I fratelli Liverdon

di violacciocca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** prologo ***


 

Questa storia é ambientata in un altra epoca e in un altro mondo, fatto di castelli, cavalieri e dame, feste danzanti e duelli con le spade. Qualcosa di già sentito, come l'amore. “Amore” descritto in milioni di storie ma in milioni di modi diversi.

 

 

Prologo

 

Berenice Vivienne Liverdon era una donna che aveva ricevuto molto dal destino, un' invidiata bellezza, un'intelligenza sagace ed una vita comoda e agiata, frutto di un matrimonio ben riuscito.

Chi conosceva Berenice, anche solo di nome, la considerava una donna fortunata poichè poteva avere tutto ciò che desiderava. Tutto tranne una cosa. Berenice infatti voleva con tutta se stessa avere la benedizione di un figlio. Aveva desiderato per tutta la vita una famiglia numerosa e, sposando Rudolf, credeva di poter coronare il suo sogno. Dopo otto infruttuosi anni di matrimonio i cogniugi avevano ormai perso le speranze. Avevano provato di tutto, si erano rivolti a medici, finte streghe e sacerdoti ma nulla si era dimostrato efficace. Berenice non poteva rassegnarsi a questa situazione, perciò fece l'unica cosa possibile da farsi: decise di adottare un bambino.

Incurante delle malelingue si recò all'orfanotrofio di Shappusy e prese con sé non uno, ma due bellissimi bambini, un maschio e una femmina. Li aveva scelti simili perchè voleva sembrassero realmente fratelli. Entrambi avevano folti capelli neri come i suoi,una carnagione chiara e lineamenti fini che li facevano sembrare delle bambole di porcellana. Il più grande aveva cinque anni, mentre la piccola non ne dimostrava più di tre. Nel orfanotrofio di Shappusy si usava identificare i bambini con un codice numerico, affinche fossero i genitori adottivi a scegliere un proprio nome. Berenice decise di chiamare i suoi bambini Mefisto e Gabriel. Al primo diede il nome di un demone perchè arrabbiata con dio dopo otto anni di aspettative e delusioni mentre la seconda portava il nome di un arcangelo, un ringraziamento per aver potuto finalmente ottenere la grazia di poter allevare dei figli.

In seguito Berenice e Rudolf adottarono altri due figli. Due neonati, per avere il piacere di allevarli fin dalla nascita.

Mefisto, Gabriel, Alphonse e Rosemay.

I fratelli Liverdon.

La casa dei coniugi Liverdon divenne vivace e piena di amore. I quattro fratelli crescevano uniti e Berenice non poteva essere più felice. Guardando i suoi amati figli giocare per casa non immaginava certo quali sfide il fato aveva decretato per loro.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


 

Gabriel

 

Con la testa appoggiata al vetro della finestra, seguivo le gocce di pioggia formare piccoli sentieri d'acqua sul vetro. Erano ormai due giorni che stavo chiusa in casa per colpa della pioggia.

-Alla fine vedremo chi avrà la meglio!- dissi guardando truce i nuvoloni scuri che coprivano il cielo.

-Gab, quante volte ti ho detto che è del tutto inutile e stupido litigare con dei fenomeni atmosferici!- Ignorai mio fratello Alphonse e fissai tutta la mia attenzione sulla strada che dal boschetto portava al nostro palazzo. Vidi una carrozza procedere lenta, per via del fango formatosi dopo le continue piogge. Sorrisi e balzai in piedi.

-Sta tornando la mamma!- Rosemay e Al si avvicinarono alla finestra e scorsero la carrozza. Dopo la scomparsa di nostro padre, nostra madre era stata costretta a succedere nell'esercizio del attività commerciale di famiglia e spesso si assentava da casa, anche per intere settimane.

Quando la vedemmo scendere dalla carrozza ci precipitammo all'ingresso per darle il benvenuto.

-Non mi abbracciate, sono fradicia- ci disse mentre le correvamo incontro.

-Ben tornata- dissi mentre Ross cercava di arrampicarsi sulle sue gambe nonostante le proteste della mamma.

-Sono felice di questa accoglienza però piccola May lascia che prima mi cambi, poi potrai starmi addosso finché vuoi... Dov'è Mefisto?- chiese improvvisamente. Mi resi conto solo in quel momento che mio fratello maggiore non era sceso in salotto per tutto il pomeriggio.

-Dev'essere ancora nella sua stanza, vado a chiamarlo- detto questo salii rapida le scale.

Noi tutti volevamo molto bene a nostra madre anche se lei non era la nostra vera genitrice. Di questo eravamo a conoscenza soltanto io e Mefisto. Non avevo nessun ricordo dell'orfanotrofio, figuriamoci dei miei veri genitori. Mio fratello invece ricordava qualcosa ma raramente me ne parlava.

Arrivata davanti alla porta della sua camera bussai. Nessuna risposta. Abbassai la maniglia e sbirciai nella stanza. Mefisto era disteso sul letto, i corti capelli neri scompigliati sul cuscino, respirava piano nell'incoscienza. Era strano pensare a come quel ragazzo sempre così sicuro di se, ironico e canzonatorio potesse sembrare tanto innocente nel sonno.

Mi misi seduta sul bordo del letto e passai una mano tra i suoi capelli.

-Dormi il sonno dei giusti?- Sorrise svegliandosi.

-Dovrei avere qualche motivo per sentirmi in colpa?-

-Più di uno. Ad esempio l'aver fatto ammattire il vecchio Muzio. Da un ragazzo di vent'anni ci si aspetta un po' più di maturità-

-Io sono la persona più matura di questo mondo! Muzio è vecchio e l'età gioca brutti scherzi. Povero...- disse scuotendo la testa.

Il “povero” Muzio era un anziano e bisbetico inserviente. Fin da bambini io e Mefisto ci divertivamo a fargli ogni tipo di dispetto. Una volta, quando avevo undici anni, spostammo la branda su cui dormiva in cortile. Nulla di grave se non fosse che Muzio ci stava dormendo sopra.

-Dovremmo smetterla entrambi con queste stupidate. Ormai ho diciotto anni, si suppone che sia una donna-

Mefisto aprì improvvisamente gli occhi e mi fissò intensamente. Per un attimo rimasi imprigionata in quello sguardo. Quegli occhi così neri da non distinguere la pupilla dall'iride a volte sembravano scavarmi dentro.

Si mise seduto e sorrise beffardo.

-Tu resterai sempre una bimba, non conosco nessuna donna che si commuove fino alle lacrime per la storia del Tigrone Dentone-

-Avevi detto che non mi avresti più presa in giro!-

-Dicevo solo che non è possibile che quella favola per bambini ti emozioni tanto, a meno che tu non sia una bimba, ovvio-

La mia risposta venne stroncata sul nascere dalla voce di Al che ci intimava di scendere.

 

A cena nostra madre ci raccontò del suo viaggio d'affari. Commerciava gioielli e questo lavoro ci permetteva una vita agiata. Nonostante la nostra ricchezza non eravamo mai stati viziati. I nostri genitori avevano insegnato a tutti noi il valore del denaro e ci avevano sempre detto che il fatto di avere molti soldi non ci autorizzava a sperperarli. Inoltre eravamo stati abituati a dover guadagnare qualcosa noi stessi per soddisfare i nostri capricci.

Durante il pasto osservai i membri della mai famiglia con attenzione. Seduta a capotavola c'era la mamma. Stava ancora parlando del suo viaggio. Nonostante l'età si poteva tranquillamente affermare che fosse ancora una bella donna. Portava i capelli brizzolati legati in una crocchia, gli occhi scuri si accendevano quando ci guardava. Sapevamo che lei ci amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Aveva sofferto molto per la morte di suo marito ma si era fatta forza per noi, per assicurarci un futuro.

Alla destra di mia madre sedeva Rosemay, la mia tenera sorellina. Ross aveva otto anni e soffriva di una timidezza patologica. Stava sempre attaccata al braccio di Al o alle gambe di nostra madre e non parlava mai con nessuno al di fuori della famiglia. Alphonse riusciva sempre a capire le esigenze di May, anche se queste non venivano espresse verbalmente, forse perché mio fratello minore era molto sensibile. Ad Al piaceva molto studiare, al contrario di me, e aveva una vera e propria passione per l'astronomia. Non riuscivo a capire come riuscisse a riconoscere le varie stelle, per me tutte uguali. A soli tredici anni tracciava rotte a seconda della posizione degli astri e scrutava il cielo per seguire qualsiasi tipo di corpo celeste. Non aveva mai voluto imparare a tirare di scherma, cosa che io e Mefisto praticavamo assiduamente divertendoci.

Per ultimo osservai Mefisto. Mio fratello maggiore era senza dubbio la persona che mi capiva meglio al mondo. Ero contentissima di averlo come fratello. Mefisto era solito tenersi sempre un po' in disparte. Non riusciva a considerare Berenice la propria madre. Non aveva ricevuto alla nascita l'amore incondizionato che i genitori mostrano nei confronti dei figli, voleva bene alla donna che lo aveva adottato ma sentiva per lei una sorta di gratitudine che non sapeva come ripagare. Si sentiva in debito nei suoi confronti e non voleva darle nessun dispiacere. Per questo non si lamentava mai con lei se soffriva e cercava di essere un figlio encomiabile, in modo da essere motivo d'orgoglio per la donna che aveva fatto così tanto per lui. Nonostante questo non era riuscito ad abbandonare il suo lato goliardico, perciò evitava sempre che le sue malefatte venissero scoperte. Quel ragazzo aveva una personalità piena di sfaccettature. Soltanto io potevo dire di conoscere bene mio fratello.

A quel tempo mi vantavo di questo, non comprendendo minimamente quanto oscuro e profondo fosse in realtà il suo cuore. Avevo scorto solo una piccola parte di lui e per quanto credessi di conoscerlo mi sfuggiva la parte più importante.

 

 

 

 

Note:

Benvenuti nella famiglia Liverdon!

Vi chiedo scusa fin da ora per eventuali errori e vi chiedo di essere comprensivi, essendo la prima storia che posto.

Sono stata indecisa per mesi se metterla o no su questo sito finché non ho deciso di buttarmi. I commenti sono ovviamente ben accetti, anche le critiche costruttive.

Vi ringrazio per aver letto questo capitolo e sarò felice se vorrete seguire anche il prossimo.

 

Next chapter: Mefisto.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


 

Mefisto

 

Le contorte vie di Shappusy si snodavano sotto i miei piedi in una statica oscurità.

Non c'erano lampioni nelle parti più povere e malfamate della città, soltanto alcune deboli luci provenienti dalle finestre di qualche bordello coloravano a intermittenza il lastricato in pietra.

-Cerchi compagnia tesoro- Mi voltai verso la mia interlocutrice, una prostituta troppo truccata che sorrideva lasciva.

-Non ora, ma chère...-

Sgattaiolai lontano da quel luogo, confondendomi con le affollate ombre della notte finché raggiunsi la mia meta. Il “Seamair Glas” era il peggior locale dei sobborghi di Shappusy ma anche l'unico che vendeva tutti i tipi di alcolici, anche quelli vietati dalla politica benpensante dei sacerdoti che non esitavano a condannare all'inferno chi osava bere poco più di un bicchiere di vino. Dopo essermi seduto al bancone ordinai dell'assenzio. Risi pensando alle stupide leggi proibizioniste che vigevano in città e risi maggiormente pensando a come fosse semplice infrangerle. Del resto anche i nobili non vivevano solo di tè pomeridiani, anche a loro faceva comodo un locale come il Seamair Glas per procurarsi illegalmente qualche bevanda alcolica. La dannazione eterna non sembrava un argomento abbastanza convincente per farci desistere dal bere.

Io sono già un demone. Pensai con rammarico. Tutto di me era malvagio, a partire dal mio nome. Mefisto, il braccio destro del demonio, colui che corrompe le anime umane con l'obbiettivo di imprigionarle negli inferi. Un nome appropriato, dato che venivo dall'inferno. Lascia i soldi sul bancone, in mezzo ai bicchierini dei quali non tenevo più il conto. Sulla via del ritorno mi apparve la stessa prostituta incontrata all'andata. Forse era un'altra, tutte le donne mi sembravano uguali, tranne una... ma pensare a lei mentre sentivo le mani di quella donna scorrere sulla mia pelle, mentre le aprivo le gambe e davo sfogo ai miei più bassi istinti, lo sentivo come un offesa nei confronti del mio unico amore, della sola donna che volevo davvero. Del resto un demonio come me poteva non avere un amore maledetto?

 

 

Rientrai a casa alle prime luci dell'alba. Gli avvenimenti della notte stavano ormai sbiadendo, una dormita e la nebbia che copriva i miei ricordi notturni avrebbe inghiottito anche loro. Raggiunsi barcollando la mia camera, gettai in un angolo i vestiti che avevo indossato durante la mia uscita e mi lavai perché nessuna traccia di ciò che era successo venisse scoperta. Era avvilente come questi gesti risultassero famigliari. Misi addosso i primi vestiti che trovai e mi buttai sul letto.

Avrei dovuto essere stanco ma la mia mente non voleva saperne di spegnersi. Dopo lo pseudo bagno ghiacciato ero ormai lucido.

Com'era inevitabile pensai a Lei. Il mio Angelo. Gabriel.

Sapere che dormiva nella stanza accanto alla mia non mi dava pace. Questo era uno dei motivi per cui uscivo la notte. Mi misi a sedere, turbato dall'idea che mi era balenata in mente: volevo vederla. Già altre volte avevo desiderato entrare nella sua stanza mentre la sapevo addormentata ma mi ero sempre trattenuto. Prima di tutto non volevo essere scoperto, seconda cosa non ero un pervertito. Ripensandoci forse sì, un po' lo ero. Comunque sia, decisi di incolpare la mia vita sregolata e andare da lei. Raggiunsi la sua stanza e silenziosamente entrai. Come supponevo Gabriel stava dormendo. Era girata sul fianco, le lenzuola erano finite sul pavimento mostrando il suo corpo, coperto solo da una camicia da notte leggera. Mi inginocchiai vicino al bordo del letto e rimasi a contemplare il suo viso. Le sfiorai la guancia con la punta delle dita. Poteva svegliarsi da un momento all'altro... Cosa avrebbe pensato vedendo suo fratello spiarla?

Fratello. Quella parola mi colpiva come una stilettata al cuore ogni volta che la pronunciava rivolta a me. Non avrei mai potuto essere libero di amarla. Anche se non avevamo legami di sangue, legalmente e per tutto il mondo, noi eravamo fratello e sorella. Manifestare i miei sentimenti significava far soffrire l'intera famiglia. Avrei reso consapevoli Al e Ross di essere stati adottati e avrei disonorato mia madre difronte a questa nostra malevola e ipocrita società. Dopo che Berenice mi aveva tirato fuori da quell'inferno, come potevo ripagarla distruggendo la famiglia amorevole che si era creata con il mio egoistico desiderio? No, non avrei mai potuto amare Gabriel, se non nel segreto della mia anima.

Mi allontanai da lei e con la morte nel cuore tornai nella mia stanza. Mi maledii mille volte per la mia stupidità, non potevo più assecondare i miei sentimenti.

Quella mattina prima di addormentarmi promisi di rinunciare al mio amore,come avevo già pensato infinite volte, e giurai che mai avrei fatto soffrire la mia famiglia.

Ma quanto può valere la parola di un demone?

 

 

Note:

Come prima cosa ringrazio chi ha deciso di leggere questi primi capitoli. Ci tengo a precisare che sono consapevole di non essere una cima nello scrivere e di commettere errori ma mi sto divertendo a scrivere e quindi per ora andrò avanti.

Devo dire che la storia si sta svolgendo un tantino diversamente da come l'avevo pensata inizialmente. Questo mi spiazza un po', perciò vi sarei davvero grata se lasciaste un commento, anche solo per dirmi cosa ne pensate di questi primi due capitoli. Come sempre i consigli sono ben accetti!

Grazie ancora e al prossimo capitolo!

:)

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


 

Gabriel

 

La contessa Trydennè era famosa in tutta Shappusy per le sue meravigliose serate di ballo. Essere invitati ad una di queste serate significava trovarsi in saloni immensi e riccamente addobbati, pieni di nobili ben vestiti e intenzionati a divertirsi con balli, ottimo cibo e stupenda musica. Anche Al, che detestava la mondanità, partecipava volentieri a questi ricevimenti. Per questo non aveva fatto storie quando nostra madre aveva comunicato che la contessa in persona aveva recapitato l'invito con il quale ci convocava per la sua prossima festa.

Dopo l'invito i giorni erano volati senza che me ne accorgessi e come mio solito mi ritrovavo al pomeriggio,poco prima del tanto agognato evento, senza nulla da mettermi.

Fissavo torva il mio grande armadio stracolmo di abiti, domandandomi quand'è che quell'ammasso di legno e vernice avrebbe magicamente partorito l'abito più adatto alla serata, risparmiandomi la fatica di scegliere.

Ero ancora nel pieno del mio monologo mentale quando bussarono alla porta.

-Non ci sono- Dissi cupa.

Dalla porta comparve una piccola faccetta dolcissima, incorniciata da fluenti capelli ramati.

-Ah, sei tu Ross. Entra.-

La mia tenera sorellina si avvicino a me facendo frusciare il delizioso abitino da sera bianco e rosso che indossava.

-Sei bellissima Rosemay! Scegli tu un abito per me.-

May sorrise, felice dell'incarico che le avevo affidato e si tuffò dentro l'armadio. Ne riemerse con un abito blu, composto da un corpetto aderente e senza maniche. La lunga gonna a tre balze era impreziosita da eleganti ricami d'argento.

-E' perfetto Ross, grazie!-

Indossai velocemente l'abito (dato il ritardo accumulato grazie alla mia indecisione cronica) e mi acconciai i capelli in modo che ricadessero sulla mia spalla destra, aggiungendo gioielli argentati con lapislazzuli alla mia corvina chioma.

Mi sentii tirare la gonna e mi voltai, Rosemay mi stava porgendo una sottile catenina dalla quale pendeva una minuta e bellissima pietra blu a forma di lacrima.

-Insomma, ti muovi o no Gab! Siamo in ritardo!- Urlò Alphonse dal piano di sotto. Era una persona molto puntuale, lui.

Mi precipitai giù dalle scale con May al seguito. Appoggiato allo stipite della porta d'ingresso c'era Mefisto, le mani in tasca, elegante col suo stile sempre “in disordine”. Mi sorrise beffardo e io di slancio lo presi a braccetto trascinandolo prima fuori casa, poi dentro la carrozza, seguita dai mie fratelli. Il primo borbottava, la seconda rideva.

 

 

 

 

Il palazzo della contessa Trydennè si ergeva su una collinetta isolata. Era riconoscibile anche da lontano essendo illuminato a giorno.

Ad accoglierci venne la contessa in persona, grande ammiratrice dei gioielli che commerciava nostra madre.

-Siete finalmente arrivati, miei cari! Quale immenso dispiacere è l'assenza della vostra nobile madre!- Si crucciò la contessa Trydennè.

-Grazie mille per l'invito, signora contessa, è un onore e un immenso piacere prendere parte al vostro ricevimento stasera. - Salutò educatamente Al che tra tutti noi era il più educato e diplomatico.

-Grazie a voi per essere venuti. Suvvia entrate e divertitevi!- La contesse ci fece largo lasciandoci passare davanti a lei. Con la coda dell'occhio la vidi palpare il sedere di mio fratello maggiore quando la sorpassammo. Mefisto si girò verso di me strabuzzando gli occhi, dovetti trattenermi dal scoppiare a ridergli in faccia.

 

Entrando nel salone principale non si poteva non notare l'immensa marea di fiori disseminati per tutta la stanza. Rose, per la precisione. Rose rosse.

Riempivano i vasi di cristallo sui lunghi tavoli ai lati della sala, erano attaccate alle pareti, s'inerpicavano sulle colonne, erano perfino sul soffitto e petali di rosa erano sparsi sul pavimento bianco. Oltre alle rose vi erano una quantità immane di candele. Un nutrito drappello di ospiti si girò alla nostra entrata per poi avvicinarci. Vidi mio fratello maggiore cercare di defilarsi. Lui amava le feste ma odiava le cerimonie e i convenevoli e di certo non doveva essere rilassante per lui quel luogo saturo dell'aroma di rosa.

-Mefisto, mio caro!- Mi girai verso la proprietaria di quella voce. Armida Dokonalost, una ragazza poco più grande di me. Aveva un debole per mio fratello da praticamente tutta la vita, fin da quando eravamo bambine e giocavamo insieme. Potevamo definirci amiche un tempo. Amicizia che non si era protratta nel tempo grazie alla superficialità della bionda che ora stava avvinghiata al braccio di mio fratello.

Armida si sporse per sorridermi e farmi l'occhiolino. Tutto sommato eravamo rimaste in buoni rapporti.

-Mefisto invitami a ballare.-

-Speravo di poter prendere qualcosa da bere, Armida, prima di lanciarmi nelle danze.-

-Allora prendi da bere mentre io scambio due parole con tua sorella!-

Mefisto mi guardò roteando gli occhi.

-Allora vado. Tu vuoi qualcosa Gab?-

-No, grazie sono a posto.-

Lo vidi allontanarsi a passo svelto nella folla. Mi girai verso Alphonse, stava intrattenendo una conversazione con svariate persone, tutte adulte. Se non ne avesse avuto l'aspetto nessuno avrebbe pensato che Al fosse un ragazzino. Era estremamente maturo e diligente, non ricordavo di averlo mai visto fare i capricci. Come al solito Ross se ne stava attaccata alla manica di Alphonse. Sembrava una graziosa e silenziosa bambola di porcellana.

-La piccola Rosemay diventa ogni giorno più adorabile! Peccato non parli, deve avere una vocetta davvero dolce.- Armida guardava la mia sorellina come si guarda un tenero cucciolo.

-Ross parla solo con la sua famiglia, sopratutto con Al-

-Già,ricordo. Sai, mi è sempre piaciuto il fatto che tra voi vi chiamate con dei nomignoli, è così che bisognerebbe fare quando si è con persone a cui si vuole bene. Da piccole ne ero un po' invidiosa,comunque sono in buona compagnia. Mefisto è l'unico a cui non avete dato un soprannome.-

Sospirai – Mio fratello odia i nomignoli-

-Oh, ne sono ben consapevole. Spero di poter essere io l'unica persona al mondo che possa chiamarlo in modo diverso-

-E sentiamo come lo vorresti chiamare?-

Armida arrossì. -”Amore”- Detto questo si copri la faccia con le mani -Waaa!! Sono così imbarazzata!-

In quel momento pensai che la ragazza che mi stava di fronte fosse davvero bellissima, con la faccia rossa e gli occhi azzurri lucidi per l'emozione. Potrebbe diventare mia sorella se si sposasse con Mefisto, starebbero davvero bene insieme. A quel pensiero, improvvisamente mi sentì male. La mia testa ronzava e sentivo un enorme peso sul cuore. Vacillai e pensavo sarei caduta quando delle calde braccia mi sostennero.

-Gabriel, tutto bene!- Alzai gli occhi e vidi mio fratello fissarmi preoccupato. Mi stringeva a se con forza e senza un motivo il suo gesto mi fece venire voglia di piangere.

Al e Ross si erano avvicinati e mi guardavano preoccupati.

Volevo rassicurarli ma non riuscivo a parlare, il gigantesco nodo che mi si era formato in gola impediva alle parole di uscire.

Cosa mi succede?

-Gabriel vuoi che ti porti fuori?-

Annuì.

-Al, Ross, porto Gabriel a prendere un po' d'aria. Voi rimanete qui, se qualcuno vi chiede qualcosa inventate una scusa.-

-Mefisto, vuoi che venga con voi- Riconobbi la voce di Armida.

-No, per favore stai vicina ad Al e Ross-

Detto ciò Mefisto mi prese in braccio e si diresse a lunghi passi fuori dalla sala, in un corridoio buio. Mi strinsi a lui più che potevo e iniziai a piangere.

 

 

 

Next...

Mefisto: Ero davvero preoccupato ma allo stesso tempo felice e intenerito. La donna che amavo mi stringeva come se da me dipendesse la sua vita. La portai fuori e mi sedetti su una panchina di pietra con lei in braccio. Inizia ad accarezzarle dolcemente la schiena per cercare di porre fine alle sue lacrime. Ogni carezza era un brivido.

 

 

Note:

Ben ritrovati!

Vi ringrazio per aver letto anche questo capitolo.

Un grazie speciale lo devo a _isabella_cullen_ e liyen: veramente grazie di cuore! Le vostre parole mi hanno incoraggiata molto! Spero continuerete a seguirmi e a darmi il vostro prezioso parere.

Sinceramente questa storia non so più come si svilupperà. Avevo un idea precisa prima di mettermi a scrivere ma mano a mano che vado avanti la trama cambia senza che io possa farci nulla. Mha, speriamo in bene!

Consigli e pareri sono ben accetti!

 

A prestissimo!

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


 

Mefisto:

 

Dopo essere entrato nella sala da ballo di casa Trydennè avevo capito che da quella serata non avrei ricavato nulla di buono.

Essere invitato a uno di quei maledetti ricevimenti significava passare la serata cercando di evitare di finire intrappolato in ovvie conversazione senza capo ne coda con dei nobilotti la cui vera intenzione era sbatterti in faccia la loro ostentata ricchezza. Disgustosi. Aggiungendoci una padrona di casa maniaca e un oca bionda che non desiderava altro che volteggiare per la stanza tutta la sera il quadro si faceva ancora più cupo. Per di più le bevande offerte dal nostro anfitrione, il conte Arman Trydennè, non erano degne di tale nome. “Tè alla rosa”:un nome una garanzia, la garanzia che non avrei bevuto nulla per tutta la sera. Irritato, tornai sui miei passi per raggiungere Gabriel e gli altri. A qualche passo da loro vidi Gab barcollare e cadere. La presi tra le braccia appena in tempo. La guardai preoccupato. -Gabriel! Tutto bene- Era pallida e aveva gli occhi lucidi. -Vuoi che ti porti fuori?- La sentii annuire contro il mio petto e dopo aver scambiato due parole con mio fratello e Armida, la sollevai tra le braccia e uscì da quell'orribile sala.

Ero davvero preoccupato ma allo stesso tempo felice e intenerito. La donna che amavo mi stringeva come se da me dipendesse la sua vita. Mi accorsi con sgomento che stava piangendo, sentii il cuore stringersi a quella vista. Sospettai per un secondo che la causa fosse Armida ma cancellai subito quel pensiero. La bionda non aveva pensieri così sottili da ferire un animo nobile come quello del mio angelo, ne avrebbe avuto motivo di odiarla. Dopo tutto per lei Gab era la sorella di colui che amava, nonché sua amica d'infanzia.

La portai fuori e mi sedetti su una panchina di pietra con lei in braccio. Inizia ad accarezzarle dolcemente la schiena per cercare di porre fine alle sue lacrime. Ogni carezza era un brivido.

-Gabriel, cos'è successo?-

Scosse la testa e mi getto le braccia al collo, nascondendo il suo viso sulla mia spalla. Non sapevo cosa fare. Era la prima volta che Gabriel si mostrava così indifesa e bisognosa di protezione. Non era particolarmente orgogliosa ma aveva sempre cercato di essere forte e di non dare a vedere i suoi momenti di debolezza. Invece ora piangeva seduta sulle mie gambe senza ritegno. Il suo corpo caldo era premuto sul mio. Sentivo il suo profumo inebriarmi e il suo respiro sulla pelle. Le alzai il viso e asciugai le sue lacrime. Alla luce della luna, in lacrime sembrava così fragile... era bellissima. Avrei voluto proteggerla per tutta la vita. Sarei stato disposto a gettare la mia anima nelle fiamme dell'inferno solo per poter passare una notte insieme a lei e consumare il mio amore. Non sopportavo più di rincorrere il suo riflesso cercando il piacere con altre donne,anzi femmine,che per me erano meno di niente. Passai la mia mano sulla sua guancia, poi le mie dita come animate da volontà propria le sfiorarono le labbra. Il sangue divampo nelle mie vene. Il desiderio di baciarla, di assaporarla, si fece insostenibile. Misi una mano dietro alla sua nuca e una sul suo fianco attirandola a me.

-Fratello...- Mi bloccai.

-Fratello, scusami. Non so cosa mi abbia preso. Ora sto meglio,se vuoi possiamo rientrare.-

La guardai stordito.

Che diavolo stavo facendo?

Non avevo promesso a me stesso di rinunciare ai miei sentimenti? Ed ora eccomi qui a fremere per un suo bacio.

Gabriel si alzò e mi tese la mano. In quel momento qualcosa scattò in me, come un ingranaggio che balzando fuori posto modifica l'andamento di tutto il congegno. Improvvisamente capii che non potevo smettere di amare Gabriel e che non sarei più stato in grado di reprimere i miei sentimenti. La volevo. Volevo tutto di lei. Il suo corpo, il suo cuore persino la sua anima. Non avrei permesso a nessun dio ne a nessun demone di reclamarla, sarebbe stata mia per l'eternità.

Afferrai la sua mano e la trascinai verso la parte più oscura del giardino.

-Fratello, dove stiamo andando?- Mi seguiva fiduciosa, ignara dell'assurda passione che avevo nei suoi confronti. Non aveva idea della malsana ossessione di cui l'avevo fatta oggetto.

Come potevo farle questo? Gettarla nel vortice di un amore proibito e immorale, condannarla al tormento che per anni mi aveva afflitto! Il mio angelo non se lo meritava. Mi fermai.

Sentivo il suo sguardo ingenuo trapassarmi la schiena.

-Resta un po' con me qui fuori, Gab, vuoi?-

Intrecciò le sue dita con le mie.

-Passeggiamo-

Insieme ci addentrammo nella parte più buia del giardino.

 

 

 

 

Nevicava...

La stanza era enorme, stracolma di brande logore su cui i bambini giacevano incoscienti...

Alcuni non sopravvivevano agli inverni rigidi.

Colpa di quelle fredde pareti in pietra e delle finestre che facevano passare mille spifferi...

In quel momento pensavo solo che dovevo stare attento a non mordermi la lingua, tanto forti erano i tremiti che mi causava il gelo notturno.

Mi girai verso quarantacinque, il mio unico amico.

Lo trovai a fissarmi con sguardo vuoto.

Cercai di sorridergli mentre mi chiedevo come mai riuscisse a non tremare.

Sbiancai.

Un gelo ancora più profondo e spaventoso si propagò da dentro il mio piccolo corpo.

 

Mi svegliai di colpo.

Tremavo ancora come quella notte d'inverno ma questa volta non era colpa di una temperatura glaciale.

Avevo sognato un ricordo, uno dei pochi della mia infanzia che ogni tanto mi facevano visita in veste onirica.

Precisamente avevo sognato la notte in cui il mio unico amico all'orfanotrofio era morto per assideramento.

Quarantacinque...

In quell'inferno non era permesso avere un proprio nome, ci numeravano come oggetti e come tali venivamo trattati.

Che razza di sogni dovevo fare proprio la domenica mattina!

-Sei sveglio Mefisto?-

La voce di Berenice Liverdon mi raggiunse attraverso la porta della mia camera. Senza nemmeno accorgersene era venuta ancora una volta a salvarmi da quel freddo e quel dolore.

-Sì madre, sono sveglio-

-Strano! Meglio così. Vestiti o faremo tardi-

Imprecai. Il sogno mi aveva totalmente fatto dimenticare il consueto appuntamento domenicale: la messa.

Non c'era evento che odiassi di più.

Era più che irritante trovarmi in un'immensa cattedrale dove un grasso sacerdote ti diceva come dovevi vivere la tua vita e ti ricordava quanto insignificante e imperfetto fossi davanti al creatore.

Perché poi avrei dovuto ringraziare un dio che per me non aveva mai fatto nulla.

 

Mi vestii di malavoglia e scesi al piano di sotto.

-Buongiorno fratello, fai colazione?-

-Non ho fame, Al. Dove sono le altre?-

-In giardino. Volevano godersi un po' il sole-

-Uf, che voglia hanno di muoversi di primo mattino.- Domandai irritato senza aspettarmi una vera risposta. Il mio fratellino si limitò a fare spallucce.

Ci avviammo verso la porta.

-Fratello?-

-Cosa?-

Al mi guardò di sottecchi, come fosse indeciso se continuare.

-Tutto ok?-

Per un attimo fui stupito dalla sua domanda.

-Certo. Perché questa domanda?-

-Non so, mi sei sembrato strano poco fa... Sappi che anche se sono più piccolo di te farei qualsiasi cosa pur di aiutarti, quindi... ecco, ciò che voglio dire è che su di me puoi contare!-

L'affetto che mio fratello mi dimostrava mi fece intenerire. Gli accarezzai la testa scompigliandogli i capelli.

-Grazie Al, lo so. Non preoccuparti, anche volendo non c'è nulla che mi può abbattere!-

Lo sentì rilassarsi e ridendo andammo in giardino.

Subito i miei occhi focalizzarono il mio angelo.

Era in piedi, di spalle rispetto a noi. Aveva un abito bianco che alla luce del sole risplendeva di mille riflessi colorati. I lunghi capelli, avvolti in uno chignon, erano nascosti da un velo di pizzo, anch'esso bianco.

Ripensai alla notte del ballo. Avevamo passato tutta la serata in giardino, camminando mano nella mano e scambiandoci poche parole, finché Armida era venuta a cercarci preoccupata per Gab. Nonostante questo era stata la serata migliore mai passata a casa della contessa Trydennè.

Probabilmente sentiva il mio sguardo su di se perché si girò improvvisamente, regalandomi un sorriso luminoso.

Avrei tanto voluto che il calore generato da quel semplice gesto potesse scaldare il gelo radicato nel profondo della mia anima.

 

 

Note:

Eccomi qua!

Non vi libererete di me tanto facilmente!

Scherzi a parte ringrazio come sempre chi ha il coraggio di leggere i miei nuovi capitoli(vi vedo eh!)!

Un grazie in particolare a chi commenta e chi ha messo questo storia tra le seguite e tra quelle da ricordare.

Bene, alla prossima! :)

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


 

Gabriel

 

Sdraiata sul letto, cercavo inutilmente di prendere sonno. Erano un po' di giorni che nella mia mente si susseguivano vari interrogativi. Stranamente riguardavano tutti mio fratello maggiore.

La sera del ballo mi ero sentita così male pensando a Mefisto insieme ad una donna, poco importava che fosse Armida o qualcun'altra, appena accostavo l'immagine di mio fratello a quella di una ragazza avevo una fitta al petto. La mia non era gelosia, era qualcosa di insano e poi perché sarei dovuta essere gelosa di mio fratello? Certo lui era la persona a cui volevo più bene al mondo, lo amavo in un certo senso. Oddio, non nel vero senso del termine. La parola “amore fraterno” serviva apposta per indicare il tipo di legame che ci univa, perché io e Mefisto non avremmo mai potuto essere due innamorati, no? Altra fitta al cuore. Cosa volevano significare queste fitte?

Mi girai premendo il cuscino sulla faccia.

-Basta arrovellarsi su pensieri inutili, devo dormire!-

Come al solito, più mi imponevo di dormire meno ci riuscivo.

Esausta, mi misi a sedere.

Decisi di scendere al piano di sotto.

A piedi nudi e in vestaglia scesi le scale attenta a non fare rumore. Ad ogni passo le mie lunghe gambe sgusciavano fuori dalle vesti leggere. Mi fece ridere pensare che se qualcuno mi avesse vista, avrebbe avuto un infarto considerando il mio abbigliamento indecente, o più probabilmente ritenendomi un fantasma. Fortunatamente era notte fonda e non c'era nessuno in giro.

Andai in cucina, rischiando la vita un paio di volte visto che mi ero intestardita a non voler accendere luci per non svegliare nessuno e per questo inciampavo ogni due secondi. Dalla cucina notai che la sala da pranzo era la stanza più illuminata, grazie alle enormi vetrate che permettevano alla luce lunare di rischiare timidamente l'ambiente.

Mi avvicinai ad una finestra e guardai fuori. Avvolto dal buio il giardino sembrava diverso, non lo stesso panorama che ero abituata a scorgere ogni giorno quando entravo nella stanza. Mi domandai se anche gli uomini possedessero lo stesso lato nascosto, simile e diverso. Possibile che in ognuno di noi ci fosse una parte “in ombra”, un lato del nostro carattere che difficilmente mostriamo? Anch'io ero come quel panorama famigliare e sconosciuto allo stesso tempo. Avevo un lato nascosto estraneo anche a me stessa, per questo non riuscivo a decifrare alcune mie emozioni. Fino a che punto potevo dire di conoscere me stessa e quanto realmente sapevo degli altri.

Sospirai, da quando facevo pensieri così contorti? La notte incoraggia certi pensieri destabilizzanti, colpa del silenzio che fa risuonare un pensiero all'infinito, ingigantendolo.

Ero ancora immersa in questi miei pensieri quando sentii un rumore alle mie spalle.

Trattenni il fiato e cercai di mantenere la calma. Se fosse stato un ladro mi sarei messa ad urlare per svegliare tutti, poco importava il mio abbigliamento indecoroso.

-Gab? Cosa diavolo fai sveglia a quest'ora! Sono le tre del mattino!-

Ebbi un tuffo al cuore. La voce sorpresa che mi rimproverava apparteneva alla stessa persona che aveva occupato i miei pensieri per tutto questo tempo.

Mefisto aveva in dosso una semplice camicia sbottonata e dei pantaloni in tela. Mi sentii strana ed imbarazzata in quel momento notando il nostro desabillè.

Lo fissai come se lo vedessi per la prima volta. Alla luce della luna sembrava ancora più bello. Non riuscì a non fissare il mio sguardo sui suoi addominali scolpiti e sulla linea del collo. Notai che aveva i capelli bagnati.

-Per quale motivo hai capelli bagnati?- Le parole uscirono dalle mie labbra in un sussurro ma lui riuscì a sentirmi ugualmente

-Nulla che ti riguardi.- Rispose secco. Rimasi un po' offesa da quel tono.

In più Mefisto non mi guardava. Aveva lo sguardo rivolto verso la sua destra, concentrato a guardare un unico punto, la mascella contratta e i pugni chiusi come se fosse arrabbiato per qualche motivo. Così teso non sembrava lui e di colpo mi vennero in menti tutti i pensieri fatti un momento prima.

-Vai a letto Gabriel, è tardi.- disse voltandomi le spalle.

-Aspetta- lo raggiunsi e afferrai la sua mano costringendolo a girarsi verso di me -Dimmi cos'hai, perché ora hai questo tono e nemmeno mi guardi, sei arrabbiato?- Finalmente incrocia i suoi occhi e nello stesso istante rimasi impietrita. Mefisto, mio fratello, mi guardava con occhi ardenti. Possibile che fosse desiderio quello che leggevo nei suoi occhi? Ero sicura che in quel momento lui non vedesse in me sua sorella. Sentii il suo sguardo bruciare su ogni lembo di pelle lasciata nuda dalla mia vestaglia e mi mancò il respiro.

Mefisto si avvicinò al mio orecchio -Sei una stupida Gabriel...-

Avrei voluto ribattere in qualche modo ma la voce proprio non ne voleva sapere di uscire. Sentii le sue labbra appoggiarsi delicatamente sul mio collo e percorrerlo con piccoli baci. Le mie gambe divennero molli e la mia testa leggera... istintivamente pensai che volevo mi stringesse a se con più forza.

Mefisto,invece, si ritrasse velocemente e altrettanto velocemente scomparve dalla stanza.

Non riuscii a muovermi subito, nel silenzio della sala per un po' riecheggiarono i miei respiri accelerati e il battito del mio cuore.

 

 

 

 

Il mattino dopo scesi in cucina e non vedendo Mefisto chiesi dove fosse

-E' partito stamattina all'alba- mi informò Al -non so dove di preciso, alla servitù ha lasciato detto che si sarebbe assentato per qualche giorno per andare a trovare un amico.-

-Percival! Da chi altri può essere andato?- dissi risentita.

Mi sentii afflitta. Dopo i fatti della sera precedente mi aspettavo un po' più di considerazione. A Mefisto non importava nulla di me. Giocava a fare il fratellone premuroso per poi ignorarmi quando faceva qualcosa che mi toglieva il sonno e mi lasciava confusa e agitata.

Chiamai un inserviente e gli chiesi di prepararmi un cavallo veloce.

-Dove vuoi andare?- Domandò Al.

-Da Percival Dikothomia, devo assolutamente vedere Mefisto e sono più che sicura di trovarlo al suo palazzo!-

 

 

 

Note:

Sarò più che breve. Questo capitolo non mi piace granché, mi rifarò col prossimo... spero. :)

Ringrazio tutti coloro che leggono questa storia, chi l'ha messa tra le seguite e chi tra quelle da ricordare, ringrazio sopratutto chi recensisce, mi fate contenta :D

 

Alla prossima!!!

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