Winter Hail- Grandine d'inverno

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sospesi nel vuoto ***
Capitolo 2: *** Nomi insoliti ***
Capitolo 3: *** Proposte ***
Capitolo 4: *** Sul tetto ***
Capitolo 5: *** Grandine d'inverno ***



Capitolo 1
*** Sospesi nel vuoto ***


1- Sospesi nel vuoto La canzone a cui si fa riferimento nel capitolo è "Amazing" di Alex Lloyd

Winter Hail- Grandine d'inverno


Winter Hail- Grandine d'inverno

Sospesi nel vuoto


"Mi ricordo che una volta desideravo diventare come il vento.
Era diventata un'ossessione, per me.
Volevo sfuggire alla forza di gravità e volare nell'aria, leggera e libera, come il vento.
Quello era il mio sogno più grande."

(Haruka, episodio 106)


Tanto per ingannare il tempo che non passava e la fila che non scorreva, aveva cominciato a concentrarsi sul proprio respiro, cercando di dare alla nuvola di vapore che gli usciva dalle labbra la forma che voleva. Senza successo.
- Che fai? Fumi? Attento che non ti veda qualcuno della scuola – disse la ragazzina in piedi accanto a lui, altrettanto intenta ad aspettare.
- Io finirei più nei guai con mia madre, altro che la scuola – ribatté l'altro, stando allo scherzo.
- In effetti sì – lei lo imitò, soffiando nell'aria gelida una nuvola indistinta – Stato gassoso, no? -.
- Geniale. Hai studiato? -.
- Piantala. Anche se è il tuo compleanno, niente mi trattiene dal darti un pugno come si deve – mise in chiaro la ragazzina.
L'altro fece spallucce, per niente toccato da tale dichiarazione.
- Non sei nella posizione, lo sai. Sbaglio o sono il tuo garante? La tua unica possibilità di sfuggire davvero alla forza di gravità dipende da me, no? -.
Lei non rispose, apparentemente concentrata sulla fila che aveva iniziato a muoversi. Il ragazzino ridacchiò sotto i baffi, segnando col pensiero un punto a proprio favore: era un'impresa tutt'altro che semplice avere l'ultima parola con Haruka di tanto in tanto, e lui era uno dei pochi eletti che a volte ci riusciva.
Lanciò un'ulteriore occhiata alla mostruosità a cui si stavano lentamente avvicinando, non riuscendo ancora a credere a ciò che stava per fare. Non era davvero sicuro che sarebbe stato pericoloso, anche per lui, ma il fatto di non averne parlato a sua madre la rendeva la cosa più proibita che si fosse mai azzardato a fare. Sorrise, più eccitato che mai: a quanto pareva la sua ribellione adolescenziale era iniziata a dodici anni appena compiuti.
I suoni e le musiche del luna park si confondevano in una cacofonia pazzesca, e da dove si trovavano loro i seggiolini della giostra sembravano sospesi nel vuoto, come una grande altalena attaccata direttamente al cielo.
- Guarda un po': saremo così in alto che sentiremo il vento anche se quaggiù non c'è un filo d'aria – disse Haruka, avanzando di un paio di passi man mano che la fila proseguiva, per poi dargli una leggera gomitata nelle costole – E se l'addetto te lo chiede... -.
- Sì, lo so – si scambiarono uno sguardo complice. Su quella giostra si poteva salire solo se si erano compiuti dodici anni, e lui avrebbe dovuto giurare su cielo e terra che anche la sua amica li aveva. Alla fin fine non era una bugia così grossa, in fondo le mancava solo un mese.
Dopo circa un quarto d'ora arrivò il loro turno. Il responsabile dell'attrazione li squadrò sospettoso, per poi rivolgersi a lui:
- Il tuo amico ce li ha, dodici anni? -.
- Sì, siamo nella stessa classe – rispose lui senza batter ciglio. Haruka non smentì il giovane che l'aveva scambiata per un maschio, e si diresse tranquillamente verso uno dei seggiolini quando lui si convinse e li lasciò passare.
Solo quando furono seduti si lasciarono scappare un sorrisetto di vittoria, che morì sulle labbra del ragazzino non appena la giostra accennò a muoversi. Il cuore iniziò a battergli freneticamente, in quel modo che doveva assolutamente cercare di controllare. "Calmati... calmati...".
- Tranquillo, Kafuu, ci sono pochissime probabilità che proprio il tuo seggiolino si stacchi mentre il meccanismo è in funzione – fece Haruka rassicurante, voltandosi verso di lui mentre il vento le scompigliava i corti capelli biondo cenere.
- Grazie, eh! Dopo che ho mentito per te... - malgrado le parole della ragazzina, vederla perfettamente a suo agio lo distese, e la tensione si allentò.
- Esagerato! In fondo è quasi vero che siamo nella stessa... - Kafuu non sentì più nulla, perché i seggiolini presero velocità e iniziarono a volteggiare intorno alla struttura principale.
Quanto sentì le prime lame di vento fu certo che gli avrebbero fatto uscire il sangue dalle labbra, e il sole limpido di quella mattina non rendeva affatto la temperatura più mite.
Eppure, non appena la giostra prese velocità, rimase senza parole. Non aveva mai provato niente... niente del genere. Haruka aveva ragione: sembrava di volare.
Se stringeva appena gli occhi, il sole del ventisette dicembre gli riempiva la retina di giochi di luce, e gli stralci di nuvole lassù sembravano vorticare in un girotondo impazzito. Ora essere praticamente sospesi nel vuoto, con quelle catene quasi da altalena, non gli dispiaceva più così tanto. Anzi, ad essere precisi era fantastico.
Vide Haruka, davanti a sé, voltarsi verso di lui; la vide allungare un braccio, lasciando la catena che la assicurava alla struttura principale, e abbandonare poi anche l'altro nell'aria gelida, come se quello che stava facendo dipendesse da lei e da lei soltanto. Non poté fare a meno di sorridere, chiedendosi come si potesse essere così ciechi da scambiarla per un ragazzo: per quanto fossero alti uguali, fisicamente lei era esile come un uccello, e quella zazzera spettinata dalla sfumatura alta gli aveva sempre ricordato le penne arruffate di un nibbio in volo.
Ma si era ben guardato dal dirglielo, o dal farlo notare a qualcun altro. Respirò a fondo quell'aria ghiacciata, chiedendosi se il suo spirito fosse stato almeno un po' influenzato dal tempo atmosferico del giorno in cui era nato. Da quel cielo azzurro che sembrava cupo tanto era profondo, da quelle nuvole simili a vette di montagne e probabilmente altrettanto fredde.
Pian piano la giostra iniziò a rallentare, l'anello centrale ad abbassarsi fino a farli tornare a terra. Era stato bello avere i piedi penzoloni per aria, ma era altrettanto bello ritrovarsi di nuovo in piedi sul suolo.
Anche se Haruka non sembrava pensarla allo stesso modo.
- Fantastico! Ti è piaciuto? -.
Lui annuì, altrettanto entusiasta, sbattendo un paio di volte le palpebre per eliminare dalla retina le macchie nere causate dalla luce abbagliante del sole.
- E... come stai? -.
- Bene – poggiò una mano sul petto, come a sincerarsene, e fu quasi sorpreso di sentire che era davvero così – Mai stato meglio -.
- Visto? - Haruka sfoderò la sua espressione più sicura, anche se il modo in cui scrollò le spalle tradì il fatto che un po' in apprensione lo era stata.
- Già, avevi ragione – anche perché in effetti l'avevano combinata grossa, e se fosse accaduto qualcosa di grave lei sarebbe finita nei guai forse anche più di lui – Ma adesso mi è venuta una gran fame -.
- Sì, anche a me. Che ne dici dei takoyaki? -.
Kafuu annuì: - Andata -.

'Cause you were amazing
and we did amazing things

[Perché tu eri straordinaria
e noi facevamo cose straordinarie]


Riempiendosi la bocca e lo stomaco di quelle deliziose sfere di polpo e pastella, che soddisfavano anche le papille olfattive tanto erano profumate e calde, gironzolarono per il luna park senza una meta precisa. Il calore di quelle polpette in bocca era un contrasto meraviglioso con le guance irrigidite dal freddo, ed entrambi ne avrebbero mangiate fino a scoppiare.
- L'ultimo la lasci a me, vero? Non dovresti seguire una dieta leggera? - fece Haruka, adocchiando minacciosa l'ultimo takoyaki rimasto.
- Si dà caso che sia il mio compleanno – ribatté Kafuu.
- Mmm – già, in effetti erano lì per quello – Va bene, ma solo per oggi -.
Si finse interessata alle bancarelle di tiro a segno davanti alle quali stavano passando, ostentando indifferenza; tuttavia Kafuu la conosceva bene, e sapeva che quando ci si metteva riusciva a mangiare come un lupo. Oltretutto il freddo metteva appetito.
- Dai, facciamo a metà – propose.
- E come? - Haruka lanciò un'occhiata critica al bastoncino che serviva a mangiare le polpette, appuntito solo ad un'estremità: per tagliare qualcosa era completamente inutile.
- Beh... - Kafuu infilzò l'ultimo takoyaki col suo bastoncino, per poi azzannarne metà e porgere il resto ad Haruka.
- Così si fa – approvò lei, facendone un sol boccone.


And I wouldn't change it
'cause we were amazing things

[E non lo cambierei
perché eravamo esseri straordinari]




Questa storia si è classificata prima al contest "Progetto Cinema- prima edizione" di Erena-chan.
Per la storia dovevo ispirarmi a questa immagine, e scrivere una fic di rating arancione.
Si è invece classificata terza al contest "Il giorno che mi cambiò la vita" di DominoWhite, che aveva un prompt un po' più complicato: bisognava descrivere un fatto che cambiasse la vita di un personaggio, e io ho scelto Haruka Tennō. In realtà nella mia storia il cambiamento è avvenuto nel passato della Haruka che conosciamo, e vorrebbe spiegare un suo atteggiamento peculiare della terza serie.
Bisognava inoltre inserire altri elementi, e a me sono capitati: il carillon, la canzone "Amazing" di Alex Lloyd e una frase che comparirà in uno dei prossimi capitoli. Inoltre doveva... udite udite: grandinare d'inverno. Impossibile, dite? Chissà...
Inutile dire che è presente un OC completamente inventato da me, anche se potrete trovare dei riferimenti a qualcuno...

Già che ci sono faccio pubblicità ad una storia che sto pubblicando nella sezione Cross-over, dove sono ovviamente presenti anche personaggi di "Sailor Moon":
"Il Filo Nero"



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Capitolo 2
*** Nomi insoliti ***


2- Nomi insoliti Nomi insoliti

"Mi sorpassava sempre, correndo come il vento."

(Elsa Gray su Haruka, episodio 106)


La gente che li vedeva insieme, in special modo gli insegnanti, restava decisamente sorpresa alla vista di un'accoppiata così assortita. Di solito a quell'età maschi e femmine si evitavano come l'acqua calda e quella fredda, eccezion fatta per i primi, timidi innamoramenti; anche se era l'epoca dei "migliori amici", difficilmente si trattava di qualcuno dell'altro sesso. La pubertà era alle porte, o per qualcuno era già cominciata, e questo non faceva che accrescere la distanza tra maschi e femmine: all'improvviso qualcuno con cui si era bevuto dalla stessa bottiglia fino al giorno prima sembrava quasi un estraneo.
Tutto ciò non pareva toccare minimamente quei due: anche se erano in sezioni diverse e le attività sportive di Haruka la impegnavano parecchio, per il resto del tempo li si poteva vedere sempre insieme, sia a scuola che fuori.
Sembrava strano anche a lei, così sportiva e dal coraggio fisico illimitato, trovarsi tanto bene con un ragazzino dall'aria delicata e amante della musica. Anche se, a conoscerlo meglio, le era molto più affine dei tanti maschi con cui giocava a calcio nel campo della scuola o contro cui gareggiava sulla pista di atletica. Battendone parecchi, a onor del vero.
Si erano conosciuti solamente l'anno prima, quando Kafuu Tsukishiro si era trasferito in quell'istituto comprensivo, iscrivendosi alla classe quinta, nella sezione accanto a quella di Haruka Tennō. I due non si erano nemmeno mai guardati, quando una mattina durante l'intervallo Haruka sentì qualcuno parlare di lei. Si trovava sul tetto della scuola a godersi una giornata particolarmente ventosa, e ad un certo punto aveva udito le voci di due ragazzini che salivano le scale.
- Sul serio si chiama così? Sarebbe perfetto in coppia con Tennō, no? - a parlare era stato quello che riconobbe come un suo compagno di classe.
- Sì, con lui? - l'altro, che Haruka non conosceva, ridacchiò – Ma ce la vedi? Il nuovo arrivato non fa nemmeno le ore obbligatorie di educazione fisica!
Al che scoppiarono entrambi in una gaia risata, che si smorzò non appena videro uno dei loro argomenti di conversazione aspettarli sulla porta del tetto.
Non scapparono solo perché sapevano perfettamente che quella Tennō era veloce come il vento, e li avrebbe acciuffati in un secondo.
- Ecco noi... non ti stavamo prendendo in giro, sai...
- Già... è solo che è arrivato un ragazzo nuovo e...
- Come si chiama?
- Eh?
- Come si chiama? - ripeté Haruka.
- Ah... Kafuu (¹) Tsukishiro. Adesso hai capito perché stavamo ridendo, no? È buffo, e...
- … e il fatto è che se anche si chiama così non l'abbiamo mai visto correre. Durante le ore di ginnastica fa sempre studio individuale, la mammoletta.
- Se l'insegnante gli ha dato permesso di saltare educazione fisica deve avere un motivo serio, no? Che ne sapete voi?
In effetti non ne sapevano niente, quindi non risposero. Haruka scese le scale, passando in mezzo a loro senza battere ciglio, per poi tornare in classe.   

Tuttavia le era venuta una certa curiosità di conoscere questo tipo dal nome tanto strano. Visto che non era da lei interessarsi palesemente ai nuovi arrivati, per qualche giorno fece semplicemente attenzione agli studenti della classe di fianco alla sua: lanciava loro qualche indifferente occhiata quando uscivano e rientravano, e le sembrò di scorgere una faccia mai vista prima. Un ragazzino con i capelli castano scuro e gli occhi grigi, anche piuttosto pallido.
Alla fine di quella settimana, dopo un allenamento di atletica, lo aveva visto leggere su una panchina al limitare del campo. Tamponandosi il sudore con l'asciugamano l'aveva osservato attentamente, decidendo infine di andarci a parlare. A convincerla definitivamente era stato anche ciò che le aveva sussurrato qualcuno mentre correva, incurante di tutto e tutti.
- Ehi, salve.
Lui alzò gli occhi dal suo libro, ma quando la vide non si sorprese più di tanto.
- Ciao.
- So che non ci conosciamo, ma sono del tuo stesso anno, sezione accanto alla tua.
- Sì, in effetti ti avevo già visto – accennò alla pista di atletica, riuscendo a celare malamente l'ammirazione – Corri veloce.
- Mi piace e mi alleno, ma mi devo esercitare ancora molto.
- A me sembravi una folata di vento.
Quella fu la parolina magica: Haruka dimenticò che doveva andare a cambiarsi e poi tornare a casa, e si sedette accanto al nuovo studente.
- Tu sei Tsukishiro, giusto? Tsukishiro Kafuu?
Lui fece una leggera smorfia.
- Chiamami per cognome, per favore.
- Perché? Il tuo nome non ti piace?
Come spiegare a un'estranea appena conosciuta- peraltro così carina- quanto i suoi genitori avessero avuto la malsana idea di dargli un nome tanto ingombrante, senza sembrare un piagnucolone?
- Diciamo che è un po'... pesante. Soprattutto quando mi presento la prima volta con qualcuno: devo sempre mettermi a spiegare che mio padre è uno studioso di letteratura, eccetera eccetera.
- E lo dici a me? - ribatté Haruka – Ma lo sai come mi chiamo io?
- No.
 - Haruka – fece una pausa ad effetto – Haruka Tennō. (²)
Tale rivelazione fu accolta da un secondo di silenzio.
- Stai scherzando.
Al che la ragazzina che gli sedeva accanto scoppiò in una fragorosa risata, una risata che non aveva nulla da spartire con i ridacchiamenti scialbi della maggior parte delle sue compagne di classe, le quali erano solite riunirsi in capannelli e lanciare occhiate e risatine sceme a tutti i maschi che capitavano loro a tiro.
- Allora esisti davvero – continuò lui.
- Come sarebbe "esisto davvero"? - fece Haruka.
- Niente, è solo che... - si strinse leggermente nelle spalle - … ho sentito un mio compagno di classe e un altro ragazzo che non conosco dire che "sarei stato perfetto in coppia con Tennō", ma pensavo se lo fossero inventato. Suonava un po' assurdo, invece esisti davvero.
Nome strano per nome strano, esistevano sul serio tutti e due.
- Cosa leggi? - gli chiese Haruka, cambiando discorso.
- Ah, niente... - non le sfuggì come il suo interlocutore stesse magistralmente nascondendo la copertina del libro, in modo che lei non riuscisse a leggere il titolo – L'ho trovato nella biblioteca comunale, nulla di così...
- Se non vuoi dirmelo fa lo stesso, ma guarda che non ho nessuna intenzione di prenderti in giro per i libri che leggi – mise in chiaro lei.
- Potresti cominciare adesso. È un libro un po'... particolare.
- No, non sono così banderuola.
Kafuu non avrebbe saputo dirlo: in fondo la conosceva da meno di cinque minuti, ma decise di fidarsi.
- Va bene, guarda – disse, porgendole il libro.
Lei lesse il titolo, corrugando la fronte; poi lo aprì, scorrendo le pagine fino a dov'era inserito il segnalibro.
- Esiste un libro su un argomento del genere? - domandò sorpresa.
- Esistono libri su qualunque argomento – rispose lui – Credi a me che ne ho letti tanti.
- Sarà, ma... qui c'è scritto che bisogna avere nozioni di falegnameria e un buon orecchio musicale. Pensi di fare tutto da solo?
Kafuu sorrise, lusingato da tutto quell'interesse: non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe potuto discuterne con qualcuno che non fosse suo padre. Con un coetaneo, poi, e per giunta una femmina!
- Non è difficile come sembra: nella scuola in cui ero prima facevo parte del club di lavori manuali, e abbiamo lavorato moltissimo con il legno; inoltre prendo lezioni di pianoforte – lanciò un'occhiata critica alle pagine che stava leggendo – La parte più dura sarà il meccanismo... 
- E pensi di riuscirci davvero?
- Beh... mi è meno impossibile di altre cose – mormorò lui – E comunque non devo farlo entro domani -.
- È un progetto ambizioso – commentò Haruka, ancora piuttosto sorpresa.
- Lo è anche correre come il vento – fece lui, accennando alla pista di atletica.
Haruka ghignò, anche se a Kafuu sembrò che stesse internamente sorridendo; e allora sorrise anche lui, certo di aver colto nel segno.
- Adesso devo andare; domani mi spiegherai meglio. Ci si vede, Kafuu.
Lui per un momento non seppe come rispondere, e dopo un momento di incertezza disse:
- A domani... Haruka.
Lei gli fece un ultimo cenno, per poi dirigersi di corsa verso lo spogliatoio.


Era la prima volta che chiamava una ragazza senza alcun suffisso, ma non gli sembrava certo il tipo che si facesse chiamare "Haru-chan". E anche lui era rimasto sorpreso che l'avesse chiamato per nome, dato che le sue compagne di classe si rivolgevano a lui utilizzando un meno confidenziale "Tsukishiro-kun".
E l'aveva osservata di sottecchi, mentre si allenava: correva davvero veloce, anche se sembrava che l'unica persona che volesse davvero battere fosse se stessa.

Dal canto suo Haruka si stava chiedendo quale strano ragazzino di undici anni potesse essere interessato a costruire carillon- perché di questo parlava il libro che stava leggendo. E perché mai qualcuno che era esonerato da educazione fisica doveva starsene a leggere proprio sul bordo della pista di atletica?
Di solito non era così interessata a gente che non poteva nemmeno sfidare in una corsa, ma quel ragazzino le era sembrato piuttosto riservato per quel che lo riguardava e molto intuitivo su tutto il resto. Un po' come lei.
E poi, pensò mentre respirava l'aria fresca della sera, satura di profumi e notizie da lontano, uno il cui nome significava "vento" non poteva non essere interessante.




(¹) "Kafuu" significa "vento sul loto" e "Tennō" "sovrano del cielo". Inoltre Kafuu Nagai era un famoso scrittore giapponese (1879-1959)
(²) "Tennō" in giapponese significa anche "Imperatore" (sì, quell' Imperatore), malgrado si scriva con caratteri diversi


sailormoon81: a me l'idea di una Haruka dodicenne stuzzicava molto, perché mi piace parecchio immaginarmi i personaggi “in divenire” rispetto a quelli che conosciamo noi. Questa Haruka non è ancora la Sailor Uranus che vedremo, anche se per certi versi è sempre lei. XD
Questa fic nasce dall'idea di “spiegare” in qualche modo un suo atteggiamento tipico della terza serie, in realtà il motivo principale di scontro con Sailor Moon... ma si capirà tutto più avanti.
Sono felice che la parte della giostra ti sia piaciuta: in effetti, dato che dovevo descrivere un'immagine ben precisa, ho cercato di immedesimarmi il più possibile... e se questo si trasmette anche a chi legge, ben venga. ^^

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Capitolo 3
*** Proposte ***


3- Proposte Proposte


"Sono sempre stata abituata a considerare l'esistenza
come una sfida giornaliera."

(Haruka a Minako, episodio 100)


Poco meno di un anno dopo erano ormai in sesta (¹), ed entro alcuni mesi avrebbero iniziato le scuole medie. Il fatto di essere un anno più vecchio dei suoi compagni di classe  non era mai stato un peso per Kafuu: diversi problemi di salute lo avevano costretto a cominciare la scuola un anno più tardi, ma quello che sulla carta risultava essere un anno era in realtà un solo mese di differenza con Haruka: anche lei avrebbe avuto dodici anni per quando sarebbero entrati alle medie; quindi che differenza faceva?
Il giorno del suo compleanno, lo stesso della prima, vera trasgressione della sua vita, aveva anche deciso che forma avrebbe avuto l'oggetto che da anni aveva intenzione di costruire. I vari libri sull'argomento li sapeva ormai a memoria, e si era consultato con il padre per le misure e i materiali del progetto.
Quando Haruka era venuta a casa sua il giorno dopo Capodanno, la struttura di base era ormai completata: aveva un impianto a forma esagonale, ancora scoperchiato perché al tetto aveva appena cominciato a dedicarvisi.
- Vedi? Devo stare attento a misurare bene i listelli di legno, perché voglio che sporgano di un paio di centimetri – le stava dicendo, concentrato nel tagliare un minuscolo triangolino col traforo.
- Sì, ma... - fece Haruka, osservando quel lavoro appena cominciato – Che cosa dovrebbe rappresentare?
- Te ne accorgerai – rispose Kafuu – Se sarà un buon lavoro, ad un certo punto lo vedrai da sola.
- Va bene, artigiano – si arrese lei – Vuoi una mano?
- Se finisci di tagliare questo, io controllo le misure – disse, porgendole il traforo.
Haruka lo prese senza una parola e cominciò a tagliare abilmente il legno, attenta a seguire il contorno delineato dalla matita.
- Ehi, Kafuu, com'è che l'altro giorno eri con quella senpai (²) delle medie? - domandò poi, con studiata indifferenza.
- È la presidentessa del club di musica: ho saputo che la sua famiglia possiede diversi negozi di strumenti, e nei loro laboratori artigianali costruiscono anche carillon. C'è gente che ha imparato in Europa, capisci? Mi ha promesso che la settimana prossima mi accompagnerà a vederne uno, e potrò osservarli lavorare.
Kafuu era al settimo cielo per il suo progetto, ma sapeva che Haruka aveva ancora qualcosa da dire; e infatti il suo commento non si fece attendere:
- Hai fatto colpo, non c'è che dire.
- Guarda che puoi venire anche tu – rispose lui, fingendo di essere concentrato sui suoi fogli ma in realtà attentissimo ad ogni espressione di Haruka – Gliel'ho chiesto, e mi ha confessato di averti notata al festival sportivo d'istituto. Sei tu che hai un'ammiratrice, non io.
Haruka non rispose, ma a Kafuu non sfuggì l'espressione compiaciuta sul volto dell'amica, e nemmeno un leggerissimo rossore sulle guance già colorite dal vento.
Sospirò piano, cercando di riconcentrarsi sull'angolazione del tetto; ma non poté fare a meno di chiedersi se lei l'avrebbe voluto ancora, quando tutto ciò sarebbe uscito alla luce del sole.    
Perché Haruka era sveglia, questo sì. Intelligente come un lupo, pronta a tradurre in azione ogni suo pensiero. Ma tante cose di sé forse non le aveva ancora capite.
In effetti Kafuu aveva notato che, se andavano a vedere la partita di calcio di una qualche squadra delle medie, Haruka non degnava di uno sguardo gli aitanti ragazzi in pantaloncini, interessatissima invece alle tattiche di gioco.
Si era accorto che, quando incontravano un gruppetto di ragazzine della loro età o più grandi, Haruka lanciava loro le stesse occhiate dei suoi coetanei maschi, soffermandosi più a lungo se nel gruppo ce n'era qualcuna con i capelli lunghi e ondulati.
Aveva notato tutto ciò, e se n'era fatto una ragione. In fondo, si diceva, alla sua età ben pochi potevano dire di passare la maggior parte del loro tempo con la ragazza di cui erano innamorati. Ben pochi potevano dire che questa fungesse allo stesso tempo da migliore amica e migliore amico.
E non era nemmeno convinto che sarebbero riusciti a comprendere un concetto tanto semplice e allo stesso tempo tanto complicato. Perciò aveva sempre preferito tenerlo per sé.
Anche se poi solo gli estranei si arrischiavano a chiamarla "Haru-chan", e lui doveva farsi in quattro per evitare un bagno di sangue; per non parlare poi di quando le dicevano che sarebbe stata davvero carina con i capelli lunghi. In quei momenti rischiava seriamente la tachicardia; ma per il malcapitato di turno. Ogni tanto si chiedeva come facesse la gente ad essere così cieca. C'era un motivo se quando la scambiavano per un maschio Haruka sogghignava, compiaciuta e quasi lusingata, specialmente se a farlo era una ragazza.
- Ah, domani non ci sono – ricordò all'improvviso, distogliendosi a forza dai suoi pensieri di inizio pubertà – Devo andare dal dottore.
- Tutto bene? Tua madre non si è... - fece Haruka, lanciandogli un'occhiata eloquente che lui colse al volo.
- No, tranquilla. Non sospetta niente della missione "ventisette-dodici" – rispose Kafuu con uno sguardo complice.
Eppure, a pensarci una settimana dopo, si rendeva conto di quanto erano stati incoscienti. Sapeva bene che chi soffriva di cuore era fortemente scoraggiato dal salire su alcune giostre, anche se non erano poi così pericolose, e di sicuro averlo fatto senza nemmeno metterne al corrente sua madre rientrava nella categoria "azioni trasgressive e potenzialmente rischiose". Un po' come mettersi a camminare sul bordo di un tetto, tanto per far arrabbiare i genitori; o per sfuggire al loro controllo.
- Meglio così. Sai, mi sta simpatica, e mi dispiacerebbe molto se tentasse di uccidermi...
- Che sciocchezza! A volte mi chiedo se non preferisca te a me, a dire il vero.
- Sul serio? - il tono di Haruka voleva essere indifferente, ma Kafuu sentì che quel commento l'aveva lusingata parecchio.
- Può darsi...
- Ah, senti, Kafuu – fece all'improvviso lei, cambiando discorso.
- Che c'è?
- Cosa vuoi fare il giorno del mio compleanno?
- Eh?
- Ma sì, non fare quella faccia – ribatté Haruka – Dato che al tuo compleanno abbiamo fatto quello che volevo io, quando arriva il mio sceglierai tu. D'accordo?
Scegliere. Che bella prospettiva.
- Qualunque cosa? - si assicurò.
- Sì, beh... nei limiti del possibile – rise lei – Ti ricordo che non hai il passaporto, nel caso volessi andare all'estero, e che fa ancora freddo per tuffarsi nudi nel Sumida (³).
- Il che farebbe bene all'apparato circolatorio, comunque.
- Sì, se riesci a non morire assiderato!
- Va bene, allora... ci penserò.
Si finse tranquillo, ma in realtà quella proposta l'aveva letteralmente esaltato: nessuno di sua conoscenza aveva mai sentito Haruka Tennō dire che avrebbe fatto ciò che voleva qualcun altro... aveva del surreale, a pensarci bene.
Rise sotto i baffi, tentando di riconcentrarsi sul proprio lavoro: avrebbe dovuto rifletterci con attenzione, perché ci sarebbe di certo voluto un altro anno perché Haruka ripetesse tale offerta.


- Ho deciso.
Era passata solo una settimana; si erano incontrati al cancello della scuola e si stavano dirigendo verso l'entrata. Il freddo era pungente, e l'idea che l'inverno sarebbe durato ancora due mesi avrebbe fatto scoppiare a piangere anche i più stoici.
- E quindi? - questo non valeva per Haruka: sembrava più a suo agio di un ermellino in mezzo alla neve.
- E quindi – rispose Kafuu, con un sorriso sornione – il giorno del tuo compleanno verremo a scuola.
- Tutto qui? - l'attimo dopo Haruka aggrottò la fronte, riflettendo su qualcosa – Ma... il ventisette è domenica.
- Appunto. Verremo a scuola.
Non furono necessarie altre spiegazioni, perché entrambi si scambiarono un sorriso complice; quello di Haruka sembrava quasi orgoglioso.
- Ah... se lo sapesse tua madre! - commentò, prendendolo in giro.
- Tale circostanza non è contemplata – ribatté lui con voce nasale, imitando l'insegnante di storia di entrambe le sezioni della sesta.
- Va bene, allora... - Haruka era perfettamente tranquilla, come se non ci fosse stato niente di complicato nel cercare di entrare a scuola di nascosto in un giorno di vacanza – Lascia fare a me!






(¹) In Giappone le elementari durano sei anni; di conseguenza i ragazzi entrano alle medie all'età di dodici anni
(²) Senpai: studente più anziano
(³) Il Sumida è il fiume che attraversa Tōkyō

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Capitolo 4
*** Sul tetto ***


4- Sul tetto Sul tetto

"Scommetto che anche tu percepisci i messaggi che ti porta il vento."

(Michiru a Haruka, episodio 106)


La mattina del ventisette gennaio si presentò grigia e leggermente nuvolosa, ma la bassa pressione di quel giorno non servì affatto a rendere la temperatura più mite. Si aggirava intorno allo zero, come stavano constatando due dodicenni che camminavano lungo il marciapiede, soffiando una nuvola di vapore dietro l'altra. Anche se una dei due era dodicenne soltanto da quella mattina.
- Auguri a me, eh! - gli ricordò Haruka, perché quando si erano incontrati al parco l'unica cosa che Kafuu le aveva detto era stata: "Andiamo?".
- Te l'avrei detto una volta arrivati, dopo aver verificato se riesci a mantenere le tue promesse – ribatté lui, facendo attenzione a non dondolare troppo il sacchetto che teneva in mano.
- E dire che tu dovresti saperlo, visto come ti chiami.
- Eh? Sapere cosa?
Erano ormai arrivati, ma girarono intorno alle mura del cortile per arrivare al cancelletto utilizzato dal personale di servizio della scuola. Haruka tirò fuori una chiave dalla tasca e la infilò nella serratura.
- Che il vento passa ovunque.


- Sì, con la chiave! - stava commentando lui, mentre salivano le scale che portavano sul tetto – Scherzi a parte, come hai fatto a procurartela? -.
- Oh, beh... ce l'avevo in casa – rispose Haruka con finta indifferenza.
- Come? Dai, raccontane un'altra!
- No, è la verità – Haruka si lasciò sfuggire un sorrisetto – Tu starai forse facendo la cosa più folle e proibita della tua vita, ma è da un pezzo che io mi sono fatta una copia della chiave del custode. Il tetto della scuola è un bel posto per venire a pensare, e c'è quasi sempre vento.
Kafuu era a dir poco allibito, soprattutto dalla semplicità con cui l'amica gli aveva confessato di andare avanti e indietro dall'istituto ogni volta che le pareva.
- Tu non sei umana – commentò – Devi essere la reincarnazione di qualche figura mitologica: magari Eolo, o qualcosa del genere.
- Eolo?
- Era il dio del vento, nella mitologia greca. Ti sarebbe piaciuto.
- Ah, senza dubbio! - ribatté lei – Anzi, ti dico di più: avrei cercato di soffiargli il posto!
Ridacchiarono senza freno fino alla sommità delle scale, fin quando aprirono la porta del tetto e si ritrovarono sullo spiazzo circondato da alte reti che dominava tutto il cortile e gli edifici del circondario.
- Tutto nostro – proclamò Haruka, avvicinandosi alla rete e godendosi il vento gelido che lì spirava leggermente. La ragazzina chiuse gli occhi e respirò a fondo, attenta, mentre Kafuu contemplava la solitudine in cui il luogo era immerso. Aveva il fiato grosso, ma era visibilmente felice.
- Ti sei stancato facendo le scale? - gli chiese lei.
- Ah... no, tranquilla – malgrado ciò, si vedeva che stava cercando di controllare il respiro, ed era pallido come un cencio.
- Ehi, Kafuu! - persino Haruka si allarmò quando lo vide accasciarsi a terra, appoggiando la schiena alla rete di protezione, ma senza lasciare quello strano sacchetto che si era portato dietro.
- Sto bene, adesso mi passa... io non sono poi così atletico, lo sai – accennò un sorriso – A proposito: adesso posso farti gli auguri. Adesso che siamo qui.
- Non cambiare discorso – ribatté lei, sedendoglisi accanto – Se stai male ce ne andiamo, e non c'è compleanno che teng-.
Lui scosse la testa.
- No, non ce n'è bisogno... vedi? Mi sta già passando – in effetti il respiro stava tornando alla normalità, anche se in viso rimaneva comunque piuttosto pallido.
- Hm – bofonchiò Haruka, poco convinta.
Kafuu fece un ultimo, profondo respiro; poi chiuse gli occhi. In effetti sembrava più tranquillo, così Haruka si arrischiò ad alleggerire la tensione:
- Beh, meno male che ci siamo venuti oggi – disse.
- È il tuo compleanno – le ricordò – Ed è domenica; domani sarà pieno di gente. Sai, è una scuola.
- Sì, lo so – Haruka ignorò l'ironia, continuando con quello che stava dicendo – Ma anche mercoledì la scuola sarà chiusa, no? Per la festa del fondatore.
Kafuu ci pensò su un momento.
- Hai ragione – fece – L'avevo scordato.
- Quindi meno male che abbiamo deciso di venire oggi, e non mercoledì.
- Perché, scusa?
- Perché mercoledì grandinerà.
Kafuu la guardò stranito: d'accordo, ogni tanto lei lo prendeva in giro, ma quella sembrava più che altro una battutina idiota; non certo da Haruka. Ma vedendo che lei continuava a guardarlo, seria e tranquilla, sbuffò leggermente.
- Non dire sciocchezze!
- Non è una sciocchezza – ribatté lei senza battere ciglio.
- Haruka, non offendere la tua intelligenza – continuò lui – Se fossi una delle oche della mia classe mi metterei a spiegarti che la grandine cade soltanto in estate, non certo in inverno.
- E io ti risponderei che lo so benissimo.
- Allora dove vuoi andare a parare? - non capiva a che gioco stavano giocando.
- Mercoledì trenta gennaio grandinerà – ripeté lei, scandendo bene ogni singola parola.
- Piantala, Haru...
- Me l'ha detto il vento.
- Eh? - seguì un attimo di silenzio, nel quale Kafuu cercò di capire se aveva sentito bene. Ma Haruka era serissima, anzi sembrava quasi sfidarlo a crederci: come se stesse testando quanto poteva fidarsi di lui.
- Tu capisci quello che dice il vento? - provò a chiedere, cercando di prendere tempo per capire quella bizzarra situazione.
- A volte – Haruka soppesò la sua risposta, riflettendo un momento – Non sempre, però.
- E che cosa dice?
- Porta dei messaggi. Cose minime, come il tempo che farà, o dei presentimenti.
- Che tipo di presentimenti? - indagò Kafuu, suo malgrado interessato.
- Di ogni tipo – Haruka si strinse nelle spalle – Ad esempio il giorno in cui ti sei seduto sul bordo della pista di atletica mentre correvo, il vento mi ha detto che eri un tipo interessante. Per questo ti ho parlato, quando ho finito di allenarmi.
Kafuu era sbalordito: Haruka stava dicendo che doveva la loro amicizia a un... soffio di vento? Gli sembrava assurdo, ma lei non l'avrebbe mai preso in giro su una cosa del genere: allora provò a porle un'unica domanda.
- È vero?
Haruka sorrise: - Certo che è vero.
Gli bastò: le credette, perché agli amici si crede anche se dicono delle assurdità.
Alzò gli occhi verso il cielo grigio sopra di loro, che si era rannuvolato ancora di più. Il cemento sotto il sedere era gelido, ma mai quanto l'aria e il vento a malapena attutiti dalla rete dietro di loro. Sentiva che sarebbe potuto morire assiderato, ma Haruka era accanto a lui, e poteva in qualche modo percepire il suo calore attraverso i cappotti, anche se si stavano a malapena sfiorando le spalle.
- Devo dirti una cosa anch'io – ricordò, pensando che se la temperatura fosse stata appena più mite quel momento sarebbe stato perfetto – L'altro giorno mi sono iscritto all'associazione per la donazione degli organi.
Non stava guardando Haruka, ma sentì lo stesso che gli stava chiedendo di spiegarsi meglio.
- L'ho fatto tramite mio padre, perché sono ancora minorenne; a mia madre lo dirò stasera – si voltò verso di lei – Volevo che lo sapessi prima tu.
- Donazione degli organi? Che roba è? - chiese Haruka.
- Se muori, parte del tuo corpo può essere riutilizzata: i medici asportano i tuoi organi e li mettono nel corpo di gente che ne ha bisogno. Si chiama trapianto.
Haruka rimase in silenzio.
- Se ne possono riutilizzare parecchi: reni, fegato, polmoni, pancreas, intestino... e il cuore, ma di quello che se ne fanno? - ridacchiò – E non solo gli organi: possono prelevare anche la cornea, il tessuto osseo, i vasi sanguigni... ti rendi conto? Qualcuno potrebbe tornare a vedere per merito mio.
- Stai dicendo che se muori ti faranno a pezzi e ti smembreranno?
- No, non è che debbano mettermi nel congelatore – rispose lui, spiegandole tranquillamente il tutto – Semplicemente mi aprono e tirano fuori quello che serve, tutto qui.
Gli occhi di Haruka si fecero duri.
- Hai in programma di morire prossimamente, per caso?
- Se dipendesse da me, no. Ma non si sa mai – si soffiò sulle mani, nel tentativo di scaldarle – Ultimamente ho avuto qualche crisi... anche se non vuol dire niente, lo sai. Ma quelli come me potrebbero morire in qualsiasi momento, per qualunque cosa, fosse anche un'emozione troppo forte.
- Tipo salire su una giostra, eh?
- Già – sorrise, cercando di farla ragionare – Dai, Haruka, non arrabbiarti: quella volta non vedevo l'ora di salirci, ed ero molto più tranquillo sapendo che c'eri anche tu. Sapevo che non sarebbe successo niente.
- Ma intanto ti iscrivi ad una sottospecie di associazione a cui prometti di farti sventrare se muori – ribatté lei, infischiandosene del tatto e alzandosi in piedi, rimanendo comunque appoggiata alla rete.
- Te lo immagini? - l'entusiasmo che provava ogni volta che ci pensava gli riscaldò le guance e le orecchie – Il sacrificio di una sola persona può salvarne almeno cinque, se non di più! È una cosa magnifica!
- Non ha alcun senso, invece.
Kafuu sorrise.
- Sì che ne ha. Non mi dire che sei troppo codarda per capirlo.
Haruka non rispose, così lui la tirò per la manica del cappotto finché lei non si decise a sedersi di nuovo.
- Quello che intendo, Haruka, è che è tutto in mano nostra. Cosa diceva, quella frase... "La sfida tra inferno e paradiso si decide sulla terra", no? Per quanto un evento sia più grande di noi, abbiamo sempre il potere di fare qualcosa.
Lei continuava a non rispondere, guardando cocciutamente di fronte a sé. Ma Kafuu la conosceva bene, e sapeva che lo stava ascoltando.
- Significa che, per quanto piccoli e insignificanti siamo, non abbiamo scuse. Pensa, persino io posso salvare delle vite, io che non riesco nemmeno a correre cento metri perché schiatterei all'istante!
- La finisci di elencarmi tutti i modi in cui potresti morire? - sbottò lei.
- Finiscila tu, e stammi a sentire! - ribatté Kafuu, anche se non sembrava affatto arrabbiato – Io ti ho creduto quando mi hai detto che senti quello che dice il vento.
- Certo, perché è vero!
- Ed è vero anche tutto quello che ti ho detto io. Sai che cosa significherebbe per me, potermi rendere finalmente utile?
- Morendo? - fece sarcastica lei.
- Anche! Una vita per altre due, tre, cinque... non ti sembra uno scambio legittimo?
- No, perché si tratta di vite umane! È idiota!
- Tu lo faresti, se fossi al posto mio – ribatté Kafuu sorridendo – Anzi, sono sicuro che ti sacrificheresti anche per una sola vita.
- Non so, magari dovresti mettermi alla prova – il tono era scherzoso, ma l'espressione ancora grave – Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Ci sono cose che sono sempre e comunque... assurde.
- Sì, almeno finché non te le ritrovi davanti – Kafuu continuò a sostenere il suo sguardo senza timore – Lo so che tu magari non ci hai mai pensato, ma io convivo con l'idea della morte da quando sono nato. Mia madre mi ci ha assillato un po' troppo, forse, ma l'ho sempre saputo anche da me -.
Non aveva ancora lasciato la manica del suo cappotto; gli sarebbe piaciuto prenderla per mano, ma non avrebbe mai rischiato tanto. Era più importante che lo ascoltasse.
- Ci sono io, e poi ci sono le persone come te: quelle che non avrebbero paura di morire nemmeno se si buttassero giù da un tetto come questo – accennò alla rete, tremando al pensiero che Haruka ci avrebbe anche provato, se l'avesse sfidata – E sacrificare una vita per salvarne tante altre è... giusto, secondo me.
- Secondo me no – rispose lei dopo un momento di silenzio.
- Abbiamo opinioni diverse – concluse Kafuu. Quella conversazione l'aveva agitato un po': sentiva una leggera tachicardia, ma cercò di non mostrarlo a Haruka. Si voltò alla sua destra e prese il sacchetto che aveva portato con sé – Guarda, volevo fartelo vedere -.
Estrasse qualcosa di colorato che Haruka riconobbe come il modellino di cui aveva visto il disegno qualche settimana prima: era completo e colorato, e somigliava incredibilmente a...
- Ma è la giostra su cui siamo andati al tuo compleanno! – esclamò.
- Più o meno. Ho cercato di fare in modo che le somigliasse, anche se si tratta di una struttura molto più semplice – la forma esagonale, dipinta di rosso, oro e bianco, sosteneva un tetto a listelli che sporgeva un po' e da cui pendevano sei piccole altalene – Per queste mi ha aiutato mio padre: è bastato lasciare un paio di buchi in cui annodare le cordicelle e poi aggiungervi questi listelli come sedili.
- È incredibile – ammise sinceramente Haruka, osservando la precisione con cui il lavoro era stato eseguito – Hai del talento, sai? Altro che correre i cento metri!
- Grazie, ma questa è stata la parte più semplice. Il meccanismo lo devo ancora iniziare, ma avevo intenzione di metterlo qui – alzò il tetto della giostra, facendo dondolare leggermente le piccole altalene e mostrando l'interno ancora cavo – Ho scelto la melodia e trovato le note... però costruire il rullo con le puntine e le piastrine è decisamente un altro paio di maniche.
- Oh, ce la farai... non devi mica finirlo per domani!
- No, però... è un po' triste lasciarlo così – Kafuu prese in mano la piccola giostra, guardandola con una sensibilità che Haruka pensò non le sarebbe mai appartenuta – È un semplice involucro senz'anima: lui sì, che senso ha d'esistere?





La frase “La sfida tra inferno e paradiso si decide sulla terra” è tratta dal film “Constantine” e dovevo inserirla per il contest.
E non temete: nel prossimo capitolo si farà tutto più chiaro.


sailormoon81: è vero che sono abbastanza piccoli, ma una Haruka "immatura" faccio fatica ad immaginarmela- secondo me si cadrebbe nel surreale, altroché- e per affiancarle qualcuno che potesse andarle a genio dovevo renderlo comunque... al di sopra della media. XD
Per quanto riguarda la gelosia dissimulata di Kafuu, poi, ho idea che Haruka non sopporterebbe nessuno che si mettesse a farle "scenate" o cose simili, e il fatto che il suo amico lo sappia è un modo come un altro per far capire quanto la conosca bene.
A parte questo, in effetti in una storia come questa il dialogo è indispensabile per riuscire a svilupparla a dovere. Di solito uso di più le parti descrittive, ma visto che questa è una storia "a due" ho cercato di darle un'impronta diversa... anche per sperimentare un po'. ^^ E se ti piace lo stesso, tanto meglio.
Athanate: sono contenta che la storia ti piaccia, anche perché affiancare un OC ai personaggi che conosciamo è sempre un po' un azzardo... il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e spero che non ti deluda! ^^  

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Capitolo 5
*** Grandine d'inverno ***


5- Grandine d'inverno Grandine d'inverno


"Non ho paura di sporcarmi le mani. Sono pronta a tutto."

(Sailor Uranus, episodio 110)



Il vento aveva parlato chiaro: grandine era, e grandine sarebbe stata. Haruka non vedeva l'ora di sapere che faccia avrebbe fatto Kafuu nel rendersi conto che lei aveva ragione: può grandinare anche in inverno, se lo dice il vento.
Venne martedì ventinove gennaio: Haruka compì dodici anni e due giorni, ma se ne andò tranquillamente a scuola. Rimase piuttosto sorpresa quando non vide Kafuu all'entrata e nemmeno durante l'intervallo: non le risultava che avesse una visita dal medico, e comunque di norma le avrebbe almeno telefonato. Si ripromise di andarlo a cercare a casa nel pomeriggio, dopo l'allenamento di atletica, ma quando si presentò nello spogliatoio il suo allenatore le disse di aspettare un momento a cambiarsi.
Haruka se ne chiese il motivo, ma obbedì, aspettando che lui desse le prime direttive a tutti gli altri. Quando poi venne verso di lei, aveva l'aria di uno che non sa da che parte cominciare, come se avesse dovuto ingoiare una pietra.
- Ascoltami, Tennō... innanzitutto è meglio che mi scusi – Haruka continuò a tacere, ma le sue sopracciglia si inarcarono sorprese: da quando in qua un insegnante si scusava con un alunno? - Non credo sia un comportamento consono a noi docenti, ma il responsabile della tua classe ha detto di aspettare la fine delle lezioni, per dirtelo. Sosteneva che altrimenti saresti come minimo scappata da scuola, e il preside era d'accordo sul fatto che la famiglia avesse bisogno di un po' di tempo per sé.
Le sopracciglia di Haruka tornarono al loro posto, aggrottandosi progressivamente: dove voleva arrivare, con tutto quel discorso?
- Non esistono modi meno dolorosi per dirlo, quindi è inutile che ci giri intorno – l'allenatore era un uomo grande e grosso, ma in quel momento sembrava davvero in difficoltà – Uno studente dell'altra sezione, Kafuu Tsukishiro, è morto stanotte. Era malato di cuore, da quel che mi ha riferito il suo insegnante di educazione fisica: la famiglia non ci ha comunicato i dettagli, ma sembra ci siano state delle complicazioni. È una cosa che può succedere, quando il cuore non è sa...
- Ma che sta dicendo? - mormorò Haruka.
- Tennō...
- L'ho visto l'altro giorno, stava benissimo.
- Lo comprendo, ma chi è nella sua situazione può avere una crisi in qualsiasi momento e...
- È assurdo. Se non è venuto, è perché si sarà preso un raffreddore. Col freddo che...
- Tennō – Haruka quasi sussultò quando l'uomo le mise una mano su una spalla, posandole poi l'altra sulla testa, tra i capelli arruffati – Mi dispiace. Nessuno vorrebbe che accadessero cose del genere, ma... è così. Non ci si può fare niente.
Le sembrò che il freddo fosse improvvisamente aumentato, anche se lo spogliatoio era ben riscaldato per evitare che chi si cambiava prendesse un colpo d'aria. Era come se il gelo fosse entrato strisciando in ogni fenditura: da sotto la porta e tra le fessure della piccola finestra sulla parete. La mano del suo allenatore sulla testa era calda, invece, ma le sembrava lontana anni luce, come se non fosse affatto posata sui suoi capelli.
Aveva freddo, un freddo insopportabile che le penetrava nelle ossa, lei che c'era nata dentro.
Le sembrò che in quell'aria ghiacciata i contorni delle panchine addossate alle pareti, degli armadietti in ferro e degli attaccapanni si stagliassero nitidi come se qualcuno li avesse messi a fuoco con una lente d'ingrandimento; al contrario, i suoni provenienti dall'esterno e le parole del suo allenatore arrivavano come attutiti. Vista e udito sembravano aver preso vita propria, come se la sua percezione del mondo avesse subito improvvisamente qualche distorsione.
Doveva andare a casa di Kafuu, a vedere come stava. Chissà che diavolo aveva capito il preside al telefono, sordo com'era.
Si scostò dall'allenatore, borbottando un indistinto "Arrivederci" che non sentì nemmeno lei, e si diresse a passo svelto verso casa Tsukishiro. Aveva la cartella sulle spalle e la borsa con i pantaloncini e la maglietta da ginnastica in mano; non corse, perché non ce n'era motivo. Ma camminò in fretta, cercando di scacciare quel maledetto freddo che le si stava insinuando dappertutto.


And I really didn't want that push today
no, I really didn't want to end this way
but the things that seem to bind us
are the things we put behind us on this day

[E davvero non volevo quella spinta oggi
no, davvero non volevo finire in questo modo
ma le cose che sembrano legarci
sono le cose che abbiamo lasciato indietro in questo giorno]


Dodici anni, un mese e due giorni. O dodici anni e trentatré giorni, era lo stesso. O... quanti mesi erano? Dodici per dodici... centoquarantaquattro, più due giorni. Un dodici alla seconda; una potenza.
E lei lo stava già raggiungendo, perché aveva colmato di un giorno la distanza che li separava.
Il cielo era nuvoloso già da un po'; il meteo aveva annunciato neve, ma lei sapeva che non sarebbe stato così. Faceva ancora più freddo, perfino la rete di protezione su cui appoggiava la schiena era ghiacciata; di certo non aiutava il fatto che quel gelo viscido dentro di lei non se ne fosse ancora andato, e chissà da dove diavolo veniva.
Il vento iniziò a spirare più forte, e lei strinse le dita sul manico del sacchetto che teneva in mano.
Il cielo si fece più scuro; poi cominciò. Non cadde nemmeno una goccia d'acqua: solo piccole schegge di ghiaccio che cozzavano sul terreno e sul cemento del tetto con una violenza inaudita, tanto da saltare non appena toccavano terra, come se qualcuno avesse appena frantumato il vetro di un'enorme finestra.
- E cazzo, Kafuu... - mormorò Haruka, osservando il cemento attorno a lei che si stava riempiendo di pezzetti di ghiaccio – ...hai visto che avevo ragione?
Si mise in testa un berretto da baseball che di solito indossava d'estate, tanto per ripararsi un po' dalla caduta di quelle schegge simili ai pallini di un fucile. Ma non aveva la minima intenzione di spostarsi; rimase immobile per un po', allungando le gambe e ascoltando il ticchettio provocato dalla caduta della grandine.
Aprì il sacchetto che si era portata dietro. La scuola era di nuovo chiusa, per la festa del fondatore, ma stavolta per entrare aveva semplicemente scavalcato il cancelletto di servizio. A lei non servivano nemmeno le chiavi.
Quando si era presentata a casa Tsukishiro il giorno prima non pensava sul serio che l'allenatore avesse ragione. Ma pensava anche che avesse detto la verità, e si era sentita assurdamente confusa finché il padre di Kafuu non aveva aperto la porta e lei l'aveva visto in faccia.
Per un istante aveva pensato di scappare, e invece era rimasta lì: impalata sulla porta, con quel gelo viscido dentro di sé che ormai le aveva completamente bloccato le membra. Da quel momento in poi i ricordi si facevano quasi sfocati, malgrado risalissero a meno di ventiquattr'ore prima. Come in sogno, dove i movimenti risultano rallentati e l'intera azione sembra svolgersi in apnea.
Aprì il sacchetto, tirando fuori il carillon incompleto di Kafuu: per quanto quella piccola giostra fosse graziosa e le ricordasse perfettamente quella su cui erano saliti appena il mese prima, in effetti non era altro che una scatola.
Alzò il tetto-coperchio, e dentro vi trovò un foglietto con uno schizzo del meccanismo: vi erano disegnati un rullo con delle puntine e poi delle piastrine di metallo, verso le quali correvano alcune frecce che riportavano delle note musicali. Anche Haruka aveva letto un po' quel libro sui carillon, e sapeva che le puntine avrebbero dovuto andare a toccare le piastrine per farle suonare e comporre la melodia; un po' come i martelletti di un pianoforte. Sapeva anche che la difficoltà stava nel porre le puntine alla giusta distanza sul piccolo rullo, e francamente le sembrava una cosa fin troppo complicata per un ragazzino di sesta elementare.
Ma era Kafuu a volerlo fare, e non uno studente di sesta elementare; come lei era fissata con la sua idea di diventare il vento stesso. Una coppia di pazzi, a pensarci bene.
Kafuu aveva già improntato leggermente- di certo con l'aiuto di suo padre- il meccanismo che permetteva al tetto di girare e alle altalene di muoversi in tondo. Le osservò dondolare, toccandole con la punta delle dita, ricordando perfettamente la sensazione di totale libertà che aveva provato su quella giostra il ventisette dicembre. Come se stesse volando davvero.
La grandine continuava a ticchettare, anche se meno violenta di pochi minuti prima. Di certo i meteorologi sarebbero impazziti nel cercare di capire che cosa era accaduto, e di sicuro i cosiddetti esperti avrebbero parlato di "sconvolgimenti climatici".
Posò la giostra a terra, incurante del fatto che si sarebbe bagnata o rovinata per la grandine. Forse un vero amico l'avrebbe portata a termine comunque, per lui. Per il suo sogno.
Ma quel carillon incompleto somigliava fin troppo al suo creatore, per poterci mettere le mani. Perfetto a vedersi dall'esterno, mancava ancora del meccanismo interno che avrebbe dovuto farlo funzionare, così come a quell'ora il corpo di Kafuu era di certo già stato privato di polmoni, fegato... e degli altri organi di cui le aveva parlato.
Probabilmente gli avevano lasciato solo il cuore, l'unico pezzo malformato che aveva provocato il corto circuito di tutto il resto. Per quel che Haruka ne sapeva, la cosa migliore che avrebbero potuto fare sarebbe stato toglierlo dalla cassa toracica e metterlo lì, in quella giostra ancora vuota, caldo e sanguinante com'era. Fosse stato per lei, l'avrebbe fatto.
Non aveva idea del perché i genitori di Kafuu l'avessero data a lei, il giorno prima. Dopo averle detto cos'era accaduto, nella compostezza del dolore, le avevano consegnato il più grande progetto del loro unico figlio, e lei non aveva osato fare domande. Anche se al momento non gliene era venuta in mente nessuna.
Si rese conto che non aveva ancora pianto. Forse avrebbe dovuto, se avesse saputo da che parte cominciare, ma sentiva soltanto quel freddo terribile in ogni parte del corpo, mentre la grandine che cadeva- ormai mista ad acqua ghiacciata- aveva iniziato a bagnarle i pantaloni.
L'idea del cuore sanguinolento di Kafuu all'interno della giostra, però, l'aveva riscaldata un po'. Si chiese se i suoi genitori si aspettassero che l'avrebbe terminata- come se lei avesse idea da che parte cominciare- o pensassero magari che l'avrebbe tenuta così com'era, in suo ricordo. Vuota e inutile.


'Cause you were amazing
and we did amazing things
and I wouldn't change it
'cause we were amazing things

[Perché tu eri straordinaria
e noi facevamo cose straordinarie
e non lo cambierei
perché eravamo esseri straordinari]

Era resistente, per essere fatta di listelli di legno incollati fra loro. Ci vollero un paio di pugni ben piazzati a fracassare il tetto, e più la giostra veniva distrutta, più sentiva la rabbia montarle dentro.
Probabilmente era contento, adesso che era freddo e rigido come un blocco di ghiaccio. L'avrebbero smembrato e messo i suoi pezzi in qualche altro corpo, come il mostro di Frankenstein. Magari il tizio che se ne sarebbe andato in giro con il suo fegato avrebbe ammazzato della gente, o l'avrebbe distrutto a forza di bere. "Gran bel lavoro, Kafuu, complimenti."
Mentre continuava a colpire sentì qualcosa di viscido e caldo sulla mano- qualcosa di molto diverso dalla grandine ghiacciata o dalle fredde gocce di pioggia che seguitavano a cadere- e quando guardò vide il palmo coperto da qualcosa di rosso. Si rese conto che le faceva anche un po' male, malgrado il dolore fosse quasi anestetizzato dal freddo dentro di sé e dal gelo di quella mattina d'inverno.
Lo assaggiò. Sangue, sangue caldo.
Guardò meglio e vide che delle schegge di legno le si erano conficcate nella ferita; quando finalmente volse lo sguardo verso la giostra e la vide davvero, si rese conto che non era rimasto altro che una massa informe e colorata, distrutta dai suoi pugni e dalla grandine. Le piccole altalene erano a terra, con le cordicelle flosce e rese molli dalla pioggia.
Sentì gli occhi scottare e qualcosa di rovente scorrerle sulle guance; toccò con la mano insanguinata e si rese conto che si trattava di acqua calda e probabilmente salata. Finalmente stava piangendo.
Si alzò in piedi, proprio mentre la grandine iniziava a calare e le nuvole a diradarsi leggermente. Presto sarebbe tornato il sereno, stava dicendo il vento, e con esso un freddo ancora peggiore.
Haruka respirò a fondo e saltò con tutto il suo peso sui resti della giostra, pestandoli con le scarpe invernali che indossava e distruggendo i pochi pezzi rimasti.
Niente sarebbe stato riutilizzato; anche la giostra era morta e lì sarebbe rimasta, come doveva essere.
Cadde di nuovo a terra, il sedere ormai completamente bagnato e il cappotto sporco del sangue della mano, e pianse tutte le sue lacrime.  


Con l'arrivo della primavera i coniugi Tsukishiro si trasferirono più a sud, nel Kyūshū. (¹) Pochi giorni prima di andarsene telefonarono ad Haruka, chiedendo di poterla vedere un'ultima volta.
In effetti, pensò lei quando li vide, anche loro dovevano aver vissuto con lo spettro della morte del figlio, tanto da aver trovato una qualche serenità nella rassegnazione e nella consapevolezza di aver sempre fatto tutto il possibile. Haruka si chiese se sarebbe stato più onesto confessare loro che il figlio avrebbe potuto morire anche prima, su una giostra dove lei l'aveva trascinato, ma non lo fece.
Non credeva che la madre di Kafuu l'avrebbe odiata, anzi probabilmente le avrebbe fatto piacere sapere che suo figlio era riuscito a godersi anche una cosa che gli era proibita, prima di andarsene. Forse non lo fece perché dopo la giostra le avrebbero chiesto del carillon, e in fondo non voleva confessare di averlo distrutto, anche se si era sentita molto meglio dopo averlo fatto.
O forse- ma questo non lo ammise neanche a se stessa- voleva che rimanesse un segreto tra lei e Kafuu, una traccia del loro cameratismo esclusivo.
Fatto sta che Haruka non parlò e loro non chiesero; perciò la distruzione del carillon rimase un segreto tra lei e la grandine.
Le parlarono invece della donazione degli organi di Kafuu, ormai trapiantati in chi era stato individuato di compatibile.
- I medici ci hanno detto che hanno usato quasi tutto – la signora Tsukishiro tacque un momento, turbata dalla parola "usato" che lei stessa aveva pronunciato, ma si riprese quasi subito – Ovviamente non conosciamo i nomi di chi ha ricevuto gli organi, per via della privacy, ma ci è stato riferito che tra loro c'era anche una bambina diventata cieca dopo un incidente, che ha ricevuto la sua cornea.
Anche lei come Kafuu, ricordò Haruka, sembrava felice che qualcuno fosse tornato a vedere grazie a suo figlio.
Alla fine venne a sapere che erano stati trapiantati i reni, il fegato, i polmoni e la cornea. I reni erano andati a due persone diverse, cosicché cinque persone erano tornate ad una vita normale grazie alla morte di Kafuu. Haruka ancora non riusciva a capire che cosa ci fosse da essere contenti, visto che lui era morto, ma rispettò l'opinione dei signori Tsukishiro e il fatto che avessero appoggiato fino in fondo la scelta del figlio. Lei era solo una ragazzina di dodici anni estranea alla famiglia, e l'unica cosa che era riuscita a fare era stata distruggere qualcosa, sporcandosi le mani di sangue.
Quelle stesse mani che la madre di Kafuu prese fra le sue, allungando le braccia sul tavolo e sorridendole.
- Fra un paio di settimane inizierai le medie, non è vero Haru-chan? - fu la prima volta che permise a qualcuno di chiamarla così. Anzi, si sentì come se le fosse stato concesso un grande onore – Buona fortuna, per tutto quanto. Spero che entrerai nel club di atletica: Kafuu diceva che correvi come il vento.
Malgrado fosse ancora convinta di essere nel giusto, stava cominciando a vergognarsene.
 

*          *          *


Le cose non stavano decisamente andando per il verso giusto: il cuore dell'umano attaccato da Kaorinite non si era rivelato un talismano, Neptune era caduta giù da una cascata e lei era nascosta in una grotta legata da un paio di stupide manette a quella piagnucolona che si faceva chiamare Sailor Moon. Il mostro Daimon le stava cercando e ben presto le avrebbe trovate; tra l'altro non esisteva al mondo che lei rimanesse nascosta per non affrontare il nemico, ma doveva pensare a cosa era meglio fare in una situazione simile. E quella mocciosa che continuava a lamentarsi e a chiederle spiegazioni sulla sua missione non la stava affatto aiutando.
Malgrado la sua identità fosse nascosta dalla trasformazione, si vedeva benissimo che era più giovane di lei; e si intuiva anche un carattere sincero e sognatore, assolutamente inadatto alla guerriera che avrebbe dovuto essere. Delizioso forse in una ragazzina come quella Usagi che aveva conosciuto da poco, ma non in colei che aveva il potere di distruggere i mostri Daimon.
D'accordo, una certa sorpresa aveva accompagnato la scoperta che lei e Neptune non erano le uniche guerriere Sailor: sembravano essercene parecchie altre, ed era vero che a rigor di logica avrebbero forse dovuto unire le forze contro il nemico. Ma se quella ragazzina fastidiosa era il capo delle altre quattro, oltretutto spesso incapaci di affrontare il nemico con quei miseri attacchi che si ritrovavano, era meglio che ne stessero fuori. Per il bene loro e della missione.
- Ma perché? Che cosa sono questi talismani? - non la smetteva di insistere. E dire che c'era un mostro dalle sembianze di una motocicletta umanoide che le stava cercando.
- Il Silenzio si sta facendo sempre più vicino, e accadrà qualcosa di terribile – finì per risponderle Sailor Uranus – Per salvare il mondo abbiamo bisogno dei talismani.
Quella ragazzina troppo dolce e gentile per combattere la stava ascoltando con gli occhi sbarrati, incredula nell'udire una profezia tanto funesta.
- Nessuno vuole delle vittime – continuò Haruka, sincera con lei e con se stessa – Ma se questo salvasse il resto del mondo...
Una vita poteva anche essere sacrificata, se ciò serviva a salvarne tante altre. L'aveva imparato molto tempo prima, e non l'avrebbe mai dimenticato.
- … tu cosa faresti?






(¹) Una delle quattro isole principali del Giappone. Tōkyō si trova nello Honshū


Eccetera eccetera. Sappiamo tutti come va avanti.
Quest'ultima scena l'ho ripresa dall'episodio 98 di “Sailor Moon”, ovviamente dalla terza serie. Le ultime battute di Haruka, in special modo, sono prese dalla versione originale giapponese.
Tornando al prompt del contest, a cambiare la vita di Haruka è la morte del suo amico: cambia il suo modo di pensare su una cosa che risulterà decisiva in futuro, ossia se il sacrificio di una persona sia legittimo pur di poterne salvare tante altre.


Athanate: in effetti sì, questa storia aveva un finale necessariamente triste, e spero si sia capito perché. Di fic nel fandom di “Sailor Moon” ne ho pubblicate un altro paio, e ne ho un'altra già pronta che metterò online prossimamente... anche se al momento questa è l'unica su Haruka. Era un po' un esperimento, dato che non mi sentivo molto sicura nel manovrare il personaggio, ma se mi è riuscito magari scriverò qualcos’altro su di lei, in futuro.
SerenityEndimion: in realtà, scrivendo questa storia, avevo paura di andare a toccare temi fin troppo importanti e di trattarli con superficialità. Invece leggendo il tuo commento mi sono resa conto di non esserci caduta, e ne sono davvero contenta.
Sei la prima che ha capito dove andava a parare questa storia! Proprio così, l'intera fic è costruita per dare un'ipotetica spiegazione della convinzione di Haruka riguardo ad un sacrificio che possa salvare tante altre persone. Lo ripete in modo così costante, durante la terza serie, che mi sono chiesta se non potesse esserci qualcosa dietro, e ho inventato questa storia.
Spero che l'ultimo capitolo non ti abbia deluso! ^^
ellephedre: se sei arrivata fino a questa risposta forse avrai letto anche il resto della storia, che spero ti sia piaciuta malgrado sia un po'... particolare. ^^

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