I fell apart, but got back up again

di Evazick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Of Nightmares And Regrets ***
Capitolo 2: *** Of Memories And Girls ***
Capitolo 3: *** Of Boys And Stubbomness ***
Capitolo 4: *** Of Towers And Confidences ***
Capitolo 5: *** Of Plans And Fights ***
Capitolo 6: *** Of Errors And Suggestions ***
Capitolo 7: *** Of Betrayals And Deaths ***
Capitolo 8: *** Of Possibilities And Returns ***
Capitolo 9: *** Of Concerts And Reunions ***
Capitolo 10: *** Of Helps And Explanations ***
Capitolo 11: *** Of Awakenings And Falls ***
Capitolo 12: *** Of Hospitals And Escapes ***
Capitolo 13: *** Of Cars And Rescues ***
Capitolo 14: *** Of Prisoners And Choices ***
Capitolo 15: *** Of Walks And Captures ***
Capitolo 16: *** Of Telling-offs And Graves ***
Capitolo 17: *** Of Guns And Executions ***
Capitolo 18: *** Of Pain And Blood ***
Capitolo 19: *** Of Endings And Rains ***
Capitolo 20: *** Fairytales don't exist ***
Capitolo 21: *** Ringraziamenti (manco avessi scritto un libro o_O) ***



Capitolo 1
*** Of Nightmares And Regrets ***


Of Nightmares And Regrets

 

Corri, corri, non ti fermare, non ti fermare adesso…

È questo quello che sto pensando in questo esatto momento, anche se ormai non mi sento più le gambe e i miei polmoni stanno per scoppiare come due palloncini pieni d’elio. Non m’importa, devo continuare a correre, solo a correre, o sono fregata.

Dietro di me, nel lungo corridoio bianco, non sento passi di qualcuno che mi insegue, ma so benissimo che ci sono e che mi stanno raggiungendo. E se mi raggiungono posso considerarmi morta. Game Over, come nei videogiochi.

Ma questo non è un videogioco, non sto correndo dentro lo schermo di un computer e non ho nemmeno più vite a disposizione. Ne ho soltanto una, e non posso permettermi di sprecarla. Anche perché il Paradiso non è fatto certo per tipi come me.

Il mio respiro si fa più affannoso di secondo in secondo, e temo il momento in cui le forze mi abbandoneranno e cadrò sul lindo pavimento bianco per non rialzarmi più. Se soltanto questo corridoio finisse, se solo riuscissi a vedere qualcuno che possa darmi una mano…

I miei passi fanno un rumore terribile che riecheggia tra le pareti, e ho la pistola a raggi ben stretta in mano, pronta a sparare quando e se sarà necessario. Non sento nemmeno Evelyn che mi sprona ad andare avanti, chissà se è qui con me o se se ne è andata. E la cosa non mi piace per niente.

Forza, forza, non rinunciare adesso! continuo a ripetermi, iniziando a darmi mentalmente un ritmo per correre. Uno, due, uno, due, uno, due… un passo dietro l’altro, pronta a trovare la salvezza non appena ce ne sarà l’occasione. Ma qualcosa, in fondo alla mia testa, con una vocina che non voglio nemmeno ascoltare, dice: Non ce la farai mai, ti prenderanno e ti chiuderanno di nuovo in quella cella, e stavolta non ci sarà nessuno a salvarti…

“Stai zitta!” le urlo a voce alta, con la rabbia in ogni singola lettera. Stringo i denti e vado avanti, mentre lei continua a parlarmi. Perché? È la pura verità, lo sai benissimo anche da sola. Non ricordi? Non ti ricordi che Grace se ne è andata? Che i Killjoys ti hanno abbandonata? Che Joshua è seppellito in mezzo al deserto?

“Non… mentire!” le dico tra le lacrime che stanno iniziando a scorrere lungo le mie guance e che raggiungono il pavimento delicatamente, come gocce di pioggia. “Queste cose non sono mai successe, è solo un incubo, un maledetto incubo!”
Ah, davvero? dice la bastarda, divertita. Riesco a sentire il sorriso nella sua voce, il sorriso di qualcuno che sa di avere ragione e non vede l’ora di dimostrartelo. E allora perché non riesci a svegliarti?

Mi rifiuto di darle ascolto e non rallento il rimo, anche se tra poco dovrò dare la partita per persa: sono allo stremo delle forze, le gambe vanno avanti grazie all’inerzia e i miei polmoni hanno quasi smesso di funzionare. Mi do un pizzicotto nell’incavo del braccio, pregando di svegliarmi.

Ma non succede nulla.

Sto continuando a correre lungo il corridoio.

Adesso mi credi?

“Stai zitta, immenso pezzo di merda,” le sibilo con la poca voce che mi è rimasta. “Se questa è la realtà, allora scordati pure che io mi arrenda! Troverò la fine di questo maledetto corridoio e a quel punto uscirò da qui una volta per tutte!”

Le ultime parole famose.

Non faccio nemmeno in tempo a chiederle che sta dicendo: inciampo nel corridoio e cado a terra con un botto. Gemo di dolore e mi alzo sulle braccia per tornare in piedi, ma loro non riescono a reggermi e crollo di nuovo sul pavimento. Stanno per arrivare! Alzati, forza! mi dico, ma non ce la faccio: le gambe non chiedono altro che un po’ di riposo, e nei polmoni non c’è più aria. Tento di rialzarmi un’altra volta, ma è tutto inutile. Non può finire così, non… può… penso mentre continuo a cercare di tornare in piedi. Una, due, dieci volte: inutile, il mio corpo non riesce più a reggere il mio peso.

Sento che sono arrivati dietro di me, che mi hanno raggiunto, ma le cose non vanno come mi aspetto. Non sono due mani quelle che mi toccano i bracci e mi lasciano nel più totale stupore.

Sono aghi di siringa.

Inizio ad ansimare, ma sono totalmente indifesa quando iniziano a entrarmi nella pelle e a infilarsi nelle mie vene, assetate del mio sangue. Cerco di scacciarne via un paio, ma la mia debolezza è tale che non riesco nemmeno a centrarle, anche se sono davanti ai miei occhi.

Apro la bocca e inizio a urlare per il dolore. Non passa molto che due mani mi prendono per le spalle e mi scuotono forte, mentre una voce lontana mi chiama: “Eve! Piantala di urlare! Svegliati!”

Non riesco nemmeno a rispondergli per il dolore, ma a quel punto uno strattone più forte di tutti mi solleva da terra…

 

… e mi ritrovai nel mio letto, seduta e con due mani forti che mi tenevano le spalle. La prima cosa che feci dopo aver aperto gli occhi fu prendere un respiro profondo e tornare a respirare normalmente. Una mano mi spostò una ciocca di capelli sudati dalla faccia e me la mise dietro l’orecchio. “Eve? Tutto okay?”

Alzai lo sguardo davanti a me: alla luce della sua torcia elettrica, Joshua mi guardava estremamente preoccupato, con gli occhi grigi spalancati. Feci un ultimo respiro profondo e annuii, continuando a tremare, anche se il mio corpo era caldo come se fossi stata a lungo sotto il sole. Lui mi toccò la fronte con il dorso della mano e fece una smorfia. “La febbre sta calando, ma non è ancora passata del tutto,” mormorò. Afferrò un panno bagnato che era sul letto e me lo passò sulla fronte e sulle braccia. “Va meglio, adesso?” mi chiese dopo un po’. Annuii di nuovo mentre tornavo a respirare normalmente.

Joshua mi afferrò il braccio destro e ci passò delicatamente sopra il panno. Il suo sguardo si soffermò un attimo sulle cicatrici sulla mia pelle e vidi i suoi occhi intristirsi: mi liberai in fretta dalla sua presa e nascosi il braccio sotto le coperte. Come se servisse a qualcosa. “Ho fatto tanto casino?” chiesi per cambiare discorso.

“Abbastanza. Hai quasi svegliato Amy e Taylor, di là, e ho fatto tornare Grace nel suo letto non appena l’ho vista sulla soglia. Meno male ero a dormire qui con te, sennò svegliavi tutto il Diner!”

“Che cattiva ragazza che sono,” dissi con un sorriso e la voce rauca per la febbre e le mie urla. Showpony tornò improvvisamente serio e disse: “Era sempre lo stesso incubo, vero?”

“Sempre lo stesso,” confermai in un sussurro mentre mi massaggiavo lentamente uno dei due bracci. Mi misi la testa tra le mani e alzai lo sguardo verso il ragazzo. “Joshua, i-io… io non ce la faccio più. Non ce la faccio più a svegliarmi tutte le notti mentre urlo e cerco di scappare, non ce la faccio più a rivivere cosa ho passato… lì dentro, e… quella voce. So che sembra ridicolo, ma mi fa paura.”

“Paura?” chiese lui sorpreso.

Annuii. “Non ho la minima idea a chi appartenga. Non è Simon, o Evelyn, o Korse. È come quando ho una parola sulla punta della lingua, so chi è ma il nome mi sfugge. E non posso più sopportarlo!”

“Shh, fai piano o stavolta svegli tutti sul serio!” mi disse Joshua. Abbassò lo sguardo e continuò: “Se soltanto mi fossi reso conto di cosa ti stava succedendo avrei fatto qualcosa per fermarli, avrei potuto evitarti tutto questo…”

“Ehi.” Alzò lo sguardo verso di me, stupito di avermi sentita parlare con tanta autorità. Lo fissai seria con i miei occhi castani e gli presi la faccia tra le mani per fare in modo che il suo sguardo non mi sfuggisse in alcun modo. “Adesso piantala. Okay? È inutile che continui ad essere triste in questo modo. Non ti ho mai dato la colpa per quello che mi è successo, e mai te la darò. Non eri te stesso, anche se non te lo ricordi: ero lì, ti vedevo, era come se qualcuno avesse preso il tuo posto. Quindi smettila una buona volta di piagnucolare in questo modo o giuro che ti rispedisco alla Better Living a calci in culo. Chiaro?”

Lui, per tutta risposta, mi fissò un’ultima volta e poi portò di nuovo la mano alla mia fronte e fece un gemito preoccupato. “Uhm… mi sembra che la febbre stia salendo di nuovo. Sei sicura che non stai delirando?”

“Allora mi prendi in giro!” Afferrai il cuscino dietro di me e glielo scaraventai in pieno petto, togliendogli il respiro. Continuai a tempestarlo di colpi tra le nostre risate finchè lui non disse: “Pietà, pietà! Smettila, mi arrendo!” Rimisi il cuscino dietro di me e fissai il ragazzo con un sorriso. Joshua mi fece sdraiare di nuovo, mi rimboccò le coperte, si sistemò su una sedia lì vicino e poi mi chiese: “Vuoi che dorma insieme a te?”

“In questo lettino minuscolo?” Feci una pausa, poi sospirai. “Se proprio vuoi.”

“Guarda che sto rischiando il contagio facendo una cosa del genere,” disse mentre si infilava sotto le coperte e sistemava al mio fianco.

“Magari. Almeno la smetteresti di sparare una stronzata dietro l’altra.”

“Idiota,” mormorò dandomi un pugno leggero sulla spalla. Feci una risatina e poi mi addormentai di nuovo, con lo sguardo del ragazzo fisso sopra di me.

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Capitolo 2
*** Of Memories And Girls ***


Of Memories And Girls

 

“Joshua…?”

Ancora ad occhi chiusi, tastai la parte di letto accanto a me, vuota. Al posto del corpo caldo di Joshua trovai qualcosa di scricchiolante, che strinsi nel mio pugno chiuso e portai vicino a me. Aprii leggermente gli occhi e aprii il biglietto con l’altra mano. Il messaggio era breve, schematico come un telegramma, e dentro, in una calligrafia storta che conoscevo bene, c’era scritto: Andato dal Dr. D per commissioni urgenti. Non ho voluto svegliarti, mi sembra che la febbre sia sparita del tutto. Ci vediamo dopo. J.

Chiusi il biglietto con un sorriso e mi misi a sedere sul letto, stirandomi le braccia in alto. Mi portai una mano alla fronte e la sentii di nuovo fresca, dopo tre giorni di febbre. Con un balzo saltai giù dal letto e iniziai a vestirmi, mentre ascoltavo i rumori nel vecchio Diner: sentivo due corpi che si muovevano nei letti della stanza accanto, e al piano di sotto qualcuno si stava sedendo a uno dei tavoli. Dici che oggi succederà qualcosa? chiesi ad Evelyn, la mia fedele vocina interiore.

La sentii esitare prima di dire: Bè, ecco…

Sospirai stancamente e commentai dentro di me: “Non dirmelo, anche oggi vedremo in scena la gelosia di Joshua.” Lei non mi rispose, ma immaginai che la risposta fosse un sì.

Quando fui pronta uscii dalla stanza e diedi un’occhiata nell’altra camera: Amy e Taylor stavano ancora dormendo, imbacuccate nelle coperte dei loro letti mentre il sole del primo mattino faceva capolino dalla finestra. Mi allontanai in silenzio chiudendo la porta alle mie spalle e scesi al piano di sotto.

Erano passati sei mesi da quando la neve era caduta nel deserto, e non avevo mentito quando avevo detto a Gee e agli altri che a Battery City stava succedendo qualcosa: nemmeno due mesi dopo io, Joshua e Grace eravamo stati raggiunti da un sacco di ragazzi e ragazze. Ribelli, come noi.

Avevano tutti più o meno la nostra età, e in breve tempo si erano adattati alla nostra strana vita: si erano sparsi in gruppi nel deserto, formando una rete di informazioni così efficiente che anche il Dr. Death Defying ne era rimasto sorpreso. Eravamo ventitré, ventiquattro compreso il Dj. Ogni tanto capitava che qualcuno di loro rimanesse una notte o due al Diner perché aveva bisogno di riposarsi in un letto vero, o perché era ferito, ma le uniche due che rimanevano sempre con noi nel vecchio edificio erano Amy e Taylor.

E poi…

Bè, poi c’era Gavin.

Scesi le scale e sbucai nel salone del piano inferiore: Grace era seduta a uno dei tavoli con la Boom Box accesa a tutto volume, e quando mi vide mi sorrise. “Joshua è andato dal Dr. D, ha detto che tornava tra un po’,” mi informò.

“Sì, me l’ha detto,” le risposi, prendendo una scatola di latta bianca della Better Living e aprendola sul piano del bancone.

Gavin era… non so, era un tizio strano. Voglio dire, molto più di me o Showpony. Era arrivato due mesi dopo gli altri ragazzi, e sembrava sbucato fuori dal nulla. Aveva anche lui quindici anni, due occhi azzurri come il ghiaccio e corti capelli biondi che risplendevano al sole. A Joshua non era mai stato simpatico quel ‘damerino’, come lo chiamava di nascosto quando eravamo noi due da soli, e di sicuro la sua simpatia nei suoi confronti non era aumentata quando il Dr. D gli aveva annunciato che Gavin gli avrebbe dato una mano nel portare le informazioni in giro. Lui si era accanito duramente e girava voce che avesse anche litigato con il Dj, ma l’unica cosa che era riuscito a ottenere era il fatto che solo lui potesse indossare i pattini e la sua divisa bianca e azzurra. Era stato incredibilmente infantile (e forse geloso), ma almeno non aveva attaccato con la sua storia sulla spia della Better Living, una delle parti migliori del suo repertorio.

Io non avevo nulla né a favore né contro Gavin: era un Killjoy, uno di noi, e lo accettavo con tutti i suoi pregi e difetti, anche se ci provava sempre con me nonostante sapesse che stavo con Showpony, ed era stato l’unico a non scegliersi un soprannome (cosa che mi era sembrata stranissima).

Chiacchierai con Grace qualche minuto prima di andare dietro il bancone e cercare tra le centinaia di sportelli che aveva un paio di munizioni per la mia pistola a raggi. Dopo poco la porta si aprì e la voce familiare di Joshua disse qualcosa alla bambina. Sbucai fuori da dietro il bancone e sorrisi. “Novità?”

“Meglio, Eve. Belle notizie.” Si avvicinò pattinando al bancone e vi posò sopra la cartellina rossa che teneva in mano. “Bubble Tower mi ha finalmente dato il suo rapporto.”

“Alleluia! Quando pensava di darcelo, tra qualche anno?” dissi ironica. Bubble Tower era uno degli informatori più bravi che avessi mai visto: era capace di passare tutto il giorno ad ascoltare le trasmissioni della Better Living per trovare una sola informazione e, quando te la dava, potevi star sicura che non si stava sbagliando. Bè, se si ricordava di dartela.

Showpony si levò il casco, appoggiandolo sul piano del bancone, e sbuffò: “Non capisco: come fa uno a scegliersi come soprannome ‘Torre di Bolle’?”

“Non saprei. Come fa uno a usare come soprannome ‘Cavallino da Spettacolo’?” Una voce familiare, accompagnata dalla risata di una bambina, si fece sentire dalle scale. Mi misi a ridere e il ragazzo esibì un sorrisetto.

“Ah, ah, ah. Molto divertente, Amy,” disse sarcastico alla ragazza mentre lei passava dalla porta dietro il bancone con una mano attaccata al muro. Nella mano libera aveva quella di Taylor, che, non appena fu sicura che la sorella avrebbe potuto raggiungere una sedia da sola o col nostro aiuto, raggiunge Grace, le sussurrò qualcosa nell’orecchio e scappò insieme a lei fuori, sicuramente verso il garage o lo spazio dietro il Diner. Joshua prese la mano di Amy e la guidò verso il tavolo più vicino, aiutandola a sedersi su una delle panche.

Amy e Taylor erano le uniche ragazze con un rapporto di parentela tra tutti i Killjoys: erano due sorelle, rispettivamente di sedici e nove anni. Ci avevano raggiunto insieme alla maggioranza degli altri ragazzi e, di fronte al problema della maggiore, mi ero dimostrata un po’ riluttante a mandarle nel deserto da sole, ma lei mi aveva sorriso e aveva detto: “Non ti preoccupare, non muoio dalla voglia di correre tra la sabbia con il sole che mi brucia la schiena. Posso fare qualcos’altro, qualunque altra cosa, pur di non tornare a Battery City.”

I loro genitori erano morti circa una settimana prima, uccisi per ordine di Korse, e le due avevano aspettato a lungo prima di poter finalmente uscire dalla città. Se Taylor era una delle persone più normali di questo mondo, non si poteva dire lo stesso di Amy: quando aveva undici anni era stata sottoposta a un’operazione dalla Better Living per poterle estrarre gli occhi delle schegge di vetro che erano entrate lì dentro in seguito alla caduta di uno specchio. Durante l’operazione, però, qualcosa era andato decisamente storto, e lei si era ritrovata completamente cieca, persa nel buio per il resto della sua vita. Le piaceva dire, in tono amaro, che era strano che fosse stata proprio la B.L.ind. a renderla cieca.

“Non è colpa mia se hai così tanto cattivo gusto, Joshua,” controbatté la ragazza con un sorriso mentre io appoggiavo i gomiti al piano del bancone. Il ragazzo riprese il casco e fece per uscire, ma in quel momento fuori dalla porta a vetri fecero capolino delle ciocche di capelli biondi e una figura che correva per entrare dentro. Il sorriso scomparve dal viso di Showpony, che assunse la sua espressione dura e incazzata. Mi presi la testa fra le mani e mormorai, disperata: “Oh, no…”

Adesso inizia il divertimento… disse Evelyn in risposta, divertita.

*
Well, are you ready, Ray?
Yeah!
How about you, Frank?
Oh, I'm there, baby!
How about you, Mikey?
Fuckin' ready!
Well, I think I'm allright.
ONE, TWO, THREE, FOUR!
E ascoltando Vampire Money, Sunshines, vi ricordo che da domani manca un mese al nostro Best Day Ever. UN SOLO FOTTUTISSIMO MESE. 28 giorni. E il 21 marzo esce il nuovo singolo, Planeatary (Go!), e così sapremo finalmente che fine hanno fatto i quattro idioti Killjoys. In teoria Planetary è abbastanza 'felice' come canzone, quindi non dovrebbe succedere qualcosa di particolarmente brutto nel video... o sì? D:
5 recensioni per il primo capitolo: mi considero fiera di me stessa. ^_^ (E scusatemi per il capitolo corto)
Lady Numb: oddio, scusa se ti ho fatto venire un infarto subito all'inizio della storia XD (E mi scuso con Joshua per averlo ucciso nei primi paragrafi XD) Hai ragione, Joshua e Eve sono così maledettamente teneri e carini e coccolosi *o* *sparge amore e petali di fiore* (A proposito: allora ci sei il 7 marzo?)
alessiafavaron: grazie mille per i complimenti, sono contenta che ti siano piaciute le storie di Eve ^_^ Tranquilla, la curiosità non è mai troppa, probabilmente avrei fatto anch'io la stessa cosa al tuo posto :D
Kumiko_Chan_: un minimo di turbamento? Probabilmente io passerei le notti sveglia con gli incubi in continuazione D: Non mi chiedere la canzone di questa fanfiction perchè non ne ho la più pallida idea, e Alibi non ha un significato particolare: mi serviva disperatamente un titolo decente, ho pensato a questa canzone e pensavo che questa frase rappresentasse particolarmente il carattere di Eve ("urlandomi nelle orecchie che lui 'got back up again' dopo che 'fell apart'" Tipo che sono morta dalle risate? XD) Fai pure la fangirl per Simon, tanto ormai è morto e sepolto da tre fanfiction. Per fortuna tra un mese ci vediamo e riuscirò finalmente a farti cambiare idea ù.ù
Maricuz_M: okay. Tu ti meriti infinitamente la mia stima. Sei riuscita a leggere in soli due giorni una serie di quattro storie, per un totale di 46 capitoli, questo escluso. Davvero, io non so se sarei riuscita a fare una cosa del genere. Benvenuta a bordo di questa scassata ciurma! (E grazie mille per i complimenti alla storia!)
Angel_made_from_neon: una valanga di casini come al solito, sono famosa per le cose complicate ù.ù
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-29 al The Best Day Ever (AAAAAAAAAHHHHHH!!! *impazzisce*)

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Capitolo 3
*** Of Boys And Stubbomness ***


Of Boys And Stubbomness

 

“Ehilà!”

Gavin ci salutò tutti calorosamente non appena entrò dentro il Diner, e io mi levai la testa dalle mani. Lui non degnò neppure di uno sguardo Joshua, che ribolliva di rabbia davanti al bancone, e si diresse subito verso Amy. “Buongiorno, principessa,” le disse.

“Piantala, Gavin,” lo zittì lei guardando fisso davanti a sè. Non sapevo cosa ne pensasse di lui, ma di sicuro quel ragazzo non la convinceva, nonostante cercasse di scherzare con lei, si dimostrasse gentile nei suoi confronti e la aiutasse a muoversi quando poteva. Sicuramente il biondo non aveva lo stesso atteggiamento nei confronti di Showpony: sapeva che lui lo odiava, e lo stuzzicava in continuazione per farlo scoppiare. Sapeva anche che stava giocando con il fuoco, ma questo rendeva la cosa ancora più divertente. Io ero stranamente neutrale in quella faccenda, e aspettavo che uno dei due ragazzi si stancasse per primo di fare il bambino.

Gavin si girò verso di me e sorrise luminoso. “Eve! Mi avevano detto che stavi male!” esclamò, lanciando poi un’occhiataccia all’altro ragazzo, come per dirgli Adesso menti pure su come sta la tua ragazza?

“Ehm... la febbre mi è passata stamattina,” gli dissi a disagio, osservando Joshua con la coda dell’occhio: era vicino a scoppiare, bastava soltanto una parola in più e la situazione sarebbe degenerata. Dovevo trovare un modo di calmare gli animi, e dovevo trovarlo subito.

“Davvero? Allora dobbiamo festeggiare!” esclamò il biondo con enfasi. Sempre più a disagio, chiesi disperata a Evelyn dentro di me: “E adesso che faccio?”

Ignoralo. Oppure accontentalo.

“Vorrei usare un metodo che non implichi l’esplosione della bomba-Joshua,” le dissi come se fosse ovvio.

Bè, io non lavoro a un’agenzia matrimoniale e di sicuro non sono laureata in Tecniche di Conquista e Teoria dei Ragazzi. Te la devi cavare da sola.

“Cosa? Andiamo, avevi ventiquattro anni quando sei morta! Mi stai dicendo che non hai nemmeno un briciolo di esperienza?”

Sai com’è, non è che tutti i ragazzi di Battery City mi corressero dietro.

“Sì, bè, la stessa cosa era per me a Manhattan. E comunque…”

I miei pensieri vennero improvvisamente interrotti da Gavin: allungò una mano verso di me e afferrò una delle mie nella sua. Evelyn e io ci zittimmo improvvisamente, scioccate da quel singolo e audace gesto. “C’è qualcosa che ti fa preoccupare? Ti eri incantata a fissare il vuoto,” mormorò lui, come se fosse seriamente preoccupato per me.

Inutile dire che il rossore mi raggiunse finalmente le guance e mi ritrovai a balbettare “N-No, tranquillo, va tutto bene…” mentre pensavo Cazzo, sei tu il mio problema, insieme a quel decerebrato col casco che sta per scoppiare qui accanto a me!

In quell’istante, come se avesse sentito i miei pensieri, una terza mano staccò la mia da quella di Gavin. Fissai ansiosa il volto del suo proprietario: gli occhi grigi di Joshua stavano tendendo pericolosamente al nero, e la rabbia che provava si vedeva in ogni singolo muscolo del suo viso. La sua espressione diceva tutto, senza bisogno di parole, e l’altro ragazzo allontanò lentamente la sua mano dalla mia. Si voltò verso Showpony e fece un sorriso che somigliava più a un ghigno. “Cos’è, hai paura che ti freghi la ragazza?”

Non appena sentii quelle parole, diventai ancora più bianca del solito.

Oddiosanto, ora si picchiano, ora si picchiano… pensai dentro di me mentre mi mettevo di nuovo la testa fra le mani, appoggiando i gomiti sul piano del bancone. Joshua sarebbe stato capace di saltare addosso a Gavin e di sfarlo di botte su quel pavimento, magari rompendogli anche qualcosa. Dio, non volevo nemmeno pensare a quello che sarebbe potuto succedere. In quel momento invidiai addirittura Amy, che non avrebbe potuto vedere la scena che sarebbe accaduta, ma poi scacciai quel pensiero idiota, aspettando di sentire il tonfo dei due corpi che cadevano per terra e iniziavano a pestarsi a sangue.

Incredibilmente, però, il ragazzo coi capelli blu rimase fermo dove era e si limitò a continuare a fissare l’altro con odio e rabbia. Il biondo fece un’ultima smorfia, poi si voltò di nuovo verso di me. “Ci vediamo più tardi, Eve,” mi disse con calore, come se davanti a sé non avesse il suo potenziale assassino.

“Ehm… okay,” gli risposi timidamente. Lui mi sorrise e, di nuovo, non degnò Joshua di un’occhiata mentre usciva e se ne tornava da dove era venuto.

Il silenzio cadde nel Diner pesantemente: Amy si era voltata lentamente verso di noi, fissando un punto imprecisato in lontananza, e io tenevo lo sguardo puntato su Showpony, che guardava davanti a sé con i pugni stretti. “Ci vediamo più tardi, Eve,” disse all’improvviso, facendo il verso al ragazzo che era appena uscito. Spostò il suo sguardo verso il deserto fuori dalla porta. “Damerino del cazzo,” mormorò, girandosi poi verso di me. “Mi raccomando, dagli corda. Forse il suo ego non è ancora grande abbastanza.”

“Cosa dovrei dirgli, scusa? ‘Vattene perché hai una bomba atomica che rischia di esplodere accanto a te?’”

“Potresti almeno evitare di far finta che non te ne importi di cosa fa.”

“Io cosa? Sto cercando di ignorarlo, sul serio!” Feci una pausa e rivolsi un sorriso malizioso al ragazzo. “Sei geloso, per caso?”

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Joshua afferrò con rabbia il casco, ancora sul bancone, se lo infilò senza nemmeno aspettare di essere uscito e se ne uscì sulla strada nel deserto, iniziando poi a pattinare in una direzione imprecisata. Lo seguii stupita con lo sguardo mentre si allontanava. “Stavo solo scherzando…” mormorai alla cartellina col rapporto di Bubble Tower come se dovessi giustificarmi.

“Meno male che la bomba-Joshua non doveva scoppiare, eh?” mi disse Amy ironica mentre la raggiungevo al tavolo e mi sedevo davanti a lei. Per una volta, i suoi occhi verdi incontrarono i miei, e mi ritrovai a fissarli intensamente: aveva degli occhi bellissimi, verdi come uno smeraldo, ma erano opachi a causa dell’operazione, come se avessero un velo davanti.

“Lo so. Sono un’idiota patentata, senza nemmeno un errore all’esame per averla,” commentai laconica mentre mi nascondevo il viso tra le mani. L’altra ragazza rise e, a tentoni, raggiunse con le mani il mio braccio destro, lo riportò sul piano del tavolo e prese la mia mano tra le sue. “Sai com’è fatto.”

“Male. Come vuoi che sia fatto?”

Lei mi lanciò un’occhiataccia. Insomma, l’espressione del suo viso era quella, ma si stava rivolgendo leggermente alla mia sinistra. Passato qualche attimo di silenzio, continuò: “Facciamo un gioco: tu mi dici un difetto di Joshua e io un pregio. Okay?”

La guardai stranita: non capisco a cosa sarebbe potuto servire, ma scrollai le spalle e decisi di accontentarla. “Va bene. È testardo.”

“Farebbe qualunque cosa per proteggerti.”

“Si caccia di continuo nei guai.”

“È disponibile.”

“È permaloso.”

“Sa come farti stare bene.”

“Sa anche come farmi stare male.”

“Non sarebbe capace di tradire qualcuno.”

“È geloso.”

“Ti ama.”

Fissai Amy in modo strano e mi lasciai scappare una risatina. “Questo sarebbe un pregio?”

“Per te sicuramente. Non sarebbe peggio se ti odiasse costantemente come fa con Gavin?”

Grazie, ho già provato l’esperienza e non ho alcuna voglia di ripeterla, pensai. “A proposito… tu che ne pensi? Di Gavin, voglio dire.”

Girò la testa verso la finestra. “Non so. Non l’ho mai visto in faccia, ma qualcosa di lui non mi convince. È troppo gentile, troppo accondiscendente, troppo…” Fece una pausa, cercando un aggettivo adatto per descrivere cosa voleva dire. Mosse la mano libera nell’aria come se questo potesse aiutarla, e infine disse: “… perfetto. Sì, penso che ‘perfetto’ sia la parola adatta.”

“Perfetto?” ripetei, confusa. “Hai mai sentito l’atmosfera che c’è quando lui e Joshua sono insieme nella stessa stanza? Sembra che qui dentro si scateni una tempesta elettromagnetica.”

“Hanno tutti e due uno spirito da leader, e Gavin sta cercando di prendere il posto di Joshua.” Mi accarezzò la mano. “Non ti preoccupare, non succederà nulla di grave. Riusciranno a trovare un accordo, ne sono sicura.”

Io un po’ meno, pensai, ma non dissi niente alla ragazza: mi limitai a farle un sorriso che non avrebbe mai potuto vedere.

Passammo qualche minuto immobili e in perfetto silenzio, rotto solo dalle voci e dalle risate di Grace e Taylor nel deserto. Improvvisamente levai la mia mano dalla presa di Amy e mi alzai in piedi. “Dove stai andando?” mi chiese lei, seguendo con la testa i miei passi.

“Vado a trovare Bubble Tower. Chissà, forse ha qualche informazione per me.”

Lei annuì. Salii al piano di sopra a prendere la mia pistola a raggi arancione e, quando tornai di sotto e feci per andarmene, le dissi: “Se succede qualcosa o hai bisogno di aiuto, chiama Grace o Taylor. In teoria dovrebbero sentirti.”

“Va bene.” Feci per uscire, ma la sua voce mi interruppe di nuovo. “Eve…”

“Sì?”

“Non ti preoccupare troppo per Joshua e Gavin.”

Feci una risatina nervosa. “Non sono assolutamente preoccupata per quei due idioti.”

Lei rimasi seria, senza accennare un sorriso o una risata, per niente convinta dalla mia falsa disinvoltura. “Non fare finta di niente, sappiamo benissimo tutt’e due che stai andando da Bubble Tower solo per sfogarti. Non è vero?”

Colpita nel segno, presi un respiro profondo e spalancai la porta. “A dopo, Amy,” la salutai un’ultima volta prima di lasciarla da sola dentro il Diner.

*
Hallo, Sunshines! Visto che sono qui, faccio un pò di pubblicità a una fanfiction sui Killjoys che si trova qui su EFP che merita veramente di essere letta: è Make a wish when your childhood dies di LondonRiver16. E' una Frerard, ma è anche molto di più. Non voglio dirvi nient'altro, ma passate a dare un'occhiata e non ve ne pentirete.
E con questo... RECENSIONI-TIME!
Lady Numb: eh sì, Gavin non è proprio una persona, come si dice dalle mie parti, 'ammodino'... nemmeno io posso sopportarlo, figuriamoci -.-' E diciamo anche che i tuoi film mentali, sì, sono da Oscar, ma mai quanto i miei XD Il discorso su Bubble Tower è una cosa del tipo 'Sceglietevi un nome da Killjoy, ma fate in modo che non sembri una stronzata cavolata, volevo dire cavolata -.-'
Maricuz_M: grazie ancora per i complimenti, caVa ù.ù E' vero, Joshua ha una personalità strana e imprevedibile, e non si potrà mai sapere quello che farà. Ti ringrazio anche per "I personaggi sono così elaborati", non me lo aveva ancora detto nessuno!
Angel_made_from_neon: okay, d'ora in poi ti chiamerò Capitan Ovvio XD Joshua è il tizio che dovrebbe criticare di meno, visto il soprannome idiota che si è scelto. Insomma, 'Cavallino da Spettacolo'. Eve ha molto più buon gusto ù.ù
_Music_6277: sono contenta che tu legga tutti i capitoli anche se non recensisci, continua così ^_^ Eve e Joshua, ribadisco ancora, sono una perfetta coppia (di idioti) e Gavin... bè, si vedrà XD
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-27 al The Best Day Ever

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Capitolo 4
*** Of Towers And Confidences ***


Of Towers And Confidences

 

Che dirvi? Amy aveva perfettamente ragione, non stavo andando da Bubble Tower per delle semplici informazioni. Il mio vero e unico confidente, quello a cui potevo dire qualunque cosa senza che il nostro rapporto si rovinasse, era Frank: ma lui non era lì in California, e non ci sarebbe mai più tornato. Tanto valeva trovargli un valido sostituto, e io lo avevo trovato: Bubble Tower, o più semplicemente Thomas.

Camminai sul ciglio della strada, sotto il sole, con la pistola a raggi che rimbalzava nel fodero della cintura. Davo un calcio a tutti i sassi che trovavo, infastidita e arrabbiata perché Amy aveva scoperto il vero motivo per cui stavo andando a trovare l’altro Killjoy. Iniziai a pensare cose poco carine nei suoi confronti, e a un certo punto diventarono talmente pesanti che mi dovetti fermare, riordinare i miei pensieri e poi riprendere a camminare, spaventata da quell’attimo di rabbia furiosa che si era impossessato di me.

Thomas stava solitamente in pieno deserto, a circa cinque chilometri dal Diner, nel bel mezzo della Zona 6, una delle più tranquille: e lui aveva bisogno di tranquillità per lavorare con la sua scassata radio e le sue apparecchiature gracchianti per cercare di ricevere più informazioni possibili da Battery City. Quando abbandonai la strada per inoltrarmi tra le sabbie, mi ci vollero dieci minuti prima di vederlo: era chino su una specie di vecchia valigia di plastica e ferro e borbottava qualcosa tra sé e sé. Sorrisi malefica e mi avvicinai a lui in punta di piedi: volevo vedere se i suoi riflessi erano ancora buoni come un paio di mesi prima. Camminai silenziosa e in punta di piedi, e quando gli arrivai alle spalle mi preparai a saltargli addosso…

… ma qualche secondo dopo mi ritrovai distesa per terra con il sole negli occhi e il naso che gemeva di dolore. Mi portai una mano al viso, concentrata a non urlare come un’indemoniata. Ohcazzomiserialadra, che MALE!!

“Oh mio Dio, Venom!” Qualcuno mi si avvicinò velocemente e, con uno strattone, cercò di riportarmi in piedi, ma io lo bloccai con un urletto isterico e liberando la mia mano dalla sua. Lui continuò: “Non avevo visto che eri tu, midispiacemidispiacemidispiace!”

“È tutto okay, Bubble Tower, faccio da sola…” gli risposi con un filo di voce mentre mi alzavo in piedi lentamente. Quando il mio naso smise di pulsare come il mio cuore, vi levai la mano davanti e alzai lo sguardo, incontrando quello di Thomas: era alto quasi un metro e novanta, e mi fissava preoccupato con due occhi blu tendenti al viola. “Ehm, Venom? Ti ho rotto qualcosa?” mi chiese.

Mi toccai il naso lievemente. “No, nulla di rotto. È ancora intero.”

Si portò una mano al petto e sospirò di sollievo. “Santo cielo, meno male. Ho passato l’ultimo periodo ad allenare i miei riflessi, e quando ho sentito qualcuno alle mie spalle pensavo fosse un Draculoide di ronda e volevo difendermi…”

Lasciai che continuasse la sua spiegazione, intramezzata da diversi e continui ‘Venom, ma stai bene?’. Amy, Gavin e Taylor erano gli unici ‘nuovi’ che conoscevano i veri nomi di me e Showpony, mentre invece io e lui conoscevamo quelli di tutti gli altri Killjoys. Non che ci chiamassimo coi nostri nomi originali: usavamo sempre i nostri soprannomi, sia per precauzione che per gentilezza. Avevo imparato che ognuno di noi, cambiando nome, voleva dimenticare cosa era stato e cosa gli era successo, morire dentro di sé per poi rinascere dalle sue stesse ceneri come una fenice. Di alcuni dei nuovi ragazzi non riuscii mai a scoprire molto del loro passato, o perché lo tenevano nascosto bene o perché volevano dimenticarselo del tutto.

Cosa che volevo anch’io, ovviamente.

Volevo scordarmi di Eve Blackshadow, di quello che era successo alla sua vita e alla sua famiglia, del dolore che aveva provato prima di venire risucchiata da un poster della Black Parade e iniziare una nuova vita.

Adesso volevo essere soltanto Lethal Bloody Venom.

“…Venom? Mi stai ascoltando?” La voce di Bubble Tower mi riportò alla realtà, e annuii velocemente. “Certo che ti sto ascoltando.”

“Sì? Mi sembravi un po’ lontana, persa tra i tuoi pensieri…”

Feci un cenno come per dire ‘Ti sarai sbagliato’, ma dentro di me maledii quel ragazzo: aveva sempre il bisogno di vedere che il suo interlocutore lo stesse ascoltando sul serio, e certe volte era davvero un rompiscatole. Ma era il mio unico confidente, e sopportavo anche i suoi difetti.

Thomas aveva diciotto anni, tre più di me e Joshua, ma aveva la nostra stessa età mentale, forse anche meno. Era uno dei tre ragazzi più grandi, ma non gli interessava minimamente diventare il leader di tutti i ribelli: lui stava bene lì, tra la sua radio e le apparecchiature elettroniche che a volte gli passava il Dr. D.

E poi… c’era quello che lui adorava chiamare Il Mio Piccolo Scandalo.

Me l’aveva confessato dopo qualche giorno che era arrivato al Diner. Mi sembrava che stesse un po’ troppo appiccicato a me, e avevo paura di cosa avrebbe potuto dire Joshua; così, un giorno, dopo aver finito di ridere a una sua battuta, ero tornata seria e, guardandolo in quei suoi strani occhi, gli avevo detto: “Tu sai, vero… che io e Showpony… bè… stiamo insieme, no?”

Mi aveva guardata confuso e aveva risposto: “Sì, ma… perché me lo chiedi?”

Ero arrossita alla velocità della luce e gli avevo detto: “Niente, pura curiosità,” per poi puntare il mio sguardo da un’altra parte. Lui era rimasto in silenzio qualche attimo, poi era scoppiato a ridere e aveva detto: “Hai paura che io ci stia provando con te, vero?”

Lo avevo guardato di nuovo. “No! C-Cioè, non come pensi tu…” avevo iniziato a balbettare, ma lui mi aveva messo un dito sulle labbra e aveva mormorato: “Tesoro, Showpony non deve in alcun modo preoccuparsi per te. Non sei decisamente il mio tipo, con tutto il rispetto. Piuttosto dovresti preoccuparti tu per il tuo fidanzato, rischio di portartelo via uno di questi giorni.”

Io l’avevo guardato sbalordita, per poi annuire e giurare che non l’avrei detto a nessuno.

Thomas non era affatto una checca: almeno, non nel vero senso della parola. Era palesemente effeminato, questo lo vedevano tutti, ma al momento giusto sapeva anche essere abbastanza virile: una volta l’avevo visto picchiarsi furiosamente con uno degli altri nuovi, un nanerottolo di tredici anni, e rischiare di ammazzarlo dalle botte. Sembrava che dentro di lui ci fossero una parte decisamente maschile e una decisamente femminile, che venivano fuori a turno a seconda dei momenti. A quanto pareva, quello era un giorno da ‘parte decisamente femminile’.

Bubble Tower mi fece strada fino a quell’ammasso di congegni elettronici su cui passava tutto il suo tempo: c’erano un paio di radioline arrugginite, una specie di stereo in condizioni migliori ma che gracchiava, e un paio di cuffie da Dj nere e azzurre. Nella valigia dove era chino prima c’era un apparecchio che non avevo mai capito bene a cosa servisse: dentro, nella parte inferiore della valigia, c’era una specie di consolle da radio piena di lucine che lampeggiavano in continuazione, e sulla parte superiore dei piccoli display che segnavano dei numeri rossi che cambiavano in continuazione. Una volta avevo chiesto al ragazzo a cosa servisse quella roba, ma la sua spiegazione era stata talmente complicata e piena di termini tecnici che l’avevo interrotto a metà e gli avevo detto, con un sorriso confuso, che mi fidavo del fatto che sapesse usarla.

Il ragazzo si sedette per terra vicino alla valigia, seguito dalla sottoscritta, e ripiegò una vecchia cartina di Battery City che stava per sgretolarsi da tanto era stata usata. Prese un elastico di stoffa lì vicino e si legò i capelli castani tendenti al biondo cenere, lunghi fino alle spalle. Mi chiedevo spesso come facesse a tenerli così lunghi con quel caldo: io riuscivo a sudare perfino con i miei capelli corti! Era uno dei tanti misteri di Thomas, uno di quelli che mi promettevo in continuazione di svelare.

“Allora, che ci fai qui? Non ti è arrivato il mio rapporto?” mi chiese mentre finiva di legarsi i capelli in una coda di cavallo.

“Sì, me lo ha portato stamattina Showpony. È solo che…” Cercai una scusa plausibile. “… volevo sapere se avevi scoperto qualcos’altro.”

“In così poche ore?” Scoppiò a ridere. “Sono contento che tu ti fidi così tanto di me, ma non trovo nuove informazioni ogni secondo che passa. E per mettere insieme quelle che hai appena ricevuto mi ci sono volute quasi cinque settimane.” Mi guardò serio. “Che problema hai?”

“Nessun problema, va tutto bene,” mi affrettai a rispondere.

“Lethal Bloody Venom…” iniziò. Non appena sentii il mio soprannome completo capii che la mia scusa non lo aveva convinto per niente, proprio come era successo con Amy. “Tu non vieni da me quando non hai ‘nessun problema’, e di certo non ti spingi così lontana dal Diner da sola soltanto per fare quattro chiacchiere.”

“Non posso venire a trovare un vecchio amico?” dissi, giocando la mia ultima carta delle scuse.

“Oh, certo. Mi sembra proprio il momento adatto per venirmi a trovare, con i Draculoidi che ormai ci stanno col fiato sul collo e un attacco alla Better Living pronto a essere messo in atto da un momento all’altro,” mi ripose sarcastico, togliendosi una ciocca ribelle dagli occhi. Mi guardò serio. “Si tratta di Showpony e Gavin, giusto?”

Sbuffai. “Perché riuscite tutti a capirlo al volo?”

“Perché è l’unica cosa di cui ti preoccupi nell’ultimo periodo.”

Rimasi un attimo in silenzio, poi dissi: “Tu cosa ne pensi di Gavin?”

“Di Gavin?” ripetè mentre tirava fuori dal giacchetto di pelle una sigaretta e un accendino. La accese e fece un tiro, prima di rispondere: “Sinceramente non mi fa né caldo né freddo. È solamente molto sicuro di sé e forse anche egocentrico, e non gli dispiacerebbe prendere il posto di Showpony, che non è disposto in alcun modo a cederglielo. Sono entrambi due maschi alfa che lottano per il comando, e anche per una certa ragazza di mia conoscenza.” Si girò verso di me e mi fece un occhiolino che trasudava femminilità da tutte le parti.

“Certo, come no,” mormorai. “Siete tutti indifferenti per questa storia, ma non so come reagirete quando quei due si picchieranno a sangue.”

“Cosa? Nah, non succederà mai.” Feci per interromperlo, ma Bubble Tower continuò: “Sanno tutti e due che sarebbe inutile. Le cose sono due: o troveranno un accordo, oppure Gavin capirà che rischierà di fare una brutta fine se continua a stuzzicare Showpony in quel modo.” Fece un ultimo tiro alla sigaretta e la spense sulla sabbia. “Oppure la cosa continuerà all’infinito.”

“Uao, tu sì che sai come risollevarmi l’umore,” gli dissi sarcastica. Improvvisamente mi ritrovai due braccia intorno alle spalle, stretta in un abbraccio amichevole. La bocca del ragazzo si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: “Non ce la faccio a vederti così triste e preoccupata, Venom. Promettimi che non passerai più tutta la giornata a farti seghe mentali sui quei due idioti.”

Repressi una risatina e dissi: “Promesso.”

Lo sentii sorridere e poi mi lasciò andare. Mi alzai in piedi e mi girai per andarmene, ma la sua voce mi fermò. “Tra due giorni vengo al Diner per sistemare gli ultimi particolari, okay?”

“Va bene. Lo sai che mi fa piacere vederti.” Gli rivolsi un sorriso, che lui ricambiò. Rimanemmo un attimo in silenzio, poi lui continuò, prima di tornare alla sua radio: “Sai, un giorno mi piacerebbe sapere come ti chiami veramente, e qual è la tua storia. Scoprire chi si nasconde dietro Lethal Bloody Venom.”

Vuoi sapere chi si nasconde davvero dietro questo nome, Thomas? Va bene, te lo dirò. Qui dietro c’è una ragazza fragile, una ragazza che ascoltava la musica per non sentire i suoi genitori che si urlavano contro, una ragazza con pochi amici e presa di mira dai bulli, una nerd, una sfigata. Ho avuto un paio di ali e una spada, ho combattuto contro un demone, sono caduta da un palazzo e mi sono ritrovata qui in California, sono stata odiata da Joshua, ho stretto un patto con Korse e ho tradito i miei amici, me ne sono andata e sono tornata, ho visto l’unica persona che ho mai amato trasformata nell’unica cosa che ho imparato a odiare, sono stata nient’altro che una cavia dentro la Better Living, richiusa in una cella e riempita di cicatrici sulle braccia. Sei sicuro di voler ascoltare la mia storia?

Non gli dissi niente di tutto questo, ma soltanto: “Forse un giorno ti racconterò tutto.”

Bubble Tower continuò: “Non mi dici nemmeno il tuo vero nome?”

“No.” Ormai non lo sento più mio.

Alzò le mani in segno di resa. “Va bene, come non detto. Ci vediamo tra un paio di giorni.”

Lo salutai un’ultima volta prima di lasciarlo ai suoi congegni e tornare verso il Diner.

 

*
25252525252525 AAAAARGH, SUNSHINES, L'ANSIA MI DISTRUGGEEEEE!!! D:
Detto questo, rispondo alle recensioni.
Lady Numb: no, non facciamolo lanciare da un treno in corsa, che rischia di morire ogni fanfiction che passa D: Ti lascerò col dubbio tra Joshua e Gavin, intanto sarà meglio conoscere la nostra semi-checca 'Torre di Bolle'... XD
Angel_made_from_neon: 'pallone gonifato aerostaricamente'? AHAHAH Mi paice un sacco quest'espressione, cercherò di farla usare da Joshua XD
burningSUN: benvenuto a bordo, soldato! Grazie per i complimenti e anche per il fatto che sei riuscita a leggere questi parti mentali in tre giorni (una storia al giorno? Wow, complimenti *^*) Sono contenta di aver risvegliato la Killjoy che è in te, la mia è sempre sveglia e all'erta anche quando non dovrebbe (vedi: compito di italiano -.-') Mi dispiace di averti fatti prendere diversi infarti con le storie precedenti, ma qui le cure mediche per colpi e diabeti le pago io, quindi abbondo con carognate e romanticismi vari ù.ù Anche a me quei numero fanno vernire l'ansia, penso che imploderò prima del 7 marzo D:
alessiafavaron: buoni propositi Gavin? AHAHAHAH no, di sicuro no -.-' Certo che ci sarò al concerto, e tu? :D
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-25 al The Best Day Ever

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Capitolo 5
*** Of Plans And Fights ***


Of Plans And Fights

 

Quando tornai al Diner, Amy non era più dentro seduta al tavolo dove l’avevo lasciata. All’inizio mi preoccupai, ma poi sentii dietro l’edificio la sua voce ridere e strillare qualcosa, seguita dalle voci di Grace e Taylor. Sorrisi tra me e me, poi afferrai la cartellina rossa che aveva portato Joshua, mi sedetti su uno sgabello vicino al bancone e iniziai a leggere il rapporto.

Le informazioni che aveva trovato Bubble Tower occupavano a malapena due pagine, ma erano proprio quelle che mi servivano: era valsa la pena aspettare cinque lunghe settimane prima di riceverle. Diedi un ultima scorsa ai fogli, li levai dalla cartellina, richiudendola e lasciandola sul piano del bancone, e salii al piano di sopra con i fogli in mano, nella camera mia e di Joshua. Aprii un armadio vecchio e polveroso e tirai fuori un’altra cartellina rossa, con dentro almeno dieci pagine di informazioni, più un paio di cartine e vari appunti miei e di Showpony. Infilai le pagine nuove lì dentro e poi richiusi la cartellina dentro l’armadio: l’avrei ritirata fuori un paio di giorni dopo, quando Bubble Tower sarebbe venuto al Diner per sistemare gli ultimi particolari del piano.

Non era un segreto quello che io, Thomas e Joshua stavamo organizzando da più di tre mesi, ma nessuno ne parlava in giro, sia per scaramanzia che per precauzione: sarebbe stato poco carino lasciarsi scappare davanti a un Draculoide di ronda nelle Zone che stavamo preparando un attacco alla sede della Better Living dentro Battery City.

Era stata una decisione fulminea, improvvisa: qualcosa dentro di noi era scattato e ci aveva detto che non potevamo continuare a rimanere con le mani in mano, limitandoci ad ammazzare i Draculoidi e a distruggere più telecamere possibili. E così era stato deciso: avremmo sferrato un grosso colpo alla B.L.ind. Non saremmo certamente riusciti a farla crollare con un solo attacco diretto, questo no, ma le avremmo inflitto uno smacco talmente grande e doloroso che ci avrebbe messo parecchio per riprendere il potere perduto. E in quel breve intervallo di tempo, forse, avremmo potuto distruggerla del tutto.

Ogni volta che ci pensavo, i miei occhi si illuminavano di felicità e speranza: mi dicevo che sì, potevamo farcela, avremmo potuto liberarci per sempre delle telecamere, delle pillole, dei Draculoidi e degli S/C/A/R/E/C/R/O/W, e di Korse. Soprattutto di Korse.

Bubble Tower si era offerto di fare da informatore per raccogliere il maggior numero di informazioni possibile per evitare che la missione si trasformasse in un suicidio di massa. Era incredibile quello che era riuscito a fare con un paio di radio e quell’apparecchio nella valigia: in poco più di una settimana era riuscito a infiltrarsi dentro la rete interna della Better Living e, poco alla volta, aveva raccolto tutte le informazioni che ci servivano. Io e Joshua non smettevamo mai di ringraziarlo e di chiederci come diavolo avesse fatto a penetrare in quella rete superprotetta con la velocità di un hacker. Quando avevo provato a chiederglielo, Thomas aveva fatto un ghigno e aveva detto: “Segreti del mestiere, Venom. Non hai idea di come passassi il tempo libero a Battery City.” Avevo avuto una mezza idea su cosa si stesse riferendo, ma avevo evitato di approfondire l’argomento.

Raggiunsi la finestra della stanza e guardai di sotto: Grace e Taylor giocavano tranquille, mentre Amy era seduta sulla sabbia e muoveva la testa in direzione dei rumore che sentiva. Era anche per loro che avevo creato quel piano: volevo che potessero sentirsi finalmente al sicuro, anche se erano solo bambine o ragazze cieche.

Era solamente questione di tempo.

 

Joshua tornò quel pomeriggio sul tardi, e stranamente tutta la sua rabbia nei confronti di Gavin sembrava sparita. La cosa mi stupì parecchio, ma ormai mi ero abituata agli sbalzi d’umore di quel ragazzo e non dissi niente, anche perché volevo mantenere quella calma abbastanza a lungo. Fu Joshua stesso, però, ad affrontare l’argomento, quella sera stessa.

Grace, Taylor e Amy erano andate a letto già da un paio d’ore, ma io e Showpony eravamo ancora belli svegli, seduti sul mio letto a chiacchierare e ridere. In quel momento non sembravamo più due Killjoys con una taglia che pendeva sulle loro teste, ma semplicemente due adolescenti innamorati che passavano la notte svegli insieme. Soltanto in quei momenti tornavo ad essere soltanto Eve, soltanto me stessa.

“Va bene… va bene, basta, non ce la faccio più!” dissi a stento piegata in due dalle risate mentre mi tenevo la pancia da tanto mi faceva male. Joshua si tolse le ultime lacrime dagli occhi e poi iniziò a fissarmi. All’inizio non lo considerai più di tanto, poi però mi incuriosii talmente tanto che dissi: “Perché mi fissi?”

“Cosa pensi di Gavin?”

La domanda mi colpì come un pugno in pieno petto. Arrossii velocemente al buio e trovai particolarmente interessante fissare la coperta del letto. Perché hai voluto rovinare questo momento perfetto? “Cosa dovrei pensare di lui?”

“Non so. Hai sempre un’opinione su tutto, dovresti averla anche su lui.”

Mi passai una mano tra i capelli. Alzai lo sguardo verso il viso del ragazzo. “È… okay, penso.”

Il silenzio di Joshua era sbigottito. “O… okay?” riuscì a dire alla fine.

Mossa sbagliata, mi suggerì Evelyn, ma io la ignorai e continuai: “Bè, sì. Non è poi tanto male, a parte il fatto che ci prova costantemente con me e che ti stuzzica in continuazione. Non ha niente di particolare, non vuole fare il bullo o il figo o chissà cos’altro: è… normale.”

Quando finii di parlare, cadde il silenzio. Pensai che Showpony se ne sarebbe andato, ma lui invece rimase lì e soltanto dopo un po’ di tempo disse: “Capito.”

Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla sedia. “Sei arrabbiato per quello che ti ho detto, vero?” gli chiesi con cautela mentre mi spogliavo e mi infilavo una vecchia maglietta azzurra di Frank che usavo per dormire.

“No, per niente. Hai il diritto di pensare di lui quello che vuoi,” rispose, sorprendendomi. Feci un mezzo sorrisetto nel buio. “Quindi tu hai il diritto di pensare che è un leccapiedi e un damerino schifoso.”

“Precisamente.” Il suo tono era piatto, ma sentivo che stava a malapena soffocando una risata. Finii di prepararmi e lo raggiunsi dentro il letto, dove lui si era già infilato sotto le coperte. Non appena mi fui messa comoda, le braccia di Joshua mi circondarono e mi strinsero al suo petto, come se non volessero mai lasciarmi andare via. Sentii le sue mani scarruffarmi con delicatezza i capelli corti e tinti di rosso, e poi la sua voce sussurrò: “Nessuno potrà portarti via da me, Eve, nemmeno quel fottuto damerino. Tu sei soltanto mia.”

Gli sorrisi nel buio e mi lasciai scivolare nel sonno.

 

Nei due giorni successivi tutto sembrò tranquillo: Gavin non si fece più vedere quando Joshua era nei paraggi – anzi, non si fece proprio vedere – e Showpony pareva meno deciso a farlo fuori con le sue stesse mani. Non sapevo quanto sarebbe durata quella specie di tregua, ma era meglio approfittarne per più tempo possibile.

Ovvero fino al secondo giorno.

 

Seduta sul mio letto e circondata da tutti i fogli contenuti nella cartellina rossa, esaminavo tutte le informazioni che ci aveva dato Bubble Tower, cercando di farle incastrare tra di loro prima che il ragazzo arrivasse per darmi una mano. Con un vecchio lapis spuntato scrivevo appunti, facevo collegamenti, mettevo punti interrogativi alle cose che non capivo oppure ritenevo inutili, e tracciavo frecce e linee su una cartina di Battery City e una della Better Living, la stessa che si era procurato Frank per farmi infiltrare alla S/C/A/R/E/C/R/O/W Unit. Alla fine, soddisfatta, rimisi tutti i fogli e le cartine dentro la cartellina rossa, tranne uno, che rimasi un attimo a leggere. Ero talmente concentrata che non sentii le voci e i rumori che provenivano da fuori, e l’unica cosa che riuscì a risvegliarmi fu la voce di Grace che urlava, disperata: “Eve, corri! Si stanno picchiando!”

‘Stanno’? Non capii subito a cosa si riferiva quel plurale, ma, non appena sentii la voce familiare di Joshua urlare qualcosa di poco carino, nascosi in tutta furia il foglio e la cartellina sotto il letto, per poi precipitarmi al piano di sotto e fuori dal Diner per evitare che scoppiasse la Terza Guerra Mondiale in mezzo al deserto. La mia pistola a raggi arancione ciottolava dentro il suo fodero mentre correvo.

Quando raggiunsi lo spazio dietro l’edificio rimasi letteralmente a bocca aperta: davanti a me, sotto gli sguardi spaventati di Grace, Taylor e Amy (che stava cercando, senza risultato, di capire cosa diavolo stava succedendo), Joshua e Gavin se le stavano dando di santa ragione. Stavano alzando un polverone di sabbia e riuscii perfino a intravedere un paio di graffi sul collo di Showpony e un taglio lungo il braccio dell’altro ragazzo. Non persi un secondo di tempo, mi avvicinai ai due e tentai invano di separarli, ma loro sembrarono non ascoltarmi e continuarono a picchiarsi. Mi misi letteralmente in mezzo a quei due e li divisi a forza. “Piantatela, razza di coglioni che non siete altro!” urlai. I due ragazzi si fissarono con rabbia un’ultima volta, poi si rialzarono in piedi e valutarono i danni ai loro corpi.

Afferrai Joshua per le spalle e lo fissai negli occhi grigi, incazzata a morte. “Si può sapere che ti è preso?!” gli urlai in viso. Lui aprì bocca per spiegarmi la faccenda, ma Gavin fu più veloce di lui e disse: “È un tizio permalosetto, il tuo ragazzo. Non riesce nemmeno ad accettare una piccola critica.”

“Figlio di puttana!” iniziò di nuovo Showpony a denti stretti, facendo un passo verso l’altro, ma io lo bloccai in tempo. Mi girai verso Gavin: il taglio sul suo braccio aveva smesso di sanguinare, e ci fissava con un sorriso cattivo in faccia che mi fece paura. Alzò lo sguardo verso il ragazzo coi capelli blu. “Non è vero, Lady-Boy?”

Joshua gli rivolse uno sguardo ancora più incazzato: odiava il soprannome Lady-Boy, soprattutto se chi lo chiamava in quel modo era quel ‘damerino’. “J-Joshua? Che ha detto?” mormorai, preoccupata, guardandolo in viso.

“Perché non lo chiedi direttamente a lui? Vediamo se ha il fegato di dirtelo in faccia,” sputò fuori, senza smettere di fissare il biondo. Lasciai andare le spalle di Showpony e mi voltai di nuovo verso Gavin. Non dissi niente, aspettando che parlasse lui. Anche le altre tre ragazze rimasero in silenzio, in attesa e scioccate per quello che era appena successo.

Il ragazzo sbuffò e mi rivolse uno strano sorriso. “Immagino che un ‘Facciamo finta che non sia successo nulla’ non sia accettabile come risposta, vero?”

Non gli risposi, limitandomi a fissarlo seria.

Si portò una mano alla testa e si sistemò i capelli all’indietro. “Bè,” iniziò, senza smettere di fare quel sorriso, “ho soltanto detto che mi sembra strano che il ‘capo’ di questa baracca, una delle persone più fidate del Dr. D, sia stato per un periodo un Draculoide.”

Il silenziò calo bruscamente, troppo bruscamente. Sentivo il respiro affannato di Joshua, che cercava di controllarsi, le silenziose esclamazioni di sorpresa di Amy e Taylor, e l’altrettanto silenziosa soddisfazione di Gavin. Continuai a fissarlo, stavolta scioccata. “Come… come fai a saperlo?” balbettai.

“Le voci girano, Eve. Voi due pensavate davvero di poter tenere nascosto il vostro piccolo sporco segreto così a lungo, forse per sempre?” Guardò me e Showpony e fece una smorfia divertita. “Un ex Draculoide e una cavia della Better Living come capi dei Killjoys. È proprio vero che al mondo tutto è possibile.”

Abbassai lo sguardo per terra: la faceva facile, lui. Ne parlava con un tono leggero, superficiale, come se ci fossimo limitati a fare uno sbaglio enorme o a infiltrarci tra i ribelli. Sembrava che per lui non fossero così orribili come potevano sembrare.

Bè, si sbagliava.

Sia io che Joshua eravamo cambiati enormemente: tra noi due, ero stata io quella che aveva sanguinato e aveva provato dolore, ma entrambi avevamo una cicatrice immensa dentro di noi. Una ferita che, forse, non sarebbe mai riuscita a rimarginarsi completamente. Showpony era perseguitato dai sensi di colpa, io ricevevo visite di incubi quasi ogni notte e le cicatrici sulle mie braccia, che ormai sarebbero rimaste lì per sempre, mi ricordavano tutto quello che mi era successo in quella settimana infernale prima che Gerard e gli altri venissero a liberarmi. Quindi no, Gavin non poteva assolutamente permettersi di usare quel tono leggero e divertito su una cosa del genere.

Rialzai lo sguardo verso il ragazzo biondo. Immagino che in quel momento i miei occhi avessero una fiamma dentro. Feci un passo avanti, e stavolta toccò a Joshua trattenermi per un braccio e dirmi: “Eve, calmati!” Ma io mi scrollai dalla sua presa e, con un impeto rabbioso, mi gettai addosso a Gavin, facendolo cadere per terra e iniziando a picchiarlo.

Lui non si fece assolutamente problemi, facendomi del male come se stesse ancora combattendo col ragazzo dai capelli blu, ma anche io non fui da meno: gli sferrai calci, pugni e gli lasciai tre grosse ferite con le unghie sulla mano destra, mentre dai miei occhi iniziavano a scorrere le lacrime. Sentii che Joshua cercava di rimettermi in piedi, ma io lo allontanai e continuai a lottare.

Improvvisamente, due mani mi afferrarono le braccia e me le tirarono dietro la schiena, sollevandomi poi da terra. Mi dimenai un’ultima volta, poi la voce rassicurante e familiare di Bubble Tower mi disse: “Venom, fermati!” Mi calmai quasi subito, ma continuai a fissare rabbiosa Gavin, che si stava alzando da terra e si scrollava la sabbia dai vestiti. Guardò il ragazzo e disse: “Ehi, grazie.”

Lui rimase impassibile. “Non ringraziarmi, è meglio. Sto tenendo lei ferma per evitare di saltarti addosso io. E credimi, non mi limiterei a un paio di lividi e a qualche cicatrice.”

Il biondo non replicò niente. Si voltò verso la strada, la raggiunse e si mise a correre in una direzione a caso: lo seguii con lo sguardo finchè non sparì all’orizzonte. Thomas mi lasciò andare e io mi voltai verso di lui, con il sangue e le lacrime che mi macchiavano le guance e i capelli ancora più spettinati del solito. Gli sorrisi e dissi: “Grazie.”

Mi sorrise di rimando. “Sono arrivato due minuti fa e Showpony mi ha detto che tu e Gavin vi stavate picchiando. Cos’ha fatto quell’idiota per farti scoppiare?”

Valutai se raccontargli tutto o meno, poi decisi di no. “Quando ti racconterò la mia storia, forse lo saprai.”

Mi guardò un attimo sbalordito, poi scoppiò a ridere. “Spero che quel giorno arrivi presto, allora. Andiamo a sistemare il piano?”

Annuii e entrammo nel Diner, seguiti da Joshua e le altre ragazze.

 

*
Niente di nuovo da dire, Sunshines, quindi.. sì, boh, rispondo alle recensioni (sei! Dico, SEI! *esulta*). Se avete qualche spunto da darmi per sparare qualche cavolata in questo minuscolo angolino siete le benvenute. (Ah, vabbè... l'unica cosa interessante è che in questo periodo mi sfondo di Vampire Money, e che questo capitolo è stranamente lungo.)
alessiafavaron: e io studio solo per venire a quel concerto!!! XD I My Chem appariranno tra quattro capitoli, più o meno: insomma, come si potrebbe senza Frank che spara le sue battute e dà di matto dentro la Better Living e Mikey che supera tutti i limiti di velocità?
Lady Numb: contentissima, ragazza mia, fallo pure ù.ù Anche a me manca Frank, non vedo l'ora di poter arrivare a scrivere il capitolo dove finalmente riappare D: *capisce che sta facendo un discorso senza senso* *si nasconde in un angolino*
burningSUN: eh già, in mancanza di Ricky Rebel ci voleva un'altra checca XD *la segue nel filmino mentale*
Maricuz_M: grazie mille per i complimenti, e sono contenta che apprezzi il nostro caro Torre Di Bolle ù.ù
Angel_made_from_neon: Bubble Tower curioso... (non c'entra nulla, sorry -.-') Gavin e Bubble? Scusa, ma... D: Ti revoco il soprannome di Capitan Ovvio immediatamente se dici di nuovo una cosa del genere!
Kumiko_Chan_: bentornata, Sunshine! Mi sono preoccupata non vedendoti recensire, ma capisco tutto il casino scuola/professori (Tasso? Penso di averne un brano sul libro di epica, e non mi ispira per niente D:) JarEve? AHAH Questa mi piace un sacco, ti frego l'espressione XD Anche Eve first lady e Gavin pronto a prendere lei per avere il potere non è male... Sentiti fiera, pure io lo sono di avere una fan che recensisce (quasi) sempre tutto quello che scrivo e che poi scrive l'Odissea 2-la Vendetta nelle recensioni... e non ristringere i tuoi poemi, soprattutto se con una recensione devi fare tre capitoli! >.< Un diversivo sarebbe utile, possibilmente dovrebbe includere un paio di esplosioni e qualche biglietto aereo per la California...
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-23 al The Best Day Ever

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Capitolo 6
*** Of Errors And Suggestions ***


Of Errors And Suggestions

 

“… e pensavo che sarebbe stato meglio entrare anche da un’altra porta, non solo da quella principale…”

Ascoltavo l’infinita spiegazione di Bubble Tower e annuivo meccanicamente ogni tanto, ma metà del mio cervello era completamente da un’altra parte: il nome Gavin lampeggiava in rosso scritto in caratteri enormi dentro la mia testa. Era un problema che andava risolto al più presto, e mi ripromisi di farlo subito dopo il nostro attacco a Battery City. Forse mi sarebbe costato un’altra lotta selvaggia, ma la cosa, in fondo in fondo, mi era piaciuta. Dovrei farlo più spesso anche con Joshua, pensai trattenendo una risatina.

Showpony era rimasto con noi due fino a qualche minuto prima, poi era andato al piano di sopra a sistemarsi i graffi che gli aveva fatto Gavin. Eravamo rimasti solo io e Bubble Tower a sistemare gli ultimi dettagli, ma la cosa mi andava benissimo. Aspettai che il ragazzo avesse finito di parlare e dissi: “Secondo te quando è meglio metterlo in atto?”

Ci pensò un attimo su, poi disse: “Tre, quattro giorni al massimo.”

“Quattro…?” Lo guardai incredula, e lui continuò: “Lo so che è poco tempo, ma alla Better Living stanno per iniziare a capire che c’è un infiltrato nelle loro comunicazioni, e non saranno felici di scoprire che il segnale sconosciuto arriva dalla Zona 6 a cinque chilometri dal covo dei Killjoys. Se sottovalutano l’interferenza o ci mettono molto di più a rintracciare il segnale, abbiamo al massimo quattro giorni. Poi capiranno che abbiamo preso delle informazioni e che stiamo per fare qualcosa di veramente grosso.”

“E a quel punto saremo tutti nella cacca,” conclusi io a bassa voce. Thomas annuì e appoggiò i gomiti sul piano del bancone, dove stavamo esaminando una pianta di Battery City e quei suoi famosi rapporti. Fissai per un’ultima volta la cartina, guardando i diversi gruppi di ribelli che avrebbero attaccato la città. Nel guardare quei numeri tutti insieme, li calcolai automaticamente e aggrottai la fronte. Rifeci il calcolo, stupita, e mi rivolsi di nuovo al ragazzo. “Bubble Tower… qui hai scritto che saremo ventitré ad andare a Battery City.”

“Sì,” rispose lui, guardandomi poi incuriosito. “Qualcosa non ti torna?”

“V… vuoi dire che verranno anche Amy, Taylor e Grace?”

“Bè… sì.”

Lo guardai ancora più stupita e aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma in quel momento dalla porta del Diner entrò Amy, raggiante di felicità. “Allora veniamo anche noi tre, Eve?” mi chiese con una mano sullo stipite sulla porta. In faccia aveva una delle più belle e sincere espressioni di gioia che avessi mai visto: il velo che sembrava coprirle gli occhi era sparito, e sembrava che tutto il suo volto emanasse luce. Feci un respiro profondo e dissi a fatica: “Sì… sì, venite con noi.”

Lei sorrise, raggiante di felicità. Senza dire nient’altro, chiuse la porta e, con una mano lungo il muro, tornò allo spiazzo dietro il Diner, probabilmente per dire alle bambine quello che aveva appena saputo. Non appena scomparve dalla mia vista, fissai Bubble Tower negli occhi e sibilai: “Ma sei impazzito?!”

“Che ho fatto?” mi chiese, innocente.

“Come puoi pensare che loro tre vengano con noi?” dissi, indicando il deserto fuori dalla porta. “La situazione sarà già difficile da controllare da sola, non posso tenere d’occhio anche due bambine di dieci anni e una sedicenne cieca!”

“Venom, ascoltami.” Il tono di Thomas era serio, e mi zittii per sentire cosa doveva dirmi. “So che non è stata un’idea geniale, ma forse questa sarà l’occasione giusta per poter iniziare a far crollare la Better Living. Non penso che a qualcuno piacerebbe essere rimasto qui senza fare niente mentre noi combattevamo. E poi non mi fido a lasciare loro tre da sole, potrebbe succedere qualcosa mentre non ci siamo.”

“È un suicidio,” mormorai.

Il ragazzo fece una pausa, poi continuò: “Non so cosa ti abbia fatto la Better Living per farti unire ai Killjoys, ma ti posso garantire che la mia vita non è stata facile. Non hai idea di cosa si prova a restare per quasi tutta la tua vita dentro quella città: alla fine ti distrugge completamente, cancella quel poco di volontà e ribellione che hai.”

In quel momento sentii il bisogno di dovergli dire qualcosa anch’io: senza dire una parola, mi tirai su le maniche della maglietta e scoprii le cicatrici ancora rosse sulla mia pelle bianca. Bubble Tower rimase senza parole a fissarle, poi alzò lo sguardo verso di me e mormorò: “Cosa…”

“Sei mesi fa sono rimasta per una settimana dentro la Better Living. Mi hanno catturata dentro Battery City, mi hanno fatto indossare un camice bianco, mi hanno rinchiuso in una cella e hanno fatto degli esperimenti su di me.” Alzai lo sguardo, incontrando quello di lui. “Neanche la mia vita è stata facile, te lo posso garantire.”

Il ragazzo continuò a fissare le mie cicatrici in silenzio finchè io non le coprii di nuovo con le maniche della maglietta. Si riscosse e chiuse la piantina di Battery City. “Immagino che questo sia un pezzo della tua storia, quella che non mi racconterai mai, vero?”

Sorrisi triste. “Immagini bene.”

Mi rivolse lo stesso sorriso, si allontanò dal bancone e, dandomi le spalle, aprì la porta. Mi sembrava così triste in quel momento: io conoscevo abbastanza bene il suo passato e il suo vero nome, ma lui non sapeva niente di me.

Thomas fece per uscire, ma io lo fermai dicendogli una sola parola.

Un solo nome.

“Eve.”

Chiuse la porta e si voltò di nuovo verso di me, confuso. “Come?”

Gli sorrisi di nuovo, stavolta con calore. “Eve. È il mio vero nome.”

All’inizio non capì, poi il suo viso si illuminò. “Eve,” ripetè tra sé e sé. Annuii, come per confermare che sì, quello era il mio vero nome, quello che si nascondeva dietro Lethal Bloody Venom. Il suo sguardo si posò su di me. “La sorella di uno dei miei ragazzi si chiamava così. Non è che…”

Scossi la testa prima che potesse finire la frase. “No. Io non sono nemmeno della California, e tantomeno di Battery City.”

“Davvero? E allora da dove…” Bubble Tower incontrò il mio sguardo e scoppiò a ridere. “Ho capito, devo aspettare per scoprire anche questo.” Aprì di nuovo la porta e uscì fuori, ma prima di richiuderla e andarsene disse: “Ci vediamo tra tre giorni…Eve.”

 

“Questo piano non ti convince granché, eh?”

“Per niente, Dr. D. Non mi convince per niente.”

“… È per via di quelle tre ragazzine, vero?”

“… Sì.” Mi tolsi una ciocca di capelli rossi dagli occhi. “Non me la sento di farle rischiare in questo modo. Grace e Taylor potrebbero riuscire a fare qualcosa, ma Amy è cieca. Anche se ci sente molto bene è più facile prenderla o…” Deglutii. “Insomma, hai capito.”

Il Dj girò la sua sedia a rotella verso di me e si avvicinò leggermente al tavolo dove ero seduta sopra. Accanto a me un giradischi stava facendo suonare un disco col simbolo del ragno nero impresso sopra, e riconobbi le note che si stavano diffondendo in quel momento: Whole Lotta Love, Led Zeppelin. Alzai lo sguardo, incontrando quello del Dj, nascosto dietro gli occhiali da sole. “È una loro scelta, Venom. Non puoi far cambiare loro idea, o costringerle a rimanere al Diner quando tutti voi siete a combattere a Battery City,” disse.

Non risposi, mordendomi il labbro inferiore. Non smisi un solo attimo di dondolare le gambe avanti e indietro nel vuoto mentre fissavo il pavimento e pensavo. Alla fine dissi: “Dovrei rimanere io al Diner.”

Dr. D mi guardò confuso: la sua espressione parlava da sola, e mi stava chiedendo ‘Che diavolo stai dicendo?’

“Io non ho mai vissuto a Battery City. Anzi, non ho mai nemmeno vissuto in questo mondo.” Feci una risatina amara, poi continuai: “Non ho passato tutto quello che è successo dal 2013 fino a ora, so a malapena cosa è accaduto. Ci sono dei ragazzi là fuori che hanno bisogno di questa rivolta e che la sentono loro molto più di me: la Better Living ha portato via la loro famiglia, i loro amici, la loro vita. Guarda cos’è successo a Showpony. Ma io?” Alzai di nuovo lo sguardo verso l’uomo. “L’unica persona che mi hanno portato via è tornata, e non ho una famiglia su cui possono rifarsi. Perché devo essere io a guidare questa battaglia?”

Il Dj mi guardò un’ultima volta, poi mi prese il braccio sinistro e sollevò la manica della maglietta arancione: le cicatrici erano lì, che mi fissavano. Tremando, toccai con la mano destra una lunga e sottile linea rossa a metà dell’avambraccio. Sussultai, nonostante l’avessi appena sfiorata: i ricordi tornarono velocemente a galla, e potei quasi sentire l’ago che mi entrava nella pelle e mi iniettava qualcosa nella vena. Dovetti fare uno sforzo enorme per non scoppiare a piangere.

“Forse non ti avranno portato via una persona come a Showpony, Venom,” mi disse il Dr. D mentre allontanava la mia mano destra e copriva di nuovo il braccio con la manica della maglietta. “Ma di sicuro hanno portato via il tuo orgoglio e una parte di te stessa, e ti hanno cambiata dentro per sempre.” Mi guardò negli occhi attraverso gli occhiali da sole. “E non c’entra niente il fatto che vieni da un altro posto. Non è il momento di pensare al passato: adesso sei qui, ed è tutto quello di cui ti deve importare adesso. Non sei più o meno meritevole di nessuno.” Mi diede una pacca sulla mano. “E adesso piantala di sparare stronzate e vai a finire di organizzare quella rivolta.”

 

Secondo voi è possibile avvisare diciotto persone sparse in tutte le Zone, fare capire loro quando, dove e come avverrà l’attacco a Battery City, non dormire la notte perché hai paura che qualcosa possa andare storto, e infine insegnare a due bambine di dieci anni e a una sedicenne cieca come usare una pistola raggi?

La risposta è: sì, se vi fate un mazzo come me lo feci io.

Mi ci vollero tre giorni pieni e anche un paio di notti (grazie anche all’aiuto di Joshua, Bubble Tower e il Dr. Death Defying) per comunicare a tutti i Killjoys del piano d’attacco contro Battery City. Le risposte affermative ci misero due giorni ad arrivare, e io passai quella notte in bianco, terrorizzata che qualcosa andasse storto e avessimo meno persone a disposizione.

Insegnai anche ad Amy come usare una pistola a raggi. Grace e Taylor sapevano il fatto loro ed erano diventate abbastanza brave, ma anche l’altra ragazza diede il meglio di sé: aveva un udito spaventosamente fine, e non facevo in tempo ad avvicinarmi alle sue spalle che lei mi puntava già la pistola a raggi contro con il dito sul grilletto.

La notte prima della battaglia ero inquieta. Rimasi sveglia a lungo a parlare con Evelyn, l’unica che potesse capire veramente cosa stava passando in quel momento dentro la mia testa. Quando alla fine riuscii ad addormentarmi, un paio di incubi vennero a farmi visita per poi lasciarmi da sola nel buio, preparandomi ad affrontare il vero incubo del giorno dopo.

 

*
Tre settimane pari pari, Sunshines, signore mie. L'ansia si fa più forte (anche perchè ho trovato su Facebook una delle tante magliette che mi comprerò e non vedo l'ora di stringerla tra le mie mani: è bianca con la scritta WANTED THE KILLJOYS e le foto dei nostri quattro con la croce rossa e la scritta EXTERMINATED sopra. Giuro che ci andrò in giro per tutta Livorno esibendola fieramente.)
Angel_made_from_neon: appunto, perchè dobbiamo studiare quella tortura di fisica, considerato che non importa molto per noi e che io faccio il liceo linguistico? D: Diciamo che il livello Gavin va benissimo XD
Lady Numb: davvero sono riuscita a farti arrabbiare? Wow, non l'avrei mai immaginato D: L'idea di mandarlo da Korse con un cartello non è brutta, sono morta dal ridere al pensare alla scena... E rivedremo il nostro caro Nano tra due o tre capitoli, don't worry baby ;)
burningSUN: massì, andiamo tutti a picchiare Gavin *si getta nella mischia*
alessiafavaron: meno male c'era Thomas, sennò Eve sarebbe stata capace di uccidere Gavin, e non sarebbe stato un male :D
Kumiko_Chan_: *facepalm* Vabbè, non commento la parte su Korse -.-' Comunque, nel 2019 i My Chem sono solamente i Killjoys, non sono una band famosa. Il piano per attaccare Battery City lo spiegherò meglio nel prossimo capitolo, quando tornerà l'azione. Pistole! Proiettili! Sangue! Ansia! Draculoidi! Killjoys! E chi più ne ha più ne metta! Giusto, prendiamoci soltanto Frank e Gerard, anche se rischiamo di vederli fare solo Frerard (il che non sarebbe una brutta idea *pervertita-mode*) Bubbola... AHAHAHAH Tu hai un talento nel mettere i soprannomi ai personaggi, come al nostro caro Vichingo XD
Dawn_: oooh, da quanto tempo! Grazie mille per i complimenti, sono contenta che leggi anche se non recensisci! Povero Showpony, superato da una checca *pat-apt* Per la faccenda concerto come sei messa? E Death Black Parade che fine ha fatto? D: (Hollow ç_ç)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-21 al The Best Day Ever

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Capitolo 7
*** Of Betrayals And Deaths ***


Of Betrayals And Deaths

 

Mi scrocchiai le dita delle mani facendo un rumore impensabile, e Grace si voltò nella mia direzione. Mi infilai di nuovo i guanti senza dita e poi mi misi a fissare il panorama (se si poteva definire panorama) fuori dal finestrino di quella che un tempo era la macchina di Frank.

Bubble Tower stava guidando abbastanza velocemente lungo la strada buia, illuminata soltanto dai fari dell’auto. Joshua stava accanto a Grace, e sull’altro sedile anteriore Amy teneva in collo Taylor. Tutti gli altri ragazzi erano partiti a orari diversi e a gruppi, avvicinandosi un po’ alla volta a Battery City. Il Dr. D sarebbe rimasto in contatto con noi finchè non fossimo entrati dentro la città: a quel punto le comunicazioni sarebbero saltate e avremmo dovuto cavarcela da soli.

Non avevo mai creduto e non credevo in Dio, ma in quel momento forse il suo sostegno ci sarebbe stato utile. Strinsi tra le mie mani la collana che mi aveva regalato Joshua, un sasso azzurro-verde appeso a un filo: non credevo in Dio, non credevo nella fortuna, non credevo in loro (chiunque essi fossero), ma credevo soltanto che noi eravamo il nemico.

Una mano mi prese la mia. “Tutto okay?” mi chiese sottovoce Joshua, vestito in tenuta da Showpony e con il suo casco sulle ginocchia. Annuii lievemente e gli strinsi forte la mano, come se non volessi lasciarla mai più andare. La stretta venne ricambiata insieme a un sorriso d’incoraggiamento.

“Venom, siamo quasi arrivati,” mi disse Bubble Tower. Lasciai la mano dell’altro ragazzo e misi la testa tra i due sedili anteriori: eravamo entrati nel tunnel che collegava il deserto e la città, e tra poco saremmo entrati dentro. Calmandomi, dissi: “Okay. Al posto di blocco tira a dritto. Porta pure via la sbarra, non è un proble… oh.”

“V-Venom? Che c’è?” mi chiese Amy, spaventata. La vidi stringere più forte la sorella, a cui si mozzò momentaneamente il fiato. Feci un mezzo sorriso e dissi, preoccupata: “La sbarra è… alzata.”

Alzata?” ripetè incredulo Showpony, guardando anche lui davanti a noi: era vero, la sbarra del posto di blocco era completamente alzata, e non c’era nemmeno nessuno di guardia. Sentii Thomas deglutire. “Che si fa?”

“Non avevi detto che ci avrebbero messo quattro giorni per scoprire da dove veniva il segnale della tua radio?”

“Sì, ma… non capisco. Prima di partire ho controllato le frequenze della Better Living ed era tutto tranquillo come al solito.” Si voltò leggermente verso di me. “Che si fa?” ripetè.

Feci un respiro profondo e dissi: “Andiamo avanti. Non possiamo rinunciare adesso, e nemmeno comunicare agli altri la ritirata. Non c’è altro da fare.”

Lui annuì e premette l’acceleratore: sorpassammo la sbarra e ci avvicinammo sempre di più a Battery City. Mi voltai un attimo alle nostre spalle e il mio cuore perse un colpo: la sbarra si stava abbassando lentamente, intrappolandoci inesorabilmente dentro la città.

 

Guidammo discretamente finchè non ci fermammo poco lontani dal grattacielo della Better Living. Riuscii a vedere tra le ombre qualcuno degli altri Killjoys, e scendemmo dall’auto. Sfoderammo le pistole e li raggiungemmo; Amy era guidata da Taylor, ma all’improvviso una ragazza coi capelli neri la prese per il braccio e le diede il suo sostegno. Mi voltai verso di lei: non mi ricordavo il suo vero nome, ma si faceva chiamare semplicemente Letter Bomb, come una vecchia canzone dei Green Day. Incontrò il mio sguardo e mi sorrise. “A lei e alle bambine ci penso io, non preoccuparti.”

La ringraziai e, con un sospiro, iniziai ad avanzare verso il grattacielo, seguita da tutti gli altri. Cercavo di sembrare impavida, ma in realtà tremavo dalla paura e avevo una bruttissima sensazione. Una mano prese di nuovo la mia, e io mi voltai alla mia sinistra: avanzando lentamente sui suoi pattini per tenere il passo con me, Showpony mi fissava da dietro il suo casco. Non riuscivo a vedere la sua espressione, ma sapevo cosa avrebbe potuto dirmi in quel momento.

Take my fuckin’ hand and never be afraid again.

Non lasciai andare la sua mano finchè non fummo arrivati a pochi metri dal portone principale: Joshua sfoderò la sua pistola a raggi fucsia e io la mia arancione, e allora un gruppo di S/C/A/R/E/C/R/O/W apparve all’improvviso e iniziò a spararci addosso. Rispondemmo al fuoco, e riuscivo a sentire le imprecazioni di odio e vendetta di Bubble Tower, qualche metro più in là. Con la coda dell’occhio vidi Amy sparare un colpo e colpire in pieno uno dei nemici, che cadde a terra a peso morto. Feci per andare da lei a dirle qualcosa, ma un proiettile mi sfiorò la gamba destra e risposi al colpo, colpendo in pieno petto un Draculoide spuntato fuori dal nulla. Non appena riuscimmo a farci abbastanza posto per passare, attraversammo tutti la porta e entrammo nell’atrio.

Inutile dire che qui le difese della Better Living erano molte di più: ci sarebbe voluto un vero e proprio miracolo per riuscire a uccidere tutti i Draculoidi e S/C/A/R/E/C/R/O/W e entrare dentro i corridoi tortuosi del grattacielo. Per nostra fortuna arrivarono gli altri ragazzi, quelli entrati dalle porte laterali e dalle finestre, a darci man forte, e per un attimo ci sembrò pure di essere in vantaggio, ma alla fine eravamo sempre bloccati lì, senza poter andare avanti.

“Eve!” Una voce mi chiamò dal fondo dell’atrio: finii di sparare a un Draculoide che mi intralciava la strada e raggiunsi Joshua, in piedi vicino all’imbocco di uno dei corridoi. Iniziai a correre, con lui accanto a me che pattinava a tutta velocità: dovevamo trovare Korse, in qualunque modo, e provare a ucciderlo. Era parecchio improbabile farcela, ma quella notte dovevamo provarle tutte se volevamo tornare vivi al Diner.

Il ragazzo mi condusse attraverso i lunghi corridoio bianchi con sicurezza, e io non potei fare altro che seguirlo. All’improvviso gli chiesi: “Hai visto Gavin lì nell’atrio?”

Rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Pensavo fosse accanto a te.”

Trattenni un attimo il respiro. “Oddio.”

“Che c’è?”

Scossi la testa. “Mi ero ripromessa di tenerlo d’occhio: dopo quello che è successo l’altro giorno non mi fido molto di lui. Ho paura che faccia qualcosa di testa sua e che ci metta tutti in pericolo.”

Joshua prese fiato un paio di volte prima di confessare: “A dire la verità, io non l’ho mai visto qui dentro. Pensavo che tu sapessi dov’era finito, e non mi sono nemmeno posto il problema.”

“Cazzo, Joshua!” esclamai preoccupata e arrabbiata allo stesso tempo. “Dove diavolo è finito? L’ho mandato qui con il secondo gruppo, come può…”

GIÙ!

Dopo quell’urlo improvviso non riuscii nemmeno a capire cosa stava succedendo che mi ritrovai a pancia in giù sul pavimento bianco, e sentii un proiettile passare per il punto dove era la mia testa giusto un secondo prima. Mi tirai su sui bracci e guardai Showpony, sdraiato accanto a me, che si stava mettendo in ginocchio. “Che ti è…” iniziai di nuovo, interrotta poi da un altro colpo. Mi coprii la testa con le mani e l’abbassai: solo quando il rumore del colpo sparì in lontananza la rialzai e guardai davanti a me.

Quello che vidi mi fece rimanere a bocca spalancata.

Pochi metri davanti a noi, una figura con dei jeans strappati e una maglietta a maniche corte bianca e nera ci stava puntando contro la sua pistola a raggi grigia. Aveva un sorriso soddisfatto e cattivo in faccia, e gli occhi azzurri gli splendevano come non avevo mai visto, mentre i capelli biondi erano in perfette condizioni, come se fino a quel momento non avesse combattuto nell’atrio.

E a quanto pareva non ci aveva combattuto per niente.

“Ehilà, ragazzi. Anche voi da queste parti?”

Con un esclamazione di sorpresa, mi resi improvvisamente conto di una cosa: la voce che sentivo nei miei sogni, quella che mi diceva che non era un incubo ma la pura e fottuta realtà e che dovevo arrendermi perché tanto mi avrebbero presa… era la sua.

“Tu, pezzo di…” iniziò Joshua, ma Gavin sparò un altro colpo (che fortunatamente non andò a segno), si voltò e girò l’angolo del corridoio appena dietro di lui. Showpony non perse un attimo di tempo, si rimise in piedi e iniziò a pattinare a tutta velocità dietro il ragazzo. Io tornai in piedi non appena lui svoltò l’angolo, e iniziai a correre per raggiungerlo. “Joshua! Torna indietro!” gli urlai, ma lui sembrò non sentirmi oppure mi ignorò.

Svoltato l’angolo, lo vidi girare un altro angolo un paio di metri più in là. Con un sospiro scocciato, presi fiato e continuai a corrergli dietro, mentre pensavo: Giuro che, se ci siamo persi qui dentro, quando lo acchiappo lo riporto nell’atrio di forza, dovessi anche trascinarlo di peso!

Girato l’ennesimo angolo sbucai in un corridoio bianco lungo più o meno trenta metri: Joshua era circa a metà, e Gavin stava perdendo terreno. Meglio, non vedevo l’ora di fare un cazziatone a tutti e due, e avevo anche una mezza idea di picchiare pesantemente il biondo. Con la pistola a raggi ancora stretta nella mia mano, corsi più veloce che potei, cercando di raggiungere i due ragazzi, ma loro svoltarono l’angolo successivo non appena io arrivai a metà del corridoio. Feci un ultimo sprint finale e girai anch’io l’angolo, pronta ad affrontare qualunque cosa fosse successa.

Ma quello che successe non me lo sarei mai immaginato.

Nel corridoio successivo Gavin era scomparso nel nulla: al suo posto erano apparsi due Draculoidi, che stavano tenendo fermo Joshua per le braccia. Lui si stava dimenando per cercare di liberarsi, ma era tutto inutile; la sua pistola a raggi fucsia era qualche metro dietro di lui, lontana perfino dalla mia portata. Alzai la mia pistola e la puntai verso il Draculoide alla mia sinistra, ma una voce alle mie spalle mi fermò ancora prima che potessi premere lievemente il grilletto.

“Sei veramente sicura di volerlo fare?”

Ansimando lievemente, mi voltai: Korse mi stava fissando con i suoi occhi neri e con la sua pistola a raggi ancora nel fodero ma bene in vista. Presi fiato e coraggio e dissi: “Perché non dovrei esserlo?”

“Vedo che siete riusciti a entrare qui dentro,” continuò lui ignorando la mia domanda. “Potrei esserne sorpreso, se non avessi saputo fin dall’inizio cosa volevate fare.”

Lo fissai stupita, e percepii anche lo stupore di Evelyn e Joshua. “C…cosa?” balbettai.

Rise. “Pensavate davvero che non ci saremmo accorti che qualcuno stava entrando nelle nostre frequenze al di fuori da questa città? Non ci abbiamo messo molto a capire da dove e da chi proveniva il segnale, ma abbiamo preferito lasciarvi credere che tutto stesse andando per il verso giusto.”

Ecco perché la sbarra al posto di blocco era alzata, pensai velocemente prima di tornare a concentrarmi sull’uomo, che continuò a parlare: “Non ti sei nemmeno resa conto che era un suicidio entrare qui dentro in questo modo?”

“Per ora siamo ancora tutti vivi, mi sembra. E chissà, forse riusciremo a fare qualcosa, a farvi crollare. Forse proprio adesso.” Alzai di nuovo la pistola e la puntai con mano ferma contro Korse. “Proprio in questo modo.”

“Ribelli,” mormorò lui disgustato. “Pensate sempre di poter cambiare il mondo da un momento all’altro, ma non pensate mai alle conseguenze.” Indicò un punto alle mie spalle. “Ricordati che ho il tuo amico.”

“E cosa potresti fargli?” chiesi con un sorriso di sfida. “L’avete fatto diventare uno dei vostri e poi è tornato sé stesso, cos’altro potreste fargli?”

Il mio sorriso scomparve non appena da dietro di me arrivò il rumore di un colpo messo in canna. Non mi presi nemmeno la briga di voltarmi. Sapevo già quale insopportabile spettacolo ci sarebbe stato davanti ai miei occhi: e non era decisamente il momento ideale per vedere Joshua con una pistola a raggi puntata alla gola. Iniziai a respirare più lentamente, ma non accennai ad abbassare la mia pistola.

Korse rise di nuovo. “Sei tenace, devo ammetterlo. Ma…” Fece una pausa. “… se sottoponessimo di nuovo il tuo amico al trattamento potrebbe non tornare mai più come prima, sai?”

NO!

“Tu e gli altri… ‘ribelli’ andatevene, e io forse lo risparmierò.”

Abbassai leggermente la pistola e mi voltai verso Showpony, come per chiedergli cosa fare. La sua espressione era nascosta dalla visiera dal casco, ma potevo quasi sentirlo dirmi Vattene, porta in salvo gli altri. Me la caverò in qualche modo. Impercettibilmente, mi fece segno col mento di andare via, di tornare nell’atrio.

Joshua…

Sfinita, abbassai definitivamente la pistola e corsi via con le lacrime agli occhi, lontana da quel corridoio. Nessuno mi inseguì, nessuno mi richiamò indietro. Ritrovai facilmente la strada e tornai quasi subito nell’atrio. Non mi diedi nemmeno un’occhiata intorno e corsi subito da Bubble Tower, vicino all’ascensore. Quando mi vide correre verso di lui, si tirò giù il foulard che usava per coprirsi il volto e disse: “Venom, cosa…”

“Dobbiamo andarcene!” urlai, interrompendolo. “Chiama gli altri e dì loro che dobbiamo andare via da qui, subito!

Mi prese il viso tra le mani. “Perché? Cos’è successo?” Si diede un’occhiata intorno, poi spostò di nuovo lo sguardo su di me. “Dov’è Showpony?”

Inghiottii le lacrime, non sapendo da dove iniziare. “Gavin… Gavin ci ha traditi tutti! Forse era una spia di Korse o qualcos’altro, non lo so, ma ha sparato a me e a Showpony, lui l’ha inseguito e poi…” Mi morsi il labbro inferiore. “Lo hanno preso in ostaggio, hanno detto che gli avrebbero fatto del male se non ce ne fossimo andati adesso!”

Bubble Tower mi guardò sconvolto e mormorò qualcosa come ‘Oddio’. Levò le mani dal mio viso. “Corri ad avvisare Letter Bomb, lei…” Smise improvvisamente di parlare e fece un leggero movimento in avanti, come se avesse una convulsione in piedi. Lo afferrai per le spalle per sostenerlo e tenerlo in piedi, ma stava diventando sempre più pesante ed era difficile reggere un tizio alto un metro e novanta e pesante chissà quanti chili. Dall’angolo della sua bocca iniziò a scendere un filo rosso di sangue che gli macchiò il foulard giallo.

“Bubble Tower!” urlai, preoccupata. Vedendo che non mi rispondeva, mormorai: “Thomas? Thomas, che ti succede?!”

Lui non mi rispose, e il suo corpo si accasciò pesantemente sul pavimento bianco quando non riuscii più a sostenerlo.

Rimasi immobile a fissare il corpo mentre i colpi volavano intorno a me: una macchia color rosso scuro gli si stava allargando sul petto dove il proiettile l’aveva colpito. Gli occhi blu-viola erano spalancati e fissavano il soffitto senza poterlo più vedere. È morto.

Avrei voluto portare via il suo cadavere, seppellirlo nel deserto accanto alle sue radio come avrebbe voluto… ma non potevo portarlo via durante la ritirata, sarebbe stato soltanto un peso inutile e pesante. Col cuore gonfio di tristezza e ingiustizia, mi voltai e raggiunsi Letter Bomb dall’altra parte della sala. Mi lanciò un’occhiata da dietro la sua mascherina viola e io le dissi: “Andiamocene da qui, ora!

Mi guardò un attimo sorpresa, poi afferrò il braccio di Amy (che stava dando del filo da torcere a un paio di Draculoidi insieme a Grace e Taylor) e corse verso la porta da dove eravamo entrati. Tutti gli altri ragazzi, vedendola andarsene, spararono gli ultimi colpi e la seguirono, scavalcando i corpi di nemici e amici e calpestando vetri e proiettili. Quando uscii dalla porta, mi voltai di nuovo verso l’atrio e cercai con lo sguardo il corpo di Thomas. Lo trovai poco dopo, all’estrema destra, sdraiato per terra con la pistola a raggi ancora stretta in mano. Il suo sangue aveva ormai raggiunto l’immacolato pavimento bianco e si stava riversando in una pozza rossa che mi dava il voltastomaco solo a vederla. Respingendo ancora una volta le lacrime, mi voltai e iniziai a correre lontana.

Qualche metro più in là Amy, tenuta per mano dalla sorella, mi raggiunse insieme alle bambine. “Perché ce ne andiamo così, Eve?” mi chiese.

Non seppi come spiegargli tutto e improvvisai. “A-Amy, è successo un casino terribile. Gavin era una spia e Joshua…” Feci una pausa e cambiai discorso. “Bubble Tower è morto.”

Cosa?” Rallentò il ritmo della sua corsa fino a fermarsi, e così feci anch’io. Guardò un punto nella mia direzione, stupita e incredula. “M…morto?”

“Mi dispiace. Gli hanno sparato mentre stavo parlando con lui, non ho potuto fare niente per aiutarlo.”

I suoi occhi verdi brillarono e due lacrime le scorsero giù per le guance. Se ne accorse e se le asciugò. “V-va tutto bene,” disse con la voce tremante. “P-Poteva succedere, lo sapevo. Andiamo via da qui, per favore.” Senza darmi il tempo di replicare, diede una spintarella a Taylor e iniziò a correre davanti a me. Mi scambiai un’occhiata con Grace e poi iniziammo a correre anche noi, superando le altre due e ritrovandoci in breve tempo in cima alla fila dei fuggitivi.

“Joshua è davvero rimasto lì dentro?” mi chiese la bambina preoccupata.

“Sì. Ma lo torniamo a prendere, stai tranquilla. Io…”

Non riuscii mai a finire la frase.

Una scarica di proiettili risuonò alle nostre spalle, e io feci appena in tempo a buttare per terra me e Grace che una raffica di colpi passò sopra le nostre teste. Circondai la bambina con le braccia e le tappai le orecchie, desiderando che qualcuno facesse la stessa cosa con me. Dopo qualche secondo, non appena il rumore cessò velocemente come era iniziato, osai alzarmi lievemente e darmi un’occhiata alle spalle.

Sbarrai gli occhi in un’espressione di incredulità e dolore.

No…

C’erano una quindicina di corpi sdraiati per terra, e non uno di loro accennava a muoversi di nuovo. Qua e là c’erano degli sprazzi e schizzi di sangue, e delle pistole a raggi inutilmente sfoderate per difendersi. Riconobbi i capelli neri di Letter Bomb immersi nel suo stesso sangue assieme alla sua mascherina viola. Mi costrinsi a muovere lo sguardo per cercare le uniche altre due persone che volevo fossero sdraiate per terra ancora vive. Ma, per quanto pregassi, alla fine le vidi: erano nella stessa posizione in cui eravamo io e Grace, ma erano state troppo lente e Amy e Taylor erano state colpite prima di potersi rifugiare a terra.

“E-Eve…” La bambina accanto a me tremava, e non soltanto nella voce. “C-Che è successo?” Al mio silenzio urlò in risposta: “Eve?!

“…Alzati.” Mi alzai in piedi e dovetti aiutare lei, ancora mezza confusa. “Corri alla macchina e non ti guardare mai indietro, arrivo subito,” le dissi. Fece un cenno veloce con la testa e corse verso l’auto. Lanciai un ultimo sguardo alla distesa di corpi e poi lo alzai verso le finestre della Better Living. Dove sei, Joshua? chiesi in silenzio. Sospirai. Resisti, vengo a prenderti. Feci un passo indietro, mi voltai e mi diressi anch’io verso la macchina.

Grace si era già sistemata sul sedile posteriore, io invece mi misi al posto di guida. Girai la chiave nel quadro e il motore rombò. Seguendo le poche istruzioni che avevo ricevuto su come farla andare in caso di bisogno, riuscii a fare inversione e a prendere la strada verso il tunnel. Passando davanti allo spiazzo davanti al grattacielo, la bambina non potè fare a meno di dare un’occhiata. A quella vista, scoppiò a urlare e a piangere nello stesso istante: non so se avesse visto anche i corpi di Amy e Taylor, ma non volli indagare. Rimasi sorda ai suoi lamenti e tirai dritto fino al tunnel; la sbarra era sempre alzata, e non mi girai a controllare che si richiudesse dopo il nostro passaggio.

E soltanto allora, al buio e fuori da Battery City, le lacrime iniziarono a scorrermi lungo le guance.

*
Trenta recensioni in soli sei capitoli.
...
Cazzo, penso che scoppierò a piangere. *scoppia a piangere di felicità*
A kiss and I will surrender, Sunshines. Grazie mille. <3
Dawn_: noooo, non vieni? Mi dispiace tanto ç__ç Vai a trovare l'ispirazione, voglio sapere come finisce la storia di Hollow e Gee!
alessiafavaron: colpo di scena? Quale colpo di scena? *scappa via*
Lady Numb: sììì, il Nano arriva tra poco :D Io che so tutto! AHAH Non è assolutamente vero, e non ho idea di come sarà la maglia con le date. Comunque, io ho intenzione di rifarmi il guardaroba in un'unica serata (mia madre tace e acconsente... brava, mamma, brava *pat pat*)
burningSUN: a dire la verità, la serie finisce con questa storia D: Uuh, anche tu sei toscana? Che bello, Firenze è la mia seconda casa, ci vado quasi una volta al mese (soprattutto perchè c'è la Melbook dove faccio incetta di libri e fumetti ù.ù)
Angel_made_from_neon: Amy eroina alla Daredevil, mi piace un sacco = )
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-19 al The Best Day Ever

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Capitolo 8
*** Of Possibilities And Returns ***


Of Possiblities And Returns

 

“È… è stato orribile, Dr. D. Non ho potuto fare niente per aiutarli, li ho soltanto portati al suicidio.” Mi presi la testa tra le mani e abbassai lo sguardo. “Mi sento una merda. Anzi, dire che mi sento una merda è un eufemismo.”

Il Dj non mi rispose, impegnato a guardarmi e a pensare a chissà cosa. Fuori si sentiva il rumore del vento e dei sassi che Grace stava lanciando a casaccio nel deserto. Erano passati tre giorni da quella specie di suicidio di massa, e né io né lei avevamo ancora metabolizzato bene cos’era successo. Io, più che altro, non riuscivo a smettere di pensare a Joshua, intrappolato dentro la Better Living.

“E adesso ci ritroviamo soltanto in tre per colpa di una spia e Showpony è prigioniero a Battery City,” mi sfogai, senza riuscire ad arginare il fiume di parole che mi usciva dalla bocca. Era un miracolo se, insieme a quelle, non stessero scorrendo anche le lacrime. “È impossibile che qualcuno si unisca a noi, adesso, e non posso fare niente per andarlo a salvare!”

Il Dr. Death Defying rimase pensieroso un ultimo istante, poi si rivolse a me. “Un modo c’è.”

“E quale?” sbottai, guardandolo negli occhi. “Anche se esistesse come potremmo farcela? Cosa potrebbero fare una quindicenne, una bambina di dieci anni e il Dj di una radio clandestina confinato su una sedia a rotelle?!”

Dopo il mio urlo calò il silenzio, e il mio imbarazzo crebbe. Abbassai lo sguardo e mormorai: “Scusa, non volevo dirlo.”

Fece un cenno con la mano. “Tranquilla, è normale che tu faccia così. E poi hai ragione, noi tre da soli non possiamo fare nulla e sicuramente non arriverà qualche altro ‘risvegliato’ da Battery City.” Mi mise una mano sulla gamba. “Ma c’è qualcun altro che può darci una mano.”

“Chi?” gli chiesi ingenuamente. Provai a cercare la risposta nei suoi occhiali da sole, ma lì dentro non c’era. Pensai a chi si potesse riferire mentre vagavo con lo sguardo nella baracca del Dr. D, e il mio sguardo mi cadde involontariamente su un simbolo giallo disegnato sul muro dentro a un cerchio: una pillola con una X sotto, come un futuristico Jolly Roger.

E capii.

Misi le mani avanti, come se volessi proteggermi da quell’idea. “N-No. Non posso farlo, non posso tornare laggiù.”

“Perché?” mi chiese il Dj.

Perché?” ripetei incredula: era davvero così difficile da capire? “Perché sono dieci mesi che mi stanno cercando! Se torno e qualcuno mi riconosce non farò più vita: mi chiederanno dove sono stata e con chi ero, perché sono scomparsa nel nulla… E come minimo non mi permetterebbero più di uscire da sola, e non riuscirei più a tornare qui!” Alzai lo sguardo verso di lui e mormorai: “Ti prego, non chiedermi questo. Preparerò un piano, andrò a Battery City da sola se necessario, ma non posso tornare nel mio mondo!”

“Venom, calmati!” mi disse lui prendendomi le mie mani tra le sue, e io obbedii all’istante. “Non ti sto costringendo a tornare, ma è una possibilità che devi prendere in considerazione. Sei abbastanza intelligente da capire che da sola non ce la puoi fare e che io e Grace non siamo un valido aiuto. La scelta è tua, ma promettimi di non fare pazzie o eroismi inutili.”

Annuii lentamente, scesi dal tavolo dove ero seduta e uscii fuori dopo aver salutato il Dr. D. Recuperai Grace, seduta con la schiena al muro della baracca, e insieme ci avviammo a piedi verso il Diner. Avremmo potuto prendere la vecchia macchina di Frank, ma non me la sentivo di rischiare a guidare da sola. Rimanemmo in silenzio per un po’, poi la bambina trovò il coraggio di chiedermi: “Cosa ti ha detto il Dr D?”

Deglutii, presi fiato e dissi: “Bè… immagino che tu sappia che io, Party Poison e gli altri veniamo… veniamo da un altro posto, e che loro sono tornati laggiù sei mesi fa, giusto?”

Annuì energicamente.

“Okay. Vedi, uhm, il Dr. D mi ha detto che forse… forse potrei tornare in quel posto e chiedere a loro quattro di tornare qui ed aiutarci.”

Il suo viso si illuminò di gioia nel sentire quella notizia e iniziò a rallegrarsi. “Davvero? Davvero torneranno per darci una mano a liberare Joshua?”

“Credo di sì, ma…” Deglutii di nuovo. “… io non voglio tornare in quel posto.”

Grace si incupì. “Perché?”

Perché, perché… Come te lo spiego? “Perché quando sono tornata in California da te e Joshua io sono scappata da casa mia. E adesso è quasi un anno che mi cercano, e non mi lascerebbero più andare via se mi trovano e mi riconoscono.” Percorremmo qualche altro metro in silenzio, poi mi girai verso la bambina e le chiesi: “Secondo te cosa dovrei fare?”

Lei mi guardò, ci pensò su un attimo e poi disse: “Potresti provare. Potremmo andare tutte e due, così faremmo più in fretta e torneremo qui prima che possano riconoscerti. Anche se devo dirti che sei cambiata molto in questi mesi.”

La guardai stupita. “Davvero?”

Annuì. “Forse io non ti riconoscerei.”

Le sorrisi di gratitudine e continuammo a chiacchierare allegramente fino al Diner, ma in realtà io stavo ancora pensando alla cosa giusta da fare e alla scelta che, inevitabilmente, dovevo fare.

 

Quella sera ero sdraiata sul mio letto con ancora i miei vestiti addosso. La poca luce della luna e delle stelle entrava dalla finestra e illuminava il pavimento accanto a me. Potevo quasi sentire il lieve respiro di Grace addormentata nell’altra camera tanto era profondo il silenzio. Mi rigiravo tra le mani la collana di Joshua davanti ai miei occhi; feci un sospiro e alzai gli occhi al soffitto, senza smettere di rigirare la collana. “Cosa pensi che dovrei fare?” sussurrai a bassa voce per non svegliare la bambina.

Devi tornare, Eve. Non puoi andare a Battery City da sola e pensare di farla franca. Evelyn deglutì prima di dire: Guarda cos’è successo l’ultima volta.

I muscoli del mio corpo si irrigidirono per un istante: certo, l’ultima volta che ero stata impulsiva e mi ero avventurata a Battery City per andare a liberare Showpony mi avevano catturata per una settimana e portavo i segni di cosa mi avevano fatto sulla mia pelle e nei miei ricordi. Ricordavo ancora come avevo urlato a Gerard ‘Non portarmi là dentro!’ mentre mi stavano portando fuori dalla Better Living ed eravamo passati davanti alla porta del laboratorio. Quanto ci avrei messo per superarlo?

“Ma non posso tornare laggiù. Non posso, non posso farlo.”

E perché?

“Ti sei scordata che sono scappata da Manhattan dieci mesi fa e che mi stanno ancora cercando?” sbottai più acida di quanto volessi. “Non mi farebbero andare via di nuovo tanto facilmente, e anche scappare di nascosto sarebbe quasi impossibile.” Feci una pausa e guardai la pietra della collana. “È buffo, ma ho paura.”

Non è mai divertente avere paura, a volte è quello che ti salva la vita. Evelyn sospirò. Dammi retta, torna a Manhattan, anche solo per poco tempo. In questa situazione non puoi permetterti di affidarti all’istinto. Possiamo…possiamo provare. Una sola possibilità, e se non funziona torniamo qui e buttiamo giù un piano.

“È proprio questo quello di cui ho paura,” mormorai. “Ho paura di dover tornare qui da sola senza nemmeno uno dei ragazzi. Di dover affrontare Battery City da sola e di rischiare di morire là dentro. L’unica cosa tranquilla che potrei fare sarebbe arrendermi e far morire la nostra ribellione, ma non ho alcuna intenzione di farlo.” Strinsi stretta la pietra nel mio pugno: chissà perché, adesso mi sembrava che tutta la mia paura fosse scivolata via, e che sapessi esattamente cosa fare. “I Killjoys non muoiono mai, e se vorranno uccidermi dovranno tirare fuori la vita a forza dal mio corpo.”

La sentii sorridere. Adoro quando fai così! esultò, prima di chiedermi, euforica: Allora torniamo a Manhattan?

“Ci puoi giurare,” dissi con una fredda determinazione. Guardai un’ultima volta la collana prima di metterla di nuovo dentro la maglietta. “Andiamo a prendere i Killjoys e a fare il culo ai Draculoidi.”

 

La mattina dopo, non appena mi svegliai, corsi nell’altra stanza a cercare Grace. Quando aprii la porta quasi non la vidi, raggomitolata com’era sotto le coperte: aveva la testa completamente tappata, tranne che per qualche ricciolo ribelle che usciva allo scoperto sul cuscino. Con un sorriso, mi avvicinai a lei e la scossi leggermente per una spalla: lei mormorò qualcosa nel sonno e si girò dall’altra parte. “Grace, svegliati, non abbiamo tutta la mattina,” le sussurrai, ma lei mi ignorò e si riaddormentò di nuovo. Alzai gli occhi al cielo, divertita. A mali estremi, estremi rimedi. Tesi le mani avanti e iniziai a farle il solletico.

La bambina si agitò dentro il letto e scalciò via le coperte, ridacchiando e facendole cadere sul pavimento. “Basta, basta, basta!” urlò, ma io non smisi finchè lei non saltò in piedi. Mi guardò con i suoi grandi occhi azzurri e mi chiese senza parlare: Hai deciso cosa fare?

Presi un respiro profondo. “Preparati, andiamo a casa mia.”

Lei fece un sorriso enorme e, prima di scendere al piano di sotto, mi abbracciò per un attimo, come a volermi ringraziare. Ricambiai l’abbraccio e poi la lasciai andare al pianterreno. Mentre lei faceva colazione, io rovistai tra i miei vestiti e quelli che erano stati dei ragazzi per trovare qualcosa che passasse abbastanza inosservato a Manhattan; alla fine optai per un paio di jeans neri, i miei anfibi e una maglia blu. Grace mi raggiunse poco dopo e si vestì anche lei più normalmente che potè, mentre nel frattempo io mandavo un messaggio al Dr. Death Defying via radio. Facendo attenzione che la bambina non mi sentisse, alla fine aggiunsi a bassa voce: “Se tra una settimana non torniamo… non so, inventati qualcosa. Cercherò di fare il più presto possibile, lo giuro.” Spensi la comunicazione proprio mentre Grace scendeva al piano di sotto e mi raggiungeva: vestita con abiti normali, sembrava quasi una bambina di dieci anni come tutte le altre. Le sorrisi e poi uscimmo dal Diner.

Non ci eravamo portate armi dietro: era stata una mossa azzardata, ma non avevo voglia di presentarmi a Manhattan con una pistola a raggi infilata nella cintura. Ma stranamente era tutto tranquillo, non c’era nemmeno un Draculoide di ronda, e raggiungemmo il cartello che indicava l’ingresso a Battery City senza problemi. Sentii la bambina irrigidirsi nel vedere il profilo dei grattacieli, ma la tranquillizzai: “Va tutto bene, tranquilla. È da qui che dobbiamo partire.”

Lei mi rivolse uno sguardo confuso, ma non disse nulla e si limitò a prendermi per mano e a fidarsi di me. Feci un respiro profondo e mi diressi verso il ciglio della strada accanto al cartello: non sapevo se il passaggio ci fosse ancora o no, ma tutte le mie speranze erano rivolte in quell’unico punto di deserto. Non lasciai per un istante la mano di Grace mentre i minuti passavano.

E passavano.

E passavano.

Ma non succedeva niente.

Ti prego, ti prego, ti prego…

La bambina aprì bocca per farmi una domanda, ma in quel preciso istante sentimmo qualcosa sollevarci da terra verso l’alto, verso il sole splendente. La sentii urlare e le dissi: “Non ti preoccupare, va tutto bene!”, ma le mie parole erano perse nell’aria intorno a noi.

Risalimmo sempre di più finchè tutto non diventò confuso e…

 

“Ahi!”

“… Ti sei fatta male?”

“Sono atterrata sull’asfalto, credo di essermi sbucciata il ginocchio!”
“Fa’ vedere.” Mi avvicinai a lei e le guardai la presunta parte ferita, ma non c’era né traccia di sangue né uno strappo nei pantaloni. “Non hai niente, forse ti è sembrato,” la rassicurai prima di alzarmi in piedi e dare una mano a lei. Mi guardai intorno, e non fui sorpresa di vedere che eravamo finite in un vicolo, reso cieco da un muro tra due palazzi qualche metro più in là. Una scalette di ferro su uno dei due muri portava in cima al tetto, lo stesso tetto da dove avevo raggiunto la California. Presi la mano di Grace, disorientata, e la portai all’imbocco del vicolo. Nemmeno io ero più abituata allo spettacolo davanti ai nostri occhi.

I grattacieli di Manhattan risplendevano nella luce del primo pomeriggio, illuminando i marciapiedi e la moltitudine di persone che vi camminava sopra: ragazzi, donne, vecchi, uomini d’affari… Le macchine e i taxi imbottigliati nel traffico non smettevano un attimo di suonare il clacson, e le voci erano così tante che pensai che la mia testa sarebbe scoppiata per il troppo rumore. Sentii la bambina stringere ancora più forte la mia mano, spaventata da tutto quel casino: risposi alla stretta, presi un respiro profondo cacciando indietro le mie paure e uscimmo tutt’e due dal vicolo, dirigendosi alla nostra sinistra.

Non ero più abituata a stare in una città, e si vedeva: mi giravo continuamente da tutte le parti per vedere se qualcuno ci stava seguendo o osservando, ma ovviamente nessuno faceva caso a una quindicenne e a una bambina che era di sicuro sua sorella. E le voci… Dio, quelle voci mi risuonavano veloci nella testa, rimbalzavano da tutte le parti e mi impedivano di concentrarmi sulle cose importanti: non ero più abituata a tutte quelle voci dopo diversi mesi passati ad ascoltare il silenzio del deserto o, al massimo, il rumore di una sparatoria.

Grace dovette aggrapparsi a me ancora più forte per evitare di essere investita. “Come troviamo Party e gli altri?” mi chiese, quasi gridando per sovrastare il rumore della folla.

“Io…” iniziai, ma non sapevo nemmeno cosa dire: mi diedi un’occhiata intorno per cercare ispirazione, ma non la trovai. Quando stavo per confessare alla bambina che non avevo la più pallida idea di dove cercarli, un manifesto comparve sul muro alla mia sinistra e mi fece fermare: il ragno nero dei Killjoys ci fissava impassibile e la scritta rossa MY CHEMICAL ROMANCE – WORLD CONTAMINATION TOUR – STASERA, H 21, THE CAGE mi balzò velocemente davanti agli occhi.

Feci un immenso sorriso e mi voltai verso Grace, che stava ancora cercando di capire cosa stesse succedendo. Di sicuro i miei occhi brillavano quando le chiesi: “Sei mai stata a un concerto?”

*
Sunshines, chi di voi ha ascoltato la versione di SING di Glee? Sinceramente sono rimasta sconvolta, mi sembra che quei ragazzi siano riusciti ad arrivare al cuore della canzone, non so se capite cosa intendo o_O
Scusate se non rispondo alle recensioni, ma devo scappare via o mi uccidono. Ringrazio comunque chiunque ha commentato, mi dispiace di aver fatto piangere Lady Numb (perdono! ç_ç) e sconsiglio a Kumiko_Chan_ di mettere la sua salute mentale nelle mie dita e nella mia tastiera ù.ù
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine1
-17 al The Best Day Ever

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Capitolo 9
*** Of Concerts And Reunions ***


Of Concerts And Reunions

 

The Cage era una grande arena adibita a concerti e manifestazioni nella periferia nord di Manhattan: un immenso prato circondato da una recinzione di metallo che i ragazzi scavalcavano spesso per poter passare un paio d’ore tranquille lì dentro. Credo che fosse proprio per la recinzione che lo circondava su tutti i lati che si chiamava The Cage, La Gabbia. Solitamente d’inverno era chiuso e coperto di neve, ma in primavera, estate e autunno si animava di musica, luci e voci. In tutta la mia vita c’ero stata solo un paio di volte, in occasione di un concerto degli Evanescence e per un festival di musica tradizionale celtica a cui mi aveva portato un mio amico.

Arrivate al The Cage ci dirigemmo il casotto della biglietteria (una specie di capanno degli attrezzi davanti al cancello dell’entrata principale) e rimanemmo in fila per quasi un’ora prima di raggiungerla. Non avevo idea di come pagare i biglietti: mi ero portata dietro una cinquantina di dollari, ma di sicuro li avrebbero considerati falsi dopo aver notato che erano stati coniati nel 2018. La bigliettaia, una trentenne che manifestava un’evidente voglia di essere da qualunque altra parte tranne che lì, mi rivolse uno sguardo annoiato e disse: “Sì?”

“Due biglietti per il concerto di stasera.”

Lei rivolse uno sguardo al computer e poi disse, con la stessa aria di noia: “Tutto esaurito.”

Deglutii. Merda, non ci ho pensato! Era ovvio che un concerto dei My Chemical Romance in quel posto striminzito avrebbe fatto sold out, ma non rinunciai e chiesi: “Sicura? Non è rimasto nemmeno un biglietto per un posto sulle gradinate o in ultima fila?”

“Tutto esaurito,” ripetè lei meccanicamente.

Decisi di giocare la mia ultima carta. Feci una faccia il più triste possibile (non fu difficile, dato la situazione che avevo lasciato in California) e mormorai alla donna, cercando di non farmi sentire da Grace: “Mi ascolti, per favore. Mia sorella ha dieci anni e una rara forma di leucemia. Le restano soltanto due mesi di vita, e il suo più grande desiderio sarebbe vedere questo concerto. Sa, la musica dei My Chemical Romance l’ha aiutata tanto quando ha scoperto di essere malata; non ci sono proprio due biglietti?”

Lei mi fissò per qualche secondo e pensai di avercela fatta, ma quando aprì la bocca tutto quello che disse fu: “Spiacente, tutto esaurito.”

“Oh, e allora vaffanculo! Se non riesco a tornare in California tra meno di una settimana e Joshua muore, verrò a ucciderti molto lentamente nel sonno!” Tra gli sguardi stupiti delle altre persone in fila, afferrai la mano di Grace e la trascinai via. Qualche metro più in là ci fermammo; la bambina guardò la mia strana espressione e chiese: “C’è un altro modo per entrare?”

Aprii bocca per risponderle di no, ma qualcosa catturò la mia attenzione e mi fece sorridere. “Sì. Sì, c’è un altro modo per vedere questo fottuto concerto.”

 

“Eve, non ci riesco!”

“Zitta e sali.”

“Ma non ce la faccio! Mi fanno male le mani e anche i piedi!”

“Sali.”

“Soffro di vertigini! Vomito se arrivo in cima!”

“Sei capace di arrampicarti anche fino al tetto del Diner, muovi il culo e sali su questa maledetta recinzione!”

Spaventata dalla mia reazione, Grace sollevò i piedi dalle mie spalle e iniziò a scalare la recinzione che circondava The Cage: arrivata in cima, la scavalcò prima con una gamba e poi con l’altra e scese a terra dall’altra parte. Mi fissò attraverso la rete di ferro mentre iniziavo a salire a mia volta. Per me fu più difficile perché i piedi non mi entravano nelle maglie della rete, ma arrivata in cima spiccai un salto e atterrai sul prato piegando le gambe. Controllai che non ci fosse nessuno, anche se il sole stava tramontando, poi mi rivolsi alla bambina. “Okay. Andiamo.”

Facemmo attenzione a non incontrare nessuna guardia della security, ma loro non sembravano essere in giro e sbucammo con discrezione da dietro i gabinetti. Raggiungemmo la folla urlante e in attesa e, tra le proteste e le bestemmie di tutte quelle fan, ci guadagnammo un posto a cinque metri dal palco. Presi Grace a sedere sulle mie spalle, e in quel momento partì il gruppo d’apertura. Non capii il loro nome, ma non erano davvero niente male e mi ritrovai a ballare in mezzo a una folla di totali sconosciuti. Feci scendere la bambina per terra tra le sue proteste, con la promessa di ritirarla su non appena fosse iniziato il concerto vero e proprio.

Dopo un’ora il cantante ci ringraziò a nome della band e lasciò il palco insieme agli altri. La folla intorno a me iniziò a urlare e strepitare, e io e Grace non fummo da meno: io avevo un’adrenalina in corpo che non provavo da un sacco di tempo. Dio, quanto tempo era passato dal mio ultimo concerto? Due, tre anni?

Le luci sul palco si spensero insieme ai miei pensieri.

Vidi un telo nero coprire la visuale sul palco, ma percepivo che lì dietro c’erano delle figure che si muovevano. Iniziammo di nuovo tutte a strillare, a urlare ‘My Chemical Romance!’ per farli uscire allo scoperto e per far iniziare quel sudatissimo concerto. Qualcuno provò i tamburi della batteria e un altro tirò fuori quattro note dalla chitarra, facendoci urlare ancora di più.

Un quarto d’ora più tardi, il telo cadde, ma il resto del palco era ancora buio, illuminato soltanto dai flash delle macchine fotografiche del pubblico. Presi di nuovo Grace sulle mie spalle e la tenni ferma per le gambe: a dir la verità, era una scusa per poter usarle come antistress. L’adrenalina aveva raggiunto livelli altissimi, e dovetti lanciare un urlo per buttarla fuori e iniziare a farla salire di nuovo.

Un paio di luci si accesero sul pubblico, e poi partì un ritmo di batteria che conoscevo bene. Dio, se lo conoscevo bene. Adoravo quella canzone, anche se non avevo mai pensato che l’avrebbero usata per aprire un concerto. Ma mi andava bene così, volevo sentire tutte quelle voci da cui ero stata lontana per più di sei mesi.

Well, are you ready, Ray?” Le fan iniziarono a urlare, finalmente contente di sentire la voce per cui avevano aspettato così tanto.

“È Party Poison!” urlò Grace entusiasta e sorpresa da sopra le mie spalle. “Ma che ci fa lassù?”

“È quello che fa qui,” le risposi. “Canta per il mondo.”

Pensai di scoppiare a piangere non appena sentii la voce di Party Poison: mi aveva consolato così’ tante volte senza saperlo, e, quando lo avevo conosciuto, era sempre stato lì a consolarmi e mi aveva insegnato come usare una pistola a raggi e come sopravvivere nella California del 2019. Ed era stato lui la prima persona che era entrata a liberarmi nella mia cella alla Better Living.

Yeah!

Jet Star. Il caro, vecchio, riccioluto Jet Star. Il miglior distruggi-telecamere in circolazione nel deserto della California, e il chitarrista che avevo sempre ammirato per la sua bravura e i suoi assoli eccezionali. Tra i Killjoys girava voce che fosse il padre illegittimo di Grace, ma non avevo mai voluto indagare fino in fondo per sapere la verità.

How ‘bout you, Frank?

Oh, I’m there, baby!

Una lacrima mi scese lungo la guancia pallida senza che Grace se ne accorgesse. Non avevo mai pensato che quel ragazzo coi capelli neri e gli occhi verdi mi sarebbe mancato così tanto. Fun Ghoul, il mio confidente, il mio migliore amico, quello a cui potevo confidare qualunque cosa e che era sempre pronto a proteggermi… L’unico ad essere lì quando avevo scoperto che Joshua era diventato un Draculoide, e a chiamare gli altri ragazzi per venirmi a dare una mano a Battery City.

How ‘bout you, Mikey?

Fuckin’ ready!

Risi tra me e me: sì, anche Kobra Kid mi era mancato. Il ragazzo sempre pronto a fare il duro e che mi aveva insegnato a volare con le mie ali, che aveva un debole per gli unicorni e Ricky Rebel e che era un caffeina-dipendente pure nel 2019.

Well, I think I’m all right… ONE, TWO, THREE, FOUR!

Le luci sul palco si accesero all’improvviso, illuminando i quattro Killjoys e strappando altri urli a noi fan. Sentivo Grace strepitare sulle mie spalle, ma non ci feci caso: adesso c’eravamo soltanto io e loro quattro, le quattro persone che avevano cambiato la mia vita in modi inimmaginabili e che mi avevano resa la Killjoy e la ragazza che ero adesso.

Il concerto andò avanti per un’ora e mezza, e non smisi un solo secondo di cantare: ogni volta che la mia gola stava per cedere, arrivava un’altra canzone che mi riempiva di energia e mi faceva continuare a urlare e cantare. Quando partirono Bulletproof Heart e Demolition Lovers (un evento più unico che raro!) scoppiai a piangere: erano canzoni che mi facevano venire in mente Joshua, e più volte il pensiero di dove era in quel momento riaffiorava nella mia mente e mi faceva venir voglia di piangere. Party Poison mi fece scatenare, Welcome to The Black Parade mi fece sentire parte di una famiglia, Mama mi fece rabbrividire e mi fece ricordare il modo in cui tutto questo era iniziato, Thank You For The Venom mi accese di vendetta, Our Lady Of Sorrows mi fece urlare a squarciagola. Non ci fu nessuna delle loro canzoni che non mi fece provare un’emozione ogni volta diversa, facendola girare dentro di me come in uno strano caleidoscopio dei sentimenti. Alla fine, dopo aver suonato in modo impeccabile una Helena che mi mandò di nuovo sull’orlo delle lacrime, Gerard si avvicinò al microfono e disse: “Ehi, ragazzi, grazie mille per essere venuti qui. È bello poter tornare a suonare su questo palco dopo così tanti anni, ed è stato così grazie a voi. Voi siete quelli che ci fanno continuare a fare musica, a cantare e a suonare, che ci spronano ad andare avanti nonostante tutto quello che succede. È grazie a voi se noi siamo qui, oggi, e questa canzone, l’ultima di questa serata, è la vostra, ribelli del mondo intero.” Protese il pugno in avanti e urlò, con tutta la voce che gli era rimasta: “KILLJOYS, MAKE SOME NOISE!!

La batteria e la chitarra partirono insieme, trascinandoci in quel vortice colorato di note e parole che era Na Na Na, e nessuno rimase in silenzio: aveva ragione Gee, quella canzone era nostra. Era la canzone dei ragazzi che non si sarebbero arresi davanti a nulla, che avrebbero lottato per quello in cui credevano, e che sarebbero morti piuttosto di diventare corpi senza più nemmeno un briciolo di emozione dentro. Mi sembrò di essere sempre in California, a correre sulle strade inseguita dai Draculoidi o nel deserto ad allenarmi con la pistola a raggi. Non smisi un solo secondo di cantare a squarciagola, e, quando i ragazzi lasciarono il palco, sarei rimasta ancora lì a urlare.

Il pubblico rimase in delirio ancora qualche minuto, poi fece dietrofront e si diresse verso i cancelli per uscire. Io, nuotando attraverso la folla, raggiunsi di nuovo i bagni da dove eravamo sbucate io e Grace, ma stavolta vi trovai davanti una guardia del corpo. Feci scendere la bambina dalle mie spalle e la presi per mano, raggiungendo poi l’omone, che ci sbarrò la strada. “Spiacente, ma non potete passare di qui.”

“Devo andare in bagno!” disse Grace, e io la ringraziai in silenzio per il suo tempismo. La guardia non si lasciò corrompere e rispose: “Devi tenertela fino a casa, non vi faccio passare.”

“Non ci riesco!” Lo guardò con aria di sfida e continuò: “La faccio qui davanti a te se non mi fai andare in bagno.”

L’altro, per tutta risposta, si mise a ridere. Si rivolse a me: “Tenace tua sorella, eh?” Cambiò tono e disse: “Andatevene, se pensate di passare per incontrare la band vi sbagliate di grosso.”

Con un’occhiataccia, mi girai e ci dirigemmo verso i cancelli, che si chiusero alle nostre spalle. Rimanemmo un attimo in piedi lì davanti, al buio e al freddo. Sentii la bambina rabbrividire e poi mi chiese: “Che facciamo?”

Lasciai andare la sua mano e mi diressi alla nostra sinistra, facendole segno di seguirmi. “Di qua, presto!”

Correndo lungo la recinzione, raggiungemmo il punto opposto a quello dei gabinetti e entrammo di nuovo dentro The Cage scavalcando la rete metallica. Ci demmo una rapida occhiata intorno e trovammo il tour bus parcheggiato qualche metro più in là: senza perdere un attimo di tempo ci mettemmo di nuovo a correre in quella direzione facendo attenzione a non essere viste. Stranamente non c’era nemmeno una guardia del corpo in giro, ma sicuramente era meglio così. Ci nascondemmo dietro una cassa e poi ci preparammo per lo sprint finale, ma una mano mi afferrò il braccio destro e la stessa cosa accadde anche a Grace.

“Sbaglio o vi avevo detto di andarvene?” ci apostrofò la guardia del corpo. Assunsi un’aria spaventata e boccheggiai: “La prego, la prego, ci lasci andare, le giuro che non torneremo mai più qui!”

Rise mentre altre due guardie della security ci raggiungevano. “E io dovrei crederti, sporca mocciosetta?”

Sporca mocciosetta? Persi tutta la mia aria da ragazzina spaventata e fissai l’uomo negli occhi con rabbia: come poteva soltanto permettersi di dirmi una cosa del genere? “Lasciaci andare, figlio di puttana, o giuro che ti tiro un calcio dove non batte mai il sole!”

Una delle altre guardie fischiò. “Ehi, ma questa qui da dove viene?”

“Non ne ho idea, ma penso di sapere dove riporteremo lei e sua sorella,” continuò quella che teneva bloccate me e Grace, che non aveva mai smesso di provare a liberarsi. L’uomo ci iniziò a trascinare verso i cancelli, ma noi due cercammo di resistere. Guardai un’ultima volta il tour bus: non poteva finire così, non a pochi metri dalla nostra meta, qualcuno doveva aiutarci… e sapevo anche come.

Feci un respiro profondo e urlai con tutto il fiato che avevo.

Le guardie e anche Grace rimasero sorprese, e quasi subito una mano mi tappò la bocca. “Stai zitta, ragazzina, vuoi farti sentire da tutti?” mi disse qualcuno, ma poi un’altra voce si fece strada sopra la sua. “Ehi, che sta succedendo?”

Mi girai nella direzione da dove proveniva e, con gli occhi che mi brillavano per la felicità, liberai la mia bocca e gridai: “Ray!

Sentii il suo stupore, e poi la sua voce balbettò: “E-Eve? Tu qui?”

Le guardie del corpo erano sorprese quasi quanto lui. “Voi… voi vi conoscete?” mormorò sconvolta una di loro.

“Certo… certo che sì!” esclamò il chitarrista, sicuro. Le guardie si scambiarono un’occhiata stupita e il mio braccio e quello di Grace vennero liberati; la bambina, non appena fu libera, si diresse verso il ragazzo e gli saltò addosso, iniziando a piangere di felicità e a mormorare qualcosa che suonava come ‘Jet Star’. Ray adesso era ancora più sorpreso che mai e abbracciò la piccola per consolarla, poi rivolse uno sguardo alle guardie del corpo e disse: “Potete andare, le porto con me.”

Guardai la prima guardia e le feci una linguaccia in tono di sfida: lui mi guardò come se avesse voluto sfarmi di botte, ma poi rinunciò e se ne andò insieme agli altri uomini. Non appena furono abbastanza lontana, il ragazzo si liberò dall’abbraccio di Grace e mi guardò stupito. “Non… non è un sogno, vero?”

Sospirai. “No, Ray. Sono qui.”

Si riscosse, come se si fosse appena svegliato, e mi afferrò bruscamente per le spalle. “Cosa ci fai qui, Eve? E perché Grace è con te?” Vide il mio sguardo disperato e chiese: “Cos’è successo in California?”

Repressi le lacrime e riuscii a dire solamente: “Ho bisogno di aiuto.”

Mi guardò preoccupato e poi levò le sue mani dalle mie spalle. “D’accordo. Andiamo al tour bus. Ci siamo solo noi quattro, Michael è già andato in albergo.”

Annuii e lo seguii attraverso il backstage: Grace si attaccò alla sua mano e non la lasciò mai più andare. Speravo davvero che i ragazzi accettassero di tornare: non sapevo se sarei riuscita a combinare un piano decente tutta da sola.

Arrivati al tour bus, Ray salì i gradini che portavano fino alla porta e fece segno a me e alla bambina di rimanere fuori. Aprì la porta e infilò dentro la testa, dicendo: “Ragazzi, sono venuti a farci visita.” La voce di Frank – Dio, quanto mi ero mancata! – mormorò qualcosa di poco carino nei confronti dei rompipalle post-concerto, ma Ray non commentò e spalancò la porta per farci entrare. “Dai, venite,” ci incitò.

Spinsi avanti Grace sui gradini e io entrai dentro il tour bus appena dopo lei: Mikey, appoggiato a una delle pareti, fece quasi un salto, e Gerard e Frank, seduti su un divano, ci fissarono a dir poco stupiti.

L’unica cosa che riuscii a fare fu raggiungerli a corsa sul divano e scoppiare a piangere a dirotto.

 

*
Poco più di due settimane, Sunshines. L'ansia mi farà implodere.
Angel_made_from_neon: il primo concerto di Grace sarà sicuramente traumatico XD
Lady Numb: mi sa che per l'incontro devi aspettare il prossimo capitolo D: La versione di Glee come canzone mi è piaciuta, ma il video fa assolutamente schifo >.<
alessiafavaron: sììì, andiamo a fare il culo alla Better Living! (E grazie per i complimenti)
Maricuz_M: e i Killjoys tornano in azione!! ù.ù
genderblender: infuso di unicorno? Spiacente, nel 2019 manco sanno cos'è un unicorno ç_ç Anche a me è tornata l'ansia per il concerto, da morire. Mi chiedo come farò a resistere D: Mi piace un sacco il tuo nuovo nome :D
Kumiko_Chan_: nemmeno quaggiù ci sono manifesti, e nemmeno MCRmy che distribuiscono volantini: anzi, penso che oltre a me e alle mie amiche che ho contagiato non ci sia proprio nessun Romancer *depressione* -.-' Effettivamente le camicie da boscaioli se le potevano risparmiare, vedere quel video è stato un trauma. In bocca al lupo per l'interrogazione, che Showpony sia con te! (E... allenamento di cosa, esattamente?)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-15 al The Best Day Ever *respiroprofondissimo*

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Capitolo 10
*** Of Helps And Explanations ***


Of Helps And Explanations

 

Non mi limitai a saltare sul divano dove erano seduti Frankie e Gee: mi gettai addosso al chitarrista, che mi prese al volo e mi strinse forte tra le sue braccia. Scoppiai a piangere sulla sua spalla come non facevo da giorni, mentre le sue forti braccia tatuate mi stringevano stretta al suo petto e le sue mani mi accarezzavano la schiena. Una terza mano mi accarezzò i capelli, spettinandoli ancora più del solito. Sentii una lacrima atterrarmi dentro la maglietta, e la voce rotta di Frank disse: “Eve, Eve, mi sei mancata…” Dietro di me, sentii che Grace scoppiava a piangere di nuovo e si lanciava addosso a Mikey, che la prese in collo e la strizzò forte per salutarla.

“Ehi, e me non mi considera nessuno?” Qualcuno mi strappò dal forte abbraccio del chitarrista e mi ritrovai improvvisamente accanto a Gerard, che mi guardava con i suoi occhi verdi. Notò le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi e le asciugò dalle mie guance. “Tranquilla, non piangere così.” Vedendo che non accennavo a smettere, si preoccupò e disse: “Eve… cos’è successo?”

Mi guardai intorno: tutti mi stavano fissando, anche Grace. Un’ultima lacrima cadde dal mio occhio destro e poi presi fiato.

E raccontai tutto, ogni singola cosa.

Nessuno osò interrompermi mentre raccontavo cos’era successo negli ultimi sei mesi e in quella maledetta notte a Battery City, e nessuno proferì parola mentre urlavo per la rabbia nei confronti di Gavin e un’altra lacrima mi solcò le guance al pensiero di Bubble Tower morto.

“Il Dr. D mi ha incoraggiata a venire qui per cercare il vostro aiuto,” terminai. “Sapeva che non potevo farcela da sola o con il suo aiuto, e voi… voi siete le uniche persone che possono aiutarmi a uscire da questo casino.” Sollevai la testa e cercai gli sguardi dei ragazzi, tremendamente sconvolti e imbarazzati. Rimanemmo in silenzio qualche minuto, poi dissi, con la voce che tremava: “Lo so cosa state pensando, ma ve lo sto chiedendo quasi in ginocchio. Non posso tornare in California da sola senza di voi e senza uno straccio di piano per andare a Battery City a recuperare Joshua. Ho davvero bisogno di aiuto, e sapete quanto ci metto prima di chiederlo spontaneamente.”

Nessuno disse niente. Presa dal panico, esclamai: “Vi prego, ci metteremmo forse meno di una settimana, non vi chiedo altro, e il tempo qui non passerà nemmeno, ve lo giuro, possa morire in questo istante…” Una mano calò sulla mia spalla e interruppe il mio flusso di parole.
“Ehi, calmati.” Gerard mi guardò serio e con una traccia di comprensione negli occhi. “Non abbiamo detto di no, non l’abbiamo nemmeno pensato. È solo che… bè, dobbiamo organizzarci, non ci immaginavamo una cosa del genere. Sarebbe meglio parlarne domani.”

Domani. Non ero assolutamente in grado di aspettare così tanto, ma abbassai la testa e annuii. Sentii Frank fare un verso frustrato e sbottare: “Andiamo, cazzo! È inutile dire ‘ne parleremo domani’, sappiamo benissimo tutti cosa fare, o sbaglio?” Si alzò in piedi. “Per quanto mi riguarda, non vedo l’ora di una bella sparatoria con dei Draculoidi.”

Il silenzio calò per qualche altro secondo, poi Mikey disse: “Okay, vengo anch’io.”

“Idem,” fu il commento di Ray.

“Bè, a questo punto…” disse Gerard, con un sorriso malefico. “E va bene, andiamo a liberare Joshua e a fare il culo a questo Gavin.”

Io e Grace ci scambiammo uno sguardo esaltato, che la piccola accompagnò con un enorme sorriso. Mentre mi alzavo, però, Gee mi fermò e mi disse: “Eve, non ho detto che partiamo adesso. Aspettiamo domattina, okay?”

Mi voltai verso Frank, ma lui, con un cenno di capo, mi indicò che il rosso aveva ragione. “Okay,” dissi a malincuore.

“Bene.” Mikey rimise Grace per terra e si stirò le braccia. “Che ne dite di andare in albergo? Credo che potrei crollare sul pavimento da un momento all’altro.”

“Ma tu non dovresti essere iperattivo, con tutta quella caffeina che ti scoli?” lo sfottè il fratello con una pacca sulla schiena. Il minore borbottò qualcosa come ‘Senti chi parla’, ma poi lasciò cadere il discorso. “Piuttosto… voi due dove dormite?” intervenne Ray indicando me e la bambina. “Potete prendere la mia stanza in albergo, non è un problema.”

“Non importa, io rimango qui e Grace può dormire con uno di voi,” dissi.

“Sicura?” mi chiese Mikey.

Gli sorrisi. “Ho a disposizione un’intera scorta di cibo, una Playstation e sei cuccette diverse in cui posso dormire: datemi soltanto un pigiama o qualcosa del genere e vedrete che passerò una serata perfetta.”

Rassicurati dalla mia fermezza, i ragazzi acconsentirono a farmi dormire nel tour bus e mi diedero un pigiama che mi stava decisamente troppo grande ma che almeno era comodo. Mi salutarono con la promessa di rivederci il giorno dopo e poi si chiusero la porta alle spalle, lasciandomi dentro il pullman da sola. Mi infilai il pigiama e mi sdraiai sul divano, pronta a godermi una nottata in tranquilla solitudine, come mi piaceva fare quando mamma faceva tardi a lavoro e io rimanevo sveglia fino a notte fonda.

Frugando in uno dei tanti armadietti dell’angolo cucina, trovai una busta di popcorn che aspettava soltanto di essere aperta, e la portai con me sul divano, sedendomi a gambe incrociate con tre cuscini dietro la schiena. Mi rilassai, godendomi i popcorn: finalmente qualcosa da mangiare che non era una di quelle scatolette bianche della Better Living! Non pensavo di tornare alle mie vecchie abitudini così presto.

Il mio programma era quello di rimanere sveglia almeno fino alle sei di mattina, ma ero talmente stanca per il mio arrivo e il concerto che all’una e mezzo mi trascinai fino alla cuccetta più vicina e ci crollai dentro, addormentandomi nel momento in cui la mia testa toccò il cuscino.

 

Due ore più tardi un rumore insolito alla porta del tour bus mi svegliò. Ci misi un po’ a ricordare dove ero, e rimasi immobile al buio senza respirare per vedere se il rumore si ripeteva. E così fu: sembrava che qualcuno volesse entrare a tutti i costi dentro il pullman, senza però riuscirci. Ansimai: chi diavolo poteva essere? La guardia del corpo che voleva vendicarsi per l’offesa di quella sera? Un ladro? Oppure Gavin? Sapevo benissimo che era improbabile, addirittura impossibile che quel traditore biondo potesse avermi raggiunta a Manhattan, nel mio mondo, ma la paura è quella che ti gioca i tiri più brutti, e ti fa credere che tutto sia possibile.

In silenzio, uscii lentamente dalle lenzuola e mi misi in piedi in mezzo al corridoio dove stavano tutte le cuccette, aspettando che il misterioso assalitore si facesse vivo. Sentii il rumore della porta che stava per cedere e mi diressi lentamente verso il salotto. Strada facendo, il mio piede toccò un tubo di metallo che mi sembrò una torcia elettrica: la cercai a tastoni e la presi in mano, convinta che potesse essere un’arma utile contro lo sconosciuto. La afferrai con due mani e la sollevai sopra la mia testa proprio mentre la porta si apriva, lasciando entrare una figura all’interno: sussurrò qualcosa che non riuscii a capire, e mi avvicinai lentamente, pronta a stordirla e a metterla fuori combattimento.

Cinque passi e l’avrei raggiunta.

Ci siamo quasi…

Click.

La luce si accese improvvisamente, facendomi strizzare gli occhi per il passaggio veloce da buio a illuminato. Quando riuscii ad aprirli di nuovo, Frank mi stava fissando stupito con un sacchetto di carta in mano; feci un sorriso tirato e nervoso e balbettai: “Eh… ciao.”

“C… Che stai facendo con un tubo vuoto di Pringles sopra la tua testa?”

“Tubo di…?” Con le guance che stavano andando a fuoco, abbassai le braccia e fissai il tubo di metallo, quello che credevo una torcia: la faccia ovale e baffuta dell’omino Pringles mi fissava come a dirmi Che figura di merda. Lasciai cadere il tubo a terra, visibilmente imbarazzata e cambiai discorso: “Che ci fai qui?”

Ora toccò a lui essere imbarazzato. “Bè… mi sentivo in colpa a lasciarti da sola per tutta la notte, così ho lasciato il mio letto a Grace e sono venuto a dormire qui con te.”

Lo guardai stupita dal suo comportamento: era stato gentile a farlo, e io avevo tanto bisogno di stare un po’ da sola con lui. “Lì dentro cosa c’è?” gli chiesi indicando la busta di carta.

“Qui vicino c’è uno Starbuck aperto anche di notte e pensavo che tu fossi ancora sveglia, quindi…” Sollevò il sacchetto. “Ti piace la cioccolata calda?”

“Da morire.” Mi accomodai sul divano a gambe incrociate: le maniche della camicia erano lunghe almeno dieci centimetri più delle braccia, e la stessa cosa valeva per i pantaloni. Sembrava che mi fossi infilata il pigiama di mio padre.

Frank si sedette accanto a me, aprì il sacchetto e mi passò uno dei due bicchieri di carta, che presi tra le mani. Tolsi il coperchio e fissai la panna sopra la cioccolata: era talmente tanta che avrebbe potuto far diventare bianco persino la cima di un monte. Avvicinai il bicchiere alla bocca e leccai la panna fredda: quando mi girai verso il ragazzo, lui sorrise e indicò un punto sul mio viso. “Hai i baffi bianchi.”

Con un sorriso imbarazzato, li tolsi, leccando la panna sulle mie mani. “Come vanno le cose qui? Insomma, mi stanno ancora… cercando?”

Tornò serio e fissò il suo bicchiere. “Sì, ma dopo dieci mesi hanno quasi smesso di cercarti, e i tuoi genitori sembrano molto più tranquilli.”

“Avete…” Deglutii. “Avete consegnato la mia lettera?”

Annuii. “L’abbiamo portata di persona a tua madre, a casa tua.” Sentendo il mio silenzio, continuò: “Era triste perché non saresti più tornata, ma penso che fosse anche… contenta per te, in qualche modo. Sai, per Joshua e perché eri felice.”

Feci un sorrisetto e lo guardai. “L’avete letta anche voi, vero?”

“Come resistere alla tentazione?” rise lui, ma poi tornò serio e mi guardò con i suoi occhi verdi. “Eve, il fatto è che… abbiamo visto camera tua e tua madre ci ha raccontato di quanto lei e tuo padre stavano divorziando. Che stavi rinchiusa in camera tua ad ascoltare la musica.”

Chiusi un attimo gli occhi mentre migliaia di coltelli mi colpivano: come potermi scordare di quel periodo? Avevo visto il mio mondo peggiorare più del solito, la mia famiglia che si stava disperdendo come sabbia al vento, cos’altro potevo fare se non mettermi le cuffie e vagare nel mio mondo? “Preferirei non parlare di quel periodo,” mormorai, con lo sguardo fisso sulla panna.

“E invece io vorrei parlarne.” Il bicchiere mi venne tolto di mano e appoggiato sul tavolino lì davanti, poi due mani mi afferrarono le spalle e mi costrinsero a fissare gli occhi verdi di Frank: un ciuffo gli copriva parte dell’occhio destro, ma lui non ci fece caso. “Perché non ci hai mai detto niente, Eve?”

“Bè, non è esattamente una cosa da inserire in una conversazione normale, no? ‘Ciao, sono Eve, e sto rinchiusa in camera mia ad ascoltare la musica perché i miei genitori litigano e stanno per divorziare’,” sparai acida. Più calma, ricambiai lo sguardo del ragazzo. “Frankie, io… sono sempre stata una ragazza strana. Ero una nerd, andavo bene a scuola e avevo pochi amici; e come se non bastasse, i bulli mi prendevano di mira un giorno sì e l’altro pure. La mia vita non era esattamente delle più felici, tranne quando mi chiudevo nel mio mondo insieme alla musica. Quando è successo tutto quel casino della Black Parade, credevo… credevo di poter ricominciare da zero, ricostruirmi una nuova vita. Volevo che voi pensaste altre cose di me, non che fossi una sfigata. Non ho mai detto nulla del mio passato perché volevo scordarlo, dimenticarlo, pensare soltanto al futuro. E in qualche modo adesso è così: la vecchia Eve è morta quando sono arrivata in California, adesso ci sono soltanto io.”

Frank rimase un attimo in silenzio, poi mi spostò un ciuffo rosso dietro l’orecchio. “La prima volta che ti ho visto, quando sei atterrata brutalmente per terra con quelle ali nere, pensavo che tu fossi un’imbranata che aveva appena incontrato il chitarrista del suo gruppo preferito in un posto stranissimo. Ma adesso… adesso sembri un’altra persona, e non solo per i tuoi capelli.” Sorrise. “Se volevi dimenticare cosa sei stata, direi che ci sei riuscita alla perfezione.”

I miei occhi si illuminarono di felicità. “Grazie.”

Rimanemmo a chiacchierare del più e del meno per quasi un’ora e mezzo, bevendo le nostre cioccolate e ridendo. Quando iniziai a barcollare anche da seduta per il sonno, Frank mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò verso la mia cuccetta; non appena mi fui sistemata, si levò i vestiti, rimanendo soltanto in boxer, e si sistemò nella cuccetta sopra la mia. Poco prima che mi addormentassi, lo chiamai: “Frankie?”

“Mh?”

“Puoi spiegarmi una cosa?”

“Dimmi.”

Rimasi un attimo in silenzio, poi dissi: “Perché… perché sei così gentile con me? Voglio dire, anche gli altri ragazzi lo sono, ma tu mi tratti come se ci conoscessimo da sempre. Perché?”

Lui non disse nulla e pensai che si fosse addormentato, ma all’improvviso disse: “Sai, penso di aver capito quasi subito che tu non eri così forte come volevi farci credere. Aveva capito che, in fondo, avevi bisogno che qualcuno ti stesse accanto per farti stare meglio, qualcuno di cui ti potessi fidare.” Sentii un sorriso nella sua voce. “E poi, ho sempre desiderato avere una sorellina minore.”

Sorrisi nel buio. Grazie di tutto, Frankie, pensai prima di addormentarmi.

 
*
13 giorni, Sunshines. Daaaai, ci siamo quasi.
E per la vostra gioia, è tornato Frank ù.ù
alessiafavaron: grazie mille per i complimenti! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto ;)
Kumiko_Chan_: anche per me questo concerto è la mia scaletta dei sogni, ogni volta che scrivo una cosa del genere ci infilo Demolition Lovers e prego che loro siano così bravicariniecoccolosi da farla *occhi imploranti* La sera del 7 mi unisco anch'io a scassare le palle a Frank, chissà se non riusciamo a rapirlo decentemente XD E sì, e ora c'è da preoccuparsi di nuovo per quel cretino a Battery City... don't worry, tra poco tornerà anche lui :D AHAH, una volta a me è capitato di vedere un ragazzo con la felpa della Black Parade, ti giuro che sono andata fuori di testa e stavo per andare a chiedergli "Scusa, ma dove l'hai presa?" L'ho cercato per tutto il pomeriggio e non l'ho più trovato. Sfiga. -.-' Nuoto sincronizzato? Wah, che bello! Quando facevo nuoto vedevo sempre quelle del sincronizzato che si allenavano, mi sa di fantastico! :D
Lady Numb: lo sai che mi piace farvi soffrire, pensavo che dopo cinque fanfiction lo avresti capito ù.ù
genderblender: RAy... hai ragione, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo ù.ù
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-13 al The Best Day Ever
 

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Capitolo 11
*** Of Awakenings And Falls ***


Of Awakenings And Falls

 

La mattina dopo fui svegliata da un leggero odore di tè alla vaniglia che aleggiava in tutto il tour bus. Con un mugolio, uscii lentamente dalla cuccetta e mi stirai le braccia. Diedi un’occhiata alla cuccetta sfatta e vuota di Frank prima di raggiungere il salotto e l’angolo cucina: il ragazzo era già lì, in piedi a preparare la colazione con la radio a tutto volume. Si voltò verso di me quando sentì il rumore dei miei passi e mi sorrise. “Buongiorno.”

“’Giorno,” gli risposi assonnata, e mi lasciai cadere su una sedia vicino alla radio: una musica che sembrava provenire dall’Irlanda si stava diffondendo mentre Billie Joe Armstrong cantava “I wanna be the minority, I don’t need your authority, down with the moral majority,‘cause I wanna be the minority!” Esattamente quello che ci voleva per prepararmi ad affrontare quella giornata e il nostro ritorno in California.

Afferrai un pacco di biscotti al cioccolato lì vicino mentre una tazza di tè atterrava sul tavolo. Frank si sedette davanti a me con un’altra tazza che profumava di tè alla vaniglia. Lo guardai stupita. “Ma tu non bevi caffè la mattina?”

“Ti sembro uno dei fratelli Way, per caso?” Lo disse in un tono così ironicamente offeso che scoppiai a ridere. “A proposito, quando hanno intenzione di venire qui?” chiesi.

“Non so…” Guardò l’orologio sulla parete mentre beveva il suo tè. “Sono le dieci e mezzo. Se tra un’ora non sono ancora arrivati li chiamo.”

Feci un cenno d’assenso e mi buttai sul tè e sui biscotti come se non mangiassi da settimane. Il ragazzo mi guardò decisamente stupito. “Hai sempre tutta questa fame la mattina?” mi chiese.

“Ho passato gli ultimi dieci mesi a mangiare solo quella robaccia della Better Living, non rompere e lasciami fare colazione in pace,” dissi ancora assonnata. Lui alzò le mani in segno di resa e finimmo di fare colazione in silenzio, accompagnati dalla musica della radio.

 

Alle undici e mezzo, proprio mentre Frank stava per chiamare Ray e chiedergli dove diavolo erano finiti, la porta del tour bus si spalancò, facendo entrare Grace e gli altri ragazzi. La bambina venne a salutarmi e mi guardò strana: ero ancora in pigiama, coi capelli sicuramente più indecenti del solito e la faccia ancora piena di sonno. “Lo so, sono impresentabile,” le dissi rassegnata. “Dammi il tempo di farmi una doccia e tornerò come sempre.”

Afferrai un asciugamano e andai a farmi la doccia nel bagno striminzito del tour bus, talmente piccolo che anche una persona sola ci entrava malissimo. Mi concessi qualche minuto di relax sotto il getto caldo e mi lavai anche i capelli; approfittai della tinta rossa di Gerard e diedi loro una ritoccata, facendoli diventare di nuovo rossi come il fuoco. Uscii dal bagno vestita e con i capelli bagnati: i ragazzi mi stavano aspettando fuori dal tour bus, pronti a partire. Chiusi la porta del pullman alle mie spalle e poi ci avviamo fuori dal backstage di The Cage. “Allora… come facciamo a tornare in California?” mi chiese Mikey.

Tentennai un attimo. “Penso… penso che voi dobbiate passare da dove è passato Frank l’ultima volta. Portate con voi anche Grace.”

“E tu?”

“Io tornerò dal vecchio vicolo, ho solo bisogno di un iPod con dentro Danger Days.”

Incredibilmente, il bassista tirò fuori dalla tasca del giacchetto un iPod arancione sgargiante e me lo mise in mano. Lo guardai stupita. “Ascolti anche le vostre canzoni?”

“Per le emergenze,” fu la risposta secca. Evitai di commentare e misi l’Mp3 in tasca.

I ragazzi mi accompagnarono fino al famoso vicolo, e guardarono il palazzo da dove mi sarei dovuta buttare. Ray fece un fischio. “Sei sicura che non ti schianterai al suolo?”

“Questa è la terza volta che lo faccio, andrà tutto bene,” gli risposi tranquilla.

Gerard tentennò, non ancora convinto. “Eve, non faresti meglio a venire con noi? Non mi fido a lasciarti qui da sola, e se ti succede qualcosa?”

“Gee, piantala! Ti ho detto che andrà tutto bene, credimi!” Mi voltai verso il vicolo e salutai i ragazzi e Grace con un cenno della mano. “Ci vediamo in California!” urlai loro mentre correvo verso il fondo del vicolo.

Raggiunta la scaletta di ferro, la guardai: era la terza volta che ci montavo, e sarebbe stata sicuramente l’ultima. Con un respiro profondo, mi infilai l’iPod di Mikey in tasca e iniziai a salire i gradini senza mai guardare giù. Arrivata in cima, mi diedi un’occhiata intorno, rimanendo senza fiato: non ero più abituata a tutto quello spettacolo di grattacieli che brillavano alla luce del sole mattutino. Riuscivo a vedere dalle finestre le persone che lavoravano negli uffici, scherzavano con i loro amici, si amavano. Sorrisi malinconica: era tutto così tremendamente semplice, bello e… perfetto.

Mi avvicinai al bordo del tetto e guardai giù nel vicolo: ero abituata a passare di lì, ma stavolta avevo paura. Era davvero una buona idea passare di lì, lanciarmi nel vuoto? Non potevo, forse… rimanere lì, a Manhattan?

Presi in considerazione l’idea: sì, sarebbe stata una cosa da fare. Anche se avevo pochi amici, la mia vita era piena di musica, risate, parole, immagini, e il divorzio dei miei genitori ormai era finito: mio padre di sicuro era già andato ad abitare da qualche parte, e a me sarebbe piaciuto rimanere sola con mia madre, come due sorelle. Non avrei rischiato di essere ammazzata ogni singolo giorno in cui mi svegliavo, e tutto sarebbe andato bene. Tutto sarebbe stato perfetto, avrei potuto continuare a sorridere.

Con un sorriso, mi avvicinai alla scaletta per scenderla, ma qualcosa mi batté contro il petto. Stranita, infilai una mano dentro la maglietta e tirai fuori il colpevole: ai raggi del sole che lo colpivano, il sasso azzurro-verde della collana di Joshua brillava come una piccola stella, e chiedendomi se volevo davvero rimanere lì.

Ci pensai su un attimo, e seppi qual’era la risposta.

Chi volevo prendere in giro? Niente sarebbe stato perfetto: avrebbero voluto sapere dov’ero stata, con chi, perché ero scappata… e mia madre avrebbe voluto sicuramente sapere di cosa stavo parlando nella mia lettera. Al mio silenzio si sarebbe arrabbiata, e, anche se poi avessimo fatto pace, ci sarebbe sempre stato un vuoto incolmabile di parole non dette a separarci. Forse i miei pochi amici si sarebbero allontanati da me, e mi sarei ritrovata più sola che mai. E poi… c’era Joshua. non potevo lasciarlo a Battery City, e sapevo benissimo che, senza di lui, la mia vita sarebbe sembrata vuota. Rischiavo la vita ad essere una Killjoy, era vero, ma diavolo se mi divertivo a scorrazzare su e giù per le Zone.

Che cazzo mi era preso?

Rimisi la collana al suo posto, mi avvicinai al bordo del tetto e, senza nemmeno ripensarci due volte, mi infilai le cuffie e accesi l’iPod. Non avevo dubbi su quale canzone scegliere: avevo bisogno di note forti, dure, quelle che a un concerto ti fanno saltare e scatenare. Premetti Play, feci qualche passo indietro e spiccai un salto nel vuoto mentre Gee mi urlava nelle orecchie: “Ain’t a Dj gonna save my soul, I sold it long ago for rock’n’roll!

Arrivata a metà della caduta aspettai di sentire la barriera che veniva rotta, ma non percepii nulla. Andai nel panico e aspettai ancora, ma alla fine crollai con uno schianto su qualcosa di morbido giù nel vicolo. L’iPod di Mikey volò qualche metro più in là, disintegrandosi completamente.

Non ha funzionato… perché? fu l’ultima cosa che pensai prima di perdere i sensi.

*
Din-don! Comunicazione di servizio per le Sunshines!
Anticiperò l'aggiornamento del prossimo capitolo a domani, se tutto va bene, e non so quando riuscirò a pubblicare gli altri perchè per una settimana a partire da domani ospito una ragazza tedesca per lo scambio scolastico. Quindi, ehr, penso che il capitolo ancora dopo lo pubblicherò lunedì o martedì. Scusatemi per eventuali infarti.
Scusate per il capitolo corto -.-'
Maricuz_M: grazie per i complimenti, fra un paio di capitoli farò scoppiare il casino ù.ù
Angel_made_from_neon: cavoli, ma te stai sempre lì a pensare le peggio cose e a farti i peggio filmini! Sei perfino peggio di me (il che è tutto un dire) XD
Lady Numb: awww, sono contenta di farti sciogliere! AHAH Non preoccuparti, Gavin avrà una bella lezione... *risata malefica*
alessiafavaron: facciamo il culo a tutti ù.ù (e grazie per i complimenti)
Kumiko_Chan_: ADORO tua sorella per il ritornello di Save Yourself XD Una mia amica ha cambiato il ritornello di Destroya con "Sei una troia, una troia" -.-' La tua recensione emana pucciosità da tutti i pori, lo sai? Non so se è per le faccine o i continui riferimenti alla tenerezza del Franco... AHAHAHAH Le Pringles, giuro che a una roba del genere non ci avevo pensato, ce la vedo Eve che picchia Gavin con un tubo di patatine *filmino mentale-time* XD Del destino di Showpony sapremo qualcosa in più tra tre o quattro capitoli, don't worry... (anzi, no, preoccupati). Argh, davvero, manca pochissimo, non so quanto reggerò la tensione (oggi provo a chiedere a mamma se posso darti il mio n. di cellulare... incrociamo le dita!)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-11 al The Best Day Ever

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Capitolo 12
*** Of Hospitals And Escapes ***


Of Hospitals And Escapes

 

Biip.

Biip.

Biip.

Biip.

Ci mancava soltanto che qualcuno iniziasse a cantare “Now come on, come all to this tragic affair, wipe off that make up, what’s in is despair…

Tutto il corpo mi faceva male, e sentivo che c’erano dei lividi da qualche parte sulle gambe. Mi costrinsi ad aprire lentamente gli occhi per mettere a fuoco dov’ero: la stanza intorno a me era bianca, alla mia sinistra c’era una grossa finestra, a destra un lettino vuoto e, poco più in là, una porta azzurra. Ero sdraiata su un altro lettino, con addosso un camice bianco da ospedale, una flebo infilata nel braccio e un apparecchio che controllava il mio battito cardiaco: ecco da dove venivano tutti quei biip. Seguii il tubo della flebo con lo sguardo dalla sacca trasparente fino al mio braccio nudo: le cicatrici erano lì, che mi fissavano. Ebbi una voglia improvvisa di dare di matto dentro quella stanza: era tutto così troppo simile alla cella e al laboratorio che mi sembrava di essere finita in un altro dei miei incubi. Fatemi uscire, fatemi uscire, FATEMI USCIRE!!

“Eve?” Una voce mi chiamò alla mia sinistra e mi voltai in quella direzione: seduto su una poltroncina, gli occhi di Mikey mi fissavano sollevati. Sorrise. “Come stai?”

“Malissimo”, mormorai con un fil di voce mentre mi mettevo a sedere. Feci per uscire dal letto, ma il ragazzo mi fermò e mi infilò di nuovo dentro le coperte. “Che è successo?” chiesi.

“Sei caduta nel vicolo quando ti sei buttata dal palazzo. Io e gli altri eravamo rimasti lì per vedere se andava tutto bene, ma poi sei atterrata per terra e abbiamo pensato che…” Si fermò. “Per fortuna sei atterrata su dei sacchi della spazzatura.”
“Oh, ecco cos’erano,”mormorai. Stavo già meglio e i lividi mi facevano meno male. Guardai il bassista. “Il passaggio non ha funzionato. Il tuo iPod si è disintegrato, mi dispiace.”

“Non importa.”

Mi guardai intorno e, quando vidi che non c’era nessuno, sussurrai: “Mikey, dovete portarmi via di qui. Non posso restare qui a Manhattan un solo secondo di più, in California potrebbe essere successo qualunque cosa. E… questo posto m-mi ricorda…” Il ragazzo mi zittì e sussurrò: “Tranquilla, non rimarrai qui dentro un solo giorno in più. Abbiamo un piano.”

Lo guardai stupita. Mi prendi per il culo? “Davvero?”

Annuì. “Devi solo aspettare fino a stanotte. Ti veniamo a prendere e proviamo a tornare in California da dove siamo passati noi l’ultima volta. Okay?”

Guardai l’orologio sulla parete di fronte a me: erano le sei del pomeriggio, mi bastava resistere solo qualche ora in quel maledetto ospedale. Potevo farcela. Feci un cenno d’assenso a Mikey, che rispose nello stesso modo per poi salutarmi e andarsene, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Alle dieci di sera, un’infermiera venne a controllare che stessi bene e, lentamente, mi tolse la flebo. “Tra un paio di giorni ti dimettiamo, tesoro, non ha senso tenerti attaccata a questo sacchetto,” mi spiegò. Le rivolsi un sorrisetto timido e imbarazzato, ricambiato da uno più grande e sincero. “Come ti chiami, cara?” mi chiese.

Esitai un attimo prima di dire: “Eve.” Era improbabile che mi riconoscesse, erano passati dieci mesi dalla mia scomparsa. E comunque quella sera stessa me ne sarei andata, non mi importava se tutti sapevano che ero tornata a Manhattan.

“Che bel nome. Io invece mi chiamo Beth, è orribile.” Si tolse una ciocca di capelli neri dagli occhi. “Cos’hai fatto per finire in ospedale?”

“Sono… sono caduta dalla finestra di camera mia, al primo piano. Sotto c’era un cespuglio e sono atterrata lì sopra, per fortuna.”

“Sì, tuo fratello aveva accennato a una cosa del genere,” commentò Beth mentre sistemava il tubo della flebo. La guardai stranita. “Mio… fratello?”

“Non lo è?” mi chiese lei, guardandomi strana. “Siete praticamente identici, tranne che per i capelli: i suoi sono biondi e i tuoi rossi.”

Da quando in qua io e Mikey sembriamo parenti? pensai, ma sorrisi e dissi: “Ah, giusto. Bè, siamo fratellastri, non fratelli di sangue. È il figlio di mia madre e del suo primo marito.”

“Capisco.” Finì di sistemare la flebo e mi fissò negli occhi: la sua espressione assunse prima un’aria stupita, poi ritornò quella di sempre ma leggermente nervosa, come il sorriso che mi fece dopo. “Scusami,” mormorò prima di precipitarsi fuori dalla stanza, chiudendo la porta e chiamando un dottore.

Merda, mi ha riconosciuta!

Senza perdere un attimo di tempo uscii dal letto e dalle coperte, mi tolsi il camice bianco e mi rimisi i miei vestiti, piegati con precisione e appoggiati su una cassettiera lì davanti. Mi guardai intorno, disperata: cosa potevo fare, adesso? Non sapevo come contattare i ragazzi, e Mikey aveva detto che dovevo aspettarli fino al loro arrivo. Ma dove diavolo erano, e tra quanto sarebbero arrivati? Un rumore di passi improvviso mi riscosse dai miei pensieri e mi gettai sotto il lettino un attimo prima che la porta si aprisse e la luce si accendesse. La voce di Beth disse: “…è lei, ne sono sicura, ha anche detto di chiamarsi Eve…” Fece una pausa quando non mi vide nella stanza e boccheggiò. Il dottore le chiese: “Beth, dov’è la ragazza?”

“Non lo so, dottore, era qui un momento fa…” balbettò lei. Lui la prese per un braccio e la trascinò fuori, dicendo: “Chiama la polizia e avverti la sicurezza, non dobbiamo farla scappare!” Quando la luce fu spenta e la porta di nuovo chiusa, sgusciai fuori da sotto il letto e iniziai ad ansimare. Probabilmente sarei andata in preda al panico se un sassolino non avesse colpito il vetro della finestra. Mi voltai verso di lei, la aprii e guardai in giù: Ray mi stava facendo frettolosamente segno di scendere.”E come?” mormorai.

“Salta!” mi sibilò. Con un respiro profondo, mi misi a sedere sul davanzale della finestra, feci penzolare per un paio di secondi le gambe nel vuoto e poi, chiudendo gli occhi, mi lanciai giù. Pensai di cadere sul marciapiede, ma un paio di braccia mi presero al volo e poi mi posarono delicatamente a terra. “Forza, andiamo!” mi disse Ray, mettendosi a correre in direzione di una macchina parcheggiata poco più in là. Si gettò sul sedile del passeggero e io mi catapultai su quello posteriore mentre Mikey metteva in moto e si immetteva in strada. Dopo nemmeno un minuto, le sirene della polizia iniziarono ad inseguirci. Sentii lo sguardo penetrante di Ray addosso. “Eve…”

“Oh, cazzo! Va bene, va bene, l’infermiera mi ha riconosciuta e ha chiamato la polizia, okay?”

Con un’imprecazione, Mikey cambiò marcia velocemente e premette l’acceleratore. “Tenetevi saldi, ragazzi, si accelera!”

“Mikey, che…” iniziò Ray, ma poi si zittì non appena la macchina iniziò a sfrecciare a ottanta all’ora in pieno centro, diretta a tutta velocità verso casa di Frank. Io e il chitarrista cercavamo di tenerci stretti ai sedili come meglio potevamo mentre il bassista continuava a guidare senza decelerare nemmeno una volta.

Le macchina della polizia non accennavano a rallentare, e le luci rosse e blu illuminavano i nostri volti. L’adrenalina iniziò a salirmi come non mai, e chissà perché mi sembrò di essere dentro Battery City inseguiti dalla macchina nera di Korse. Mikey svoltò un paio di volte a destra e sinistra, sfrecciando per vicoli e stradine che credevo non esistessero nemmeno, finchè le macchine che ci inseguivano non sparirono del tutto mentre le sirene suonavano in lontananza. “Ce l’abbiamo fatta,” disse con un sospiro di sollievo e un’esclamazione come a dire ‘Uao, l’abbiamo scampata bella!’ Ci immettemmo di nuovo nella strada principale e raggiungemmo in poco tempo la casa di Frank: lui, Grace e Gee erano lì che ci aspettavano, preoccupati per il nostro ritardo. “Dove cazzo eravate?” sbottò il cantante non appena la macchina accostò e noi scendemmo.

“All’ospedale mi hanno riconosciuta e ci ha inseguito la polizia. L’abbiamo seminata, ma mi stanno ancora cercando. Faremmo meglio ad andarcene di qui, e subito,” dissi. Frank commentò con uno sbalordito ‘Cosa? Merda!’, ma io lo ignorai e gli chiesi: “Da che parte?”

Mi indicò un punto indefinito alla sua sinistra, e io mi misi a correre in quella direzione. Corsi per qualche metro finchè non incontrai una lieve resistenza, come un muro di gomma o la superficie del mare, ma io ero più forte di lei e spezzai la barriera, iniziando a cadere sempre più in basso.

Con un urlo liberatorio, continuai a cadere finchè non atterrai sul terreno duro del deserto, vicino a un cartello che indicava l’ingresso a Battery City. Respirai a pieni polmoni l’aria notturna: Dio se ne avevo bisogno! Quando sentii dei tonfi e dei gemiti di dolore alle mie spalle, mi girai: i ragazzi e Grace erano lì, ammaccati per la botta ma ancora interi. Gerard si alzò in piedi, si diede un’occhiata intorno e disse: “Non mi sarei mai immaginato di tornare ancora qui.” Gli feci un sorriso comprensivo.

“E adesso? Che si fa?” chiese Frank a nessuno in particolare quando tutti furono di nuovo in piedi e pronti a scattare. Guardai tutti i volti dei miei amici uno alla volta e mi sentii quasi felice: feci un sorriso malefico alla Joker. “L’ultimo che arriva al Diner si fa il primo giro di ricognizione delle Zone domattina!” urlai, iniziando a correre come un fulmine in direzione del nostro rifugio. Sentii le risate e le proteste di Grace e degli altri in lontananza e scoppiai a ridere mentre continuavo a correre al buio, con solo le luci di Battery City a illuminare la notte.

*
Ecco qua il capitolo, come promesso. Ora, l'unico momento 'libero' in cui posso pubblicare il prossimo è lunedì, in teoria. Al massimo rimando a martedì.
E nel prossimo capitolo andiamo a recuperare l'idiota a Battery City ù.ù
Maricuz_M: grazie ancora per i complimenti *-* E tranquilla, non mi fermerò proprio adesso XD
Lady Numb: AHAHAH sai che non ci avevo pensato al panettone? Ora tutte le volte che rivedrò quella pubblicità penserò a te XD E sì, Gavin la pagherà, ma tra molti capitoli...
genderblender: noo, non te la prendere male, si sistema tutto D:
Kumiko_Chan_: una volta anche Arturo (il mio iPod) mi ha fatto un lavoro del genere con tutte le canzoni, ma alla fine era solo impazzito lui e le canzoni c'erano sempre -.-' Ti capisco perfettamente, succedesse una cosa del genere a me darei di matto, come quando Eugenio (il computer) ha dato di matto e ho rischiato di perdere i capitoli che non avevo ancora pubblicato. Ho passato un brutto quarto d'ora D: Smettila di preoccuparti, come vedi si è sistemato (quasi) tutto ^-^ Sì, io vado in Germania alla fine di marzo per dieci giorni. Ma tranquilla, finisco di pubblicare questaq fanfiction prima (in teoria. Per me tutto è in teoria -.-')
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-10 al The Best Day Ever (O.O)

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Capitolo 13
*** Of Cars And Rescues ***


Of Cars And Rescues

 

BUM!

“Ma porca…”

Lasciai cadere sul tavolo la cartina che stavo studiando e, incuriosita, mi alzai dalla sedia e uscii dal Diner, dirigendomi verso il garage: la macchina di Frank aveva il cofano aperto e da dentro usciva del fumo che saliva in alto verso il cielo. Il ragazzo sbucò da dietro il cofano sollevato e si mise gli occhiali da saldatore sulla testa, con uno sguardo a metà tra il disperato e l’incazzato. “Ehm, tutto okay?” gli chiesi con circospezione, evitando di farlo arrabbiare ancora di più.

Alzò lo sguardo verso di me e fece un sorriso. “Più o meno. È solo che la macchina ha bisogno di una bella sistemata, tutto qui.”  Afferrò una chiave inglese dalla sabbia e armeggiò per qualche minuto con il motore finchè il fumo smise di salire. Alzò di nuovo lo sguardo verso di me. “Possibile che tra tutti voi ragazzi non ce ne fosse uno in grado di riparare una macchina?”

Sai com’è, eravamo tutti impegnati a non farci ammazzare, pensai tra me e me. Mi limitai a fargli un sorriso che non spiegava proprio nulla. Mi lanciò un ultimo sguardo, si infilò di nuovo gli occhiali da saldatore e si mise a lavorare di nuovo sul motore, parlando tra sé e sé e canticchiando ogni tanto. Lo guardai lavorare per qualche minuto, poi feci dietrofront e tornai dentro il Diner dalla mia cartina.

Erano passati due giorni dal nostro ritorno, e il Dr. Death Defying era stato contento di rivedere i quattro Killjoys. Ci eravamo messi subito al lavoro su un piano per andare a riprendere Joshua, possibilmente un piano che ci facesse uscire da Battery City ancora vivi e tutti insieme: niente eroismi, niente sacrifici. Quelli erano l’ultimissima spiaggia.

Per una volta avevamo deciso di fare una cosa discreta, senza far sapere a tutta la Better Living che eravamo entrati e usciti dalla città senza che loro se ne accorgessero: cosa praticamente impossibile, visto tutte le telecamere e le varie guardie che circondavano la città, per non parlare del fatto che non esistevano altri accessi a Battery City oltre al famoso tunnel. In pratica era una missione impossibile, così complicata che nemmeno Tom Cruise o James Bond sarebbero riusciti a farla franca.

Era un giorno che mi spaccavo la testa su questo particolare, analizzando una cartina delle Zone mentre mordicchiavo nervosa una matita che aveva visto decisamente tempi migliori. Qualcosa sulla carta, alla fine, aveva attirato la mia attenzione: con un sorriso, avevo tracciato un cerchio intorno a quel qualcosa, ripromettendomi di dirlo ai ragazzi, e in quel momento avevo sentito l’esplosione e l’imprecazione di Frank. Dopo essere tornata dentro il Diner, ripresi la cartina in mano e sorrisi di nuovo soddisfatta. “Risolto il problema?” mi chiese Gerard, rientrato in quel momento dal suo giro di ricognizione. Lasciai che si avvicinasse a me e gli mostrai cos’avevo scoperto. Fece una faccia scettica. “Ma sei sicura che funzionerà?”

“Cos’è, ti fa schifo l’idea?”

“In effetti…”

Sbuffai. “Tranquillo, tu, Mikey e Ray rimarrete fuori ad aspettarci, andiamo io e Frank.”

Lui sembrò leggermente tranquillizzato, ma poi disse, serio: “Se ci mettete più di due ore, ve la dovrete cavare da soli. Lo sai, vero?”

“Sì. Ma ce la faremo, promesso.”

Fece un cenno di assenso con la testa. “E a Frank come lo diciamo?”

“Dirmi cosa?” Il moro sbucò in quel momento dalla porta comunicante col garage, con gli occhiali da saldatore al collo e uno straccio in mano per pulirsi dall’olio della macchina. Gli spiegai il mio piano con un sorriso, e la sua espressione diventò sempre più incredula e disgustata finchè non sbottò: “Ma che schifo, no! Scordati che io ti segua in un posto del genere!”

 

“Cazzo!”

“Che c’è?”

“Ho calpestato qualcosa di… di… Dio, non so cos’era, ma di sicuro era tutto tranne che vivo!”

“Da quando in qua sei diventato così schizzinoso?”

“Da quando una ragazzina di quindici anni ha avuto la brillante idea di farci entrare a Battery City passando dalle fogne!”

“Sedici anni. Li ho compiuti tre mesi fa.”

“Non me fotte un accidente! Facci uscire subito da qui, o giuro che me ne torno indietro da Gee e gli altri!”

Ignorai il suo ultimo commento e continuai ad avanzare con la pistola a raggi in mano nell’acqua verde e melmosa. Effettivamente non era il piano del secolo, ma di sicuro nei condotti delle fogne non c’erano telecamere o roba del genere, quindi potevamo andare tranquilli per la nostra strada. Svoltammo un paio di volte prima di trovare un scaletta di ferro che portava a un tombino: sentii Frank borbottare un ‘Finalmente’, ma continuai ad ignorarlo. Rinfoderai la mia pistola a raggi e iniziai a salire su per i gradini. Arrivata in cima, allungai la mano destra e spinsi il tombino con tutte le mie forze: lui resistette per qualche secondo, ma alla fine io ebbi la meglio e la lastra di ferro crollò sul marciapiede sopra di me con un tonfo. Uscii fuori dalle fogne con un balzo, seguita da Frank, che rimise il tombino al suo posto lasciando uno spiraglio aperto. Diede uno sguardo ai nostri pantaloni fradici e commentò acido: “Effetto sorpresa? Probabilmente scopriranno il nostro arrivo dalla puzza di merda.”

“Essere ottimista ti fa proprio schifo in questo momento, eh?” Non aspettai la sua replica e mi diressi verso il grattacielo della Better Living, pochi metri più in là, rimanendo sempre nell’ombra e con la pistola in mano. Lui mi raggiunse poco dopo e ci mettemmo a correre lungo la parete dell’edificio: alla fine Frank trovò quello che stavamo cercando e fermò la mia corsa afferrandomi per un braccio. Mi inginocchiai al buio accanto a lui: a livello del terreno c’era una minuscola finestrella, abbastanza grande però per poter farci sgusciare dentro il corridoio sottostante. Osservai attentamente la finestra: vetri resistenti e nessun modo per poterla aprire dall’esterno. “Come la apriamo?” chiesi al ragazzo accanto a me.

“Così.” Prima ancora che potessi chiedergli come, allungò una gamba e spaccò il vetro, che cadde in bricioli sul pavimento bianco sotto di noi. Infilò le gambe dentro quella specie di buco e si lasciò cadere di sotto; lo guardai un’ultima volta, ancora sotto shock, poi lo seguii dentro il corridoio. “E se qualcuno ci avesse visto?”

Sbuffò. “Senti, so che dobbiamo fare tutto senza farci scoprire, ma non abbiamo un’immunità totale al cento per cento. Considerati fortunata, questo corridoio non ha telecamere.”

“Cosa?” Mi guardai intorno: aveva ragione, negli angoli delle pareti non c’era nemmeno una telecamera. La cosa mi fece accapponare la pelle: era così… strano, inusuale. Come eravamo riusciti a beccare l’unica parte della Better Living non sorvegliata? Ci pensò Frank a riscuotermi dai miei pensieri, trascinandomi a corsa lungo il corridoio, diretti alla nostra sinistra. Avevamo una vaga idea di dove potesse essere Joshua, e correndo alla fine ci ritrovammo vicini a dove ero stata rinchiusa io. Un brivido mi corse lungo la pelle, ma feci sparire quella sensazione e continuai a seguire Fun Ghoul attraverso quel labirinto bianco. Arrivati all’ennesimo angolo, mentre lui si voltava per controllare che dall’altra parte non ci fosse nessuno, gli sussurrai: “Ehi, Fun Ghoul, hai notato?”

“Cosa?” mi chiese lui distratto.

“Che non c’è nemmeno un Draculoide o uno S/C/A/R/E/C/R/O/W in giro.”

Si voltò improvvisamente verso di me con un’espressione che mi dava ragione e si dava dell’imbecille per non averlo notato prima. Deglutì e disse: “Continuiamo, ormai siamo quasi arrivati.”

Annuii e controllai l’orologio che avevo al polso: avevamo ancora un’ora e mezza di tempo, potevamo farcela anche se ci inseguivano. Frank svoltò l’angolo e iniziò di nuovo a correre: feci un respiro profondo e lo seguii, ritrovandomi in un vicolo cieco costellato di porte bianche. “È questo?” chiesi al ragazzo, che annuì in risposta. “Tu controlla le stanze a sinistra, io guardo le altre.”

Feci un cenno affermativo e iniziai a bussare a tutte le porte sulla parete sinistra: alle prime due non rispose nessuno, e nella terza sentivo solo un rumore meccanico e il ronzio basso di un computer. Dietro la quarta e ultima porta sentii, con un moto di gioia, un leggero respiro, come quello di una persona che dorme. Avvicinai il viso alla porta e sussurrai: “Showpony?”

Tutto quello che ricevetti in risposta fu il latrare di un cane, parecchio incazzato per essere stato svegliato dal suo sonno. Feci un salto indietro, trattenendo un urlo, e mi spaventati talmente tanto che Evelyn lanciò uno strillo dentro la mia testa, e la sentii imprecare contro qualcuno per la prima volta in tutta la mia vita. Frank si voltò verso di me e sibilò: “Ma che diavolo…?”

“Porta sbagliata,” mi limitai a dire mentre lo raggiungevo. “E tu?”

Scosse la testa. “Non è qui. Dove può…” Si bloccò fissando un punto alle mie spalle, che poi mi indicò. Seguii il suo dito e il mio cuore fece un balzo quando adocchiai un tavolino che non avevo notato prima: sopra c’erano una pistola a raggi fucsia, un paio di pattini a rotelle e un casco bianco e azzurro. Accanto, c’era un’altra porta bianca. È lì.

Senza perdere tempo, corsi verso quella porta e vi appoggiai lentamente il viso. “Joshua?” sussurrai. Da dentro non ricevetti risposta, ma sentii una voce familiare che mormorava qualcosa. Prima ancora che Frank potesse fermarmi o dire qualcosa, puntai la pistola contro la maniglia e feci fuoco: la serratura si disintegrò, e l’eco del metallo che cadeva si fece strada lungo i corridoi. “Meno male che non dovevamo farci scoprire, eh?” disse sarcastico il moro.

Non mi preoccupai nemmeno di rispondergli e spalancai la porta col cuore che batteva a mille, preoccupata per quello che avrei potuto vedere. Chiusi un attimo gli occhi prima di osservare la stanza oltre la porta: era praticamente uguale alla mia vecchia cella, ma in fondo, seduto per terra con la schiena appoggiata alla parete, c’era Joshua. Alzò lo sguardo verso di me, stupito, e io sorrisi: gli corsi incontro e praticamente mi gettai addosso a lui, abbracciandolo così forte che pensai di avergli rotto qualche osso. Mi staccai da lui dopo qualche secondo, mi rimisi in piedi e gli tesi le mani per aiutarlo a tornare in piedi, ma, mentre afferrava le mie mani, gli guardai il volto e trattenni un’esclamazione di stupore.

C’era un enorme livido sulla sua guancia, e anche il collo ne era pieno. Non potei fare a meno di far scendere il mio sguardo sullo scollo della maglietta bianca e sulle braccia nude: lividi, lividi da tutte le parti, come se lo avessero pestato a sangue. Deglutii, trattenendo a stento la rabbia. CHE CAZZO TI HANNO FATTO QUEI BASTARDI?!

Aprii la bocca per chiedergli spiegazioni, ma lui mi passò accanto e raggiunse Frank, ancora sulla soglia della porta. Mentre Joshua non guardava, scambiai un’occhiata con l’altro ragazzo, che si limitò a scrollare le spalle, come se non capisse nemmeno lui cosa gli era successo e perché non ci stava dicendo nulla. In quel momento Showpony si voltò di nuovo verso di me e disse: “Allora, andiamo?”

Mi riscossi dai miei pensieri e corsi fuori dalla stanza. “Certo. Andiamo, di corsa!”

Joshua raggiunse il tavolino, si rimise i pattini e il casco, si infilò la pistola nel fodero e si mise a pattinare lungo i corridoio affiancato da me e Frank. Eravamo circa a metà del percorso per tornare alla finestrella quando da un altro corridoio sbucò un gruppetto di Draculoidi: mi voltai verso di loro e aprii il fuoco, lasciando andare avanti gli altri due ragazzi. Ne uccisi un paio, ma il terzo era particolarmente resistente e mi ritrovai con la sua pistola puntata al mio cuore e il suo dito sul grilletto. Ansimai mentre lui iniziava a premerlo, ma un colpo arrivato dalle mie spalle lo centrò in piena fronte e lo fece cadere a terra. “Eve, corri!” mi urlò la voce di Joshua dalla fine del corridoio: non me lo feci ripetere due volte, feci dietrofront e corsi a tutta velocità verso i due ragazzi, per poi svoltare tutti insieme in un altro corridoio e raggiungere la finestrella.

Showpony si levò velocemente i pattini, li lanciò dal buco sul marciapiede soprastante e, con un salto agile, si aggrappò con le mani al bordo della finestrella e sgusciò fuori. Frank lo seguì a ruota libera e poi fu il mio turno: dall’altro corridoio si sentivano i passi concitati dei nostri nuovi inseguitori, e l’adrenalina mi salì a mille. Spiccai un salto, ma non riuscii a raggiungere la finestrella e pensai di cadere di nuovo sul pavimento bianco, ma le mani forti di Fun Ghoul mi afferrarono per gli avambracci e mi tirarono su appena in tempo.

Joshua si era già rimesso i pattini ed era già partito a tutta velocità senza nemmeno aspettare che mi fossi rimessa in piedi: io e il chitarrista lo raggiungemmo in tempo, e ci gettammo di nuovo dentro il tombino. Fui l’ultima a entrare e mi chiusi il coperchio sulla testa ma, mentre finivo di chiuderlo, qualcuno iniziò a fare forza dall’altra parte per aprirlo: cercai di resistere, ma probabilmente erano più di uno e non ce l’avrei mai fatta. “Joshua!” lo chiamai in aiuto. Lui illuminò un tratto di fogna davanti a sé con la torcia di Frank e disse: “La strada è questa. Lascia andare il tombino e lasciali entrare, al buio non sapranno dove seguirci!”

“Ma…”

“Eve, fallo e basta! Non abbiamo tempo da perdere!” Spense la torcia elettrica e iniziò a dirigersi in quella direzione: dopo un attimo di esitazione, lasciai andare il coperchio di metallo. Persi l’equilibrio e con uno strillo caddi nell’acqua sporca, bagnandomi tutti i vestiti e riempiendomi di merda dappertutto. Mi rimisi in piedi velocemente e seguii al buio i miei compagni, mentre dei Draculoidi iniziavano a scendere dalla scaletta del tombino.

Arrivammo col fiatone e appena in tempo al condotto d’ingresso delle fogne, che dava su un canale artificiale nella Zona 13: pochi metri più in là, la macchina di Frank ci aspettava. Ci mettemmo a correre a tutta birra in quella direzione e ci infilammo dentro i sedili posteriori della macchina con ancora il fiato grosso: Mikey non perse un attimo di tempo e mise subito in moto, lasciando dietro di noi soltanto un polverone. Mi rilassai sul sedile finchè Ray non chiese: “Ehi… cos’è questa puzza?”

Alzai le mano in segno di scusa. “Colpa mia. Sono cascata nell’acqua della fogna.” Al loro silenzio, aggiunsi: “Appena arrivo al Diner brucio i vestiti e mi faccio una doccia, lo giuro.”

“E…?”

“E cosa, signor Way?”

Gerard si voltò verso di me dal sedile del passeggero con un sorrisetto di soddisfazione; sbuffai e dissi a malincuore: “Okay, era una pessima idea, lo ammetto. Contento adesso?”

“Abbastanza,” rispose, senza togliersi dalla faccia quel sorrisetto soddisfatto.

“Oh, ‘fanculo,” borbottai, facendo ridere tutta la compagnia. Anche Joshua scoppiò a ridere, ma notai subito che era una risata forzata: i suoi occhi non brillavano, e rideva troppo forte. Dopo poco tornò serio e si mise a fissare il paesaggio fuori dal finestrino e, quando provai a prendergli la mano, la scansò. Ferita, lo fissai aspettando che mi dicesse qualcosa, ma lui si comportò così per tutto il resto del viaggio.

*
Eccomi tornata, Sunshines! Scusate per la lunga attesa, ma non ho mai avuto tempo di stare al computer. Claudia (la tedesca) è veramente simpatica, ma è stato parecchio difficile rispondere alla domanda "Ma i Killjoys sono un gruppo musicale?" Dovrebbero darmi l'Oscar XD Probabilmente posterò il prossimo capitolo venerdì sera, ma non ne sono sicura perchè non ho ancora finito di scriverlo, ma è quasi un sì sicuro.
E festeggiamo, che manca una SETTIMANA!!!!
Lady Numb:  abbiamo recuperato l'idiota! *festeggia*
Angel_made_from_neon: sempre colpa di Gavin, certo ù.ù Argh, mi dispiace per la tua Party Poison, spero tu possa ripararla D: (Esattamente... cos'è?)
alessiafavaron: grazie mille per i complimenti, come sempre :D
Kumiko_Chan_: davvero riesco a creare suspence? Grazie! E come visto l'idiota l'abbiamo recuperato ù.ù Anthony? Per caso c'entra con un certo Franco Iero? (Ovviamente Arturo non c'entra nulla con Gerardo Strada *coff, coff*) AHAHAH Tartassami pure, non ho nessunissimo problema. Vedi i vantaggi di andare a un liceo linguistico? Probabilmente il prossimo anno me ne vado una settimana in Inghilterra, tiè ù.ù Oddio, sei riparti col tifo per la B.L.ind., al concerto dovrò farti un bel lavaggio del cervello -.-'
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-7 al The Best Day Ever (OH, CAZZO!!!)

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Capitolo 14
*** Of Prisoners And Choices ***


Of Prisoners And Choices

 

Joshua stava seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete, in fondo alla stanza bianca dove lo avevano gettato. Una telecamera nell’angolo più lontano da lui non lo perdeva di vista un attimo, seguendo i suoi pochi movimenti. Non aveva nemmeno provato a sfondare la porta, come Eve gli aveva raccontato di aver fatto: era da solo, non avrebbe potuto farcela a scappare, e non voleva morire lì dentro: voleva morire in mezzo al deserto, con Lethal Bloody Venom e gli altri Killjoys al suo fianco. E poi, se lo avevano preso volevano sicuramente qualcosa da lui: perché non provare a scoprire cos’era?

Una vocina in fondo al suo cervello, che Showpony ascoltava di tanto di tanto, gli disse che lui si era già ritrovato in una situazione simile, sei mesi prima: peccato che il ragazzo non se la ricordasse. C’era un buco di un paio di settimane nella sua memoria: il suo ultimo ricordo era quello di essere stato accerchiato da un gruppo di Draculoidi per poi essere colpito alla testa. e il suo primo nuovo ricordo era quello di lui stesso sdraiato sull’asfalto, con un dolore atroce a una gamba e Eve sopra di lui che piangeva. Avrebbe tanto voluto poter ricordare di più, ma era impossibile: era come se qualcuno gli avesse cancellato tutto quello che era successo.

Ma il racconto di Eve era bastato a fargli accapponare la pelle.

Joshua si mise a giocherellare con un pezzo di carta che aveva trovato per puro caso dentro le sue calze, pensieroso: dov’era la ragazza in quel momento? Stava preparando un piano per tirarlo fuori da lì? Era andata a cercare aiuto? Era preoccupato per lei da morire: se le fosse successo qualcos’altro non se lo sarebbe mai perdonato. Perché, cazzo, alla fine era sempre per colpa sua se lei finiva nei guai.

Piegò in quattro il pezzo di carta, per poi riaprirlo e piegarlo in un altro modo. Non fare cazzate, Eve, le disse col pensiero.

 

Secondo i suoi calcoli, passò almeno un giorno prima che la porta si aprisse di nuovo. Non alzò lo sguardo, fingendo di piegare il pezzo di carta, ma con la coda dell’occhio vide lo stesso la persona che era entrata e che stava richiudendo la porta alle sue spalle. Aveva già abbastanza paura per conto suo, non gliene serviva dell’altra.

E se era arrivato lui in persona, voleva dire che le cose si sarebbero messe molto male.

Per Joshua.

Il silenzio durò qualche secondo, poi lui disse: “Hai intenzione di continuare a comportarti così?”

Il ragazzo non rispose, continuando imperterrito a piegare il foglietto di carta fingendosi il più impegnato possibile. Tenne gli occhi fissi sulla carta, trattenendosi dall’alzarli.

Una risata sprezzante. “Sei come la tua amica, vero? Non cederai di un solo millimetro, ti limiterai ad ignorarmi finchè non uscirò da qui. Ma sai…” Fece una pausa. “… posso essere più tenace di te.”

Showpony smise di giocare col foglietto, ma continuò a guardare un punto fisso in basso, dentro le sue mani. “Non ho niente da perdere,” disse, parlando per la prima volta e nascondendo la sua paura. “Il peggio che potevate farmi, a parte uccidermi, non ha funzionato, e la mia famiglia è già morta. Avete qualche altro asso nella manica?”

L’uomo davanti a lui fece un sorrisetto. “Non saresti più così sicuro se ti dicessi che potrei ordinare ai Draculoidi di uccidere Eve.”

Joshua non rispose, ma serrò gli occhi per un istante e strinse la mano destra a pugno, conficcandosi le unghie nel palmo. Il cuore accelerò i suoi battiti e al ragazzo si mozzò il respiro, ma riuscì a riprendere il controllo di sé stesso e a mormorare: “Non lo faresti mai.”

“E perché no?”

“È troppo importante per voi, e di sicuro vi sarebbe più utile da viva che da morta. Ucciderla non vi servirebbe a niente.” Trovò il coraggio e il controllo necessario per fare un respiro profondo e alzare lo sguardo, puntando i suoi occhi grigi dentro quelli neri di Korse. “O sbaglio?”

Se l’uomo fu sorpreso, lo si potè notare soltanto dallo strano guizzo di luce che attraversò i suoi occhi per un breve momento: passato quello, la sua espressione tornò quella di sempre. “Hai ragione.” Prese fiato. “Eve, come tu o quegli altri stupidi ‘ribelli’, ci è più utile da viva che da morta, non lo nego.” Guardò Showpony in un modo che fece accapponare la pelle al ragazzo. “È per questo che sono qui.”

L’espressione di Joshua divenne confusa. Dove vuole arrivare?

“Ti voglio solamente offrire un patto, nulla di più, esattamente come ho fatto con la tua amica.”

Le parole di Korse colpirono il ragazzo per la loro stranezza: ricordava il patto che Eve aveva fatto, ma era improbabile che l’uomo lo stesse per offrire anche a lui. Iniziò a parlare acido: “E quale sarebbe la tua parte del patto? Riportarmi a casa? Ridarmi la mia famiglia? Oh, è vero, dimenticavo.” Lo disse come se se ne fosse ricordato soltanto in quel momento, poi riempì il suo sguardo di odio e rabbia e lo puntò di nuovo dentro quegli occhi neri. “L’avete distrutta voi, quasi tre anni fa.”

Korse rimase un attimo in silenzio, poi continuò, come se il ragazzo non avesse parlato: “Ti ricordi di tua sorella? La incontri mai di notte quando sogni, o vedi mai qualcosa che ti ricorda lei? Oppure ti sei già dimenticato di lei?”

Figlio di… partì il ragazzo, ma si bloccò non appena l’uomo continuò: “Non vorresti sapere dov’è la sua tomba?”

I pensieri di Showpony si bloccarono improvvisamente.

Sua sorella Karen.

Aveva otto anni quando era morta in quell’incendio, e lui non si era mai perdonato il fatto di non essere riuscita a salvarla. Si ricordava benissimo come era successo tutto, in uno dei primi giorni autunnali, quando l’estate regalava le sue ultime giornate calde e si preparava a fare i bagagli e lasciare il posto alla stagione successiva.

Era accaduto tutto velocemente: Joshua si ricordava di essere sdraiato sul suo letto ad ascoltare l’iPod (di nascosto, perché la Better Living aveva reso illegale l’uso di qualunque Mp3 o roba del genere), e il secondo dopo sua madre si era catapultata in camera sua, urlandogli di uscire dalla casa di corsa. Il ragazzo non se lo era fatto ripetere due volte e si era precipitato giù per le scale seguito dalla madre; mentre usciva dalla porta d’ingresso aveva visto il padre che prendeva in collo Karen e si sbrigava a uscire anche lui mentre il fumo e le fiamme bruciavano le stanze e rendevano difficile respirare. Joshua era stato il primo a uscire dalla casa coperto di fuliggine e cenere, e si era voltato con un sorriso per aspettare il resto della famiglia.

In quell’esatto momento, la casa era saltata in aria.

Il ragazzo era rimasto immobile e senza parole mentre le ceneri finivano di cadere a terra e il fuoco, lentamente, si spengeva. Aveva sperato di vedere uscire dalla porta quasi carbonizzata sua madre o Karen, ma la porta era rimasta chiusa, nera per la fuliggine. Si era portato una mano alla bocca e un paio di lacrime gli erano scese lungo le guance. Dio, no…

Si era voltato alle sue spalle per guardare la strada che spariva nel deserto e aveva notato un gruppo di Draculoidi che si allontanava verso Battery City.

E in mezzo a loro c’era Simon.

Joshua si era asciugato rabbiosamente le lacrime e aveva fatto un passo in avanti per raggiungerli, ma uno di loro si era accorto di lui e aveva indicato la sua presenza agli altri, che avevano fatto dietrofront per catturarlo. Il ragazzo non aveva perso tempo, aveva recuperato un paio di pattini che erano stati sparati in strada durante l’esplosione, se li era infilati ed era scappato via, da quello che credeva il suo migliore amico e dalla città che aveva distrutto la sua vita. Qualche tempo dopo aveva incontrato il Dr. Death Defying e Party Poison, e si era unito ai Killjoys con il nome di Showpony. Aveva sentito dire che qualcuno aveva costruito una tomba per la sua famiglia, ma non era mai stato sicuro della sua esistenza.

Fino ad adesso.

Non posso farlo. Non devo accettare, si disse dentro di sé. E se mi fregassero come è successo a Eve? E se fosse soltanto un modo per catturarla? Guardò Korse, che gli tese una mano e disse: “Allora, affare fatto?”

Joshua guardò per un secondo la mano tesa verso di lui, poi rialzò lo sguardo e sentenziò: “No.”

Korse ritirò lentamente la mano e non fece una piega. Non commentò nemmeno, come se si aspettasse una reazione del genere. Fece dietrofront e riaprì la porta, rivolgendosi a qualcuno là fuori. “Sapete cosa fare,” disse, prima di sparire dalla vista di Showpony: al suo posto, dentro la cella entrarono due Draculoidi, che chiusero la porta e avanzarono verso il ragazzo seduto per terra. Lui lasciò cadere il foglietto per terra, preparandosi al combattimento. E va bene. Vediamo di che pasta siete fatti.

Il primo pugno lo colpì così velocemente che non se ne rese nemmeno conto.

Finì schiena a terra in pochissimo tempo, con un dolore atroce allo stomaco e con quello che si preparava a diventare un livido. Tenendosi la parte colpita, Joshua si rialzò lentamente con una mano al muro dietro di lui e si preparò ad attaccare a sua volta, ma l’altro Draculoide lo afferrò per la maglietta e lo sbatté di nuovo per terra, nel centro esatto del pavimento. Al ragazzo si mozzò per un attimo il fiato, poi fece un respiro profondo e si mise a sedere, ma un calcio alla spalla lo fece ricadere di nuovo per terra.

Iniziò ad ansimare: il dolore gli si era propagato in tutto il corpo, e riusciva a sentire dove si sarebbero poi formati dei lividi. Non fece nemmeno in tempo a provare ad alzarsi per l’ennesima volta che gli altri due iniziarono a prenderlo a calci in tutto il corpo, senza preoccuparsi della forza che usavano o dei punti che colpivano. Joshua non potè fare altro che cercare di rannicchiarsi su sé stesso e cercare di resistere al dolore. I suoi pensieri si rivolsero a Eve, fuori chissà dove che sicuramente cercava di portarlo fuori di lì: sperò che la ragazza arrivasse proprio in quel momento, di sicuro avrebbe fatto il diavolo a quattro e avrebbe ammazzato i due Draculoidi per poi tirarlo fuori di lì. Ti prego, Eve…

Quando pensò che sarebbe morto per tutte le botte che aveva ricevuto, i Draculoidi si fermarono e si diressero verso la porta, aprendola per poi uscire e chiudere di nuovo a chiave il ragazzo. Lui rimase sdraiato immobile sul pavimento, senza la forza di poter muovere un singolo muscolo: dal labbro spaccato un rivolo di sangue gli colò sulla mano per poi scendere sul pavimento, e la goccia di sangue che era uscita da sotto il sopracciglio stava facendo la sua strada sul viso di Showpony.

 

Nonostante tutto, Joshua riusciva a percepire il tempo che passava: ogni volta che Korse tornava, voleva dire che era appena passato un giorno. Era facile.

Ma il resto non lo era per niente.

Ogni volta succedevano la stessa cosa: l’uomo entrava per proporre il suo patto, il ragazzo rifiutava e veniva poi picchiato a sangue per un tempo indefinito. Ormai Showpony non cercava nemmeno più di muoversi dopo che i Draculoidi erano usciti: anzi, rimaneva immobile nella posizione in cui lo avevano lasciato.

La prima volta che pensò seriamente al patto fu dopo cinque giorni: se accettava tutto questo sarebbe potuto finire, sarebbe stato libero di tornare nel deserto. E avrebbe potuto rivedere Karen e i suoi genitori per un’ultima volta.

Ma non poteva tradire Eve. Anche lei aveva tradito i Killjoys, ma in un certo senso contro la sua volontà. Non ci aveva pensato, era stata guidata dall’istinto: non le si poteva dare alcuna colpa.

Ma cosa doveva scegliere Joshua?

La risposta era lì, dentro la sua mente, e c’era sempre stata.

E lui sapeva quale era.

 

Quando Korse entrò nuovamente nella cella, fu quasi stupito nel vedere il prigioniero in piedi, con una mano appoggiata alla parete e le gambe che lo reggevano a malapena. Lo stava guardando e, con un rigo di sangue che gli attraversava il volto, diede la sua risposta finale.

 

*
Ehilà, Sunshines! Vi sono mancata?
(No.)
(ç___ç *forever alone*) Comunque...
Adesso riprendo ad aggiornare normalmente, un giorno sì e uno no.
Mi fa un pò strano pensare che l'aggiornamento dopo il prossimo sarà martedì, dopo il concerto. Cavolo, questa nota a fondo pagina diventerà lunga quanto il capitolo D: E anche se non vi vedrò (tranne Kumiko_Chan_. Lei la voglio accanto a me mentre Party Poison stupra Fun Ghoul, niente scuse è_é) penserò a voi -un pochino- e vi sosterrò moralmente.
...
Ma che cavolo dico? Probabilmente a voi non ci penserò nemmeno, presa come sarò dal Gerardo che sculetta sul palco ù.ù
Recensioni!
Angel_made_from_neon: nausealtante? Okay, farò finta di aver capito XD Waah, mi dispiace un sacco per la tua spada ç__ç
alessiafavaron: E Capitan Ovvio tornò all'attacco ù.ù No no, manco ci penso a far tornare Joshua un Draculoide, piuttosto mi butto giù dalla finestra... OH YEAH, FUCKIN' READY!!
Lady Numb: ecco, guarda cos'è successo a Joshua, povero tato D: AHAH Mikey nelle fogne sarebbe stato troppo bello, probabilmente sarebbe scappato via perdendosi tra i corridoi e la merda XD Oddio, allora vieni anche te ?!?! PACE AMORE E GIOIA INFINITA!!! Giuro che se urli POPOLO DI EFP io ti rispondo! :D
Maricuz_M: ora sai cos'è successo al povero Cavallino D: Grazie per i complimenti, probabilmente le idee per le nuove storie vengono fuori dalle pippe mentali che mi faccio prima di addormentarmi -.-'
Kumiko_Chan: alla fine la tizia a cui dovevo fare ripetizioni di fisica non è venuta. Fa sempre così. Cazzi suoi, se non passa l'esame di recupero del debito perchè non studia un cazzo è colpa sua. (A dire la verità l'ha già passato col 6 e mezzo. Fuck you.)
Ehm, scusa lo sfogo -.-'
AHAHAH Gerard probabilmente farebbe una cosa del genere, altro che video di SING, dove per fare l'eroe muore -.-' Ah, finalmente ti ho fatto passare dalla parte di Showpony! *festeggia* Poi ti racconterò di cosa ho spiegato a Claudia e ti porto con me nel bagaglio a mano in Inghilterra (anche se non è ancora sicuro. Ma sperare non fa mai male ._.)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-3 al The Best Day Ever (cazzo, sto male.)

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Capitolo 15
*** Of Walks And Captures ***


Of Walks And Captures

 

Il comportamento di Joshua nei giorni successivi fu davvero, davvero strano. Cioè, era ancora lui, lo vedevo, non gli avevano fatto un altro lavaggio del cervello, ma… non sapevo come spiegarlo. Lui si sforzava di comportarsi normalmente, ma io riuscivo a vedere che c’era qualcosa sotto, qualcosa che ci stava nascondendo ostinatamente e, probabilmente, anche con vergogna.

I ragazzi avevano deciso di rimanere con noi ancora qualche giorno, per vedere se tutto andava bene o se c’era ancora bisogno del loro aiuto e della loro presenza in California. Quando parlavano del loro ritorno nel nostro mondo, però, lo facevano sempre con una strana luce triste negli occhi, come se in fondo non volessero tornarci: come se preferissero rimanere nel 2019 ed essere i Fabulous Killjoys. E io… bè, come dare loro torto?

Joshua non si pronunciava su questa questione, si limitava a dire che avrebbero dovuto fare cosa preferivano, che nessuno li costringeva né a restare né ad andarsene. Quando gli avevo chiesto di spiegarsi meglio, aveva sbuffato e detto: “La situazione per noi non cambia, Eve. Che loro quattro ci siano o non ci siano non cambia niente. Certo, se rimanessero qui con noi sarebbe molto meglio, ma non possiamo mica costringerli.”

Da come lo dici sembra che tu non li voglia qui, avevo pensato senza però esprimere il mio parere e tenendolo soltanto per me.

Ma la decisione dei ragazzi per me era decisamente secondaria. Avevo un problema enorme, scritto nel mio cervello con una sola parola a lettere cubitali rosse: il nome di quel coglione che correva su e giù per il deserto sui suoi pattini.

I lividi e i tagli sulla sua faccia erano spariti quasi subito, tranne una piccola cicatrice nascosta sotto il sopracciglio. Più volte gli avevo chiesto di spiegarmi cosa gli era successo e chi lo aveva ridotto in quel modo, ma lui mi aveva ignorata o allontanata: alla fine era sbottato e mi aveva risposto talmente male che ero rimasta ammutolita e non ci eravamo rivolti parola per il resto della giornata. Quando ci eravamo calmati, non mi aveva nemmeno chiesto scusa. Sembrava che volesse a tutti i costi allontanarmi da lui.

Perché?

 

Qualche giorno dopo eravamo seduti tutti a uno dei tavoli del Diner a chiacchierare e ridere prima che io e Frank uscissimo a fare il giro di ricognizione delle Zone. La mia voglia di girare in macchina sotto il sole del primo pomeriggio era praticamente zero, e il sonno mi chiamava a sé, ma d’altronde non ero ancora andata a fare la ricognizione, quindi toccava a me, volente o nolente. Per fortuna il moro era di sicuro più sveglio e arzillo di me, altrimenti avremmo rischiato di fare un incidente lungo la strada.

Mikey si strofinò gli occhi e si stirò le braccia in alto. “Vado a letto a riposarmi. A dopo, ragazzi.”

“Faticosa la ricognizione notturna, eh?” lo sfottè Ray con un sorriso che diceva tutto. L’altro ragazzo non si prese nemmeno la briga di rispondergli e si alzò dalla panca dove era seduto per dirigersi al piano di sopra, nella camera di lui, suo fratello e Frank (alla fine la divisione delle camere era tornata la solita, e Showpony non dormiva mai al Diner. Eravamo proprio tornati ai vecchi tempi). Piano piano, ci alzammo tutti dalle panche e dalle sedie per andare a fare le nostre cose. Joshua si stirò il collo e disse: “Vado un attimo a cambiarmi in bagno e poi scappo dal Dr. D. Se non mi sbrigo a portare quelle informazioni mi investe con la sua sedia a rotelle.” Si diresse al piano di sopra tra le nostre risate, ma io lo osservai finchè non scomparve dalla mia vista. Fulminata da un’idea, mi girai verso gli altri ragazzi e balbettai: “V-Vado un attimo su anch’io, ho dimenticato una cosa.”

Senza aspettare repliche, mi diressi verso le scale e le salii lentamente per non farmi sentire da Showpony. Sempre con passo leggero, percorsi il corridoio fino alla scassata porta dell’altrettanto scassato bagno, l’ultima a sinistra. Era aperta di un minuscolissimo spiraglio, ma non vedevo niente dietro di essa. Con la mano che tremava per paura di fare rumore ed essere scoperta, la spinsi leggermente e riuscii ad aprirla un pochino di più e finalmente riuscii a vedere l’interno della stanza: Joshua si guardava nello specchio rotto sopra il lavandino con i capelli blu leggermente bagnati e un’espressione triste e incazzata allo stesso tempo. Con un sospiro, si tolse furiosamente la maglietta e la gettò per terra prima di afferrarne un’altra e infilarsela.

In quel minuto in cui rimase a torso nudo dovetti trattenere un urlo.

Tutta la schiena del ragazzo era coperta di lividi e cicatrici: i colori e le dimensioni variavano, ma mi facevano vomitare tutti. Sembrava che lo avessero lanciato giù dal grattacielo della Better Living, e conoscendo Korse non era un’ipotesi da escludere.

Mi morsi il labbro inferiore per evitare di scoppiare a piangere come una bambina piccola. Dio… che diavolo ti hanno fatto?

 

“Ti va di andare a fare una passeggiata?”

Alzai lo sguardo dalla rivista che avevo trovato sotto il letto di Gerard e che stavo leggendo seduta sul mio letto, e lo rivolsi verso il ragazzo coi capelli blu che mi stava osservando dalla porta della mia stanza. “Eh?” chiesi sorpresa.

“Vuoi venire a fare una… passeggiata nel deserto con me? Sai, è… è qualche giorno che non stiamo noi due da soli e… bè, pensavo che potevamo uscire un po’. Così.” Incontrò il mio sguardo sorpreso e continuò: “Ma se non vuoi non è un problema, facciamo un’altra volta.”

“No, no, certo che voglio. Dammi solo il tempo di prepararmi e avvisare Ray che usciamo,” gli dissi, disincrociando le gambe e afferrando i miei anfibi neri, sul pavimento. Me li infilai velocemente e infilai la mia pistola a raggi nel suo fodero, poi scesi al piano di sotto seguita da Joshua. Salutai velocemente Ray e gli dissi che saremmo tornati presto, poi uscimmo sulla strada immersa nel deserto: soltanto in quel momento mi accorsi che Showpony aveva già indossato i suoi pattini. “Allora, uhm… da che parte andiamo?”

“Di qua,” mi rispose lui, indicandomi un punto nella direzione del rifugio del Dr. Death Defying. Mi diede le spalle e mi fece segno di montargli sulla schiena. “Ricordi?” mi chiese con gli occhi che brillavano.

Risi. “Come potrei scordarmene?” dissi mentre salivo sulla sua schiena, mettendo le gambe intorno ai suoi fianchi e le braccia intorno al suo collo. Il ragazzo iniziò a sfrecciare lungo la strada come un missile, come quella notte in cui stavamo scappando da Simon o quel giorno in cui ero tornata in California. Lungo la strada ci mettemmo a ridere, urlare e scherzare, come se non avessimo nemmeno un solo pensiero al mondo: io cantavo a squarciagola, con la voce che rimbombava nel deserto, e Joshua mi dava man forte e faceva i coretti in sottofondo con una voce leggermente in falsetto. Era tornato quello di sempre, o almeno così mi sembrava; e la cosa non poteva che farmi piacere.

Dopo circa dieci minuti, il ragazzo abbandonò la strada per addentrarsi nel deserto, verso un oggetto in mezzo ai cespugli e alla sabbia: si fermò qualche metro prima e mi fece scendere dalla sua schiena. Percorremmo gli ultimi metri continuando a scherzare, con Showpony che piroettava sui suoi pattini e io che lo guardavo e ridevo. Quando arrivammo all’oggetto, ci misi le braccia sopra e mi ci appoggiai. “Allora, perché mi hai portata qui?” gli chiesi, inclinando di lato la testa e picchiando il pugno sulla colorata cassetta delle lettere.

“Non so. Perché non sapevo dove portarti, forse.”

Feci un mormorio d’assenso e infilai una mano dentro il buco della cassetta, ma non riuscii ad afferrare quello che c’era dentro, se c’era qualcosa. Con uno sbuffo e sotto lo sguardo divertito di Joshua, mi misi in ginocchio e aprii lo sportello sotto il buco, rivelando il contenuto della cassetta: una sola busta bianca, che giaceva lì dentro da chissà quanto. Incuriosita, la presi tra le mani e la osservai: sul davanti c’era scritto in una calligrafia familiare MUM. Sorrisi amara e aprii delicatamente la busta dopo aver richiuso lo sportello di metallo e essermi appoggiata contro di esso. Showpony rimase in piedi al mio fianco con un braccio appoggiato alla cassetta mentre tiravo fuori il foglio dalla busta bianca e lo aprivo: dentro c’era un disegno fatto da un bambino, pieno di colori e forme strane. Sulla sinistra era disegnato uno strano essere alto con la testa azzurra, dei pois blu sulle gambe e delle ruote sotto i piedi, e a destra quella che sembrava una ragazza con i capelli in fiamme e una strana arma arancione in mano. Alzai lo sguardo verso il ragazzo accanto a me. “Ehi, hai visto il disegno di Grace? Ci siamo anche noi!”

“Siamo molto realistici, devo dire,” commentò lui, strappandomi di bocca un’altra risata. Infilai con delicatezza il foglio dentro la busta, la chiusi di nuovo con la saliva e la rimisi nella cassetta, sentendo il tonfo della carta che cadeva sul metallo. Mi alzai in piedi e sprofondai il mio sguardo negli occhi grigi di Joshua: brillavano come sempre, ma c’era qualcosa in fondo che non mi convinceva, una strana ombra che sicuramente non era passeggera. Ero sicurissima che c’entrasse qualcosa con quello che era successo alla Better Living, ma non indagai oltre e osservai il volto del ragazzo.

La sua espressione diceva tutto: era preoccupato da morire, il suo sguardo era diventato improvvisamente triste e sembrava che si vergognasse di qualcosa. Deglutii. “J-Joshua… tutto okay?”

Mi guardò con i suoi occhi grigi come se mi stesse chiedendo pietà. “E-Eve, io… mi dispiace.”

Il mio cuore aumentò i battiti. “Di… di cosa?”

“Di questo.”

Un paio di mani forti mi afferrarono le braccia, ma io fui più veloce e riuscii a tirare una gomitata nel viso del mio aggressore, sentendo il contatto tra la mia pelle e la maschera di plastica e poi il tonfo di un corpo che cadeva a terra. Senza perdere un attimo di tempo, sfoderai la pistola a raggi e mi voltai, puntandola contro il gruppetto di Draculoidi che si stava avvicinando verso la cassetta delle lettere. Sparai un paio di colpi che non andarono a segno e che mi fecero borbottare un ‘Merda!’ rosso di rabbia. Mentre sparavo di nuovo e centravo in pieno petto uno dei miei avversari, pensai: Perché Joshua non fa fuoco? Che cazzo sta facendo con quella cassetta delle lettere, la sta smontando pezzo per pezzo?!

La vocina di Evelyn si fece strada nella mia testa. Eve, lui ha…

Pensavo di sapere cosa stava per dire, ma mi rifiutai lo stesso di ascoltarla e di credere a quello che voleva dire. “No, cazzo, non lo farebbe mai!” mormorai.

Gli hanno offerto una cosa che non poteva rifiutare, e lo hanno picchiato a sangue per costringerlo ad accettare. Non è stato lo stesso patto che Korse ha fatto con te.

“Ma lui non avrebbe avuto motivo di accettare!” Sparai nella fronte di un altro Draculoide per scaricare la rabbia che stavo accumulando.

Doveva far smettere il dolore.

“Facciamo una cosa, okay?” Mi fermai un attimo, guardando la situazione in cui mi trovavo. “Non dirmi più niente di… di questo, non posso, non voglio crederci. Lui… l-lui non può averlo fatto, non avrebbe potuto tradirci tutti. I Killjoys sono la sua famiglia, come…?”

Ma Korse non gli ha chiesto di consegnargli tutti i Killjoys. Evelyn esitò un attimo prima di continuare: Vuole solo te.

“Cosa…?” Mentre ero persa tra i miei pensieri, i Draculoidi mi avevano accerchiata e avanzavano per cercare di prendermi. Maledicendomi da sola per la mia stupidità, puntai la pistola verso quello più vicino, ma lui afferrò la mia arma con una mano e la strappò dalla mia per poi lanciarsela alle spalle, lontano dalla mia portata. Lanciai uno sguardo intorno a me: il cuore mi si fermò quando vidi che Showpony era fuori dal cerchio di Draculoidi e mi stava guardando con un’espressione di puro dolore, senza però fare niente per aiutarmi a fuggire. Le lacrime mi fecero capolino dagli occhi: mi sentivo tradita come non mai. “Joshua!” urlai.

“E-Eve…” Fece una pausa, poi esclamò: “Mi hanno detto che se ti consegnavo mi avrebbero detto dove era la tomba della mia famiglia! E-E io…” Non riuscì a terminare la frase: abbassò la testa e lo sguardo, e chiuse gli occhi.

Un altro paio di mani mi afferrò di nuovo le braccia, immobilizzandole, e il Draculoide iniziò a trascinarmi verso la strada, dove un furgone bianco della Better Living ci stava aspettando. “Joshua! Ti prego, non puoi avermi fatto questo!” urlai di nuovo, ma lui sembrò non sentirmi, come se ormai la mia fosse una faccenda che non lo riguardava più. Cercai di opporre resistenza, ma la stanchezza per il combattimento e il tradimento ebbero la meglio e il furgone si avvicinava sempre di più. “Joshua!” riuscii a gridare un’ultima volta prima di essere sbattuta dentro insieme ad altri due Draculoidi. Fui messa a sedere in mezzo a loro due, la mia pistola a raggi persa chissà dove. Abbassai la testa: non aveva più senso combattere, ero stata tradita da una delle poche persone di cui mi fidassi al mondo. Non potevo morire, la mia vita se l’era già portata via Joshua.

“Ehi, Eve.” Una voce dall’altra panca dentro il furgone, davanti a quella dove ero seduta io, mi riscosse dai miei pensieri: una ciocca di capelli biondi risplendette alla poca luce che entrava dentro il veicolo, e due occhi blu mi guardarono cattivi. “È bello rivederti.”

Lo fissai con rabbia e digrignando i denti mentre Gavin non smetteva di guardarmi e sorridere soddisfatto. “Ti è piaciuta la nuova esperienza? Allora, raccontami tutto: come ci si sente ad essere traditi dalla persona che si ama? Cosa si prova a scoprire che anche quello che credevi forte alla fine si rivela un debole come tutti gli altri?” Rise. “Cazzo, non pensavi che il tuo caro Joshua potesse tradirti, vero?”

La rabbia che avevo accumulato raggiunse il livello massimo ed esplosi: senza preavviso, prima che qualcuno potesse fermarmi, mi alzai in piedi e sferrai un pugno sul naso di Gavin con tutta la forza che mi era rimasta. Lo sentii che si rompeva sotto il mio colpo, e del sangue mi macchiò la mano di rosso: il ragazzo si afferrò il naso trattenendo un urlo di dolore e un Draculoide mi fece rimettere seduta, ma io continuai a fissare il biondo con lo stesso sorriso cattivo che gli avevo cancellato dalla faccia pochi secondi prima. Quando si riprese, mi guardò incazzato e disse: “Morirai presto, ‘ribelle’.”

Un cappuccio nero mi calò sul volto e persi completamente l’orientamento per tutto il resto del viaggio.

*
...
Porca troccola.
E' domani.
Cazzo, non so come farò a resistere a scuola.
Oggi pomeriggio mi sono guardata il concerto nel locale del New Jersey di The Black Parade Is Dead! per preprararmi psicologicamente, ma sono riuscita solamente a far aumentare la mia ansia e a rischiare il collasso con Stay.
Sembra ieri quando sono uscite le date e quando ho ricevuto il biglietto a Natale.
Voglio il vostro resoconto del Best Day Ever nella prossima recensione, mi raccomando.
Lady Numb: no, ti prego non piangere che mi fai sentire crudele ç___ç Ti prego, urla POPOLO DI EFP poco prima che aprano i cancelli, io arrivo tardi e voglio risponderti a tutti i costi XD
Angel_made_from_neon: innanzitutto, sono contenta per la tua spada ;) Come, tu non vieni domani?! Cavoli, mi dispiace D: Allora farò un lungo resoconto, tanto avevo una mezza idea di scrivere una one-shot sul concerto dal mio punto di vista. E d'ora in poi inizierò a dire "Date a Cesare quel che è di Cesare, date Frerard all'MCRmy."!
Kumiko_Chan_: no, 'tragico' non l'ho messo tra gli avvertimenti. Ma è colpa delle mie storie, ci deve essere sempre un pò di dolore, credo di essere un pò masochista. Scusa se non rispondo al resto della recensione, ma è l'intera sera che sclero per domanidomanidomani e non so nemmeno se stanotte riuscirò a dormire. E poi finalmente ci incontreremo! (Così potrai picchiarmi per tutte le mie carognate e potremo rapire il Franco e il Gerardo *-*)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-1 al The Best Day Ever (CI VEDIAMO A MILANO, SUNSHINES!!)

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Capitolo 16
*** Of Telling-offs And Graves ***


Of Telling-offs And Graves

(I would say I’m sorry)

 

“Tu cosa hai fatto?!

Joshua sembrò quasi rimpicciolirsi sulla panca dove era seduto: aveva le spalle incurvate, la testa e lo sguardo bassi, e aveva tutta l’impressione di voler scomparire da quella stanza e trovarsi da un’altra parte. Possibilmente qualche migliaio di chilometri sotto terra.

“Guardami quando ti parlo, cazzo! E non fare l’espressione da cane bastonato, tanto non ci crede nessuno!” All’ostinato silenzio del ragazzo coi capelli blu, colpì coi pugni chiusi il tavolo e continuò a urlare. “Porca troia, guardami!

Showpony riacquistò lentamente la posizione eretta e per ultimo alzò lo sguardo davanti a sé: Party Poison lo stava fissando. Era in piedi dall’altra parte del tavolo, coi palmi delle mani aperti sul tavolo: era incazzato come una bestia, e gli occhi verdi gli scintillavano di rabbia. Dietro di lui, Jet Star stava in piedi con la schiena appoggiata alla porta. Kobra Kid era alla destra del fratello, seduto su uno degli sgabelli del bancone, e Fun Ghoul era in fondo alla stanza, appoggiato contro il muro: probabilmente, pensò Joshua, era perché, se si fosse avvicinato a lui, lo avrebbe sfatto di botte. Sapeva che c’era un forte rapporto tra il moro e Eve, e sicuramente avrebbe fatto del male a chiunque ne avesse fatto alla ragazzina.

Showpony compreso.

Tutti i ragazzi lo stavano fissando, in attesa di una scusa attendibile per quello che aveva fatto: e cazzo, non esisteva, non esisteva per nulla. Come avrebbe potuto spiegare loro quello che era successo a Battery City, come alla fine avesse ceduto soltanto per non provare più dolore? Perché era quello il motivo per cui aveva accettato il patto con Korse: per non essere più picchiato a sangue e costretto a rimanere sdraiato sul pavimento bianco della sua cella col sangue che colava dalle sue ferite. Non era quello che avrebbero fatto gli altri Killjoys, Eve compresa: loro avrebbero resistito, sarebbero morti piuttosto che tradire uno di loro.

Ma Eve l’ha fatto lo stesso.

“Allora? Sto ancora aspettando.” Party Poison aveva puntato il suo sguardo in quello di Joshua, e non aveva alcuna intenzione di spostarlo. Da come tamburellava le dita sul piano del tavolo si capiva che era ancora più incazzato di quanto lasciasse vedere.

Showpony si rendeva conto che quello che stava per dire era rischioso, ma lasciò perdere le precauzioni e disse: “Perché a me state facendo questa sottospecie di interrogatorio e a Eve non avete detto niente?”

L’altro ragazzo lo guardò confuso e con una leggera sorpresa in volto. “Cosa?”

Joshua deglutì: ora si rendeva conto che la sua situazione era decisamente peggiorata e che il rosso non si sarebbe risparmiato. Chissà, forse l’avrebbe sfatto di botte.

Il ragazzo davanti a lui prese fiato per un secondo chiudendo gli occhi come a dire ‘Non perdere il controllo adesso, non servirebbe a un cazzo’, poi li riaprì e guardò di nuovo Joshua. “Sai com’è, eravamo troppo impegnati a salvarci il culo scappando da quel furgone. E mi sembra che Eve sia venuta a salvarci, cosa che tu non stai facendo con lei. Oppure è un tuo gemello quello qui davanti a me?”

Ogni parola di Party Poison era una stilettata nel cuore di Showpony: non gli piaceva che gli parlasse in quel modo. Prese fiato e disse: “Korse aveva promesso di dirmi dov’è la tomba di mia sorella e della mia famiglia…”

“Oh. E allora immagino che te l’abbia detto, non è vero?” commentò sarcastico l’altro.

“Sì, me l’ha detto.” Joshua incontrò lo sguardo incredulo del rosso. “Dopo che Eve era… era entrata nel furgone. Non… non penso mentisse. Non è molto lontano da dove era la mia casa.”

Il silenzio calò per qualche attimo nel Diner. La voce di Party Poison iniziò molto lentamente a parlare di nuovo, con un tono speranzoso: “Cazzo, almeno dimmi che hai provato a inseguire il furgone…”

Showpony abbassò di nuovo la testa e chiuse gli occhi. Una risposta decisamente esauriente per il rosso, che improvvisamente afferrò lo sgabello più vicino e lo gettò per terra con un tonfo sordo nel silenzio, gli occhi verdi che brillavano di una rabbia furiosa. Si voltò di nuovo verso Joshua, che aveva rialzato la testa e lo fissava in attesa di un’altra reazione. “Forza, esci di qui. Non provare nemmeno a tornare qua dentro, o giuro che stavolta non mi trattengo.”

Lui non se lo fece ripetere due volte, si alzò dalla panca e uscì nel deserto, seguito dallo sguardo degli altri tre ragazzi, rimasti in assoluto silenzio fino a quel momento. Rimase in piedi in mezzo alla strada dando le spalle al Diner, ascoltando i rumori che provenivano dall’interno: le voci di Kobra Kid e Jet Star stavano dicendo qualcosa a Party Poison, che per tutta risposta urlò: “Non me ne frega un emerito cazzo! Se prova soltanto a rimettere piede qui dentro o a comparirmi davanti, lo ammazzo di botte!”

Joshua fece un sospiro e guardò il deserto davanti a sé, pensando a cosa era successo: quando il furgone era scomparso in lontananza, portando via con sé Eve, lui era rimasto qualche minuto immobile, per poi dirigersi di nuovo verso il Diner. I ragazzi, appena lo avevano visto arrivare senza la ragazza, gli avevano chiesto dov’era ed era stato costretto a vuotare il sacco, incontrando la rabbia di Party Poison, che si sentiva tradito in prima persona dal ragazzo.

Immerso com’era nei suoi pensieri e nei suoi sensi di colpa, sentì avvicinarsi qualcuno soltanto quando un rumore di passi si fermò accanto a lui: sussultò e si voltò alla sua sinistra, per poi far tornare lo sguardo sull’asfalto sotto ai suoi piedi. Il ragazzo accanto a lui, in perfetto silenzio, tirò fuori dal giacchetto di pelle un accendino e una sigaretta e l’accese. Iniziò a fumare senza dire una parola, aspettando che Joshua dicesse qualcosa.

“Lo so che può sembrarti impossibile da credere, ma… non hai idea dei sensi di colpa che ho in questo momento,” iniziò Showpony, continuando a guardare l’asfalto della strada. “Quando ho visto i Draculoidi arrivare avrei voluto rimangiarmi la mia promessa, combattere insieme a Eve per tornare al rifugio sani e salvi, ma loro sapevano dov’era seppellita mia sorella, e Dio solo sa quanto l’ho cercata i primi tempi che mi sono unito ai Killjoys.” Fece una pausa, aspettando che l’altro commentasse, ma l’unica cosa che gli rispose fu il silenzio. Continuò: “Karen aveva cinque anni meno di me, e cazzo se l’adoravo. Era la mia piccola principessa, l’amavo alla follia, e non potevo sopportare che qualcuno la trattasse male. Poi… poi il fuoco se l’è portata via, insieme alla mia casa e ai miei genitori. Non sai quanto avrei voluto darle un ultimo saluto prima di lasciarmi il passato alle spalle per sempre.” Finalmente si voltò verso Fun Ghoul, che guardava davanti a sé con la sigaretta tra le dita. “Non so nemmeno io perché ho accettato quel patto, Fun Ghoul. Non l’ho fatto perché odio Eve, come potrei? Anche se suona stupido da dire, credo… credo che sia diventata una parte importante della mia vita, perderla sarebbe come perdere una parte di me. Ma il ricordo di Karen mi tormentava, e ogni giorno i Draculoidi tornavano e mi picchiavano finchè non sanguinavo, ed ero così debole che rimanevo immobile sul pavimento perché non riuscivo a muovermi… Ho dovuto accettare perché era l’unico modo per fermarli, per poter far tornare tutto come prima.” Fece di nuovo una pausa, sospirando. “Io… M-Mi dispiace, Fun Ghoul.”

“Non è a me che devi chiedere scusa, Joshua,” replicò lui, parlando per la prima volta. Gettò la sigaretta per terra spengendola col piede e, senza guardare l’altro ragazzo, si voltò e rientrò nel Diner per cercare di calmare Party Poison. Joshua rimase lì fuori, in piedi, a fissare un punto imprecisato nel deserto.

 

Qualche ora più tardi il caldo del giorno stava diminuendo molto lentamente, lasciando un po’ di spazio alle temperature più miti della notte. In quell’atmosfera tranquilla, una figura comparve nel deserto, avvicinandosi sempre di più a un punto ben preciso. Continuò ad avanzare sui suoi pattini finchè non raggiunse cosa stava cercando: vi si fermò davanti e con un gesto deciso si tolse il casco dalla testa, esponendo all’aria e al sole i suoi capelli tinti di blu elettrico e due luminosi occhi grigi. Si inginocchiò lentamente davanti a sé, senza spostare lo sguardo dall’oggetto davanti a sé.

Non era una grande lapide come si vedono nei cimiteri: era semplicemente una lastra di metallo quasi arrugginita sulla quale erano state incise poche parole e numeri. Joshua vide i nomi dei suoi genitori e di sua sorella, le loro date di nascita e un’unica data di morte, uguale per tutti. Chissà, forse, se lui non fosse riuscito a uscire di casa in tempo, anche il suo nome sarebbe stato inciso su quella lastra.

Rimase a fissare la lastra di metallo per un tempo indefinito finchè la vista non gli si appannò, poi voltò lo sguardo accanto a sé, e si immaginò che Karen fosse accanto a lui, ancora viva e vestita con gli stessi abiti che aveva il giorno dell’incendio: era abituato a immaginarsi le cose, era sempre stato il mago di sua sorella, capace di far apparire dal niente le più strane creature. L’immagine di Karen sorrise e disse, con la stessa voce della vera Karen: “Ciao, fratellone!”

“Ehi, piccola.” Joshua sorrise di rimando a quella creazione della sua stessa mente. Fece per aprire bocca per dire qualcos’altro, ma la bambina lo anticipò. “Sei venuto a trovarmi!” esultò, prima di dire, in tono offeso: “Perché non sei venuto prima?”

“Non… non sapevo dov’eravate, tu, mamma e papà. Ma ora sono qui, no?” Il sorriso che provò a fare doveva essere felice, ma aveva un che di malinconico e Karen se ne accorse. “Va tutto bene, fratellone?”

“Sì. Sì, tutto okay,” riprese lui. Lei però non era molto convinta e disse: “Come hai fatto a sapere che eravamo qui?”

La domanda spiazzò il ragazzo, che si ritrovò a cercare una scusa. Ma non c’è n’erano, e fu costretto ad ammettere la verità: “Ho… ho dovuto tradire una mia amica per saperlo. L’ho data a quelle persone che vi hanno ucciso.”

Karen lo guardò ad occhi e bocca spalancati, ma non scappò via. Si limitò a chiedere: “Perché?”

“Dio, Karen…” mormorò Joshua. “Mi hanno picchiato per costringermi a farlo, e mi hanno promesso che mi avrebbero detto dov’eravate sepolti. E io… io volevo vederti un’ultima volta.” Sorrise, ma la piccola non si lasciò ingannare. Si avvicinò lentamente al fratello e lo guardò con quegli occhi che un tempo erano di un color castano chiaro. “Non era soltanto un’amica, lo sappiamo tutti e due. Tu… tu le vuoi tanto, tantissimo bene, ma hai lasciato che per colpa nostra tu la ferissi.” Sorrise mentre iniziava a svanire. “Io, mamma e papà siamo il passato, fratellone. Devi lasciarci andare se vuoi continuare a vivere felice. Non ci offendiamo, lo prometto.”

“Karen…” iniziò Showpony, ma lei non c’era più, svanita come un granello di sabbia nel vento. Si guardò intorno: non c’era più nessuno, era completamente solo. Ma me lo sono immaginato o… si chiese, senza però voler continuare il pensiero. Ma almeno, adesso, aveva capito cosa doveva fare e come farsi perdonare.

Si infilò di nuovo il casco e iniziò a pattinare via, sulla strada. Afferrò la radio che aveva con sé e si collegò a uno dei canali, aspettando che qualcuno rispondesse. E la voce che rispose non aveva molta voglia di sentire cosa doveva dire Joshua. “Mi sembrava di averti detto di non farti più sentire.”

“’Fanculo, Party Poison. Sto tornando al Diner, che tu voglia o meno.” Fece una pausa prima di aggiungere: “Andiamo a liberare Eve.”

*
...
...
... Cazzo.
Davvero, Sunshines, sono... sono senza parole. Dio, è stata la serata più bella della mia vita! C'era Gerard che sculettava, Ray che suonava come impazzito sulla chitarra, Mikey che pokerfacizzava, Frank che si scatenava e ha lanciato una bottiglia... e poi hanno fatto un pezzo di The World Is Ugly (che sto ascoltando in questo momento e da cui è tratta la frase sotto il titolo del capitolo). E hanno fatto Bulletproof Heart e Vampires Will Never Hurt You. Cioè, Vampires! L'unico rimpianto è che non hanno fatto nè The Ghost Of You, nè Prison, nè The Kids From Yesterday, nè Our Lady Of Sorrows. E non c'era manco il Frerard, tranne che uno piccolissimo a I'm Not Okay ._.
E poi ho incontrato Kumiko_Chan_! ^_^
E quel pezzo di merda di Party Poison ha ringraziato la troupe, i LostAlone (il gruppo di apertura, adesso mi scarico il disco) e alla fine ha anche ringraziato noi con "And thank you. You're beautiful."
E' un miracolo se non ho rapito lui e Frank.
Il mio orecchio destro vicino alla cassa, le mie gambe e la mia voce sono un pò meno contente di me, ma almeno ho comprato la maglietta che desideravo con scritto WANTED - THE FABULOUS KILLJOYS.
Comunque, ho intenzione di scrivere una one-shot come 'reportage', la pubblicherò qui non appena l'avro finita, anche prima della fine di questa storia.
LudusVenenum: wow, il tuo nuovo nome mi piace un sacco! E Joshua salverà Eve, don't worry ^_^
Lady Numb: ahahah, forza Eve che se l'è rifatta su Gavin! ù.ù E ora i ragazzi la salvano, tranquilla.
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
7.03.11 This is The Best Day Ever

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Capitolo 17
*** Of Guns And Executions ***


Of Guns And Executions

(‘Cause the hardest part of this… is leaving you)

 

Quando finalmente il cappuccio nero mi venne tolto dal viso, la mia vista non migliorò molto: la stanza in cui mi trovavo era completamente al buio, tranne che per la poca luce che proveniva da una minuscola finestra sul muro alla mia destra. La porta alla mia sinistra era aperta e io feci uno slancio per uscire e riguadagnarmi la libertà, ma qualcosa mi afferrò per la caviglia destra e mi fece tornare al mio posto, seduta sul pavimento con la schiena al muro. La porta si richiuse ancora prima che potessi capire cosa fosse successo.

“Ma che cavolo…?” mormorai mentre mi tastavo la caviglia, e rabbrividii quando la mia mano toccò il freddo cerchio di metallo di una catena. Tolsi le mie dita rapidamente e incrociai le braccia al petto per qualche secondo: da fuori non proveniva nessun rumore, sembrava che fossi totalmente da sola. Abbassai la testa e mi misi il viso tra le mani, disperata.

Come… come aveva potuto Joshua farmi questo? Come aveva potuto tradirmi così facilmente, lasciarmi in balia dei Draculoidi senza nemmeno fare niente per aiutarmi? Lui, che mi aveva duramente criticata quando ero stata io a tradire i Killjoys?

Perché? Cazzo, PERCHE’?! Mi diedi un pugno sulla gamba per sfogare la mia rabbia, e trattenni le lacrime dentro i miei occhi: no, non sarei scoppiata a piangere per quel fottuto traditore, non avrei nemmeno versato una lacrima per quello che mi aveva fatto. Lui sapeva cosa mi era successo dentro la Better Living, conosceva ogni singolo incubo che mi faceva visita durante la notte, evitava di mettere in mostra le mie braccia segnate per sempre. Sapeva che mi sarebbe potuto succedere di nuovo: e allora perché mi aveva tradita, consegnata a Korse come un oggetto?

La verità era semplice.

Non gliene fregava niente di me.

Non gliene era mai importato di me, e tutte quelle attenzioni nei miei confronti erano soltanto cose da amici, da compagni di battaglia. Il nostro amore non era mai esistito, era stata solo una bellissima bugia, una pura illusione.

Eve… partì in quarta Evelyn, ma io la fermai, rispondendole dentro di me: “Zitta, non dire niente. A lui non è mai importato niente di me, non ci siamo mai amati, perché dovrei…”

Un’immagine mi passò in un lampo davanti agli occhi: io e Joshua sotto un cielo stellato, mentre ci baciavamo per la prima volta. Una seconda immagine seguì la prima: il mio addio alla California, e alla promessa che ci eravamo fatti, quella di rivederci, un giorno. Altre immagini mi scorsero velocemente in testa: il mio ritorno, il nostro litigio, la mia preoccupazione, lo shock di vederlo come un nemico, tutto quello che era successo dopo… e l’ultima immagine mi colpì come un pugno.

“Nessuno potrà portarti via da me, Eve, nemmeno quel fottuto damerino. Tu sei soltanto mia.”

Come potrebbe non importargli niente di te?

E con quest’ultima frase, Evelyn fece crollare il muro di rabbia che mi ero costruita intorno: era vero, Joshua mi aveva tradito, ma qualcosa mi diceva che l’avevano costretto. Gli avevano offerto di fargli vedere la tomba della sua famiglia, come avrebbe potuto rinunciare a un’offerta del genere? E poi… Showpony mi aveva duramente criticata per il mio tradimento, ma alla fine mi aveva perdonato. E sapevo che era costantemente inseguito dai sensi di colpa a causa di tutto quello che mi era successo in quel maledetto laboratorio.

Come avrebbe potuto fregarsene altamente di me?

Toccai uno degli anelli della catena, facendolo dondolare con un rumore metallico. Ti sto aspettando, pensai con un sorriso. Non possono farmi niente, sono al…

Gneek.

Lasciai perdere velocemente l’anello e mi girai verso la porta che si stava già richiudendo. Fissai la figura che era entrata: raggiunse la parete davanti a me e si mise lentamente a sedere, scendendo nel cono di luce che proveniva dalla finestra. “Allora,” iniziò, con un sorriso cattivo, “come va la vita qua dentro?”

“Fottiti, Gavin,” gli ringhiai in risposta. Lui, per tutta risposta, rise. “È questa l’accoglienza che riservi a un vecchio amico che è venuta a trovarti?”

“Hai uno strano concetto di amico, tu.”

Fece un’alzata di spalle. “Dipende dai punti di vista.” Si alzò e si avvicinò a me, tendendo la mano sinistra avanti. Feci di tutto per scansarmi, ma alla fine lui mi afferrò il mento e mi costrinse a fissarlo nei suoi occhi azzurri. “Sai,” sussurrò, “avrei preferito che qui dentro ci fosse il tuo amichetto Showpony. Mi sarei voluto divertire un po’ con lui, se capisci cosa intendo.” Sorrise di nuovo, facendomi rabbrividire dalla paura e dalla rabbia. “Azzardati solo a toccarlo e giuro che ti ammazzo,” sibilai.

“E come, se permetti? Sei chiusa e incatenata qui dentro, non hai molte via di fuga.” Lasciò andare il mio mento, ma continuò a fissarmi. “Oppure speri in un eroico intervento di Lady-Boy?”

Non ce la feci più a contenere la rabbia e sbottai: “Si può sapere cosa ti ha fatto Joshua di male? Perché vuoi a tutti i costi rovinare la sua vita, portargli ancora più dolore di quanto stia sopportando? Non ti sembra che abbia già sofferto abbastanza?!”

“Oh, davvero?” Il suo tono sarcastico iniziò a scaldarsi mano a mano che parlava. “Lui ha sofferto? E dimmi, pensi che abbia sofferto quando ha ucciso mio fratello? Pensi che ne senta la mancanza e che il suo ricordo lo perseguiti ogni giorno?”

“Tuo fra…” iniziai perplessa, interrompendomi prima di finire la parola. Osservai meglio Gavin: il suo viso e i suoi capelli non avevano niente di familiare, ma effettivamente la sua corporatura mi ricordava qualcuno. Mi ricordavo di aver già visto da qualche parte anche la sua espressione cattiva e sadica, ma non mi ricordavo dove. Mentre cercavo di capirlo, incrociai per sbaglio i suoi occhi azzurri.

Anzi, blu.

Blu come lapislazzuli.

E sì, quegli occhi io li avevo già visti, tante, troppe volte: mi avevano anche sovrastato nascosti dietro una maschera da Draculoide.

La risposta iniziò a formarsi nella mia mente con paura e stupore. “Tu… tu sei…” balbettai, ma fu il ragazzo a finire la frase per me.

“Ooh, la risposta ti ha scandalizzato così tanto? Cos’è, avevi una cotta per mio fratello?” Non vedendo reazioni da parte mia, continuò: “Vuoi che lo dica davanti a te? Va bene.” Allargò le braccia e fece un inchino come se stesse recitando, poi disse: “Simon era mio fratello.”

O… oddio. “È per questo che ti sei unito a noi Killjoys? Per vendicarlo?” gli chiesi ancora sotto shock: Simon era stato il mio incubo in quel mio primo mese in California, e avevo sperato di non sentirne mai più parlare. E invece ora sembrava ritornato dall’Aldilà con le sembianze di suo fratello.

“A dire la verità, ero già al servizio di Korse quando sono arrivato da voi,” mi spiegò Gavin. “Sapevo che Simon era stato ucciso da voi, ma esattamente non sapevo chi. Tu mi sembravi la tipa adatta, quella che avrebbe potuto ucciderlo, ma le voci che giravano raccontavano storie diverse, e non mi ci è voluto prima di capire che l’assassino era l’ex migliore amico di mio fratello, quell’idiota di Joshua.” Voltò lo sguardo rabbioso verso di me. “Non sono riuscito a guadagnarmi la sua fiducia come speravo di fare, ma sono riuscito a fregarvi tutti lo stesso. Ho ucciso la maggior parte di voi ribelli, e tu, il capo, sei qui dentro in attesa dell’esecuzione.”

Il cuore mi smise di battere e iniziai ad ansimare. “E…esecuzione?”

Rise. “Secondo te perché Korse voleva solo te? Da quando Party Poison e i suoi altri tre compagni sono scomparsi, tu eri l’unica che continuava a darci problemi. Una volta che sarai morta, i ribelli non saranno più un problema per noi.” Mi sorrise. “Non sei contenta di essere così importante?”

“Figlio di…!” Mi slanciai in avanti per afferrare Gavin e picchiarlo, ma la catena mi impedì di nuovo di muovermi liberamente. Il ragazzo si avvicinò a me, mi si inginocchiò davanti e scosse la testa. “Rassegnati, Eve, questo è il tuo ultimo giorno. Qual è il tuo ultimo desiderio? Rivedere un’ultima volta il tuo caro Joshua, baciarlo come si deve mentre piangi disperata?”

“Sbagliato.” Con una calma glaciale che sorprese anche me, afferrai velocemente la pistola di Gavin dalla sua fondina e avvolsi l’altro braccio intorno al suo collo, facendo voltare il ragazzo. Alla fine della manovra, eravamo tutti e due seduti a terra, ma lui aveva il mio braccio intorno al suo collo e la sua pistola puntata alla testa. “E ora che hai intenzione di fare?” mi chiese.

“Quello che avrei dovuto fare qualche mese fa.” Premetti la pistola a raggi ancora di più contro la sua tempia. Anche nel momento più critico, sentii Gavin che sorrideva. “Non ti servirà a nulla, lo sai, vero? Non appena sentiranno lo sparo, avrai firmato la tua condanna a morte.”

“Potresti anche avere ragione,” gli dissi. Misi un colpo in canna con uno scatto che riecheggiò in tutta la cella.

“Ma Joshua non ha bisogno di un ennesimo problema.”

BANG!!

Tornai a respirare normalmente soltanto quando l’eco del colpo svanì. Un liquido appiccicoso iniziò a colare prima sulla pistola a raggi, colorando il bianco di rosso, poi sulla mia mano e sul mio braccio: con gli occhi che fissavano il vuoto lasciai andare la pistola e il corpo morto di Gavin, che crollò per terra accanto a me. Aveva gli occhi azzurri spalancati, ma la sua espressione non tradiva né paura o altre emozioni: impassibile, fino alla fine.

Mi riscossi e mi voltai velocemente alla mia sinistra, giusto in tempo per iniziare a vomitare sul pavimento della cella: era soltanto la seconda volta che uccidevo una persona da molto vicino, ed ero sotto shock ancora più di prima. Rialzai la testa mentre tremavo e fissavo disgustata la pozza giallastra accanto a me: quando riuscii a riprendere totalmente il controllo, la porta si spalancò ancora una volta.

I due Draculoidi appena entrati guardarono prima me, poi il cadavere di Gavin, poi ancora me e infine la pozza di vomito per terra. Non ci misero molto a fare due più due, soprattutto quando videro la pistola a raggi del ragazzo macchiata del suo sangue e ancora fumante: quello più vicino alla porta uscì nel corridoio, probabilmente per avvertire qualcuno, mentre l’altro si avvicinò a me e tolse la catena dalla mia caviglia. Finalmente libera, feci uno scatto per uscire dalla stanza e scappare via dalla Better Living, ma ero ancora troppo debole e fu facile per il Draculoide acchiapparmi per le braccia e tenermi ferma fino al ritorno del suo compagno.

L’altro Draculoide tornò da solo, ma a quanto pare aveva ricevuto istruzioni su cosa fare con me: scambiò uno sguardo con quello che mi teneva ferma, che mi trascinò fuori dalla stanza e poi lungo il corridoio bianco. Non smisi per un solo istante di agitarmi e cercare di divincolarmi da quella presa di ferro, ma era impossibile. Improvvisamente fui veramente consapevole che quello era il mio ultimo giorno e che da lì a poche ore non sarei stata nient’altro che un corpo morto per terra, seppellito oppure distrutto in qualche modo.

Alla fine del corridoio c’era un’altra porta: il primo Draculoide la aprì e l’altro mi spinse dentro la stanza, rischiando di farmi cadere per terra. Riacquistai l’equilibrio prima di sfracellarmi sul pavimento, poi mi guardai intorno con attenzione: la stanza era quasi completamente al buio, tranne che per la poca luce che proveniva da una lampada attaccata al soffitto e che illuminava un tavolo poco distante dalla porta. La sedia davanti a me era vuota, ma quell’altra, dall’altra parte del tavolo, era occupata da Korse. Con gesti lenti e calcolati, raggiunsi il tavolo e mi sedetti sulla sedia libera. Prima ancora che potessi accorgermene un altro Draculoide comparve alle mie spalle e mi legò le mani, bloccandomele completamente. Tentai in qualche modo di allentare la stretta del nodo, ma fu tutto inutile: era talmente stretto che avrei giurato che mi stesse lasciando un livido sui polsi.

Korse non si curò dei miei inutili tentativi e studiò ancora per qualche attimo la cartella che aveva di fronte a sé, sul tavolo. Diedi una sbirciata, con il cuore in gola: era la mia cartella, con su scritto Eve Blackshadow grosso come una casa: a quanto pare ne avevano fatta una nuova, dopo che quella di Evelyn l’avevo rubata io, completa con il mio ‘nuovo’ nome e il mio status di ‘ribelle’.

Korse chiuse lentamente il fascicolo e poi mi fissò con i suoi spaventosi occhi neri. “Esattamente cosa hai fatto a Gavin?”

Assunsi l’espressione più fredda che avevo e dissi: “L’ho ucciso.”

Se il mio intento era quello di apparire sicura di me stessa, sbagliai in pieno: quella freddezza che volevo mostrare non apparve sul mio volto e nella mia voce. Al contrario, mi fece apparire ancora più spaventata di quanto mostrassi. L’uomo sorrise, spaventandomi ancora di più. “È per questo che sono qui. Per uccidere i ribelli come te, l’unico problema che ci è rimasto da affrontare.” Fece una pausa. “Sai che non vedrai la luce di domani, vero?”

Annuii a testa bassa: sì, ne ero consapevole, ed era un pensiero che non riuscivo a togliermi dalla testa. Poco dopo Korse continuò: “Quanti anni hai, sedici? È davvero un peccato che tu abbia rovinato la tua vita in questo modo, per cosa poi? Per una vita spericolata, dove non puoi nemmeno sapere se riuscirai a sopravvivere fino al giorno dopo.” Mi guardò senza dire una parola. “E se ti dessi ancora un’altra possibilità?”

Ricambiai lo sguardo confusa: ormai non potevo più tradire i miei amici, quale altra possibilità spalancava le sue porte davanti a me? Soltanto quando l’uomo iniziò di nuovo a parlare, capii che i miei sospetti erano giusti.

“Ti offro una scelta: puoi morire qui oggi stesso, davanti a un plotone d’esecuzione, oppure rimanere viva qui a Battery City. Ovviamente dovresti iniziare a prendere le pillole, e all’inizio probabilmente soffriresti di amnesie, febbri e altri dolori vari, perché il tuo organismo non vi è abituato, ma in qualche mese la situazione migliorerebbe. E ti scorderesti di tutto quello che ti è successo prima.” Puntò il suo sguardo nei miei occhi. “Allora? Cosa scegli?”

In pratica, mi stai chiedendo di scegliere tra morire libera e vivere in gabbia, pensai. C’era una sola scelta possibile che potessi fare, ma per me non era né la migliore nella peggiore.

Era solo il male minore.

Il mio silenzio prolungato fu una risposta soddisfacente per Korse, che fece un segno al Draculoide alle mie spalle. “Portala fuori,” gli ordinò. Lui eseguì e mi mise di nuovo in piedi con forza, ma io non mi lamentai. Con uno strattone al braccio per cui mi teneva, mi spinse verso la porta e la spalancò. Mi girai verso Korse un’ultima volta: lui ricambiò il mio sguardo e fece un mezzo sorrisetto. “Addio, Eve.”

Il Draculoide mi trascinò fuori e richiuse la porta prima che potessi replicare. Ma non volevo nemmeno farlo: sapevo a cosa stavo andando incontro, e stavo usando tutte le mie forze per non scoppiare in lacrime. Ero una Killjoy, vero, ma l’idea che quello fosse il mio ultimo giorno mi spaventava. Anche perché non stavo morendo in modo eroico, come avrei voluto.

Il Draculoide mi condusse lungo il corridoio verso un’altra porta, che aprì: al di là, un cortile sterrato si estendeva per una ventina di metri davanti a me, dove spiccava una rete metallica, e altri trenta in larghezza. Capii subito che non eravamo nel grattacielo dove ero rimasta prigioniera l’ultima volta. Gli ultimi raggi del tramonto illuminavano il luogo della mia morte, tingendolo dello stesso arancione della mia pistola a raggi, che era da qualche parte al Diner. Mentre venivo portata verso il muro alla mia destra, alzai lo sguardo sopra il muro opposto, guardando i raggi del sole che cadevano: in quella direzione, da qualche parte, c’era il mio amato deserto, la mia vita.

E io ero dentro la Better Living, la morte.

Venni sistemata a una distanza di cinque metri dal muro, con le mani ancora legate. Davanti a me, a una decina di metri, c’erano sette Draculoidi schierati in fila, ognuno con in mano un fucile a raggi bianco, la versione più potente della pistola a raggi: non ne avevo mai visto uno, ma si diceva che erano capaci di sparare dieci colpi al secondo.

Bè, che onore quello di vedere se era tutto vero.

Lo stesso Draculoide di prima si avvicinò a me con una benda da mettermi sopra gli occhi, ma io la rifiutai con un cenno della testa: volevo affrontare la morte a occhi aperti e testa alta. Mi voltai verso le finestre dell’edificio alla mia sinistra: di sicuro, da dietro una di loro, Korse stava fissando lo spettacolo che stava per iniziare. Sbattei un paio di volte le palpebre, fingendomi impassibile, poi riposi di nuovo lo sguardo davanti a me mentre il Draculoide si allontanava. Chiusi lentamente gli occhi.

Non avevo mai avuto così tanta paura in vita mia.

Killjoys never die, Killjoys never die, mi ripetevo ad occhi chiusi per darmi coraggio. Ma in quel momento non potei fare a meno di pensare il contrario.

I Guastafeste non morivano mai nei ricordi, ma a quale prezzo?

Non avrei mai più corso nel deserto.

Non avrei mai più giocato con Grace.

Non avrei mai più riso con i ragazzi.

Non avrei mai più visto Joshua.

Non avrei mai più potuto affogare il mio sguardo in quegli occhi grigi eppure così luminosi, non avrei mai più scarruffato i suoi capelli di quell’improbabile blu elettrico, non ci sarebbero più state risate, sfide e litigi.

Non ci sarebbe più stata la vita.

Un’unica lacrima mi attraversò coraggiosamente la guancia: io volevo morire al suo fianco mentre combattevamo in mezzo a una strada nel deserto, non da sola dentro la Better Living davanti a un plotone d’esecuzione. Volevo baciarlo, tenerlo per mano, affondare la mia mano nei suoi corti capelli blu e guardare i suoi occhi grigi per un’ultima volta prima di andarmene per sempre.

Era davvero un desiderio così egoista?

L’unica cosa che potei fare fu immaginarlo accanto a me, mentre mi prendeva la mano destra legata dietro la schiena, la stringeva forte e mi diceva che ci saremmo rivisti, da questa parte o dall’altra della barricata.

Sentii più colpi che venivano messi in canna qualche metro davanti a me.

Guardai per un’ultima volta il ricordo di Joshua, poi lo lasciai volare via col cuore gonfio di tristezza: non ne avrei più avuto bisogno, perché ai morti non sono concessi il ricordo e il rimorso.

“Ti amo.”

Fu l’ultima cosa che sussurrai prima che un colpo partisse e mi colpisse violentemente il petto.

 

*

 

“Quanto ci stiamo mettendo, Kobra Kid?”

“Molto di più se tu non la pianti di chiedermelo ogni tre secondi!”
“Dobbiamo andare più veloci! Potrebbero averle già fatto del male!”

Kobra Kid si morse la lingua per evitare di dire al ragazzo dai capelli blu che, se non fosse stato per colpa sua, Eve non sarebbe stata prigioniera a Battery City. Lasciò perdere e continuò a guidare nel deserto illuminato dal tramonto, sopra la sabbia. Non appena vide il buco che avevano fatto quel pomeriggio nella recinzione protettiva ci si infilò dentro, ritrovandosi in una delle tante strade della città. Circondato dal silenzio glaciale che era calato nella macchina, guidò fino alla prigione della Better Living, molto lontana dal grattacielo al centro della città: non appena arrivò alla recinzione del cortile accelerò e puntò proprio lì sopra. Vide che suo fratello e Fun Ghoul si aggrappavano ai sedili per evitare di essere sbalzati in avanti: fece un sorrisetto e entrò con metà dell’auto dentro il cortile sterrato, distruggendo parte della recinzione.

Joshua fu il primo a scendere dalla macchina e entrare nel cortile, la pistola a raggi fucsia ben in vista; Party Poison aspettò che fossero usciti anche gli altri e disse: “Okay. Cerchiamo di arrivare da Eve il prima possibile, altrimenti…”

Uno sparo interruppe le sue parole.

Joshua si voltò velocemente dove il proiettile era diretto: qualche metro più lontano dalla recinzione, vicina al muro, una figura venne colpita dal bossolo e cadde con un tonfo a terra. I capelli rossi si agitarono come una fiamma nell’aria, e quando il corpo cadde sulla terra smise quasi completamente di muoversi.

Il ragazzo spalancò la bocca e urlò.

EVE!!

*
*si nasconde in un angolino*
Ma che capitolo lungolungolungo e tristetristetriste *applauso*
Date la colpa a Jared Leto, ho scritto questo capitolo con Savior come accompagnamento musicale ._.
E la frase sotto il capitolo è di Cancer.
Lady Numb: così mi fai piangere ç___ç Grazie mille, davvero! Sono davvero contenta che ti piaccia il modo in cui scrivo, e non hai idea di come mi sono sentita quando ho scoperto che una venticinquenne (ovvero una vecchiaccia rispetto a me ù.ù) metteva le mie storie tra le preferite. A parte questo... prima o poi andrò a guardami i video su Youtube, cosa hai registrato? (E spero che questo capitolo per te sia altrettanto bello come il precedente.)
LudusVenenum: sei un pò violenta, la scherma ti deve far male XD Ebbene sì, Gerard ha detto un paio di volte "Graziah" (mi ha fatto venire in mente Jared Leto, chissà perchè XD), ma dopo una capatina nel backstage ha detto "Grazie!" Il mio primo pensiero è stato 'Te lo devono aver detto, vero? ._.' Hai sentito che il 26 giugno tornano a Imola? Fattici portare!
alessiafavaron: aaargh, sei tornata! E io che pensavo te ne fossi andata definitivamente! D: Vabbè, pace ù.ù E vedremo cosa farà il Franco, non garantisco niente... (Per il Frerard: niente di che, Frank si è limitato a cantare 'Trust me!' col microfono di Gerard sopra la sua spalla. Ma per me è Frerard tutto quello che quei due fanno a meno di un metro di distanza ._. Mi hanno anche raccontato che Frank ha lanciato un'occhiata assassina a Gerard mentre faceva una specie di 'pompino' al microfono durante Teenagers XD)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
7.03.11 This Is The Best Day Ever

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Capitolo 18
*** Of Pain And Blood ***


Of Pain And Blood

(And in this pool of blood I'll meet your eyes)

 

L’urto del proiettile contro il mio corpo fu talmente forte che caddi sulla schiena come se mi avessero dato una spinta. Mi aspettavo che ci sarebbero stati altri colpi, altri spari, ma dopo quel primo e unico ci fu soltanto il silenzio.

O meglio, il silenzio lo sentivo solo io.

Riaprii gli occhi lentamente, ma fu quasi inutile: avevo la vista sfuocata e non riuscivo a percepire niente di quello che avevo intorno a me. Non sentivo, non vedevo. Ero come paralizzata.

Il dolore, quello sì che lo sentivo bene. Lo sentivo meglio in qualche punto nel mio petto, ma presto si sparse in tutto il corpo, alle gambe, alle braccia, alla testa. Qualcosa stava colando dalla ferita, un fiume denso e appiccicoso che cadeva sull’asfalto e disegnava una pozza per terra.

Sto… morendo?

Dunque era questa, la morte? Una lunga agonia durante la quale sprofondavi in un’apatia che diventava un sonno senza risveglio? Una stillata di dolore e ricordi senza fine, che ti facevano rimpiangere di essere già arrivata alla fine?

Cos’altro potevo fare, se non rassegnarmi?

La vista e l’udito migliorarono lievemente, e sentii rumori di altri spari, ma non erano diretti nella mia direzione. C’erano delle figure bianche che urlavano e cadevano per terra, e delle altre che sparavano a tutto spiano come se ne andasse della loro vita. Perché faticavano così tanto a combattere? Per cosa o chi lo facevano?

Una figura si voltò nella mia direzione e, con un urlo soffocato, si diresse verso di me e si inginocchiò al mio fianco. Si tolse velocemente il casco dalla testa e si abbassò ancora di più verso di me, chiamando incessantemente il mio nome mentre mi slegava le mani: dagli occhi grigi le lacrime gli scendevano una dietro l’altra sulle guance, e lui non fece niente per fermarle. Non appena fui libera, allungai una mano verso il suo volto, ma un dolore improvviso al petto mi costrinse a rimettere il braccio nella sua posizione originaria con un gemito. Alzai lo sguardo verso di lui. “J-Joshua…” sussurrai.

“Sì, Eve, sono io, sono io,” mi disse accarezzandomi il volto delicatamente. Portò lo sguardo sul mio petto e dovette vedere qualcosa di veramente brutto, perché esclamò “Oh, cazzo!” e chiamò qualcuno in lontananza. Si rivolse di nuovo a me, senza smettere di accarezzarmi. “Rimani sveglia, eh, Eve? Non devi addormentarti, d’accordo?”

Annuii non molto convinta. Anche lui annuì, si morse il labbro inferiore e poi mormorò: “Scusami. Scusami se ti ho fatto finire in questa situazione, io…”

Ci misi un po’ a capire a cosa si riferiva, ma alla fine gli feci un sorriso stanco. “T-Tranquillo, non ce l’ho con te, t-ti capisco. Anch’io…” Una seconda coltellata di dolore mi colpì il petto e mi strappò uno strillo, accompagnato da lacrime e singhiozzi. Joshua cercò di calmarmi, ma era impossibile. Non voglio morire, non voglio MORIRE! urlai dentro di me con tutta la voce che non potevo usare.

“Merda, Eve!” Un’altra voce familiare era arrivata alle spalle di Showpony, accompagnata dal rumore di passi di altre tre persone. Mikey si girò verso gli altri e disse: “Come la portiamo via?”

Gerard si lanciò un’occhiata intorno. “Qualcuno la prenda per le braccia e un altro per le gambe. Dobbiamo andarcene di qui: tra poco manderanno i rinforzi, e io vorrei evitare di rimanere a Battery City stanotte.”

Joshua si spostò dietro di me, mi afferrò per i bracci e mi tirò su, mentre Ray faceva la stessa cosa con le mie gambe. Mentre mi alzavano il mio petto fece un movimento strano e il dolore della ferita mi tolse per un attimo il respiro. Evitai di urlare mentre correvamo verso la recinzione del cortile, dove la macchina di Frank era infilata per metà dentro e per metà fuori. Fun Ghoul fu il primo a entrare e a sistemarsi sui sedili posteriori: Ray e Joshua mi infilarono dentro facendomi passare delicatamente dall’altra portiera e appoggiando la mia testa sulle gambe del chitarrista. Showpony entrò insieme a me e mise le mie gambe sopra le sue, mentre Mikey si infilava al posto di guida e gli altri due ragazzi si stringevano sul sedile del passeggero. Facemmo marcia indietro e ci immettemmo poco correttamente sulla strada principale. “Non staccare il piede dall’acceleratore, fratellino,” disse Gee senza nemmeno un’ombra di ironia. Kobra Kid non se lo fece ripetere due volte e si diresse a tutta velocità verso il tunnel che portava al deserto, passando sotto la sbarra un attimo prima che calasse del tutto.

Joshua prese un lenzuolo bianco da accanto a sé e lo mise sulla mia ferita, cercando di fermare l’emorragia. “Dio, quanto sangue…” mormorò con le lacrime che continuavano a scorrergli sulle guance. Vedendo che il lenzuolo non faceva praticamente niente, si limitò a metterlo come meglio poteva sulla ferita. Quando alzò lo sguardo, lo guardai nei suoi occhi grigi, preoccupati e rossi per il pianto. “J-Joshua, io…” mormorai, ma non osai pronunciare le altre parole e mi limitai a dirle col labiale.

‘Ho paura.’

Lui le capì subito e mi portò una ciocca di capelli sudati dietro l’orecchio. “Non devi averne, andrà… andrà tutto bene. Va bene? Ecco.” Afferrò la mia mano destra, stringendola forte. “Non ricordi? Take my fuckin’ hand and never be afraid again.

Feci una risatina, ma fui costretta a smettere per il dolore che sentivo quando le risate mi scuotevano. I ragazzi sui sedili anteriori stavano parlando tra di loro, e io mi misi ad ascoltarli come meglio potevo: la vista e l’udito stavano di nuovo calando, ma mi concentrai e ascoltai i loro discorsi. “La portiamo al Diner?” chiese Mikey senza togliere gli occhi dalla strada.

“No,” disse Gerard sicuro. “Tira a dritto, la portiamo dal Dr. D.”

Il fratello lo guardò come se avesse appena detto di abbandonarmi e lasciarmi morire. “Cosa? Sei impazzito, Gee? Sta perdendo troppo sangue, potrebbe morire prima del nostro arrivo!”
“Morirà anche se la portiamo al Diner,” sibilò l’altro in risposta. “Nessuno di noi quattro è capace di sistemare una ferita del genere, e Joshua, anche se sapesse farlo, non è lucido. Il Dr. D sa come curarla, o almeno può bloccare l’emorragia e farla…farla morire senza che senta dolore.” Queste ultime parole erano state dette con una voce tremante, come se esprimessero una possibilità che nessuno voleva che si avverasse. “A te la scelta. Preferisci che possa guarire oppure la portiamo al Diner aspettando che muoia, così poi le facciamo un bel funerale?” terminò sarcastico.

Il biondo non rispose, concentrato sulla strada. Alla fine disse: “Ray, avverti il Dr. D che stiamo arrivando e spiegagli la situazione. È meglio se al nostro arrivo ha già tutto pronto per curare Eve.”

Non riuscii a sentire Ray che parlava alla radio col Dr. Death Defying e gli spiegava cosa stava succedendo: il mio udito si era fatto debolissimo, e la vista andava e veniva. Mi misi a fissare il tettuccio dell’auto e incontrai lo sguardo di Frank, che era stato zitto fino a quel momento. “Ehi,” gli sussurrai.

Abbassò lo sguardo verso di me e fece un sorriso triste: anche lui stava piangendo, e i suoi occhi verdi erano diventati rossi. “Ehi, honey,” mi sussurrò di rimando, accarezzandomi il volto. “Come va?”

Feci una smorfia di dolore. “B-Bene, credo.” Lo fissai un attimo e poi aggiunsi: “F-Frankie, mi sa che sto per mollare.”

La sua espressione si fece allarmata e avvicinò il suo viso al mio. “No, no, no, non lo fare, Eve.”

“Ma fa male…”

“Ascoltami. Guarda Joshua.” Controllava a malapena il tremito nella sua voce, ma riuscì lo stesso a farmi voltare verso il ragazzo coi capelli blu, che fissava fuori dal finestrino il deserto notturno e aveva ancora la sua mano stretta nella mia. Riportai di nuovo lo sguardo su Frank, che continuò: “Lui ti ama, sai? A volte magari non riesce a dimostrartelo come vorrebbe, ma ti ama più della sua stessa vita, ed è tremendamente dispiaciuto per averti tradito. Se potesse tornare indietro non lo rifarebbe mai, perché tu stai rischiando di morire. E se tu… se tu te ne andassi credo che la sua vita diventerebbe un inferno. Quindi non mollare, okay? Non ti chiedo di farlo per me, per i ragazzi o per te stessa: fallo solo per lui.”

Annuii lentamente e poi chiusi gli occhi. “Tranquillo, non sto andando via,” gli mormorai non appena percepii la sua paura: e per dimostrargli che dicevo la verità, diedi una strizzatina alla mano di Joshua. Dopo qualche secondo lui la ricambiò e io feci un sorriso.

A occhi chiusi, però, mi era più difficile rimanere sveglia e lucida: c’era qualcosa in quel buio dietro le mie palpebre che mi chiamava e mi affascinava. Mi diceva che non ci sarebbero più stati dolori, rimorsi o perdite, che tutto sarebbe andato bene: bastava solo che lasciassi andare la mano di Joshua e mi lasciassi cadere nel vuoto. Cedetti e la mia stretta iniziò a diminuire, ma qualcosa la fece subito tornare stretta come prima. Con la poca lucidità che mi era rimasta, pensai: Ma cosa…

Eve, non ci riprovare. Non farlo mai più.

Gemetti di dolore. “Evelyn, non ce la faccio più, ho bisogno di riposare…”

Non puoi andartene proprio ora. Siete quasi arrivati, vi mancano pochi chilometri, resisti!

“Fa male…”

Non è una buona scusa.

“Perché non mi lasci in pace? Perché non lo fate tutti quanti?!” urlai dentro di me, mentre due lacrime mi attraversavano le guance. “Voglio solamente morire, voglio che questo dolore finisca, cosa c’è di così sbagliato?!”

Tutto. Improvvisamente due mani fredde ed eteree mi afferrarono il volto e mi costrinsero a guardare in alto. Dentro i miei occhi chiusi si iniziò a formare poco alla volta un’immagine, che si fece a mano a mano più nitida, finchè alla fine non mi ritrovai a fissare me stessa a ventiquattro anni e con lunghi capelli neri. Per la prima volta, la sua voce mi risuonò nelle orecchie come se fosse veramente davanti a me, e non solo nella mia testa. “Questo dolore finirà, Eve, ma non se molli adesso. Se muori, cosa pensi che farà Joshua? Cosa pensi che succederà ai ragazzi e a Grace? Hanno bisogno di te qui, sei il loro legame con questo mondo.” Fece una pausa e prese fiato. “Hai sempre voluto che la tua vita migliorasse e tu trovassi qualcuno da amare, e adesso hai entrambe le cose. Ti chiedo solo un piccolo sforzo, e poi questo dolore finirà, lo giuro.” Mi vide non ancora del tutto convinta e si incazzò; scosse un paio di volte il mio viso e urlò: “Cazzo, non ti ho aiutata a restare viva fino ad ora solo perché tu potessi morire in una fottuta macchina senza aver potuto lottare! Promettimi che non te ne andrai finchè non sarete arrivati dal Dr. D!”

Deglutii e le risposi dentro di me: “D’accordo, lo prometto.”

“Bene.” Con un sorriso, l’immagine di Evelyn iniziò a svanire mentre la macchina rallentava e si fermava. “Che… che succede?” mormorai. Quasi non riconobbi la mia voce: era stranamente bassa e rauca, e sembrava che sarebbe potuta scomparire in qualsiasi momento. Nessuno considerò la mia domanda e tutti scesero dall’auto: Joshua scese e poi mi prese in braccio, facendo uscire anche me.

Non riuscivo a vedere quasi più nulla e intuii la figura del Dr. D davanti al suo rifugio che mi guardava preoccupato: alzò la sbarra di legno che fungeva da porta e Showpony ci si infilò dentro, portandomi nella minuscola stanzina all’interno dell’edificio. Con delicatezza, mi sdraiò su uno dei tanti tavoli, liberato per l’occasione da tutte le attrezzature elettroniche e i dischi. Il Dj ci raggiunse un secondo dopo e si avvicinò a me: non appena vide la mia ferita non potè fare a meno di imprecare e raggiunse un altro tavolino, da dove prese una vecchia borsa di cuoio. Come se se ne fosse ricordato solo in quel momento, si voltò verso Joshua e gli disse brusco: “Che ci fai ancora qui?”

“Io…”

“Forza, esci. Pensi che lavorerò meglio con te qui dentro?” continuò l’uomo, acido. Il ragazzo mi rivolse un’ultima occhiata preoccupata e poi si precipitò fuori. Il Dr. D si voltò di nuovo verso di me e tolse delicatamente la mano che tenevo sopra la ferita: quando la osservai, il palmo era rosso di sangue. Il Dj mormorò qualcosa tra sé e sé e, con un paio di forbici estratte fuori dalla borsa, tagliò la mia maglia a metà in verticale e poi la strappò per vedere la ferita sulla pelle nuda. Non riuscii a trattenere un urlo, che si riversò fuori dalla stanza.

“Merda,” mormorò l’uomo. Con la poca forza che mi era rimasta, alzai leggermente la testa e guardai la ferita, rischiando di lanciare un altro urlo: era proprio sotto il seno sinistro, e tutto quello che riuscivo a vedere era un buco nero circondato da sangue. Il Dj rovistò nella borsa di cuoio e tirò fuori un paio di pinzette. Mi guardò e disse “Questo ti farà male. Se vuoi urlare non ti fermerò,” prima di infilarle dentro il buco del proiettile.

Mi afferrai con le mani al bordo del tavolo, cercando di non urlare mentre le pinzette entravano in profondità e cercavano il proiettile, ma alla fine il dolore ebbe la meglio e iniziai a urlare senza più fermarmi, interrotta solo dai singhiozzi e dalle inutili richieste di aiuto. Vi prego, vipregoviprego, farò qualsiasi cosa, morirò se è quello che volete, ma FATE FINIRE QUESTO DOLORE!

Lanciai un urlo più forte quando il proiettile uscì dal mio corpo, e quasi non sentii il Dr. Death Defying che bloccava l’uscita di sangue e mi fasciava il petto con una benda. Riuscii a calmarmi soltanto quando l’uomo iniziò ad accarezzarmi la fronte fradicia di sudore: smisi quasi subito di urlare, ma i miei singhiozzi erano talmente forti da farmi tremare e avevo le guance bagnate dalle lacrime. “Ssh,” mi calmò lui. “Va tutto bene, Venom, è tutto finito.” Lo guardai confusa e ripetè: “È tutto finito, non sanguina più. Sei fuori pericolo.”

Lo guardai un’ultima volta, poi iniziai a piangere, ma con il sorriso sulle labbra. Chiusi gli occhi e mi addormentai: ora non avevo più paura di morire.

 

*

 

Frank non tolse gli occhi di dosso da Joshua nemmeno per un secondo: lo teneva d’occhio da quando il ragazzo era uscito dal rifugio del Dr. D e si era voltato verso l’edificio, sicuramente cercando di immaginare cosa stesse succedendo. Era rimasto lì, fermo, in piedi, senza nemmeno osare fare un passo o muovere un muscolo, come se, rompendo quella sorta di equilibrio, la situazione sarebbe peggiorata.

E poi iniziarono le urla.

Erano la cosa più atroce che Frank avesse mai sentito in vita sua. Era abituato agli urli e agli strilli: c’erano quelli che Gerard faceva quando era ubriaco, quelli che si lanciavano contro i suoi genitori quando litigavano, quelli che Grace lanciava felice quando guidavano a tutta velocità sulle strade polverose della California. Ma queste… Dio, erano dolore allo stato puro. Ti facevano venir voglia di rannicchiarti per terra come un bambino piccolo, con le mani sulle orecchie, e ti facevano chiedere di far cessare quelle urla, perché, cazzo, facevano male.

Le urla di Eve non cessarono nemmeno un secondo, intramezzate da singhiozzi o breve pause per riprendere fiato e continuare a urlare. A un certo punto si sentì: “Per favore, aiutatemi! Fa male, fermatelo!” I ragazzi si guardarono un attimo stupiti e tristemente consapevoli di non poter far nulla per aiutarla, e si limitarono a sopportare in silenzio le sue urla. Frank lanciò un’occhiata verso Joshua: ogni volta che la ragazza iniziava di nuovo a urlare, stringeva le mani a pugno e si conficcava le unghie nella carne, come se questo potesse essere di aiuto. Stava trattenendo a forza le lacrime, e si vedeva. Di sicuro non c’erano punizioni migliori per quello che aveva fatto.

Bruscamente, così com’erano iniziate, le urla finirono, seguite dagli ultimi singhiozzi. Poi, silenzio.

I casi erano due: o il Dr. D era riuscito a guarire Eve e adesso lei stava riposando, oppure…

Frank scosse la testa a quel pensiero. No, non poteva essere successo, non ci avrebbe creduto finchè non avesse visto il cadavere. Si rifiutava in alcun modo di crederci: perché lei non poteva essere morta, non lei, la dura e fragile Eve…

Gerard si accese nervosamente una sigaretta, che buttò per terra non appena il Dr. D uscì dall’edificio: la spense col piede con tutta la sua forza per scaricare la tensione. E, forse, anche l’incazzatura rimasta di quel pomeriggio.

Il Dj li guardò tutti, dal primo all’ultimo, tutti preoccupati per quella ragazzina. Si voltò verso Joshua e disse: “Forza, vai dentro a trovarla. Ti sta aspettando.”

Il sorriso che si formò sul viso del ragazzo non avrebbe potuto essere più bello e sincero. Fece un paio di passi incerti, poi si catapultò dentro l’edificio senza riuscire a trattenersi. Gli altri quattro emisero un sospiro di sollievo e lasciarono che i due ragazzi stessero un po’ da soli. Frank, però, non riuscì a resistere alla curiosità e si avviò anche lui verso la porta. “Lasciali stare da soli,” lo avvertì Gerard, ma lui lo ignorò altamente e entrò dentro, raggiungendo l’ingresso della stanza ma rimanendo nella penombra del corridoio.

Eve era sdraiata su uno dei tavoli dove il Dr. Death Defying teneva i suoi apparecchi: aveva una mano sopra il petto e l’altra accanto al suo fianco, e dormiva tranquilla. La sua maglietta era strappata a metà e una grossa benda le fasciava tutto il petto, rossa dove la ferita aveva smesso da poco di sanguinare. Vicino a lei, su un altro tavolo, un paio di pinzette rosse di sangue erano appoggiate sul piano di legno insieme a un proiettile, diventato da color bronzo a rosso. Joshua fissò la ragazza che dormiva per qualche secondo, poi afferrò una sedia in un angolo e le si mise accanto. Allungò lentamente una mano verso la sinistra di lei e la afferrò delicatamente per non svegliarla.

E in quel momento Frank capì una cosa: quella canzone, quella che tutti pensavano che Gerard avesse dedicato a lui, era dedicata a due persone ben diverse. Due persone che lui non conosceva ancora quando l’aveva scritta, ma che erano rappresentate alla perfezione in quelle parole e quelle note. Erano lì, davanti a lui: lei dormiva sdraiata sul tavolo e a volte si muoveva brusca nel sonno, e lui, seduto su una sedia, le teneva stretto la mano, come se non volesse mai più lasciarla andare. Il chitarrista sorrise.

Eccoli, i due Amanti della Demolizione.

Demolition Lovers, l’esatto contrario del principe e della principessa delle fiabe: avevano problemi, caratteri complessi, rimorsi, paure, e non si vergognavano a mostrarle.

C’era Eve, che era più fragile di quanto volesse mostrare.

E Joshua, inseguito dai sensi di colpa.

Chissà, forse si erano davvero trovati e tutte quelle stronzate sull’anima gemella erano vere.

Frank sorrise un’ultima volta prima di fare dietrofront e uscire di nuovo nell’aria notturna del deserto: il Dr. D stava parlando con gli altri ragazzi, e si voltò quando sentì arrivare il moro. “Per stasera rimarranno qui. Tornate al Diner, ci penserò io a chiamarvi se c’è qualche problema.”

Gerard annuì e si avvicinò a Frank, avvolgendogli un braccio intorno alle spalle. “Forza, andiamo,” gli disse. Fun Ghoul non se lo fece ripetere due volte e si avviarono verso la macchina, sotto il cielo coperto di stelle.

 
*
It's birthday-time! Oggi è il compleanno di LudusVenenum! Auguri, bella! :D
E se non sbaglio l'11 era il compleanno di Lady Numb (correggimi se sbaglio o.O) Auguri anche a te comunque! ^-^
La frase sotto il capitolo è di Demolition Lovers. Che dire, amo quella canzone.
E cavolo, credo proprio sia la canzone di questa fanfiction.
Lady Numb: come vedi aggiorno sempre in frettissima ù.ù Mi dispiace un sacco di farti piangere sempre, ma ho una tendenza al tragico ma anche ai lieti fini, per fortuna. Un giorno passerò sul tuo canale di Youtube e mi guarderò i tuoi belissimi video... *O*
Maricuz_M: okay, ora te lo posso dire, Eve non è morta. Grazie per i complimenti, come al solito. (A proposito.. tu al concerto c'eri?)
LudusVenenum: ecco qua il capitolo, sperando che tu riesca ad andare a Imola (a quanto pare i My Chem sono gruppo spalla dei Linkin Park. Bel concerto, eh? E ancora auguri :D)
Kumiko_Chan_: più che una recensione del capitolo è una recensione del concerto. Sarà colpa dei pacchetti di Pringles volanti... LOL quando me l'hai detto quasi non ci credevo XD Ho semplicemente amato i LostAlone, ora mi metto al lavoro per cercare i loro album (per ora ne hanno pubblicti quattro... e io che pensavo fossero agli esordi o_O) AHAHAH Anch'io ho pensato che Gerard fosse stato influenzato dal signor Leto col suo 'Grazia' XD Nessuno mi ha guardata male durante The World Is Ugly, ho perso mia cugina non appena è partito il 'Look alive, Sunshine' -.-', ma in compenso ero sull'orlo delle lacrime ç_ç E dopo ero l'unica della mia zona ad aver urlato quando è partita la batteria di Destroya, penso di essere stata l'unica a capirlo in anticipo e mi sono sentita addosso gli sguardi di mezzo Palasharp D: Ah, Frank non aveva detto 'Trust me'? Ero convinta di sì D: Grazie per i complimenti, anche a me fatto piacere conoscerti, finalmente! ^-^
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
7.03.11 This Is The Best Day Ever 

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Capitolo 19
*** Of Endings And Rains ***


Of Endings And Rains

(Well, it rains and it pours when you’re out on your own)

 

Quella notte la passai sospesa tra il sonno e la veglia, perseguitata da incubi macchiati del mio stesso sangue e visioni di funerali e lacrime: a volte mi svegliavo di soprassalto, ma vicino a me c’era sempre Joshua, che mi stringeva forte la mano, mi toglieva le ciocche di capelli sudati dalla fronte e asciugava le lacrime che mi scorrevano sulle guance. Mentre mi riaddormentavo, mi aggrappavo disperatamente alla sua mano, l’unica cosa davvero reale nei miei sogni.

La mattina dopo ero leggermente più lucida, e la stretta del ragazzo sulla mia mano non era diminuita di un millimetro. Lo guardai alla luce del sole che proveniva dalla finestra: aveva due cerchi neri intorno agli occhi e l’aria più stanca che gli avessi mai visto addosso. Evidentemente non aveva dormito per un solo secondo per controllare che io stessi bene. “Riposati, razza di idiota,” gli sussurrai.

“Tranquilla, tranquilla, sto bene,” mi rispose lui assonnato. Con un sospiro mi tirai su a sedere a fatica, gemendo per la benda e la ferita che mi faceva ancora male, e feci in modo che Joshua appoggiasse la sua testa sulle mie gambe. Non appena le toccò, crollò come un bambino piccolo. Sorrisi e gli accarezzai i capelli blu mentre finalmente dormiva. Mi misi a fissare il deserto fuori dalla finestra senza smettere di accarezzarli: dovevamo parlare e chiarire alcune cose, ma non avevo alcuna fretta.

Potevo aspettare.

 

Joshua si svegliò un paio d’ore dopo: si alzò lentamente in piedi, si stirò le braccia e mi guardò con gli occhi grigi che brillavano. “Come stai?” mi chiese.

“Meglio, credo.” Col suo aiuto, mi alzai lentamente in piedi e cercai di riguadagnare l’equilibrio. Feci un paio di passi senza alcun problema, poi mi voltai verso il ragazzo, seria. “Joshua… tu… tu sai che dobbiamo parlare.”

La sua espressione si rattristò lievemente, ma si limitò a fare un cenno d’assenso.

“Per…Perché l’hai fatto?” gli chiesi in un sussurro, con gli occhi che stavano iniziando a riempirsi di nuovo di lacrime. “Tu sai cosa mi è successo, sai cosa succede ogni singola notte nei miei sogni. Sei la persona che mi conosce meglio di tutte, qui in California. Come hai potuto consegnarmi alle uniche persone che sono riuscite a farmi veramente del male?”

Rimase un attimo in silenzio con lo sguardo basso, come se stesse cercando le parole. Alla fine disse: “Io… Dio, Eve, mi sono pentito alla fine, quando ti hanno catturata. Vorrei tanto non avere mai stretto quel patto, mi sono reso conto di quanto debole e avventato sono stato. Ma…” Deglutì. “So che quello che hanno fatto a me non è nemmeno paragonabile alle tue cicatrici, ma è stato terribile. Per quasi una settimana sono stato picchiato ogni giorno a sangue, ed ero talmente debole che non riuscivo a muovermi dal pavimento. Non sono forte come te, lo sai, e poi hanno detto che sapevano dove era la tomba della mia famiglia. E io l’ho cercata così a lungo, volevo solamente vedere i miei genitori e mia sorella per un ultima volta prima di lasciarmeli alle spalle…” Alzò lo sguardo verso di me: sembrava davvero dispiaciuto e triste. “Mi dispiace.”

Sostenni il suo sguardo senza cambiare espressione. “Non… non so cosa fare, Joshua. Una parte di me vorrebbe perdonarti, ma un’altra, quella che ha sentito il dolore di ogni singola ferita che mi hanno inferto, mi dice che è impossibile, che non devo farlo. E io non so chi ascoltare.” Mi morsi il labbro inferiore. “Penso di… di aver bisogno di un po’ di tempo per riflettere.”

Showpony annuì a testa bassa e, senza dire niente, uscì dal rifugio del Dr. Death Defying. Lo sentii scambiare un paio di parole col Dj, poi scappò via sui suoi pattini, lontano da me. Rimasi da sola, al centro della stanza, incapace di decidere cosa fare. Poco dopo un rumore di ruote mi raggiunse all’interno dell’edificio. “La ferita va meglio?”

Annuii. Dr. D si avvicinò un altro poco a me e mi fissò da dietro i suoi occhiali da sole. “Hai parlato con Showpony di quello che è successo, vero?”

“Sì.” Alzai lo sguardo verso di lui. “Non ho idea di cosa fare. Vorrei perdonarlo, ma non so se riuscirei a farlo. Il suo tradimento è stato troppo grande e ho rischiato di morire. Non sarei potuta essere qui, viva, adesso!” Feci una pausa. “Che dovrei fare, secondo te?”

“Non posso aiutarti a decidere se puoi perdonarlo o meno, dipende tutto da te.” Fece una pausa. “La domanda non è ‘Posso perdonarlo o no?’ oppure ‘Posso dargli ancora fiducia?’, ma ‘Provo ancora qualcosa per lui, dopo tutto quello che ha fatto?’” Mi fissò un’ultima volta, poi mi fece segno di uscire. “Puoi anche cavartela da sola adesso, io devo tornare ai miei impegni.”

Sorpresa dal suo comportamento, lo salutai prima di uscire di nuovo nel deserto: il sole splendeva nel cielo e i suoi raggi mi scaldavano la pelle fredda. Voltai lo sguardo verso la direzione in cui c’era il Diner e sospirai: mi sarebbe toccato andare a piedi, i ragazzi non sapevano che stavo meglio. Sbuffai e mi incamminai in quella direzione, senza mai voltarmi indietro.

Mi sembrava di non capire quello che mi aveva detto il Dj: non mi aveva dato nessun aiuto concreto, se non una cosa in più sulla quale scervellarmi. Ma, dentro di me, sapevo che quell’unica domanda era la soluzione di tutto quel casino: se provavo ancora qualcosa verso Joshua potevo… potevo perdonarlo per una volta e poi ricominciare da zero, io e lui. Oppure potevo continuare a provare rancore verso di lui senza mai perdonarlo.

Ma cosa ne sarebbe stato di me? La vita in California sarebbe diventata insopportabile, ed era escluso che tornassi nel mio mondo. E poi… la vita senza Showpony mi sarebbe mancata: lui sapeva come tirarmi su, sapeva consolarmi, sapeva farmi distrarre da tutti i miei pensieri e le mie preoccupazioni.

Ma, più di ogni altra cosa al mondo, sapeva amarmi.

Aveva avuto soltanto un fidanzato nel mio mondo, quando avevo quattordici anni. Non ricordavo nemmeno più il suo nome, eravamo stati insieme per nemmeno tre mesi, ma ricordavo benissimo il modo in cui si comportava con me: mai un’attenzione, mai un gesto o una parola carina, mai un bacio pieno di vero amore, e non perdeva mai occasione di dirmi quanto fossi goffa, patetica e strana. Quando ci eravamo lasciati mi ero sentita vuota e priva di amore, se mai ne ero stata piena: quella era stata l’unica occasione in cui avevo contemplato l’idea del suicidio, ma la musica e i miei pochi amici erano riusciti a farmi tornare di nuovo la stessa di prima.

Con Joshua era diverso, lo sapevo: prima di ogni altra cosa era il mio miglior amico insieme a Frank, potevo confidargli tutto senza paura di venire giudicata. E ogni volta che ne avevo bisogno lui era lì per rassicurarmi, coccolarmi e riempirmi d’amore fino alla nausea. Inoltre anch’io avevo tradito i Killjoys, all’inizio, ma lui mi aveva perdonata: cosa mi vietava di fare la stessa cosa con lui?

Arrivata a metà della strada che portava al Diner, avevo preso la mia decisione. E, quando vidi una figura familiare in lontananza, le corsi incontro senza nemmeno pensarci due volte: Joshua si voltò non appena sentì il rumore dei miei passi e mi guardò malinconico, in attesa di sapere cosa dovevo dirgli.

“Io…io…” iniziai mentre cercavo di riprendere fiato per la corsa. Con un ultimo respiro profondo mi ripresi e continuai: “… io ti perdono.”

Il suo sorriso a trentadue denti splendette lucente come il sole di mezzogiorno che brillava nel cielo. Showpony si avvicinò lentamente a me e mi prese le mani tra le sue, guardandole. “Sai, vero, che questa cosa si aggiungerà alla mia lista di sensi di colpa?”

“Cazzate,” gli risposi. “Tutto quello che mi è successo non è soltanto colpa tua, e anche se fosse così non te lo rinfaccerei ogni giorno, come stai facendo da solo.” Mi avvicinai ancora di più al suo viso. “E adesso potresti smettere di fare la vittima e salutare una morta vivente come si deve?”

Sorrise di nuovo e si chinò verso le mie labbra, baciandomi come non facevamo da giorni. Quando ci staccammo, il ragazzo mi prese sulla sua schiena e iniziò a pattinare a tutta velocità verso il Diner, mentre io urlavo con il vento tra i capelli. Fuori dal rifugio c’era Ray, che fumava tranquillo una sigaretta: non appena ci vide arrivare, la spense e ci venne incontro, quasi stupito dalla mia pronta guarigione. “Come va, Eve?” mi chiese.

“Bene, credo,” gli risposi mentre scendevo dalla schiena di Joshua. Una fitta improvvisa al petto mi mozzò il fiato, ma mi ripresi subito e calmai gli altri due ragazzi, già partiti in quarta per aiutarmi. “Sto bene. Sto bene, davvero.” li rassicurai. Showpony annuì poco convinto e si diresse verso il garage per cambiarsi. Rimasti da soli, Ray mi guardò un attimo e disse: “Eve, ascolta… io e gli altri avevamo deciso di tornare a casa domani. Insomma, sì, visto che stai bene e te la puoi cavare da sola…”

Annuii poco convinta: non volevo che se andassero, stavolta veramente per sempre, avevo bisogno che rimanessero con noi. Era chiaro che non potevamo combattere la Better Living da soli, e non sarebbe arrivato nessun altro da Battery City ad aiutarci. Era un pensiero davvero egoista, ma ero spaventata da quello che sarebbe potuto succedere quando io, Joshua e Grace fossimo rimasti da soli. E allora chiesi la cosa più egoista del mondo. “Ray… non è che tu e gli altri potreste… potreste… bè, rimanere qui?”

Il ragazzo sbarrò gli occhi e mi fissò incredulo, scioccato dalla mia richiesta. Abbassai lo sguardo e continuai, spiegandomi: “Lo so che posso sembrare davvero egoista, ma… non so cosa potrà succedere quando ve ne sarete andati. E io ho davvero bisogno di sentirmi al sicuro, ora come ora.” Alzai di nuovo lo sguardo, incontrando gli occhi castani di Jet Star. “Non voglio costringervi a rimanere per sempre, voi avete una famiglia e degli amici nel vostro mondo, ma vi chiedo di rimanere almeno per qualche altra settimana, finchè non mi sarò ripresa.”

Il silenzio ci avvolse per qualche secondo, poi Ray disse: “D’accordo, ne parlerò con Gee e gli altri stasera.”

Gli sorrisi prima di entrare dentro il Diner. “Grazie.”

 

Passai la notte inquieta, in attesa di sapere cosa avevano deciso i ragazzi e anche perché la ferita non aveva mai smesso di darmi delle fitte tremende. Fui costretta ad alzarmi a metà notte per cambiarmi la benda, tanto era intrisa del sangue della sera prima e del liquido che ogni tanto usciva dal buco del proiettile. Rabbrividii al pensiero che la notte prima, a quella stessa ora, ero dentro la macchina di Frank in bilico tra la vita e la morte.

La mattina dopo fu un rumore davvero insolito a svegliarmi. Un rumore che non avevo mai sentito laggiù nel deserto, dove il sole batteva sempre a picco.

Il tuono si fece di nuovo sentire, questa volta più forte.

Mi alzai confusa dal letto e mi avvicinai alla finestra: fuori c’era un vero e proprio diluvio, con tanto di lampi e tuoni. Sembrava il giorno in cui ero finita nel posto della Black Parade, durante un temporale. Ancora confusa per quella stranezza, mi vestii e realizzai solo in quel momento che il letto di Ray era vuoto e sfatto. Il cuore mi balzò in gola e corsi nell’altra camera: anche lì i letti erano vuoti, e lo era anche la branda sulla quale Joshua aveva dormito quella notte.

Ansimai, cercando di trattenere le lacrime: allora era vero, se ne erano andati? Così, senza nemmeno salutarmi e dirmi addio? Una lacrima mi corse lungo la guancia. Bastardi, pensai. E Joshua, anche lui era andato via con loro? Perché l’aveva fatto? Sapeva che l’aveva perdonato, ma forse aveva voluto riniziare una nuova vita lontano dalla California, in un altro tempo, proprio come avevo fatto io. Forse aveva pensato che lontano da me sarebbe stato meglio.

Ma per me non era la stessa cosa.

Corsi in fretta giù per le scale e raggiunsi il garage dalla porticina che lo collegava alla sala del Diner, e cercai tra gli scatoloni ammucchiati l’unico oggetto che mi sarebbe servito con una pioggia del genere. Alla fine trovai un ombrello verde scuro semidistrutto in un angolo tra dei vestiti vecchi: tornai dentro il Diner, aprii la porta principale e uscii fuori, aprendo l’ombrello sopra di me. La pioggia era leggermente diminuita, ma la visibilità era ancora molto scarsa. Strizzai gli occhi per cercare di vedere qualcosa tra il muro di acqua, ma era come cercare di vedere attraverso il fumo. A tentoni, raggiunsi il posto accanto al garage dove di solito era parcheggiata la macchina dei ragazzi, ma anche tra le gocce di pioggia vedevo benissimo che non era più lì. “Dove siete?” urlai, guardandomi intorno. “Frank! Gee! Joshua! Dove siete finiti?

La pioggia diminuì ancora un po’, consentendomi di vedere finalmente la strada in modo quasi decente. Con l’ombrello ancora aperto corsi verso la direzione di Battery City, decisa a cercare i ragazzi e a fermarli se necessario. Ma non mi sarei dovuta allontanare più di tanto, non potevo lasciare Grace da sola dentro il Diner. Continuai a correre urlando i nomi dei ragazzi, quasi sovrastati dal rumore dei tuoni, ogni volta con un tono sempre più disperato: non potevano avermi abbandonata lì da sola, no, era impossibile, come avrebbero…

Una fitta dolorosa al petto mi mozzò il fiato per qualche secondo. Persi l’equilibrio e caddi a pancia in giù sull’asfalto bagnato. L’ombrello mi scivolò via dalle mani e rotolò qualche metro più in là, lontano dalla mia portata. I miei vestiti stavano diventando fradici, così come i miei capelli, e sentivo la benda che assorbiva l’acqua mano a mano che la mia maglietta si bagnava. Sotto il peso della pioggia che mi cadeva addosso, mi tirai prima su sulle braccia e poi cercai di tornare in pieno, ma scivolai e crollai di nuovo sulla strada a peso morto. Mi lasciai sfuggire un singhiozzo: cazzo, non avevo nemmeno la forza di rialzarmi, come avrei fatto a cercare Gerard e gli altri?

“Eve!”

Una voce familiare alle mie spalle si avvicinò sempre di più e poi la pioggia cessò di cadere sopra di me, ma continuò a farlo sul resto della strada. Sentii qualcuno che si inginocchiava accanto a me, mi afferrava per un braccio e mi dava una mano a tirarmi su, di nuovo in piedi sotto un altro ombrello. Mi passai una mano tra i capelli bagnati e la voce continuò: “Che ti è successo?”

Mi voltai verso di lui, incontrando i suoi occhi verdi. “Non ho visto voi e Joshua nei vostri letti quando mi sono svegliata e pensavo che ve ne foste andati senza dirmi niente…”

“Idiota,” mi sfottè lui con quel sorriso che mi piaceva tanto. “Gee e gli altri sono andati a fare un giro con la macchina e Joshua è andato dal Dr. D per delle commissioni che doveva fare. Secondo te ce ne saremmo potuti andare senza nemmeno salutarti?” Mi scarruffò i capelli tra le mie proteste scherzose. “Come avrei potuto abbandonare qui da sola la mia sorellina?”

Feci un’ultima risata, poi mi feci di nuovo seria e guardai Frank. Deglutii. “Allora… Ray ve l’ha detto, no? Cosa… cosa avete deciso?”

Lui si limitò a fissarmi e a tenere l’ombrello alto sopra le nostre teste, senza dire niente. A un certo punto, velocemente come era iniziato, il temporale cessò di colpo. Il ragazzo chiuse l’ombrello e indicò un punto alle mie spalle. “Ehi, c’è l’arcobaleno!”

Mi voltai: aveva ragione, c’era una lunga striscia colorata che attraversava il cielo di nuovo limpido. Il sole risplendeva come non mai, e tutto mi faceva pensare che erano in arrivo buone notizie. O forse no? Tu che ne dici, Evelyn? le chiesi dentro di me, ma lei non mi rispose. Sbuffai: odiavo quando faceva la misteriosa.

“Ehi, Eve.” La voce di Frank mi fece di nuovo voltare verso di lui: era serio, ma c’era un guizzo di luce nei suoi occhi che mi parve un bellissimo segno. Si grattò un punto dietro la nuca. “Sai, stamattina mi sono accorto che la macchina ha un pezzo che va riparato dentro il motore, ma qui non abbiamo pezzi di ricambio. E quindi… non so, potremmo andare a fregarlo a un furgone della Better Living, un giorno di questi.” Vedendo il mio sguardo confuso e allo stesso tempo felice, continuò: “O anche tra una settimana, se ora non ti va. O tra un mese o due.”

Gli sorrisi con talmente tanta forza che pensavo mi si sarebbero strappati i muscoli. Prima che potessi abbracciarlo, però, il ragazzo si voltò verso il Diner e iniziò a correre, urlando: “L’ultimo che arriva in garage è un Draculoide!”

“Ehi, non vale! Aspettami!” Mi lanciai al suo inseguimento senza smettere un solo secondo di ridere, le mie preoccupazioni portate via dal vento insieme alle nuvole della pioggia.

*
Brutte notizie in arrivo, Sunshines. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo di questa storia, una specie di epilogo. Poi aggiungerò un altro capitolo con dei ringraziamenti che mi sembra obbligatorio fare (cazzo, i ringraziamenti! Manco avessi scritto un libro! XD)
La frase sotto il capitolo è di The Sharpest Lives.
Maricuz_M: cavoli, questa storia sembra che raduni tutte le MCRmy toscane! Di dove sei? Io di Livorno ^_^
Lady Numb: ti capisco, ormai ne so qualcosa anch'io di minacce di morte (*coff, coff* Joshua Draculoide *coff, coff*) Grazie mille per i complimenti, sono contenta che ti piaccia il rapporto tra Frank e Eve!
LudusVenenum: (davvero? Cavoli, condoglianze.) Eeeh, effettivamente Joshua e Eve sembrano veramente gli Amanti Della Demolizione, guarda lì quante ne hanno passate -.-' Alla prossima!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
7.03.11 This Is The Best Day Ever.

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Capitolo 20
*** Fairytales don't exist ***


Fairytales don’t exist

 

E ora?, chiederete voi. Dov’è il resto della storia, dove sono i giorni pericolosi dei Killjoys, dove sono il sangue, le battaglie, il dolore e l’amore?

Sono finiti qui?

È finita qui questa storia?

Bè… la riposta più o meno è sì.

Vedete, da quel giorno di pioggia in cui i My Chemical Romance hanno deciso di rimanere in California con noi Killjoys sono passati quasi due mesi. E per ora i ragazzi sono ancora con noi, e non avete idea di quanto si divertono, di quanto si sentano sé stessi in questo momento! La vita qui in California nel 2019 è quella perfetta per loro, quella che credo abbiano sempre sognato.

Ma…

Bè, nelle storie c’è sempre un ‘ma’.

So che probabilmente arriverà un giorno in cui la nostalgia per la loro famiglia, i loro amici e, perché no?, anche per i loro fan e la loro musica li travolgerà come un fiume in piena. E allora vorranno tornare a casa, al sicuro nel loro mondo. Quello che un tempo era anche il mio. Ma a me va bene così, non li costringerò a restare: non si possono chiedere giuramenti eterni alle persone, lo so e l’ho sempre saputo.

So che vi starete chiedendo anche com’è la situazione tra me e Joshua, se alla fine l’ho perdonato veramente. E la risposta è sì, l’ho fatto. Perché, cazzo, ho un bisogno tremendo di lui e del suo amore, e so che non farà di nuovo un patto del genere. Ormai ho imparato che bisogna sempre guardare al presente e al futuro, perché a forza di vivere nel passato non si può andare avanti. Non importa quante volte tu sia caduto, devi rialzarti sempre e comunque: è una lezione che ho imparato anche troppo bene, e anche pure troppe volte. Ed è quello che ho fatto: ho lasciato la mia vecchia me stessa indietro, nel passato, nel mio mondo. La vecchia Eve Blackshadow, la nerd con pochi amici e solitaria, è morta. Adesso al suo posto ci sono io, la Killjoy.

È incredibile che sia passato soltanto un anno da quel temporale, quello da cui è iniziato tutto: da quel giorno in cui il mio poster della Black Parade mi ha risucchiata, dando vita al mio destino. Mi sembra letteralmente incredibile, probabilmente se un anno fa qualcuno mi avesse predetto una cosa del genere non gli avrei mai creduto. Ma ormai ho fatto l’abitudine alle stranezze, io stessa sono strana, così come lo sono la mia storia e la mia vita.

È per questo che Joshua mi ha portato questo quaderno, un mese fa: l’aveva trovato per caso nel deserto, e aveva pensato che poteva tornarmi utile, che potevo usarlo per raccontare la mia storia. “E a chi credi interesserebbe conoscerla?” gli avevo chiesto annoiata.

“Andiamo, Eve! Pensi che a nessuno interesserebbe conoscere tutto quello che ti è successo, tutte le tue avventure e la tua vita?” Mi aveva sorriso in quel modo disarmante. “Io credo di sì.”

Ed è soltanto per amor suo se ho deciso di assecondare la sua idea e sto finendo di scrivere l’ultimo capitolo delle mie avventure. Scorro tutte le pagine che ho già scritto, che scricchiolano per le ferite d’inchiostro con cui le ho immortalate per sempre: cicatrici nere che non spariranno mai, come quelle sulla mia pelle. Sono più di duecento pagine, e il quaderno ha ancora spazio abbastanza per scriverne un’altra cinquantina. Perché non finirlo, raccontare anche altre cose che succederanno in un futuro prossimo?

Anche se, a dire la verità… non voglio che qualcuno trovi questo quaderno. Voglio essere io stessa a raccontare tutto questo, un giorno, ad altre persone e ai miei figli, se mai ne avrò. Perché un giorno la Better Living scomparirà, e con essa anche i Killjoys: ho capito che non possono esistere l’una senza l’altra, come due anime gemelle divise per l’eternità tra il bene e il male. È un modo strano di vedere la faccenda, eppure è vera. Non so neppure quando tutto questo succederà, ma sono sicura che accadrà, prima o poi. Non so quando, ma non posso che confidare nel futuro: è l’unica cosa su cui posso fare affidamento adesso.

Anzi, no.

Il futuro potrebbe portare cambiamenti positivi, ma anche negativi: potrei morire tra sessant’anni, o domani, o in questo stesso istante, mentre sto scrivendo nel garage, appoggiata a uno dei tanti tavoli polverosi e ingombri di cianfrusaglie. Come dicevano i 30 Seconds To Mars, ‘Non credo in niente, se non nella verità di chi siamo.’ E questa è l’unica di cui posso essere certa, chi sono.

In teoria, se questa fosse una fiaba, il futuro porterebbe solo belle cose, fiori e unicorni. Ma ormai, a un anno di distanza, ho capito che le fiabe non esistono, e non si può mai mettere veramente il ‘E vissero per sempre felici e contenti’ a una storia.

Ma sono speranzosa.

E se quel giorno mai arriverà, vergherò quelle parole con il fuoco su questo quaderno.

Adesso, posso solo dire che questa è la fine.

Per ora.

 

  

 

The End.

 
*
Sono troppo buona e idiota, cazzo lo sono...
Uhm, comunque. Per chi non se ne fosse accorto, ho cancellato 'Ultima storia di questa serie' dalla presentazione di questa fanfiction. Mi è venuta in mente un'altra idea. Mi odio per questo, miodiomiodiomiodiomiodio. Giuro che quella è veramente l'ultima, il finale non prevede altrimenti (le ultime parole famose... -.-' ndEve.) Ma non la pubblicherò tra poco, cavoli. Ho una Frerard che mi aspetta, e una fanfiction che sto provando a tradurre, e anche altre cose... quindi boh, ci penserò su. Nel prossimo capitolo farò alcuni ringraziamenti.
Ovviamente voglio sapere anche la vostra opinione. Ditemi se un'altra storia vi piacerebbe o se vi iniziasse ad annoiare. Esprimetevi liberamente, potete anche insultarmi, tanto ormai su questo sito me ne hanno dette di tutti i colori ù.ù
Maricuz_M: in quale paesino, esattamente? Scusa la curiosità, ma conosco quasi a memoria tutti i paesini della Toscana XD
genderblender: l'ov forEvahendEvah ù.ù (wah, pariamo due bimbeminkia D:)
Lady Numb: mi sto immaginando te che sorridi come una demente, d'altronde meglio ridere che piangere XD (Psicologa sentimentale? Piacere, collega!) Hai ragione, le cose belle prima o poi devono finire, ma la mia fottuta fantasia continua a sfornare idee su Eve e Joshua a ripetizione... l'ho detto, mi odio per questo D:
LudusVenenum: tu non perdoni mai nessuno e uccidi tutti, mi ricordi una certa Chase Bittervoice... XD E tranquilla, ora puoi sempre sperare in un lieto fine ;)
Kumiko_Chan_: sei tornata!! Sì, ho un'idea dello stato in cui ti hanno ridotta questi ultimi capitoli, mi sono preoccupata non vedendo le tue recensioni... Metti via i fazzoletti e leva Cancer, che non è finita!!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
7.03.11 This Is The Best Day Ever 

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Capitolo 21
*** Ringraziamenti (manco avessi scritto un libro o_O) ***


Credo che per una ragazza che scrive e passa serate intere in compagnia delle pagine di Word da riempire (come me) sia un passo difficile e importante pubblicare le proprie storie su un sito in cui tutti possono leggerle, come EFP. Si è costantemente sotto il rischio di plagi, critiche, accuse di comportamente scorretti più o meno vere.
Per fortuna per me non è stato così.
Perchè su questo sito ho trovato e conosciuto delle persone stupende, che mi hanno sempre spronato a continuare a scrivere e che mi hanno sempre fatto i complimenti per i miei personaggi, le mie storie e le mie trame. E' grazie a loro se adesso, dopo quasi sette mesi dalla mia iscrizione, Eve è ancora qui con i suoi problemi, la sua storia difficile e il suo carattere da adolescente. E mi sono affezionata a lei e a Joshua più di quanto immaginassi.
Ed è sempre grazie a loro se questa storia ha raggiunto le 94 recensioni e una segnalazione per entrare tra le Scelte. Quindi, sì, grazie di tutto, Sunshines.
Ci sono anche altre persone che devo ringraziare:

-innanzitutto penso sia doveroso dover ringraziare i My Chemical Romance, senza i quali questa serie non sarebbe mai esistita. Se non fosse stato per Mama, ascoltata in una sera di metà settembre, non sarebbero mai esistiti nemmeno Eve, Slay, Joshua e tutti gli altri. E poi.. andiamo, come faremmo senza Party Poison, Fun Ghoul, Kobra Kid, Jet Star e il Frerard? XD

-le mie amiche Arianna e Giulia, che in pratica sono innamorate di Showpony e mi hanno picchiato non appena Eve ha tradito i Killjoys e Joshua è diventato un Draculoide. (Non scherzo, mi hanno davvero preso a pugni, e la prima volta erano le tre di notte ed io ero sdraiata sul letto col mal di testa -.-')

-tutte le persone che hanno letto/commentato/messo tra le preferite e le seguite/amato/odiato/stampato e poi bruciato questa serie. In particolare ringrazio quelle che hanno recensito questa storia: Kumiko_Chan_, Lady Numb, Maricuz_M, genderblender, LudusVenenum, _Music_6277 e Dawn_. Grazie per i vostri scleri, le vostre minacce, i vostri complimenti e tutto quello che siete riuscite a infilare in poche righe. Significate tanto per me!

-e, ultime ma non ultime, devo ringraziare tre persone in particolare. Lady Numb, che recensisce sempre e che ha messo questa storia tra le preferite e le seguite dal primo capitolo, dandomi più fiducia di quanto credessi. Kumiko_Chan_, la Sunshine, che mi segue fin da quando ho messo piede per la prima volta su questo sito, che sclera e va continuamente fuori tema (a proposito... scrivo al computer, ma se ho delle idee a scuola o da altre parti mi accontento di carta e penna ^^), che riesce a farmi sempre sorridere e che ho potuto finalmente incontrare, dopo sette mesi di conversazioni informatiche! E LudusVenenum, che ha recensito sempre e comunque e che è quasi riuscita a farmi piangere con l'ultima recensione: "bè, che dirti? grazie di averci regalato Eve e le sue avventure, in bocca al lupo per le prossime e anche se deciderai di non continuare la serie, credo che ci rimarrò per sempre affezionata, perchè è troppo bella, è come se il deserto fosse il luogo personale che c'è dentro di noi dove ci possiamo rinchiudere quando vogliamo fuggire dalla realtà, e Eve ci ha fatto compagnia." E grazie a te che mi hai seguito.
LudusVenenum è anche l'autrice della segnalazione all'amministrazione di EFP per inserire "I fell apart, but got back up again" tra le Scelte della sezione My Chemical Romance. Io ho pianto appena l'ho letta. Se volete leggerla, eccola qui.

"Spero che questa storia vada nelle scelte perchè è ricca di emozioni e di azione.
Come tutte le altre storie della serie, si, però l'ultima ha sempre un incanto particolare. Di bellezza e malinconia insieme. è così che mi sono sentita quando ho saputo che la storia di Eve, Joshua (gli amanti della demolizione), i Killjoys, Grace nella california del 2019 era probabilmente giunta ad un capolinea.
Perchè purtroppo anche le storie belle hanno una fine, ma spero che le parole "THE END" vengono scritte più tardi, alla fine di un altro possibile seguito.
Il personaggio è particolare, una ragazza coinvolta in situazioni più grandi di lei, ma che non si perde d'animo, che lontano da casa trova amicizia ed amore.
In fondo c'è una parte di Eve in ognuno di noi, la parte che vuole fuggire dalla realtà e restare nel proprio mondo, il deserto sarebbe il nostro luoo privato dove ci possiamo riposare dalla ingiustizie e dallo stress della giornata.
La vicenda è ricca di svolte e mai banale, mai ovvia, prende spesso delle pieghe inaspettate; quando credi che la storia vada in un modo, poi si scopre andare in un altro. è un elemneto eccezionale che riesco a trovare in poche storie.
In conclusione spero veramente che l'amministrazione aggiungerà questa fanfiction tra le storie scelte perchè merita, eccome se merita!
"

Grazie della fiducia che mi hai dato. <3

E come obiettivo per la prossima (e ultima, giurocheèl'ultima) storia, vogliamo le 100 recensioni ù.ù
Intanto, festeggiamo! *stappa lo champagne e inizia la CONGA!!*

So Long And Goodnight. LOOK ALIVE, SUNSHINE!!

xoxo
Eva

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