evidente differenza
era una prova della sua confusione.
«Lucido? Sono in uno stato di pazzia.
Pazzia buona, perché toccarti mi genera
un'incredibile...» La
abbracciò. «Anticipation.»
Un'attesa della pregustazione finale? Hmm...
«Potremmo...» Gli baciò delicatamente la
bocca, quasi solo sfiorandola.
«Potremmo
passare
direttamente alla... fine.» Lei era più che pronta
ad
abbandonarsi ad un momento che fosse di totale e favoloso oblio per
entrambi.
Per qualche attimo parlò per lui un silenzio interdetto.
Poi,
apparve un'improvvisa comprensione. «Ti ricordi di cosa puoi
reggere
solo quando riesci ancora a pensare.»
La verità la colpì troppo a fondo. «Io
penso sempre.»
Lui scosse il capo. «Permettimi una prova. Una
sola.»
Una prova come quella di ieri? I risultati li conosceva bene oramai.
Dirgli di no tuttavia si stava facendo difficile: fu costretta ad una
soluzione di fortuna. «Non vuoi... fare l'amore con
me?»
«Lo farò anche così. E tu lo fai con me
fidandoti.»
L'argomentazione non le lasciò scampo, solo la
possibilità di una sciocca protesta. «È
un
ricatto.»
L'espressione di lui si aprì in un sorriso.
«Sì,
ti sto ricattando crudelmente. Potrai punirmi dopo.»
Dopo non avrebbe avuto voglia di punirlo, solo di far sprofondare la
faccia nel cuscino al ricordo di quanto si era lasciata
trasportare. Il solo pensiero la fece
arrossire prima del tempo.
«Per il rosso è troppo presto. Piuttosto,
baciami.»
«Come?»
«Baciami e controllami. Puoi farlo come io lo faccio con
te.»
... in effetti, sì. Gli prese il viso tra le mani e gli
catturò lentamente la bocca. Gliela aprì piano
con la
propria, con la sua piena collaborazione.
C'era una piccola cosa da cui Alex tendeva sempre a
ritrarsi e che, proprio per quello, le piaceva moltissimo.
Intrappolò la punta della sua lingua tra le labbra, suggendo
piano.
Il corpo che l'aveva fatta tremare fremette a sua volta, catturato.
Ami capì: la conquista del piacere altrui aveva un che di...
inebriante. La tentò ancora. E, nella resa di lui, conobbe
la propria.
La cerniera della gonna ancora ferma sulla sua vita era stata
abbassata.
Ami la sentì scendere lungo le gambe quasi senza
accorgersene,
ma la scalciò di lato non appena la sentì
fermarsi sulle
ginocchia. Cercando di non capitolare immediatamente, provò
su di lui
la
stessa tecnica che faceva impazzire lei: gli accarezzò il
petto
con le dita, fino a che non riuscì a solleticare col pollice
i rilievi che le interessavano.
La mano le fu allontanata di colpo. Avrebbe protestato - forse - se non
si fosse trovata rapidamente a guardare il soffitto, la schiena contro
il materasso.
Chiuse gli occhi e assaporò la sensazione dei baci che
indugiavano sul suo collo, sul suo petto... sulla sua pancia.
Oh.
Come la prima volta?
Ancor prima che lui arrivasse alla meta, il ricordo l'aveva
già convinta.
Sì, era stato veramente... così...
E in fondo c'erano di mezzo gli slip.
Rilassandosi, sospirò un po' più forte non appena
percepì la leggera pressione a pochi centimetri dal punto
dove
tutto era più... acuto, dolcemente intenso.
Cercò le mani che si erano fermate sul suo stomaco,
stringendole con delicatezza. Ansimò, inarcandosi
lievemente, inconsciamente.
Quasi non si accorse delle dita che le sfuggirono dalla presa, che
trovarono una striscia di cotone. Che iniziarono a tirarla
giù.
Spalancò gli occhi proprio mentre un bacio consolava le
pelle segnata dall'elastico.
Non avvampò, ribollì.
«No.» Si tirò indietro con uno scatto,
finendo col
fargli restare tra le dita le mutandine. Corse a coprirsi tra le gambe
con una mano, seduta. «No, è veramente...
No.»
Scosse la testa.
La sorpresa di lui si focalizzò sugli slip ancora
incastrati alle sue caviglie. Finì di toglierglieli
sciogliendosi in
un sorriso. «Con questi indosso invece andava bene?»
Sìnosì.
«Ecco...» Rilasciò una breve risata
nervosa che si
trasformò subito in un sospiro supplicante. «Non
possiamo
fare in modo... normale?» Per favore?
Il sorriso di risposta contenne una traccia di intenerita
pietà. Non fu proprio lo stesso con lo sguardo.
Alexander le tornò vicino sporgendosi in avanti.
«Solo un'ultima prova.»
Ami cercò di ribadire il no, ma si ritrovò a
voltare la
testa per guardarlo negli occhi, fino a che dovette girare non solo il
collo, ma anche parte del corpo: Alexander si era sdraiato dietro di
lei, su
un
fianco. Le mise un braccio attorno alla vita, sollevando il torso con
l'aiuto
dell'altro, piegato sul cuscino. Con la faccia, stava giusto sopra la
sua. «Dicono che sia rilassante.»
Rilassante? «Che cosa?» Stare abbracciati?
Lui fece aderire il petto alla sua schiena e, più sotto,
piegò le gambe in avanti, portandola inevitabilmente a fare
lo
stesso. E ad appoggiarsi proprio su-
«Dovrebbe essere intimo e molto calmo.»
Ormai lei aveva capito cosa,
e le parole le vennero meno.
Non a lui, che terminò in una risata silenziosa.
«È anche normale.»
Statisticamente? Ma... «Io intendevo... l'altro
normale.»
Voltò per bene la testa verso l'alto. «E
preferisco
poterti vedere.»
«Mi stai vedendo.» Lui fece toccare i loro nasi.
«E io vedo te.»
La piega del collo però era un po' scomoda per lei. Il
problema
vero,
tuttavia, era che la posizione dei loro corpi le pareva fin troppo
giusta,
per quanto l'idea di continuare senza stare l'uno davanti all'altra
sembrasse così...
«Ami.»
Riportò l'attenzione su di lui.
«Non vuoi?» Alexander abbassò la bocca
sulla sua,
non
lasciandole nemmeno il tempo di pensare. Con labbra ferme e al contempo
leggere, non cercò nient'altro
che la lieve pressione
che bastava a creare un bacio. Non sfiorava né accarezzava,
baciava, come le primissime volte, come nei momenti in cui si
scambiavano quel contatto solo per sentirsi, per scambiarsi profondo
affetto.
Si staccò da lei. «Davvero non vuoi?»
Chiuse il sussurro tra le loro bocche unite. Il sospetto che
il suo vero scopo non fosse una risposta si
fece certezza.
Eppure, con ogni tocco e secondo, per lei divenne anche
più certo
il salto del cuore nel petto, stretto in una morsa felice da cui non
voleva liberarsi, in cui stava
così,
così bene. Fu proprio il cuore a comandarle di
accarezzare il braccio che la stringeva, a ricordarle di... amare.
Just pleasure.
Solo amare. Un'unica cosa.
Nell'angolo in cui si incontravano lui fece sparire lentamente la
carezza
della stoffa leggera da loro, da sé, e quando niente li
separò più, vi
fu... caldo. Tanto caldo. Meraviglioso calore che iniziò a
scottare di piacere.
Con gli occhi serrati e la bocca aperta, lei spinse verso il basso coi
fianchi, accelerando e sbagliando l'incastro. Il movimento
generò un risultato tutt'altro che errato, ma venne
ugualmente
corretto. Il braccio attorno
al suo stomaco non la spinse in alcun modo, la tenne semplicemente
stretta. Furono i
fianchi sotto i suoi a premere contro di lei. La trovarono e premettero
ancora di
più, dentro.
Dalle labbra le scappò un sospiro muto. Il respiro veloce
non si
creò il problema del silenzio, si fece udire con
vivacità.
Lei voltò di nuovo il capo e ricevette il bacio che
completò
un'intimità... unica.
Non lo aveva mai sentito tanto vicino a
sé. Schiacciarsi contro il suo corpo era sconvolgemente...
rilassante, creava l'amorevole abbraccio più eccitante che
avesse
mai ricevuto.
Rispose al lento movimento ritmico dei fianchi di lui, gli
ondeggiò contro all'indietro, piano. Vibrarono entrambi.
Sentì un sorriso lieve contro l'orecchio, poco stabile.
«Allora non vuoi?»
Sentì gli angoli della bocca sollevarsi da soli, ma
riuscì
ad
unire le labbra abbastanza da mormorare l'unica cosa che le
importava comunicare. «Shhh.»
Non lo guardò in faccia, ma vide nella mente
il pieno
divertimento di lui, quello che, prevedibilmente, si espresse in una
spinta verso l'alto un po' più decisa delle altre.
Oh. Oh, quella posizione era fantastica, concentrava ogni
piacere in
ondate quiete, favolosamente intense e tranquille.
La mano che iniziò un leggero movimento circolare sul suo
ventre
le provocò un rapido solletico. Il sorriso si fece
incerto
quando sentì scendere le dita fino a posarsi sulla
sua gamba
più alta
ed esterna. La pressione sulla coscia la spinse a sollevarla e a
spostarla di lato, sopra il ginocchio che si insinuò rapido
sotto il suo.
Era più aperta ed esposta, ma il vero cambiamento si ebbe
nell'angolo d'entrata che lei stessa andò a testare.
Il piacere perse un grado di tranquillità, acquisendone
uno in forza. Fu un sacrificio a cui valse la pena di sottoporsi.
Lentamente, ritrovarono il quieto ritmo perso e l'unico svantaggio che
lei riuscì a trovare fu l'impossibilità di
stringerlo forte tra le braccia. Cercò di invitarlo a
completare l'unico abbraccio possibile facendo aderire completamente
la schiena al suo petto, iniziando a spostare piano la mano da dove lui
l'aveva lasciata, posata sul suo ventre. Alexander la spostò
sì, ma nella direzione sbagliata,
più sotto, dove già si incontravano.
Ami cercò di intrecciare le dita tra le sue, finendo quasi
col
toccarsi da sola invece che fermarlo. «No,
lì-» Una fitta sublime le impedì di
continuare.
«Shhh.»
Silenzio? Non poteva
accarezzarla lì e pretenderlo. Non...
«Hmm.» Si
morse forte il labbro. Oh, nono, le era piaciuto talmente tanto come
prima, mentre adesso era così- «Ahh.»
Meglio, peggio. Troppo troppo
acuto.
Si voltò per protestare o forse per baciarlo,
perché finì a fare quello.
Le dita su di lei scivolarono avanti e indietro sempre più
leggere e sopportabili, favolosamente lancinanti, mentre seguivano
e assecondavano il movimento dei loro fianchi. Non crearono
più
aghi, ma note. Mai troppo
basse,
ma finalmente solo piacevoli. Lievemente, inesorabilmente
più alte, intonate.
Il suo corpo iniziò a reclamare la soddisfazione totale,
completa,
quella che poteva venire solo dai fianchi che spingevano
così
bene sotto i suoi, da lei che si premeva contro di loro, dalla mano che
non doveva più smettere di toccarla proprio in quel
modo.
Cominciò a tremare, a vivere di scatti e spasmi leggeri,
improvvisi, sempre più incontrollabili. Il loro abbraccio si
intensificò in forza, facendosi ancora più saldo
e
stretto, fonte di sollievo impossibile.
Un dito la scoprì in maniera perfetta, causandole la scossa
finale.
Si tese ad arco, all'indietro, verso il basso,
guidata da paradisiaci spasmi che non avevano fine, alimentati
da tocchi che oramai erano tutti
giusti. Immaginò di gemere a pieni polmoni e fu
più
che sufficiente: tutta la sua attenzione era concentrata solo sul
sentire.
Nell'oblio del piacere estremo, iniziò a percepire anche i
movimenti più rapidi
che potevano
essere preludio di una soddisfazione condivisa, ma...
rallentarono.
E si calmarono, assieme a lei.
Sarebbero stati quasi convincenti se non ci
fosse stata una prova più importante a contraddirli.
Aprì lentamente gli occhi, respirando affannosamente.
Voltandosi appena,
cercò lo sguardo di lui, trovandolo già su di
sé, intenso e molto
attento.
Non le riuscì di arrossire solo perché il sangue
era
ancora impegnato a irrorare ben altri tessuti e organi.
«Hai...
guardato?»
La bocca gli si aprì in un sorriso. La baciò
sulla guancia, vicino ad un occhio.
... lui aveva guardato
invece di- «E ora?»
Alexander mandò giù una risata. «E
ora...
Non
so, qualche idea?»
Mandarlo fuori dalla
porta? Il
pensiero non sarebbe scomparso in un lampo se non avesse avuto ancora
in circolo tanti ormoni bendisposti. Alla lunga sarebbe sparito
comunque - come poteva prendersela davvero?
- però... Colpita da un'intuizione geniale, si
scostò abbastanza da riuscire a separarsi da lui.
Si sdraiò sulla schiena, inclinando la testa di lato.
Sorrise
innocentemente. «Sì, ne ho giusto una.»
Gli
toccò il braccio.
Si era trovato una dea, la creatura più sensuale sulla
faccia
dell'intera Terra, tanto restia a lasciarsi andare quanto incantevole
nella resa.
Per resisterle e poterla osservare, aveva iniziato ad enunciare a mente
le quattro equazioni di Maxwell nella loro forma integrale, comprensive
del significato teorico di ogni singolo simbolo.
Inevitabilmente
distratto, si era fermato poco dopo la metà della prima, ma
per fortuna era
stato sufficiente.
Si chinò su di lei, incapace di fermare il sorriso.
«Quale?»
Ami lo strinse piano sopra il gomito, indicandogli di avvicinarsi
ancora.
Hm, se lei aveva in mente la modalità 'normale' di cui
gli aveva
parlato prima, ora lui non vedeva l'ora di collaborare.
Si appoggiò lentamente sopra il suo corpo, tenendosi su coi
gomiti, fino a che l'espressione
soddisfatta di lei non gli confermò che aveva esaudito la
sua
richiesta. Le sue mani gli trovarono la schiena, le spalle; Ami lo
osservò con occhi blu notte semichiusi e sollevò
il
bacino verso l'alto, strofinandosi contro di lui.
Well, immediatamente.
Si tirò indietro solo per il minimo necessario e
tornò
subito a
sentire
la piena e impareggiabile sensazione del corpo di lei, la risposta a
ogni
desiderio che avesse mai avuto. Proprio come poco prima, lui spinse ed
Ami accolse, forse appena più sciolta, sicuramente
più
calda e-
Si sentì stringere i fianchi tra le sue gambe piegate, con
forza. «Fermo.»
... cosa?
Ami gli prese il volto tra le mani. «Ora devi stare
fermo.»
Fermo?
Lei gli fece abbassare la testa e, quando incontrò
la sua bocca,
gliela aprì con trasporto e languida calma. Il bacio lo
aiutò a quietare l'urgenza di muoversi, almeno fino a che
lei non chiuse le labbra su-
Un brivido violento lo percorse sull'intera schiena, imponendogli di
spingere in avanti coi fianchi.
Ami si staccò di colpo. «No, be still.»
Portò le mani tra i suoi capelli, la sua voce un sussurro.
«Non muoverti.»
Il passaggio studiato delle dita di lei sulla nuca, straordinariamente
piacevole e rilassante, fu solo il pretesto per permetterle di nuovo di
distrarlo e catturargli la punta della lingua tra le labbra umide e
calde. Per fermare il forte tremore che seguì, Alexander fu
costretto
a
tendersi e irrigidirsi, afferrando tra le mani il cuscino dietro la
testa di lei. «Am-»
Lei gli serrò la bocca con la propria, scuotendo piano la
testa. «È solo una prova»
mormorò.
Parole che non lasciavano molto scampo, non dopo l'uso che ne aveva
fatto lui stesso.
Ami infilò un braccio sotto quello di lui, arrivando a
prendergli e a
tenergli una spalla. «Be
very very still, now.»
Oh, poteva vivere per obbedire ad ordini sussurati in quel modo, ma la
situazione gli faceva quasi temere per quello che-
Affondando contro il materasso, lei bilanciò i fianchi verso
l'alto, abbandonando il letto coi piedi, le gambe piegate.
Il respiro gli si bloccò nel petto, solo per uscire di
colpo.
Il
movimento lieve a cui fu sottoposto - il meglio che poteva ottenere -
si ripeté
con
una piccola spinta delle ànche di lei, troppo leggera e
proprio
perciò dolorosamente appagante. Se non si fosse interrotto
prima
forse ora sarebbe stato in grado di- Alla pressione verso l'alto si
aggiunse la stretta calda dei muscoli che lo avvolgevano. La morsa si
ripeté e continuò a farsi viva, diventando sempre
più decisa... ritmica.
Alexander schiacciò i denti tra loro, sentendosi diventare
duro come mai in vita sua. «Ami.»
«Hm?» Il brevissimo suono contenne una traccia di
puro piacere che gli diede speranza.
Articolò la supplica concisamente. «Un'altra
volta.
Questo.» Perché adesso- Ennesimamente battuto e
sconfitto,
le circondò la testa con le braccia, concentrandosi sul
respiro.
Lei gli appoggiò un bacio sulla mascella, emettendo un lungo
sospiro. «Solo un altro po'. Poi basta.»
Poi basta?
Sapere di poterne
uscire gli impose di farsi forza. Chiuse gli occhi. E finì
con
lo stringere di nuovo il cuscino tra le dita, trattenendo un ansito.
Non ce l'avrebbe mai
fatta se non si fosse concentrato immediatamente su altro. Altro
come... la prima equazione di Maxwell, derivata dal porre l'uguaglianza
tra il teorema di Gauss e il teorema della divergenza,
elaborato anch'esso da Gauss con l'aiuto di Green e null'altro
che
la generalizzazione a domini enne dimensionali del teorema fondamentale
del calcolo integral- Inspirò e smise di resistere,
imprimendo nella spinta dei fianchi tutto il proprio peso.
Ami liberò un gemito. «Okay, basta.»
Lui la ascoltò prima col corpo e poi con la mente, iniziando
a
spingere senza alcuna delicatezza, solo per trovare l'affondo
più profondo, più assoluto.
Lei iniziò a interrompere una serie di strani e favolosi
suoni
che non riuscirono in alcun modo a convincerlo a ritardare la propria
fine - troppo, troppo
oltre per quello - ma che gli ricordarono che se
riusciva a spostarsi e a premere anche un po' più sopra...
Ami scattò in alto col bacino, regalandogli l'oblio totale
dai
pensieri, dove esisteva solo entrare sempre più dentro di
lei,
stringerla forte a sé, rispondere alla bocca che gli
percorreva
la guancia e respirava su di lui. Alexander la chiuse con la propria
solo verso la fine, completando i movimenti
che il corpo ancora gli imponeva, mai pago di lei. Ami
staccò le
labbra dalle sue quasi subito, cercando a bocca aperta l'aria.
Quando il fragore dei sensi si spense nella stanchezza, lui si
fermò. Iniziò a crescergli
nelle orecchie il battito del proprio cuore, un ritmo insanamente
veloce. Sorridendo, scivolò verso il basso e
appoggiò una guancia sul seno di lei. Ascoltò a
occhi chiusi.
«Stiamo morendo, love.»
Una mano si mosse piano sulla sua spalla, senza forza, con
felicità. «Forse sì.»
Rimasero ad ascoltare il silenzio.
Ami gli accarezzò la tempia. «Ti ho guardato... un
po'.»
Lui unì le sopracciglia, senza capire.
«Come mi hai guardato tu.»
Gli nacque un nuovo sorriso. «Mi stavi punendo?»
Non ne era
sicuro, era solo certo che non gli sarebbe sembrata una punizione in
condizioni diverse. Forse.
«Sì.»
Non la vedeva, ma gli pareva di avere davanti l'espressione di
imbarazzata ammissione, per niente pentita e intimamente allegra.
Lei continuò. «Ora ho capito
perché lo hai fatto.»
Lui le passò una mano indolente sullo
stomaco. «Allora potrò farlo
ancora?»
«Hmm... credo di sì.»
«Thank you.»
Voltò la testa, appoggiando un bacio sulla sua pelle calda.
Si
sollevò sulle braccia.
«Sai cos'ho sperimentato io oggi?»
Lei scosse la testa, in serena attesa.
«Le molte utilità della fisica.»
«Hm?»
Sorrise apertamente. «E la propensione al piacere del corpo
della mia ragazza.»
Le guance di lei si colorarono di rosa.
Proprio come la prima volta che era andato a trovarla, davanti alla sua
scuola.
Come quando si imbarazzava per complimenti molto più
innocenti,
come quando era molto felice. E come chissà quante altre
volte
in futuro.
«I'm in love
with the red.»
Innamorato del rosso. Ma solo quello di lei.
FINE
NdA
- Il
capitolo è venuto fuori proprio piano piano. Gli ho dato il
suo tempo e alla fine sono soddisfatta (ehm, in senso letterario,
blush).
Per le altre coppie è stato più facile descrivere
la
scena lemon, soprattutto per via della situazione: per Rei e Yuichiro
si trattava di una serie di prime volte in cui erano tutti e due molto
entusiasti, mentre Usagi e Mamoru non avevano nemmeno bisogno di
motivazioni :D Invece in questo caso ho dovuto far crescere lentamente
la situazione, oltre che fare uso del comportamento naturalmente timido
di Ami, il che è sempre una sfida :)
Le informazioni sulle equazioni di Maxwell (che,
da quanto
so, rientrano nel programma di Fisica II) sono state prese da Wikipedia
e altri siti internet.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Rispondendo ad una domanda generale, 'Red lemon' è una
raccolta
che ho creato per tutte quelle scene a rating Rosso legate alla mia
saga di Sailor Moon che narrativamente parlando non si inquadrano bene
nelle altre storie, quindi ho inserito gli 'I' per ciascuna coppia
perché potrebbe una esserci una seconda scena per tutti. Mi
lascio campo libero :)
Ringrazio tantissimo Rox e ggsi per il voto che hanno dato alla seconda
scena di questa storia, all'interno del concorso sulla migliore scena
lemon.
Risposte
alle recensioni
chichilina -
quando dici che
hai il cervello troppo in panne per lasciare una recensione decente hai
già fatto un bel commento, la scena non ha lo scopo di
ispirare
calma :D:D Mi dispiace solo che ti abbia 'caricata' in un posto
inopportuno (:D) però sono contenta che ti sia piaciuta
così tanto.
Addirittura mi hai sognata! A dir la verità, io non ho
ancora
mai sognato i miei personaggi e le mie trame, quindi forse quella
strana sono io :)
Ciao!
pingui79 -
sìsì,
il capitolo precedente era assolutamente molto hentai (ho voluto
testarmi in questo senso e non escludo affatto di spingermi oltre
più in là). Oh, non sapevo che qualcuno avesse
interesse
a vedere la scena della prima apparizione della spilla di Usagi :) E'
un punto molto importante della precedente storia in realtà,
come tu e altre avete già intuito. Il commento sulle ali
della
spilla è nato da Mamoru, nel senso che mi è
venuto
naturale mentre lo facevo parlare :)
A me sembra degna già questa recensione, di che ti preoccupi
:)
Baciotti anche a te :)
lucy6 -
grazie mille per il
commento sui dialoghi. Volevo proprio trasmettere la sensazione
dell'intimità raggiunta tra Usagi e Mamoru, non
un'intimità fisica, ma di mente. Dopo tanti anni di
conoscenza e
tante traversie superate insieme, mi pareva più che naturale.
Già, sappiamo che i due dureranno per secoli e secoli... non
si annoieranno :D:D
Baci a te :)
maryusa -
esatto, la povera
Usagi si sentiva (e si comportava) da assatanata. La vergogna la
dimenticò presto però :D Mamoru invece ha pur
sempre una
testa maschile, l'idea di vergognarsi non gli passa nemmeno per la
mente (anche se nel precedente episodio di questo genere dopo si era un
pochino pentito del suo... impeto. Giusto per poco). Nella loro coppia
il fattore tenerezza è senza dubbio portato da Usagi, Mamoru
ne
esternerebbe di meno a parole (per natura) però quando
capita la
segue tranquillamente.
Un bacione e a presto!
semplicementeme
- :D Non so se hai la stessa sintomatologia di Usagi, ma hai detto che
ti piacerebbe :D:D
Sono certa che eventuali fidanzati che beneficino indirettamente degli
effetti generati da queste letture mi ringrazierebbero: gli uomini non
sono scemi :D:D:D
Usagi è assolutamente d'accordo sulla fortuna che si ritrova
nell'avere un ragazzo che vive da solo. Da un paio d'anni a questa
parte sta
sfruttando appieno le possibilità offerte da questa
situazione
;) Oddio, mamma Ikuko che fantastica sul genero :D No, è una
brava donna lei e col marito va ancora... d'accordo, se ci intendiamo
:D:D:D:D:D Se invece Kenji sapesse di tutto questo (se anche solo sospettasse) Mamoru
non sarebbe più tra noi.
Usagi alla fine si è rassegnata a fare ginnastica... quale
sacrificio fu! :D Se n'è resa conto lei stessa che le
lamentele
erano assurde, è rinsavita. Come hai sottolineato tu col
corsivo, il sacrificio
di Mamoru è quasi commovente :D Beh, lui almeno non si
racconta storie, lo faceva per sé.
Ma come non puoi recensire come vorresti, hai commentato quasi ogni
cosa :D
Come ho fatto intendere nel capitolo e nella parte 15/1 di 'Verso
l'alba', questo fenomeno nasce da Usagi. E' lei che accende Mamoru,
sì. Non dipende strettamente da un maggiore controllo del
suo
potere, però c'entra col potere che è in lei.
A 80° sei quasi bollita. Spero che tu ti sia ripresa in tempo
per questo nuovo capitolo :)
Alla prossima!
azzurraspettacoli
- fai parte
della schiera di persone il cui fidanzato mi ringrazierà a
quanto pare :D:D:D Scherzo, non hai bisogno di parlargli della storia,
meglio pensare a divertirvi tra voi :D I miei aggiornamenti si fanno
sempre un po' aspettare, le 'meraviglie' mi vengono lentamente,
però arrivano.
Grazie dell'apprezzamento ;)
Morea -
uhh... sono contenta per
il risultato di Analisi II e dispiaciuta per l'altra circostanza. Se le
cose non si sistemano, ti auguro in prima persona di incontrare un
Mamoru abile come questo :D:D
Mi hai strappato un sorriso con questa tua frase: "Adesso
potrò
fare altri tipi di sogni... oh, ma che mi fai dire! *blush*" Ho
immaginato il 'blush' (un po' alla Ami :D)
A presto e tanta fortuna per tutto il resto!
Rox - ti
PUNISCO! (slash - colpo di frusta che fende l'aria).
:D:D:D:D:D:D:D:D:D:D:D
Ora che sei punita, passiamo al tuo bel commento, quello con cui ti eri
già fatta perdonare :)
Ho riso troppo nel momento in cui hai dovuto specificare che Yuichiro
metteva Rei sotto solo di carattere... sìsì :D:D
Immaginavo che il suo atteggiamento si sarebbe guadagnato i tuoi
complimenti. Comunque c'è da chiarire che a lui va bene
anche
stare sotto, di lato, piegato in due, a testa in giù...
della
posizione non gli importa :D
Dopo tutto il precedente capitolo ancora non disdegneresti Gen prima di
Mamoru? Tu e thembra assieme mi preoccupate molto in vista del momento
in cui mi accingerò a descrivere una scena lemon tra Gen e
Makoto... vi dovranno rianimare, suppongo :D
Comunque sbagli immaginando la reazione di Usagi a questa esperienza:
ha passato il suo tempo ad osservare la bocca di Mamoru molto tempo
prima, questa non era certo la prima volta che ne... testava i vari
utilizzi (blush :) ) Oh, potrebbe essere lo spunto per un'altra scena
lemon :D E un'altra cosa che potrei descrivere sarebbe la scena in cui
il rischio cicogna ha iniziato ad esistere per Usagi e Mamoru.
Però ho una mezza idea di parlarne nella stessa 'Verso
l'alba',
credo che potrebbe fare parte della storia.
So che la coppia di questo nuovo capitolo non ti è molto
gradita, ma spero che la lettura abbia assopito qualcuno degli appetiti
che ti affliggono (o ti graziano, piuttosto :) ).
Baci!
fasana -
ehi, che bello
risentirti :) Annuisco: comprendo lo stress da università e
sono
contenta che per te siano momento di svago.
Ciò che scrivo è un'opera d'arte solo nel senso
che
è la mia particolare forma d'arte a dovermi pigliare e
attaccare
alla scrivania per scrivere ciò che produco :D Sono sempre
convinta che se avessi maggior talento scriverei più in
fretta e
senza riflettere tanto, ma i risultati piacciono e rallegrano molte
persone oltre me e questo mi rende fiera.
Ciao!
bunny1987 -
prima di scrivere
il terzo capitolo di 'Oltre le stelle' anche per me Usagi e Mamoru
erano puri e immacolati. Poi cambiò tutto. :D:D:D
La parte finale ha creato emozioni anche in me, ci voleva proprio dopo
tutta quella ginnastica da camera :D
Sempre contenta di emozionarti :)
Alla prossima a te!
ggsi -
sei tu ad avermi
ispirato la scena del coucher di Rei e Yuichiro, devo ringraziarti :D
Guarda, se non fosse intervenuta la situazione d'emergenza, penso che
Yuichiro sarebbe capitolato comunque nel giro di un paio di settimane.
Rei si era detta che l'avrebbe presa comoda, ma non avrebbe resistito
molto a lungo al fuoco della passione che brucia vivissimo in lei ;)
Anche io dopo aver finito di scrivere gli ultimi dialoghi tra Mamoru e
Usagi ero lì che mi complimentavo con loro per la tenerezza
:)
Brava, io inserisco indizi un po' dappertutto (ho quest'hobby), bisogna
sempre leggere tra le righe, muahahahah :D
L'altro giorno, grazie a Mediaset Premium, ho rivisto in prima serata
il primo film di Sailor Moon e in effetti Mamoru controllava bene i
dintorni di un intero corridoio (lasciando Usagi come una
scema
con gli occhi chiusi e la testa alzata ad aspettarlo) prima anche solo
di azzardare un bacio. L'ho fatto evolvere anche da questo punto di
vista ;D (un po' ci avevano pensato nella serie però, pian
pianino andavano anche in giro abbracciati :D)
Le frasi romantiche sul quaderno! Un particolare di cui sono fiera, mi
sembrava tanto da Usagi e io e lei (versione anime almeno) siamo poco
in sintonia come caratteri, quindi entrare nella sua testa per me
è sempre un piccolo sforzo.
Mamoru che trancia le ali a Usagi? Ma dopo Usagi lo ammazza, le sue ali
secondo lei sono 'bellissime'. Si ricrederà, se non altro
perché io le trovo tanto posticce e nella mia storia comando
io
:D
Grazie del solito graditissimo divertimento :) Ciaooo a te!
QeenSerenity83
- per il momento
per me è assolutamente naturale riuscire a descrivere una
scena
di sesso intrisa di sentimento. La sfida sarà provare a
toglierlo :D E dovrò intraprenderla, perché ho
creato 'La
storia di lui e lei' apposta per questo. Nelle mie storie il sentimento
sarà sempre imperante alla fine, però vorrei
provare a
descrivere un'esperienza più fisica che ugualmente non cada
né nel banale né nell'osceno, che ritenga la
bellezza del
donarsi e del donare con passione senza pure essere innamorati (ancora).
Viste le relazioni presenti in 'Verso l'alba', non è un
esercizio a cui mi applicherò con questi personaggi. Il
sentimento li comanda :)
Beh, il problema di Usagi al momento non è essere in 'quel
periodo del mese', però senza dubbio d'ora in poi
dovrà
fare attenzione. Vediamo se avrò modo di descrivere anche
questi
tentativi :)
Se l'evento Chibiusa succedesse ora, Kenji avrebbe un infarto,
dovrebbero letteralmente rianimarlo. Poi passerebbe metà del
suo
tempo a fare le coccole alla nipotina e l'altra metà a
picchiare
Mamoru con la padella :D
Come ho detto sopra penso di andare oltre il singolo capitolo per
ciascuna coppia, ogni volta che ne avrò l'ispirazione :)
Baci e
a presto a te :)
Alla prossima!
ellephedre
|
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Capitolo 4 *** Rei/Yuichiro II ***
Red Lemon
Note:
- geta: sono i sandali tradizionali giapponesi, dalla superficie
rettangolare dura. Foto
da Wikipedia.
Red
Lemon
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
4 -
Rei/Yuichiro II
Scena ambientata tra
'Oltre le stelle' e 'Verso l'alba', l'estate precedente a 'L'indole del
fuoco', la
storia in cui Rei e Yuichiro cominciano a fare coppia.
La one-shot fa riferimento ad un discorso che Rei ha affrontato nel
primo episodio di 'Red lemon' e sarebbe inquadrabile in un punto molto
lontano di 'Ovviamente... impossibile?'
Una mano le accarezzò il fianco. Dita lunghe e grandi,
lievemente ruvide, titillarono la sua pelle, impossessandosi
dei suoi
sensi.
Inarcandosi verso l'alto, alla ricerca dell'ultimo tocco, Rei
separò le labbra.
La mano su di lei si spostò verso la parte bassa della sua
schiena, senza fretta, intenta a soddisfarla.
Rei tentò di allontanarsi, ma nelle sue orecchie, dentro la
sua testa, risuonò un mormorio rassicurante,
meravigliosamente
sensuale.
Basso e profondo, maschile.
Sentì bruciare i palmi che opposero una lieve
resistenza,
che si posarono su un petto largo, caldo e compatto, come niente che
avesse mai sentito.
Cercò di dirgli di andarsene, di uscire da sotto le sue
lenzuola,
ma lui prese ad accarezzarla senza chiederle il permesso.
Portò
entrambe le mani sul suo petto, prese a coppa i suoi seni e, sopra la
maglietta del suo
pigiama, si abbassò a morderle piano un capezzolo.
Rei artigliò le coperte. Prima di poter tentare una fuga
indesiderata si ritrovò con una gamba
intrappolata,
presa per essere messa attorno ai fianchi stretti che si insinuarono
tra le sue gambe. Le mani di lui le accarezzarono apertamente lo
stomaco, sedandola, conquistandola.
Perché?
le chiedevano. Perché
vuoi andare via? Resta, scopri.
Lei si allungò inconsciamente sul letto e lui accolse
l'offerta del suo collo. La baciò
lì e, sollevandole la maglietta, la denudò per
facilitare la sua adorazione.
Era lì per lei, le disse senza parole. Per risvegliare il
suo corpo, per farle conoscere la meraviglia dei sensi. Rispettando la
muta promessa, rigirò i suoi capezzoli tra le
dita, lambendoli a turno con la
lingua umida, bollente, avida di lei.
In silenzio Rei iniziò a
gemere, scoprendosi come un essere capace di provare un dolcissimo
piacere.
Sussultò quando la durezza di lui comparve all'improvviso
tra le sue gambe, estranea. Lui gliela spinse contro. Due strati di
tessuto non le impedirono di
capire che lì sotto era fatta apposta per lui, per farlo
entrare
e permettergli di farla gridare.
Si sentì avvampare, arrossire. Ansimò quando lui
riprese
a spingere languidamente e pulsò di idilliaca delizia tra le
gambe.
Lui spostò le mani, le fece scendere lungo il suo corpo fino
a
prenderle a palmi pieni le natiche. La tenne ferma così, per
lui
e le sue spinte insistenti.
Rei buttò la testa all'indietro e
ondeggiò a ritmo col bacino. L'arco accennato di ciascun
movimento la fece lentamente impazzire.
Due dita si infilarono dentro i suoi pantaloncini e trovarono
l'elastico dei suoi
slip. Le tolsero tutto con un unico pensiero.
Per proteggersi lei si appiattì contro il
letto, ma lui la abbracciò. La tranquillizzò
accarezzandole la schiena, chiedendole se voleva conoscere il
proprio corpo, diventare grande.
Affondò in lei, un colpo di piacere feroce che la fece
inarcare. Era bloccata, ma voleva essere schiacciata, presa.
Lo abbracciò e lui riprese a spingere in modo perfetto, perfetto, oh, era
quello il piacere?
Lei voleva tutto. Voleva la sua bocca sulla propria, chi
sei?
Arrivò il suo bacio, un nuovo atto di sesso favolosamente
eccitante.
Ma quello che lei desiderava davvero era altro. Mi ami? Vero che mi ami?
Sulle sue labbra si posò un bellissimo bacio d'amore
romantico. Rei pianse di gioia. Dimmelo,
gli
chiese, tra ansiti di trasporto magnifico.
Ti amo, Rei.
Lei gli sfiorò le labbra con la proprie e affondò
le dita nei suoi capelli folti. Chiese di più.
Ti amo, le
ripeté lui, entrando tanto a fondo dentro il suo corpo da
farli diventare una cosa sola. Rei aprì gli occhi e nel buio
seppe che lui aveva le labbra piene - riconobbe la forma - che rideva
sempre, che l'amava ancora e che, con gli occhi tranquilli, pensava
sempre a lei. Come all'inizio, perché dietro quella frangia
lunga e scura c'era-
Sobbalzò.
Lui sparì e lei...
Si svegliò.
Spalancò gli occhi, ritrovandosi stravaccata sul
letto, una gamba che minacciava di cadere sul pavimento e le braccia
buttate sopra la testa.
Scattò a sedere, respirando affannosamente. Tutto per via
di...
Iniziò a tremare di rabbia.
Buttò via le lenzuola, umide di sudore dove le
aveva
strette
ripetutamente al corpo. Balzò in piedi. Quasi
inciampò
nello scendere dal letto, ma raggiunse la scrivania e aprì
violentemente il cassetto. La luce della giornata estiva aveva
già invaso metà della sua
stanza, come tutte le primissime mattine di quell'afoso luglio infinito.
Si ritrovò tra le mani il manga che aveva letto la sera
prima. Desiderò avere un accendino e dargli fuoco. Prima di
provvedere, andò a rileggere tutte le pagine su cui
si era soffermata il giorno precedente.
Bei termini, Rei.
'Sesso', 'piacere' e almeno tre o quattro dannate posizioni
sessuali graficamente suggestive che lei non aveva sperimentato durante
il
sogno, ma che evidentemente le erano entrate in testa a tal punto da- A
tal punto da...
Sbatté il volume a terra.
«Ahhh!» Lo pestò
ripetutamente sotto il piede.
Fremente d'ira, si precipitò fuori dalla sua stanza.
Brontolando e borbottando, fu costretta a tornarci dentro per mettersi
addosso qualcosa di decente.
«Che caldo...» Fermo in mezzo allo spiazzo del
santuario,
Yuichiro si asciugò la fronte madida con il dorso della mano.
Nelle giornate estive più insopportabili, quelle in cui un
singolo raggio di sole era capace di trapassare da parte a parte un
cranio umano, Yuichiro considerava la divisa del tempio come una sfida
personale: tenerla addosso lo faceva sudare a tal punto che l'indumento
in sé era quasi un esercizio di resistenza fisica.
Appoggiò la scopa contro il muro vicino e pensò
alla
piccola fontana di bambù posizionata dietro il tempio.
L'acqua
era sempre pulita dentro quel pacifico bacino artificiale e lui aveva
un disperato bisogno
di rinfrescarsi fronte, collo, nuca e... Sospirò. Se avesse
potuto, si sarebbe sdraiato nella pozza.
Ancora un'ora e avrebbe fatto una bella doccia gelata.
Nell'attesa, non gli restava che accontentarsi. Si diresse verso la sua
momentanea salvezza e affinò
l'udito. Gli parve di percepire sin da lontano lo scrosciare
dell'acqua cristallina, fredda come l'inverno che sembrava un miraggio
distante.
«Yuichiro!»
Voltò la testa con uno scatto e non faticò a
riconoscere
il timbro maestosamente acuto del suo personale e meraviglioso tormento
quotidiano.
Si era già reso conto di aver fatto virare la sua esistenza
in
una direzione masochistica nel rimanere vicino a Rei, ma a lei
bastava accennare ad un sorriso - neppure rivolto a lui - per
illuminare le sue giornate. Yuichiro si sentiva pronto ad essere
infelicemente felice nel viverle accanto, almeno fino a che le
circostanze non li avessero separati.
Gli risultava penoso persino pensarci.
«Yuichiro!!»
Il grido, trasformatosi in strillo sulla sillaba finale, gli fece
aggrottare la fronte e digrignare i denti.
Perché Rei era arrabbiata con lui?
Iniziò ad avere timore della risposta e deglutì.
«Sono qui!»
Si era dimenticato di fare qualcosa? No, gli mancava un angolo dello
spiazzo da ripulire, nient'altro. Quella mattina, pur avendo
operato di fretta, non aveva tralasciato alcun particolare nei suoi
compiti. Erano da poco passate le undici e lui aveva già
finito tutte le sue faccende, apposta per cercare di riposare in casa
nelle
ore più calde della giornata. I possibili visitatori del
tempio
si sarebbero comportati nello stesso modo - ne aveva avuto la prova
proprio
durante la settimana - e lui aveva ottenuto il permesso dal
maestro di prendersi una pausa pranzo più lunga in quei
giorni,
a patto di sacrificare un paio d'ore di riposo la sera.
«Eccoti!» ringhiò Rei, comparendo da
dietro l'angolo
dell'edificio.
Yuichiro amava l'estate per molte ragioni: per i bagni in piscina, per
le lunghe ore di sole, per le fette di cocomero che si faceva finire in
pancia e per le magliette di Rei.
Erano sempre scollate e senza maniche e da diverse estati gli
permettevano di vedere quel che di solito gli piaceva immensamente
immaginare.
Tre anni addietro si era sentito quasi meschino ad osservarla,
quattordicenne com'era stata. Due anni addietro si era detto che lei
stava crescendo e che era molto matura per la sua età.
Dall'anno
precedente i suoi sensi di colpa si erano volatilizzati: neppure il
mignolo di Rei si sarebbe più potuto descrivere come
infantile.
E quell'anno lei era sempre più...
Indiavolata, con un braccio alzato. Gli gettò addosso un-
Lui schivò in tempo e l'oggetto piombò
dentro la
fontana.
«Perché diavolo non fai mai quello che
devi?!»
Rei strinse i pugni e marciò nella sua direzione.
«Sei uno stupido! Muoviti a riprenderlo!»
Lui cercò di guardare dentro l'acqua. «Che
cosa?»
Lei fece per spingerlo in avanti, ma all'ultimo momento
evitò di
toccarlo. In volto le passò una smorfia che gli parve un
misto di disgusto e imbarazzo.
«Ho... fatto qualcosa di male?» azzardò
lui. Di cui magari non si era accorto?
Lei picchiò il suolo con un piede.
«Perché non hai
riparato il rubinetto del bagno!? Mi si è staccata una delle
due
chiavi in mano e ora è finita nella fontana!»
«Non c'è
problema. Lo
riprendo.» Non era il caso di discutere con
Rei, non quando era in quello stato. Non che lui avesse mai discusso
con lei, ma qualche volta aveva osato ribattere silenziosamente e Rei,
puntualmente, non gli aveva parlato per giorni. Era stata una tortura
tremenda.
Sporgendosi, studiò il fondo della fontana e decise
di tenere addosso i geta.
Non aveva voglia di scivolare malamente e sbattere da qualche parte.
Immerse il piede nell'acqua e volle rilasciare un sospiro di godimento.
Che meraviglia!
«Vuoi muoverti?!» lo incalzò Rei.
«Sì, sì.» Avrebbe dovuto
scoprire se era
stato lui a farla arrabbiare tanto o se Rei era adirata per conto suo.
Esaminò la superficie in pietra resa tremolante dall'acqua e
fece fatica ad individuare
la chiave del rubinetto sotto i vari piccoli massi che decoravano il
fondo della fontana.
«E' lì!» lo sgridò Rei.
Yuichiro decise che dopo le avrebbe chiesto scusa a prescindere. Non
c'era
altro modo per fermare quel trattamento, lo sapeva bene.
«Adesso
lo trovo.»
Facendo attenzione a non scivolare, si mosse parallelamente al bordo.
«Lì!»
Lì... dove? Cercò di guardare dietro il sasso
più grosso e finalmente scorse un luccicchio.
«Insomma, ce l'hai davanti agli occhi!» Rei
picchiò
violentemente la canna da cui scendeva l'acqua. Il totem di
bambù a cui era stata sostenuta - vecchio come il tempio,
secondo Yuichiro - si spaccò su tutta la parte superiore.
La pressione dell'acqua si liberò su di lui e il getto
violento lo inondò da capo a piedi.
Yuichiro gli volse la schiena e scoppiò a ridere.
«Che disastro!» inorridì lei.
La forza del flusso venne meno con l'esaurimento della scorta
principale e l'acqua cominciò lentamente a spargersi sul
terreno.
«E'-è tutto distrutto!» Il risentimento
di Rei non
si trasformò in ulteriori rimproveri: con estremo
dispiacere lei non ebbe il coraggio di dargli la colpa
anche di quel problema. Deglutì
la rabbia e ritrovò il broncio. «Vieni ad aiutarmi
con la
pompa dell'acqua. E' vecchia, da sola non riesco a chiuderla.»
Fradicio e felice di esserlo, lui cominciò a uscire dalla
fontana. Si fermò di colpo. «Aspetta. La chiave
del
rubinetto.»
Rei gli indicò imperiosamente di uscire. «La
prendo io!» Non gli diede il tempo di protestare: si
levò i sandali
bassi ed
entrò coi piedi nella fontana. Si chinò e
cercò nell'acqua con una mano.
Yuichiro rimase attento fino a che lei non
tornò dritta.
«Eccolo. Quanto ci voleva a
prenderlo?» Rei avanzò e, nell'istante successivo,
perse l'equilibrio. Scivolò come se avesse pestato una
saponetta e Yuichiro le
afferrò il polso con tanta violenza da deviare la direzione
della caduta.
Invece di sbattere contro il bordo della fontana, lei
capitolò in acqua con tutto il corpo.
Lui si sentì come se avesse rotto un preziosissimo
vaso. «Rei-san!»
La chioma corvina di lei uscì lentamente dall'acqua, lucente
per
quanto era fradicia. Rei usò le mani per togliersela dalla
faccia e il sole illuminò i suoi occhi di fuoco. «San? Credi forse
che ti salverà?»
Yuichiro si protesse con le mani. «Non- Stavi per
cadere!» E lui stava per essere ucciso!
«Sono caduta lo stesso!» latrò Rei.
«Idiota!»
Yuichiro si preparò a correre. «Mi dispiace! Non
volevo che ti facessi male!»
Rei afferrò la canna di bambù che galleggiava
accanto a
lei. «Non sarò io a farmi
male.» Uscì
dall'acqua con un balzo.
Yuichiro scattò come un centometrista.
«Vigliacco!»
Sapendo di avere un vantaggio, si voltò per controllarlo.
Quello che vide fu la furia di Rei, già munita di sandali - quando li aveva rimessi?!
- a tre metri da lui. Chiese aiuto nella propria testa e corse
più forte.
«Fermati! Oggi ti sei permesso un torto di troppo con
me!»
Ma che le aveva fatto?!
Si diresse di proposito verso la pompa dell'acqua sistemata accanto al
pozzo, dall'altra parte del tempio. Quando l'avvistò,
tirò un sospiro di sollievo. «Tregua! Tregua,
tregua!» Rallentò e schivò per un pelo
un colpo di bambù.
«Tregua!
Dobbiamo chiudere la pompa!» Si buttò a terra, in
ginocchio. «Non ti ho fatta cadere apposta! Non potrei mai,
lo
sai!»
Rei ebbe un attimo di esitazione e lui ne approfittò per
disarmarla.
Quando gli vide la canna di bambù in mano, lei
iniziò a fumare di rabbia.
Yuichiro la gettò lontano, oltre gli alberi.
«Perdonami! Non so cosa ti ho fatto oggi ma...
perdonami.»
Lei continuò a fremere. «Cosa mi hai fatto?!
Adesso per
esempio! Mi ero appena cambiata, per colpa tua dovrò lavare
tutto!» Tirò stizzita la maglietta gialla che
indossava, fradicia. Quando la lasciò andare, il tessuto si
riattaccò al suo corpo, producendo un suono bagnato e una
miriade di minuscoli schizzi.
Lui rimase a fissare una delle tante scie d'acqua che le percorrevano
il collo. Prima di evaporare al sole, una goccia riuscì a
scivolare dentro la maglietta bagnata, infilandosi tra i seni
di lei.
Gli mancò la saliva.
«Ma che-?»
Nemmeno la voce soffocata di Rei riuscì a convincerlo ad
alzare gli occhi.
Lei corse a coprirsi il petto con un braccio e Yuichiro capì
che per lui era finita.
Rei si sfilò un sandalo e, con mira infallibile, lo
centrò in piena fronte. «Maniaco!»
Con un gemito di dolore, lui si sfilò la parte superiore
della
tunica. «Mi dispiace, scusa! Copriti con questo!»
Solo quando sentì
com'era zuppo il tessuto si rese conto di quanto era stata stupida
la sua offerta.
Furiosa, la faccia di Rei assorbì lentamente l'intero
calore del sole e lui approfittò di quegli istanti
preziosi
per abbassare lo sguardo almeno un'altra volta. O due.
Considerò l'idea di chiedere a Rei di farlo fuori con le sue
stesse mani, a patto che lei non si cambiasse mentre procedeva al
massacro.
Rei gli levò la tunica dalle mani e gliela
ributtò in
faccia. «A cosa vuoi che mi serva?! Rimettitela e smettiamo
di
perdere tempo!»
Quando Yuichiro liberò gli occhi, vide che Rei si era
sistemata
accanto alla pompa.
«Muoviti!» gli sibilò lei e le
bastò quell'unica parola per fargli capire che non si
riferiva
solo alla chiusura dell'acqua.
Lui terminò di infilare rapidamente le braccia nella
tunica e non si
disturbò ad unire i lembi solo per non farla aspettare oltre.
Invece di rimproverarlo, Rei attaccò immediatamente gli
occhi
alla maniglia che doveva far girare e vi posò le mani,
preparandosi a spingere. «Al tre. Uno, due e-»
Lui arrivò giusto in tempo per fare la sua parte.
L'acuto cigolio della vecchia pompa gli confermò solo che,
alla
riapertura, molto probabilmente si sarebbe rotta anche lei. Avrebbero
dovuto chiamare un idraulico e prevenire il disastro. O forse far
cambiare l'intero impianto. Era già stato in programma, in
fondo.
Tornando dritta, Rei incrociò le braccia sul petto, facendo
attenzione a tenerle bene alte. «Mettiamo in chiaro
la situazione.»
Cauto, lui annuì.
«Ci sono cose su di me che tu non puoi nemmeno permetterti di
sognare.»
L'ombra del sorriso che gli era cresciuto in volto sparì.
Su quello di Rei si fece viva una smorfia di forzato disgusto.
«Non
gradisco affatto che tu- che tu...» Unì malamente
le
labbra. «Per niente! Non succederà mai.»
Lui rimase ad osservarla, a confermarsi che dietro la vena di
cattiveria sottile e gratuita ci fosse davvero Rei.
Lei deglutì ma non vacillò.
Per niente,
si ripeté lui in testa. Rei non si era riferita solo
all'errore di un attimo, ma a tutto quanto. Ad anni di lui che la
guardava
da lontano, che cercava di vederla sorridere, che era contento quando
ci riusciva. Entrambi erano stati perfettamente coscienti della
situazione tra loro, era stato il tacito accordo di sempre quello di
non parlarne mai.
«Certo che no» le rispose, graffiando le parole.
Aveva sempre saputo che tra loro non sarebbe mai successo nulla, non
nella realtà. Ma non si era meritato di sentirselo dire a
quel modo. O di sentirselo dire in qualunque modo: non aveva mai
preteso nulla da lei, le era sempre stato solamente amico.
O almeno, aveva creduto che loro due fossero amici. Ma adesso era
chiaro che, quando era di cattivo umore, Rei si sentiva autorizzata a
sfogarsi sui punti deboli di lui.
«In frigo non c'è niente.» Si
voltò, diretto in casa a cambiarsi. «Vado a fare
la spesa.»
Magari, rifletté tra sé, in giro per
strada il
caldo del mezzogiorno lo avrebbe fritto sull'asfalto.
Non sarebbe stato un male.
Rei si sentì morire mentre l'ennesima ondata di
vapore bollente si levava dal ferro da stiro, colpendola in volto.
Continuò a stirare. Aveva cominciato dall'hakama
azzurro e dalla tunica bianca di Yuichiro - aveva iniziato per
sistemare quei due indumenti, d'altronde - ma in seguito si era
ricordata che non si era più prodigata in quei compiti da
molte settimane. Era sempre stato lui ad occuparsene e questa volta,
si era detta, avrebbe pensato a tutto lei.
Posizionò l'ultima parte del lenzuolo sull'asse e
cominciò a togliere le pieghe anche dagli ultimi lembi.
Si meritava sia la scomodità che la punizione, ne era
cosciente: si
era comportata in maniera imperdonabilmente superba e antipatica con
Yuichiro.
Era stata persino cattiva con lui.
Era passato un mucchio di tempo dall'ultima volta che Yuichiro aveva
lasciato ad intendere di provare qualcosa nei suoi confronti e cosa
faceva lei? Lo accusava di immaginarsi chissà cosa - quello
che si era sognata lei! - e per di più, pur di nascondere
l'imbarazzo e i nuovi pensieri impropri che l'avevano fulminata, aveva
persino fatto finta di esserne disgustata.
Sarebbe stata un'esagerazione affermare il contrario: Yuichiro non
aveva improvvisamente cominciato a piacerle in modo diverso da prima. O
meglio... sì e no. Ovvero, non aveva alcuna intenzione di
mettersi con lui, ma il punto era che... no, neppure quello!
Non era attratta da lui in quella maniera. Solo... non era non attratta da lui
in quella maniera. Secondo la matematica del suo cervello, dove due
'non' sommati facevano un mezzo 'sì', poteva dire
essenzialmente che Yuichiro non le era indifferente, almeno ad un
livello oggettivo, puramente distaccato, completamente impersonale.
Fisico, quindi.
Ammetterlo non costituiva un delitto capitale, anche se
ci aveva messo mezza giornata a convincersene. Sarebbe stato strano il
contrario piuttosto: Yuichiro non era affatto brutto, anche se di
recente le sembrava che fosse diventato sempre meno brutto dove
già prima non lo era mai stato. Valeva sempre la regola dei
due 'non'? Preferì non scoprirlo. Il punto era che...
beh, lui era un ragazzo. Tutto lì.
E lei quella notte aveva avuto il primo sogno erotico della sua breve
vita piena di responsabilità e battaglie ma priva di
fidanzati. Come molte altre ragazze era una romantica nell'animo anche
lei; ovviamente le era piaciuto unire a quella fantasia anche
l'idea dell'amore. E chi mai si era innamorato di lei in quei
diciassette anni? Solo Yuichiro.
Solo lui, a chi altro avrebbe dovuto pensare? Per di più lui
viveva a casa sua, le stava sempre accanto, intorno, le parlava, le
stava simpatico, era una persona con cui si trovava bene.
Per forza aveva pensato a lui.
Benché Yuichiro quella mattina si fosse messo a guardarla
come se volesse
spogliarla - maniaco,
ma con quale diritto glielo aveva detto? - non era certo
perché era ancora innamorato di lei. Si era solamente
trovato davanti una ragazza con addosso null'altro che pochi vestiti
bagnati; avrebbe avuto la stessa reazione anche con un'altra persona.
Sentì la fronte aggrottarsi e tornò al punto: era
una
faccenda impersonale anche nel suo caso.
Apprezzare il fatto che lui non fosse brutto non significava niente.
Era una semplice reazione ormonale. Non doveva aver timore di quello
che provava.
Erano anni che lei trovava carini molto ragazzi; era passata alla fase
successiva, quella in cui 'carino' diventava una qualità
superata, ecco. Aveva nuovi bisogni che stavano crescendo dentro di
lei, facendosi sentire con forza, ed era normale provare il desiderio
di abbracciarsi ad un ragazzo. O meglio, al corpo di lui.
... quanto era squallida.
Ebbene, era maniaca solo quando era incosciente. A mente lucida, il
massimo che riusciva a pensare era che Yuichiro... Okay, lui aveva
delle
belle braccia, proprio come avrebbero dovuto essere delle
braccia che non fossero di donna. Ma questo, ammise a se stessa, lo
pensava già da almeno un paio d'anni. Durante quell'estate a
quella considerazione aveva aggiunto, del tutto disinteressatamente,
che anche le proporzioni del torso di lui erano... discrete. O
discretamente ottimali, ma non c'era motivo di essere troppo generosi.
Anche perché quel giorno le era entrato in testa - come se
non fosse bastato il sogno - che le proporzioni di lui senza
vestiti erano
parecchio invitanti e questo era molto
male.
Yuichiro era suo amico e lei non aveva quel tipo intenzioni nei suoi
confronti.
Quindi, doveva prendere i suoi nascenti bisogni e direzionarli in una
bella storia d'amore.
Sospirò, lasciandosi bagnare il viso dall'ultima nuvola di
vapore.
Oh sì, voleva innamorarsi.
Lasciò scendere le spalle.
Voleva anche sistemare le cose con Yuichiro.
Gli aveva fatto male - almeno un po', anche se da qualche
tempo aveva avuto l'impressione che lui nascondesse i suoi
malesseri peggiori. Si era sentita egoista, meschina e cattiva.
Spense il ferro da stiro e controllò ancora una volta che
gli abiti di lui fossero perfettamente piegati.
Quello era un primo modo, minimo, per farsi perdonare.
Il resto le sarebbe venuto in mente quando se lo fosse trovato davanti.
Erano le nove.
Faceva ancora un caldo tremendo, ma il sole era appena
tramontato e non colpiva più il corridoio davanti alla sua
stanza. Nell'aria aveva cominciato a scorrere una minuscola brezza per
cui valeva la pena di stare all'aperto.
Buttando giù un nuovo sorso d'acqua ghiacciata, Yuichiro
cercò di racimolare il desiderio di alzarsi e andare a
prendere anche una fetta d'anguria.
Capì di non avere abbastanza fame. No, piuttosto non aveva
nemmeno voglia di qualcosa di
buono.
Abbassò le palpebre e cercò di godersi la pace
silenziosa della casa.
Il suono di passi leggeri, appena veloci, non lo fece alzare. Si
concesse di non trovarli neppure piacevoli, per una volta.
Attese che arrivassero accanto a lui, senza spostare lo sguardo dal
giardino.
Udì il respiro di Rei e lasciò che fosse quello a
riempire la mancanza di suoni, attendendosi di udire uno sbuffo di
impazienza o un'altra manifestazione di fastidio.
«Ti ho portato un po' di anguria» furono le prime
parole di lei, incerte. «E... ho lavato e stirato la
tua divisa.»
Non si era girato nell'udire la prima offerta, ma il secondo favore lo
sorprese.
Rei incontrò il suo sguardo col cenno di un sorriso nervoso.
«Scusami.» Posò accanto a lui i vestiti
e si inginocchiò, sedendosi a terra. «Mi dispiace
molto per come mi sono comportata oggi con te.
Ero irritata per ragioni che... per problemi in cui non avrei dovuto
coinvolgerti.»
Gli stava chiedendo perdono.
Per un momento il suo cuore non
udì ragioni diverse da quelle dell'amore. Yuichiro
riuscì a zittirle solo all'ultimo momento.
Rei annuì. «Tu sei stato... beh, un po'
inopportuno. Io però sono stata superba e ingiusta con
te.»
Abbassò lo sguardo. «Non devi perdonarmi, ma...
non essere infelice a causa mia.» Lo fissò con
profondissimi e sinceri occhi viola. «Per favore»
aggiunse, mettendo fine alla sua giornata di mestizia.
Lui si costrinse a non sorridere apertamente solo immaginando di
essere un'altra persona: se qualcun altro fosse stato nei suoi panni,
non gli sarebbe piaciuto vederlo arrendersi tanto facilmente.
Rei lo squadrò nel viso rimasto calmo per un altro attimo
prima di cominciare ad alzarsi. «Mi dispiace
davvero» gli disse, afflitta.
«Grazie per l'anguria» si affrettò a
dire lui.
Era un debole. Un debole che l'amava.
Rei prese a sorridere. Aveva capito
di essere stata completamente perdonata. «Non si
ripeterà più, lo prometto.»
Se gli chiedeva ancora scusa in qualunque modo, lui si sarebbe lanciato
in avanti, l'avrebbe presa tra le braccia e l'avrebbe baciata. Nei suoi
sogni, ovviamente. Nella realtà Rei avrebbe reso
reale il rifiuto che gli aveva quasi palesato quel giorno.
Lei tornò in piedi. «Prendo la mia fetta d'anguria
e la
porto qui.» Con passò allegro sparì nel
corridoio.
La vita era bella, pensò lui, chiudendo gli occhi e
appoggiando la nuca contro il palo in legno.
La vita era degna di essere vissuta per serate come quella, in cui Rei
si
metteva a parlare con lui, davanti ad un gelato o magari ad un gioco di
carte, e insieme discorrevano di tutto e niente. Ed erano
felici;
realmente felici anche solo così.
Si sporse in avanti e le infilò una mano tra i capelli,
dietro l'orecchio.
Rei spalancò gli occhi, ma lui non attese
di udire il suo rifiuto. Lo precedette, chiudendole la bocca con la
propria.
Non fu spinto via né allontanato, nemmeno un poco.
Lo sai, gli
diceva quella Rei che non si faceva mai sentire ma che era sempre
presente. Lo sai che
voglio solo che mi ami.
Lui lo sapeva. Sapeva benissimo di dover essere solo abbastanza
coraggioso da riuscire a dimostrarlo: Rei voleva essere amata. Da lui,
certo. Come poteva esserci quacosa di più giusto?
Le loro labbra erano una sola bocca che era un delitto separare.
Lui le usò per inebriarsi del sapore di lei, ogni volta
sempre migliore, diverso. Le usò per dirle che andava tutto
bene: lei era forte soprattutto quando era dolce e non doveva mostrarsi
sempre ferma e superiore. Andava bene lasciarsi andare, fidarsi.
Rei gli credette e rispose al suo bacio.
Ricambiò anche il suo abbraccio e lui fu stupidamente
impulsivo: la spinse all'indietro, sul pavimento in legno, adagiandosi
sopra di lei. Provò a staccarsi, ma Rei glielo
impedì.
Erano innamorati, gli confermò. Lei voleva
tutto quello che voleva lui.
Lui lasciò uscire la tensione e cominciò ad
accarezzarla piano, lungo le gambe e sulle spalle.
Lei si fece contenuta passione, desiderosa di essere liberata. Rei era
come il suo fuoco, una fiamma che ardeva feroce e viva se alimentata.
Che bruciava, come la mano che trovò la sua schiena,
accarezzandolo con tanta maestria da lasciarlo senza fiato.
Lui volle trascinarla in camera e Rei lo aiutò sollevandosi.
Si spostarono piano, di poco. Bastò giungere appena oltre la
porta, dove giaceva il suo futon, illuminato dalla luna piena.
Lui le aprì la tunica - lei non indossava altro che quella -
e la scoprì candida e tremante sotto il tessuto bianco. Per
non farsi guardare Rei
prese a baciarlo, a baciarlo ancora, ma lui la fece sdraiare sulla
schiena,
su lenzuola chiare degne di lei, e le passò le mani sulla
pelle nuda.
Sotto la luce fioca la vide con una chiarezza mai concepita. Le
trovò un seno con le dita e capì di non averla
mai sentita tanto bene, tanto realmente, prima di allora.
Era più piccola, di pochissimo, rispetto a quello che aveva
immaginato, ma perfetta, assurdamente morbida e ancora più
ricettiva.
Come l'acqua fredda, anche i suoi polpastrelli riuscirono a renderle
duri i capezzoli e lui fu sicuro di non aver mai visto niente di
più innocentemente sensuale. La punta era minimamente
ruvida, chiara sotto la debole luce bianca della luna, fatta per un
assaggio o per una
carezza, pensati entrambi solo per farla stare bene.
Il sospiro di lei - il suo ansito - gli ricordò il sorriso
che lei gli aveva rivolto sulla veranda. Mi rendi felice.
Lui la gustò con la lingua. Ti amo. La amava.
Perché, perché non si erano liberati prima delle
paure, dei timori?
Rei lo circondò con le gambe e gli abbracciò la
testa, chiudendo il loro mondo.
Vieni. Si
inarcò sotto la sua bocca e poi riuscì a
scivolare verso il basso. Basta
aspettare. Rilasciò un suono di dolcissima
resa nel sentirlo contro di lei e Yuichiro se ne sentì
emettere
uno che lui stesso volle consolare.
Sono qui. Sono qui con
lei, non l'amavo senza essere ricambiato.
Gridò in silenzio quando entrò dentro il corpo di
Rei e si sentì un penoso novellino che non aveva mai fatto
sesso in vita sua, perché niente, nulla, lo aveva preparato
a
quello.
Rei singhiozzò a bocca aperta con muti lamenti di
completezza. Fu lei a muoversi per prima e a fargli capire che non
sarebbe mai più riuscito ad essere da solo nel proprio corpo.
Dondolarono su un naturale mare, col desiderio di non finire mai.
Lui si sentì stretto dalle sue gambe, intrappolato dalle sue
braccia e ringraziò di essere vivo.
Le trovò la bocca con la propria e la adorò
finché non ebbe più fiato. A quel punto si mosse
più veloce e spinse, spinse, la trovò col proprio
corpo e le chiese di non farlo mai più stare senza di lei.
Rei fece aderire i loro bacini, il proprio seno contro il suo petto e
le loro labbra l'una contro l'altra. Lo tenne contro di sé e
dentro di sé, mentre tremava violentemente, senza fine.
Nella calma non si abbandonò sul futon, continuò
a tenersi stretta a lui. Portò le labbra al suo orecchio. Prova a cercarmi. Gli
accarezzò piano i capelli, facendoli scorrere uno per uno
sulle dita. Cercami e
diventa felice con me.
Yuichiro si svegliò.
Aprì gli occhi nel buio della sua
stanza, in piena
notte, la testa adagiata sul proprio cuscino.
Guardò il
soffitto scuro.
Sono già
felice con te, le rispose, calmando il respiro veloce e il
corpo teso. Ma qui,
forse, non siamo fatti per stare insieme.
Come un povero pazzo, salutò la Rei dei suoi sogni, quella
Rei che intravedeva ogni giorno dentro un paio di determinati occhi
viola.
Era la stessa ragazza che era capace di diventare irritante e
irritabile, inquieta, nervosa e anche un po' cattiva. Dopo
però veniva a chiedergli scusa portandogli i vestiti stirati
e un
pezzo di anguria. Si fermava a parlare con lui, a mostrargli quanto
poteva
essere bella quando sorrideva per cercare di farlo contento.
Sono già
felice, si ripeté lui, voltandosi su un
fianco e stiracchiandosi.
Buonanotte,
augurò silenziosamente alla Rei che dormiva dall'altra parte
della casa.
La Rei della realtà che creava ogni suo sogno.
FINE
NdA
- Questa era una di quelle storie che volevo scrivere da un mucchio di
tempo, ma che ho sempre pensato che avrei dovuto aspettare per mettere
giù, visto che si collocava in un periodo che volevo
caratterizzare meglio con 'Ovviamente... impossibile?'. Alla fine non
ho resistito e l'ho buttata giù comunque, giustificandomi
con una semplice scusa: non avrei potuto mettere questa roba in una
storia a rating Giallo :D E chissà quanto potevo metterci
per arrivare a questo periodo (anche se, lo dico subito, ho
già idee per il prossimo capitolo della storiella dedicata
alla complicata relazione di questi due personaggi).
Mi viene voglia di spiegare cosa ho cercato di lasciar trapelare nei
sogni dei due, ma mi piace pensare di essere riuscita a far parlare il
testo e quindi propri i subconsci di Rei e Yuichiro. O almeno spero :D
Grazie per aver letto e se volete dirmi cosa ne pensate sarò
contentissima ;)
Alla prossima!
ellephedre
P.S. - sul gruppo Facebook che vedete sotto mi diverto a fare delle
note - pezzi di testo con allegate delle immagini - relative alle
storie che scrivo (attenzione;
ho dovuto ricominciare daccapo col gruppo perché l'indirizzo
del precedente funzionava a tratti.)
Queste sono le due note presenti per questa storia.
Yuichiro
amava l'estate per molte ragioni...
Come
un povero pazzo, salutò la Rei dei suoi sogni...
|
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Capitolo 5 *** Usagi/Mamoru II ***
Red Lemon
Note
importanti per
capire le battute della storia.
- Odango = cibo giapponese a forma di palla. Nella versione originale
Mamoru associa i codini di Usagi a degli odango, chiamandola Odango
Atama ('testa a odango' o qualcosa di simile) invece che 'testolina
buffa'. Io uso entrambe le versioni nella storia, per facilitare la
comprensione delle battute e la verosimiglianza del linguaggio dei
personaggi.
- Usagi - significato: Coniglio
- Tsukino - significato: Lunare
- Usagi Tsukino = Coniglio della Luna
- hentai = maniaco/a
Red
Lemon
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
5 -
Usagi/Mamoru II
Scena ambientata
all'interno del capitolo 4 di 'Oltre le stelle'
Il percorso fino al letto, rapidissimo, era stato nitido. La
moquette nera di notte si era fatta azzurra, il bianco delle pareti
accecante, la luce del sole abbagliante.
Ricadendo sul letto, Usagi indietreggiò con uno scatto.
«Mamo-chan.»
Un braccio forte la sostenne per la schiena, adagiandola sul materasso.
Le sue guance presero fuoco. «Mamo-chan.»
Tentò di
fermarlo con una mano sul petto e si sentì perduta quando
lui la
sovrastò - magnificamente reale, nitido.
Si coprì la faccia. «Mamo-chan!»
Un bacio la sfiorò per errore sul dorso della mano. Mamoru
si allontanò. «Cosa
c'è?»
Usagi si azzardò a liberare un occhio.
«Io...»
Bastò la vista della bocca di lui a toglierle il fiato,
scura
com'era dentro le labbra, calda da impazzire nei ricordi. Si
sentì morire. «Ho... cambiato idea.»
Lui imitò con successo un pesce boccheggiante.
Riuscì a riprendersi e sorridere.
«Usa...»
Lei sfuggì in tempo alle sue bellissime grinfie.
«Nonono.» Aderì allo schienale del
letto. «Io volevo ma...» Ohh, voleva
ancora
adesso! «È solo che è troppo
chiaro,
è
troppo...» Guardò con orrore la stanza e tutti i
suoi
sgargianti colori. Come aveva fatto a non pensarci!?
Mamoru avanzò piano, a gattoni, e Usagi capì di
non poter scappare oltre il limite del letto.
«Cosa è troppo chiaro?»
Lei rannicchiò le gambe. «Per favore, rimandiamo a
stasera.» Se fosse riuscita a resistere. Forse. Magari. Vero?
Lui le studiò il viso. Comprese ogni cosa quando lei fece
guizzare lo sguardo verso la finestra. Rise.
Usagi sprofondò con la testa tra le ginocchia. Presto
avrebbe vissuto l'esperienza più imbarazzante di tutta la
sua
vita, lo sapeva, se lo sentiva!
Il brivido che la mano di lui le provocò sul gomito fu solo
il primo assaggio. «Usa...»
«Di giorno non si può!»
tentò lei. Non
potevano proprio, tutti nudi sotto il sole, senza un solo
straccio
a coprirli. L'immagine le fece sentire una puntura deliziosa tra le
gambe.
Mamoru stava soffocando una risata. Le prese il viso in una mano e con
un pollice le accarezzò la guancia arrossata, generando una
minuscola scia di estasi che minacciò di farle perdere ogni
dignità.
«Non cambia
niente rispetto a ieri» le disse.
«Mi vedrai dappertutto!» Quella mattina aveva
conservato un pochino di pudore almeno, coprendo le parti importanti
con
un lenzuolo strategicamente piazzato.
Lui era rimasto perplesso. Usagi lo vide ondeggiare tra un sorriso e un
broncio.
«Ma non volevi che... ti baciassi?»
Baciarla? Lei ricollegò la domanda al discorso bruscamente
interrotto in salotto e sentì il sangue invaderle il
naso. «No!
Volevo solo che noi-» Fece un paio di gesti con le mani.
Mamoru li fissò con le sopracciglia alzate e quando Usagi
riprovò si rese conto che con le dita stava
imitando qualcosa di simile al volo starnazzante di due anatre.
«Volevo solo che noi... come ieri... Tu mi avevi-»
Si morse
la bocca. Le parole di lui - l'ipotesi di tutto quello che potevano
ancora convidere intimamente - l'avevano eccitata oltre ogni misura. E
voleva fare l'amore di nuovo, ma non con tutta quella luce!
«Usa.» Una mano riuscì a
intrappolarla per la schiena. «Vieni qui.»
Lei si sentì opporre la resistenza di un coniglietto
morto.
Voleva essere la cavia del suo Mamo-chan e immolarsi sull'altare della
scienza. Mamoru avrebbe potuto dimostrare al mondo intero che gli
bastava una carezza per comandare a suo piacimento un coniglio umano
con i capelli a odango. Lei avrebbe saltellato per lui al primissimo
'Hop!'.
Mamoru premette la bocca sulla sua. Le aprì piano,
dolcissimamente, le labbra con le sue e Usagi serrò forte
gli
occhi.
Era notte, cercò di convincersi, proprio come la sera prima.
Già, notte, tutto buio, tutto romanticissimo e sensualissimo.
Oh sì, sarebbe stato talmente
bello muoversi di nuovo insieme a lui, ancora più
travolgente
della prima volta. Non sarebbe esistito niente di diverso dai loro
corpi uniti che... sarebbero stati bagnati di luce.
«Mamo-chan.» Tentò di ritrarsi, ma
Mamoru le baciò la guancia. «Io sono
ancora una sciocca.
Una Testolina Buffa scema.» Per fermarlo infilò
le dita
tra i suoi capelli e provò a tenergli la testa.
«Non sono ancora pronta per farmi vedere di
giorno. Mi vergogno troppo.»
Lui ridacchiò contro il suo orecchio. Usagi lo
sentì
tendersi mentre gli accarezzava la nuca. Il rimpianto di non
poter continuare divenne ancora
più grande.
«Non la pensavi così stamattina»
mormorò lui,
facendole intuire la presenza di un sorriso micidialmente
tenero. «Sei stata tu a spiarmi.»
Lei volle sotterrarsi. «Non ti ho rispettato.
Scusa.»
Magnanimamente, lui le concesse il proprio perdono.
«Permettimi
di
guardarti.» Fece scorrere
la mano lungo il suo stomaco e più su, sopra la maglietta.
Con un unico dito, mise
sull'attenti il suo corpo, giocando a farlo inturgidire su un'unica
punta.
Usagi evitò l'ansito solo a
metà. «Continuiamo stanotte»
pregò con forza d'animo
gigantesca. «Un pochino alla volta, per
favore.»
«Stanotte torni a casa tua.» Mamo-chan
sembrò tanto addolorato da farle cambiare idea quasi solo
con lo
sguardo. Quasi. «Poi vai dalle tue amiche. A noi rimane solo
adesso.»
Usagi capitolò miseramente così.
Deglutì. «Appoggiati del tutto sopra di
me.» Per farle
sentire, pensò, quant'era già pronto a farle
dimenticare che
esisteva il mondo. Sarebbe stato- Trattenne un gemito quando lui
obbedì. Era sicuramente
un ottimo inizio. «Guardami solo negli occhi, okay?
Oh!»
Cercò disperatamente di allungare il braccio verso il
basso. «Le lenzuola! Coprici.»
A lui uscì una risatina. Attirò sopra di loro le
lenzuola
bianche, pulite. Fu come ritrovarsi in un mondo di purezza.
«Perché ti vergogni?»
La luce del sole filtrava facilmente attraverso il tessuto leggero,
rendendo il loro piccolo spazio una cupola stropicciata e candida.
«Mamo-chan... perché sì.»
Di notte era tutto così romantico e intimo, mentre di
giorno...
sarebbe morta dall'imbarazzo. «Tu perché insisti?»
«Perché...» Le baciò una
spalla. «Sei Usagi della Luna, ma sotto il sole
risplendi.»
Usagi non riuscì a rispondere. Non si era mai sentita
più
principessa di quando Mamoru le faceva capire che la trovava bella.
Diventava la regina dell'unica cosa che le importasse, il
mondo di lui.
Gli accarezzò il viso e inclinò la testa. Mamoru
la
incontrò a metà strada, in un bacio che la fece
sciogliere sul materasso.
Lui le sfiorò la punta del naso con le labbra. «Va
bene?»
Lei annuì ad occhi chiusi, sapendo di aver bisogno, ancora
un
pochino, di mantenersi in un universo senza immagini. Ne
esplorò
il calore intenso - la bocca che rese sua, tutta sua,
già
dal primo bacio - e le sensazioni che crescevano nelle sue mani,
strumenti di conforto e passione. Lo abbracciò come negli
ultimi
anni e lo toccò come solo la sera prima, saggiandogli la
schiena
per intero con le dita, trascinando un unico tocco lungo tutto il suo
corpo. Piacque tanto al suo Mamo-chan, nato com'era per essere amato il
più possibile.
Per vederlo, lei aprì gli occhi.
Il viso di lui si nascose oltre la sua vista, nel suo collo. Con le
labbra Mamoru trovò su di lei lo stesso punto della loro
unica notte, uno
zampillo di sensazioni palpitanti sotto la carne. Lei piegò
la testa all'indietro tra sospiri sorridenti e gli
prese la spalla in una mano. Giocò a far scendere,
leggermente,
le unghie lungo il suo braccio, la promessa di un graffio che non
sarebbe mai arrivato. A lui era piaciuto da impazzire quando lo aveva
fatto per sbaglio e, ripetendolo per prova sempre più
spesso, a
Usagi era sembrato che il suo Mamoru amasse il ricordo del pericolo e
la certezza continua di poterlo affrontare senza temere nulla, come
quell'amore che gli era sfuggito tanto a lungo nella vita.
Lo strinse tra le braccia, tenendolo contro il suo corpo. Non ti ho mai dimenticato. Ebbe
voglia di piangere.
Anche se avessi saputo che eri morto, il mio amore non sarebbe mai
scappato da te.
Come se l'avesse sentita, Mamoru sollevò la testa. Non ci
mise niente a riconoscere i pensieri dietro i suoi
occhi e agitò giocosamente le lenzuola. Un filo d'aria e due
sorrisi tornarono tra loro.
«Comincia a far caldo» ridacchiò lei.
«Allora via queste.» Portandosi il lenzuolo dietro
la schiena, Mamoru distrusse la cupola.
Con una risata lei si premette le braccia sul petto e tentò
di
fuggire. Mamoru si spostò di lato, lasciandola
inaspettatamente
libera. Per un istante. «Presa.» La strinse da
dietro.
«Non c'è scampo.» Respirò
contro la base
della sua nuca, facendole crescere un meraviglioso ansito in
gola. «Non posso lasciar andare questi odango.»
Aveva una vera fissa per i suoi chignon. «E se fossero
sciolti invece?» Rise.
Lui inspirò. «Devi farmeli vedere. Ho sempre
voluto vederli senza code.» Le accarezzò lo
stomaco. «Sono come un vestito attorno a te?»
Salì con la mano, aderendo col corpo al suo, da dietro.
Usagi si sentì inquieta, in preda a sensazioni
più grandi di lei. «Non
così.» Si voltò su se stessa,
rapidamente. «Devo continuare a baciarti per non
vergognarmi.» Sorrise di fronte alla breve pausa di lui.
«Per i capelli facciamo un'altra volta. Sono belli, ma
intralciano tutto.»
Quietato, Mamoru le offrì un sorriso e una carezza sulla
guancia.
Usagi sentì di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Ti ho... deluso?»
«No» si pentì
lui. «Vorrei che fossi a tuo agio come ieri. Sto
sbagliando da qualche parte.»
Oh, no.
Era lei la sciocca,
era solamente colpa sua. Si tirò su, sul fianco, con un
braccio
solo. «Per niente, no... Guarda.» Cercando di
non
avvampare, riuscì a far rientrare le braccia dentro la
maglietta,
dal'interno. Focalizzò lo sguardo sulle spalle di lui per
non guardarlo in viso e
tirò su tutto. «Ecco.»
La maglietta le era
rimasta attorno al collo. Deglutì e se la sfilò
dalla
testa, liberando velocemente anche le code.
Non seppe in che posizione rimanere, seduta solo col reggiseno
rosa addosso. Il suo petto le sembrò più piccolo,
poco
bello. Non riuscì proprio a dargli dignità
ergendo il
busto e provò a regalargli un po' di volume unendo le
braccia.
Si sentì più sciocca che mai, la caricatura di
una donna sensuale.
Si azzardò a guardare Mamoru negli occhi.
Con lo sguardo fisso sul suo viso, lui si era intristito.
«Vieni.» Si tirò su e
l'abbracciò, facendola
ricadere sul letto. Riportò le lenzuola su di loro.
Usagi si coprì con le mani come poteva. «Con la
luce non è niente di speciale, hm?»
«No.»
Mamoru era
addolorato. «È anche meglio, per questo non
sono riuscito a farti smettere prima. Scusami.»
Usagi si guardò. Non aveva il reggiseno giusto, era quello
il
problema. «Se sembra piccolo è
perché...»
Gli uscì una risata. «Non lo sembra.»
Il divertimento la ferì. «Non ridere. La
prossima volta comprerò qualcosa di molto carino
e-»
«Ci sei già tu di carina.» La delusione
serpeggiò in ogni parola di lui.
Non fu contenta neppure lei. Era solo carina, ma non
lo incolpava per la sua sincerità.
«Sembrerò più grande. Più
matura. Per te,
vedrai.»
«Non voglio. A me piace questo, tu.»
Sospirò
e Usagi capì che il disagio di lui era solo per se stesso.
Era
deluso di se stesso.
Mamoru riuscì a sorridere di nuovo, un
poco. «Ieri, qui...» Accarezzò forte il
materasso.
«Ti ho amato qui. Voglio farlo di nuovo perché non riesco
a non farlo.» Le prese una mano. «A me sembra bello
anche
un tuo dito, ma quello che mi permetti di vedere è... bello
davvero. Non mento e sembro così-»
aggrottò la
fronte, «stupido, solo perché non riesco a dirlo
bene.»
Usagi comprese che non le importava niente della bellezza.
«Ti amo tanto, Mamo-chan.»
Il sospiro di lui fu un soffio di sollievo. «Io da
sempre.»
Prese la bocca che fu lei a offrirgli. «Sempre di
più.»
Da capo a piedi la percorse un brivido che decise per lei che non
potevano esserci più indugi. Ogni esitazione era una pena,
una
piccola tortura crudele che non doveva esistere. Tremando,
infilò le mani sotto la maglietta di lui e provò
a
sollevarla. Mamoru respirò forte e la tirò via da
solo.
Lei rimase con gli occhi socchiusi. Lo riprese tra le braccia quando
le tornò vicino.
La bocca di lui scese sulla linea del suo collo. La mano di lei su
quella del suo fianco. Mamoru le trovò con le labbra il
petto e Usagi
sentì un brivido che rese doloranti le punte che andarono a
dare
forma al cotone leggero del reggiseno, privo di imbottiture. La bocca
di lui incontrò il tessuto. La pelle. Come la notte prima,
lei.
Usagi ansimò piano.
Il senso della vista, non più inibito dal buio, le
regalò un'immagine che le fece sciogliere le membra.
Serrò le palpebre. Il piacere si prese il suo respiro.
«Mamoru...»
Lui salì a occuparsi in un bacio inquieto. «Non
c'è-» Con le dita, abbassò la coppa
senza forma di
un seno. «Niente di più-»
Riportò il bacio
sotto.
Sollevando il busto, Usagi spezzò più volte un
unico gemito basso. Mosse le gambe assieme a quelle di lui. Gli
sfuggì all'indietro, cercando di sedersi. Corse a portare
una mano sulla sua schiena, implorandolo di inventarsi un modo
qualunque
per
continuare.
Lui si dimostrò un genio trovandole la bocca a labbra
aperte e
occhi che si chiusero come i suoi. Le lasciò abbastanza
spazio
per disfarsi dell'ingombro che, tolto, le denudò il petto.
Usagi si premette contro di lui e smise di ricordarsi che la notte
prima fosse mai terminata. Era ricominciata, erano ancora
lì. Lo
accarezzò sulla parte bassa della schiena, sullo stomaco,
insistendo.
Ricaddero all'indietro, piano, sul cuscino.
Lui abbassò lo sguardo e Usagi non riuscì a
tenere gli
occhi aperti. Si sentì tanto agitata ed eccitata da non
poter
stare ferma. «Via anche questo.»
Artigliò i propri
pantaloncini e li fece scivolare giù per le gambe.
Si sentì aiutare da una mano. «Fretta?»
Oh sì. Aveva fretta di provare tutto e di non attendersi
più
di
sentire vergogna. Lo osservò a palpebre semiaperte e volle
correre per il desiderio che fece brillare ogni suo senso.
«Torna da me.» Non avrebbe mai
potuto togliere gli slip mentre lui guardava e inoltre- Si
inarcò verso l'alto, contro il corpo caldo che la
coprì.
Quella era una delle migliori esperienze della vita.
Nel suo orecchio iniziò un mormorio sottile. «Ti
è piaciuto così tanto ieri...»
Lei avvampò. «Mamo-chan...» Volle
scuotere la testa.
Con un sorriso felice contro la sua guancia, lo fece lui.
«Pensavo che fossi così bella. E invece lo sei di
più.» Infilò le dita sotto l'elastico
dei suoi
slip, sul fianco.
Usagi sollevò il bacino e lo accolse tra le gambe.
Sospirò assieme a lui quando dondolarono l'uno contro
l'altra,
più volte, fino a credere di potersi saziare solamente in
quel modo. Llo tenne per un braccio e con l'altro cominciò a
spogliarsi completamente. Non ricordava di aver mai respirato tanto
forte, come se l'aria non volesse saperne di rimanere dentro di lei,
combattiva, smaniosa.
Mamoru le passò il respiro dentro il proprio petto e si
mosse su
di lei, quasi impacciato, per cercare di imitarla. Ricadde di fianco.
Usagi sorrise per lui. Lo seguì e, ormai libera,
riuscì a
usare un piede per aiutarlo a spingere giù i boxer.
Rimasero con le gambe incrociate, adagiati di lato.
Nell'ondata di eccitazione lei si sentì favolosamente
commossa
quando un braccio le protesse tutta la schiena, senza chiederle altro.
Era esposta e, anche se non voleva avere difese contro di lui, quella
era
ugualmente una sensazione nuova.
Fece cadere baci su una sua guancia.
Lo udì sorridere. «Presa di nuovo. Ma se non sento
un sì...»
«Hm-mh» annuì lei, sollevando la gamba
attorno al suo fianco.
«Hm-mh?» rise lui.
«Sì» tradusse Usagi. Sentì il
proprio basso
ventre che lo incontrava e le passò la voglia di giocare.
Erano
bambini innamorati a volte, lei soprattutto, ma erano diventati grandi
negli anni, col passare delle giornate, delle battaglie, dei dolori mai
dimenticati ma tutti superati. Erano adulti
e avevano imparato ad amarsi come tali.
Abbassò lo sguardo tra loro e provò solo
un'impaziente
dolcezza nel vedere i loro corpi che armeggiavano per trovare
l'incastro. Fece la sua parte tirando ancora più su la
gamba. «Sdraiamoci.» Gli
accarezzò forte una
spalla, tra un sospiro e un sussulto.
«Non volevi conoscere una nuova
posizione?» sorrise
lui. Smise aggrottando la fronte quando provò a entrare in
lei.
Usagi spinse verso il basso col bacino, faticando a tenere chiuse le
labbra. «Non...» Inspirò aria. Non le
importava
nulla della posizione.
Ecco.
Volle agitarsi per il troppo amore. Si aggrappò a lui
con
le braccia, preda del brivido dell'unione. Sentì una mano
che
premeva con insistenza delicata,
crescente, sulla parte bassa della sua schiena.
«Prova a venire
avanti...» Fu il sussurro inquieto di lui.
Usagi seguì il movimento e la fitta divina che ne
derivò le fece comprendere tutto quanto.
Mamoru trattenne il respiro. «Sì. Fai
così
quando-» Lei gli fermò le labbra con un dito.
«Mamo-chan. Non insegnarmi.» Sorrise a occhi
chiusi, persa.
«Amami.» Ondeggiò su di lui e lo
sentì
rispondere.
Col corpo intrappolato, vinto e riverito, non poté far altro
che
percepire solo se stessa, ma l'udito, le orecchie, quelli li
dedicò a lui. Usò ogni piccolo scatto, ogni
minimo
movimento, per udire il suo respiro che si allargava e si trasformava
in un ansito basso, quasi un suono vero.
Il calore bollente dentro di lei rese fredda l'aria.
Sospirò la propria richiesta in un mormorio e venne fatta
sdraiare contro il materasso.
Aderì
completamente a quello ma non più a lui, che si
sollevò
un poco, per lasciar scorrere gli occhi su di lei senza smettere di
muoversi.
Usagi accarezzò con le mani e con lo sguardo ogni lembo di
pelle
e la linea di ogni muscolo. Li trovò naturalmente belli,
degni
di ore di contemplazione, ancora più magnifici nel movimento
quieto e intenso, ritmico, che andava a legarli profondamente.
Mamoru si fermò. Non riprese, limitandosi a controllare il
respiro.
«Mi piaceva» si lamentò lei con un
sorriso, facendo scorrere l'unghia dell'indice lungo un suo braccio.
«A me un po' troppo.» Lui abbassò
nuovamente la testa
e il suo sguardo crebbe in un istante, riempiendosi di pentimento e
ammirazione.
«Promettimi che non ti vergognerai più.»
Si
lasciò sfuggire un sibilo debole tra i denti.
«È
un
crimine contro la realtà.»
Le venne da ridere.
«Più semplice?» sorrise lui,
riappoggiandosi sopra
di lei. «Devo imparare, è vero. Tu sei bellissima,
è questo. Ma 'bellissima' è banale.» Le
prese un
labbro tra i suoi. «Inadatto.»
«Inadatto è parlare» ansimò
lei con una
traccia di disperazione, senza badare nemmeno più alle
proprie parole.
«Sì» concordò lui.
«Shh» la calmò.
«Senti.» Smise di rimanere fermo, ma non
ritornò alle spinte che si
facevano unione. Mosse il bacino circolarmente e premette sopra di lei,
forte, col proprio peso.
Usagi perse la testa e la voce. Le scappò dalla gola.
Combatté per ritenere un po' di grazia ma gli occhi di lui
adorarono ogni sua smorfia e finì con l'amare anche lei
tutto
quanto, ancora di più con ogni attimo che conservava le
sensazioni unendole alla perfezione di altre sempre uguali e nuove.
Riconobbe la morsa che prese il controllo del suo corpo e la concesse a
se stessa, a Mamoru, nella luce, a occhi aperti.
Li chiuse solo quando non esistette che piacere. Quello la
inondò con violenza desiderata e continua, pacificatrice,
un'esperienza solo sua che poteva esistere solo con lui, per
lui.
La sensazione proseguì chetandosi lievemente in lei e
scivolando su Mamoru.
Usagi udì il soffio erratico del naso schiacciato contro la
tempia e lo strinse per le spalle. Percepì il ritorno ai
movimenti pensati per la soddisfazione di entrambi e
allargò le gambe solo per racchiuderlo e poterlo
tenere meglio dentro di sé. Si afferrò lei a lui,
senza lasciarlo andare, incontrando il suo
corpo dopo ogni veloce e breve separazione. Nella minima
lucidità che si trovò a riconquistare fu
un'esperienza
meravigliosa.
Lo abbracciò forte alla fine, quando lui perse la forza
nelle braccia, spingendolo ad abbandonarsi. Lo strinse come una mamma
koala e rise tra sé di tutti gli animali che le erano venuti
in mente. Il suo cucciolo Mamo-chan, l'uomo a cui voleva dedicare la
sua vita, non le oppose alcuna resistenza.
Fuori dalla finestra non c'era cielo, ma azzurro.
Non vi era una sola nuvola a ricordare che quella era la volta celeste
dietro il cui colore intenso e chiaro si nascondevano miliardi di
pianeti e stelle.
Era solo azzurro, come una pagina colorata di pennarello.
Mamoru ricordava di aver contemplato una sola volta un colore
così
perfetto. In quel giorno, una domenica mattina, aveva spento
l'aspirapolvere
con cui aveva cominciato a pulire la casa e vi si era appoggiato sopra,
guardando fuori. Proprietario da poco del suo nuovo appartamento, aveva
pensato che anche a Tokyo la natura poteva mostrarsi immacolata e che,
proprio come quella giornata, in quel momento era bella anche la sua
vita.
Era stata un'esistenza solitaria ma serena la sua, tranquilla. Bella, a
non
conoscerne una diversa.
Gli era stata data la possibilità di trasformarla e
migliorarla, renderla completa. Lui aveva una vita
precedente dietro di sé e un destino già
stabilito per il suo futuro, ma si era scelto da solo la vita che stava
conducendo.
Aveva scelto di rimanere Tuxedo Kamen, di combattere e persino di amare
Usagi.
Aveva scelto di rinunciare a Medicina e di diventare un Re in futuro
semplicemente perché, consapevolmente, non aveva scelto
l'alternativa. Non la voleva.
Non desiderava non amare Usagi, non desiderava vivere senza il dovere
di lottare per il suo pianeta, non voleva abbandonare il mondo a se
stesso.
Il pensiero di regnare gli incuoteva una paura lontana, ancora da
scoprire, ma lui non aveva scelto l'alternativa. E non l'avrebbe scelta
neppure in futuro.
Per comprendere la ragione del silenzio quieto accanto a lui,
voltò la testa.
Gli occhi blu di Usagi, indagatori, continuarono ad osservarlo con
attenzione.
Lo portarono a sorridere. «Come mai non mi chiedi cosa
penso?» Lei lo faceva sempre.
«Voglio indovinare.»
Sotto le lenzuola, lui si spostò su un fianco.
«Hai già qualche idea?»
«Hmm... pensi a cosa faremo oggi?»
«No.»
«A cosa potremmo fare durante l'estate?»
«No» sorrise lui. Non era in vena di progetti. Era
rilassato e desiderava rimanerlo il più a lungo possibile.
«Allora... a me?»
«No» rise. «Al cielo.»
Usagi si vergognò.
Lui le indicò la finestra. «Oggi è
molto limpido. Mi ha fatto pensare un po' al passato e al futuro. Di
conseguenza, anche a te.»
«Al futuro?» ripeté lei.
Lasciò scendere lo sguardo sul lenzuolo bianco con cui si
erano coperti e si permise solo un briciolo della preoccupazione che
ancora non voleva mostrargli appieno. «Ce la
faremo?»
«Sì.»
«Come lo sai?»
«Perché dobbiamo farcela per andare avanti e io
non permetterò che qualcosa ci fermi.» Sul
cuscino, spostò la testa verso di lei. «Neanche
tu.»
Usagi si ricordò chi era, lo vide. Lei non era invincibile
perché aveva nel suo presente Sailor Moon e nel suo futuro
una Regina, ma solo perché, come semplice persona, aveva
sempre trovato il modo di non cedere. La resa non l'aveva mai avuta
vinta su di lei.
«È vero» gli disse. Si
stiracchiò, allegra.
«Per caso hai fame?» le chiese lui. Si avvicinava
l'ora di pranzo.
La riflessione di lei fu breve. «No. Stiamo qui ancora un
po'.» Da un angolo della bocca, gli mostrò la
lingua. «O ti annoi?»
«No» sorrise lui. Come poteva?
Usagi si voltò sul letto e, dopo una breve indecisione, si
appoggiò col seno sul materasso, le braccia piegate. Quando,
poco prima, si era alzata per andare in bagno, aveva rimesso gli slip e
aveva continuato a coprirsi il seno con un braccio. Così
faceva
ancora. Era un peccato,
considerò Mamoru.
«Andiamo allo zoo uno di questi giorni?»
Allo... zoo? «Perché proprio
lì?»
Lei scrollò le spalle. «Mi è venuto in
mente che non ci sono mai stata con te.»
In effetti no. Lui stesso non ne visitava uno da quando aveva...
tredici anni?
«Quand'è l'ultima volta che ci sei
stata?» Sicuramente era passato meno tempo che per lui.
Lei si prese un momento per rispondere. Quando lo allungò,
Mamoru aggrottò la fronte.
«Ehm... qualche settimana fa. Ma non l'ho visto
bene.»
Ah, mentre lui... non c'era. «Con la tua famiglia?»
«No» sorrise lei e la carica di allegria gli
sembrò sospetta. «Comunque vorrei andarci di
nuovo.»
«Va bene.» Pensò di lasciar perdere la
domanda ma, quando si rese conto che non c'era nulla di male a porla o
nella risposta che poteva ricevere, chiese di nuovo. «Ci sei
stata con le ragazze?» Non poteva essere che con loro.
«No» deglutì lei. «Con
Seiya ma potevo divertirmi di
più, per questo voglio andarci con-»
Mamoru unì le sopracciglia. «Con chi? Non ho
capito.» Non aveva sentito niente.
Lei si rannicchiò nelle spalle, scrollandole un poco.
«Ehm... Seiya. Un pomeriggio tra amici.»
Tra amici. Mamoru ripensò alla risposta di prima.
«Senza le ragazze?»
«Erano occupate.»
Ah.
Hm.
Il nervosismo di Usagi divenne visibile. «Non mi sono
ricordata dello zoo a causa di Seiya. È solo che poco fa mi
sono
venuti in mente un sacco di animali e allora ho pensato che li avevo
visti allo zoo e mi sono ricordata di quando ci sono andata e c'era
anche Seiya, tutto... qui.»
I collegamenti che faceva il cervello di Usagi a volte andavano oltre
la sua
comprensione. «Poco fa ti sono venuti in mente degli
animali?»
Lei deglutì. «Animali belli. Come paragone. Ad
esempio ho pensato che ti abbracciavo proprio come un koala, ti
immagini?» Scoppiò a ridere.
Non lo coinvolse. Lo
aveva abbracciato come un koala quando... D'improvviso, capì.
Usagi spalancò la bocca. «Non pensavo agli
animali! Erano solo uno di quei pensieri che sfrecciano nella
mia testa bacata e vuota che-»
«Prima sei riuscita a pensare a degli animali, alla tua
uscita allo zoo e a quando ci sei andata con...»
Abbassò le palpebre e si ricordò la
verità. «Con quella Sailor
Starlight?»
«Nononono! A questo ho pensato solo dopo!»
Lui si ricordò un'altra cosa importante. «Non sei
andata allo zoo con lei quando sapevi che era... per metà
una lei.» Appena avevano scoperto le identità
delle Starlights le cose si erano fatte tese, lo aveva detto Usagi
stessa.
«No, ma...» Lei ne fu mortificata.
«Mamo-chan, era una delle volte in cui Seiya stava cercando
di distrarmi. Siamo andati allo zoo, al luna park e anche in una
discoteca pomeridiana-»
Un mucchio di posti.
«-ma io ero contenta solo perché mi stavo
svagando. Continuavo...» arrossì, «a
ricordarmi di te.»
Evidentemente non sempre. «Andremo allo zoo. E al luna
park e in una discoteca.» Ebbe voglia di sedersi ma si impose
di non farlo.
Usagi si affrettò ad annuire. «Io voglio andare in
questi posti e dappertutto con te. Dappertutto»
mormorò.
Fu così sincera e pentita che a lui venne in mente una sola
cosa. Non avrei mai
dovuto lasciarti sola. Si pentì a sua volta,
di nuovo, per non essere stato presente in momenti e giornate a cui non
sarebbe mai voluto mancare.
Usagi si accostò a lui. Lo strinse, premendo forte la bocca
contro l'angolo delle sue labbra. «Ho alcuni ricordi felici
di questi ultimi mesi. Preziosi. Ma rimarrà sempre un
periodo triste per me. La vera gioia è ricominciata
solo due giorni fa.»
Mamoru si lasciò abbracciare dalle sue parole. Non
desiderò altra espiazione da lei, nessun dolore e neppure il
ricordo, per nessuno di loro due. «Tanto da farti pensare
agli animali dello zoo, hm?» Sorrise.
Usagi perse ogni tensione. «Sono una sciocca.»
Strofinò la fronte contro la sua guancia. «Ma
l'animaletto ero sempre io, mai tu.»
«È un conforto.»
La fece ridere.
L'aria si impregnò del profumo del corpo di lei, un odore
più intenso perché mischiato al suo. Gli piacque.
La adagiò all'indietro. «Proviamo a vedere se
questa volta non pensi più a niente?»
Le guance di lei acquisirono il colore di un dolce da mangiare,
desideroso di essere gustato. «Sì.» Si
lasciò baciare.
Mamoru pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo abbandonarsi
anche a qualcos'altro. Lui non vedeva l'ora
di vederlo.
Abbassò una mano e scese lungo lo stomaco di lei, fino a
trovare la fine del suo ventre. Tornò indietro con le dita,
di pochissimo, e lasciò che trovassero rifugio sotto un
sottilissimo pezzo di stoffa.
Usagi staccò la bocca dalla sua e inarcò il
bacino verso di lui, gli occhi socchiusi, immediatamente scuri.
Era sorprendentemente facile strapparle quell'espressione, a sapere
dove toccarla. Forse, come le aveva detto, era solo l'effetto
dell'inesperienza di lei, ma dal momento che la stavano già
bruciando via, lui voleva imparare sempre cose nuove e ripassare
continuamente quelle vecchie. Aveva sempre amato studiare.
Usagi affondò le unghie nelle sue braccia,
causandogli un
piacevole dolore. Lui non spostò lo sguardo
dal viso di lei e,
come già prima, la trovò immensamente... Non
c'era una sola parola per quello che gli faceva sentire una stretta
violenta al basso ventre, una carezza dentro il petto e un'assoluta
meraviglia dentro il cervello.
Bellissima.
Un termine completamente inadeguato. Si sarebbe inventato una parola
nuova per lei, tutto un concetto, e quando fosse riuscito ad amarla un
pochino di meno, abbastanza da poter pensare, glielo avrebbe decantato
in una poesia pietosa che l'avrebbe fatta sorridere di gioia. Solo per
quello, sarebbe valsa la pena di rendersi ridicolo.
Lei ansimò a denti stretti e lui le fece scorrere la bocca
lungo il viso, senza azzardare altro. Poteva resistere a un solo
sconvolgimento alla volta in quel momento e scelse quello che avrebbe
rubato la ragione a lei.
Scese con le dita. Anche se la reazione fu esattamente come l'aveva
immaginata - una tensione rigida, di delizioso piacere
- si sorprese della sensazione che incontrò, quasi
che...
Ricordò che Usagi era uscita dalla stanza per qualche minuto
e rammentò anche che si era diretta in bagno, a
rinfrescarsi. Quel pensiero gli diede la
sua spiegazione e una nuova idea. La giudicò azzardata fino
a che non vide Usagi con gli occhi serrati, intenta a non
perdersi neppure una minuscola sensazione.
«Usa.» Allontanò la mano da lei.
Seppe di aver sbagliato quando l'interruzione le rese lucida
l'espressione.
Lei lasciò uscire un sorriso. «È vero,
io penso
sempre a
me.» Cominciò ad alzarsi. «Tu non aiuti,
ma adesso è arrivato il mio turno di
coccolarti.» Rise. «Il primo, visto che non l'hai
mai lasciato cominciare.» L'assalto che intraprese fu
tenero e promettente.
«Io sono ancora inesperto» iniziò a dire
lui.
Usagi terminò di farlo sdraiare sulla schiena e gli
baciò un lato del collo, accarezzandogli l'altro.
«Non mi sembra.»
Fu un complimento che gli strappò una valanga di
soddisfazione. «Voglio dire» la
abbracciò per la schiena, «che finora è
andato tutto... bene, solo perché ho tenuto conto delle mie
reazioni.»
Usagi si fermò, guardandolo come se fosse uno stupido a
perdere ancora tempo a parlare. Per un istante, sentendo mancare il suo
tocco, lo credette anche lui. «Per essere chiaro, se continui
mi rovini.» Sorrise. «Almeno fino a che non
sei pronta quanto me anche tu.»
Lei arricciò le labbra. «Sono queste le cose a cui
pensi in momenti come questi? Così non ti diverti.»
Oh, no, alla fine lui si divertiva moltissimo,
ma era possibile solo se approntava tutto per bene prima. E si
divertiva anche a fare quello. Rise e ribaltò di nuovo le
loro posizioni.
«Ho una proposta.»
Guardandola negli occhi capì che non avrebbe mai funzionato
come domanda secca. Lui stesso non ebbe le parole per formularla e
pensò che fosse un segno del fatto che fosse un'idea
prematura. Il corpo caldo di lei sotto il suo, ancora lievemente
ansimante, gli ricordò che non c'era nulla di male a
sperimentare.
Abbassò la testa e, a bassa voce, disse, «Pensavo
che potrebbe piacerti se...» Fece una pausa e
proseguì.
Terminando di ascoltare, Usagi spalancò gli occhi.
Inspirò una boccata d'aria gigantesca e cominciò
a scuotere la testa. Si rese conto un istante dopo di aver
solo immaginato il movimento e di essere rimasta immobilizzata.
Provò a parlare.
Boccheggiò.
Mamoru osservò la sua reazione e sorrise subito, pentito.
«Allora no.»
Usagi deglutì. Aveva pensato che all'inizio lui scherzasse!
«È- è...» Anche se si era
pulita non
era lo stesso una cosa che si poteva fare davv... No! Riuscì
a
scuotere la testa.
Una mano le fermò il capo, accarezzandole la fronte.
«Va bene.» Mamoru provò a tirarsi
indietro, poi rimase dov'era. «Te l'ho proposto
perché ho pensato che potesse essere una specie di gioco, ma
no è no.» Sospirò. «Ora non
essere a disagio.» La prese tra le braccia e
tornò a sdraiarsi, portandola sopra di lui.
«Possiamo continuare come prima.»
Lui riprese a farlo come se non potesse sopportare di vederla inquieta
o come se... Usagi si rattristò. Come se pensasse
addirittura di correre il rischio, per un momento, di farle dimenticare
che desiderava stare accanto a lui proprio come in quel momento.
Abbandonò la bocca su quella di lui e per un po'
provò a non pensare.
... era stata una proposta innocente. Chi si amava rendeva innocente e
bella qualunque cosa, anche quelle che a chi era immaturo parevano
ancora troppo...
Si sentì avvampare e tentò di accarezzargli il
petto per concentrarsi solo su di lui. Come prima, voleva ancora farlo
sentire bene. Se mai fosse stato possibile, anche più di lei
e anche molto più a lungo di lei.
Aveva sentito, o le era parso di capire, che c'erano persino donne che
ad un uomo potevano fare...
Si morse le labbra e si sentì percorrere da un brivido di
imbarazzo. Quella cosa era l'equivalente della proposta di Mamo-chan,
perciò c'era davvero gente che la faceva. E c'erano persone
a cui... piaceva? Poteva piacere?
Ricapitolò la sua limitata esperienza e pensò che
dovesse essere così, anche se l'imbarazzo e la vergogna...
Sollevò la testa, staccandosi. Lui non si vergognava?
Cercando di attirare la sua attenzione, Mamoru le carezzò la
schiena. «Cosa c'è?»
«Non... non ti vergognavi?»
Lui non capì.
«A... pensare di...» Provò ad andare
avanti, ma comprese di doversi dare il tempo per riuscire a farlo.
Infine, Mamoru comprese ugualmente. «No. Non se a te fosse
piaciuto molto.»
Lei scosse il capo. «Ma a me non...»
«Va bene.»
Il rapido assenso riuscì a strapparle un pizzico di
curiosità. «Di solito... piace?»
Guardandola negli occhi, persino lui arrossì
un poco. «Ho letto di sì. Parecchio.»
Vedere in lui il riflesso di una minima parte del suo imbarazzo le fece
pensare davvero a tutto come un gioco. Giocavano anche in quel momento,
a volersi bene un po' come capitava, guidati dall'istinto e da quelle
cose che Mamoru aveva imparato su chissà quali libri.
Usagi si sollevò, spostandosi di lato. Sdraiarsi non fu
facilissimo, ma possibile una volta che si convinse a farlo.
«Se vuoi possiamo fare una prova. Una, fino a che non ti dico
di fermarti.»
Lui si sdraiò su un fianco e non fu d'accordo.
«Ieri ti sei sforzata ed è andato tutto bene, ma
può non ripetersi tutte le volte.»
Sforzata?
Usagi sospirò. Lui aveva ancora quella convinzione.
«Non mi sono sforzata. Ho fatto quello che volevo e anche
adesso...» A dire la verità, voleva solo capire se
la sua era una paura esagerata o se era davvero tutto così
abominevole. Mamoru
si sarebbe fermato subito, anche prima di cominciare se lei lo avesse
voluto, perciò...
Già, non c'era pericolo. E anche se si fosse vergognata,
almeno avrebbe imparato, in qualunque caso. Voleva sapere se era
possibile immaginare di fare la stessa cosa al contrario,
perché se così non fosse stato avrebbe dovuto
immediatamente informarsi su come provare a far contento il suo
Mamo-chan, visto che in quel momento lui la batteva mille a zero in
fatto di conoscenze. O almeno così le pareva.
Provò ad allontanare le braccia dal corpo, abbandonandole ai
lati. Fece un grosso respiro. «Va bene. Sono... convinta.
Possiamo provare.»
A lui venne da ridere. «Così sembra un esperimento
clinico.»
Ridendo non la aiutava per niente. Usagi si tirò su e lo
afferrò per le spalle. «Allora prima ripassiamo
quello che sappiamo già, no?» Ci voleva atmosfera.
Negli occhi gli passò una luce.
Cercando di capire, lei inclinò la testa.
«Niente» spiegò lui. «Prima
anche io ho
pensato che mi piaceva... ripassare.»
Usagi sospirò. «Tu associ troppe cose allo studio,
Mamo-chan. Pensa solo a me.»
«È una buona idea.» Le diede un bel
bacio, che si
fece prima lungo e poi profondo.
Lentamente, ricaddero sul materasso. Usagi lo accolse su di
sé e per un momento pensò che era sciocco fare
esperimenti quando si sapeva già benissimo cosa funzionava
magnificamente. Sorrise e si abbandonò alla carezze che la
accesero. A sua volta, fece scorrere le mani su di lui, lasciando che
si muovassero da sole nell'amarlo.
Mamoru scese con la testa, a baciarle il petto. Insistette
lì e Usagi capì che era un ottimo momento per
levare le mutandine. Lei era una ragazza impulsiva e decisa nel fare
l'amore, ormai lo stava imparando: doveva solo cogliere al volo un
momento in cui i sensi vincevano sulla ragione e poteva diventare molto
coraggiosa.
Mamoru notò i suoi movimenti e le lanciò
un'occhiata.
Lei si morse la bocca. «Fossi in te non aspetterei
molto.» Deglutì. «O forse
aspetta.»
«O forse andiamo piano» sorrise lui, appoggiando la
bocca sul suo stomaco. A lungo non si mosse da lì e quando
lei si rese conto che la scia umida delle sue labbra aveva un
significato, cominciò a ridere. «Perché
non scrivi anche il mio cognome?»
«Perché no?»
L'aumentata pressione le provocò il solletico e una bella
scarica di risa.
In un colpo solo, Mamoru scese con la bocca di diversi centimetri.
Lei bloccò ogni movimento e il respiro.
Lui rimase a baciarla in quell'unico punto ancora innocente, come se
stesse cercando di sanare e consolare un piccolo dolore.
Non vista, Usagi annuì. «Prova.» Ormai
era preparata. Anche col no
sulla punta della lingua, appena fosse stato necessario.
Chiuse gli occhi e, involontariamente, cominciò a respirare
forte. Tentò di calmarsi.
Lui la aiutò, moltissimo, cominciando a toccarla solo con
una mano, come aveva già fatto con enorme successo poco
prima. Un paio di fitte squisite le annebbiarono la vista, facendo
perdere
forza a ogni suo muscolo. Il leggero sfregamento di un dito la
portò
quasi a farsi sfuggire un gemito. La sensazione proseguì e
per lei
fu impossibile non accoglierla. Rimase così, soddisfatta, a
sentire e sentire ancora.
D'improvviso percepì una
quantità anomala di... aria. E poi qualcosa di
totalmente diverso.
Si aggrappò alle lenzuola e, quando la sensazione la
raggiunse di
nuovo, buttò la testa all'indietro, il respiro tagliato in
due.
Alla terza volta, gemette senza contegno. «Ahh-!»
Si tappò la bocca e chiuse le gambe. O ci provò.
Alla quarta volta il piacere fu tanto intenso da fare davvero male, ma
lei non riuscì a impedirgli di continuare. Ancora una volta,
pensò. Lasciò uscire l'aria in un soffio a bocca
aperta nel sentirla, in tutta la sua fantastica lunghezza. E alla volta
dopo morì talmente tanto che dovette smettere.
Scattò all'indietro. «Oh,
basta!» Si sentì un forno.
«Bastabastabasta, vieni!»
Mamoru si era appoggiato sulle braccia. Nonostante l'assoluta mancanza
di senso nelle parole di lei, ci mise solo un istante a comprenderla
perfettamente. Usagi lo incontrò a metà strada e,
quasi seduta,
riuscì a mettergli le gambe attorno alla vita.
«Funziona» ansimò. «Non mi
vergogno, ma-»
Lui non sembrò interessato. «Okay.»
Come una sedia a dondolo, scivolarono all'indietro, fermandosi in aria
e incastrandosi.
Usagi volle gridare al cielo la sua gioia e il suo sollievo. Si
limitò a sussurrarli a lui con quanta più
dignità possibile - poca - e a spingersi all'indietro,
così da sdraiarsi di nuovo. Con la schiena sul materasso,
impresse tutta la forza che aveva sui movimenti del proprio bacino,
rendendoli
circolari, erratici, estatici. Continuò a incontrare quelli
di lui che la guardava fisso in viso e perse di nuovo la testa.
Pensò di non averla mai avuta, di essere solo corpo e
completamente amore.
Mamoru le strinse i fianchi e, muovendosi più velocemente,
serrò gli occhi con più forza di lei.
Ad Usagi piacque moltissimo, per ogni singolo e delizioso istante.
Quando si staccò da lei, Mamoru si tirò indietro
invece di finirle sopra. Si lasciò cadere al suo fianco.
Questo le piacque un po' meno, ma rimediò con un abbraccio
quasi immediato. Insieme, calmarono il respiro. Lentamente, senza
fretta.
Poi, dal nulla, lui cominciò a ridere.
Usagi lo imitò per istinto. «Cosa
c'è?»
Mamoru deglutì una risata. «Pensavo che sei una
vera Usagi.»
Lei sollevò entrambe le sopracciglia.
Il sorriso di lui si fece furbo e venne rivolto al muro. La divertita
ritrosia le fece comprendere il vero significato delle sue parole.
«OH!» Picchiò un pugno sul suo stomaco,
provocandogli una smorfia. «Io sono Usagi ma non una usagi!»
Tra risate silenziose, lui annuì ripetutamente,
condiscendente.
Usagi si sentì avvampare per
l'indignazione. «Tu sei più usagi di
me!»
«Può essere vero.» Mamoru si
voltò
di lato e l'acchiappò prima che lei spiccasse un saltello
oltre il letto. «Mi piace essere usagi insieme. Ma
se ti offende, diciamo pure hentai.»
Lei mise il broncio. «E se non usiamo nessuna di queste
parole?»
«A me va bene lo stesso.» La portò
contro di sé. «E se non ci agitiamo tanto, mi va
ancora meglio.»
Usagi riconobbe cosa stava succedendo e sorrise. «Sei un
coniglietto che si stanca facilmente.»
Con gli occhi chiusi, lui sollevò un sopracciglio.
Infilando un braccio sotto uno dei suoi, lei appoggiò la
testa contro l'incavo del suo collo. «Usagi è
brutta e
cattiva a essere così bugiarda. Quando ti svegli, per farsi
perdonare avrà preparato il pranzo.»
Il silenzio di lui fu eloquente.
«Sarà andata a comprare il pranzo?»
suggerì lei.
Lo fece sorridere stancamente. «Non uscire.»
Appoggiò il mento contro i suoi capelli. «Se
avremo troppa fame, ci inventeremo qualcosa.»
Sbadigliò.
Usagi concordò. Le invenzioni le piacevano molto,
così come gli esperimenti.
Ma più di ogni altra cosa, si intendeva, le piaceva il suo
Mamo-chan. Lo strinse.
Mamoru, il suo amorevole usagi
personale.
FINE
NdA -
È
meglio che mi risparmi i 'cough cough' o vari imbarazzi di rito, sono
più credibile. :D
Il quarto capitolo di 'Oltre le stelle' è proprio da
rivedere, così come il resto dello stile di quella storia,
con l'eccezione del capitolo tre. Eppure quando l'ho riletta, qualche
giorno fa, mi è piaciuta lo stesso e ho sentito di dover
scrivere le scene a cui avevo solo accennato nel quarto capitolo.
Ho cercato di mantenermi coerente con tutto quello che ho detto poi
lì e spero di non aver sbagliato qualcosa in questo senso.
Nel caso, può essere che in futuro vada a correggere 'Oltre
le stelle' (o riveda questa storia) per adeguare eventuali piccole
incongruenze.
Spero che questa one-shot vi abbia fatto divertire come ha divertito
me. Qualunque vostro pensiero in merito è graditissimo,
perché o mi premierà con un complimento o mi
farà imparare con una bella riflessione e per me
sarà comunque un'ottima cosa.
Grazie mille di aver letto ;)
ellephedre
|
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Capitolo 6 *** Rei/Yuichiro III ***
redlemon6
Red
Lemon
Autore:
ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
6
- Rei/Yuichiro III
Ambientato
tra la parte 13 e 14 di 'Verso l'alba', è la seconda notte
tra i due. Come episodio, è usufruibile da solo, ma si
collega a Rei/Yuichiro I e fa riferimento anche a Rei/Yuichiro II,
ambientato un anno e mezzo prima.
Quella
sera Rei aveva deciso che nessuno dei due avrebbe preparato la
cena: Yuichiro non aveva tempo e lei non ne aveva voglia.
Ordinò
da mangiare nel ristorante più vicino,
la soluzione ideale. Suo nonno
riservava alle giornate di festa quel piccolo lusso ma, se
fosse dipeso solo da
lei, se lo sarebbero concesso tutti più spesso. Siccome suo
nonno non c'era, quella domenica di dicembre Rei aveva avuto
un
pensiero semplice: se sia lei che Yuichiro erano stanchi,
perché
mai uno dei
due doveva disturbarsi a cucinare?
Con una telefonata si era fatta portare a casa
due scodelle di ramen fumanti.
Il
cibo era arrivato quasi subito, il
fattorino talmente provato dalla salita lungo la scalinata
del tempio che lei gli aveva dato una mancia extra. Aveva donato un
sorriso a lui e a se stessa.
Era
stato un piacere accogliere Yu in casa con due piatti di cibo
già pronti.
Sentendo il profumo dei ramen appena serviti, lui si era rilassato. Si
era seduto a tavola e il peso della giornata di
lavoro era letteralmente scivolato via dalle sue spalle.
Rei
aveva avuto un pensiero nuovo: forse avrebbe dovuto pensare
più spesso a preparare da mangiare?
Cucinare
faceva parte della gestione della casa
e, per una regola non scritta, Yuichiro lo aveva sempre
considerato parte
del proprio lavoro. Naturalmente cucinava anche lei, ma meno spesso
rispetto a lui. Non aveva mai pensato che al suo Yu quel compito
risultasse pesante perché... beh, non era così: a
lui
piaceva
cucinare, mettersi con calma davanti ai fornelli, chiedendosi che cosa
preparare di buono per riempire le pance di tutti. Non era
un grande chef, ma non gli mancava l'inventiva.
Aveva perfezionato delle specialità, piatti a cui
aveva imparato a
dare un sapore personale.
Rei
aveva già notato che anche a lui piaceva trovare il cibo
pronto in tavola - ovviamente, sarebbe stato strano il contrario. Ma
quella sera, per la prima volta, le
venne in mente che valeva la pena renderlo felice
più
spesso in quel modo. Era piacevole stampargli in faccia un sorriso
grato per una cortesia tanto basilare quanto normale.
Yuichiro
meritava di farsi servire un po' da lei, di tanto in tanto.
... Il
sesso le aveva fatto male?
Afferrò
con le bacchette l'ultimo pezzo di carne e se lo
portò alla bocca.
Il
sesso le aveva fatto qualcosa, decise. Non solo a lei, a tutti e due.
Per
cominciare, ora lei era dotata di una mente dieci volte più
perversa. Al pari suo, Yuichiro stava impugnando una
coppia di
bacchette da cibo - un gesto abitudinario, completamente innocente.
Le dita di lui stringevano decise i due bastoncini, piegandosi
lievemente, abbassandosi e rialzandosi sul piatto.
Il
movimento lento e calcolato le faceva venire in mente una carezza, un
massaggio deliberato che scorreva lungo tutto il suo corpo,
fino ad arrivare in punti in cui bramava di essere stimolata
ancora più a lungo
della sera prima, con infinita attenzione.
Saziò
l'acquolina alla gola con altro cibo.
Se
Yuichiro aveva i suoi stessi pensieri, in quel momento non lo
dimostrava.
Dopo che avevano passato due ore assieme agli altri,
durante la riunione di quel giorno, lui era corso a recuperare il
tempo perso. Si sentiva ancora più responsabile in
assenza di suo nonno: aveva assistito i numerosi visitatori del fine
settimana e aveva fatto risplendere il legno usurato dei
pavimenti del
tempio. Anche per via della nottata precedente, sembrava stanco.
Appena
si fosse ripreso, lei voleva verificare quello
che credeva di aver capito di lui: nel sesso Yuichiro si... liberava,
diventava quello che gli andava di essere. Dimenticava più
spesso
di fare quello che voleva lei e pensava maggiormente ad
accontentare se stesso. Non era una cosa che avrebbe mai potuto crearle
problemi: il massimo desiderio di Yuichiro sembrava essere proprio lei,
tutto
quello che poteva fare a lei, di lei, con lei.
Rei
lo aveva intuito da mesi, ma per tutto quel tempo, molto spesso, lui le
era sembrato felice solo nello sperimentare tutte le
maniere in
cui poteva baciarla, prendendosi un abbraccio e standole vicino.
Forse i quattro anni di attesa lo avevano segnato, si era detta, o
forse lui era semplicemente paziente. Poteva essere tutte e due
le
cose, aveva concluso. Non ne aveva fatto un problema capitale.
Per
i primi mesi, ignara com'era
stata, si era goduta l'attesa quasi quanto lui. Le era piaciuto tenerlo
sulle spine a piacimento, di tanto in tanto, e anche giocare. Quanto mi ami? Si
era sentita soddisfatta
così. Fare
l'amore con lui era stato un bisogno che era cresciuto lentamente in
lei,
facendosi vivo a volte in picchi più intensi, ma mai
eccessivamente travolgenti. Almeno fino a che non erano andati in
vacanza insieme. A Izu si erano
ritrovati a stare quasi da soli, lontani dal tetto di suo nonno. Tra
loro, una sera sulla spiaggia, si era sciolta qualche... briglia.
Da
allora lei era entrata in lotta con se stessa.
Da Yuichiro aveva
iniziato a desiderare di più, ma lui - tranquillo - l'aveva
sempre frenata. Con un gesto, con una mano, senza rifiutarla
apertamente.
Perché lui non la desiderava tanto da non poter aspettare?
Ogni volta che si era posta quella domanda, era cresciuta la sua
determinazione
a farlo cedere per episodi. Lo aveva portato nella propria camera -
quando le
capitava - oppure si era fatta audace nei loro
abbracci - quando era sicura che fossero soli in casa.
Lui
non era impazzito per il bisogno di averla, ma lei non se l'era presa
davvero. Di quei mesi ricordava ancora gli
interminabili
baci, a volte rubati in qualche angolo della casa, a volte assaporati
tanto a lungo che le era parso un peccato interromperli per andare
oltre. Non avrebbe neppure mai scordato gli sguardi che
Yuichiro aveva fatto scorrere su di lei da lontano - o da
vicino, quando pensava di non essere visto.
Erano
stati mesi di preliminari, lo capiva solo ora.
Nell'impazienza non ne era stata sempre
felice, e aveva trovato il modo di vendicarsi per la troppa attesa. Non
le
bastava forse negare a Yuichiro una carezza per renderlo infelice?
Certo, e se
decideva di non parlare con lui, gli rovinava la giornata. Aveva fatto
uso
di entrambe le armi quando si era sentita frustrata o di cattivo umore.
Hm. Se avessero tergiversato di meno sui loro istinti,
avrebbero anche litigato di meno.
La
conclusione non le piacque. No, il suo umore non poteva essere
influenzato talmente tanto da...
Bah.
In
fondo, le cose si erano risolte proprio come si era
immaginata. La loro relazione era diventata più intima in
maniera naturale: loro due si amavano, necessitavano l'uno dell'altra.
Si era immaginata che i loro
baci
sarebbero diventati più profondi, che i vestiti non
avrebbero
più ostacolato le loro carezze. Si sarebbero amati in modo
intenso, come già facevano ogni giorno.
Sull'ultimo
punto la sua convinzione non si era rivelata del tutto esatta.
Mentre
facevano l'amore, tra loro l'equilibrio era... diverso.
Lei, che tendeva a prendere il controllo su tutto, a volte se lo
lasciava
sfuggire di mano. Aveva scoperto un piacere quasi
inaspettato nel concedersi quell'abbandono, mentre
Yuichiro, a cui del controllo non era mai importato nulla, era pronto a
prenderlo da lei in qualunque momento. Persino quando lei avrebbe
preferito mantenerlo. E quella era una cosa... eccitante. La
imbarazzava, la inquietava pensarla a quel modo.
«Domani passiamo la pittura sulle pareti della tua
stanza?»
Lei
tornò a focalizzare la vista annebbiata.
«Hm?»
«Le
pareti della tua stanza. Se vogliamo dipingerle domani,
dobbiamo mettere via le tue cose stasera.»
Sotto
gli occhi Yuichiro aveva due ombre sbiadite, frutto delle poche
ore di sonno.
L'espressione quieta di lui le faceva venire in mente
quella
mattina, quando si era svegliati entrambi di buon'ora, mezzi morti
dalla
stanchezza e nudi sotto le coperte del letto. Infreddolita, lei
aveva strofinato la schiena contro il petto di lui; lo aveva sentito
chiaramente
contro il fondoschiena, già pronto. Si era girata per
svegliarlo, con
l'intenzione di invitarlo a farla riaddormentare con un sorriso sulle
labbra. La sveglia aveva scelto quel momento per perforare le orecchie
di entrambi.
...
'Mettere
via le tue cose stasera'.
Oh.
Giusto.
Mettere
via? «Non sei stanco?»
Yuichiro
posò sul tavolo le bacchette e stiracchiò le
braccia verso l'alto. Rei si stupì nel trovare vuota la sua
ciotola
di ramen: quando aveva finito di mangiare?
«Un
po'» le disse lui.
«Ma il grosso della stanchezza mi è passato.
Tornerò ad avere sonno più tardi.»
Già.
Lei funzionava allo stesso modo: non riusciva a riposarsi
quando la giornata non era ancora finita. Il suo corpo si ricaricava da
solo, come a dichiarare che era inaccettabile dormire prima
che facesse notte.
Rei
pensò alla propria stanza.
«Ci sarebbero da mettere via i miei libri. I
mobili
possiamo spostarli verso il centro, no?»
Lui
scrollò le spalle. «Sì. Ma
dovremo portar
via il materasso, altrimenti si impregna dell'odore di
pittura.»
Un'eventualità
da evitare. «Va bene. Vado a vedere come organizzare lo
spostamento.»
Lui
si alzò. «Io penso a lavare queste
ciotole.»
Rei
ebbe un istinto immediato; senza pensarci, gli diede ascolto.
«No, ci penso io. Tu va' a cercare gli scatoloni per
i
libri.»
Yuichiro
rimase interdetto. «... Okay.» Uscì
dalla
stanza.
In
piedi, lei abbassò lo sguardo sulle ciotole sporche, da
riportare al ristorante nel giro di una settimana.
Gradiva
lavare i piatti tanto quanto imparare a memoria un dizionario. Era una
cosa fastidiosa, snervante. Eppure,
in
due soli giorni, era la seconda volta che si offriva spontaneamente di
farlo.
Sì,
il sesso per certi versi le faceva male.
«Bah,
Usagi ha messo tutto in disordine. Qui non si riconoscono né
numeri né serie.»
Rei
fece piazza pulita dello scaffale più alto della sua
libreria.
Yuichiro
si concesse un sorriso: quel gesto era tipico di lei. Rei amava
sistemare le cose, ma quando poteva disfaceva tutto per rifarlo
daccapo,
meglio di prima.
Per
terra si era formato un mucchio
disordinato di manga di vario genere.
Lui
riconobbe un titolo fantasy e persino alcuni shounen sportivi
-
di Adachi. La maggior
parte dei volumi però erano semplici shoujo. Non ne
fu sorpreso: in passato aveva notato i titoli nei dorsi dei
volumi,
scritti con caratteri delicati e pieni di parole romantiche.
Piegandosi
sulle ginocchia ne prese uno a
caso. «Sai che non ho mai letto uno di questi?»
Continuando
a svuotare la libreria, Rei gli lanciò un'occhiata.
«Shoujo? Beh, non ti piacerebbero.»
Sì,
ma lui non aveva pensato agli shoujo
in generale, solo a quelli presenti nella libreria di lei.
Non
ne aveva
mai aperto uno, di proposito. Per tanti anni si era divertito a
chiedersi che tipo di shoujo potesse piacerle, che genere di
ragazzo o di amore lei cercasse. Quando si erano messi insieme, aveva
deciso che aveva già soddisfatto quelle
curiosità: Rei
aveva scelto lui e nessun manga avrebbe mai potuto spiegargli che cosa
le era passato per la testa. Si era fidato dell'istinto e di lei: aveva
preso a scoprirla giorno per giorno, lentamente, mentre Rei scopriva se
stessa stando insieme a lui. Si era trattato di questo: tutti e due
erano cambiati un poco quando avevano iniziato a stare insieme.
Col
tempo lui aveva lanciato più occhiate a quei manga, ma lo
aveva
divertito immaginare le trame solo leggendo il titolo.
Gli piaceva l'idea di fantasticare su Rei e sui suoi gusti, sui suoi
sogni. Era un modo per sentirla ancora misteriosa come in passato e, al
contempo, studiarla con un intuito che apparteneva solo a lui.
La
conosco meglio di chiunque altro.
A
volte Rei gli raccontava spontaneamente di se stessa, confermandogli
aspetti di lei che lui aveva già compreso dopo lunghe
osservazioni e riflessioni. Quando accadeva, Yuichiro sentiva
di poter capire e
rispondere a ogni bisogno di lei. Nel suo piccolo si sentiva potente
nell'unico modo che gli interessava: forte per Rei, in grado di crearle
attorno un mondo che le potesse dare tutto quello che desiderava.
Nonostante
tutto quello che capiva di lei, non mancavano mai i momenti in
cui Rei lo sorprendeva.
Sono
una guerriera Sailor.
Non
era stata una bella scoperta. Come
ho fatto a non capire? Davvero non aveva mai
pensato che ci fosse qualcosa di
strano in lei. Nulla, proprio niente?
Aveva
dato per scontate per anni le capacità sovrannaturali di
Rei, quel suo leggere nel fuoco del tempio, ma... sì, non
aveva
mai voluto leggervi alcun significato particolare. Quella stranezza per
lui era stata solo un altro aspetto della
magnificenza di lei, di quell'aura di mistero e forza che aveva tanto
ammirato. Forse non
aveva voluto intuire la verità; aveva negato per principio
che
in Rei ci fosse qualcosa di... anormale.
Perché
non c'è.
Prese
a sfogliare le pagine del volume.
Avevano
superato quel momento. Ora lui era in grado di ricordare anche
le sorprese più miti e piacevoli: Rei che diventava gelosa
per
sciocchezze, che aveva nostalgia di
lui già dopo pochi giorni di separazione, che era in grado
di arrabbiarsi seriamente per cose incredibili,
che-
Lo
sguardo gli cadde su una vignetta che occupava tutta una pagina del
manga.
Sollevò in coppia le sopracciglia.
Rei
che leggeva shoujo... spinti.
Lei
si girò proprio in quel momento. «Trovato qualcosa
di
interessante?» Adocchiò la sua lettura; la
riconobbe e
spalancò lentamente la bocca.
Sul
viso di lei l'imbarazzo era un sentimento talmente raro che per lui
rimanere ad osservarlo fu inevitabile.
Rei
ebbe il tempo di cambiare espressione; tentò una scrollata
di spalle. «Ho... un paio di serie come quella. Le tenevo
nascoste dietro le altre.»
Nascoste?
Per poterle avere in casa, si rispose da solo. Per usufruirne in
privato.
Sentì
che in gola cominciava a mancargli la saliva. «Da... quanto
le
hai?»
Lei
si era accucciata sui manga. «Mah... Due anni?»
Prese
un paio di volumi e li appoggiò nell'angolo dello scatolone
che
avevano
aperto. Con un braccio gli sfiorò il ginocchio. Per
mantenere
l'equilibrio, lui dovette spostare il peso sull'altra gamba.
«Sai
una cosa?» Il sorriso di lei si fece sottile. Gli
sfilò il volume dalle mani, lasciando che la ruvidezza delle
pagine scivolasse piano sulle sue dita. «Era stata proprio
colpa
di questo manga.» Lo mantenne aperto sulla scena
dell'amplesso e,
con un polpastrello, prese a tracciare le linee di uno dei due corpi.
Nemmeno
se lo avesse toccato direttamente avrebbe ottenuto una reazione
più intensa.
Fu difficile persino deglutire. «...
cosa?»
«Il
sogno di cui ti avevo parlato. Quello che avevo avuto
l'estate scorsa su... di noi.» Rei girò il manga
verso di
lui e picchiettò con delicatezza la pagina. «Mi ha
influenzata questo.»
Quel
disegno?
Mordendosi
la bocca sollevata sugli angoli, lei scosse piano la testa.
«No, il mio sogno era più... classico.»
Riportò il volume sotto gli occhi e lo contemplò.
«Ma questo... un giorno potremmo provare.»
Mille
volte
sì. Sarebbe
morto col sorriso sulle labbra.
Rei
non disse altro. Rimase ferma, seduta sui talloni, la mano che teneva
aperto il manga.
«Ti va di fare un gioco?»
Lui
annuì in automatico.
«Te
ne parlo se vieni più vicino.»
Ma
appena provò a farlo, lei si tirò indietro con un
sorriso, finendo con la schiena contro la libreria.
«Non
ho detto che sarei rimasta ferma.»
Yuichiro
allungò un braccio in avanti e ancora non riuscì
a toccarla: Rei si era dileguata di lato, salendo oltre lo
schienale del letto, sopra il materasso. Lui finse di alzarsi con
calma, ma lei si preparò a saltare via dal letto, un felino
pronto a
scattare. Spalancò la bocca quando si trovò la
via di
fuga bloccata.
Lui
si lanciò ad afferrarla per la vita e, non seppe come,
sbatté la testa contro il muro opposto.
«Ahiaa.»
Rei
imitò il suo lamento divertito. «Ti
sei fatto male?»
«Prenderti non
è mai stato facile.»
Il
sospiro di lei contenne altre risate. «Quante lamentele.
Guarda com'è semplice ora.» Si sdraiò
su di lui,
schiacciandolo contro la parete. Si stiracchiò sopra tutto
il
suo corpo, un gatto in pantaloni neri e maglioncino rosso pronto a
gustarsi la cena.
Sollevando
la testa, lui anticipò il bacio. L'assaporò
come un bicchiere di vino pregiato, goccia per
goccia. Ne aveva assaggiato uno una volta, offerto da suo padre per
festeggiare in famiglia la conclusione di un affare. Non
dimenticava la raccomandazione. Non
in fretta, Yuichiro. Piano, questo va gustato. È il
risultato di anni
di pazienza e cura.
Rei
era meglio. Dal sapore più dolce e intenso, lei era ancora
più inebriante e, soprattutto, inesauribile. Non vi era
limite
alla sua riserva, ma ognuna delle sue
sfaccettature era di valore, frutto di anni di esperienze e
di forza di
volontà. Non ricordarlo equivaleva a gustarsi solo
metà del
sapore di lei.
Scostò
la cortina di capelli neri che erano caduti su di loro e li
riportò sulla schiena di lei, soffici e leggeri. Ebbe
campo
libero e si dedicò al collo che aveva sulla bocca, sofficee
tremante: quello era un
campo minato di sensazioni. A trovare il punto giusto da baciare, si
sentiva il sangue che pulsava insistente sottopelle.
Rei
cercò di sollevarsi sulle braccia, ma non
completò il movimento. «Non vuoi... conoscere il
gioco?»
«Hm-mh.» Vibra
un po' di più.
La
voce di lei si perse in un respiro più forte.
«È... su questo manga.»
Quello
lo
distrasse. «Cosa?» Si guardò attorno e
notò che Rei aveva il volume sul
materasso. In un qualche modo, era riuscita a portarlo lì
con
sé.
«Il
gioco è...» Prima di continuare lei si
allontanò a gattoni, indietreggiando.
Lui
si mise seduto e ricevette il manga in mano.
«Apri
una pagina a caso. La prima scena interessante che trovi, noi... la
copiamo.»
Lui non era che un comune mortale: avrebbe dovuto ricevere notizie come
quella con mesi di preavviso. Come poteva resistere altrimenti a lei
che gli diceva una cosa come 'mi metto in tutte le
posizioni che
vuoi'? Non che gli avesse
detto proprio quello, ma... Ritrovò la parola.
«Sì.»
Certo
che sì.
Diavolo,
avrebbe resistito. Dopo quattro volte con lei - benché
concentrate in sole ventiquattro ore - sentiva di essere diventato
quasi bravo.
Il
sorriso di Rei si mostrò vincitore. «Sei
nervoso?»
«No.»
Solo che stava già sopra qualche nuvola
d'estasi. E ci avrebbe fatto arrivare anche lei, perché se
c'era
una cosa nella sua vita che si era rivelata soddisfacente, estremamente
appagante, gratificante oltre ogni limite-
«Non
sfogli le pagine?»
Già.
Lo fece e si fermò su un punto qualunque. Ebbe un sussulto.
Destino?
Le
mostrò la sequenza di vignette esplicite.
Come
prima cosa, Rei sfilò il maglioncino da
sopra la
testa, un unico movimento fluido.
«Bene, allora tocca a me.» Mangiò il suo
stesso sorriso.
A
coprirle il petto aveva un reggiseno rosso, trasparente nei pochi punti
in cui non c'erano decorazioni.
Lui iniziò a chiedersi se lo voleva indosso a lei o sul
pavimento.
Sporgendosi
in avanti, Rei lo invitò a sdraiarsi sulla schiena,
premendogli entrambe le mani sul torso. «Farò un
bel lavoro. Quello che tu mi hai impedito di completare ieri.»
Impedito?
Non l'aveva fatto apposta, ma quando se l'era ritrovata
seduta sul bacino, ad offrirgli di nuovo di un'esperienza
indimenticabile, non era riuscito a restare fermo.
Troppa impazienza,
aveva ancora quel problema.
Gustarsi Rei senza perdere la testa era
semplice solo finché non si trovava dentro di lei: non aveva
mai
sentito tanto piacere in vita sua. E si trattava di un
doppio bombardamento, le sensazioni che provava lui stesso e quelle che
sentiva arrivare da lei. Rei faceva un suo suono, un piccolo respiro
mozzato, quando iniziava a sollevare i fianchi senza più
controllo.
Per lui era un circolo vizioso. Più udiva quel
suono
e meno voleva trattenersi, ma faceva ugualmente
tutto
ciò
che poteva per sentirlo ancora, più forte e più
spesso,
dentro la testa e nelle orecchie,
intorno a lui, fino a...
Rei si era messa in piedi sul materasso. Stava tirando
via i pantaloni; la stoffa nera scivolò via da lei
come se
non vedesse l'ora di liberarla.
Rei
saltò giù. Atterrò sul pavimento a
gambe
unite, senza quasi piegarle, senza fare rumore. La grazia
lasciò
spazio al gioco. A passettini rapidi, quasi una corsa furtiva, Rei
indietreggiò verso la scrivania. «Fortuna che ieri
ne
abbiamo lasciato un paio qui. Li prendo prima di
dimenticarcene.»
Si voltò con un sorriso largo.
Da
dietro sembravano coprirla solo i capelli, così lunghi da
lasciar visibili solo le gambe.
Una
ciocca. Solo quella lui aveva sperato di poter sfiorare per anni,
con Rei che lo guardava. Il gesto gli
era parso di un'intimità estrema, un dono impossibile da
agguantare.
...
ecco.
Avrebbe
pensato alla ciocca. Aveva già toccato i capelli di lei
un numero infinito di volte, ma era ingiusto smettere di considerarlo
speciale.
Tornando
indietro, Rei notò la sua espressione. Divertita, non
capì. «A che stai pensando?»
«A
una cosa.»
Lei
salì sul letto e vi gattonò sopra.
«Sembra molto romantica. Hai la faccia di quei
momenti.» Lo accarezzò su una guancia.
«Finisci col farmi cambiare umore.»
Sarebbe
stato un peccato. «Facciamo un mix.» Si
sporse in avanti e si trovarono insieme.
Baciare. Abbracciandosi,
stretti l'uno all'altra da capo a piedi, incastrati.
Non
ci credo. A volte
era
bello non crederci e fingere di svegliarsi nella realtà,
scoprendosi con la bocca su di lei, a provarne per la
prima volta il sapore.
A Rei passò un brivido lungo il corpo e il tremito contro
le sue mani fu così... morbido. Rei era
impossibilmente
soffice e lui l'aveva percorsa con le mani dappertutto per cercare un
punto che fosse almeno un poco ruvido, umano. Quando l'aveva trovato
sulla pianta dei piedi, Rei aveva sottratto le
gambe
alla sua presa, come se fosse un difetto imperdonabile. La rendeva
meravigliosamente imperfetta invece, accessibile anche a lui.
Rei
infilò le mani tra loro e iniziò a slacciare
freneticamente il nodo della tunica pulita che lui aveva indossato
quella
sera, dopo il lavoro.
Non
l'aveva tolta. Era ancora completamente vestito, che stupido.
Il
sorriso di lei parve concordare col suo giudizio. Afferrò un
capo del nastro
azzurro, allentato, e glielò sfilò dalla vita con
un tiro
secco. Il nastro volò in aria.
Rei
continuò ad aprirgli la tunica e salì con le mani
fino a farla
scivolare giù dalle sue spalle. «Cos'hai da
ridere?»
«Niente.» Lui chiuse le labbra sul mento di lei e
portò
le mani sulla sua schiena.
«Devo essere all'altezza.» Trovò il
gancio del
reggiseno e cercò di ricordarsi come si slacciava da dietro:
con
Rei non aveva ancora avuto l'occasione di sperimentarlo. Forse era
passato troppo tempo perché fosse ancora in grado
di- La
chiusura saltò.
Come
andare in bicicletta.
«Bravo»
sorrise lei.
Oh, voleva sentirle fare tanti complimenti come quello.
Rei
gli stava seduta sulle ginocchia e fu davvero semplice per lui
abbassare la testa e leccare via il tessuto rosso fuoco, trasparente,
scostandolo lontano, dove non poteva dare più fastidio. Con
le
dita, abbassò le spalline del reggiseno.
Ansimando, Rei
cercò col petto la sua bocca prima di tirarsi indietro.
«No. Sdraiati, ora... faccio io.»
«Per arrivare alla
posizione del disegno c'è tutta...
l'introduzione.»
Lui
si adagiò sulla schiena, ma non
smise di toccarla, lasciando che le mani le incorniciassero la vita, la
tenessero. Amava toccarla e vedersi mentre lo faceva era...
«Tu non ne hai bisogno.» Negli
occhi le passò un lampo che la trasformò in una
creatura
di sensazioni. «Nemmeno io.» Si
accarezzò un fianco
e incontrò le dita di lui; le portò
giù.
«Se mi
tolgo queste, sono già pronta.»
Col respiro mozzato, lui
provò a toglierle le mutandine rosse ma Rei
indietreggiò di nuovo, passando a svestire lui dell'hakama
azzurro. L'immagine della striscia di tessuto color fuoco attorno alle
gambe di lei, abbassata per il minimo indispensabile, gli fece sentire
una stretta dura di piacere in tutto il bassoventre. Proprio
perciò per Rei non fu semplice sfilargli l'hakama, ma la
difficoltà la
lasciò soddisfatta. Passò a togliere i
propri slip; lui
non resistette e l'aiutò con una mano. Con le gambe libere,
Rei tornò sopra di lui e scosse la
testa. «Fermo. Sdraiato.»
Non era convinta di quegli ordini, ma poiché li stava
dicendo ugualmente, lui scelse di
ascoltarli.
Rei recuperò il
preservativo, aprendolo. Lui strinse i denti, preparandosi, ma non
bastò: sentì scendere su di
sé la plastica, le mani
di lei, e non
gettò la testa all'indietro per miracolo, solo per vedere.
La
carezza di Rei indugiò senza fretta, continuò a
scendere. Lo tormentò fino all'ultimo, regalandogli una
stretta finale. «Mi chiedo... come sarebbe
senza.»
Lui sussultò.
Ciocca.
Ciocca di
capelli, ciocca.
Rei
si sollevò, allineando i loro bacini. I
suoi capelli neri caddero attorno a loro. Lei non li aveva legati.
Yuichiro
li lasciò scorrere tra le dita, setosi, meravigliosi per
come le scivolavano addosso, e udì
il suono di un breve sorriso.
«Sai
cosa non riesco a capire di noi? Questo mix, come lo hai
chiamato tu.» Rei strinse piano il suo polso, impedendogli di
continuare.
«Questa
voglia di sedermi su di te e muovermi fino a non avere più
fiato
e... questo.» Intrecciò le dita con le sue.
«Questo
toccarci così piano che non vorrei fare altro. Non vorrei
contemplare nient'altro che...»
Oh sì,
sapeva di cosa stava parlando.
Lei
lasciò andare un sorriso infelice. «È
crudele
dover decidere.»
Lui
non riuscì fisicamente a rimanere fermo. Si tirò
su, seduto, e la strinse. «Mix. Fammi restare
così. Tu pensi alla prima cosa e io
alla seconda.»
«Tu
alla seconda?» Lei si riprese la propria
gioia. «Partecipo un
pochino, hm?» Lo abbracciò, e posò un
bacio leggero tra la sua guancia
e il suo orecchio. «Ti amo, Yu.»
Quel sussurro prese a battergli nel petto. Si
fuse in lui, in ogni angolo del suo petto.
La tenne forte, sentendo che smetteva di essere una cosa separata da
lei.
Bastavano due parole per dare un significato a tutto ciò che
era. Ogni volta che le sentiva, ogni volta-
Rei
si aggrappò a lui e scese piano coi fianchi.
Ogni
volta.
La
sentì unirsi a lui, lentamente, e ogni
volta anche
lì, anche così. La sensazione migliore,
più unica-
Il
suo corpo acquisiva un nuovo significato quando lo
sentiva incastrarsi dentro quello di lei. Era semplice, ovvio: aveva
occhi per guardarla in quel momento, per vedere l'espressione resa
quasi
sofferente dalle troppe
sensazioni. Aveva una pelle ricettiva per sentire quanto era calda
quella di lei, pronta quanto la sua a ricevere continui stimoli.
Aveva un senso del tatto che palpitava con un coro di
sì ad ogni
suo movimento. Udiva, toccava e parlava solo per arrivare a
trasmetterle una minuscola parte di quello che- che...
Non
so dirlo, Rei. O non
c'erano parole adatte, e per questo esistevano i sensi.
Continuò
a far scorrere le mani su di lei, a trovarla con le labbra, ad
accarezzarla. Le dita sui suoi seni, a farla tremare, gridare senza
voce.
Che
fortuna, che dono divino.
Si
perse nell'abbracciarla. La
sentì scoprire l'angolo d'incastro migliore e insistette con
lei su
quello decine di volte, senza mai provare meno piacere. Per torturarla
le catturò la bocca, le rese difficile respirare. La
lasciò andare e le strinse in una morsa i fianchi,
premendola
contro di sé, tenendola ferma, imponendole di-
Le
anche di Rei si mossero con scatti minuscoli, velocemente, senza sosta,
di corsa.
All'orecchio lui
udì un soffio di estasi, le tre parole che lo
avevano acceso. Anche io
e voleva sentirla contro di sé per sempre, mentre ogni parte
di lei -
fisica
e astratta - andava in frantumi per la troppa stimolazione.
Accadde a metà pensiero e si
gustò tutto. La schiena rigida di lei, arcuata, il
petto morbido aderente al suo e il quasi
graffio delle unghie sulle spalle; le esclamazioni senza senso
- solo sospiri, l'inizio di parole brevissime, deliziose. Lo
scatto regolare
dei fianchi contro i suoi e il ventre bollente, stretto oltre ogni
limite, che cercava di
assorbirlo. Godette di quello sopra ogni cosa, lo percepì
meglio di qualunque altra volta.
Rei
si accasciò in avanti. «Aah...» Riprese
fiato, più volte. «Oh, oh... che
idea.» Vorace,
cercò un bacio aperto.
Lui
lo ricambiò senza freni. Non sapeva
cosa mettersi a fare: aveva troppe idee, tutte in una volta, troppi
bisogni.
«Ma...»
Rei
tirò indietro la testa, e lo
osservò con una sequenza di espressioni incerte.
«Yu, tu...» Si decise per una risata priva di
fiato.
«E
io che mi sono impegnata tanto.»
«No, sei stata di più, tu....» Indescrivile.
Quello era stato l'orgasmo
più bello che le avesse mai visto avere, che avesse mai
sentito. Forse solo perché gli altri non li aveva vissuti
con la stessa
chiarezza; questa volta lui...
Il
sorriso di Rei fu più convinto. «Non
dirmelo...»
Lasciò scendere le labbra lungo il suo naso.
«Riesci solo
se stai sopra?»
«No.»
E glielo aveva già dimostrato, dentro la vasca da bagno.
Lo
ricordò anche lei. «Allora solo se ti
muovi?»
Doveva esserci del movimento, ma- Gli venne da ridere. «No,
non
hai sbagliato
niente.» Era solo lui che era riuscito a
controllarsi meglio, senza per questo perdersi nulla. Era un successo,
non un fallimento.
Rei
non fu d'accordo; tremava ancora, ma sorrise. «Ti sfido a
essere originale.»
Si
allungò all'indietro e ritrovò il manga.
Chissà
come, erano riusciti a non buttarlo giù dal letto.
«Scegli
un'altra prova.»
Cominciò
a preoccuparsi lui. «Non... ti è piaciuto
come le altre volte?» Perché a lui, in quel
momento,
sarebbe andata benissimo finire in quel modo. Dovevano solo girarsi un
po' e con lei sul materasso lui...
«Stupida
domanda di uno stupido di Yu.» Rei
sospirò.
«Sai quanto mi è piaciuto, è solo
che... Su, te lo
spiego dopo.»
Dopo?
Beh, in realtà qualunque posizione gli sarebbe andata bene
- persino lei che riprendeva il movimento interrotto.
«Non possono esserci cose troppo diverse.» Fece
scorrere il
bordo delle pagine del manga sulle dita, fino a fermarsi.
«Ecco, ad
esempio...»
Spalancò
gli occhi.
Già,
a meno che non
si stesse consultando un certo libro centrato sul sesso, le posizioni
a cui poteva pensare uno shoujo manga erano limitate. E tolte due tra
le più valide alternative - da loro entrambe già
provate
- la più quotata era quasi sempre...
Lanciò
un'occhiata all'espressione di Rei e chiuse il manga.
«No. Possiamo stare solo su un
fianco.» Ecco, aveva avuto una buona idea.
Rei
rilasciò un lungo sospiro. Si sollevò, spostando
la
gamba di lato e staccandosi da lui. Si sdraiarono l'uno accanto
all'altra.
Yuichiro pensò che andasse tutto bene fino a che non la
vide deglutire.
«Sai... questa è una questione di
controllo. A suo modo.»
...
cosa?
«Non ci penso sul momento, solo che... Sì, non
mi è dispiaciuto avere il controllo poco fa. E non mi
dispiace nemmeno
quando sei tu ad averlo, ma...»
Era
un discorso confuso. «Non c'entra il controllo.» A
seconda della libertà
di movimento uno dei due si muoveva più dell'altro, tutto
lì.
«So
che non è un modo per imporsi.» Rei scosse
decisa la testa. «Questo non c'entra affatto con noi,
però...»
Però
non era da lei tergiversare così tanto e non spiegarsi in
modo chiaro quando voleva dire qualcosa.
Rei
prese a guardarlo negli occhi. Annuì, un gesto pensato
più
per se
stessa. «Oggi pensavo che mi piace quando...
controlli tu, quando mi lascio andare. Non avere
il
controllo o sentire che... mi viene tolto.»
Lui
sentì volare le sopracciglia. «Ma io
non...»
Fece un paio di collegamenti ed evitò la risata vuota.
«Ma
quello era solo...»
«Sì certo, andava benissimo!» Rei
scattò
ad appoggiarsi sui gomiti. Il manga cascò sul pavimento.
«Sto cercando di dire una cosa stupida: non mi piace che mi
piaccia perdere il controllo.»
Lui
ci mise un momento a comprendere il gioco di parole. Non fece in tempo
a commentare.
Rei
si era abbassata a riprendere il volume. Lo sventolò nella
mano. «Stavo usando questo come scusa!» Lo
ributtò
lontano. «Un gioco per smettere di
avere
questo pensiero idiota. Che poi nemmeno ho! È' solo una cosa
che-»
«Ho capito.»
Rei
si morse un labbro. «Scusa. Tante storie mentre
tu...»
Si sdraiò sulla schiena, voltata per metà nella
sua direzione.
Lo invitò ad avvicinarsi. «Mi piace stare con te,
sempre. Su questo non ho dubbi.»
Lui
sentì crescere un sorriso. «So cosa stavi cercando
di dire prima.»
«Lascia stare.»
«Non
stavi dicendo che avevi paura. Nemmeno che ti piace o non ti
piace perdere il controllo; volevi solo... farmi vedere la tua
debolezza.» Le strinse una mano, felice. Rei cercava solo
accettazione; questa volta, a differenza di altre,
platealmente. Per lei che si mostrava forte proprio
per dimostrare di non aver bisogno dell'approvazione di nessuno,
quello era
un grande passo. Non solo: era un modo di metterlo e mettersi
alla prova,
concesso solo perché si fidava enormemente di lui.
Rei aveva voluto conoscere la sua reazione davanti alla rivelazione di
un
dubbio che le era sembrato... grave.
Non riuscì a non
riderne.
«Sai perché prima non ero scontento?»
Rei
stava ancora riflettendo.
«Eh?»
«Non
ero scontento per non aver finito assieme a te»
chiarì lui, «perché tutte le altre
volte mi sono
sforzato moltissimo per non anticiparti.»
Rei
sollevò un sopracciglio. «Abbiamo sempre
fatto... insieme. Quasi.»
«Sì.
Non riuscivo a trattenermi un secondo di più.»
Amava
quando lei lo guardava come se fosse stupido.
«Perché
diavolo avresti dovuto trattenerti?»
«Non
dovevo, ma se avessi potuto mi sarei... goduto meglio il
percorso.»
Forse
erano cose che poteva capire solo un uomo, perché Rei non
sembrò cogliere.
«Okay.
Eri nervoso e non ti
concentravi su quello che provavi.»
Poche
parole ed eccolo smentito.
«Cos'è
questo, un confessarci difetto per difetto?» Rei
schioccò la lingua contro il palato. «Il tuo
'problema'
non l'avevo nemmeno notato. Se hai impiegato un giorno per risolverlo
era solo questione di prendere l'abitudine. Il mio problema invece l'ho
inventato
io.» Scosse la testa. «Risolviamolo.» Si
appoggiò col petto sul materasso, le braccia conserte, una
delle
posizioni meno sensuali che le avesse mai visto assumere.
Ne
rise solo nella sua testa. «Perché non torniamo
al...
classico?» Così lo aveva definito lei.
«Lo
preferisco.»
Rei
piegò la testa, appoggiandola nell'incavo di un braccio.
«Che bugiardo. Ti ho visto mentre
guardavi
quel disegno.»
Sì, ma anche lui aveva visto lei. «Mi va bene come
al solito.» Come
se fosse qualcosa di cui lamentarsi. Come se, dopo un giorno, avessero
davvero bisogno di novità. Poteva essere un gioco
divertente, ma-
«Yu.» Gli occhi viola di lei fermarono il tempo tra
loro.
«Non mi darà fastidio. Voglio...
provare.» Sorrise e
scostò tutti i capelli di lato, via dalla schiena.
«Più mi dici di no, più per me
è sì.
Non posso credere che non ti vada.» Le sfuggì una
risatina
rapida. «Non è forse così che abbiamo
cominciato?»
Quello era un colpo basso.
Mentre
lui pensava, lei piegò un ginocchio e lo
usò per sollevare un poco tutta la parte inferiore del
corpo, creando con la schiena una curva talmente...
A gola secca, Yuichiro
sentì che tutti i progressi che aveva fatto si
scioglievano come neve al sole. «Se facciamo come al solito,
durerò di più.» Un inno alla crudezza,
ma non aveva
il cervello per elaborare giri di parole.
«Che
importanza ha? Il mio turno è già passato,
questo è il tuo.» Rei trattenne a stento una
risata.
«Comunque ci stai mettendo troppo ad accettare. Ritiro
l'offerta
in cinque... quattro... tre...»
«Va
bene.» Sarebbe stata comunque una tortura, no? Lei gli
aveva detto di avere problemi con l'idea del controllo, ma il modo in
cui
gli stava offrendo di stare era quanto di più sottomesso
potesse
esistere. Al solo pensarci lui non riuscì quasi
più a
pensare. «Rei. Voglio che sia
piacevole per entrambi.» Per questo la voltò verso
di
sé e cercò di porre fine a tutta quella storia,
tornando
alla loro piccolissima normalità.
Il
divertimento di lei fu cauto. «Sai che è
così che ti stai imponendo sulla mia
volontà?»
Lui
ritirò di scatto le mani.
Rei
rimase sdraiata su un fianco, e dopo un momento di riflessione, si
dipinse il volto di serenità. «Fa
freddo.» Si mise
seduta e cominciò a tirare il piumino che copriva il letto.
Per non ostacolarla, lui scese sul pavimento.
«Ecco.»
Terminando di trafficare con la coperta pesante, Rei vi si
infilò sotto. «Al caldo. Torna qui con
me.»
Il
piumino sembrava quasi una protezione. Confortevole, pensato per il
riposo, poco agevole ai movimenti.
Yuichiro
vi si racchiuse dentro.
Nel
suo letto, pensato per una sola persona, c'era spazio per lui
soprattutto tra le sue braccia. Accoglierlo lì fu come
sentirlo tornare al proprio posto, poiché non c'era - non
poteva
esserci - posto più giusto dove Yuichiro potesse stare.
Lui
aprì la bocca per parlare e lei scosse la testa. Gli diede
un bacio e pensò... No, non pensò.
Gli
chiese di muoversi con lei, con semplici carezze. Si abbracciarono,
incrociarono le gambe tra le loro. Scelsero naturalmente che fosse lei
a dover riposare sulla schiena e fu lì che Rei che
intervenne con un sorriso, girandosi sotto di lui prima di non poterlo
più fare. Sentì il materasso contro il petto e il
calore di tutto un corpo dietro il proprio.
L'unica
cosa che fece fu prendersi una mano di lui, cercando di avvolgerla
completamente con la propria. Non riuscì, ma
sentì la risposta delle dita che facevano come voleva lei,
cercando di piegarsi e farsi piccole. Ne sorrise. Avvicinò
un polpastrello di lui alla bocca e lo prese tra le labbra,
strappandogli un ansito.
Con quel gesto lo fece sentire abbastanza
sottomesso da non far più pensare nemmeno lui.
Pensare
era il problema: a lei non piaceva pensare di perdere il controllo e a
lui non piaceva pensare di prenderlo. Stupidi.
Se
già lo facevano entrambi quando non ci riflettevano troppo...
Il tocco sulla parte bassa della schiena la fece sussultare, chiudere
gli occhi. La carezza le causò un brivido meraviglioso di
abbandono, giusto, la sensazione più piacevole che-
Di fronte al vero contatto tra loro, rimase a bocca aperta, ma
offrì senza un pensiero, per istinto, una curvatura
più agevole coi
fianchi. Divisa, si sentì magnificamente e a
disagio, senza difese,
bloccata. Sparirono i capelli dalla sua schiena, lasciati cadere di
lato per un bacio a fior di pelle sul collo. Una richiesta.
"Posso?" Oh,
ricordava ancora la voce di lui e quella domanda tenera di tanti mesi
fa,
come se davvero ci fosse stato bisogno di un'autorizzazione per darle
un bacio anche lì.
No,
niente permessi.
Fu
il suo stesso corpo a ribadire quella verità quando, trovato
l'angolo giusto, lo accolse senza opporre la minima resistenza.
La
parte migliore fu quella, sentire la rigidità sconvolta di
entrambi e aver voglia di muoversi tanto, subito, a fondo e veloce.
Volle agitarsi, ma non poté
far altro che rimanere a sentire, fidarsi.
Riprese
la mano di lui in bocca, due dita invece che un unico
polpastrello. Le mordicchiò, dovette
tormentarle. Le sembrò di averlo trafitto e, di riflesso, la
sensazione si trasmise al bassoventre di lei, una fitta continua e
insistente di
piacere che la prendeva.
Non
resistette, usò tutta la forza che aveva
per cercare di sollevarsi e spingere di rimando all'indietro. Lui la
assecondò e finirono per metà adagiati sul
fianco, tanto da permetterle di muoversi senza essere davvero libera.
Oh, non voleva libertà. Coi fianchi impresse scatti
che chiesero a Yu di tenerla in trappola, incastrata. Premette sul
braccio
di lui che artigliò le lenzuola, circondandola per la vita,
cercando
un appiglio per fare forza. Bastarono due movimenti - maledettamente perfetti
-
per far venire via l'intero tessuto.
Per
fermare il disastro lei corse a raccogliere un ginocchio verso il
petto.
Fu l'idea più geniale che avesse mai avuto, bastò
una spinta per scoprirlo.
Prese a pugno le lenzuola, poi si accorse che poteva voltare la
testa.
Baciarsi
a dovere fu impossibile, ma fu sufficiente stuzzicarsi, far incontrare
le labbra per caso. Il nervo del collo protestò tanto da
costringerla con la guancia sul cuscino, con tutti gli arti che
tremavano, le gambe che cercavano di darle un appoggio minimo per
completare in senso contrario gli affondi. Quando non riusciva, le
sembrava ugualmente di non poter ottenere di più, vicina ad
un esaltante sovraccarico. «Ah...»
Senza voce, gemette. «C osì.»
Yuichiro si irrigidì all'improvviso. Stringendola forte si
mantenne immobile, tremando.
Nonono- «Cosa
c'è?!»
«Aspetta...» Tra i denti stretti, lui le fece
arrivare il respiro perso sulla tempia.
Oh,
capì lei. Abbassò una mano tra le proprie gambe.
«Non fermarti.» Al contatto, ansimò.
«Pensa a te, solo a te, io...»
Sopra i vestiti era
già arrivata a toccarsi in quel modo, per stimolarsi
goffamente, ma non
aveva mai sentito contro le dita la propria carne scivolosa che
palpitava al tocco. Sospirò, gemette di nuovo. E
udì
un'esclamazione scomposta.
Da quell'attimo vi fu solo movimento, bisogno,
altre
dita che si univano alle sue, i loro fianchi che diventavano
ripetutamente parte di un corpo unico e lei che ansimava e diceva
qualcosa, senza essere la sola. Delle loro follie non
capì nemmeno una parola. L'unico linguaggio che
ascoltò fu quello del pulsare del sangue e dei muscoli tra
le gambe, suoi e quelli di lui.
Toccarono l'apice e continuarono, impossibilitati a smettere.
Si
fermarono solo per stanchezza e Rei
sentì che non avrebbe mai più spesso di provare
piacere. Continuò a rabbrividire al pensiero.
La
sensazione scivolò via con calma, disperdendosi dentro il
suo corpo. Solo
allora il peso sulla schiena iniziò a farsi sentire
come
tale.
Non
aveva ancora la forza di chiedere nulla, ma non desiderò
neppure farlo.
Rimase
sdraiata contro il proprio braccio, il ginocchio piegato in alto, la
testa sul cuscino, incastrata sotto di lui. Tenuta stretta, protetta.
...
della mancanza di controllo temeva il senso di impotenza. C'era stato
un tempo in cui aveva capito che
la sola persona che avrebbe protetto lei e i suoi sentimenti di bambina
sarebbe stata... lei stessa.
Ma
questo è Yu. Mi ama in un modo così stupido e
folle che non esiste male con lui. Non c'è.
Se
lo disse e crebbe un altro poco. Cresceva quando si diceva in faccia le
cose; in fondo era sciocca, perché non le bastava
comprenderle e sentirle.
«Scusa.»
Lo sentì ritrarsi e, prima che lui potesse allontanarsi
troppo, si girò e lo trovò per un bacio.
Finì col ridere. «Potevi rimanere.»
Yuichiro sembrò più dispiaciuto di lei nello
scuotere la
testa. «Devo andare a buttare questo.»
Rei
abbassò lo sguardo, poi lo puntò sconsolata al soffitto. Già.
Si
abbandonò sulla schiena, coprendosi col piumino.
La
natura non sapeva cos'era il divertimento.
Lui tornò a sdraiarsi e lei anticipò
l'abbraccio. «La mia voglia di sistemare la libreria
è scesa a zero.»
«Aspettiamo.»
Per
vedere se più tardi ritrovavano l'energia?
Sbadigliò.
Stava così bene tra il piumino, lui e il relax del proprio
corpo, che lasciò scendere le palpebre.
Massì,
un sonnellino.
Si
svegliò alle due del mattino.
Si
arrabbiò talmente tanto per la serata persa e per la stanza
in disordine che Yuichiro preparò un té caldo per
entrambi, per farsi perdonare di essersi addormentato a sua
volta.
Ricevendo la tazza fumante in mano, Rei fu soddisfatta: aveva resistito
all'impulso di andare a preparare il tè in prima persona.
Servile sì, ma a piccole dosi.
Provarono
a terminare di inscatolare i manga, ma per un po' si fermarono a
rileggere uno dei volumi di Adachi e per l'altro po'...
Era
colpa sua se aveva manga pieni di belle idee?
Sì,
sorrise: era tutta colpa sua.
FINE
NdA
-
Straaaapant! Su questa storia sono stata giorni! Siccome è
Agosto mi sono un po' riposata, ma pensavo di tirare fuori prima questa
one-shot. Invece per elaborare la trama ho impiegato un bel po', forse
anche per via delle troppe distrazioni del tempo libero.
Penso
di aver iniziato ad analizzare troppo la mia scrittura durante la
stesura. Personalmente la chiamo la maledizione del troppo leggere e mi
auguro che finisca quando avrò finalmente compreso meglio
alcune cose di come si scrive bene.
Passando
alla storia, ne sono piuttosto soddisfatta ora come ora e, beh,
naturalmente mi piacerebbe sentire che ha soddisfatto anche voi ;) Ma
se così non fosse stato sarei felice di sentirvi ugualmente,
il confronto può aiutarmi.
Due
note finali: Mitsuru Adachi è un autore di manga di cui vi
consiglio lavori come Rough (soprattutto questo) e Touch. Quest'uomo
è poetico, a lui servono poche parole o mere espressioni per
comunicare un mondo di sentimenti.
L'idea
alla base di questa storia, come forse sapete, è pronta da
quando ho scritto sulla pagina Facebook l'indizio per questa one-shot
(Rei/Yuichiro - gioco), però poi ho organizzato un concorso
di fanfiction e ho ricevuto una storia che conten'eva anch'essa l'idea
dell'ispirazione da un manga per certi... giochi ;) La cito,
perché è una bella storia che merita, dove
troverete una giovane Makoto molto lanciata (:D)
Decisamente
di Morea
Alla
fine non ho deciso di cambiare la trama, come avevo inizialmente scelto
di fare, perché mi sono accorta che la storia
dell'ispirazione dal manga in fondo era già accennata negli
altri due episodi di Rei e Yuichiro che avevo elaborato per questa
raccolta e scritto già mesi addietro. Comunque, per essere
sicura di non farmi influenzare, ho lasciato passare qualche settimana
dalla lettura della storia di Morea prima di buttare giù
questo ultimo episodio sulla coppia.
Mi
raccomando, se avete letto sono qui che aspetto di sapere che ne
pensate :)
Alla
prossima!
ellephedre
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Capitolo 7 *** Ami/Alexander II ***
Red Lemon
Red
Lemon
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
7
- Ami/Alexander II
Ambientato dopo
Ami/Alexander I e sempre prima della parte 13 di Verso l'alba.
Ami studiava seduta contro lo schienale
del suo
letto, le gambe
raccolte a sorreggere il libro di testo contro le ginocchia. Lo aveva
accolto in casa vestita di un felpa pesante, viola, e di un
paio di pantaloni neri quasi troppo grandi per lei. Quando voglio studiare per molte
ore - gli aveva spiegato serena - mi metto comoda. E
sembrava esserlo lì rannicchiata sopra il materasso, intenta
a
concentrarsi, i piedi rivolti l'uno verso l'altro a cercare calore e le
labbra che, di tanto in tanto, si univano come a dare un bacio. La
cultura del libro le ispirava passione.
Alexander era travolto dallo stesso
sentimento, ma ad accendere i suoi sensi, e
l'immaginazione, era la voglia di farla scivolare lentamente sul letto,
distesa, per sfilarle di dosso i vestiti da sopra la testa e
lungo le gambe. Sempre più giù, fino a lasciarla
solo con
le calze di cotone. Ami sarebbe dovuta apparire innocente in quei due
pezzi sformati e larghi ma, guardando le braccia
sottili che sparivano dentro le maniche spesse, lui riusciva a
immaginare
solo spalle rilassate e seni liberi, un corpo capace di fremere e
agognare fino allo sfinimento - di entrambi.
Prima di alzarsi dalla sedia della
scrivania, si chiese se non fosse il
caso di controllarsi. Ma esisteva forse un motivo valido per rimandare
l'inevitabile?
Nessuno, si rispose. Tanto valeva
muoversi in anticipo, era un premio
che si meritavano tutti e due.
Andò da lei e, sedendosi sul
materasso, non resistette un
momento di più.
«Questo...»
La vista che Ami aveva sul quaderno di
appunti si sfocò:
aveva
socchiuso gli occhi e si ritrovò ad abbassare sempre
più
le palpebre, contro la sua volontà.
«Questo...»
tentò di nuovo.
Il brivido partì da sotto il
suo orecchio e corse lungo il collo,
espandendosi sulla schiena. Diffuse dappertutto una
sorta di bollore sottopelle, chetato solo dall'aria fredda
della stanza. Aveva tenuto il termostato basso di proposito, nel
tentativo di evitare la situazione in cui si stava trovando. Meno
faceva caldo meno gli animi potevano scaldarsi, aveva pensato, sperando
più in un effetto sul proprio corpo che su quello
di lui.
Niente e
nessuno sembrava poter fermare Alexander quando voleva davvero qualcosa.
Allontanò la guancia dalle sue
labbra che,
insistenti,
continuavano a cercarla con baci leggeri, tanto più
invitanti nel loro essere sottilmente delicati.
Stava diventando un libro aperto per
lui, ma era lei a non
aver ancora terminato di leggersi da sola.
«Questo» riuscì a
dire con maggior
controllo, terminando di
deglutire, «si chiama ossessione.»
Seduto accanto a lei, Alexander
inclinò lievemente
la
testa. Strinse gli occhi chiari - quasi verdi in quel momento, un
segnale da temere e agognare - e aprì la bocca
in un sorriso silenzioso. «Sex-obsessed?»
Proprio così: da tre pomeriggi
consecutivi loro due non
facevano altro quando stavano insieme. Era una cosa... Una cosa...
Avvampò. «Non ridere!»
Lui continuò a stringere le labbra
tremanti.
«Scusa.»
Inspirò a fondo. «Well... non è
più un
essere love-obsessed?»
Le guance ardenti smisero di infastidirla. Il
battito accelerato
divenne una parte piacevole di lei. «... sì. Ma io
ti amavo
anche prima.»
Alexander fermò il sorriso alla prima
parte della frase.
«No, ti amo anche mentre noi...
Sì, forse
soprattutto
quando...
No, ma in quei momenti in una maniera nuova, più...
totale.»
Bombardata dal ricordo delle sensazioni, le sembrò di non
avere
più un discorso chiaro in mente. «È per
questo
che mi
confondo.»
«In che modo?»
Il bacio sulla tempia seppe di consolazione e
comprensione. Lei
lasciò scorrere le labbra sulla guancia di lui fino a
trovargli
la bocca e udì i loro respiri che si univano come un suono a
parte, anime che divenivano aria, stretta al petto, l'impulso
a
non smettere. Lasciò scorrere le mani libere dal quaderno
sulle
sue braccia e non seppe più come stringerlo.
«Penso...» Scelse un morso
gentile su angolo, per
fermarsi. Ne
ricevette uno con un assaggio che la portò al limite
dell'estasi.
«It's too beautiful»
sospirò, riuscendo
a non ansimare.
Un braccio le prese per intero la schiena.
«Ed è
un male?»
No, erano i suoi
ma
che
potevano aspettare. Si lasciò sdraiare sul letto, contro il
cuscino disteso, e fu lei stessa a tendersi piano verso l'alto,
chiedendosi perché.
Perché aveva una mente con domande e piccole proteste? Le
impedivano di rimanere sempre in quei momenti di benvenuto oblio e
sensi accesi. Lei invece poteva essere solo sensazione e gioirne, amare
anche così, ancora più intensamente.
La risata bassa contro la bocca la
svegliò.
«C'era un ma.»
La ragione non riemerse in tempo per rispondergli.
«Il mio è 'ma... sono
contento'» sorrise
lui. Le
scostò
una ciocca dalla fronte. «Forse più di ogni altra
cosa,
volevo
vederti così. Sentirti così, mentre non volevi
più
pensare a niente stando con me.»
Per l'attesa di troppi mesi lei aveva una sola
scusa.
«Pensavo troppo a
te per non voler pensare.» Sospirò. Con le frasi
romantiche
non
era affatto brava come aveva sempre creduto, era evidente.
«Quello che
volevo dire prima... Lascia perdere.» Premette con le dita
tra i suoi
capelli, invitandolo delicatamente a tornare basso con la testa.
«Te lo ricorderai dopo.»
Forse, ma dopo era dopo.
«Se risolviamo, alla fine non avrai
più niente a
cui
pensare.»
Naturale, ma il suo era un conflitto interiore
frutto di piccoli
fastidi che si sarebbero risolti da soli. Definirlo in quel modo le
fece tirare un sospiro di sollievo. «A volte non sono
intelligente.»
«Che bugia.»
Balzò in alto quando sentì
l'accenno di solletico
ai
fianchi e finì col ritrovarsi seduta. Si lasciò
vincere
anche lei da una risata lieve. «Per una volta che non sono io
a
fermarci...»
«Hai un dubbio, è come se lo
stessi
facendo.»
... Aveva continuato a farglielo sentire?
«No, non... Ami, dimmi solamente cosa
c'è che non
va. Uccidi il tatto, non importa.»
La prima risposta che ebbe in mente - Non c'è un modo
giusto per dirlo
- sembrò dargli ragione sull'ultima concessione. Ma era
assurdo,
lei non aveva bisogno di tatto, solo di riorganizzare le idee. Si
impose un momento di concentrazione assoluta e districò con
successo la matassa. «Sono ossessionata anche io. E mi manca
parlare.»
«Ti manca...?»
Sì, ma alla fine si trattava di due
problemi diversi, forse
consequenziali. «Non sono ancora a mio agio con questo
pensiero fisso
che mi invade ogni volta che tu... Oggi ho cercato di calmare proprio
te. Si può sapere come hai fatto ad avere certe idee con me
vestita così?» Tirò tra le dita un
lembo della
felpa che
utilizzava per i
lavori domestici, il capo più scialbo e comodo del suo
intero
guardaroba. «E questi pantaloni larghi sembrano un
brutto
pigiama.»
«Sì, non ti donano. Ti vedo
meglio
senza.»
Il suo era stato chiaramente un tentativo senza la
minima speranza.
«Perciò non dovevo trovarti
attraente»
sorrise lui, «per non
saltarti addosso e non farti sentire a disagio mentre sfogavi la tua ossessione
assieme a me?»
Faceva bene a riderne, annuì lei. Per la
seconda sensazione
non
si sentiva altrettanto sciocca. «Mi manca
parlarti.» Di tutto quello
che passava loro per la testa, come avevano fatto per mesi e mesi per
passare il tempo, trovandola l'occupazione più soddisfacente
che
potesse esistere per loro due. «Per tanti mesi non abbiamo
fatto altro
e ora sembra che l'unico modo in cui sappiamo stare da soli in una
stessa
stanza è...» Scosse la testa e cercò un
punto di
vista esterno. «Magari deve solo passare qualche
altro
giorno.»
Incerta sulla stima, sollevò un sopracciglio. «Del
tempo.»
Alexander continuò a guardare il muro e
terminò
di pensare. «È vero: non stiamo parlando molto. A
parte
di...»
Già. Negli ultimi grandi discorsi che
avevano fatto avevano
parlato del futuro, del
pericolo del loro presente e del suo passato di battaglie,
tutto da riempire per lui. Appena avevano potuto tuttavia non ne
avevano parlato più: lei non voleva insistere sul fatto che
sarebbe andata ad aiutare le sue amiche se fossero state in pericolo, e
lui probabilmente non voleva sentirglielo dire.
Alexander tornò a guardarla.
«Se non avessimo
tanto da
studiare
per gli
esami e non ci fossero queste battaglie che tu devi...» Si
interruppe. «Se
avessimo più tempo, forse potremmo passare una giornata
intera
insieme. Ma anche se abbiamo solo una mezz'ora di
pausa...» Sorrise. «Sì, manca
anche a me parlarti.»
Stiracchiò le braccia verso l'alto e si sdraiò
sulla
schiena. «Facciamolo ora.»
Ami prese il quaderno che le impediva di allungare
le gambe e lo
appoggiò sul comodino.
Quando si sdraiò accanto a lui, la testa
sullo stesso
cuscino
largo, volle accarezzargli la fronte e tenergli il viso tra le mani.
Era anche colpa sua, si rese conto, se non parlavano più con
la
spensieratezza di un tempo. Provò a spezzare quel circolo
chiuso
col primo pensiero che le venne in mente.
«Ieri, prima di dormire, ho visto un
documentario sui
leoni.» E aveva
desiderato follemente poter discorrere con lui di tutto quello
che
aveva pensato.
«Circondati da felini» rise
piano Alexander,
indicando Ale-chan,
appallottolato su una sedia lontana, addormentato.
«Sì» gli
sfiorò una mano lei.
«C'erano questi
cuccioli
che
giravano intorno ad un leone adulto, maschio. Non ricordo se era lui il
padre, ma il documentario diceva che avrebbero dovuto stare attenti:
anche se quel leone sembrava averli accettati, non
funzionava sempre così. Sai che quando crescono i piccoli
maschi vengono
allontanati? Sono visti come concorrenti dal leone dominante.
Per i leoni esiste solo una
struttura sociale a branchi: un leone, tante leonesse. Ho
pensato... è strano tutto quello che diamo per
scontato su
come debbano
funzionare i rapporti tra gli individui. Saremmo potuti arrivare al
nostro attuale sviluppo, come cultura umana, se funzionassimo ancora in
maniera simile?» Scosse pensierosa la testa. «Senza
una cura dei
piccoli fino all'età adulta, verrebbe a mancare un
supporto fondamentale allo sviluppo della nuova generazione. Se
addirittura ci fosse ancora competizione tra maschi facenti
parte
della stessa famiglia... O tra femmine... È il
nucleo familiare che ci ha aiutato a progredire, no? Due adulti che
si accordano per occuparsi della nuova generazione, riconoscendolo come
loro compito principale. In parte è un accordo e in parte un
impulso. Quale dei due sarà venuto prima?» Aveva
azzardato
una
risposta tra sé.
«L'impulso» commentò
Alexander.
«Qualche primate maschio
deve
averlo avuto per primo milioni di anni fa. Ha funzionato come modello
all'interno di un branco che è progredito numericamente
più di altri, con individui che hanno ereditato la stessa
propensione.»
«Si eredita?» Ci
rifletté di nuovo
assieme a lui.
Alexander annuì per primo.
«È ormonale.
I livelli
di ormoni
possono essere influenzati da fattori genetici. Nella maggior parte dei
nuclei familiari questo impulso poi può trasmettersi anche
come
atteggiamento. Un atteggiamento positivo attecchisce con
successo se ha soddisfatto gli individui nelle loro interazioni
reciproche. Tendono a riprodurlo.»
«È una catena»
concordò lei.
«Ma in tutti i sensi. Un
atteggiamento negativo attecchisce per trauma altrettanto in
profondità. Nella preistoria contava la forza, era
più facile che la sopraffazione violenta venisse
ricompensata
con cibo e sopravvivenza.»
Dopo un momento, Alexander annuì di
nuovo. «Ma
nessuno
rinuncia alla convenienza
nel momento in cui cresce la massa cerebrale. In gruppo i primati
riuscivano in imprese non ottenibili da piccoli nuclei di individui,
con vantaggio di tutti. Saremo nati come animali sociali in quel
momento... Per sopravvivere meglio abbiamo mitigato alcuni istinti
animali e imparato a sopprimere un egoismo istantaneo in favore di una
sicurezza futura.» Rifletté. «Lo stesso
concetto di futuro
deve
essere divenuto più importante solo di fronte ad
un'accresciuta
intelligenza. Meno si è evoluti, meno si
programma.»
Già. «E più si
è evoluti,
più si guarda al presente immediato con distacco.»
«Sì» disse lui,
perdendosi in un
pensiero grave.
Ami non ebbe bisogno di sentirlo per sapere quale
era. «Forse
sono
ingenua...» Ma piena di fiducia. «Anche se ora non
riesco a immaginare
come sia avere cento o a
duecento anni... sono sicura che considererò ugualmente
importante il presente che
starò vivendo. Forse sarà tutto come un lungo
presente. Non perché ogni
anno sarà come un mero momento per noi, al contrario:
farà parte di quella catena continua che è la
nostra
vita. Non lo danneggeremo pensando che è solo un anno facile
da
dimenticare in altri mille che ci rimangono.»
Lasciò che la
voce
si spegnesse lentamente nella propria gola.
Davanti allo sguardo vacuo di lui, concentrato sul
nulla,
annuì. «Usando il termine 'noi' mi riferivo
soprattutto alle mie compagne. So
che vuoi starmi accanto, ma sarà una scelta che
farai
giorno dopo giorno nei primi tempi. Su queste cose che ti dico...
poniti da
esterno. Studiale per tutto il tempo che vuoi, senza sentirtene
già incluso senza scampo.»
Alexander si riprese un sorriso debole.
«Ami, pensavo ai
vostri nemici,
non a noi. Sono sicuro che il loro caso è diverso: vivere
tanto
li ha danneggiati. ll sorpruso è normale dal loro punto di
vista. Se serve a ottenere quello che
vogliono, lo ritengono accettabile.»
Lei non si permise di concentrarsi sul sollievo: la
smorfia sulle
labbra di lui la spinse a prendergli una mano. Alexander stava
pensando a quando l'avevano fatta sparire per più di
metà
settimana.
«Tu... provi ancora rabbia per quei
giorni, vero?»
Lui aprì il pugno e le
inglobò per intero le
dita. Non rispose.
Mi
dispiace.
Lei si trattenne dall'abbassare la testa e baciargli la mano.
Alexander gliela stringeva piano e con fermezza,
come se potesse
esprimere in quel modo il bisogno che sentiva di tenerla lì.
«Sai...» gli sorrise, trovando
un nuovo pensiero
giusto da condividere. «Non sono mai riuscita a immaginarmi
come fosse essere un ragazzo.»
«Cosa?»
«Essere un ragazzo. Un uomo.»
C'erano sensazioni
che poteva condividere
e comprendere appieno provando a mettersi nei suoi panni, ma,
nonostante tutte le similitudini tra loro, alcune reazioni le
risultavano ancora misteriose. Affascinanti proprio per questo.
«Cosa vuoi dire?»
Lo aveva fatto sorridere, come in un tempo in cui
non avevano mai
conosciuto paura insieme. Era tornata a dire la prima cosa che le era
venuta in mente, giocando coi ragionamenti e aprendoli a lui.
«Questo desiderio di protezione ad
esempio. Anche una
donna può provarlo, ma di solito nei confronti di
qualcuno di più
debole. Come un
bambino, soprattutto, anche se può trattarsi anche di un
compagno adulto nel momento in cui lui è in
difficoltà.
La nostra conformazione fisica in realtà non è
una base
importante in tutto questo? Difendiamo chi è
più piccolo per istinto, per un insito... dovere. Io
difenderei
una persona che non può proteggersi, ma riesco a immaginare
solo
un bambino, non un adulto perché...» In
realtà,
le
riusciva facile immaginare adulti ora che aveva un potere di cui
nessuna persona normale poteva disporre. Dimenticò quel
passaggio. «Non conosco
adulti che abbiano un fisico molto più piccolo del mio. Non
nella proporzione che esiste tra noi due,
per esempio.»
«Ma non sono tutti alti come
me» obiettò
divertito lui.
Esatto, il concetto della differente corporatura
non poteva essere
centrale. «Volevo dire...»
Alexander annuì. «Ho capito.
Beh... Se sei un uomo
ti dicono
fin
da piccolo che tocca a te fare qualcosa... di più. Se gli
altri
piangono, tu devi stare tranquillo. Se qualcuno non sa fare qualcosa,
tu invece devi poterla fare e risolvere il problema.
È una
questione culturale, ma...» Si adagiò sul fianco.
«A volte
penso
che sia mancanza di alternative. Ti capita di avere attorno queste
persone a cui tieni... sì, forse più piccole o
più deboli,
ma il problema è che quando non possono proteggersi da sole
non
può farlo nessun altro e loro iniziano a guardare te; un giorno te ne
accorgi come un fulmine
a ciel sereno. Realizzi anche che non c'è nessun
altro a cui puoi
rivolgerti tu, perciò non puoi essere come loro neanche
volendo.
E non vuoi perché sarebbe la fine: la
disperazione della tua impotenza ti mangerebbe vivo se ti facessi
venire il dubbio. Alla fine, devi convincerti di essere forte e stabile
per trovare un equilibrio. Non puoi rivolgerti a qualcun altro
perciò
ti rivolgi all'immagine che hai di te stesso e trovi qualche sicurezza
in quella. Anche un po' d'orgoglio, perché no? Il lato
positivo
viene da sé.»
Ami rimase in silenzio.
«Parlavo di un ragazzino che cresce,
Ami» sorrise
lui. «Col passare del
tempo calano le insicurezze perché vedi che ci sono davvero
cose
che puoi fare solo tu. Raggiungere uno scaffale più alto,
muovere cose pesanti. Ah, e far sentire meglio gli altri mostrandoti
forte. Ti rende forte e anche fiero di esserlo, sempre di
più.
È un cerchio che si alimenta da solo.»
Lei lo aveva spezzato per lui, togliendogli la
sicurezza di poter fare
qualcosa di fondamentale come tenerla al sicuro.
«See?
Questa è una
dimostrazione perfetta. Nel momento in cui parli di debolezza, insinui
il dubbio in chi ti deve vedere forte. E ricevi questo
sguardo...»
Premette col dito sulla base del suo naso, giocando. «Non fa
bene a
nessuno. Io sono ancora forte, Ami. In tutti i modi in cui posso
esserlo.»
Forse la differenza tra loro era quella: a lei
importava solo nella
misura in cui ci teneva lui. Lo vedeva forte in altri modi, anche solo
per aver ammesso di non esserlo.
Si sentì stringere piano il braccio,
sopra il gomito.
«Ammetto che non riesco a immaginare di
essere adulto e avere
un fisico
come questo» osservò divertito lui.
«Come farei a
sopravvivere? Non terrei bene
la moto, dovrei alzare gli occhi per guardare in faccia chiunque
altro...» Rabbrividì con una smorfia.
«Sarei come un bambino
che
non può farsi rispettare da nessuno.»
Ami liberò una risatina. «Io
non ho questo
problema.»
«Perché non sei piatta e sei
soffice.»
«Cosa?»
«Perché è normale
che tu sia adulta in
questo
modo»
continuò a giocare lui. «Sei più
piccola ma sei
temibile
perché sei diversa.
Hai più curve dappertutto, anche in faccia o nell'incavo di
un
braccio: basta anche un'insenatura o un rilievo in più. E si
capisce che sei soffice al tocco anche solo a guardarti.
Allora uno si mette lì a riflettere su cosa voglia dire
avere
un corpo come questo e tempo che capisce dove va a parare la sua
curiosità si è già distratto senza
scampo.» Le
accarezzò il palmo con un dito. «Naturalmente, se
stiamo
parlando proprio di te e questo 'uno' non sono io, torneremmo tutti
indietro di
qualche milione di anni, al tempo di un duello preistorico all'ultimo
sangue che vincerò senza rimpianti. Triste giorno per
l'umanità.»
Ami scoppiò a ridere e lo
abbracciò forte.
Le mani sulla sua schiena iniziarono a scorrere
più
lente, con maggiore intento.
Stavano per smettere di
parlare, capì, e si sentì in pace. Si era
ricordata la sensazione di cui si era sempre sentita
preda
alla fine dei loro discorsi: diminuiva lei stessa i centimetri
di
distanza tra
loro, cercando un contatto che non fosse solo mentale, per rispecchiare
la natura dell'affiatamento che avevano a parole. Ne
aveva trovato uno più profondo, era una cosa
meravigliosa.
Udì un sussurro all'orecchio.
«Ti va un altro
esperimento?»
No,
sospirò lei, accarezzandolo su una spalla.
«Ripassare ha i
suoi pregi.»
«È un esperimento sulle basi.
Un gioco per conoscerci meglio.»
Hm?
«Ti tocco e ti
ascolto.
Così tu mi dici se ti piace e mi guidi.»
Non comprendere immediatamente le implicazioni la
portò a
non
arrossire subito. Aveva appena iniziato a farlo quando lui
continuò.
«Ho preso spunto da ieri.
Quando sei stata tu a
prendere
l'iniziativa e abbiamo fatto quello che volevi, mi è
sembrato...
Ti è piaciuto molto di più, vero?»
«No» avvampò lei,
nascondendo gli occhi.
«Secondo me sapevi da sola cosa ti dava
maggior-»
Lo zittì con un dito. «Non
è stato
diverso.» Non
riusciva a fare differenze tra tutte le volte; a parte forse la
prima, con quel poco di disagio e confusione all'inizio.
«Io ti ho vista diversa»
continuò lui.
Fece silenzio per un
momento. «L'idea che ho avuto sarà buona anche
in un
altro
senso. Finora... non è stato abbastanza romantico.
Forse solo la prima volta.»
«Hm?» Non lo aveva seguito.
«Well,
fino a questo momento ha funzionato così»
ragionò
lui. «Io prendo l'iniziativa, tu mi fai capire che sei
d'accordo e
noi... ci immergiamo nell'impresa, come gatti affamati a cui hanno
appena
offerto del cibo.»
Al sorriso Ami sostituì un'occhiata
mortificata al soffitto.
Un comportamento simile non faceva di lei una...?
Una ragazza
innamorata,
concluse. Era sempre stata veloce ed efficiente ad iniziare tutto
quello
che le piaceva fare; perché non anche quell'atto d'amore
che, una
volta cominciato, accresceva in lei il desiderio di non
pensare ad altro?
Alexander si riprese la sua attenzione. «You are a romantic, love.
E il passaggio per noi è stato troppo rapido. È
come se
fossimo passati
da un'utilitaria ad una Ferrari nel giro di una settimana. E quando
uno si abitua alle macchine da corsa...»
Lei scoppiò in una risatina.
«Altro paragone azzeccato, hm?»
Una mano le
accarezzò i
capelli. «Vedrai che tornando a ritmi più
lenti
sparirà anche quel poco di disagio che senti.»
Come poteva essere quello il problema?
«Sappiamo andare
lenti.»
«Ma non come arrivarci
lentamente.»
C'era una differenza, capì lei,
ma non
riuscì a
farsi venire in mente un esempio pratico. Di certo non le era mai
sembrato di andare troppo veloce in quei
momenti. Avevano semplicemente seguito il ritmo che sentivano dentro
entrambi.
Un bacio la accarezzò sull'angolo della
bocca, indugiando
lì.
Okay.
Si
permise di chiudere gli occhi e mandare in riposo il cervello.
Ami voltò piano la testa e
separò le labbra,
cercandolo.
Si sfiorarono con la punta della lingua,
nient'altro, ma lei si
irrigidì e si sciolse in un istante, stringendogli la
camicia
tra le dita e premendo la bocca aperta sulla sua, in offerta.
L'assaggio ebbe il retrogusto della cioccolata che avevano mangiato
un'ora prima, un sapore che Alexander quasi non notò:
lei gli stava accarezzando la tempia e aveva abbandonato
la testa sul cuscino. Lo lasciava scivolare tra le sue labbra senza
opporre alcuna resistenza, interrompendo il respiro durante i contatti
più umidi e stimolanti, socchiudendo la bocca per chiedergli
di
non allontanarsi, di non smettere.
E lui che aveva pensato ad un bacio romantico.
Non
sono un gatto in
calore. Strinse il cuscino tra le
dita e lasciò
scivolare l'altra mano sotto la felpa di lei, sulla schiena.
Non
devo far partire una
macchina da corsa. Solo
qualcos'altro che era
già partito per conto suo.
Sul palmo aperto la sentì calda,
soffice... Dannazione, non
aveva scherzato su quanto era soffice e morbida, tanto liscia da avere
una consistenza irreale. Era come crema umana, da leccare. Il sapore
era
migliore
su due punte facili a inturgidirsi, che si indurivano invece di
piegarsi; era addirittura bollente sotto uno strato sottile di cotone
intriso di un odore che gli dava alla testa e diavolo, diavolo,
doveva pensare ad altro!
«Ora sei tu che stai pensando»
sorrise Ami,
soffiandogli le parole
sulle labbra. «Sei distratto?»
Il suo era esattamente il problema opposto. Scosse
la testa e
provò a tenere gli occhi aperti.
La
realtà non era
la sua fantasia, si ammonì. Anche se si potevano fondere,
lui
non
poteva continuare a portarci dentro Ami. Forse era per tutte le volte
che lo aveva fatto, concentrandosi sulle sensazioni o anche solo sul
fargliele provare, che lei si sentiva ancora a disagio.
«What
is it?»
La voce di lei in inglese era una
dichiarazione sussurrata.
Nella nostra lingua, puoi dirmi
qualunque cosa.
«Tell
me what
you want»
azzardò lui. Qual era la fantasia di Ami? Qual era quel
pensiero che la faceva sentire come se fosse tutto... perfetto?
Lei arrossì lievemente. «Che
cosa mi
piace?»
No, non il suo esperimento. E anche se amava quel
rosa spruzzato di
rosso pallido, per una volta pensò di non volerlo
più
vedere. Voleva saperla capace di librarsi senza più
imbarazzi. «Tutto quello che vuoi.»
Il sorriso di lei fu tanto debole da non potersi
definire tale.
«Per
quale motivo ti senti in colpa?»
Lui doveva sentire una spiegazione da lei per
comprenderla bene, invece
Ami con lui saltava tutti i passaggi.
«Stavo per fare come le altre volte. Ero
così impegnato a immaginare cosa volevo fare con te, che ti
avrei portato con me invece di aspettarti.»
«Ma a me piace.»
Su quello non aveva dubbi. Non si pentiva del
passato,
voleva solo a imparare qualcosa di nuovo per il futuro.
Lei abbassò lo sguardo, un labbro che
assaggiava l'altro.
«Mi piace sapere che... immagini. Me.»
Love,
non aiuti.
Gli venne da
ridere. «Dimmelo, per favore. Dimmi quello che ti viene in
mente
quando.... Quando
chiudi gli occhi e pensi solo a ciò che vorresti
tu.» Voleva
entrare nell'immaginazione di lei, viverla.
La piccola risata di Ami, a malapena udibile, fu
d'imbarazzo.
«A occhi
chiusi mi viene il mente solo il buio... Toccarci senza vederci. Manco
d'immaginazione.»
Hm... Ma quella era
una cosa nuova.
«Okay.» Si tirò su,
sentendo di
essersi aggrappato
ad una
fune solida e sicura. Sorridente, si diresse all'interruttore sul muro,
accanto alla porta. Spense la luce.
Alle cinque del pomeriggio non vi era
più un solo barlume di
luce naturale che provenisse dall'esterno. Oltre le fessure delle
persiane, solo la luce soffusa dei lampioni lontani impediva il buio
assoluto.
Un'incertezza non sua aleggiò l'aria.
«Va bene
così?» fu la domanda di Ami.
Attento a ricordare i contorni della stanza, lui
tornò sul
letto. «Per me sì.»
«Non preferisci con... la luce?»
Le sue
pupille si adattarono rapidamente al nuovo livello di
luminosità. Vide il brillio riflesso negli occhi di
lei
quando si voltò pensierosa verso la finestra.
Ami sembrava più a disagio di quando lui
non si era
preoccupato
tanto di metterla a suo agio.
«What's
wrong?»
le chiese.
«Non... limitarti per me. Voglio che per
te sia come le altre
volte,
questa del buio... è solo un'idea.»
Scrollò
le spalle.
Gli si aprì un mondo di comprensione.
Ami teneva ad
accontentare lui.
«Proviamola.» Si trattenne
dall'abbracciarla riconoscente,
lusingato. «Ci saremo tu, io, senza vestiti...
funzionerà
alla
grande.»
Il rossore di lei, invisibile al buio, non la
guidò
più.
Sul letto Ami si inginocchiò, avanzando fino a trovarlo.
«Sai...
è come se ti vedessi lo stesso davanti a me.»
Gli prese
il
volto tra le mani.
Nelle ombre chiare del viso di lei
Alexander vide il blu delle
iridi e
un
sorriso accennato, rosa come le sue labbra, che era lì per
accoglierlo. «Anche io.»
Sbagliarono l'incastro del bacio, ma senza farsi
male. Lo aggiustarono
in
un brevissimo momento, d'istinto.
Senza la luce a bagnargli le palpebre chiuse, lui
scoprì una
cosa
nuova mentre si sdraiavano: avevano tolto al mondo i suoi colori e un
pezzo della sua essenza, quella che lo rendeva parte di una giornata
che non era ancora terminata. Anche se in lontananza i rumori esterni
non erano cessati, in quella stanza era già notte, un
momento
del giorno da dedicare al riposo oppure solo a loro due, senza alcuna
fretta. Gli sembrò di avere davanti ore per fare tutto
quello che volevano. Come la
prima volta, ma senza più l'imbarazzo di non sapere cosa
fare e
senza l'incertezza di come sarebbe andata a finire.
Quella del buio - della penombra profonda, non gli
pareva
più un buio totale - era stata una trovata geniale.
Tornò ad accarezzare lo stomaco di lei
sotto la felpa e la
sentì inarcarsi senza remore, il bacino sollevato.
«Posso usare la tua idea?» gli
sussurrò Ami, una
mano sotto la sua camicia, un sorriso dietro la voce bassa.
Prende
l'iniziativa,
pensò lui. Questo
è paradiso. «Sì.»
Si chiese solo poi di quale idea si trattasse.
Le dita di lei si posarono sulle sue, mentre le
lasciava scorrere sul
suo stomaco. «Non andare così... forte. Non
subito.»
Eh?
Più leggero di
così c'era solo una
carezza che
non era nemmeno tale, una passata di dita che più che
toccare
sfiorava a malapena. La tentò ugualmente.
Ami bloccò un sospiro che poi si fece
più lungo,
un poco più forte.
Alla luce, lo avrebbe visto spalancare gli occhi.
Lui l'avrebbe toccata così solo in zone
più sensibili, ad esempio sul seno o tra le... Per non
correre
di nuovo in anticipo sui tempi, ripeté il gesto. La
reazione di lei fu identica e terminò con una stretta salda
al
polso che lui teneva fermo.
«È come il solletico, ma...
piacevole»
disse Ami.
Al buio,
sembrò che avesse una voce solo per parlare con lui.
«Anche qui?» Alexander
lasciò scivolare
polpastrelli e dorso
delle
unghie verso l'alto, evitando il petto, finendo quasi sotto le ascelle.
Ami allargò le braccia e
inspirò l'aria di
metà
stanza. «... sì» ansimò. Gli
prese le mani e non
ebbe
bisogno di chiedere.
Lui la sovrastò fino quasi a
schiacciarla. Appoggiato sui
gomiti
non era libero di toccarla come voleva, ma scartò l'idea di
adagiarsi
sul fianco non appena sentì un fruscio che accompagnava
movimenti rapidi. Si ritrasse e aiutò Ami e disfarsi della
felpa
scura che nemmeno vedeva più. Era solo un pezzo
di
stoffa che, tolto assieme alla canottiera spessa, l'avrebbe denudata su
tutto il torso.
Le aveva appena sfilato gli indumenti dalla testa
quando immobilizzò le dita. «Non porti il
reggiseno.»
«No.» La domanda di lei si
concretizzò
in un'affermazione. «Questa maglietta è fasciante,
lo sostituisce bene visto che
non
ho molto da... tenere su.»
Le avrebbe fatto smettere di credere che non avesse
niente con cui
riempirgli le mani. Cercò di non riderne. «Non
volevi
attirarmi, ma sotto avevi deciso di non portare il reggiseno?»
«... non si vedeva.»
Solo perché felpa e canottiera lo aveva
ingannato.
«Se una
prossima volta vengo a saperlo prima... ti sequestro sotto
chiave.»
Sorridendo, lei non terminò di
svestirsi. Rimase sdraiata,
con
le braccia tese verso l'alto e per metà racchiuse nella
felpa.
Quello era l'ardire nascosto dietro gli sguardi
sicuri che lei gli
aveva lanciato durante le loro sfide a scacchi. Io oso.
Alexander la venerò con un bacio prima
che potesse cambiare
idea. Ami
accennò a muovere le braccia e lui la accarezzò
lì, dove la pelle
era libera, scendendo con le mani fino a disegnarle le clavicole e poi
a riempirsi i palmi. Massaggiò coi pollici, piano.
Ami tremò. «I
love you.»
Lui lo sentì come un abbraccio. Le
sfilò del
tutto felpa e maglietta. «I
adore you.»
Si
beò della stretta che lo prese. «Will love you till the end, I
promise.»
Ricordò le parole di lei. «Day
by day, my choice.»
Ami lo sfiorò con la bocca sulle labbra.
«Fermo un
attimo.»
Il
suo respiro seppe di sorriso. Con le dita sfilò il primo
bottone della sua camicia. «One»
sussurrò, cominciando a
contarli.
One.
Come
il giorno che lui l'aveva vista seduta al tavolo della biblioteca,
andandosene in fretta per non notarla. Il primo passo.
Two.
Quando
aveva capito di non poter più esistere da solo.
Chiuse gli occhi e, tra i numeri, la
pregò di avere un po'
del
suo respiro.
Three.
Per
il cuore che lei gli aveva strappato dal petto quando lo aveva
rifiutato.
Four.
Per
quando gli aveva permesso di tornare a vivere. Per quando lui aveva
davvero cominciato.
Five.
Come
il numero dei giorni in cui era stata rapita, annichilendolo.
Mille, come gli anni che era disposto a contare pur
di non sentirsi mai
più in quel modo.
Ami indugiò con le dita sulle sue
guance, lasciandole
scorrere come se vi
fossero scie da seccare. «Posso essere solo la tua
felicità?»
Here
you are, you
already are.
«Tu
sei la mia, lo sai?»
Sì.
Era tutta la sua felicità, da proteggere
anche con un
abbraccio che non bastava a nasconderlo.
Sarebbe stato così sbagliato celarlo.
Lui era forma, peso su
di lei, calore vibrante sotto le sue mani,
sapore agognato, respiro che interrompeva il suo, odore che non doveva
mai andare via. Era incastro, quello giusto, il torso tra le sue
braccia e i fianchi tra le sue gambe, mentre premevano insieme col
bacino, piano.
Making
love
non poteva essere qualcosa di diverso: incontro di ogni
senso in cui
l'amore si ricreava daccapo. Make love, make a love, un amore
completamente nuovo, vulnerabile senza timore, come il bacio con cui
andò a percepire lui sul collo.
Sensibile, pensò, udendo l'ansito. Il
suo amore era
inebriante.
Pochi centimetri più sotto, lo
assaggiò di nuovo
e
la tensione in lui divenne così rigida da essere...
eccitante.
Le dita sul suo seno la fecero inarcare sul letto.
Per
favore, ancora.
Sì, era la sua primaria e meravigliosa
ossessione. My love.
«Più piano?» le
chiese lui.
Per scuotere la testa lei dovette attendere di
riuscire a muoverla.
Ritrovò le mani sotto la canottiera di lui, intrappolate dal
cotone alla sua pelle. Resistette all'impulso di graffiare con le dita
e le lasciò scorrere verso l'alto, portandosi via
l'indumento. Alexander liberò le braccia dalla camicia e poi
lasciò fare a lei.
Nella penombra scura Ami gli denudò il
torso sfiorandogli i
capelli, lasciando cadere la canottiera dietro di lei, giù
dal letto.
La trovò un'esperienza tanto sensuale da
volerla vedere a
colori.
Due mani le slacciarono i pantaloni e li tirarono
giù, senza
ulteriori attese.
Aiutarlo sollevando il bacino la portò a
distendere la testa
all'indietro, oltre il limite del materasso. Cercare di rimettersi
dritta non servì ad altro che a farla quasi cadere. Si
aggrappò alle mani che arrivarono a sostenerla.
«Impazienti come gatti.»
Lei?
«Io, ma per una volta anche tu, love.»
E proprio come un felino, Alexander strofinò la guancia
contro la sua.
Di nuovo al sicuro al centro del letto, a lei
uscì un
sorriso.
«Ma un gatto farebbe così.» Sollevandosi
scivolò
su di lui, petto contro petto, fino ad abbracciarlo sulle spalle.
«Se
fosse molto affettuoso.»
Lui eliminò aria per un intero secondo.
«Sempre al
buio
d'ora in poi.»
Per una volta lei lo comprese subito.
«No, la prossima
volta...»
«Sollevo le coperte?»
Cosa?
Alexander la allontanò dalle propria
ginocchia e scese dal
letto.
«Stiamo al
caldo.» Senza attendere risposta scostò il
piumino,
sollevandolo. Si liberò dei pantaloni e tornò a
sdraiarsi sotto le coperte, senza perdere un solo secondo.
Ami sorrise: si era preoccupata per niente. Non
aveva malinterpretato
il momento,
anche lui non vedeva l'ora di continuare.
Alexander la prese per la vita
mentre lei già si stava avvicinando, portandola contro di
sé tanto rapidamente da farsi colpire allo stomaco con un
ginocchio. Si mise a ridere. «Quando vuoi andare
più piano... ho bisogno di
sentirtelo
dire.» Premette la bocca contro la sua a labbra aperte e non
le permise
di ricambiare. Era già sceso a trovarle il lobo
dell'orecchio e la gola, lasciando libero il respiro lì.
Il sangue in
lei raddoppiò in
velocità per
permetterle di arrossire sulle guance e pulsare contro il suo bacio.
«Non ho detto niente.» Gli abbracciò la
testa.
Lui produsse un suono incomprensibile, che si
trasformò in...
«... no, no, no.»
Alexander si scostò all'indietro. Respirava forte.
«Era questo...?» Tornò con una mano su
di lei, ad
accarezzarla appena sullo stomaco. «Questo prima ti piaceva,
vero?»
Ami non gradì sorridere di lui.
«Cosa stai
facendo?»
«Niente.»
Si stava controllando invece, proprio quando non
c'era alcuna ragione
per farlo. «Non pensare più. Nemmeno per
me.»
«Va bene.»
Una piccola bugia innocente?
Il pensiero di protestare ancora le parve
sbagliato. A parole fendevano
il buio e la comprensione innata che avevano naturalmente quando
non decidevano da soli di metterla alla prova.
Sullo stomaco la carezza leggera le
provocò un brivido di
solletico. Più
forte, ora. Ma non voleva dirlo e continuare a dare
istruzioni. Non voleva più pensare, tutte le altre volte...
Come faceva a fargli capire che come tutte le altre volte andava
benissimo? Non le dispiaceva avvampare. Voleva esperimenti
azzardati e silenziosi, e soprattutto sentire che ad Alexander amarla
piaceva tanto da perdere la testa.
Il dorso delle dita di lui rasentò la
linea più
bassa del suo addome. Sentendo sobbalzare i propri muscoli Ami
capì d'istinto che il piacere di entrambi si trovava alla
distanza di un soffio. Lui tornò a respirare sulla sua
tempia e, con due polpastrelli, appiattì il fiocco minuscolo
ricamato sul bordo dei suoi slip.
Armata di coraggio e sensazioni, lei gli
prese le dita e le
spinse
giù. Più giù, fino a serrare forte gli
occhi.
L'ansito contro la guancia la eccitò.
«Lì?»
Lei piegò la testa all'indietro e si
nutrì
dell'aria di lui direttamente dalla fonte.
Aveva mai intuito che Ami era come lui nelle
pulsioni più
profonde?
Sì, no, forse da sempre.
Ricordava, vagamente, di essersi vergognato come
lei quando era stato
ragazzino - per un brevissimo periodo - prima di lasciarsi andare alla
scoperta di tutto il piacere che poteva provare col corpo. Il suo
imbarazzo si era polverizzato tanto velocemente da fare di lui un
segreto edonista.
Ami sarebbe stata più lenta, ma era come
se avesse spezzato
una barriera. Ora lo baciava ansimante, dondolando coi fianchi
contro le sue dita.
Lui era un perfezionista eccitato, innamorato,
inebriato: in quel
buio, in quel momento, aveva imparato abbastanza su di lei da farle
provare il
piacere più intenso di tutta loro breve esperienza. Con la
certezza di ripetersi, no
problem about it.
Ami staccò le labbra dalle sue per
inspirare, il corpo teso
e involontariamente tremante.
Sopra il cotone sottile degli slip per lui fu
facile capire quanto
premere: piano come sullo stomaco, come gli aveva detto lei, ma con un
poco più di insistenza.
Con un gemito soffocato, la mano di Ami
schiacciò la sua
dopo altri due momenti.
Right,
meno
delicatezza. E desiderò davvero dimenticarla: dove teneva
la mano, Ami era favolosamente calda. Non era diventata
così solo per sentirlo strofinare le dita su
quel punto.
Lei nascose il viso contro il suo collo, stringendo
forte le gambe,
muovendo i fianchi in una maniera...
Circolare, colse lui. Seguì il movimento
e comprese che era
la chiave di quell'attimo, il movimento giusto che- Lo
rallentò di proposito.
Ami lo stava baciando sul collo, meravigliosamente bene. Smise solo
per un momento quando lui scelse di non avere più ostacoli
nell'accarezzarla.
Il morso leggerissimo dei denti di lei sulla
giugulare sarebbe stata
una
di quelle sensazioni che sarebbe tornato a cercare ancora, per sempre.
Infilò il braccio tra il materasso e il
fianco di lei per
abbracciarla, per trattenerla meglio, mentre più sotto la
sua
mano... La sentì scivolare come su seta bollente e
morì
di un
orgasmo mentale. Lei iniziò a provarne uno vero, pulsante, e
tra
l'avanti e indietro lui sentì il bisogno di andare....
dentro.
Non
pensare
più. Parole di lei, di
prima. Le unghie
che affondarono nelle sue spalle lo convinsero a
lasciarsi andare.
Spalancò la bocca e andò a
divorare quella di
lei, catturato mentre la prendeva, inglobato senza pietà
ancora in pieno movimento, perso, teso e... Strinse gli occhi. Nella
penombra si concentrò sulle palpebre serrate di Ami, sulle
sue labbra umide e lucenti. Su quanto era bella più che mai
mentre si lasciava accarezzare senza remore, guidandolo e muovendosi
con lui solo per provare picchi più intensi, vivendoli in
ogni istante. Lui solo e solamente fino all'ultimo, poi le
levò
gli slip così velocemente che per un attimo pensò
di averli strappati. Si prese un altro momento - di decenza - per non
finirle sopra ancora mezzo vestito.
Quello che amò oltre ogni dire fu
sentirla allungare le
braccia
nella sua direzione, come se fosse naturale volerlo con lei.
Per non fallire miseramente, si
posizionò come aveva fatto
la
prima volta, con le braccia piegate oltre la testa di lei e il
bacino allineato al suo. Fu uno sforzo, ma funzionava, come
aveva letto dappertutto.
Si lasciò colpire dalla fitta del
contatto con la carne
morbida e, sistemandosi col peso sulle gambe, trovò la prima
unione incompleta, quella con cui riusciva a stimolarla maggiormente.
Ami gli chiuse i fianchi tra le gambe e
sollevò le braccia
verso le sue spalle, cercandogli la testa.
Lui annuì senza parole. Tra
poco. Oh sì, tra poco, quando fosse finita la
miglior
tortura mai inventata dall'umanità, quello strofinarsi
dall'alto verso il basso e in senso contrario che era preludio del
piacere massimo, tanto eccitante perché era già unione.
Se solo avesse potuto anche baciarla.
La carezza di Ami sulla guancia scese e si
trasformò in
presa sulla sua spalla. Lei la usò per scivolare verso
l'alto, tra lui e il materasso, lontano. Scosse la testa.
No?
«Così.» Ami gli
diede un bacio e
tornò a
sdraiarsi senza perderlo. «Così.»
Premette contro di lui col
corpo, ritrovando l'incastro per prima.
Scivolare completamente dentro di lei, a fondo, lo
portò a
cercare il sangue nel mordersi le labbra. «Per
favore.» Cosa le chiedeva?
Tregua, sollievo?
«Fai così»
insistette lei, sorridendo
con un ansito. «Va
bene, non... please.»
Delle proprie azioni, capì lui, non era
più
responsabile.
Mosse i fianchi piano all'inizio, ancora sotto
controllo.
Riuscì a godersi le carezze che riceveva e che le dava. E i
baci, God,
i baci. Li amava con tutto il suo essere.
Poi divenne una sofferenza. Si muoveva e sentiva il
proprio culmine
come se fosse già lì, dentro il corpo stretto e
caldo di lei. Troppo
presto.
«Please» gli sussurrava Ami,
affondando le dita
nelle sue spalle tese.
Alexander capì cosa gli stava davvero
chiedendo lei solo
quando
la sentì stringerlo, di proposito, anche con quei muscoli
che le facevano provare piacere.
Si tenne al cuscino, a lei, e perse la ragione. Si
mosse senza, veloce
e a fondo, non da solo. Di più, ancora.
Non udì gemiti improvvisi da Ami,
percepì solo un
abbraccio continuo, intimo e amorevole, che non lo lasciò
mai andare.
Alla fine, non ebbe nemmeno la forza di sostenersi
sui gomiti. Si
accasciò e, sotto di
lui, Ami si mosse per stringerlo di più.
Respirando velocemente contro la sua guancia,
Alexander
inspirò
l'odore di lei talmente tante volte da riuscire a percepirlo come
diverso:
sapeva di eccitazione acuta. Sazia.
Le accarezzò un gomito. «Is it...?»
«It's
fine.»
La voce di Ami si ruppe in una risata minuscola, dolce.
Tremò appena, di sensazioni svanite da un attimo. «It was
beautiful.»
Sai
perché
voglio baciarti? Per mille ragioni,
non avrebbe saputo
sceglierne una neppure lui. Lo fece e basta.
«Non sono più tanto
inesperta» disse
lei, recuperando un
briciolo di fermezza. «Io... so decidere cosa
voglio.»
Non c'era abbastanza luce da riuscire a leggere la
sua espressione.
«Okay?»
La notò ugualmente abbassare lo sguardo.
«A me una volta sola...»
Stava arrossendo.
«... basta. È
sufficiente.»
Ah.
Si
sentì sorridere. «Perciò sbagliavo
a...?»
«No. Cioè sì,
se ti trattieni. Non farlo più, non è... Non
è quello che piace a me.»
Lo aveva notato. Non le era semplicemente grato,
l'aveva scoperta in
una maniera... Com'era sempre stata, si rese conto. Generosa.
Ami non aveva smesso di parlare. «Inoltre
a me... I
really liked it even when...»
L'inglese era anche la lingua delle confessioni
molto imbarazzanti.
Lui ebbe un'intuizione. «Una seconda
volta?» C'era
stata?
Il silenzio carico gli diede la sua risposta.
Damn,
I'm really good.
Scuotendo la testa, Ami iniziò a ridere.
«Dobbiamo
riprendere a studiare.»
Ma certo. La baciò sulla guancia.
«Guastafeste.»
Lei spalancò la bocca.
Lui si ritrasse, sedendosi. «Ti perdono
solo se con la luce
accesa
non ti
copri.»
La risata lo contagiò.
Oh
sì.
Ridere e ridere, non voleva fare altro con lei. Oh, e
studiare. Ah, e
fare l'amore. E... well,
troppe cose.
Tornò in piedi, caldo delle coperte,
stremato e rinato.
Ami cercò il piumino e se lo avvolse
attorno.
«È
stato...
Senza parole, lo sai?»
Sì.
Senza parole, indescrivibile.
Era vivo in un mondo perfetto.
NdA
: Lo sapevo. Se gli davo il suo tempo, questo capitolo poteva
piacermi molto. Non è stato semplice scriverlo, ma ora che
ce l'ho qui davanti, nella sua interezza, mi lascia la sensazione che
cercavo sin dall'inizio. Forse non c'è una sola parola.
Tenerezza, un po' di quel tocco di Red Lemon che doveva esserci e...
profondità? Volevo rendere il capitolo intenso e
interessante in ogni senso.
Non so se ce l'avrò fatta per tutti,
forse parlo ispirata
dall'amore del momento per il capitolo appena dato alla luce :)
In ogni caso, grazie di essere qui a leggere.
ellephedre
Traduzione di alcune frasi:
- well : intarcalare, come 'beh'.
- I
adore you. [...] Will love you till the end, promise. [...] Day by
day, my choice : Io ti
adoro. Ti amerò fino alla fine, promessa. Giorno dopo
giorno, la mia scelta.
- Here you
are, you
already are : Sei qui,
lo sei già.
-
Damn, I am really good :
Dannazione, sono proprio bravo.
|
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Capitolo 8 *** Usagi/Mamoru III ***
redlemon8
Red
Lemon
Autore:
ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
8
- Usagi/Mamoru III
Ambientato nell'estate
del 1995, ovvero quasi un anno
e mezzo prima di Verso l'alba e un anno dopo 'Oltre le stelle'.
Il posizionamento dello scotch sull'apertura dello scatolone
riuscì talmente bene che Usagi per un momento non ci
credette.
Lisciò con una mano la striscia spessa e scura fino ad
appiattirla contro il cartone. Nemmeno un pezzetto in
rilievo. «Yuhuu! Questo non l'ho rovinato, è
pronto per
essere
portato di sopra!»
Mamoru controllò la scritta
che
aveva apposto sul lato della scatola. «Usako, questa poteva
anche
rimanere aperta. Sono solo libri.»
Per leggere a sua volta, Usagi si piegò in due.
Rilasciò
un sospiro sconsolato e si abbandonò seduta sul pavimento in
moquette.
Sotto i pantaloncini, il contatto con la superficie in pelo le fece
rilasciare una smorfia di fastidio. «Non ne combino una
giusta.» E in
quella stanza si moriva di caldo, come in tutta Tokyo.
«Non è vero.» Mamoru terminò
di chiudere
la scatola con gli
ultimi
piatti che gli rimanevano. «Non sei obbligata ad aiutarmi, mi
stai
dando una mano.»
«Come potevo non aiutarti? Ti stai trasferendo nella tua
nuova casa!»
Sì, pensò Mamoru. E ne era felice, anche se
sarebbe
andato a stare solo due piani più sopra nello stesso
edificio.
La differenza reale l'avrebbe avuta nello spazio a sua disposizione:
passava da un bilocale con cucinotto e bagno a un trilocale con tutta
una stanza in più. Il bagno era più largo e la
cucina era
anch'essa più grande, anche se sempre a vista: a lui piaceva
così. Si trattava ancora di un appartamento, ma la nuova
abitazione gli apriva maggiori prospettive per il futuro. Smettendo di
pagare un affitto stava mettendo in atto un vero e proprio investimento
per l'avvenire suo e di... Se lo avesse detto a Usagi, non ne avrebbe
più sentito la fine.
La verità era che in campo
immobiliare bisognava muoversi con molti anni di anticipo, come gli
aveva suggerito l'agente che gli aveva venduto la casa.
"Questa è una zona in espansione, Chiba-san! Il valore degli
immobili sta aumentando! Tra tre anni lei non si potrà
più permettere questo bellissimo appartamento, sa? Se ha i
soldi
ora, è una pazzia lasciarsi sfuggire questo affare."
Lui ci aveva creduto dopo essersi informato tra i vicini. Due
degli inquilini dei piani inferiori, in affitto come lui, gli avevano
confermato la validità dell'investimento.
"Uff..." aveva sospirato Kamiya-san, l'inquilina dell'appartamento 4 al
secondo piano. "Se solo potessi comprarlo io..." Aveva quindi proceduto
a flirtare apertamente con lui, forse confusa dal fatto di vederlo in
casa sua a bere un tè. Mamoru l'aveva garbatamente respinta
e si
era ripromesso di non farsi mai sfuggire notizia di quella vicenda con
Usagi: la gelosia di lei era sempre dietro l'angolo.
Usagi si mise a sedere sullo scatolone appena chiuso. Si
strofinò la fronte sudata col dorso della mano.
«Oggi è come una sauna...»
Già. Agosto 1995, piena estate, appena pochi giorni dopo il
compimento dei suoi vent'anni. Il caldo era asfissiante e persistente,
ma a Mamoru non
importava. Era diventato maggiorenne a tutti gli effetti e si stava
addirittura comprando una casa. Era fiero di se stesso.
«Oh.» Lo scatolone si piegò sotto il
peso di Usagi. «Fortuna
che
sono solo libri» ridacchiò lei. «A
proposito, sai che cos'ha
avuto
il coraggio di dirmi Shingo l'altro giorno?»
«No.» Mamoru stappò il pennarello blu
con la bocca e si
preparò a scrivere su un nuovo pezzo di cartone. Roba di cucina.
«Mi ha detto che sono ingrassata! Allora io per smentirlo
sono andata a
pesarmi e.... be', non gliel'ho detto, perché credo che la
bilancia sia rotta. Sarà più di un anno che non
mi peso,
ma non è possibile che io abbia preso quattro
chili.» Si
alzò in piedi e lisciò la maglietta contro il
ventre. «Vero?»
Lui le lanciò una rapida occhiata.
«Sì»
bofonchiò.
«Sì, non li ho presi?»
Mamoru terminò di scrivere e si
concentrò. «Sì, nel senso che
anche io ho visto che-» L'espressione di
lei
lo fermò all'istante. «No. Non quei chili in
più,
solo
che-»
«Solo che cosa?»
Gli occhi di Usagi si erano fatti feroci.
«In senso buono!» si affrettò a dire.
Capì
che non
stava andando meglio quando lei incrociò le braccia.
Si sollevò sulle ginocchia, tentando un avvicinamento.
«Nel
senso che sei cresciuta.»
«In altezza?»
«No-»
«Allora mi trovi grassa!»
«No!»
«Fa troppo caldo perché io stia a sentire queste
cose!»
Usagi
gettò a terra il nastro di scotch. «E in frigo tu
non hai
neanche una bibita fresca!»
Mamoru spalancò gli occhi. Cos'era quello scoppio d'ira?
Non fece in tempo a capacitarsene. Usagi era
già in corridoio. «Vado a comprare
qualcosa!»
«Usagi...» la seguì lui.
Lei si voltò e pestò un piede a terra.
«Pensavo
che fossi diventato più sensibile su questi
argomenti!»
Mamoru non capì nulla. «Non ho detto che sei
grassa.»
«Solo appesantita.»
«Non è vero!»
«Be', qualunque cosa pensi, a me non piace! Non potevi solo
dirmi 'Ma
figurati, tuo fratello è pazzo?'»
«Non ho detto che sono d'accordo con lui. Non mi hai neanche
lasciato
finire di-»
«A volte non ci vogliono grandi frasi. Ci vuole solo un po'
di
supporto. Un poco di sensibilità!»
L'accusa ripetuta lo irritò. «Cerco sempre di
pensare a
quello
che ti dà fastidio sentire prima di parlare.»
Quando mai era
stato insensibile negli ultimi tempi?
«Quindi mi nascondi la verità?»
Forse lei avrebbe fatto meglio a decidersi. «No. Ma sembra
che sia
quello che vuoi tu.» Ora lui non poteva neanche aggiungere un
'ma' che
subito veniva frainteso, neanche fosse un crimine offrire il suo punto
di vista.
«Vedi che lo stai dicendo di nuovo?! Si può sapere
cosa ti
costava dirmi che-?» Usagi si bloccò e
afferrò con uno scatto la
propria borsa. «Non mi importa!»
Non le importava?
«Tu non mi stai nemmeno ad ascoltare!»
«Perché su cose come questa tu non fai che
criticarmi!
Prendo
peso ed è perché ho mangiato troppo, non ottengo
ottanta all'esame ed è perché non studio mai
abbastanza-»
Non le aveva mai detto niente con quel tono! E nemmeno quelle cose che-
«Faccio qualcosa di sbagliato ed è sempre colpa
mia!»
«È un controsenso!» Lei stava andando
talmente a
razzo con quella
pazzia che lui nemmeno riusciva a seguirla.
«Non importa se è un controsenso! Non m'importa se
non
è
logico, io volevo solo che... A te devo sempre spiegarlo!»
Evidentemente sì, visto che lui ci stava provando con tutte
le sue forze ma non stava capendo niente. A quanto
pareva
non aveva mai capito nulla, dato che aveva sempre bisogno di
una spiegazione. «Non spiegare» le disse, ironico.
«Dimmi cosa vuoi che
ti dica.» Sembrava che contasse solo quello.
Usagi si infilò la borsa al braccio, lo sguardo basso e la
bocca tesa. «A Seiya non avevo bisogno di dirlo.»
Mamoru si fece rigido.
... a chi?
E cosa diavolo c'entrava?
Usagi si accorse di quello che aveva detto.
«Non lo
intendevo in quel senso.»
Già. Solo nel senso che richiedeva la
menzione di una terza persona in una faccenda che riguardava solo loro.
Se ne tornò in salotto.
«Non lo intendevo in quel modo! Non devi credere
che-»
«Non lo credo! Ma se tu fraintendi ogni cosa che dico,
sappi che sta cominciando a valere anche il contrario!»
«Non voglio che ci sia alcun fraintendimento su-»
«Nemmeno io!» La interruppe di forza, prima di
sentire un'altra
volta quel nome. «Perciò è meglio se
vai a casa.»
Attonita, Usagi esitò un attimo. Poi si diresse in corridoio
e aprì la porta.
Quando Mamoru la sentì chiudersi violentemente,
serrò i pugni.
E poi era lui quello che veniva accusato di insensibilità.
Per venire a capo di quello che era successo, Usagi si era prima
concessa un bel pianto. In camera sua, da sola.
Che disastro. Che disastro, che disastro, era tutto orribile!
«Usagi?»
Sollevò la testa, liberandola dal rifugio delle
braccia incrociate sul tavolo. Sulla porta sbucava il muso di Luna. Lei
interpretò il suo silenzio come un invito a entrare e Usagi
non ebbe parole per ringraziarla: era una mano tesa nel buio della
tristezza e del risentimento che non riusciva più a
sopportare.
«... che cos'è successo?» fu la domanda
cauta di Luna.
Usagi tirò su col naso. Disgustata, prese un fazzoletto e
soffiò. «Ho... litigato con Mamoru.»
Luna rimase preoccupata, ma rilasciò anche un sospiro. Aveva
fatto anche un'altra
deduzione: che fosse stata lei a cominciare.
Veniva presa per una
bambina e un'immatura nella relazione tra lei e Mamoru e se c'era
qualcuno a cui dover dare la colpa di qualcosa... be', l'attribuzione
della responsabilità era sempre automatica. Ma chi poteva
biasimare? In quel caso era stata proprio lei a iniziare, anche se...
Scosse mesta il capo. «Non è stato un bel litigio.
Mamoru mi
ha detto di andarmene.» Come aveva potuto?
Luna avanzò silenziosa sui cuscinetti. Spuntò
sopra il tavolo. «Gli avevi detto qualcosa di
brutto?»
... Sì. Anche se quando lui non la lasciava spiegare, lei
avrebbe voluto
torcergli il collo e mettersi a piangere.
Strinse i pugni. «Oggi ero così nervosa. Dovevo
parlargli di una
cosa molto importante.»
«Di che cosa?»
«Ho iniziato parlando di una sciocchezza. Dei chili che ho
preso, sai?
Volevo solo che mi dicesse che non li vedeva nemmeno, che mi
dimostrasse che... Lui non lo fa apposta, ma si comporta come te.
Quando
faccio qualcosa di giusto, per lui non è mai
abbastanza.»
Luna arricciò la coda attorno al corpo.
«Hm... non
è proprio così, Usagi. Comunque so che
posso sembrarti molto critica, ma Mamoru non è come
me.»
Infatti. «Non è che mi critica, lui... mi fa solo
notare quello che ho fatto di sbagliato, per farmi rimediare
la prossima volta. È come se ogni mio risultato buono fosse
solo
naturale, il minimo che può aspettarsi da me. Lui non fa
fatica a ottenere tutto quello che si prefigge, mentre io...»
Appoggiò la fronte contro
il palmo della mano. «Per il peso, lui stava sicuramente per
dirmi
che dovevo solo impegnarmi per perdere quello in eccesso. Come
se fosse
colpa
mia se l'ho preso.»
Luna chiuse la bocca prima di parlare.
«Ma il problema non è questo. Io volevo solo
che...» Aveva un bisogno infinito di supporto e fiducia.
«Che cosa dovevi dirgli di importante?»
Usagi raddrizzò la schiena. Asciugò col dorso di
un dito l'ultima scia di lacrime. «Voglio tentare
l'ammissione alla
Todai.»
Qualunque cosa si fosse aspettata Luna, non era quella confessione.
Lei sgranò gli occhi.
«L'università?»
«Sì.» Cos'altro si chiamava Todai? Era
l'università più importante della
città e dell'intero paese. L'università che
frequentava Mamoru e a cui solo Ami aveva osato aspirare.
La prima reazione di Luna - un minuscolo sorriso - le
confermò tutti i suoi timori.
«Non ce la farò mai, vero? È solo
un'idea,
solo...»
«No no.» Luna sospirò.
«È
solo... un obiettivo molto
ambizioso.»
Fuori dalla sua portata, cioè. «Per questo ci sto
pensando
con più di un anno di anticipo. Se non inizio ad impegnarmi
ora...»
«Certo. Sono orgogliosa di te, Usagi.»
«È un bene che sia ambiziosa?»
«È una cosa molto positiva che tu stia pensando a
obiettivi
tanto
grandi.»
Il che non significava che li avrebbe raggiunti, ma non chiedeva a
nessuno di credere in miracoli che spettava solo a
lei raggiungere.
«Mamoru riderà.» Era quello il problema,
la ragione
del suo
nervosismo, il motivo per cui gli aveva dato contro alla menzione di
una minima critica.
Luna si rassegnò a guardare il soffitto. «Non
è
vero.»
«Non in modo cattivo, però... Lui
sorriderà di
questa idea.» Con fare benevolo e comprensivo, Mamoru non
l'avrebbe
dissuasa dal concentrarsi sul suo obbiettivo, ma tra sé
avrebbe pensato a quel suo proposito come il desiderio esagerato di una
ragazzina che si stava dando da fare per crescere piuttosto che
la legittima aspirazione di una persona grande che si sforzava con
tutta se stessa per fare del suo meglio, conscia dei suoi futuri
doveri.
«Lui ti crede capace di fare tutto quello che ti metti in
testa.»
Sì. Nei panni di Sailor Moon. «Questa non
è una
faccenda di battaglie, Luna. Vorrei solo che avesse più
fiducia nelle mie capacità di persona... normale.»
Luna non la comprese. «Allora perché non glielo
dici?»
Perché non avrebbe voluto doverglielo dire. Forse era
davvero immatura e sciocca, ma si era sentita oppressa. Non da
lui solamente, ma dalla consapevolezza che, anche solo per un
secondo, tutti quanti l'avrebbero derisa nel sentirla dichiarare
che università voleva frequentare.
Noo, Usagi Tsukino che
pensa di andare alla Todai! È più facile che
costruisca un
razzo per andare sulla Luna!
Pensieri suoi, esagerati, ma la vergogna era uguale.
Sua madre aveva già sorriso quando lei aveva
menzionato per caso l'idea.
"Figlia mia... magari!" L'aveva sentita emettere un grosso sospiro,
interrotto da
una risatina sotto voce.
Si sarebbero divertite anche le ragazze. Persino Minako le avrebbe
detto, "Usagi...Non è che questa volta stai puntando troppo
in alto?"
Da Mamoru, dal suo ragazzo, lei avrebbe voluto solo supporto!
Lui però non era capace di darglielo nemmeno per una cosa
come
due
insignificanti chili di troppo... O quattro, va bene! La opprimevano
pure quelli, perché la bilancia non era rotta e lei non
sapeva nemmeno come li aveva presi!
«Usagi...» Luna si piazzò di fronte a
lei. «Credo che sia
più un problema tuo che suo.»
Ne era cosciente, ma questo non la rendeva più serena.
«Hai combinato disastri per tanti anni, non puoi pretendere
che ora gli altri non se ne ricordino.»
Luna era un genio a rigirare il dito nella piaga.
«Però sei anche maturata da allora, ce ne siamo
resi conto
tutti. Secondo me stai pensando che Mamoru riderà della tua
idea solo perché sei la prima a essere insicura.»
Sì! Da morire, per questo voleva appoggiarsi a lui e non
avere alcun dubbio sugli incoraggiamenti che le avrebbe dato.
Luna piegò piano la testa di lato. «Che cosa gli
hai detto di così
brutto?»
Se ne vergognava troppo per parlarne.
Nella sua testa non c'era mai stato alcun paragone con Seiya, ma lo
aveva fatto sembrare tale nel tirare fuori il suo nome davanti a
Mamoru. A metterlo in quel discorso aveva fatto sembrare Seiya
una specie di...
alternativa. Si coprì gli occhi.
Aveva pensato a lui per una ragione molto semplice: la
sua era stata l'unica voce di supporto che le era venuta in mente.
Seiya
aveva sempre creduto incondizionatamente che lei fosse capace di fare
tutto quello che si metteva in testa, senza alcun limite. D'altronde,
l'aveva conosciuta solo per pochi mesi; non aveva assistito come tutte
le sue amiche e Mamoru ad anni di entusiasmi facili e disastri a catena.
Inoltre per Seiya era stato facile dirle tutto quello che lei voleva
sentire: di carattere erano stati molto simili. Allegri tutti e due,
sempre pronti a dirsi 'Non mollare mai!', anche di fronte a obiettivi
impossibili. Il successo non era importante, contava il percorso e
crederci fino all'ultimo istante possibile.
Usagi si sarebbe detta ancora
d'accordo con lui se i suoi obiettivi non fossero cambiati: era
arrivata ad un punto della sua vita in cui si era resa conto che gli
insuccessi non erano più un gioco di cui poteva
ridere.
Sperava che Seiya stesse bene a casa sua, nel suo pianeta. Le mancava
soprattutto poter sapere che anche lui e gli altri stavano realizzando
i loro desideri, dopo la dura battaglia che avevano combattuto insieme.
Luna rilasciò un grosso sospiro. «Mamoru non
è un
ragazzo che si arrabbia facilmente. Faresti meglio a fare pace
subito.»
Scese dal tavolo e uscì dalla stanza.
Usagi guardò la porta socchiusa.
Quelle parole erano pura verità.
Quando Mamoru trovò la porta del suo nuovo appartamento
aperta, per un momento pensò a una distrazione.
Portava scatoloni e mobili su nella nuova casa da tutto il pomeriggio e
da
metà sera. Anche se pensava di aver chiuso l'ultima volta
che era uscito... Un ricordo preciso, un raggio di sole sulla sua mano
mentre aveva fatto girare per l'ultima volta la chiave, gli fece capire
che non era stato lui a lasciare la porta priva di protezione.
Alle nove il sole stava appena tramontando e non fu necessario
accendere le luci nel corridoio per vedere. La parete vicina era
illuminata di arancione. In sottofondo si udiva un rumore basso, di
aria che circolava.
Il nuovo condizionatore.
Mamoru sorpassò gli scatoloni che aveva lasciato
nell'ingresso e arrivò in salotto, silenzioso.
Nel vederlo, Usagi trasalì e si spostò dal getto
d'aria che aveva preso in pieno petto.
«Stavo... Sarei venuta di sotto.»
La sua presenza non lo sorprese molto.
Se qualunque loro discussione si concludeva nel giro di una giornata,
era perché lei si muoveva per chiarire prima che
facesse notte. Spesso al telefono, ma quello era un
litigio che non poteva essere appianato senza guardarsi negli occhi.
Peccato che lui non avesse ancora voglia di cercare una
riappacificazione.
Si diresse verso la sua nuova camera, ad appoggiare sul letto i due
cuscini che portava sotto il braccio.
«... dormirai qui stanotte?»
Sì. Aveva accelerato il trasloco durante la giornata, senza
darsi neanche un momento di respiro. Non aveva avuto voglia di
mettersi a pensare a una certa faccenda: non ne sarebbe uscito niente
di buono, a parte fantasie negative prive di alcun fondamento.
«Mi dispiace.» Nel tono di Usagi si nascondevano
fatica e risentimento. «È stata colpa mia
oggi.»
«Già.» Appunto per questo dimostrarsi
più pentita
non le avrebbe fatto certo male. Sarebbe stata una bella prova della
tanto decantata sensibilità che richiedeva a lui.
In piedi vicino alla finestra, lei aggrottò la fronte,
rigida.
Mamoru afferrò le lenzuola impilate sulla sedia e le
dispiegò in aria, sopra il letto, lasciandole ricadere.
«Non avrei dovuto nominare Seiya.»
Ma continuava a farlo, pensò lui a denti stretti.
«Allora
non parlarne più.»
«Lui non mi interessa!» gridò Usagi.
«Mi importa solo quello
che ti ho fatto pensare!»
Oh, ma non gli aveva fatto pensare niente.
Lui era stato bravo a evitare del tutto qualunque idea in merito da
quando lei se n'era andata. Lo sforzo era stato sovraumano e
spiacevole, ma necessario.
«Oggi ero nervosa. Per una cosa che... Per un problema mio,
anche Luna
me lo ha fatto capire. Non ne ho parlato né con te
né con le
ragazze finora. Seiya era solo l'idea di una consolazione
che-»
Lui schiacciò le mani sul letto, piegando tra le dita le
lenzuola appena stese. «Oggi continui a fartelo venire in
mente.»
«Sto solo cercando di spiegarmi.»
«Oramai mi hai costretto a fraintenderti, perciò
rispondi ad
una domanda.» Fece fatica a tirarla fuori.
«La risposta è no!» Usagi
salì in ginocchio sul
letto, afferrandogli le braccia. «Non penso a lui in quel
modo, erano
mesi che non mi ricordavo di quando era qui!»
«E che cosa faceva
quando era qui?» Aveva sbagliato a non chiederle altro fino a
quel
momento?
«Niente» rispose Usagi, con un filo di voce
accorato. «Eravamo solo
amici.»
Ma lei non aveva mai infilato una delle ragazze nelle
loro
discussioni, soprattutto per fargli notare una sua presunta
mancanza.
«Io ti do più di chiunque altro»
sibilò,
afferrandola per le spalle. «Non è colpa mia se
non sono
nella tua testa, ma nessuno ti conosce più di me!»
«È vero» espirò Usagi. Si
aggrappò a lui. «Ero
arrabbiata, Mamo-chan.» Lo intrappolò con le
braccia attorno
al collo. «È colpa mia.»
Lui cercò di allontanarla. Non la voleva vicina quando aveva
voglia di imprimere tanta forza da rompere qualcosa. Voleva anche
stringerla fino a rischiare di farle male, solo perché non
poteva
sopportare l'idea che lei volesse la consolazione di un'altra persona.
Usagi affondò le unghie nelle sue spalle, senza spostarsi di
un centimetro. «Non mandarmi via come prima.»
«Io non voglio perdonarti.»
Il brivido di lei gli fece venire voglia di imprecare.
«Non
voglio che
ci sia niente per cui doverti perdonare.» Non capiva?
«Non c'è! Io penso solo a te in questo modo, non
voglio che
ci sia nessun altro al posto tuo!»
«Allora perché-?»
«Perché voglio andare alla Todai!»
La dichiarazione lo immobilizzò sul posto.
Cosa?
Usagi lo lasciò andare. «Per favore, non ridere.
Nemmeno un
pochino, per favore.
Lo hanno già fatto mia madre e Luna. Lo faranno anche le
ragazze quando glielo dirò e l'unico che forse non avrebbe
sorriso era Seiya. Perché non mi conosceva abbastanza ed era
un illuso, come me. Tutto qui, non ho pensato a lui per nessun altro
motivo. Tutto qui.» La sua voce si fece piccola.
«Alla Todai?» ripeté Mamoru.
Lei si rifiutò di abbassare lo sguardo.
«Sì.
Voglio provarci, anche se non ce le farò mai.»
Mai non gli
piaceva in bocca a lei. «Hai ancora un anno.»
«Esatto. Ce la metterò tutta.»
«Ma è una decisione definitiva o-»
«Definitiva!» si affrettò a dichiarare
Usagi. «Se mi
concentro sui 'se' poi sarò tentata di abbattermi e lasciar
perdere tutto, invece... Io voglio farcela, capisci? Devo
farcela!»
Sembrava un grido d'aiuto. «Certo che ce la farai.»
Anche se
concorrevano in migliaia per passare l'esame di ammissione, tra i
migliori studenti di tutto il paese.
«... non lo dici perché è quello che
voglio
sentire, vero?» Usagi si sedette sulle ginocchia.
«Come hai detto
oggi. Anche se fa male, preferisco la verità.»
«È la verità. Ti aiuterò, se
sei
decisa. Non
sarà facile, ma ci sono migliaia di posti, non
solo migliaia
di candidati. Riuscirai a entrare anche tu, supererai chi
devi.»
Riprendendo a respirare, Usagi tremò.
«Pensavo...»
Sembrò confusa. «Oggi stavi per dirmi che mi
vedevi
appesantita.»
No, quello era il
modo in cui lei
aveva buttato giù la faccenda. «Volevo dire che
sapevo
dove stava quel peso.»
«È la stessa cosa» si risentì
Usagi.
Lui le prese il viso tra le mani. «Adesso mi lasci
finire.»
Usagi si zittì prima di dire un'altra parola.
«Ti avevo detto che non eri cresciuta in altezza, ma oggi mi
hai fatto
venire il dubbio. Mi sono misurato contro la parete, era tanto che non
lo facevo. Ho visto che ho preso un paio di centimetri. Se non vedevo
differenze con te, devi averli presi anche tu.» In fondo,
stavano
terminando entrambi l'età della crescita.
«Ma oggi mi hai detto che non ero più
alta.»
«Sì.» Le impose di nuovo il silenzio con
un pollice sulle
labbra. «Infatti all'inizio stavo pensando solo a come ti
avevo notata
più rotonda qui.» Lasciò scivolare la
mano sul
suo petto, prendendole tutto un seno dentro il palmo. Le fece
spalancare la bocca e trovò una risata silenziosa assieme a
lei nel gesto. «E poi anche dietro. Intendevo 'cresciuta' in quel
senso.»
Usagi voltò la testa, cercando di guardare in fondo alla
propria schiena. «Perciò, se ho preso un paio di
centimetri come te e sono diventata anche più...»
Invece
di concludere
la frase, sorrise tra sé e arrossì di gioia.
«Quando ti sei pesata l'ultima volta?» le chiese
lui.
«Cinque giorni fa.»
«No, prima dell'ultima volta.»
«Ah....» Per ricordarlo, Usagi impiegò
un momento.
«Ehm... quando avevo
quindici anni? Quando mi era venuto davvero un rotolino di ciccia sullo
stomaco. Tu me l'avevi fatto notare!»
No, l'aveva costretta a rendersene conto un mostro che si dilettava a
insegnare danza, stringendole la vita fino a farla quasi soffocare.
«A
diciassette anni è normale pesare di
più.» Anche
aver preso un paio di centimetri, soprattutto se non ci si misurava da
anni, come di sicuro era capitato a lei.
«Hai ragione!» rise Usagi. «Non sono
grassa!»
Infatti lui non lo aveva mai detto né lasciato intendere. A
parte un paio di volte due anni prima, certo, ma aveva imparato la sua
lezione allora.
Usagi abbassò lo sguardo su di sé. «E
ti piaccio
di più così?» Indico la mano che lui
non aveva
ancora staccato dal suo petto.
Gli impedì di rimediare quando mise il palmo sopra
quello di lui. Più che contro il seno, gli premette la
mano contro il cuore.
«Non litighiamo più.»
Se lo ripromettevano tutte le volte. Era un sollievo ogni volta.
«Mi dispiace» continuò Usagi,
circondandogli le spalle con
le braccia. «Anche tu hai capito che non ho mai pensato a
nessun altro?»
Lui capiva soprattutto che quella frase era una dichiarazione
esagerata,
genuina però nelle intenzioni e nel sentimento.
Si abbassò a premere la bocca contro quella di lei, calda
come la pelle del suo viso e del suo corpo. La temperatura era rimasta
alta anche di sera; avrebbe dovuto sentire fastidio nel toccarla,
ma dimenticò la sensazione nell'istante stesso in cui la
provò. Baciarla in quel momento era come diventare una
fornace lui stesso: tornare fresco lo avrebbe fatto sentire come ferro
abbandonato sotto il gelo.
Usagi sembrò avere il suo stesso
pensiero, premendosi contro di lui con tutto il
torso sino a sedersi sulle sue
ginocchia.
Lasciò scorrere le mani su di lui verso il basso, lungo i
fianchi, tracciando sulla sua maglietta una scia che lo
solleticò su milioni di terminazioni nervose. Lei raggiunse
l'orlo dell'indumento e lo sollevò con entrambe le mani, di
fretta. Lui la aiutò con le braccia alzate e poi
tornò a
stringerla per la vita, trovandole il collo con un bacio leggero,
delicatamente vorace.
Usagi gli passò una mano tra i capelli. «Il mio
adorato
Mamo-chan» sussurrò.
Sorridendo, lui le infilò le mani sotto
la maglietta
scollata e priva di maniche. Si dimenticò di dirle quanto
gli piaceva quando le prese i seni tra le mani. Non resistette e
abbassò subito le coppe leggere che la coprivano,
scoprendole i capezzoli e iniziando a giocarci.
«Il mio bellissimo Mamoru...»
Grazie. Non
fece in tempo a continuare che Usagi si era già allontanata,
seduta sul letto.
La vide togliersi la maglietta, veloce. Volle quasi pregarla di non
farlo fino a che non vide l'effetto del reggiseno scomposto e abbassato.
Non si mosse perché fu Usagi a raggiungerlo per prima,
abbastanza da riuscire a baciarlo e da tenersi separata da lui con il
resto del corpo, adagiandosi all'indietro, sulla schiena. Lui non
capì la ragione della distanza fino a che non
sentì la carezza della mano di lei sulla gamba dei
pantaloni, mentre risaliva senza soste.
«Non hai caldo?» la sentì chiedere in un
ansito, sollevando
leggermente il corpo, come a cercare una sensazione che la portava a
vibrare. Con la mano premeva e scivolava insistente su di lui, il palmo
largo e
fermo.
Sì, pensò lui. Faceva un caldo asfissiante. E
sarebbe morto in quel modo, felice e senza rimpianti.
Appoggiò il peso del torso sui gomiti, abbassandosi piano.
Un bacio lo sfiorò sul mento.
«Ti piace?»
Annuendo, lui quasi la colpì sul naso.
Le dita di lei cercarono il bottone dei suoi pantaloni e Mamoru non
resistette più: iniziò lui stesso a toglierli,
muovendo la mano confuso e al contempo preciso. Con la bocca si
ritrovò su quella di lei quasi per errore e, inebriato, non
la
lasciò più respirare, fisicamente costretto a non
smettere di mangiarla con tutti i baci che poteva darle.
Insieme produssero il suono soffocato di due creature che provavano a
muoversi il più possibile senza staccarsi.
Usagi gli sfuggì e lo trovò sullo sterno con la
bocca. Risalì piano, puntando la sua spalla con il cammino
tortuoso delle labbra. Più sotto aveva infilato la mano
dentro i suoi pantaloni aperti e sembrava aver imparato di colpo cose
che lui nemmeno le aveva detto.
Slacciandole il reggiseno sulla schiena, lui tentò di
scostarlo il più possibile per stuzzicarle il petto. Tra
due dita sentì una delle punte incredibilmente turgida
nonostante il caldo.
Le meraviglie dell'eccitazione.
Scese lungo la schiena scoperta di lei, godendosi ogni centimetro di
pelle liscia e morbida. Sensibile, come scoprì per
l'ennesima
volta quando affondò col dito in una piccola avvallatura
della schiena. Usagi tremò. Una carezza della sua mano - una
stretta decisa - lo spinse a
chiudere gli occhi.
Mordendosi il labbro inferiore, abbassò il tessuto dei
pantaloncini di lei, concentrandosi nel riempirsi il palmo.
Usagi si agitò sotto il suo tocco, portandolo a fremere con
la stretta delle dita, forte al punto giusto.
«Se ora sono più...» cercò di
dirgli.
«Sì» rispose subito lui. A qualunque
cosa. Cominciò a spogliarla
completamente e lei lo prese come un invito a fare lo stesso con lui.
Finirono con l'occuparsi ciascuno solo di loro stessi, ritrovandosi
nell'istante in cui non ebbero più nulla addosso.
Usagi lasciò affondare la nuca nel cuscino. Lui la raggiunse
lì col volto e la udì mormorare cosa voleva.
Lei glielo comunicò in silenzio anche con le ginocchia
piegate alte all'indietro, che più che stringerlo gli
diedero semplicemente campo libero, tutto lo spazio del mondo per
piegare a sua volta le gambe e darsi maggior leva.
Entrare dentro di lei lo fece fondere. Usagi si sciolse letteralmente
assieme a lui, lasciando cadere sulle lenzuola un braccio privo di
forza.
Le sue certezze stavano in quell'abbandono di sensi totale e in quella
concessione di fiducia assoluta, pensò lui. E se l'amava era
perché non poteva vivere facendone a meno, senza ricambiarla
allo stesso modo.
Usagi gli artigliò le braccia, violenta e delicata,
chiedendogli di farli morire di caldo e piacere entrambi. Fu quello
che lui fece, finché ebbe forza negli arti e
volontà nella testa. Poi sparì ogni cosa, persino
loro due come esseri separati. Vibrarono, si teserono e impazzirono
nello stesso preciso istante, come non succedeva quasi mai.
Non c'è
nessun altro per te, le disse nella propria mente.
Tornò a crederci completamente anche lui.
«Abbiamo l'aria condizionata anche qui»
mormorò Usagi, dando
per la prima volta un senso al lieve ronzio che udiva nella stanza.
L'apparecchio di condizionamento era attaccato tra muro e soffitto,
nell'angolo opposto a quello in cui si trovavano loro.
Mamoru seguì il suo sguardo. «Così non
mi arriva
direttamente sul corpo. Ad esagerare ci si ammala.»
«Per questo stavi venendo a dormire qui questa
sera?»
Lui annuì. «Hanno terminato di installare
l'impianto
stamattina.»
Funzionava alla perfezione, constatò lei. La calura
insopportabile se n'era andata e si iniziava a provare persino un
brivido di freddo. Sul suo corpo scoperto la patina di sudore si era
appena asciugata. Mettendosi seduta, armeggiò fino
a
spostarsi da sopra le lenzuola spiegazzate. Mamoru non
accennò a muoversi e lei riuscì a coprirsi solo
fino allo stomaco. Andava bene comunque, sorrise. «Ti ho
stremato?»
«Sì.»
Le uscì una risatina. «Hai terminato di portare su
la
maggior parte delle tue cose?»
«Tra la roba che posso portare da solo, mancano ancora alcuni
piatti.»
Quelli che gli rimanevano, cioè. Nel trasporto di un giorno
prima lei ne aveva rotti la metà cercando di portarli di
sopra a scatola aperta.
Fissò il bianco immacolato delle pareti, steso da
nemmeno una settimana. «A volte mi dà fastidio
quando mi
critichi.»
Percepì l'attenzione improvvisa di lui.
«Non mi critichi per davvero, ma... se ti racconto di un
pasticcio che
ho combinato, tu sorridi e mi fai notare dove ho sbagliato. So
già dove sbaglio, solo che non posso farne a meno. A volte
mi basterebbe riderne insieme a te.»
«Usa...»
Lei sollevò in alto una gamba. «Ecco, per esempio
qui.»
Indicò il lato di un ginocchio. «Un altro livido.
Spuntano
come funghi dal nulla, non mi accorgo neppure di essermi fatta male a
volte. L'altro giorno mi hai detto che dovevo stare più
attenta a come mi muovevo.»
«Perché non mi piace vedere che ti sei fatta
male.» Lui si
girò su un fianco, tirando su il torso. «E mi
comporto
così da sempre. Perciò per tutto questo tempo,
tu...?»
«No» chiarì subito lei. «A me
piace quando ti preoccupi per
me. Anche quando mi dici cosa devo fare, però... vorrei che
non lo facessi più come se fossi sicuro che io non
ci
posso arrivare da sola.»
«Non lo intendevo in questo modo.»
Va bene. «Cercherò di non prenderla in questo
modo,
allora.»
Mamoru rilasciò un sospiro. «E io
proverò a dire
meno cose come quella. Scusa.»
Scuotere la testa per lei fu naturale. «Non puoi entrare
dentro la mia
mente, hai ragione. Niente scuse. Sono io che avrei dovuto dirtelo
prima.»
Quel giorno era scoppiata, ma se l'era cercata da
sola, per non
aver chiarito in precedenza.
Forse anche il caldo opprimente aveva avuto la sua parte.
Mamoru era rimasto a studiarla in viso. Lo fece per un momento
così lungo che Usagi comprese di cosa stava per parlare
ancora prima di sentirlo aprire bocca.
«Allora sentivi che lui invece ti capiva senza
bisogno di
spiegare?»
Lei soffocò la risata tra le labbra chiuse. «A
volte. Ma non
era divertente proprio per questo. In senso romantico, intendo dire,
come con te. Piuttosto, erano le basi di una grande amicizia. Penso che
per amarsi bisogna essere un po' diversi, e simili dove... Dove siamo
simili noi, no?»
Lui annuì, più con la curva del suo nuovo
sorriso che con la
testa.
Usagi seguì il suo sguardo, puntato in basso, e
provò un intimo senso di soddisfazione. «Allora
sono
più grandi?» Prese in mano i propri seni. Le era
sembrato di notare dei
cambiamenti, ma
non aveva mai passato troppo tempo ad osservarsi allo specchio.
«Sì.»
«Anche dietro?» Aveva notato da un po' di
tempo che lui indugiava di
più nel toccarla sul fondoschiena, ma non aveva pensato ci
fosse una ragione specifica.
«Ho l'impressione che sia una di quelle domande in cui ogni
risposta saràu usata contro di
me.»
Lei sorrise al soffitto, lasciando riposare la mano sullo stomaco.
Iniziava quasi a sentire la carezza del fresco; avrebbe potuto
innamorarsi di nuovo di Mamoru anche solo per il suo condizionatore di
ultima generazione. «Questa casa è molto
grande.»
Lui le rispose con un suono di assenso.
«Che cosa metterai nella stanza in più?»
«Una scrivania e il computer. E una seconda libreria, quando
ne
avrò bisogno. Forse qualche attrezzo.»
«Attrezzo per cosa?»
«Per degli esercizi. Quando non ho tempo per uscire a correre
mi sento
con dell'energia di troppo addosso. Non riesco a dormire.»
«Povero Mamo-chan.»
Lo sentì sorridere e inspirò piacevolmente
l'odore carico di loro, di fatiche d'amore e di lenzuola pulite.
«Pensi davvero che ce la farò?» gli
chiese. «Per
l'università?»
«Posso darti i programmi per tutte le materie. Hai delle
grosse lacune nelle
basi, devi colmare prima quelle.»
«Ma ce la farò?»
«Sì, se lo vorrai abbastanza.»
La risposta non la lasciò soddisfatta. Si chiese
se fosse il caso di farglielo notare o piuttosto farsene una ragione.
Per quanto lo amasse, forse doveva semplicemente diventare meno
dipendente dalla sua opinione, forte come lui.
«Io mi ricordo ancora di quando avevi la tua testolina a
odango e mi
gridavi contro.»
«Ho ancora la testolina a odango» sorrise lei.
«Sì, intendevo... Mi ricordo di quanto mi sembravi
piccola.
Con tanti limiti. E mi ricordo anche di tutte le volte che mi hai
sorpreso: è stato come scoprirti di nuovo, puntualmente. Per
questo penso che l'unico tuo limite sia tu, Usa. Quando credi davvero
a una cosa è come se fosse già nelle tue
mani.»
«:.. quando sono Sailor Moon?»
«Sempre.»
Lei si riempì di un sospiro felice.
«Sì.» Volle
follemente prendergli una mano e abbracciarlo, ma la fermò
una domanda nello sguardo di lui.
«Posso chiederti una cosa?»
Proprio ora che lei si stava crogiolando nel suo ultimo complimento?
«Hm?»
Con un cenno della testa, il sorriso di lui crebbe fino a farsi
stranamente curioso. «Perché passi le mani
così?
Su di te?»
Lei prestò attenzione alle minuscole carezze che si era data
sul petto e sullo stomaco, tranquille e rilassanti.
«È
piacevole.»
«Sembra che lo sia molto» commentò lui,
allungando una mano
fino a sfiorarla con le dita.
Anche lei notò l'effetto improvviso sui seni.
«È
diverso se lo fai tu.»
«Hm.»
Presa da un'idea, gli impedì di toccarla di nuovo.
«Ti
piace anche quando non sei tu a farlo?»
Mamoru le concesse un sorriso. «Stavo guardando con
interesse.»
«Sono passati solo pochi minuti.»
«Hai trovato un trucco per farmi riprendere
prima.»
La invase un moto di pacata meraviglia. «Allora... Magari
puoi rimanere
a guardare per un altro po'? Così mi riprendo anche
io.»
«Non sai che biologicamente non ne hai
bisogno?»
«Be', posso usare il tempo per... scaldarmi.»
Gli occhi di lui si fecero più scuri. «Posso
pensarci io.»
«Ma a me piace farlo a te.» Lasciò
scivolare la mano dal petto fino al basso ventre. Tornò su,
piano. «È
una cosa
speciale.»
Senza parole, Mamoru si limitò a formare una vocale muta.
«Dimmi una cosa bella, Mamo-chan.»
«... una cosa bella?»
Adorava confonderlo. «Quello che vuoi.»
Lui rimase con lo sguardo sulla sua mano. Per un momento, parve non
pensare a nulla.
«Vorrei che questa fosse la nostra stanza.»
Lei rimase senza fiato. «Cosa?»
Gli occhi di lui tornarono pensanti e allerta. «Voglio
dire...» La guardò in volto e si riprese.
«Sì. Quando... quando staremo
insieme tutti i giorni.»
Oh.
Oh, era il modo più dolce, carino e
meravigliosamente
commovente di dirle che- Gli saltò addosso, abbracciandolo.
«Stringimi forte. Fortissimo.»
Mamoru affondò il naso nella sua guancia.
Rimase in silenzio e lei non disse più nulla.
Con te, lo
baciò sulla tempia, voglio
stare con te per sempre.
Senza spiegazioni.
Senza parole.
Solo con baci.
Gliene diede uno.
Solo con baci come
questo.
FINE
NdA : Olè. Volevo fare una lemon meno 'lemon',
per questo
ero addirittura indecisa se mettere questa storia qui o magari
aggiungerla a 'Oltre le stelle - scene'. Ma poi avrei dovuto alzare il
rating di
quella raccolta :D
Da quanto mi hanno detto, se commento troppo uno di questi episodi poi
vi tolgo le parole di bocca, perciò vorrei davvero sentire
solo voi.
Con questo episodio in particolare, per me è importante
sapere che ne pensate (del litigio, della fine, di tutto :) ).
Alla prossima!
ellephedre
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