Storie dall'oceano di Melitot Proud Eye (/viewuser.php?uid=1469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La voce del mare, la voce della terra ***
Capitolo 2: *** Rinascita nel grembo del mondo ***
Capitolo 3: *** La triste verità ***
Capitolo 4: *** Una cosa sola... forse ***
Capitolo 5: *** Virtute e canoscenza ***
Capitolo 6: *** Vita ***
Capitolo 7: *** Un galoppo lontano ***
Capitolo 8: *** Ritorno alle profondità ***
Capitolo 1 *** La voce del mare, la voce della terra ***
Nota:
va bene, questa è una storia nuova, sia per pairing che per
stile, senza tener conto del fatto che torno al fandom di Slayers dopo
anni ^^ conoscete lo Slayers Fanfiction Archive di Cheyenne? Se avevate
letto una storia (incompleta) intitolata Kaleidoscope,
sappiate che l'ho scritta io <3 che ricordi...
Comunque,
tornando in tema, non aspettatevi una narrazione classica; ho voluto
privilegiare una progressione per "impressioni", quindi parecchi
collegamenti mancheranno e dovranno essere intuitivi. Inoltre, non ho
letto i romanzi in cui compare Dolphin: la mia versione di lei
è un risultato di letture e opinioni personali (a parte che,
da quanto ho sentito, si dice ben poco sul suo carattere).
Ultimo
avvertimento: il personaggio di Fibrizo inizia in character e... beh,
evolve. Se alla fine vi sembrerà ooc, tenete conto della
trama... quel poco che si capirà ^^; Doveste trovarvi
disorientati, un ottimo punto di riferimento sarebbe Kaleidoscope - in
fondo, Storie dagli oceani è una sua diretta derivazione. Anche se in realtà quel che ho pubblicato non arriva a coprire tutte 'ste robe, lol. Prendetela come volete, visto e piaciuto (o no).
[editato il
7/11/12]
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I
La voce del mare, la voce della terra
"Lontano,
in alto mare, l'acqua è azzurra come petali di bellissimi
fiordalisi
e trasparente come cristallo purissimo, ma è molto profonda,
così
profonda che un'anfora non potrebbe mai toccarne il fondo, e
bisognerebbe mettere uno sopra l'altro molti campanili prima di
arrivare alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare."
Hans
C. Andersen, La sirenetta
Erano
nati
da pochi anni, un solo istante nei loro involucri immortali, e
già
la risata di Fibrizo scuoteva la terra. Ricordava le sue piccole dita
guizzare come strumenti di clavicembalista mentre ordivano le prime,
ambiziose trame. I suoi occhi erano verdi come la gelosia.
Ma
era lei
l'invidiosa. Negli antri oceanici dove Shabranigdu l'aveva confinata,
si rodeva al pensiero del potere e del comando che gli erano stati
concessi. Gli altri lo seguivano, quasi l'ossequiavano; detestava
emularli.
Il
giorno
in cui scoprì di avere una scelta, rise – un suono
che le scaldò
la gola. Il piccolo principe la scherniva senza pretesto: gliene
avrebbe dato uno. Ma lui constatò con disinteresse,
perché il mare
gli era sempre stato indifferente.
Dopo
la
disfatta del loro signore Dolphin si addormentò. Che
interesse aveva
lei, per il mondo? Il sonno l'avrebbe ristorata.
Invece,
cullato dal mormorio del pianeta, la cambiò per sempre.
Ere,
epoche
intere dentro i suoi occhi – impressioni sconosciute ad
altri.
Vestigia di emozioni morenti e germogli di nuove. Il grido di una
nazione sconfitta; il vagito di un neonato. Ogni suono condensava in
luce, illuminando la sua caverna mentre lontano, oltre le barriere
della superficie, i suoi fratelli continuavano a dibattersi e
smaniare per ragioni incomprensibili.
Li
sognava,
ogni tanto. Parte di lei ne aveva bisogno, sfiorata dal timore che,
dimenticandoli, potesse perdere anche se stessa. Forse avrebbe dovuto
raggiungerli, ricongiungersi alle vie del loro signore. Forse. Ma era
così struggente fluttuare nel silenzio...
L'eco
dentro il suo petto regolarizzò.
Dolphin...
Dolphin...
Come
una
corrente artica, fredda, remota, fu la sua voce a
destarla.
Per la prima volta dopo secoli le sue palpebre si aprirono
(carezzarono il mare), lasciandole vedere delfini e banchi di tonni
dorati – in alto, così in alto da proiettare ombre
da nubi.
L'acqua era azzurra come il cielo, appena spolverata di farine
viventi, attraversate dal sole. A pochi palmi dalle sua mani razze
maculate sollevavano sabbia dal fondale, bianco come perle.
Era
il
segno del tempo: i ghiacciai avevano rubato la sua coperta e correnti
eroso la sua roccaforte, lasciandola a riposare fra i coralli. Era
giunto il momento.
Sorella...
Garv ci tradisce. Vuoi prendere il suo posto?
Non
voleva.
Ma andò, poiché il mondo la chiamava alla sua
distruzione.
Gli
occhi
di Fibrizo sapevano corrodere.
«Cercare
un accordo? Sei impazzita?»
«Non
è
nostro fratello?»
Una
risata
– se possibile ancor più crudele della prima,
quand'era stato una
scintilla di pura potenzialità.
«Ti
sei
istupidita, Dolphin. Non credevo che il mare ti avesse lavato anche
l'interno del cranio.»
Certo,
avrebbe dovuto immaginarlo; non era l'alleata adatta a lui. Se non
fosse stata così orgogliosa, Zelas sarebbe stata perfetta.
Lo stesso
Dynast. Eppure non riuscì ad andarsene: assistette muta ai
suoi
maneggi, sempre in attesa di qualcosa.
Poi,
un
giorno, il deserto che le asciugava i polmoni cantò, uscendo
dal
proprio riserbo. Il sollievo fu doloroso; anche quel luogo arido
nascondeva la vita. Era un miracolo.
E
una
tragedia, poiché il rifiuto implicito negli occhi di Fibrizo
le
diede finalmente consapevolezza della propria anomalia. Nessun demone
ascoltava i palpiti benigni del mondo; nessuno li cercava, capiva,
amava. Era il principio sbagliato. Una lenta morte
per
intossicazione. Mentre lei camminava per boschi e città
compiacendosi del loro respiro, cedendo ogni giorno un po' di se
stessa, i suoi consanguinei prosperavano e si moltiplicavano nel
male, la loro vera culla. Una culla che si sarebbe trasformata in
tomba per la figlia reietta.
Presto
l'avrebbero mangiata. Avrebbero scorto i riverberi della luce di
Ceiphied dentro di lei...
Alzò
il
viso, lasciando che il corpo freddo e vivo della cascata le
scrosciasse dalla fronte alla schiena.
Forze
del
bene e forze del male coesistevano sulla linea di una separazione
molto labile. Forse, addirittura, un confine reale non c'era. Se ne
rendeva conto solo ora: e quante eccezioni alla regola aveva
ascoltato, durante il lungo sonno? Migliaia, centinaia di migliaia.
La nozione la spaventò. Lo sapevano gli altri? O la
scoperta, così
semplice e ineducata, avrebbe attirato su di lei gli occhi di LoN?
Col
passare
di altro tempo, il timore perse significato.
«Lo
senti?» chiese una notte.
Fibrizo
sembrava stanco – il suo sguardo più spento
– ma la scrutò lo
stesso con sufficienza, appoggiato al davanzale.
«Che
cosa?»
Sapeva
che
lui sentiva. Dolphin ascoltò la voce della terra e chiuse
gli occhi,
toccandogli una guancia.
Così,
senza dire altro.
Quando
non
ci pensava il subordinato della Grande Bestia, talvolta loro due
seguivano insieme gli individui che suscitavano il loro interesse.
Umani, elfi, draghi; nessuna distinzione. Era una strana routine,
intessuta di feste, cerimonie, guerre, mietiture, alluvioni. Vite di
tutti i giorni scorrevano innanzi ai loro occhi con vividezza, dando
presenza fisica alle visioni passate di Dolphin.
Fibrizo
passava oltre, altezzoso. Lei indugiava, in silenzio, voltandosi per
imprimere nella memoria ogni superficie e colore.
Una
notte,
il fruscio di una clessidra sotto una volta di pietra.
«Perché
non te ne vai?»
«Non
ti
servo più?»
«Mi
annoi.
Sei inutile.»
Ma
Dolphin
non poteva andarsene. Era troppo tardi per tornare a dormire.
La
pazzia
di cui bisbigliavano, e che forse era vera, le ispirava pena per quei
suoi falsi fratelli; il loro spirito soffiava come vento sul deserto,
smuoveva montagne di sabbia – impartivano la morte
ignorandone la
natura. Solo chi non apprezzava la vita poteva esistere in
quell'ignoranza.
«Il
Ragnarok?»
«Sì.
La
fine del mondo. La rinascita!»
A
Fibrizo
brillavano gli occhi; un lucore funereo fra le ombre dei sepolcri. Fu
sommersa dalla tristezza.
«E
cosa
puoi saperne, tu?»
Lui
corrugò
la fronte, irritato. «Che vuoi dire?»
«Non
sei
neanche mai nato.»
Fu
poco
dopo che glielo chiese, mostrandole un lato sconosciuto di
sé.
Dolphin avrebbe voluto scoprire da quanto sapeva, come, e
perché ne
parlava solo ora, ma non lo fece. Non le avrebbe rivelato il motivo
della lunga discrezione.
«Tu
stai
morendo, vero?»
Iridi
scure
come alghe. Gli offrì un sorriso. Da tempo conviveva con la
consapevolezza.
«Perché?
Cos'è successo?»
«Non
lo
so.»
Mentiva,
e
Fibrizo se ne accorse. Invece d'infuriarsi, s'avvicinò con
aria
incerta. Le sembrava quasi di sentirli, i suoi pensieri, allettati
dall'ipotesi di un tradimento, di un complotto. Ma il silenzio che
scese era carico di calma; si trovavano vicini da troppo tempo
perché
l'accusa avesse sostanza.
Vide
i suoi
splendidi occhi studiarle il viso, e fu come una carezza.
Ricambiò
lo sguardo, inclinando il capo. Era giovane e vecchio come il primo
giorno in cui l'aveva visto.
«Va
tutto
bene» lo rassicurò, anche se a lui non importava
affatto.
Con
quieta
cautela, gli cinse le spalle e lo baciò.
«La
costringerò... la distruggerò e sarò
io il padrone di tutto!»
Il
suo vero
motivo (se ce n'era stato uno al di sopra dell'ambizione) le sarebbe
rimasto ignoto per sempre. Ma quelle erano le ultime parole che le
aveva rivolto e lei le avrebbe ricordate.
Raccolse
le
mani a coppa, sconfitta. Il prezzo del suo fallimento era la
solitudine; non era riuscita a mostrargli la luce. Fibrizo non
esisteva più al mondo.
Nei
palmi
raccolse fuliggine, mista a polvere del deserto.
Se
solo
tu avessi capito, Fibrizo. Avevano ragione loro. Avevano ragione
loro.
Sopra
di
lei, l'emisfero celeste tuonò.
Non
lasciarmi...
Ma
l'aveva
fatto. Guidato dall'egoismo, dall'impulso bestiale dei demoni, come
sempre.
Giurò
che
non gliel'avrebbe perdonato.
----
Prologo classificatosi ottavo (su una cinquantina :) nel contest Da lì dove tutto nasce: il prologo di una storia di Kate Kitty, col giudizio
Grammatica, lessico e punteggiatura: 10/10
Non saprei che scrivere, giuro, se non che grammaticalmente, lessicalmente e nella punteggiatura è un testo perfetto! °–°
Originalità: 9/10
Abbastanza originale… no, che dico? E’ veramente tanto originale, forse nell’inizio e nella fine del capitolo c’è qualche accenno di cliché ma per il resto è molto originale.
Trama*: 8/10 e Stile: 9/10 e Gradimento personale: 8/10
La trama è abbastanza basilare però, nel senso che con lo stile non riesce a infondere “troppo”, è come vedere un film perché devi vederlo ma alla fine di ciò che succede ai personaggi non t’importa poi molto. Scusa se, SICURAMENTE, ti farà arrabbiare questa cosa, ma è quello che mi viene da pensare, e ovviamente se ho messo un giudizio alto significa che comunque l’ho gradita, che è stata particolare a suo modo e piacevole.
Finalmente una recensione per questa storia ;_;
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Capitolo 2 *** Rinascita nel grembo del mondo ***
Nota:
rendere il "senso dell'acqua" era uno dei miei obiettivi principali, in
questo capitolo... acqua tempestosa, acqua calma e pacifica,
la qualità liquida dei sogni... Spero di esserci riuscita ^^
Se voleste
farmi sapere cosa ne pensate, mi fareste molto piacere.
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II
Rinascita nel grembo del mondo
Il fulmine
precipitò fra le acque,
contorcendosi nell'atmosfera prima di scomparire. L'oceano
sussultò,
luminoso come il ventre di una medusa.
Intorno
a quella ferita
s'ingrossarono i flutti, scuri, rabbiosi, sferzati dal vento,
finché
non caddero nuovi fulmini. Allora, quasi Scilla spalancasse le fauci,
le acque si aprirono a mostrare abissi remoti, gravidi di marcescenza
e palpitanti di vita.
La
furia degli elementi si sfogava
su se stessa.
Eppure,
nonostante le rive dei
continenti fossero lontane e nessuna anima si aggirasse per
quell'angolo di mondo, si sarebbe potuta udire una voce scivolare
sull'acqua, potente, leggera.
Veniva
dalle profondità. La collera
del mare ne fu sopraffatta.
Madre
dei cieli, madre delle
terre... non lasciatemi sola.
L'oceano
palpitò.
Il
drago rosso è morto e i
ghiacci si stringono sulla rocca del mio unico fratello...
Altre
folgori precipitarono, creando
nuovi vortici.
La
Grande Bestia ride nella sua
grotta, mentre io, nel silenzio–
Cavalloni
si sollevarono ruggendo.
A
poco a poco, cinque immensi
mulinelli affiorarono in superficie, formando quello che a occhio
esperto sarebbe apparso un pentacolo.
Non
lasciatemi, madre.
Ridatemi...
Le
nubi rombarono. Giganti travolti
dalle colonne del mondo, costretti a tacere. Stava per succedere
qualcosa.
Anche
solo per vendetta.
Era
un rito sacrilego quello che
andava compiendosi. Ma lei pregava, gridando la sua solitudine al
cielo, che rispose.
Cinque
colonne di luce si tuffarono
nelle cinque voragini, appiccando fuoco alle distese nerastre del
fondale. Un corpo rinunciò all'interezza per dare forma a un
altro.
Flebile vapore condensò nell'atmosfera infernale.
Poi,
così com'era nato, il fuoco si
estinse. Sull'oceano tornò a stendersi
l'oscurità, mentre le onde
si riappropriavano degli uteri innaturali.
Mani
sul suo volto.
La
carezza salina del mare in
polmoni che non necessitavano di ossigeno. E quel dolce, melanconico
fluttuare...
«E'
buio.»
La sua
voce come il lamento di un
cetaceo.
«Sì.»
«Chi
sono...?»
«La
memoria di Fibrizo.»
Riconobbe
gli occhi turchesi.
«...Dolphin.»
Il
sole lontano si stemperava
nelle profondità della sua culla, offrendo un vago,
invitante
riverbero. Sagome di balena si stagliavano sul cielo liquido,
riempiendogli i pensieri di ombre semoventi.
Qualcuno
vegliava su di lui.
Una
perla cadde fra le pieghe
della sabbia, forse conoscendo se stessa. Ma lui no, non era
così.
Mancavano tante cose. La sua coscienza...
«La
memoria di Fibrizo?»
«Il
mio... antico alleato.»
Chiuse
fuori il mondo.
L'oblio
era prezioso e anelato.
Prezioso
ed evanescente.
Quando
finalmente aprì occhi
senzienti, lei seppe che non ricordava ogni cosa. Non i suoi
progetti, né l'attimo della morte ingloriosa. Quelle pagine
eran
recessi che non era riuscita a raggiungere.
Ed
era la sua salvezza.
«Alzati,
Hellmaster. Ora sei mio.»
«...Sì.»
---------
Disclaimer: possiedo quindici
volumetti del manga, due artbook dell'anime, un artbook di Rui Araizumi
e una bambola di Lina comprata circa tredici anni fa,
quand'ero una bimbetta. Come dite? I diritti? No, quelli no, purtroppo.
Altrimenti non sarei qui a scrivere fanfiction ._.
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Capitolo 3 *** La triste verità ***
Nota:
ecco
il terzo capitolo... che dite, sono troppo astrusi? Si capisce
qualcosa? Quel che più mi preme è la resa di
pensieri e sensazioni, ma un pelino di trama dovrebbe palesarsi. Se
state leggendo, fatemi sapere, please ;_; il feedback è
importante per uno scrittore!
-----------------------------
III
La
triste verità
«Seguire
Lina Inverse?»
«Già.»
«Da dove viene quest'idea?»
«Credevo avessi bisogno di qualcuno
che lo facesse. Dopotutto, è con sua sorella che commerci in
alleanze, no?»
Gli occhi di Dolphin Deep Sea
lampeggiarono. Dentro di lei viveva il fuoco.
«Tu presumi un po' troppo.»
Il suo sguardo indugiò ancora un
attimo, foriero di guai, poi scivolò sulle alte scogliere
della
baia.
«Comunque può andarci un demone
minore, per quel che c'è da fare.»
«Sono io il tuo unico tirapiedi.»
«Presumi ancora.»
Memory Fibrizo strinse le palpebre,
avvertendo una vecchia, inarrestabile collera montargli in petto; ma
quando Deep Sea lo fissò, circondata dai capelli azzurri,
cercò di
nasconderla.
Le gerarchie di potere non gli erano
mai state misteriose.
Lei levò una mano e il ragazzino
chinò il capo, permettendole di toccarlo.
«Non c'è motivo per cui debba
andare tu. Anzi, non devi andare tu.»
I marosi lambivano la spiaggia,
cadenzati, come se il mondo fosse solo ritmo liquido.
«Li ho conosciuti?»
Deep Sea non rispose.
«Potrei camuffarmi. Non mi
riconosceranno.»
«Non è questo il rischio.»
«E' Death Fog?»
La vide annuire suo malgrado.
«Lo sai anche tu. La dispersione
degli ultimi frammenti, la scomparsa di Garv, le conquiste umane...
ci hanno tutte indebolito. Ma questa non è l'unica
dimensione creata
dalla Madre. Se Death Fog dovesse riuscire a valicare il passaggio
grazie all'instabilità creata dalla Stella Nera e trovarti,
cosa
credi che accadrebbe? Siamo rimasti solo in tre e
io–»
s'interruppe. «Tu non sei certo quello che eri.»
Gli sembrò di sentire ciò che
voleva aggiungere ma non aveva pronunciato: mai
più, se
possibile.
«Allora qual è il problema?»
esclamò, sarcastico.
«I tuoi ricordi sarebbero un'arma
potente in mano a un nemico. Non rischierò che ti
trovino.»
In quel caso, il colpo inferto
all'alleanza avrebbe provocato una convergenza fatale ai due mondi.
Lina Inverse non poteva agire senza l'apertura di Hell's Gate. La
seconda dimensione sarebbe stata assorbita.
«Eppure io voglio andare.»
Dolphin tacque.
«C'è qualcosa che devo scoprire.
E' importante.»
Un sospiro.
Irato, si voltò a sovrastarla.
Odiava essere dominato.
«Se non posso tornare quello che
ero, perché hai voluto me e non un miserabile senza
nome?!»
Era lui il principe del potere;
nessuno lo superava nell'arte della manipolazione. Gliel'avrebbe
ricordato nel suo sangue, presto o tardi.
La fermezza degli occhi che incontrò
e l'impotenza del suo umiliante status lo lasciarono privo di
risoluzione, come un disperso nel deserto.
«Perché?» ripeté invano.
«Per
vendetta?»
Lontana, Dolphin non rispose.
Fu non molto tempo dopo che li
raggiunse, travestito da bambina, con nient'altro che il laconico
ordine di seguirli.
Perché l'aveva lasciato andare? Non
trovava risposte. Il fatto di aver vissuto in completo controllo di
se stesso, in passato, complicava l'orrore che provava ora, perso nei
meandri dei piani altrui.
Se si fosse trattato di Dynast, o
anche di Zelas, capire sarebbe stato semplice; le loro menti erano
affini, gli obiettivi simili. Ma Dolphin si trovava agli antipodi di
quella scala valutativa. Al di là
dell'eccentricità, non era mai
riuscito a inquadrarla durante la loro lunga, inutile alleanza. E
poi, chi di loro non era pazzo, a modo suo?
Ma forse c'era di più.
Forse lei aveva trovato qualcosa;
scoperto qualche segreto suicida... perché non era
semplicemente
possibile che un figlio del Gran Signore nascesse "sbagliato".
In privato si baloccava con l'idea.
Che cosa sapeva Dolphin? Era pericoloso? Poteva essere usato contro
di lei?
Erano bei pensieri, senza dubbio.
Col senno di poi, però, riunirsi
alla masnada di Lina Inverse rovinò tutto – e non
per la ragione
temuta da Dolphin: ritrovare memoria della morte sotto il peso delle
impressioni, delle voci, disperdendosi di nuovo nel nulla prima di
poter assolvere al proprio dovere. No, insieme a loro, quasi senza
accorgersene, Fibrizo imparò due cose.
La prima, che lui non era affatto il
Principe degli Inferi.
Zeross Metallium lo fissò con occhi
sbarrati.
«Che state dicendo? Certo che lo
siete.»
Ma Memory Fibrizo non era d'accordo.
«L'individuo non è forse unità di
corpo e spirito? Come posso essere lui, se ho i suoi ricordi ma non
il suo corpo?»
Quell'osservazione ammutolì il
servo della Bestia. La reazione naturale del ragazzino fu un
sorrisetto.
Era divertente, a modo suo. Zeross
esisteva dai tempi delle grandi guerre, eppure non doveva mai aver
preso in considerazione l'argomento; la sua espressione era probante.
Ma Fibrizo non rise: vedeva la
limitatezza della vita demoniaca in un unico, lucido momento di
distrazione. Scrutò l'orizzonte, una strana eco nel petto.
«Se mi guardi senti un subordinato,
non un superiore.»
La triste verità.
«Ma... siamo demoni, Hellmaster. E'
diverso per i nostri corpi–»
«Il mio involucro è nato da Deep
Sea. Sono solo una sua appendice.»
E benché fosse tutt'altra
l'opinione che gli altri nutrivano nei suoi confronti, quella
certezza cambiò radicalmente le cose, dandogli modo di
apprendere la
seconda verità.
«Un'altra porzione, cameriere!»
Clang.
«Gourry, molla l'osso!»
Ziing.
«Hey, quello è mi–»
Thud. «No, l'ho visto prima io!»
«Mollaaa!»
«Per me solo un caffè, grazie.»
«Arggh.»
«Forte e doppio.»
Un normale pasto alla loro tavola.
Coltelli, forchette e mestoli che volavano a seconda dell'umore,
mentre i commensali dotati di residuo raziocinio (la chimera, i due
draghi e Zeross) cercavano di sopravvivere senza alzarsi a stomaco
vuoto.
Per certi aspetti era come una
battaglia campale; ci volevano strategie, diversivi e cariche sempre
nuove.
«Moccioso, passa il pane» gli
gridò Inverse.
E poi c'era la loro stupefacente
adattabilità. Non avrebbe mai creduto possibile –
una volta
ricordate le circostanze in cui l'avevano conosciuto, una volta
saltata la copertura – restare con loro senza mentite spoglie.
«To'.»
La pagnotta scomparve in un vortice.
«Cos'era... munch... quel tono...
gnam, moccioso?»
Persino i loro insulti avevano
perduto efficacia. Era strano.
«Te l'ho dato il pane, no?»
«Lina, molla quel cosciotto»
minacciò Gourry dalle retrovie.
«Scordatelo!»
«Hey, quello l'avevo preso io»
s'intromise la principessa, Amelia. «E'
un'ingiustizia!»
«Amelia, ti prego...»
Memory Fibrizo osservò con falso
disinteresse.
La distratta considerazione che
avevano di lui – lui, che li aveva
incalzati, umiliati,
torturati – era un pungolo insopportabile, ricordo al suo
orgoglio
dell'attuale debolezza e stimolo inspiegabile a corde che non voleva
toccare. Avrebbe potuto competere con Zeross... ma non con la
Inverse, vero?
Non quando lei l'aveva schiacciato
all'apice della sua potenza, a un passo dal diventare padrone
dell'universo, se i suoi sospetti erano fondati.
Pensare a quegli ultimi attimi
ignoti doleva.
Distraiti... distraiti.
In mancanza d'altro, assaggiò la
bistecca. Il succo e il sapore lo trascinarono in un vortice
speziato, lasciandolo stordito.
Era questo, il sapore dei cibi
umani?
Quando se la vide sparire, per la
prima volta condivise l'istinto propulsore dello strano gruppo cui
s'accompagnava. Si buttò nella mischia con un grido di
battaglia.
Aveva appreso l'accettazione.
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Capitolo 4 *** Una cosa sola... forse ***
Una cosa sola... forse
Le sue guance erano arrossate dal
freddo; il collo del cappotto di lana gli arrivava sino alle
orecchie, sfiorando il bordo del candido cuculo a ponpon. Dolphin
sorrise.
Era una
visione piacevole,
dopotutto: un bambino dagli occhi vispi in placida contemplazione
della neve, posata sul giardino, sulle fronde ghiacciate, sul naso
arancione di un pupazzo.
Lui parve
intuire i suoi pensieri,
poiché azzardò un'occhiata nella sua direzione.
Sì,
era un bel quadretto, e ancora
di più... se immaginava di vedere i segni, peso e ornamento,
di una
nuova maturità sul suo volto. Sedette sull'antica panchina
di
pietra, protendendosi e liberandogli la fronte dalla frangia
irregolare. Il cielo andava rischiarando.
«Non
fa uno strano effetto?»
chiese Fibrizo, seguendo pensosamente il moto del suo braccio.
«Che
cosa?» rispose Dolphin, un
po' risentita per la violazione del sacro silenzio.
«Toccare
me e sapere che in realtà
sei tu.»
«Come?»
«Non
sono nato da te?»
Quando lei
osservò le loro mani,
giuntesi, vide che combaciavano alla perfezione; eppure c'erano tante
piccole differenze, particolari discreti che le parevano
clamorosamente evidenti e che lui, a quanto pareva, non riusciva a
cogliere. Gliele fece notare, sottolineandole.
Fibrizo non
guardò nemmeno. Si
allontanò, alzando zolle di neve coi piedi.
«Un
subordinato è parte del suo
signore. Non c'è altro.»
«Davvero?»
«Sì.»
«Solo
perché i nostri corpi sono
simili?»
«Non
simili: uguali.» I suoi occhi
verdi la rimproverarono. «La sostanza è la
stessa.» Poi raccolse
una pigna e cominciò a giocarci, facendola rimbalzare sui
palmi
aperti come un esperto giocoliere.
«Allora
per te tutti gli uomini e
gli animali sono uguali?» La pigna compì un arco
sbilenco. Dolphin
corrugò la fronte, sicura. «La sostanza
è la stessa.»
Un tonfo nella
neve. La pigna
abbandonata.
«Ma
io... non sono uno di loro, e
neanche tu. Noi siamo nati lontano dalla terra.»
Era la prima
volta che affrontavano
l'argomento in quei termini; fino ad allora, Dolphin era stata sicura
di poter condurre tutti i loro dialoghi verso la conclusione
migliore. Ora capiva d'aver avuto torto: i dubbi del demone erano
plausibili, la sua mente brillante.
La gettavano
in uno strano stato
d'urgenza.
«E...
da dove dovremmo venire?» fu
tutto quello che riuscì a dire.
«Tu
cosa pensi?»
Lo
fissò. Sulle loro origini –
sì, forse su quello aveva ragione. Ma c'era qualcos'altro,
qualcosa
che l'Hellmaster e i suoi simili ignoravano e che sono gli esseri
umani avevano scoperto.
Fibrizo le
diede la schiena,
calcandosi il berretto sul capo.
«Ormai
l'ho accettato, comunque.
Non è più un problema. Non lambiccarti il
cervello per consolarmi.»
Quelle parole
la riscossero.
«Accettato cosa?»
«Che
non sono quello che ricordo di
essere, né lo sarò mai.» Le
offrì un mezzo sorriso.
«E
che sia tutta una finzione»
concluse lei.
«Già.»
«Allora
perché avrei scelto te?»
«La
guerra. Hell's Gate.»
«Avrei
potuto ascoltarti da
lontano, senza ridarti un corpo.»
Fibrizo
scrollò le spalle. «Conosco
la noia. Il piacere si sposa bene con la strategia» le
rivolse
un'occhiata acuminata «e con la vendetta.»
Era evidente
che ricordava molto dei
loro scambi passati, di come l'aveva trattata. Ciò di cui
non si
rendeva conto – e che lei notava con amara chiarezza
– era il
vigore di tratti che credeva perduti.
Scosse la
testa. Il tempo
scorreva e il mondo restava uguale intorno a lei.
«E'
questa la risposta che ti sei
dato?»
«In
mancanza di altri pareri...»
«Capisco.»
Fibrizo
sembrò stancarsi di quella
battaglia; abbandonò il tono insinuante e mostrò
finalmente la
rabbia che covava.
«Se
non ti piace, allora dammi la
tua risposta!»
Stava
chiedendo a un altro demonio
la verità. L'epifania improvvisa e improbabile
riuscì a infonderle
coraggio.
Ma era troppo
presto, capì, per
donargli qualcosa che non fossero silenzio o menzogne.
Pacata,
s'alzò.
I suoi capelli
turchesi turbinavano
nel vento gelido, dandole un aspetto selvaggio, reale.
Non aveva
intenzione di
rispondergli; si allontanava con passo di cerva.
«Dolphin!»
«Te
lo dirò quando avrai capito di
essere vivo.»
E lo
lasciò. La neve riprese a
fioccare, inghiottendo nei suoi turbinii il sole e le baite. Fibrizo
calciò un tronco, imprecando sottovoce.
Era
maledettamente stanco di
indovinelli.
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Capitolo 5 *** Virtute e canoscenza ***
Nota: pesantemente rivisto
e corretto. Non ne ero soddisfatta... e neanche i pochi lettori,
immagino, visto che non commenta mai nessuno ^^;
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Virtute
e canoscenza
«Che ci vengo a fare alle terme?»
«Che
ci si va a fare, alle terme?» ribatté Lina
Inverse,
incrociando le braccia dietro la nuca. «Di solito»
aggiunse, a
scanso di equivoci.
In cammino da
tre pidocchiosi giorni e altrettanti da aggiungere a
piedi; necessità di missione; l'importanza dell'incognito.
Fibrizo
era stanco, irritato da quella stanchezza e irritato dalla sua stessa
irritazione.
«Due
pozze d'acqua non mi interessano.»
I sorrisini
che attraversarono l'uditorio lo infuriarono. Si
abbandonò alla sensazione.
«Io non puzzo come una
capra.»
«Ah
no?» sputacchiò Inverse, puntandogli contro un
indice. «Forse
dovresti annusarti più spesso!»
«Significa
che tu l'hai annusato, Lina?»
«Non
ti ci mettere anche tu, Zel.»
«Ma
sentiteli...» disse Amelia, in disparte, le braccia che
cadevano a terra.
«E
cosa ci si poteva aspettare da gente infantile?»
commentò
Filia.
«Oh,
per caso vorresti unirti alla conversazione?» saltò su
Zeross,
guadagnandosi un'occhiata di fuoco.
Parole a
secchiate, pensò Fibrizo, sentendo fermentare la collera.
Spreco di fiato. Di tempo, di energie, di desideri.
«Per
la cronaca, lo sgorbietto Cinque Spanne ha insultato tutti. Mi
sembrava parlasse in tono piuttosto generale quand'è
arrivato al
"puzzare".»
«Mh»
grugnì Var, concorde.
«Hai...
chiamato la memoria dell'Hellmaster "sgorbietto"?»
chiese Zeross, tra il nervoso e l'estatico. Poi quel detestabile
sorriso da maestrino. «I concetti di stanchezza e sporcizia
non si
applicano ai demoni. Il nostro corpo non è proprio
materiale–»
«Siete
spazzatura...»
«Dice
la lucertola gigante.»
E
l'immancabile mazza chiodata, seguita dal suono di un cranio
schiacciato come una prugna. Ah, meglio. Anche se la parte
migliore era la prosecuzione del viaggio.
«E
immagino che il tuo corpo immateriale non senta neanche
questo»
commentò Fibrizo, scavalcando il cadavere.
Corpi. Masse
magnetiche. Cellule che cambiano. Nuovi orizzonti, uh?
Un'ossessione,
quella dei nuovi orizzonti.
A volte si
soffermava a chiedersi cosa fossero realmente, se fossero
congruenti alla sua situazione. Era uno schiavo mescolato ai mortali,
nascosto per adempiere al suo contrappasso. Mimetizzati bene.
Fingi
di mangiare. Bevi. Dormi. Ridi. Sogna. Guastati pian piano...
Fin dove
arriva la sopravvivenza, e dove inizia la vita?
Fin dove ci si
può spingere prima di cadere, di cambiare?
Ombre, onde,
fluttuazioni astrali, moti di potere – il mondo che
gli apparteneva – erano
rifrazioni di calore sulle dune del deserto. Imprecise, in
allontanamento. Iniziava a vedere, a guardare il sole.
Scopriva
sapori insospettati nel cibo. Sfumature, cadenze delicate
dell'olfatto; della vista; dell'udito. Sensazioni tangibili ai limiti
del linguaggio, come le emozioni oscure dei viventi e degli spiriti,
serpeggianti nel petto della notte, quando ancora poteva leggerle.
Poteva?
Calore sulle dune
del deserto.
Fin dove si
conquista, e dove si cade nel ridicolo? Quanto peso hanno
i cangianti modi di pensare sulla risposta?
Sedette
nell'acqua, silenzioso, vagamente conscio degli altri.
Acqua calda, soffocante, in moto continuo come il flusso arterioso
del sangue. Liquido amniotico. Rocce come gusci bitorzoluti, bolle
d'aria ossigenata. Uno sciocco asciugamani sulla sua testa. Superflui
momenti di socializzazione in un gruppo che lo conosceva bene, e
altrettanto bene lo controllava, sul chi vive, non dimentico.
Bene. Bene.
Eppure tacque
e rimase. Il calore penetrava. Permeava.
Ossa...
carne... ma lui non avrebbe dovuto possederle. Sollevò una
mano, tenendola appena sotto la superficie dell'acqua, osservando
tendini e muscoli flettersi insieme alle dita. Così
realistico. Così
reale.
Troppo, per un
ologramma tattile. Strinse la mano a pugno.
Decidere solo se
ammetterlo, o continuare a coprirsi gli occhi per
vedere cose passate.
LoN. LoN.
Perché tanta vendetta su uno fra tanti? Perché
quel nuovo
vecchio mondo, argentato come un niello oltre la cortina della
pioggia?
«Tutto
bene?»
Sobbalzò.
Capelli biondi – lo spadaccino – Gourry.
«Cosa?»
No.
«Sembravi
spaventato.»
Forse. «Non dire
stupidaggini.»
«Ah,
saranno le coliche. Bevi qualcosa, aiuta.»
Un piattino
galleggiante accanto alla sua mano. Una piccola isola,
con bottigliette aromatiche come palme, dolci-pietre, uno schizzo
polla-riserva d'acqua. E poi il naufrago si arrenderà.
Tenterà il
mare.
Il mare...
«Ma
non il sake, è forte.»
Avrebbe voluto
ridere fino a sputare i polmoni. Forte? Più forte del
nato
dal deserto, del
governato dalla luna?
«Chimera.
Greywords. Passa.»
«Vuoto.»
Poi un
sogghigno. Non provocatorio – non aggressivo. E quel
fallimento, la mancanza del furore. Era per quello che erano stati
creati («Fa'
che tutto il mondo venga distrutto con me!»). Eppure...
No, basta. Aveva lasciato quel sentiero, ormai.
Mille volte mille vite erano abbastanza.
Senso di
appartenenza, e il signore della morte detronizzato,
perduto.
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Capitolo 6 *** Vita ***
Nota: punto di svolta. =)
Quanto mi piacerebbe avere il tempo di impostare e sviluppare la
mega-fic da cui deriva questa... ma sono più di dieci anni
che sta lì e si evolve e si fa sempre più
complicata ^^; quindi, beh...
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Vita
Sognava spesso i suoi occhi neonati,
apertisi quel giorno in mezzo all'oceano. Anemoni salini, verdi e
discreti. Le sue lanterne notturne.
Quanta
tenerezza, in quel primo
sguardo. Un barlume d'innocenza estintosi al primo maroso.
L'avrebbe
richiamato, ne avesse
scorta ancora una traccia. Ma lui era assente nella mente e nel
corpo.
E
poi, ormai, era tardi.
Quando
Fibrizo avesse trovato la
porta degli inferi – non mancava molto – si
sarebbero detti
addio; ne era conscia come del dolore che provava. Alle creature
innaturali non era concesso di vivere a lungo.
Abbassò
le palpebre, accecata dal
riflesso della luna sulle ciglia.
Voleva
vederlo.
Sei
destinata a rincorrere mete
inarrivabili, si disse. La serenità, l'amicizia, il giusto.
Ma
allora, che differenza avrebbe
fatto uccidere un'altra parte di sé per seguire l'amore?
Quanto
restava da perdere?
Ma
la ruota impietosa che travolge
re, imperi e fortune per qualche istante tentennò, deviando
come il
fiume tranquillo che incontra curve improvvise e si tuffa nella gola.
La millenaria apatia di Dolphin Deep Sea fu interrotta senza
preavviso né pietà.
«Dormono
le cime dei monti e le
convalli
e
le balze e le forre
e
le selve e gli animali che nutre
la nera terra,
le
fiere abitatrici dei monti e la
stirpe delle api,
e i
mostri negli abissi del profondo
mare;
dormono
gli uccelli dalle ampie
ali.»
Fibrizo
recitava senza intonazione.
I suoi occhi brillanti, tuttavia, toccavano ogni cosa con disilluso,
vibrante stupore: le colline delle coste e le frane, l'estuario del
torrente, le saline, gli alberi e la sabbia e i flutti neri del mare.
«Dove
l'hai sentita?» mormorò
Dolphin.
Le
rispose con uno sguardo obliquo,
distratto dal riverbero delle schiene di alcuni cetacei.
«Un
menestrello alla taverna, ieri.
Ha detto che sono versi antichi.»
«Lo
sono» rispose. «Perché me
l'hai recitata?»
«Non
lo immagini?»
«No...»
Fibrizo
sembrò sul punto di dire
qualcosa, ma all'ultimo le voltò la schiena; si
allontanò seguendo
il contorno irregolare della spiaggia.
Dolphin
si alzò, sapendo che voleva
esser seguito.
«Dove
vai? Che succede?»
Le
scogliere si avvicinavano e il
demone non accennava a fermarsi. Lo osservò, grata dei
riverberi
lunari; sotto i bermuda chiari, la maglia e i capelli scuri, leggeri
come sargassi, il suo corpo appariva gracile e debole; non
così la
falcata, da cui effondeva il suo spirito deciso e crudele, intento a
portarlo via da lei.
«Fibrizo,
aspetta. Non capisco che
succede.»
Possibile?
«Che
ti prende?»
A
quello, il ragazzino si fermò.
Dolphin fece altrettanto. Nell'aria era cambiato qualcosa.
«Che
mi prende?» Una risata. «Che
mi prende?»
Il
cuore cavo degli scogli
rimbombava.
Fibrizo
si volse, ma tenne lo
sguardo puntato a terra, i pugni stretti contro i fianchi. Dalla
spiaggia salì sentore di sabbia riarsa.
Poi
apparvero i suoi occhi verde
acido, straripanti di collera.
«Dovresti
essere tu a dirmelo!»
L'ira
saturnina della terra si
scagliò contro di lei, in vento e fulmini. Denti e artigli e
le mani
la cercarono per graffiarle il volto.
Ma
anche questo, per quanto la
ferisse, non era un comportamento normale.
«Che
cosa dovrei dirti?!» gridò,
orripilata dalla distruzione che si abbatteva sulla baia, levitando
alta nel cielo.
Era
forte, Memory. Molto più di
quanto si aspettasse.
«Spiegami!»
Molto
più di quanto avrebbe dovuto.
«Spiega
tu.»
Perché?
Da dove scaturiva quella
rabbia, con la natura che dormiva pacifica intorno a loro?
Una
lingua di sabbia le trafisse un
fianco. Sangue scuro sprizzò in un lungo arco, schizzando
rami di
corallo sulla spiaggia. Fluttuò a mezz'aria prima di esser
travolta
da un altro colpo.
A
terra, boccheggiò, semisepolta.
Poi
il vecchio istinto di guerriera
riaffiorò e la costrinse ad aprire gli occhi, a individuare
la
sagoma in agguato vicino alla luna.
«Non
lo immagini?»
Sì,
forse ora poteva. Distrazione.
Trappola.
«Mi
libererò da questo giogo» lo
sentì sibilare.
Distolse
lo sguardo, sopraffatta
dalla tristezza. Aveva fallito di nuovo, allora. Fallito.
Fallito...
«Non
ne posso più. Che cosa mi hai
fatto?»
Ma
quelle parole e quel tono non
erano del Principe degli Inferi.
Il
Fibrizo che conosceva...
«Rispondi!»
Si
scagliò su di lei come una
meteora.
L'onda
di ghiaccio cristallizzata dal mare lo intercettò a pochi
respiri da
lei, compiendo un volo aggraziato. Stretto nella sua dolce morsa, di
bocca gli uscì solo un gemito, in una pioggia di rosso.
Il
Fibrizo che conosceva...
Scese
il
silenzio. Dolphin avrebbe voluto non sentire i suoi singhiozzi
isterici: ferivano molto più degli spasmi con cui cercava di
liberarsi, impotente, per attaccarla ancora. Perché adesso?
Avrebbe
voluto chiedere. Per illudermi?
«Liberami!»
boccheggiò Fibrizo.
«Liberami...»
«Da
cosa, mio signore?»
«Io
non volevo sapere. Non volevo
capire...»
«Che
cosa?»
Uno
sforzo sovrumano, e il viso del
demone si rilassò, abbassando la maschera.
«Cosa
vuol dire vivere.»
Il
Fibrizo che conosceva non
piangeva.
Dolphin
spalancò gli occhi, mentre la gabbia di ghiaccio crollava
come una
cascata al disgelo, con uno schianto. Una pioggia bianca e un
prigioniero in caduta libera verso la terra...
«Non
volevo capire.»
Aveva
tentato di uccidere con lei
quella che ancora percepiva come una minaccia – un'esperienza
familiare, in fondo. Accolse il sollievo di ferite che rimarginavano.
«Preferisco
la cruda verità ai
giri di parole, Fibrizo» mormorò, girando il viso
verso il suo
collo. «Su quella puoi costruire qualcosa di reale.»
«Tu
sei pazza. Siamo demoni.
Mentiamo, distruggiamo, portiamo discordia... non danziamo nei boschi
con gli elfi.»
Dolphin
sorrise. «E chi ha deciso
che non si possa cambiare? Tutti hanno un lato più oscuro.
Tutti
possono averne uno migliore.»
Lui
non rispose. Pur nella cupa
consapevolezza del prezzo che avrebbero pagato, un giorno, per quel
libero arbitrio, la dea del mare incontrò i suoi occhi verdi
e
consapevoli.
Ce
l'aveva fatta, alla fine. Era
accaduto davvero.
Non
erano più soli.
«Sono
come mi volevi» disse
Fibrizo, rassegnato. «E ora dovrò morire. Ha
senso?»
Dolphin
sorrise, toccandogli una
guancia.
«E
dici di amarmi.»
Ecco,
come a un giro di rivoluzione
della galassia, erano tornati alla prima domanda. Adesso poteva
rispondergli.
«Volevo
che potessi dire di aver
vissuto.»
Senza
altro che un sospiro, Fibrizo
le affondò le mani nei capelli e la baciò.
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Capitolo 7 *** Un galoppo lontano ***
Nota dell'autrice:
ecco il penultimo capitolo... corto corto ^^; Um... ma
c'è ancora qualcuno che legge questa fic? *dubbio amletico*
Il "galoppo lontano" del titolo - se qualcuno se lo chiedeva -
è proprio quello di Pascoli; l'avvicinarsi
inesorabile della morte. Che dite? Allegria dopo le feste? Potevo
aggiornare qualcos'altro? Come vi viene in mente? ;-p
----------
7
Un galoppo lontano
Le
aveva recitato quei versi. Poi l'aveva attaccata. E, per concludere
la completa follia di quella notte, sotto le stelle mute, mentre la
marea montava a bagnarle i capelli, si era unito a lei. Senza
indossare fili da burattino; senza amara acquiescenza.
Una
giovane tartaruga che raggiunge la battigia ponendosi in salvo.
Quasi
non riusciva a crederci, e qualcosa di pressante gli sussurrava
sospetti di altrui interferenze. Ma una voce più calma
disperse le
ombre.
Sì,
tu. Finalmente.
Scosse
la testa, premendo indice e pollice sulle palpebre. Madre del mondo,
se qualcuno avesse potuto sentirlo... Ricordava chi era stato, come
era stato, cosa aveva voluto dall'eternità; e ora che
quell'eternità
non si stendeva più ai suoi piedi, inghiottita dal buio come
un
viale dalle fiaccole consunte, si sentiva libero, uno schiavo
affrancato.
Nato
per dominare la linea infinita del tempo, ne era adesso soggetto. La
morte non era più il suo regno.
Ma
continuava a non fargli paura.
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Capitolo 8 *** Ritorno alle profondità ***
Nota:
ultimo capitolo. Se qualcuno legge ancora (o ha mai letto ^^;) questa
fic, spero che almeno in chiusura lascerà un commentino. Ho
concluso la storia molto tempo fa, quindi le impressioni sono un po'
sbiadite, ma mi è piaciuto sperimentare uno stile e un
format leggermente diversi dal solito. In ogni caso, sono abbastanza
soddisfatta del lavoro.
Au revoir =)
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8
Ritorno
alle profondità
Gioia,
gioia, gioia. Era arrivato il compleanno della sua vita; era arrivato
il suo amore. La tavolozza del mondo s'impastava di luce e le terre
profumavano di pioggia, come all'alba dei tempi.
Guardò
Luna, che sorrise.
«Sei
felice, hm?»
«Sì.»
Il
valore non sta nella quantità.
Non
era la semplice concordia, né il possesso a rendere speciale
il loro
legame; era il trovarsi in due senza le rispettive solitudini.
Guardarsi e vedere nell'altro la metà di se stesso.
O
nato dalle dune... il mare ha raggiunto il deserto.
Il
delta insabbia il mare, nascono nuove terre.
Allo
spuntar del giorno, lo trovò sulle scogliere che si
accendevano di
giallo azzurrino. Il suo sguardo era lontano. In qualche recesso
della mente vide ciò che vedeva e provò il
desiderio di gridare. A
occidente, si inabissavano le ultime stelle.
«L'ho
trovato» le disse, atono.
«Lo
so.»
«Non
mi chiedi dove?»
«...Dove?»
Fibrizo
esitò, poi scosse impercettibilmente il capo.
«No,
non ha importanza. Quel che importa» e i suoi occhi, scuriti,
si
abbassarono sui palmi aperti «è che ho fatto
appena in tempo.»
Dolphin
tacque, già perduta. Non avrebbe dovuto: ma prevedere e
provare
erano due sofferenze diverse.
«Mi
mancano le forze. Avrò bisogno del tuo aiuto, per
aprirlo.»
E
sebbene lo sentisse venir meno da tempo, quelle semplici parole la
uccisero. «Sei già a questo punto?»
L'alterigia
del suo viso non la ingannò. Una fredda paura della morte si
agitava
sotto la superficie.
«Mi
aiuterai?»
Non si
sforzò di sorridere. «Varcherò Hell's
Gate con te.»
E
se uno avrà paura, l'altro saprà infondergli
coraggio.
Il
gong del cancello echeggiò, cupo.
FINIS
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