Wanna Be Faithful

di JanisJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Complicazioni. ***
Capitolo 2: *** Discussioni. ***
Capitolo 3: *** Questioni. ***
Capitolo 4: *** Contraddizioni. ***
Capitolo 5: *** Intrusioni. ***



Capitolo 1
*** Complicazioni. ***



 
Salve a tutti, care lettrici e cari lettori. Rieccomi, con il sequel di Wanna Be Ordinary. *esulta per essere riuscita, dopo ben quattro giorni di travaglio, a partorire questo primo capitolo*
Normalmente preferisco ritagliarmi il mio momentino alla fine della pagina, ma oggi vi ruberò un po' di tempo pre-lettura, cercando di prepararvi a questa mia nuova produzione.
Che dirvi, questa storia sarà leggermente più complessa di WBO, che trattava principalmente dei mesi subito successivi alla fine della seconda guerra magica ed in particolare l' evoluzione del rapporto tra Ron ed Hermione. Risulterà incentrata - anche - su un personaggio della saga che ho sempre snobbato, l' ignavo Draco Malfoy. Niente Dramione, per carità, sarebbe fare eccessiva violenza a me stessa, ma voglio provare ad analizzarlo, aprirlo, scoprirlo, nella speranza che nasca qualcosa di decente. Non so esattamente dove mi porterà quest' intreccio, ma sarò entusiasta di farmi trasportare dal vento.
Per quanto riguarda i tre Caposcuola citati, sono di mia invenzione e perciò perdonate la poca originalità nei nomi; ho anche supposto che Septima Vector, insegnante di Artimanzia, prendesse il posto della McGrannit (preside) come Direttore Grifondoro.
Dovrei dire qualcosa sul titolo? Sì, Ari, direi proprio di sì!
Quel faithful è stato pensato, strapensato e ripensato, perchè, se era stata la parola ordinario ad ispirare la prima long, in questo caso mi sono trovata a dover estrapolare dal contesto. Comunque, la traduzione del termine racchiude quasi tutti i temi trattati in queste pagine. 
Bene, bando alle ciance gente, vi lascio leggere e giudicare in pace. 
Commentino? *occhioni persuasivi*
 


 

Wanna Be Faithful ~

 


Complicazioni.

 
 
C' era calma, finalmente. E nell' aria che sapeva di chiuso, annusò a pieni polmoni l' inebriante profumo di libertà.
Si sentiva incastrata in quelle infinite, logoranti e frenetiche giornate di via vai: dalle aule alla biblioteca, dalle riunioni con gli altri tre Caposcuola a quelle con i Prefetti. Studiare, seguire le lezioni, adempiere alle mansioni che implicava la sua carica, farsi indicare dai professori le parti degli enormi libri di testo che avrebbe dovuto imparare senza ausilio delle loro spiegazioni e di nuovo, correre a studiare. Ogni giorno, senza sosta.
Hermione si stupiva addirittura di riuscire a trovare il tempo di dormire. La mattina precedente aveva persino rischiato di assopirsi a Storia della Magia, comprendendo per la prima volta cosa intendessero Ron ed Harry, quando si ostinavano a ritenere soporifera la cantilenante voce del professor Rüf.
Non si sentiva così stanca e affaticata da quando il terzo anno, aveva avuto in dotazione la Gira Tempo. Se glielo avessero chiesto, avrebbe affermato, senza ombra di dubbio, che la ricerca degli Horcrux era stata più distensiva. O forse no, ma chi aveva tempo di pensarci?
Quella mattina però sarebbe stato diverso, pensò voltandosi tra le coperte. Aveva programmato una giornata di pausa da più di un mese e ne avrebbe assaporato ogni, singolo, istante.
Tra le mani stringeva ancora un pezzo di pergamena spiegazzato e una piuma spezzata, che la sera prima aveva utilizzato per scrivere parte del tema di Pozioni. Li lasciò scivolare sul pavimento, con un risolino euforico.
Lumacorno e la sua complicatissima Bevanda della Pace avrebbero dovuto aspettare; quel sabato si sarebbe dimenticata di qualsiasi impegno scolastico.
Sbirciò le lancette della sveglia e constatò con piacere che segnavano le otto. Aveva dormito più delle sue abituali sei ore scarse e le sembrava di poter sentire quei centoventi minuti in più rinvigorire il suo corpo magro ed incredibilmente fragile.
Si alzò in piedi e con un paio di goffi saltelli raggiunse il bagno, dove con calma si privò dei vestiti e si infilò nella grande vasca che occupava buona parte della stanza.
Assaporò a lungo l’ aroma della schiuma, massaggiandosi con una spugna. Ripensava rassegnata alle docce rubate alla frenesia delle sue giornate, negli orari più improbabili: alle due del mattino, mentre dettava ad una penna incantata il saggio di  Erbologia sulla Mimbulus mimbletonia e le proprietà della puzzalinfa; all’ alba mentre redigeva l’ ordine del giorno per l’ incontro pomeridiano con i Prefetti, oppure durante la pausa pranzo mentre ripeteva i Sigilli Aritmantici.
Indugiò nell’ acqua fino a quando le increspature sui polpastrelli furono troppo evidenti. Solo allora si avvolse in un morbido asciugamano e raggiunse la cassettiera che conteneva quasi tutti i vestiti che possedeva; non molti, effettivamente. Non aveva mai badato particolarmente a cosa le donasse di più, riconoscendosi soprattutto nella semplice e severa divisa di Hogwarts, che aveva sempre sfoggiato con orgoglio.
Da quando frequentava Ron aveva scoperto una parte di sé molto più frivola, individuando senza difficoltà le leggerezze con cui macchiava il suo rigore. Profumo e un rimmel erano comparsi nel suo Beauty Case, intimo di pizzo e profondi scolli a vu nel suo guardaroba.
Sorrise, recuperando dal fondo di un cassetto il suo completo preferito, di un delizioso color grigio perla.
Picchiettandosi il mento con un dito, scorse velocemente magliette e pantaloni che attendevano pazienti di essere scelti, perfettamente impilati e coperti da un leggero strato di polvere. Aveva escluso qualsiasi cosa le lasciasse nude le gambe, appena aveva notato la nebbia fitta che avvolgeva il paesaggio che si stagliava dalla sua finestra. Ron avrebbe certamente trovato il modo di vederle le gambe senza che lei si impegnasse per agevolarlo.
Senza mettersi fretta optò per un paio di jeans, camicetta e golfino, che infilò con cura, lisciando il colletto e sistemando i bottoni in modo che non facessero difetto. Un accorgimento inutile, pensò pratica, immaginando che quelle asole sarebbero state presto liberate.
Si voltò verso la specchiera e constatò soddisfatta che l’ effetto era piacevole. Si chiese se le varie tonalità di blu e azzurro con cui si sentiva tanto a suo agio, fossero un inconscio tributo agli occhi del suo ragazzo.
Sciolse i capelli, agitando la testa per far prender loro volume.
Quanto tempo era che non lasciava libera quella massa di ricci? Sembrava quasi riprendere fiato, scarcerata dalla prigionia della sua quotidiana e comoda crocchia.
Attraverso la superficie riflettente, notò le lancette dell’ orologio segnare le dieci meno un quarto. Con un brivido d’ eccitazione, afferrò la borsa che aspettava da tempo un' ora d’ aria appoggiata sul davanzale, e dopo averla riempita con un paio di oggetti inutili, un libro e la bacchetta, uscì di corsa dalla sua stanza.
 
Ginny attendeva impaziente sotto le maestose porte di legno intagliato.
Nel momento in cui vide Hermione arrivare, affannata per la consapevolezza del ritardo, cominciò a battere il piede sulle piastrelle di marmo, enfatizzando il suo nervosismo.
“Dovremmo essere già lì!” La rimproverò, non appena fu abbastanza vicina da sentirla. Non potè che constatare che il suo aspetto era molto diverso: niente più pettinature austere, niente divisa chiusa fino a sotto il mento, niente aria stanca. Era così allegra che per qualche secondo non notò le occhiaie che cerchiavano i suoi intelligenti occhi castani, così come le ombre che le segnavano le guance, tirate in un sorriso spensierato.
Se c’ era una cosa che suo fratello era in grado di fare - se non l’ unica - pensò Ginny, era quella di trasformare rapidamente Hermione. Così come ne mutava le sembianze da stanca e abbattuta a rilassata e felice, era in grado di distruggerla con un gesto o una misera, stupida, parola sbagliata.
“Scusami, ci ho messo più del previsto” Si giustificò, non riuscendo a mostrare rimorso.
 Il suo sorriso contagioso finì con trascinare Ginny in quel vortice di vitalità.
Uscirono dal castello a passo spedito, entrambe troppo concentrate sulla meta, per potersi rendere pienamente conto del gelo che penetrava gli abiti e l’ aria satura d’ acqua che non permetteva loro di vedere ad un palmo dal naso.
Hermione giocherellava con il braccialetto che portava al polso; lo agitava per ascoltarne il rumore metallico, gesto che ripeteva nervosamente ogni volta che sentiva di voler gettare la spugna.
Con un plic quasi impercettibile, il sottile oggetto cadde per terra, costringendola a fermarsi per recuperarlo.
I piccoli otto ciondoli appesi si erano sparsi sull’ erba umida. Sorrise nel leggere ordinary seguire la linea della catenina dorata.
Il più bel regalo che avesse ricevuto per i suoi diciannove anni.
Ron l’ aveva stupita, doveva ammetterlo. Quando aveva scartato quel pacchetto tutto ammaccato, aveva quasi creduto di trovarci una spilla dei Cannoni di Chudley. Essere innamorata di lui, non la rendeva certo cieca. Sfatiamo questo mito, pensava, allacciando con qualche difficoltà il gancetto: l’ amore ammorbidisce, rende più tolleranti, ma non illude fino all' inverosimile.
La sua attenzione venne improvvisamente attirata da due uomini al fianco della professoressa McGrannit, che si stavano avviando al castello. I due avevano l’ aria seria e vagamente arcigna caratteristica di molti Auror.
“Perché credi che siano qui?” Le chiese Ginny.
Osservò le due sagome scure sbiadire, fino a scomparire nella foschia.
“Non ne ho idea” Rispose Hermione sincera. “Ma immagino ci sia qualche altro genitore sotto processo”
Da quando era cominciato l’ anno scolastico, molti studenti erano stati prelevati dalle lezioni per essere condotti al Ministero: interrogatori, deposizioni, ma soprattutto madri e padri sotto accusa. La preside aveva concesso permessi speciali per tutti i figli che desiderassero assistere a quelle che erano diventate veri e propri eventi. La Gazzetta del Profeta non faceva che riferire di intoppi dovuti al sovraffollamento delle aule, specialmente per i Mangiamorte più famosi.
Ricordava che, un paio di giorni prima, aveva letto che per Lucius Malfoy il giudice aveva dovuto vietare l’ accesso al pubblico, limitato alla giuria, avvocati e quattro corpulenti Auror che controllavano l’ imputato.
Poco potevano per lui i luminari della Magisprudenza che seguivano il suo caso, quando l’ accusa portava prove schiaccianti della sua colpevolezza. Pareva però che per la moglie e il figlio ci fossero attenuanti che avevano garantito loro netti sconti di pena.
Anche Harry era stato chiamato per il processo di Narcissa Malfoy. Si appuntò mentalmente di chiedergli esattamente quale fosse stato il suo ruolo, mentre superava un gruppetto di Serpeverde, guidati da Asteria Greengrass, una bella ragazza, piccola di statura, ma con l’ aria fiera e lucenti capelli castano scuro. Si stupì della sua andatura fiacca e l’ aria distratta. Non era da lei, ne risentiva il suo portamento nobile che aveva lasciato spazio ad un debole ciondolare.
Non ebbe modo di congetturare troppo a lungo su quali potessero essere le ragioni, perché un dito le picchiettò la spalla, facendola sobbalzare.
Quando si voltò, un ragazzo dai capelli rossi le rivolse un ampio sorriso.
“Ron!” Gridò lei gettandogli le braccia al collo.
Molti Serpeverde lanciarono loro occhiate disgustate, altri risero, ma Asteria li zittì, intimando loro di continuare a camminare.
Hermione baciò più volte Ron sulla bocca, prima di accorgersi di stare dando spettacolo: due Tassorosso che non potevano avere più di quattordici anni, li guardavano rapite.
“Circolare, circolare, qui non c’è niente da vedere!” Le apostrofò Ron, continuando a stringerla forte.
“Ti sei dato ai polizieschi?” Chiese lei ridendo.
“Alle serie tivù” L’ ammissione arrivò con timore non troppo velato. Ma quando notò che lei non cambiava espressione e la maschera di rimprovero non compariva magicamente sul suo viso, aggiunse che si era appassionato a C.S.I., uno dei telefilm sul crimine più famosi.
“I babbani sono veramente geniali, con tutte quelle cenfritughe e quelle lampade a luce blu, per incastrare gli assassini. È come se fossero riusciti ad ottenere anche loro un po’ di magia!”
“Ti sei proprio fissato eh!” Harry colpì la schiena dell’ amico, ridendo.
“Ciao Hermione” Esclamò abbracciandola.
 
I Tre Manici di Scopa era il locale preferito dagli studenti di Hogwarts e le visite ad Hogsmade stipavano all’ inverosimile le sue salette anguste. Quando Madama Rosmerta aveva visto entrare nel suo pub Harry, Ron, Ginny ed Hermione, era riuscita immediatamente a trovare loro un tavolo e a servir loro quattro fumanti Burrobirre.
“I privilegi degli eroi” Dichiarò Ron, scolandosi metà della sua bibita, riuscendo per la fretta, ad ustionarsi la gola.
“Ma insomma, vuoi morire soffocato?” Hermione gli battè la schiena, aspettando che il suo attacco di tosse cessasse.
“Adesso basta!” Riuscì ad esalare fievolmente.
“Scusa, ma ci vediamo dopo mesi e tu non fai altro che sgridarmi per qualsiasi cosa” Aveva ancora la voce roca per l’ esofago scottato.
“Non è vero!” Asserì lei con decisione.
“Ah sì?” Chiese con sguardo di sfida. “Vediamo; prima, quando ho fatto lo sgambetto a quell’ idiota di Serpeverde, mi hai dato del deficiente, nonostante mi fosse parso di sentirti chiamare schifosa Mezzosangue
“Appunto Ron, ti era sembrato. E lui è finito faccia a terra, senza che tu ne fossi sicuro”
“Poi” Continuò. “Appena siamo entrati qui mi hai picchiato perché ho buttato giusto un’ occhiata a Madama Rosmerta!”
Nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere.
“Un’ occhiata? E tu quella la chiami occhiata? A momenti dovevo raccoglierti la lingua dal pavimento!”
“Esagerata! E poi non ti facevo così gelosa!”
“Gelosa, io? Ma se prima quando il Caposcuola di Corvonero mi è venuto a chiedere un’ innocua informazione, tu eri sul punto di spaccargli il naso!”
“Tu non l’ hai visto come ti fissava quel Clever! Ti mangiava con gli occhi!”
“Ma se è cieco!” Sbottò lei esasperata.
“È un modo di dire!”
“Va bene, va bene, basta” Disse Hermione, sventolando in aria le mani. “Non ho proprio voglia di litigare”
“Non chiedo altro” Aggiunse lui tornando a bagnarsi le labbra con la densa bevanda, rivolgendo gli occhi altrove.
“Comunque” Si inserì Harry, avvertendo l’ atmosfera farsi tesa. “Non volevi sapere del processo a Narcissa Malfoy?”
Hermione dimenticò immediatamente l’ irritazione, trovato l’ espediente per interessarsi a qualcosa di più produttivo.
“Ecco, come mai ti hanno convocato?” Chiese, spingendosi impercettibilmente in avanti, come ogni volta che qualcosa catturava la sua attenzione.
“Volevano che testimoniassi in suo favore”
“E l’ hai fatto?” Chiese lei, studiando la sua espressione.
“L’ ho fatto” Harry sembrava combattuto tra l’ odio che provava verso la famiglia Malfoy e la gratitudine per la donna che aveva avuto il coraggio di mentire a Voldemort, quel lontano due maggio.
“Mi spiace solo per quel verme di Malfoy” Soffiò Ginny tra i suoi bei denti bianchi.
“Draco” Specificò, quando tre paia di occhi le rivolsero uno sguardo perplesso.
“Mi sono persa qualcosa?” Chiese Hermione.
“Si è beccato solo due anni” Spiegò Harry, divertito dall’ impeto della sua ragazza.
“Malfoy ad Azkaban! Sembra un sogno” Rise Ron.
“Qui sta il problema, non andrà ad Azkaban” Disse Ginny stizzita. “Pare che i suoi avvocati abbiano fatto un accordo”
Lisciò rabbiosamente una ciocca rossa e la portò dietro l’ orecchio. “Anche se non se ne conosce l’ entità”
“Mi stupisce che tu non ne sapessi nulla, Hermione” Harry sembrò accorgersi in quel momento del suo aspetto stanco.  
“I M.AG.O. sono più impegnativi del previsto” Rispose, alzando le spalle. “Non ho molto tempo per leggere il giornale”
“Hermione sta esagerando con lo studio”  C’ era una nota di sincera preoccupazione nelle parole dell’ amica, ma non permise a sé stessa di commuoversi.
“Oh, per favore, Ginny. Sto benissimo! Come procede il lavoro al negozio di scherzi?” Sorrise a Ron, sperando che abboccasse al tranello.
“Cosa vuoi dire?” Chiese lui a sua sorella, ignorando il tentativo di sviare il discorso.
“Non la vedo in Sala Grande più di una volta al giorno e sembra così, così…”
“Stanca?” Concluse, rassegnata all’ idea di render conto della sua situazione. “E va bene, sono stanca. Niente di insopportabile però. Magari ho saltato qualche pasto, ma solo se era assolutamente indispensabile”
Ron la guardò preoccupato. Tanta era stata la felicità di rivederla, che non si era accorto di quanto fosse spenta. La pelle del viso era di una tonalità meno brillante e aveva le borse sotto gli occhi; persino la sua voce era smorzata, meno acuta.
“Non starai esagerando?” Le domandò. “Potresti sempre chiedere alla  Vector di aiutarti a ridurre gli impegni”
“La professoressa Vector, Ron. Comunque, non ho bisogno d’ aiuto, ce la faccio tranquillamente da sola” Gonfiò fieramente il petto.
“Facciamo una passeggiata?” Chiese Harry a Ginny, dopo un breve silenzio, nel malcelato tentativo di avere un momento solo con lei.
“Ci vediamo dopo” Li salutarono, sparendo tra gli schiamazzi della folla, prima che potessero rendersene conto.
“Facciamo un giro anche io e te?” Le chiese Ron, dopo aver pazientemente atteso che finisse la sua Burrobirra.
 
La nebbia era diventata ancora più fitta e si infilava tra le pieghe dei vestiti, provocando una spiacevole sensazione di bagnato.
Si intravedevano i bagliori delle candele nelle zucche intagliate, ma nessuna delle splendide decorazioni che incrostavano la cittadina vinceva l’ aria caliginosa. Un ulteriore lugubre dettaglio ad enfatizzare l’ atmosfera di Halloween.
Hermione si strinse più forte a Ron, nascondendo il volto contro il suo petto, infastidita dall’ aria fredda che le gelava le retine.
“Duvstimondand?” Borbottò lei.
“Eh?”
“Dove stiamo andando?” Chiese, affrontando il gelo che le faceva lacrimare gli occhi.
“Non so” Ron sembrava imbarazzato. “Tu cosa hai voglia di fare?”
“Non so” Le sue guancie rosse per il freddo pungente, assunsero una tonalità ancora più accesa.
Le veniva da ridere. Avevano fatto l’ amore molte volte, eppure non riuscivano ad ammettere di desiderarsi profondamente, smaniosi di poter rivivere quell’ esperienza così appagante.
Percorsero ancora qualche metro, prima che Hermione si decidesse a spingersi sulle punte dei piedi, per godersi quelle labbra che per due, lunghi, mesi, era riuscita solo ad immaginare.
Non passò molto tempo prima che l’ assenza prolungata di contatto fisico reclamasse un po’ d’ intimità.
Anche un angolo appartato, nella stretta intersezione tra due case, sembrava una crepa tra il mondo reale e quello dei sogni. Era bello baciarsi, stringersi, sentirsi, dopo tanto tempo.
“Sei dimagrita” Disse, allontanandola da sé.
Le ossa del bacino spuntavano dal suo ventre, puntellando le palme di Ron, che strofinavano lentamente quell’ ampio lembo di pelle.
“Te l’ ho detto, ho saltato qualche pranzo di troppo” 
“Come stai davvero? Dimmelo, dai” Chiese, accarezzandole il volto.
Era indecisa se distruggere l’ argine già incrinato, liberando il fiume di preoccupazioni e debolezze, o negare semplicemente l’ evidenza, sperando che Ron si bevesse la versione io-me-la-cavo-sempre-benissimo. Non che temesse il suo giudizio, ma pensava che se avesse reso partecipe qualcun altro del suo malessere, sarebbe crollata definitivamente.
“Signorina Granger? Scusi signorina, potrebbe uscire di lì, per favore?” La voce autoritaria di Septima Vector, la esentò dal rispondere, facendola schizzare da quel cantuccio fuori dal mondo.
“La stavamo cercando” Disse, quando dietro di lei apparvero anche il professor Vitius, la professoressa Sprite e Horace Lumacorno, che aveva tutta l’ aria di essersi imbattuto in un Berretto Rosso, senza avere il tempo di metter mano alla bacchetta.
 
Percorrevano veloci i corridoi che conducevano alla Sala Professori, i quattro Direttori e i rispettivi Caposcuola. Melanie Honey, Mike Clever, Venenia Macmillan ed Hermione si scambiavano sguardi interrogativi, rassegnati a non conoscere la ragione di quella corsa, dopo aver tentato inutilmente di scucire qualche informazione.
Erano stati trascinati via da Hogsmade con la promessa che la questione si sarebbe risolta velocemente e senza intoppi, ma, pur rifiutandosi di credere a quelle che aveva sempre reputato stupidaggini, dovette ammettere di avere un brutto presentimento.
Era doppiamente seccata: da un lato perché stava perdendo del tempo prezioso che avrebbe potuto impiegare in altro modo, dall’ altro odiava l’ idea che l’ avessero convocata senza darle la minima spiegazione.
Le porte del primo piano erano tutte aperte tranne una, la loro destinazione.
Quando la professoressa Vector spinse le ante, capì il perché di tutta quella segretezza. Quattro ragazzi sedevano al lungo tavolo: non erano studenti qualsiasi.
Un paio di iridi grigie corsero immediatamente alle sue. Quegli occhi sprezzanti e maligni, e il sorrisetto arrogante sul suo viso scarno, le fecero montare una rabbia istintiva, dettata dall’ abitudine.
Cercò immediatamente il familiare tintinnio al suo polso, che non riuscì però a calmare il suo disagio.


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Capitolo 2
*** Discussioni. ***


 
 

Discussioni.
 

 

Quello doveva essere un sabato distensivo.
Aveva aspettato due mesi per gettare un bullone negli ingranaggi della macchina in cui si stava trasformando.
Sessanta, interminabili, giorni.
Doveva prevedere che le conseguenze non potessero essere positive e in un certo senso lo aveva fatto: aveva immaginato che la separazione da Ron sarebbe stata difficile e dolorosa. Pensava che ritagliarsi quell’ intervallo con lui, le avrebbe fatto odiare profondamente la scelta di concludere gli studi. O la sua di non seguirla.
Non poteva credere possibile però, che un problema di quell’ entità le si fosse abbattuto addosso.
Non nel suo unico giorno libero.
 
La Sala Professori era sempre stato un luogo velato di mistero. Quali che fossero gli argomenti discussi nelle frequenti riunioni indette dai docenti di Hogwarts, non potevano ridursi certamente a lezioni e osservanza delle norme scolastiche. Tutti sapevano che il castello era traboccante di segreti almeno quanto lo era di studenti e chissà per quale ragione, proprio questi ultimi avevano introdotto nell’ immaginario comune la leggenda che quei muri fossero impregnati, oltre della consueta umidità britannica, anche degli indecifrabili codici della scuola.
Le parole della professoressa McGrannit avevano penetrato fastidiosamente i suoi timpani, distraendola comunque a malapena dalla sua missione di mantenere il buon umore.
Chi invece aveva attentato deliberatamente alla suo meritato momento di felicità, erano quei quattro volti che non nascondevano il loro disappunto. Pansy Parkinson, Daphne Greengrass, Blaise Zabini e Draco Malfoy occupavano solo quattro delle decine di sedie, eppure sembravano riempire l’ intera stanza.
Indossavano le loro divise e sembravano indifferenti all’ indubbia anormalità della situazione. Come se li infastidisse essere in presenza di due nati babbani e un mezzosangue, ma fossero completamente disinteressati al perché si trovassero tutti nella stessa stanza.
Accellerò il passo, stringendo i pugni con rabbia.
Mai, in tutta la sua vita aveva mai pensato che si sarebbe trovata in una situazione simile.
Fare la baby-sitter a Malfoy, o da Supervisore, come aveva precisato solennemente la preside: fuori da ogni logica.
Dopo aver elencato le ragioni per cui i quattro Serpeverde tornavano a frequentare le lezioni, tra cui menzionava l’ importanza di ottenere quanti più M.A.G.O. possibile per reinserirsi in contesto sociale adeguato e l’ esigenza di avere modo di espiare le proprie colpe attraverso un contatto con la parte lesa, aveva specificato che avrebbero assegnato a ciascun Caposcuola il compito di trascorrere qualche ora al giorno insieme alla persona affidata.
Calciò violentemente un sassolino che disegnò un arco, per poi scomparire nella nebbia.
“Ahi! Miseriaccia che male!” Il lamento proveniva da un punto indefinito poco lontano.
“Ron?” Chiese lei, pur essendo sicura del proprietario di quella voce.
“Sono qui” Chiamò debolmente, agitando una mano che comparve improvvisamente dal nulla. Si massaggiava la testa dove la pietruzza lo aveva colpito.
“Perché mi hai tirato una pietra?” Si lagnò, lanciandole uno sguardo mortificato.
“Mi spiace” Rise. ”Non l’ ho fatto apposta!”
Corse ad aiutarlo e gli scoccò un bacio sui capelli. L’ euforia era tornata a pizzicarle la pelle e si sentiva nuovamente libera.
Ron sembrò apprezzare il suo gesto e si abbassò su di lei per rubarle un bacio.
“Allora mi spieghi perché ti hanno portato via?”
“Non dovrei ancora parlarne” Succhio l’ interno del labbro indecisa. “E sia! Malfoy e la sua banda sono stati mandati a ripetere l’ ultimo anno”
Ron sembrava stupito e molto confuso.
“L’ anno scorso non hanno dato gli esami” Aggiunse, riconoscendo nell’ espressione perplessa del ragazzo, la medesima che doveva averle deformato i lineamenti quando aveva sentito le parole della preside.
“Ognuno di noi Caposcuola dovrà studiare con uno di questi mancati galeotti”
Ora Ron sembrava divertito.
“Chi ti è capitato” Chiese, intuendo probabilmente la risposta.
“Malfoy, ovviamente” Hermione sospirò sconsolata, prendendosi la testa tra le mani.
“È sicuramente il più difficile e io sono più grande di lui, diversamente dagli altri. Non che faccia una grande differenza, ma la McGrannit…”
Professoressa McGrannit” La corresse Ron agitando in aria un dito, imitando il suo atteggiamento quando gli faceva una ramanzina.
“Sì, Ron, grazie” Borbottò lei, inacidita.
“Comunque, credono che possa far bene a farli pentire, credo. Non pensano che siano irrecuperabili come i loro genitori. Ma mi ascolti?”
“Uhm, sì certo!” Le aveva infilato una mano sotto la sciarpa, sfiorandole con i polpastrelli la pelle del collo.
“Credi” Deglutì, dopo un profondo sospiro. “Credi di potermi far vedere la  tua stanza nuova?”
 
“Mi sei mancata” Mormorò Ron con il viso schiacciato nel cuscino.
“Me ne sono accorta” Indicò con un’ occhiata eloquente la camicetta che era atterrata sullo spigolo dell’ armadio; poi i piccoli bottoni celesti sparsi vicino alla porta.
Facendo attenzione a non cadere, si spostò su un fianco, aspettando che lui la accogliesse tra le braccia.
“Anche tu non ti sei risparmiata” Mostrò maliziosamente una spalla in cui brillavano i segni rossi delle unghie di Hermione.
Lei avvampò, trattenendo il respiro.
Quel gioco di risposte acide e frasi pungenti era diventato un’ abitudine di cui non sapeva liberarsi. Ognuno ha un modo suo di amare e il loro non era diverso da qualsiasi altro; o forse sì, ma niente e nessuno poteva giudicarlo, soppesarne il valore. Quel loro amore complicato nella semplicità di guardarsi negli occhi; sensuale nei baci acerbi, così innocenti; struggente nella leggerezza di una complicità forse incompresa.
Certo avevano ancora molto da imparare per esprimersi al meglio con quel linguaggio nuovo, fatto di gesti appena percettibili, di parole sussurrate e altre taciute.
Per quanto fosse la materia più difficile con cui avesse mai dovuto confrontarsi, era decisa ad applicarsi con tutta se stessa. Era naturale dopotutto, doveva solo essere fedele ad una scelta fatta molti mesi - o anni - prima.
Un po’ si vergognava ad ammettere che, contro ogni logica, pensava che nessun altro avrebbe preso il suo posto. Nonostante le probabilità di restare insieme per una vita intera fossero molto basse.
Insomma, quanti amori nascono quando si è giovani e non finiscono tragicamente appena ci si rende conto che si è troppo grandi per continuare a giocare?
Accarezzò dolcemente la guancia ruvida del ragazzo che la guardava. Uno sguardo delicato, come se temesse che la troppa insistenza potesse sgualcirla.
Un ricordo d’ infanzia emerse dalla nebbia della memoria.
Quando aveva nove anni, la maestra l’ aveva sgridata. Era la prima volta che le capitava: era sempre stata una bambina modello nella sua piccola divisa azzurra e le treccine che sua madre acconciava con cura ogni mattina. Ricordava di stare leggendo e che aveva dimenticato di andare a pranzo. Quando l’ anziana signora l’ aveva trovata accovacciata in un angolo della stanza dei giochi, aveva teso la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei l’ aveva ignorata, rapita dalle pagine che soddisfacevano a sufficienza la sua fame. Quando la donna l’ aveva tirata da sotto le braccia, il libro era caduto sul pavimento con un tonfo sordo. Qualche secondo dopo però, aveva cominciato a sbattere violentemente sulla schiena della maestra che, spaventatissima, era corsa fuori. Ricordava quanto fosse stato difficile spiegare che non era stata colpa sua, ma che per magia il libro aveva cominciato a svolazzare per la stanza.
La magia non esiste, aveva dovuto scriverlo cento volte per punizione.
La maestra si sbagliava. La magia non era frutto della fantasia di una bambina.
Che per l’ amore non fosse diverso? Che esistessero eccezioni, casi in cui è possibile essere fedeli a quella scelta? Andare contro l' opinione comune e addirittura la legge della caducità delle cose che vorrebbe che l’ amore, come un fragile essere vivente, nasca, cresca, invecchi e poi muoia?
“A cosa pensi?” La voce di Ron la distrasse dal flusso di riflessioni che l’ aveva portata lontano.
“A troppe cose. Adesso a Draco Malfoy”
“Abbiamo appena fatto l’ amore e tu pensi a lui?” Pronunciò quelle tre lettere con disgusto, sapientemente mescolato con una buona dose di disprezzo.
“Oh per piacere, Ron. Puoi essere geloso di chiunque: di Mike Clever, del ragazzino del primo anno che mi è venuto a chiedere dove fosse l’ aula di Difesa Contro le Arti Oscure, persino del professor Vitius se vuoi, ma Malfoy no, te lo proibisco” Prese fiato, dopo aver pronunciato il breve discorso senza concedersi pause per respirare.
“Te l’ ho detto, io non sono affatto geloso” 
“Certo, tu non sei mai geloso” Fece eco lei, tendendo le braccia verso l’ alto per  stiracchiarsi. L' anima infuocata delle parole appena pronunciate, lasciarono spazio alla rassegnazione.
“Tra meno di un’ ora devo andare in Biblioteca per decidere il programma degli incontri, per questo mi è venuto in mente”
“Vedrai più Malfoy di me, non posso crederci” Aveva nascosto l’ ascia di guerra e Hermione potè nuovamente infilarsi con falsa noncuranza nel suo confortevole abbraccio.
“Comunque” Tossì, dopo qualche minuto di silenziose tenerezze.
“Hai detto un’ ora?” Chiese con la medesima indifferenza con cui aveva trovato posto tra le sue braccia.
Lei annuì ridendo, lasciandosi trasportare lontano da ogni preoccupazione. 
 
“Non posso rimanere qui ancora questa notte? Chi vuoi che lo scopra?” Si lamentò Ron, infilandosi il maglione.
“Non mi sembra una buona idea” Hermione fece scorrere velocemente la zip della gonna che si chiuse con un rumore metallico.
Era affannata, in ritardo e doveva fare i conti con il conflitto che le crepitava nella mentre, tra la voglia di infrangere le regole, come per altro avevano già fatto, e il suo naturale senso del dovere.
Agguantò un paio di forcine e appuntò qualche ciocca che si era ribellata alla prigionia dello chignon.
“Ti aspetto ancora un po’, almeno” Implorò, guardandola balzare da un lato all’ altro della stanza, come uno Snaso in presenza di troppi oggetti luccicanti.
“Sì, si può fare” Borbottò, mentre spostava le coperte alla ricerca dell’ agenda che le aveva regalato sua madre per i suoi diciannove anni.
“Vado” Gemette, dando un’ ultima occhiata apprensiva alla stanza, in cui niente sembrava al suo posto.
Hermione spalancò la porta, percorse scale, Sala Comune e raggiunse in breve tempo il buco del ritratto, seguita da Ron che sembrava ignaro dell’ attenzione dei molti studenti Grifondoro che lo additavano stupiti e divertiti.
“Aspetta un attimo!” Urlò, non appena fu sicuro che non si sarebbe fermata. La velocità con cui aveva raggiunto il quarto piano era stato un segno piuttosto eloquente.
“Mi spieghi perché sei uscito?” Chiese lei agitata, guardandosi intorno furtivamente.
“Volevo fare questo” Le prese il viso tra le mani e le diede un bacio veloce, sorridendo.
Qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce.
“Signor Weasley, lei non dovrebbe proprio essere qui” La preside aspettava a braccia conserte a pochi metri.
Si separarono velocemente e osservarono con orrore la professoressa McGrannit e Draco Malfoy addossati al muro, con due espressioni molto diverse, ma accomunate dalla poca cordialità: la prima sembrava contrariata, il secondo decisamente disgustato.
“Ho tollerato la sua presenza fino a questo momento, ma…”
“Aspetti un secondo” Chiese Ron incredulo. “Vuole dirmi che lei sapeva che ero nel castello?”
“Ma certamente” Lo disse come se fosse stata costretta a dire un’ ovvietà.
“Come fa?” Sussurrò ad Hermione che aveva il viso rosso e sbatteva le palpebre; sembrava che le avessero lanciato negli occhi una manciata di sabbia.
“Io so sempre quello che accade in questa scuola, signor Weasley” La pausa infuse solennità alla sua affermazione.
“Ora, la pregherei gentilmente di tornarsene a casa e di lasciare che la signorina Granger venga con noi” Fece un cenno con il capo e si allontanò a grandi passi lungo il corridoio, fermandosi a metà strada, per parlare con un Prefetto Tassorosso.
“Ci vediamo presto” Sussurrò Hermione che pareva aver recuperato un vago autocontrollo.
Lui annuì tristemente, stringendole una mano.
“Che quadretto rivoltante” Commentò acidamente Malfoy, con un fastidioso ghigno disegnato sul volto.
“Weasley, non pensavo che arrivassi a portartele a letto, quelle come lei” Rivolse lo sguardo verso la professoressa McGrannit, assicurandosi che non fosse a portata d’ orecchio.
“Sei diventato peggio di tuo padre”
Le pupille di Ron si dilatarono e balzò su di lui; le braccia protese in avanti, le mani pronte a colpire. Riuscirono a fendere solo l’ aria, però: un Sortilegio Scudo, lo fece rimbalzare indietro, travolgendo chi l’ aveva evocato.
“Ma ogni tanto pensi a quello che fai?” Sbraitò Hermione, cercando di rialzarsi in piedi.
“E tu?” Chiese lui di rimando, evitando lo sguardo divertito del suo obbiettivo mancato.
“Lo hai protetto!”
“Ronald Weasley! Io non ho protetto lui, ho protetto te! Possibile che tu non capisca che se gli avessi messo le mani addosso, avresti fatto il suo gioco? Tu non frequenti più qui, vuoi che ti impediscano di entrare ad Hogwarts? È meglio se vai, ora” Era infuriata, vibrante di rabbia.
“Sì, Weasley, tornatene dalla tua mammina e dal tuo papino traditori del proprio sangue”
“Tu invece non puoi andare da mammina e papino, vero Malfoy? Azkaban è troppo lontana!” Ruggì, mettendo a dura prova la debole resistenza di Hermione, che gli bloccava gli avanbracci.
Questa volta fu lui ad avanzare e rimbalzare sulla parete trasparente.
“Cosa succede qui?” La McGrannit era accorsa, gli occhi ridotti a due fessure.
“Niente professoressa” Grugnì Ron scoccando un' ultima occhiata infuocata all’ avversario. “Me ne vado. Io qui non c' entro più nulla”
Si allontanò di fretta, ignorando lo sguardo ferito di Hermione.
“Vedi Granger, anche quello stupido coi capelli rossi non pensa che valga la pena salutarti”
“Attento a te Malfoy” Sibilò, avvicinandosi al suo naso sottile. “Mettiamo le cose in chiaro: vedi di non mettermi i bastoni tra le ruote, o io ti faccio spedire a far compagnia ai tuoi genitori!”
“Adesso basta”  Scandì sonoramente la preside.
“Signorina Granger, la prego” Una mano le si posò sulla spalla, facendo poi segno al ragazzo di raggiungere la Biblioteca.
“La aspettiamo lì, se ha bisogno di un paio minuti”
Rimase sola.
Appoggiò le palme al davanzale di una delle grandi finestre e si perse nel paesaggio sottostante: la foschia si era diradata e le chiome dei sempreverdi della Foresta Proibita erano scosse dal vento.
Rivolse lo sguardo nella direzione in cui aveva visto Ron allontanarsi e sussultò quando una folata più violenta fece vibrare le vetrate.
Il loro rapporto era così affine al vento inglese.
Un momento prima, con il sole, l’ aria fresca rende sopportabile il calore ed rende la luce pulita, nitida, facendo sì che l’ occhio umano colga le più leggere sfumature di colore; ma quella brezza costante che tanto si apprezzava nelle giornate d’ afa, ecco portare con sé nuvole nere, cariche di pioggia.
E quando piove in Inghilterra, si ha la spiacevole sensazione che ogni piccola, insignificante gocciolina possa lei sola tingere il mondo nella tonalità più deprimente di grigio. 

 
 

***

 
 
Ma salve gente! Che bello tornare a pubblicare dopo due settimane (-.-’)!
Mi sarebbe tanto piaciuto riuscire a finire prima di partire per Londra **, ma alla fine credo che si sia dimostrata una scelta intelligente, perché ho scritto buona parte di questo capitolo nell’ aeroporto di Stanted lunedì notte e credo che il risultato non sia male (ma lo lascio giudicare a voi, miei cari).
Gli aeroporti sono posti davvero pieni di ispirazione e così mi è bastato batterlo al computer - e sistemarlo - una volta tornata a casa ( e appena la febbre è scesa. Sì, ho avuto l’ influenza D:)
Che dirvi, mi sono divertita a scrivere questo capitolo, un po’ perché è carico di emozioni contrastanti e io mi faccio molto, ehm, trascinare, un po’ perché ho avuto modo di far fare la pignatta a Ron (“passione” che chi ha letto WBO, avrà probabilmente intuito ù.ù) e ovviamente perché ho potuto capire un po’ meglio cosa vuol dire gestire una storia che non è solo una Ron/Hermione (anche se per il momento è ancora quasi del tutto una Ron/Hermione).
Grazie a tutti i lettori ed in particolare i recensori, affezionati e new entry (Gillywater *_____*)!
Spero abbiate voglia di lasciarmi un commentino piccino picciò anche questa volta!
Aspetto con ansia di sapere cosa ne pensiate!
A presto, tanti baci :*

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Capitolo 3
*** Questioni. ***





Questioni.



 

L’ aria frizzante e profumata d’ autunno filtrava dalla finestra, facendola rabbrividire. Quell’ odore le piaceva però, senza contare che il freddo la teneva sveglia e attiva.
Gli spifferi avevano ghiacciato il davanzale, il suo angolo preferito.
Sollevò i piedi sulla superficie fredda, staccando simultaneamente la sua raffinata penna d' oca dal foglio. Liberò lo sguardo dalla pergamena, concedendosi un momento di pausa dopo ore passate a scrivere. Aveva le dita intorpidite.
Vagò sulle pareti giallo oro della sua stanza, così piena di luce di giorno. Vantava una vista mozzafiato sul Lago Nero e mostrava il suo lato più suggestivo nelle notti in cui il cielo terso concedeva la vista delle stelle. La luna poi, riflessa in quella grande macchia scura, sembrava avere una gemella ugualmente luminosa, bella da togliere il respiro.
Quando la sera di Halloween era tornata nella sua stanza, aveva potuto rimirare quell' incredibile spettacolo e per la prima volta non era stato in grado di apprezzarlo.
Era così arrabbiata con Malfoy per aver fatto resistenza ad ogni tentativo di pianificare i loro incontri! E con Ron, perchè si offendeva troppo e senza motivo. E perchè le lenzuola sapevano di lui. E l' aria che respirava era impregnata del suo odore.
Sospirò, cercando istintivamente di risentirlo tra quelle quattro mura, con le farfalle nello stomaco e un sorrisetto ebete sulle labbra. Niente Ron, solo la frizzante aria di novembre.
Quella notte si era svegliata di soprassalto, aveva agguantato un paio di fogli di pergamena e aveva cominciato a scrivere una lettera.
Voleva sfogare la rabbia, ma aveva finito per comporre un’ intensa melodia fatta di parole d' amore.
Loro non si dicevano ti amo, quasi mai almeno. Hermione non sapeva il perchè, semplicemente suonava fuori luogo. Come se la bellezza di quelle cinque lettere potesse sgretolarsi con la banalità dell' abitudine.
Le piaceva che le dimostrasse i suoi sentimenti nascondendoli nei piccoli gesti, infilandoli nelle attenzioni che non riservava a nessun altro.
Lei per una volta aveva voluto gridarglielo con l' inchiostro, perchè sentiva di doverlo fare. Voleva essere impulsiva come lui, ne aveva il diritto.
Il mattino dopo Gazza aveva colto Ron sbucare dal passaggio segreto della gobba della vecchia orba.
Sorrise quando le balenò nella mente il ricordo delle grida del vecchio custode e della richiesta che la preside lo facesse deportare ad Azkaban, proposta che la donna aveva saggiamente ritenuto eccessiva. Pur mettendo in chiaro che questo sarebbe stato l' ultimo trattamento di favore che avrebbero ricevuto, la McGrannit aveva assicurato loro un paio d' ore di collera e chiarimenti nel parco di Hogwarts.

Cercò con lo sguardo la sveglia sul comodino: segnava le due passate.
Doveva ancora finire il resoconto della sua settimana infernale con Draco Malfoy. Quel ragazzo le faceva perdere tempo anche quando non era presente.
Le quattro ore giornaliere che trascorrevano insieme in biblioteca erano una vera tortura.
All' inizio le era sembrato che si concentrasse sulle manciate disordinate di fogli che aveva sparsi davanti e che si limitasse a ignorarla. Aveva sperato, per qualche breve e delirante secondo, che approvasse il suo desiderio di trovare il modo di convivere. Qualcosa – o qualcuno – però, gli aveva fatto cambiare idea. Sospettava dei suoi tre amici sprezzanti, fastidiosi e poco collaborativi, a detta degli altri Caposcuola; esclusa Venenia ovviamente, che era entusiasta di Zabini e passava il tempo a tesserne le lodi.
Non li avrebbe mai capiti questi Serpeverde.
In ogni caso, Malfoy era diventato asfissiante. La fissava, le faceva cadere penne e libri di proposito, la riempiva di insulti, specialmente se con loro c' era Daphne Greengrass. Non aveva mai avuto il piacere di parlare con quella alta, superba ed incredibilmente bella ragazza, prima di allora.
Era così diversa dalla sorella minore, che stentava a credere nelle loro vene scorresse lo stesso sangue.
Quel sangue puro che Daphne non smetteva di vantare.
Asteria era Prefetto, ma ad Hermione non era capitato neanche una volta di vederla abusare della carica che le era stata affidata. Sembrava una splendida bambola di porcellana, fredda e lontana, ma non aveva quella strana luce che brillava negli occhi della sorella. Non vedeva cattiveria screziarle le iridi.
Quando Draco e Daphne si trovavano nella stessa stanza, cominciava un teatrino disgustoso.
Mike Clever era cieco dalla nascita e sembrava che la mancanza della vista fosse un espediente per ogni tipo di scherzo, dal far levitare la sedia poco prima che lui vi prendesse posto, a scambiare i libri in braille con quelli tradizionali. La Greengrass poi si accaniva a cercare di ferirlo, con le sue battute taglienti, soffiate tra quelle labbra dalla linea delicata. Con tono condiscendente e quasi affettuoso tentava di umiliarlo appellandosi al suo sangue sporco, alla cecità che doveva sicuramente avergli trasmesso quel suo lurido padre babbano, alla pietà a cui imputava la scelta di affidargli il ruolo di Caposcuola.
Stava riferendo ogni particolare e la mano le faceva male. Si sgranchì le dita, non appena riuscì a mettere l' ultimo punto.
Il suo sguardo tornò ancora una volta all' orologio. Troppo tardi per rispondere alla lettera di Ron: quattro ore appena e sarebbe cominciata un' altra giornata di impegni.
Scarabocchiò due righe su un pezzo di carta e lo appese allo stipite del letto, la sua bacheca di post-it.

Ron, lettera. Massima priorità. Media priorità.

Si rimproverò per aver dato una misera media priorità al suo rapporto.
Slegandosi i capelli e infilandosi sotto le coperte, rifletteva sui sacrifici obbligatori per essere fedeli ad un sogno.
Per un posto al Ministero, valeva la pena di essere sempre stanca e trascurare, almeno temporaneamente, l’ amore?
Sì, senza dubbio, convenne strofinandosi il ventre dolorante. Se anche il suo stomaco si ostinava a non capirlo, Ron l’ avrebbe fatto, lo aveva promesso, pensò sprofondando nel suo abituale sonno senza sogni.
 
Niente era bello ad Hogwarts come la domenica mattina.
Scendere a colazione poco dopo l' alba ripagava di qualunque sforzo; gratificava al punto da non poter desiderare di dormire un solo minuto di più.
Non c' erano schiamazzi, ma solo il fischiare sordo del vento.
Niente scalpiccio incalzante, niente caotica massa di studenti che infestavano ogni anfratto.
Amava il dinamismo inarrestabile e laborioso della scuola, ma le piaceva godersi un po' di quella pace.
Osservò il cielo di un blu intenso fuori dalla finestra, segno che a breve il sole avrebbe fatto capolino oltre i pendii innevati. Erano giorni che nevicava, ma sembrava che le nuvole si fossero prese qualche ora di pausa.
Si alzò in piedi, spostando le coperte e rabbrividendo quando il suo corpo reclamò la sua attenzione, infastidito dall' aria gelida di dicembre. Infilò un maglione di lana grezza che aveva ordinatamente appoggiato sulla sedia e strofinò le mani tentando di recuperare un po' di calore, ma poi spalancò le ante di vetro e lasciò che il gelo le pungesse le guance.
Si sporse un po' oltre al davanzale per poter godere meglio del colore del baleno; sempre più chiaro, era coperto da un evanescente strato di nuvole, sporadiche e dall' aria soffice.
Annusò a pieni polmoni l' odore della neve e annuì soddisfatta, come se la natura avesse messo in scena quello spettacolo strabiliante solo per lei.
Battè le mani sbrigativamente e diede il via alla sua routine domenicale.
Sciacquo accuratamente i suoi ricci crespi, li asciugò senza troppa fretta e li sistemò in una vaporosa coda di cavallo. Indossò la sua divisa profumata di bucato, recuperò un pesante volume di Trasfigurazionei, infilandosi in tasca la bacchetta.
La Sala Comune era deserta.
Nel camino un rimasuglio di brace rosso vermiglio si contorceva stancamente, dimenticato da qualche sbadato Grifondoro. Lo spense sbuffando, con gli occhi rivolti al cielo. Non una sola volta che qualcuno si ricordasse delle Norme di Sicurezza. Eppure aveva appeso sopra l' enorme ripiano di marmo un cartello che ne citava tutti e seimila gli articoli!
Raggiunse il buco del ritratto, dove salutò la Signora Grassa, piuttosto irritata dal fatto che fosse costretta a una simile levataccia ogni fine settimana. Al suo cortese buon giorno, la donna si limitò  rispondere con uno sbadiglio e a sparire oltre la cornice.
Anche le scale sembravano particolarmente stanche, così non trovò intoppi nel raggiungere la Sala Grande.
Quando varcò la soglia venne abbagliata dalla luce del sole, così intensa che inizialmente non si rese conto dell' anomalia che sedeva al tavolo dei Serpeverde.
Draco Malfoy, il capo chino sulla sua tazza di porridge, giocherellava distrattamente con un cucchiaio. Lo riempiva della brodaglia densa e grumosa e lo svuotava nella ciotola, ripetitivamente, quasi stesse seguendo il ritmo di un qualche silenzioso motivetto.
Senza farsi troppe domande, scelse un posto a caso e si riempì il piatto di invitanti uova strapazzate che emanavano un delizioso profumino. La giornata era cominciata troppo bene per farsela rovinare da chiunque.
Addentò con determinazione una fetta di pane tostato e lasciò che lo sguardo vagasse oltre le vetrate, lontano, contando mentalmente i giorni che mancavano alle vacanze di Natale.
Sedici. Solo trecentottantaquattro ore e avrebbe rivisto i suoi genitori, avrebbe rivisto Ron.
Un boccone di pane le andò di traverso, non appena si rese conto dell' espressione sognante con cui stava fissando un vassoio di bacon. Tossì e cercando di ricomporsi aprì il manuale alla voce Animagus e si immerse nella lettura, decisa a portarsi avanti sulla tabella di marcia.
 
Un grosso barbagianni planò improvvisamente sopra di lei, liberando un giornale arrotolato che le rimbalzò in grembo.
Slegò il cordino e la sua attenzione venne immediatamente catturata dal titolo di prima pagina.
 

Lucius Malfoy evaso da Azkaban

 
Gli occhi di Hermione corsero immediatamente al ragazzo che sedeva a pochi metri.
L' incarnato, ancora più pallido del solito, aveva un vaga sfumatura grigiastra e gli occhi erano cerchiati da ombre scure, come se fosse malato o non dormisse da tempo. Continuava a svuotare e riempire il cucchiaio, il gomito appoggiato al bordo del tavolo. Si strofinava la fronte; sembrava stesse cercando di risolvere una difficile sequenza di Artimanzia, o di interpretare un brano in Antiche Rune. Eppure davanti a lui c' era solo la sua zuppa d' avena.
Lisciò il giornale e cominciò a leggere, le mani che le tremavano d' impazienza.
 

Lucius Malfoy, noto Mangiamorte, fidato servitore e spietato assassino al seguito di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato

 
Hermione sorrise, osservando quanto ancora il mondo magico avesse difficoltà a pronunciare quel nome.
“Voldemort” Le sue labbra si mossero spontaneamente. Era un' abitudine che aveva acquisito da qualche tempo, quella di ripetere il nome dell' essere che aveva personificato la sua più grande paura. Era il suo modo per esorcizzarlo, per abituarsi a quel suono e non provare più sofferenza o terrore.
 

Lucius Malfoy, noto Mangiamorte, nonché spietato assassino al seguito di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è riuscito ad evadere dalla prigione di Azkaban la scorsa notte. Gli Auror di guardia hanno affermato che il carcerato, condannato all' ergastolo lo scorso ventitre di settembre, è scomparso dalla sua cella intorno alle dieci di sera. Nonostante l' immediato allarme è stato impossibile ritrovare il fuggitivo.
Il Ministero si è espresso poco dopo le due del mattino in un comunicato stampa in cui riferiva che avrebbe mobilitato forze speciali nella ricerca e fornito una scorta ad Harry Potter, presunto bersaglio del pluriomicida.
Continua a pagina 2.

Trasalì, portandosi una mano alla bocca.
Non aveva senso, Malfoy era troppo vigliacco per agire mosso da vendetta senza amici a cui far affidamento.
La preoccupazione per l' incolumità di Harry però le chiuse comunque lo stomaco.
Doveva scrivergli immediatamente una lettera. Poteva chiedere alla McGrannit il permesso di andare a Londra per un paio di giorni. Certo non sarebbe rimasta con le mani in mano a crogiolarsi nel timore che gli capitasse qualcosa. Doveva anche avvertire Ginny. No, meglio non svegliarla.
Raccattò le sue cose e scatto in piedi, incespicando nella panca.
Alzò appena lo sguardo e fissò sgomenta la preside e il professor Lumacorno, correre lungo il corridoio e accostarsi accigliati all' unico altro studente presente.
Un rumore di vetri rotti la fece sobbalzare.
Draco aveva colpito violentemente la ciotola, facendola infrangere sul pavimento.
Impassibile, un' espressione indecifrabile sul volto, attraversò l' intera lunghezza della Sala Grande e sparì oltre la porta.
Hermione guardò prima la professoressa McGrannit poi l' insegnante di Pozioni, indecisa sul da farsi. La prima sembrava sinceramente costernata, il secondo fissava ostinatamente i cocci sparsi sul pavimento.
Quello non era il momento di chiedere spiegazioni.
 
Il vento soffiava con insistenza sul ponte che conduceva alla guferia. Il freddo era pungente, trafiggeva la pelle, intensificando i brividi che per l' agitazione le percorrevano la schiena.
Si strinse nelle spalle cercando di ripararsi, maledicendosi di aver dimenticato nella fretta la sua veste di lana pesante.
Al petto stringeva la lettera per Harry, come se così potesse trasmettergli la sua apprensione.
Aveva voglia di abbracciarlo, di stargli vicina.
Una rabbia dirompente le batteva nel petto: nessuno più di lui meritava di essere lasciato in pace.
Due figure poco distanti stavano litigando furiosamente; le urla rimbombavano e le eco si diffondevano nel dirupo sottostante.
Daphne Greengrass, con i capelli biondi che riflettevano la luce solare, era ritta lungo il corrimano e guardava intensamente la sorella. Asteria gesticolava con vigore e girava su se stessa. Assomingliava ad un leone in gabbia.
“Ma non doveva farlo!” Gridò. “Non capisci la gravità di quello che è successo? Non pensi a Draco?”
Hermione si fermò. Il suo istinto le diceva che doveva ascoltare quella conversazione.
Si nascose dietro una delle palizzate, attenta a non farsi vedere.
“Draco non c' entra proprio niente e nemmeno tu” La voce della maggiore delle due sorelle era così sottile, che dovette sforzarsi per capirne il significato.
“Non è vero! Quella che ha fatto è una cosa gravissima! Cosa succede se qualcuno scopre che...”
“Basta” Tagliò cortò Daphne. “Nessuno scoprirà niente, lui sa quello che fa”
Sentì le assi di legno vibrare sotto passi sempre più lontani.
Hermione  fisso qualche istante un punto indefinito della Foresta Proibita. Un milione di domande le riecheggiavano nelle orecchie, incapaci di trovare risposte.
Sbucò dal suo nascondiglio e non si accorse che qualcuno veniva verso di lei.
Asteria le urtò un braccio, sconvolta. I libri che portava sottobraccio si sparpagliarono sul pavimento e istintivamente Hermione si chinò per raccoglierli.
Li sistemò in una pila e glieli porse, ma lei si gettò in avanti, appoggiando la testa alla sua spalla.
“Ho solo bisogno di un po' di calore” Si giustificò, balbettando tra i singhiozzi.
Quella vulnerabilità imprevista l' aveva spiazzata. Batteva timidamente una mano sulla sua schiena, mentre tentava di trovare qualcosa da dire.
“Posso chiederti cos' è successo?” Domandò pazientemente, mentre le passava un fazzoletto per asciugarsi le guance.
Asteria deglutì, si tamponò lentamente le palpebre e recuperò in pochi secondi la sua solita espressione distaccata.
“Nulla. Assolutamente nulla. Sono solo venuta a conoscenza di una brutta notizia, ma questo non mi autorizzava a piombarti addosso. Il mio è stato un comportamento a dir poco inappropriato” Lo stesso tono piatto e distante, gli stessi movimenti piani dei muscoli del viso.  
“Mi spiace” Sussurrò Hermione, intimidita da quel gelido muro sul quale era appena andata a sbattere.
Lei chinò il capo in un cenno di saluto e si allontanò a grandi passi verso il castello.
Confusa e spiazzata, non fece in tempo riaversi dallo stupore che la voce di Ginny meccanicamente la fece girare.
“Hai saputo la notizia?” Le chiese, affannata per la corsa.
“Sì, stavo giusto andando a mandare un gufo ad Harry per sapere come sta”
“Harry? Cosa c' entra Harry?” Domandò lei, corrugando la fronte.
“Beh, Lucius Malfoy è scappato e il Profeta dice che...”
Ginny le mise un dito sulle labbra.
“Hermione, è morto. Lucius Malfoy è morto


***



Carissimi lettori, rieccomi qui con un aggiornamento che, diciamolo, è un gran macello. 
Onde evitare che vi chiediate cosa avessi bevuto e/o fumato mentre scrivevo questo capitolo, vi spiego un paio di cosette che dovrebbero rendere tutto più chiaro.
Ci sono due balzi temporali: il primo all' inizio, quando Hermione scrive una settimana dopo gli eventi del secondo, a cui torna con la mente avanti e indrè; il secondo è nel momento in cui si addormenta, con lo sproloquio sulla domenica, dove si avanza di un mese.
Come mi è venuto di far passare a miglior vita il caro Lucius? Sinceramente non ne ho idea, però è (ovviamente) fondamentale per la trama che, tra le altre cose, ha finalmente una linea definita, grazie anche alla mia adorata Cass90 e al nostro bar/caffè/sigaretta. Lo sai, senza il tuo amore folle (e un po' incomprensibile) per Draco Malfoy, io non avrei scritto neanche un capitolo di questa storia.
Bene, detto ciò, ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato *amor amor* e con uno squillo di trombe, porto il mio regale (?) deretano lontano da qui. Mica tanto visto che devo pubblicare l' ultima drabble della raccolta Fantasmi (pubblicità non-proprio-occulta).
Basta, vado.
Recensioncina?
:* :* :* 

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Capitolo 4
*** Contraddizioni. ***



 

Contraddizioni.

 
 
Ron odiava il lunedì mattina.
Dopo un’ intera giornata trascorsa a sonnecchiare pigramente sul letto, a godersi i manicaretti che sua madre preparava per i pranzi di famiglia, a giocare a scacchi magici con Harry e a volare sulla campagna del Devon, la sveglia del lunedì mattina arrivava come una secchiata d' acqua gelata in pieno viso.
Il solo pensiero della giornata che gli si prospettava, gli fece schiacciare il cuscino sulla testa, cercando di ignorare Leotordo che si agitava nella sua gabbia.
Quando George gli aveva proposto di aiutarlo nel negozio di scherzi, aveva accettato con entusiasmo. L’ ottima retribuzione e l’ orario flessibile, gli sembravano come il primo premio di una lotteria milionaria. Cosa poteva chiedere di più un ragazzo di diciotto anni, senza nemmeno uno straccio di M.A.G.O.?
Nonostante fossero trascorsi solo tre mesi, quel luogo pieno di colore e di allegria gli andava stretto quanto l’ uniforme che era obbligato ad indossare.
Ogni cosa, tra le pareti cariche di oggetti ingegnosi, gli ricordava Fred. Non era questo a disturbarlo però, bensì la sensazione che il tempo stesse agendo come una gomma da cancellare su tutto ciò che, con tanto impegno, aveva contribuito a costruire.
George sembrava indifferente al costante vanificarsi di quella presenza, o più plausibilmente aveva imparato a conviverci, ma per Ron era insopportabile. Quando vendeva un paio di Orecchie Oblunghe, non poteva fare a meno di pensare che presto o tardi sarebbe stata ideata una versione perfezionata che non avrebbe incluso Fred nella progettazione, o quando agguantava una Puffola Pigmea per una bimbetta urlante, non era in grado di prevedere se la moda le avrebbe volute così richieste ancora a lungo e quando sarebbero state dimenticate.
Man mano che si faceva più reale la consapevolezza che non sarebbe più stato sgridato da quel coro di voci gemelle, se lasciava inavvertitamente cadere a terra un filtro d' amore; man mano che i nuovi progetti di George si accatastavano sulla sua scrivania, quel luogo diventava freddo ed estraneo.
Col passare dei giorni, la ferita ancora aperta, invece che guarire, veniva torturata e lasciata a sanguinare.
Con un profondo sospiro Ron decise di alzarsi, scagliando uno sguardo assassino all' orologio incantato che saltellava sul comodino.
Colpì con una manata la gabbia del minuscolo ammasso di penne grigie che sbatacchiava tra le sbarre di ferro, producendo una serie di pigolii eccitati che si placarono per pochi istanti, per poi tornare a riempire il silenzio della stanza con maggiore intensità.
“Ron, la colazione è pronta!” La voce di Molly Weasley vinse quattro piani di scale, riuscendo a calmare persino il fermento del gufo.
“Adesso scendo!” Quello che voleva essere un urlo, risultò piuttosto un rauco rantolo, che lo costrinse a schiarirsi la voce un paio di volte.
Entrò in bagno e si guardò intensamente allo specchio, un’ abitudine delle ultime settimane.
Come se avesse di fronte un estraneo, fissò il paio di occhi che affondavano nei suoi con insistenza, aspettandosi di vedere le labbra di quell' immagine virtuale muoversi spontaneamente.
“Cosa vuoi dalla vita?” Chiese al suo riflesso, che lo guardava con perplessità.
Era diventata un’ ossessione, porsi quella domanda sperando che, durante le ore di incoscienza, avesse maturato una risposta convincente.
Il viso gli si tirò in un sorriso incoraggiante che scomparve immediatamente, quando il suo io riflesso copiò il suo cenno col capo.
Quella notte, come le precedenti del resto, non avevano portato consiglio.
Era ancora in balia della vita, senza essere in grado di impadronirsi delle redini.
Con calma si spogliò del pigiama e aprì il rubinetto della vasca. L' acqua sgorgava copiosamente; rimase ad osservarla a lungo, strofinandosi di tanto in tanto gli occhi ancora pieni di sonno.
Si infilò tra le nuvole di vapore e affondò fino a toccare il fondo di ceramica con la nuca.
Attese, aspettandosi di sentire il rumore di una serratura scattare e una ragazza dai crespi capelli castani fare capolino dalla porta, pronta a Schiantarlo.
Trenta secondi, un minuto, un minuto e quindici secondi.
Nulla, solo il rumore lontano di stoviglie impilate senza troppa considerazione.
Si mise seduto con uno slancio: i polmoni bramosi d' aria, boccheggiando per l' apnea prolungata.
Sorrise tristemente e colpì con le palme aperte la superficie; tremolava ancora schizzando qua e là, con una serie di piccole onde che si infrangevano alle due estremità della vasca.
Gli mancava Hermione.
Gli mancava l' ordine che portava nella sua vita.
Durante il mese successivo alla sera del ballo ad Hogwarts, la data del suo ritorno a scuola aveva gravato sulle loro esistenze, creando un affanno annebbiato, ma generando in loro la voglia di non perdersi nemmeno un istante. Era facile amarsi, quando tutto era velato di una leggerezza inebriante, simile all' effetto di qualche bicchierino di Whiskey Incendiario. Era facile guardarla infilare il naso tra i manuali scolastici con l' intento di prepararsi per l' anno successivo, per poi percepire il suo sorriso, o uno sguardo assorto. Era facile stringerla tra le braccia, fare l' amore con lei, sempre più coscienti dei propri corpi, liberi di sperimentare, di scoprirsi.
Con delicatezza raccolse nella mano un po' della schiuma che galleggiava a pelo dell' acqua, per poi affogarla portandola giù, stretta nel pugno.
Sarebbe stato in grado di affrontare la mancanza di quei momenti, se non avesse avuto la dolorosa sensazione di averli persi, senza sapere come ritrovarli.  Erano cambiate troppe cose negli ultimi tempi.
Nelle lettere che riceveva prevaleva il resoconto delle sue giornate, lasciando a poche righe il compito di riferire l' augurio che alla Tana stessero tutti bene, o che il lavoro al negozio non fosse troppo stancante, oppure il tiepido desiderio di rivederlo.
Era diventata indifferente e distaccata, come se la vita che avesse lasciato a Londra, i film ai cinema di Leicester Square, le serate in compagnia di Harry e Ginny nel patio di casa Weasley, fossero parte di un passato vago, un ricordo vuoto e idealizzato. Aveva l' impressione che aprisse quella parentesi per sentirsi confortata, di tanto in tanto, ma che non le importasse studiare da vicino i cambiamenti a cui erano inevitabilmente andati incontro.
Quanto tempo avrebbe impiegato a trovare qualcuno più adatto a lei nel mondo di cui avrebbe presto fatto parte, se qualche mese di lontananza aveva reso il loro rapporto qualcosa di simile ad un confortante cantuccio? Che speranze poteva avere ad essere parte della sua vita, se lei non lo includeva se non per passare qualche ora felice? Non poteva smettere di chiederselo.
Non si era mai trovato solo a dover fare i conti con un problema che non si limitasse a scegliere un paio di calzini. Ogni volta che doveva mettersi in gioco, c' era sempre stata lei a sostenerlo, ad indicargli la via. Quando aveva deciso di seguire Harry nella ricerca degli Horcrux, era stata Hermione a ricordargli perchè fosse la scelta giusta, non poteva certo dimenticarlo.
E adesso che sentiva di essere un fallito, dov' era? Perchè non gli chiedeva mai come stesse? Da quando era così disinteressata?
“Ronald Weasley!” Tuonò sua madre spalancando la porta del bagno.
“Mamma!” Si lamentò Ron, cercando di coprirsi.
“Arriverai in ritardo, se non ti dai una mossa e io non ho nessuna voglia di sentire tuo fratello lamentarsi della tua poca professionalità!”
“Mamma, sono nudo!” Gemette, mentre le orecchie gli andavano in fiamme.
“E dov' è il problema? Chi credi te lo facesse il bagnetto, quando eri più piccolo?” Le sopracciglia della signora Weasley si inarcarono, gli rivolse un penetrante sguardo intimidatorio e scuotendo il capo, chiuse la porta dietro di sè.
“Tra cinque minuti ti aspetto in cucina, altrimenti mentre ti farò inseguire nella neve dal battipanni, non sarò l' unica a vederti nudo”
 
Si mise nel piatto due oleose salsicce, poi passò alla padella piena di uova strapazzate.
Addentò un pezzo di pancetta, masticandolo voracemente, concentrato sul suo piatto colmo di prelibatezze ancora fumanti.
Suo padre stava leggendo il giornale, seduto a capotavola. Osservò distrattamente la foto in prima pagina: un manipolo di Auror intorno ad un lenzuolo che celava alla vista il cadavere di Lucius Malfoy.
“Qualche novità, Arthur?” Chiese Molly al marito.
“Adesso è sicuro: è opera di un Dissennatore” Il signor Weasley guardò sua moglie da sopra gli occhiali cerchiati di corno. Lei aveva un’ espressione di compiacimento sul volto.
“Molly, è una morte orrenda anche per uno come Lucius”
“Non importa, ha tentato di uccidere i nostri figli, dimentichi?” Disse indicando Ron, che alzò per un momento gli occhi dalla colazione.
L' uomo annuì gravemente “Ma il Bacio del Dissennatore non si augura nemmeno al peggior nemico, Molly. È scandaloso che il Wizengamot se ne sia servito per tutti questi anni”
“Il Profeta dice cosa ci faceva un Dissennatore ad High Park?” Chiese la signora Weasley, cambiando discorso.
“Nessuno sa spiegarselo e il Ministero non sa che pesci prendere” Piegò il giornale e lo appoggiò accanto al suo bicchiere di Succo di Zucca.
“Perchè papà?” Biascicò Ron, mentre tentava di ingoiare un boccone troppo grosso di pane.
“Perchè i Dissennatori dovrebbero essere stati segregati tra i boschi del nord della Cornovaglia, in una zona sicura. Non possono essere evasi dalla loro prigione senza l' intervento di un mago” Pulì le lenti con un pannetto che teneva nel taschino della veste.
“Hanno una vaga idea di chi possa averlo voluto morto?” Chiese la signora Weasley.
“Il problema è che sono molte le persone che si auguravano di vedergli fare una brutta fine” Rivolse alla moglie un’ occhiata eloquente. “Sia tra i nostri, sia tra i pochi Mangiamorte che sono scampati al carcere.
“E poi ci sono troppi punti interrogativi; ad esempio, come è riuscito ad evadere da Azkaban? Non poteva farcela da solo, doveva poter contare sull' aiuto di qualcuno. Qualcuno di potere. Non mi stupirebbe che fosse una trappola; per potersi fare giustizia da soli, intendo”
Ron guardò suo padre alzarsi dal tavolo e sistemarsi il mantello sulle spalle. Baciò la moglie su una guancia, poi gli scompigliò i capelli.
“Buon lavoro figliolo. Ricorda che questa sera, alle nove, danno la nuova puntata di Friends” Disse, rivolgendogli un gran sorriso.
Suo padre era entusiasta al pensiero che lui si fosse sinceramente appassionato alla televisione babbana, il primo dei suoi figli che mostrasse un po' di interesse per quel mondo di cui era innamorato. Era diventato particolarmente affettuoso nei suoi confronti, ed era anche l' unico ad essere rimasto a casa, quindi per quel poco che poteva contare, stava facendo la vita del rampollo.
“Buon lavoro pa'” Disse alzando una mano, leggermente in imbarazzo.
Molly rivolse ad entrambi uno sguardo esasperato. Non le era ancora andato giù il tentativo di farsi istallare la tivù via cavo che aveva richiesto un incantesimo di memoria sull' elettricista: si era spaventato tantissimo nel vedere il vecchissimo televisore accendersi senza essere collegato ad una presa di corrente.
 
Lo spogliatoio dei Tiri Vispi Weasley era una sala ariosa, con le pareti di un' allegra tonalità di arancione e una fila di armadietti di metallo laccato di una decina di colori diversi. Due panche erano accostate alle pareti e un cartello dominava sull’ arredamento, con le sue luci psichedeliche blu elettrico; recitava:
 

Se qui volete lavorare, alle nostre regole dovrete sottostare.
La norma è una soltanto: divertiamoci e questo è quanto.

 
Ron toccò uno sportello verde con un colpetto di bacchetta e quello scatto in avanti, rischiando di colpirlo sul naso. Lo scansò con prontezza e cominciò a cercare la sua divisa, nascosta da cianfrusaglie di ogni genere: cartacce di dolciumi, una scatola di Gelatine Tutti Gusti Più Uno piena per metà, pezzi di pergamena accartocciata, la sua divisa da portiere che non ricordava più né quando, né perchè l’ avesse portata al negozio.
Trovò la casacca magenta del personale e la tirò fuori dalla confusione. La infilò il più velocemente possibile, guardando con apprensione l' orologio d’ oro che aveva al polso.
Rovistò ancora, fino a trovare un paio di pantaloni leggermente stropicciati. Quando li sfilò da sotto sette o otto carte di Ciocorane, un foglietto volò sul pavimento. Lo raccolse e se lo mise in tasca prima di sbattere l' anta con tanta forza da farla tornare indietro per il contraccolpo.
Corse via, massaggiandosi la testa dove l' armadietto si era vendicato della sua mancanza di delicatezza.
George stava già dando direttive alle quattro streghe e ai tre maghi alle sue dipendenze. Non appena lo vide, i suoi occhi si ridussero a due fessure.
“Fratellino, stavo appunto assegnando le aree del negozio. E tu...”
Guardò con troppa enfasi la cartellina che stringeva tra le mani, cosa che non lasciava supporre nulla di buono.
“Oh, sì, eccoti. Sì, sei ai Tumistreghi e devi tenere d' occhio il settore A. Cerca di essere gentile con i nostri piccoli clienti, per piacere, non vorrei mai che finisse come l' ultima volta. Mi è spiaciuto tantissimo doverli sottrarre al tuo stipendio” Indicò una piramide di scatole di Sognisvegli Brevettati, dove era stato scaraventato dalla magia involontaria di un minuscolo bambino di sei anni. 
Ron gemette. Lo stava punendo per essere arrivato in ritardo e lo faceva con una tale noncuranza, da impedirgli di salvaguardare l' orgoglio con una risposta che non tradisse la sua frustrazione.
George lo ignorò e lasciò che la schiera di impeccabili commessi si disperdesse.
Le porte del negozio si aprirono con uno scatto, le serrande si alzarono e le rilucenti vetrine si animarono, insieme al movimento della bacchetta del proprietario.
 
“Harry, cosa ci fai qui?” Chiese Ron cercando di strappare il più delicatamente possibile una scatola giallo limone dalle mani di una paffuta bambina che tentava di scoprire cosa ci fosse dentro. Si guardò attorno, nel tentativo di trovare la strega che era entrata tenendola per mano. La donna civettava con suo fratello, arrotolandosi nervosamente una ciocca di cappelli intorno ad un dito.
“Eh no! Anche il baby-sitter no!” Si lamentò a bassa voce.
“Sei arrivato in ritardo anche oggi?” Chiese Harry, aiutandolo a sistemare su uno scaffale le palline che la creaturina aveva scaraventato sul pavimento.
“Solo un paio di minuti” Mentì, mettendo bruscamente tra le mani della bimba una bacchetta trabocchetto che si trasformò prontamente in un pollo di gomma. Lei rise e cominciò ad agitarlo in aria.
Ron ne approfittò per fulminare un ragazzino di dieci anni che aveva fatto cadere un Binocolo Tirapugni.
“Lo sa” Disse, passandosi una mano sulla fronte e squadrando suo fratello, ancora intento a flirtare. “Lo sa quanto mi mettano in difficoltà questi piccoli mostriciattoli, miseriaccia”
Harry cercò di non scoppiare a ridere, quando Ron afferrò al volo una boccetta contenente una sostanza densa e bluastra, che volò da una mensola.
“Immagino che non seguirai l' esempio dei tuoi genitori” Osservò Harry con semplicità, seguendolo con lo sguardo.
“Puoi dirlo, amico. Ricordami di farlo presente ad Hermione” Aveva parlato senza pensare e non appena si rese conto di quanto aveva detto, il volto gli divenne di un colore molto simile a quello della sua blusa.
“Intendevo, con questo non volevo certo dire che...”  Annaspò, roteando gli occhi.
“Io non penso a me ed Hermione sposati o cose simili, capito?” Borbottò infine.
“Certo” Rise Harry.
“Comunque” Ron si schiarì la voce. “Come mai sei passato?”
“Oh, volevo salutarti” Disse in tono vago.
Ron annuì distrattamente, nuovamente in difficoltà con l' orda di piccole testoline che gli sfrecciavano accanto.
“E per dirti che ho deciso di cominciare l' addestramento”
“Hai deciso?” Chiese Ron, improvvisamente dimentico del flacone di Annullaforuncoli infranto ai suoi piedi.
“Mi sono informato, comincio subito dopo Natale” Harry sorrise.
“Ma pensavo che dovessi diplomarti per entrare a far parte del programma Auror” Una velata invidia trasparì dalle sue parole.
“Faranno un' eccezione”
“Uhm, ho capito” Disse pensieroso.
“Comunque ci vediamo questa sera a cena così ti racconto” Fece un cenno con la mano a George che gli rivolse un sorriso sornione.
“Devo passare da Andromeda. Teddy ha cominciato a camminare”
Ron fece finta di vomitare, ma poi gli raccomandò di salutarlo da parte sua. Quello era forse l' unico bambino al mondo che trovasse simpatico.
Harry si diresse verso la porta. “A più tardi”
 
La luce dietro le nuvole era diminuita gradualmente fino a trasformare il cielo in una macchia di petrolio.
I lampioni di Diagon Alley illuminavano le strade flebilmente e quasi nessuno osava inoltrarsi nella bufera di neve che sferzava Londra da un paio d’ ore.
Ron, stancamente abbandonato su uno sgabello, era seduto dietro il bancone dove troneggiava l’ enorme ricevitore di cassa.
“Benfatto Ron” George gli batte una mano sulla schiena, mentre salutava con una mano Verity, una collega con i capelli biondi, piuttosto carina e di qualche anno più grande di lui.
“Credo che quella ragazza abbia un debole per te” Constatò divertito. “Non so cosa ci trovi nella tua testa vuota, però deve essere così”
Ron aveva i muscoli troppo indolenziti per riuscire a colpire il fratello con una gomitata, così si limitò a fissarlo con disapprovazione.
“Mi ha fatto spostare il suo turno per poter lavorare con te sabato!” Continuò. “Poverina, non sa che il bell’ eroe è già stato accalappiato? A proposito, come sta Hermione? Sopravvive in quella gabbia di matti?”
“Non lo so” Rispose Ron, le iridi fisse in una fiammella tremula oltre la vetrina.
George si fece improvvisamente serio. “Va tutto bene, vero?”
“Non lo so, George” Ripetè, alzandosi in piedi.
“Posso andare a casa?” Chiese evitando di guardarlo negli occhi.
“Certo, ci vediamo domani mattina. Arriva puntuale oppure…”
Non sentì l’ ammonimento perché, dopo aver afferrato il suo mantello, uscì a grandi passi tra fiocchi grandi come Galeoni.
Non si era nemmeno cambiato, nella fretta. Pazienza, ne avrebbe approfittato per lavare l’ uniforme.
Cacciò seccamente le mani in tasca, nel tentativo di evitare di perdere sensibilità alle dita. Qualcosa gli incise la pelle secca del polpastrello dell’ indice, che portò istintivamente alle labbra. Sanguinava.
Con cautela estrasse il cartoncino sbucato dall’ armadietto quasi dieci ore prima e sorrise. Tre volti tesi e un po’ impacciati lo osservavano. Una foto scattata al loro quarto anno ad Hogwarts, la sera del Ballo del Ceppo. Harry aveva la bocca tirata, ingessato nel suo completo verde bottiglia. Sembrava accigliato e lanciava sguardi discreti alle sedie alla sua destra e alla sua sinistra, occupate rispettivamente da lui e Hermione. Lei era raggiante nel suo abito celeste e profondeva sorrisi in ogni direzione, abbassando lo sguardo di tanto in tanto, se le sue guance si coloravano lievemente. Lui era cupo ed aveva quell’ orrendo e puzzolente vestito da cerimonia che attirava l’ attenzione, quasi occupasse l’ intero rettangolo di carta.
Spazzò via il sottile strato di nevischio che aveva coperto la fotografia e la osservò con attenzione alla luce di un negozio di dolciumi.
Quando Hermione gli dava le spalle, lui la studiava con un’ espressione indecifrabile.
Sembrava triste e speranzoso allo stesso tempo, come se desiderasse con tutto sè stesso intercettare uno di quei suoi sguardi raggianti, pur essendo consapevole di non essere la ragione della sua felicità.
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra. Odiava sentirla così distante, come quel Ron che stringeva le braccia conserte al busto con aria sconsolata.
Si voltò, scrutando la striscia di impronte che aveva lasciato dietro di sé. La neve le stava lentamente ricoprendo e Ron non dovette domandarsi perchè quell’ immagine gli sembrasse tanto emblematica.
 
 
 

***

 
 

E rieccomi qui con questo novello capitolo tutto Ron PoV (scusate, ma dopo mesi che mi chiedevo cosa significasse, ho avuto l’ illuminazione divina e Point of View mi è apparso nella capoccia così *schiocca le dita*; io ho dovuto utilizzarlo **!).
Vi dirò che in realtà mi aspettavo un incontro tra i protagonisti in queste pagine (come forse qualcuno di voi), ma è venuto fuori tutto questo popò di introspezione e ho pensato che facesse il giusto contrasto con il chapter precedente, visto che dal punto di vista temporale è ambientato il giorno successivo all’ omicidio di Malfoy Senior, lunedì appunto.
Lascio trarre a voi le giuste conclusioni, ma volevo che entrare per ventiquattrore (in realtà meno) nella vita - e nella testa - di Ron, indirizzasse maggiormente sulla reale condizione del rapporto dei due, che forse non è idilliaco come sembra.
Prometto che nelle prossime puntate arriverà un po’ di spazio per spiegare meglio cosa è successo all’ adorabile Lucius e i “misteri” legati alla sua morte.
Un paio di appunti in conclusione:
°chiedo venia per aver citato C.S.I. quando nel 1998 in realtà non era ancora stato girato. Proverò a farmi venire in mente qualcosa di diverso e rimedierò all’ errore. 
°Verity, la commessa con la cotta per Ron, appartiene alla Rowling ed è una strega citata nel sesto libro a pagina 116.
Bene, penso che sia tutto.
Ringrazio di cuore coloro che seguono questa storia; spero abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate!
Un bacio grande :*

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Capitolo 5
*** Intrusioni. ***




Intrusioni.

 
 
 

La luce soffusa che riempiva le pareti rivestite di eleganti pannelli di betulla, sembrava stranamente accecante; come se le flebili fiamme delle candele fossero in grado di sprigionare ustionanti vampate di calore.
Ron allentò il nodo della cravatta che gli stringeva il colletto inamidato. Fece uscire il primo bottone dall’asola riempiendo d’aria i polmoni, ma la sensazione di asfissia non svanì come aveva sperato.
Si sentiva stupido, imbrigliato in abiti che decisamente non lo facevano sentire a suo agio. L’idea che gli era sembrata tanto geniale fino a poche ore prima, prendeva lentamente le sembianze di un errore colossale.
Una cameriera gli si avvicinò, chiedendo con stucchevole gentilezza se fosse pronto ad ordinare la cena. Una donnetta di bassa statura, con un fastidioso sorriso che rivelava brillanti denti perfetti. Era rigida, tanto da sembrare esclusivamente interessata a mettere in mostra la sua nuova dentatura.
Le rivolse uno sguardo esasperato e declinò l’offerta senza prestare particolare attenzione al tono sprezzante e maleducato con cui formulò la risposta; monosillabica, per altro.
Erano tutti troppo cordiali. Nauseanti.
L’orologio al suo polso segnava le otto meno dieci. Hermione era in ritardo di quasi un’ora.

Quella mattina si era svegliato sorridendo.
Fuori dalla finestra brillava il sole, caldo, troppo per il rigido clima invernale inglese. La luce sorprendente pulita e polverosa si era sostituita a quella tenue ed ovattata delle settimane precedenti: condizioni atmosferiche ideali per una innocua fuga mattutina con la sua non-proprio-nuova-ma-quasi Firebolt, comprata dopo il terzo mese di stipendio.
Qualche complicata evoluzione a bassa quota e la sua allegria era schizzata alle stelle.
Aveva ascoltato tutti i suoi muscoli liberarsi dal torpore, aiutati dalle gelide carezze della brezza mattutina.
Quest’euforia imprevista e la prospettiva di una colazione abbondante, avevano però dato inizio ad un valzer di situazioni spiacevoli; prima tra tutte, la serie di paline della luce che non era riuscito a schivare. Massaggiarsi il fondoschiena dolorante però, aveva appena intaccato il suo buon umore. Una sciocchezza.
Dopo una misera colazione – a giudicare dalla desolazione dei piatti da portata, suo fratello Charlie doveva essere rimasto a digiuno per più di un anno in Romania –, aveva afferrato un pesante mantello invernale, sciarpa e cappello, ed era uscito, combattuto tra l’allegria per l’imminente riunione di famiglia e la difficoltà a ritrovarsi in una casa affollata.
Strano periodo, il Natale, aveva pensato, immobile sull’uscio, un secondo prima di smaterializzarsi. Nonil Natale, ma quel Natale. I regali, la famiglia, il profumo di prelibatezze culinarie, la Tana, Harry, Hermione. Tutto nella norma, tutto ordinario. Ma era inutile ignorare le interferenze: niente lunghe e distensive vacanze di Natale, niente compiti da svolgere – non che ne sentisse la mancanza –, un bambino dai capelli cangianti scorrazzante dentro casa, e uno in arrivo per Fleur - che sbalzi d’umore! - e Bill. Fred.
Le sue riflessioni erano state troncate di netto: la volontà di non guastare il rinnovato ottimismo lo spingevano inesorabilmente a nascondere la polvere sotto il tappeto. Un tappeto confortante, ma pieno di gobbe.
Era entrato nel negozio di scherzi fischiettando. Il sorriso gli era morto sulle labbra però, quando aveva costatato che George gli aveva assegnato un doppio turno. Durante le Festività, costringere un commesso a lavorare otto ore di seguito rasentava il sadismo. La prospettiva di rivedere Harmione comunque, lo aveva reso più docile e disposto allo stacanovismo. Non gli era sfuggito lo sguardo incredulo del suo consanguineo datore di lavoro, quando lo aveva visto accogliere la notizia con un grugnito, invece che con la consueta marea di lamentele.
Facendo molta attenzione a non mostrarsi perso in fantasticherie – non avrebbe dato a George motivo di accanirsi –, si era rifugiato nel suo progetto serale: aveva prenotato in un ristorante Babbano nel centro di Londra, nel cuore di Soho: Leicester Square, il loro primo appuntamento. A volte si stupiva del romanticismo di cui si sapeva capace.
Sensibilità di un cucchiaino, tzè!
Il giorno precedente era addirittura andato alla Gringott a cambiare qualche galeone con quegli scoloriti pezzi di carta. Ancora stentava a credere avessero valore. Banconote che, tra le altre cose, aveva il vago sentore sarebbero rimaste inutilizzate nel suo portafoglio.
 
Sospirò, rigirandosi tra le mani una forchetta dalla forma curiosa. Si perse per qualche secondo nella figura elaborata che ingombrava l’intera coda della posata, sentendo il peso della solitudine nuovamente sulle sue spalle.
Schiacciò con forza nel tovagliolo di satin quel pezzo di design che, in modo assurdamente risolutivo, contribuivano a  rendere una comunissima minestra di patate una vellutata di pommes de terre, un’insalata una fantasia di verdure di stagione. E a far lievitare esponenzialmente i costi, ovviamente.
Una ragazza bionda, a cui praticamente non prestò attenzione, si avvicinò con discrezione; gli chiese se volesse almeno aprire una bottiglia di vino, visto che la sua ospite tardava ad arrivare.
“Mi rincresce, ma abbiamo una politica piuttosto ferrea in questo ristorante” Disse, con una voce calda, gentile, quasi familiare. “Dopo un’ora dal momento della prenotazione il cliente deve ordinare. Posso consigliarle una bottiglia di vi-”
Ron non l’ascoltava.
Ambasciator non porta pena” mormorò tra sé e sé.
 
“Ambasciator non porta pena” Aveva esordito sua sorella dopo aver liberato Harry dal suo abbraccio, scesa dall’Espresso per Hogwarts.
“È dovuta rimanere. Credo abbia avuto qualche problema con Malfoy, ma non so dirtelo di preciso. Non mi ha avvertito”
L’espressione di Ginny tradiva la sua irritazione. Sapeva di non essere l’unico Weasley intollerante riguardo alla faccenda-Malfoy.
“Quando l’ho lasciata era stata convocata dalla McGrannit” Aveva aggiunto, alzando le spalle.
La cosa non lo stupiva affatto. L’attenzione che Hermione metteva nelle faccende che riguardavano l’essere era incomprensibile almeno quanto la sua fissazione per il mistero che avvolgeva la morte del suo perverso padre Mangiamorte.
Se n’era andato dalla stazione combattendo con il grumo di cocente delusione che gli ustionava la bocca dello stomaco, ma senza cedere spazio all’orgoglio che premeva per poter dire la sua. Non avrebbe rovinato tutto solo perché lei aveva avuto un imprevisto. Certamente non aveva di proposito perso il treno, e di proposito dimenticato di informarlo del ritardo.
Aveva scacciato a forza l’insopportabile vocina che gli faceva presente che, se non aveva avvertito, evidentemente per lei non era importante. Era tanto disinteressata da dimenticarsene.
Si era smaterializzato obbligandosi a sorridere. Non aveva voluto perdersi in congetture dettate dalle sue insicurezze.
 
Sospirò nuovamente, guardando con i suoi occhi velati di gelosia le dita intrecciate di una coppia che sedeva nel tavolo a fianco. Sussurravano, persi l’uno nell’altra, senza lasciare che il fatto che risultassero zuccherosi o imbarazzanti rovinasse loro il momento.
“…e infine un Pinot bianco italiano dal gusto molto intenso” Concluse quella che, evidentemente, doveva essere la Somm-qualcosa. L’esperta di vini, insomma.
Non ricordava una sola delle bottiglie consigliate, quindi si limitò a sprofondare nella lista, tentando di nascondere l’imbarazzo che si stava velocemente traducendo in un afflusso di sangue all'altezza del collo.
“Forse nella nostra cantina abbiamo qualcosa di speciale per un eroe del mondo magico?”
“Miseriaccia!” Gemette Ron, spaventato nel vedere un ombra prendere posto davanti a lui.
Le labbra piene e coperte da un compatto strato di rossetto di una allegra tonalità di rosa, erano aperte in un sorriso.
“Buonasera Ron” Verity, lo fissava, ironica e perfettamente a suo agio, aspettandosi un saluto altrettanto entusiasta.
“Cosa ci fai tu qui?” Chiese lui, troppo stupito per un normale scambio di convenevoli.
“Io qui ci lavoro”  La sua espressione era indecifrabile, ma sembrava quasi sarcastica.
“Questo locale è dei miei genitori” Indicò con naturale nonchalance una donna con i capelli scuri striati di bianco, sottile e affascinante nella sua eleganza semplice, ma impeccabile.
“Quella è mia madre” Disse aprendosi in un ampio sorriso traboccante d’orgoglio. Poi cambiò repentinamente espressione, sfoderandone una da cui traspariva curiosità e malizia.
“Stai aspettando la tua ragazza?” Chiese.
“Già” Ron abbassò lo sguardo, sperando che la conversazione vertesse su un argomento meno imbarazzante, ma Verity non si lasciò scoraggiare.
“È in ritardo” Non era una domanda.
Osservò per qualche istante l’espressione del suo interlocutore, servendosi della sua infallibile, quanto naturale, capacità di leggere le espressioni altrui. Corrugò leggermente la fronte, prima di scattare in piedi, come una molla sfuggita ad un ingranaggio.
“Andiamo” Disse semplicemente, tirandolo nella direzione dell’entrata, affollata di uomini e donne che gli rivolsero un’occhiata speranzosa nel vedergli liberare il tavolo.
“Ma io devo aspett-” Verity non gli permise  di concludere la frase, spingendolo fuori dalla porta, non prima di essersi liberata del grembiule grigio fumo e aver fatto un gesto di saluto a sua madre. La donna doveva essere abituata a situazioni simili, perché non dedicò più di uno sguardo all’eccentrico gesto della figlia.
 
L’aria fredda di dicembre gli rinfrescò la pelle del viso, regalandogli un'effimera sensazione di libertà.
Verity sghignazzava, coprendosi la bocca con una mano.
“Perché ridi?” Chiese Ron, con una nota d’irritazione nella voce.
“Perché sei veramente ridicolo con quel completo da pinguino”
Le orecchie divennero immediatamente di un acceso rosso scarlatto.
“Oh, ma solo perché non è da te, non perché non ti doni” Specificò, tentando di ricomporsi.
“Certo” Ron provò, pur senza risultato, a sciogliere il nodo della cravatta di seta.
“Aspetta” Verity si alzò sulle punte dei piedi e gli tolse lentamente il costoso cappio che gli impediva di respirare, ma la sensazione di soffocamento non cessò. Gli occhi chiari di Verity fissi sul suo corpo e il suo profumo fresco e ricercato arrivava alle sue narici in zaffate sempre più intense, ma fluide come il movimento con cui lo stava liberando.
“Fatto” Disse, allontanandosi.
Gli porse il laccio antracite che Ron scaraventò in un angolo, con disprezzo malcelato.
“Bravo!” Esultò lei, battendo le mani.
Si soffermò qualche secondo a guardarlo, muovendo pollice, indice e medio sulla pelle vellutata del mento, mimando un’espressione concentrata. Pochi secondi dopo si avventò sui suoi capelli impomatati, scompigliandoli; arrotolò poi le maniche della giacca fin sopra i gomiti e sorrise soddisfatta.
“Ecco, adesso sei di nuovo tu”
Il gelo invernale gli penetrava la pelle degli avambracci, indolenziva i fasci di muscoli, ma Ron non sentiva freddo. Avvertiva invece un piacevole tepore diffondersi in ogni angolo del suo corpo, così diverso dall’afa soffocante del ristorante.
“Non mi aspettavo di incontrarti in un ristorante Babbano” Cominciò lui, dopo alcuni minuti di silenzio.
Verity camminava con il naso all’insù, scrutando il cielo londinese, stranamente terso.
“Io sono una nata-Babbana” Spiegò, senza distogliere lo sguardo da quel nero intenso che li sovrastava.
“Non lo sapevo” Disse Ron, semplicemente.
“Non abbiamo avuto molte occasioni per parlare di noi” Non sembrava un’accusa, piuttosto una constatazione. “Non che tu abbia bisogno di parlarmi di te, perché io ti conosca” Concluse, con disinvoltura.
Lui arrossì nuovamente, mentre un sorriso soddisfatto gli tirava gli angoli della bocca, vagamente in imbarazzo.
Camminarono per un po’ in silenzio, senza meta, percorrendo le vie affollate del centro.
“Posso farti una domanda?” Chiese lei all’improvviso. “Perché lavori nel negozio di tuo fratello?”
Ron le rivolse uno sguardo perplesso.
“Non fraintendermi, io adoro George. È il miglior capo che si possa desiderare e il nostro è un lavoro da favola, ma mi chiedevo perché un ragazzo con il tuo potenziale faccia il commesso”
Il colorito di Ron ora era più simile al porpora.
“Perché tu fai la commessa?” Eluse la domanda, troppo scombussolato per rispondere.
“Oh, a me serve per pagare gli studi a San Mungo. Sarò una Guaritrice a tutti gli effetti questo maggio” Alzò le spalle, come se stesse dicendo un’ovvietà.
“Vuoi dirmi che oltre a lavorare ai Tiri Vispi e a fare la cameriera per i tuoi, studi anche?” Era disorientato e la sua voce non stentò a tradirlo.
“In realtà al ristorante sostituisco mia madre e sfrutto le mie conoscenze da Sommelier – ho frequentato un corso in Francia, due estati fa, sai? –, ma sì, lavoro e studio” Incontrò il suo sguardo. “Odio pesare sulle spalle dei miei genitori e i costi di un appartamento a Diagon Alley sono stellari
“Vivi sola?” Chiese, sempre più sconvolto.
“Sì, beh, io ho venticinque anni, Ron” Sorrideva, condiscendente.
Aveva sei anni più di lui. Era più grande di George e persino di Percy. Cosa ci faceva a passeggiare per una città Babbana, una ragazza bella e adulta con un perdente come lui?
Sbattè le palpebre un paio di volte, continuando a fissarla: il suo viso dai tratti sottili non sembrava quello di una donna, ma le sue movenze erano sciolte, sicure. Non c’era spazio per l’impaccio adolescenziale in quella ragazza che scatenava con sempre maggiore intensità il suo fascino. Grintosa, solare. Logorroica?
“Allora?” Verity ignorava deliberatamente lo sguardo che Ron le stava rivolgendo. “Rispondi alla mia domanda?”
“Che alternativa ho?” Si sentiva stupido ad ammetterlo. Eppure lo fece, lo ammise. Con una perfetta sconosciuta. Una ragazza troppo grande, troppo sicura, ma che stranamente non lo intimidiva.
“Credi davvero di non avere nessuna possibilità? Insomma, qui si parla di te” L’enfasi con cui aveva pronunciato la frase gli fece abbassare di nuovo lo sguardo.
“Non ho un diploma, non sono bravo a fare niente…” Non era preparato a quella conversazione: aveva smesso di sperare di poterne parlare con Hermione da tempo.
“Posso farti una domanda, Ron Weasley?” Chiese lei, improvvisamente seria.
“Un’altra?” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena abbozzato, ma poi tornarono ad essere increspate da un’espressione accigliata.
“Se non avessi il problema dei M.A.G.O. saltati, se non fossi tanto sicuro di essere un buono a nulla, cosa faresti? Come ti immagini nella vita? Cioè, che immagine hai di te stesso tra qualche anno, quando sarai vecchio come me?” Gli schiacciò il piccolo gomito ossuto nel fianco.
Non voleva mettersi troppa fretta, Hermione gli avrebbe intimato di ragionare, ma la risposta era una, ed una soltanto.
“Un Auror, credo. Penso che potrei essere un Auror” Ecco, l’aveva detto.
“Interessante” Disse lei, sfoderando un altro dei suoi sorrisi irresistibili.
“Ma tanto è inutile che perda tempo a sperarci, non ho speranza di entrare”
Il dolore represso negli ultimi mesi sgorgò dirompente, insinuandosi con violenza nel suono delle parole. Aveva la voce roca, infelice.
“Sai Ron,” Verity non aveva perso quel tono amichevole così confortante “io ho capito quale fosse la mia strada tardi, rispetto ai miei coetanei. Ho visto i miei amici sicuri di quale sarebbe stato il loro futuro, abbracciarlo senza fatica. In realtà ho deciso di smettere di assistere a quel triste spettacolo molto prima che loro avessero modo di sbattermelo in faccia. Ho lasciato Hogwarts non appena diventata maggiorenne e mi sono messa a lavorare in una bettola ad Hogsmade, perché nessuno voleva prendersi a carico una diciassettenne fuggitiva e senza curriculum” Verity sorrise di nuovo e si sedette a gambe incrociate su una panchina, invitandolo con un gesto della mano a prendere posto accanto a lei.
“Non sapevo come dire ai mei genitori che avevo perso la voglia di studiare, né come spiegare il mio desiderio di andarmene alle persone che consideravo amiche. Mi avevano sempre considerato ragazza modello…” La sua espressione non era cambiata, ma la voce si era fatta più acuta.
“Scusami, quando si tratta di quel periodo della mia vita, temo di non riuscire ancora a parlarne con il giusto distacco”
Ron scosse la testa, e tornò a fissarla, confuso.
“A scuola ero sempre stata la studiosa biondina Corvonero, il Prefetto gentile e disponibile a cui era tanto facile far riferimento, ma che non era altrettanto semplice considerare come unapersona, con la sua fragilità, i suoi dubbi, le sue insicurezze”
“Se credi che questa descrizione possa avvicinarsi anche solo minimamente alla mia, ti sbagli di grosso” Quasì gridò, reagendo con troppo trasporto.
Hermione. Quella che aveva appena descritto, era Hermione. La vecchia Hermione, la sua Hermione.
Non voleva pensare a lei.
“Scusa, ma non capisco dove tu voglia arrivare”
“Il punto è” Una strana luce lampeggiò nell’azzurro ghiaccio dei suoi occhi. “Che avevo un disperato bisogno di lasciare trasparire la vera me. Tutti si erano fatti un’idea precisa di chi fossi, persino la persona che si presupponeva mi conoscesse più al mondo, la persona di cui ero innamorata”
I pochi secondi che seguirono erano chiaramente pieni di significato, ma Ron non lasciò che traesse conclusioni affrettate.
“Pensi che si sbaglino su di chi sono?” Chiese, disegnando un semicerchio con il braccio disteso.
“Penso che tu sia molto di più della spalla di Harry Potter”
Ron rise.
“Scusa, non fraintendermi, mi fa piacere sentirmelo dire, molto piacere credimi, ma io e te ci conosciamo da pochissimo tempo. Non ti sembra di giungere a conclusioni affrettate?”
“Può darsi” Disse lei. “Ma come io non ero solo una cinquantenne nel corpo di una sedicenne, tu non sei certo solo l’amico di un eroe”
“Cosa ti fa pensare che io pensi di esserlo?”
Lo sguardo di Verity venne nuovamente percorso da un incomprensibile bagliore.
“Vediamo” Disse, enigmatica.
Posò una mano sulla sua tasca destra. Ron si ritrasse con uno scatto fulmineo e lei scoppiò a ridere.
“Tranquillo ragazzino, volevo solo vedere dove tenessi il pacchetto di sigarette”
Ron strabuzzò gli occhi, sconvolto. Come faceva a sapere del suo disgustoso vizio Babbano?
“Ho riconosciuto l’odore sui tuoi vestiti, qualche giorno fa. Mio padre fuma”
“Io-i-io non fumo!” Gemette, ma lui stesso si rese conto di quanto fosse poco convincente.
“Certo” La sua espressione era piuttosto eloquente. “E comunque sei sempre così di cattivo umore, così distante. Ho un ricordo molto diverso di te un paio di anni fa. Eri così spontaneo ed impulsivo”
“La sicurezza non è mai stata tra delle mie numerose qualità” Ammise sospirando, arrendendosi all’idea di confidarsi con lei.
“Forse è perché ho un’idea molto chiara di me stesso” Ron si rese conto che non aveva mai ammesso con nessuno, quanto lo angosciasse la differenza tra il suo essere reale e quello ideale.
“O forse perché non ce l’hai affatto, chi può saperlo” Rise ancora una volta, aggrappandosi al suo braccio sinistro per stringersi contro di lui.
“Non riesco ad immaginarti come una ragazzetta insicura”
“In effetti ho sempre avuto un bel caratterino”
Ron si abbandonò contro lo schienale della panchina, spiando con la coda dell’occhio quella donna così strana. Si toccava distrattamente una ciocca di capelli, sparsi sulle spalle; le labbra socchiuse, piegate in un sorriso cristallino. Da qualunque angolazione la si guardasse, sembrava essere in grado di incanalare la luce e rifletterla con intensità maggiore.
“A cosa pensi?” Le chiese, inclinando il capo quel tanto da poterla guardare negli occhi, turbato dal silenzio.
“Credi nelle anime gemelle, Ron?” Domandò con semplicità.
L’immagine di Hermione gli si materializzò davanti agli occhi, come un fotogramma fugace su uno schermo.
“Non lo so”
“Io credo che esistano” Affermò con enfasi. “Sento che potrei dirti tutto di me”
Attese che le sue parole facessero presa; aveva piantato un seme, ora attendeva che germogliasse.  “Difficilmente il mio istinto sbaglia. Potresti essere la mia!”
Ron rise, nuovamente in imbarazzo.
“Sai, Verity è un nome falso” Lo guardò, desiderosa di catturare la sua reazione. “L’ho scelto in quel pazzo momento in cui ho deciso che non aveva senso annullare me stessa e chissà come mai, non ho più smesso di usarlo”
“Ah” Ron non sapeva se l’entusiasmo che la animava fosse più fascino o pazzia.
“E come ti chiami davvero?”
“Rose”
“Rose è davvero un bel nome”
“Ronald è davvero un bel nome”
Silenzio.
Le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, premendo le labbra contro quelle sottili e appiccicose di lei. Sapeva che non era una scelta saggia, ma non gli importava.
Voleva baciarla e l'aveva baciata.
Un bacio diverso da quelli furiosi che si scambiava con Lavanda e da quelli che invece aveva riservato ad Hermione. Era umido. Umido e statico.
Indifferenza.
Lei si sottrasse alla morsa delle sue dita, ridendo. Come se una la battuta di un fantasma avesse improvvisamente scatenato la sua ilarità.

 
 
 

***

 
 
 

Ma stiamo scherzando? Sparisce per mesi e torna con questo?
Ok gente, niente panico.
Lo so che è facilissimo pensare che io abbia battuto la testa e sia completamente impazzita (anche se non è da escludere che la febbre mi abbia fuso qualche neurone). Vi prego di non trarre conclusioni affrettate. Vi chiedo di concedermi il beneficio del dubbio ancora per un paio di capitoli. Please. Concedetemi di essere criptica ancora per un po’.
Intanto vi spiego, senza spoilerare troppo il seguito della storia, cosa (diamine) mi abbia portato a fare questo. Ecco, il fatto è che, rileggendo per la miliardesima volta il settimo libro di Harry Potter mi sono accorta che Ron ed Hermione non sono fatti per stare insieme. Hermione deve sposare Draco Malfoy ed avere tanti bei pargoletti ignavi dai capelli biondi. MA-PER-PIACERE.
No, scherzi (pessimi) a parte, non credo che siano ancora pronti, per stare insieme sul serio, intendo. C’è una ragione se ho interrotto così a lungo questa storia, che va oltre problemi di salute, di tempo, di ispirazione. Non riuscivo ad accettare il decorso naturale delle vicende. Sapevo cosa avrei dovuto scrivere e non mi andava. Cercavo un’alternativa, ma non la trovavo. Poi ho capito. Ron è troppo insicuro e Hermione, beh, traete le vostre conclusioni, presto condividerò le mie. Il loro rapporto deve maturare, ma per farlo è assolutamente necessario che prima crescano i diretti interessati. Aspettatevi qualche (pochi, pochissimi) capitolo brutale, dunque. E non odiate Verity/Rose. E ricordate che io amo Ron ed Hermione e qualsiasi parto della mia fantasia è finalizzato a vederli insieme, soddisfatti, con tutti i loro nipoti, i due figli e una vita felice insieme. Tutto chiaro? :)
Ultime due cose:
First: ringrazio di cuore chi ha commentato e che non ha ancora ricevuto risposta. Odio essere frettolosa, ma ho atteso troppo tempo. E mi dispiace.
Second: sono davvero costernata per la fine di quest’era. Sapete a cosa mi riferisco. Forse era superfluo specificarlo, forse no. Lo faccio perché l’impressione è quella di essere, per la prima volta, davvero fuori dall’infanzia. Adulta. Bleah.
Lo dicono tutti, ma sento di dover unire la mia voce al coro.
Per rimediare a questa presa di coscienza improvvisa, comunque, pubblicherò una nuova long (non troppo long – uccidetemi –) semplice e leggera. Infantile. Ah. Ah.
Mamma mia che note infinite! Vi lascio ad immaginarmi bruciare nell’Ardemonio.
Guys, spero che nonostante tutto questa cosa vi sia piaciuta.
Fatemi sapere, mi raccomando.
Un bacio :*

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