Le Conseguenze DI Un Addio

di Allegory86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Meiko ***
Capitolo 3: *** Princeton ***
Capitolo 4: *** Lisa e James ***
Capitolo 5: *** Nuovo Lavoro e Vecchi Amici ***
Capitolo 6: *** Dottor Rocket ***
Capitolo 7: *** Silver ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non era passato troppo tempo da quando l’aereo era decollato da Newark e si preparava ad atterrare a Chicago.

Una giovane donna bionda era seduta su un sedile accanto al finestrino, il mento appoggiato alla mano sinistra e lo sguardo vacuo, come se non vedesse le nuvole candide davanti agli occhi verdi. In grembo, aperto nel mezzo, un libro spiegazzato, segno che era stato letto più e più volte.

Avrò fatto bene ad andarmene? Non è passato neppure un giorno e già ho rimorsi… Il matrimonio con Robert, il lavoro all’ospedale, e soprattutto lui, la mia condanna eterna.

Abbassò il viso sulle ginocchia e con la mano libera accarezzò il titolo del libro.

E chi pensava, quando leggevo questo libro a quindici anni, che lo avrei trovato davvero il mio Rochester?

Allison Cameron in Chase, ma ancora per poco, sbuffò tristemente e si mise comoda sul sedile, ripromettendosi mentalmente di passare il viaggio… a non pensare.
Troppe cose aveva lasciato indietro a Princeton, troppi quesiti senza risposta, o con verità troppo dolorose per il suo cuore già provato.
Sapeva che sarebbe dovuta tornare per sistemare le questioni burocratiche del suo divorzio, ma sperava che il ritorno a casa l’avrebbe aiutata a superare maggior parte delle preoccupazioni.
Senza rendersene conto, prese ad arrotolare il libro, perdendo il segno e procurandogli una piega nuova sul dorso della copertina.

Perché sono tanto ansiosa? Ho già un lavoro al policlinico di Chicago, mamma e papà sono felici che torni ma è come se una parte di me, quella parte che mi rende viva, fosse rimasta nell’ufficio di House, dopo quell’addio che tanto mi ha lacerato. Dovrei maledirlo, ha rovinato il mio matrimonio e l’uomo che avevo sposato ma… non riesco a odiarlo. Amore e odio, la linea sottile tra questi due sentimenti non mi ha mai fatto tanto male.

Rendendosi conto che stava riducendo a brandelli il suo libro preferito, smise di torturarlo e cercò la pagina dove era rimasta al decollo: l’addio di Jane da Thornfield House e dal suo amato padrone.
Ridacchiò amaramente per tutte quelle similitudini e la signora seduta accanto a lei la guardò male. Allison non si scompose, avendo avuto a che fare per cinque anni con gli occhi glaciali del suo ex-capo, le altre occhiate le sembravano carezze.

Dio, non avrebbe dovuto pensare a quegli occhi tanto misteriosi, tanto belli da far male all’anima, tanto azzurri da perdercisi e credere di essere in cielo o in fondo al mare.
Gli occhi del suo amore impossibile, gli occhi di Gregory House.

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Capitolo 2
*** Meiko ***


L’aeroporto di Chicago era gremito di gente, Allison aveva impiegato mezz’ora per ritirare il bagaglio e per riprendersi dal volo aveva deciso di concedersi un caffè.
Si accomodò ad un tavolino posto fuori il Coffee Bar e aspettò la cameriera, una ragazzina non più che vent’enne, che stava avanzando sorridente verso di lei, mostrando l’apparecchio ai denti.

‘Cosa posso portarle signora?’ chiese amabilmente Laura, così diceva il cartellino sul petto.

Allison chiese un caffè espresso forte, per scacciare anche il mal di testa da jetlag, poi prese il quotidiano trovato sul tavolo e diede una rapida occhiata alle notizie di cronaca.
Leggere Chicago nel titolo del giornale le fece balzare il cuore in gola e stringere lo stomaco in una morsa: anche se era la sua città, a Princeton aveva lasciato gran parte di se stessa e ci avrebbe messo parecchio per dimenticare tutto.
Il caffè arrivò, pagò e si accinse a berlo quando una voce femminile conosciuta urlò il suo nome.
Allison si trattenne dal mettersi le mani sulla faccia per la disperazione e, con un sorriso imbarazzato ma sincero, si girò per salutare la cognata.

Meiko Kato in Cameron era una stupenda giapponese di ventisei anni, alta per la sua nazionalità e sempre inappropriata. Ma era un lato del suo carattere che Allison aveva imparato ad amare e che aveva fatto innamorare suo fratello maggiore, Daniel.
Si erano conosciuti ad un corso universitario di giurisprudenza, Meiko era una matricola mente Daniel era l’assistente del docente. Complice un lavoro di gruppo, la conoscenza tra i due si era fatta sempre più intensa e, dopo soli otto mesi, Daniel aveva chiesto la mano alla bella giapponesina che, commossa, aveva per la prima volta in vita sua perso le parole.

Le fece segno con la mano di raggiungerla e Meiko, con un sorriso immenso sul volto asiatico, saltellò fino a quando non riuscì ad abbracciare la donna bionda che tanto ammirava.

‘Ally, quanto mi sei mancata!’ gridò emozionata Meiko, facendo girare parecchia gente.

‘Anche tu Meiko, a Princeton non avevo nessuno che mi mettesse a disagio ogni volta che uscivo’ scherzò Allison lasciando andare la cognata, tenendo però ferma la presa sulle sue spalle. ‘Non sei troppo magra?’

Meiko ridacchiò allegra toccandosi il ventre ‘Non preoccuparti zia, il medico ha detto che va tutto bene e che la tua nipotina sta splendidamente. Come saprai meglio di me, la costituzione può influenzare il peso corporeo’

‘Ma sei di cinque mesi!’ esclamò ancora Allison, scordandosi di essere dottore anche lei e che quello che le aveva spiegato Meiko lo sapeva bene. ‘Daniel non dice nulla?’

‘Daniel abbraccia questa pancina ogni sera e parla a questa creaturina senza nome di cose più astruse e assurde, ho paura che la bimba possa nascere traumatizzata più che sottopeso!’ esplose a ridere sedendosi e poggiando la borsa accanto al caffè di Allison, che si sedette a propria volta e lo buttò giù in un sol sorso.

Non nominare Robert Meiko, non nominarlo. Così come non nominare Princeton o il vecchio lavoro, non sono ancora pronta a fingere che vada tutto bene con chi mi conosce a fondo.

Ma le preghiere di Allison non furono ascoltate e Meiko si guardò attorno, come per cercare qualcuno.
‘Ancora non mi hai spiegato perché Robert non è con te. Litigata passeggera o definitiva?’ chiese diretta e stranamente seria.

Sospirando, Allison annuì col capo ‘Definitiva Meiko, tra tre giorni inizio a lavorare al policlinico di Chicago e tra sei mesi dovrò tornare a Princeton per firmare i documenti del divorzio. Purtroppo questo matrimonio era giunto al termine ancor prima di iniziare, anche se gli ho voluto molto bene. Ma’ alzò la voce quando vide la cognata aprir bocca ‘ Daniel e i miei genitori devono saperlo da me, non da te, devi promettermelo. Anche se per te tenere dei segreti è quasi impossibile’ concluse con un mezzo sorriso.

‘E va bene!’ dichiaro con un broncio adorabile Meiko ‘Non dirò nulla a Dan, ma tu cerca di farlo in fretta, non so quanto riuscirò a trattenere il fiume di parole che mi esce ogni giorno. Piuttosto, non hai fame?’

Allison scoppiò a ridere, una risata genuina mentre guardava l’ora, le nove e mezzo del mattino, e la cognata che era indecisa tra vari panini ripieni di tutto.

Almeno per adesso sono salva. In fondo non è poi così difficile andare avanti con la propria vita, vero Allison? Anche se hai dimenticato il cuore in un’altra città.

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Capitolo 3
*** Princeton ***


Princeton, stesso momento

Una figura claudicante passeggiava avanti e indietro per il corridoio del reparto Oncologia, indecisa se entrare nell’ufficio del primario o meno.
Quella figura sapeva che il primario poteva leggergli dentro, come ogni miglior amico riesce, e quel giorno non sapeva se era in grado di mascherare i propri sentimenti dietro alla solita facciata cinica e disinteressata.
La sera prima era stata facile, era rimasto talmente sconvolto dall’addio di Cameron che fingere era stato automatico.
Gregory House fece per andarsene quando, con un tempismo perfetto, la porta dell’ufficio si aprì rivelando un James Wilson poggiato allo stipite con aria sorniona.
‘Vuoi fare un solco sul corridoio o ti decidi a entrare e dirmi cosa ti turba?’
La smorfia sul viso di House fu di sconforto, ma entrò e si buttò sul divano dell’amico, quasi fosse il suo terapista. Ma, in fondo, Wilson era realmente lo psicologo di House
‘Ancora Cuddy e Lucas?’ iniziò Wilson da dietro la sua scrivania, mani incrociate e sguardo serio. ‘Lo sai, lei cerca stabilità e un padre per Rachel, e tu al momento non sei proprio responsabile, e non ti piacciono i bambini… o almeno così vuoi apparire.’

Cuddy… Beh, almeno è un argomento facile, non mi scombussola dentro come quella maledetta gatta dagli occhi verdi. Basta annuire, sembrare dispiaciuto ed è fatta. Ma non so quanto potrò resistere, ieri sera è stato devastante. Non c’è più…

‘House?’
La voce di Wilson lo distolse di suoi pensieri e cercò qualche frase sarcastica da dire, ma sembrava avere la mente vuota, aveva impresso solo quel lieve bacio sulla guancia e lei di spalle che se ne andava via, via da lui.
‘Oh insomma Wilson, sembri una vecchia pettegola! Sì, è la Cuddy e sì, non mi piace quel vermicolo di Lucas ma non posso farci niente’ disse cercando di mantenere un tono annoiato.
Gli occhi nocciola di Wilson lo fissarono a lungo, per poi spalancarsi decisi e sorpresi. ‘Non è per la Cuddy! Tu sei giù per un altro motivo! ‘ esclamò deciso battendo il pugno sulla scrivania di noce.

Cazzo!

Wilson si alzò dalla sedia, si prese il mento tra le dita e cominciò a pensare. ‘Perché sei così inquieto? Vediamo… hai riavuto il team, la licenza medica. Cosa mi sfugge?’
‘Il cervello ti sta sfuggendo idiota!’ sbraitò House alzandosi e andandosene sbattendo la porta con violenza, lasciando un James perplesso a fissare l’orsacchiotto di peluches sul pavimento, franato dalla libreria accanto all’ingresso.
House vagò senza una meta precisa, prese due ascensori e si ritrovò, sfortunatamente per lui, in clinica dove vide il tailleur sgargiante della Cuddy che parlava con un’infermiera.

Ci mancava solo questa, la Cuddy e la clinica. La clinica e la Cuddy. Qual è il male minore?

Lisa Cuddy sorrise all’infermiera e si girò, le labbra congelate quando vide House fissarla. Si mosse appena verso di lui, ancheggiando sui tacchi alti.
‘Cosa ci fai qui House? Vuoi fare il tuo dovere o vuoi rompermi l’anima ancora una volta, quando sai benissimo che non lascerò Lucas?’ disse battendo una cartellina medica sulla coscia.

Cosa vuoi che mi importi di Lucas, dannazione! Se n’è andata e io mi sento vuoto, non devo sentirmi così!

‘Voglio lavorare in clinica Cuddy, devo adempiere al mio dovere di medico, come il Giuramento di Ippocrate dice…’
‘Sì sì, va bene, tutto basta che tu finisca il soliloquio qui. Prendi’ e gli consegno una decina di cartelle ‘e mandali a casa con una cura. Poi nel mio ufficio, devo parlarti’ e sempre ancheggiando se ne andò.

Odio il lavoro in clinica, odio tutti quei malati ma forse… forse mi aiuteranno a non pensare.

Intanto, nell’ufficio del decano, Cuddy prese il telefono e compose un numero ‘Vieni subito, devo parlarti’

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Capitolo 4
*** Lisa e James ***


‘Cosa diavolo è preso a House?’

James Evan Wilson fu accolto in questo soave modo, quando varcò la soglia dell’ufficio di Lisa Cuddy, pugno per aria e la giacca rossa del completo stropicciata a livello seno, segno che si era torturata i bottoni per il nervoso.

‘In che senso Lisa? House è House, l’ho visto stamattina e mi è sembrato strambo come al solito’ rispose serafico Wilson, deciso a non dire al suo capo che anche a lui House sembrava diverso.

‘No, è diverso! Mi ha vista e nessuna battuta su sedere o seno, nessuna battuta su Lucas e le sue scarse doti amatoriali, si è persino preso’ respirò a fondo come se avesse assistito ad un omicidio ‘dieci cartelle della clinica! Ti rendi conto che adesso è in clinica?’
Si alzò dalla sedia e si diresse verso Wilson con sguardo penetrante. ‘Tu sai qualcosa, lo so che lo sai… dimmelo subito altrimenti…’
‘Altrimenti? Avanti Lisa, hai tua figlia e un compagno, il dottore più difficile del tuo staff sta lavorando. Di cosa ti preoccupi? Le sue non avances ti piacevano allora!’

Cuddy arrossì un poco ma negò col capo ‘Non è per questo, House ed io non siamo fatti per stare assieme. Lui è un amico e vederlo così… normale mi preoccupa. James, dimmi di cosa si tratta, tu lo sai o almeno sospetti di cosa possa trattarsi’

Wilson sospirò, poi decise di confessare le  proprie idee a proposito, sedendosi sul divano di pelle. ‘Non lo so di preciso, ma sta così da stamattina, l’ho sorpreso a fare la maratona di New York nel corridoio di oncologia, col bastone che picchiava forte. Sai che ti vuole bene ma anche lui è del parere, ne sono sicuro, che non riuscireste a stare insieme per più di due minuti. La licenza medica l’ha riavuta, così come il team tranne Camero… Oddio, ma certo!’ esclamò battendosi una manata sulla fronte ‘Cameron! E’ così giù perché se n’è andata via, lasciando Chase è tornata a Chicago. Il suo puzzle più complicato e infinito gli è sfuggito’
‘Credi sul serio che sia per Cameron che sta così?’ chiese dopo un po’ Cuddy, anche lei seduta vicino a James.

Per sbaglio si sfiorarono le mani poggiate sulla pelle del divano e entrambi i cuori sobbalzarono all’unisono, senza però far trasparire nulla.

‘Ehm…’ cercò di riprendere il filo del discorso Wilson ‘credo di sì. Non lo ha mai ammesso ma credo che lei gli sia sempre piaciuta, il carattere di Allison è l’antitesi di quello di House, impossibile che non si attraggano. E poi lei era innamorata di lui, magari… magari non so, ma sono sicuro che stia così per lei’

Ancora scosso dal tocco della mano di Lisa, si alzò di scatto e, mormorando qualche scusa riguardo i pazienti, si accomiatò dal decano di medicina, lasciandola seduta con lo sguardo azzurro perso nel vuoto, ripensando, anche lei, al gesto di poco prima.

SI riscosse dal torpore e decise che, con James, dovevano cercar di far dimenticare Cameron ad House, per il bene di entrambi.
Non pensò a come mai James le procurava sempre dei brividi, ormai se l’era messa via e Lucas era un buon compagno e adorava Rachel. Ma non era James Wilson.

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Capitolo 5
*** Nuovo Lavoro e Vecchi Amici ***


Cinque minuti d’anticipo, abitudine che non perderò mai” pensò Allison mentre entrava nell’asettica lobby del Policlinico di Chicago.
Indossava un completo pantalone nero con un soprabito del medesimo colore, e una sciarpa rosa per dare un tocco di colore alla mise elegante, sciarpa che era anche un oggetto molto caro: era stato il primo ed unico regalo fattole da House per Natale, poco dopo essere stata assunta.
La strinse forte nel pugno destro, ripetendosi mentalmente che non doveva aver timore del nuovo lavoro: aver lavorato con Gregory House l’aveva temprata a qualsiasi capo, anche se le avevano detto che questo dottor Rocket era un osso duro.
I tacchi risuonavano nell’immenso atrio, Allison era diretta allo sportello Clienti dove una smunta signora di mezza età masticava volgarmente un chewin gum e tirava su rumorosamente col naso.
Si poggiò e bussò al vetro, con il sorriso più cordiale che riuscì a trovare nel suo repertorio e si schiarì la voce.
‘Mi scusi signora, sono la dottoressa Cameron, avrei appuntamento col dottor Rocket alle ore 10’ disse tutto d’un fiato.
La segretaria, Miss Pemple diceva il cartellino appeso alla sua camicetta, la squadrò con occhio critico per poi guardare l’agenda.
‘Deve aspettare dottoressa, il dottore è occupato in una riunione al momento’ disse con voce incredibilmente nasale ed Allison si chiese se poteva scorgere altri difetti in quella donna.
‘Grazie Miss, aspetterò qui’ ed indicò il gruppo di candide sedie della sala d’aspetto.
Si sedette e prese il cellulare dove cancellò l’impegno del mattino dalla rubrica elettronica e notò un sms nuovo.
Col cuore in gola, come succedeva ormai da tre giorni a quella parte, schiacciò il tasto verde e vide un nome conosciuto: James Wilson.
Un sorriso spontaneo le nacque sul viso splendido, rendendola radiosa. Adorava James, adorava parlare con lui, erano molto simili ed erano gli unici capaci di rendere intricata la vita di House.
“Forse” si disse “se fossi nata uomo sarei potuta diventare sua amica” mentre gli occhi azzurro cielo del suo ex capo le balenavano alla mente.
Lesse il messaggio:
Cara Allison, sei andata via così in fretta che non ti ho neppure salutata. Tanta fortuna per tutto, quando vuoi chiacchierare chiamami pure, sai che per te ci sono sempre, così come tu ci sei stata dopo Amber. Un abbraccio James.
Dovette controllarsi molto per non lasciarsi sfuggire una lacrima e rovinare il trucco che Meiko l’aveva costretta a mettersi, James era sempre James, e avrebbe messo la mano sul fuoco che sapeva, pur non avendo parlato, tutte le ragioni che l’avevano spinta ad andarsene, questione Dibala a parte.
Non fece in tempo a rispondergli perché il suo nome rimbombò nella sala e Allison si girò di scatto verso quel suono.
Veniva da un uomo di mezza statura, con pochi capelli e con il braccio sinistro appeso ad un tutore per tenerlo vicino al corpo.
Intuì che si trattava del dottor Rocket dal camice bianco e dalla scia di tirocinanti che, dietro di lui, fissavano la sua nuca con occhi sbarrati dal terrore.
Abbaiò loro di andarsene e le decine di ragazzi scomparirono come neppure Harry Potter avrebbe potuto fare.
‘Dottoressa Cameron, dottoressa Cameron’ cantilenò Robert Rocket fissandola dal basso in alto.
‘Dottor Rocket’ disse Allison porgendo la mano che questi scansò.
‘Non sono per le smelensaggini di benvenuto, nel mio ufficio subito’ dirigendosi poi verso quest’ultimo.
Possibile che io debba sempre avere capi insopportabili? ” non potè fare a meno di pensare Allison, seguendo il piccolo dottore con un sorrisetto ironico sulle belle labbra.

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Capitolo 6
*** Dottor Rocket ***


Lo studio del dottor Rocket era indescrivibile: modellini di anatomia spezzati a metà, organi vitali in scala esposti in una vetrina, alle pareti erano appese una decina di quadri, tra lauree e specializzazioni.
Ma il pezzo forte era, sulla scrivania, un bisturi placcato in platino posato su un cuscino di velluto rosso sangue.
Nessuna foto di essere umani, se non si contavano le polaroid di autopsie sparse su un tavolino alla destra della porta d’ingresso.
Oh mio Dio, lo studio di Hannibal Lecter”si ritrovò a pensare Allison non appena mise piede nell’ufficio relativamente macabro anche per un dottore.
‘Ehm… vedo che la sua fama di chirurgo brillante era ben fondata’ esordì la bionda tenendo stretto il cappotto all’esile corpo.
‘Si sieda’ rispose brusco Rocket indicandole una delle due poltrone disposte davanti alla scrivania di ebano mentre lui si sedeva su di essa, sempre guardando fisso Allison.
Fece come le disse lui, poggiando borsa e cappotto sulla sedia gemella, poi accavallò le gambe e incrociò le braccia e lo fissò a sua volta.
‘Non ha paura di me, dottoressa?’ sussurrò Rocket ‘Di solito la gente ce l’ha’
‘Mi ucciderà, dottor Rocket? Devo preoccuparmi per la mia persona? Se devo scartare questa ipotesi no, non ho paura, ho lavorato con un capo decisamente più impressionante di lei, mi dispiace deludere le sue aspettative’ rispose calma Allison.
Il dottore la guardò come se volesse leggerle l’anima, poi fece un cenno con la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa.
‘Bene, mi avevano detto che era una tipa tosta, quello di cui ho bisogno per il reparto di Immunologia del Policlinico. Verrà affiancata da tre assistenti scelti da me, che l’aspettano già nel suo studio, e assieme porterete il reparto di cui lei sarà a capo a nuova luce con scoperte scientifiche. I fondi non mancano. Sempre che questo sia quello che lei voglia…’
‘Certo che è quello che desidero, sono specializzata in immunologia e durante il mio stand-by in E.R. mi è mancato parecchio il ricercare cause ed effetti di malattie conosciute e non. Ma se non le spiace, i miei collaboratori non devono aver paura di me come l’avranno sicuramente di lei, voglio gente che voglia lavorare in questo campo, non gente forzata a farlo. Quindi, sempre se non la disturba, vorrei i curriculum dei miei tre assistenti per potermi fare un’idea e capire se l’immunologia è la strada adatta a loro’ finì con un’occhiata di fuoco.
Se c’era una cosa che non sopportava era la prepotenza, e soprattutto la prepotenza dei capi sui sottoposti.
Con House l’aveva sopportata perché il fine era giusto e, inutile negarlo, lui avrebbe potuto chiederle qualsiasi cosa e lei l’avrebbe fatta, ma sul nuovo lavoro lei era una nuova Allison Cameron, cresciuta e maturata. E sempre dalla parte dei più deboli.
Rocket la guardò con un’espressione da pesce lesso, occhi dilatati e bocca leggermente aperta, così che lei potè intravedere un dente d’oro in corrispondenza del canino destro.
Si riscosse quasi subito, ridacchiando mentre le porgeva tre cartelline verdi e si sedeva sulla sua poltrona di pelle nera.
Allison lesse i nomi sulle cartelle:
Steven Silver
Michelle Carter
Michael Moore

‘Bene, ora vorrei parlare con loro, è possibile?’ chiese cordialmente mentre riponeva le cartelline in borsa.
Rocket sbuffò, poi biascicò qualcosa tenendo premuto un tasto del suo telefono e, due secondi dopo, una giovane segretaria varco la porta con gli occhiali mezzi storti e il fiatone.
‘Dottor Rocket!’ gracchiò ansiosa la ragazza, chiaramente impaurita dal suo capo.
Cometichiami, accompagna la dottoressa Cameron nel suo nuovo studio, e assicurati che i tre sottoposti siano lì ad attenderla.
‘Certo’ rispose e sorrise, un sorriso tremulo, a Allison, la quale incenerì con lo sguardo di smeraldo il dottore mezzo calvo e sorrise rassicurante alla moretta intimidita.
Uscirono e Allison non si fece scappare l’occasione per rassicurare la segretaria
‘Non preoccuparti, io non mangio nessuno. Come ti chiami?’
Gli occhini onice dell’altra si spalancarono, poi dalla bocca uscì un sottile ‘Ashley’
‘Bene Ashley, io sono Allison, potresti indicarmi il reparto di Immunologia per favore?’
Ashely sorrise e rispose con fermezza ‘Certo dottoressa’.
Insieme vagarono per l’immenso ospedale, presero l’ascensore, poi due rampe di scale e, infine, Allison lo vide: il laboratorio di reparto, con tre persone di spalle al suo interno.
Ringraziò Ashely e, preso un profondo respiro, entrò.
I tre si girarono e si misero sull’attenti, come se fosse entrato il loro capitano dell’esercito.
‘Calma ragazzi, io sono la dottoressa Cameron, iniziamo con le cose facili: le presentazioni senza troppe pressioni’
Un uomo sulla quarantina si schiarì la voce, per poi stendere la mano verso Allison ‘Dottor Michael Moore, internista’
Allison gliela strinse, poi passò sulla ragazza rossa alla destra di Moore.
‘Dottoressa Carter, neurologa, piacere dottoressa Cameron’
‘Piacere mio dottoressa Carter’ sorrise mostrando il candore dei denti perfetti.
‘Dottor Silver, nefrologo’
Allison, con ancora il sorriso sulle labbra, si girò per guardare Silver, ma appena lo mise a fuoco le labbra le si gelarono e il cuore prese a batterle all’impazzata.

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Capitolo 7
*** Silver ***


La stanza le girava intorno, sembrava che i suoi polmoni fossero improvvisamente pietrificati e non mandassero ossigeno al cervello mentre osservava Steven Silver.
Tremava tutta, sudava freddo e la mente era addormentata, sentiva un ronzio nelle orecchie fastidioso, sintomo che la pressione sanguigna era salita di parecchio.
Il suo stato di smarrimento doveva essere evidente perché Moore le posò una grossa mano sul braccio e gentilmente le disse: ‘Dottoressa Cameron, si sente bene? Vuole sedersi? ‘
Anche la giovane Carter si premurò che il suo nuovo capo stesse bene, portando una sedia dietro ad una Allison paralizzata, che fissava allucinata Silver, che a sua volta la guardava con un sorriso malizioso sul bel viso caucasico.
Allison riuscì a riprendersi e chiese a Moore e Carter un bicchiere d’acqua, quindi questi due uscirono per andare a prenderne uno, lasciando soli Allison e Silver.
‘Tu… tu sei…’ balbettò Allison portandosi una mano alla fronte per tergersi i sudori freddi che colavano anche sulla schiena.
‘Sì, io sono’ dichiarò Silver diventando serio tutto d’un colpo. ‘Ma nessuno lo sa. Non mi stupisco, però, che lei se ne sia accorta, conosco il suo passato molto bene dottoressa Cameron. Ma mi dica, da cosa lo ha capito?’ chiese poi incuriosito, mentre le si avvicinava.
Allison lo guardò, non credendo ancora a quello che aveva di fronte, a chi aveva di fronte, poi si disse che non era una bambolina di porcellana, sapeva rispondere e mettere insieme due frasi per dire la sua.
Fissando il verde smeraldo dritti contro Silver, disse: ‘Gli occhi. Nessuno ha occhi così. Occhi che possono gelare e bruciare allo stesso tempo.’
Silver rise ed Allison ritornò atterrita: aveva davanti il figlio di Gregory House.



Moore e Carter si affrettarono a portarle il bicchiere colmo d’acqua gelida, che prese con mani tremanti mentre fissava ancora Silver, seduto a cavalcioni di una sedia.

House aveva un figlio, un figlio del quale non sapeva nulla molto probabilmente, House aveva un figlio con gli stessi, dannatissimi occhi. Quegli occhi che la tenevano sveglia di notte, li sognava e al risveglio era sempre madida di sudore e chissà cos’altro.

Doveva ammettere poi che Steven Silver era un gran bel ragazzo, con i capelli neri e gli occhi glaciali, ma il tocco più sexy glielo conferiva una fossetta all’angolo destro della bocca. E si vedeva che Carter era persa di lui. In fondo, pensò mentre finiva l’acqua, se lei non fosse stata reduce da una separazione e innamorata del padre del ragazzo, se ne sarebbe invaghita anche lei

‘Dottoressa Cameron, sta meglio?’ chiese Carter prendendole il bicchiere vuoto dalla mano ormai tranquilla.

Allison la guardò e sorrise un po’ tirata ‘Grazie Carter, ora va meglio. Deve essere stato un colpo di bassa pressione, mi succede spesso’ e guardò Silver che ridacchiava.
Mentre Carter andò a buttare il bicchiere nella spazzatura, Allison si alzò e decise di mettere da parte ogni domanda per dopo il lavoro, ora doveva far vedere che era in grado di controllare un reparto tanto quanto House o Foreman.

Passarono delle ore a conoscersi, colloqui che servirono a Allison di capire che tutti e tre erano veramente interessati all’immunologia –o almeno Silver le aveva fatto credere questo e a lei andava bene, doveva conoscerlo- e poi li mandò a fare delle ricerche per uno strano caso che il policlinico non sapeva gestire.
Quando tutti e tre furono andati nel laboratorio, si sedette sulla sedia girevole e prese il cellulare e schiacciò un tasto di chiamata veloce, giusto il tempo per vedere nominativo e numero di telefono, per poi mettere giù immediatamente.

Fare quasi degli squilli ad House, sono proprio patetica. si disse mentalmente.

Sentì la porta aprirsi e alzò gli occhi verdi per vedere Silver entrare e chiudere la porta a chiave, facendola tremare.



Ringrazio tutti i lettori e chi ha recensito. Purtroppo questo sarà l'ultimo capitolo per un bel po', sono in una fase che non ho ispirazione e non saprei come continuarla senza rovinare il mio lavoro, che non sarà magari il massimo ma al quale io tengo molto.
Mi scuso con tutte voi.
Serena

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