Believe in love ;

di Cherry pie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte ad Hollywood; ***
Capitolo 2: *** Airplanes; ***
Capitolo 3: *** Una notte sola; ***
Capitolo 4: *** L'Inferno in un Hotel; ***
Capitolo 5: *** Non andare. Resta con me; ***
Capitolo 6: *** Il ritorno alla famiglia; ***
Capitolo 7: *** La verità viene a galla; ***
Capitolo 8: *** E' forse vero che la speranza è l'ultima a morire? ***



Capitolo 1
*** Notte ad Hollywood; ***


30th June, 1985.

I suoi occhi color oro schizzavano da una parte all'altra scrutando il nuovo ambiente.
Sì, era in un posto completamente nuovo e sconosciuto che solo Dio sapeva quante disgrazie poteva portarle o meglio, le avrebbe sicuramente portato.
Accavallò le gambe mostrando svariati centimetri della sua bianca e liscia pelle delle sue cosce.
I suoi lunghi capelli tinti neri ricadevano a onde sul prorompente decoltè poco nascosto dallo scollato vestito nero.
Le sue mani accarezzarono provocanti la pelle beje del divanetto che faceva risaltare le sue unghie rosse ben curate.
Sembrava una pantera; una bellissima pantera che sensuale, attirava a se la sua preda per poterla addentare. La sua preda ero io.
Il suo sguardo si puntò su di me e l'angolo destro della sua bocca si sollevò in un ghigno soddisfatto. Un serpente; un serpente in grado di avvertire cosa le accadeva intorno solo grazie alle onde che emanavano i corpi degli altri. Il mio sicuramente emanava imbarazzo seguito da un'insicurezza palpabile.
Le sue piene labbra a forma di cuore si posarono sul vetro del bicchiere. Quanto avrei voluto essere quel bicchiere solo per poter sfiorare le sue labbra e donarle quell'emozione inebriante che si attacca prepotente al cervello come poteva donarle quell'alcolico che ora scorreva veloce nel suo corpo. Nel suo perfetto corpo.


« Una gioventù bruciata, non è vero? »
Mi girai preso alla sprovvista.


« Oh ehm.. si.. si.. no, di cosa stai parlando? »
Lionel si sedette sul divanetto di fronte al mio e appoggiò pesantemente i pugni sul tavolo di vetro.


« Smettila Michael, sai di chi sto parlando »
Ribattè fecendo un leggero cenno con la testa.


« L'hai guardata fino adesso e lei sembra ricambiare con tutta se stessa. Proprio tutta. »
La scrutò con l'occhio sveglio e le sorrise per non farsi notare.


« Sembra una.. »
« Non cominciare con le tue similitudini, almeno non prima di essere ubriaco marcio »

Scherzò ridendo gravemente Lionel.
Scrollai le spalle e abbassai il cappello sugli occhi. Era così incredibilmente imbarazzante tutto questo, eppure la mia mente era seduta accanto a lei, era sopra di lei, era dentro di lei; e anche il mio corpo confermava questa mia fantasia, specialmente l'ultima.
Il liquido verde scendeva a cascata nel mio bicchiere e sembrava non fermarsi mai. Vodka. Un enorme bicchiere di vodka riempito fino all'orlo era quello che mi ci voleva per distrarmi.
I suoi occhi mi sfioravano la schiena, le spalle. Cercava la mia attenzione e io l'avvertivo. Sentivo il bisogno di guardarla ancora una volta.
Rilassai i muscoli affondando nel divanetto.
'Forza Michael'.


« Ehi, la tua dea si sta avvicinando »
Tolsi gli occhiali e mi sollevai. La sua presenza era forte come se un'aura bianco puro si fosse illuminata attorno alla sua anima racchiusa in quello snello ed agile corpo.
Si muoveva sinuosa scivolando tra un tavolo e l'altro. I suoi passi erano leggeri ma allo stesso tempo faceva tremare le pareti. Il suo sguardo era innocente e focoso. Passione. Desiderio. Pietà. Forse sentimento. Macchè, puro sesso nei suoi occhi.
Il suo tacco risuonò un'ultima volta prima di piantarsi di fronte al nostro tavolo. Abbassai la testa lasciando che il cappello facesse ombra sui miei occhi terrorizzati. Un sapore agrodolce esplose nella mia bocca. Era il suo profumo che enigmatico inebriò il mio corpo. Enigmatico come lo era lei.
La sua mano si posò sulla mia e le sue unghie graffiarono le mie dita come per invitarmi a ribellarmi, come per chiedere attenzione proprio come fa un gatto quando ha fame.
Una sensazione di calore si espanse in me come il primo sorso di un alcolico. Quello era il primo e sicuramente non ultimo assaggio che lei mi avrebbe dato quella notte; quella notte ad Hollywood.
La sua mano si allontanò dalla mia e con gesto elegante, prese tra le dita il mio bicchiere prendendone un grosso sorso.
Si sfiorò i denti con la lingua prima di svanire nel nulla. Con il mio alcolico.


« Cosa ci fai ancora quì te?! »
Lionel era scandalizzato. Ma che scandalizzato, di più.
Non capivo se era per lei o perchè io ero ancora qui seduto con la mano piantata sul tavolino e ancora quella sensazione di calore che si impossessava sempre meno di me.


« Vai subito a cercarla! »
Annuii incerto. Si, la mia mente era incerta ma a quanto pare il mio corpo non lo era affatto perchè, mentre con la testa ero ancora al tavolo, mi ritrovai al centro della sala a spintonare gente che sicuramente conoscevo ma che non avevo ne la voglia ne il tempo di salutare.
Le mie orecchie fischiavano e il respiro era carente. Era sicuramente vicina.
Sospirai e cominciai a correre.
Il suo profumo. Il suo corpo. I suoi occhi; sensuali occhi che mi avrebbero trascinato verso il basso, verso le viscere dell'inferno.


« Michael! »
Una voce acuta mi perforò un timpano. Mi sollevai dritto con la schiena e mi girai.
Diana Ross.


« Diana! Ciao.. »
« Oh carissimo! E' dai tempi di Thriller che non ci sentiamo più, sbaglio? »

Sorrisi nervosamente e mi sorpresi a torturare il mio freddo orologio.


« Non sbagli affatto! Guarda, sono davvero dispiaciuto ma devo and.. »
« Quanto tempo! T r o p p o! Coraggio, raccontami un pò di te! »
« Diana, cosa devo raccontarti? Sai tutto, e poi io devo andar.. »

Le sue lunghe e rugose dita afferrarono il mio braccio trascinandomi su uno di quegli squallidi divani beje.


« Coraggio, ci son tante cose di te che mi piacerebbe sentire »
« Oddio, senti? »

Diana sbarrò gli occhi e chinò la testa vicino alla mia tasca.
Con un gesto veloce portai la mano sulla tasca e sorrisi.


« Il telefono! Devo andare a rispondere »
Dissi alzandomi in piedi e ridendo in modo tanto finto che mi sorpresi del fatto che lei non si accorse di niente.


« Chi ti cerca Michael? Mi stai nascondendo qualche ragazza? »
Rise.
Mi bloccai e trattenni il respiro. Non stavo nascondendo niente; forse avevo la faccia di uno che nascondeva?!
Feci scrocchiare le noche e sussurrai


« No, è solo mia madre »


~



Il vento freddo si scagliò feroce su di me. La notte era ancora giovane; erano le stelle a dirmelo. Luminose e piccole stelle che da lassù vegliavano su di me, sulle mie azioni, sui miei pensieri.
Il solitario lampione illuminava solo una piccola parte di quel lungo marciapiede. Quel lampione era lontano da me, che ero avvolto dalle ombre.
L'unico quartiere di Hollywood piccolo e cupo, dove io passavo le serate, era vuoto. Nemmeno gli schiamazzi dei locali intorno erano udibili da dove mi trovavo io.
Il ruggito di un motore e poi una Mercedes schizzarmi veloce davanti agli occhi.
La seguii con lo sguardo mentre dentro il mio cuore si rimpiccioliva, diventava grigio e debole. Se n'era andata.
Ancora mi balenava in mente il suo corpo, i suoi movimenti, il suo profumo mentre dentro il sangue smetteva di fluire alla testa. Pensavo di morire.
Nel silenzio un rumore di tacchi rimbombò nelle mie orecchie: i suoi tacchi.
Mi girai di scatto e vidi da dietro la sua esile figura nera svanire nella nebbia che si era formata tra i due palazzi affiancati: voleva la seguissi.
Con passo svelto e felpato mi diressi frettoloso verso di lei ma la nebbia si faceva sempre più fitta, più bianca davanti i miei occhi accecandomi quasi totalmente. Solo il rumore leggero dei suoi passi mi faceva da guida.
Una porta. Stava entrando nel palazzo?
Il suono era metallico e freddo. E lì capii: stava entrando dalla porta di sicurezza.
Dimenai le mani in aria con l'intento di migliorare la visuale ma ben poco cambiò, finché non vidi una striscia di luce rossa che indicava l'uscita di sicurezza con la porta spalancata.
Senza pensarci due volte, saltai sul gradino e passai sotto la ringhiera di ferro.
Fatto un passo la temperatura cambiò drasticamente: dal freddo al caldo, quasi accogliente, dove lei mi aspettava.
Un enorme tavolo da biliardo bloccò i miei passi. Il suo profumo forte aleggiava nell'aria, e come una grossa freccia luminosa mi indicava che lei era alle mie spalle.
La porta si richiuse ma io ebbi l'istinto di rimanere immobile. Lei mi stava manovrando con il suo sguardo, che mi accarezzava prepotente e avido.
Le sue mani si appoggiarono sulle mie spalle e, come due ventose, fecero scivolare via il mio giubbotto che cadde pesantemente a terra.
Con un calcio lo lanciò nell'angolo della sala e mi fece girare.
I suoi occhi nei miei, le sua labbra vicinissime alle mie.
Il magnetismo nel suo sguardo era tale da mozzarmi il respiro.
La sua mano accarezzò il mio fianco e lentamente si spostò avanti, sfiorando quel pezzo di tessuto completamente tirato e rigido. Chiusi gli occhi e mi morsi il labbro cercando con tutto me stesso di non lasciarmi prendere dal desiderio.
Bastò una leggera pressione per far scattare la cerniera dei miei pantaloni neri.
Un ghigno cattivo nacque sul suo viso. Perfetto viso che ora mi stava leccando appena sotto l'orecchio.
Mi appoggiai al tavolo da biliardo e socchiusi gli occhi in attesa.


« Sarai la via del mio successo. »
Tagliente e sensuale come non mai la sua voce avvolse la mia mente strizzandola e facendomi perdere i sensi.
Le sue gambe si piegarono e le sue ginocchia toccarono terra.
Trattenni il respiro mentre il tessuto dei miei boxer sfregava contro le mie gambe e le sue dita fredde si avvicinavano vogliose verso il mio sesso.
Sinuosa la sua lingua si srotolava accarezzandomi mentre la mia mente si appannava man mano sempre di più.
In quel momento persi il controllo.
Le afferrai le spalle e con un gesto galante la posai sul tavolo da biliardo.
La sua risata si fece pesante mentre con la mano destra ornata di anelli, si asciugava la bocca accarezzandosi le labbra.
Quello spazio in mezzo alle sue gambe mi accolse caldo e umido quasi come fare un tuffo in una piscina riscaldata.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quella sensazione che avvolgeva la mia mente e i miei sensi facendomi perdere totalmente il controllo.
Pesanti sospiri e gemiti di lei mi incitavano a continuare, sempre più forte di prima. Aumentare la velocità, raddoppiare la forza. Ma lei non era ancora sazia.
Strizzò gli occhi e appoggiò la testa sul morbido tappeto del tavolo da biliardo.
Le sue dita si aprirono sulle mie spalle e le sue unghie affondarono feroci nella mia pelle lasciandomi lunghi solchi sulle braccia, ora color sangue.
Affondai le mie labbra nel suo collo e con la lingua le solleticai sotto il mento. Mostrò una lunga fila di bianchi denti.
Fece leggermente pressione su di me e mi fece sdraiare al suo fianco. Chiuse gli occhi e mi accorsi che aveva il fiatone. Forse era troppo per il suo esile corpo?
Improvvisamente un'ondata di sensi di colpa si impossessarono della mia testa. Le presi il viso tra le mani e arrotolai la mia lingua con la sua, forse per tranquillizzarla.
Il rumore dei suoi tacchi contro il pavimento mi riportarono alla realtà.
Scossi la testa e mi coprii il viso con le mani. Se ne stava già andando.
Riaprii gli occhi e il suo viso parve luminoso sopra di me.


« Sono stata quello che volevi, ora a me spetta la ricompensa »
Squallida notte, qui ad Hollywood: maledetto desiderio di provare sensazioni nuove. Dovevo aspettarmi che sarei finito sfruttato come sempre. Maledetta quindicenne dai tacchi alti e lo sguardo sensuale che era stata capace di usarmi.
Ora sei famosa, tra le braccia di un'altro uomo; starai ingannando lui come hai fatto con me?
Maledetta quindicenne, affamata di successo e accecata dall'invidia.

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Capitolo 2
*** Airplanes; ***


6th April, 1987.

Mi sistemai i capelli morbidi davanti alle spalle e mi legai i lunghi e ribelli ciuffi davanti in una veloce semicoda.
Sapevo benissimo che questa capigliatura non rientrava nella divisa prestabilita, ma la mia testa era altrove, troppo lontana per cominciare a funzionare come si deve.
Passai tra le lunghe file dei passeggieri in seconda classe offrendo ciotoline di noccioline di seconda scelta. Chissà a questo punto dove potrei essere, e invece mi trovo inchiodata in una gabbia con le braccia legate con due potenti catene che mi impediscono di muovermi.
Feci per l'ennesima volta il giro per posare leggera come non mai le ciotole sui tavolini attaccati ai sedili quando una voce sensuale e maschile chiamò il mio nome al microfono.
Tesi l'orecchio e aspettai la fine delle mie chiamate prima di avviarmi verso la cabina di guida.
La porta scorrevole si aprì automaticamente davanti al mio viso e una schermata nera si illuminò davanti ai miei occhi. La notte ci avvolgeva senza lasciarci nessuna via di scampo e a noi toccava proseguire alla cieca verso una meta prestabilita, pronti per ricominciare la solita e noiosa routine, sulla terra ferma.


« Moon, rieccoti. Quanto tempo è che non ficchi il naso qui dalle nostre parti? »
Commentò sarcastico il primo pilota. Il così tanto famoso 'Ken'.
I suoi occhi azzurri ghiaccio puntarono e scrutarono ferocemente il mio corpo.


« Bella, sei stata assegnata alla prima classe. Corri a servire l'uomo che con uno schiocco di dita è riuscito a comprarsi questo aereo. »
Intrecciai le mie dita le une con le altre e con un mezzo inchino cercai di congedarmi, ma ecco che la forte stretta di Ken mi fece spaventare.


« E quando hai finito, torna qui a servire me »
La grave risata del co-pilota riempì la cabina, ma io ero già lontana, tra i passeggeri che ignoti, si bevevano come allocchi il mio finto e tirato sorriso cullato dal ticchettio dei tacchi.
Un profumo incantevole mi avvolse i polmoni non appena varcai la soglia che divideva la prima dalla seconda classe.
I sedili erano completamente vuoti. Solito scherzo dei colleghi annoiati?
Nel momento in cui stavo per girare i tacchi sconsolata, ecco che una lieve voce richiamò la mia attenzione dal fondo dell'aereo, dove i sedili si stringevano fino a diventare uno solo.


« Vorrei un dolce, se possibile. »
Sorrisi meccanicamente e cercai di mettere a fuoco quella magra figura che sprofondava nel grande sedile color panna.
Mi avvicinai e cinguettai: « Buona sera, cosa posso por.. »
Mi bloccai a metà corridoio. Non poteva essere lui, almeno, non ancora.
Sbattei le palpebre e completai la frase trattenendo il respiro.
Lui sorrise distrattamente senza sollevare lo sguardo dalla lista che uno dei suoi Bodyguard gli aveva porso.
I suoi occhi si aprirono a palla e si mescolarono con i miei. Erano due anni che non li rivedevo così da vicino. Inarcai la schiena e sollevai lo sguardo, presa da uno strano prurito alla schiena come se la stessi sfregando su una superficie ruvida. Un tavolo da bilirado.


« Ma tu sei... »
« Le porto un dolce alle banane. Banana split va bene? Benissimo. Manderò una mia collega a servirla »

« No, aspetta, non andartene. Devo chiederti delle cose »
Sorrisi nervosamente e mi affrettai verso l'uscita. Uno scricchiolio che proveniva dai sedili su cui lui era seduto mi fece aumentare frettolosamente il passo. Imboccai il corridoio e senza pensarci due volte entrai nel primo bagno libero.
Insopportabili bagni. Mi chiedevo solo come facevano le persone a fare i propri bisogni in quel buco dove per starci dovevo inarcare la schiena e tenere le braccia conserte.


« Ma quello è Michael Jackson?! »
Una voce strozzata e debole arrivò sino alla porta del mio bagno. Tacchi di mocassini fecero tremare il pavimento.
Aprii di scatto la porta e gli afferrai il lembo degli stretti Jeans a sigaretta tirandolo in quel buco tremendamente caldo.
Afferrai il colletto della sua camicia e, chiudendo ferocemente la porta, infilai spudoratamente la mia lingua nella sua bocca. I nostri occhi erano entrambi spalancati, ma almeno ero certa che così non potesse parlare. Se vuoi scappare da centinaia di fan su un aereo, c'è bisogno di assoluto silenzio e per le domande c'era spazio dopo; forse.

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Capitolo 3
*** Una notte sola; ***


Chiusi gli occhi e mi raggomitolai nel freddo sedile. Strinsi con le braccia la mia pancia e grugnii silenziosamente. I sensi di colpa mi stavano lentamente facendo morire, ma la sua mano appoggiata sulla mia spalla mi dava quasi come un senso di conforto.
Riaprii gli occhi e osservai dalla finestrella dell'aereo quel magnifico foglio blu notte punteggiato da gocce di tempera bianca. Piccole e luminose gocce che si impossessavano lentamente prima dei miei occhi, successivamente mi privavano di un'anima.
Il suo mento si appoggiò pesantemente sulla mia spalla e il suo respiro mi sfiorò il collo facendomi girare verso di lui.
Era così bello, innocentemente bello. Sospirai e ripensai involontariamente a quella serata.
Non dovevo usarlo; no, non dovevo farlo. Lui provava davvero qualcosa per me, e l'avevo capito dal suo modo di baciarmi, di affondare dolcemente in me preoccupandosi di quello che provavo io. Potevo benissimo scambiarci due parole e magari a questo punto non mi ritroverei in questa trappola per idiote come me.


« Non mi sarei mai aspettato di trovarti ancora »
« Non doveva succedere. » Sussurrai forse più a me stessa che a lui.
« Ma ora siamo qua » Con un gesto galante sbottonò il primo bottone della camicia azzurra che indossavo e spostò leggermente la manica, scoprendomi una spalla.
Le use morbide labbra si posarono ripetutamente per più volte sulla mia pelle che mano a mano si ammorbidiva sempre più ad ogni suo tocco.
Mi si rivoltò lo stomaco.


« Michael, non posso. Forse due anni fa ti avrei permesso di fare questo, ma ora no »
Sorrise e mi richiuse la camicetta sfiorando volontariamente il mio petto. Non potevo cedere come lui aveva fatto con me. Non potevo voltare le spalle alla mia famiglia e a Robert soprattutto.
Ormai la mia vita era segnata e non avevo il diritto di rovinare tutto per soddisfare una mia semplice voglia; però è vero che mi hanno anche insegnato che evadere dagli schemi talvolta può essere un bene.
'No Moon, mettiti la testa a posto. Immediatamente.'


« Non vuoi nemmeno passare a casa mia? Giusto per conoscerci un pò meglio. Mi piacerebbe sapere di più della ragazza che è riuscita ad ingannarmi così facilmente »
Aggrottai le sopracciglia ma non ebbi il coraggio di rispondere. Era palese qual'era il suo obbiettivo: completamente opposto al 'conoscerci un pò meglio'.
Mi massaggiai le tempie mentre le sue mani si appoggiarono su entrambe le spalle cominciando a stringere e rilasciare, facendomi rilassare i muscoli come in preparazione ad una gara atletica.
Infondo chi l'avrebbe mai scoperto? Il mio destino non era ancora del tutto segnato e mi rimaneva ancora ben poco tempo prima di quel maledettissimo matrimonio combinato. Si, era quasi come se fossimo tornati nell'ottocento ma io, provenendo da una famiglia nobile da generazioni intere, ero destinata a sposarmi con l'uomo si bello, si affascinante, ma non era l'uomo della mia vita. Come se Robert fosse solo un tappa buchi temporaneo che serviva per non farmi avvertire troppo dolorosamente la distanza tra me e il mio uomo ideale.
Posai le mie mani su quelle di Michael.


« Solo per una notte »
« Una notte. Promesso. »

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Capitolo 4
*** L'Inferno in un Hotel; ***


Le ruote dell'aereo si posarono sul terrenno facendolo rimbalzare. Riaprii gli occhi e affondai la spalla nel petto di Michael, che mi teneva in braccio e mi cullava per non farmi svegliare.
Un dolcissimo quadretto familiare, ragazzo e ragazza che si scambiano tenerezze tali da far sciogliere il cuore di satana. Si, satana; ci avrebbe fatto visita quella notte.
Mi alzai e, aggrappata saldamente ai sedili, mi trasccinai verso l'ucita dell'aereo.
Michael era alle mie spalle e teneva una mano sul fondo della mia spina dorsale, come per non farmi cadere. Aveva sicuramente notato il tremolio persistente delle mie gambe.


« Ken, non ci sono per il ritorno. Mi prendo una notte. Domattina mi farò vedere con il permesso »
Il sorriso di Ken si spense improvvisamente non appena il suo sguardo di spostò dalla mia camicia stropicciata e sbottonata alle mani di Michael che tenevano salde i miei fianchi.
Aprì la bocca ma immediatamente ci ripensò. Michael fece un cenno accompagnato da un sorriso minaccioso e Ken si ammotilì, lasciandoci l'uscita libera.


« Ora corri verso la Limousine ed entra senza dare ascolto a nessuno, io sono dietro di te »
Annuii e feci come mi aveva ordinato; presi il respiro e mi fiondai in quella lussuosa macchina bassa e lunga completamente verniciata di nero che, nella prima mattina, veniva illuminata da un sole quasi inesistente.
La perfetta mano di Michael bloccò in tempo la portiera che stavo per chiudere e con un sospiro entrò in macchina ordinando all'autista di portarlo all'hotel.
Hotel; mancava tra i posti in cui mi ero trovata 'fisicamente' con un uomo.
Il rumore di finestrino che si stava chiudendo attirò la mia attenzione.
La visuale tra conducente e passeggieri fu completamente oscurata, così rimanemmo soli io e Michael, ancora una volta, solo che questa volta era lui a tentare me.
I jeans di Michael strusciarono contro il ruvido tessuto del sedile. Avvertii la morbidezza di un suo bacio sul mio collo, forse il punto più sensibile in tutto il mio corpo.
Rabbrividii e mi girai di fronte a lui.
Appoggiò le mani sulla portiera dietro di me e si appoggiò su di me con tutto il suo peso, bloccandomi con il suo corpo.
La sua lingua fece un ravvicinanto incontro con i miei semiscoperti seni e le sue mani si infilarono tremanti nella parte anteriore sotto la mia gonna. Non appena le sue calde dita trovarono appiglio sull'elastico dei miei slip, con un leggero ed innoquo movimento verso il basso, me li sfilò passandomeli davanti agli occhi. Sorrisi.
L'auto inchiodò facendomi battere la testa contro il finestrino. Il vetro oscurato che divideva l'autista da noi si abbassò e una voce maschile fece allontanare Michael da me.


« Signore, siamo arrivati. Vuole che la accompagni fino alla sua stanza? »
Michael mi rivolse un'occhiata di intesa, così cominciai ad aprire la portiera e a scendere.


« No, non ce n'è bisogno » concluse tutto d'un fiato uscendo dall'auto e prendendomi per mano.
« Ci sei già tu ad accompagnarmi »


Annuii e mi lasciai trascinare dalla camminata veloce e nervosa di Michael.
Corridoio dopo corridoio, rifiuto dopo rifiuto da parte di Michael per cameriere in cerca di stupidi autografi, arrivammo davanti ad una porta contornata d'oro e con un cartellino argento appeso al centro: 'Benvenuti nella stanza 77'.
Trattenni il respiro e guardai Michael che tremando, per chissà quale motivo, cercava disperatamente le chiavi in tasca.
Un rumore di metallo che batteva richiamò il mio sguardo che però si fermò su quello di Michael. Affondò una mano nei miei capelli e appoggiò la mia testa contro la mia porta arrotolando la sua lingua con la mia. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare 'dolcemente' in quel mondo parallelo chiamato sogno, passione, desiderio, voglia di contenere il corpo di qualcun altro. Si.. più o meno.
Il bacino di Michael si appoggiò sul mio e lì mi venne automatico circondarlo con le mie gambe.
La parte superiore dei suoi stretti jeans era completamente irrigidita e si muoveva sopra il mio sesso scoperto facendomi gemere quasi simultaneamente ai suoi movimenti.
Strizzò gli occhi e un sorriso compiaciuto comparì sul suo viso. Voleva vendicarsi per quello che gli avevo fatto.
La chiave girò una volta prima di poter aprire la porta. Porta per il paradiso? Macchè, porta per l'inferno dove Lucifero ci aspettava entrambi.
Con un piede richiuse la porta e affondò il viso nei miei prorompenti seni. Forse voleva fare quello che non era riuscito a fare l'ultima volta? Probabile.
Fece qualche passo incerto, poi finalmente avvertì sotto le sue mani un freddo ripiano di marmo. Con un braccio fece spazio su di esso e mi fece sedere.
Appoggiai la mia testa sulla sua mentre le sue mani cercavano un appiglio sotto la mia camicia.
Per terra cocci di vetro fungevano quasi da rivestimento del pavimento e alcune rose blu circondavano i piedi di Michael. La sua bocca si posò nuovamente sulla mia mentre con scatti veloci si abbassava i pantaloni.
Il rumore della cerniera mi fece accapponare la pelle e nuovamente mi chiesi se quella era la cosa giusta. Sicuramente questo sarebbe rimasto unicamente in quella stanza e nella testa di Michael, ma chi lo sapeva se dopo il matrimonio i sensi di colpa mi avrebbero fatta impazzire? Io certo me lo aspettavo ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Le sue mani arrolotarono la mia gonna sui miei fianchi e con un gesto più elegante che altro, mi riprese in braccio. Troppo tardi per ripensarci. Nemmeno il tempo di sospirare ed eccolo, nuovamente immerso in quella sensazione che tanto adorava. Lo vedevo dalla sua faccia che da aggrottata era diventata sognante, desiderosa e soddisfatta.
Aprii la bocca e mi lasciai cullare dall'ondeggiare di Michael che tanto mi faceva perdere i sensi. Assolutamente troppo tardi. Ed era la cosa giusta.
Avvicinò le labbra al mio orecchio e tutto in un sospiro sussurrò: « Una sola notte è troppo corta per noi due »

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Capitolo 5
*** Non andare. Resta con me; ***


La paura mi stava facendo diventare pazza. Completamente pazza.
Socchiusi gli occhi e con un grugnito di stanchezza mi sollevai pesantemente da quell'enorme materasso bianco, che mi aveva dolcemente accolta e cullata per tutta la notte.
La notte. Quella notte.
Mi appoggiai leggera sulla moquette color beige e in punta di piedi mi avviai verso il balconcino che guardava sul giardino dell'hotel.
Non ebbi il coraggio di girarmi verso Michael. Con quale forza avrei potuto guardare quel dio dormire sereno e finalmente felice? Con quale forza avrei potuto dirgli che non sarei mai stata la sua regina perché appartenevo già a qualcun altro?
La portafinestra si aprì scricchiolando. Strizzai gli occhi e varcai la soglia trattenendo il respiro.
Una folata di vento gelito si attorcigliò attorno ai miei arti sfiorandoli e facendoli tremare. Amavo quella sensazione, mi ricordava così tanto la libertà, cosa a me negata ormai da molteplici anni.
Quasi involontariamente raggiunsi a passi lunghi e leggeri la righiera e mi sporsi in avanti.
Intorno a me vedevo solo verde, tantissimo verde e qualche punta di marrone, legno delle panchine sul sentiero che portava al ruscello. Solo in lontananza si potevano vedere le figure geometriche e regolari delle case di città.
Grigia e triste città. Ecco dove ero destinata a finire.
Affondai il viso nelle mie mani e mi sorpresi a singhiozzare.
Perché non potevo decidere io per la mia vita? Perché non avevo mai imparato a dire di no e invece ero un'esperta nell'accontentarmi del nulla?
Inspirai tutta l'aria che potei e poi fui assalita da un'attacco di tosse. Mi portai la mano alla bocca ma non cessava.
Mi aggrappai alla righiera cercando di respirare più lentamente che potevo, ma non mi era possibile visto che ogni volta che cercavo di inspirare rischiavo di soffocarmi.
Mi piegai e portai una mano sulla pancia. Stupida tosse.
Finalmente, dopo dei dolorosi minuti, cessò.
Tolsi la mano dalla bocca e rimasi impietrita da quello che vedevo. Sangue.
Il rumore della portafinestra che si apriva attirò la mia attenzione. Michael si era svegliato e mi stava raggiungendo.
Sul suo viso c'era un sorriso sereno e rilassato; come se vedermi fosse la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
Asciugai la mano sugli short neri offerti dall'hotel e mi diressi verso la stanza.
Non volevo nessun contatto con lui, sarebbe stato troppo doloroso per entrambi.


« Moon »
La sua voce ghiacciò i miei muscoli facendomi bloccare. Appoggiai le mani contro il vetro e sospirai voltandogli le spalle.


« Ti ho sentita tossire, stai bene? »
« Mai stata meglio » risposi ricacciando in gola le lacrime. Amare lacrime che né io né lui ci meritavamo.
Le sue calde mani si aprirono sui miei fianchi. Il suo bacino, coperto solo da un sottile strato di stoffa bianca, si appoggiò sulle mie natiche e il suo petto strusciò sulla mia schiena donandomi una sensazione di calore indescrivibile che, in diciassette anni della mia vita, solo lui era riuscito a donarmi.
Con una mano mi portò dietro l'orecchio una massa confusa di lunghi ed ingarbugliati capelli e le sue labbra inumidirono il lobo del mio orecchio.


« Ti prego stai ancora con me. Non andartene. Non lo sopporterei io come non lo sopporteresti tu. »
Mi misi ritta sulla schiena ed entrai nella stanza sciogliendomi dalle mani di Michael. Il freddo di prima ormai era svanito; la libertà era scomparsa con esso.
Mi avvicinai al comodino e aprii tutti i cassetti in cerca di una maglietta. Una maglietta della mia taglia magari.
'XL, XL, XL, XL.. ma qui dentro ci vengono solo i vecchi ciccioni appena usciti dal Mc donald?!'urlai dentro di me.
Spazientita, ne afferrai una a caso e la infilai in fretta e furia.


« La distanza ci ucciderà »
Mi voltai verso Michael. Nei suoi occhi navigava terrore misto ad una falsa ed ipocrita speranza. Anzi, meglio. Inutile speranza.
Morire. Cosa ne sapeva lui della morte? Lui non aveva mai sperimentato la morte sulla sua pelle; la perdita di una persona cara, della persona che si ama, la perdita della libertà, sentire il cuore fermarsi. Morire dentro.
Improvvisamente davanti ai miei occhi si materiallizzarono tanti piccoli puntini colorati che mi oscurarono la vista. Sbattei le palpebre e mi aggrappai a qualcosa di morbido. Forse il letto, non lo so, non vedevo più niente.
Feci qualche passo nel vuoto; sembrava di camminare in un universo parallelo. Il mio corpo era in quella stanza con Michael ma la mia anima era altrove. Forse all'inferno?
Scossi la testa e i puntini scomparvero. Ero fuori dalla stanza.
Morire. Ora avrebbe scoperto il vero significato di morire dentro.

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Capitolo 6
*** Il ritorno alla famiglia; ***


Perché si interessava tanto a me? Non poteva essere solo per prestazioni fisiche. Assolutamente no.
Beh, di lì a poco avrebbe cominciato le prove per il suo primo concerto da solista; me lo aveva sussurrato prima di addormentarsi. Si sarebbe presto dimenticato di me.
Mi fermai e guardai i due capi della strada. Da sinistra una Mini italiana stava sfrecciando ad una velocità quasi pericolosa.
Scrocchiai le dita e con gli occhi chiusi portai in avanti il pollice.
« Oddio Moon, che ci fai qui? Non dovresti essere al lavoro?! »
Riaprii gli occhi e deglutii.
Robert.
« Ehm, Robert! Uhm... Sì sì, dovrei essere sull'aereo, vero, ma... c'è stato uno sciopero causa brutto tempo! »
Annuii fingendo un sorriso rilassato.
Robert sorrise a sua volta e aprì la portiera della Mini bianca che gli avevano regalato i miei genitori per ringraziarlo di aver accettato di prendermi per sposa.
« Ti ho cercata più di venti volte al telefono ma non rispondevi mai! No... aspetta.. perché i pantaloncini di un hotel? Non avresti potuto tenere i tuoi? Non mi stai nascondendo qualcosa, vero? »
Deglutii rumorosamente e mi grattai la testa. La macchina ripartì sfrecciando all'impazzata sull'asfalto.
« Si! Avrei potuto ma siccome durante il viaggio di andata un cliente mi ha sporcato la gonna con della cioccolata lì all'hotel mi hanno offerto questi. Come sono stati carini! »
Sorrisi.
« Ah, e perché eri sulla strada? »
Mi chinai vertiginosamente verso di lui e con un sorriso amaro gli stampai un sottile bacio sulle labbra. No, non erano affatto quelle di Michael, era inutile cercare di autoconvincersi.
« Ehi! Cos'è questo eccesso di romanticismo?! Piccola, lo sai che io vorrei tanto, ma i tuoi genitori non vogliono troppi contatti prima del matrimonio. Ricordi la questione sesso? »
Mi rimisi composta nel sedile e incrociai le mani abbassando lo sguardo.
« Rimarrai vergine fino al matrimonio. Sì, ricordo »
Bofonchiai tra me e me. Sì, vergine. A diciassette anni ero vergine.
Robert distaccò lo sguardo dalla strada e mi sorrise calorosamente facendomi un cenno di assenso.
« Che onore essere il primo »
« Già »

Ci fu una fastidiosissima pausa che cercai di coprire in tutti i modi.
« Dove mi stai portando ora? »
« Come dove? Ti porto a casa dai tuoi genitori! Saranno entusiasti di sapere che rimarrai per un po' a casa. Sai, il tuo lavoro ti porta via molto tempo e loro vorrebbero solo starti accanto »

« Robert, ho diciassette anni, non pensi che mi sia stancata dei miei genitori e che io voglia farmi una vita mia? »
« Hai diciassette anni e vieni da una famiglia nobile. Questa storia la conosci già. Tra qualche mese ti sposerai con me e vivremo insieme ai tuoi genitori. Avremo dei figli e la tradizione continuerà per decenni »

Mi schiarii la voce. La pelle d'oca si stava impossessando del mio corpo.
« Tu non hai mai desiderato fuggire dagli schemi? »
« No, mai. Io mantengo le tradizioni e le manterrai anche tu, che ti piaccia o no »

La sua minaccia risuonò una sola volta in quella piccola auto ma mi tormentò imperterrita per tutto il giorno e tutta la notte, persino quando arrivammo a casa dei miei genitori qualche minuto di pesante silenzio più tardi.
« Tesoro mio! »
La stridula voce di mia madre arrivò prepotente al mio orecchio. Aggrottai le sopracciglia nel tentativo di riacquistare quel quarto d'udito che in un nano secondo era riuscita a togliermi e la salutai con un mezzo inchino.
Alzai lo sguardo e sulla porta d'entrata fece il suo maestoso arrivo anche la pelata e lucida testa di mio padre.
« Piccola, bentornata »
disse con tono grave e distaccato ma sul suo viso non poteva che alloggiare un sorriso candido e invitante come suo solito.
« Cosa aspettate cari? Entrate! »
Sorrisi ed entrai in casa. La casa della mia infanzia.
Abnorme casa su tre piani; e solo Dio sapeva quante persone avrebbero potuto starci.
Passai vicino la mia cara scala a chiocciola. Quella scala da sola conteneva almeno un mezzo di tutti i ricordi che avevo custodito segretamente in quella casa. Era lì che avevo dato il mio primo bacio al ragazzo che ora era sepolto assieme alla sua moto.
Morire. Ecco forse cosa voleva dire morire dentro, ma quello era solo l'inizio della mia lenta e dolorosa morte che ora stava arrivando al suo fine. Ma tra le braccia di chi?
« Tesoruccio mioo? »
Mi girai in cerca della testa color rosso tinto di mia madre.
« Dimmi mamma »
« Domani Robert vorrebbe andare in un hotel squallido per salutare Ken »
Il suo sguardo vigile e meschino puntò i miei pantaloncini.
« Oh, vedo che ci sei già andata »
« Lavoro.. »
« Beh, comunque »

Disse scostandosi una ciocca di rossi capelli e appoggiando le mani sui suoi grassi fianchi
« Mi aspetto che tu lo accompagni. Dovete conoscervi meglio voi due e scommetto che vi divertirete tanto »
Sbarrai gli occhi. Tornare all'hotel? Tornare da Michael? Con Robert?!
« Madre io proprio non mi sento bene »
« Non fare la sciocchina, domani lo accompagnerai senza alcun indugio. Vado a dare la tua conferma. Ora da brava vai a fare la tavola, dobbiamo pranzare »

Strinsi i denti ed annuii. Non appena la porta del salone si richiuse alle sue spalle, mi lasciai cadere in terra sciogliendomi in una cascata di lacrime. Calde lacrime che, acide, scioglievano la mia pelle. L'unica cosa che potei fare fu pregare, pregare un Dio in cui nemmeno credevo, ma ormai nemmeno il nulla mi avrebbe più potuto aiutare.



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Capitolo 7
*** La verità viene a galla; ***


« Lo vedi da qualche parte? »
La sua grave voce mi riportò bruscamente alla realtà. Non ricordo bene a cosa stavo pensando, forse a quanto era bella la hall di quell'Hotel ma siccome la prima volta che ero venuta in quel posto nella foga di Michael non l'avevo notato?
Rimasi a bocca aperta non appena la luce che rifletteva nel lampadario di cristallo puntò dritto nei miei occhi. Nell'aria risuonava una lenta melodia che mi riempiva il cuore di angoscia.
Era tutto così surreale e mi innervosiva sapere di essere stata già in quel posto e che l'egoismo di Michael lo aveva rovinato, così, macchiandolo di sesso e di un senso di gelosia irrefrenabile.
Passai la mano sul braccio e avvertii una specie di buco. Una sottile bolla che si era formata proprio al centro del mio braccio.
Zanzare pensai.
« Allora, lo vedi? » mi richiese Robert prendendomi dalle spalle e stringendo la presa più che potè. Chiusi gli occhi e strinsi i denti cercando di non emettere alcun verso di dolore.
« No »
La mia voce era strozzata e delle calde lacrime stavano per rigarmi il viso, ma rischiare di essere picchiata per così poco? Socchiusi gli occhi e Robert mi liberò dalla sua presa.
Due grandi lividi avrebbero fatto la loro comparsa accanto a tutti gli altri, provocati sempre dallo stesso stronzo.
« Meglio per te che l'ho visto io. Ora sparisci ma non uscire dall'hotel, non sono disposto a venirti a cercare. »
Anuii tristemente e lo vidi allontanarsi in compagnia di Ken. Conveniva a quell'uomo stare zitto sul mio conto e su quello di Michael se non voleva trovarsi un pugnale conficcato nella schiena.
Proprio in quell'istante una sensazione di gelo si impossessò della mia pelle. Socchiusi gli occhi e portai la mano al collo. Sentivo la pesantezza delle labbra di Michael sul mio collo, il caldo dei suoi baci e l'amore che scorreva nelle sue vene quando appoggiava il suo corpo sul mio.
Mi girai sbattendo i capelli. Era dietro di me.
« Sapevo che saresti tornata. Moon, io non riesco a vivere senza di te » disse tutto d'un fiato.
Sentii le sue mani stringermi nuovamente i fianchi e il suo viso appoggiarsi sulla mia spalla.
Strizzai gli occhi e avvolsi le braccia attorno al suo busto. Ne avevo bisogno.
« Ti prego, non andartene via ancora » mi implorò.
Una sua lacrima si appoggiò sulla mia pelle e scorse veloce per tutta la mia schiena. Non volevo lasciarlo ancora ma dovevo.
« Michael per favore allontanati » lo pregai.
« No, io non voglio lasciarti. Io voglio tenerti stretta a me sempre »
Sembrava un bambino che aveva ritrovato il suo giocattolo preferito, e non lo biasimavo affatto.
« Ehi, cosa stai facendo maniaco?! » la voce di Robert parve più vicino di quanto potessi immaginare.
Spinsi forte Michael e lui si allontanò da me barcollando. Era terrorizzato ed incredulo. Si portò le mani sul viso e inspirò per non esplodere.
« Dimmi cosa stavi facendo con la mia ragazza! » sbraitò Robert dandogli uno strattone e prendendomi sotto braccio. Chiusi gli occhi mentre le lacrime si impossessavano del mio viso. La musica risuonava ancora forte ed accompagnava malinconicamente la scena.
Michael indietreggiò per poi sparire tra la folla.
Robert rise soddisfatto e mi diede una pacca sul fondoschiena.
« Vediamo chi ha il coraggio di toccarti ancora » rise.
Raccolsi tutte le mie forze che erano cadute a terra come tanti cocci di vetro e corsi verso la scala a chiocciola.
« Signorina, non può salire senza il permesso » mi fermò una donna sulla trentina e la divisa dell'hotel.
Indicai ferocemente il marchio sui miei pantaloncini e tra le lacrime dissi: « Sono una cliente di questo Hotel. La prego mi faccia passare »
La signora fece per tranquillizzarmi quando, con un movimento del braccio, la feci indietreggiare e corsi sulla scala, per il corridoio.
'Benvenuti nella stanza 77'.
Spalancai la porta e un vaso cadde ai miei piedi.
« Michael »
« ALLONTANATI DA QUI LURIDA PUTTANA. NON TI SEI DIVERTITA ABBASTANZA A GIOCARE CON I MIEI FOTTUTI SENTIMENTI?! »
urlò.
Un'altra serie di vasi caddero rovinosamente a terra.
« Michael ti prego, io volevo dirtelo »
« TU NON VOLEVI DIRMI NIENTE. SPARISCI DALLA MIA VISTA LURIDA SGUALDRINA »
sbraitò ancora più forte facendomi cadere nel buco dell'esasperazione.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi raggomitolai a terra piangendo. Nelle mie orecchie rimbombava il rumore del vetro rotto, e miei occhi percepivano solo il rosso sangue che sgorgava feroce e interinabile dalle braccia di Michael.
Un mucchio di biglietti da cento dollari stropicciati svolazzarono e caddero pesanti come pietre davanti ai miei piedi.
« SPERO CHE BASTINO PER PAGARE TUTTE LE TUE BELLISSIME PRESTAZIONI. SE NE VUOI DEGLI ALTRI DEVI LECCARMI IL CULO ANCORA PER UN PO' » aveva perso la ragione.
Singhiozzai rumorosamente ma ebbi la forza di alzarmi. Michael si diresse in preda alle lacrime e ad un'ira funesta, verso il balcone.
Lo seguii afferrandogli il braccio. Temevo solo il peggio.
Con una forza disarmante mi lanciò per terra e si liberò dalla mia presa.
« Non impedirmi di fare quello che voglio, puttana. »
Ogni volta che ripeteva quella parola affondava sempre di più nel mio ormai spento cuore, facendomi uscire sempre più lacrime che lentamente si colorarono di rosso.
In mano Michael stringeva un tessuto azzurro. La mia gonna.
Me la lanciò coprendomi la visuale. La spostai immediatamente e la prima cosa che mi spezzò il cuore fu il suo viso in preda alle lacrime, al dolore e al disgusto.
« IO.. IO MI ERO INNAMORATO » urlò più forte che mai.
Mi alzai barcollando e mi aggrappai alla ringhiera per tenermi in piedi.
« E TU MI HAI USATO. PERCHE' NON VUOI CAPIRE QUANTO MI HAI FATTO STAR MALE?! PERCHE'?! »
Mi piegai e cominciai a tossire. No, non ora.
Prima una, poi due e infine tre gocce di sangue stonarono sul pavimento color panna, un dolore lancinante alla testa e poi il freddo pavimento mi accolse come una coperta.
E poi fu nero.

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Capitolo 8
*** E' forse vero che la speranza è l'ultima a morire? ***


-Michael- sussurrai in preda al dolore.
-Moon. Moon ti prego riapri gli occhi- sentii la sua voce implorante.
-Ma io ho gli occhi aperti. Michael non mi vedi?- dissi a mezza voce. Inspirai e improvvisamente un’ondata di tenebre mi coprì la vista. Cosa stava succedendo?
Dimenai le braccia in aria nel tentativo di riacquistare la vista ma nulla poté scacciare quelle cupe e spesse ombre. Volteggiavano inquietanti davanti ai miei occhi, dove prima c’era Michael.
Mi accucciai mentre l’oscurità si stringeva sempre più togliendomi mano a mano l’aria. Nascosi il viso tra le gambe e cercai di tranquillizzarmi. Si, tranquillizzarmi. Com’era possibile farlo?
Uno stridio straziante attirò la mia attenzione; si era aperto un varco di luce tra le ombre.
Mi alzai e lo seguii forse speranzosa, forse più spaventata di prima.
Il varco di luce mi avvolse e un calore familiare si arrotolò attorno al mio corpo. Scossi la testa e mi portai le mani alla gola. Non stavo più respirando.
Mi dimenai in cerca di ossigeno ma la luce mi teneva stretta a se togliendomi sempre più il fiato.
-Michael- fu l’unica cosa che riuscii a sussurrare sul mio letto di morte.
Aprii gli occhi e una luce abbagliante che proveniva dalla porta finestra spalancata mi accecò.
Respirai affannosamente come per recuperare l’aria che mi era mancata qualche secondo prima nel.. sonno?
Non ebbi le forze di alzare la testa dal morbido cuscino che aveva il suo odore. Amarognolo odore che per ore aveva inebriato costantemente i miei polmoni. Odore che avrei voluto sentire per ancora molto tempo.
Un’ombra sul fondo della stanza si mosse, ma nessuno fiatò.
Cercai di abbassare lo sguardo ma era troppo lontano per rientrare nel raggio dei miei occhi.
Socchiusi le labbra e presi a fare profondi respiri. Sentivo i miei polmoni stanchi e spenti, come se respirare fosse una delle cose più faticose mai compiute dall’uomo.
Guardai il bianco soffitto sgretolarsi sopra di me. Sgretolarsi come la mia anima.
-Mich..- cercai di dire il suo nome ma il fiato si mozzò improvvisamente.
Era più forte di me. Si, la morte era più forte del mio fragile corpo e della mia insensata vita.
Appoggiai i gomiti all’altezza del mio corpo e con uno sforzo incredibile, appoggiai la schiena contro il muro.
Ero un peso morto, le mie gambe si rifiutavano di muoversi. No, che dico, le gambe non le sentivo più.
Ed eccolo là, sul fondo della stanza, seduto su di una poltrona ad osservarmi.
Il dolore non lo sentivo più.
-Micha..- ci riprovai ma niente. Era un’impresa pressoché impossibile.
Le sue gambe accavallate non davano cenno di muoversi.
Lo scrutai da lontano. Così bello, così in collera con me, ma comunque incredibilmente bello.
Gettai le mani al viso e scoppiai in lacrime. In collera con me.
I suoi occhi si aprirono e la sua testa si sollevò scrutandomi. Si era addormentato mentre mi guardava.
‘Buonanotte, io starò a guardarti’ mi aveva sussurrato qualche ora prima quando ormai io ero in un coma profondo. Ma ero riuscita a sentirlo, e ancora adesso ricordavo il suono della sua voce perdonarmi mentre io ero senza sensi. Senza sensi, ma il mio cuore funzionava. Quello funzionava sempre per lui.
Appoggiò le mani sui manici della poltrona e con fare stanco si alzò, dirigendosi verso il comodino al lato opposto da me.
Lo seguii con lo sguardo ma lui non aveva la minima intenzione di fingersi interessato a me. Ed era giusto così.
Estrasse dal cassetto un pacchetto di pastiglie e me lo lanciò a livello della vita.
Senza aggiungere niente mi fece un cenno con la testa e tornò a sedersi sulla vecchia poltrona.
Lo guardai meglio; sul viso gli era cresciuto un lieve strato di barba che stonava con la sua solita pelle liscissima.
Aprii il pacchetto e con fare indifferente, ingoiai una grossa pastiglia verdognola. Non lessi nemmeno cos’era, di lui mi fidavo ciecamente.
-Che giorno è oggi- chiesi fredda quando finalmente il respiro mi tornò regolare.
-Undici Aprile- mi rispose altrettanto distaccato.
La mia testa si svuotò.
-Quanto tempo è che sono qua-
-Tre giorni-
affondò il viso tra le mani.
-Nessuno mi ha cercata- dissi quasi come se fosse un’affermazione.
-Nessuno- ripeté lui sottovoce.
Con l’ausilio delle braccia, mi sedetti sul bordo del letto e con una spinta mi alzai in piedi. In piedi per dire.
Non appena il peso del mio corpo si portò sulle gambe, caddi rovinosamente a terra.
Fu lo scatto di Michael a farmi cominciare a piangere.
Non provavo dolore fisico, solo la consapevolezza di aver trovato un uomo che invece che picchiarmi mi aiutava ad alzarmi da terra mi riempiva il cuore di disgusto. Io non mi meritavo un uomo come Michael.
Mi ripose sul letto. Allacciai le braccia intorno al suo collo e cominciai a piangere come non mai.
-Non mi sento le gambe. Michael non posso camminare- gli urlai nell’orecchio mentre la mia mente si annebbiava lentamente.
-Potrai camminare ancora- rispose sciogliendosi dal mio abbraccio.
-Non è vero! Non potrò mai più camminare! Le mie gambe non si muovono! Aiuto!- sbraitai tirandomi pugni sulle cosce. Niente, non sentivo niente.
Mi afferrò i polsi con fermezza e strinse. Non per rabbia, solo per paura.
-Smettila di far così. Non vorrai riempirti di lividi-
Ero fuori di me. I miei polmoni erano tornati a faticare ma poco importava, ora Michael era sul letto accanto a me e con fare serio mi sfilò i pantaloncini.
Tre bolli viola fecero la loro apparizione sotto i miei rossi occhi.
-Te l’avevo detto- disse massaggiandomi le gambe.
La sua mano sfiorava le mia pelle. Io non lo sentivo.
Ingoiai un boccone amaro chiamata lamentela e osservai le meravigliose mani di Michael accarezzarmi le gambe silenziosamente.
Niente di malizioso, nessun fine fisico. Solo terrore misto a prudenza.
-Sicura di non sentire niente?- mi chiese mostrando finalmente un minimo di terrore nel suo tono.
-Niente- ribattei.
Abbassai la testa e mi premetti la mano sul petto. Sentivo come un buco nei polmoni.
‘No, impossibile. Non ho mai fumato’ pensai mentendo a me stessa.
Le molle del letto si mossero non appena Michael si alzò e si diresse verso l’uscita della suite.
Lo seguii con lo sguardo e trattenni amare lacrime finché non richiuse la porta alle sue spalle.
Mi aveva perdonata? No, aveva solo pena per me.
Il rumore della porta attirò nuovamente la mia attenzione.
Una ragazza dai capelli lunghi e castani fece la sua comparsa nella stanza. Sola.
-Ciao! Tu devi essere Moon! Io sono Melanie piacere- si presentò raggiante.
Annuii senza nemmeno accennare un sorriso. Appoggiai le mani sulle gambe e avvertii come un formicolio. Poi più niente.
-Coraggio, ti riporto a casa- sospirò Melanie sorridendo affaticata.
Con tanta forza di volontà, la ragazza prese le mie gambe e mi girò verso il bordo del letto e, afferrandomi sotto il braccio, mi sollevò di peso facendomi sedere su una sedia a rotelle che aveva portato in stanza lei.
Accarezzai le ruote. Era forse questo il mio futuro? Ragazza su di una sedia a rotelle?
Mi asciugai un ultima lacrima che era fuggita dal mio occhio e mi sforzai di sorridere. Niente.
-Scusa, ma io vorrei rimanere qui con Michael-
Melanie sorrise.
Si posizionò alle mie spalle e cominciò a spingere fuori la carrozzina.
Uscimmo in corridoio e una nuova luce ci invase travolgendoci.
Eccolo, appoggiato al muro con il viso coperto dalle proprie mani. Piangeva.
Melanie diede una forte ed uniforme spinta passando davanti a Michael.
Sollevò lo sguardo e si stropicciò la faccia mentre io mi allontanai con l’alta ragazza dai capelli castani.
-Quanti anni hai Moon?- chiese interessata Melanie mentre cambiava la marcia della sua Mercedes.
-Diciassette-
-Hai già superato tante difficoltà per essere solo una diciassettenne! Complimenti!-
disse sarcastica.
Momento terribile per il sarcasmo, ma non la minacciai con lo sguardo, in fondo voleva solo rompere il ghiaccio, ma era evidente che non ne era capace.
-Dicevamo, da quanto conosci Michael?-
-Due anni-
già, proprio due anni. Maledetta notte ad Hollywood.
-Wow! Io conosco tante ragazze che fanno a botte per lui e conoscendolo, nemmeno dopo sette anni avrebbe il coraggio di portarsele in Hotel. Sei una ragazza speciale per lui-
-Non più- sussurrai coprendomi il viso.
-Lo sei ancora- mi rassicurò lei tirando il freno a mano.
La mia villa si estese imponente davanti ai miei occhi. Ora cosa dicevo ai miei genitori?
-Comunque io ho ventisette anni. Conosco Michael da quando eravamo bimbi di cinque e tre anni. Devi fidarti di me, lui ci tiene davvero a te- disse aiutandomi a sedermi nuovamente sulla sedia a rotelle.
Annuii. Forse ancora un po’ di speranza.
Robert fece il suo ingresso nella scena con i pugni chiusi. Ciao ciao speranza.
-Ciao Robert! Sono venuta per riportarti Moon. Mi prendo tutte le responsabilità possibili ed immaginabili. Sai, l’ho incontrata nella hall dell’Hotel e l’ho invitata nella mia suite, poi tra una chiacchera e l’altra l’ho convinta a rimanere con me per qualche notte ed eccoci qua. Io e Moon, su una sedia a rotelle. Ha avuto un malessere, cosa da niente. Si riprenderà subito.- inventò sicura Melanie.
Gli occhi di Robert erano spalancati. Sorpreso?
-La porto in casa io- aggiunse in fine lei.
Con una spinta superammo Robert ed entrammo nel giardino di casa.
-Ti accompagno dai tuoi genitori. Meglio non rischiare con quel tiranno nei paraggi- sussurrò divertita lei.
-Come fai a sapere tutte queste cose di me?- chiesi spaventata.
-Indovina- rispose. Michael.
-Moon! Dove eri finita?- sbraitò ansiosa mia madre.
-Signori Davis giusto? Io sono Melanie, Melanie Bennet. Perdonatemi, ho trattenuto vostra figlia in Hotel con me. E’ stata male, quindi ve l’ho riportata a casa. Tempo qualche giorno e splenderà come un fiore.- disse radiosa lei.
Sul viso di mia madre viveva un misto tra stupore e felicità.
-Perdonatemi ma io devo scappare. Ho un amico che mi aspetta per pranzare- mi strizzò l’occhio.
Mia madre annuì e fece un cenno con la mano.
-Ricordati che Michael ti vuole. Ora come non mai. Non sparire se no ti vengo a cercare io, e stai certa che ti trovo- mi sussurrò in preda ad un attacco di ridarella Melanie.
Sorrisi distrattamente. Michael mi voleva, ora ne ero certa.
L’affidabile seppur strana ragazza mora svanì nella sua Mercedes e fece un’azzardata inversione ad U imboccando la strada per il Golden Hotel.
Le mani di Robert si appoggiarono pesanti sui manici della sedia.
-Io e te facciamo i conti più tardi- chiusi gli occhi. Il viso di Michael mi apparve sorridente. Robert? Nemmeno la traccia, ne nella mia mente, ne nella mia vita.

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