Le Conseguenze DI Un Addio di Allegory86 (/viewuser.php?uid=9127)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Meiko ***
Capitolo 3: *** Princeton ***
Capitolo 4: *** Lisa e James ***
Capitolo 5: *** Nuovo Lavoro e Vecchi Amici ***
Capitolo 6: *** Dottor Rocket ***
Capitolo 7: *** Silver ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Non era passato troppo tempo da
quando l’aereo era decollato
da Newark e si preparava ad atterrare a Chicago.
Una giovane donna bionda era seduta
su un sedile accanto al
finestrino, il mento appoggiato alla mano sinistra e lo sguardo vacuo,
come se
non vedesse le nuvole candide davanti agli occhi verdi. In grembo,
aperto nel
mezzo, un libro spiegazzato, segno che era stato letto più e più volte.
Avrò fatto
bene ad
andarmene? Non è passato neppure un giorno e già ho rimorsi… Il
matrimonio con
Robert, il lavoro all’ospedale, e soprattutto lui, la mia condanna
eterna.
Abbassò il viso sulle ginocchia e con
la mano libera
accarezzò il titolo del libro.
E chi
pensava, quando
leggevo questo libro a quindici anni, che lo avrei trovato davvero il
mio
Rochester?
Allison Cameron in Chase, ma ancora
per poco, sbuffò
tristemente e si mise comoda sul sedile, ripromettendosi mentalmente di
passare
il viaggio… a non pensare.
Troppe cose aveva lasciato indietro a Princeton, troppi quesiti senza
risposta,
o con verità troppo dolorose per il suo cuore già provato.
Sapeva che sarebbe dovuta tornare per sistemare le questioni
burocratiche del
suo divorzio, ma sperava che il ritorno a casa l’avrebbe aiutata a
superare
maggior parte delle preoccupazioni.
Senza rendersene conto, prese ad arrotolare il libro, perdendo il segno
e
procurandogli una piega nuova sul dorso della copertina.
Perché sono
tanto
ansiosa? Ho già un lavoro al policlinico di Chicago, mamma e papà sono
felici
che torni ma è come se una parte di me, quella parte che mi rende viva,
fosse
rimasta nell’ufficio di House, dopo quell’addio che tanto mi ha
lacerato. Dovrei
maledirlo, ha rovinato il mio matrimonio e l’uomo che avevo sposato ma…
non
riesco a odiarlo. Amore e odio, la linea sottile tra questi due
sentimenti non
mi ha mai fatto tanto male.
Rendendosi conto che stava riducendo
a brandelli il suo
libro preferito, smise di torturarlo e cercò la pagina dove era rimasta
al
decollo: l’addio di Jane da Thornfield House e dal suo amato padrone.
Ridacchiò amaramente per tutte quelle similitudini e la signora seduta
accanto
a lei la guardò male. Allison non si scompose, avendo avuto a che fare
per
cinque anni con gli occhi glaciali del suo ex-capo, le altre occhiate
le
sembravano carezze.
Dio, non
avrebbe
dovuto pensare a quegli occhi tanto misteriosi, tanto belli da far male
all’anima, tanto azzurri da perdercisi e credere di essere in cielo o
in fondo
al mare.
Gli occhi del suo amore impossibile, gli occhi di Gregory House.
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Capitolo 2 *** Meiko ***
L’aeroporto di Chicago era gremito di
gente, Allison aveva
impiegato mezz’ora per ritirare il bagaglio e per riprendersi dal volo
aveva
deciso di concedersi un caffè.
Si accomodò ad un tavolino posto fuori il Coffee Bar e aspettò la
cameriera,
una ragazzina non più che vent’enne, che stava avanzando sorridente
verso di
lei, mostrando l’apparecchio ai denti.
‘Cosa posso portarle signora?’ chiese
amabilmente Laura,
così diceva il cartellino sul petto.
Allison chiese un caffè espresso
forte, per scacciare anche
il mal di testa da jetlag, poi prese il quotidiano trovato sul tavolo e
diede
una rapida occhiata alle notizie di cronaca.
Leggere Chicago nel titolo del giornale le fece balzare il cuore in
gola e
stringere lo stomaco in una morsa: anche se era la sua città, a
Princeton aveva
lasciato gran parte di se stessa e ci avrebbe messo parecchio per
dimenticare
tutto.
Il caffè arrivò, pagò e si accinse a berlo quando una voce femminile
conosciuta
urlò il suo nome.
Allison si trattenne dal mettersi le mani sulla faccia per la
disperazione e,
con un sorriso imbarazzato ma sincero, si girò per salutare la cognata.
Meiko Kato in Cameron era una
stupenda giapponese di
ventisei anni, alta per la sua nazionalità e sempre inappropriata. Ma
era un
lato del suo carattere che Allison aveva imparato ad amare e che aveva
fatto
innamorare suo fratello maggiore, Daniel.
Si erano conosciuti ad un corso universitario di giurisprudenza, Meiko
era una
matricola mente Daniel era l’assistente del docente. Complice un lavoro
di
gruppo, la conoscenza tra i due si era fatta sempre più intensa e, dopo
soli
otto mesi, Daniel aveva chiesto la mano alla bella giapponesina che,
commossa,
aveva per la prima volta in vita sua perso le parole.
Le fece segno con la mano di
raggiungerla e Meiko, con un
sorriso immenso sul volto asiatico, saltellò fino a quando non riuscì
ad
abbracciare la donna bionda che tanto ammirava.
‘Ally, quanto mi sei mancata!’ gridò
emozionata Meiko,
facendo girare parecchia gente.
‘Anche tu Meiko, a Princeton non
avevo nessuno che mi
mettesse a disagio ogni volta che uscivo’ scherzò Allison lasciando
andare la
cognata, tenendo però ferma la presa sulle sue spalle. ‘Non sei troppo
magra?’
Meiko ridacchiò allegra toccandosi il
ventre ‘Non
preoccuparti zia, il medico ha detto che va tutto bene e che la tua
nipotina
sta splendidamente. Come saprai meglio di me, la costituzione può
influenzare
il peso corporeo’
‘Ma sei di cinque mesi!’ esclamò
ancora Allison, scordandosi
di essere dottore anche lei e che quello che le aveva spiegato Meiko lo
sapeva
bene. ‘Daniel non dice nulla?’
‘Daniel abbraccia questa pancina ogni
sera e parla a questa
creaturina senza nome di cose più astruse e assurde, ho paura che la
bimba
possa nascere traumatizzata più che sottopeso!’ esplose a ridere
sedendosi e
poggiando la borsa accanto al caffè di Allison, che si sedette a
propria volta
e lo buttò giù in un sol sorso.
Non nominare
Robert
Meiko, non nominarlo. Così come non nominare Princeton o il vecchio
lavoro, non
sono ancora pronta a fingere che vada tutto bene con chi mi conosce a
fondo.
Ma le preghiere di Allison non furono
ascoltate e Meiko si
guardò attorno, come per cercare qualcuno.
‘Ancora non mi hai spiegato perché Robert non è con te. Litigata
passeggera o
definitiva?’ chiese diretta e stranamente seria.
Sospirando, Allison annuì col capo
‘Definitiva Meiko, tra
tre giorni inizio a lavorare al policlinico di Chicago e tra sei mesi
dovrò
tornare a Princeton per firmare i documenti del divorzio. Purtroppo
questo
matrimonio era giunto al termine ancor prima di iniziare, anche se gli
ho voluto
molto bene. Ma’ alzò la voce quando vide la cognata aprir bocca ‘
Daniel e i
miei genitori devono saperlo da me, non da te, devi promettermelo.
Anche se per
te tenere dei segreti è quasi impossibile’ concluse con un mezzo
sorriso.
‘E va bene!’ dichiaro con un broncio
adorabile Meiko ‘Non
dirò nulla a Dan, ma tu cerca di farlo in fretta, non so quanto
riuscirò a
trattenere il fiume di parole che mi esce ogni giorno. Piuttosto, non
hai
fame?’
Allison scoppiò a ridere, una risata
genuina mentre guardava
l’ora, le nove e mezzo del mattino, e la cognata che era indecisa tra
vari
panini ripieni di tutto.
Almeno per
adesso sono
salva. In fondo non è poi così difficile andare avanti con la propria
vita,
vero Allison? Anche se hai dimenticato il cuore in un’altra città.
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Capitolo 3 *** Princeton ***
Princeton, stesso momento
Una figura claudicante passeggiava avanti e indietro per il corridoio
del reparto Oncologia, indecisa se entrare nell’ufficio del primario o
meno.
Quella figura sapeva che il primario poteva leggergli dentro, come ogni
miglior amico riesce, e quel giorno non sapeva se era in grado di
mascherare i propri sentimenti dietro alla solita facciata cinica e
disinteressata.
La sera prima era stata facile, era rimasto talmente sconvolto
dall’addio di Cameron che fingere era stato automatico.
Gregory House fece per andarsene quando, con un tempismo perfetto, la
porta dell’ufficio si aprì rivelando un James Wilson poggiato allo
stipite con aria sorniona.
‘Vuoi fare un solco sul corridoio o ti decidi a entrare e dirmi cosa ti
turba?’
La smorfia sul viso di House fu di sconforto, ma entrò e si buttò sul
divano dell’amico, quasi fosse il suo terapista. Ma, in fondo, Wilson
era realmente lo psicologo di House
‘Ancora Cuddy e Lucas?’ iniziò Wilson da dietro la sua scrivania, mani
incrociate e sguardo serio. ‘Lo sai, lei cerca stabilità e un padre per
Rachel, e tu al momento non sei proprio responsabile, e non ti
piacciono i bambini… o almeno così vuoi apparire.’
Cuddy… Beh, almeno è un argomento facile, non mi scombussola
dentro come quella maledetta gatta dagli occhi verdi. Basta annuire,
sembrare dispiaciuto ed è fatta. Ma non so quanto potrò resistere, ieri
sera è stato devastante. Non c’è più…
‘House?’
La voce di Wilson lo distolse di suoi pensieri e cercò qualche frase
sarcastica da dire, ma sembrava avere la mente vuota, aveva impresso
solo quel lieve bacio sulla guancia e lei di spalle che se ne andava
via, via da lui.
‘Oh insomma Wilson, sembri una vecchia pettegola! Sì, è la Cuddy e sì,
non mi piace quel vermicolo di Lucas ma non posso farci niente’ disse
cercando di mantenere un tono annoiato.
Gli occhi nocciola di Wilson lo fissarono a lungo, per poi spalancarsi
decisi e sorpresi. ‘Non è per la Cuddy! Tu sei giù per un altro motivo!
‘ esclamò deciso battendo il pugno sulla scrivania di noce.
Cazzo!
Wilson si alzò dalla sedia, si prese il mento tra le dita e cominciò a
pensare. ‘Perché sei così inquieto? Vediamo… hai riavuto il team, la
licenza medica. Cosa mi sfugge?’
‘Il cervello ti sta sfuggendo idiota!’ sbraitò House alzandosi e
andandosene sbattendo la porta con violenza, lasciando un James
perplesso a fissare l’orsacchiotto di peluches sul pavimento, franato
dalla libreria accanto all’ingresso.
House vagò senza una meta precisa, prese due ascensori e si ritrovò,
sfortunatamente per lui, in clinica dove vide il tailleur sgargiante
della Cuddy che parlava con un’infermiera.
Ci mancava solo questa, la Cuddy e la clinica. La clinica e la
Cuddy. Qual è il male minore?
Lisa Cuddy sorrise all’infermiera e si girò, le labbra congelate quando
vide House fissarla. Si mosse appena verso di lui, ancheggiando sui
tacchi alti.
‘Cosa ci fai qui House? Vuoi fare il tuo dovere o vuoi rompermi l’anima
ancora una volta, quando sai benissimo che non lascerò Lucas?’ disse
battendo una cartellina medica sulla coscia.
Cosa vuoi che mi importi di Lucas, dannazione! Se n’è andata e
io mi sento vuoto, non devo sentirmi così!
‘Voglio lavorare in clinica Cuddy, devo adempiere al mio dovere di
medico, come il Giuramento di Ippocrate dice…’
‘Sì sì, va bene, tutto basta che tu finisca il soliloquio qui. Prendi’
e gli consegno una decina di cartelle ‘e mandali a casa con una cura.
Poi nel mio ufficio, devo parlarti’ e sempre ancheggiando se ne andò.
Odio il lavoro in clinica, odio tutti quei malati ma forse…
forse mi aiuteranno a non pensare.
Intanto, nell’ufficio del decano, Cuddy prese il telefono e compose un
numero ‘Vieni subito, devo parlarti’
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Capitolo 4 *** Lisa e James ***
‘Cosa diavolo è preso a House?’
James Evan Wilson fu accolto in
questo soave modo, quando
varcò la soglia dell’ufficio di Lisa Cuddy, pugno per aria e la giacca
rossa
del completo stropicciata a livello seno, segno che si era torturata i
bottoni
per il nervoso.
‘In che senso Lisa? House è House,
l’ho visto stamattina e
mi è sembrato strambo come al solito’ rispose serafico Wilson, deciso a
non
dire al suo capo che anche a lui House sembrava diverso.
‘No, è diverso! Mi ha vista e nessuna
battuta su sedere o
seno, nessuna battuta su Lucas e le sue scarse doti amatoriali, si è
persino
preso’ respirò a fondo come se avesse assistito ad un omicidio ‘dieci
cartelle
della clinica! Ti rendi conto che adesso è in clinica?’
Si alzò dalla sedia e si diresse verso Wilson con sguardo penetrante.
‘Tu sai
qualcosa, lo so che lo sai… dimmelo subito altrimenti…’
‘Altrimenti? Avanti Lisa, hai tua figlia e un compagno, il dottore più
difficile del tuo staff sta lavorando. Di cosa ti preoccupi? Le sue non avances ti piacevano allora!’
Cuddy arrossì un poco ma negò col
capo ‘Non è per questo,
House ed io non siamo fatti per stare assieme. Lui è un amico e vederlo
così…
normale mi preoccupa. James, dimmi di cosa si tratta, tu lo sai o
almeno
sospetti di cosa possa trattarsi’
Wilson sospirò, poi decise di
confessare le proprie
idee a proposito, sedendosi sul
divano di pelle. ‘Non lo so di preciso, ma sta così da stamattina, l’ho
sorpreso a fare la maratona di New York nel corridoio di oncologia, col
bastone
che picchiava forte. Sai che ti vuole bene ma anche lui è del parere,
ne sono
sicuro, che non riuscireste a stare insieme per più di due minuti. La
licenza
medica l’ha riavuta, così come il team tranne Camero… Oddio, ma certo!’
esclamò
battendosi una manata sulla fronte ‘Cameron! E’ così giù perché se n’è
andata
via, lasciando Chase è tornata a Chicago. Il suo puzzle più complicato
e
infinito gli è sfuggito’
‘Credi sul serio che sia per Cameron che sta così?’ chiese dopo un po’
Cuddy,
anche lei seduta vicino a James.
Per sbaglio si sfiorarono le mani
poggiate sulla pelle del
divano e entrambi i cuori sobbalzarono all’unisono, senza però far
trasparire
nulla.
‘Ehm…’ cercò di riprendere il filo
del discorso Wilson
‘credo di sì. Non lo ha mai ammesso ma credo che lei gli sia sempre
piaciuta, il
carattere di Allison è l’antitesi di quello di House, impossibile che
non si
attraggano. E poi lei era innamorata di lui, magari… magari non so, ma
sono
sicuro che stia così per lei’
Ancora scosso dal tocco della mano di
Lisa, si alzò di
scatto e, mormorando qualche scusa riguardo i pazienti, si accomiatò
dal decano
di medicina, lasciandola seduta con lo sguardo azzurro perso nel vuoto,
ripensando, anche lei, al gesto di poco prima.
SI riscosse dal torpore e decise che,
con James, dovevano
cercar di far dimenticare Cameron ad House, per il bene di entrambi.
Non pensò a come mai James le procurava sempre dei brividi, ormai se
l’era
messa via e Lucas era un buon compagno e adorava Rachel. Ma non era
James
Wilson.
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Capitolo 5 *** Nuovo Lavoro e Vecchi Amici ***
“Cinque minuti d’anticipo, abitudine che non perderò mai”
pensò Allison mentre entrava nell’asettica lobby del Policlinico di
Chicago.
Indossava un completo pantalone nero con un soprabito del medesimo
colore, e una sciarpa rosa per dare un tocco di colore alla mise
elegante, sciarpa che era anche un oggetto molto caro: era stato il
primo ed unico regalo fattole da House per Natale, poco dopo essere
stata assunta.
La strinse forte nel pugno destro, ripetendosi mentalmente che non
doveva aver timore del nuovo lavoro: aver lavorato con Gregory House
l’aveva temprata a qualsiasi capo, anche se le avevano detto che questo
dottor Rocket era un osso duro.
I tacchi risuonavano nell’immenso atrio, Allison era diretta allo
sportello Clienti dove una smunta signora di mezza età masticava
volgarmente un chewin gum e tirava su rumorosamente col naso.
Si poggiò e bussò al vetro, con il sorriso più cordiale che riuscì a
trovare nel suo repertorio e si schiarì la voce.
‘Mi scusi signora, sono la dottoressa Cameron, avrei appuntamento col
dottor Rocket alle ore 10’ disse tutto d’un fiato.
La segretaria, Miss Pemple diceva il cartellino appeso alla sua
camicetta, la squadrò con occhio critico per poi guardare l’agenda.
‘Deve aspettare dottoressa, il dottore è occupato in una riunione al
momento’ disse con voce incredibilmente nasale ed Allison si chiese se
poteva scorgere altri difetti in quella donna.
‘Grazie Miss, aspetterò qui’ ed indicò il gruppo di candide sedie della
sala d’aspetto.
Si sedette e prese il cellulare dove cancellò l’impegno del mattino
dalla rubrica elettronica e notò un sms nuovo.
Col cuore in gola, come succedeva ormai da tre giorni a quella parte,
schiacciò il tasto verde e vide un nome conosciuto: James
Wilson.
Un sorriso spontaneo le nacque sul viso splendido, rendendola radiosa.
Adorava James, adorava parlare con lui, erano molto simili ed erano gli
unici capaci di rendere intricata la vita di House.
“Forse” si disse “se fossi nata uomo sarei potuta diventare sua amica”
mentre gli occhi azzurro cielo del suo ex capo le balenavano alla mente.
Lesse il messaggio:
Cara Allison, sei andata via così in fretta che non ti ho
neppure salutata. Tanta fortuna per tutto, quando vuoi chiacchierare
chiamami pure, sai che per te ci sono sempre, così come tu ci sei stata
dopo Amber. Un abbraccio James.
Dovette controllarsi molto per non lasciarsi sfuggire una lacrima e
rovinare il trucco che Meiko l’aveva costretta a mettersi, James era
sempre James, e avrebbe messo la mano sul fuoco che sapeva, pur non
avendo parlato, tutte le ragioni che l’avevano spinta ad andarsene,
questione Dibala a parte.
Non fece in tempo a rispondergli perché il suo nome rimbombò nella sala
e Allison si girò di scatto verso quel suono.
Veniva da un uomo di mezza statura, con pochi capelli e con il braccio
sinistro appeso ad un tutore per tenerlo vicino al corpo.
Intuì che si trattava del dottor Rocket dal camice bianco e dalla scia
di tirocinanti che, dietro di lui, fissavano la sua nuca con occhi
sbarrati dal terrore.
Abbaiò loro di andarsene e le decine di ragazzi scomparirono come
neppure Harry Potter avrebbe potuto fare.
‘Dottoressa Cameron, dottoressa Cameron’ cantilenò Robert Rocket
fissandola dal basso in alto.
‘Dottor Rocket’ disse Allison porgendo la mano che questi scansò.
‘Non sono per le smelensaggini di benvenuto, nel mio ufficio subito’
dirigendosi poi verso quest’ultimo.
“Possibile che io debba sempre avere capi insopportabili?
” non potè fare a meno di pensare Allison, seguendo il piccolo dottore
con un sorrisetto ironico sulle belle labbra.
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Capitolo 6 *** Dottor Rocket ***
Lo studio del dottor Rocket era indescrivibile: modellini di anatomia
spezzati a metà, organi vitali in scala esposti in una vetrina, alle
pareti erano appese una decina di quadri, tra lauree e specializzazioni.
Ma il pezzo forte era, sulla scrivania, un bisturi placcato in platino
posato su un cuscino di velluto rosso sangue.
Nessuna foto di essere umani, se non si contavano le polaroid di
autopsie sparse su un tavolino alla destra della porta d’ingresso.
“Oh mio Dio, lo studio di Hannibal Lecter”si ritrovò
a pensare Allison non appena mise piede nell’ufficio relativamente
macabro anche per un dottore.
‘Ehm… vedo che la sua fama di chirurgo brillante era ben fondata’
esordì la bionda tenendo stretto il cappotto all’esile corpo.
‘Si sieda’ rispose brusco Rocket indicandole una delle due poltrone
disposte davanti alla scrivania di ebano mentre lui si sedeva su di
essa, sempre guardando fisso Allison.
Fece come le disse lui, poggiando borsa e cappotto sulla sedia gemella,
poi accavallò le gambe e incrociò le braccia e lo fissò a sua volta.
‘Non ha paura di me, dottoressa?’ sussurrò Rocket ‘Di solito la gente
ce l’ha’
‘Mi ucciderà, dottor Rocket? Devo preoccuparmi per la mia persona? Se
devo scartare questa ipotesi no, non ho paura, ho lavorato con un capo
decisamente più impressionante di lei, mi dispiace deludere le sue
aspettative’ rispose calma Allison.
Il dottore la guardò come se volesse leggerle l’anima, poi fece un
cenno con la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa.
‘Bene, mi avevano detto che era una tipa tosta, quello di cui ho
bisogno per il reparto di Immunologia del Policlinico. Verrà affiancata
da tre assistenti scelti da me, che l’aspettano già nel suo studio, e
assieme porterete il reparto di cui lei sarà a capo a nuova luce con
scoperte scientifiche. I fondi non mancano. Sempre che questo sia
quello che lei voglia…’
‘Certo che è quello che desidero, sono specializzata in immunologia e
durante il mio stand-by in E.R. mi è mancato parecchio il ricercare
cause ed effetti di malattie conosciute e non. Ma se non le spiace, i
miei collaboratori non devono aver paura di me come l’avranno
sicuramente di lei, voglio gente che voglia lavorare in questo campo,
non gente forzata a farlo. Quindi, sempre se non la disturba, vorrei i
curriculum dei miei tre assistenti per potermi fare un’idea e capire se
l’immunologia è la strada adatta a loro’ finì con un’occhiata di fuoco.
Se c’era una cosa che non sopportava era la prepotenza, e soprattutto
la prepotenza dei capi sui sottoposti.
Con House l’aveva sopportata perché il fine era giusto e, inutile
negarlo, lui avrebbe potuto chiederle qualsiasi cosa e lei l’avrebbe
fatta, ma sul nuovo lavoro lei era una nuova Allison Cameron, cresciuta
e maturata. E sempre dalla parte dei più deboli.
Rocket la guardò con un’espressione da pesce lesso, occhi dilatati e
bocca leggermente aperta, così che lei potè intravedere un dente d’oro
in corrispondenza del canino destro.
Si riscosse quasi subito, ridacchiando mentre le porgeva tre cartelline
verdi e si sedeva sulla sua poltrona di pelle nera.
Allison lesse i nomi sulle cartelle:
Steven Silver
Michelle Carter
Michael Moore
‘Bene, ora vorrei parlare con loro, è possibile?’ chiese cordialmente
mentre riponeva le cartelline in borsa.
Rocket sbuffò, poi biascicò qualcosa tenendo premuto un tasto del suo
telefono e, due secondi dopo, una giovane segretaria varco la porta con
gli occhiali mezzi storti e il fiatone.
‘Dottor Rocket!’ gracchiò ansiosa la ragazza, chiaramente impaurita dal
suo capo.
‘Cometichiami, accompagna la dottoressa Cameron nel
suo nuovo studio, e assicurati che i tre sottoposti siano lì ad
attenderla.
‘Certo’ rispose e sorrise, un sorriso tremulo, a Allison, la quale
incenerì con lo sguardo di smeraldo il dottore mezzo calvo e sorrise
rassicurante alla moretta intimidita.
Uscirono e Allison non si fece scappare l’occasione per rassicurare la
segretaria
‘Non preoccuparti, io non mangio nessuno. Come ti chiami?’
Gli occhini onice dell’altra si spalancarono, poi dalla bocca uscì un
sottile ‘Ashley’
‘Bene Ashley, io sono Allison, potresti indicarmi il reparto di
Immunologia per favore?’
Ashely sorrise e rispose con fermezza ‘Certo dottoressa’.
Insieme vagarono per l’immenso ospedale, presero l’ascensore, poi due
rampe di scale e, infine, Allison lo vide: il laboratorio di reparto,
con tre persone di spalle al suo interno.
Ringraziò Ashely e, preso un profondo respiro, entrò.
I tre si girarono e si misero sull’attenti, come se fosse entrato il
loro capitano dell’esercito.
‘Calma ragazzi, io sono la dottoressa Cameron, iniziamo con le cose
facili: le presentazioni senza troppe pressioni’
Un uomo sulla quarantina si schiarì la voce, per poi stendere la mano
verso Allison ‘Dottor Michael Moore, internista’
Allison gliela strinse, poi passò sulla ragazza rossa alla destra di
Moore.
‘Dottoressa Carter, neurologa, piacere dottoressa Cameron’
‘Piacere mio dottoressa Carter’ sorrise mostrando il candore dei denti
perfetti.
‘Dottor Silver, nefrologo’
Allison, con ancora il sorriso sulle labbra, si girò per guardare
Silver, ma appena lo mise a fuoco le labbra le si gelarono e il cuore
prese a batterle all’impazzata.
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Capitolo 7 *** Silver ***
La stanza le girava intorno, sembrava che i suoi polmoni fossero
improvvisamente pietrificati e non mandassero ossigeno al cervello
mentre osservava Steven Silver.
Tremava tutta, sudava freddo e la mente era addormentata, sentiva un
ronzio nelle orecchie fastidioso, sintomo che la pressione sanguigna
era salita di parecchio.
Il suo stato di smarrimento doveva essere evidente perché Moore le posò
una grossa mano sul braccio e gentilmente le disse: ‘Dottoressa
Cameron, si sente bene? Vuole sedersi? ‘
Anche la giovane Carter si premurò che il suo nuovo capo stesse bene,
portando una sedia dietro ad una Allison paralizzata, che fissava
allucinata Silver, che a sua volta la guardava con un sorriso malizioso
sul bel viso caucasico.
Allison riuscì a riprendersi e chiese a Moore e Carter un bicchiere
d’acqua, quindi questi due uscirono per andare a prenderne uno,
lasciando soli Allison e Silver.
‘Tu… tu sei…’ balbettò Allison portandosi una mano alla fronte per
tergersi i sudori freddi che colavano anche sulla schiena.
‘Sì, io sono’ dichiarò Silver diventando serio tutto d’un colpo. ‘Ma
nessuno lo sa. Non mi stupisco, però, che lei se ne sia accorta,
conosco il suo passato molto bene dottoressa Cameron. Ma mi dica, da
cosa lo ha capito?’ chiese poi incuriosito, mentre le si avvicinava.
Allison lo guardò, non credendo ancora a quello che aveva di fronte, a chi
aveva di fronte, poi si disse che non era una bambolina di porcellana,
sapeva rispondere e mettere insieme due frasi per dire la sua.
Fissando il verde smeraldo dritti contro Silver, disse: ‘Gli occhi.
Nessuno ha occhi così. Occhi che possono gelare e bruciare allo stesso
tempo.’
Silver rise ed Allison ritornò atterrita: aveva davanti il
figlio di Gregory House.
Moore e Carter si affrettarono a portarle il bicchiere colmo d’acqua
gelida, che prese con mani tremanti mentre fissava ancora Silver,
seduto a cavalcioni di una sedia.
House aveva un figlio, un figlio del quale non sapeva nulla
molto probabilmente, House aveva un figlio con gli stessi, dannatissimi
occhi. Quegli occhi che la tenevano sveglia di notte, li sognava e al
risveglio era sempre madida di sudore e chissà cos’altro.
Doveva ammettere poi che Steven Silver era un gran bel ragazzo, con i
capelli neri e gli occhi glaciali, ma il tocco più sexy glielo
conferiva una fossetta all’angolo destro della bocca. E si vedeva che
Carter era persa di lui. In fondo, pensò mentre finiva l’acqua, se lei
non fosse stata reduce da una separazione e innamorata del padre del
ragazzo, se ne sarebbe invaghita anche lei
‘Dottoressa Cameron, sta meglio?’ chiese Carter prendendole il
bicchiere vuoto dalla mano ormai tranquilla.
Allison la guardò e sorrise un po’ tirata ‘Grazie Carter, ora va
meglio. Deve essere stato un colpo di bassa pressione, mi succede
spesso’ e guardò Silver che ridacchiava.
Mentre Carter andò a buttare il bicchiere nella spazzatura, Allison si
alzò e decise di mettere da parte ogni domanda per dopo il lavoro, ora
doveva far vedere che era in grado di controllare un reparto tanto
quanto House o Foreman.
Passarono delle ore a conoscersi, colloqui che servirono a Allison di
capire che tutti e tre erano veramente interessati all’immunologia –o
almeno Silver le aveva fatto credere questo e a lei andava bene, doveva
conoscerlo- e poi li mandò a fare delle ricerche per uno strano caso
che il policlinico non sapeva gestire.
Quando tutti e tre furono andati nel laboratorio, si sedette sulla
sedia girevole e prese il cellulare e schiacciò un tasto di chiamata
veloce, giusto il tempo per vedere nominativo e numero di telefono, per
poi mettere giù immediatamente.
Fare quasi degli squilli ad House, sono proprio patetica.
si disse mentalmente.
Sentì la porta aprirsi e alzò gli occhi verdi per vedere Silver entrare
e chiudere la porta a chiave, facendola tremare.
Ringrazio tutti i
lettori e chi ha recensito. Purtroppo questo sarà l'ultimo capitolo per
un bel po', sono in una fase che non ho ispirazione e non saprei come
continuarla senza rovinare il mio lavoro, che non sarà magari il
massimo ma al quale io tengo molto.
Mi scuso con tutte voi.
Serena
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